Sentenze recenti fotovoltaico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessand - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE; avverso l'ordinanza del 22/02/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO D'ANDREA; lette/sentite le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 22 febbraio 2022 la Corte di appello di Roma ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da (OMISSIS) in relazione alla sofferta restrizione agli arresti domiciliari (87 giorni) per il delitto di cui all'articolo 416 c.p., commi 1, 3 e 4, per avere promosso, costituito e organizzato un'associazione per delinquere avente lo scopo di realizzare degli impianti fotovoltaici in violazione delle procedure previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2003, n. 387, articolo 12, comma 3, nonche' di commettere delitti di falso (articoli 359, 481 e 483 c.p.) e di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articoli 81 e 316-ter c.p.), rispetto al quale, dopo essere stata emessa sentenza di incompetenza territoriale dal G.U.P. del Tribunale di Brindisi in data 12 novembre 2015, il G.I.P. del Tribunale di Roma, su conforme richiesta del P.M., aveva emesso in data 21 marzo 2019 decreto di archiviazione. 1.1. Per la Corte di appello di Roma, quale giudice della riparazione, il provvedimento di archiviazione, pur avendo espresso una prognosi negativa circa la possibilita' di sostenere fondatamente l'accusa in giudizio, ha, pur tuttavia, ritenuto comprovata l'esistenza di comportamenti, imputabili alla (OMISSIS), idonei ad escludere il riconoscimento in suo favore del richiesto indennizzo per ingiusta detenzione. A dire del giudice della riparazione, infatti, l'istante non avrebbe fornito, in primo luogo, supporto alcuno alle indagini nel corso del celebrato interrogatorio di garanzia, in cui si era limitata ad esprimere affermazioni generiche ed incerte, senza offrire adeguata esplicazione del singolare ruolo da costei ricoperto di unico centro di interessi di diverse societa' da lei gestite ( (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., di cui era amministratore unico), tutte coinvolte, secondo la prospettazione accusatoria, in una complessa operazione di aggiramento della normativa di settore, realizzata frazionando artificiosamente un unico impianto fotovoltaico di notevole potenza in 21 impianti di potenza inferiore, tutti contigui tra loro, al fine di eludere l'obbligo della richiesta dell'Autorizzazione Unica Regionale, rendendo sufficiente la presentazione di semplici Denunce Inizio Attivita'. La colpa grave della (OMISSIS) e' stata, in particolare, individuata nel fatto di essersi trovata in una situazione di palese conflitto di interessi, avendo ricoperto, ad un tempo, sia la carica di amministratore unico delle societa' conduttrici ( (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.) che quella di membro del consiglio di amministrazione della societa' locatrice dei terreni ( (OMISSIS) s.r.l.), mantenendo tale ultima qualifica perfino dopo l'emissione dell'ordinanza cautelare nei suoi confronti, continuando a percepire, fino all'ultimo, i canoni locativi versati da ciascuno degli apparenti conduttori. Da tali elementi i giudici della riparazione hanno desunto una situazione tale da poter degenerare nel pericolo di una devastazione su vasta scala del territorio salentino, a scapito della collettivita', conseguentemente ritenendo che la (OMISSIS) avesse, con grave imprudenza, contribuito a dare causa alla misura cautelare subita. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 314 c.p.p., oltre a mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Deduce la ricorrente che la condotta imputatale non sarebbe stata tale da configurare la colpa grave ostativa al riconoscimento dell'invocato beneficio, considerato che la Corte di merito si sarebbe limitata ad operare una critica del contenuto del provvedimento di archiviazione, ravvisando la ricorrenza di una condotta gravemente colposa sulla scorta di elementi gia' risultati insufficienti a far ritenere integrata la sua colpevolezza. Non risulterebbe, in particolare, tale il suo mancato contributo alle indagini nel corso dell'interrogatorio di garanzia, considerato che si tratterebbe dell'espressione del suo diritto di difesa, non ostativo al riconoscimento del richiesto indennizzo per la ingiusta detenzione sofferta. La (OMISSIS), d'altro canto, era stata sottoposta a misura cautelare per aver ricoperto, ma solo fino a tre anni prima, la carica di amministratore unico delle societa' (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., in tale qualita' presentando al Comune di Brindisi, oltre cinque anni prima, D.I.A. e rispettive dichiarazioni di inizio lavori, ragion per cui, anche volendo, non sarebbe stata in grado di riferire alcunche' di rilievo nel corso del suddetto interrogatorio. Quanto, poi, al fatto di aver ricoperto cariche sociali e di aver continuato a detenere una partecipazione nella societa' proprietaria dei terreni su cui erano collocati gli impianti fotovoltaici anche dopo l'applicazione della misura cautelare nei suoi confronti, la ricorrente lamenta che si tratterebbe di dati non comprovati da alcun tipo di riscontro obiettivo e che, in ogni caso, assumerebbe troncante rilievo il fatto di essere stata solo componente, senza deleghe, del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) s.r.l., quindi priva di ogni potere decisorio. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non e' fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato. 2. Deve, in proposito, essere premesso che e' principio giurisprudenziale consolidato quello per cui nei procedimenti per la riparazione per ingiusta detenzione la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimita' del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruita' e logicita' della motivazione, non potendo mai investire il merito della stessa, in ragione di quanto disposto dall'articolo 646 c.p.p., comma 3, da ritenersi applicabile in ragione del richiamo contenuto nell'articolo 315 c.p.p., comma 3 (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/04/1994, Bollato, Rv. 198097-01). 3. Chiarito il superiore aspetto, deve, poi, essere ribadito che la norma dell'articolo 314 c.p.p. prevede, al comma 1, che "chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave". 3.1. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, u.p.); l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr., sul punto, Sez. 4, n. 4106 del 13/01/2021, M., Rv. 280390-01; Sez. 4, n. 34181 del 05/11/2002, Guadagno, Rv. 226004-01). 3.2. In proposito, le Sezioni Unite hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria a tutela della comunita', ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203637-01). 3.3. Poiche', inoltre, la nozione di colpa e' data dall'articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del suddetto dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso. 3.4. In altra successiva condivisibile pronuncia e' stato affermato, quindi, che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso (cosi', espressamente, Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034-01; ma cfr. anche, in termini conformi, Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017, Pedetta, Rv. 271419-01). 3.5. Le Sezioni Unite, poi, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664-01). Piu' recentemente, lo stesso Supremo Collegio ha precisato che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo puo' anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta' personale potra' considerarsi "ingiusta", in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche', altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che e' alla base dell'istituto (cosi' Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01). 4. Orbene, applicando gli indicati principi al caso di specie, risulta palese come l'impugnata decisione risulti priva dei vizi dedotti da parte della ricorrente. Per come chiarito dalla Corte di appello, infatti, anche a volersi prescindere dalle propalazioni rese dalla (OMISSIS) nel corso dell'interrogatorio di garanzia, risulta giudizialmente accertato - in quanto non contraddetto, nella sua storicita', dal disposto provvedimento di archiviazione - che la ricorrente si era trovata in una situazione di evidente conflitto di interessi, avendo ricoperto, ad un tempo, sia la carica di amministratore unico delle societa' conduttrici ( (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.) che quella di membro del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) s.r.l., societa' locatrice dei terreni, mantenendo tale ultima qualifica perfino dopo l'applicazione della misura cautelare nei suoi confronti, cosi' continuando a percepire i canoni locativi versati dagli apparenti conduttori. La (OMISSIS) era stata unico centro di interessi di diverse societa' ( (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.) di cui era stata amministratore unico, e in tale veste aveva presentato al Comune di Brindisi sia le D.I.A. che le rispettive dichiarazioni di inizio lavori. Ed allora, il Collegio ritiene che la Corte di appello abbia, in modo logico e congruo, qualificato le indicate condotte come integrative della colpa grave di rilievo ex articolo 314 c.p.p., avendo i giudici della riparazione ragionevolmente desunto, dai rappresentati aspetti, una situazione tale da poter degenerare nel pericolo di una devastazione su vasta scala del territorio salentino, conseguentemente ritenendo che la (OMISSIS) abbia, con grave imprudenza, contribuito a dare causa alla misura cautelare inflittale. 5. Alla stregua degli indicati elementi, deve conclusivamente ritenersi, allora, che il provvedimento impugnato si pone in termini pienamente conformi rispetto ai principi interpretativi delineati dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell'indennizzo in tema di riparazione per ingiusta detenzione, peraltro avendo proceduto la Corte distrettuale ad una puntuale valutazione del comportamento posto in essere dalla richiedente, secondo una valutazione ex ante, tenendo conto degli elementi conosciuti dall'autorita' giudiziaria al momento dell'adozione della misura cautelare e sino al momento di cessazione della stessa. La Corte di appello, cioe', ha ritenuto, con motivazione pienamente immune dalle dedotte censure, che l'esponente avesse concorso a dare causa alla misura cautelare a suo carico, e al mantenimento della stessa, in ragione di tutte le circostanze diffusamente rappresentate nel provvedimento impugnato. 6. Ne deriva, pertanto, la pronuncia di rigetto del ricorso, cui consegue la condanna della (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. MASI Paolo - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/06/2022 del TRIBUNALE di VERCELLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA MASI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCIA ODELLO, che ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso lette le conclusioni scritte depositate dal difensore della parte civile, avv. (OMISSIS); lette le conclusioni scritte depositate dai difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 07 giugno 2022 il Tribunale di Vercelli ha condannato (OMISSIS), alla pena di 200 Euro di ammenda, con i doppi benefici di legge, e al risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di cui all'articolo 660 c.p. da lui commesso dal (OMISSIS), cosi' riqualificando il reato originariamente contestato quale violazione dell'articolo 392 c.p., per avere molestato la conduttrice dell'immobile di proprieta' della societa' da lui amministrata, in parte a lei locato, staccando la corrente elettrica all'esercizio di parrucchiera di cui ella era titolare e impedendo la fornitura ad esso dell'energia elettrica, a fronte dell'asserito inadempimento degli obblighi contrattuali. Il Tribunale, respinta una eccezione relativa alla costituzione della parte civile per l'inapplicabilita' dell'articolo 75 c.p.p., e respinta successivamente un'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore, ha ritenuto provato il fatto dalle testimonianze assunte, qualificandolo pero' come violazione dell'articolo 660 c.p.. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore avv. (OMISSIS), articolando quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo eccepisce la violazione dell'articolo 75 c.p.p., articolo 2909 c.c. e articolo 653 c.p.c., per avere il giudice illegittimamente ammesso la costituzione di parte civile della persona offesa, qualificando erroneamente come di rito e non di merito la sentenza emessa dal Tribunale civile di Vercelli. La persona offesa (OMISSIS) ha proposto azione civile per il risarcimento dei danni asseritamente causati dall'imputato, ma il Tribunale di Vercelli l'ha respinta con la sentenza civile n. 188/2021, che va ritenuta una pronuncia anche di merito e non di mero rito. Infatti essa ha rilevato la tardivita' dell'opposizione al decreto ingiuntivo e l'ha dichiarata inammissibile, cosi' come ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale di riconoscimento del contro-credito, perche' non autonoma rispetto alla richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, e ha specificato che il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato anche in ordine al titolo posto a fondamento della domanda, circa la inesistenza di fattori impeditivi, estintivi o modificativi del credito. Con tale motivazione il Tribunale civile ha deciso anche nel merito della domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Bertaggia in via riconvenzionale, con pronuncia ormai passata in giudicato. 2.2. Con il secondo motivo eccepisce l'illegittimita' dell'ordinanza di reiezione della richiesta di rinvio per l'udienza del 15/03/2022. Il difensore aveva ricevuto gia' il 07/02/2022 la notifica del decreto di fissazione di un'udienza camerale davanti al Tribunale di sorveglianza di Brescia per il giorno 15/03/2022, data a cui, il giorno successivo, veniva rinviato il presente procedimento, ma in tale decreto non era specificato l'orario di chiamata, ed egli non aveva fatto presente, al Tribunale di Vercelli, la concomitanza dell'impegno professionale essendo astrattamente possibile presenziare ad entrambe le udienze. Solo il venerdi' 11/02/2022 gli era stato comunicato l'orario di trattazione del processo presso il Tribunale di sorveglianza di Brescia, orario che risultava non compatibile con quello di trattazione dell'udienza del processo presso il Tribunale di Vercelli, per cui la comunicazione dell'impedimento, avvenuta solo il successivo lunedi' 14/03/2022, benche' prossima all'udienza di cui si chiedeva il rinvio, era tempestiva, essendo tale impedimento sorto, in realta', solo il venerdi' precedente. Il Tribunale di Vercelli aveva ritenuto che l'impossibilita' di presenziare ad entrambe le udienze fosse prevedibile, data la distanza tra le due citta' e il tempo di circa due ore necessario per il trasferimento, ma se l'udienza a Brescia fosse stata fissata in prima mattina, o nel pomeriggio, sarebbe stato possibile per il difensore presenziare all'udienza davanti al Tribunale di Vercelli, in quanto fissata per le ore 12.30. Inoltre nell'istanza di rinvio egli aveva indicato l'impossibilita' di nominare un sostituto, pur non specificandone la ragione. Il Tribunale di Vercelli ha cosi' violato il diritto dell'imputato a difendersi, previsto dall'articolo 6 par. 3 della CEDU, in un'udienza in cui erano stati sentiti i testimoni dell'accusa e la parte civile, ed acquisiti vari documenti poi utilizzati per la decisione. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso censura la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illegittimita' della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) quanto all'attribuzione della responsabilita' penale all'imputato. La condanna si basa solo su elementi indiziari, come affermato dal giudice stesso, che non sono stati ben valutati. Il Tribunale non ha preso in esame la possibile causa alternativa dello staccarsi del contatore, quale la manomissione dell'impianto fotovoltaico. Inoltre una perizia avrebbe potuto dimostrare che l'assenza temporanea di energia elettrica puo' dipendere da molte cause, e non puo' essere attribuita con certezza ad una manomissione del sottocontatore, come ritenuto dal Tribunale sulla base solo della testimonianza dell'amministratore secondo cui il giorno successivo esso funzionava perfettamente. I contatori erano alloggiati in un locale a cui tutti gli utenti dell'immobile avevano accesso, anche la parte civile, tanto che in seguito ella stessa ne aveva sostituito la serratura. I testi dell'accusa hanno asserito che la corrente elettrica era mancata per molti giorni, mentre la sentenza ha ritenuto accertata la mancanza per un solo giorno. Il Tribunale, poi, ha erroneamente ritenuto utilizzabili le conversazioni per mezzo Whatsapp depositate dalla parte civile. La motivazione presenta quindi numerosi vizi nella valutazione delle prove, che inquinano la decisione finale. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso censura la mancata assoluzione ai sensi dell'articolo 131-bis c.p.. Il comportamento dell'imputato, se provato, e' consistito nella sospensione della fornitura dell'energia elettrica per un solo giorno e ad un solo locale, ed egli non ha tenuto una condotta diretta ad aggravarne le conseguenze, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata. Il danno causato e' quindi, senza dubbio, esiguo. 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 4. Il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), e i difensori dell'imputato, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), hanno depositato conclusioni scritte, con le quali il primo insiste per la declaratoria di inammissibilita' o il rigetto del ricorso, senza richiedere la liquidazione delle proprie spese, ed i secondi insistono per il suo accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato in tutti i suoi motivi, e deve percio' essere dichiarato inammissibile. 1.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Il giudice ha spiegato in maniera ampia e corretta, con l'ordinanza emessa in udienza e riportata per intero nella sentenza impugnata, le ragioni della infondatezza della eccezione circa la costituzione di parte civile della persona offesa Bertaggia. Costei ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso per i crediti vantati dalla societa' dell' (OMISSIS), e nell'ambito del procedimento cosi' instaurato ha proposto domanda riconvenzionale di riconoscimento del proprio credito a titolo di risarcimento del danno causato con la condotta qui giudicata. Il giudice civile, pero', ha giudicato tardiva la proposizione dell'opposizione e l'ha respinta per mere ragioni di rito, senza valutare la fondatezza o meno della domanda riconvenzionale, essendo la prosecuzione del giudizio impedita dalla erroneita' della sua instaurazione. E' dunque evidente che la sentenza n. 188/2021 e' una sentenza di mero rito, con riferimento alla domanda di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. E' del tutto irrilevante il fatto che il credito portato nel decreto ingiuntivo sia stato dichiarato definitivo, perche' la sentenza che, ai sensi dell'articolo 75 c.p.p., impedisce la costituzione di parte civile e' quella che giudica, nel merito, la domanda della parte civile, e non la domanda dell'imputato. 1.2. Anche il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Come ampiamente motivato dal giudice nella sua ordinanza, anche questa riportata per intero nel corpo della sentenza impugnata, la sussistenza di un diverso impegno professionale era nota al difensore quanto meno dal giorno precedente all'udienza tenuta davanti al Tribunale di Vercelli, udienza nella quale venne disposto il rinvio al giorno 15/03/2022 per lo svolgimento dell'attivita' istruttoria. La notevole distanza tra i due uffici giudiziari e la complessita' dell'udienza da tenere davanti al Tribunale di Vercelli rendevano ampiamente prevedibile l'impossibilita' di presenziare ad entrambe le udienze. Il difensore avrebbe dovuto, quindi, riferire subito la sussistenza di tale diverso impegno professionale, o quanto meno chiedere formalmente, al Tribunale di Vercelli e al Tribunale di sorveglianza di Brescia, di fissare le due udienze in orari tra loro compatibili. Il difensore, invece, ha atteso la fissazione dell'orario da parte del Tribunale di sorveglianza di Brescia, senza fare sollecitazioni o richieste, e pur avendo ricevuto la notizia di tale fissazione il giorno 11/03/2022 ha atteso fino al giorno 14/03/2022 per chiedere il rinvio dell'udienza fissata per il giorno successivo davanti al Tribunale di Vercelli. E' evidente la tardivita' della richiesta, atteso che la sovrapposizione dei due impegni professionali era gia' nota il giorno 08/02/2022. Inoltre e' corretto il rilievo del giudice circa la mancata indicazione della impossibilita' di servirsi di sostituti, non essendo sufficiente una generica e apodittica affermazione, priva di spiegazioni. La sentenza impugnata ha quindi applicato correttamente il consolidato principio secondo cui "L'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che da' luogo ad assoluta impossibilita' a comparire, ai sensi dell'articolo 420 ter c.p.p., comma 5, a condizione che il difensore: a) prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneita' dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato; d) rappresenti l'impossibilita' di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'articolo 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio." (Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015, Rv. 263395). Il relativo motivo di ricorso e' percio' manifestamente infondato. 1.3. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato perche' meramente ripetitivo e generico. Il ricorrente si limita a contestare singole prove e singole frasi della sentenza, mentre il giudice ha esaminato dettagliatamente tutte le prove e gli indizi e li ha valutati unitariamente, nelle pagine da 13 a 16, respingendo le varie obiezioni difensive, che vengono riproposte nel ricorso senza confrontarsi con la motivazione della sentenza, e sottolineando che l'imputato non ha fornito una valida spiegazione alternativa alla sua condotta, come riferita dai testi e come ricavabile dai messaggi rilevati dall'applicativo Whatsapp dei telefoni dei soggetti coinvolti. Da questa approfondita valutazione, il giudice ha ritenuto provata la sussistenza del reato e la responsabilita' dell'imputato per esso, oltre ogni ragionevole dubbio, e la sua conclusione e' logica e non contraddittoria. Si deve ricordare che la Corte di cassazione, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965, ha chiarito che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicche' sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano' la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". Anche in ordine all'utilizzo, quali indizi, delle conversazioni rilevate dall'applicativo Whatsapp, il giudice ha respinto l'obiezione della difesa con una motivazione approfondita e basata sui principi stabiliti dalla Corte di cassazione circa la loro natura di documenti, principi che ha applicato correttamente. Il loro contenuto, inoltre, e' stato confermato da chi li ha scritti o li ha ricevuti, mentre l'imputato non li ha ne' smentiti ne' interpretati diversamente. 1.4. Infine e' manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso. Il giudice ha motivato in modo logico e approfondito la non applicabilita' dell'istituto di cui all'articolo 131-bis c.p., ritenendo che l'offesa arrecata con la condotta di reato non possa essere valutata "di particolare tenuita'", per le modalita' di tale condotta e per l'entita' del pericolo o del danno, come riferito dai testimoni, e sottolineando che l'imputato non ha allegato specifici elementi che orientino la valutazione verso la tenuita' del danno o dell'offesa. Anche nel ricorso l' (OMISSIS), si limita a contestare la valutazione del giudice sulla base della propria, personale ricostruzione del fatto, contrastante con l'esito delle prove come riportato nella sentenza stessa, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza sul punto. 2. Sulla base di quanto esposto, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilita' consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere Dott. GIORGI Maria - Consigliere Dott. VIGNA Maria - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza; nel procedimento a carico di 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 06/12/2022 del Tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ercole Aprile; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cimmino Alessandro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi per gli indagati l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS) per il (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Potenza rigettava l'appello proposto dal Pubblico Ministero ai sensi dell'articolo 310 c.p.p. e confermava il provvedimento del 29 giugno 2022 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza, nel decidere su una pluralita' di richieste cautelari, aveva disatteso la domanda di applicazione di misure cautelari avanzata dal rappresentante della pubblica accusa nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - nonche' di altri due indagati, di cui e' stato omesso il richiamo, e che nel presente procedimento sono stati erroneamente confusi con (OMISSIS) e (OMISSIS), che rispondono di altri addebiti, e la cui posizione e' stata percio' espunta - in relazione al reato ai predetti contestato con imputazione provvisoria del capo 37), ai sensi degli articoli 110, 353 e 416-bis.1 c.p., Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 71. Riteneva il Tribunale dell'appello cautelare come dovesse essere condivisa la decisione del primo giudice che, pur ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dei cinque prevenuti con riferimento al reato di turbata liberta' degli incanti - per avere, con attivita' collusive, turbato la procedura competitiva di pubblico incanto per l'assegnazione di un lotto agricolo, indetta dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare della Banca Nazionale delle terre agricole, cosi' condizionando la scelta del contraente e garantendo l'aggiudicazione in favore di tal (OMISSIS) - aveva escluso la ricorrenza dei gravi indizi in relazione all'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e si era dichiarato incompetenti per territorio, tenuto conto che il reato, non potendosi piu' considerare connesso ad altri delitti piu' gravi commessi a (OMISSIS), era stato consumato a Roma. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, il quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli articoli 416-bis e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' (primo e secondo punto dell'atto di impugnazione), per avere il Tribunale dell'appello ingiustificatamente escluso l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza della contestata circostanza aggravante speciale (per avere gli indagati commesso il fatto al fine di agevolare il clan mafioso (OMISSIS)- (OMISSIS), e, in particolare, per consentire a tale sodalizio di riaffermare il proprio prestigio criminale e la propria capacita' di governale i rapporti economici sul territorio, nonche' di consentire allo stesso sodalizio il controllo di ulteriori attivita' economiche), benche' dalle carte del procedimento fossero desumibili elementi di prova idonei a mettere in collegamento quella specifica iniziativa di turbata liberta' degli incanti, connessa al perseguimento anche di interessi personali, con l'operativita' dell'associazione di stampo mafioso, facente capo alle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS), in un'ottica solidaristica attiva soprattutto nel curare comuni interessi fondiari e nel contrastare le attivita' economiche di altri concorrenti imprenditori agricoli della zona. 2.2. Mancanza di motivazione, per avere il Tribunale di Potenza omesso di illustrare le possibili esigenze cautelari, la cui esistenza dovrebbe essere presunta per legge laddove dovesse essere ristabilita la sussistenza dell'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza sia inammissibile. 2. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro, non superano il vaglio preliminare di ammissibilita' perche' presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. E' pacifico nella giurisprudenza di legittimita' come il controllo dei provvedimenti di applicazione delle misure limitative della liberta' personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato, nonche' il valore sintomatico degli indizi medesimi. Controllo che non puo' comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e degli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all'attendibilita' delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. Questa Corte ha, dunque, il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (si veda, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976). Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano dato puntuale e logica contezza dell'assenza degli elementi indiziari cui collegare la sussistenza della circostanza aggravante speciale dell'aver agito al fine di agevolare l'associazione di stampo mafioso in argomento: avendo il Tribunale dell'appello convincentemente spiegato come, in un contesto indiziario che aveva permesso di accertare che (OMISSIS) aveva turbato, unitamente agli altri suddetti indagati, la procedura pubblica per l'assegnazione di un lotto agricolo (cosi' assegnato ad una prestanome con l'intesa che lo stesso fondo sarebbe stato poi a lui affidato per la realizzazione di un impianto fotovoltaico), i dati di conoscenza avessero - allo stato - consentito di appurare che si era trattata di una iniziativa del tutto personale del prevenuto, interessatola, ad utilizzare i relativi guadagni per l'acquisto della casa familiare, senza alcun coinvolgimentdi affiliati alla organizzazione di stampo mafioso di cui lo stesso (OMISSIS) era stato ritenuto gravemente indiziato di essere partecipe, e senza alcun collegamento con interessi economici di altri sodali facenti parte di quel gruppo criminale. Da tanto il Collegio del riesame ha arguito, con un procedimento logico deduttivo nel quale non si e' ravvisabile alcun vizio di manifesta illogicita', come gli odierni indagati dovessero considerarsi, a livello indiziario, concorrenti nella commissione del reato "semplice" di cui all'articolo 353 c.p.; ma come tale evenienza, risultando quel delitto commesso a Roma e non connesso ad altri piu' gravi reati consumati nel distretto di Potenza, imponesse, allo stato, la declaratoria di incompetenza per territorio. In tal modo, lungi dal proporre un "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilita' tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, il ricorso e' stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" (come, peraltro, espressamente riconosciuto nel ricorso oggi in esame) oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione del materiale d'indagine rispetto al quale e' stata- proposta- un significati) alternativo rispetto a quello privilegiato dal Tribunale nell'ambito di un sistema motivazionale perspicuo e completo. Valutazione, questa, che vale soprattutto in considerazione del fatto che gli elementi indiziari sono stati desunti principalmente dal contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini: materiale rispetto al quale si pone un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che e' questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se - come nella fattispecie e' accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate. 3. La riconosciuta manifesta infondatezza dei primi due motivi assorbe l'esame del terzo motivo, relativo alle esigenze di cautela. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILI Andrea - Presidente Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MACRI Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) s.r.l.; avverso l'ordinanza del 23/06/2022 del Tribunale di Brindisi; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale BIRRITTERI Luigi, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 23 giugno 2022, il Tribunale di Brindisi ha confermato l'ordinanza emessa in data 5 gennaio 2022 con la quale il giudice dell'esecuzione aveva rigettato l'istanza avanzata nell'interesse della (OMISSIS) s.r.l., diretta ad ottenere la revoca della confisca di un impianto fotovoltaico disposta nell'ambito di un processo penale definito con sentenza irrevocabile n. 363 del 11 settembre 2019. 2. Avverso l'ordinanza, (OMISSIS), nella qualita' di amministratore della suddetta societa', ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), sul rilievo la confisca sarebbe avvenuta in assenza di partecipazione al giudizio da parte della societa'. La prospettazione difensiva muove dalla considerazione che, ne' a carico della (OMISSIS) s.r.l., ne' a carico del suo amministratore all'epoca del processo, ovvero (OMISSIS), sia mai stata elevata l'imputazione attinente al reato di lottizzazione abusiva, unico idoneo, nel caso di specie, a consentire anche la confisca dell'impianto fotovoltaico di proprieta' della societa' ricorrente. Le argomentazioni utilizzate dal Tribunale, al fine di considerare non dirimente la suddetta questione sollevata dal ricorrente, costituiscono, a parere della difesa, una mera riproposizione acritica delle argomentazioni utilizzate nella prima ordinanza del giudice dell'esecuzione. Il provvedimento si sarebbe altresi' contraddetto, affermando che, all'epoca dei fatti di cui alla contestazione, (OMISSIS) fosse amministratore unico, quando invece, risulta per tabulas, alla luce della sentenza definitiva n. 363 del 2019, che legale rappresentante fosse pera (OMISSIS) e non (OMISSIS), che lo era stato all'epoca della costituzione della societa'. La scelta argomentativa operata dal Tribunale non sarebbe stata quella di negare la mancata contestazione del reato al (OMISSIS) o di affermare che lo stesso (OMISSIS) abbia potuto rappresentare e difendere la societa' anche nel reato di lottizzazione abusiva, ma di sostenere, erroneamente, che il legale rappresentante, in altro momento storico, fosse altro soggetto che invece avrebbe potuto difendersi. Alla luce di tali considerazioni, la giurisprudenza indicata nell'ordinanza gravata non sarebbe applicabile, poiche' attinente al caso di amministratori di societa' che abbiano effettivamente partecipato al processo. 2.2. Con una seconda doglianza, si censurano la violazione dell'articolo 240 c.p. e dell'articolo 7 CEDU e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. L'ordinanza si limiterebbe a riproporre acriticamente quanto affermato inizialmente dal giudice dell'esecuzione senza confrontarsi con le argomentazioni della difesa. Il ricorrente rileva come la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nella sentenza GIEM e altri c. Italia" non costituisca un mero monito al legislatore nazionale, il quale, avendo ignorando totalmente tale pronuncia, avrebbe fatto sorgere in capo ai giudici nazionali un onere di supplenza interpretativa, quanto alla partecipazione del terzo al processo penale. Il provvedimento oggetto di gravame esprimerebbe altresi' la sua illogicita' nella parte in cui richiama, in tema di riconoscimento della qualifica di terzo estraneo della (OMISSIS) s.r.l., un acquisto in buona fede - quando nessuno ha mai parlato di vendita, ma solo di estraneita' al processo penale - rendendo cosi' una motivazione estranea al thema decidendum e alla realta' dei fatti. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' inammissibile. 4. Occorre richiamare, il costante orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 34684 del 14/09/2021, Rv. 282086; Sez. 1, n. 8361 del 10/01/2014, Rv. 259174; Sez. 6, n. 46429 del 17/09/2009, Rv. 245440 Sez. 6, n. 11796 del 04/03/2010, Rv. 246485, Sez. 6, n. 13798 del 20/01/2011, Rv. 249873), secondo cui, per i soggetti portatori di interessi civilistici, trova applicazione la regola dell'articolo 100 c.p.p., la quale prevede espressamente che la parte civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale. La posizione processuale del terzo interessato, infatti, e' nettamente distinta, sotto il profilo difensivo, da quella dell'indagato e dell'imputato, i quali, in quanto assoggettati all'azione penale, possono stare in giudizio in persona, avendo solo necessita' di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege ed e' titolare di un diritto di impugnazione nell'interesse del proprio assistito per il solo fatto di rivestire la qualita' di difensore, senza alcuna necessita' di procura speciale, che e' imposta solo per i casi di atti cal. "personalissimi". Non rileva che l'articolo 100 c.p.p. non preveda espressamente, tra le categorie di soggetti ivi indicati, anche il terzo interessato che faccia valere il proprio diritto in sede esecutiva, proponendo istanza ai sensi del 666 c.p.p., risultando quest'ultima posizione processuale, in ragione del carattere meramente civilistico degli interessi che ne giustificano la partecipazione al relativo procedimento, pienamente equiparata a quelle espressamente menzionate, non in termini di tassativita', dalla norma in esame (Sez. 6, n. 3727 del 39/09/2015). Sarebbe del tutto illogico che il terzo, il quale puo' stare in giudizio nella fase procedimentale solo per il tramite di un procuratore speciale, nella fase esecutiva, la quale e' la naturale prosecuzione del processo una volta che la sentenza sia divenuta irrevocabile, possa agire personalmente. 5. Ne' una tale conclusione e' scalfita dal principio secondo cui, in tema di procedimento di esecuzione, il difensore dell'interessato e' legittimato, iure proprio, a proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che definisce il giudizio, senza necessita' che, a tal fine, sia munito di procura speciale, in quanto, ai sensi dell'articolo 666 c.p.p., comma 6, rientrante tra i soggetti, cui e' notificata detta ordinanza, che possono proporre ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 27918 del 04/04/2019, Rv. 276353). Invero, il difensore del terzo estraneo e' legittimato ad impugnare iure proprio l'ordinanza di rigetto dell'incidente di esecuzione solo se, in suo favore, sia stata previamente rilasciata dal soggetto terzo, che difende e rappresenta, la procura speciale per la proposizione dell'incidente di esecuzione: il che, come detto, nel caso di specie non e' avvenuto. 6. Nella vicenda in esame, si rileva che al difensore, il quale ha redatto e presentato l'incidente di esecuzione ex articolo 676 c.p.p., non e' stata rilasciata procura speciale. Agli atti risulta esservi solamente "l'atto di nomina del difensore" con il quale (OMISSIS), in qualita' di amministratore della societa', dichiara di nominare l'avv. (OMISSIS) quale difensore ai fini del procedimento di esecuzione ex articolo 665 ss. c.p.p.. Si tratta, in coerenza con l'intitolazione dell'atto, di una mera nomina di difensore di fiducia e non anche di una procura speciale, la cui mancanza, essendo causa di inammissibilita' dell'atto introduttivo, e' rilevabile in questa sede di legittimita'. 7. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/12/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ESPOSITO ALDO; udito il PG Dott.ssa COSTANTINI FRANCESCA che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di LATINA in difesa della p.c. (OMISSIS) il quale chiede il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di LATINA in difesa delle p.c. (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), che chiede l'inammissibilita' e, in subordine, il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa della (OMISSIS) ONLUS, che chiede il rigetto del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa dell'imputato che chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina del 15 maggio 2018, con cui (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui all'articolo 589 c.p., comma 1, e articolo 41 c.p., perche', in qualita' di committente dei lavori ed amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., per colpa generica nell'espletare le incombenze connesse alle proprie funzioni, e in violazione di quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 9, lettera a), in concorso con (OMISSIS) (condannato dal Tribunale non ricorrente), nella qualita' di datore di lavoro della (OMISSIS) s.r.l., non provvedevano: - il primo a verificare l'idoneita' tecnico professionale dell'impresa esecutrice dei lavori in relazione alle funzioni e ai lavori da eseguirsi consistiti nel montaggio dei pannelli fotovoltaici sulla copertura del capannone, non dimostrando di aver stipulato con la ditta esecutrice dei lavori un contratto di appalto specifico e dettagliato sui lavori predetti da eseguirsi, consentendo di fatto l'effettuazione dei lavori sul tetto del capannone di proprieta' senza le preliminari verifiche in capo al committente dei lavori; - il secondo consentiva ai propri lavoratori di svolgere lavori di preparazione di posa dei pannelli fotovoltaici consistiti nella messa in opera di una struttura metallica su cui installare i pannelli, omettendo di redigere apposito piano operativo di sicurezza sui rischi inerenti l'installazione dei pannelli fotovoltaici sul tetto di copertura ed in particolare omettendo di valutare la sostenibilita' e la resistenza della copertura al peso degli operai, in tal modo determinando una serie di antecedenti causali necessari dell'infortunio mortale occorso ad (OMISSIS), il quale, mentre si trovava sul tetto per posizionare e fissare la struttura metallica per ospitare i pannelli fotovoltaici a causa del cedimento delle coperture rovinava a terra da un'altezza di circa dieci metri, infortunio che cagionava all' (OMISSIS) la morte per "acuta insufficienza cardio-circolatoria conseguente a grave politraumatismo a maggiore estrinsecazione cranio-encefalico e toracico". 2. Il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'articolo 603 c.p., comma 1, articoli 190 e 190 bis c.p.. Si deduce che la Corte territoriale erroneamente non ha disposto un accertamento tecnico volto ad accertare la corrispondenza del lotto (OMISSIS) riportato al catasto e l'acquisizione delle visure catastali dei capannoni situati sui lotti (OMISSIS). Si trattava di prove finalizzate a dimostrare che il capannone ubicato sul lotto (OMISSIS), oggetto del contratto di appalto tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., corrispondeva al capannone di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l. dove si era verificato l'evento mortale. La (OMISSIS) s.r.l., pur essendosi impropriamente dichiarata proprietaria dei capannoni nel contratto di appalto, non era proprietaria di alcun capannone: ne' di quello insistente sul lotto n. (OMISSIS) ne' di quelli insistenti sui lotti nn. (OMISSIS). La (OMISSIS) s.r.l., tuttavia, aveva in uso il capannone di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l. e in veste di usuaria stipulava il contratto di appalto. Si trattava di un mezzo di prova a discarico sicuramente attinente ad un tema rilevante per la decisione. La rinnovazione atteneva al diritto alla prova e al diritto alla controprova. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilita' dell'imputato. Si osserva che il committente aveva posto l'appaltatore in condizione di comprendere le criticita' e le problematicita' connesse al luogo ed all'ambiente in cui la lavorazione doveva svolgersi, per cui l'omessa predisposizione di cautele imposte dalle specifiche caratteristiche della lavorazione e il mancato rispetto delle regole di sicurezza gia' esistenti ricadevano integralmente sull'appaltatore. Il (OMISSIS) non era committente dei lavori eseguiti dalla (OMISSIS) s.r.l.. Lo specifico piano di sicurezza previsto dal contratto di appalto tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. descriveva specificamente le condizioni dell'ambiente in cui dovevano svolgersi i lavori e le condizioni di fragilita' del tetto. Nella sentenza impugnata si e' erroneamente sostenuto che il contratto di appalto richiamato dalla difesa in realta' concernesse un altro capannone. In realta', l'atto di compravendita del 6 agosto 2010 l'immobile in questione, acquistato dalla (OMISSIS) s.r.l., conteneva l'indicazione della particella catastale ((OMISSIS)) e dell'insistenza del capannone acquistato sul lotto n. (OMISSIS) del piano di lottizzazione dell'agglomerato di (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS). Da tale atto emergeva proprio la non corrispondenza tra la superficie individuata dalla particella catastale ((OMISSIS)), appartenente ad un foglio di mappa del catasto di un determinato territorio comunale e il lotto ((OMISSIS)), appartenente ad un piano urbanistico di lottizzazione di aree comunali, dal quale la sentenza impugnata incomprensibilmente desumeva che il capannone della (OMISSIS) s.r.l. non fosse situato sul lotto n. (OMISSIS). Nella sentenza impugnata si e' affermato che l'incidente era avvenuto sul lotto (OMISSIS), in contraddizione con quanto riportato nella sentenza di primo grado; si e' poi sostenuto che sul lotto (OMISSIS) esistessero piu' capannoni, circostanza indimostrata e contraddetta dalla normativa urbanistica, secondo cui su un unico lotto urbanistico non puo' insistere piu' di un fabbricato. La (OMISSIS) s.r.l. non aveva la proprieta' di alcun capannone, neanche di quello insistente sui lotti (OMISSIS), costituente oggetto di un altro appalto. Anche in tal caso la societa' committente aveva indicato che il capannone fosse di sua proprieta', mentre - come per il lotto (OMISSIS) - si trattava di bene solo nella sua disponibilita'. La (OMISSIS) s.r.l. aveva conseguito la disponibilita' di fatto del capannone della (OMISSIS) s.r.l., in virtu' di un rapporto giuridico che non necessitava di forma scritta ad substantiam, riconducibile alle figure della locazione, del comodato o del mandato. La Corte bolognese, contraddittoriamente, da un lato ha desunto dalla mancanza di un rapporto formalizzato l'assenza di un titolo contrattuale - che era stato certamente costituito ed instaurato in via di fatto - e, dall'altro, ha affermato che tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. fosse stato stipulato un contratto di appalto di fatto. Peraltro, il presunto rapporto contrattuale tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. sarebbe dovuto risultare da pagamenti e fatture reciproci, mentre le due societa' erano prive di documentazione contabile al riguardo. I lavori erano stati commissionati dalla (OMISSIS) s.r.l. e non dalla (OMISSIS) s.r.l., come emergeva dai seguenti elementi: A) il POS redatto dalla (OMISSIS) s.r.l. con riferimento al contratto di appalto del 14 febbraio 2011 specificava che i due capannoni avevano diverse tipologie di coperture: in particolare, il capannone ubicato sui lotti (OMISSIS) aveva una copertura del tipo a doppia pendenza, con travi di cemento armato, ed erano presenti quattro file di lucernai; il capannone sul lotto (OMISSIS) aveva una struttura con travi ad Y, sulla quale erano disposte lastre di fibrocemento, caratteristiche coincidenti perfettamente con la descrizione della copertura dove si era verificato l'infortunio. B) I consulenti tecnici di parte civile Dott. (OMISSIS) e dell'imputato ing. (OMISSIS) riferivano che, in base alla documentazione visionata, la (OMISSIS) s.r.l. aveva commissionato alla (OMISSIS) s.r.l. la posa in opera e l'installazione di pannelli fotovoltaici su due diversi capannoni. C) Il teste (OMISSIS), dipendente della ditta esecutrice dei lavori, riferiva che il giorno dell'infortunio si era recato sul cantiere unitamente all' (OMISSIS), per iniziare i lavori di montaggio di un impianto fotovoltaico su un capannone della (OMISSIS), aggiungendo che la (OMISSIS) s.r.l. aveva svolto un analogo lavoro su un altro capannone sempre della (OMISSIS). D) La parte civile (OMISSIS) riferiva che, il giorno dell'infortunio, il marito doveva iniziare un lavoro su un nuovo capannone e che nelle settimane precedenti aveva svolto il medesimo lavoro su un capannone situato nella stessa zona e sottolineava che, il giorno prima dell'infortunio, il marito, unitamente a (OMISSIS) (geometra della (OMISSIS) s.r.l.), si era recato presso il cantiere per verificare le caratteristiche della copertura. La Corte territoriale, peraltro, ha illegittimamente disconosciuto il valore probatorio della nota di credito del 24 aprile 2012 emessa dalla (OMISSIS) s.r.l. in favore della (OMISSIS) s.r.l., pure acquisita in sede di rinnovazione parziale del dibattimento. Tale nota di credito riguardava il contratto di appalto, concernente anche lavori nel capannone dove si era svolto l'incidente, e soprattutto che gli stessi erano stati effettuati dalla (OMISSIS) s.r.l. per conto della (OMISSIS) s.r.l.. La nota di credito dimostrava che la (OMISSIS) aveva riconosciuto la correttezza del mancato pagamento della (OMISSIS) s.r.l. "giusta causa infortunio avvenuto" a conferma che tale ultima societa' aveva commissionato l'appalto dei lavori nel capannone. Si trattava di un documento avente valore probatorio, registrato nelle scritture societarie, emesso solo un anno dopo i fatti, stanti i rapporti conflittuali instauratisi tra le due societa' a causa dell'infortunio. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 62 bis e 133 c.p.. Si rileva, in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, che il profilo di colpa antinfortunistica riguardava l'organizzazione dell'appaltatore e non il (OMISSIS), al quale era attribuita una forma di cooperazione colposa per non aver adeguatamente vigilato sull'attivita' altrui. Ne' appariva corretta l'affermazione dell'intrinseca pericolosita' dell'ambiente di lavoro poiche' non direttamente riferibile alle conseguenze dell'omissione imputabile al ricorrente. 3. Con memoria del 3 gennaio 2023, la parte civile (OMISSIS) chiede il rigetto del ricorso dell'imputato e la condanna del medesimo al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese e degli onorari del difensore. Si osserva che la richiesta dell'imputato di rinnovazione dell'istruttoria risultava manifestamente superflua in quanto ampiamente confutata nella sentenza impugnata. Infatti, dalla visura catastale e dal foglio di mappa relativi alla "Domanda di connessione per impianti di produzione" depositata da (OMISSIS), amministratrice della (OMISSIS) s.r.l., si evinceva il posizionamento dell'impianto di produzione oggetto del contratto di appalto in atti sulla particella n. (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS). Il capannone di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l., con legale rappresentante (OMISSIS), all'interno del quale si era verificato l'infortunio mortale, insisteva sulle particelle n. (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS); invece il capannone oggetto del contratto di appalto in atti e di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l. insisteva non sulla particella n. (OMISSIS). In ordine alle censure tendenti a confutare la qualita' di committente del (OMISSIS) per mancanza di un contratto di appalto in forma scritta, doveva evidenziarsi che, per attribuire tale qualifica, rileva non la definizione formale dei rapporti tra le parti, bensi' la situazione sostanziale. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilita' della posizione di garanzia, il quale prevede la permanenza a carico del committente di obblighi di vigilanza e di intervento sostitutivo. Alla luce delle dichiarazioni dei lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e della P.G. intervenuta (mar. (OMISSIS) ed operante (OMISSIS)), circa la qualita' di committente che aveva effettuato le assunzioni ed i plurimi profili di responsabilita' a suo carico, non era consentita una diversa rilettura dell'impianto probatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Coi primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, la difesa deduce che la (OMISSIS) s.r.l., amministrata da (OMISSIS), non aveva commissionato i lavori nel corso dei quali era avvenuto l'incidente letale; al contrario, la societa' committente, utilizzatrice del capannone luogo del sinistro, era la (OMISSIS) s.r.l.. 2.1. La Corte di appello ha fornito una spiegazione completa ed esauriente su tutti i rilievi difensivi inerenti al contenuto dei contratti, alla proprieta' dei capannoni all'indicazione o meno dei dati catastali ed alla nota di credito, sulla base degli elementi probatori emergenti dalle dichiarazioni del teste di P.G. e, soprattutto, dalle indicazioni dei testi lavoratori. La Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha rilevato quanto segue: A) La (OMISSIS) s.r.l. aveva acquistato con atto pubblico del 6 agosto 2010, contenente le indicazioni dei dati catastali e dell'insistenza dell'immobile sul lotto n. (OMISSIS) del piano di lottizzazione dell'agglomerato di (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS). B) Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la (OMISSIS) s.r.l. non aveva la disponibilita' materiale e giuridica dell'immobile; tale societa' pattuiva la realizzazione di un impianto fotovoltaico sulla copertura di capannoni di sua proprieta', indicando genericamente l'ubicazione nella zona industriale del Comune di (OMISSIS) e non gli immobili tramite i dati catastali. Solo nelle tavole di progetto si specificava che il montaggio riguardava due capannoni, uno sui lotti nn. (OMISSIS) e l'altro sul lotto n. (OMISSIS). C) Era inattendibile la tesi difensiva - contrastante col dato documentale - secondo cui l'attribuzione della proprieta' nel contratto costituiva una mera improprieta' terminologica, in quanto tale spiegazione era incompatibile con un contratto di appalto del valore di Euro 1.560.000, regolamentato analiticamente e con dettagliata documentazione allegata. Lo stesso (OMISSIS) non aveva dedotto che la (OMISSIS) s.r.l. fosse utilizzatrice del capannone e che ne avesse la disponibilita' materiale e giuridica, per cui tale affermazione era priva di riscontro; il (OMISSIS), inoltre, non indicava da quali circostanze potesse desumersi la dedotta qualita' di utilizzatrice dell'immobile di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l. da parte della (OMISSIS) s.r.l., per cui quest'ultima non aveva titolo per disporre del capannone industriale, in cui si era verificato l'infortunio mortale, e, quindi, per commissionare lavori. D) La mancanza di corrispondenza tra la superficie individuata da una particella catastale appartenente ad un foglio di mappa del catasto di un determinato territorio comunale ed un lotto appartenente ad un piano urbanistico di lottizzazione di aree comunali costituiva dato di comune conoscenza. Ne derivava che non potessero coincidere la particella n. (OMISSIS) del catasto fabbricati (che individuava il capannone industriale di proprieta' della (OMISSIS) s.r.l., acquistato il 6 agosto 2010) e il lotto n. (OMISSIS) del piano di lottizzazione, sul quale insisteva uno dei due immobili oggetto del contratto di appalto tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. (contratto pero' non contenente la precisa individuazione dell'edificio con le coordinate catastali). La presenza di altri tre capannoni industriali nelle vicinanze del capannone in cui si era verificato l'infortunio era incontroversa, per cui poteva agevolmente sostenersi che sul lotto n. (OMISSIS) insistessero piu' capannoni. Inoltre, tra la documentazione acquisita dagli ispettori della A.S.L. vi era la "Domanda di Connessione per Impianti di Produzione", presentata da (OMISSIS) in qualita' di amministratore della (OMISSIS) s.r.l., nella quale si leggeva che l'impianto di produzione si trova in Zona Industriale (OMISSIS), insistente sulla particella n. (OMISSIS). E) Il (OMISSIS) aveva la disponibilita' materiale ed effettiva dell'immobile, come dimostrato dalla circostanza dell'assunzione del lavoratore (OMISSIS), che, seppur dipendente di altra societa', lo riconosceva come suo datore di lavoro, riferendo di essere stato assunto da lui. (OMISSIS) doveva essere dipendente della (OMISSIS) s.r.l., unica societa' esistente all'epoca della sua assunzione. Ripetutamente i testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) menzionavano la (OMISSIS) s.r.l., senza precisare quale delle due societa' si trattasse. Quindi, i predetti prestavano attivita' lavorativa all'interno del capannone della (OMISSIS) s.r.l., sulla cui copertura gli operai della (OMISSIS) s.r.l. stavano iniziando i lavori di montaggio dei pannelli fotovoltaici commissionati dalla ditta proprietaria del capannone. Il giorno dell'infortunio, il (OMISSIS) era presente sul posto ed era stato individuato dai carabinieri come il titolare dell'azienda che li aveva accompagnati sul luogo del fatto. F) Non era necessario disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, non essendo emersa la prova che la (OMISSIS) s.r.l. ne avesse la disponibilita' materiale e giuridica, come dedotto dal (OMISSIS). G) Non poteva essere attribuito rilievo alla nota di credito del 24 aprile 2012 della (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., riportante la dicitura "Si emette nota di credito per lavori non piu' effettuati. Rif. Fatt. 25/11 del 1/04/2011. Vs contratto del 14.02.11 per giusta causa infortunio sul lavoro", trattandosi di documento emesso un anno dopo i fatti e privo di valore probatorio provenendo da soggetto privato. Inoltre, la nota non era stata prodotta nel corso del procedimento di primo grado ne' il (OMISSIS) aveva spiegato le ragioni per le quali non ne aveva ottenuto la disponibilita' in precedenza. H) Il (OMISSIS), pertanto, in qualita' di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., proprietaria del capannone dove si era verificato l'infortunio, rivestiva la qualita' di committente dei lavori di installazione dei pannelli fotovoltaici. 2.2. Al riguardo, in risposta alle censure difensive va rilevato quanto segue: 1) Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, su un lotto possono insistere piu' fabbricati. L'elemento da valutare per stabilire limiti alla possibilita' di costruire, di regola, e' costituito dall'indice fondiario, che determina il massimo volume fabbricabile (espresso in m3) data l'area della superficie fondiaria a disposizione (espressa in m2). 2) Il (OMISSIS) non ha chiarito le ragioni del suo interessamento all'atto dell'arrivo dei carabinieri sul posto di lavoro e le ragioni per le quali si era sostanzialmente presentato come datore di lavoro e a quale titolo egli avesse accesso nel luogo preciso dell'infortunio. 3) Contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, la Corte territoriale non ne ha contestato il valore di prova civilistica, ma, con congrua ed adeguata motivazione, ha indicato plurimi elementi di sospetto in ordine all'attendibilita' di tale documento. 4) La difesa non ha illustrato compiutamente le ragioni per disporre l'accertamento tecnico richiesto, occorrendo sul punto fornire quanto meno un principio di prova e spiegare le ragioni dell'insufficienza della documentazione in atti. Ebbene, lo svolgimento del procedimento secondo le forme del giudizio abbreviato non preclude la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Il (OMISSIS), tuttavia, non si era attivato nei gradi precedenti per fornire la documentazione indicata a sostegno delle proprie tesi (mappe catastali, planimetrie complete e rilievi aerofotogrammetrici dell'area interessata, ecc.). Egli, peraltro, in qualita' di procuratore speciale della (OMISSIS) s.r.l., avrebbe potuto agevolmente procurarsi la documentazione che, a suo dire, dimostrava il proprio assunto. Nel rigettare la richiesta di rinnovazione istruttoria, pertanto, la Corte territoriale si e' conformata ai principi giurisprudenziali in materia. Al riguardo, va ricordato che, in base all'insegnamento di questa Corte, l'articolo 603 c.p.p., commi 1 e 3, stabilisce che la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in grado di appello ha luogo quando il giudice e' impossibilitato a decidere allo stato degli atti e ritiene assolutamente necessaria la prova richiesta; tale previsione, interpretata alla luce dell'articolo 111 Cost., consente al giudice - nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto - di ammettere la prova richiesta che venga ritenuta decisiva ed indispensabile, ossia che possa apportare un contributo considerevole ed utile al processo, risolvendo i dubbi o prospettando una soluzione differente (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820). In tema, infatti, opera pacificamente il principio della presunzione di completezza dell'istruttoria in primo grado. La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello deve, pertanto, ritenersi una evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessita' conseguente all'insufficienza degli elementi istruttori gia' acquisiti, che impone l'assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall'articolo 468 c.p.p. (Sez. 2, n. 41808, del 02/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968). Si e', altresi', chiarito che con il ricorso per Cassazione puo' essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Cozzetto, Rv. 258236). Per tale ragione, la giurisprudenza di legittimita' ritiene, con orientamento consolidato, che mentre la decisione di procedere alla rinnovazione deve essere motivata in termini specifici, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, derivante dall'acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione puo' essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta alla base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione sulla responsabilita' dell'imputato, con la conseguente mancanza di necessita' di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina, Rv. 245009; Sez. 6, n. 5782 del 15/12/2006, dep. 2007, Gagliano, Rv. 236064). Pertanto, in sede di legittimita', la violazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, puo' essere dedotta in modo corretto soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione, lacune, manifeste illogicita' o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Giampa', Rv. 271163). 3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si censurano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'entita' eccessiva della pena inflitta, e' manifestamente infondato. 3.1. Va premesso che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione, come avvenuto nella fattispecie, avendo il giudice segnalato la gravita' della condotta criminosa e i numerosi precedenti penali dell'imputato, indicativi di spiccata capacita' a delinquere (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell'11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691). 3.2. La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278). Il giudice del merito esercita la discrezionalita' che la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o piu') dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754). Quando la pena e' irrogata in misura prossima al minimo edittale, in relazione ad essa non e' necessaria un'argomentazione piu' dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). Il sindacato di legittimita' sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. 3.3. Nel rispetto dei suesposti principi giurisprudenziali, la Corte di merito ha condiviso la valutazione del Tribunale, che aveva stigmatizzato l'indifferenza degli imputati per l'incolumita' dei lavoratori presenti nel cantiere che svolgevano lavori speciali in quota su un solaio precario e all'altezza di oltre dieci metri e che erano esposti ad una situazione di pericolo, facilmente evitabile impedendo ai lavoratori di salire sul tetto prima di adottare opere di rafforzamento. Nella sentenza impugnata si e' precisato che l'elevato grado di colpa addebitabile al (OMISSIS), l'omessa considerazione dell'intrinseca pericolosita' dell'ambiente di lavoro e l'omessa verifica delle condizioni di staticita' della copertura su cui si andava ad operare con conseguente rischio di cedimento della stessa, oltre a fondare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificava il lieve discostamento della pena dal minimo edittale. Il ricorrente reitera le medesime censure gia' illustrate nell'atto di appello, alle quali l'organo giudicante ha fornito una risposta adeguata ed immune da censure e, in ogni caso, gli aspetti a se' favorevoli sono stati legittimamente ritenuti di minore rilievo. Ne' appare obbligatorio che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. 4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (articolo 616 c.p.p.). Il ricorrente va condannato altresi' al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese in favore delle parti civili (OMISSIS) ONLUS, assistita dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), assistiti dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 4.800,00 oltre accessori come per legge, (OMISSIS), assistita dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese in favore delle parti civili (OMISSIS) ONLUS, assistita dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), assistiti dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 4.800,00 oltre accessori come per legge, (OMISSIS), assistita dall'avv. (OMISSIS), liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. CANANZI Francesc - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/01/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CANANZI FRANCESCO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIORDANO LUIGI che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), che ha illustrato i motivi di ricorso e ha insistito per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, con sentenza emessa il 21 gennaio 2022, riformava, solo quanto alla riduzione delle pene accessorie fallimentari, la decisione del G.u.p. del Tribunale capitolino che in sede di giudizio abbreviato aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS) e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti del danno di particolare gravita' e della pluralita' di fatti di bancarotta, lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione, con sospensione condizionale. (OMISSIS), amministratore unico dal 16.7.2009 al 2.6.2012 della societa' (OMISSIS) S.p.A. dichiarata fallita dal Tribunale di Roma in data (OMISSIS), e' stato ritenuto responsabile in ordine ai seguenti capi di imputazione: a) bancarotta fraudolenta impropria per aver cagionato con dolo e per effetto di operazioni dolose il fallimento della societa', attraverso due operazioni, avvenute la prima in data 6 luglio 2011, con la stipula di contratto di affitto di ramo d'azienda, per il quale si obbligava a corrispondere a titolo di canone annuale la somma di Euro 180.000,00 oltre IVA a (OMISSIS) S.p.a., societa' in liquidazione e che versava all'epoca in conclamato stato di decozione tanto che veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Vicenza il successivo 17 ottobre 2011; la seconda operazione interveniva quattro mesi dopo, il 16 novembre 2011, e consisteva nell'acquisto dell'impianto fotovoltaico installato sul suddetto sito produttivo da parte della (OMISSIS) S.r.l., societa' comunque riconducibile alla proprieta' della (OMISSIS) in liquidazione, al prezzo di Euro 2.615.627,69 oltre IVA, che veniva corrisposto mediante l'accollo del mutuo chirografario dell'importo originario di Euro 3.477.360,00 concesso dalla la (OMISSIS), da rimborsare entro il 31.12.2022 attraverso n. 153 rate mensili, di importo variabile tra gli Euro 25.500,00 ed Euro 27.000,00, i cui ricavi (crediti da energia elettrica) pero' venivano ceduti dalla (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione all'ente bancario. Tali operazioni venivano valutate gravemente antieconomiche e determinanti il dissesto della societa', in quanto la (OMISSIS) subiva poi il sequestro dell'impianto fotovoltaico da parte dell'autorita' giudiziaria di Vicenza, nonche' un'azione revocatoria da parte della curatela della medesima (OMISSIS); b) bancarotta fraudolenta per distrazione consistente in prelievi ingiustificati dalle casse sociali quali "restituzioni finanziamento socio", prelievi bancari allo sportello, oltre che attraverso l'utilizzo di carta di credito per spese personali, per un importo complessivo pari ad Euro 307.139,54, nell'arco temporale dal 11 novembre 2011 al 28 giugno 2012, in prossimita' del fallimento e allorquando la societa' versava in stato di conclamato dissesto; c) ulteriori operazioni dolose cagionanti il fallimento, consistenti nella sistematica omissione di versamenti fiscali e contributivi, sottraendosi sin dall'inizio dell'attivita' sociale al pagamento delle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto per complessivi Euro 496.711,71 e procurandosi cosi' di fatto un'artificiosa competitivita' di mercato; d) bancarotta fraudolenta documentale, per omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie, quali il libro soci, libro inventari, bilanci per gli anni 2011, 2012, 2013, nonche' conti mastro e schede contabili per il periodo 2012-2013, allo scopo di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, rendendo cosi' impossibile la ricostruzione del patrimonio. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo motivo deduce violazione degli articoli 121, 438, 442 c.p.p. e vizio di motivazione, in relazione alla mancata acquisizione di una memoria difensiva. La Corte di appello avrebbe errato, sia nel non censurare la mancata acquisizione della consulenza di parte, oggetto della richiesta di rito abbreviato condizionato rigettata dal Gup, suscettibile di acquisizione anche nella fase precedente l'ammissione del rito speciale; sia anche per non aver acquisito l'elaborato nel corso del giudizio di appello. Per altro, avendo la Corte di appello disatteso la doglianza con una motivazione contraddittoria, affermando astrattamente la possibilita' di acquisire la memoria âEuroËœse contenente argomentazioni di carattere tecnico sul significato probatorio di dati processuali presenti in atti', non provvedendovi poi, pur risultando la stessa rispondente a tali caratteristiche. 4. Il secondo motivo deduce violazione degli articoli 125 e 192 c.p.p. L.Fall., articolo 216, comma, 223, commi 1 e 2, n. 2, L.Fall., articolo 217, nonche' vizio di motivazione, in ordine alla omessa riqualificazione delle condotte in bancarotta semplice. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia dato conto della prova del dolo, offrendo una motivazione che configura al piu' la colpa cosciente, dalla quale deriverebbe la richiesta riqualificazione. Quanto alle due operazioni di acquisizione cagionanti il fallimento, la Corte di appello non avrebbe motivato in ordine al dolo eventuale, in ossequio ai criteri richiesti dalla giurisprudenza di legittimita', nonche' in ordine al palese rischio di revoca delle predette operazioni, a seguito del fallimento della cedente (OMISSIS), non prevedibile ex ante, non valutando altresi' l'assenza di esperienza imprenditoriale dell'imputato, la durata limitata della attivita' quale amministratore, l'assenza di altri operazioni rischiose, il fine di incremento dei ricavi con l'impianto fotovoltaico, il danno procurato allo stesso imputato. Quanto alle condotte di presunti prelievi ingiustificati e all'omissione dei versamenti fiscali, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in conto, in violazione di legge, che l'omesso versamento non aveva determinato il depauperamento, in quanto forma di finanziamento dell'attivita' sociale, qualora non si fosse verificata l'imprevedibile difficolta' conseguente al sequestro dell'autorita' giudiziaria vicentina, avendo 1Santich per altro restituito circa 80mila Euro a fronte di prelievi per 43mila Euro, rinunciando al compenso a lui spettante, quale amministratore, di circa 50mila Euro per l'attivita' svolta da gennaio a giugno del 2012. Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale, la Corte non avrebbe valutato come non siano imputabili al ricorrente le condotte successive alla dismissione della carica di amministratore, ne' avrebbe dato conto del dolo specifico e generico richiesto per le due condotte di bancarotta documentale contestate, dal che avrebbe dovuto conseguire la riqualificazione in bancarotta documentale semplice. 5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge n. 127 del 2020, articolo 23 comma 8, - ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in quanto manifestamente infondato il primo motivo e versato in fatto il secondo. 6. Il ricorso e' stato trattato con l'intervento delle parti, a seguito di tempestiva richiesta del difensore del ricorrente, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94 come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, in relazione alle condotte contestate ai capi a) e d), infondato nel resto. 2. Quanto al primo motivo, corretta e' la valutazione della Corte di appello in relazione alla doglianza relativa all'omessa acquisizione da parte del Gup, in sede di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, della memoria contenente la stima delle emergenze contabili tratte dalle risultanze probatorie. L'imputato, dopo il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, accedeva al rito "puro". E bene, pacifico e' il principio per cui e' preclusa all'imputato - che dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato abbia optato per il rito abbreviato "secco" - la possibilita' di contestazione successiva della legittimita' del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria e' equiparata al mancato rinnovo "in limine litis", ai sensi dell'articolo 438 c.p.p., comma 6, della richiesta di accesso al rito subordinata all'assunzione di prove integrative (Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, Ruggiero, Rv. 278826 - 01; Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013, dep. 2014, Altamura, Rv. 260532 - 01; Sez. 3, n. 27183 del 05/06/2009, Fabbricini, Rv. 248477 - 01). Pertanto in fondato e' il primo profilo di doglianza. Quanto al secondo profilo, la censura riguarda l'omessa acquisizione della consulenza di parte quale memoria: la Corte di appello per un verso evidenzia che non era stata avanzata richiesta di rinnovazione istruttoria ex articolo 603 c.p.p., comma 3, con l'atto di appello, che censurava solo la decisione del Gup di rigetto dell'istanza di rito abbreviato condizionato. Premesso quanto in precedenza evidenziato sugli effetti dell'accesso al rito non condizionato, non e' censurabile la mancata acquisizione da parte della Corte di appello anche perche' in sintonia con il principio per il quale nel giudizio di appello, avverso la sentenza emessa all'esito del giudizio abbreviato non condizionato, l'assunzione di nuove prove e' possibile solo qualora queste non si riferiscano a circostanze di fatto anteriori al processo e conosciute dall'imputato, trattandosi altrimenti, di prove che avrebbero dovuto formare oggetto di una richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria da sottoporre al relativo vaglio di ammissibilita' (Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017, Crescenzo, Rv. 270474 - 01; conf. N. 49324 del 2016 Rv. 268363 - 01). Quanto alla richiesta di acquisizione dell'elaborato tecnico, richiesto solo in sede di conclusioni, la Corte con motivazione corretta e logica rigetta l'istanza: infatti, nel giudizio di appello, la consulenza tecnica non puo' essere introdotta ed acquisita come memoria ex articolo 121 c.p.p. (Sez. 2, n. 10968 del 18/12/2018, dep. 13/03/2019, Picchiottino, Rv. 275769 - 01, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione dei giudici di merito di non prendere in considerazione il contributo del consulente di parte, contenuto in una "memoria tecnica" allegata all'atto di appello, in assenza di richiesta di rinnovazione istruttoria). Ne' la motivazione e' illogica, come invece deduce il motivo, in quanto il riferimento alla "esposizione di argomentazioni di carattere tecnico sul significato probatorio di dati processuali gia' presenti in atti" non puo' intendersi come relativo a una consulenza tecnica, come esplicitamente invece qualifica la memoria la Corte territoriale, dato il carattere tecnico valutativo, aggiuntivo e non riepilogativo di elementi probatori, come emerge dallo stesso ricorso, in quanto âEuroËœstima' delle risultanze. Infine, non e' stata dedotta dal ricorrente la decisivita' della memoria. Per la denuncia dell'omessa valutazione di memorie difensive, pena la genericita' del motivo di impugnazione, va dedotta la decisivita' del contenuto della memoria per la ricostruzione del fatto (fra le altre, Sez. 5, Sentenza n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511, in motivazione, la Corte ha precisato che l'omessa valutazione di memorie difensive non costituisce causa di nullita' della decisione, ma puo' unicamente incidere sulla tenuta logico-giuridica della motivazione). Il motivo e' pertanto manifestamente infondato e per altro generico. 3. Quanto al secondo motivo, concentrato sul dolo delle condotte contestate, va osservato quanto segue. 3.1 In premessa va ricordato quanto alle operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento che, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimita', devono comportare un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, laddove la nozione di "operazione" postula una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non gia' direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi' da un fatto di maggiore complessita' strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita' di atti coordinati all'esito divisato. Quanto all'elemento psicologico: "esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volonta' della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'"operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilita' dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volonta' dell'evento fallimentare (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247313; Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rampino, Rv. 26220701; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Carrino G ed altri, Rv. 21261301). Inoltre si e' affermato che in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della societa', la condotta di reato e' configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilita' del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510 - 01). 3.2 Tanto premesso, rileva questa Corte come la sentenza impugnata renda conto in modo corretto e non manifestamente illogico delle ragioni per le quali fosse prevedibile per (OMISSIS) che dalle operazioni sub capo c), di omesso versamento di quanto dovuto in sede fiscale e previdenziale, potesse conseguisse il rischio del dissesto, non altrettanto deve rilevarsi in ordine alla congruita' della motivazione del dolo per la condotta contestata al capo a). 3.3 Quanto alle condotte di evasione fiscale e previdenziale sub capo c), che si ebbero fin dall'inizio della amministrazione di (OMISSIS), l'operazione dolosa ben puo' avere carattere omissivo e consistere nell'omesso versamento delle imposte dovute dalla societa'. La L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, configura una ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria che prevede il fallimento come danno di evento del reato nel quale, a differenza della bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, devono quindi sussistere il nesso eziologico fra la condotta dolosa e il fallimento (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Mora, Rv. 279071 - 01; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247314 - 01). Quanto alla condotta si tratta di reato a forma libera, integrato da condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri rispettivamente imposti ai soggetti indicati dalla legge, fra i quali l'amministratore: la fattispecie si realizza non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose ma anche quando esse abbiano aggravato la situazione di dissesto che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dalla L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della societa' non comportano una diminuzione algebrica dell'attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l'impresa). In sostanza, l'amministratore ha un obbligo di fedelta' nei confronti della societa', cosicche' ogni violazione di questo obbligo integra, sussistendone le altre condizioni, un'operazione dolosa ai sensi della L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, che puo', pertanto, consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa. La circostanza che la condotta si sostanzi in operazioni dolose evidenzia, come anticipato, come roperazione' sia termine semanticamente piu' ampio della âEuroËœazione', intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l'insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano (Sez. 5, n. 43562 del 11/06/2019, Vigna, Rv. 277125 - 01). A fronte di tale situazione la Corte territoriale in modo corretto rileva, in sintonia con l'orientamento consolidato di questa Corte, che le operazioni dolose di cui alla L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, ben possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della societa', da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia, Rv. 273337 - 01; conf. n. 12426 del 2014 Rv. 259997 - 01, n. 29586 del 2014 Rv. 260492 - 01, n. 47621 del 2014 Rv. 261684 - 01, n. 15281 del 2017 Rv. 270046 - 01; nello stesso senso Sez. 5,. n. 22765 del 18/02/2021, Rossin, n. m.). Pertanto, quanto al profilo oggettivo del delitto sub capo c), l'omesso adempimento dei debiti tributari e previdenziali per quasi 500mila Euro, avendo la Corte di merito evidenziato (sentenza, par. 4 pag. 7) come tali inadempienze abbiano contribuito, aggravandola, alla situazione di dissesto. 3.4 In ordine al profilo soggettivo, va previamente evidenziata la distinzione fra le "operazioni dolose" cagionanti il fallimento e l'aver cagionato "con dolo" il fallimento della societa'. E' proprio l'elemento soggettivo che distingue le due condotte nel senso che la locuzione âEuroËœcon dolo' implica che ai sensi dell'articolo 43 c.p., il fallimento deve essere previsto e voluto dall'agente come conseguenza della sua azione od omissione. Si deve trattare di dolo diretto (Sez. 5, 14/01/1985, Gerli; Sez. 1 25/04/1990, De Sena Plunkett; da ultimo Sez. 5., n. 22765, 18/02/2021, Rossin). Nel fallimento conseguente a operazioni dolose, invece, esso e' solo l'effetto, dal punto di vista della causalita' materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio che esso si verifichi. Sez. 5, Rossin, ha affermato in caso in tutto analogo a quello in esame, di condotte omissive tributarie, che "non e' necessaria la volonta' diretta a provocare il dissesto, essendo sufficiente la consapevolezza di porre in essere un'operazione che, concretandosi in un abuso o in un'infedelta' nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della societa', determini l'astratta prevedibilita' della decozione". Si tratta, dunque, di una fattispecie a dolo generico. La Corte di merito anche correttamente valuta (fol. 7) non adeguata la giustificazione dell'imputato, relativamente alla finalita' di impiegare quanto non versato all'erario per pagare fornitori e dipendenti, giustificazione valutata generica perche' smentita dalle altre risultanze. In vero, le operazioni illecite, ad un primo impatto, paiono destinate non gia' a diminuire, bensi' ad incrementare (sia pure contra ius) il patrimonio sociale, ma il fallimento e' riconducibile ad esse, sul piano degli effetti di medio periodo e in ragione della crescita esponenziale del debito (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, in motivazione), poiche', una volta scoperte, determinano ineludibilmente l'applicazione delle relative sanzioni. Deve ritenersi che correttamente in questo caso la Corte di merito abbia ritenuto sussistente il dolo delle condotte, quindi la volonta' cosciente di evasione del fisco, e congruo il giudizio di prevedibilita' dell'aggravamento della situazione debitoria (sempre fol. 7) in coerenza con il principio per cui "le specifiche connotazioni delle operazioni dolose offrono fondamento al giudizio di prevedibilita' dell'emersione delle operazioni stesse e, di conseguenza, dell'attivazione delle iniziative risarcitorie e/o sanzionatorie destinate a sfociare nel depauperamento e, quindi, nel dissesto della societa'" (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, in motivazione). 3.5 Diversamente risulta non adeguata la motivazione in ordine al dolo della condotta contestata al capo a), alla luce dei principi indicati in premessa, risultando fondato il motivo di censura. La Corte di appello evidenzia (fol. 5) come (OMISSIS) fosse alla prima esperienza imprenditoriale, avesse acquisito una societa' di diritto estero modesta, trasformandola da societa' a responsabilita' limitata in societa' per azioni, con un notevole aumento di capitale, essenzialmente per compiere le due operazioni contestate al capo a): quella di affitto del ramo di azienda della (OMISSIS) gia' in liquidazione, che sarebbe stata dichiarata fallita appena quattro mesi dopo la stipula del contratto da parte di (OMISSIS), che era stata preceduta dalla modifica il mese precedente dell'oggetto sociale della (OMISSIS), esteso alle attivita' nel settore delle materie plastiche, ambito proprio del ramo di azienda acquisito; nonche', la seconda operazione, avvenuta il 16 novembre 2011, dopo che il 17 ottobre 2011 era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS), consistente nella acquisizione dell'impianto fotovoltaico istallato sul capannone della (OMISSIS), oggetto di distrazione da parte della stessa alla (OMISSIS) Spa e poi alla (OMISSIS) Spa, cessioni tutte del 2011, fino all'acquisto da parte di (OMISSIS) del 16 novembre 2011. La Corte di appello ha richiamato la circostanza che le operazioni effettuate da (OMISSIS) sarebbero inserite nel programma distrattivo della (OMISSIS), cosicche' le acquisizioni da parte della (OMISSIS) furono eseguite con notevoli oneri e con il rischio palese di revoca e di provvedimenti giudiziari a tutela delle ragioni del fallimento (OMISSIS), gia' in stato di decozione all'atto della prima operazione e gia' fallita al momento della seconda, dopo i passaggi distrattivi alle societa' intermedie. A fronte di cio', pero', la Corte di appello chiarisce anche che pur se (OMISSIS) non era stato coinvolto come concorrente esterno nella bancarotta per distrazione del fallimento (OMISSIS), le condotte poste in essere dall'attuale ricorrente siano connotate da fraudolenza, e da carenza di interesse della societa' amministrata dallo stesso, potendo dalle stesse solo trarsi aggravamenti della esposizione debitoria. La Corte territoriale rileva anche come l'affare non avesse le caratteristiche di convenienza se non apparente, in quanto (OMISSIS) aveva ceduto alla banca tutti i crediti ottenuti con la produzione di energia elettrica, relativi agli incentivi per la produzione dell'impianto fotovoltaico (fol. 7): tale affermazione emergeva dalla dichiarazione dell'amministratore giudiziario (OMISSIS). A ben vedere, proprio alla luce dei principi evidenziati in precedenza, relativamente al dolo che deve sostenere le operazioni dolose cagionanti il fallimento, la motivazione della Corte di appello risulta contraddittoria e incompleta. Se per un verso non vi sono elementi per ritenere che (OMISSIS) abbia concorso nella distrazione dei beni in danno del ceto creditorio di (OMISSIS), non si puo' trarre la prova del dolo e della prevedibilita' del fallimento dalla sola circostanza che (OMISSIS) sarebbe fallita dopo quattro mesi, senza avere prova che (OMISSIS) ne avesse consapevolezza, come anche avesse contezza che della cessione dei crediti da energia elettrica prodotta in favore dell'istituto di credito. In sostanza, non e' comprovato che, riguardo a tale condotta, (OMISSIS) abbia violato gli obblighi di fedelta', non abbia effettivamente promosso le operazioni con autentica finalita' di incremento dei ricavi della societa' grazie all'impianto fotovoltaico, ne' viene considerato il danno procurato allo stesso imputato, che evidentemente, escluso il concorso dell'extraneus nella condotta distrattiva di (OMISSIS), e dunque la consapevolezza del pericolo di sequestro e revoca dei beni acquisiti, dimostrerebbe esclusivamente una condotta negligente e imprudente, come evidenzia il ricorrente. In sostanza manca una valutazione ex ante, ponendosi nella posizione di (OMISSIS), della anti doverosita' della condotta posta in essere e della prevedibilita' del dissesto come conseguenza delle due operazioni acquisitive contestate. Pertanto, quanto al dolo del capo a) la sentenza va annullata con rinvio. 3.6 Anche per il dolo richiesto per la bancarotta documentale contestata al capo d) la motivazione della Corte di appello e' estremamente generica. Il Gup aveva ritenuto sussistente il dolo generico, evidentemente riferendosi alla bancarotta documentale prevista dall'articolo 216, comma 1, n. 2, seconda parte. Invece la Corte di appello, a fronte del motivo specifico al fol. 15 dell'atto di appello, che censura il dolo generico, vira verso il dolo specifico previsto dalla bancarotta documentale fraudolenta, fattispecie prevista questa dalla prima parte della norma citata. Premesso che e' ben possibile la contestazione alternativa dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza e' necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalita' alcun vizio di indeterminatezza dell'imputazione (Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati, Rv. 280572 - 01), nel caso di specie viene contestata l'omessa tenuta dei libri contabili. Tale condotta, come noto, deve essere ricondotta nell'alveo di tipicita' della bancarotta documentale âEuroËœspecifica' atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilita' in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d'affari dell'imprenditore, a "fortiori" ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilita', anche solo per una parte della vita dell'impresa. Si e' peraltro costantemente precisato come cio' non consenta, ai fini dell'individuazione dell'elemento soggettivo, di ricondurre la condotta di omessa tenuta a quella di irregolare tenuta, dovendosi invece ritenere che l'omessa tenuta della contabilita' interna integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, ovvero di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto, che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dalla L.Fall., articolo 217 e punita sotto il titolo di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 - 01; Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992). 3.7 Il dolo richiesto per la sussistenza del reato in tal caso non e' dunque, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, quello generico sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta, bensi' quello specifico che caratterizza il falso contabile per omessa istituzione delle scritture descritto nella prima parte dell'incriminazione in oggetto. E pero' la motivazione impugnata, riguardo al punto di censura specifico, risulta sostanzialmente apparente e assertiva, come rileva il ricorrente, in quanto, non basta richiamare la connessione con le altre condotte di bancarotta, rinvio per altro depotenziato alla luce di quanto osservato in ordine al capo a), in quanto data la peculiarita' della vicenda vanno esplicitate le ragioni per le quali l'omessa istituzione di quelle specifiche scritture, indicate nella contestazione, fosse finalizzata - logicamente e anche cronologicamente, tenuto conto dell'evolversi delle vicende societarie e del momento in cui si rende consistente l'esposizione debitoria e si concretizza la crisi - a pregiudicare il ceto creditorio o ad avvantaggiare ingiustamente se stesso o altri (Sez. 5, n. 4134 del 22/09/2016, dep. 2017, Perego, Rv. 269475 - 01). Pertanto anche in ordine al capo d), per carenza di motivazione, la sentenza va annullata con rinvio. 3.8 Invece il motivo va ritenuto inammissibile quanto al capo c), relativo alla distrazione, quanto al profilo oggettivo, genericamente censurato, in quanto la motivazione resa dalla Corte di merito (fol. 8) rende conto, con corretto riferimento ai principi giurisprudenziali consolidati, come le condotte contestate fossero di natura distrattiva, in relazione alle âEuroËœrestituzioni finanziamento socio' e ai prelievi per spese personali. Per altro, in ordine alla censura sul profilo soggettivo, la Corte di merito applica correttamente il principio per cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e' reato di pericolo (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307), nel senso che, essendo l'oggetto della tutela identificabile nell'interesse dei creditori all'integrita' dei mezzi di garanzia, la L.Fall., articolo 216 prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio - che non e' elemento costitutivo della fattispecie tipizzata e che invero rileva esclusivamente ai fini della configurabilita' dell'aggravante di cui al comma 1 del successivo articolo 219 - bensi' anche il pericolo conseguente alla mera possibilita' che questo si verifichi. Pertanto, sul versante dell'elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilita' della bancarotta patrimoniale per distrazione e' quello generico - il che nel caso in esame lo distingue dal dolo richiesto per la bancarotta documentale specifica e dal dolo richiesto per le operazioni dolose, dove la prevedibilita' ha ad oggetto il fallimento - e integrato dalla volonta' di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilita' del pericolo che tale operazione puo' determinare per gli interessi dei creditori. In altri termini e' sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell'attivita' distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo o che la finalita' di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232). Pertanto il motivo e' manifestamente infondato sul punto. 4. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma in ordine ai capi a) e d), nei termini indicati, per nuovo giudizio, che provvedera' all'applicazione dei richiamati principi di diritto e alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio se del caso. Nel resto i motivi sono complessivamente infondati e vanno quindi rigettati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla condotta sub a) e a quella sub d) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FERRANTI DONATELLA. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha confermato l'affermazione di responsabilita' penale pronunciata dal Tribunale di Venezia il 29.01.2020 confronti di (OMISSIS) previa riduzione della pena ad anni uno e mesi tre di reclusione, mentre ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione il reato nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) confermando le statuizioni civili e condannando gli imputati in solido alle spese di costituzione della parte civile. L'imputazione riguardava l'articolo 590 c.p., comma 1, 2 e 3, commesso in (OMISSIS), con riferimento alla lesioni personali patite da (OMISSIS) dipendente in nero della " (OMISSIS) s.r.l." di (OMISSIS), il quale, impegnato in lavori di rimozione del tetto in cemento amianto, dove era salito tramite un ponteggio, per la assenza di presidi di sicurezza idonei a impedire la caduta dall'alto, quali l'imbracatura, parapetti, la realizzazione di una linea di sicurezza cui agganciare i cavi delle imbracature, come previsto nel piano del coordinatore del cantiere e in quello predisposto dalla ditta esecutrice (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS), ma solo una linea trasversale distante sei metri dal punto di caduta, precipitava al suolo da un'altezza di sei metri e riportava politrauma scomposta di femore destro e frattura chiusa alla volta cranica con emorragia subaracnoidea e malattia di durata di giorni 60. (OMISSIS) era imputato quale coordinatore per la sicurezza, (OMISSIS) quale titolare dell'impresa affidataria (OMISSIS) srl, (OMISSIS) datore di lavoro dell'impresa esecutrice (OMISSIS) sas e (OMISSIS) datore di lavoro della vittima, titolare della ditta (OMISSIS) s.r.l.. Risulta dalla ricostruzione in, fatto operata dai Giudici di merito che la Committente fili, (OMISSIS) proprietaria del capannone, aveva commissionato le opere di rimozione dell'amianto e installazione del fotovoltaico alla (OMISSIS) di (OMISSIS) che a sua volta aveva subappaltato le opere di rimozione amianto e bonifica alla (OMISSIS) di (OMISSIS), che aveva le autorizzazioni necessarie e aveva fatto le comunicazioni alla (OMISSIS); a sua volta (OMISSIS) e' risultato che aveva subappaltato parte dei lavori di rimozione amianto alla (OMISSIS) s.l. (OMISSIS) azienda non abilitata e non iscritta all'albo per il trattamento dell'amianto ((fol 3 sentenza di primo grado). (OMISSIS) committente aveva nominato coordinatore per l'esecuzione e la sicurezza (OMISSIS) il quale secondo la ricostruzione operata dai Giudici di merito non ha svolto con diligenza i compiti di coordinamento e vigilanza. 2. L'Avv. (OMISSIS) ha presentato ricorso nell'interesse di (OMISSIS) articolando un unico motivo con cui deduce l'interruzione del nesso di causa non solo per la condotta irresponsabile del lavoratore che non adottava misure minime di sicurezza salendo sul tetto senza imbracatura e senza assicurarsi alla linea salvavita che era stata predisposta su un percorso preciso; ma anche per la condotta del coimputato (OMISSIS) che aveva affidato in subappalto, senza dargliene comunicazione, i lavori di rimozione delle lastre di amianto ad una ditta la (OMISSIS) che non aveva alcuna autorizzazione specifica per il trattamento dell'amianto. Ha presentato memoria difensiva con cui ha ribadito i motivi del ricorso; 3. (OMISSIS) ha presentato ricorso a mezzo dell'Avv. (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) articolando i seguenti motivi: 1) Con il primo motivo deduce vizio di motivazione; errata valutazione degli elementi a discarico e omessa valutazione di elementi decisivi. In particolare afferma che l'istruttoria ha evidenziato che l'incarico alla (OMISSIS) era limitato all'istallazione della nuova copertura e non prevedeva l'intervento di smantellamento; quindi il lavoratore persona offesa non era addetto alla rimozione delle lastre di amianto; verosimilmente si era recato in cantiere per effettuare i lavori di preparazione dell'istallazione della nuova copertura; i dipendenti della GDF erano addetti alla rimozione delle lastre. E' comunque determinante il concorso di colpa del lavoratore che si e' introdotto nel cantiere accompagnato dal suo datore di lavoro alle quattro del mattino e non ha indossato le imbracature. Non era prevedibile nemmeno il comportamento del (OMISSIS) che operava con i propri addetti su una parte della copertura priva di misure di sicurezza; 2) Vizio di motivazione per la mancata applicazione dell'articolo 131 bis c.p., in quanto poteva ritenersi lieve la colpa del ricorrente che aveva provveduto a garantire la sicurezza del cantiere nella parte interessata dalle opere di smaltimento, gestite in via esclusiva dai propri dipendenti; 3) Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta recidiva e alla eccessivita' della pena comminata stante la mancanza della concessione delle attenuanti generiche della sospensione della pena. Il ricorrente ha riportato solo due condanne per violazione dell'articolo 590, comma 3 l'una nel 1994 e l'altra il nel 2005; mentre l'ulteriore reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e' risalente nel tempo e di indole diversa dal reato contestato. La difesa del ricorrente ha presentato conclusioni scritte chiedendo l'annullamento della sentenza. 4. Il Procuratore Generale in sede ha presentato conclusioni scritte chiedendo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Alcune considerazioni di premessa giovano ad una piu' spedita trattazione dei motivi di ricorso appena riassunti. 1.1. Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unita' produttiva della stessa, nonche' nell'ambito del ciclo produttivo dell'azienda medesima. Giova richiamare a tal proposito che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che, se sono piu' i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (Sez.4 n. 46849 del 3.11.2011 rv 252149; Sez. 4 n. 8593 del 22.01.2008 rv.238936). E, ancora, che, quando l'obbligo di impedire un evento ricade su piu' persone che debbano intervenire o intervengano in momenti diversi, il nesso di causalita' tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi un concorso di cause ex articolo 41 c.p., comma 1 (Sez. 4 n. 244455 del 22.04.2015 rv 263733-01;Sez. 4 n. 37992 del 11.07.2012 rv 254368-01; sez. 4 n. 1194 del 15.11.2013, rv. 258232). 1.2. Si e' poi precisato che, ai fini della attivita' di valutazione di coordinamento e cooperazione connessa al rischio interferenziale, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 (ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26), occorre avere riguardo inoltre, non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro -contratto di appalto, d'opera o di somministrazione-, ma all'effetto che da tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza e coesistenza - nella specie operazioni di scarico e carico della carne- di piu' organizzazioni, che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni (Sez. 4 n. 44792 del 17.06.2015 rv 264957-01). Tale coinvolgimento, funzionale nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude poi la necessita' di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non risultino inefficaci o dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro (Sez. 4 n. 18200 del 7.01.2016 rv 266640-01). Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti a norma del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26 sui datori di lavoro rappresentano la "cifra" della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro responsabilita'. L'assolvimento di tali obblighi risponde all'esigenza antinfortunistica - avvertita come primaria anche dal legislatore Europeo-di gestire preventivamente tale categoria di rischio. La vigente tutela penale dell'integrita' psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attivita' lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonche' su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attivita' lavorativa, dovendosi cosi' ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. La identificazione dell'area di rischio e dei soggetti deputati alla sua gestione serve ad arginare la potenziale espansivita' della causalita' condizionalistica, consentendo di imputare il fatto solo a coloro che erano chiamati a gestire il rischio concretizzatosi. Parimenti, in tema di aggravante speciale della violazione di norme antinfortunistiche va altresi' ricordato che in materia di reati colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilita' dell'aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche (rilevante per la procedibilita' di ufficio in caso di lesioni gravi e gravissime e per il raddoppio della prescrizione ai sensi dell'articolo 157 c.p.) non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, giacche' per l'addebito di colpa specifica, e' sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione del citato articolo 2087, che fa carico all'imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrita' fisica e la personalita' morale dei lavoratori (Sezione 4, del 4 luglio2006, Civelli). Infatti, il datore di lavoro e gli altri soggetti investiti della posizione di garanzia devono in proposito ispirare la loro condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. In sintesi, sussiste una posizione di garanzia a condizione che: un bene giuridico necessiti di protezione, poiche' il titolare da solo non e' in grado di proteggerlo; una fonte giuridica anche negoziale - abbia la finalita' di tutelarlo; tale obbligo gravi su una o piu' persone specificamente individuate sulla base di un'investitura formale o l'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante; queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato(Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 262440; Sez 4,n. 2536 de123/10/2015, Rv. 265797; Sez.4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849). Con la conseguenza che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perche' possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, e' necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.. 2. Va premesso, per quanto attiene alle doglianze avanzate dal (OMISSIS) sull'interruzione del nesso causale che sono inammissibili in quanto gia' peraltro esposte nei motivi di appello, vagliate dalla sentenza impugnata (fol. 8) che, in uno con la sentenza di primo grado, affronta motivatamente ed esaurientemente tutti i punti attinti dal ricorso, mentre le censure aspecifiche e generiche sostanzialmente attengono al fatto e non si raffrontano con le argomentazioni puntuali contenute a fol. 9 della sentenza impugnata sul mancato assolvimento dei compiti di controllo e vigilanza del coordinatore per la sicurezza con riferimento al mancato allestimento delle rete di sicurezza, dallo stesso consentito in sede di avvio dei lavori finalizzato ad una maggiore speditezza dei lavori e un minor disagio per la committenza a discapito della sicurezza degli operai, e cio' nonostante tale misura fosse prescritta nel piano di lavoro; oltre alla mancata predisposizione di parapetti. Il tutto in un contesto di illegittimita' diffusa e di estesa omessa vigilanza che ha contribuito a determinare l'evento infortunio con l'introduzione nel cantiere di maestranze inidonee, non formate, non dotate di dispositivi di sicurezza, non corrispondenti ai nominativi del personale comunicati all'inizio dei lavori, consentendo quindi l'ingresso e il lavoro in cantiere da parte operai di una ditta diversa di quella risultante quale subappaltatrice e risultante dalle comunicazioni formali allo (OMISSIS). In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Rv. 281489 - 01) 3. Quanto al primo motivo dedotto dal (OMISSIS) va rilevato che il ricorrente critica in definitiva la vicenda per come ricostruita dai giudici, ritenendola frutto di una erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura, secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimita', stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901). 3.1 Inoltre, nel caso che occupa, ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione. Cio' tanto piu' ove, come nel caso di specie, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle -determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv.25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101). 3.2. Con particolare riferimento alla ricostruzione della vicenda va, peraltro, ribadito quanto argomentato dalla Corte di appello a fol. 6 e 7 sulla base del materiale probatorio (fonti dichiarative testimoniali in particolare teste (OMISSIS) dello (OMISSIS) e documentali) che ha evidenziato come il mancato allestimento della rete di sicurezza al di sotto dell'area interessata dai lavori, peraltro oggetto di una specifica prescrizione richiesta da parte della ULSS 13 Sez (OMISSIS) era da collegarsi causalmente alla caduta rovinosa del lavoratore mentre era intento a lavorare in quota su una porzione friabile (fol 7). Il (OMISSIS) inoltre, come evidenziato dal Giudice di primo grado, aveva concluso un contratto di sub appalto con un'azienda non abilitata per trattare l'amianto, e nella comunicazione allo (OMISSIS) aveva omettesso di indicare i dipendenti della (OMISSIS) srl. Era pertanto concretamene prevedibile che si potesse verificare un incidente, come poi si e' verificato, anche a causa del mancato coordinamento tra l'attivita' in corso nel cantiere e la predisposizione di adeguate misure di sicurezza. 3.3. Va ribadito che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409), deriva dalla condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento e' "interruttivo" non perche' "eccezionale" ma perche' eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante e' chiamato a governare (Sez. 4, n. 15124 del 13.12.2016, Rv. 269603). In tema di rapporto di causalita', ai sensi dell'articolo 41 c.p., comma 3, il nesso di causalita' non resta escluso inoltre dal fatto altrui, cioe' quando l'evento e' dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiche' il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per se' rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento. La Corte territoriale, correttamente cosi' come il primo Giudice, ha escluso che possa discutersi di responsabilita' (o anche solo di corresponsabilita') del lavoratore per l'infortunio quando, come nel caso di specie, il sistema della sicurezza approntato presenti gravi criticita' (Sez.4, n. 22044 del 2.05.2012,n. m; Sez.4, n. 16888, del 7/02/2012, Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n. m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962). Nel caso di specie, infatti, come gia' accertato e motivato dai giudici di merito, con motivazione logica ed esente da vizi logico-giuridici, il subappalto che l'imputato (OMISSIS) fa alla ditta (OMISSIS) srl ha a riguardo non solo l'installazione della nuova copertura, come afferma la difesa dell'imputato, ma anche la rimozione dell'amianto presente sul tetto del capannone - attivita' alla quale la ditta (OMISSIS) srl non e' abilitata. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere predisposto dall'appaltatore, gravano su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, che e' tenuto ad adottare misure di prevenzione e protezione contro tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attivita' lavorativa, pur nel caso in cui questi siano dovuti a interferenze con l'attivita' di altre imprese e l'organizzazione del luogo di lavoro resti comunque sottoposta ai poteri direttivi generali dell'appaltatore o del committente (Sez. 3, n. 5907 del 11/01/2013, Rv. 284187 - 02). 3.4. Logica e immune da vizi di rilievo in questa sede e' la motivazione della sentenza impugnata anche in punto di trattamento sanzionatorio, in quanto il Giudice ha argomentato alla luce delle plurime precedenti condanne la insussistenza di elementi per il riconoscimento delle attenuanti generiche e la congruita' della pena in considerazione della gravissime lesioni subite dalla persona offesa e in relazione al grado di colpa rilevante alla pericolosa modalita' di consuzione dell'attivita' imprenditoriale incurante dei fondamentali elementi di sicurezza per i lavoratori. Il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, fa riferimento ad una successiva condanna per violazione delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per fatti commessi nel 2018, che denotano un comportamento incurante delle norme antinfortunistiche. 3.6. Parimenti logica e coerente e' la motivazione che esclude l'applicazione dell'articolo 131 bis c.p. in considerazione della gravita' delle lesioni riportate egli elevati postumi di invalidita' permanete che precludono una valutazione di lieve offensivita' (fol. 8). Le Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 Ud. (dep. 06/04/2016) Rv. 266590 01 hanno statuito il principio che ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'articolo 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo. Nel caso di specie, il giudice di merito fa riferimento all'entita' del danno subito dal lavoratore, in particolare fa riferimento "agli elevati postumi di invalidita' permanente" che precludono il riconoscimento della causa di esclusione della punibilita'. 4. Alla dichiarazioni di inammissibilita' dei ricorsi segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/06/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, GIOVANNI DI LEO. il quale ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato, in punto di rideterminazione della pena principale e di quelle accessorie, il provvedimento con il ofiljda-- ./, -(Giudice di primo grado aveva condannato (OMISSIS), per il delitto di cui L. Fall., articolo 110 c.p., articolo 216 comma 1, nn. 1 e 2, L. Fall., articolo 223, comma 1, per avere, "in concorso con (OMISSIS) e con (OMISSIS), quale delegato di (OMISSIS) s.r.l. -socio di maggioranza di (OMISSIS) s.r.l. (dichiarata fallita in data 26.01.2012), beneficiaria dell'illecita condotta quantomeno fino al 2010" distratto, occultato e dissipato le attivita' di (OMISSIS) s.r.l., "deliberando in data (OMISSIS), nelle qualita' sopra indicate il consenso alla stipula di un contratto di affitto di azienda da parte di (OMISSIS) s.r.l. verso (OMISSIS) s.r.l. ad esclusione dell'impianto fotovoltaico e, di fatto, procedendo alla stipula di tale contratto di affitto in data (OMISSIS), contratto privo di qualsivoglia cauzione a garanzia del corretto pagamento dei canoni a fronte di corrispettivo non adeguato al valore dell'azienda -Euro 36.000, 00 annui- e comunque non versato quantomeno fino all'aprile 2011". 2. Nell'interesse dell'imputato e' stato proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), affidato a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del fatto oggetto di contestazione. Nell'affermare che, attraverso il contratto di affitto di cui al capo d'imputazione, la (OMISSIS) srl sia stata privata del suo motore e delle sue capacita' operative, la Corte territoriale avrebbe trascurato il fatto che l'attivita' della societa' era cessata dall'aprile 2008, vale a dire due anni prima della stipula del contratto d'affitto, come confermato dal curatore fallimentare e come dimostrato dall'assenza di bilanci dopo il 2006, segno evidente della stasi produttiva dell'impresa. La difesa contesti altresi', le valutazioni della Corte territoriale relative ai canoni d'affitto e all'importo per il riscatto dell'azienda pattuiti nel contratto, chiari indici - a parere dei Giudici d'appello - di condotta distrattiva (in quanto, in sede contrattuale, il valore dei beni oggetto d'affitto e' stato sottostimato e, di conseguenza, sono stati sottostimati i canoni d'affitto, mentre in sede fallimentare l'azienda e' stata alienata a un valore superiore rispetto a quello dedotto in contratto). Secondo la difesa, l'esiguo importo dei canoni d'affitto, cosi' come il prezzo del riscatto, si spiegano con la scarsa appetibilita' dell'azienda sul mercato. Non a caso, il curatore e il Giudice delegato ritennero irrealistica, per eccesso, la stima indicata (soglia minima: Euro 131.000) dal perito estimatore del fallimento, dott Savarino, tanto che il prezzo di vendita fu ridotto, d'intesa con il Giudice delegato, a Euro 100.000. Ciononostante, l'azienda continuava a non avere appetibilita' sul mercato; soltanto grazie al pressante invito del curatore fallimentare rivolto alla (OMISSIS) s.r.l. (unico soggetto che aveva mostrato interesse per l'azienda) affinche' acquistasse il bene, si riusci' a venderlo al prezzo di 85.000 Euro. Sostiene la difesa che il minimo; carto (di 15.000 Euro) tra prezzo pattuito in sede fallimentare e prezzo del riscatto non possa descriversi nei termini di forbice distrattiva, come ritenuto invece dai Giudici di merito. Anche le valutazioni della Corte territoriale concernenti le ricadute distrattive della determinazione dell'uso dei locali occupati dagli uffici delle due societa' sarebbero errate. Diversamente da quanto illogicamente dedotto dai Giudici di merito, i locali dell'immobile sito in via (OMISSIS), non erano occupati integralmente dalla (OMISSIS) srl, bensi' semplicemente condivisi tra le due societa', come dimostrerebbe la frequente presenza di dipendenti della (OMISSIS) srl, in quella sede, confermate da alcune testimonianze. In relazione al giudizio della Corte territoriale sulla vera finalita' del contratto d'affitto, obietta la difesa che alcuna cessione mascherata d'azienda si sarebbe celata dietro quel contratto; fin dall'inizio, l'unica finalita' fu quella di preservare le attivita' ancora salvabili (e, segnatamente, il "portafoglio clienti della Cogas"), non certo quella di dissipare le risorse in danno dei creditori. A dimostrazione di tale affermazione, la difesa osserva che, alla scadenza del contratto di affitto, la (OMISSIS) srl non fece valere il proprio diritto d'opzione, segno che la finalita' non era quella distrattiva. Infine, e con riguardo alla contestazione dell'aggravio del dissesto sociale, la difesa osserva che tale effetto non sarebbe in alcun modo imputabile allo (OMISSIS). Invero, la mancata richiesta ai soci, da parte dell'organo amministrativo della (OMISSIS) srl, della eliminazione delle perdite o dello scioglimento della societa' ai sensi dell'articolo 2485 c.c., non sarebbe riferibile all'imputato, posto che quest'ultimo non era ne' amministratore ne' socio della (OMISSIS) srl. 2.2 Con il secondo motivo, si contesta, in forma gradata rispetto alla censura di cui al precedente motivo, la riferibilita' dei fatti contestati all'imputato. Quest'ultimo ha partecipato in veste di mero delegato di un socio alla deliberazione assembleare in cui si approvo' il contratto di affitto dell'azienda; allo (OMISSIS), non puo' essere dunque ascritta alcuna condotta distrattiva, posto che soltanto i soggetti indicati L. fal., articoli 223 e 216, possono essere soggetti attivi del reato di cui e' parola. Rileva inoltre la difesa che l'imputato, ben lungi dal redigere il contratto d'affitto, si imito' a fornire una consulenza sui dati contabili e finanziari, come emerso in sede di esame del commercialista della societa' fallita, (OMISSIS). Non avendo ne' ideato il contratto ne' partecipato alla formazione del suo contenuto, la condotta dell'imputato non sarebbe pertanto configurabile nei termini di concorso del consulente nel reato ascritto. 2.3 Con il terzo motivo, si contesta, per le medesime ragioni di cui al secondo motivo, la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta distrattiva, posto che l'imputato, confidando nell'operato dei due professionisti autori del contratto d'affitto, non poteva ritenere che quest'ultimo fosse stato adottato per pregiudicare gli interessi della massa dei creditori. 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giovanni Di Leo, il quale ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2.1 II primo motivo e' manifestamente infondato, in quanto generico ed elusivo di un effettivo confronto con la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Al fine di far luce su detta ratio, e' opportuno ricordare quanto tratteggiato dalla Corte d'appello a proposito della condotta ascritta all'imputato e alla sua conseguente responsabilita' per il concorso in delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva. Illustra la Corte territoriale che, in sede di verifica fiscale, lo (OMISSIS), (entrato a far parte della (OMISSIS) srl col compito di rivedere la contabilita' fiscale e con contratto di collaborazione tramite (OMISSIS), all'epoca componente del consiglio di amministrazione di quella s.r.l. e cugino della moglie (OMISSIS) -presidente del c.d.a. di (OMISSIS) srl dal 12.01.2009 e amministratore unico della stessa, dal (OMISSIS)) "aveva esibito un contratto di affitto di azienda, la cui stipula risultava autorizzata, come da verbale del 29/01/2010, dall'assemblea ordinaria dei soci di (OMISSIS) srl, avvenuta in presenza del socio di maggioranza "(OMISSIS) s.r.l." in persona del delegato (OMISSIS), e delle componenti della famiglia (OMISSIS), presieduta da (OMISSIS). L'argomento principale messo all'ordine del giorno riguardava la proposta del contratto di affitto di ramo d'azienda avanzata da (OMISSIS) srl" (p. 16 e 14 motivazione dell'impugnata sentenza). Alla scadenza del contratto, di durata biennale, era previsto che (OMISSIS) srl avrebbe potuto riscattare, esercitando il proprio diritto d'opzione, l'azienda, di cui si era prefissato il prezzo da versare (130.000 Euro), a condizioni tanto nettamente vantaggiose per la (OMISSIS) srl quanto svantaggiose per la (OMISSIS) srl. Posta tale breve premessa, necessaria per inquadrare il contesto fattuale, va osservato che le censure sollevate dal ricorrente sono generiche e non decisive ai fini della tenuta dell'apparato argomentativo di una motivazione, che, con perfetta tenuta logica, ha illustrato le ragioni per cui la Corte territoriale ha ritenuto integrato il concorso nel reato ascritto, sia con riguardo all'elemento oggettivo sia a quello soggettivo. Invero, tutti gli argomenti difensivi condensati nel primo motivo (relativi al canone d'affitto, al prezzo di riscatto, ai luoghi in cui si svolgevano le attivita' della (OMISSIS) srl e della (OMISSIS) srl, alla contestazione della cessione mascherata del ramo d'azienda) non riescono a controbilanciare la dirimente considerazione, opposta dai Giudici di merito, relativa alla sostanziale identita' tra la (piu' significativa perche' di maggioranza) compagine sociale della fallita (OMISSIS) srl e quella della (OMISSIS) srl. Quest'ultima societa' - ha osservato la Corte d'appello - era stata, non a caso, costituita "nelle imminenze della stipula del contratto di affitto in oggetto da quella stessa compagine detentrice della maggioranza del capitale sociale della (OMISSIS) srl attraverso (OMISSIS) srl". Con contestualita' pressoche' perfetta, e attraverso l'escamotage della stipula del contratto di affitto di ramo d'azienda, la disponibilita' dei beni aziendali - spiega la Corte - e' passata dalla fallita (OMISSIS) alla neonata (OMISSIS) srl, vale a dire una societa' controllata dalla famiglia (OMISSIS), ed e' stata sottratta alla immediata soddisfazione dei creditori della fallita. Un contratto d'affitto che avesse avuto una diversa (e, cioe', non distrattiva) ragion d'essere avrebbe dovuto rendere possibile l'utile perseguimento dell'oggetto sociale, garantendo contestualmente il ripiano della situazione debitoria della societa' (Sez. 5, n. 10778 del 10 gennaio 2012, Petruzziello, Rv. 252008). Che cio' non fosse possibile e' esaustivamente chiarito dalla Corte d'appello. Invero, il profilo centrale stigmatizzato dalla Corte, attinente alla cessione -mascherata da affitto- del ramo d'azienda, consegue logicamente alla premessa posta dalla Corte stessa al proprio ragionamento: al momento della stipula del contratto d'affitto, sussistevano tutti i "concreti elementi contabili indicativi della grave situazione di disavanzo nella quale versava la societa'... pertanto l'organo amministrativo era nelle condizioni di poter e dover chiedere ai soci l'eliminazione delle perdite e la ricostruzione del capitale ovvero provvedere allo scioglimento della societa' ai sensi dell'articolo 2485 c.c." (p. 17 motivazwe). Come dimostrato dagli atti processuali citati in motivazione, la situazione finanziaria effettiva della societa' era cosi' malconcia (con un disavanzo, al novembre 2009, di 9.398.204 Euro, pari a circa la meta' dell'imponente passivo riguardante i debiti verso l'erario), e cosi' eloquentemente disastrato era lo stato patrimoniale (per tre esercizi consecutivi: 2007-2009, v. p. 17 della motivazione), che, rispetto alle soluzioni indicate dai Giudici d'appello (scioglimento o eliminazione delle perdite/ricostruzione del capitale), tertium non dabatur. In quelle condizioni finanziarie e contabili, e con quella sospetta commistione di compagini societarie di maggioranza tra la societa' (OMISSIS) e la societa' affittuaria, del tutto logicamente la Corte territoriale ha ravvisato gli estremi del reato di bancarotta distrattiva in un'operazione in cui le fondamentali attivita' della (OMISSIS) srl. sono state trasferite, a fronte di un incongruo canone d'affitto (Sez. 5, n. 16989 del 2 aprile 2014, Costa, Rv. 259858), a un'altra societa' costituita a scopo distrattivo, il cui socio di maggioranza era il medesimo (OMISSIS), presidente del cda di (OMISSIS) dal (OMISSIS) e amministratore unico dal (OMISSIS). Acquista, allora, solare evidenza -in mancanza di controdeduzioni opposte, a tal proposito, dalla difesa, se non quella relativa al ruolo di delegato dello (OMISSIS), su cui infra-o' la logicita' della deduzione della Corte d'appello, secondo cui "la controparte del contratto d'affitto del ramo d'azienda in oggetto non era un soggetto terzo e tutta la trattativa si e' svolta nella stessa compagine soggettiva, nell'esclusivo interesse dei soci di maggioranza e senza tener conto in alcun modo gli interessi del ceto creditorio". .i Date tali premesse, la Corte non ha certotttrAg operato un'illogica o azzardata ricostruzione degli indicatori del concorso dell'imputato (dato il suo ruolo di amministratore unico della societa' affittuaria, e data la quota -51%- di capitale sociale della scoieta' affittuaria detenuta dalla di lui figlia, (OMISSIS)), nella condotta distrattiva che ha caratterizzato l'intera operazione di simulata cessione del ramo d'azienda, volta a mantenere in vita, per due anni, una societa' inattiva e ormai decotta, a fronte di un passivo arrivato, in quei due anni di durata del contratto d'affitto, a 42 milioni di Euro. Segnali chiari, in tal senso, sono stati altresi' individuati sia nel modesto incremento apportato dall'incongruo canone d'affitto pattuito (Euro 72.000, in due anni) - canone derivante, a sua volta, dal sotto:stimato prezzo del riscatto, pari a Euro 130.000, dei beni oggetto d'affitto - sia nell'aver conteggiato (procedendo a fissare l'importo del canone d'affitto) soltanto il 40% della superficie dell'immobile sede della fallita, nonostante il fatto che l'affittuaria (OMISSIS) srl occupasse integralmente l'immobile. A fronte di un siffatto quadro probatorio, correttamente la Corte territoriale ha ricordato come, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito, in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, puo' realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalita', non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, ne' la possibilita' di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali. In tal senso, pertanto, anche il contratto di affitto di azienda puo' connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione e cio' tanto nel caso in cui l'affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto in quello cui la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilita' dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, Scire' e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, Martinel, Rv.209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, Locatelli ed altri, Rv. 196456, come ricordato di recente da Sez. 5, n. 48872 del 14 luglio 2022, Zavaldi, n. m.). 2.2 II secondo motivo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente perche' collegati logicamente, sono entrambi inammissibili. Proprio in virtu' delle sue mansioni (consulente dei dati contabili e finanziari dell'azienda), i Giudici d'appelllo hanno ritenuto ragionevolmente, e in base alle risultanze processuali, che l'imputato "abbia avuto piena parte attiva sia relativamente alla delibera assembleare, sia in ordine alla stipula del contratto di affitto del ramo d'azienda alla (OMISSIS) srl". Invero, come risulta dal capo d'imputazione, lo (OMISSIS), partecipo', in qualita' di "delegato di (OMISSIS) s.r.l. - socio di maggioranza di (OMISSIS) s.r.l." alla delibera assembleare in cui si decise di stipulare il contratto d'affitto. Dal che deriva la logicita' dell'assunto della Corte, secondo cui egli non poteva non avere piena contezza del senso complessivo dell'operazione deliberata in quella sede. Altrettanto ragionevolmente i Giudici di merito hanno ritenuto che (OMISSIS), avesse un interesse personale nell'operazione distrattiva, in quanto amministratore unico dell'affittuaria (OMISSIS) s.r.l., mentre la figlia, (OMISSIS), era detentrice del 51% del capitale della neocostituita (OMISSIS) srl. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, per concorrere, in qualita' di extraneus, nel delitto di bancarotta fraudolenta, e' sufficiente che l'attivita' (di consulenza, nel caso in esame) sia diretta anche soltanto ad assistere l'imprenditore o gli amministratori della societa' nella conclusione del negozlo. A nulla rileva, pertanto, che l'imputato non abbia materialmente redatto il contratto, come osservato dalla difesa, avendo egli comunque fornito, tramite la propria opera di consulenza contabile, dati utili a redigere il contratto in frode ai creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 569 del 18/11/2003, dep. 2004, I3onandrini, Rv. 226973 - 01: "l'extraneus concorre nei fatti di bancarotta quando, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore o degli amministratori della societa', fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero ancora svolga attivita' dirette a garantire l'impunita' o a favorire o rafforzare, con il proprio ausilio o con le proprie preventive assicurazioni, l'altrui proposito criminoso. Sez. 5, n. 10742 del 15/02/2008, Cattoli, Rv. 239480 - 01: "integra il concorso dell"extraneus' nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, il consulente della societa' che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore e degli amministratori della societa', concorra all'attivita' distrattiva posta in essere da questi ultimi progettando e portando ad esecuzione la conclusione di contratti (nella specie affitto di azienda) privi di effettiva contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori; Sez. 5, n. 8276 del 06/11/2015, dep. 2016, Curtopelle, Rv. 267724 - 01; "concorre in qualita' di "extraneus" nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore o dell'amministratore di una societa' in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un'attivita' diretta a garantire l'impunita' o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l'altrui progetto delittuoso". Da ultimo, si veda Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, Angeletti, Rv. 281042 - 01). 3. Questo Collegio ritiene, pertanto, che il ricorso sia da dichiarare inammissibile e che il ricorrente vada condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: " (OMISSIS) SRL"; nei confronti di: (OMISSIS), N. IL (OMISSIS); avverso la sentenza n. 6299/2018 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 26/02/2021; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/03/2023 la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa SERRAO EUGENIA. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Nola il 27/11/2017, ha assolto con formula "per non aver commesso il fatto" (OMISSIS) dai reati di cui agli articoli 113, 423 e 449 c.p. (capo a) e di cui agli articoli 113 e 674 c.p. (capo b) commessi in (OMISSIS). In particolare, era addebitato a (OMISSIS), in qualita' di amministratore della (OMISSIS) s.r.l., proprietaria del complesso industriale ubicato in (OMISSIS), di aver cagionato per colpa l'incendio del complesso, composto da diversi capannoni locati e da altrettante aziende, omettendo di attivare l'impianto di rilevazione incendi di cui erano dotati i locali e cagionando in tal modo un ritardo nella rilevazione dell'incendio e del conseguente intervento di spegnimento, cosi' da agevolare la propagazione delle fiamme negli altri locali del capannone; gli era, altresi', ascritto di aver provocato per colpa emissioni di fumo atte a recare molestia alle persone in luoghi di pubblico transito. 2. Il Tribunale aveva ritenuto che le fasi iniziali dell'incendio fossero compatibili sia con l'ipotesi per cui l'incendio si fosse innescato all'interno dei locali condotti in locazione dalla (OMISSIS) s.r.l., sia con l'ipotesi che provenisse dalla copertura del capannone. I giudici avevano, altresi', accertato che le travi secondarie del capannone avevano perso le caratteristiche di resistenza in meno di un'ora e che le funzioni di tenuta erano state perse, cosi' che le coperture del deposito della (OMISSIS) erano crollate dopo circa un'ora dall'inizio dell'incendio, non essendo assicurata la resistenza al fuoco pari a 90 e 120 minuti. Il giudice aveva ritenuto che l'amministratore dell' (OMISSIS) s.r.l. avesse consentito, nei locali dati in locazione alla (OMISSIS), lo svolgimento di un'attivita' ad elevato rischio in relazione al pericolo di incendio nella consapevolezza del fatto che non fosse attivo alcun impianto di prevenzione antincendio nei predetti locali, considerando imprudente e causalmente correlata all'evento la mancanza di un impianto di rilevazione incendi nei locali in uso alla (OMISSIS). 3. La Corte di appello ha, invece, escluso che gravassero sul locatore obblighi di protezione o di vigilanza la cui omissione potesse causalmente correlarsi all'evento e tali da qualificarlo come garante, escludendo per altro verso che si potesse estendere all'imputato la responsabilita' incombente a titolo di colpa su (OMISSIS), conduttore del capannone, ai sensi dell'articolo 113 c.p., non potendosi ravvisare una condotta concorrente dell'imputato nella scelta del (OMISSIS) di non stipulare il contratto relativo all'attivazione e alla manutenzione dell'impianto di rilevazione dei fumi ed essendo rimasto il locatore estraneo alle situazioni di rischio ascrivibili all'attivita' svolta dal conduttore nell'immobile locato. 4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.r.l. censurando la pronuncia per i seguenti motivi: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) e b), errori/travisamento nei presupposti di fatto e violazione dell'articolo 41 Cost.. Secondo la difesa, l'obbligo di vigilanza e controllo gravante sull'imputato deriverebbe dall'articolo 41 Cost., avendo l' (OMISSIS) s.r.l. consentito l'ingresso nel suo stabilimento di sette attivita' imprenditoriali prive di certificato di prevenzione incendi. Nella sentenza di primo grado sono stati descritti i comportamenti violativi del predetto principio costituzionale, come l'aver fornito locali i cui tetti non resistevano 120 minuti al fuoco, l'aver collocato sul tetto un impianto fotovoltaico dichiarando che lo stesso fosse collocato su un deposito di frutta secca, l'aver disinstallato i presidi di prevenzione incendi essenziali prima di accertarsi della installazione di altri, l'aver installato sui capannoni un impianto fotovoltaico creando una potenziale interferenza dei rischi tra tale impianto e le attivita' esplicate nei capannoni sottostanti; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), incertezza sul nesso eziologico dell'incendio, violazione dell'articolo 2051 c.c., gestione, poteri decisionali e di spesa anche sulle parti locate da parte di (OMISSIS) s.r.l. e del suo amministratore (OMISSIS), incompatibilita' dell'impianto fotovoltaico con varie lavorazioni industriali tra cui proprio la paraffina, principale materia prima della (OMISSIS) s.r.l. Secondo la difesa, il giudice di appello ha erroneamente concentrato la propria attenzione esclusivamente sul contratto di locazione senza svolgere valutazioni in ordine alla responsabilita' da cose in custodia del proprietario del complesso industriale. A riprova della complessiva gestione del complesso industriale allega la circostanza che l' (OMISSIS) s.r.l. avesse provveduto a installare nella parte superiore dei capannoni locati un impianto fotovoltaico idoneo a contribuire alla produzione del danno. Si sarebbe dovuta accertare la responsabilita' del proprietario ai sensi dell'articolo 2051 c.c. per i danni prodotti dalla cosa in custodia nell'ambito del dinamismo proprio della stessa o in conseguenza dell'insorgere in essa di un processo dannoso, anche se provocato da elementi esterni. I danni a terzi causati dall'incendio della cosa locata devono essere risarciti sia dal proprietario che dal conduttore, allorche' nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la causa autonoma del danno fosse da ravvisare nella violazione da parte dell'altro dello specifico dovere di vigilanza diretto ad evitare lo sviluppo dell'agente dannoso. In particolare, il proprietario dell'immobile locato aveva conservato tanto la custodia delle strutture murarie quanto quella degli impianti in esse conglobati, ossia dell'impianto fotovoltaico collocato sui capannoni, per cui avrebbe dovuto rispondere per i danni derivanti dall'incendio, salva la prova del fatto che l'incendio derivasse da parte dell'immobile in custodia esclusiva al conduttore. L'impianto fotovoltaico e' ritenuto generalmente incompatibile con quello di varie lavorazioni industriali, tra le quali proprio quella della paraffina; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), errori/travisamento nei presupposti di fatto, gestione da parte di (OMISSIS) s.r.l. dei principali presidi antincendio, rischio interferenziale, violazione del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 26. Il proprietario del capannone, gestore del sistema idrico antincendio, avrebbe dovuto valutare il rischio interferenziale tra le attivita' in essere nel comprensorio industriale e, in quanto utilizzatore dell'impianto fotovoltaico, avrebbe dovuto far aggiornare da parte delle aziende il piano di valutazione dei rischi; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), travisamento nei presupposti di fatto in quanto il contratto di locazione dell' (OMISSIS) s.r.l. con la ditta (OMISSIS), all'articolo 2 prevedeva un maggior canone in relazione all'ottenimento delle autorizzazioni necessarie per l'attivita', comprensivo dunque dei costi di servizi connessi alla sicurezza; i costi inerenti al servizio di rilevazione antincendio dovevano, pertanto, ritenersi gia' compresi e messi a disposizione da parte dell' (OMISSIS) s.r.l.; la Corte di appello ha errato allorche' ha affermato che la realizzazione di impianti non fosse parte del contratto di locazione. 5. La difesa ha concluso perche' la Corte di Cassazione, in riforma della sentenza impugnata, riconosca la responsabilita' del proprietario dell'intero complesso industriale, dunque dell'imputato (OMISSIS) in ordine all'incendio causato, non avendo dimostrato il caso fortuito assumendo rilievo non la circostanza del fondo in cui si sia sviluppato l'incendio, bensi' la sua situazione obiettivamente idonea ad alimentare, con accentuato dinamismo, la propagazione delle fiamme e conseguentemente riconoscere il diritto risarcitorio della parte civile conseguente ai fatti delittuosi accertati e condannare l'imputato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte civile danneggiata nella diversa somma determinata dalla Corte di Cassazione secondo equita', con richiesta di provvisionale immediatamente esecutiva o da liquidarsi in separata sede civile. 6. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio al giudice civile competente. 7. Il difensore di (OMISSIS) ha depositato tempestiva memoria eccependo l'inammissibilita' del ricorso sia per avere la societa' ricorrente proposto azione civile nei confronti del (OMISSIS) dinanzi al Tribunale civile di Nola dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, cosi' da doversi ritenere revocata l'azione promossa nel presente processo, sia per la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilita'. 2. Giova premettere che la (OMISSIS) s.r.l. si e' costituita parte civile in qualita' di conduttrice di uno dei lotti (lotto n. 5) facenti parte del complesso immobiliare di proprieta' della societa' amministrata dall'imputato (OMISSIS). La proposizione dell'azione civile dinanzi al Tribunale civile di Nola da parte della (OMISSIS) s.r.l. nei confronti di (OMISSIS) e' avvenuta successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado, dopo aver ottenuto in sede penale, con sentenza ancora non definitiva, l'affermazione del diritto ad ottenere il risarcimento del danno. Dalla lettura dell'atto di citazione allegato alle conclusioni della difesa di (OMISSIS) si evince che, indicando quale causa petendi la sentenza emessa in sede penale, la parte ha inteso promuovere l'azione per la quantificazione del danno, cosi' da non potersi ritenere revocata ai sensi dell'articolo 82 c.p.p., comma 2, la costituzione di parte civile formalizzata nel presente processo (Sez. 5, n. 24869 del 24/01/2017, Masi, Rv. 270457 - 01). 3. Nella sentenza di primo grado, esclusa l'ipotesi accusatoria secondo la quale le cause di innesco e propagazione dell'incendio fossero attribuibili all'impianto fotovoltaico presente sul capannone locato alla (OMISSIS), il tribunale aveva ritenuto (OMISSIS) responsabile di una grave imprudenza, consistita nel consentire l'esercizio di un'attivita' nella quale e' insito il pericolo di incendio all'interno di locali di proprieta' della societa' da lui amministrata in assenza di un impianto di rilevazione fumi funzionante o comunque senza curarsi di appurare che ve ne fosse uno. Tanto sulla base del dato certo che l'incendio avesse avuto origine nei locali in uso alla (OMISSIS) e che l'assenza di un sistema di rilevazione dei fumi funzionante avesse impedito il tempestivo rilevamento della presenza del fuoco e il propagarsi delle fiamme nei locali attigui. In dettaglio, l'impianto di rilevazione antincendio installato dalla (OMISSIS) s.r.l. era stato disattivato dalla locatrice, che aveva in custodia il pannello di controllo dell'impianto, nei locali in uso alla (OMISSIS) per mancata sottoscrizione da parte della societa' conduttrice del relativo contratto di manutenzione, senza previa verifica che la conduttrice avesse attivato autonomamente un proprio impianto. In favore della (OMISSIS) s.r.l. il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno consistente nell'annerimento totale del capannone di mq.1000 contenente merce di abbigliamento e nella distruzione di alcune pedane di merce in coda al capannone, ma ne aveva rimesso la liquidazione al giudice civile. 4. Il giudizio svolto in primo grado a sostegno dell'affermazione del nesso di causa tra la condotta dell'imputato e l'evento si e', dunque, incentrato sul fatto che la societa' amministrata dall'imputato avesse, di fatto, concesso in locazione un immobile, destinato ad un'attivita' produttiva che comporta per sua natura il rischio di incendio, con l'impianto di rilevazione fumi antincendio disattivato. La disattivazione dell'impianto, seppure correlata ad un accordo negoziale in base al quale il conduttore aveva scelto di provvedere autonomamente alla realizzazione di analogo impianto, cosi' risparmiando sulle spese prospettate dalla societa' locatrice in correlazione all'uso dell'impianto antifumo gia' installato, e' stato ritenuto comunque penalmente rilevante dal giudice di primo grado in quanto, secondo generali canoni di prudenza, la societa' locatrice si sarebbe dovuta assicurare che la disattivazione dell'impianto esistente avvenisse in concomitanza con l'istallazione e l'attivazione di un impianto alternativo. 5. Al contrario, il giudice di appello ha valorizzato la legge contrattuale e ha sottolineato che, in base al contratto, nessuna obbligazione gravasse sulla societa' locatrice in merito all'impianto di rilevazione dei fumi, traendone la conseguenza secondo la quale, in assenza di uno specifico obbligo in tal senso, non potesse correlarsi alla condotta dell'imputato l'evento, causalmente riconducibile all'inattivita' dell'impianto di rilevazione dei fumi. 6. Si e' indicato in fatto che la societa' ricorrente ha concluso chiedendo che la Corte di Cassazione, in riforma della sentenza impugnata, riconosca la responsabilita' del proprietario dell'intero complesso industriale, dunque dell'imputato (OMISSIS) in ordine all'incendio causato, non avendo dimostrato il caso fortuito, assumendo rilievo non la circostanza del fondo in cui si sia sviluppato l'incendio, bensi' la sua situazione obiettivamente idonea ad alimentare, con accentuato dinamismo, la propagazione delle fiamme e conseguentemente riconoscere il diritto risarcitorio della parte civile conseguente ai fatti delittuosi accertati e condannare l'imputato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte civile danneggiata nella diversa somma determinata dalla Corte di Cassazione secondo equita', con richiesta di provvisionale immediatamente esecutiva o da liquidarsi in separata sede civile. 7. Tali conclusioni, precedute nell'intestazione dalla richiesta di "annullamento della sentenza impugnata relativamente alla assoluzione dell'imputato e riconoscimento del diritto al risarcimento danni alla parte civile", e da motivi che non enunciano i vizi tipizzati nel codice di rito penale, non soddisfano i requisiti di ammissibilita' del ricorso per cassazione. La Corte di legittimita' ha, infatti, ripetutamente affermato che e' inammissibile il ricorso per cassazione che, pur contenendo l'indicazione dei motivi, formuli richieste estranee alla fase di legittimita', tra l'altro in violazione del "Protocollo d'intesa tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015, che va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'articolo 606 c.p.p. (Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Obambi, Rv. 274471 - 01; Sez. 2, n. 24576 del 26/04/2018, Ngom, Rv. 272809 - 01; Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017 Longo Rv. 271725 - 01). 8. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' del ricorso stesso, nella misura di Euro 3.000,00, oltre alla condanna della societa' ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell'imputato (OMISSIS), liquidate come in dispositivo (ex plurimis, Sez. 1, n. 11175 del 22/01/2021, Capobianco, Rv. 280901 - 01). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche' alla rifusione delle spese in favore di (OMISSIS), liquidate in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Presidente Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. ROLFI Federico - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere Dott. AMATO Cristina - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 30004-2019 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - nonche' contro (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 1494/2019 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 28.02.2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11.05.2022 dal Consigliere AMATO CRISTINA; letta la relazione scritta del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale TRONCONE FULVIO che ha concluso per il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Nel 2012 (OMISSIS) s.r.l. adiva il Tribunale di Cassino per sentire condannare (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) s.p.a. al pagamento delle provvigioni per l'avvenuto espletamento dell'attivita' di mediazione creditizia. Deduceva l'attrice di aver messo in contatto (OMISSIS) S.p.a. con (OMISSIS) S.p.a. per l'erogazione di un finanziamento a favore della prima societa' finalizzato alla realizzazione di un investimento nel settore energetico attraverso l'acquisizione di un impianto fotovoltaico; di aver seguito la fase istruttoria della pratica di finanziamento anche oltre il giorno della conclusione dell'affare intervenuto tra le intermediate in data 29.07.2010 mediante sottoscrizione di scrittura privata autenticata, con la quale la (OMISSIS) s.p.a. erogava alla (OMISSIS) s.p.a. Euro 2.800.000,00 (oltre IVA); di aver chiesto senza esito alle intermediate il pagamento della provvigione (pari al 3% dell'importo complessivo dell'affare sottoscritto dalle parti) ai sensi degli articoli 1754 e 1755 c.c.. Con sentenza n. 1350 dell'11.12.2014, il Tribunale di Cassino rigettava l'istanza attorea ritenendo il credito prescritto (ex articolo 2950 c.c.), in quanto l'affare era stato concluso il 29.07.2010 mentre la richiesta di pagamento risaliva al 14/31.10.2011, dunque ben oltre l'anno imposto dalla legge. 2. (OMISSIS) s.r.l. impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d'Appello di Roma nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (cessionaria del (OMISSIS) s.p.a.) e di (OMISSIS) s.p.a., insistendo per il riconoscimento del proprio diritto alle provvigioni richieste in prime cure; prospettando, altresi', che il contratto di leasing del 29.07.2010 prevedeva la decorrenza del finanziamento dal momento della messa a disposizione dei beni. Resisteva (OMISSIS) s.p.a. proponendo appello incidentale avverso la pronuncia di prime cure nella parte in cui riconosceva l'esistenza del diritto alla provvigione a favore della (OMISSIS) s.r.l.. 3. La Corte d'Appello di Roma, con la pronuncia qui impugnata, rigettava l'appello principale e dichiarava assorbito l'appello incidentale. Per quel che rileva ancora in sede di legittimita', osservava la Corte che: - l'accordo stipulato tra (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a il 29.07.2010 prevedeva che con l'acquisto dei beni da parte del concedente - coincidente con l'erogazione del finanziamento necessario per acquistarli e la contestuale messa a disposizione degli stessi beni a vantaggio dell'utilizzatore - avrebbe preso corso la restituzione mediante piano di ammortamento, con rate che avrebbero inglobato anche il corrispettivo per l'uso; - in tale pattuizione, avendo contenuto obbligatorio immediato, non e' ravvisabile alcuna condizione sospensiva, come invece argomenta l'appellante facendo discendere il dies a quo ex articolo 1757 c.c., comma 1, dal momento in cui si verifica la condizione dell'acquisto dei beni e la loro consegna all'utilizzatore: si e' in presenza, piuttosto, dell'apposizione di un termine di decorrenza dell'obbligo restitutorio del finanziamento, che regola nel tempo le modalita' di attuazione del complesso accordo. 4. Avverso la predetta pronuncia proponeva ricorso per cassazione (OMISSIS) s.r.l. in p.l.r.p.t., affidandolo ad un unico motivo. Resistevano con controricorso (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.. In prossimita' dell'udienza parte ricorrente e (OMISSIS) s.p.a. presentavano memorie. Il P.M. si esprimeva per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1757 c.c., comma 1 e articolo 2950 c.c. (in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)). Nella prospettazione del ricorrente, ai sensi della L. 4 agosto 2017, n. 24 il perfezionamento del contratto di leasing finanziario si verifica al momento della consegna dei beni oggetto della fornitura, poiche' - data la sua causa concreta di contratto di scambio (Cass. Sez. 3, n. 20592 del 29.09.2007) - esso consta di due distinti negozi giuridici (vendita, locazione del bene) tra loro collegati. Tanto che, nel caso di specie, il contratto tra locatore e concedente prevedeva il differimento della sua efficacia non solo al momento della consegna dei beni, ma anche al perfezionamento della pratica di richiesta di contributi di Stato. Quanto all'attivita' di mediazione incontestabilmente svolta dalla ricorrente nella realizzazione dell'affare, non di mediazione ordinaria si tratterebbe, ma di mediazione creditizia, Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, ex articolo 128-sexies (T.U.B.), posta in essere da soggetto autorizzato: in assenza di specifiche disposizioni normative in punto di perfezionamento del diritto alla provvigione, e in virtu' del particolare ruolo svolto dal mediatore creditizio, nonche' della natura degli specifici "affari" conclusi grazie all'interposizione di detta figura, il dies a quo per la richiesta della provvigione non puo' che essere il momento di accettazione dei beni e di erogazione del credito, non gia' la data di stipulazione del contratto di finanziamento. 2. Il motivo e' infondato. Preliminarmente, va disattesa la censura di inammissibilita' sollevata dal controricorrente (OMISSIS) s.p.a, sia sotto il primo profilo della formale proposizione del ricorso da parte del legale rappresentante, (OMISSIS), in quanto inequivocabilmente il ricorso e' affidato al sig. (OMISSIS) non in proprio ma nella sua qualita' di rappresentante legale pro tempore di (OMISSIS) s.r.l.; sia sotto il secondo profilo di inosservanza del requisito dell'autosufficienza ovvero della riproposizione di indagine e valutazione nel merito. Il ricorrente, infatti, ha dedotto la questione di diritto violata dal giudice di seconde cure e inerente la natura del contratto di leasing, descrivendo il contenuto del rapporto nella parte funzionalmente necessaria alle proprie difese. 2.1. Esaminando il merito delle censure elevate dal ricorrente, la normativa speciale sul mediatore creditizio (articolo 124-sexies T.U.B.) ha inteso disciplinare tale figura (insieme al consulente finanziario) al fine di inserire il requisito necessario dell'iscrizione in apposito elenco tenuto dall'Organismo previsto dall'articolo 128-undecies, a tutela dei risparmiatori, diverso dai ruoli della Camera di Commercio secondo il sistema previsto dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39, articolo 2 (come modificato dal Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n. 59, articolo 73). Per il resto, non ha inteso differenziare ulteriormente la figura di mediatore creditizio; tanto che - ai sensi del comma 4 dell'articolo 128-sexies T.U.B. - questi mantiene le caratteristiche di imparzialita' ed indipendenza richieste dalla legge per la figura professionale del mediatore. Se, dunque, anche alla peculiare figura professionale del mediatore creditizio si applicano le regole generali, ove il legislatore non abbia diversamente disposto anche il momento in cui si perfeziona il diritto alla provvigione segue la regola generale di cui all'articolo 1755 c.c., comma 1, in virtu' della quale la provvigione e' dovuta al momento della conclusione dell'affare. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, dalla quale non vi e' motivo di discostarsi, il termine "affare" e' "inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioe' in virtu' del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno" (Cass. Sez. 3, n. 923 del 07.01.2017; Cass. 6-2, n. 24397 del 30.11.2015; Cass. Sez. 3, n. 22000 del 19.10.2007). Nel caso in esame, detto rapporto obbligatorio e' rappresentato dal contratto di finanziamento stipulato in data 29.07.2010: atto attraverso il quale il concedente si obbliga ad acquistare il bene (impianto fotovoltaico) gia' individuato dall'utilizzatore; cede all'utilizzatore diritti futuri, ma determinabili perche' derivanti al concedente dal contratto di fornitura; si obbliga alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da responsabilita' del fornitore (Cass. Sez. U, n. 19785 del 05.10.2015). L'affare, insomma, non puo' essere individuato ne' al momento dell'acquisto dell'impianto fotovoltaico ne' al momento della messa in funzione dell'impianto. In virtu' di quanto si precisera' meglio a breve in tema di natura e struttura del leasing finanziario, il momento di conclusione dell'affare (e quindi il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione) coincide con il momento di conclusione del contratto di finanziamento: atto giuridico, questo, che da' all'intermediato (nella specie, (OMISSIS)) il diritto di agire per l'adempimento o il risarcimento per qualsivoglia reclamo o pretesa derivante dal contratto di fornitura. Le espresse pattuizioni che avrebbero condizionato il contratto di finanziamento stipulato il 29.07.2010 altro non sono che le clausole di interconnessione normalmente in uso nei moduli utilizzati nella prassi commerciale, che consentono di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a carico del concedente e a favore del terzo utilizzatore, cosi' da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che l'unitarieta' di tale operazione e l'interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano. Ne' rileva il compimento - da parte del ricorrente - di ulteriori attivita' ben dopo l'assunzione dei reciproci obblighi tra finanziatore/concedente e finanziato/utilizzatore: come prevede espressamente la legge (articolo 1761 c.c.): "Il mediatore puo' essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento". 2.2. Per quanto riguarda la struttura negoziale del contratto di leasing finanziario, questa Corte (Cass. Sez. U, n. 19785/2015; Cass. Sez. 3, n. 17145 del 27.07.2006; Cass. Sez. 3, n. 10926 del 02.11.1998) riconosce la sostanziale indipendenza dei due contratti di fornitura e di finanziamento: benche' l'operazione di leasing (nelle sue diverse forme) sia sicuramente trilaterale dal punto di vista economico, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario, e il conseguimento del bene nella disponibilita' dell'utilizzatore sia reso possibile dall'intervento del concedente, dal punto di vista giuridico i due contratti (quello di compravendita dei beni e quello di locazione finanziaria) conservano la rispettiva distinzione poiche' il concedente sostiene finanziariamente, nei suoi aspetti essenziali, un'operazione definita da soggetti diversi. Benche' la causa si realizzi mediante il collegamento negoziale tra due diversi rapporti, esso non puo' essere considerato collegamento negoziale in senso tecnico, perche' quel che manca e' il nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si puo' dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verra' concesso in locazione dal compratore/concedente all'utilizzatore/locatario: egli ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente e' quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. In altri termini: la consegna del bene non determina il momento in cui il contratto di finanziamento acquista efficacia, come predicato dalla ricorrente (p. 6 ricorso): essa rappresenta il momento fondamentale dell'esecuzione del contratto di fornitura, ossia l'adempimento dell'obbligazione del fornitore nei confronti dell'acquirente del bene venduto (il concedente) e al contempo l'esecuzione, da parte dello stesso fornitore, di un incarico di mandato commessogli dal concedente nei confronti dell'utilizzatore, che del primo e' creditore in forza del contratto di locazione finanziaria (Cass. Sez. 2, n. 2100 del 29.01.2018). 3. In definitiva, la Corte d'Appello di Roma ha fatto corretta applicazione dei principi sopra esposti, il ricorso deve essere rigettato e le spese regolate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro6.000,00 in favore di (OMISSIS) s.p.a, in Euro5.600,00 in favore di (OMISSIS) s.p.a., e in Euro200,00 per esborsi per ciascun controricorrente, oltre agli accessori di legge nella misura del 15%. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 08-07-2022 del Tribunale di Brindisi; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ZUNICA Fabio; lette le conclusioni rassegnate Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8 dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza dell'8 luglio 2022, il Tribunale di Brindisi, quale Giudice dell'esecuzione, rigettava l'opposizione proposta ex articolo 676 c.p.p. e articolo 667 c.p.p., comma 4 nell'interesse della (OMISSIS) s.r.l., avverso l'ordinanza del 5 gennaio 2022, con la quale era stata disattesa dal Tribunale l'istanza di revoca della confisca, disposta a suo carico nell'ambito del processo penale avente ad oggetto una lottizzazione abusiva ascritta ad altri soggetti, tra cui (OMISSIS), gia' legale rappresentante della societa'. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale pugliese, la (OMISSIS) s.r.l., in persona del suo attuale amministratore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico e articolato motivo, con il quale la difesa eccepisce l'inosservanza dell'articolo 7 della C.E.D.U. in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 2, nonche' la mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, osservando che la confisca disposta a carico della societa', all'esito di un procedimento dal quale la stessa risulta, fin dall'inizio, totalmente estromessa, doveva ritenersi illegittima, venendo in rilievo la violazione del diritto di difesa ex articolo 7 della C.E.D.U., alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale richiamata nell'impugnazione; ne' poteva ritenersi sufficiente in tal senso l'unico rimedio attualmente previsto, ovvero l'esperimento dell'incidente di esecuzione di cui all'articolo 666 c.p.p., soluzione compromissoria non in grado di soddisfare in modo effettivo le ragioni difensive; invero, una volta affermata la natura di "pena" della confisca urbanistica, si impone la necessita', logicamente conseguente alla qualificazione della misura ablatoria, di assicurare al suo destinatario, al pari dell'imputato nel processo penale, l'intervento in sede processuale in cui sia possibile una discussione circa la sua applicazione, ossia il processo di cognizione. La difesa, in ogni caso, ribadisce la totale estraneita' della (OMISSIS) s.r.l. rispetto all'attivita' illecita posta in essere da (OMISSIS) e la buona fede della ricorrente, posto che, a fronte della simultanea e trasparente presentazione di dieci dichiarazioni di inizio attivita' e nel contesto di una normativa poco chiara, la P.A. non solo non ha mai sollevato eccezioni, ma anzi ha dichiarato la pubblica utilita' degli impianti, ingenerando cosi' un legittimo affidamento sulla conformita' degli interventi alla normativa vigente all'epoca dei fatti, ferme restando, in ogni caso, la scarsa chiarezza e precisione della disciplina applicabile e l'assenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione oggetto di giudizio. La condotta tenuta da (OMISSIS), del resto, non avrebbe potuto mai essere rilevata dalla societa', non potendosi ritenere consentita alcuna identificazione tra persona fisica e persona giuridica, tanto piu' in presenza di vari avvicendamenti nelle cariche societarie. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. Occorre evidenziare che, nel confermare il rigetto dell'istanza di revoca della confisca avanzata nell'interesse della (OMISSIS) s.r.l., il giudice dell'esecuzione ha escluso che tale societa' fosse qualificabile come un terzo estraneo al reato. In tal senso e' stato ricordato come nel giudizio di merito sia stato accertato che i dieci impianti fotovoltaici realizzati dovevano considerarsi un unico impianto, di potenza ben superiore a 1 Mtv (e pari all'incirca a 10 Mtv), il cui funzionamento, del tutto artificioso, non aveva altro scopo che quello di eludere la piu' stringente normativa prevista per gli impianti di potenza superiore a 1 Mtv, sottoposti al piu' pregnante controllo della autorizzazione unica regionale di cui al Decreto Legislativo n. 387 del 2007, articolo 12, comma 3. Per ognuno di tali impianti, veniva presentata una d.i.a., dandosi cosi' luogo a una pluralita' di pratiche autorizzative, riconducibili tuttavia a un'unitaria iniziativa imprenditoriale, il cui obiettivo finale era la realizzazione di un unico impianto esprimente una potenza elettrica nominale complessiva ampiamente superiore a 1 Mtv e facente capo, se non a un'unica proprieta' in senso formale, ma a un unico centro di interessi. Principale regista dell'operazione e' risultato essere (OMISSIS), amministratore unico della (OMISSIS), presente in tutti gli snodi cruciali della vicenda: egli si rendeva promissario acquirente nell'atto preliminare di compravendita del 18 febbraio 2008, con cui i proprietari (OMISSIS) e (OMISSIS) promettevano in vendita un terreno avente una estensione pari a circa 28 ettari; con contestuali scritture private, (OMISSIS) autorizzava altri sette soggetti di sua fiducia, tra cui il figlio (OMISSIS), a presentare otto dichiarazioni di inizio attivita', relative ai terreni in oggetto (altre due d.i.a., per altrettanti impianti, venivano presentate dallo stesso (OMISSIS)); i soggetti autorizzati da (OMISSIS) sottoscrivevano le d.i.a., con cui comunicavano di voler effettuare gli impianti fotovoltaici sui terreni, di cui si dichiaravano comodatari. Tutte e dieci le d.i.a. venivano presentate nella stessa data del 22 luglio 2008 e, pur provenendo da soggetti diversi, presentavano caratteristiche comuni, nel senso che per ciascun impianto era stata indicata la medesima potenza di 993,6 Kw, mentre in nessuna dichiarazione erano indicate la data di inizio dei lavori e l'impresa che avrebbe dovuto eseguirli. Ogni dichiarazione era inoltre corredata da relazione tecnica e da una dichiarazione di asseverazione redatta dal medesimo progettista, (OMISSIS), sottoscrittore di una delle d.i.a. E' stato poi sempre (OMISSIS), e non i comodatari autorizzati, a presentare la d.i.a., a sottoscrivere la dichiarazione di rispondenza, allegata alle pratiche, con cui si attestava che nella ubicazione dell'impianto fotovoltaico in zona classificata come agricola dal Comune di Mesagne si era tenuto conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, cosi' come del patrimonio colturale e del paesaggio rurale. Ottenuto il consolidamento delle d.i.a., (OMISSIS) si occupava poi, nell'ottobre 2008, di portare a compimento il passaggio ulteriore, ovvero la costituzione delle societa' aventi come oggetto sociale la realizzazione degli impianti fotovoltaici. Anche in tal caso le iniziative sono risultate riconducibili a una regia unitaria: tutte le societa' sono state costituite in due date, il 13 e il 17 ottobre 2008, davanti allo stesso notaio, avendo le societa' la medesima sede (in (OMISSIS), presso un centro elaborazione dati, il cui amministratore, (OMISSIS), era fortemente implicato nella vicenda in esame), oltre che la stessa struttura, atteso che le quote sociali venivano divise a 50% tra due soci e un soggetto che assumeva la carica di amministratore unico, essendovi evidenti collegamenti interpersonali tra le societa' e i rispettivi legali rappresentanti. Circa due mesi dopo la costituzione delle societa', ovvero il 18 dicembre 2008, le stesse societa' figuravano come acquirenti degli immobili su cui dovevano essere realizzati gli impianti, gia' oggetto del contratto preliminare di vendita in cui risultava promittente acquirente dei terreni (OMISSIS). In favore delle societa' venivano "volturate", a seguito di richieste presentate tutte lo stesso giorno, le dichiarazioni di inizio attivita' presentate dai comodatari autorizzati da (OMISSIS). Analoghe "coincidenze" riguardavano poi i lavori di realizzazione degli impianti, essendosi rilevato che tutte le d.i.a. recavano la stessa data dell'8 aprile 2009, attestandosi in ciascuna di esse che i lavori erano iniziati, per tutti gli impianti, il 3 aprile 2009, essendo altresi' significativo che gli atti trasmessi al Comune di Mesagne presentavano la stessa veste grafica, oltre che la medesima indicazione del direttore dei lavori e dell'impresa esecutrice, ovvero la (OMISSIS) s.r.l., riconducibile al solito (OMISSIS), suo amministratore unico. Anche una volta perfezionatosi l'iter burocratico delle pratiche edilizie, la sorte degli impianti seguiva la medesima strada, non solo perche' le dichiarazioni di fine lavori recavano pressocche' la stessa data, ma anche perche', circa un anno dopo, venivano trasmesse le autocertificazioni relative agli impianti, anch'esse contrassegnate da una tecnica compilatoria identica per forma e stile e dunque riconducibile a un'unica mano. Dunque, nel giudizio di merito era stato accertato che le procedure amministrative sottese all'esecuzione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonte solare si sono svolte su binari paralleli e perfettamente sovrapponibili, cio' a conferma della sostanziale unicita' dell'operazione economico-imprenditoriale, celata dal formale avvio di distinte procedure abilitative, ma in realta' finalizzata alla realizzazione di un impianto sostanzialmente unitario di potenza nominale complessiva di circa 10 Mtv. Cosi' richiamati gli accertamenti operati nel giudizio di merito, l'ordinanza impugnata ha rimarcato la circostanza che l'avvicendarsi di piu' persone nella carica di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. non valeva a dimostrare la rottura del rapporto organico tra chi agi' per la societa' all'epoca dei fatti, ovvero (OMISSIS), e la (OMISSIS), titolare del bene. Ne' la buona fede della societa' poteva essere desunta dal fatto che la P.A. non abbia sollevato eccezioni sulla simultanea presentazione di dieci dichiarazioni di inizio attivita', avendo anzi dichiarato la pubblica utilita' degli impianti, avendo sul punto il giudice dell'esecuzione rilevato che alcun legittimo affidamento poteva essere evocato, posto che la P.A. e' stata evidentemente condizionata anche dall'attestazione, rivelatasi falsa, presentata da (OMISSIS), a seguito di espressa sollecitazione del Comune, circa il fatto. che non vi erano forme di controllo e collegamento con impianti adiacenti o limitrofi destinati alla produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Di qui la conclusione del giudice dell'esecuzione, secondo cui la societa' non aveva potuto provare ne' la rottura del rapporto organico tra chi agi' per la societa' all'epoca dei fatti e l'ente che subi' la confisca, ne' la sussistenza di un acquisto in buona fede del bene. 2. Orbene, l'impostazione seguita dal giudice dell'esecuzione, in quanto sorretta da considerazioni ragionevoli, appare immune da censure, ponendosi in sintonia con la condivisa impostazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Rv. 275756 - 02 e), secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva e di confisca ad essa relativa, non sono soggetti terzi, estranei al reato, ne' la persona giuridica proprietaria dell'area abusivamente lottizzata, che riceve i vantaggi e le utilita' conseguenti al reato, essendo normalmente committente degli interventi in essa realizzati e parte degli atti negoziali relativi e di ogni altra attivita' che viene attuata, ne' quella che e' titolare apparente di beni, la quale rappresenta solo lo schermo attraverso il quale il reo, effettivo proprietario degli stessi, agisce nel proprio esclusivo interesse, difettando, in entrambi i casi, il necessario requisito della buona fede di tale soggetto giuridico, essendosi precisato in tal senso che i principi elaborati dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia (pronuncia evocata anche nel ricorso), sono relativi alla tutela dei diritti della persona giuridica che versi in una condizione di buona fede e, pertanto, possa essere reputata estranea al reato, il che e' stato escluso nel caso di specie all'esito di un percorso argomentativo scevro da profili di illogicita'. Alcuna violazione sostanziale e procedimentale appare quindi ravvisabile, dovendosi in tal senso richiamare anche l'affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 13539 del 30/01/2020, Rv. 278870 - 04, ricorrente Perroni, hanno chiarito che, in tema di lottizzazione abusiva, le questioni relative alla conformita' della confisca al principio di protezione della proprieta' di cui all'articolo 1 del Prot. n. 1 della C.E.D.U., come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, possono essere proposte dagli interessati al giudice dell'esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita, non precludendo cio' le necessarie tutele, dovendosi considerare che, in tale fase, al fine di compiere l'accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'articolo 666 c.p.p., comma 5). 3. Esclusa la sussistenza di vizi procedimentali, deve dunque ribadirsi che il provvedimento impugnato resiste alle censure difensive che, rispetto al tema sostanziale dell'asserita buona fede della societa' ricorrente, si articolano nella sostanziale proposta di differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in questa sede. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse della (OMISSIS) s.r.l. deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Anna Mantovani - Presidente dr. Irene Lupo - Consigliere rel. dr. Francesca Vullo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione ritualmente notificato DA (...) S.R.L., elettivamente domiciliato in VIA (...) LODI presso lo studio dell'avv. Cr.Ga., che la rappresenta e difende come da delega in atti -APPELLANTE CONTRO FALLIMENTO (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in VIA (...) CODOGNO presso lo studio dell'avv. ST.MA., che la rappresenta e difende come da delega in atti- APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato il Fallimento (...) s.r.l. in liquidazione conveniva in giudizio (...) s.p.a. chiedendo, a mente degli artt. 2901 c.c. e 66 l.f., la declaratoria di inefficacia delle seguenti operazioni negoziali poste in essere dalla società (...) in bonis e da (...): vendita da parte di (...) del capannone di (...) al prezzo di Euro 1.258.597,52 in data 7.8.2012; stipula in data 25.8.2012 di un contratto di locazione con canone annuo pari a Euro 100.000,00 avente ad oggetto il predetto immobile concesso in locazione a (...); vendita in data 13.12.2012 da (...) a (...) della partecipazione sociale nella (...) s.r.l. Sosteneva l'attore che mediante tali atti la società (...) in bonis, nel corso dell'anno 2012, avesse compiuto una sistematica dismissione del proprio patrimonio in favore di (...) e in pregiudizio delle proprie ragioni creditorie . In particolare, il Fallimento deduceva che: - in data 22.7.2010 (...) aveva acquistato da (...) s.r.l. il capannone sito in (...) B. d'A., via P. n. 44, per un prezzo di 1.050.000 (di cui Euro 950.000,00 con somma ricevuta a titolo di mutuo dal (...) ed Euro 100.000,00 da versare alla venditrice entro 30.9.2010); - nel contratto di compravendita le parti avevano dato atto dei necessari interventi di manutenzione e di ristrutturazione degli immobili; - acquisita la proprietà del capannone, (...) aveva effettuato sull'immobile interventi di manutenzione straordinaria, incrementando il valore dell'immobile a Euro 1.170.023,14; - in data 7.8.2012 (...) aveva venduto il capannone di (...) a (...) al prezzo di Euro 1.384.457,27 (di cui Euro 908.597,52 mediante accollo da parte dell'acquirente del debito residuo gravante sulla venditrice per la restituzione del mutuo ipotecario concesso da (...) ed Euro 475.859,75 a mezzo di assegni bancari); - quanto all'accollo in capo a (...) del mutuo concesso a (...) 5, (...) (...) spa (di seguito (...)) aveva dichiarato espressamente in data 23.8.2012 di non liberare (...) dall'obbligo di restituzione degli importi erogati, riservandosi ogni valutazione circa la proposizione di azione revocatoria; - gli assegni bancari del valore complessivo di Euro 475.859,75 non erano mai stati incassati da (...), di contro venivano effettuati da (...) pagamenti differenti e per importi inferiori complessivamente pari a Euro 194.500,00, residuando una differenza di Euro 281.359,75 non pagati; - in data 25.8.2012 (...) aveva poi concesso in locazione a (...) il capannone oggetto di causa pattuendo un canone annuo di Euro 100.000,00, con esclusione dei tetti di copertura del capannone che la locatrice aveva riservato per sé in via esclusiva; - il contratto di locazione prevedeva che il pagamento delle prime due annualità del canone di locazione sarebbe stato effettuato anticipatamente mediante compensazione con parte del corrispettivo prezzo fissato per la compravendita; - il contratto di locazione prevedeva un termine di 24 mesi per comunicare il mancato rinnovo del contratto e pari termine di preavviso per l'esercizio del diritto di recesso; - il contratto di locazione prevedeva inoltre che in caso di ritardato pagamento per un periodo di 20 giorni rispetto alla scadenza anche solo di una parte di una singola rata del canone, la locatrice avrebbe potuto risolvere il contratto per inadempimento della conduttrice, applicando una penale pari all'intero ammontare dei canoni di locazione calcolati fino alla scadenza naturale del contratto; - terminato il biennio di anticipato pagamento dei canoni, (...) non era più riuscita a sostenere il gravoso peso economico del contratto di locazione e (...) le aveva intimato lo sfratto per morosità avvalendosi della clausola risolutiva del contratto di locazione, dichiarato risolto dal Tribunale di Lodi con sentenza n. 218/2017 del 22.3.2017; - in data 28.11.2011 (...) aveva acquistato il 70% delle partecipazioni di (...) srl al prezzo di Euro 147.000,00, contestualmente divenendo cessionaria di un credito finanziamento soci pari a Euro 110.037,90; - in data 13.12.2012 (...) aveva venduto la propria quota societaria in (...) a (...) per un importo di Euro 64.400,00; - con il medesimo atto (...) aveva acquistato il restante 30% delle partecipazioni di (...), così divenendo unica proprietaria del capitale sociale della società; -tale atto di vendita non aveva tuttavia previsto la cessione a favore di (...) dei crediti da finanziamento soci, rimasti in capo ai cedenti, fra cui (...); - il pagamento del prezzo pattuito è stato corrisposto con modalità differenti rispetto a quelle indicate e in un periodo successivo all'atto dispositivo. Si costituiva (...) e chiedeva il rigetto delle domande formulate dal Fallimento deducendo che: - in data 22.7.2010 veniva stipulato mutuo ipotecario tra (...) e (...) per l'importo di 1 milione di Euro, con iscrizione ipotecaria di importo pari a Euro 1.800.000,00; - a fronte dell'esborso più di Euro 200.000,00 circa sostenuta per l'acquisto del bene (di cui Euro 100.000,00 versati da (...) alla precedente venditrice (...), oltre rate di mutuo), (...) incassava dalla vendita a (...) l'importo di Euro 475.859,75 che veniva interamente corrisposto con le seguenti modalità: Euro 194.500,00 a mezzo bonifici bancari; Euro 39.359,75 a mezzo pagamento direttamente a mani di (...) di 4 rate di mutuo; Euro 25.000,00 tramite bonifico in data 23.1.2013; Euro 10.000,00 mediante assegno in data 1.2.2013; i residui Euro 242.000,00 ponendo in compensazione il controcredito di (...) nei confronti di (...) a titolo di canoni di locazione; - dopo aver acquisito l'immobile, (...) faceva rimuovere la copertura eternit e rifaceva il tetto e (...), conduttrice del lastrico solare, faceva installare un impianto fotovoltaico; - in data 25.5.2014 (...) ha stipulato con (...) s.r.l. (poi (...) s.r.l.) contratto di affitto del ramo di azienda esercitato nel capannone di (...), senza darne notizia alla proprietaria (...), con cui le parti hanno previsto la sublocazione di una porzione dell'intero immobile, dietro il pagamento di un canone - (...) tuttavia non versava alcun canone di locazione alla proprietà, costringendo (...) a proporre procedimento di sfratto per morosità; - con la sentenza n. 218/2017 del 28.4.2017 il Tribunale di Lodi accertava l'inadempimento della conduttrice per la somma di Euro 75.000,00 oltre IVA, nonché l'intervenuta risoluzione di diritto del contratto di locazione sin dal 21.5.2015; - nessuna somma a titolo di canoni di locazione veniva mai versata a (...) né il bene immobile e rientrava nella disponibilità della proprietaria; - in data 18.10.2016 (...) veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Lodi; - con domanda del dicembre 2016 (...) chiedeva di essere ammessa la passivo del Fallimento in via privilegiata ex artt. 2764 e 2758 comma 2 c.c. per la somma di Euro 95.957,40 oltre IVA a titolo di canoni di locazione mai ottenuti dal settembre 2014 a giugno 2015, in prededuzione ex art. 111 l.f. per la somma di Euro 134.340,65 oltre IVA a titolo di canoni/indennità di occupazione senza titolo mai versate dal Fallimento dal giugno 2015 al marzo 2017 e in prededuzione per le somme corrispondenti all'occupazione senza titolo dal marzo 2017 al rilascio, mai avvenuto, del capannone; - il (...) escludeva il credito vantato da (...) che promuoveva opposizione allo stato passivo R.G. 1210/17, nell'ambito del quale la Curatela si costituiva svolgendo eccezione revocatoria; - (...) aveva continuato a versare regolarmente (ad oggi Euro 310.695,60) le rate di mutuo a (...); - Per quanto attiene alla vendita delle partecipazioni sociali di (...), (...) aveva conseguito un guadagno di Euro 28.400,00, avendo venduto a (...) le proprie quote al prezzo di Euro 64.400,00 a fronte di un valore delle stesse pari a circa Euro 36.000,00 (tenuto conto del mancato trasferimento a (...) dei crediti ceduti); -L'ulteriore 30% delle quote di (...) era stato acquisto da (...) a prezzi analoghi. Il Tribunale di Lodi con sentenza n.74 del 2021, in accoglimento delle domande attoree, ritenuti sussistenti i presupposti di cui agli art.2901 c.c. e 66 l.f., dichiarava inefficaci nei confronti del Fallimento di (...) in liquidazione : l'atto di compravendita (...) Srl alla (...) Srl avente ad oggetto l'immobile sito in (...) B. (...) (L.), Via P. 44, capannone con sovrastante lastrico solare e con annessi fabbricati accessori ed area di pertinenza; il contratto di locazione stipulato tra (...) srl e (...) srl in data 25.08.2012, e registrato ad Acireale in data 23/10/2012 al n.002800, con il quale la società (...) Srl aveva concesso in locazione alla (...) srl l'immobile sito in (...) B. d'A., Via P. 44; la scrittura privata autenticata con la quale (...) srl aveva venduto a (...) srl la quota del 70% della partecipazione sociale della società (...) srl. Avverso tale decisione proponeva appello (...), chiedendone la riforma, mentre il Fallimento, costituendosi, eccepiva l'inammissibilità del gravame e ne chiedeva, comunque, il rigetto. La Corte, fatte precisare le conclusioni, come in epigrafe trascritte, decorsi i termini assegnati alle parti per il deposito degli scritti conclusionali, ha trattenuto la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare si osserva come sia allo stato superata la richiesta, formulata dagli appellati, di applicazione del disposto di cui all'art. 348 bis c.p.c., in quanto già assorbita dalla stessa preferenza assegnata alla pronuncia di sentenza ordinaria a cognizione piena, non limitata ad un giudizio di tipo probabilistico, avendo la Corte ritenuto di non avvalersi della sua discrezionale facoltà di decidere a norma della disposizione citata: invero l'articolazione della materia controversa mal si conciliava con il giudizio meramente probabilistico previsto dall'art. 348 bis c.p.c., rendendo perciò opportuna la delibazione della causa con cognizione piena. Deve inoltre essere disattesa l'eccezione d'inammissibilità dell'appello sollevata dall'appellata ex art. 342 c.p.c., dal momento che, alla luce dell'ampia interpretazione, ispirata a criteri di conservazione processuale, fornita di tale norma dalla Suprema Corte (cfr., per tutte, Cass. S.U. 27199/2017), deve ritenersi che l'atto introduttivo, letto nel suo complesso, contenga gli elementi indispensabili a consentire un esame del merito, nel rispetto dei vincoli dettati dalla norma citata, risultando da esso desumibile quali parti della sentenza di primo grado si intendano censurare, quali siano le modifiche richieste, nonché l'indicazione delle circostanze da cui deriverebbe la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Venendo, dunque al merito del gravame, con riferimento alla domanda revocatoria azionata, in via generale si osserva che, siccome il patrimonio del debitore costituisce per il creditore garanzia generica per il soddisfacimento delle obbligazioni gravanti sul debitore medesimo (art. 2740 c.c.), al fine di impedire che il patrimonio del debitore subisca diminuzioni che vadano a modificare qualitativamente o quantitativamente la garanzia medesima, l'ordinamento attribuisce al creditore un rimedio volto ad assicurarne la conservazione mediante l'azione revocatoria ordinaria - o pauliana (disciplinata dall'artt. 2901 e ss. c.c. e dall'art. 66 l. fall. qualora venga esercitata dal curatore del fallimento del debitore). In particolare, l'art. 66, co. 1, l. fall. stabilisce che il curatore può agire in revocatoria per la ricostruzione dell'attivo fallimentare affinché "siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile" (art. 2901 c.c.). L'azione può promuoversi anche se il credito non è certo, liquido ed esigibile, oggetto di contestazione in diverso giudizio o soggetto a condizione o a termine, dal momento che l'accertamento giudiziale del credito non costituisce l'antecedente indispensabile della pronuncia sulla domanda di revocatoria. Dopo l'apertura del fallimento, legittimato all'esercizio dell'azione è il solo curatore fallimentare, il quale agisce come sostituto processuale della massa (azione di massa). L'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria è subordinato alla esistenza del requisito soggettivo, rappresentato dalla consapevolezza della lesione della garanzia patrimoniale generica che deve essere nota tanto al debitore fallito (scientia fraudis) quanto al terzo contraente per gli atti a titolo oneroso (partecipatio fraudis). Il presupposto oggettivo dell'azione (eventus damni), è rappresentato dalla lesione della garanzia patrimoniale, da intendersi anche come maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nel recupero coattivo del credito (Cass. n. 12144/99 e Cass. n. 2971/99), sussistendo cioè tale lesione anche quando il patrimonio subisca nella sua consistenza una variazione solo qualitativa ( Cass. n. 31654/19 Cass. n. 2792/2002 e Trib. Milano 7.11.12) e non anche quantitativa. E', pertanto, sufficiente il pericolo di danno, non essendo necessario il danno effettivo. Quanto all'onere probatorio, il curatore che agisce in revocatoria deve provare, che tutti o solo alcuni dei crediti ammessi al passivo già esistevano al momento della formazione dell'atto revocando, e che l'atto revocando ha comportato una maggior incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del ceto creditorio. 1. Esaminando dunque attraverso il prisma dei principi generali sottesi all'azione revocatoria sin qui delineati, i motivi di appello, con il primo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale, nonostante l'intervenuta risoluzione del contratto di affitto, ha affermato la revocabilità del contratto di locazione del capannone stipulato tra la società (...) in bonis e (...), riconoscendo in capo al Fallimento l'interesse ad agire in relazione all'esperita azione ex artt. 2901 c.c. e 66 l.f. Sostiene, a tale riguardo, che il primo giudice abbia erroneamente applicato il principio di diritto desumibile da Cass. 23016/2004, ritenendo ammissibile la revocatoria di un contratto risolto (nella fattispecie dichiarata, con effetto dal 21/5/2015, con sentenza passata in giudicato nel procedimento di sfratto per morosità) alla data di proposizione della domanda. Deduce infatti che l'azione non sarebbe esperibile a fronte di un contratto i cui effetti sono definitivamente cessati, né potendosi rinvenire l'interesse ad agire dalla circostanza che (...) abbia proposto dall'istanza di insinuazione al passivo; ciò in quanto tale domanda attiene a crediti vantati dall'odierna appellata nei confronti del Fallimento relativi al mancato versamento di somme canoni non pagati e occupazione sine titulo, i quali non rappresenterebbero effetti perduranti del contratto ma deriverebbero dall'inadempimento di controparte. La censura è fondata. Infatti, il contratto di locazione, non determina alcun effetto traslativo del bene, e, pertanto, in via generale non pregiudica la garanzia patrimoniale generica del creditore, salvo che si tratti di locazioni ultranovennali : queste, viceversa, sono soggette all'azione revocatoria, qualora ne ricorrano gli estremi, in quanto, pur non essendo traslative del bene, limitano, anche indirettamente, nella loro lunga durata, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore (Cass. n. 25854/2020). Nel caso si specie dalla documentazione versata in atti risulta che il contratto di locazione del capannone stipulato il 25.08.2012 tra la società (...) in bonis e (...) per la durata di sei anni era stata dichiarato giudizialmente risolto alla data del 21/5/2015 per inadempimento della conduttrice e, dunque, in data anteriore alla dichiarazione del Fallimento, intervenuta il 18.10.2016. Alla luce delle suddette circostanze, contrariamente a quanto statuito dal giudice di prime cure, deve ritenersi che nessun interesse ad agire poteva riconoscersi in capo al Fallimento al momento della proposizione della domanda revocatoria, atteso che la garanzia patrimoniale generica dei creditori non è stata pregiudicata da un contratto non traslativo della proprietà né idoneo a vincolare la proprietà per lunga durata e comunque risolto. L'accoglimento del motivo di appello assorbe le censure di cui al quarto motivo inerente la congruità del prezzo di locazione. 2. Con il secondo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistenti i requisiti normativamente previsti per l'esperibilità dell'azione revocatoria, ovvero a) la preesistenza di crediti di (...) in bonis rispetto agli atti di disposizione patrimoniali impugnati e b) il grave pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori. Sub a), con riguardo all'anteriorità dei crediti, l'appellante deduce la mancata prova, da parte del Fallimento, della sussistenza dei crediti indicati, precisando che il credito vantato da (...) non rileva in quanto l'istituto di credito non avrebbe chiesto di essere insinuato al passivo del Fallimento. Sub b) con riferimento alla natura pregiudizievole degli atti dispositivi oggetto di causa, l'appellante lamenta l'erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistente l'eventus damni anche in assenza di prova da parte del Fallimento della circostanza che il patrimonio relitto a seguito della vendita di capannone e quote sociali non fosse idoneo a soddisfare i crediti a quell'epoca sussistenti. Ritiene la Corte che il motivo non sia fondato. Invero, sub a) quanto alla consistenza del passivo fallimentare e alla preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole, dalla documentazione versata in atti e puntualmente richiamata dal Tribunale (doc. 19, 26-29, 32-26 e 38bis ), già nell'anno 2012 la società (...) risultava debitrice dei seguenti importi: -euro 267.047,11 nei confronti del (...), come riconosciuto da (...) (pag 16 atto di appello) nell'agosto 2012 aveva comunicato a (...) l'accoglimento della proposta di pagamento rateale dell'intera esposizione debitoria di Euro 267.047.11 (doc. 6 Fallimento) -euro 111 .272,38 nei confronti di U., quale importo derivante dalla revoca dell'affidamento e contestuale recesso dal conto corrente n.(...) della società effettuato in data 05/06/2012 (doc.36 fasc. Fall) e riportato nel ricorso e pedissequo decreto ingiuntivo del 26/02/2016 (doc 28/b fasc. Fall). -euro 5.147,00, nei confronti di (...), (docc.27/a; 27/b) quale importo dovuto a saldo delle seguenti fatture: n.(...) del 13/03/2012 (euro 3.234,32), relative al periodo ottobre - dicembre2011; n.(...) del 28/05/2012 (euro 1.912,68), relative al periodo gennaio 2012 - marzo 2012. Si tratta di fatture rimaste impagate anche all'epoca del trasferimento dei beni oggetto di azione revocatoria come risulta dalla lettura del ricorso per decreto ingiuntivo del 06/11/2013 (doc. 27/c); -euro 6.868,59 nei confronti di Equitalia (doc.29), relative a crediti esattoriali relativi al periodo 2009-2011; -euro 151.452,48 nei confronti dell'Inps, credito che trae titolo dal verbale di accertamento del 14.2.2012 (doc. 29 bis e doc. 35/a fasc. Fallimento). In ordine a quest'ultimo importo non rileva la circostanza- evidenziata dall'appellante- che tale credito fosse "sub iudice" atteso che, come chiarito dalla Suprema Corte, e come già detto, anche un credito litigioso può essere tutelato ai sensi dell'art. 2901 cod. civ.; ciò in quanto tale norma "ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore"( Cass. Civ., Sez.3, n.22859/2019). Sub b) con riferimento al grave pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori, il Fallimento ha provato che il soddisfo delle ragioni creditorie fosse divenuto, per i creditori sociali all'epoca esistenti, oggettivamente più difficoltosa tant'è che, come risulta da ispezione catastale e visura dei RRII (prodotta quale doc, 30 fasc. Fallimento), residuavano in capo alla società, poi fallita, beni dal valore complessivo di Euro 10.000,00 e, dunque, del tutto incapienti rispetto al soddisfacimento dei creditori. Sempre con riferimento all'eventus damni, con il terzo motivo di gravame l'appellante lamenta l'erroneità della pronuncia impugnata per aver il Tribunale, valutato non correttamente gli atti di causa. Sostiene a tale riguardo che nessuna delle circostanze considerate dal Tribunale in ordine alla predetta operazione negoziale sia idonea a fornire dimostrazione della lesione delle ragioni creditorie. In particolare, l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il giudice di prime cure ha affermato: a) la non congruità del prezzo della vendita dell'immobile (euro 1.258.597,52) rispetto al valore effettivo del bene (euro 1.805.000,00); b) l'anomalia delle modalità di pagamento del prezzo della vendita pattuite nell'atto di compravendita, stante la natura non liberatoria dell'accollo da parte dell'acquirente (...) del mutuo stipulato dalla società (...) con il (...) ; c) il mancato versamento dell'intero prezzo della compravendita alla società venditrice (...) in bonis; d) l'irrilevanza della presenza di ipoteche sull'immobile trasferito ad escludere il requisito del pregiudizio per il creditore chirografario e l'interesse di questi a proporre l'azione revocatoria. In particolare: a. con riferimento al prezzo della compravendita (...) evidenzia che il Tribunale erroneamente valutando le risultanze della Ctu svolta in seno al procedimento di primo grado ha considerato quale valore effettivo dell'immobile oggetto della vendita l'importo di Euro 1.585,031,25 in luogo di quello 1.335.031,25, ritenendo provata la circostanza dell'assenza di fibre di amianto all'atto dell'avvenuta stipula. Sostiene a tale riguardo come le spese per la rimozione dell'eternit, pari a Euro 200.000,00 Euro siano stati sostenute da (...) dopo aver acquisito l'immobile, in accordo con (...), conduttrice del lastrico solare, che successivamente aveva fatto installare un impianto fotovoltaico. b. In ordine alle pattuite condizioni di pagamento del prezzo l'appellante deduce che non possa venire in rilievo la circostanza che l'accollo del mutuo stipulato con il (...) avesse natura non liberatoria per la società venditrice (...), in quanto condizione del tutto indipendente dall'appellante; né possa considerarsi pregiudizievole per i creditori la compensazione di parte del prezzo (Euro 200.000,00 oltre IVA) con il canone di locazione dei primi due anni, dalla quale, piuttosto, la società (...) avrebbe tratto esclusivamente benefici di natura fiscale, quali il recupero dell'Iva e la deduzione del canone versato in via anticipata. c. Con riguardo al mancato versamento del prezzo della vendita da parte di (...), l'appellante osserva che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale che ha affermato come a fronte dell'importo di Euro 475.859,75 ne sono stati pagati (in un periodo di tempo successivo) solo Euro 194.500,00, l'intera somma della compravendita è stato corrisposto secondo le seguenti modalità -Euro 194.500,00 a mezzo di bonifici bancari/assegno nei mesi immediatamente successivi alla vendita - Euro 242.000,00 ponendo in compensazione il controcredito di (...) nei confronti della (...) a titolo di canoni di locazione per i primi due anni ; -Euro 39.359,75 con pagamento diretto a mani del (...) di 4 rate di mutuo (da aprile a luglio 2012) la cui componente relativa agli interessi per Euro 9.363,19 andava imputata al prezzo dell'immobile in quanto non di competenza dell'acquirente ma di (...); -Euro 25.000,00 con bonifico in data 23/1/2013 (la causale riportata nell'estratto c/c è errata visto che le quote risultano già integralmente pagate) - ed infine Euro 10.000,00 con assegno circolare dell'1/2/2013. d. Con riferimento all'ipoteca iscritta sull'immobile venduto, evidenzia che la presenza della stessa, sul capannone, del valore di Euro 1.800.000,00, per un debito residuo che tanto al momento della compravendita quanto oggi consentirebbe il soddisfo del solo creditore ipotecario (il mutuo residuo al maggio 2018 ammontava ancora a più di Euro 674.000,00 doc. 21 ed oggi ammonta in sorte capitale ad Euro 596.260,00 circa), rende la sua vendita a (...) del tutto irrilevante nei confronti dei creditori chirografari i quali non avevano allora e non avrebbero oggi la possibilità di ricavare alcunché dalla vendita forzata dell'immobile. Anche questo motivo di appello è infondato. Infatti, quanto ai punti sub a,b,c) come si è detto, l'eventus damni può consistere anche in un atto dispositivo che, senza diminuire il patrimonio del debitore, determini una variazione anche solo qualitativa del patrimonio dello stesso tale da rendere più incerto o più difficile il soddisfacimento del credito. Infatti, il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito. Nella specie, la circostanza che il prezzo di acquisto dell'immobile fosse o meno congruo rimane dunque assorbita nel pregnante rilievo che l'eventus damni è , per quanto sopra detto, di per sé ravvisabile nella variazione qualitativa del patrimonio del debitore laddove il bene immobile, per sua natura facilmente aggredibile dai creditori, è stato sostituito da denaro bene per antonomasia volatile e quindi più facilmente disperdibile. Per quanto riguarda poi il punto sub d) ossia la presenza sul capannone, di ipoteca del valore di Euro 1.800.000,00, per un debito residuo tale da assorbirne l'intero valore, la stessa secondo la giurisprudenza della Cassazione non è comunque idonea ad escludere l'eventus damni. Infatti, "in tema di azione revocatoria ordinaria, l'esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l'intero valore, non esclude la connotazione di quell'atto come "eventus damni" (presupposto per l'esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria" (Cass n. 11892 / 13). Peraltro, deve aggiungersi che, nella specie, la previsione della natura non liberatoria dell'accollo del mutuo ipotecario in capo alla venditrice (...) (doc. 6 Fall.) ha determinato una dismissione del bene immobile a fronte della permanenza in capo alla stessa dell'obbligazione di pagamento dell'importo di Euro 908.597,52: circostanza che, oltre a denotare un'anomala modalità di versamento del prezzo della compravendita, costituisce una eclatante compromissione della garanzia patrimoniale della società (...) in pregiudizio dei creditori della medesima. 3. Con il quinto motivo di gravame l'appellante si duole della pronuncia impugnata laddove il Tribunale, ha affermato la natura pregiudizievole della vendita a (...) da parte di (...) della quota del 70% della propria partecipazione sociale della (...) srl. Sostiene, a tale riguardo, che contrariamente a quanto statuito dal giudice di prime cure in adesione alle risultanze della CTU contabile disposta, non vi fosse alcuna sproporzione tra il valore delle suddette partecipazioni sociali e il prezzo di vendita delle stesse. Anche questo motivo di appello non è fondato. Infatti, le medesime considerazioni sopra svolte vanno ribadite anche in ordine alla sussistenza dell'eventus damni con riferimento all'avvenuta cessione a (...) delle quote societarie della (...) da parte della società L.. Invero anche l'atto di trasferimento delle quote, peraltro intervenuto a pochi mesi dalla compravendita del capannone, ha determinato una variazione qualitativa nel patrimonio del debitore, atteso che, come già detto, mentre il denaro è bene distraibile per eccellenza, le quote societarie, invece, sono bene infungibile, soggette a registrazione e pignorabili a norma dell'art. 2471 c.c. e, pertanto caratterizzate da una minor volatilità del denaro che come tale rende più incerto e difficoltoso il soddisfacimento del credito. 4. Con il sesto e settimo motivo di gravame l'appellante contesta la scientia damni in capo al debitore. Deduce, a tale riguardo, che tali operazioni hanno consentito alla società (...) di proseguire nella propria attività d'impresa alleggerita da gravami fiscali ed agevolata dall'aumento di liquidità e che, quindi, il debitore fosse non consapevole di arrecare ai creditori un danno attraverso il compimento dell'atto dispositivo. In particolare, attraverso l'operazione negoziale complessivamente considerata, la società (...) aveva intenzione di appianare le proprie passività ; decidendo di "monetizzare alcuni dei propri beni (capannone e quote D.), vendendoli sul libero mercato e ricavando in questo modo indubbiamente DI PIÙ di quanto i creditori avrebbero potuto ottenere aggredendoli in via esecutiva" (così pag. 53 atto di appello). La censura è infondata. Risulta dalla documentazione versata in atti che a decorrere dal 5.05.2012 U. aveva revocato i fidi bancari concessi in bonis alla (...) in relazione allo scoperto di conto corrente n.(...) per la somma pari ad euro111 .272,38, e che nel luglio 2012 la società aveva conferito mandato legale per la proposizione di un concordato stragiudiziale. Tali circostanze, indicative della consapevolezza della situazione di insolvenza nella quale versava la debitrice, poi, fallita, unitamente considerate alle modalità con le quali la stessa società nei mesi immediatamente successivi (agosto- dicembre 2012) ha compiuto atti dispositivi attraverso i quali, sostituendo beni facilmente aggredibili in via esecutiva con beni , quali il denaro, facilmente distraibili dall'azione esecutiva, costituiscono idonea prova, della scientia damni in capo a L.. 5. Con l'ottavo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato il consilium fraudis in capo a (...). Sostiene a tale riguardo che le circostanze valorizzate dal giudice di prime cure a tal fine siano insussistenti e, comunque, inidonee a provare la consapevolezza dell'odierna appellante dello stato di insolvenza della (...) e del pregiudizio arrecato ai creditori della medesima attraverso le operazioni negoziali compiute. La censura è infondata. In via generale va detto che la valutazione del profilo soggettivo in termini di c.d. scientia damni, ossia di consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio arrecato al creditore, può essere provata anche tramite presunzioni, l'apprezzamento delle quali è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (tra le tante, Cass., 17 agosto 2011, n. 17327; Cass., 5 marzo 2009, n. 5359). In questo senso assumono rilievo anche le qualità delle parti, le modalità e tempistiche del negozio, rispetto alle pretese del creditore ( Cass. n. 25016/08). Inoltre, ai fini della valutazione del profilo soggettivo nel terzo acquirente è sufficiente la consapevolezza, che, mediante l'atto di disposizione, il debitore diminuisca il proprio patrimonio e, quindi, la garanzia spettante ai creditori, ai sensi dell'art. 2740 c.c., in modo tale da recare pregiudizio alle ragioni di costoro. Tanto premesso, come osservato dal giudice di primo grado la consapevolezza da parte de terzo acquirente (...) del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie mediante l'operazione commerciale posta in essere con (...), si desume, anzitutto, dalla commistione tra debitore e terzo , in quanto l'avvocato (...) di Lentini, incaricato da (...) in data 26.7.2012 proprio per la gestione della crisi aziendale, deteneva il 34% della (...) ed era associato con il legale rappresentante della (...) (P.M.) nello studio legale "(...) avvocati e commercialisti associati" ; nonché dalla contiguità temporale tra il conferimento dell'incarico (luglio 2012) e il compimento degli atti dispositivi del patrimonio (agosto e dicembre 2012) . Circostanze alla luce delle quali, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, risultano idonee a provare il consilium fraudis di (...). Del resto le stesse modalità della vendita dell'immobile con la previsione della natura non liberatoria dell'accollo denotano l'anomalia dell'operazione avvalorata ulteriormente dalla contiguità temporale del trasferimento delle quote sociali e quindi dello spoglio della (...) in un momento di crisi conclamata che (...) per quanto sopra detto non poteva certo ignorare. Infatti, (...) Srl, oltre a essere pagata in quota-parte mediante accollo non liberatorio del mutuo ipotecario e oltre a privarsi di ulteriore liquidità anticipando alla locatrice (...) due annualità del canone di locazione, si privava anche della residua quota-parte corrisposta in forma "liquida" (pari Euro 475.859,75) consegnando gli assegni bancari all'Avv. (...) ( come detto, legale e socio della parte acquirente) e rimettendo la disponibilità di tali somme al consenso scritto della parte acquirente (...) Srl. Viene, inoltre, previsto "che sia la soc. (...) Srl ad effettuare, su mandato scritto della soc. (...) Srl, il pagamento diretto nei confronti di alcuni creditori della ridetta soc. venditrice" ( verbale 7-8-2012 sottoscritto dai legali rappresentanti di (...) e di (...) doc 62 mem 183 n. 2 deposito integrativo fasc I grado). Questa modalità di pagamento non fisiologica rende manifesta la sussistenza del consilium fraudis in capo a (...). 6. Con il nono motivo di gravame l'appellante censura l'omessa pronuncia da parte del Tribunale della domanda subordinata di (...) volta a limitare il diritto del Fallimento a soddisfarsi sul ricavato della vendita forzosa del capannone e delle quote (...), detratto l'importo residuo del mutuo (...) di cui (...) continuerebbe ad essere debitrice (circa Euro 600.000,00 al gennaio 2021), oltre ai costi di ripristino/sistemazione del tetto del capannone. La censura è destituita di fondamento. Sebbene in giudice di prime cure non abbia motivato in ordine a tale domanda, deve osservarsi come essa risulti inammissibile, atteso che il credito in esame, costituendo una quota- parte del prezzo versato per la compravendita del capannone dall'odierna appellante alla società (...) in bonis, dovrà essere accertato secondo le norme del capo V l. fall. e cioè nell'ambito della verifica dello stato passivo e del giudizio di opposizione già pendente. Le medesime considerazioni valgono in ordine alla domanda ulteriormente subordinata di condanna del fallimento a versare all'appellante l'indennità di occupazione senza titolo dell'immobile per il periodo dal settembre 2014 sino al rilascio del bene avvenuto in data 14-3-18. Dunque si tratta di domande improcedibili in questa sede, e per tale ragione vengono rigettate. L'appello è, dunque, accoglibile limitatamente al capo della sentenza relativo alla revoca del contratto di locazione, dovendosi per il resto confermare la sentenza di primo grado. 8. Venendo, quindi, alla disciplina delle spese di lite, è consolidato il principio di diritto secondo cui ex art. 336 c.p.c. comma 1 "la riforma della sentenza di primo grado, anche parziale, ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata ( cosiddetto effetto espansivo interno) e determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice di appello, di provvedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse"(Cass.n. 13059/17). Nel caso di specie, considerato l'esito complessivo della lite che ha visto revocare due atti rispetto ai tre richiesti dal fallimento, la nuova regolazione delle spese alla luce della soccombenza finale comporta tra il Fallimento (...) srl e (...) srl la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio e di ctu in ragione del 30%, e la condanna (...) al pagamento del residuo 70% a favore dell'appellata, che si liquidano come da dispositivo sulla base del valore della lite, delle questioni trattate e delle tariffe professionali vigenti. P.Q.M. La Corte di appello di Milano, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ed assorbita ogni diversa istanza ed eccezione, in parziale accoglimento dell'appello proposto da (...) s.r.l. avverso la sentenza n. 74 del 2021 del Tribunale di Lodi così provvede: - Rigetta la domanda di Fallimento (...) di revoca del contratto di locazione stipulato tra (...) srl e (...) srl; - conferma nel resto la sentenza impugnata; - compensa le spese di lite tra le parti per entrambi i gradi di giudizio nella misura del 30%, e condanna (...) srl al pagamento del residuo 70%, liquidate per l'intero in complessivi Euro 14.100,00 oltre iva e c.p.a. e rimborso forfetario spese generali per il primo grado, oltre spese di CTU come liquidate, e in complessivi Euro 10.000,00 oltre iva e c.n.p.a. e rimborso forfetario spese generali per il presente grado. Così deciso in Milano il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MONTAGNI Andrea - Presidente Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 28/09/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTEZZA FABIO; lette le conclusioni del PG, Dr. DI LEO GIOVANNI, nel senso dell'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Roma, quale giudice della riparazione ex articolo 314 c.p.p., ha parzialmente accolto l'istanza proposta nell'interesse di (OMISSIS), avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l'ingiusta detenzione patita in forza di ordinanza cautelare emessa con riferimento al reato di cui all'articolo 416 c.p. (nella specie, associazione finalizzata alla realizzazione di impianti fotovoltaici in violazione delle previste procedure), in merito al quale e' stata disposta l'archiviazione. In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale, ricostruita la giurisprudenza di legittimita' in tema di equo indennizzo per l'ingiusta detenzione, ha liquidato in favore del richiedente un indennizzo derivante dall'applicazione del mero criterio aritmetico. L'ordinanza ha argomentato l'entita' dell'importo liquidato in considerazione del numero di giorni trascorsi in custodia cautelare in carcere e del numero dei giorni trascorsi agli arresti domiciliari, rigettando la richiesta volta a ottenere un maggior indennizzo in ragione delle peculiari conseguenze di natura morale e all'immagine, per lo strepitus fori derivante dalla larga diffusione sulla stampa locale e nazionale della notizia dell'applicazione della misura cautelare tali da compromettere la sua reputazione di imprenditore agricolo, rendendo difficoltosi i relativi rapporti economici e bancari. 2. Avverso l'ordinanza emessa dal giudice della riparazione (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Il ricorrente deduce violazione di legge e la mancanza di motivazione dell'ordinanza in punto di determinazione dell'indennizzo. La Corte territoriale, in particolare, avrebbe applicato il mero criterio aritmetico, basato sul numero dei giorni trascorsi in custodia in carcere e sul totale dei giorni degli arresti domiciliari. Con l'ordinanza non si sarebbe quindi provveduto a determinare in via equitativa l'importo da liquidare tenendo conto delle molteplici ripercussioni negative dell'ingiusta detenzione, sul piano personale, familiare e imprenditoriale, che il richiedente avrebbe non solo allegato ma provato con documentazione inerente al notevole interessamento mediatico della vicenda a livello non solo regionale ma nazionale. Il riferimento e', nel dettaglio, a particolari conseguenze sulla sfera psicofisica ed economica, causate dal clamore mediatico della notizia dell'applicata misura cautelare proprio per ragioni connesse all'attivita' dell'imputato, noto imprenditore all'epoca dei fatti in quanto amministratore unico oltre che socio di una societa' disponente di circa mille ettari di terreni affittati a societa' operanti nel settore fotovoltaico con riferimento al quale, per l'ordinanza cautelare, sarebbe sorta l'associazione per delinquere. A detta del ricorrente, in sostanza, il giudice della riparazione avrebbe solo richiamato i principi sanciti dalla Suprema Corte in materia di liquidazione equitativa dell'indennizzo ma senza farne concreta applicazione e con motivazione sul punto assente. 3. Sono state depositate conclusioni dalla Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, nella persona del Sostituto Procuratore Dr. Di Leo Giovanni, nel senso dall'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte (Sez. 4, n. 43097 del 12/10/2022, Befi, non massimata; nonche' Sez. 4, nn. 30405 e 30406 del 05/07/2022, in motivazione), l'istituto di cui agli articoli 314 c.p.p. e ss. e' uno strumento indennitario da atto lecito e non risarcitorio, derivando il pregiudizio subito da una legittima attivita' dell'autorita' giudiziaria. L'equa riparazione scaturisce infatti da un rapporto di solidarieta' civile diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli, patrimoniali e non, procurate dalla privazione della liberta' attraverso un sistema di chiusura con il quale l'ordinamento riconosce un ristoro per la liberta' ingiustamente, ma senza colpe, compressa, correlando, percio', la quantificazione dell'indennizzo alla sola durata e intensita' della privazione della liberta', salvi gli aggiustamenti resi necessari dall'evidenziazione di profili di pregiudizio piu' vasti rispetto al fisiologico danno da privazione della liberta' (cfr. Sez. 4, n. 129 del 31/01/1994, Petriccione, Rv. 196974 e n. 1911 del 22/11/1994, Vaghime, Rv. 200002; si vedano, tre le pronunce recenti, ex plurimis: Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, Rv. 282569, in motivazione; Sez. 4., n. 32069 del 19/05/2021, Graziani, in motivazione, e Sez. 4, n. 32891 del 10/11/2020, Di Domenico, Rv. 280072, in motivazione). 2.1. I principi fondamentali cui aver riguardo nella determinazione dell'indennizzo dovuto a colui che abbia subito una detenzione ingiusta sono stati chiariti da due pronunce rese dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035, e Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, Rv. 218975), seguite dalla successiva giurisprudenza di legittimita' (ex plurimis, Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., non massimata) alla cui stregua la liquidazione deve essere effettuata con criteri equitativi che postulano, ai fini dell'entita' della riparazione, la valutazione congiunta dei criteri della durata della custodia cautelare e/o degli arresti domiciliari sofferti e delle conseguenze derivanti dalla privazione della liberta'. La liquidazione va effettuata tenendo conto del parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo fissato dall'articolo 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare pari a sei anni ex articolo 303 c.p.p., comma 4, lettera c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita. Il quantum e' suscettibile di essere opportunamente integrato dal giudice, innalzando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell'importo massimo indennizzabile, per rendere la decisione piu' equa possibile e rispondente alla specificita', positiva o negativa, della situazione concreta (ex plurimis: Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., in motivazione; Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi, Rv. 218975; Sez. 3, n. 29965 del 01/04/2014, Chaaij, Rv. 259940, la quale ha annullato che aveva considerato quale parametro per il calcolo dell'indennizzo un termine massimo della custodia cautelare pari ad anni nove ai sensi dell'articolo 304 c.p.p., comma 6). Ne consegue che, ferma restando la cifra massima stabilita dalla legge in Euro 516.456,90, il giudice della riparazione puo' discostarsi dall'ammontare giornaliero di Euro 235,82 (Euro 117,91 per gli arresti domiciliari) valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla restrizione della liberta' dimostratasi ingiusta (ex plurimis: Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 10123 del 17/11/2011, dep. 2012, Amato, Rv. 252026). Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, della pubblica ripercussione dell'evento che altrimenti non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro. Affinche' l'equita' non tracimi pero' in arbitrio incontrollabile, e' necessario che il giudice individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga di rilevare un surplus di effetto lesivo da atto legittimo rispetto alle gravi ma ricorrenti e, per cosi' dire, fisiologiche conseguenze derivanti dalla privazione della liberta', sia quale atto limitativo della sfera piu' intima e garantita del soggetto che come alone di discredito sociale (Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014, Silletti, Rv. 259237). Sul punto si vedano, tra le piu' recenti e senza pretese di esaustivita', ex plurimis Sez. 4, n. 32891/2020, Di Domenico, cit., e Sez. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259, che ha annullato con rinvio il provvedimento che aveva liquidato l'indennita' in misura lievemente superiore a quella derivante dall'applicazione del criterio aritmetico, in un caso in cui l'istante aveva allegato gravi danni non patrimoniali, consistiti nell'arresto di una procedura adottiva, nell'impossibilita' di assistere la madre gravemente malata e di partecipare ai suoi funerali, e in danni psicofisici. La prima delle due citate sentenze, invece, in applicazione del principio di cui innanzi, ha annullato l'ordinanza impugnata con la quale era stato liquidato l'indennizzo utilizzando, quale unico parametro idoneo a compensare tutti gli effetti derivanti dall'ingiusta detenzione, il solo criterio aritmetico, senza un adeguato approfondimento motivazionale in merito alla perdita di chanches lavorative, sebbene adeguatamente provate. La Suprema Corte ha in particolare sostenuto che una implementazione dell'indennizzo con riferimento anche alla perdita di chanches di natura professionale e' giustificata dal richiamo, ex articolo 315 c.p.p., comma 3, alle disposizioni in materia di errore giudiziario (articoli 643 e ss.) quanto agli elementi (conseguenze personali, quindi anche professionali, oltre che familiari) di cui il giudice deve tener conto ai fini della decisione in guisa da soddisfare, nel conteggio conclusivo, le diverse "voci di danno" elencate dall'articolo 643 c.p.p. Sez. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259, ha invece annullato con rinvio il provvedimento che aveva liquidato l'indennita' in misura lievemente superiore a quella derivante dall'applicazione del criterio aritmetico, in un caso in cui l'istante aveva allegato gravi danni non patrimoniali, consistiti nell'arresto di una procedura adottiva, nell'impossibilita' di assistere la madre gravemente malata e di partecipare ai suoi funerali, e in danni psicofisici (si veda altresi', con riferimento ai danni conseguenti allo strepitus fori: Sez. 4, n. 30405 del 05/07/2022, Giaccotto, non massimata; Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019, Sapignoli, Rv. 277550, oltre che, per un riferimento a essi, anche Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit.). 2.2. Sul piano piu' strettamente processuale, l'obbligo per il giudice di merito di prendere in esame ogni ulteriore pregiudizio dedotto dal ricorrente e' stato desunto da considerazioni in merito alla distinzione dell'istituto in esame dal risarcimento del danno latta pero' con la lente del temperamento del principio dispositivo nella materia che ci occupa. La riparazione per ingiusta detenzione si differenzia dal risarcimento del danno da illecito sia per il profilo sostanziale della non necessaria integralita' del ristoro, desumibile dalla fissazione di un tetto limite ai sensi dell'articolo 315 c.p.p., comma 5, (Sez. 4, n. 39815 del 11/07/2007, Bevilacqua, Rv. 237837, in motivazione), sia per il correlato profilo processuale dell'esclusione dell'onere della prova in merito all'entita' del danno, desumibile dall'aggettivo equa utilizzato dal legislatore (articolo 314 c.p.p., comma 1,). A quanto innanzi si aggiunge pero' la costante affermazione della Corte di legittimita' per la quale, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione e' riservata alle parti, tra le quali si distribuisce in base all'onere della prova, e' temperato dai poteri istruttori del giudice, il cui esercizio di ufficio, eventualmente sollecitato dalle parti, si svolge non genericamente ma in vista di un'indagine specifica, secondo un apprezzamento della concreta rilevanza al fine della decisione, insindacabile in sede di legittimita' se non sotto il profilo della correttezza del procedimento logico (Sez. 4, n. 18848 del 21/02/2012, Ferrante, Rv. 253555; sul punto si veda altresi', ex plurimis: Sez. 4, n. 21307 del 26 aprile 2022, in motivazione). Corollari di tale principio non possono che essere l'onere della parte di allegare l'esistenza del danno, la sua natura e i fattori che ne sono causa e, d'altro canto, il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della liberta' personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze ancorche' non della relativa entita', operando il sistema indennitario innanzi descritto (ex plurimis: Sez. 4, n. 32891/2020, Di Domenico, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 19809 del 19/04/2019, Candiano, Rv. 276334, che ha ritenuto immune da censure il provvedimento con cui l'indennita' era stata liquidata in misura "standard" e non erano stati riconosciuti i danni all'attivita' imprenditoriale svolta dall'instante, solo genericamente dedotti, in mancanza di prova del nesso causale con la detenzione). Il controllo sulla congruita' della somma liquidata a titolo di riparazione e' pero' sottratto al giudice di legittimita' che puo' solo verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento senza sindacare la sufficienza o insufficienza della indennita' liquidata a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (ex plurimis: Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., non massimata; Sez. 4, n. 30405 del 05/07/2022, Giaccotto, non massimata; Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015, Pappalardi, Rv. 263721; Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Spedo, Rv. 281513; Sez. 4, n. 10690, del 25/02/2010, Cammarano, Rv. 246424). 2.3. Resta fermo, a tale ultimo fine, l'obbligo per il giudice della riparazione di specificare tanto i parametri utilizzati per la liquidazione di alcune conseguenze dannose quanto i criteri logico-giuridici che hanno condotto a negare la liquidazione di altre conseguenze allegate dal richiedente, al fine di non ancorare a parametri astratti o non verificabili l'esito decisorio (ex plurimis: Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 39159 del 10/05/2018, Iacenda, in motivazione). Potendo, peraltro, per orientamento di legittimita' ormai consolidato, essere il quantum ridotto in ragione dell'accertata colpa lieve, sinergica rispetto all'intervento dell'Autorita' e/o al suo mantenimento (per la ricostruzione dell'orientamento di cui innanzi, e per le ragioni sottese alla rilevanza della colpa lieve a fini liquidatori, si vedano, ex plurimis, Sez. 4, n. 43097 del 2022, Befi, cit., non massimata, per la quale la colpa anche lieve non puo' rilevare nel caso di c.d. ingiustizia formale laddove sia stata accertata l'assenza ab origine dei presupposti applicativi della misura cautelare sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi sottesi alla misura; Sez. 4, n. 2198 del 12/01/2022, Tringali, cit., in motivazione, per cui la colpa lieve dell'instante, pur non ostando al riconoscimento dell'indennizzo, deve essere valutata ai fini della riduzione del suo ammontare in base a un'interpretazione a contrario dell'articolo 314 c.p.p. e non a un'applicazione analogica dei principi espressi, nel settore della responsabilita' civile, dagli articoli 1227 e 2056 c.c., stante la radicale divergenza delle due discipline). 3. Orbene, la Corte territoriale non ha applicato correttamente i principi di cui innanzi rendendo una motivazione apparente in quanto non esplicitante il sotteso iter logico-giuridico ma fondante su mera clausola di stile. 3.1. Il giudice della riparazione non ha ritenuto di riconoscere in via equitativa gli ulteriori danni (patrimoniali e non) derivanti dalle molteplici ripercussioni negative dell'ingiusta detenzione, sul piano personale, familiare e imprenditoriale, che il richiedente ha allegato (in merito alle quali si deducono produzioni documentali). Nel dettaglio il ricorrente ha allegato particolari conseguenze dell'ingiusta detenzione, sul piano personale, familiare e imprenditoriale, anche in forza del notevole interessamento mediatico della vicenda a livello non solo regionale ma nazionale e quindi del conseguente strepitus fori. Il riferimento e' a particolari conseguenze sulla sfera psicofisica ed economica, causate dal clamore mediatico della notizia dell'applicata misura cautelare proprio per ragioni connesse all'attivita' del richiedente, noto imprenditore all'epoca dei fatti in quanto amministratore unico oltre che socio di una societa' disponente di circa mille ettari di terrenti affittati a societa' operanti nel settore fotovoltaico con riferimento al quale, per l'ordinanza cautelare, sarebbe sorta l'associazione per delinquere. 3.2. A fonte di quanto innanzi, la Corte, dopo aver in premessa (pag. 2 dell'ordinanza) posto in evidenza le allegazioni del richiedente come esplicitate dall'attuale ricorrente e inquadrato l'istituto, sostanzialmente si limita, senza alcun riferimento individualizzante, alla generica rilevazione della non apprezzabilita' "della presenza di alcun danno ulteriore e specifico riconducibile all'ingiusta detenzione subita, sul compendio della situazione di vita interessata". L'ordinanza, dunque, non facendo buon governo dei principi di cui innanzi, non ha esplicitato il perche' dell'irrilevanza, ai fini di un eventuale incremento equitativo, degli effetti allegati e documentati in termini di peculiari conseguenze personali, anche di natura lavorativa, e familiari dell'ingiusta detenzione. 3.3. A quanto innanzi deve altresi' aggiungersi l'assoluto difetto motivazionale in merito agli effetti dello strepitus fori, prospettati dal richiedente come essere stati peculiari in considerazione del clamore mediatico della notizia dell'applicata misura cautelare proprio per ragioni connesse all'attivita' del richiedente. 3.3.1. Sotto tale ultimo aspetto necessita pero' (ai fini del giudizio rescissorio che seguira') una precisazione con particolare riferimento agli eventuali pregiudizi derivanti dallo strepitus fori, in ragione dei termini con i quali lo specifico profilo e' stato dedotto in ricorso, in ragione di argomentazioni recentemente esplicitate da Sez. 4, n. 30405 del 05/07/2022, Giaccotto, non massimata, che in questa sede si intendono ribadire. Come gia' evidenziato (paragrafo 2), l'istituto in esame e' uno strumento indennitario da atto lecito e non risarcitorio, derivando il pregiudizio subito da una legittima attivita' dell'autorita' giudiziaria che abbia comportato una ingiusta detenzione, e non, quindi, dalla circostanza della mera sottoposizione a procedimento o processo penale ovvero ancora dalla condanna per una fattispecie per la quale vi e' stato poi proscioglimento. L'equa riparazione scaturisce infatti da un rapporto di solidarieta' civile diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli, patrimoniali e non patrimoniali, procurate dalla sola privazione della liberta' personale. Essa opera attraverso un sistema di chiusura con il quale l'ordinamento riconosce un ristoro per la liberta' ingiustamente, ma senza colpe, compressa, correlando, percio', la quantificazione dell'indennizzo alla sola privazione della liberta' personale (con riferimento a durata e intensita'), salvi gli aggiustamenti resi necessari dall'evidenziazione di profili di pregiudizio piu' vasti rispetto al fisiologico danno da privazione della liberta' personale. 3.3.2. Dall'esplicitata ratio consegue che suscettibili di rilevare ai fini dell'esercizio da parte del giudice della riparazione del potere/dovere di procedere alla liquidazione equitativa non sono le conseguenze personali, quindi anche di natura patrimoniale, e familiari derivanti dal clamore mediatico della vicenda in quanto tale, cioe' dell'essere stato il richiedente indagato o imputato ovvero ancora condannato e poi assolto con riferimento a una determinata fattispecie di reato, bensi' le sole conseguenze causalmente riconducibili al clamore mediatico derivante dell'essere stato il richiedente sottoposto, per quella fattispecie, alla detenzione poi rivelatasi ingiusta. 4. In conclusione, l'ordinanza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Roma. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/09/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Bologna, che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ferrara, emessa il 29.1.2018, ha assolto l'appellante (OMISSIS) da una parte della condotta di bancarotta fraudolenta distrattiva contestatagli (e precisamente da quella relativa all'importo di 950.000 Euro), rideterminando la pena principale in anni tre e mesi 4 di reclusione. L'imputato e' stato condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con riguardo al fallimento della s.p.a. (OMISSIS), dichiarato il (OMISSIS), della quale e' stato amministratore legale sino al fallimento. 2. Avverso il provvedimento in esame ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di censura. 2.1. Il primo argomento difensivo ha eccepito la violazione degli articoli 216 e 223 della legge fallimentare in relazione alla qualificazione come atti distrattivi delle somme di danaro versate alle societa' (OMISSIS) s.r.l. ed (OMISSIS) s.r.l., nonche' vizi di motivazione in relazione alla stessa parte della sentenza relativa alla condotta di bancarotta fraudolenta in esame. La tesi difensiva, gia' prospettata in appello, e' che i pagamenti delle somme derivanti dalle fatture emesse da altre societa' del gruppo - delle quali tutte il ricorrente era legale rappresentante - rientrerebbero nell'ambito di operazioni infragruppo, in una logica di "vantaggi compensativi", avendo la (OMISSIS) ricevuto dalle predette societa', tra il 2008 e il 2011, nonche' tra il 2009 ed il 2013, finanziamenti infruttiferi per complessivi 5.463.615 Euro, sicche' i citati pagamenti, giudicati distrattivi, rappresentavano la restituzione di una parte di tali prestiti. Il ricorrente denuncia che la sentenza impugnata ha ritenuto in modo superficiale la non applicabilita' della disciplina dell'articolo 2634 c.c., considerando in modo atomistico le operazioni di restituzione dei finanziamenti, ritenendole frutto di pagamenti effettuati sulla scorta di fatture emesse dalle due societa' beneficiarie, poi annullate senza alcun riferimento ai rapporti di finanziamento pregressi e, addirittura, considerando "del tutto irrilevante" il fatto che l'imputato avrebbe finanziato la fallita (OMISSIS) proprio attraverso le due societa', a vantaggio delle quali sono state fatte le elargizioni contestate come fraudolente. Inoltre, non si e' esplorato il tema della possibilita' di ritenere i versamenti a favore delle due societa' del gruppo, enti gia' in precedenza finanziatori della fallita, come atti eventualmente di pagamento preferenziale e non gia' distrattivi. Non si e' tenuto conto, altresi', degli ingenti finanziamenti effettuati anche da altre societa' dell'imputato in favore della (OMISSIS) e delle conclusioni del consulente tecnico Varetti, sull'esistenza di un gruppo societario riconducibile al ricorrente; neppure si e' valutata la distanza temporale tra le elargizioni effettuate in modo fraudolento, secondo la contestazione, ed il fallimento della societa' (OMISSIS); e neppure la circostanza che, al momento della percezione dei versamenti in denaro, le due societa' beneficiarie non si trovavano in stato di difficolta' economico-finanziaria, sicche' il ricorrente non avrebbe avuto ragioni per pensare che tali enti non avrebbero potuto erogare nuova finanza in favore della fallita, in una logica di circolazione della liquidita' tra societa' "di gruppo" e collegate. Mancherebbe, pertanto, anche la possibilita' di ritenere provato il coefficiente psicologico del reato, necessariamente doloso e consapevole della fraudolenza dei pagamenti effettuati alle societa' del gruppo da parte della fallita. Con lo stesso motivo di ricorso, la difesa evidenzia vizio di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato anche nel punto relativo alla ritenuta sussistenza del delitto in esame, quanto al pagamento di 500.000 Euro effettuato dalla fallita in favore della (OMISSIS) s.r.l. In sintesi, il ricorrente denuncia travisamento della prova, avuto riguardo all'affermazione della sentenza d'appello secondo cui detta somma sarebbe stata incassata personalmente dall'imputato, con diretta appropriazione del denaro di una delle societa' del gruppo, priva di ragioni giustificative: la verita' e', invece, a giudizio della difesa, che il versamento e' stato effettuato dalla societa' di (OMISSIS) a favore della (OMISSIS) s.r.l. e rientra nel complesso meccanismo di circolazione della finanza tra societa' del gruppo e nella compensazione delle somme molto piu' ingenti versate dalle due societa' del gruppo in favore di (OMISSIS). 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizi di contraddittorieta' della motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di cui al capo 11, quanto alla consistenza di cassa ed alle rimanenze, che si assumono anch'esse distratte. Il ricorrente propone una lettura differente e piu' favorevole delle dichiarazioni del curatore fallimentare in dibattimento, evidenziando che egli si era limitato a dire di non sapere nulla riguardo a tali beni, senza ragionare in termini di consistenza e distrazione. Inoltre, si contestano le affermazioni della sentenza impugnata, quanto alla ritenuta esistenza di attrezzature per l'attivita' di gestione di squadre di calcio da parte della societa' (OMISSIS); attrezzature che non sarebbero state trovate e che, dunque, i giudici hanno considerato distratte: si tratterebbe di ipotesi non confortate da elementi di fatto certi. 2.3. Il terzo motivo di censura attiene al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo, anche per l'ingiustificato e immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche: la Corte territoriale ha valorizzato la gravita' dei fatti e i precedenti penali del ricorrente, dimenticando che risulta testimoniato da piu' persone come il ricorrente abbia tentato di salvare la societa' sportiva in ogni modo, cercando una forma sicura e duratura di finanziamento, rischiando in prima persona attraverso le sue altre societa'. 2.4. Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali ribadisce le ragioni di ricorso e ne chiede l'accoglimento. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Paola Mastroberardino ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Il primo motivo di censura, che puo' essere sintetizzato nella richiesta del ricorrente di ritenere le distrazioni contestategli suscettibili di inquadramento in una fattispecie di "bancarotta riparata", con vantaggi compensativi corrisposti tra le societa' infragruppo della galassia di imprese a lui riferibile, si rivela manifestamente infondato e, in ultima analisi, reiterativo di ragioni gia' adeguatamente esplorate dal provvedimento impugnato e superate con una motivazione scevra da aporie logiche o da iati argomentativi. La distrazione, secondo quanto accertato a seguito del giudizio d'appello, ha avuto ad oggetto ingenti somme (pari a 1.867.000 Euro, contestati al capo 1, fatta salva la distrazione della somma in relazione alla quale vi e' stata assoluzione), oltre alla cassa mai rinvenuta, pari ad Euro 9.641,86, ed a merci ed attrezzature, per un valore di 381.620,35 Euro (capo 11). In sintesi, si e' accertato che la societa' fallita era a sua volta di proprieta' di due societa' - la s.r.l. (OMISSIS) al 70% e la s.r.l. (OMISSIS) al 30% - il cui socio unico e legale rappresentante era sempre l'imputato, che, a partire dal 2010, ipotizza di finanziare la (OMISSIS) mediante la realizzazione di un imponente impianto fotovoltaico, da far realizzare e gestire da un imprenditore del settore, (OMISSIS), con il quale stipula una serie di contratti all'esito dei quali questi versa nelle casse della (OMISSIS) oltre 3 milioni di Euro, dei quali 1.367.000 vengono trasferiti nei conti correnti di due societa' del (OMISSIS), la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. (fallite, rispettivamente, anch'esse, nel 2015 e nel 2013), con emissione di tre fatture per operazioni mai avvenute, che, pertanto, vengono annullate: tuttavia, non viene restituita alla societa' fallita la somma predetta; ulteriori 500.000 Euro sono stati egualmente versati, in esecuzione di tali contratti, all'imputato e non alla societa' e mai a questa restituiti, mentre la distrazione della cassa e delle attrezzature e merci, non rinvenute, e' stata ritenuta sussistente, per l'attestazione della loro esistenza, risultante dalle scritture contabili. Dinanzi a questi dati di fatto incontroversi, il ricorrente tenta di promuovere la sua personale lettura dei rapporti tra le societa' a lui collegate e, peraltro, finite tutte con il declinare verso la decozione in breve tempo, dopo il fallimento della (OMISSIS), senza, tuttavia, superare la soglia delle assertive affermazioni difensive. Anzitutto conviene ribadire alcuni punti fermi della giurisprudenza di legittimita' in tema di vantaggi compensativi e loro effetti sulla configurabilita' del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva in capo agli amministratori di una societa'; e del resto, gia' la Corte d'Appello ha ripercorso le tappe fondamentali e gli approdi ermeneutici ai quali si ci richiamera'. Ebbene, la Cassazione, pur essendosi fatta carico da tempo di esigenze di offensivita' concreta, che sempre devono sottendere la verifica della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, intuendo il valore scriminante del tema dei "vantaggi compensativi" nelle operazioni infragruppo, ha disegnato, molto opportunamente, griglie stringenti per poterne valutare la configurabilita' nelle diverse fattispecie e, in linea con gli orientamenti in materia di reati fallimentari, ha coinvolto in prima persona l'imputato nell'accertamento relativo. E cosi', in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un'operazione di trasferimento di somme da una societa' ad un'altra non e' sufficiente allegare la partecipazione della societa' depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo "gruppo", dovendo, invece, l'interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilita' di vantaggi compensativi, ex articolo 2634 c.c., per la societa' apparentemente danneggiata (Sez. 5, n. 47216 del 10/6/2019, Zanoni, Rv. 277545; Sez. 5, n. 10633 del 30/6/2019, Scambia, Rv. 276029; Sez. 5, n. 46689 del 30/6/2016, Coatti, Rv. 268675). In altre parole, la mera circostanza della collocazione della societa' fallita all'interno di un gruppo non esclude la penale rilevanza del fatto, essendo necessaria a tale fine la sussistenza di uno specifico vantaggio, anche indiretto, che si dimostri idoneo a compensare gli effetti immediatamente negativi della operazione per la stessa societa', trasferendo su quest'ultima il risultato positivo riferibile al gruppo (Sez. 5, n. 16206 del 2/3/2017, Magno, Rv. 269702; Sez. 5, n. 44963 del 27/9/2012, Bozzano, Rv. 254519 e, in negativo, Sez. 5, n. 41293 del 25/9/2008, Mosca, Rv. 241599). Cio' perche', nel valutare come distrattiva un'operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo per una delle societa' collegate, occorre tenere conto del rapporto di gruppo, restando escluso il reato se, con valutazione ex ante, i benefici indiretti per la societa' fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi, si' da rendere l'operazione incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della societa' (Sez. 5, n. 36764 del 24/5/2006, Bevilacqua, Rv. 234606). Per questo, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l'operazione di diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo, ancorche' effettuata a favore di societa' del medesimo gruppo, qualora gli ipotizzati benefici indiretti della fallita non risultino effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo e non siano idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta (Sez. 5, n. 41293 del 25/9/2008, Mosca, Rv. 241599). Nel caso di specie, non emerge in alcun modo la vantaggiosita' dei risultati dei diversi travasi di risorse da una societa' all'altra di una combinazione di aziende che, piu' di essere un vero e proprio "gruppo", appare un mero nucleo di enti diversamente riferibili all'imputato, in relazione ai quali sfugge anche qualsiasi logica imprenditoriale comune. Inoltre, di fatto, i giudici d'appello hanno escluso qualsivoglia equivocita' nella condotta distrattiva, sottolineando l'assenza sostanziale di causa nel trasferimento della rilevante somma di oltre un milione e trecentomila Euro alle due societa' che il ricorrente riferisce alla dimensione di "gruppo", essendo rimasta del tutto indimostrata la tesi della parziale restituzione di un precedente prestito ed essendo stato, invece, accertato che le fatture giustificative delle operazioni distrattive si riferivano a prestazioni che non furono mai eseguite dalle societa' beneficiate. Del tutto logicamente, quindi, la sentenza impugnata ha evidenziato che l'operazione economica relativa alla distrazione di 1.367.000 Euro ha determinato esclusivamente una perdita netta per la societa' (OMISSIS) senza alcuna contropartita economica, sicche' l'intera operazione deve leggersi come finalizzata a supportare le altre due societa' del "gruppo" (OMISSIS), anch'esse in difficolta' economica, come prova il loro fallimento negli anni immediatamente successivi. Quanto al pagamento direttamente all'imputato della rilevante somma di 500.000 Euro, la difesa propone argomenti generici, che non intaccano l'autoevidenza della immediata appropriazione personale, priva di causa, del denaro da parte del ricorrente. 3. Anche il secondo motivo di ricorso e' inammissibile, essendo manifestamente infondato l'argomento giuridico che implicitamente propone il ricorrente, quando contesta la distrazione della consistenza di cassa e delle rimanenze, oggetto della condanna per il reato di cui al capo 11 relativo ad un'ulteriore condotta distrattiva. Ed infatti, senza dubbio e' vero che, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento della precedente disponibilita' da parte dell'imputato dei beni non rinvenuti in seno all'impresa non puo' fondarsi sulla presunzione di attendibilita' dei libri e delle scritture contabili prevista dall'articolo 2710 c.c., dovendo invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate - anche nel silenzio del fallito - nella loro intrinseca attendibilita', sicche' il giudice dovra' congruamente motivare ove l'attendibilita' della scrittura contabile non sia apprezzabile per l'intrinseco dato oggettivo: l'attendibilita' delle scritture contabili non puo', cioe', essere presunta, ma deve essere oggetto di una valutazione in concreto (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 55805 del 3/10/2018, BE.MA. costruzioni, Rv. 274621). Tuttavia, il Collegio intende precisare che la prova della distrazione essenziale per la configurabilita' del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, puo' essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della societa' dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, anche risalenti nel tempo e redatti prima di interrompere l'esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili (Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 2019, Villa, Rv. 275499; Sez. 5, n. 20879 del 23/4/2021, Montella, Rv. 281181). Il ricorrente propone una lettura differente e piu' favorevole delle dichiarazioni del curatore fallimentare in dibattimento, evidenziando che egli si era limitato a dire di non sapere nulla riguardo a tali beni, senza ragionare in termini di consistenza e distrazione, che comunque non sarebbe sostenibile mancando del tutto attrezzature aziendali. L'argomento difensivo e' aspecifico. Il ricorso non tiene conto che la sentenza impugnata ha dato conto ampiamente di come le scritture contabili societarie fossero attendibili e di come da esse il curatore sia riuscito a riscontrare documentalmente la presenza di attrezzature della societa', funzionali allo svolgimento dello scopo sociale, e cioe' l'attivita' calcistica professionistica della (OMISSIS) (che aveva diverse squadre, dalle giovanili sino alla massima divisione; utilizzava un impianto sportivo per gli allenamenti, le partite e le trasferte, con conseguente uso di attrezzature di vario genere); inoltre, anche le rimanenze di cassa per quasi 10.000 Euro sono state ricondotte agli incassi derivanti dalla vendita dei biglietti. Con tali argomenti concreti la difesa non si confronta, consegnando il motivo di censura, palesemente generico e manifestamente infondato quanto ad eventuali travisamenti della prova, ad una sorte di inammissibilita'. 4. Infine, anche il terzo motivo proposto e' del tutto privo di fondamento e le sue ragioni si collocano al di fuori del sentiero tracciato dalla giurisprudenza di legittimita' quanto al contenuto dell'obbligo motivazionale relativo al trattamento sanzionatorio. Nessuna carenza, infatti, e' possibile riscontrare nell'impianto argomentativo utilizzato dal giudice d'appello per sostenere il trattamento sanzionatorio, comunque diminuito rispetto a quello stabilito in primo grado per l'operare degli effetti dell'assoluzione dalla condotta di bancarotta distrattiva relativa all'importo di 950.000 Euro. La sentenza impugnata ha evidenziato come tale diminuzione, peraltro efficace su una pena base gia' individuata dal primo giudice su limiti minimi, fosse congrua rispetto alla gravita' del danno cagionato, all'intensita' del dolo e dei motivi a delinquere, nonche' calibrata anche rispetto alla personalita' dell'imputato desumibile dai precedenti penali, giungendo cosi' alla pena finale di anni tre e mesi 4 di reclusione. Un'ultima annotazione merita la misura delle pene accessorie ex articolo 216, ultimo comma, L. Fall., non oggetto di motivo di ricorso, peraltro, e che, sebbene confermate sul limite massimo decennale, sono state oggetto di adeguata, sia pur sintetica, motivazione da parte dei giudici d'appello, i quali hanno evidentemente inteso ribadirne la durata, tenuto conto degli indici di gravita' dei fatti e di impatto criminale della condotta, desunti, ancora una volta, anche dall'intensita' del dolo e dei motivi a delinquere, nonche' dai precedenti penali. Dunque, sono state rispettate le indicazioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 28910 del 29/2/2019, Suraci, Rv. 276286), che si muovono nel solco della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, relativamente alla necessita' di fondare il giudizio sulla durata di dette sanzioni accessorie ai parametri normativi previsti dall'articolo 133 c.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI CATANZARO SEZIONE PRIMA CIVILE Procedimento n. 507/2019 R.G. La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio con modalità telematiche e così composta: dott. Antonio Rizzuti - (Presidente); dott.ssa Beatrice Magarò - (Consigliere); dott.ssa Anna Maria Torchia - (Consigliere); ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile n. 507/2019 del ruolo generale degli affari civili contenziosi, avente ad oggetto oneri condominiali, vertente tra: 1) (...), nata a Fi. il (...) (codice fiscale (...)), rappresentata e difesa, come da procura rilasciata a margine dell'atto introduttivo del primo grado di giudizio, dall'avv. Ma.Mi., elettivamente domiciliata in Catanzaro, alla via (...), presso il suo studio professionale; Appellante. e 2) Condominio di via (...) di C. (codice fiscale (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore; (...) (codice fiscale (...)); (...) (codice fiscale (...)), (...) (codice fiscale (...)); I.C. (codice fiscale (...)); C.I. (codice fiscale (...)); (...) (codice fiscale (...)), (...) (codice fiscale (...)) e (...) (codice fiscale (...)). Appellati non costituiti in giudizio. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il giudizio dinnanzi al Tribunale civile di Catanzaro Con atto di impugnazione di delibera assembleare, notificato il 20.3.2013, (...), proprietaria di alcune unità abitative nel Condominio di via C. n. 13 di C., conveniva il suddetto Condominio dinanzi al Tribunale civile di Catanzaro, chiedendo, in via preliminare, la sospensione dell'esecutività della delibera condominiale del 19.2.2013 e, nel merito, la declaratoria di nullità ovvero l'annullamento della delibera condominiale medesima rispetto al primo (in parte qua), secondo, terzo e quarto punto dell'ordine del giorno e, in subordine, la condanna del Condominio al risarcimento dei danni derivanti dal mancato risparmio fiscale, tenendo altresì indenne la (...) da qualsiasi esborso. In particolare, l'attrice - dopo avere premesso che l'assemblea di condominio, in seconda convocazione, aveva deliberato sui primi quattro punti posti all'ordine del giorno, concernenti, rispettivamente: 1) l'approvazione del bilancio consuntivo per l'anno 2012 ed il relativo piano di riparto delle spese; 2) la nomina dell'amministratore; 3) l'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013 ed il relativo piano di riparto delle spese; 4) l'esame della nota dell'avv. (...) e le determinazioni da intraprendere (in ordine alla lamentata attività abusiva della (...), consistita nell'installare un contatore dell'(...) su di una parete condominiale); e che l'assemblea aveva approvato i punti 1, 2 e 4, con voto contrario della (...), mentre aveva omesso di nominare l'amministratore, per ritenuto difetto del quorum necessario, in ordine al punto n. 2 - affermava che la delibera assembleare impugnata fosse invalida sotto diversi profili. Sosteneva, segnatamente, che: 1) con riguardo al punto primo dell'ordine del giorno, l'amministratore di condominio aveva fatto eseguire lavori di natura straordinaria all'impianto elettrico, senza alcuna preventiva autorizzazione, integrando la violazione della disposizione normativa di cui all'art. 1135, comma IV, c.c., sicché la relativa determinazione assembleare, nella parte in cui aveva approvato il rendiconto dei lavori indicati come "messa a norma impianto elettrico 2012", inserito capziosamente come voce di spesa nel riparto consuntivo della gestione ordinaria del 2012, doveva ritenersi illegittima; del resto, la (...) non era stata in grado di constatare l'effettività del problema e di scegliere ditte e preventivi ed aveva, altresì, perso la possibilità di accedere ai benefici fiscali, cosicché aveva diritto ad essere sollevata dall'esborso della somma pari ad Euro 30,69 e, al contempo, ad ottenere il risarcimento per il mancato sgravio fiscale del 50%, di cui avrebbe potuto beneficiare; 2) quanto, invece, al secondo punto dell'ordine del giorno della delibera, avente ad oggetto la nomina di un nuovo amministratore, la delibera stessa era, anche sotto questo aspetto, invalida, giacché, nel caso di specie, la mancata nomina del nuovo amministratore aveva trovato causa nell'uso distorto del criterio della maggioranza; infatti, l'assemblea non avrebbe dovuto deliberare facendo applicazione del criterio normativo richiesto dall'art. 1136 c.c., atteso che, nel caso del Condominio convenuto, un 1/3 dei condomini, ossia (...) e (...), deteneva 618 millesimi e, quindi, la maggioranza assoluta dei millesimi, ma non delle teste, con la conseguenza che tutti gli altri condomini non avrebbero potuto raggiungere almeno la metà del valore dell'edificio; quindi, avrebbe dovuto prevalere la maggioranza assoluta dei millesimi e, di conseguenza, avrebbe dovuto considerarsi valida la nomina ad amministratore del dott. (...); 3) in riferimento al terzo punto dell'ordine del giorno, avente ad oggetto l'approvazione del bilancio preventivo, la relativa determinazione assembleare doveva ritenersi invalida, giacché detta attività non rientrava tra le competenze dell'amministratore uscente e non ricandidatosi, dovendo quest'ultimo provvedere, esclusivamente, alla gestione ordinaria; 4) infine, in merito al quarto punto dell'ordine del giorno, l'assemblea aveva illegittimamente deliberato che venisse formulata all'(...) la richiesta di spostamento del contatore di proprietà della (...) dalla facciata dell'edificio condominiale, prendendo in esame, esclusivamente, la nota dell'avv. (...), presentata per conto del condomino (...); lo spostamento del contatore, in realtà, costituiva attività illegittima, poiché la (...), in qualità di condomina, aveva il diritto di utilizzare i beni comuni, comprese le facciate esterne dell'edificio, senza impedire il pari uso degli altri condomini, come, del resto, avveniva, essendo presenti sulle facciate comuni parabole e tubature del gas; oltretutto, la posizione di detto contatore era stata decisa dall'(...), proprietario del contatore medesimo, sulla base dei protocolli interni del suddetto ente; discendeva che la delibera doveva essere annullata anche sotto questo aspetto ovvero, in subordine, quanto meno, doveva essere riconosciuta l'esenzione della (...) da eventuali costi di rimozione o di nuova installazione. Concludeva come sopra indicato (cfr. l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado). Instaurato il contraddittorio, si costituiva nel giudizio, con comparsa di costituzione e risposta del 6.5.2013, il C.D.V.C. n. 13 di C., in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore, il quale chiedeva, preliminarmente, il rigetto dell'istanza di sospensione formulata dall'attrice e, in via principale, la declaratoria di inammissibilità della domanda della (...), con condanna della stessa al risarcimento dei danni per vere intentato una lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Il Condominio, in particolare, sosteneva che: 1) la messa a norma degli impianti elettrici era necessaria a garantire la sicurezza degli impianti stessi, sicché l'amministratore non poteva certamente sottrarsi a tali adempimenti, considerato, per di più, che aveva agito nell'esercizio dei poteri conferitigli dalla legge, potendo, in virtù della previsione normativa di cui all'art. 1130 c.c., svolgere attività in ordine all'uso delle cose comuni e alla prestazione dei servizi nell'interesse comune; peraltro, l'intervento di messa a norma dell'impianto era stato, più volte, sollecitato dagli stessi condomini e non costituiva, quindi, una sua personale iniziativa; la domanda risarcitoria, formulata dall'attrice per la mancata fruizione dello sgravio fiscale, era del tutto pretestuosa, considerati i costi necessari e l'esiguità del risparmio sulla quota di parte attrice, dell'ammontare pari ad Euro 30,69; 2) quanto alla contestazione relativa alla mancata nomina di nuovo amministratore, la relativa delibera era da considerarsi valida, attesa l'osservanza del criterio normativo di cui all'art. 1136, comma quarto, c.c.; 3) in ordine, invece, alla eccepita illegittimità dell'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013, presentato all'assemblea dall'amministratore uscente, quest'ultimo, in ragione dell'istituto della prorogatio, doveva garantire la continuità dell'amministrazione sino alla nomina di un nuovo amministratore, con la conseguenza che la delibera di approvazione del bilancio preventivo del 2013 era valida; 4) infine, con riguardo alla eccezione sollevata dalla (...), avente ad oggetto la illegittimità dello spostamento del contatore dell'impianto fotovoltaico di sua pertinenza, la relativa delibera era stata adottata in ottemperanza alle maggioranze ed alle prescrizioni previste dalla legge; in particolare, il contatore era stato posto, dalla (...), del tutto arbitrariamente, sulla facciata condominiale, ossia in assenza di autorizzazione dei condomini e di delibera assembleare; del resto, la realizzazione dell'impianto e il posizionamento del contatore, rientrando tra le innovazioni, soggiacevano alla disciplina di cui all'art. 1120 c.c.. Premesso questo, il Condominio riteneva altresì che sussistevano i presupposti per la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., considerata la pretestuosità della domanda avanzata dalla stessa e l'esiguità dell'importo che le era stato richiesto, quale quota per i lavori condominiali effettuati. Concludeva come sopra trascritto (cfr. la comparsa di costituzione e risposta del Condominio). Successivamente, con ordinanza del 1.10.2013, depositata in cancelleria in pari data, il Tribunale sospendeva l'esecuzione della Delib. del 19 febbraio 2013, limitatamente al punto quarto dell'ordine del giorno, relativo allo spostamento del contatore dell'(...), ritenendo sussistente il rischio di pregiudizio grave e irreparabile. Con la medesima ordinanza, concedeva i termini per la presentazione delle memorie di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c. (cfr. l'ordinanza citata). Con le suddette memorie, le parti ribadivano e precisavano le proprie argomentazioni e, in particolare, con la memoria ex art. 183, comma VI, n. 2, c.p.c., (...), depositata nuova documentazione ad integrazione della precedente e formulava richiesta di espletamento della c.t.u. tecnica; mentre il Condominio, dal canto suo, con la memoria di cui all'art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c., contestava la rilevanza della documentazione prodotta dalla (...), sebbene valorizzando, a suo favore, le rappresentazioni fotografiche dalla stessa allegate (cfr. le memorie citate). All'udienza del 24.10.2014, parte attrice depositava, quale documento sopravvenuto, la delibera assembleare del 10.10.2014, per mezzo della quale non aveva trovato conferma la nomina dell'amministratore uscente, rilevando che l'assemblea versava in situazione di stallo, per cui formulava al giudice richiesta di pronunciarsi in favore della prevalenza del criterio della maggioranza assoluta o, comunque, di emettere pronuncia in ordine alla nomina dell'amministratore. Il Tribunale, rilevato che il procedimento per la nomina di amministratore aveva carattere di volontaria giurisdizione e ritenuta sufficientemente istruita la causa, fissava l'udienza per la precisazione delle conclusioni (cfr. l'ordinanza del 24.10.2014). Quindi, dopo che la causa era stata assegnato in decisione all'udienza del 22.4.2016 e, poi, rimessa sul ruolo, all'udienza del 20.7.2018, veniva, definitivamente, trattenuta in decisione (cfr. gli atti del giudizio di primo grado). 2. La sentenza del Tribunale di Catanzaro, emessa all'esito del giudizio di primo grado Con sentenza n. 1421 del 2018, emessa il 26.7.2018 e pubblicata il 30.7.2018, nell'ambito del procedimento iscritto al n. di r.g.a.c. 1153/2013, il Tribunale di Catanzaro così definiva il giudizio di primo grado: rigettava la domanda proposta da (...) e condannava quest'ultima al rimborso delle spese legali in favore del Condominio di via (...). In particolare, il Tribunale affermava che l'azione intrapresa da (...) nei confronti del Condominio per invalidare la delibera condominiale del 19.2.2013 non era fondata e doveva, pertanto, essere respinta. In particolare, il giudice rilevava, quanto al punto numero uno dell'ordine del giorno, che stato approvato dall'assemblea in modo legittimo, dato che la messa a norma degli impianti elettrici costituiva, certamente, attività inderogabile e urgente, ai sensi dell'art. 1135 c.c., oltre che sollecitata, per di più, dai condomini stessi, cosicché l'amministratore di condominio non poteva sottrarsi alla sua esecuzione. Parimenti, a giudizio del Tribunale, la decisione di cui al punto numero due dell'ordine del giorno era stata presa correttamente, facendo applicazione del criterio normativo, sicché la nomina del nuovo amministratore non poteva perfezionarsi, per mancato raggiungimento del quorum necessario. Quanto alla contestazione sollevata dall'attrice in ordine alla decisione dell'assemblea sul terzo punto dell'ordine del giorno (relativo alla approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013), il giudice ne rilevava l'infondatezza, considerato che i poteri dell'amministratore uscente erano prorogati in attesa della nomina di un nuovo amministratore. Infine, con riguardo all'ultima contestazione sollevata dalla (...) rispetto al punto numero quattro dell'ordine del giorno (avente ad oggetto lo spostamento dalla parete condominiale del contatore dell'(...) collegato all'impianto fotovoltaico della (...)), il Tribunale affermava che parte attrice non aveva provato quanto genericamente asserito "in merito all'obbligatorietà della collocazione del contatore sul lastrico solare e non su altra parte dell'edificio". Inoltre, il giudice di primo grado rigettava la domanda di parte attrice avente ad oggetto il rimborso di quanto pagato a seguito dell'approvazione della delibera e la relativa domanda di risarcimento del danno. Infine, regolava le spese di lite secondo il criterio della soccombenza, rilevando, peraltro, che non sussistevano i presupposti per accogliere la domanda del Condominio di condanna della (...) al risarcimento del danno per avere intentato una lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in quanto generica e priva di riscontro probatorio. 3. Il giudizio di impugnazione dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro Avverso la sentenza n. 1421/2018, emessa il 26.7.2018 e pubblicata il 30.7.2018, del Tribunale civile di Catanzaro, proponeva impugnazione davanti a questa Corte di Appello (...), con atto di citazione notificato il 4.3.2019 al procuratore del Condominio costituito nel giudizio di primo grado ed ai singoli condomini, chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata e previa sospensione della sua provvisoria esecutorietà, di annullare la delibera condominiale del 19.2.2013 in relazione all'intero quarto punto dell'ordine del giorno (relativo allo spostamento del contatore (...) dal muro condominiale). Segnatamente, l'odierna appellante - dopo avere descritto lo svolgimento del procedimento di primo grado di giudizio e rilevato, al fine di evidenziare la parziale cessazione della materia del contendere, che, nelle more, da un lato, a seguito della modifica dell'art. 1129 c.c., era venuta meno la necessità di nominare un amministratore del condominio, trattandosi di condomini in numero inferiore a otto; dall'altro, il Tribunale di Catanzaro, appositamente adito per la nomina giudiziale dell'amministratore, aveva rigettato la domanda, rilevando l'illegittimità della prorogatio dei poteri del precedente amministratore - precisava che intendeva prestare acquiescenza ad alcuni capi della sentenza e che era suo interesse appellare, esclusivamente, la decisione del Tribunale in merito al punto numero quattro dell'ordine del giorno della delibera assembleare impugnata, relativa allo spostamento del contatore dell'(...), nonché il capo di sentenza concernente la regolazione delle spese del primo grado di giudizio. Chiarito questo, precisava che: era proprietaria esclusiva del lastrico solare del palazzo di cui si tratta, oltre che di altri lastrici solari, sui quali aveva installato pannelli solari secondo le norme vigenti, per il cui utilizzo, tuttavia, occorreva un autonomo contatore che l'(...) aveva installato all'esterno del palazzo, posizionandolo sulla parete laterale dell'edificio condominiale; tuttavia, l'avv. (...), per conto del condomino tale (...), aveva inviato una nota all'amministratore e alla (...), lamentando l'installazione dei pannelli fotovoltaici sul lastrico solare e il posizionamento del relativo contatore sul muro del palazzo; per questa ragione, l'amministratore aveva inserito, al quarto punto dell'ordine del giorno dell'assemblea di condominio del 19.2.2013, proprio l'esame della nota del suddetto avvocato e delle determinazione da assumere; quindi, nell'ambito dell'assemblea del 19.2.2013, la (...) era intervenuta personalmente e producendo, anche, dichiarazioni scritte, al fine di affermare il suo diritto di utilizzare le parti comuni dell'edificio, al pari di tutti gli altri condomini, senza arrecare, chiaramente, alcun pregiudizio; all'esito dell'assemblea, era stata deliberata, a maggioranza e con il voto contrario della (...), la decisione di chiedere all'(...) di effettuare lo spostamento di detto contatore dal muro condominiale, posizionandolo nella proprietà esclusiva dell'odierna appellante, dando mandato all'amministratore per attivare la relativa procedura. L'appellante, quindi, lamentava, in primo luogo, il travisamento dei fatti da parte del Tribunale, giacché, contrariamente a quanto ritenuto, il contatore non era posizionato sul lastrico solare, bensì sulla facciata esterna laterale dell'edificio condominiale (per come, del resto, risultava evidente dalle fotografie prodotte in allegato alla memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2 c.p.c.), sicché la (...), diversamente da quanto affermato dal giudice, non aveva alcun onere di prova in ordine alla obbligatorietà della collocazione del contatore sul lastrico solare. Premesso questo, l'odierna appellante ribadiva le ragioni di merito dell'impugnazione della delibera condominiale, con cui era stato deciso lo spostamento del contatore, adducendo, in sintesi, che: il posizionamento dello stesso sul muro esterno del Condominio non creava alcun disagio ovvero problema di sorta al bene comune, poiché aggettava sulla proprietà privata dell'interessata, sicché l'unico utilizzo della (...) era consistito nell'impiego del muro esterno condominiale; tale uso, oltre ad essere del tutto lecito, non determinava l'esclusione del godimento di altri condomini; oltretutto, detto specifico posizionamento era stato imposto dall'(...), in ottemperanza ai protocolli interni, ed era il più conveniente, giacché doveva essere visibile e raggiungibile dall'(...), indipendentemente dalla presenza della (...) che risiedeva a Pisa; per di più, dalla previsione normativa di cui all'art. 1102 c.c. poteva agevolmente evincersi che l'apposizione dei contatori costituiva applicazione pratica di detta norma; in definitiva, l'uso della cosa comune, da parte della (...), era avvenuto nell'esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c., sicché l'apposizione del contatore doveva ritenersi legittima; discendeva, allora, che la delibera impugnata era illegittima, non avendo, peraltro, neppure, offerto indicazioni in ordine alla proprietà esclusiva della (...) ove avrebbe dovuto essere posizionato il contatore. Inoltre, la (...) censurava la sentenza del Tribunale di Catanzaro, anche, sotto il profilo della regolazione delle spese legali del giudizio di primo grado, atteso che il giudice, a suo dire, aveva erroneamente ritenuto l'attrice soccombente, a seguito di una erronea interpretazione dei fatti ed all'omesso esame dei documenti prodotti in merito alla decisione sul punto quattro dell'ordine del giorno, presa dall'assemblea di condominio con la delibera impugnata. Inoltre, secondo l'odierna appellante, anche in relazione agli altri capi della sentenza (concernenti i primi tre punti all'ordine del giorno, non più oggetto di controversia), in realtà, il giudice non si era avveduto della cessata materia del contendere, derivante dalla modifica normativa apportata all'art. 1129 c.c. e dall'ordinanza del Tribunale resa nell'ambito del procedimento di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto la nomina dell'amministratore del Condominio, sicché - avendo la (...) impugnato la delibera condominiale al fine di far cessare la prassi dell'ex amministratore di scegliere, a discapito dei condomini, imprese di sua fiducia - una volta cessato dalla carica l'amministratore, era venuto meno anche l'interesse alla decisione, fatta eccezione per la parte riguardante la delibera dell'assemblea di condominio sul punto quattro dell'ordine del giorno. Concludeva, quindi come trascritto in epigrafe (cfr. l'atto di appello). Nessuno si costituiva per gli appellati. All'udienza del 15.10.2019, la Corte di Appello, sciogliendo la riserva presa in ordine alla verifica del contraddittorio e alla istanza di parte appellante di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., accertava, da un lato, l'integrità del contraddittorio - avendo l'appellante notificato l'atto di appello tanto al procuratore del Condominio costituito nel giudizio di primo grado, quanto ai singoli condomini - e dichiarava, dall'altro lato, inammissibile l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, giacché era volta alla sospensione non già della pronuncia contenuta nella sentenza stessa, ma della delibera di assemblea (cfr. l'ordinanza citata). Nel frattempo, verificatasi la nota emergenza sanitaria, connessa alla diffusione del virus Covid-19, venivano adottate le norme volte a contenere tale diffusione, tra cui quelle di natura processuale, contenute, essenzialmente, nell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020, per come convertito in legge e modificato e, successivamente, nell'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020. Pertanto, l'udienza di precisazione delle conclusioni, fissata, da ultimo, per il 21.6.2022, veniva tenuta mediante trattazione scritta (con il deposito di note con modalità telematiche, prima dell'udienza fissata), secondo le disposizioni di cui all'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, nel frattempo entrato in vigore, a norma del quale il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, previa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza, che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegnazione alle parti stesse di un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte, salva la facoltà di ciascuna delle parti di presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento, cosicché, con decreto del Presidente di sezione, veniva disposta la trattazione della causa tramite deposito in via telematica di note scritte. All'udienza del 21.6.2022, dunque, la causa veniva assegnata a sentenza, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali note di replica (cfr. gli atti del giudizio di appello). MOTIVI DELLA DECISIONE Occorre preliminarmente dichiarare la contumacia del Condominio di via (...), 13 e dei singoli condomini, (...) ed altri, che, sebbene ritualmente citati in giudizio, non si sono costituiti. In particolare, deve considerarsi regolare la notificazione nei confronti del Condominio, appellato principale, avvenuta presso il procuratore costituito del giudizio di primo grado. In effetti, anche volendo ipotizzare che, a seguito della modifica dell'art. 1129 c.c., sia cessata l'efficacia della nomina dell'amministratore non confermato nell'incarico (trattandosi di condominio con non più di otto condomini e, come, tale, non obbligato a nominare un amministratore ex art. 1129 c.c., nel testo attualmente vigente), devono applicarsi i consolidati principi giurisprudenziali sulla ultrattività del mandato difensivo, con la conseguenza che la notificazione dell'appello deve considerarsi regolare e che sarebbe stato onere del procuratore del Condominio rilevare, con formale dichiarazione in udienza o da notificare all'altra parte, l'eventuale causa di interruzione, conseguente alla cessazione dell'incarico dell'amministratore (cfr., ad esempio, Cass. sez. II, n. 27302/2020). Ad ogni modo, l'appellante ha proceduto a notificare l'appello, anche, ai singoli condomini, in tal modo, sanando ogni ipotetico difetto di contraddittorio. Premesso questo, appare opportuno, preliminarmente, illustrare la trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni e chiarire l'oggetto del giudizio di appello. 1. La trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni Come già esposto nella illustrazione dello svolgimento del processo, l'udienza di precisazione delle conclusioni del 21.6.2022 si è svolta con trattazione scritta (ossia mediante il deposito, con modalità telematiche, di apposite note delle parti contenenti istanze e conclusioni), ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, contenente disposizioni volte a contenere gli effetti della diffusione del virus "Covid 19". 2. L'oggetto del giudizio di appello Richiamata la trattazione relativa allo svolgimento del processo e, in particolare, il contenuto della sentenza di primo grado ed i motivi di appello, è opportuno evidenziare che l'oggetto del giudizio di appello è costituito, essenzialmente: 1) dalla questione della invalidità o meno della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente alle decisione dell'assemblea condominiale, in ordine al punto numero quattro dell'ordine del giorno, relativo allo spostamento dalla parete esterna dell'edificio condominiale del contatore dell'(...), collegato all'impianto fotovoltaico della (...), avendo il Tribunale rigettato l'impugnazione della delibera con decisione censurata dalla (...); 2) dalla regolamentazione delle spese del primo grado di giudizio, poste dal Tribunale a carico dell'odierna appellante con decisione dalla stessa contestata; 3) dalla regolamentazione delle spese del presente grado di giudizio. Non sono stati oggetto di impugnazione e, quindi, sono da considerarsi passati in giudicato, invece, i seguenti capi di sentenza: a) la statuizione in ordine alle contestazioni della medesima delibera dell'assemblea condominiale concernenti il punto numero uno dell'ordine del giorno (relativo all'approvazione dei lavori di messa in sicurezza degli impianti elettrici); b) la statuizione resa in ordine alle contestazioni sollevate in merito al punto due dell'ordine del giorno, afferente alla nomina di un nuovo amministratore di condominio; c) la statuizione resa in ordine alle contestazioni sollevate al punto numero tre dell'ordine del giorno, afferente all'approvazione del bilancio preventivo dell'anno 2013, presentato dall'amministratore uscente e non ricandidatosi; d) la statuizione resa in ordine alla domanda di parte attrice volta al rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dei lavori di manutenzione degli impianti elettrici ed alla relativa domanda di risarcimento del danno. 3. Il merito. Conviene trattare le questioni sollevate con l'appello (ossia la domanda di annullamento della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente alla decisione relativo al punto n. 4 dell'ordine del giorno, e la regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado) separatamente. 3.1. Sulla domanda di annullamento della delibera assembleare del 19.2.2013, limitatamente al numero quattro dell'ordine del giorno Come già illustrato nel corso dello svolgimento del processo, (...) si duole della decisione del Tribunale di Catanzaro, nella parte in cui ha rigettato la domanda dell'attrice, avente ad oggetto l'annullamento della delibera condominiale del 19.2.2013, limitatamente al punto numero quattro dell'ordine del giorno, afferente allo spostamento del contatore dell'(...) (collegato all'impianto fotovoltaico appartenente alla (...)) e collocato sulla parte esterna condominiale, sulla base di un'erronea ricostruzione ed interpretazione dei fatti di causa e degli elementi probatori prodotti in giudizio. Il motivo di appello proposto dalla (...) è fondato e merita l'accoglimento, dovendosi sul punto riformare la sentenza del Tribunale di Catanzaro per i motivi di seguito esposti. In primo luogo, appare opportuno osservare che, per come è pacifico e, del resto, documentato (cfr., in particolare, la documentazione fotografica prodotta e la nota dell'avv. (...), presa in esame nel corso della riunione assembleare del 19.2.2013), il contatore dell'(...), collegato agli impianti fotovoltaici dell'odierna appellante, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, è collocato su una parete esterna dell'edificio condominiale e non già sul lastrico solare - peraltro, di esclusiva proprietà della (...) - sul quale sono posti, invece, i pannelli dell'impianto, collegati al contatore oggetto di contestazione. Consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la (...) non aveva l'onere di provare l'obbligatorietà del posizionamento del contatore sul lastrico solare, giacché la domanda, proposta da quest'ultima nel giudizio di primo grado, era volta a dimostrare, piuttosto, l'illegittimità dello spostamento dalla parete condominiale, per come deliberato dall'assemblea. Chiarito questo in ordine alla ricostruzione del fatto, l'appello, nella parte in cui, lamenta la mancata declaratoria di invalidità della delibera condominiale nella parte in questione, deve essere accolto. In effetti, il Condominio di via (...), costituitosi nel primo grado di giudizio, non ha offerto alcun elemento probatorio a sostegno della pretesa lesione del decoro architettonico dell'edificio ovvero della sua stabilità o sicurezza rispetto al collocamento del contatore sulla facciata esterna, non essendo sufficiente, a tal fine, la nota, presa in esame nell'ambito della riunione assembleare, dell'avv. (...), inviata per conto del condomino tale (...) - allegata in atti - poiché espressiva di una mera preoccupazione personale che non trova, tuttavia, riscontro obiettivo e non è in grado di giustificare, quindi, la determinazione scaturita dall'assemblea del 19.2.2013. Né le rappresentazioni fotografiche prodotte in giudizio dalla (...) e valorizzate dal Condominio allo scopo di provare la necessità dello spostamento del contatore (cfr. la memoria ex art. 183, comma IV, n. 3), hanno valenza dimostrativa in ordine alla lesione del decoro architettonico o alla stabilità dell'edificio, dando semplicemente contezza del posizionamento del contatore, peraltro, con limitato ingombro, sulla parte inferiore di una parete laterale esterna dell'edificio, all'interno di un'apposita vetrata di limitato spessore e con cornice di colore analogo a quello del fabbricato. In definitiva, il posizionamento del contatore usato dalla (...), oltre a non impedire l'uso delle parete condominiale agli altri condomini a fini analoghi, non risulta comportare rischi per la stabilità o la sicurezza del fabbricato né incongruenze rispetto allo stile del fabbricato (alquanto semplice) o disarmonie architettoniche rispetto alla fisionomia dell'edificio, cosicché tale collocamento del contatore non costituisce attività illecita ovvero arbitraria, rientrando, al contrario, nella facoltà, riconosciuta al condomino dall'art. 1102 c.c., di uso della cosa comune. Peraltro, dall'esame degli elementi acquisti nel corso del giudizio di primo grado, non sono state riscontrate neppure prescrizioni regolamentari, tese a vietare ovvero imporre un determinato tipo di uso dei beni comuni. Infine, al contrario di quanto sostenuto dal Condominio nel corso del giudizio di primo grado, il posizionamento del contatore sulla parete condominiale non costituisce, ai sensi dell'art. 1120 c.c., una innovazione e, quindi, non necessita di una preventiva autorizzazione assembleare, atteso che, come noto, l'innovazione consiste in opere di trasformazione in grado di incidere sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione; caratteristiche queste che, per nozioni di logica ed esperienza, non possono essere ricondotte al mero posizionamento di un contatore su di una parete condominiale. Peraltro, occorre osservare, sotto il profilo del vizio da cui è affetta la delibera condominiale - limitatamente alla parte oggetto di contestazione - che la stessa è annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c., non ravvisandosi, invece, un vizio di nullità. Sotto questo profilo, secondo un principio ormai consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, in tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume" (cfr. in particolare Cass. civ., s.u., n. 9839 del 2021). Ebbene, con specifico riguardo al caso di specie, dal verbale della Delib. del 19 febbraio 2013 si evince che l'assemblea ha deliberato di "dare mandato all'amministratore di notificare all'(...) la richiesta di spostamento del contatore relativo al fotovoltaico chiedendo che questo venga installato nella proprietà esclusiva della (...)" (cfr. verbale allegato in atti). Dunque, l'assemblea condominiale ha deliberato nell'ambito delle attribuzioni conferitele dalla legge in ordine all'uso dei beni comuni - considerata la collocazione del contatore in contestazione sulla parete condominiale - operando, quindi, non in carenza di potere (escludendo un determinato uso da parte di un condomino della cosa comune, senza disporre un divieto assoluto di tale uso), ma, piuttosto, esercitando detto potere in modo distorto, atteso che il mero posizionamento di un contatore sulle pareti esterne dell'edifico rientra nelle facoltà del condomino, in ordine alla migliore e razionale utilizzazione della cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c. Premesso quanto esposto, dall'accoglimento del motivo di appello proposto da (...) discende l'annullamento della delibera condominiale del 19.2.2013 limitatamente al punto numero quattro dell'ordine del giorno. 3.2. Sulla regolazione delle spese legali del primo grado di giudizio. Come già esposto, (...) censura la sentenza del Tribunale di Catanzaro anche in ordine al capo relativo alla regolazione delle spese legali del primo grado di giudizio. Secondo l'appellante, il giudice di primo grado ha erroneamente condannato l'attrice al rimborso delle spese legali in favore del Condominio, in ragione della errata ricostruzione e interpretazione del fatto, in particolare, in relazione al punto numero quattro della delibera impugnata. Inoltre, a suo dire, la condanna alle spese sarebbe ingiusta, anche, in ordine agli altri capi della sentenza, giacché il giudice non si è avveduto della cessata materia del contendere derivante dalla modifica normativa apportata all'art. 1129 c.c. e dall'ordinanza del Tribunale resa nell'ambito del procedimento di volontaria giurisdizione, avente ad oggetto la nomina dell'amministratore del Condominio, sicché - avendo la (...) impugnato la delibera condominiale, al fine di far cessare la prassi dell'ex amministratore di scegliere, a discapito dei condomini, imprese di sua fiducia - una volta cessato dalla carica l'amministratore, era venuto meno anche l'interesse alla decisione, fatta eccezione per il punto quattro dell'ordine del giorno ed alla relativa parte della delibera impugnata. La censura è fondata limitatamente al primo aspetto, atteso che l'accoglimento dell'appello in ordine alla parte di delibera condominiale avente ad oggetto il punto n. 4 dell'ordine del giorno comporta una reciproca, per quanto parziale, soccombenza delle parti che giustifica una corrispondente parziale compensazione delle spese di lite (si cui v. infra). Quanto al secondo aspetto, la censura non merita l'accoglimento. In effetti, l'odierna appellante ha limitato la sua impugnazione, esclusivamente, alla statuizione della sentenza di primo grado resa in ordine alle contestazioni sollevata sul punto numero quattro dell'ordine del giorno oggetto della Delib. del 19 febbraio 2013, più volte citata, senza, quindi, impugnare anche le altre statuizioni di rigetto rese dal giudice di primo grado, con la conseguenza che, rispetto a queste ultime, la soccombenza (ossia il rigetto nel merito della sua domanda) si è cristallizzata ed è cosa giudicata. Peraltro, anche volendo trascurare tale assorbente circostanza, deve escludersi che la cessazione dell'incarico dell'amministratore del condominio abbia determinato la cessazione della materia del contendere, atteso che l'impugnazione della delibera condominiale, prescindendo dalla intenzioni soggettive e dagli scopi reconditi della (...), aveva ad oggetto determinate statuizioni dell'assemblea di condominio, la cui efficacia non è certo venuta meno (l'approvazione del bilancio consuntivo per l'anno 2012 ed il relativo piano di riparto delle spese; la mancata nomina di un nuovo amministratore; l'approvazione del bilancio preventivo per l'anno 2013 ed il relativo piano di riparto delle spese). Premesso questo, la prevalente soccombenza di (...) (in relazione a tre importanti decisioni della assemblea di condominio sul totale di quattro) giustifica, in parziale riforma del capo si sentenza sul punto, la compensazione, nella misura di un quarto, delle spese legali del primo grado di giudizio, già liquidate dal Tribunale nell'intero, con condanna di (...) al rimborso, in favore del Condominio di Via (...), dei restanti tre quarti. 3. Sulle spese del presente grado di giudizio. Con riguardo alle spese del giudizio d'appello, la parziale reciproca soccombenza delle parti (della (...) in ordine alla pronuncia sulle spese del giudizio di primo grado) giustifica la compensazione tra le parti nella misura di un terzo delle spese legali del presente grado di giudizio, con condanna del Condominio appellato al rimborso dei restanti 2/3 nei confronti dell'appellante, in virtù della prevalente soccombenza. Tenuto conto del valore della controversia e della concreta attività difensiva svolta, oltre che dei parametri della tariffa forense (D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018), le spese del presente grado di giudizio sono liquidate, nell'intero, in complessivi Euro 690,00 per onorari (euro 150,00 per la fase di studio della controversia; Euro 150,00 per la fase introduttiva; Euro 180,00 per fase istruttoria e di trattazione ed Euro 210,00 per la fase di decisione), nonché in Euro 147,10 per spese vive documentate, oltre accessori di legge. Quanto ai rapporti processuali con i singoli condomini, rimasti estranei, personalmente, alla controversia (riguardate il condominio nel suo complesso), le spese processuali del giudizio di appello possono essere compensate per intero. Conseguono le statuizioni di cui al dispositivo. P.Q.M. La Corte di Appello di Catanzaro, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...), avverso la sentenza n. 1421/2018, emessa dal Tribunale civile di Catanzaro in data 26.7.2018 e pubblicata in data 30.7.2018, all'esito del procedimento n. 1153/2013 r.g.a.c., disattesa ogni altra istanza, eccezione o domanda, in parziale riforma della sentenza impugnata, così provvede: - dichiara la contumacia del Condominio di via (...) di C. e di (...) ed altri; - annulla la delibera condominiale del 19.2.2013, limitatamente alla decisione sul punto numero quattro dell'ordine del giorno; - compensa per un quarto le spese del primo grado di giudizio, liquidate nell'intero dal Tribunale, e condanna (...) al pagamento, in favore del Condominio di via (...) di C., dei residui tre quarti; - compensa nella misura di un terzo le spese del presente grado di giudizio, liquidate nell'intero in Euro 690,00 per onorari ed Euro 147,10 per spese vive, oltre accessori di legge, e condanna il Condominio di via (...) di C. al rimborso dei restanti due terzi nei confronti di (...); - compensa per intero le spese del giudizio di appello quanto rapporti processuali relativi ai singoli condomini sopra indicati. Così deciso in Catanzaro il 19 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

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