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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 769 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ca., Gi. Ge. e Bo. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Comando Provinciale Vigili del Fuoco di -OMISSIS-, Corpo Nazionale Vigili del Fuoco, rispettivamente in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, in Venezia, (...); nei confronti sul ricorso numero di registro generale 1374 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ca., Gi. Ge. e Bo. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, in Venezia, (...); nei confronti Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Comando Provinciale di -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento -- quanto al ricorso n. 769 del 2022: - del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde Covid 19, ai sensi dell'art. 9 quinquies del d.l. n. 52 del 2021, prot. 353 dell'8 febbraio 2022, emesso dal Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Direzione centrale per le risorse umane, notificato il 23 marzo 2022; - di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali. -- quanto al ricorso n. 1374 del 2022: a. del provvedimento di accertamento dell''inosservanza dell''obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde Covid19 ai sensi dell''art. 9 quinquies del D.L. n. 52 del 2021, prot. 1964 del 21 giugno 2022, emesso dal Ministero dell''Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Direzione centrale per le risorse umane, notificato il 26 settembre 2022; b. del provvedimento di accertamento dell''inosservanza dell''obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde Covid19 ai sensi dell''art. 9 quinquies D.L. n. 52 del 2021, prot. 2413 del 29 agosto 2022, emesso dal Ministero dell''Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Direzione centrale per le risorse umane, notificato il 26 settembre 2022; c. di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comando Provinciale Vigili del Fuoco di -OMISSIS-, del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco e del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2024 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso iscritto al n. 769 del 2022, il Sig. -OMISSIS-, Vigile del Fuoco, assegnato al Comando di -OMISSIS-, sede distaccata di -OMISSIS-, ha impugnato il provvedimento dell'8 febbraio 2022, in epigrafe descritto, a mezzo del quale veniva dichiarato assente ingiustificato dal servizio nel periodo compreso tra il 23 ottobre e il 30 novembre 2021, per non aver ottemperato all'obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde SarsCov-2, condizione necessaria per l'accesso al luogo di lavoro, ai sensi dell'art. 9 quinquies, d.l. n. 52 del 2021. 2. Avverso tale determinazione sono stati formulati una serie di motivi di impugnazione e di deduzioni difensive rubricati come segue: (1) DISAPPLICAZIONE DELL'ART. 9 QUINQUIES DL 52/21; (2) DISAPPLICAZIONE DELL'ART. 9 quinquies D.L. 52/21 IN CONTRASTO CON IL REGOLAMENTO U.E. 536/2014, CON L'ART. 3 CARTA DI NIZZA, ART. 5 CONVENZIONE DI OVIEDO, ART. 20 CONVENZIONE DI HELSINKI; (3) IN VIA DI GRADUATO SUBORDINE QUESTIONE DI RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA U.E. AI SENSI DELL'ART. 267 TFUE.; (4) SOSTEGNO ECONOMICO VITALE; (5) INDENNITA' NEL CASO DI SOSPENSIONE DAL LAVORO DEL VIGILE DEL FUOCO; 6) LEGITTIMO AFFIDAMENTO - RINUNCIA DELLA CONTESTAZIONE DELL'INOSSERVANZA DI POSSEDERE ED ESIBIRE IL GREEN PASS; (7) OBBLIGAZIONE NATURALE EX ART. 2034 C.C.; (8) IMPOSSIBILITÀ NEL FINE RATIONE TEMPORIS DALL'ART. 9 QUINQUIES D.L. 52/21; (9) IRRAGIONEVOLEZZA DELL'ART. 9 QUINQUIES D.L. 52/21; (10) LESIONE DELLA LIBERTA' PERSONALE; (11) INEFFICACIA DEL TEST PCR RT PER SARS COV 2. 2.1 Nei motivi primo, secondo, terzo, settimo, ottavo, nono, decimo e undicesimo, il ricorrente prospetta una serie di questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente a carico sia dell'art. 9 quinquies, sulla cui base ne è stata dichiarata l'assenza ingiustificata dal servizio, sia dell'art. 4 ter del d.l. n. 44 del 2021, istitutivo dell'obbligo vaccinale per determinate categorie di lavoratori, lamentandone la contrarietà rispetto alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, alla tutela della salute (per la pericolosità insita nella pratica vaccinale in quanto il ricorrente sarebbe privato dei mezzi economici per far fronte ai bisogni dei propri familiari) e l'irrazionalità della misura rispetto alle ragioni di prevenzione da essa sottese. Inoltre, i dubbi sulla pericolosità e sull'efficacia della terapia mediante l'impiego di vaccini nonché sull'affidabilità dei test di positività al contagio sarebbero stati a tal punto fondati, da far considerare come prevalente la tutela dell'integrità fisica dell'individuo (minata dalla pratica vaccinale) rispetto alle esigenze di salute pubblica poste dall'emergenza pandemica, sicché, nel bilanciamento tra la prima e le seconde, queste ultime - relegate secondo il ricorrente ad un ruolo recessivo - non avrebbero potuto giustificare la disciplina richiamata dall'Amministrazione e, con essa, la sospensione dal diritto di prestare servizio e dalla retribuzione. La disciplina complessivamente richiamata dall'Amministrazione sarebbe quindi suscettibile di integrale disapplicazione per contrasto con il diritto europeo (motivi 1° e 2° ); in subordine, sussisterebbero i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E., ai sensi dell'art. 267 TFUE, stante l'incompatibilità della normativa nazionale con i principi eurounitari. In ulteriore subordine, viene richiesto a questo Tribunale di sollevare in via pregiudiziale questione di legittimità costituzionale, accertando la non manifesta infondatezza dei rilievi esposti nelle censure in esame. 2.2 Con i motivi quarto e quinto, il ricorrente lamenta la mancata previsione, per il tempo della sospensione, di un assegno a favore del lavoratore impossibilitato a prestare servizio perché privo del certificato vaccinale. 2.3 Con il sesto motivo, il ricorrente assume che il provvedimento impugnato, con il quale l'Amministrazione ha qualificato la sua assenza dal servizio come ingiustificata, possieda, in realtà, natura disciplinare, in quanto diretto a sanzionare un'infrazione (mancata esibizione del green-pass) del lavoratore. L'attivazione della potestà disciplinare risulterebbe tuttavia intempestiva, non essendo stati osservati i termini sanciti dall'art. 55, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 (complessivamente quaranta giorni, comprensivi del termine di dieci giorni stabilito per la comunicazione del fatto all'Ufficio competente, e di ulteriori trenta giorni, decorrenti dalla suddetta comunicazione, per la contestazione dell'addebito). 2.4 Il ricorrente agisce poi per il risarcimento del danno e formula, nel contempo, una serie di istanze istruttorie, dirette, da un lato, ad approfondire il tema della contestata efficacia dei test eseguiti per accertare la positività all'infezione, e, dall'altro lato, a determinare, in caso di contestazione da parte dell'Amministrazione, le spettanze economiche ancora dovute. 3. Con atto depositato il 1° febbraio 2023, il ricorrente ha integrato le proprie richieste istruttorie estendendole all'acquisizione in giudizio di una serie di documenti riguardanti il processo di produzione, le caratteristiche e l'efficacia dei vaccini in uso per la prevenzione dell'infezione da SarsCov-2. 4. In data 3 aprile 2023, il ricorrente ha formulato motivi aggiunti, con i quali, dopo avere premesso che "in data 09/02/2023 venivano pubblicate le sentenze n. ri 14, 15 e 16 della Corte Costituzionale, con le quali la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittima la disciplina sull'obbligo vaccinale anti covid19", ha eccepito al riguardo che "la Corte Costituzionale fa derivare la costituzionalità dell'obbligo da presupposti del tutto indimostrati", quali in particolare i dati scientifici riguardanti la produzione e l'impiego dei vaccini (che lo stesso ricorrente definisce come sperimentali), sostenendo che i principi espressi dalla Consulta non avrebbero potuto influenzare la decisione del ricorso (specie in riferimento alla dubbia efficacia dei vaccini immessi in commercio; v. motivo 8). Inoltre, il ricorrente ha ribadito la fondatezza del secondo motivo di ricorso, prospettando l'illegittimità della decisione della Commissione U.E. n. 2020/C 447 I/01 (EU/1/20/1528) del 21 dicembre 2020 che ha autorizzato, pur con condizioni, l'immissione in commercio del vaccino, insistendo per l'attivazione del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E. 5. Con il successivo ricorso iscritto al n. 1374 del 2022, il Sig. -OMISSIS- ha poi impugnato i provvedimenti, anch'essi in epigrafe descritti, con i quali l'Amministrazione ha accertato l'inosservanza del rispetto all'obbligo vaccinale, impostogli dalla normativa di settore. Tale impugnazione risulta fondata su censure - formulate nel ricorso introduttivo oltreché nei successivi motivi aggiunti - sostanzialmente sovrapponibili a quelle esposte nel precedente gravame. 6. Si è costituita in entrambi i giudizi l'Amministrazione, depositando memoria di forma. 7. Chiamate alla pubblica udienza del 17 aprile 2024, le due cause sono state quindi trattenute in decisione. 8. Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei giudizi, tenuto conto della loro connessione soggettiva e dell'identità delle questioni sottoposte all'esame del Collegio. 9. Venendo al merito, entrambi i gravami sono infondati in relazione a ciascuno dei coincidenti motivi di impugnazione. 9.1 Deve essere premesso, in linea con il consolidato orientamento in materia del Consiglio di Stato, che l'art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, nel prevedere l'imposizione dell'obbligo vaccinale, non condiziona la doverosità dell'adempimento all'effettivo e attuale svolgimento del servizio e consente deroghe allo stesso solo nelle ipotesi, quivi non verificatesi, di cui al comma 2 del medesimo articolo (ossia, in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2). Il menzionato art. 4, comma 1, dunque, "si limita (...) a sancire che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati, non prevedendo affatto - come preteso dall'appellante - che l'assenza dal servizio (...) integri una ragione di esenzione dal generale obbligo vaccinale in essa contemplato" (Cons. Stato, Sez. III, 14 settembre 2023, n. 8329). Alla stregua di tale indirizzo, si deve concludere che la sussistenza dell'obbligo vaccinale introdotto dall'art. 4-ter, d.l. n. 172 del 2021 consegue alla mera appartenenza dell'interessato alla categoria selezionata dal Legislatore, senza che assumano rilievo esimente né le caratteristiche del servizio espletato nel concreto, né l'eventualità di un reimpiego in altre mansioni all'interno della medesima categoria, né il dato oggettivo dell'assenza del dipendente dal luogo di lavoro per l'intero periodo di vigenza dell'obbligo, per essere egli non idoneo o esentato dal servizio per altre causali. 9.2 All'interno di tale cornice, non sono suscettibili di favorevole apprezzamento le numerose censure (motivi 1, 2, 3, 7, 8, 9, 10 e 11) con cui la parte ricorrente si duole del contrasto con i principi costituzionali ed europei della disciplina istitutiva dell'obbligo vaccinale e della correlata sospensione dal servizio per il caso, qui considerato, di inadempimento. La Corte costituzionale (sentenza n. 15 del 2023) ha recentemente chiarito che la previsione dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 - anziché del più mite obbligo di sottoporsi ai relativi test diagnostici (c.d. tampone) - non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili. Infatti, disattendendo le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova, la Corte ha affermato che la normativa censurata ha operato un contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione. Il sacrificio imposto agli operatori sanitari - ma il principio appare applicabile anche ai militari, ai membri delle forze di polizia e del Corpo dei Vigili del Fuoco - non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini. La mancata osservanza dell'obbligo vaccinale ha così riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio. La sentenza della Consulta ha ritenuto non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza anche la scelta legislativa di non prevedere, per i lavoratori che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola. 9.3 È altrettanto infondato il correlato rilievo con cui la parte ricorrente segnala il possibile contrasto della disciplina in parola col diritto dell'Unione europea e con la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. La Corte Costituzionale (v. ancora sentenza n. 14 del 2023) ha infatti osservato come in molti altri Paesi europei siano state adottate misure simili a quelle contestate in questa sede; né va dimenticato che la Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, sentenza 8 aprile 2021, cause riunite 47621/13 3867/14 73094/14 19298/15 19306/15 43883/15, ha ribadito come la vaccinazione obbligatoria non costituisca un'ingerenza nella vita privata in violazione dell'art. 8 della Convenzione EDU ove sia: i) conforme a legge; ii) imposta per uno scopo legittimo, consistente nel proteggere, sia coloro che ricevono la vaccinazione sia coloro che non possono riceverla, dalle malattie che possono comportare un grave rischio per la salute; iii) necessaria per un "urgente bisogno sociale"; iv) proporzionata allo scopo perseguito; v) previsto un sistema sanzionatorio proporzionato. Anche la giurisprudenza (da ultimo, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. V, 26 febbraio 2024, n. 515) ha escluso come la normativa contestata violi il diritto europeo ed internazionale, il che porta ad escludere la necessità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E., su cui ha nuovamente insistito il ricorrente, anche in sede di motivi aggiunti, attraverso la prospettazione di ipotetiche criticità a carico dell'immissione in commercio dei vaccini e delle verifiche effettuate dagli organi preposti; prospettazione che non intacca però la proporzionalità e la ragionevolezza delle misure di sanità pubblica adottate nel corso dell'emergenza pandemica a tutela della salute collettiva e della conservazione, in tale particolare momento storico, del contesto economico-sociale. 9.4 Devono poi essere disattese la quarta e la quinta censura, con cui la parte ricorrente si duole della mancata corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro, nel corso del periodo di sospensione dovuta all'inadempimento dell'obbligo vaccinale. La Corte Costituzionale (cfr. sempre n. 14 del 2023) ha infatti giustificato la mancata erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, ritenendo non comparabile la posizione del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l'assegno alimentare può essere erogato. Sotto questo profilo, il Collegio deve dunque rivedere, melius re perpensa, l'orientamento assunto in sede cautelare nelle proprie ordinanze n. -OMISSIS-), con le quali si era ritenuto che la sospensione del trattamento retributivo in godimento dovesse essere "contenuta nel limite del cinquanta per cento (50%)" e di cui il ricorrente aveva in seguito lamentato la mancata integrale esecuzione. Come infatti chiarito dalla Corte Costituzionale e come ribadito dalla costante giurisprudenza amministrativa (anche di questo Tribunale), nel periodo di sospensione per inottemperanza all'obbligo vaccinale, la retribuzione non è dovuta per l'intero né sussiste l'obbligo di corrispondere al lavoratore assente dal servizio un qualsivoglia trattamento indennitario. 9.5 Si rivela altrettanto infondato il sesto motivo di ricorso. Vertendosi, infatti, in materia di sospensione dal servizio dovuta all'impossibilità di fornire la prestazione lavorativa per inescusabile inosservanza dell'obbligo di vaccinazione (e non, come visto, della sospensione cautelare disposta a seguito della sottoposizione del dipendente a procedimento penale), non possono trovare applicazione le disposizioni che regolano l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro e impongono, a pena di decadenza, l'osservanza del termine stabilito per la contestazione dell'addebito (di cui il ricorrente lamenta la violazione). 10. Per quanto precede, entrambi i gravami devono essere complessivamente respinti, anche in riferimento alle richieste risarcitorie e restitutorie (stante la reiezione della domanda caducatoria che ne costituisce il necessario presupposto logico). Vanno parimenti respinte le istanze istruttorie, da ritenersi superflue perché dirette a scalfire il quadro scientifico sulla cui base è stata introdotta la disciplina applicata nel caso di specie, la quale, come detto, appare invece conforme al contesto dei principi costituzionali ed europei, coerente con gli approdi della ricerca disponibili al momento dell'adozione della misura e ragionevole rispetto alla situazione emergenziale all'epoca fronteggiata dal Legislatore. 11. Le spese possono essere ugualmente compensate, tenuto conto della particolarità della vicenda esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi n. 769/2022 e n. 1374/2022 R.G., come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Leonardo Pasanisi - Presidente Nicola Bardino - Primo Referendario, Estensore Filippo Dallari - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Provincia autonoma di Bolzano 8 maggio 2020, n. 4 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nella fase di ripresa delle attività), promosso dal Tribunale ordinario di Bolzano, seconda sezione civile, nel procedimento vertente tra M. B. e la Provincia autonoma di Bolzano con ordinanza del 12 maggio 2023, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2023. Visti gli atti di costituzione di M. B. e della Provincia autonoma di Bolzano; udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella; uditi gli avvocati Alessandro Fusillo per M. B. e Lukas Plancker per la Provincia autonoma di Bolzano; deliberato nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 12 maggio 2023, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Bolzano, seconda sezione civile, ha sollevato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Provincia autonoma di Bolzano 8 maggio 2020, n. 4 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nella fase di ripresa delle attività). 1.1.- Espone il rimettente che: - esso è stato adito, con due separati ricorsi, da M. B., nella sua qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società «Pizzeria B. S.a.s. di B. D. & Co.», e da quest'ultima società, per l'annullamento delle ordinanze 17 gennaio 2022, n. 69/SG/2022-001 e n. 69/SG/2022-002, con cui la Provincia autonoma di Bolzano, da un lato, ha ingiunto loro il pagamento, in solido, della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 400,00 (oltre euro 12,00, a titolo di spese) e, dall'altro, ha disposto la sospensione per dieci giorni dell'attività esercitata dal trasgressore (dal 19 al 28 gennaio 2022); - le impugnate ordinanze-ingiunzione sono state emesse a seguito del verbale di accertamento della compagnia della Guardia di finanza di Merano 26 novembre 2021, n. 000044, con cui i militari avevano contestato a M. B. di non avere richiesto ai clienti di esibire il cosiddetto green pass, necessario per il consumo al tavolo all'interno del locale; - le sanzioni sono state comminate per violazione degli artt. 3 e 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, nonché dell'ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano 30 luglio 2021, n. 28 (Ulteriori misure urgenti per la prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19); - in entrambi i procedimenti gli opponenti hanno contestato la legittimità delle ordinanze-ingiunzione impugnate sulla base dei seguenti motivi: a) nullità per mancata audizione di M. B., in violazione dell'art. 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 7 gennaio 1977, n. 9 (Norme di procedura per l'applicazione delle sanzioni amministrative), e per omessa traduzione del verbale di contestazione in lingua tedesca; b) difetto di legittimazione attiva della Provincia autonoma, «per competenza del Commissariato del Governo di Bolzano in relazione alla comminazione di sanzioni in materia di violazione delle disposizioni nazionali a contrasto della diffusione della pandemia Covid-19»; c) difetto di legittimazione passiva di M. B., in relazione «alla comminata sospensione dell'attività in quanto non titolare della stessa»; d) nullità delle ordinanze-ingiunzione «per minaccia della sanzione» della revoca della licenza, non prevista dalla legge statale; e) «difetto di nomina» di M. B. da parte del Ministero della salute quale responsabile della trattazione di dati sensibili ai fini del controllo dei green pass; f) «prevalenza delle norme europee e del diritto internazionale» sulle disposizioni statali in materia di obbligo vaccinale e certificazione verde; g) illegittimità costituzionale «della declaratoria dello stato di emergenza del Consiglio dei Ministri disposto con provvedimento» del 31 gennaio 2020, per contrasto con gli artt. 78 e 95 Cost.; h) illegittimità costituzionale «della certificazione verde», per contrasto con l'art. 13 Cost.; i) illegittimità della sanzione perché avente ad oggetto un comportamento commesso in stato di necessità e dunque scriminato, ai sensi dell'art. 4 della legge 24 novembre 1981, n. 698 (Modifiche al sistema penale); l) insussistenza della reiterazione delle violazioni «che possano giustificare la sospensione dell'attività»; m) assenza dei presupposti per l'applicazione della sanzione della sospensione dell'attività per dieci giorni, ai sensi degli artt. 9-bis e 13 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87; - costituitasi in entrambi i giudizi, la Provincia autonoma di Bolzano ha contestato «in fatto e in diritto le numerose eccezioni» sollevate dagli opponenti; i procedimenti sono stati riuniti e alle parti è stato concesso un termine per prendere posizione in ordine alla sollevata questione «di possibile illegittimità costituzionale» della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020. 1.2.- Ciò premesso in punto di fatto, il Tribunale di Bolzano ritiene che “si ponga” la questione di legittimità costituzionale della citata legge provinciale, in quanto la materia oggetto dell'intervento legislativo provinciale «ricade nella competenza legislativa esclusiva dello Stato a titolo di “profilassi internazionale” […], che è comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla». La legge provinciale in esame costituirebbe «la cornice normativa in forza della quale» è stata emessa la menzionata ordinanza contingibile e urgente n. 28 del 2021, che, al punto 7 (sezione ristorazione e alberghi), dispone quanto segue: «le attività della ristorazione di cui al capo II.D dell'allegato A della legge provinciale 8 maggio 2020, n. 4, svolte da qualsiasi esercizio sono consentite con consumazione seduti al tavolo, o al banco, nel rispetto delle misure di sicurezza di cui all'allegato A della suddetta legge provinciale. La consumazione al tavolo al chiuso è ammessa solo previa presentazione della certificazione verde di cui al punto 33». Quest'ultimo - prosegue il Tribunale di Bolzano - prevede che «ai fini della presente ordinanza per certificazione verde si intende quella emessa ai sensi del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito con legge 17 giugno 2021, n. 87, e del DPCM del 17 giugno 2021, comprovanti una delle seguenti fattispecie: a) lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2; b) la guarigione dall'infezione da SARS-CoV-2; c) l'effettuazione di un test per la rilevazione del SARS-CoV-2 con esito negativo. L'esibizione delle predette certificazioni è richiesta dagli esercenti le attività per cui esse sono previste». In punto di rilevanza, dunque, secondo il rimettente, «la norma in questa sede censurata risulta la base giuridica su cui si fondano» le due ordinanze impugnate: in particolare, le sanzioni poggerebbero «in via principale sulle disposizioni» della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 (e sull'ordinanza contingibile e urgente n. 28 del 2021), «con mero richiamo alla normativa statale in relazione alle sanzioni pecuniarie» di cui all'art. 4 del d.l. n 19 del 2020, come convertito. «Nello specifico» - prosegue il rimettente - ai sensi dell'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, «[i]l mancato rispetto delle misure di cui alla presente legge è sanzionato secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19», che disciplinerebbe le sanzioni pecuniarie, mentre la sanzione accessoria della sospensione dell'attività sarebbe disciplinata dal successivo comma 37 del medesimo art. 1, oltre che dal decreto del Presidente della Provincia 3 agosto 2020, n. 25 (Regolamento concernente la disciplina delle sanzioni amministrative accessorie Covid-19). L'eventuale «declaratoria di incostituzionalità della norma» determinerebbe, quindi, l'immediata caducazione dei provvedimenti sanzionatori impugnati, «risultando gli stessi per l'effetto privi di base normativa e dunque in violazione del principio di legalità» di cui all'art. 1 della legge n. 689 del 1981, «con conseguente diritto degli opponenti a ripetere le somme eventualmente già corrisposte e ad agire al fine di proporre una domanda di risarcimento del danno derivante dall'illegittima sospensione dell'attività disposta». 1.3.- La questione di legittimità costituzionale, inoltre, si appaleserebbe «come fondata», alla luce di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 37 del 2021, secondo cui, a fronte di «malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, “ragioni logiche, prima che giuridiche” (sentenza n. 5 del 2018) radicano nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l'interesse della collettività (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002)»; e tale conclusione può «concernere non soltanto le misure di quarantena e le ulteriori restrizioni imposte alle attività quotidiane, in quanto potenzialmente fonti di diffusione del contagio, ma anche l'approccio terapeutico; i criteri e le modalità di rilevamento del contagio tra la popolazione; le modalità di raccolta e di elaborazione dei dati; l'approvvigionamento di farmaci e vaccini, nonché i piani per la somministrazione di questi ultimi, e così via». Aggiunge il giudice a quo che questa Corte si è espressa nel medesimo senso con la successiva sentenza n. 164 del 2022, decidendo il conflitto di attribuzione tra enti sollevato dalla Provincia autonoma di Bolzano in relazione ad alcuni atti del Garante per la protezione dei dati personali riguardanti i trattamenti previsti dalla medesima Provincia proprio in tema di certificazione verde per COVID-19. In tale pronuncia - prosegue il rimettente - si è affermato che la menzionata certificazione verde ha «la finalità di limitare la diffusione del contagio, consentendo l'interazione tra persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo se quest'ultime, in quanto vaccinate, guarite, o testate con esito negativo al COVID-19, si offrano a vettori della malattia con un minor tasso di probabilità»; e che la disciplina del green pass è estranea all'ambito di competenze poste dalla Provincia autonoma di Bolzano alla base del conflitto, essendosi già chiarito, con la sentenza n. 37 del 2021, che va ricondotta alla competenza legislativa esclusiva statale in tema di profilassi internazionale «ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla», poiché non vi può essere «alcuno spazio di adattamento della normativa statale alla realtà regionale, che non sia stato preventivamente stabilito dalla legislazione statale». Osserva poi il Tribunale di Bolzano che, ai sensi dell'art. 3 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, potevano introdurre misure ulteriormente restrittive tra quelle di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo decreto-legge esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza «e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale»; ciò, tuttavia, unicamente «nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento». Secondo il rimettente, dunque, all'epoca della promulgazione della legge provinciale n. 4 del 2020, il potere legislativo e regolamentare «residuale previsto in capo alle Regioni» dal citato art. 3 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, doveva considerarsi «esaurito», stante l'avvenuta adozione dei d.P.C.m. sopra citati, «sicché non vi era spazio per un intervento» della Provincia autonoma di Bolzano. Infine e «per mera completezza», nemmeno potrebbe affermarsi che la «norma» provinciale si sia limitata a riproporre pedissequamente quella statale, poiché, in relazione alla disciplina della sanzione accessoria, la prima recherebbe «una diversa cornice edittale» rispetto alla seconda: infatti, mentre l'art. 4, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, prevede la sanzione della chiusura dell'esercizio o dell'attività da cinque a trenta giorni, l'art. 1, comma 37, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 dispone la sospensione dell'attività per dieci giorni. Di qui, dunque, l'impossibilità di operare una interpretazione conforme a Costituzione. 2.- Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano, eccependo l'inammissibilità e la non fondatezza della questione. 2.1.- Secondo la Provincia autonoma, essa sarebbe inammissibile, in primo luogo, perché, avendo ad oggetto l'intera legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, introdurrebbe «un giudizio generale di legittimità costituzionale in via principale […] peraltro mai promosso dallo Stato». In tal modo, il rimettente proporrebbe, «di sua iniziativa, un giudizio vertente su di un conflitto di attribuzione tra poteri, che può essere proposto solo dallo Stato o dalle Regioni […], ma non […] certamente […] in modo del tutto generico ed in forma quantomeno dubitativa da un'autorità giurisdizionale». Inoltre, il giudizio in via incidentale sarebbe sottoposto a regole diverse da quelle proprie del conflitto di attribuzione, e tra queste vi sarebbe quella per cui «[v]i deve essere […] un'identità tra l'istanza di parte e l'ordinanza di rimessione del Giudice; cioè il Giudice deve rimettere alla Corte la stessa questione che è stata sollevata dalla parte mediante apposita istanza». Nel caso di specie, le parti opponenti nel giudizio a quo si sarebbero limitate a contestare genericamente l'illegittimità costituzionale «della declaratoria dello stato di emergenza del Consiglio dei ministri disposto con provvedimento del 31 gennaio 2020», per contrasto con gli artt. 78 e 95 Cost., nonché «della certificazione verde», per contrasto con l'art. 13 Cost. 2.2.- La questione, poi, sarebbe inammissibile per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, poiché le argomentazioni del rimettente non raggiungerebbero la soglia minima di chiarezza e completezza necessaria per consentirne lo scrutinio nel merito. 2.3.- Ancora, la questione sarebbe inammissibile per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Più specificamente, la motivazione sarebbe carente poiché «disconosce la vera fonte normativa dell'ordinanza contingibile e urgente n. 28 del 30 luglio 2021» del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano, «tacciata di presunta incostituzionalità, la quale non è di certo la censurata legge provinciale», ma l'art 52, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), «clamorosamente» ignorato dal rimettente e secondo cui il Presidente della Provincia «[a]dotta i provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza e di igiene pubblica nell'interesse delle popolazioni di due o più comuni». Ancora, la facoltà dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di introdurre restrizioni alla disciplina nazionale emergenziale sarebbe espressamente prevista anche dall'art. 1, comma 16, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, e, successivamente, dall'art. 1, comma 2, lettera a), del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante «Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, per il differimento di consultazioni elettorali per l'anno 2020 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020, e disposizioni urgenti in materia di riscossione esattoriale», convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 2020, n. 159, secondo cui, ove la situazione epidemiologica muti, nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, le regioni potrebbero introdurre misure ulteriormente restrittive. Andrebbe poi ricordato, al riguardo, che, «nell'ambito della materia degli “esercizi pubblici”», l'art. 20, comma 1, dello statuto speciale attribuisce al Presidente della Provincia i poteri di pubblica sicurezza, aggiungendo, inoltre, che, ai fini dell'esercizio di tali attribuzioni, lo stesso si avvale degli organi di polizia statale ovvero della polizia locale, urbana e rurale. Andrebbe infine rammentato, «per dovere di cronaca», che, con decreto del Capo dipartimento della Protezione civile, il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano è stato nominato «soggett[o] attuator[e]» ai sensi dell'art. 1, comma 1, dell'ordinanza del medesimo Capo dipartimento 3 febbraio 2020, n. 630 (Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all'emergenza relativa al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), «esercitando in virtù di tale incarico funzioni tipiche di organo del governo centrale». Il rimettente avrebbe «ignorato totalmente tale imprescindibile cornice normativa, entro la quale doveva essere collocata la controversia, che ha dato origine all'emanazione dell'ordinanza di rimessione». 2.4.- In relazione allo specifico punto delle sanzioni per la violazione delle disposizioni emergenziali pandemiche, poi, quelle statali sarebbero previste dall'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, mentre la legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 e il decreto del Presidente della Provincia n. 25 del 2020, quale «pendant normativo a livello provinciale», si sarebbero limitate a precisare la «disciplina applicativa delle suddette sanzioni, senza innovare o riformare l'impianto normativo della legislazione statale, senza introdurre un sistema di gestione dell'epidemia parallelo a quello delineato dalle norme statali, e divergente da esso, senza prevedere nuove o diverse fattispecie punibili, non già precedentemente previste dalla legislazione statale». L'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 - aggiunge la Provincia autonoma - rinvia all'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, e si tratterebbe di un rinvio non meramente recettizio o statico, bensì dinamico, posto che «le modifiche eventualmente apportate alle norme richiamate» si rifletterebbero necessariamente anche «sulla norma richiamante». Sarebbe allora evidente l'errore in cui è incorso il rimettente, «quando aprioristicamente sostiene» che tutte le sanzioni «trarrebbero origine in via principale» dalle disposizioni della legge provinciale censurata e dall'ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano n. 28 del 2021, «senza specificare che l'intervento del legislatore provinciale, per quanto concerne il regime sanzionatorio non ha fatto altro che riproporre pedissequamente - benché nell'esercizio [dei] propri strumenti costituzionalmente riconosciuti - quanto già stabilito dalla legislazione statale». 2.5.- La questione sarebbe inammissibile, infine, per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme. Secondo il rimettente, quest'ultima non sarebbe possibile in ragione della diversa cornice edittale recata dalle disposizioni statali e da quelle provinciali. Tuttavia, al giudice a quo sarebbe residuata una diversa opzione ermeneutica, in virtù della «norma generale di rinvio» («non circoscritt[a] unicamente all'applicazione di sanzioni pecuniarie») di cui all'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, in forza del quale «[i]l mancato rispetto delle misure di cui alla presente legge è sanzionato secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19», disposizione, questa, che avrebbe reso «non applicabile il susseguente (quantomeno implicitamente contrastante o inconciliabile) comma 37, contemplante appunto un periodo di sospensione di dieci giorni». In ogni caso, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, anche ove si ritenesse «assolutamente impossibile o introvabile un'interpretazione adeguatrice», ciò non potrebbe mai condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale dell'intera legge provinciale, «ma semmai unicamente» del suo art. 1, comma 37, «in casu da pronunziarsi con una decisione cosiddetta “sostitutiva” nella parte de qua che prevede la sospensione dell'esercizio per 10 giorni in contrasto con l'intervallo sanzionatorio» tra i cinque e i trenta giorni contemplato dall'art. 4, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito. 2.6.- Nel merito, la questione sollevata dal rimettente non sarebbe fondata, perché la sentenza di questa Corte n. 37 del 2021 da esso richiamata non avrebbe «attinenza diretta con il thema decidendum dell'odierno procedimento concernente l'applicazione delle sanzioni amministrative impugnate». Nel caso della citata sentenza n. 37 del 2021, infatti, l'illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge valdostana ivi oggetto di scrutinio sarebbe stata dichiarata «proprio in quanto le stesse surrogavano la sequenza di regolazione disegnata dal legislatore statale, imponendone una autonoma e alternativa, che faceva invece capo alle previsioni legislative regionali». Nell'odierno caso della legge della Provincia autonoma di Bolzano, «vertente sull'applicazione di sanzioni amministrative», invece, non sarebbe «in discussione una supposta contrapposizione tra le due legislazioni, che semmai […] potevano essere oggetto di un ricorso principale di conflitto di attribuzione, mai proposto dallo Stato». D'altro canto, «le fattispecie sanzionabili e le sanzioni applicabili» sarebbero identiche, «con l'eccezione della (indubbiamente in via interpretativa superabile) differenza sulla cornice edittale», di cui all'art. 1, comma 37, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020. 3.- Si è costituito in giudizio M. B., opponente in uno dei due procedimenti riuniti nel giudizio a quo, instando per l'ammissibilità e la fondatezza della questione sollevata dal rimettente. 3.1.- Secondo la parte privata, l'invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di profilassi internazionale si evincerebbe non solo dalla sentenza n. 37 del 2021 citata dal rimettente, ma anche dalla costante giurisprudenza costituzionale, alla cui luce le «misure di contrasto ai flagelli sanitari globali, inserendosi in un ambito di cooperazione e collaborazione internazionale, con particolare riferimento all'ambito eurounitario, non possono essere che adottate a livello nazionale», escludendo così la competenza delle regioni e delle province autonome. 3.2.- Ciò posto, sempre secondo la parte privata, i «principi eurounitari» imporrebbero a questa Corte di disapplicare la legge provinciale in esame, «nella misura in cui imponeva il possesso del green pass per l'accesso agli esercizi di somministrazione. Infatti, le disposizioni della legge provinciale […] contrastano con varie disposizioni del diritto eurounitario, direttamente applicabili nel nostro ordinamento e riconducibili principalmente» alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonché alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina, ratificata e resa esecutiva con legge 28 marzo 2001, n. 145 (di seguito: Convenzione di Oviedo). Ciò varrebbe, in particolare, per il principio di autodeterminazione sanitaria di cui all'art. 3 CFDUE - che sarebbe direttamente applicabile, rientrando la materia sanitaria e farmaceutica all'interno delle competenze dell'Unione europea (si citano l'art. 4, comma 2, lettera e, e l'art. 168, comma 4, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) - e all'art. 5 della Convenzione di Oviedo, «parte integrante del diritto eurounitario». Quanto a quest'ultima, poi, osterebbero all'applicazione delle disposizioni in materia di green pass, obbligatorio per accedere agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, anche gli «artt. 2 (prevalenza dell'interesse individuale su quello collettivo e della scienza) […]10 (diritto alla riservatezza della vita privata), 11 (divieto di discriminazione per ragioni genetiche) e 26 (inviolabilità del divieto di discriminazioni per ragioni genetiche)». In relazione agli artt. 11 e 26 da ultimo citati, la parte privata afferma che i «non vaccinati hanno […] un patrimonio genetico diverso da coloro che abbiano optato per l'inoculazione giacché non hanno sviluppato per via vaccinale le istruzioni cellulari per la sintetizzazione della proteina spike e non condividono le modificazioni genetiche operate dai vaccini […]. Con la conseguenza che la discriminazione dei primi mediante il divieto di accedere nei posti di lavoro e di studiare costituisce proprio la discriminazione genetica vietata dalla Convenzione di Oviedo e dalla Dichiarazione universale sul genoma umano adottata dall'UNESCO l'11 novembre 1997». 3.3.- La legge provinciale in esame violerebbe, altresì, le disposizioni del regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla [malattia da]COVID-19 (certificato COVID digitale dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19. Il legislatore europeo avrebbe avuto ben presente la possibilità di abusi da parte degli Stati e, oltre a imporre espressamente il rispetto della CDFUE, si sarebbe preoccupato, al considerando n. 36, «di chiarire ulteriormente che la discriminazione diretta o indiretta delle persone sfornite di green pass (costituente la prova della vaccinazione e/o del tampone PCR negativo) era da ritenersi vietata anche per le persone che avevano scelto di non vaccinarsi». 3.4.- In forza delle considerazioni sopra esposte, la parte privata ha quindi concluso per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 e per la dichiarazione, comunque, «d'inapplicabilità delle norme di cui alla predetta legge provinciale per contrasto con le norme eurounitarie meglio descritte in premessa». 4.- Con memoria depositata il 31 gennaio 2024, la parte privata ha replicato alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano e insistito per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bolzano. Considerato in diritto l.- Con ordinanza del 12 maggio 2023, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 2023, il Tribunale di Bolzano, seconda sezione civile, dubita, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., della legittimità costituzionale della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, rubricata «Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nella fase di ripresa delle attività». La legge provinciale in questione si compone di quattro articoli - il primo dedicato alle «[m]isure per la ripresa delle attività» e suddiviso in trentasette commi, il secondo all'istituzione di una «[c]ommissione di esperti», il terzo alle disposizioni finanziarie e il quarto alla sua «[e]ntrata in vigore» - e di cinque Allegati. Essa, al «fine di contemperare la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone con la necessità di contrastare e contenere il diffondersi del virus SARS-COV-2 sul territorio della provincia di Bolzano», «disciplina la ripresa graduale delle libertà di movimento delle cittadine e dei cittadini, delle attività economiche e delle relazioni sociali, compatibilmente con le misure di contrasto alla diffusione del virus» (art. 1, comma 1). Ai sensi dell'art. 1, comma 2, poi, tale «ripresa delle attività e delle libertà di movimento è condizionata all'osservanza rigorosa e responsabile delle misure di sicurezza fissate in relazione ai diversi ambiti disciplinati dalla presente legge». Quest'ultima, dunque, regolava, sul territorio provinciale e «sino alla cessazione totale dello stato di emergenza dichiarato a livello nazionale» (così il medesimo art. 1, comma 2), le ben note misure di contrasto alla pandemia già previste dal legislatore statale (tra cui, a titolo esemplificativo, gli obblighi di distanziamento interpersonale, di protezione delle vie respiratorie, di quarantena, nonché quelli gravanti sui titolari delle attività economiche e produttive e dei servizi di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande, et cetera). l.1.- Il rimettente è stato adito con due distinti ricorsi, poi riuniti, proposti da una società titolare di una pizzeria e dal suo legale rappresentante in opposizione a due ordinanze-ingiunzione, con cui la Provincia autonoma di Bolzano ha irrogato sanzioni per avere omesso di controllare il possesso, in capo ai clienti, della certificazione verde necessaria per il consumo all'interno del locale. Le predette ordinanze, in particolare, hanno applicato agli opponenti, in solido, la sanzione pecuniaria di euro 400,00 e disposto quella accessoria della sospensione dell'attività per dieci giorni. l.2.- Secondo il rimettente, la questione sarebbe rilevante perché la legge provinciale indubbiata costituirebbe la «base giuridica» su cui si fondano «in via principale» gli atti impugnati. In particolare, la sanzione pecuniaria sarebbe stata irrogata in applicazione dell'art. 1, comma 36, della medesima legge provinciale e quella accessoria della sospensione dell'attività in applicazione del successivo comma 37. Ne conseguirebbe che, in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale della «norma», le ordinanze opposte andrebbero annullate per violazione del principio di legalità di cui all'art. 1 della legge n. 689 del 1981. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, secondo il rimettente, la legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 avrebbe invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale che, per come chiarito da questa Corte con la sentenza n. 37 del 2021, «è comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla». 2.- È preliminare l'esatta delimitazione del thema decidendum. 2.1.- Nonostante il Tribunale di Bolzano abbia apparentemente sollevato questione di legittimità costituzionale dell'intera legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, emerge pianamente dalla lettura dell'ordinanza di rimessione che reale ed unico oggetto del dubbio del rimettente è l'art. 1, commi 36 e 37, della medesima legge provinciale. 2.2.- I commi in questione così recitano: «36. Il mancato rispetto delle misure di cui alla presente legge è sanzionato secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. 37. La sospensione delle attività di cui al comma 19 è disposta, per dieci giorni, dal Presidente della Provincia. Tale sospensione è disposta anche in caso di violazione delle misure di cui all'allegato A». L'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, richiamato dall'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, per quanto qui rileva, prevede, al comma 1, la sanzione pecuniaria da euro 400,00 ad euro 1.000,00 per il mancato rispetto delle misure di contenimento previste dall'art. 1, comma 2, del medesimo decreto-legge; e, al comma 2, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da cinque a trenta giorni nei casi di cui all'art. 1, comma 2, lettere i), m), p), u), v), z) e aa), tra cui figurano le misure di limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti (lettera v). A sua volta, l'art. 1, comma 19, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, richiamato dal primo alinea del comma 37 del medesimo articolo, così dispone: «[a] decorrere dall'entrata in vigore della presente legge tutte le attività produttive industriali, artigianali e commerciali esercitate sull'intero territorio provinciale sono riaperte, a condizione che sia possibile garantire il rispetto delle misure di sicurezza di cui al comma 12 e che le imprese rispettino, oltre ai contenuti dei protocolli territoriali, i protocolli nazionali di cui in allegato alla presente legge». Il comma 12 dell'art. 1, richiamato dal citato comma 19, prevede, poi, che «[t]utte le attività economiche devono assicurare un adeguato rapporto tra superficie e persone, al fine di garantire il rispetto delle distanze interpersonali di sicurezza e deve essere altresì assicurato che gli ingressi avvengano in modo dilazionato. Trovano applicazione le misure di cui all'allegato A, sino alla cessazione dello stato di emergenza dichiarato a livello nazionale». Ai sensi del successivo comma 15, le misure di sicurezza di cui al comma 12 (che, come visto, menziona pure quelle di cui all'Allegato A) sono imposte anche ai servizi di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande. L'Allegato A, richiamato sia dal comma 12 che dal comma 37 dell'art. 1, dal canto suo, stabilisce «le regole e misure della fase 2. Esso include: I. misure generali valide nei confronti di tutti e raccomandazioni di comportamento; II. misure specifiche per attività economiche e altre attività, che hanno validità nel rispettivo settore; III. rinvii a provvedimenti nazionali e protocolli di sicurezza nazionali e territoriali». Tra le misure sub II, vi sono quelle relative alle «Certificazioni verdi». Più esattamente, il punto II.C così dispone: «1. Ai fini delle misure di sicurezza contenute nel presente allegato per certificazioni verdi si intendono quelle emesse ai sensi del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito con legge 17 giugno 2021, n. 87, e del DPCM del 17 giugno 2021, comprovanti una delle seguenti fattispecie: a) lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2; b) la guarigione dall'infezione da SARS-CoV-2; c) l'effettuazione di un test per la rilevazione del SARS-CoV-2 con esito negativo. 2. L'esibizione delle predette certificazioni è richiesta dagli esercenti le attività per cui esse sono previste». Tale punto dell'Allegato A è stato inserito - con la delibera di Giunta provinciale 25 maggio 2021, n. 466 (Modifiche all'allegato A della legge provinciale dell'08.05.2020, n. 4, da ultimo aggiornato con deliberazione della Giunta provinciale n. 825 del 27.10.2020), in forza della previsione di cui all'art. 1, comma 6, secondo alinea, della stessa legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, secondo cui «[r]estano ferme le misure previste all'allegato A, modificabili dalla Giunta provinciale in ragione dell'andamento epidemiologico» - in seguito all'introduzione nella legislazione nazionale dell'obbligo di certificazione verde ad opera degli articoli da 9 a 13 del d.l. n. 52 del 2021, come convertito. 2.3.- I commi 36 e 37 dell'art. 1, dunque, recano l'apparato sanzionatorio per la violazione di tutte le «misure» di contenimento della pandemia previste dalla legge provinciale e dal suo Allegato A. 2.4.- Alla luce delle argomentazioni del rimettente e della fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo (tra le tante, sentenze n. 66 del 2022, n. 223 e n. 68 del 2021), deve tuttavia ritenersi che le questioni sollevate cadano sui citati commi 36 e 37 dell'art. 1 della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 nella sola parte in cui sanzionano la condotta degli esercenti le attività di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande che, in violazione dell'art. 1, comma 12, e del punto II.C dell'Allegato A alla legge provinciale medesima, non controllino il possesso del green pass in capo ai clienti (per come imposto dall'art. 9-bis del d.l. n. 52 del 2021, come convertito). 2.5.- Esulano invece dal thema decidendum del giudizio di costituzionalità i diversi profili dedotti dalla parte privata, la quale, oltre ad aderire alle argomentazioni del rimettente, ha anche lamentato il contrasto con molteplici disposizioni del diritto dell'Unione europea e della Convenzione di Oviedo. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, infatti, non possono essere presi in esame questioni o profili di costituzionalità dedotti solo dalle parti e diretti quindi ad ampliare o modificare il contenuto dell'ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 161 del 2023, n. 228 e n. 186 del 2022, n. 252 del 2021). 3.- Sempre in via preliminare, devono poi essere esaminate, nell'ordine in cui sono state prospettate, le plurime eccezioni di inammissibilità formulate dalla Provincia autonoma. 3.1.- Secondo quest'ultima, la questione sarebbe inammissibile, in primo luogo, perché avente ad oggetto l'intera legge provinciale: il rimettente avrebbe in tal modo introdotto «un giudizio generale di legittimità costituzionale in via principale», ovvero «un giudizio vertente su di un conflitto di attribuzione tra poteri, che può essere proposto solo dallo Stato o dalle Regioni». L'eccezione non è fondata, dal momento che, come illustrato in precedenza, le questioni di legittimità costituzionale cadono esclusivamente sui commi 36 e 37 dell'art. 1 della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, peraltro nella sola parte in cui sanzionano la condotta degli esercenti le attività di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande che non controllino il possesso del green pass in capo ai clienti. 3.2.- La Provincia autonoma di Bolzano ha eccepito l'inammissibilità anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, poiché le argomentazioni svolte dal rimettente in riferimento all'intera legge provinciale non raggiungerebbero la soglia minima di chiarezza e completezza necessaria per consentire lo scrutinio di merito della questione sollevata. L'eccezione non è fondata, poiché, una volta individuato il reale e più ristretto thema decidendum, il senso del dubbio di legittimità costituzionale del rimettente è chiaro, risolvendosi nella dedotta invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di profilassi internazionale, cui andrebbero ricondotte tutte le misure di contrasto alla pandemia, ivi compresi l'obbligo di green pass per accedere a determinati luoghi e attività e, per quanto qui immediatamente più rileva, le correlate fattispecie sanzionatorie. 3.3.- Ancora, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le questioni sarebbero inammissibili per mancata ricostruzione del quadro normativo di riferimento, avendo il rimettente omesso di prendere in considerazione le norme statutarie (artt. 20, comma 1, e 52, comma 2) e legislative (art. 1, comma 16, del d.l. n. 33 del 2020, come convertito, e art. 1, comma 2, lettera a, del d.l. n. 125 del 2020, come convertito) che fonderebbero la sua competenza in materia. L'eccezione non è fondata, poiché le disposizioni invocate dalla Provincia autonoma non concorrono a formare il quadro normativo di riferimento necessario per la definizione delle questioni. Questa Corte, con la sentenza n. 164 del 2022, ha infatti escluso che le competenze statutarie della Provincia autonoma di Bolzano siano idonee a fondare una sua legittimazione a disciplinare la materia del green pass, ritenendo in particolare «recessiva» la sua competenza in materia di tutela della salute (dal momento che «l'art. 52, secondo comma, dello statuto di autonomia, attribuendo al Presidente della Giunta un potere emergenziale “nell'interesse delle popolazioni di due o più Comuni”, conferma, in accordo con il limite territoriale, che si tratta di un'attribuzione calibrata su crisi sanitarie di carattere non pandemico o comunque i cui effetti possano ancora reputarsi circoscritti a tale ambito limitato; mentre, nel caso del nuovo coronavirus, è palese il carattere globale della pandemia, e, quindi, la necessità di interventi assunti dalla competente autorità centrale»). Nella precedente sentenza n. 37 del 2021, poi, si era già chiarito che neanche l'art. 1, comma 16, del d.l. n. 33 del 2020, come convertito (al pari del successivo art. 1, comma 2, lettera a, del d.l. n. 125 del 2020, come convertito), consente alle regioni (e alle province autonome) di esercitare competenze legislative in questa materia, ma esclusivamente competenze amministrative alle condizioni rigorosamente individuate dalla medesima disposizione. Ivi si è infatti affermato che «[c]iò che la legge statale permette […] non è una politica regionale autonoma sulla pandemia, quand'anche di carattere più stringente rispetto a quella statale, ma la sola disciplina (restrittiva o ampliativa che sia), che si dovesse imporre per ragioni manifestatesi dopo l'adozione di un d.P.C.m., e prima che sia assunto quello successivo. È però chiaro che - alla stregua del quadro normativo statale - ciò può accadere per mezzo di atti amministrativi, in ragione della loro flessibilità, e non grazie all'attività legislativa regionale». 3.4.- Deve qui aggiungersi che una insufficiente ricostruzione del quadro normativo di riferimento non può ravvisarsi nemmeno in ragione della circostanza che il rimettente, nel richiamare la normativa statale, ha omesso di prendere in considerazione gli articoli da 9 a 13 del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, sopravvenuti rispetto al menzionato art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, e regolanti l'obbligo di green pass. In particolare, è vero che il rimettente non si è misurato, per quanto attiene allo specifico aspetto sanzionatorio, con l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, il quale, per la condotta (anche) del titolare (o del gestore) dei servizi di ristorazione che non controlli il possesso del green pass da parte dei clienti (art. 9-bis, comma 4, del medesimo d.l. n. 52 del 2021, come convertito), da un lato, richiama l'apparato sanzionatorio previsto dall'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, e, dall'altro, prevede, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da uno a dieci giorni (a condizione, quanto al green pass cosiddetto “base”, che si tratti di violazione successiva alla seconda e sia commessa in giornata diversa da quelle in cui sono state commesse le precedenti violazioni, e, quanto al green pass cosiddetto “rafforzato”, che si tratti di violazione successiva alla prima e sia commessa in giornata diversa da quella in cui è stata commessa la precedente violazione). Nonostante tale omissione ricostruttiva, la questione non può dirsi inammissibile, dal momento che il dubbio del rimettente attiene alla dedotta invasione dell'ambito competenziale esclusivo dello Stato in materia di profilassi internazionale e per la verifica della fondatezza di tale dubbio non assume rilievo la sussistenza o meno di un contrasto tra la legislazione statale e quella provinciale. Da tale angolazione, cioè, il panorama normativo strettamente necessario e sufficiente per la comprensione delle questioni sollevate è dato dalle disposizioni provinciali indubbiate e dal parametro costituzionale che si assume violato, a nulla rilevando come la competenza esclusiva sia stata concretamente esercitata dallo Stato. 3.5.- La Provincia autonoma di Bolzano ha poi messo in discussione l'assunto del rimettente secondo cui la questione sarebbe rilevante perché le ordinanze impugnate poggerebbero «in via principale» sulla legge provinciale, di guisa che, ove quest'ultima fosse travolta, le predette ordinanze andrebbero annullate per violazione del principio di legalità e la parte ricorrente potrebbe agire per il risarcimento dei danni. Secondo la Provincia autonoma, infatti, «l'intervento del legislatore provinciale, per quanto concerne il regime sanzionatorio non ha fatto altro che riproporre pedissequamente ? benché nell'esercizio [dei] propri strumenti costituzionalmente riconosciuti ? quanto già stabilito dalla legislazione statale». 3.5.1.- L'eccezione della Provincia comporta la necessità di sottoporre a verifica la motivazione del rimettente sulla rilevanza delle questioni sollevate, e ciò nei ben noti limiti del controllo meramente “esterno”, volto ad accertare l'esistenza di una motivazione non implausibile, non palesemente erronea o contraddittoria (tra le tante, sentenze n. 164 del 2023, n. 192 del 2022 e n. 32 del 2021). Siffatto scrutinio deve vertere sui due assunti su cui tale motivazione poggia: a) esso rimettente è chiamato a verificare il rispetto del principio di legalità e quindi la legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali poste a fondamento delle ordinanze impugnate; b) la loro eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale comporterebbe la caducazione delle ordinanze medesime. 3.5.1.1.- Secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, il giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione è limitato allo scrutinio dei motivi sollevati dalla parte opponente, tra cui, nel caso di specie - stando all'elencazione fornita dal giudice a quo - non figura quello relativo all'assenza di una valida base normativa per illegittimità costituzionale delle disposizioni provinciali che sanzionano il mancato controllo del possesso del green pass. La stessa Corte di cassazione, tuttavia, con orientamento consolidato, afferma, altresì, che nel giudizio in questione il principio della domanda (da cui discende il divieto per il giudice di pronunciarsi su motivi di opposizione o su eccezioni non dedotte dalle parti) «non può essere applicato in maniera acritica ed automatica, ma deve essere coordinato con i principi informatori della disciplina posta dalla legge in materia di sanzioni amministrative, in particolare con il principio di legalità» espresso dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, in forza del quale «nessuno può essere assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza di una legge che sia in vigore al momento in cui ha commesso il fatto» (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 febbraio 2020, n. 4962). Uno dei «corollari» del principio di legalità sarebbe che lo stesso «potere di irrogazione della sanzione amministrativa deve trovare il suo fondamento giuridico ineliminabile nella disposizione di legge che vieta e punisce la condotta sanzionata», (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 giugno 2008, n. 17403), il che equivarrebbe a dire che «l'indagine in ordine alla esistenza e vigenza della norma di legge che vieta e quindi sanziona il comportamento ascritto al ricorrente nel provvedimento amministrativo investe il tema della sussistenza, in generale, dello stesso potere sanzionatorio» (Corte di cassazione, sentenza n. 4962 del 2020). Ciò comporta, quindi, che, «[n]el giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, l'illegittimità del provvedimento opposto per violazione del principio di legalità […] è rilevabile d'ufficio, giacché tale principio costituisce cardine dell'intero sistema normativo di settore ed ha valore ed efficacia assoluta, essendo direttamente riferibile alla tutela di valori costituzionalmente garantiti (artt. 23 e 25 Cost.)» (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 22 novembre 2021, n. 35791). Alla luce della testé ricordata giurisprudenza della Corte di cassazione, dunque, non è implausibile l'assunto del rimettente secondo cui, attraverso il controllo di ufficio sulla legalità della sanzione, esso sia investito della verifica della legittimità costituzionale delle norme fondanti il potere sanzionatorio, anche oltre il thema decidendum delineato dagli atti di opposizione. 3.5.1.2.- Parimenti non può dirsi circa il secondo assunto del giudice a quo. Lo stesso stralcio delle ordinanze-ingiunzione riportato nell'ordinanza di rimessione non attribuisce alle ricordate disposizioni della legge provinciale un ruolo fondante il potere sanzionatorio esclusivo o anche solo «principale». Le ordinanze opposte, infatti, oltre all'art. 1, comma 37, della legge provinciale censurata, espressamente citano anche «l'art. 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito con legge del 22 maggio 2020, n. 35, il quale prevede per la contestata violazione una sanzione amministrativa da 400,00 a 1.000,00 euro, aumentata fino ad un terzo se commessa mediante l'utilizzo di un veicolo, nonché la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività» (così il citato stralcio riportato dall'ordinanza di rimessione). Al di là della solo parziale correttezza del riferimento alla normativa statale menzionata (come detto sopra, per la violazione dell'obbligo di controllare il green pass sia la sanzione pecuniaria sia quella accessoria sono previste dall'art. 13 del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, sia pure mediante rinvio, quanto alla cornice edittale della prima, all'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito), vi è dunque che le ordinanze-ingiunzione poggiano espressamente anche su tale normativa. 3.5.2.- Ciò nonostante, l'eccezione di difetto di motivazione sulla rilevanza sollevata dalla Provincia autonoma non può essere accolta. Una volta ammesso che il rimettente possa e debba controllare il rispetto del principio di legalità da parte dell'autorità amministrativa, ad esso spetterà di verificare la sussistenza di una valida base normativa fondante il potere sanzionatorio esercitato. Ciò vuol dire che il giudice a quo, nella motivazione che porrà a sostegno della sua decisione, ben potrà e dovrà analizzare l'esistenza e la legittimità costituzionale delle norme sanzionatorie tanto statali quanto provinciali. In altri termini, il Tribunale di Bolzano, nel riferire della necessità di controllare d'ufficio il rispetto del principio di legalità, ha chiarito che delle norme provinciali, al pari di quelle statali, deve comunque fare applicazione, quanto meno sotto il profilo argomentativo, e tanto basta a rendere non implausibile la motivazione sulla rilevanza delle questioni (tra le tante, sentenze n. 164 e n. 160 del 2023, n. 19 del 2022, n. 215, n. 157 e n. 59 del 2021, n. 254 del 2020). 3.6.- Resta da esaminare, da ultimo, l'eccezione di inammissibilità per omesso esperimento del tentativo di interpretazione conforme. 3.6.1.- Secondo la Provincia autonoma, al giudice a quo sarebbe residuata una diversa opzione ermeneutica, in virtù della «norma generale di rinvio» di cui all'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, in forza del quale «[i]l mancato rispetto delle misure di cui alla presente legge è sanzionato secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19». Tale rinvio operato dal comma 36 avrebbe reso «non applicabile il susseguente (quantomeno implicitamente contrastante o inconciliabile) comma 37, contemplante appunto un periodo di sospensione di dieci giorni». Secondo la Provincia autonoma di Bolzano, cioè, l'indubbiato art. 1, comma 37, potrebbe essere considerato non operante in virtù del richiamo effettuato dal precedente comma 36 all'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, che reca sia la sanzione pecuniaria sia quella accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da cinque a trenta giorni: in tal modo entrambe le sanzioni sarebbero regolate in maniera corrispondente (recte: tramite rinvio) alla legislazione statale. 3.6.2.- L'eccezione, in primo luogo, per quanto genericamente formulata, è di fatto rivolta esclusivamente alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'art. 1, comma 37, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, disciplinante la sanzione accessoria. Con tale eccezione, poi, la Provincia autonoma, a ben vedere, non pone un problema di interpretazione conforme a Costituzione della norma recata dalla citata disposizione. L'interpretazione suggerita dalla Provincia, infatti, non attribuisce ad essa un significato idoneo ad elidere il sospettato vulnus alla Costituzione, poiché l'esito del percorso ermeneutico della parte - ossia l'ipotizzata coincidenza precettiva tra le due legislazioni - non farebbe venire meno l'intrusione nella sfera legislativa esclusiva dello Stato dedotta dal rimettente. Quello che la Provincia eccepisce è piuttosto un difetto di rilevanza della questione, basato sull'assunto che la presunta antinomia tra il comma 36 e il comma 37 dell'art. 1 della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 debba essere risolta in favore del primo, che, essendo «norma generale di rinvio», comporterebbe la non “applicabilità” del secondo. 3.6.3.- L'eccezione non è fondata, poiché l'antinomia non sussiste. L'apposita regolamentazione, all'art. 1, comma 37, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, della sanzione accessoria in difformità da quella recata dal citato art. 4, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, rende infatti logicamente incompatibile l'applicazione di quest'ultimo. È quindi corretto il contrario e implicito assunto del rimettente secondo cui, attraverso l'enucleazione di un apposito comma dedicato alla sanzione accessoria, il legislatore provinciale abbia inteso sul punto discostarsi dall'altrove menzionata disciplina statale, sì che il rinvio che il precedente comma 36 opera all'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, deve intendersi riferito esclusivamente al suo comma 1 relativo alla sanzione pecuniaria e non anche al comma 2, relativo a quella accessoria. In definitiva, il legislatore provinciale ha inteso disciplinare, all'art. 1, comma 36, la sola sanzione pecuniaria mediante rinvio, quanto alla misura sanzionatoria, alla legislazione statale e, al successivo comma 37, la sanzione accessoria della sospensione dell'attività, con una misura edittale autonoma e diversa da quella prevista dall'art. 4, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, ma anche da quella prevista dall'art. 13, comma 1, del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, che è la disposizione statale effettivamente recante (anche) la sanzione della violazione dell'obbligo di controllo del possesso del green pass. Il medesimo schema logico, peraltro, è stato seguito dallo stesso legislatore statale proprio con il da ultimo menzionato art. 13, comma 1, del d.l. n. 52 del 2021, come convertito, che, da un lato, richiama l'apparato sanzionatorio previsto dall'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, e, dall'altro, prevede, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da uno a dieci giorni. Anche in questo caso deve ritenersi che, avendo il legislatore statale regolato autonomamente la sanzione accessoria, il rinvio all'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, sia stato operato esclusivamente in relazione alla cornice edittale della sanzione pecuniaria di cui al suo comma 1. 4.- Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sono fondate. È noto che le sanzioni amministrative non costituiscono una materia a sé stante, ma rientrano nella competenza relativa alla materia sostanziale cui accedono (tra le tante, sentenze n. 84 del 2019, n. 148 e n. 121 del 2018, n. 271 del 2012, n. 246 del 2009, n. 240 del 2007, n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004). Nel caso di specie, la disciplina sostanziale è quella delle misure di contrasto alla pandemia e, in particolare, dell'utilizzo della certificazione verde, disciplina, questa, che è già stata ricondotta espressamente alla competenza esclusiva statale in materia di profilassi internazionale (con la citata sentenza 164 del 2022, secondo cui la predetta certificazione ha «la finalità di limitare la diffusione del contagio, consentendo l'interazione tra persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico solo se quest'ultime, in quanto vaccinate, guarite, o testate con esito negativo al COVID-19, si offrano a vettori della malattia con un minor tasso di probabilità»). La medesima sentenza ha peraltro respinto un conflitto di attribuzione sollevato dalla stessa Provincia autonoma di Bolzano avverso due atti del Garante per la protezione dei dati personali, recanti una limitazione definitiva al trattamento dei dati relativi all'utilizzo delle certificazioni verdi da parte della Provincia medesima proprio in base alla legge provinciale in esame (e a successive ordinanze del Presidente della Giunta provinciale). In quell'occasione, questa Corte - in continuità con la precedente sentenza n. 37 del 2021- ha anche escluso la sussistenza, in questa materia, di margini competenziali in capo alla Provincia autonoma vantati, nei medesimi termini, in quella sede e nell'odierno giudizio di costituzionalità. Il legislatore provinciale, dunque, nel disciplinare le conseguenze sanzionatorie della violazione dell'obbligo di controllo del green pass, ha invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale. A nulla poi rileva che la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 1, comma 36, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020 sia conforme a quella statale, dal momento che al legislatore (regionale e) provinciale è preclusa l'intrusione nelle materie di competenza esclusiva di natura non trasversale, anche al solo fine di riprodurre le (o di rinviare alle) disposizioni statali (tra le tante, sentenze n. 239 e n. 4 del 2022, n. 16 del 2021, n. 40 del 2017 e n. 98 del 2013). 5.- Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 36 e 37, della legge prov. Bolzano n. 4 del 2020, nella parte in cui sanzionava la violazione dell'obbligo gravante sui titolari e i gestori dei servizi di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande di richiedere ai clienti l'esibizione della certificazione verde prevista dalla legislazione statale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 36 e 37, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 8 maggio 2020, n. 4 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nella fase di ripresa delle attività), nella parte in cui sanzionava la violazione dell'obbligo gravante sui titolari e i gestori dei servizi di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande di richiedere ai clienti l'esibizione della certificazione verde prevista dalla legislazione statale. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Giovanni PITRUZZELLA, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2024 Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 54 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gsa - Gruppo Servizi Associati s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ca. e Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Usl di Ferrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti To. Se. Se. Fi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ra. s.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della Determinazione n. 1748 del 22.12.2023, comunicata con nota prot. 80462 di pari data, con la quale la AUSL Ferrara - UOC Servizio Comune Economato e Gestione Contratti ha disposto in favore del costituendo RTI tra To. Se. Se. Fi. s.r.l. e Ra. s.r.l. l'aggiudicazione del servizio triennale di gestione delle squadre di emergenza per l'ottemperanza alla normativa sulla "prevenzione incendi" presso le strutture ospedaliere dell'Azienda Usl di Ferrara; - di tutti i verbali di gara con i relativi allegati; - di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi, per quanto occorra e nei limiti dell'interesse fatto valere, l'art. 6.3 del Disciplinare di gara e la Risposta PI346898-23 al Quesito PI346097-23, quest'ultima da dichiararsi nulla o annullare; e per la condanna della resistente Amministrazione al risarcimento del danno in forma specifica, mediante declaratoria del diritto all'aggiudicazione della ricorrente, con dichiarazione di inefficacia del contratto, ove medio tempore stipulato con l'attuale illegittima aggiudicataria, e con subentro di GSA nel contratto per l'intera durata programmata; nonché, in subordine, in tutto o in parte, per il risarcimento del danno per equivalente; per quanto riguarda i motivi aggiunti: - degli atti già impugnati nella misura in cui il successivo esito positivo delle verifiche ne ha determinato la conferma del contenuto. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Usl di Ferrara e della società To. Se. Se. Fi. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La AUSL di Ferrara ha indetto una procedura aperta per l'affidamento del "Servizio triennale, rinnovabile di anno in anno per uguale periodo, di gestione delle squadre di emergenza per l'ottemperanza normativa sulla "prevenzione incendi" presso le strutture dell'Azienda Usl di Ferrara", con base d'asta triennale pari a Euro 1.046.000, IVA esclusa e con applicazione - trattandosi di servizio ad alta intensità di manodopera - del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con attribuzione di massimo 30 punti per l'offerta economica e massimo 70 punti per quella tecnica. La GSA, primario operatore del settore della prevenzione e sorveglianza antincendio, ha partecipato alla gara, regolata da un capitolato speciale d'appalto il cui art. 1 precisa come oggetto dell'appalto sia un servizio di sorveglianza antincendi che " si differenzia da quello di "vigilanza armata e guardiania" deputato a semplice attività di vigilanza sulle strutture immobiliari senza compiti specialistici in materia di antincendio ". Essendosi collocata al secondo posto in graduatoria (con un punteggio totale di 85.55 contro i 90,04 del raggruppamento risultato vincitore) e ritenendo tale risultato non conforme alla lex specialis, la ricorrente ha impugnato i provvedimenti di aggiudicazione, deducendo i seguenti vizi di legittimità : 1. illegittima omissione dell'esclusione del raggruppamento controinteressato in violazione degli artt. 6.1. e 6.4 del disciplinare di gara e dell'art. 1 del Capitolato speciale d'appalto, nonché dell'art. 100 del d.lgs. 36/2023. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: né la mandataria, né la mandante, infatti, eserciterebbero professionalmente l'attività di prevenzione e sorveglianza antincendio; 2. illegittima omissione dell'esclusione del raggruppamento controinteressato in violazione degli artt. 6.1. e 6.4 del disciplinare di gara e dell'art. 1 del Capitolato speciale d'appalto, nonché dell'art. 100 del d.lgs. 36/2023: la stazione appaltante non avrebbe rilevato la carenza del requisito della capacità tecnica e professionale richiesta a pena di esclusione dall'art. 6 del disciplinare; 3. illegittima omissione dell'esclusione del raggruppamento controinteressato in violazione dell'art. 70, comma 1, lettera a) del d.lgs. 36/2023, in quanto l'offerta, contenente informazioni erronee e fuorvianti ex art. 98, comma 3, lett. b) del d.lgs. 36/2023, avrebbe dovuto essere qualificata come inidonea. In subordine sarebbe il punteggio ad essere stato erroneamente attribuito. L'offerta, infatti, non avrebbe indicato, nell'organigramma di commessa, alcun addetto alla sicurezza antincendio. Essa, inoltre, prevedeva l'impiego di dieci risorse, oltre a quattro jolly, "con un'anzianità di servizio pari ad almeno 3 anni di esperienza nel medesimo ruolo, che avrà già operato in contesti similari ed avrà effettuato attività analoghe a quelle oggetto di appalto", laddove ciò risulterebbe impossibile non avendo le società mai svolto servizi di prevenzione e sorveglianza antincendio e non avendo operato presso strutture sanitarie. Non risulterebbe, inoltre, che il personale da impiegare abbia fruito della necessaria formazione. Ne deriverebbe, dunque, secondo la ricorrente, l'erronea attribuzione del giudizio "buono" (pari a 18,75 punti), corrispondente a quello assegnato a Imprese che operano stabilmente e/o esclusivamente nel settore della prevenzione e sorveglianza antincendio. L'inidoneità dell'offerta, inoltre, parrebbe deducibile anche dalla descrizione dell'abbigliamento del personale, non conforme allo specifico servizio da svolgere che richiederebbe una dotazione in materiale ignifugo e atto alla protezione dell'operatore e la disponibilità di DPI di III Categoria minimi per l'attività antincendio di cui non vi sarebbe traccia; 4. violazione degli artt. 11, 102 e 110 del d.lgs. n. 36/2023 e degli artt. 9, 23 e 25 del disciplinare di gara e conseguente difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, in quanto l'aggiudicazione sarebbe stata disposta senza verificare il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale dichiarati, nonché la sostenibilità e congruità dell'offerta, nonostante la presenza di elementi sintomatici di anomalia, quali il ribasso significativamente superiore a quello degli altri cinque concorrenti che hanno partecipato alla gara, un costo della manodopera sensibilmente inferiore a quello stimato dalla stazione appaltante e il superamento della soglia dei quattro quinti del punteggio assegnabile che nella previgente normativa rendeva necessaria la valutazione di anomalia. Si è costituito in giudizio il raggruppamento controinteressato, sostenendo l'infondatezza del ricorso, in quanto la procedura di cui trattasi non riguarderebbe l'affidamento della sorveglianza attiva in materia antincendio, come sostenuto da parte ricorrente, ma, piuttosto, la "gestione delle squadre di emergenza": attività rispetto a cui l'aggiudicatario avrebbe dimostrato di essere qualificato, avendo svolto servizi analoghi per importi complessivamente superiori a quello dell'oggetto dell'appalto in questione. Eccepita l'infondatezza delle censure volte a contestare l'assegnazione del punteggio, quanto all'ultima censura parte resistente sostiene la carenza di interesse a far valere la doglianza, in quanto la ricorrente non avrebbe censurato né il possesso dei requisiti in capo all'aggiudicatario, né l'anomalia dell'offerta. Analoghe difese sono state dispiegate dalla stazione appaltante. Alla camera di consiglio dell'8 febbraio 2024, parte ricorrente ha rinunciato alla misura cautelare a fronte della fissazione dell'udienza per la trattazione della controversia nel merito al 14 marzo 2024. Successivamente, con la proposizione del ricorso per motivi aggiunti, parte ricorrente ha ribadito la fondatezza della seconda censura dedotta nel ricorso introduttivo, la quale sarebbe dimostrata dall'esito dei controlli che avrebbero confermato la natura dichiarata dei servizi svolti, non riconducibili, secondo la ricorrente, alla categoria della "sorveglianza antincendi", il che avrebbe dovuto comportare l'esclusione del raggruppamento controinteressato per mancanza di un requisito essenziale. Ciò non è accaduto, secondo quando sostenuto in ricorso, in quanto l'incompleta istruttoria ha condotto a un esito positivo della stessa e, conseguentemente, all'adozione di un provvedimento confermativo dell'aggiudicazione privo di motivazione nella parte in cui ha implicitamente ritenuto sussistenti i requisiti tecnici richiesti dal disciplinare di gara, nonostante le controinteressate non possano vantare alcuna esperienza specifica nel settore della prevenzione e sorveglianza antincendio, tantomeno nel peculiare e delicato ambito sanitario. In sede di verifica, infatti, La Bi. di Ve. ha riferito che il fatturato di Euro 765.862,73 che la Ra. S.r.l. pretende di imputare a "servizi di vigilanza armata e vigilanza antincendio" è in realtà riferito al "servizio di sorveglianza armata, in orario diurno e notturno, da svolgere nell'ambito delle fasi di allestimento svolgimento e disallestimento delle manifestazioni organizzate dalla Fondazione La Bi. di Ve. nel biennio 2021-2022". Quanto al servizio fornito all'Università Ca Foscari, oggetto del contratto era il "servizio di vigilanza armata presso le sedi dell'Università Cà Foscari Venezia" e le prestazioni fatturate risultano essere non coerenti con il servizio di sorveglianza antincendio (ricevimento merci e allestimento scaffali, portierato e controllo accessi, portierato, verifiche sui green pass, sorveglianza armata in manifestazione organizzata e sorveglianza armata presso Università ). Anche la Fondazione per lo sviluppo dell'arte contemporanea Victoria ha affermato che il servizio affidato alla Ra. è quello di portierato e vigilanza Parte ricorrente ha, quindi, integrato il quarto motivo di ricorso, sostenendo l'illegittimità dell'implicito giudizio di adeguatezza dell'offerta, in quanto non sarebbe stata né dichiarata, né tantomeno dimostrata, l'equivalenza economica e normativa del CCNL applicato ai dipendenti dell'RTI aggiudicatario (ASSIV "CCNL per dipendenti da istituti e imprese di vigilanza privata e servizi fiduciari"), rispetto al CCNL "Sorveglianza Antincendio". Dimostrazione che, secondo parte ricorrente, non avrebbe comunque potuto essere fornita dal momento che la stessa stazione appaltante, all'art. 1 del CSA ha operato una netta distinzione tra i servizi di prevenzione e sorveglianza antincendio e quelli di vigilanza armata e non. L'RTI controinteressato ha implicitamente rinunciato ai termini a difesa rispetto al ricorso per motivi aggiunti da ultimo depositato, articolando le proprie difese anche rispetto al contenuto di quest'ultimo, le cui censure sarebbero inammissibili prima ancora che infondate. La prima di esse, infatti, attiene alla, pretesa, sopravvenuta efficacia dell'aggiudicazione, senza considerare che nessun provvedimento risulta essere stato adottato al fine di dichiarare ciò in ragione del mancato completamento delle verifiche. Parimenti, anche la seconda doglianza sarebbe stata proposta prima che la stazione appaltante abbia effettuato la verifica dei contenuti del CCNL applicato, obiettivo dichiarato dell'istruttoria avviata dall'Azienda USL. Entrambe le censure sarebbero, comunque, infondate per le ragioni già ampiamente articolate nella difesa dispiegata in relazione al ricorso introduttivo. Infine, anche la USL di Ferrara, dopo aver espressamente rinunciato ai termini a difesa, ha replicato alle deduzioni di parte ricorrente. Alla pubblica udienza del 14 marzo 2024, dopo ampia discussione, la controversia è stata, dunque, trattenuta in decisione. DIRITTO Con il ricorso in esame la società ricorrente tende, principalmente, all'esclusione dalla gara del RTI controinteressato per carenza dei requisiti professionali richiesti e solo in subordine alla riduzione del punteggio assegnato a tale concorrente. Esso può essere definito integralmente, nonostante il deposito di un ricorso per motivi aggiunti in data 27 febbraio 2024, attesa la rinuncia ai termini a difesa delle controparti che, dopo aver integralmente dispiegato la propria difesa, anche con riferimento a quanto dedotto nello stesso ricorso per motivi aggiunti, hanno espressamente richiesto la pronuncia anche in relazione a quest'ultimo, senza nulla eccepire nemmeno in occasione della discussione nell'ambito dell'udienza pubblica. Ciò chiarito, il primo motivo di ricorso si fonda sulla pretesa carenza del requisito essenziale di qualificazione rappresentato dall'iscrizione camerale per attività coerenti con i servizi da affidare. Nel caso di specie, infatti, il certificato della CCIAA relativo alla mandante Ra. dà conto dell'attività prevalente rappresentata da "servizi di vigilanza privata", cui si aggiunge quella secondaria di "servizi integrati di gestione agli edifici... servizi di portineria... servizi investigativi privati... altri servizi di sostegno alle imprese", ma non anche i servizi di sorveglianza antincendi. La mandataria To. Se. Se. Fi. S.r.l., pur menzionando nel proprio oggetto sociale esteso anche la "vigilanza antiincendio" risulta esercitare, a titolo principale, l'attività di "servizi di investigazione e sicurezza" e, quale attività secondaria, quella di "servizi di portierato e guardiania non armata (dal 20/01/2022)". Secondo la tesi di parte ricorrente, dunque, proprio in ragione dell'attività effettivamente svolta dalla due partecipanti al raggruppamento controinteressato, la stazione appaltante, andando oltre quelle che sono le mere declaratorie dell'oggetto sociale e indagando sull'effettiva esperienza professionale delle imprese, avrebbe dovuto addivenire all'esclusione delle stesse, in quanto, in concreto, non operanti nello specifico settore della sorveglianza antincendio presso strutture sanitarie (particolare rilevante, secondo la ricorrente, in considerazione delle peculiarità e degli specifici rischi che connotano tali strutture sotto il profilo della sicurezza antincendio) oggetto dell'appalto in questione e, dunque, prive del requisito di idoneità professionale richiesto dall'art. 6.1. del disciplinare. Quest'ultimo, infatti, richiede a pena di esclusione, la "Iscrizione nel Registro delle Imprese oppure nell'Albo delle Imprese artigiane per attività ` pertinenti con quelle oggetto della presente procedura di gara.", ma tale elemento formale non avrebbe dovuto essere ritenuto sufficiente dalla stazione appaltante. A sostegno di tale tesi è richiamata la giurisprudenza del Consiglio di Stato che, favorendo un'interpretazione sostanziale, ha affermato il principio secondo cui, per soddisfare il possesso del requisito professionale, il fare riferimento al solo oggetto sociale non può ritenersi sufficiente di per sé, "considerato che "esprime solo la misura della capacità di agire della società interessata, indicando i settori -per vero, potenzialmente illimitati- nei quali la stessa potrebbe in astratto operare" (Cons. Stato, V, 18 gennaio 2021, n. 508; 10 aprile 2018, n. 2176; Cga, 26 marzo 2020, n. 213), e che occorre far riferimento piuttosto, a tal riguardo, alla attività "effettivamente" svolta dall'impresa, come risultante dall'iscrizione camerale, così da escludere il requisito in relazione ad (irrilevanti) "ambiti operativi (pur presenti nell'oggetto sociale) ove non effettivamente attivati" (cfr. Cons. Stato, V, 18 luglio 2022, n. 6131; Id., n. 508 del 2021, cit.; Cga, n. 203 del 2020, cit.).". (Cons. Stato, Sezione Quinta, sentenza 23 dicembre 2023, n. 11150). Seguendo tale orientamento, il raggruppamento controinteressato, che, secondo quanto sostenuto in ricorso, non potrebbe vantare esperienze pregresse, avrebbe dovuto essere escluso per mancanza di un requisito essenziale e cioè l'esperienza nella gestione di un servizio altamente qualificato come quello della sorveglianza antincendi che comprende prevenzione (e, dunque, riduzione del rischio dell'evento incendiario), nonché sorveglianza e primo intervento, se necessario e si differenzia dal portierato e dalla vigilanza armata in ragione delle specifiche attività richieste, così come descritte all'articolo 1 del capitolato speciale, il cui espletamento presuppone la professionalità tipica dell'addetto ai servizi antincendi. E che si tratti di due tipologie diverse di servizio è stato affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 121 del 2017, nella quale si legge che "l'esercizio della vigilanza armata non può sostituire il necessario ricorso a squadre antincendio, in possesso dei requisiti di legge, alle quali deve essere principalmente affidata la delicata attività di prevenzione": per l'esercizio del servizio di sicurezza antincendio si rende, dunque, necessaria una specifica qualificazione. Ciò chiarito, la difesa di parte resistente si fonda sul fatto che, nel caso di specie, la gara non avrebbe a oggetto l'affidamento della sorveglianza attiva in materia antincendio, ma, piuttosto, la "gestione delle squadre di emergenza". Tale tesi prende le mosse, però, da una non corretta lettura dell'oggetto della procedura di gara, descritto nel capitolato speciale come servizio "di gestione delle squadre di emergenza per l'ottemperanza alle norme sulla prevenzione incendi presso le strutture immobiliari dell'Azienda Usl di Ferrara". Lo stesso articolo 1 del medesimo CS prosegue, poi, specificando che "Per sorveglianza attiva antincendio s'intende il servizio di presidio fisico, volto a controllare all'interno dei locali oggetto dell'appalto, tutti quei fattori comportamentali o sequenze di eventi incontrollabili che possano assumere rilevanza tale da determinare condizioni di rischio non preventivabili e quindi non affrontabili solo con misure tecniche di prevenzione.". Segue un puntuale elenco delle attività richieste, tra cui spiccano il controllo visivo giornaliero delle condizioni di sicurezza nelle strutture, dello stato di integrità, manutenzione, posizionamento e funzionamento dei presidi antincendio e dei diversi componenti (porte Rei, rilevatori di fumo, estintori, illuminazione d'emergenza, idranti, zone filtro, evacuatori fumo calore, vani scala e prove di fumo, corretto utilizzo dei locali delle bombole di reparto), nonché del regolare funzionamento ed integrità di tutti gli impianti tecnologici quali ascensori, impianti di illuminazione, idrici, di riscaldamento, di gas medicali. Ad esse si aggiungono il supporto nell'attuazione delle procedure di evacuazione provvedendo ad effettuare tutti gli interventi previsti dalle norme di sicurezza, anche nel caso di eventi che comportano rischi ambientali quali sismi, alluvioni, eventi atmosferici estremi o altro ancora e la collaborazione con il personale aziendale reperibile in caso d'interventi in pronta disponibilità, il controllo periodico del contenuto degli armadi di DPI antincendio, la rilevazione e gestione degli allarmi antincendio e il contenimento dell'eventuale incendio, supportando anche le squadre di soccorritori esterne. In sostanza, si tratta dell'attività di pattugliamento e presidiamento della struttura sanitaria, diretto alla prevenzione costante degli incendi (con la verifica e la manutenzione, in primo luogo, di tutti i presidi anticendio, ma anche con la verifica di tutti gli impianti potenzialmente fonti di pericolo e conseguente attivazione delle relative squadre di manutenzione) e al pronto intervento, con coordinamento di processi e risorse umane, nel caso di evento dannoso (incendio). Proprio in ragione di ciò il capitolato speciale prevede che, trattandosi di un servizio che " si differenzia da quello di "vigilanza armata e guardiania" deputato a semplice attività di vigilanza sulle strutture immobiliari senza compiti specialistici in materia di antincendio ", "Il personale addetto al servizio dovrà necessariamente essere in possesso di specifica formazione indispensabile per eseguire il servizio, condizione professionale che rende necessario acquisire risorse umane denominate "Addetti alla sicurezza antincendio" formate ai sensi del Decreto del Ministero dell'Interno 02/09/2021 "Criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, lettera a), punto 4 e lettera b) del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.". Conseguentemente, esso puntualizza che, trattandosi di servizio prestato a favore di strutture sanitarie, gli 'Addetti alla sicurezza antincendiò dovranno essere appositamente formati per un livello di rischio elevato e al personale dovrà essere applicato il CCNL "Sorveglianza Antincendio". Tutto ciò vale ad escludere la veridicità di quanto sostenuto dal controinteressato e cioè che "Non si tratta, quindi, di sorveglianza attiva antincendio che implica, da parte del personale dedicato, la concreta messa in opera di misure di neutralizzazione e/o contenimento dell'incendio", essendo vero il contrario. Né può ritenersi che oggetto di gara sia un servizio qualificabile come "coerente" rispetto a quelli di "portierato" e "sorveglianza armata e non" svolti dal soggetto risultato aggiudicatario - peraltro presso strutture ben diverse da quelle ospedaliere, che presentano rischi del tutto peculiari rispetto alle sedi museali -, in alcun modo riconducibili alla categoria dei servizi di sorveglianza, vigilanza, assistenza e consulenza in materia antincendio. Servizi, questi ultimi, che debbono essere prestati per garantire il funzionamento del sistema di gestione della sicurezza finalizzato all'adeguamento antincendio, così come descritto dall'art. 42 del Titolo V, dell'allegato III al D.M. 19 marzo 2015 e delineato in un apposito documento che deve essere adottato dalla struttura sanitaria. Esso risulta caratterizzato da attività del tutto peculiari, che debbono essere poste in essere da soggetti adeguatamente formati. Fatte tale premesse, la censura è solo in parte fondata, in quanto il Collegio ritiene che non sia ravvisabile la dedotta violazione dell'art. 100, comma 3, del D.Lgs. 36/2023 che parte ricorrente ritiene sussistere in ragione del fatto che le imprese partecipanti al RTI concorrente sarebbero prive del requisito di idoneità professionale. A prescindere dalla mera declaratoria dell'oggetto sociale, infatti, la To. Se. ha dimostrato di aver "attivato" in concreto la previsione dell'oggetto sociale dichiarato alla CCIAA, avendo effettivamente svolto, almeno in un'occasione, un servizio di vigilanza che comprendeva anche quella antincendio ed avendo alle proprie dipendenze personale avente la qualifica di "Addetto alla sicurezza antincendio". Per quanto attiene alla Ra., invece, tale società ha nel suo oggetto lo svolgimento di consulenze nell'ambito della protezione civile e della difesa civile: attività latamente riconducibile anche all'ambito della sicurezza antincendio, anche in considerazione del fatto che l'amministratore unico della stessa, indicato nell'offerta come responsabile del servizio, è in possesso della qualifica di "Security manager". Si tratta, dunque, di un esperto di Security aziendale, definibile come soggetto abilitato allo studio, sviluppo ed attuazione delle strategie, delle politiche e dei piani operativi, volti a prevenire, fronteggiare e superare eventi in prevalenza di natura dolosa e/o colposa che possono danneggiare le risorse materiali, immateriali, organizzative e umane di cui l'azienda dispone o di cui necessita, per garantirsi un'adeguata capacità concorrenziale nel breve, nel medio e nel lungo termine. Ciononostante, tale società non ha dimostrato di aver mai svolto alcuna attività riconducibile all'ambito della "sorveglianza antincendi" e tale circostanza risulta essere determinante anche alla luce di quanto dedotto nel secondo motivo di ricorso. Con la seconda censura, infatti, parte ricorrente lamenta la mancata esclusione del raggruppamento controinteressato, privo dei requisiti previsti dall'art. 6.3 del Disciplinare di gara, il quale richiedeva, ai fini della partecipazione, l'"esecuzione negli ultimi tre anni di un servizio ana o di vari servizi analoghi a quelli oggetto di gara (vigilanza o gestione di impianti tecnologici ad uso degli immobili con particolare riferimento agli impianti antincendio) di importo minimo anche cumulativo almeno pari all'importo a base d'asta, iva esclusa". Secondo quanto evidenziato in ricorso, la mandataria To. Se. Se. Fi. s.r.l. avrebbe speso, a dimostrazione della propria qualificazione, quattro servizi (per un importo totale di 673.766,00 euro), ma non computabili in quanto riferiti all'attività di mero portierato. La mandante Ra. s.r.l., invece, ha anch'essa dichiarato quattro servizi (per un importo di Euro 1.441.903,73), i quali sarebbero stati tutti erroneamente qualificati come "servizi di vigilanza armata e vigilanza antincendio". All'esito delle verifiche disposte, infatti, il contratto più importante (fatturato di Euro 765.872,73) risulta riguardare la "sorveglianza armata per le manifestazioni organizzate dalla Fondazione La Bi. di Ve. nel biennio 2021-2022", mentre il contratto per un importo di Euro 223.840,00 stipulato con l'Università Ca Foscari, riguarda la procedura di "Affidamento dei servizi di vigilanza armata presso le sedi dell'Università Cà Foscari Venezia". Si tratta, dunque, di contratti per servizi che non possono essere qualificati come "analoghi" a quello oggetto di affidamento per espressa previsione della lex specialis di gara (cfr., sul punto, il testo dell'articolo 1 del capitolato speciale più sopra riportato), che chiarisce in modo inequivocabile e coerente con il restante contenuto della disciplina della gara come quella oggetto di appalto sia un'attività di sorveglianza attiva antincendio del tutto diversa dalla vigilanza armata e dalla guardiania, il cui espletamento richiede necessariamente una specifica formazione. Quanto ai servizi dichiarati dalla To. Se. Se. Fi., solo uno di essi - quello prestato a favore di Un. s.r.l. - comprende anche "i servizi di presidio antincendio, antinfortunistica e portierato" (per un importo di Euro 266.991,00). Si tratta, dunque, di un servizio che ben poteva essere speso per dimostrare il possesso del requisito richiesto, ma insufficiente ad integrare l'importo minimo dello stesso, fissato dall'art. 6.3 del disciplinare di gara in misura pari all'importo a base d'asta, iva esclusa (1.045.512,00) e ciò anche volendo considerare l'intero importo del contratto. Invero, l'importo minimo non potrebbe essere comunque raggiunto neanche considerando tutti i servizi dichiarati dalla società in parola e sommariamente qualificati come di "portierato". Ne deriva che risulta del tutto irrilevante che la stazione appaltante, nel rispondere al quesito PI346097-23, abbia affermato di ritenere condivisibile l'interpretazione proposta dal concorrente, secondo cui i servizi di vigilanza/portierato che ricomprendano anche l'attività di gestione impianti tecnologici sarebbero da considerarsi analoghi a quello oggetto di gara. Infatti, anche a prescindere dal fatto che tale chiarimento si pone in contrasto con la lex specialis e dal fatto che non risulta dimostrato se e quanta parte dei servizi dichiarati fosse relativa alla gestione degli impianti, anche considerando il loro intero ammontare (pari a 673.766,00 euro) essi non avrebbero comunque una consistenza tale da integrare il possesso del requisito richiesto. L'accoglimento di tale censura risulta essere assorbente e rende superfluo l'esame delle ulteriori doglianze e del successivo ricorso per motivi aggiunti, atteso che esso comporta la declaratoria dell'illegittimità dell'ammissione alla gara del raggruppamento controinteressato. Così accolto il ricorso, le spese del giudizio non possono che seguire l'ordinaria regola della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla gli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l'Amministrazione intenderà adottare. Condanna le parti resistenti alla corresponsione, a favore della ricorrente, della somma di euro 4.000,00 (quattromila/00) ciascuna, per un totale di 8.000,00 (ottomila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Ugo Di Benedetto - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere, Estensore Alessandra Tagliasacchi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8127 del 2022, proposto dalla Cooperativa Sociale Nu. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fa. Gi. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fr. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...), per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, n. 1668/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, la Nu. Sa. Cooperativa Sociale Onlus, affidataria in forza della delibera della Giunta Comunale del Comune di (omissis) (PV) n. 76 del 28 settembre 2011 del servizio di gestione globale della Residenza Sanitaria Assistenziale "Pa. Be.", di proprietà comunale, impugnava la (quarta) decisione comunale di proroga tecnica del contratto di concessione scaduto in data 30 novembre 2019 fino all'ulteriore termine del 31 dicembre 2021 "o comunque alla data di consegna del servizio all'operatore che verrà selezionato in esito alla procedura di gara di prossimo avvio", quella di conferma della suddetta proroga comunicata alla ricorrente in data 29 giugno 2021 e la delibera di Giunta comunale n. 25/2021, che aveva dato mandato al RUP di adottare tutte le iniziative necessarie alla proroga contrattuale. La ricorrente lamentava che, per effetto dell'ennesima (ovvero, come si è detto, quarta) proroga tecnica, il servizio veniva da essa gestito con una perdita mensile di Euro 20.000, deducendo sia la nullità degli atti impugnati, perché carenti della necessaria norma attributiva alla P.A. del potere di adottarli, sia, in ogni caso, la loro illegittimità, siccome posti in essere in sviamento di potere ed in violazione delle pertinenti disposizioni. 1.1. Deduceva in particolare la ricorrente, a fondamento della richiesta di declaratoria della nullità degli atti impugnati, che il d.lvo n. 163/2006, sotto la cui vigenza il contratto di concessione era stato affidato e concluso, non contemplava alcuna norma attributiva all'Amministrazione del potere di disporre unilateralmente la proroga tecnica del contratto, atteso che le circostanze richiamate a suo fondamento dal Comune intimato avrebbero dovuto essere gestite mediante altri strumenti, come l'affidamento diretto per ragioni di urgenza (ex artt. 57, comma 2, lett. c), e 125, comma 10, lett. c), d.lvo n. 163/2006) o la proroga consensuale, presupponenti entrambi l'assenso della controparte. La ricorrente desumeva tale conclusione anche dal dettato costituzionale (artt. 23 e 41 Cost.) oltre che dall'art. 143, comma 8, d.lvo n. 163/2006, laddove prevedeva che le concessioni di lavori (e di servizi) debbano essere strutturate in modo da "assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario", tenendo anche conto "dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni di mercato", e che, ove la stazione appaltante avesse modificato elementi o condizioni di base, tali da compromettere l'equilibrio economico-finanziario della convenzione, per esempio con la richiesta di proroga, il concessionario avrebbe avuto diritto alla revisione degli accordi, "da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio", aggiungendo che, in mancanza di tale revisione, "il concessionario può recedere dal contratto". 1.2. Deduceva altresì la ricorrente che, quand'anche si fosse ritenuto applicabile l'art. 106, comma 11, d.lvo n. 50/2016, invocato dal Comune con la pec del 21 luglio 2021, ne era stato comunque violato il disposto. Premesso il carattere eccezionale dell'istituto, attivabile solo in caso di "estrema urgenza" per il "tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure" finalizzate alla scelta del nuovo contraente e sussistendo le ulteriori condizioni relative alla sussistenza di "eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti", alla possibilità di ricorso allo stesso "nella misura strettamente necessaria" ed al fatto che gli eventi invocati non fossero "imputabili alle stazioni appaltanti", deduceva la ricorrente che nessuna di tali condizioni (ad eccezione dell'estrema urgenza) era rinvenibile nella fattispecie in esame. Né, aggiungeva la ricorrente, poteva assumere valenza seriamente giustificativa - con la conseguente carenza motivazionale degli atti impugnati - il richiamo all'emergenza Covid, atteso che i sopralluoghi nella struttura, asseritamente impediti dalla pandemia, avrebbero potuto essere disposti prima della chiusura da essa imposta e che, in ogni caso, dall'esplosione dell'epidemia la Residenza non era sempre rimasta sigillata alle visite esterne posto che, già nel secondo semestre 2020, l'ingresso di visitatori esterni, previa autorizzazione del responsabile medico o del referente Covid e con l'adozione di tutte le misure necessarie alla prevenzione del contagio, poteva essere consentito, senza considerare che il sopralluogo si sarebbe potuto svolgere per via telematica. 1.3. Sotto altro concorrente profilo, la ricorrente lamentava lo sviamento di potere inficiante gli atti impugnati, espressivi di un potere sostanzialmente emergenziale e volto ad assicurare la continuità di servizi essenziali, risultando gli stessi orientati a garantire all'Amministrazione comunale condizioni contrattuali di estremo favore che, in quanto diseconomiche, essa non avrebbe potuto reperire sul mercato, all'esito della nuova procedura di gara. 1.4. Infine, la ricorrente avanzava istanza di risarcimento del danno causato dall'illegittimo operato dell'Amministrazione comunale, nella misura di 20.000 euro per ogni mese di proroga illegittima, a far data dal 30 giugno 2021. 2. Il T.A.R. adito, con la sentenza n. 1668 del 12 luglio 2022, ha respinto complessivamente il ricorso. 2.1. Esso ha preliminarmente respinto la richiesta di declaratoria della nullità degli atti impugnati, all'uopo richiamando l'art. 9 del capitolato speciale di gara, il quale prevedeva che il contratto potesse essere "rinnovato, per una sola volta, per un ulteriore periodo massimo di 5 anni (...)" e che "in mancanza di rinnovo espresso il contratto cesserà di avere effetto alla scadenza prevista. Qualora alla scadenza del contratto di concessione l'Amministrazione Comunale non avesse provveduto all'aggiudicazione della concessione per il periodo successivo, il concessionario uscente è obbligato a garantire la gestione dei servizi agli stessi prezzi e condizioni vigenti al momento della scadenza del contratto per il tempo strettamente necessario all'espletamento delle procedure per il nuovo affidamento. Della proroga tecnica sarà data comunicazione scritta al concessionario", nonché l'art. 4 del contratto di concessione, laddove disponeva che "la concessione ha durata dal 1.12.2011 al 30.11.2019 per un totale di novantasei mensilità, salvo specifica e motivata proroga". Il T.A.R. ha in particolare rilevato che tali previsioni, ai fini della proroga tecnica del contratto, non richiedono che dal concessionario "venga prestato un consenso ulteriore rispetto a quello dato con la sottoscrizione del contratto". 2.2. Quanto alla dedotta annullabilità degli atti contestati, il T.A.R., dopo aver evidenziato che "le contestazioni sollevate dalla ricorrente con riferimento a ritardi verificatisi nel periodo in cui sono state disposte le precedenti proroghe sono inammissibili, avendo la ricorrente prestato piena acquiescenza ad esse", e ribadito che "con i provvedimenti impugnati l'amministrazione ha addotto a motivazione della proroga le difficoltà legate all'emergenza pandemica", ha osservato che le ragioni indicate dal Comune al fine di giustificare l'impossibilità di concludere celermente la procedura di gara "non possono ritenersi strumentali", atteso che "l'eccezionalità dell'emergenza pandemica costituisce, invero, fatto notorio" e che "come correttamente ricordato dalla difesa dell'amministrazione comunale, con l'entrata in vigore del d.P.C.M. dell'8.3.2020 l'accesso alle residenze sanitarie assistite di parenti e visitatori è stato limitato "ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione" (art. 2, d.P.C.M. 8.3.2020)". Il T.A.R. ha altresì evidenziato che il fatto "che durante l'emergenza pandemica fosse preminente l'esigenza di porre in essere rigide misure di tutela della salute dei pazienti della residenza sanitarie e, in particolare, di evitare ogni accesso alle strutture da parte di estranei, non può essere ritenuto, quindi, un pretesto", aggiungendo che la ricorrente non aveva fornito "alcuna prova che dimostri come un accesso "telematico" fosse facilmente attuabile ed idoneo, a consentire, specie ai professionisti incaricati della redazione dei progetti, di adempiere alle proprie incombenze e agli operatori di effettuare i necessari sopralluoghi". 2.3. Infine, il T.A.R. ha respinto la censura intesa a sostenere che gli atti impugnati erano affetti dal vizio di sviamento, evidenziando, sulla scorta del già richiamato art. 9 del capitolato speciale, che "partecipando alla procedura di gara e sottoscrivendo il contratto - che all'art. 4 richiama il potere dell'amministrazione di disporre la proroga - la ricorrente si è quindi impegnata a proseguire il servizio alle medesime condizioni e prezzi vigenti al momento della scadenza, per il tempo strettamente necessario all'espletamento della procedura di gara, quale è - per le ragioni sopra affermate - il periodo intercorso tra il 30 giugno 2021 e il 31 dicembre 2021", aggiungendo che "la proroga ha come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall'atto originario e ciò a differenza del rinnovo, la cui previsione, in forza di quanto disposto dall'art. 9, costituisce una facoltà e non certo di un obbligo per l'amministrazione (cfr. Cons. St., sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25; id., sez. V, 22 giugno 2010, n. 3892; id. 14 maggio 2010, n. 3019)". 2.4. Alla reiezione della domanda intesa ad ottenere la caducazione degli atti impugnati è conseguito l'identico esito relativamente al petitum risarcitorio. 3. La sentenza costituisce oggetto dell'appello proposto dall'originaria ricorrente. 3.1. Questa, dopo aver premesso che, dopo che una prima gara (bandita in data 22 settembre 2021) è andata deserta e che quella nuovamente indetta (in data 22 luglio 2022) non è stata ancora completata, ed affermata la persistenza del suo interesse all'accoglimento del ricorso, sia perché la proroga disposta con gli atti impugnati è tuttora vigente sia ai fini risarcitori, insiste, con il primo motivo di appello, per l'accertamento della nullità della proroga unilateralmente disposta dal Comune appellato, non essendo presente nella disciplina previgente, recata dal d.lvo n. 163/2006, alcuna norma che consentisse all'Amministrazione concedente di disporre la proroga cd. "tecnica" in via unilaterale, ovvero al di fuori delle specifiche ipotesi - consensualmente configurate - di cui agli artt. 57, comma 2, lett. c) (procedura negoziata senza bando), e 125, comma 10, lett. c) (acquisizioni in economia), d.lvo cit., con il conseguente contrasto della proroga de qua (anche) con gli artt. 23 e 41 Cost.. Ad ulteriore conferma di tale conclusione, la parte appellante richiama - nel solco delle analoghe argomentazioni sviluppate in primo grado - il disposto dell'art. 143, comma 8, d.lvo n. 163/2006 (richiamato per le concessioni di servizi "in quanto applicabile" dall'art. 30), secondo cui laddove la concedente modifichi elementi o condizioni di base, tali da compromettere l'equilibrio economico-finanziario della concessione, per esempio con la richiesta di proroga, il concessionario ha diritto alla revisione degli accordi, "da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio", e di recedere dal contratto in caso di mancato riequilibrio. Né, come ritenuto dal T.A.R., la norma attributiva del potere potrebbe essere rinvenuta nell'art. 9 del capitolato speciale o nell'art. 4 del contratto, atteso che tali clausole, laddove interpretate nel senso sostenuto dal giudice di primo grado, sarebbero affette da nullità ex art. 1419 c.c., con la conseguente sostituzione automatica delle stesse ai sensi dell'art. 1339 c.c., in quanto contrastanti con le norme imperative contenute nel "vecchio" Codice dei contratti pubblici, applicabile ratione temporis, di cui ai richiamati artt. 57, comma 2, lett. c), e 125, comma 10, lett. c), nonché con l'art. 23 l. n. 62/2005, che consentiva la proroga unilaterale solamente dei contratti pubblici "scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge (....) per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge", e con i richiamati principi costituzionali. Aggiunge la parte appellante che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, la c.d. proroga tecnica, nel vigore del "vecchio" Codice, poteva essere ammessa solamente se prevista quale opzione nel bando di gara con l'espressa indicazione del periodo di proroga e sempreché, al momento della proroga, fossero state avviate concretamente e formalmente le procedure per l'espletamento della nuova selezione pubblica: condizioni non ricorrenti nella fattispecie in esame, atteso che gli atti impugnati non individuano il preciso limite temporale massimo del periodo di proroga e che al momento della disposizione della proroga qui impugnata non risultava avviata concretamente e formalmente la nuova procedura di gara. 3.2. Con il secondo motivo di appello, la parte appellante insiste nella tesi della contrarietà degli atti impugnati rispetto alle disposizioni regolatrici del potere di proroga. Dopo aver evidenziato che la mancata impugnazione delle (tre) proroghe pregresse non ne esclude ogni rilevanza ai fini della valutazione della legittimità della quarta, fondata sulle medesime motivazioni delle precedenti, deduce la parte appellante che se il riferimento alle criticità legate all'emergenza sanitaria poteva ritenersi ragionevole e fondato nel momento iniziale della crisi pandemica (coincidente con i mesi di febbraio/marzo 2020), a diversa conclusione dovrebbe pervenirsi per la proroga disposta a giugno 2021, atteso che, a distanza di oltre un anno dal suo verificarsi, l'emergenza pandemica non poteva più definirsi un evento "imprevedibile" e soprattutto la relativa portata era sicuramente mitigata grazie alla vaccinazione di massa, all'introduzione del c.d. "green pass", alla diffusione dei tamponi antigenici e molecolari ed allo sviluppo di varianti meno aggressive, con il conseguente allentamento delle restrizioni. Deduce altresì la parte appellante che i sopralluoghi nella struttura, asseritamente impediti dalla pandemia, avrebbero dovuto essere già stati effettuati precedentemente alla chiusura da Covid, che era intervenuta sul finire del primo periodo di proroga (marzo 2020), quando il Comune avrebbe dovuto essere ormai prossimo alla conclusione della procedura. Deduce altresì la parte appellante che il D.P.C.M dell'8 marzo 2020, citato dal T.A.R., non impediva tout court l'ingresso nelle RSA, fermo il rispetto delle misure di sicurezza anti-Covid, ma rimetteva alla Direzione Sanitaria l'individuazione dei casi in cui poteva essere consentito l'accesso, e che dall'esplosione dell'epidemia a marzo 2020 sino al giugno 2021, in cui è stata disposta la quarta proroga, la Residenza non era sempre stata chiusa alle visite esterne posto che, già nel secondo semestre 2020, l'ingresso di visitatori, previa autorizzazione del responsabile medico o del referente Covid e con l'adozione di tutte le misure necessarie alla prevenzione del contagio, era stato consentito. Evidenzia ancora la parte appellante che, come dichiarato dalla dott.ssa Sc., Direttrice della struttura, in un'intervista rilasciata all'ANSA l'11 dicembre 2020, "la RSA ad oggi è covid free. Nessun contagio si è manifestato nella struttura durante la seconda ondata di diffusione virale". Espone quindi la parte appellante che con il d.l. 22 aprile 2021, n. 52, emesso prima della scadenza del terzo periodo di proroga (30 giugno 2021), era stato introdotto il c.d. "green pass" a seguito dell'avvio della campagna di vaccinazione di massa e, per l'accesso alle RSA, valeva quanto previsto dal documento denominato "Modalità di accesso/uscita di ospiti e visitatori presso le RSA" allegato all'Ordinanza del Ministero dell'8 maggio 2021, con il quale si dava espressamente atto che in quel periodo: - "gli importanti sforzi riorganizzativi assunti in questi mesi di pandemia da parte degli enti erogatori per il contenimento e la gestione della COVID" avevano consentito il "raggiungimento di adeguati livelli di sicurezza per utenti, visitatori e operatori"; - vi era "l'elevato livello di copertura vaccinale raggiunto dagli ospiti e il personale ivi operante" e "misure igienico - sanitarie per la prevenzione e il controllo della trasmissione virale già rigorosamente applicate in tali contesti nel corso dei mesi"; - sussistevano "fondamentali e massive attività di screening periodico (...) rivolto (...) ad ospiti ed operatori"; - vi era un "incremento decrescente del trend epidemiologico associato ad una significativa riduzione della mortalità COVID correlata nella popolazione delle strutture residenziali (...) per effetto dell'avanzamento della campagna vaccinale"; - vi era stata "l'introduzione delle certificazioni verdi COVID - 19, rilasciate o riconosciute ai sensi dell'articolo 9, consentono di derogare ad alcuni divieti, ai sensi del Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52". Con specifico riferimento agli accessi nelle RSA, aggiunge la parte appellante, il provvedimento ministeriale in questione affermava che dovevano "essere favoriti (...) gli accessi di familiari, parenti e visitatori e le uscite programmate degli ospiti, intraprendendo tutte le modalità organizzative/strutturali necessarie", fermo restando ovviamente il mantenimento della "massima sicurezza possibile". Inoltre, prosegue la parte appellante, veniva espressamente garantito il libero accesso "ai visitatori o familiari o volontari in possesso di Certificazione Verde COVID 19 di cui all'art. 9 del Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52", ai sensi del quale il c.d. "green pass" era rilasciato anche solo dopo un "semplice" test antigenico rapido, effettuato anche su campione salivare. Deduce ancora la parte appellante che, durante l'emergenza pandemica, l'effettuazione dei sopralluoghi in modalità virtuale/telematica in luogo di quella tradizionale fisico/materiale, mediante condivisione di foto/video e/o videochiamata per rappresentare gli elementi essenziali della struttura, era una prassi molto frequente tra le stazioni appaltanti anche per l'affidamento di opere pubbliche di importi rilevanti, essendo stata anche espressamente avallata dall'ANAC con la Delibera n. 576 del 1° luglio 2020. La parte appellante contesta la sentenza appellata anche laddove non ha riconosciuto l'illegittimità della proroga impugnata in ragione della carenza dei relativi presupposti richiesti dall'art. 106, comma 11, d.lvo n. 50/2016, richiamato dall'Amministrazione, e dall'art. 57, comma 2, lett. c), d.lvo n. 163/2006, applicabile ratione temporis, come interpretati dalla giurisprudenza unanime, facendo nella specie difetto sia il requisito della temporaneità (in quanto la quarta proroga prevede che il contratto prosegua fino al "31.12.2021 o comunque alla data di consegna del servizio all'operatore" aggiudicatario, oltre a trattarsi di una quarta proroga intervenuta a distanza di due anni dal termine originario del contratto), sia il requisito dell'eccezionalità (trattandosi di una proroga che fa seguito a tre precedenti proroghe recanti una motivazione pressoché identica e non potendo la crisi pandemica ritenersi, a giugno 2021, una circostanza eccezionale e imprevedibile, soprattutto considerata l'oggettiva mutata situazione dovuta all'introduzione della vaccinazione di massa e il conseguente allentamento delle restrizioni), sia il requisito della sussistenza, al momento della proroga, della pubblicazione della nuova procedura di gara che consentisse di prevedere con ragionevole certezza il termine di conclusione della medesima, in ossequio a quanto previsto dal citato art. 106, comma 11, d.lvo n. 50/2016. 3.3. Con il successivo motivo di appello, la parte appellante reitera la censura di sviamento di potere, evidenziando che, mancando sia al momento della prima proroga che in occasione di quella quivi gravata l'indizione della nuova procedura di gara, l'unico risultato concretamente ottenuto dall'Amministrazione sarebbe stato quello di assicurarsi per due anni il servizio a condizioni estremamente vantaggiose non ottenibili sul mercato. 3.4. Infine, la parte appellante ribadisce la sua domanda risarcitoria. Essa evidenzia sul punto che, come rappresentato in primo grado, il danno subito dalla stessa risulta dai dati contabili inviati al Comune appellato e mai da questo contestati e che l'entità del danno si ricava, inoltre, dai documenti relativi all'andamento della gestione che il Comune conosceva in ogni fase del rapporto, e che sono periodicamente pubblicati dalla ricorrente. Essa evidenzia altresì che, trattandosi di una RSA accreditata, i dati relativi alla gestione 2021, e in particolare i ricavi relativi alla quota sanitaria, possono essere definitivamente calcolati solo dopo la predisposizione della cd. "Scheda Struttura", parte integrante del debito informativo nei confronti della Regione e della ATS al quale tutte le unità di offerta sociosanitarie sono tenute ad adempiere ai sensi della D.G.R. n. 2569/2014. Ebbene, essa deduce, per il 2019 la scheda struttura restituiva un utile di gestione di circa 230 mila euro, mentre nel 2020 il risultato di gestione è stato negativo: in particolare, come risulta dalla scheda di struttura relativa all'anno 2020, oggi disponibile, a fronte di ricavi per Euro 2.696.004,00, risultano costi totali di Euro 2.824.330,00 e, dunque, un risultato netto di gestione negativo di - Euro 128.326,00. Lo stesso dicasi per l'anno 2021: come risulta, infatti, dalla relativa scheda struttura anch'essa oggi disponibile, persiste la gestione in perdita, in continuità con l'anno 2020, in quanto a fronte di ricavi per Euro 2.789.847,00, risultano costi totali per Euro 2.802.794,00, con un risultato netto di gestione negativo di Euro - Euro 12.947,00. Da ultimo, essa conclude, anche per i 9 mesi trascorsi del 2022, dai dati previsionali in suo possesso (non essendo ancora pubblicata la scheda struttura) sussiste un risultato netto di gestione negativo di - Euro 137.000,00. Pertanto, essa insiste per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni consistenti nella perdita netta subita durante la proroga, pari a complessivi Euro 278.273,00, con riserva di azionare in futuro gli ulteriori danni causati dai provvedimenti gravati. 4. Si è costituito in giudizio, per opporsi all'accoglimento dell'appello ed eccepirne anche l'inammissibilità, il Comune di (omissis). 4.1. Quanto in particolare ai profili di rito, il Comune resistente eccepisce che la causa petendi sottesa all'impugnativa non è correlata all'interruzione del rapporto di concessione, ma alla rinegoziazione del contratto ed alla definizione di nuove condizioni economiche più favorevoli, finalizzate a rimediare alle presunte perdite subite, con la conseguenza che, a fronte della dichiarata disponibilità della ricorrente a proseguire la gestione della RSA comunale, sarebbe evidente il difetto di interesse in capo alla stessa a richiede l'annullamento della proroga, la quale andrebbe proprio nel senso di impedire la prosecuzione del rapporto. 4.2. Il Comune appellato eccepisce inoltre in compensazione con la pretesa risarcitoria fatta valere dalla ricorrente il credito da esso vantato con riguardo ai canoni concessori che la stessa ha omesso di versare dal luglio 2021 ed ammontanti ad Euro 23.879,31 mensili. Il Comune appellato oppone in compensazione anche i crediti nascenti dal mancato adempimento delle obbligazioni facenti capo al gestore, accertato dalla commissione di vigilanza nel corso degli anni e quantificati dall'arch. Marchesi, già membro della suddetta commissione, con relazione peritale del 14 ottobre 2021, per un complessivo importo di Euro 318.800,00. 5. Ulteriori deduzioni, anche in replica alle argomentazioni della rispettiva controparte, sono state formulate dalle parti del giudizio con le memorie del 18 dicembre 2023. La parte appellante, in particolare, oltre a replicare all'eccezione di inammissibilità dell'appello formulata dal Comune appellato e ad eccepire l'inammissibilità (oltre che l'infondatezza) dell'eccezione di compensazione da esso articolata, aggiorna la richiesta risarcitoria alla luce della Scheda Struttura relativa al 2022 e delle spese per interventi di manutenzione da essa sostenute, per un complessivo importo di Euro 332.706,80, cui andrebbero aggiunti gli importi da essa versati in esecuzione del Piano di rientro da essa sottoscritto a seguito del decreto ingiuntivo n. 2224 del 28 novembre 2022 ottenuto dal Comune di (omissis) per il pagamento del canoni concessori maturati nel periodo oggetto della contestata quarta proroga. 6. All'esito dell'udienza del 18 gennaio 2024, quindi, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione di merito. 7. Venendo alle valutazioni del Collegio, e soprassedendo per il momento all'esame delle eccezioni di inammissibilità che le parti hanno mosso alle rispettive iniziative processuali (l'appello per la parte ricorrente e l'eccezione di compensazione per quella resistente), deve premettersi che la controversia ha ad oggetto la pretesa illegittimità degli atti con i quali il Comune di (omissis), proprietario della RSA "Pa. Be." la cui gestione è stata affidata in concessione alla Cooperativa Sociale Nu. Sa. Onlus con contratto sottoscritto in data 30 maggio 2012, ha (nuovamente, ovvero dopo precedenti tre proroghe) disposto la proroga del contratto concessorio dal 1° giugno 2021 "sino a tutto il 31.12.2021 o comunque alla data di consegna del servizio all'operatore che verrà selezionato in esito alla procedura di gara di prossimo avvio alle condizioni attualmente in essere" alle medesime condizioni, divenute anti-economiche ad avviso della ricorrente, originariamente pattuite. In particolare, come si evince dalla comunicazione del 22 giugno 2021, l'Ente concedente ha richiamato, a fondamento della (quarta) proroga, "il contratto di concessione attualmente in essere tra le parti", laddove "prevede che il concessionario debba garantire il servizio sino al subentro del nuovo gestore (o alla eventuale conferma del gestore uscente), all'esito della procedura ad evidenza pubblica". 8. Con il primo motivo di appello, l'odierna appellante contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto la censura intesa a lamentare la nullità degli atti di proroga, in quanto adottati in mancanza - nel vigore del d.lvo n. 163/2006, destinato a regolare ratione temporis la concessione de qua - di una norma attributiva del relativo potere all'Amministrazione concedente. Premesso che il T.A.R. ha individuato la fonte attributiva del potere de quo al Comune di (omissis) negli atti genetici del rapporto concessorio - ovvero nell'art. 9 del capitolato speciale di gara, il quale prevedeva che il contratto potesse essere "rinnovato, per una sola volta, per un ulteriore periodo massimo di 5 anni (...)" e che "in mancanza di rinnovo espresso il contratto cesserà di avere effetto alla scadenza prevista. Qualora alla scadenza del contratto di concessione l'Amministrazione Comunale non avesse provveduto all'aggiudicazione della concessione per il periodo successivo, il concessionario uscente è obbligato a garantire la gestione dei servizi agli stessi prezzi e condizioni vigenti al momento della scadenza del contratto per il tempo strettamente necessario all'espletamento delle procedure per il nuovo affidamento. Della proroga tecnica sarà data comunicazione scritta al concessionario", e nell'art. 4 del relativo contratto, ai sensi del quale "la concessione ha durata dal 01.12.2011 al 30.11.2019 per un totale di novantasei mensilità, salvo specifica e motivata proroga" - la parte appellante deduce la nullità delle previsioni contrattuali richiamate, in quanto contrastanti con le norme imperative rappresentate dalle disposizioni del d.lvo n. 163/2006 (artt. 57, comma 2, lett. c), e 125, comma 10, lett. c), che prevederebbero, al fine di sovvenire alle esigenze indicate dall'Amministrazione a giustificazione degli atti impugnati, strumenti diversi incentrati sul consenso della controparte oltre che con gli artt. 23 e 41 Cost.. Con l'atto di appello, la parte appellante individua altresì, quale ulteriore parametro normativo da cui far discendere la nullità delle suindicate previsioni contrattuali, l'art. 23 l. n. 62/2005, che consentiva la proroga unilaterale solamente dei contratti pubblici "scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge (....) per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge". 8.2. La così sintetizzata deduzione della parte appellante non può essere accolta. 8.3. Deve in primo luogo osservarsi che le previsioni richiamate dal T.A.R. a fondamento del potere esercitato dall'Amministrazione con gli atti impugnati costituiscono parte integrante dell'assetto contrattuale accettato dalla parte appellante nell'ambito della fase genetica del rapporto concessorio, con la conseguente preclusione di iniziative impugnatorie postume dirette nei confronti delle stesse: ciò non in ragione della idoneità del consenso contrattuale a sanare l'ipotetico vizio di nullità che, ad avviso della parte appellante, li vizierebbe in radice (effetto impedito dalla inderogabilità delle norme imperative il cui contrasto genererebbe il vizio suindicato), ma sulla scorta di considerazioni di carattere squisitamente processuale che, facendo leva sulle norme che subordinano il rilievo della nullità del provvedimento amministrativo all'iniziativa della parte interessata, da esperire entro un termine rigidamente determinato (cfr. art. 31, comma 4, primo periodo c.p.a.), impongono di dare spazio, anche nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento del vizio suindicato, alle preclusioni (quale, ad esempio, l'acquiescenza al provvedimento lesivo) ed alle decadenze che caratterizzano la giurisdizione amministrativa di legittimità (in quanto giurisdizione di diritto soggettivo imperniata sull'onere di impulso del soggetto interessato, da assolvere nel rispetto di termini e condizioni legislativamente determinate). 8.4. Né, in senso contrario, potrebbe farsi leva, come sostiene la parte appellante, sul disposto dell'art. 31, comma 4, secondo periodo c.p.a., ai sensi del quale "la nullità dell'atto può sempre essere (...) rilevata d'ufficio dal giudice". La previsione, letta in correlazione con quella (innanzi richiamata) che subordina l'accertamento della nullità alla domanda dell'interessato da proporre entro il termine di decadenza di centottanta giorni e con quella che consente anche alla "parte resistente" di opporla, non solleva invero il soggetto leso dall'atto nullo dall'onere di far valere espressamente e tempestivamente il vizio de quo (incorrendo altrimenti nelle relative preclusioni e decadenze). 8.5. Allo stesso modo, non varrebbe rilevare che la lesività delle suindicate previsioni pattizie è emersa solo allorché l'Amministrazione ha inteso avvalersene in un contesto economico-contrattuale mutato e tale da determinare lo squilibrio economico del rapporto concessorio, atteso che, atteggiandosi le stesse, come si evince dal tenore testuale degli atti impugnati, a presupposti espressi di questi ultimi, sarebbe stato comunque onere della parte ricorrente di dedurne l'ipotetica nullità (e richiederne l'accertamento da parte del giudice adito) in una con quella asseritamente inficiante gli atti che la proroga hanno concretamente disposto. 8.6. Deve in ogni caso osservarsi che, come è noto, la nullità nei rapporti di diritto amministrativo non costituisce la sanzione che l'ordinamento appresta per qualunque ipotesi di contrasto con le norme imperative destinate a disciplinare l'azione della P.A., come avviene nel sistema dei rapporti iure privatorum ex art. 1418, comma 1, c.c., ma la conseguenza eccezionale di fattispecie invalidanti tassativamente tipizzate dall'art. 21-septies, comma 1, l. n. 241/1990, ai sensi del quale "è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge". Ne consegue che, non essendo riconducibile la violazione lamentata ad alcuna delle ipotesi contemplate dalla disposizione citata (a differenza di quanto avrebbe potuto astrattamente predicarsi per la nullità fatta valere dalla ricorrente nei confronti degli atti di proroga espressamente impugnati, in ragione del "difetto assoluto di attribuzione" che li inficerebbe), non può che concludersi nel senso della inconfigurabilità dello stesso vizio lamentato (nella presente sede di appello). 8.7. Infine, non può omettersi di evidenziare che il d.lvo n. 163/2006, secondo l'interpretazione giurisprudenziale richiamata dalla stessa appellante, non vietava in assoluto il ricorso alla cd. proroga tecnica, ma ne circoscriveva l'utilizzo entro margini definiti. Come affermato ad esempio da Consiglio di Stato, Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2882, essa era ritenuta "teorizzabile, ancorandola al principio di continuità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), nei soli, limitati ed eccezionali, casi in cui (per ragioni obiettivamente non dipendenti dall'Amministrazione) vi sia l'effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente". Anche l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con parere n. 33 del 16 maggio 2013, rilevava che: "La c.d. "proroga tecnica" è invece un istituto non previsto dalle disposizioni del Codice, ma elaborato in via pretoria, in particolare dalla giurisprudenza amministrativa e da questa stessa Autorità . Si tratta pertanto, tecnicamente, di una prassi amministrativa, riconducibile a ipotesi del tutto eccezionali e straordinarie, in considerazione della necessità - riscontrata e adeguatamente ponderata nella circostanza concreta - di evitare un blocco dell'azione amministrativa, ma tenendo presente che essa, in generale, comporta una compressione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione. Essa può trovare la sua giustificazione teorica nel principio di continuità dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione e, più precisamente, discende dal bilanciamento tra il suddetto principio e il principio comunitario di libera concorrenza, che si trova alla base dell'imperativo di bandire procedure a evidenza pubblica per l'affidamento di commesse pubbliche. Più nello specifico, si osserva che - a seguito delle disposizioni di cui all'art. 23 della Legge 18 aprile 2005, n. 62, recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee" (Legge comunitaria 2004) - la giurisprudenza amministrativa si è invero pronunciata in modo costante e univoco a sfavore della prorogabilità dei contratti quale strumento alternativo alle normali procedure concorsuali di affidamento (ex multis, Consiglio di Stato, VI, 16/02/2010, n. 850; T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 04-04-2011, n. 310; T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 25-11-2008, n. 3637). La proroga contrattuale, infatti, sottrae evidentemente al confronto concorrenziale tutta quella parte di contratto che viene proseguita attraverso il mero slittamento in avanti del termine di scadenza del rapporto obbligatorio convenuto. Conformemente a parte della giurisprudenza, l'Autorità ha individuato alcune ristrettissime ipotesi nelle quali la proroga può ritenersi ammessa, in ragione del principio di continuità dell'azione amministrativa sopra richiamato, restringendo però tale possibilità a casi limitati ed eccezionali nei quali, per ragioni obiettivamente non dipendenti dall'Amministrazione, vi sia l'effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento, con le ordinarie procedure, di un nuovo contraente (ex multis, Deliberazione 19 gennaio 2011, n. 7, Deliberazione 19 dicembre 2012, n. 110, Deliberazione 19 settembre 2012, n. 82, Deliberazione 10 settembre 2008, n. 36, Deliberazione 6 ottobre 2011, n. 86; in giurisprudenza, Consiglio di Stato, V, 11 maggio 2009, n. 2882, Consiglio di Stato, V, 7 aprile 2011, n. 2151). Fermo restando che ogni decisione di merito compete all'amministrazione istante, ove quest'ultima optasse per una proroga tecnica, la stessa dovrebbe protrarsi per il tempo strettamente necessario ad espletare la nuova procedura - che dovrebbe essere già avviata al momento dell'adozione della proroga - ed avviare l'esecuzione da parte del/i nuovo/i aggiudicatario/i, nei limiti di proporzionalità e adeguatezza e previa motivata e documentata istruttoria in tal senso. A tale riguardo, l'Autorità ha chiaramente affermato, infatti, che "il ricorso alla proroga reiterato per periodi talmente prolungati da eccedere quello strettamente necessario all'individuazione del nuovo contraente non può considerarsi legittimo" (Deliberazione n. 7/2011, cit.)". Può aggiungersi che l'Autorità nazionale anti corruzione è di recente tornata sui termini entro i quali si può considerare legittima la "proroga tecnica" dell'affidamento di un servizio per il tempo necessario a evitare il blocco dell'azione amministrativa (delibera n. 1200 del 23 novembre 2016)". Ne discende che più che la carenza in radice del potere di disporre la cd. proroga tecnica del contratto in essere, e quindi l'ipotetica nullità delle previsioni contrattuali che la contemplavano, verrebbe eventualmente in rilievo l'esigenza di adeguare l'interpretazione delle medesime previsioni ai principi richiamati: esigenza che, peraltro, può ritenersi in nuce nelle stesse disposizioni menzionate dalla sentenza appellata, laddove (cfr. in particolare l'art. 9 del capitolato speciale) prevedevano che la proroga del rapporto fosse ammessa "qualora alla scadenza del contratto di concessione l'Amministrazione Comunale non avesse provveduto all'aggiudicazione della concessione per il periodo successivo (...) per il tempo strettamente necessario all'espletamento delle procedure per il nuovo affidamento". 8.8. Quanto invece alla deduzione della parte appellante - formulata peraltro solo nel presente grado di giudizio - secondo cui, in base all'interpretazione giurisprudenziale, la c.d. proroga tecnica, nel vigore del "vecchio" Codice, poteva essere ammessa solamente se prevista quale opzione nel bando di gara con l'espressa indicazione del periodo di proroga e sempreché, al momento della proroga, fossero state avviate le procedure per l'espletamento della nuova selezione pubblica, deve rilevarsi che se da un lato essa conferma le conclusioni innanzi raggiunte (nel senso che non era vietata la proroga in sé, ma l'indiscriminato ricorso alla stessa da parte della P.A.), dall'altro si prefigge di introdurre, a sostegno della dedotta nullità, profili di illegittimità in via inammissibilmente innovativa (con particolare riguardo alla circostanza del mancato avvio della procedura di gara alla data della disposta proroga del rapporto concessorio). 9. Deve adesso esaminarsi il motivo di appello con il quale l'odierna appellante sostiene che il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare il mutato (rispetto a quello esistente alla data della prima proroga) quadro epidemiologico e normativo, evoluto alla data della (impugnata) quarta proroga nel senso della progressiva eliminazione delle restrizioni imposte all'accesso alla RSA e quindi alla possibilità di porre in essere gli adempimenti preparatori della gara da espletare ai fini della individuazione del nuovo concessionario. 9.1. Occorre in primo luogo evidenziare che la mancata impugnazione (ma anzi l'espressa accettazione) dei precedenti atti di proroga non resta priva di effetti ai fini della valutazione della legittimità di quella giudizialmente contestata. Il Collegio è consapevole dell'orientamento già espresso, in vicende analoghe, da questo Consiglio di Stato, nel senso che i precedenti atti di proroga contribuiscono ad "inquadrare fattualmente e storicamente la determinazione annullata (disponente l'ultima proroga, n. d.e.), che in effetti (anche in conseguenza di tali atti) assume una propria qualificazione, nella specie in termini di "quarta proroga" disposta dall'amministrazione. Il che può ben assumere rilievo, anche ai fini della legittimità dell'atto in sé per come qualificato: ma ciò prescinde da un giudizio di legittimità degli atti pregressi, qui considerati non già secondo la prospettiva del sindacato di legittimità, bensì per i precipitati fattuali che possono derivarvi in capo al provvedimento" impugnato" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6955 del 18 ottobre 2021). Tuttavia, il Collegio è dell'avviso che, sebbene l'accertamento del rispetto da parte dell'Amministrazione dei limiti e dei requisiti che circoscrivono l'esercizio del potere di proroga debba avvenire in una prospettiva di carattere complessivo, cui non possono restare estranei gli accadimenti pregressi (quale che sia la chiave di lettura degli stessi, ovvero siano essi di segno favorevole o contrario alla legittimità della proroga), non potrebbero addursi, a fondamento della illegittimità degli impugnati atti di proroga, le eventuali circostanze invalidanti già venute in essere allorché sono state disposte le precedenti proroghe: queste infatti hanno prodotto l'effetto di cristallizzare la durata del rapporto concessorio, innovandone la data terminale rispetto a quella originariamente fissata, con la conseguenza di circoscrivere alla situazione fattuale e giuridica presente alla data dell'ultima (e contestata) proroga il perimetro delle circostanze rilevanti ai fini della valutazione della sua legittimità . 9.2. Le concrete ricadute decisorie di tale premessa sistematica si colgono con riferimento alla deduzione avente ad oggetto la mancata programmazione, antecedentemente alla scadenza del termine (30 novembre 2019) originariamente apposto alla concessione, delle attività necessarie alla predisposizione degli atti di gara ovvero il mancato avvio, a quella data, della procedura selettiva del nuovo affidatario: poiché infatti tali circostanze possedevano, nella prospettiva attorea, diretta ed autonoma attitudine preclusiva del ricorso alla proroga, la relativa efficacia viziante deve ritenersi circoscritta al primo atto con il quale l'Amministrazione l'ha disposta. 9.3. Occorre inoltre evidenziare che la stessa parte appellante non contesta che le attività di predisposizione degli atti di gara hanno trovato ostacolo decisivo nelle limitazioni opposte all'accesso alla RSA dalle disposizioni connesse all'emergenza pandemica e finalizzate a contenere la diffusione del virus negli ambienti (ospedalieri e socio-sanitari) caratterizzati dalla presenza di soggetti fragili: essa deduce invece che, dopo la prima fase di emergenza pandemica, è stato ammesso l'accesso degli estranei alla struttura, sebbene previa autorizzazione e con l'adozione delle opportune misure precauzionali. Ebbene, deve in senso contrario osservarsi che il fatto che fosse eccezionalmente consentito l'accesso degli estranei alla RSA non rende irragionevole l'atteggiamento prudenziale assunto dal Comune di (omissis), il quale ha evidentemente preferito preservare la salute degli ospiti della RSA rinviando lo svolgimento dei sopralluoghi necessari alla rilevazione delle esigenze di ristrutturazione di cui tenere conto ai fini della progettazione delle opere da porre a base di gara. Quanto invece alla disciplina recata dall'Ordinanza ministeriale dell'8 maggio 2021 ed intesa a favorire il ripristino di ordinarie condizioni di accesso alle strutture socio-sanitarie, deve osservarsi che, a prescindere dalla tardività del deposito (e della corrispondente censura), siccome avvenuto solo nel giudizio di appello, e dal fatto che essa è esclusivamente finalizzata al ripristino delle relazioni tra gli ospiti delle RSA ed i loro familiari, gli atti di proroga impugnati si collocano immediatamente a valle della sua adozione, con la conseguenza che essa non è idonea a dimostrare il carattere ingiustificato dell'atteggiamento prudenziale serbato dal Comune per il periodo pregresso. Deve comunque osservarsi che, dopo la fase maggiormente virulenta del rischio virale, l'Amministrazione si è dimostrata affatto inerte, ove si consideri che, con la deliberazione di Giunta n. 38 del 30 luglio 2020, è stato approvato il documento ricognitivo delle necessità di completamento ed adeguamento della struttura, esprimendo nel contempo indirizzo nei confronti del RUP ai fini dell'affidamento degli incarichi relativi alle progettazioni, che, con le determine n. 44, 45 e 46 del 2 dicembre 2020, versate agli atti del giudizio di primo grado, il medesimo RUP ha conferito gli incarichi di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva relativi alle opere di manutenzione architettonica ed impiantistica e che i progetti esecutivi sono rispettivamente pervenuti in data 19 maggio 2021, 21 maggio 2021 e 15 giugno 2021: né del resto la parte appellante fornisce alcuna indicazione, tanto più necessaria in considerazione della portata non marginale delle suddette opere di manutenzione ed adeguamento, al fine di dimostrare che l'attività di progettazione si sia prolungata oltre il tempo strettamente necessario. Ugualmente indimostrata è la tesi secondo cui i sopralluoghi funzionali alla progettazione delle opere di manutenzione avrebbero potuto essere svolti in modalità telematica, tanto più in quanto la delibera ANAC n. 576 del 1° luglio 2020, richiamata dalla parte appellante, ha riguardo a quelli demandati ai concorrenti in vista della formulazione delle offerte. 9.4. Con più diretto riferimento alla proroga impugnata, invece, deve rilevarsi che il Comune di (omissis) ha depositato agli atti del giudizio di primo grado la deliberazione della Giunta comunale n. 29 del 5 luglio 2021, con la quale sono stati approvati i progetti relativi alle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria della componente architettonica, degli impianti termo-idraulici e di quelli elettrici della RSA, in vista del loro inserimento negli atti di gara. Sempre nell'ottica dimostrativa della finalizzazione della proroga ad assicurare il servizio di gestione della RSA nelle more della individuazione del nuovo affidatario, deve menzionarsi inoltre la delibera di Giunta n. 38 del 17 settembre 2021, di poco successiva all'atto di proroga, con la quale è stata approvata la documentazione di gara, e la determina n. 24 del 22 settembre 2021, ugualmente depositata agli atti del giudizio di primo grado, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico della Centrale Unica di Committenza "Micropolis" ha indetto la procedura selettiva. Ebbene, deve ritenersi che tali circostanze fossero idonee a ricondurre la proroga alla sua ratio, connessa all'esigenza di garantire la continuità del servizio pubblico, avente nella specie una peculiare connotazione assistenziale tale da renderne vieppiù inaccettabile l'eventuale interruzione, nelle more della procedura di gara di cui, alla data della comunicazione di proroga, erano in corso di predisposizione (per essere definitivamente approvati poche settimane dopo) gli atti progettuali necessari. 9.5. Né il dies ad quem della proroga, concepito, nell'ipotesi di mancato rispetto del termine (del 31 dicembre 2021) puntualmente indicato, sub specie di "data di consegna del servizio all'operatore che verrà selezionato in esito alla procedura di gara", è tale da inficiare la necessaria determinatezza del periodo di proroga ovvero il carattere proporzionato dello stesso, essendo ancorato ad un dato oggettivamente verificabile, sebbene dipendente, nella sua precisa determinazione, dalla fisiologica tempistica di svolgimento del procedimento di gara. 9.6. Quanto poi alle vicende successive, non può inficiare la finalizzazione della proroga al perseguimento del suo fine tipico, come innanzi individuato, la determina del Responsabile del Servizio Tecnico n. 6 del 16 marzo 2022, con la quale si dà atto che la gara, nelle more avviata ed espletata, è andata deserta (essendo stata presentata una sola offerta ed avendo il Comune aderito al parere della ANAC n. 89 del 23 febbraio 2022, con la quale è stata ritenuta non conforme al principio di libera concorrenza l'aggiudicazione del servizio all'unico offerente), mentre nessuna concreta deduzione viene svolta dalla parte appellante al fine di dimostrare l'incongruità temporale della cadenza procedimentale che ha condotto all'indizione, allo svolgimento ed alla conclusione, con determina del Segretario Comunale n. 1 del 23 marzo 2023 (di aggiudicazione a favore della società Gruppo Gheron S.r.l.), del secondo esperimento di gara. Per quanto concerne invece il lasso temporale intercorso tra la predetta determina di aggiudicazione e l'effettiva consegna della RSA dalla appellante al Comune di (omissis), avvenuta con verbale del 30 settembre 2023, occorre evidenziare che la stessa non è idonea a riverberare, per la sua posteriorità, effetti invalidanti nei confronti del precedente atto di proroga. 9.7. Infondata è anche la censura intesa a lamentare la carenza dei presupposti legittimanti la proroga contemplati dell'art. 106, comma 11, d.lvo n. 50/2016 e dall'art. 57, comma 2, lett. c), d.lvo n. 163/2006, così come interpretati dalla giurisprudenza richiamata dalla parte appellante. Per quanto concerne il requisito della temporaneità, che la parte appellante contesta in quanto la quarta proroga prevede che il contratto prosegua fino al "31.12.2021 o comunque alla data di consegna del servizio all'operatore" aggiudicatario, anche considerando che si tratta della quarta proroga intervenuta a distanza di due anni dal termine originario del contratto, deve osservarsi che, come già evidenziato, il riferimento dell'atto di proroga impugnato ad un evento incertus quando, ma certo nell'an, non contraddice la necessaria temporaneità della stessa, in quanto ancorata a circostanze oggettivamente riscontrabili e dipendenti dalla tempistica tecnica di svolgimento della gara, né dimostra la dipendenza della sua cessazione da scelte di carattere meramente potestativo dell'Amministrazione. Né il suddetto requisito è smentito dal fatto che la proroga impugnata interviene a valle di altre tre precedentemente disposte e dopo due anni dalla scadenza originaria del contratto, essendosi già evidenziata, da un lato, l'incidenza sul sollecito svolgimento delle attività preliminari all'indizione della gara dell'incidenza pandemica, dall'altro lato, che l'Amministrazione, sia durante che dopo l'emergenza virale, non è rimasta inattiva. Da questo punto di vista, la combinazione tra la oggettiva complessità delle attività strumentali all'avvio della gara e la non configurabilità di una assoluta inerzia comunale, unitamente al contesto emergenziale (pur collocato in una prospettiva di progressivo superamento) in cui si è dipanata la vicenda complessiva, non consentono di ravvisare, con l'evidenza necessaria in considerazione della connotazione discrezionale del potere di cui costituiscono espressione gli atti impugnati, i profili di illogicità e travisamento di fatto che la parte appellante si propone in ultima analisi di contestare. Né può ritenersi sussistente a carico degli atti impugnati l'ugualmente denunciato vizio di carenza di motivazione, atteso che il richiamo all'emergenza pandemica, sebbene da riferire correttamente, più che alla situazione in essere alla data dell'ultima proroga, a quella esistente allorché sono state adottate quelle pregresse, focalizza sufficientemente la ragione essenziale e preminente che aveva reso necessario al ricorso al suddetto eccezionale istituto. 9.8. Quanto poi al requisito dell'eccezionalità, che la parte appellante mette in discussione rilevando che la proroga contestata fa seguito a tre precedenti proroghe recanti una motivazione pressoché identica e che la crisi pandemica non poteva ritenersi, a giugno 2021, una circostanza eccezionale e imprevedibile, soprattutto considerata l'oggettiva mutata situazione dovuta all'introduzione della vaccinazione di massa ed al conseguente allentamento delle restrizioni, deve osservarsi in senso contrario che la quarta proroga non si è resa necessaria al fine di fronteggiare l'emergenza pandemica, le cui conseguenze, come affermato dalla parte appellante, potevano considerarsi ormai superate, ma il ritardo da essa determinato ai fini dell'avvio della gara; allo stesso modo, come già detto, il riferimento contenuto nell'atto impugnato all'emergenza pandemica, più che il sintomo di una motivazione tralaticia ed apparente, è funzionale ad evidenziare gli impedimenti che essa aveva opposto all'accesso dei progettisti alla struttura ai fini della rilevazione delle necessità di ristrutturazione da porre a base di gara. 9.9. Quanto al requisito della sussistenza, al momento della proroga, della pubblicazione della nuova procedura di gara, deve ribadirsi che trattasi di deduzione formulata per la prima volta in sede di appello e come tale inammissibile, senza trascurare che, come già detto, la stessa, inficiando direttamente il primo atto di proroga, avrebbe dovuto essere rappresentata mediante la tempestiva impugnazione dello stesso (che essa anzi, ritenendolo evidentemente non lesivo, espressamente accettava: cfr. lettera prot. n. 1109/2019 dell'8 novembre 2019, depositata nel giudizio di primo grado). 10. Infondato, infine, è il motivo di appello inteso a ribadire il vizio di sviamento inficiante gli atti impugnati, in quanto asseritamente funzionali non a soddisfare l'esigenza di continuità del servizio assistenziale, ma a trarre indebito vantaggio dalla prosecuzione di un rapporto contrattuale a condizioni non reperibili sul mercato. Basti osservare in senso contrario che, mediante la loro adozione, l'Amministrazione si è limitata a fare applicazione delle richiamate clausole contrattuali, le quali contemplavano l'obbligo del concessionario di proseguire la gestione della RSA "agli stessi prezzi e condizioni vigenti al momento della scadenza del contratto". 11. La complessiva infondatezza dell'appello, che non può non estendersi anche al petitum risarcitorio (formulato dalla parte appellante in chiave strettamente consequenziale a quello caducatorio/accertativo della nullità degli atti impugnati), consente di prescindere dall'esame, fin qui accantonato, delle eccezioni di inammissibilità formulata dal Comune appellato. Deve invece dichiararsi improcedibile (con il conseguente assorbimento delle eccezioni di inammissibilità formulate nei suoi confronti dalla parte appellante) l'eccezione di compensazione proposta dal Comune di (omissis), in quanto strumentalmente collegata alla domanda risarcitoria avanzata principaliter. 12. Infine, l'originalità dell'oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello e sulla relativa eccezione di compensazione formulata dalla parte appellata, respinge il primo e dichiara conseguentemente improcedibile la seconda. Spese del giudizio di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Nicola D'Angelo - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BOLOGNA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Michele Guernelli - Presidente dott. Marco D'Orazi - Giudice Relatore dott. Vittorio Serra - Giudice collegio riunito nella camera di consiglio del giorno dieci gennaio duemilaventiquattro; 10/10/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5184/2022 promossa da: Ro.Bl. (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. FA.GI., elettivamente domiciliato in VIA (...) 40026 IMOLA, presso il difensore avv. FA.GI. ATTORE/I contro Co. SOC. COOP. P.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BR.AL. e dell'avv. RU.MA. ((...)) VIA (...) BOLOGNA, elettivamente domiciliato in VIA (...) 40100 BOLOGNA, presso il difensore avv. BR.AL. CONVENUTO/I SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con rituale citazione per impugnazione di delibera, il signor Ro.Bl. conveniva innanzi a questo Tribunale di Bologna la società Co. società coop. p.a. (nel seguito C.). Subito nel seguito, il contenuto della citazione attorea. Parte attrice, titolare della ditta artigiana Ro.Bl., per oltre venti anni operava nel campo degli autotrasporti, collaborando in qualità di socio con la Co., a sua volta società cooperativa con finalità mutualistica. La Co. regolava i rapporti tra i soci sulla base di un regolamento interno e delle norme di comportamento di ciascuna divisione. Detti regolamenti statuivano: sia, da un lato, i requisiti minimi richiesti alle ditte socie; sia, dall'altro, il coordinamento delle operatività relative agli abbinamenti dei mezzi di trasporto. Da un punto di vista organizzativo, Co. predisponeva per ogni settore un responsabile, presidente delle assemblee, coadiuvato da un c.d. "parlamentino di settore", competente per le istruttorie relative alla valutazione delle violazioni di regolamento e all'eventuale irrogazione di sanzioni ad esse conseguenti. Passando ai fatti, parte attrice risultava proprietaria di quattro "operatività", oltre che di ulteriori autobus non vincolati alla C.. Nel gennaio del 2020, iniziavano alcune contestazioni di non conformità da parte del nuovo responsabile del settore della Co. nei confronti della ditta attrice. Di questo "eccesso di contestazioni" - cui si accompagnavano sanzioni pecuniarie - il Bl. si doleva in citazione; ipotizzava una sorta di accanimento di C.. Nella citazione, si menzionavano altre procedure sanzionatorie, pure impugnate. Dall'insieme di queste condotte della Co., il signor Bl. si riteneva ingiustamente danneggiato e, per così dire, "preso di mira" dalla convenuta. Parte attrice lamentava, dunque, di aver subito ingenti danni, causati altresì dall'eccessivo sforzo dovuto al periodo pandemico. I fatti oggetto di contestazione, relativi a questa causa, avvenivano in data 19 maggio 2021 quando, durante un servizio di trasporto scolastico, il Bl., secondo la contestazione di Co., procedeva al carico degli scolari in assenza dell'accompagnatore, la cui presenza era invece obbligatoria in virtù del regolamento predisposto dalla C.. La convenuta, accertata la dinamica - di cui veniva a conoscenza grazie alle lamentele degli utenti - emetteva, a seguito della delibera assembleare del 22 luglio 2021, il verbale di contestazione di infrazione, successivamente notificato alla controparte. Tale documento irrogava la sanzione disciplinare della sospensione per un periodo compreso dal giorno 11 al giorno 17 del mese di ottobre del 2021. Il Bl. lamentava - quanto al procedimento a cui seguiva la irrogazione della sanzione - la mancanza di istruttoria e la mancata richiesta di chiarimenti in ordine ai fatti da parte della società, adducendo che essa avrebbe realizzato un "procedimento accusatorio". Una ulteriore contestazione di infrazione veniva notificata, a distanza di qualche mese, alla ditta B.. Difatti, a seguito della delibera assembleare del giorno 15 dicembre 2021, al Bl. - sulla base di un ulteriore reclamo proveniente da alcuni utenti e concernente la mancata osservazione delle norme relative ai dispositivi di protezione (rectius, mascherine da coronavirus) e al controllo dei green pass, come previsto dalla normativa vigente in epoca pandemica - veniva irrogata una ulteriore sanzione disciplinare, con sospensione dal servizio dal giorno 1 al giorno 10 del mese di gennaio del 2022. Il Bl., contestualizzando i fatti e la dinamica degli eventi, negava la violazione delle norme, dello statuto e del regolamento di comportamento. Faceva notare, piuttosto, la brevità e la celerità dei procedimenti della Co., mettendo in rilievo la incapacità della società di tutelare correttamente i diritti dei soci. In data 22 dicembre 2021, apertosi il procedimento di mediazione, soltanto il Bl. vi aderiva. In diritto, nella citazione parte attrice asseriva la illegittimità delle delibere sanzionatorie e la inadeguatezza e la sproporzione delle misure adottate dalla Co. nei confronti della ditta B.. Parte attrice lamentava, altresì, la perdita economica dovuta al fermo e al mancato fatturato, elementi che sarebbero stati oltretutto aggravati dal divieto di prosecuzione dei servizi in maniera autonoma, imposto da Co. con le sanzioni disciplinari di cui sopra. Ribadiva la insussistenza delle violazioni di regolamento e delle norme di comportamento, oltre che la non imputabilità alla ditta delle condotte negligenti e imperite risultanti dalle contestazioni ricevute. Riteneva non circostanziata l'infrazione dalla quale sarebbe derivata una sospensione del tutto sproporzionata ed eccessiva, nonostante la mancanza di evidenza dei fatti. Il Bl. lamentava altresì l'abuso di diritto da parte della Co. nella esecuzione del contratto sociale, nonché la violazione del principio di parità dei soci ex art. 2516 c.c. Adduceva, a sostegno della propria domanda, che gli addebiti e la condotta della società, ad ogni modo, non giustificavano la serietà e il peso delle sanzioni inflitte. Chiedeva, in fase di precisazione delle conclusioni, che fosse dichiarata la nullità o annullabilità delle delibere impugnate e, di conseguenza, che fosse dichiarata la illegittimità o inefficacia delle sanzioni ad esse correlate, con contestuale condanna al risarcimento dei danni. Tale, in estrema sintesi, l'atto introduttivo. Si costituiva Co. che, in persona del suo legale rappresentante p.t., faceva presente il rilevante curriculum sanzionatorio accumulato dal signor Ro.Bl., nel corso dei venti anni di lavoro, sintomatico di una attitudine poco consona al rispetto delle regole. Produceva, in tal senso, l'elenco delle non conformità e, in aggiunta, ulteriori procedure disciplinari per denunce da parte di genitori degli scolari, sempre a carico della ditta Bl.. Parte convenuta, con riferimento a questi episodi, sosteneva la legittimità delle procedure di contestazione e la loro conformità ai regolamenti e al principio del contraddittorio. Giustificava altresì le sanzioni alla luce del bene primario da tutelare, ossia la sicurezza e la incolumità dei minori, destinatari dei trasporti. Lo stesso in relazione alla seconda sanzione, a tutela della salute pubblica. Chiedeva di rigettare le domande attoree in quanto infondate in fatto e in diritto. Tali, in breve ed in sintesi, gli atti introduttivi hinc inde. All'udienza del 29 settembre 2022, celebrata da remoto, parte attrice contestava integralmente la comparsa e i documenti prodotti. In particolare, ne rilevava la produzione per così dire a sorpresa; non avendo la propria parte avuto accesso a tali atti, né risultando questi presenti in sede di mediazione. Le parti chiedevano assegnarsi i termini ex art.183 comma sesto c.p.c.. L'udienza veniva rinviata con concessione dei termini per la modifica o precisazione delle domande, eccezioni e conclusioni, nonché per le repliche, l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali, oltre che per la indicazione delle prove contrarie. Venivano dunque depositate le memorie ex art. 183 comma sesto c.p.c.. Il Bl. confermava la sproporzione della sanzione, nonché il comportamento ostativo (reiterato) della Co., chiedendo interrogatorio formale del signor O., presidente e legale rappresentante, oltre che la prova per testi. C. ribadiva la propria posizione in merito e chiedeva prova testimoniale. All'udienza del 13 luglio 2023 le parti esponevano i fatti in libero interrogatorio e tentativo di conciliazione. Il giudice, ferme le rispettive posizioni delle parti, le invitata ad avvicinare le rispettive posizioni, al fine di pervenire a conciliazione. La Co. offriva, pro bono pacis ed a mero scopo di conciliazione e senza nulla ammettere, la somma di diecimila Euro al Bl., il quale rifiutava ritenendola non sufficiente a fronte degli ingenti e più gravosi danni economici subiti. Il giudice dava atto della inconciliabilità della causa. Le parti insistevano per la decisione sulle prove. Esse venivano poi ammesse, nei limiti della successiva ordinanza. All'udienza del 12 settembre 2023 si dava corso alla assunzione delle prove orali: la escussione di M.Z. (in qualità di teste), l'interrogatorio di G.O. (in quanto rappresentante pro tempore della C.) e la escussione D.B. (testimone, dipendente della ditta Ro.Bl.). Il giudice rilevava l'assenza ingiustificata di ulteriore teste, P.L., regolarmente citato ma non presente; ne disponeva quindi l'accompagnamento coattivo. Nel corso dell'udienza del 26 settembre 2023, venivano sentiti i testimoni, signori P.L. (ex dipendente della ditta) e T.I. (dipendente di H. Spa, utente da cui provenivano detti reclami), concludendo così la istruttoria orale. Si rinviava all'udienza di precisazione delle conclusioni. All'udienza del 12 ottobre 2023 parte attrice concludeva come da foglio e parte convenuta concludeva come alle memorie ex art. 183 primo termine, c.p.c.; concordando le parti di non accettare il contraddittorio su domande nuove. Il giudice disponeva quindi i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, trattenendo la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Parte attrice lamentava le modalità procedimentali di assunzione delle delibere assembleari, nonché le contestazioni sollevate e le sanzioni disciplinari irrogate da parte della Co.. Domandava, pertanto, che fosse dichiarata la nullità e/o la annullabilità delle delibere assembleari assunte dal Consiglio di Amministrazione, chiedendo, conseguentemente, di dichiararle inefficaci e illegittime. La domanda non è fondata e va rigettata. Occorre preliminarmente analizzare, relativamente alle doglianze sollevate da parte attrice, le due fattispecie concernenti l'abuso di potere e le modalità di formazione della volontà societaria nella adozione delle procedure di contestazione. Tali due profili, infatti, attengono ad elementi procedimentali, riguardando appunto la complessiva condotta di Co.; dovendosi successivamente affrontare le doglianze relative alle due irrogazioni di sanzioni. I. Circa l'abuso e l'eccesso di potere della Co.. Parte attrice asseriva, a sostegno della propria domanda, l'abuso e l'eccesso di potere della Co. nella esecuzione del contratto sociale. L'abuso del potere, ad avviso di parte attrice, si configurerebbe nella mancanza di proporzionalità ed irragionevolezza delle sanzioni irrogate in danno alla ditta, sanzioni derivanti da addebiti del tutto infondati e non corrispondenti alla reale condotta da essa tenuta. Da un punto di vista civilistico, l'eccesso o abuso di potere non è espressamente regolamentato dal legislatore, ma trova la sua fonte nella giurisprudenza. La fattispecie si ravvisa laddove una delibera sia preordinata - in maniera arbitraria e fraudolenta - a perseguire interessi divergenti da quelli societari, in violazione dei principi di buona fede e di correttezza. Tali principi si inseriscono all'interno di quella struttura organizzativa che è la società, luogo in cui si istaurano tutti quei rapporti reciproci finalizzati al contemperamento di opposti interessi che, a loro volta, trovano una adeguata corrispondenza nella correttezza e nella buona fede (nesso di contratti, che legano i soci fra loro e con la società). L'abuso, dunque, si configura come l'utilizzo di un potere diretto a pregiudicare o a ledere i diritti sociali, diritti sui quali non opererebbe il controllo giudiziario, essendo frutto di libere scelte. Sul punto, l'onere della prova spetta al socio che decide di impugnare la delibera, il quale, con una serie di indici, può far desumere la portata pregiudizievole della delibera. La decisione - ai fini della configurazione dell'abuso - deve aver avuto come obiettivo finale quello di avvantaggiare l'interesse personale dei soci di maggioranza, interesse in contrasto con lo scopo del contratto di società ed antitetico allo scopo sociale. Ancora, la decisione deve configurarsi come conseguenza della attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a determinare un danno al singolo socio. Il controllo circa le ragioni che abbiano indotto l'organo a valutare come conveniente o opportuna l'assunzione della delibera, è precluso al giudice, non potendo egli entrare nel merito delle motivazioni. La delibera, difatti, può avere una propria e autonoma giustificazione e la mera opportunità di scelta amministrativa non è sindacabile. Si intende dire come il sistema societario, anche quale autonomo ordinamento giuridico, ha regole proprie; pur sottostanti alle regole generali del diritto dei privati, si crea un sotto-ordinamento, che regola la vita della società. La fattispecie si concretizza solo nel caso della deviazione dello scopo sociale, nella fraudolenta attività della maggioranza, nella lesione dei diritti di partecipazione e dei diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci. Per di più, l'esercizio del potere discrezionale di maggioranza è valutato dall'ordinamento come il miglior "interprete" dell'interesse sociale; per cui, quanto alla valutazione della legittimità della deliberazione, detto esame deve arrestarsi dinanzi agli elementi sintomatici della violazione di buona fede, senza spingersi oltre ed evitando, dunque, di entrare nella valutazione in ordine all'opportunità delle scelte di gestione. Nel caso che ci occupa non si individua alcuna fattispecie di abuso. Non è ravvisabile alcuna condotta fraudolenta volta a perseguire interessi non sociali o ad avere come obiettivo quello di arrecare pregiudizio al socio per le sue condotte omissive e commissive. La Co., agendo nell'interesse della società e a tutela di interessi non meramente di "maggioranza", ha preservato gli interessi sociali a norma di legge e statuto, ponendo in essere legittimamente e coerentemente tutte le procedure che, secondo i regolamenti, risultano doverose in caso di violazione degli obblighi da parte delle ditte socie nell'esercizio delle loro funzioni. L'attore è percosso da un numero di sanzioni non indifferente. Naturalmente, egli può non condividere uno stile di amministrazione della società rigoroso, come quello di Co.. Nel senso che tale società - anche per la posizione di eccellenza che ha assunto nella realtà locale - impone indubbiamente ai suoi soci livelli di rigore severi. Tuttavia, tale scelta è appunto una scelta amministrativa, che intende porre le condotte dei soci Co. su un piano di estrema serietà. Non vi è in questo alcun abuso del diritto o interesse della maggioranza. Può non condividersi tale politica societaria di rigore; tuttavia, tale profilo è interdetto al giudice, rientrando appunto nelle scelte discrezionali della amministrazione. II.Circa il procedimento di formazione delle delibere. A sostegno della propria domanda, parte attrice lamentava la violazione del principio di parità di trattamento dei soci di cui all'art. 2516 c.c., nonché la brevità dei procedimenti della Co., non idonei a tutelare la posizione dei soci. Ai sensi dello statuto di Co. Soc. Coop. per azioni, i soci sono vincolati all'osservanza dello statuto, dei regolamenti interni e delle deliberazioni legalmente adottate dagli organi sociali, nonché ad effettuare i servizi loro assegnati secondo i criteri fissati dal Regolamento Interno. In particolare, poi, lo statuto dispone che "il socio il quale si sia reso inadempiente ad anche uno soltanto degli obblighi stabiliti dall'art. 8 (...) ovvero imposti dal Regolamento Interno, sarà comminata dal Consiglio di Amministrazione una sanzione, commisurata alla gravità dell'inadempienza, secondo le modalità stabilite dal Regolamento Interno". Dette sanzioni, commisurate alla gravità della inadempienza, sono applicate dal Consiglio di Amministrazione laddove il socio si renda inadempiente anche di uno solo degli obblighi stabiliti dallo statuto e dal regolamento. Ad avviso di parte convenuta, le sanzioni disciplinari applicate in passato dipendevano da gravi violazioni quali, a titolo meramente esemplificativo, la mancata esibizione del Durc, l'utilizzo di dipendente/ausiliario privo di patente di guida valida, la assunzione di servizi in concorrenza e gravi inadempimenti di servizio scolastico in appalto a Co.. Tali condotte non riguardano le due delibere di cui si discute in questa causa. Venendo alla procedura di irrogazione delle sanzioni contestate in questa causa, può osservarsi quanto segue. La parte attrice lamenta una compressione dei propri diritti di difesa ed una disparità con gli altri soci. Si tratta di deduzioni infondate. Quanto al procedimento di irrogazione della prima sanzione oggetto di impugnativa, l'incaricato del parlamentino del settore procedeva alla redazione della descrizione di non conformità e alla apertura della istruttoria disciplinare, chiedendo chiarimenti al Bl.. All'esito della istruttoria, il parlamentino riteneva che le giustificazioni addotte dal Bl. non lo esimessero da responsabilità e proponeva la sanzione con richiamo scritto, rimettendo gli atti al Consiglio di Amministrazione. Tutto ciò, in conformità del regolamento e dello statuto della Società. Il CdA, effettuate le valutazioni opportune, procedeva alla contestazione formale della sanzione, sulla base della Delib. del 22 luglio 2021. Il Bl., di conseguenza, forniva un riscontro in data 5 agosto 2021 con il quale, non contestando le sue condotte, confermava di aver proceduto al carico degli scolari in assegna dell'accompagnatore. Gli addebiti, dunque, ritenuti dal CdA non giustificabili neppure alla luce di tali chiarimenti, determinavano la sospensione della ditta. Ebbene, anche la giurisprudenza di Cassazione, con numerose pronunce, ha disposto la necessità di garantire la presenza dell'accompagnatore, accanto all'autista, a tutela della incolumità dei minori trasportati e, più in generale, a tutela della conformità ai canoni di prudenza e diligenza. Nelle pronunce, che pienamente si condividono, si attesta l'esistenza di un bene primario da tutelare, rappresentato dalla sicurezza e dalla incolumità dei soggetti, minori d'età, destinatari dei servizi. La condotta del socio, dunque, veniva inequivocabilmente posta in essere in contrasto alle disposizioni statutarie della società e in violazione di detti principi, volti a prestare una garanzia ad un bene di primaria importanza riconosciuto dall'ordinamento. Venendo alla seconda delibera, si contestava al Bl. l'omesso controllo del green pass dei passeggeri, l'omesso utilizzo della mascherina e l'atteggiamento irrisorio dell'autista nei confronti di una passeggera. C. adottava la medesima procedura di contestazione: segnalazione di non conformità al socio, richiesta di chiarimenti e riscontro del socio. Ritenute anche qui non esimenti da responsabilità le giustificazioni addotte dal socio, il parlamentino di settore formulava il proprio parere e la proposta sanzionatoria, rimettendo al CdA che, nel corso dell'assemblea del 15 novembre 2021, esaminava la posizione e contestava al socio le violazioni, concedendo ulteriore termine per precisazioni. Il Bl. minimizzava, tramite riscontro, gli atteggiamenti irrisori, tuttavia senza smentire alcun fatto contestato. Il CdA concludeva, quindi, per la irrogazione della sanzione. Si osserva la piena tutela e conformità al principio del contradditorio. A norma di statuto e regolamento della Società, il Bl., una volta ricevute le contestazioni, ha comunque potuto far valere le proprie ragioni, intervenendo a tutela del suo diritto di difesa e potendo fornire i dovuti chiarimenti e le più opportune spiegazioni circa l'accaduto. Si osserva che il Bl. non ha smentito o presentato una versione differenti dei fatti, quanto piuttosto ha minimizzato e sottovalutato le proprie condotte, omissive e commissive, sottraendosi alla ordinaria diligenza. Le sanzioni venivano assunte a seguito di idonea istruttoria da parte del parlamentino di settore, il quale rimetteva gli atti al Consiglio di Amministrazione, che a sua volta procedeva alla formale contestazione dell'infrazione al socio concedendo, a tutela del più ampio e pieno contraddittorio, ulteriori dieci giorni per la presentazione di eventuali deduzioni e ragioni giustificative. Il principio del contraddittorio veniva quindi pienamente rispettato, nonostante la doglianza di parte attrice circa una sua presunta violazione. Per quanto esposto, le procedure relative alla assunzione delle delibere concernenti le contestazioni e le sanzioni di seguito irrogate che hanno condotto alla sospensione temporanea della ditta dal servizio, si ritengono pienamente legittime e adeguate in ragione della negligenza ripetutamente dimostrata dal socio nelle prestazioni lavorative. La condotta imperita e la costante mancata conformazione della ditta alle statuizioni e ai regolamenti, in spregio alle norme di correttezza e poste a tutela di un bene superiore, non fanno che ribadire la adeguatezza e la proporzionalità delle sanzioni irrogate. Parte attrice, oltretutto, asserendo la gravosità e la sproporzionalità delle sanzioni ricevute, avrebbe quantomeno dovuto individuare casi identici di altri soci ai quali non fosse stata irrogata la medesima sanzione, tuttavia nulla ha allegato a riguardo. III. Sulle prove testimoniali e la declaratoria di nullità e annullabilità delle delibere impugnate. Dalle prove testimoniali assunte nel corso del procedimento e concernenti il primo fatto oggetto di contestazione, si evince che l'accompagnatore non era presente nel corso dei trasporti. L'accompagnatore, il Z., confermava infatti la propria assenza. Sentito in qualità di teste l'autista, D.B., anch'egli, allo stesso modo, confermava di aver proceduto al carico degli scolari in assenza dell'accompagnatore, seppur con l'autorizzazione da parte dei genitori dei minori. Veniva altresì sentito Ro.Bl., il quale asseriva che saltuariamente, anche in passato, era accaduto di effettuare i trasporti senza la presenza dell'accompagnatore e, che soltanto in questo caso isolato, Co. decideva di sanzionare la ditta per l'omissione. I fatti non venivano contestati, dunque gli addebiti non sono stati modificati. Pertanto, ferma la condotta imprudente, la ditta ha effettivamente violato i regolamenti della società, non potendo il mero "consenso" dei genitori configurare una giustificazione. Quanto al secondo fatto oggetto di contestazione, venivano assunte ulteriori testimonianze. Veniva sentito C.M.B., ex dipendente della ditta, il quale asseriva di aver proceduto al controllo del green pass, confermando tuttavia il mancato controllo dello stesso ad una passeggera, la stessa da cui provenivano le lamentele oggi oggetto di contestazione. Dalle altre testimonianze assunte, si evince che la ditta, nonostante avesse sempre ottemperato al controllo dei green pass a mezzo dei propri autisti, talvolta avesse ricevuto delle ammonizioni da parte dei clienti (passeggeri) per l'uso non corretto dei dispositivi di protezione obbligatori in epoca pandemica. G.O., legale rappresentante della Co., riportava altresì nel corso del libero interrogatorio le lamentele dei clienti e la venialità con cui venivano interpretate da parte degli autisti. Il Bl. concludeva adducendo che anche altri soci avrebbero assunto le stesse condotte senza tuttavia essere sanzionati; ma, sul punto, nulla ha allegato. Considerando le testimonianze in oggetto e, alla luce del sistema delle invalidità del nostro ordinamento, si osserva che i fatti, non contestati nel merito, determinano la piena legittimità delle delibere assunte. Difatti, nella vita societaria le delibere assembleari sono il mezzo tramite il quale si forma la volontà sociale della maggioranza. In merito alle ipotesi di invalidità, le delibere assembleari riproducono il sistema generale della invalidità negoziale dei contratti, prevedendo le due fattispecie della nullità e della annullabilità creando, di contro, un sistema speciale e autonomo. Nel dettaglio, la nullità è comminata nella ipotesi in cui l'oggetto sia illecito o impossibile, in caso di contrarietà alle norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume, nonché nelle ipotesi di decisioni deliberate in assoluta mancanza di informazione, ovvero per quelle modificative dell'oggetto sociale e concernenti attività illecite o impossibili. La ratio della disciplina in tema di nullità delle delibere assembleari è dunque quella di tutelare lo svolgimento dell'attività sociale. In primis, quanto alla illiceità dell'oggetto, la nullità ricorre soltanto in caso di contrasto con norme dettate a tutela di un interesse generale e che trascende quello del singolo socio. La deliberazione, in altre parole, deve essere diretta a imprimere una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario. Tuttavia, nel caso che ci occupa, le delibere assembleari non possono essere ricondotte nell'alveo delle ipotesi sopra menzionate. Le deliberazioni della Co., dall'oggetto lecito e possibile, non rilevano alcuna contrarietà alle norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Ancora, risultano essere state assunte a seguito di adeguata informazione del socio interessato e non concernono la modifica dell'oggetto sociale o, ancora, attività illecite o impossibili. Per quanto esposto, deve essere quindi rigettata la domanda di declaratoria di nullità di dette delibere. Parte attrice domandava che fosse altresì dichiarata la annullabilità delle delibere assembleari in oggetto. In generale, sono annullabili le delibere non prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo della società. Se, da un lato, le nullità sono previste tassativamente dal legislatore, le ipotesi di annullabilità hanno oggetto più vario, comprendendo i vizi riguardanti la formazione dell'atto, la violazione delle norme che regolano il procedimento assembleare o, ancora, i vizi del contenuto della delibera. Relativamente ai vizi riguardanti il contenuto della delibera, sono annullabili le delibere il cui contenuto contrasta con norme di legge o dell'atto costitutivo, poste a tutela di interessi disponibili. L'annullabilità, dunque, rappresenta un rimedio duttile che si presta a svolgere funzioni diverse e a tutelare sia l'interesse dei soci, sia quello della società o, più in generale, quello pubblico. Per tale sua multifunzionalità, la sanzione della annullabilità non risponde sempre alla medesima ratio, ma ha, di volta in volta, fondamenti diversi. Le delibere in oggetto, per quanto sopra esaminato relativamente alle doglianze di cui ai punti I-II, non si prestano, per le modalità di assunzione e i criteri adottati, a possibili declaratorie di nullità o annullamento, risultando pienamente legittime ed efficaci. La domanda va quindi rigettata. In sintesi: - Non vi sono nemmeno indizi di una "persecuzione" di Co. contro il signor B.; anzi, è questi che ha, in modo non occasionale, contravvenuto a disposizioni della società; - La procedura è stata regolare, con pieno contraddittorio; - Tali i profili procedimentali, comuni ad entrambe le deliberazioni; nel merito, non vi è dubbio che il Bl. abbia condotto i fanciulli senza accompagnatore, fatto già in sé grave e potenzialmente foriero di richieste di danni; anche il mancato rispetto delle precauzioni anti COVID - rispetto ai quali vi è doglianza di terzi - è profilo che nuoce quanto meno al profilo reputazionale di Co. verso tali terzi; oltre al pericolo per la salute. IV. Sulla richiesta di risarcimento del danno. In secondo luogo, parte attrice chiedeva il risarcimento del danno subito a causa dei provvedimenti inibitori di sospensione dai servizi. Questa doglianza viene assorbita dal punto III, relativo al rigetto della domanda di declaratoria di nullità e annullabilità delle delibere. Essendo attività, le delibere, compiute iure, non è possibile liquidare alcun danno. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. RIGETTA la domanda di declaratoria di nullità ovvero di annullabilità delle delibere assembleari di cui alla citazione. 2. CONDANNA la parte attrice soccombente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla parte convenuta, spese di lite che si liquidano, assumendo il valore di cui alla nota di iscrizione a ruolo, in: Euro 5.100,00 per compensi; inoltre, spese generali pari al quindici per cento della somma che precede e anticipazioni. Infine, IVA e Cassa professionale su compensi e spese generali come per legge. Così deciso in Bologna il 12 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. VILLONI Orland - rel. Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), n. (OMISSIS); (OMISSIS), n. (OMISSIS); avverso la sentenza n. 1976/22 del G.i.p. Tribunale di Velletri del 28/09/2022; letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere Orlando Villoni; letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Francesca Romana Pirrelli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Velletri, in accoglimento delle rispettive richieste concordate con il Pubblico Ministero, ha applicato nei confronti di (OMISSIS) la pena principale di cinque anni di reclusione e quelle accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacita' di contrattare con la Pubblica Amministrazione per la stessa durata in ordine a plurimi episodi di corruzione (articoli 319, 320 e 321 c.p.), peculato (articoli 81 cpv. e 314 c.p.) e falso (articoli 110, 479 e 493 c.p.) nonche' la pena, condizionalmente sospesa, di cinque mesi e dieci giorni di reclusione nei confronti di (OMISSIS) in ordine al delitto di cui agli articoli 110, 479 e 493 c.p. commesso in concorso con il primo (fattispecie di simulazione da parte di medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale dell'inoculazione di dose vaccinale contro il SARS CoV-2 al fine di far conseguire al privato, dietro indebita remunerazione, la certificazione di avvenuta vaccinazione). 2. Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione i suddetti imputati, deducendo i motivi di seguito riassuntivamente esposti. 3. (OMISSIS). 3.1. Contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione svolta ai fini della irrogazione della pena accessoria di cui all'articolo 317-bis c.p., comma 2. Con la sentenza impugnata e' stata inflitta al ricorrente la pena accessoria di cui all'articolo 317-bis c.p., comma 2, per il periodo di cinque anni, nonostante la possibilita' di irrogarla da un minimo di un anno fino alla misura massima di cinque. La durata deve essere fissata discrezionalmente dal giudice facendo riferimento ai parametri di cui all'articolo 133 c.p.. Ebbene nel caso in esame il giudicante ha omesso di procedere ad una valutazione complessiva della fattispecie, tenendo conto solo della gravita' del reato e non anche di altri elementi, quali la resa di dichiarazioni ampiamente confessorie da parte dell'imputato nonche' la piena collaborazione con gli organi inquirenti. 3.2. Erronea applicazione dell'articolo 81 cpv. c.p. nell'applicazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione rispetto al reato assunto come piu' grave. 4. (OMISSIS). Violazione dell'articolo 448 c.p., comma 2-bis, in ordine alla circostanza che il fatto descritto in imputazione e relativo al concorso del privato nel rilascio di una falsa certificazione verde (c.d. Green Pass) e' stato erroneamente sussunto nel delitto di concorso in falso ideologico in atto pubblico in luogo della corretta qualificazione giuridica di concorso in falsita' ideologica in certificato, punibile ai sensi dell'articolo 481 c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato e deve essere rigettato. Premessa l'astratta ammissibilita' del primo motivo di doglianza, in quanto concernente un punto della decisione estraneo al patto convenuto tra le parti e ratificato dal giudice (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348), va rilevato che nell'applicare la pena accessoria nel massimo edittale, il giudice ha ritenuto di privilegiare il parametro della gravita' del reato (articolo 133 c.p., comma 1) ritenendolo prevalente rispetto al profilo della capacita' a delinquere del colpevole (comma 2), in particolare omettendo, secondo la censura difensiva, di considerarne la condotta collaborativa e la confessione. Secondo il ricorrente tale valutazione si porrebbe in contrasto con quella, di carattere maggiormente esauriente, postulata da due precedenti di questa Corte di legittimita' (Sez. 6, n. 19108 del 16/02/2021, F., Rv. 281560 e Sez. 6 n. 16508 del 27/05/2020 non mass.) In realta' sono numerosi anche gli arresti interpretativi che ritengono sufficiente, ai fini dell'esercizio del potere discrezionale del giudice di determinare il trattamento sanzionatorio, il mero richiamo ad uno dei vari parametri di cui all'articolo 133 c.p.. Nel caso di specie il giudice ha ritenuto di dare risalto alla "serieta' e pervicacia della condotta violativa", nel senso che il ricorrente ha fatto piu' volte mercimonio della sua funzione pubblica per consentire ai privati il conseguimento della cd. certificazione verde (Green Pass) vaccinale e tanto appare bastevole ai fini della valutazione di competenza. E' sufficiente, infatti, che il giudicante dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli di segno opposto (tra molte v. Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019 Defilippi, Rv. 279181 in tema di bilanciamento di circostanze) per non incorrere nel denunciato vizio di motivazione. Risulta, invece, inammissibile il secondo motivo di ricorso concernente la pretesa violazione dell'articolo 81 c.p. in tema di determinazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione, in quanto precluso dall'articolo 448 c.p., comma 2-bis. 2. L'unico motivo di impugnazione formulato dalla ricorrente (OMISSIS), anch'esso in astratto ammissibile, risulta, pero', manifestamente infondato, alla luce della ormai costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione sedimentatasi sullo argomento. E' stato, infatti, ripetutamente affermato il principio secondo cui in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilita' di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, l'erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza e' limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilita', palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, PG c. Paolino, Rv. 281116) ovvero nei casi in cui sussiste l'eventualita' che l'accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865), con conseguente inammissibilita' dell'impugnazione che denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla con (OMISSIS)zione (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, PG c Cari, Rv. 279842). Non v'e' evidentemente motivo di discostarsi da tali coordinate ermeneutiche nel caso adesso in esame, in cui la diversa qualificazione giuridica proposta rispetto a quella affidata alla con (OMISSIS)zione e su cui si e' consolidato l'accordo sulla pena, concerne pur sempre una ipotesi di falsita' ideologica, circostanziata unicamente dal fatto di manifestarsi in un atto avente la preminente funzione di certificazione. 3. Al rigetto dell'impugnazione di (OMISSIS) segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; alla dichiarazione di inammissibilita' di quella proposta da (OMISSIS) seguono condanna alle spese ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si reputa equo liquidare nella misura di tremila Euro. P.Q.M. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA Sezione Penale in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Maria Ausilia Sabatino, all'udienza del 29 marzo 2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo e dei contestuali motivi, la seguente SENTENZA nei confronti di (...), nato a S. (B.) in data (...), residente e domiciliato ex art. 161 c.p.p. (come da verbale in atti del 19.11.2021) in P. (N.) alla via S. n. 7. Libero - già dichiarato assente Difeso di fiducia dall'Avv. An.Nu. del Foro di Nola (come da nomina in atti del 19.11.2021). IMPUTATO in ordine: al reato p. e p. dall'art. 256 comma 1 lettera a e comma 2 D.Lgs. n. 152 del 2006 perché, in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale con sede in P. alla via (...), depositava in modo incontrollato, all'interno di un locale della sopranominata ditta, rifiuti non pericolosi (scarti di tessuti) in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione prevista. Condotta in particolare consistita: - Nell'abbandonare e depositare in modo incontrollato, in una stanza di mt. 3X10, i rifiuti suddetti contenuti in n. 71 socchi neri del peso cadauno di Kg,50 per un totale di Kg. 3.550,00. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 14 luglio 2022 Emissione del decreto di citazione diretta, con il quale l'imputato è stato tratto a giudizio per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica. 16 novembre 2022 Preliminarmente il Tribunale, constatata la regolarità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio all'imputato, regolarmente citato e non comparso, ne ha dichiarato l'assenza. Quindi il difensore dell'imputato, regolarmente munito di procura speciale a tal fine, ha formulato istanza di definizione del processo nelle forme del rito abbreviato condizionato all'acquisizione di produzione documentale, riservandosi di produrre tale documentazione debitamente elencata alla successiva udienza. Il Tribunale, nulla osservando il P.M., in accoglimento della richiesta difensiva, ha disposto procedersi nelle forme del rito premiale prescelto dall'imputato, ha acquisito il fascicolo del PM ed ha rinviato il processo per consentire alla difesa di produrre i documenti posti a condizione della richiesta di rito alternativo. 29 marzo 2023 All'odierna udienza la Difesa ha prodotto la documentazione anticipata, e segnatamente: - contratto di appalto prelievo e smaltimento rifiuti 2018, 2019 e 2021: - registro carico scarico prot. (...) + pagamento bollettino con data certa: - ft antecedenti il sopralluogo per lo smaltimento rifiuti in fibre tessili. Il Tribunale, all'esito, ha invitato le parti a formulare le rispettive conclusioni, come in epigrafe riportate, sulle quali si è ritirato in camera di consiglio, decidendo all'esito come da dispositivo e contestuali motivi letti e pubblicati in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze istruttorie in atti non consentono di ritenere dimostrata la prospettazione accusatoria nei confronti dell'odierno imputato, il quale deve essere mandato assolto, perché il fatto non sussiste. Dagli atti d'indagine legittimamente utilizzabili ai fini della decisione alla luce del rito premiale prescelto dall'imputato (in particolare dalla c.n.r. prot. n. (...) del 20.11.2021 redatta dai militari del Nucleo Operativo, Sezione Operativa - 2a Squadra del gruppo di Torre Annunziata), nonché dalle emergenze documentali acquisite e sopra riportate, il fatto storico oggetto del presente procedimento può essere così ricostruito. In data 19 novembre 2021, i militari della Guardia di Finanza del gruppo di Torre Annunziata, nell'ambito di un servizio di controllo finalizzato alla ricerca e repressione delle violazioni in materia di lavoro sommerso, sicurezza sui posti di lavoro e corretto trattamento dei rifiuti di lavoro, effettuavano un accesso presso i locali della ditta individuale (...), siti in P. alla via G. I. n. 492. All'atto dell'accesso i militari operanti constatavano che vi erano n. 11 lavoratori extracomunitari, tutti in possesso di regolare permesso di soggiorno, regolarmente assunti e muniti di green pass, che espletavano regolarmente la propria attività lavorativa. La ricognizione dei locali dell'opificio permetteva, inoltre, di accertare che nello stesso si stava svolgendo il confezionamento di abiti, alcuni dei quali già ultimati e pronti per l'immissione in commercio, altri in fase di lavorazione. In una parte attigua rispetto all'opificio, in una stanza di mt. 3x10, separata da una vetrata e da una porta in allumino, veniva tuttavia accertato che erano stati collocati rifiuti (scarti di tessuti) contenuti in n. 71 sacchi neri dal peso cadauno di circa 50 kg., per un totale di kg. 3.550,00. L'imputato, a fronte della specifica richiesta degli operanti, non era in grado di esibire i documenti la cui tenuta è obbligatoria ai sensi della normativa vigente, in particolare: 1) registro carico e scarico rifiuti; 2) regolare contratto di appalto di prelievo, smaltimento e recupero rifiuti stipulato con ditta specializzata (quello esibito risultava scaduto da oltre un anno, essendo stato stipulato in data 08.10.2019 e scaduto in data 07.10.2020); 3) recenti fatture e/o certificato CER afferenti al regolare smaltimento dei rifiuti effettuato nell'ultimo periodo (l'ultima fattura relativa al prelievo di rifiuti risaliva al 19.09.2020). In ragione di quanto emerso nel corso dell'accesso, i militari operanti procedevano al sequestro del locale e dei rifiuti tessili ivi rinvenuti, nominando l'imputato custode giudiziario degli stessi. Tanto premesso in punto di fatto, le risultanze dell'istruttoria dibattimentale non consentono di ritenere certamente dimostrata la realizzazione da parte dell'imputato di una condotta riconducibile alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 256 del T.U. Ambiente. In punto di diritto si osserva che in tema di gestione dei rifiuti, il reato cui all'art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, pur avendo in comune con l'illecito amministrativo previsto dall'art. 255, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 152 del 2006 le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti. (Cfr. Cass., pen., sez. III, 23.1.2020, n. 15324, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna del legale rappresentante di una società di demolizione che aveva collocato materiale qualificabile come rifiuti in un'area adiacente al capannone adibito a luogo di rottamazione). Tale differente incriminazione si giustifica in virtù del qualificato ruolo di responsabilità nella gestione dei rifiuti connesso alla loro attività, essendo invece prevista per i soggetti comuni la sola sanzione amministrativa ex art. 255, D.Lgs. n. 152 del 2006. (Cfr. Cass., pen., sez. III, 12.6.2008, n. 37282). Invero, l'illecito di cui al comma 2 dell'art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006 risulta strutturato come reato proprio e rappresenta il completamento ideale della fattispecie sanzionata in via amministrativa dall'art. 255 comma 1, il cui spettro applicativo abbraccia, invece, tutte le ipotesi in cui le medesime condotte delineate dal citato art. 256, comma 2, siano poste in essere da un qualunque soggetto privato. È evidente, quindi, che le peculiari qualifiche soggettive (art. 256 comma 2) rivestano nell'ambito della fattispecie in esame il ruolo di elemento specializzante rispetto alla ipotesi di cui al precedente art. 255 comma 1, che, peraltro, si apre proprio con la clausola di riserva "fatto salvo quanto disposto dall'art. 256, comma 2". Di tal che, qualora la condotta tipizzata sia posta in essere da un soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere, in virtù del principio generale di cui all'art. 9 L. n. 689 del 1981, all'applicazione della norma penale, avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l'illecito amministrativo, infliggendo la sanzione penale alternativa dell'ammenda o dell'arresto, se trattasi di rifiuti non pericolosi, o congiunta se pericolosi. (Cfr. Cass., pen., sez. III, 22.2.2012, n. 11595). Nel caso di specie, la qualifica soggettiva richiesta dalla norma appare sussistente, in quanto l'imputato è risultato essere, sulla scorta del materiale probatorio acquisito, il titolare dell'omonima ditta individuale con sede legale in P. alla via S. n. 7. Ciò posto, giova sottolineare che, in tema di reati ambientali, la contravvenzione di deposito di rifiuti, prevista dal comma 2 dell'art. 256 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura permanente, perché la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dell'art. 183, comma 1, lett. b), del d.lgs. citato, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l'eventuale sequestro; il reato di abbandono incontrollato di rifiuti ha invece natura istantanea con effetti permanenti, in quanto presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce i propri effetti al momento della derelizione. (Cfr. Cass., pen., sez. III, 22.11.2017, n. 6999). Allorché il deposito degli stessi manchi dei requisiti fissati dall'art. 6, lett. m), D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) per essere qualificato quale temporaneo, si realizza a seconda dei casi: a) un abbandono ovvero un deposito incontrollato sanzionato, secondo i casi, dagli artt. 50 e 51, comma 2, del citato D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora sostituiti dagli artt. 255 e 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006); b) un deposito preliminare, necessitante della prescritta autorizzazione in quanto configura una forma di gestione dei rifiuti; c) una messa in riserva in attesa di recupero, anch'essa soggetta ad autorizzazione quale forma di gestione dei rifiuti. Per le ultime due ipotesi la mancanza di autorizzazione è sanzionata ex art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006). (Cfr. Cass., pen., sez. III, 11.10.2006, n. 39544). In particolare, per quanto concerne l'ipotesi di cui alla lettera c), il reato di deposito incontrollato è integrato anche dalla violazione della normativa regolamentare sulla "messa in riserva" (D.M. 5 febbraio 1998, modificato dal D.M. 5 aprile 2006, n. 186), attesa l'esigenza di conservare separatamente i rifiuti dalle materie prime e dal prodotto finito. (Cfr. Cass. pen., sez. III, 29.1.2009, n. 9851, fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti plastici, in parte ammassati all'interno di locali ed in parte esposti agli agenti atmosferici, stoccati unitamente a materiale semilavorato ed a prodotti finiti della lavorazione). Orbene, pacifica la natura di "rifiuto non pericoloso" dei materiali rinvenuti, trattandosi di scarti provenienti dalla lavorazione di tessuti, occorre inquadrare la fattispecie in una delle tre categorie previste in tema di deposito di rifiuti: deposito temporaneo, deposito preliminare, deposito incontrollato. La S.C. ha precisato che si ha deposito temporaneo, come tale lecito, quando i rifiuti sono raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel luogo della loro produzione; si ha deposito preliminare o stoccaggio, che richiede l'autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le condizioni previste dall'art. 6 lett. m) D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 183 D.Lgs. n. 152 del 2006) per il deposito temporaneo di rifiuti; si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti, quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti, e fuori della sfera di controllo del produttore: tale ultima condotta è sanzionata penalmente, se posta in essere da soggetti titolari di impresa o da responsabili di enti, mentre è sanzionata in via amministrativa, quando sia effettuata da persone fisiche diverse da quelle precedentemente indicate. (Cass. Sez. F, n. 33791 del 21/08/2007 - dep. 03/09/2007, Cosenza e altri, Rv. 237585). In applicazione dei criteri suesposti, nella fattispecie in parola deve ritenersi configurata un'ipotesi di deposito temporaneo. Il deposito temporaneo, infatti, descritto dall'art. 183, lett. bb), D.Lgs. n. 152 del 2006, è il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo i cui gli stessi sono prodotti, non può riguardare rifiuti prodotti da terzi ma solo propri, deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche. Sono previsti, inoltre, limiti quantitativi (massimo 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi) e temporali (tre mesi ed un anno se la quantità massima annua prodotta non supera il limite quantitativo dei 30 metri cubi) entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. Tali limiti consentono al produttore di scegliere, in alternativa, di contenere il quantitativo di rifiuti entro un certo volume, superato il quale deve recuperarli o smaltirli, oppure di effettuare tali operazioni, indipendentemente dal quantitativo raggiunto, con cadenza trimestrale. In ogni caso, il deposito non può avere durata superiore ad un anno. L'osservanza di tutte le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione. La giustificazione del minor rigore serbato dal legislatore con riguardo al deposito temporaneo deve, infatti, essere individuata nella circostanza che il rispetto dei limiti quantitativi e temporali (nonché delle altre condizioni di legge) garantisce un'adeguata tutela dell'ambiente poiché i rifiuti rimangono comunque nella sfera di controllo del produttore. Dalla disamina delle condizioni richieste dalla legge per il deposito temporaneo emerge che, nella fattispecie in parola, tale speciale disciplina debba trovare applicazione. Difatti, in assenza di elementi ulteriori forniti dalla pubblica accusa, non può ritenersi che nel caso di specie siano stati superati i limiti quantitativi (peraltro più elevati, trattandosi di rifiuti non pericolosi) entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. Nella documentazione in atti, invero, non vi è alcun riferimento al volume dei rifiuti ma solo al loro peso, dato questo irrilevante ai fini dell'applicazione della normativa in questione. Risulta altresì rispettata la condizione del raggruppamento dei rifiuti per categorie omogenee, appartenendo tutti i rifiuti rinvenuti nei locali dell'opificio alla stessa categoria degli scarti di attività tessile; invero, le contestazioni mosse dagli operanti attenevano unicamente al rispetto degli obblighi formali di tenuta della documentazione imposta dal T.U. ambiente Parimenti non può dirsi integrata la violazione dei limiti temporali entro i quali il produttore è tenuto a recuperare o smaltire i rifiuti. Al riguardo, va evidenziato che l'imputato esibiva una fattura relativa al prelievo di rifiuti del 19.09.2020, attestante il pregresso smaltimento di analoghe tipologie di rifiuti, ed un contratto di appalto, prelievo e smaltimento di rifiuti in precedenza stipulato con ditta autorizzata e scaduto in data 07.10.2020. Considerato che l'accesso dei militari avveniva in data 19.11.2021, dunque a distanza temporale di poco più di un anno dal pregresso smaltimento, non può escludersi (anche alla luce del principio del favor rei) che i rifiuti tessili rinvenuti nei locati dell'opificio fossero stati prodotti e depositati esclusivamente nei dodici mesi precedenti al sopralluogo e, dunque, che l'imputato, al momento dell'accertamento, fosse ancora in termini per procedere alle operazioni di recupero o di smaltimento. Del resto, la documentazione prodotta dalla difesa corrobora in pieno tale convincimento, dal momento che include fatture emesse in epoca antecedente e prossima all'accertamento; difesa che, del resto, ha rappresentato in sede di discussione l'esigenza, per gli operatori commerciali, di accorpare previamente una discreta mole di rifiuti prima del trasporto vero e proprio e ritualmente autorizzato: e tanto in ragione di costi e delle tariffe applicati. Tale giustificazione appare plausibile sia rispetto alla situazione di fatto constatata dagli operanti (sacchi ordinatamente disposti in un deposito dell'azienda, contenenti materiati omogenei identificati in scarti da lavorazione tessile) sia rispetto alle prove documentati acquisite, attestanti tutte la gestione dell'attività di impresa condotta dall'imputato nel pieno rispetto della legge. Appare degna di nota, inoltre, la circostanza che il prevenuto, successivamente all'accertamento, abbia proceduto alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti in conformità alla normativa vigente tramite ditta autorizzata ((...) S.r.l., come accertato dai militari della Guardia di Finanza con verbale in atti del 8.04.2022). Da tali risultanze, quindi, è possibile dedurre che i rifiuti in parola integrino un "deposito temporaneo", da intendersi come raggruppamento di rifiuti effettuati nel luogo della loro produzione, prima della raccolta. Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve dunque ritenersi che la condotta posta in essere dall'imputato non possa integrare l'elemento materiale del reato a lui contestato. Pertanto, non è possibile pervenire ad una affermazione della penale responsabilità del prevenuto, che deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste. Va infine disposto il dissequestro dell'area ove la stessa fosse ancora soggetta a vincolo di indisponibilità. P.Q.M. Letti gli artt. 438 e 530, comma 2, c.p.p. assolve (...) dal reato a lui ascritto in rubrica perché il fatto non sussiste. Dispone il dissequestro di quanto ancora eventualmente sottoposto a vincolo di indisponibilità. Motivi contestuali. Così deciso in Torre Annunziata il 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9594 del 2022, proposto da Formez Pa, Commissione Interministeriale Ripam, Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per la funzione pubblica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Consorzio Di., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Da. Li., Fr. Sb., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Da. Li. in Roma, via (...); Dr. s.r.l., non costituita in giudizio; Fi. Ro. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Fr., Ca. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Er. s.p.a. e Me. s.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, rappresentate e difese dagli avvocati An. Cl., Do. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 14938/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio Di., della Fi. Ro. s.r.l., di Er. s.p.a. e di Me. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Sb., Gr., l'avvocato dello Stato Ad., e Ca. per delega di Fr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto il ricorso proposto dalle società Er. s.p.a. e Me. s.r.l. contro Formez PA - Centro Servizi, Assistenza, Studi e Formazione per l'Ammodernamento delle p.a. e Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e nei confronti del Consorzio Di., per l'annullamento del bando di gara pubblicato sulla GUUE il 6 luglio 2022 e sulla GURI n. 79 dell'8 luglio 2022, con cui Formez PA ha indetto una procedura aperta per l'affidamento del servizio integrato (global service) per l'organizzazione di concorsi pubblici da espletare sul territorio nazionale, nonché per l'annullamento di tutti gli atti di gara e in particolare del disciplinare di gara e del capitolato tecnico e, ancora, del protocollo del 15 aprile 2021 del Dipartimento della funzione pubblica, oltre che dell'aggiudicazione al Consorzio Di. e degli atti precedenti e successivi, tra cui le comunicazioni di esecuzione anticipata e la comunicazione di conclusione delle verifiche di legge. 1.1. Il tribunale ha respinto l'eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica. 1.2. Nel Me., ha dato atto che col primo motivo di ricorso (rubricato: Violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione; degli artt. 29, 30, 32, 63, 72, 76, 79 e 83 del d.lgs. 50/2016; del nuovo Protocollo per lo svolgimento di concorsi pubblici di cui all'ordinanza del 20.5.2022 del Ministero della salute; degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990; del d.lgs. 33/2013; del principio di libera concorrenza e di massima partecipazione, trasparenza, proporzionalità, par condicio e non discriminazione; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e violazione del principio di proporzionalità, irragionevolezza, difetto d'istruttoria e di motivazione, travisamento, sviamento, ingiustizia manifesta) le ricorrenti avevano lamentato che la disciplina di gara sarebbe stata preordinata a risolversi in favore dell'unico soggetto che si sarebbe potuto aggiudicare la procedura così come congegnata dal Formez, in quanto impostata su requisiti di partecipazione del tutto sproporzionati e inconferenti rispetto alle prestazioni oggetto dell'appalto e non previsti "così dettagliatamente e specificatamente da alcuna normativa vigente (neppure da quella anticontagio COVID), anzi in contrasto con la stessa normativa anticovid e, precisamente, con il nuovo Protocollo per lo svolgimento di concorsi pubblici di cui all'Ordinanza 20 maggio 2022 del Ministero della salute". 1.2.1. Decidendo sul detto motivo, nonché sui motivi aggiunti correlati, il tribunale ha premesso che le ricorrenti avevano puntualmente indicato quelli tra i requisiti di partecipazione che, a loro avviso, avrebbero determinato "per un verso, l'impossibilità di presentare un'offerta" e, per altro verso, "l'effetto di individuare quale aggiudicatario il Consorzio controinteressato (com'è, peraltro, avvenuto a fronte della ricezione di un'unica offerta)". 1.2.2. I requisiti oggetto di contestazione erano quelli richiesti dal capitolato tecnico al punto 1.1. nn. 2, 5 e 6, in cui si era previsto che "I comprensori immobiliari destinati a sede concorsuale (o aree concorsuali) dovranno, oltre che assicurare l'integrale applicazione di tutte le iniziative e delle misure necessarie ai sensi della normativa in tema di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, avere i seguenti requisiti: (...) 2. Essere ubicati fuori dai centri urbani; (...) 5. una superficie complessiva adeguata al numero di candidati convocati per ogni regione; lo svolgimento delle prove avverrà in aule concorsuali attigue tra loro e poste in un unico piano fuori terra e, altresì, collegate tra loro e con adeguata areazione naturale (compatibilmente con le condizioni climatiche esterne); 6. altezza minima delle aule concorsuali non inferiore a 6 metri". Detti requisiti trovavano corrispondenza, secondo le ricorrenti, in quella che indicavano come appendice tecnica di un "protocollo" del 15 aprile 2021, contestualmente impugnato. 1.3. Tenuto conto delle previsioni del disciplinare di gara e del punto 1.1. del capitolato tecnico riportate in sentenza, il tribunale ha ritenuto "l'assenza di vincolatività dei 'requisiti delle aree concorsualà previsti nell'appendice del Protocollo del 15.4.2021". Ha quindi affermato che il "protocollo" che l'amministrazione ha reputato vincolante costituiva una direttiva tecnica che la stessa amministrazione aveva riformato mediante l'adozione del "nuovo" Protocollo di cui all'ordinanza del Ministro della salute del 25 maggio 2022, mancante delle specificazioni dei requisiti dimensionali che, in definitiva, avevano precluso la partecipazione delle ricorrenti. Di qui la condivisione dell'assunto di queste ultime in Me. all'assoluto difetto di istruttoria e di motivazione sull'individuazione "di questi nuovi criteri arbitrari non individuati dal CTS, ma spontaneamente dal Dipartimento della Funzione pubblica e dal Formez (come palesa l'illegittimo e impugnato Protocollo interno del 15 aprile 2021) senza dare alcuna evidenza scientifica o di altro tipo circa la loro impellente necessità e infungibilità " (come detto in sentenza, riportando la censura di cui al ricorso introduttivo). 1.4. Il tribunale ha perciò annullato l'aggiudicazione disposta in data 13 settembre 2022. Non è stata invece accolta la domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato con il Consorzio Di., in considerazione dell'interesse correlato alla necessità di espletare le procedure concorsuali già programmate (come dimostrato dallo stato di esecuzione dell'affidamento), nonché dell'impossibilità delle ricorrenti di conseguire l'aggiudicazione, non avendo presentato domanda di partecipazione. 1.4.1. I restanti motivi del ricorso introduttivo e i motivi aggiunti di cui al ricorso depositato il 7 ottobre 2022 sono rimasti sostanzialmente assorbiti; i motivi aggiunti di cui al ricorso depositato il 27 ottobre 2022 sono stati dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse. 1.4.2. Le spese processuali sono state compensate per la complessità delle questioni esaminate. 2. Il Formez PA e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica hanno proposto appello con tre motivi. Il Consorzio Di. e la Fi. Ro. s.r.l. si sono costituiti prestando adesione all'appello. Il Consorzio ha riproposto, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., le difese e le eccezioni non esaminate in sentenza. La Fi. Ro. ha precisato di essersi tardivamente costituita in primo grado, dopo che la causa era stata riservata per la decisione con sentenza in forma semplificata all'esito dell'udienza camerale, poiché non era a conoscenza di tale riserva di decisione. Le società ricorrenti in primo grado, Er. e Me., si sono costituite per resistere all'appello ed hanno riproposto con la memoria di costituzione notificata i motivi assorbiti e quelli dichiarati improcedibili in primo grado, sia ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., sia, ove ritenuto necessario, con appello incidentale. 2.1. All'udienza del 2 marzo 2023 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memoria delle società appellate Er. e Me. (con la quale hanno proposto eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse e per difetto di specificità dell'impugnazione) e di memorie di replica degli appellanti Formez e Presidenza del Consiglio - DFP. Il Consorzio Di. e la Fi. Ro. hanno depositato, a loro volta, memorie e repliche. 3. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità dell'appello. 3.1. Con la prima si deduce la carenza di interesse al gravame perché dalla documentazione versata in atti dall'amministrazione si evince che questa ha redatto ed indetto una nuova procedura di gara che "ha tenuto conto dei principi prescritti dal TAR" e che si è conclusa in pendenza del presente appello. Pertanto, non avendo tempestivamente impugnato la sentenza e non avendone chiesto la sospensione dell'esecutività, ma avendo anzi indetto tale nuova procedura di gara, l'amministrazione avrebbe mostrato "acquiescenza" alla decisione di primo grado. 3.1.1. L'eccezione è infondata. La Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica ed il Formez PA non avevano interesse a richiedere in via cautelare la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado, considerato il rigetto della domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, che ha consentito l'esecuzione completa del servizio oggetto dell'affidamento. Di qui anche, contrariamente a quanto assumono le società appellate, la totale carenza di interesse all'impugnazione in capo al Consorzio Di., che ha regolarmente eseguito l'appalto oggetto di gara. La pubblicazione di una nuova procedura di affidamento da parte di Formez non attiene infatti alla rinnovazione della procedura oggetto del presente giudizio, ma ad altra analoga, relativa all'organizzazione di altri concorsi pubblici nell'anno 2023. Il dato di fatto è sufficiente ad escludere che si possa configurare la denunciata "acquiescenza" dell'amministrazione alle statuizioni della sentenza di primo grado. L'appello è volto a sostenere la legittimità dell'azione amministrativa nell'indizione della procedura di gara contestata dalle ricorrenti ed è in re ipsa l'interesse all'impugnazione della sentenza favorevole a queste ultime, se non altro al fine di scongiurarne l'azione risarcitoria. 3.2. Con la seconda eccezione si deduce la mancata specifica impugnazione di tutti i capi della sentenza, con conseguente genericità dell'impugnazione e violazione degli artt. 101 e 40 c.p.a. In particolare, secondo le società ricorrenti in primo grado, sarebbe mancata la critica specifica dell'affermazione del tribunale in punto di difetto di istruttoria e di motivazione sui requisiti di partecipazione contestati. 3.2.1. L'eccezione è infondata. La lettura del ricorso in appello non lascia alcun margine di dubbio sulla critica rivolta a tutti i punti e capi della decisione impugnata. In particolare, il secondo e il terzo motivo d'appello attengono proprio alla netta, ma sintetica, affermazione del primo giudice di accoglimento della censura delle ricorrenti di carenza di istruttoria e di motivazione in ordine ai requisiti di partecipazione contestati. Per come si dirà nel prosieguo, gli appellanti hanno svolto ampie argomentazioni volte a censurare la ratio decidendi della sentenza appellata, esclusivamente basata sull'asserito contrasto tra il capitolato tecnico e l'ordinanza ministeriale del 25 maggio 2022. Ogni altra deduzione di parte appellata - in specie riguardo alla mancata dimostrazione da parte appellante di un'effettiva attività istruttoria propedeutica all'individuazione delle specifiche tecniche e riguardo alla mancanza di motivazione in ordine alla ragionevolezza e congruità delle specifiche imposte dalla legge di gara - attiene al Me. della controversia ed è estranea alla previsione dell'art. 101, comma 1, c.p.a.. 3.3. Pertanto l'appello è ammissibile, dovendo essere respinte le eccezioni sollevate dalle società appellate. 4. Col primo motivo di gravame si censura la sentenza nella parte in cui ha giudicato illegittima la scelta delle amministrazioni di indicare negli atti di gara come "requisiti delle aree concorsuali" i medesimi requisiti di cui al "protocollo interno" del 15 aprile 2021 (quali riportati nell'appendice tecnica), poiché il tribunale ha ritenuto che tale "protocollo" fosse stato sostituito dal "nuovo" Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici, emanato dal Ministro della salute, con ordinanza del 25 maggio 2022, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 126 del 31 maggio 2022, e che l'entrata in vigore dell'ordinanza avrebbe privato di "vincolatività " quanto previsto nell'appendice al "protocollo" del 15 aprile 2021. Gli appellanti sostengono che la statuizione è il risultato di un errore logico-sistematico in relazione alla natura, titolarità e portata degli atti citati in sentenza. Il motivo è fondato. 4.1. Il contenuto e la successione degli atti rilevanti ai fini della decisione vanno ricostruiti come segue. 4.1.1. A causa della nota emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del virus COVID-19, con D.P.C.M. 14 gennaio 2021, art. 1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale), comma 10, lett. z) era sospeso lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche, con eccezione di quelle ivi indicate, con la precisazione che le prove selettive dei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni si sarebbero potute tenere "previa adozione di protocolli adottati dal Dipartimento della funzione pubblica e validati dal Comitato tecnico-scientifico di cui all'articolo 2 dell'ordinanza 3 febbraio 2020, n. 630 del Capo del Dipartimento della Protezione civile". Ai sensi di tale disposizione, era adottato un protocollo del Dipartimento della funzione pubblica del 3 febbraio 2021, validato dal Comitato tecnico scientifico (CTS). In seguito, con decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, successivamente convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, all'articolo 10, comma 9, veniva disposto che dal 3 maggio 2021 era consentito lo svolgimento delle procedure selettive "in presenza" dei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni nel rispetto di linee guida validate dal Comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni. Risulta dagli atti che, in attuazione di tale previsione del decreto legge, all'epoca in corso di conversione, nonché tenendo conto dei Protocolli già emanati in forza dei precedenti D.P.C.M.: - con nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica prot. DFP 0025239-P del 15 aprile 2021, rivolta a tutte le amministrazioni pubbliche, era diffuso il Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici, esaminato e validato dal Comitato tecnico scientifico nella seduta del 29 marzo 2021, recante la disciplina delle "modalità di organizzazione e gestione delle prove selettive delle procedure concorsuali pubbliche tali da consentirne lo svolgimento in presenza in condizioni di sicurezza rispetto al rischio di contagio da COVID-19", con l'obiettivo di "fornire indicazioni volte alla prevenzione e protezione dal rischio di contagio da COVID-19 nell'organizzazione e la gestione delle prove dei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni"; - in pari data (15 aprile 2021), era diffuso un altro atto dello stesso Dipartimento della funzione pubblica (prot. DFP 0025080-P), avente come unico destinatario il Formez, recante, in "appendice", le specifiche tecniche elaborate dai competenti uffici del Dipartimento, che avrebbero dovuto essere previste negli atti di gara per l'affidamento del servizio di global service per l'organizzazione dei concorsi pubblici. 4.1.2. Successivamente, col decreto legge 30 aprile 2022, n. 36 (Ulteriori misure urgenti per l'attuazione per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza - PNRR), entrato in vigore il 1° maggio 2022 e convertito con modificazioni dalla legge 29 giugno 2022, n. 79, all'art. 3 (Riforma delle procedure di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni), sono state, tra l'altro, riformate le previsioni in tema di protocolli per lo svolgimento dei concorsi pubblici. In particolare, il citato art. 3, comma 7, ha disposto che competente ad aggiornare i protocolli per lo svolgimento dei concorsi pubblici in condizioni di sicurezza sarebbe stato, per il futuro, il Ministro della salute, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, avvalendosi del potere di ordinanza "in materia di ingressi nel territorio nazionale e per la adozione di linee guida e protocolli connessi alla pandemia di Covid-19" di cui all'art. 10 bis del d.l. n. 52 del 2021, convertito dalla legge n. 87 del 2021. In attuazione di tale normativa sopravvenuta, è stato approvato il nuovo Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici di cui all'ordinanza del Ministro della salute del 25 maggio 2022, adottata su proposta del Ministro della pubblica amministrazione (pubblicata nella G.U. Serie Generale n. 126 del 31 maggio 2022). 4.2. L'ordinanza richiama in premessa il "Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici" emanato il 15 aprile 2021 dal Dipartimento della funzione pubblica e all'art. 1 ne prevede la sostituzione col documento recante la medesima denominazione ("Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici") parte integrante dell'ordinanza ministeriale. Il Protocollo richiamato nell'ordinanza del 25 maggio 2022 è quello di cui alla nota prot. DFP 0025239-P del 15 aprile 2021, avente appunto la denominazione di cui sopra ed indirizzato, così come l'ordinanza, a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Risulta con ciò smentito per tabulas quanto affermato in sentenza sul fatto che l'amministrazione (vale a dire, il Formez), nel recepire negli atti di gara le indicazioni della precedente nota prot. n. 0025080-P, avrebbe ritenuto ancora vincolante "una direttiva tecnica che la stessa Amministrazione ha riformato". La "riforma" (o meglio la sostituzione) ha direttamente riguardato il Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici di cui alla nota DFP 0025239-P del 15 aprile 2021. Per come si evince dal confronto, contenuto nella sentenza, tra i requisiti prescritti dall'ordinanza del 25 maggio 2022 e quelli prescritti dalla nota DFP 0025080 del 15 aprile 2021, il tribunale sembra, invece, avere riferito l'effetto sostitutivo espressamente disposto dall'ordinanza del Ministro della salute alla nota indirizzata al Formez piuttosto che al Protocollo di cui alla nota prot. n. 0025239-P. Conferma di ciò si rinviene nel fatto che quest'ultima, indirizzata invece a tutte le amministrazioni, non è mai citata in sentenza, né con l'indicazione del numero di protocollo, né con la specificazione del titolo o dei contenuti. 4.3. Chiariti i fatti, occorre comunque verificare se - in disparte le dette imprecisioni della sentenza - l'entrata in vigore dell'ordinanza del Ministro della salute del 25 maggio 2022, per di più richiamata al punto 1.1. del capitolato tecnico, abbia comunque potuto avere l'effetto di privare di "vincolatività " i "requisiti delle aree concorsuali" previsti nell'appendice della nota prot. n. 0025080 del 15 aprile 2021, tanto da rendere illegittimi gli atti di gara che quei requisiti richiedevano per la partecipazione alla procedura aperta indetta con bando pubblicato nel luglio 2022. 4.3.1. In proposito è corretta la deduzione degli appellanti che la nota del Dipartimento della funzione pubblica n. 25239-P del 15 aprile 2021 e l'ordinanza del Ministro della salute del 25 maggio 2022 sono atti amministrativi generali che hanno il medesimo contenuto, cioè la disciplina di massima delle modalità di organizzazione e di gestione delle prove selettive pubbliche, ed il medesimo obiettivo di fornire indicazioni di massima volte alla prevenzione e protezione del rischio di contagio da Covid - 19 nello svolgimento di tali prove. In sintesi, entrambe contengono il Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici, previsto, in via generale per le pubbliche amministrazioni, dalla normativa vigente nei diversi periodi, sopra specificata. 4.3.2. Invece, la nota del Dipartimento della funzione pubblica n. 25080-P, pur se indicata negli scritti di causa come "protocollo", non reca questa denominazione né nell'oggetto (genericamente individuato come "Svolgimento dei concorsi pubblici") né nella parte espositiva o nell'appendice. Piuttosto, la nota diretta al Formez, dopo avere richiamato il Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici, operante in via generale, è finalizzata a richiedere all'Istituto di procedere all'acquisizione del global service ivi descritto, conformemente alla normativa vigente in tema di contratti pubblici, "secondo le specifiche tecniche, sviluppate in base all'esperienza dei nostri (n. d.r. del Dipartimento della funzione pubblica) Uffici e contenute nell'Appendice allegata". Si tratta di un atto, tutt'al più applicativo del primo Protocollo del 15 aprile 2021, ma avente la (diversa) finalità di stabilire i requisiti tecnici da assicurare da parte degli operatori economici aspiranti agli affidamenti che il Formez avrebbe dovuto bandire in relazione ai concorsi da organizzare per conto del Dipartimento della funzione pubblica. 4.4. Operando su due piani distinti, è da escludere che l'adozione del nuovo Protocollo del Ministro della salute del maggio 2022 abbia reso, di per sé, "non vincolanti" le specifiche tecniche contenute nell'appendice alla nota del DFP del 15 aprile 2021, n. 25080-P. In proposito valgano le considerazioni di cui appresso. 4.4.1. In linea di principio, il rapporto tra previsioni generali e previsioni di dettaglio richiede che queste ultime avrebbero dovuto essere coerenti con le prime. Tale coerenza imponeva che, nell'organizzazione dei concorsi pubblici, dovessero essere assicurate quanto meno le condizioni minime di sicurezza dettate dall'atto generale, cioè dal Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici, via via vigente, ma non comportava affatto il divieto di prevedere, per la partecipazione alla gara per l'affidamento del relativo servizio (global service), delle specifiche tecniche più stringenti, purché adeguate e proporzionate all'oggetto dell'appalto. Ribadito il costante insegnamento giurisprudenziale per il quale l'individuazione dei requisiti di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica è attività ampiamente discrezionale, ne va tratta la conseguenza che se è vero che, di regola, la stazione appaltante è libera di imporre requisiti più severi anche di quelli previsti per via normativa, legislativa o regolamentare (così, di recente, Cons. Stato, V, 15 novembre 2022, n. 10020), a maggior ragione deve ritenersi che i detti requisiti possano essere più puntuali e anche più rigorosi di quelli contenuti in protocolli amministrativi a contenuto tecnico, sempreché, nell'adozione di tali più stringenti specifiche tecniche, finalizzate al raggiungimento dei medesimi obiettivi di protezione sanitaria previsti dal protocollo generale, siano rispettati i principi di proporzionalità e ragionevolezza. Pertanto, nel caso di specie, non solo è da ritenersi che fosse rimessa al Formez la previsione di requisiti di partecipazione volti ad assicurare condizioni di sicurezza sanitaria in linea con quelle fissate dal Protocollo ministeriale, ma deve altresì escludersi che i contenuti di quest'ultimo costituiscano un parametro di giudizio della proporzionalità e della ragionevolezza dei requisiti di partecipazione richiesti in concreto, tale cioè da doversi considerare sproporzionate o irragionevoli le specifiche tecniche indicate in capitolato solo perché più stringenti di quelle contemplate nel Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici in generale. Nel settore dei servizi di organizzazione dei concorsi pubblici, ferma restando l'ampia discrezionalità dell'amministrazione appaltante, il sindacato di legittimità sui requisiti di partecipazione non può prescindere dalla valutazione della tipologia e del numero dei concorsi programmati, del numero dei potenziali candidati, dei tempi di espletamento delle prove selettive, oltre che, ovviamente, nello specifico, dell'andamento della situazione epidemiologica da Covid-19. 4.4.2. La legge di gara è stata congegnata dal Formez in modo da rispettare il rapporto tra gli atti amministrativi come sopra delineato. In osservanza di quanto previsto dall'art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 ("Le specifiche tecniche indicate al punto 1 dell'allegato XIII sono inserite nei documenti di gara e definiscono le caratteristiche previste per lavori, servizi o forniture"), il disciplinare di gara ha infatti precisato che le forniture e i servizi oggetto dell'affidamento "presentano caratteristiche standardizzate di prestazione e sono per loro natura strettamente vincolate a precisi e inderogabili standard tecnici. Tali standard tecnici sono stati determinati a priori nel capitolato tecnico. Il parametro per l'applicazione del criterio del minor prezzo sarà costituito dal costo complessivo della postazione costituito dalla somma dei costi unitari a giornata di una postazione comprensivo dei costi di tutti i servizi di cui al capitolato tecnico articolato per sede unica e su più sedi". Il capitolato tecnico (che, l'art. 23, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016, per i servizi, qualifica come "descrittivo e prestazionale, comprendente le specifiche tecniche, l'indicazione dei requisiti minimi che le offerte devono comunque garantire (...)") al punto 1.1., ha poi previsto che "Al fine di consentire lo svolgimento in sicurezza dei concorsi pubblici da parte delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e s.m.i., gli stessi devono svolgersi nel rispetto del nuovo Protocollo per lo svolgimento dei concorsi pubblici emanato con ordinanza del 25 maggio 2022 del Ministro della salute - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 126 del 31-5-2022 - che sostituisce il Protocollo del 15 aprile 2021 del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.". La lettura combinata di dette previsioni, riportate in sentenza, non conduce affatto ad affermare la prevalenza del Protocollo di cui all'ordinanza ministeriale, bensì la necessità del rispetto delle indicazioni da questa fornite per la prevenzione e protezione del rischio di contagio da Covid-19 nell'organizzazione e nella gestione delle prove concorsuali. Nel predisporre il capitolato di gara Formez si sarebbe perciò dovuta attenere a tali indicazioni, ferma restando la discrezionalità nella definizione delle caratteristiche tecniche richieste, di cui al già menzionato art. 68, comma 1, del codice dei contratti pubblici, che limita la discrezionalità della stazione appaltante stabilendo che esse debbano essere collegate all'oggetto dell'appalto e proporzionate al suo valore e ai suoi obiettivi. 4.5. Dal momento che Formez ha sostanzialmente ribadito i requisiti tecnici fissati nella nota prot. n. 25080-P del 15 aprile 2021 (salvo qualche modifica non rilevante ai fini della decisione), la sentenza di primo grado si sarebbe dovuta occupare di tali requisiti organizzativi e prestazionali, entrando nel Me. dell'attività della stazione appaltante nella predisposizione del capitolato tecnico e nel Me. del suo contenuto, l'una e l'altro specificamente censurati dalle ricorrenti. L'erroneo riferimento alla sola ordinanza ministeriale del maggio 2022 vizia la decisione e comporta l'accoglimento del primo motivo di appello. 5. Col secondo motivo si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto le scelte dell'amministrazione carenti di attività istruttoria e di motivazione, solo perché le specifiche tecniche imposte dal capitolato di gara non coincidevano con le indicazioni di massima dell'ordinanza ministeriale. Il motivo, per quanto detto sopra, è fondato e va accolto. 5.1. Analogamente è a dirsi per il terzo motivo di appello col quale si censura la mancata valutazione, da parte del primo giudice, della fondatezza, proporzionalità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e contestati dalle società ricorrenti in prime cure. 5.2. L'accoglimento di entrambi i motivi di gravame comporta tuttavia che vadano esaminate le corrispondenti censure di queste ultime società, così come riproposte col primo dei motivi di cui alla memoria di costituzione del 16 dicembre 2022. 6. Va detto, in primo luogo, della censura di carenza di istruttoria e di motivazione, perché, secondo le ricorrenti originarie, i contestati requisiti urbanistici e strutturali delle aule di concorso sarebbero stati imposti dal Dipartimento della funzione pubblica senza alcuna istruttoria, senza preventiva validazione da parte del Comitato tecnico scientifico e senza dare evidenza scientifica o di altro tipo circa la loro impellente necessità e infungibilità . 6.1. In altro giudizio tra le stesse parti (iscritto in appello col n. 10230/21 r.g.), riguardante una diversa procedura di gara per la quale erano richiesti gli stessi requisiti qui contestati, questa Sezione V, con ordinanza collegiale del 3 agosto 2022 n. 6812, ha disposto attività istruttoria, al fine di ottenere chiarimenti ed informazioni, tra le altre, sulle seguenti circostanze: l'attività istruttoria che ha preceduto l'elaborazione del protocollo DFP n. 25080 del 15 aprile 2021, anche riguardo ad eventuali interlocuzioni intrattenute con organi ausiliari, ivi compreso il CTS, e la specifica valutazione, nel contesto di detta attività istruttoria, delle ragioni giustificatrici dei requisiti imposti, in riferimento sia alla situazione pandemica contingente che alle esigenze dell'amministrazione riguardanti il concorso de quo. Nel primo grado del presente giudizio è stata prodotta la relazione istruttoria redatta dal Dipartimento della funzione pubblica in esecuzione di detta ordinanza. La relazione istruttoria ha chiarito il contesto nel quale è stato adottato il Protocollo n. 25239 del 15 aprile 2021, evidenziando come sia stato predisposto sulla base di "costanti interlocuzioni" con il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) e come il "protocollo" di cui alla nota n. 25080 ne abbia costituito una specificazione e sia stato destinato al Formez perché istituto organizzatore dei concorsi. Le critiche delle società ricorrenti secondo cui il protocollo n. 25080 non sarebbe stato preceduto da adeguata istruttoria non colgono nel segno perché tendono a parcellizzare l'attività istruttoria complessiva che ha condotto le amministrazioni interessate all'adozione dei due atti, aventi le caratteristiche sopra ampiamente descritte. L'adozione della nota di cui al prot. n. 25080 del 15 aprile 2021 da parte del Servizio per l'organizzazione e la logistica del Dipartimento della funzione pubblica costituisce sviluppo e puntualizzazione delle previsioni generali del Protocollo, da parte dell'unità organizzativa competente a dettare i requisiti specifici e dettagliati per il corretto svolgimento delle procedure concorsuali. Per la predisposizione di tali specifiche tecniche non era necessario il compimento di un'ulteriore istruttoria con il coinvolgimento di altri organi od uffici, considerate le competenze, tecniche giuridiche ed amministrative, del Servizio che le ha elaborate. 6.2. Resta pertanto da verificare se le specifiche di gara, già inserite negli atti di gara delle procedure indette nell'anno 2021 e nei primi mesi dell'anno 2022, avrebbero dovuto essere modificate perché era frattanto entrato in vigore il "nuovo" Protocollo ministeriale. Orbene, dal confronto tra il Protocollo di cui alla nota del DFP 25239-P del 15 aprile 2021 ed il Protocollo di cui all'ordinanza ministeriale del 25 maggio 2022 si evince che sono rimasti invariati i "requisiti delle aree concorsuali" (disponibilità di un'adeguata viabilità e di trasporto pubblico locale; dotazione di ingressi riservati ai candidati, distinti e separati tra loro per consentirne il diradamento, in entrata e in uscita dall'area; disponibilità di aree riservate al parcheggio dei candidati con particolari esigenze - portatori di handicap, immunodepressi etc.; disponibilità di sufficiente area interna con adeguata areazione naturale - compatibilmente con le condizioni climatiche esterne), a cui fanno capo le contestate specifiche tecniche della necessaria ubicazione fuori dai centri urbani, nonché della superficie complessiva adeguata al numero dei candidati convocati per ogni regione e dello svolgimento delle prove in aule concorsuali attigue tra loro e poste in unico piano fuori terra e, altresì, collegate tra loro. Inoltre, i "requisiti dimensionali delle aule" sono stati modificati dal "nuovo" Protocollo soltanto per il necessario rispetto della distanza interpersonale di 1 metro, in luogo della misura di metri 2,25 precedentemente prevista, essendo rimaste identiche le indicazioni (permettere un elevato livello di aerazione naturale, anche alternandosi con aerazione meccanica; garantire volumetrie minime di ricambio d'aria per candidato) a cui fa capo il requisito contestato relativo alla altezza minima delle aule concorsuali non inferiore a 6 metri. Risulta evidente che - se si fa eccezione per la riduzione della distanza interpersonale di sicurezza e quindi della misura di distanziamento tra le postazioni operative e l'area di transito (recepita nel capitolato tecnico) - sono rimaste immutate le regole minime di tutela sanitaria, alle quali il DFP, prima, ed il Formez, poi, si sono riferiti per elaborare le specifiche tecniche della nota prot. n. 25080-P e dei diversi capitolati di gara, ferme restando peraltro, all'epoca dell'ordinanza ministeriale (maggio 2022) e della predisposizione del bando di gara (giugno 2022), l'imprevedibilità dell'evoluzione della situazione epidemiologica (secondo quanto dato atto nella stessa ordinanza, a valere quanto meno fino al dicembre 2022) e la permanente obbligatorietà di alcune delle misure di prevenzione (uso di mascherine, igiene delle mani, areazione dei locali, limitazione degli assembramenti, pur essendo venuto meno l'obbligo del tampone negativo al Covid - 19, la verifica del c.d. green pass e della temperatura corporea). 6.2.1. A ciò si aggiunga che, come sottolineano le appellanti e le parti controinteressate Consorzio Di. e Fi. Ro., l'esperienza maturata nei mesi precedenti nell'organizzazione di moltissimi concorsi (dei quali sono stati depositati gli atti già nel primo grado di giudizio) aveva dimostrato l'utilità delle misure messe in atto non solo per limitare i rischi di contagio, ma anche per svolgere le prove concorsuali garantendo efficienza organizzativa e tempestività dei risultati. Questi ultimi obiettivi risultano vieppiù rilevanti dopo l'entrata in vigore della normativa di cui al d.l. n. 36 del 30 aprile 2022, contenente "Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)", tra cui la conferma dell'impianto organizzativo delle procedure di selezione nelle pubbliche amministrazioni dell'anno precedente (concorsi RIPAM di rilievo nazionale, cioè concorsi per la RIqualificazione della Pubblica AMministrazione, per la gran parte molto partecipati; la diffusione della digitalizzazione integrata; la semplificazione delle procedure e la riduzione della loro durata; l'assistenza del DFP e/o del Formez; la tendenziale identità delle procedure concorsuali indette dalle diverse amministrazioni) anche in vista dell'attuazione del PNRR. 6.3. Alla stregua di quanto sopra Formez PA ha trasmesso con nota del 21 giugno 2022 il capitolato tecnico qui in contestazione con il relativo documento esplicativo al Dipartimento della funzione pubblica, senza che si possa dire essere mancata adeguata attività istruttoria o che i requisiti richiesti ivi indicati fossero contrastanti con le previsioni dettate dal Protocollo del Ministero della salute. Va perciò escluso che le previsioni del capitolato di gara oggetto del ricorso di primo grado fossero abnormi già solo per le modalità di elaborazione, così come sostenuto dalle società ricorrenti in primo grado. 7. Sempre col primo motivo della memoria di costituzione, le medesime società hanno riproposto in appello l'ulteriore censura concernente l'irragionevolezza e la sproporzione dei requisiti richiesti, ritenuti non necessari, non infungibili ed eccessivi, in sostanza diretti a favorire il Consorzio Di.. I requisiti contestati sono i seguenti: a) l'ubicazione fuori dai centri urbani; b) i requisiti strutturali e dimensionali delle aule, quali la superficie complessiva adeguata al numero di candidati convocati per ogni regione; l'adiacenza delle aule, poste in unico piano fuori terra e, altresì, collegate tra loro e con adeguata aerazione naturale; c) l'altezza minima (non inferiore a 6 metri). 7.1. Quanto ai requisiti, strutturali dimensionali e urbanistici, dei locali destinati ad ospitare le commissioni di concorso e i candidati - come detto, richiesti da Formez negli atti di altre procedure di selezione degli operatori economici cui affidare il servizio integrato di organizzazione e gestione di concorsi pubblici, parimenti impugnati dinanzi al giudice amministrativo, con censure analoghe a quelle oggetto del presente contenzioso - questa Sezione ha già riconosciuto che si tratta di requisiti organizzativi e prestazionali "elevati", ma "pur sempre riconducibili ad esercizio di discrezionalità amministrativa e comunque mai oggetto di contestazione in termini di manifesta incongruità o di palese erroneità " (Cons. Stato, V, 12 gennaio 2023, n. 431 e n. 433). Nella motivazione di entrambe le sentenze si evidenzia "come tali misure strategiche (decentramento regionale), strutturali (altezze e distanze) ed urbanistiche (parcheggi adeguati nonché localizzazione extraurbana) si rivelino nel loro insieme senz'altro idonee ad assicurare una efficace gestione delle prove concorsuali nel rispetto delle esigenze sanitarie ed emergenziali legate al COVID". 7.2. Inoltre, l'istruttoria compiuta nel distinto giudizio di appello con la citata ordinanza n. 6812/2022 ha consentito di riscontrare la razionalità e la proporzionalità delle scelte compiute dal DFP e dal Formez, già desumibili dalla descrizione dei requisiti contenuta nella legge di gara che ne prescriveva il possesso (cfr. in tal senso anche Cons. Stato, V, n. 431 e 433 del 2023 cit.), inducendo ad escludere che fossero stati giustificati soltanto mediante motivazione postuma in corso di giudizio. 7.3. Più nello specifico, quanto al requisito delle aule attigue su un unico piano fuori terra e collegate tra loro, nella relazione depositata dal Dipartimento è stata evidenziata l'incompatibilità della distanza di sicurezza tra candidati (fissata in m. 2,25 in modo che ciascun candidato avesse un'area disponibile di almeno 4,5 mq.), all'epoca imposta dal protocollo n. 23259, "con aule di concorso poste su più piani fuori terra, ove le vie di esodo verticali (scale) possono avere, secondo il Codice di prevenzione incendi, larghezza di 1200 mm in ambiti di affollamento > 1000 occupanti a mente del DM 3 agosto 2015". Negli scritti di parte appellante, si chiarisce che, successivamente, pur essendo stata ridotta ad un metro la distanza interpersonale, la disposizione delle aule di concorso su più piani fuori terra è stata reputata incompatibile con quanto prescritto dal d.m. 3 agosto 2015 (c.d. codice di prevenzione incendi), secondo una valutazione tecnica degli uffici competenti che non risulta manifestamente errata. A quanto sopra si aggiunga che nella relazione del DFP si è altresì sottolineata la funzionalità delle aule "attigue e collegate fra loro" per agevolare le modalità operative delle prove e la vigilanza da parte della commissione esaminatrice e degli addetti. 7.3.1. La ragionevolezza della spiegazione non è inficiata dalle alternative prospettate dalla difesa di Er. e Me. nella memoria conclusiva (in sintesi, aule più piccole e/o poste su più piani e/o distaccate ovvero modulazione delle tempistiche e delle modalità organizzative del concorso, quanto all'entrata e l'uscita dei candidati), in quanto tali alternative sono espressione della sovrapposizione delle valutazioni delle società ricorrenti rispetto al giudizio discrezionale delle amministrazioni interessate. 7.4. Quanto al requisito dell'altezza massima delle aule non inferiore a 6 metri, il Dipartimento ha indicato una serie di ragioni giustificatrici della scelta, tra cui non trascurabile appare quella delle "indicazioni sugli impianti di ventilazione/climatizzazione in strutture comunitarie non sanitarie e in ambienti domestici in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2", contenute nel Rapporto ISS Covid 19 n. 33/2020, il quale "raccomanda -per le unità di trattamento aria - la verifica della posizione della presa d'aria esterna e, nella specie, che essa venga posta ad una quota superiore di almeno 3 metri rispetto ad eventuali serramenti o bocche di espulsione". Ne è risultato che si è tenuto conto di ciò anche ai fini della preferenza delle amministrazioni - del tutto ragionevole e coerente con le esigenze sopra dette, ma per la verità comprensibile anche in periodi non connotati da impellenti emergenze sanitarie - a tenere le prove di concorso in grandi spazi al chiuso, tra cui in via principale gli impianti sportivi di notevoli dimensioni. Giova sottolineare che il sistema di aereazione delle aule di concorso, introdotto col Protocollo del 2021, mediante la richiesta di "permettere un elevato livello di aerazione naturale, anche alternandosi con aerazione meccanica" e "garantire volumetrie minime di ricambio d'aria per candidato", è stato replicato testualmente nel Protocollo del 2022. 7.4.1. Evidente è perciò la non pertinenza dei rilievi contrari delle società ricorrenti che tengono conto separatamente della disciplina degli impianti di ventilazione/climatizzazione e delle dimensioni degli impianti sportivi, laddove il ragionamento delle amministrazioni è chiaramente volto a supportare la scelta discrezionale di spazi sufficientemente ampi per ospitare il numero elevatissimo di concorrenti stimati, tra i quali certamente adatti erano gli impianti sportivi, oltre che gli spazi fieristici. 7.5. Infine, la previsione di ubicazione al di fuori dei centri urbani è oltremodo ragionevole, a prescindere dall'emergenza sanitaria, ogniqualvolta si tratti di organizzare concorsi per i quali è previsto un numero talmente alto di candidati da essere comunemente definiti "maxi-concorsi", onde evitare il blocco del traffico nelle aree urbane, in specie delle grandi città metropolitane, nonché contenere il pur necessario impiego di personale della polizia municipale o di forze dell'ordine per la gestione della viabilità . 7.5.1. Riscontro di quanto appena detto si rinviene nella direttiva del 26 febbraio 2002 del Dipartimento della funzione pubblica, che già all'epoca invitava le amministrazioni ad adottare "(...) nel caso di concorsi con notevole partecipazione di candidati, ogni misura utile a garantire il sereno svolgimento delle prove, nonché ad evitare qualunque forma di detrimento per la cittadinanza, anche ad esempio utilizzando idonee strutture site al di fuori dei grandi centri urbani". 7.5.2. La contrapposta argomentazione della memoria delle ricorrenti (secondo cui "la presenza delle sedi concorsuali all'interno dei centri urbani consente ai candidati di raggiungere i locali in molti modi differenti e impiegando meno tempo e questo equivale a limitare i contatti. (...)") può tutt'al più costituire un argomento da ponderare in sede di valutazione delle possibili opzioni e dei rispettivi pro e contro, nell'ambito del bilanciamento di interessi, il cui esito, tuttavia, non può che essere rimesso alla discrezionalità dell'amministrazione. 7.6. In definitiva, tutti i requisiti contestati appaiono in linea con le finalità perseguite dall'amministrazione e con le caratteristiche dell'attività oggetto dell'affidamento, tenuto conto delle esigenze di celerità di svolgimento dei concorsi pubblici e di tutela della salute di tutti i soggetti coinvolti, oltre che della necessaria rispondenza ad altre esigenze pubbliche primarie, quali il regolare andamento delle procedure concorsuali e la tutela dell'ordine e della sicurezza stradali nei centri urbani. 7.7. D'altronde, è rimasto indimostrato che l'unica finalità perseguita dall'amministrazione nell'imporre i requisiti fin qui esaminati sia stata quella di alterare la par condicio dei concorrenti. Sussiste piuttosto un rapporto di ragionevole proporzionalità tra mezzi impiegati e fine perseguito, senza che sia stata fornita la concreta dimostrazione di posizione di effettivo monopolista del settore in capo a Digicontest, ossia di unico soggetto in possesso di taluni requisiti organizzativi e prestazionali. Come già osservato nei citati precedenti giurisprudenziali, la censura delle società ricorrenti si risolve, nei suoi presupposti, in una critica alla struttura del relativo mercato: profilo questo che, quand'anche fondato, come affermato nella sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 17 novembre 2020 n. 7138 "non potrebbe comunque (...) comportare come conseguenza la fondatezza della pretesa ad un ridimensionamento del potere dell'amministrazione di disegnare la legge di gara, predisposta in funzione dei ragionevoli e proporzionati obiettivi di cura dell'interesse pubblico, per correggere eventuali deficit concorrenziali del settore". La sentenza n. 7138/2020 ha inoltre chiarito (richiamando la sentenza del 12 febbraio 2020, n. 1076) che: "nella dialettica fra tutela della concorrenza e perseguimento dell'interesse pubblico primario l'amministrazione gode di un'ampia discrezionalità nella selezione dell'oggetto (e delle caratteristiche tecniche) dell'appalto, in funzione degli standards organizzativi e di efficienza delle relative prestazioni (in tesi anche molto elevati, purché non irragionevoli), dovendo l'offerta adattarsi alla domanda e non viceversa". Ed ancora che: "A partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell'impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività (secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego). La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE laddove si prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che "le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con un adeguato standard di qualità " (art. 58, paragrafo 4), confermando l'impostazione secondo la quale la pubblica amministrazione ha interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di gara. (....) La rilevanza della tutela della salute, sottesa alla previsione di livelli di competenza tecnica e standard qualitativi così elevati... consentono.... l'introduzione di un requisito proporzionato alla prestazione che si intende acquisire, nonché al perseguimento dell'interesse pubblico ad essa sotteso. A tale scopo, all'Amministrazione è garantita un'ampia discrezionalità nell'individuazione dei requisiti tecnici, ancorché più severi rispetto a quelli normativamente stabiliti, purché la loro previsione sia correlata a circostanze giustificate e risulti funzionale rispetto all'interesse pubblico perseguito. In ragione di ciò, il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alla verifica del rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e non estraneità rispetto all'oggetto di gara (ex plurimis: Cons. Stato, sez. III, 07/07/2017, n. 3352; Cons. Stato, V, 26 luglio 2017, n. 3105; Cons. Stato, Sez. V, 4 gennaio 2017, n. 9; Cons. Stato, V, 8 settembre 2008, n. 3083; VI, 23 luglio 2008, n. 3655)". Pertanto: "il punto di equilibrio del sistema non è dato, sulla base dell'argomentazione sopra richiamata, dal numero di concorrenti operanti sul mercato in grado di offrire il prodotto richiesto (uno, ovvero tre), ma dall'esistenza o meno di una ragionevole e proporzionata esigenza del committente pubblico che giustifica la domanda di un prodotto offerto solo da poche imprese (in tesi, anche da una soltanto: come nel caso esaminato dalla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99)". In altri termini: "l'interesse pubblico alla tutela della concorrenza portato dalla normativa sui contratti pubblici è funzionale comunque alla tutela dell'interesse dell'amministrazione all'acquisizione di beni o servizi destinati a soddisfare le specifiche esigenze della collettività di cui essa è attributaria, come definite nella lex specialis di gara. (....) La natura del procedimento di evidenza pubblica come sede nella quale vengono create artificialmente le condizioni di concorrenza non deve infatti far perdere di vista la funzione del procedimento medesimo, che è quella, pur in un contesto concorrenziale, di acquisire beni e servizi maggiormente idonei a soddisfare l'interesse pubblico specifico portato dall'amministrazione aggiudicatrice". In questa stessa direzione: "Il sindacato ammissibile si incentra dunque sulla proporzionalità e ragionevolezza della scelta della stazione appaltante". Ai detti principi si è attenuta l'amministrazione nel caso di specie (come affermato già da Cons. Stato, nn. 431 e 433 del 2023 cit., la cui motivazione sul punto è stata sopra riportata), considerato il preminente interesse pubblico a reperire sul mercato di riferimento servizi di elevato livello qualitativo, di cui si è ampiamente detto. 7.8. Il primo dei motivi riproposti da Er. e Me. va quindi complessivamente respinto. 8. Col secondo motivo riproposto ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., Er. e Me. denunciano un'asserita "inversione procedimentale" delle fasi di gara (consistente nella previa individuazione del "sistema fieristico italiano" come unico destinatario dell'iniziativa pubblica, a scapito degli operatori economici estranei e quindi in violazione della concorrenza); inversione, dimostrata dal fatto che il Ministro della funzione pubblica aveva comunicato nell'audizione in Commissione affari costituzionali del Senato il 27 aprile 2021 che per l'organizzazione dei concorsi pubblici si era "pensato alle fiere, al sistema fieristico italiano. Anche per una ragione opportunistica (...)" e dal fatto che il Consorzio Di., per il tramite della consorziata Dr., aveva siglato da tempo un "Accordo Nazionale AEFI (Enti Fiera) per disporre di spazi in esclusiva". Il motivo non merita favorevole apprezzamento. 8.1. Le dichiarazioni rese nell'audizione in Commissione affari costituzionali del Senato in data 27 aprile 2021 dall'allora Ministro della funzione pubblica hanno natura meramente politica. Esse risultano inidonee ad anticipare gli esiti di una procedura di gara, quale quella in oggetto, che sarebbe stata indetta con la modalità della procedura aperta a tutti gli operatori economici, con bando pubblicato oltre un anno dopo l'audizione parlamentare. Una volta indetta la procedura di gara, è da ritenere che questione decisiva per il giudizio non sia un'asserita, inesistente, "inversione procedimentale" (nemmeno astrattamente configurabile riguardo ad affidamenti disposti a distanza di più di un anno), quanto la legittimità della procedura con particolare riguardo all'individuazione dei requisiti di partecipazione (di cui si è ampiamente detto). 8.2. Quanto alle cennate, ma nient'affatto comprovate, conseguenze dell'accordo in essere tra Dr. e Fi. Ro., va premesso che l'assunto delle società ricorrenti secondo cui non avrebbero potuto partecipare alla gara in r.t.i. o in subappalto o stringendo accordi commerciali è rimasto del tutto sfornito di prova. Piuttosto, Fi. Ro. ha sottolineato in giudizio, senza essere smentita dalle ricorrenti, di non aver avuto alcuna richiesta da parte di queste ultime di ottenere la disponibilità degli spazi fieristici (pur concedibili in uso a terzi, secondo altra affermazione di Fi. Ro., non confutata e non irrealistica, considerata la destinazione dei locali della Fiera). Ove, poi, obiettivo della società Er. fosse quello di utilizzare i locali di proprietà (già in passato adibiti all'espletamento di prove concorsuali), essi sarebbero dichiaratamente privi di gran parte dei requisiti di ubicazione e dimensionali richiesti. 8.3. Quest'ultimo dato è dirimente ai fini della risoluzione della presente controversia (così come lo è stato per le altre analoghe: cfr. Cons. Stato, V, n. 433/2023 cit.), anche in chiave di c.d. "prova di resistenza", poiché comporta la mancanza di interesse a coltivare ulteriori motivi di censura incentrati su altrettante condizioni di partecipazione o su asseriti profili di inadeguatezza dell'offerta del Consorzio aggiudicatario. 8.4. Il secondo dei motivi riproposti da Er. e Me. va quindi respinto. 9. I restanti motivi riproposti sono inammissibili per carenza di interesse perché attengono a vizi dell'aggiudicazione per asserita mancanza dei seguenti requisiti in capo al Consorzio Di.: - alcune delle sedi indicate nell'offerta del Consorzio sarebbero carenti dei requisiti logistici richiesti dalla legge di gara (motivo sub III); - con la domanda di partecipazione il Consorzio avrebbe omesso di indicare l'impresa mandataria e le parti del servizio o le percentuali che sarebbero state svolte dalle consorziate (motivo sub IV); - il PASSOE prodotto dal Consorzio non sarebbe valido (motivo sub V). 9.1. I motivi, già oggetto di ricorso per motivi aggiunti depositato in primo grado, sono inammissibili per la mancata partecipazione alla gara delle società ricorrenti. Questa infatti costituisce "condizione legittimante" ai fini della impugnazione sia della legge di gara, sia degli esiti della stessa, atteso che "la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l'esito della medesima, in quanto soltanto a quest'ultimo è riconoscibile una posizione differenziata" (in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018 n. 4 e id., 25 febbraio 2014, n. 9). Una volta affermata la legittimità dei requisiti di partecipazione dei quali le ricorrenti erano prive, le censure oggetto dei motivi in esame non possono farsi rientrare in alcuna delle eccezioni individuate dalla giurisprudenza, che riguardano: la indizione in sé della gara; la carenza di qualsivoglia confronto concorrenziale; la natura assolutamente escludente di alcune clausole del bando di gara. Invero, oltre al fatto che, nella prospettiva di una nuova gara, l'amministrazione sarebbe stata legittimata a reiterare la disciplina oggetto delle contestazioni delle ricorrenti, nel caso di specie tale prospettiva è comunque venuta meno essendo stato completamente eseguito l'affidamento e le ricorrenti non potrebbero vantare nemmeno un interesse al risarcimento per equivalente perché totalmente mancanti di chance di aggiudicazione. 9.2. I motivi terzo, quarto e quinto riproposti in appello da Er. e Me. vanno quindi dichiarati inammissibili. 10. In conclusione, l'appello del Formez PA e della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica va accolto. Vanno complessivamente respinti i motivi riproposti in appello da Er. e Me., restando così definitivamente assorbite le eccezioni riproposte ex art. 101, comma 2, c.p.a. dal Consorzio Di.. Per l'effetto, in totale riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso proposto in primo grado dalle società Er. e Me.. 11. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio per la complessità e la novità delle questioni giuridiche affrontate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, esaminati e respinti i motivi riproposti dalle società appellate Er. e Me. ai sensi dell'art. 101 c.p.a., in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso introduttivo e i ricorsi per motivi aggiunti proposti da tali ultime società . Compensa interamente tra tutte le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Stefano Fantini - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GIORDANO Emili - rel. Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabi - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 07/10/2022 del Tribunale di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano; letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; letta la memoria depositata dall'avvocato Nicola Mele nell'interesse di (OMISSIS); letti i motivi nuovi e la memoria presentati dall'avvocato Arrigo Tiziano Zorzan nell'interesse di (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Venezia che ha respinto l'appello avverso l'ordinanza del 16 agosto 2022 con la quale era stata applicata, per la durata di mesi sei, la misura interdittiva della sospensione di un pubblico ufficio, rispettivamente, di agente di polizia, con il grado di brigadiere capo, di (OMISSIS) e di medico di base per (OMISSIS) che e' sottoposto ad indagini in relazione ai reati di cui agli articoli 479, 314 e 319 c.p., commessi dal (OMISSIS) contestati al sanitario per attivita' svolte in connessione alla mancata somministrazione del vaccino COVID a sette pazienti risultati beneficiari del rilascio del green pass (articolo 476 c.p.), distruggendo il vaccino (articolo 314 c.p.) e ricevendo, in almeno due occasioni, un compenso indebito per l'illecita attivita' svolta. A meno del delitto di corruzione, analoghi reati sono stati contestati al (OMISSIS), beneficiario di una delle somministrazioni realizzata mediante inoculazione di una dose di vaccino non corrispondente a quelle prescritte dalle direttive AIFA per il conseguimento di avvenuta vaccinazione. 2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione. 2.1 (OMISSIS) denuncia: 2.1.1 violazione di legge in relazione alla Cost., articoli 111 e 125, comma 3 c.p.p.. L'ordinanza impugnata si riporta, motivando per relationem, a quella del giudice per le indagini sui presupposti legittimanti l'adozione della misura. Omette, inoltre, il confronto critico con le argomentazioni difensive sul punto delle risultanze dell'indagine sierologica che, a distanza di tempo, attestava come l'indagato presentasse ancora anticorpi superiori alla media; 2.1.2 violazione di legge e vizio di motivazione sul punto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia in relazione al reato di falso, genericamente motivato con rinvio alla misura genetica che del reato di peculato rispetto al quale la motivazione e' omessa limitandosi alla mera contestazione del reato, fatta discendere da quello di falso e smentito dall'analisi sierologica; 2.1.3 violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari in carenza di elementi che ne denotino attualita' e concretezza e strutturata sulle funzioni pubbliche del ricorrente, peraltro erroneamente ricondotte alla funzione di operante presso il nucleo radiomobile dal momento che il ricorrente e' in servizio presso il Comando Carabinieri. Anche per tale aspetto i giudici del riesame non hanno esaminato le deduzioni difensive e le risultanze dell'analisi sierologica ricostruendo, in chiave ipotetica e sulla base delle mere funzioni svolte dall'indagato, il pericolo di reiterazione che deve, invece, essere strutturato sulla base di elementi di valutazione che diano conto della sua attualita' e concretezza. 2.2 (OMISSIS) denuncia: 2.2.1 violazione di legge in relazione agli articoli 292, comma 2, lettera c) e 125, comma 3 c.p.p.. L'ordinanza impugnata si riporta, motivando per relationem, a quella del giudice per le indagini dei presupposti legittimanti l'adozione della misura. Omette, inoltre, il confronto critico con le argomentazioni difensive sul punto del rispetto delle direttive AIFA nella somministrazione minima del vaccino; al numero dei tamponi eseguiti e alla circostanza che, a distanza di tempo, l'indagato (OMISSIS) presentasse ancora anticorpi; 2.2.2 cumulativi vizi di motivazione sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari: e' del tutto generico il ritenuto pericolo di recidiva trasposto a qualunque attivita' della pubblica funzione del ricorrente tenuto conto del decorso del tempo, dello stato di incensuratezza e del superamento della normativa COVID. Il pericolo di reiterazione si fonda su elementi astratti e non si confronta con la necessita' della valutazione in concreto e all'attualita' delle esigenze cautelari; 2.2.3 violazione di legge e vizi di motivazione sul punto della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. L'ordinanza impugnata ha valorizzato elementi indiziari (l'anomalo aumento del numero dei pazienti; dei tamponi eseguiti; le sommarie informazioni di colleghi che risolvono in dicerie e pettegolezzi da bar) e attribuito importanza, in siffatto contesto, alle risultanze delle intercettazioni che non si confrontano con le dichiarazioni rese dall'imputato che aveva spiegato le ragioni delle somme incassate dalle pazienti (corrispettivo dei kit loro venduti), quanto alla corruzione; e la insussistenza di violazioni riconducibili alla somministrazione dei vaccini seguendo le prescrizioni dell'AIFA in merito alla somministrazioni di dosi minimali e alla necessita' di fare uscire dalle siringhe le bolle d'aria. E' erronea la ricostruzione del Tribunale, che omette l'esame di tale premessa. Tanto cio' e' vero che, a distanza di tempo, il paziente (OMISSIS) presentava anticorpi in misura superiore al minimo previsto; 2.2.4 violazione di legge (articolo 275 c.p.p.) per abnormita' e sproporzione della misura interdittiva applicata vieppiu' tenuto conto che tale misura si cumula a quella degli arresti domiciliari gia' applicata all'indagato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi sono inammissibili. 2.11 primo e secondo motivo di ricorso nell'interesse di (OMISSIS) sono declinati in fatto e manifestamente infondati nella parte in cui il ricorrente censura il ricorso alla cd. motivazione per reltionem dell'ordinanza impugnata. Osserva il Collegio che il Tribunale, pur richiamando le risultanze in fatto dell'ordinanza impositiva, derivanti dal contenuto dell'intercettazione che riproduceva la "trattativa" condotta dal ricorrente con il medico sulle modalita' somministrazione del vaccino ai fini del rilascio del green pass (pag. 9 e 10 dell'ordinanza impugnata), ha criticamente esaminato, e ritenuto recessivo, il risultato delle indagini sierologiche che il ricorrente ha richiamato in piu' passaggi argomentavi del ricorso e della memoria per censurare sia la gravita' degli elementi indiziari, sul piano della ricostruzione in fatto che la configurabilita' dei reati di falso e peculato, in relazione alla procedura di rilascio del cd. green pass - necessario all'indagato perche' impostogli anche dall'amministrazione di appartenenza - sia per contrastare il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari. Va rilevato che le provvisorie imputazioni ascritte al (OMISSIS) ai capi a) e b) (per concorso in falso e peculato, sono speculari alle contestazioni di cui ai capi h) e i) ascritte, nella medesima ordinanza impositiva e nel provvedimento impugnato, al sanitario coindagato e, pertanto, non assumono alcun rilievo le presunte carenze argomentative sulla sussistenza degli elementi in fatto e, sulla configurabilita' dei reati di falso e peculato che il Tribunale ha ricostruito trattando la posizione del sanitario ed evidenziando, accanto alle cd. false vaccinazioni (quelle cioe' in cui non era stato somministrato ai pazienti alcun farmaco) quelle vaccinazioni che, come per il (OMISSIS), avevano comportato la somministrazione di una dose minimale di vaccino. A questo riguardo il Tribunale ha evidenziato come l'indagato, dopo avere a lungo insistito per ottenere il rilascio della certificazione senza la somministrazione del vaccino spendendo anche la propria qualifica per rassicurare il medico, divenuto piu' accorto e sospettoso per i controlli amministrativi e temendo di essere sottoposto a indagini tecniche quali intercettazioni ambientali e telefoniche, aveva, a fronte delle resistenze oppostegli dal medico affatto rassicurato dalle sue funzioni, accettato che gli venisse somministrata una dose minore e insistendo, durante la inoculazione, proprio per la somministrazione di una dose minima (butta dai, via via). Nell'ordinanza impugnata e' ben spiegato come, le direttive impartite per il rilascio della certificazione verde - conseguente alla compilazione dell'attestazione della compiuta vaccinazione- prevedevano la somministrazione di dosi precise del farmaco. 2.1. Quanto alle esigenze cautelari il Tribunale ha rilevato che la sostanziale ammissione degli addebiti non attenua il giudizio di disvalore della sua condotta connesso al conseguimento di un vantaggio personale, anche attraverso il conseguimento di una propria reale o supposta utilita', quale quella della mancata inoculazione del vaccino anti-Covid che il ricorrente ha tentato in ogni modo di perseguire. Si tratta di argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili, attese le peculiari modalita' di commissione dei fatti in contestazione e della corretta valorizzazione attribuita ai profili attinenti alla specifica natura delle funzioni pubblicistiche dell'indagato, da questi spese a prescindere dal concreto ruolo rivestito nell'amministrazione di appartenenza e della cessazione dell'emergenza connessa alla pandemia. La spiccata propensione al falso, nella quale l'indagato era radicato in ragione di suoi personali convincimenti sull'opportunita' della somministrazione del vaccino; la insistenza palesata al medico anche rassicurandolo, ne caratterizzano in chiave negativa il giudizio sulla personalita' ed evidenziano il rischio di recidiva nel compimento di attivita' connesse al proprio ruolo, pericolo che non e' correlato allo svolgimento di specifiche funzioni ma, in generale, allo svolgimento di attivita' pubblicistica, come agente di polizia. 3.Anche il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile e non aggiungono elementi di valutazione idonei a superare tale conclusioni le argomentazioni, meramente reiterative, svolte con la memoria anche a valere come motivi nuovi con allegata documentazione fra cui la richiesta di archiviazione per il reato di favoreggiamento in omicidio intervenuta a favore del ricorrente e una certificazione che attesta la chiusura di studi medici limitrofi a quelli del dottor (OMISSIS). A carico dello (OMISSIS) sono state valorizzate le risultanze delle operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale eseguite dopo che erano emersi evidenti indici di anomalia del numero di tamponi dichiarati dal sanitario (a fronte del modesto numero di quelli acquistati) e del passaggio di pazienti verso lo studio del professionista. In relazione a quattro episodi in contestazione e' risultata, attraverso le conversazioni intercettate, la falsita' della certificazione conseguita dai pazienti in carenza di somministrazione del vaccino mentre da altre conversazioni emerge che l'indagato, divenuto sospettoso per i procedimenti gia' avviati a suo carico, era divenuto estremamente attento nella modulazione dei trattamenti (inoculandone una parte minimale) per assecondare i cc.dd. pazienti NO VAX, per i quali approntava l'attestazione ricevendo, in alcuni casi, il compenso per l'illecita attivita' svolta a loro favore (si tratta dei retati di corruzione contestati ai capi e) e g). (OMISSIS), come anticipato trattando la sua posizione, era proprio uno di quei pazienti che, dopo una lunga trattativa, aveva convenuto l'inoculazione di una dose minimale di vaccino seguita dall'attestazione di compiuta vaccinazione ai fini del rilascio del green pass. In questi casi l'attestazione era falsa poiche' la dose somministrata era inferiore a quella prevista e prescritta dalle raccomandazioni dell'AIFA, funzionali all'attestazione di avvenuta vaccinazione. 3.1. I motivi di ricorso che censurano la mancanza di autonomia del provvedimento impugnato e l'omesso esame delle deduzioni difensive sono manifestamente infondati su entrambi gli aspetti evidenziati dal ricorrente. Il primo nella premessa in diritto poiche' l'ordinanza cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullita', l'autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito e' previsto dall'articolo 292, comma 2, c.p.p. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l'equidistanza tra l'organo requirente che ha formulato la richiesta e l'organo giudicante (Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, Galletta Giuseppe Antonio, Rv. 280603). Il secondo in fatto perche', invece, il Tribunale ha esaminato le deduzioni difensive, disattendendole con argomentazioni logiche e coerenti che il ricorrente sminuisce sollecitando un diverso apprezzamento degli elementi indiziari che compongono il quadro accusatorio, aspetto, questo che costituisce oggetto del quarto motivo di ricorso. 3.2. Rileva il Collegio che l'ordinanza impugnata dopo avere evidenziato dati, questi si' generici (l'anomalo aumento del numero dei pazienti; dei tamponi eseguiti; le stesse dichiarazioni dei colleghi medici che segnalavano il passaggio di loro pazienti in carico al dottor (OMISSIS) a fronte del rifiuto di emettere la certificazione di esenzione senza esigenze mediche giustificative) e' passata ad esaminare le risultanze delle operazioni di intercettazione che "riproducono" i contatti del sanitario con i pazienti in occasione della "falsa" somministrazione dei vaccini (perche' mai eseguita) e della somministrazione di una dose minima di vaccino a seguito di trattative (ne e' un caso tipo quello descritto a proposito del (OMISSIS)). Con questi elementi di prova il ricorso, ma anche la memoria difensiva, non si confrontano seriamente proponendo una lettura depotenziata degli elementi chiaramente evincibili dal tenore e dal contenuto delle conversazioni intercettate e del risultato di prova che ne consegue e sollecitando una rilettura delle risultanze in linea con le giustificazioni dell'indagato sulla causale delle dazioni; sulle modalita' di somministrazione del vaccino; sull'osservanza delle raccomandazioni dell'AIFA e sui risultati delle indagini sierologiche del (OMISSIS). In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento del risultato delle intercettazioni il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma vi ha genericamente contrapposto una lettura alternativa, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito non dirimenti e, comunque, gia' puntualmente vagliati in sede di riesame. 3.3. Il terzo e quinto motivo di ricorso sulla insussistenza delle esigenze cautelari e sulla abnormita' e sproporzione della misura interdittiva sono manifestamente infondati. Va rilevato che al ricorrente risulta applicata sia la misura degli arresti domiciliari che quella interdittiva, e che dalla premessa dell'ordinanza impugnata si evince che l'appello proposto concerneva la sola applicazione della misura interdittiva (e non anche il riesame avverso la misura degli arresti domiciliari) e che l'indagato aveva, altresi', proposto appello avverso l'ordinanza che aveva rigettato la richiesta di revoca/sostituzione della misura cautelare. A carico di del ricorrente il Tribunale ha ravvisato la sussistenza delle esigenze di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c) c.p.p. a nulla rilevando che la eliminazione degli obblighi correlati alla pandemia esclude la reiterazione proprio di quelle condotte connesse al rilascio e conseguimento dei certificati vaccinali. Le argomentazioni svolte in merito alla concretezza e attualita' delle esigenze non sono illogiche avendo il Tribunale bene evidenziato che le attivita' connesse alla pandemia sono state solo l'occasione per commettere reati che il ricorrente puo' reiterare in qualunque momento poiche' il sanitario, in relazione alle attivita' di medico di base, e' tenuto a rilasciare in piu' circostanze certificazioni mediche e che la scaltrezza e assecondamento delle volonta' dei pazienti che l'indagato ha mostrato, verso il pagamento di un corrispettivo, ne denotano in termini negativi la personalita' incline a commettere reati per l'utilita' propria e dei pazienti. Cosi' inquadrata dal giudice della cautela la condotta del ricorrente, per la sua reiterazione anche a fronte dell'emergere di sospetti sulla sottoposizione a indagini, non appaiono fondati i rilievi difensivi sulla carenza e, comunque, vizi di motivazione dell'ordinanza impugnata in punto di esigenze cautelari e adeguatezza della misura per la necessita' di rapportare il pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere, rispetto a condotte che, sia pure in forma rudimentale, sono state strutturate e reiterate nel tempo. Da qui il ritenuto maggior spessore del concreto e attuale pericolo di reiterazione di condotte delittuose contro la pubblica amministrazione valutato dal Tribunale non solo alla stregua della situazione di pandemia, ormai pervenuta ad una fase di regressione, perlomeno nelle sue piu' devastanti conseguenze, ma, piu' in generale, al ruolo che, nell'interesse pubblicistico, svolge l'indagato e rispetto al quale, proprio l'interdizione dell'attivita' lavorativa, costituisce la misura piu' adeguata a evitare il pericolo di reiterazione rispetto ad una misura custodiale (quella degli arresti domiciliari) che non e' oggetto dell'odierna impugnazione. In tema di reati contro la pubblica amministrazione, infatti, questa Corte ha affermato che il principio di proporzionalita' comporta che, ove il periculum libertatis venga individuato nel rischio di abuso dei pubblici poteri o della qualita', il giudice debba preventivamente verificare l'adeguatezza della misura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, essendo questa espressamente preordinata alla finalita' cautelare che si intende prevenire (Sez. 6, n. 40529 del 14/10/2021, Zappala, Rv. 282181). 4. Per le ragioni esposte i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila con favore della Cassa delle Ammende.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRESCIA Sezione Lavoro, Previdenza e Assistenza obbligatoria in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Isabella Angeli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia di primo grado promossa da (...) con l'avv. (...) - ricorrente contro (...) S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore con gli avv. (...) - resistente Oggetto: Altre ipotesi All'udienza di discussione, i procuratori delle parti concludevano come da rispettivi atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 c.p.c. (...) ha adito l'intestato Tribunale esponendo di essere stato assunto in data 8.6.1988 da Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia - con la qualifica di operaio di secondo livello super, con orario di lavoro pari a 6 ore e 30 minuti al giorno per sei giorni alla settimana - e di essere transitato senza soluzione di continuità alle dipendenze di (...) S.p.a., a seguito di cessione di ramo d'azienda, con decorrenza dal 1.1.2008. Ha rappresentato, in particolare, di essere addetto alla movimentazione dei cassonetti stradali per la raccolta differenziata dei rifiuti, del loro trasporto e del conferimento negli impianti di destinazione; ha precisato di svolgere le proprie mansioni quale "mono operatore", a bordo di autocarri senza contatti con altri lavoratori o con soggetti terzi. Ha rappresentato, altresì, di essere stato allontanato dal luogo di lavoro dal 15.10.2021 al 16.1.2022, con sospensione della relativa retribuzione, per essersi rifiutato di esibire la certificazione verde prevista dal d.l. 127/2021 conv. l. 165/2021 (c.d. green pass). Ha aggiunto di non avere mai dichiarato di essere privo della certificazione stessa, ma di non aver ritenuto necessario adempiere a tale richiesta, non manifestando sintomi influenzali, indossando dispositivi di protezione (mascherina) e svolgendo la propria prestazione lavorativa senza contatti interpersonali. Ha sostenuto l'illegittimità della citata disposizione, foriera di ingiustificate discriminazioni tra i lavoratori muniti e quelli privi di green pass a prescindere dal loro stato di salute e dell'effettiva sussistenza di un pericolo per la sicurezza collettiva in ragione delle caratteristiche delle specifiche attività professionali. Ha dedotto che la normativa in esame, equiparando l'omessa esibizione del green pass all' assenza ingiustificata, con conseguente sospensione della retribuzione, risultava contraria a principi di rango costituzionale (artt. 1, 2, 3, 4, 13, 35, 36, 38,1 17 comma 1, Cost.) ed europeo (artt. 49 e 52 Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE). Ha chiesto, dunque, previ i necessari accertamenti e la disapplicazione del d.l. 127/2021, la condanna di (...) S.p.a. al pagamento di tutti gli emolumenti di natura retributiva e contributiva relativi ai 53 giorni di sospensione dal lavoro, disposta in applicazione della normativa censurata. Con memoria ritualmente depositata si è costituita in giudizio (...) S.p.A., innanzitutto precisando che le giornate di assenza ingiustificata del lavoratore erano state 52 e non 53 e che, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, le sue mansioni prevedevano anche un previo accesso ai locali aziendali (portineria, spogliatori, ufficio tecnico, magazzino, officina, piazzale) nonché ad utenze non domestiche della città ed impianti. Ha dedotto, in ogni caso, l'irrilevanza delle concrete modalità di svolgimento dell'attività, ai fini dell'applicazione dell'obbligo di green pass, a fronte della normativa ratione temporis applicabile, correttamente osservata per tutto il periodo in contesa. Ha sostenuto, infine, la legittimità del decreto legge contestato da controparte, in ragione dell'interesse collettivo tutelato nonché della circostanza che, al fine di ottenere la certificazione verde, non fosse necessario sottoporsi al alcun trattamento sanitario, ma fosse sufficiente un test antigenico rapido o molecolare (cd. tampone), senza alcuna compromissione della libertà di autodeterminazione. Ha chiesto, dunque, il rigetto integrale delle domande avversarie. Il ricorso non può essere accolto per le ragioni di seguito esposte. Come noto, l'art. 3 d.l. 127/2021 conv. l. 165/2021 ha introdotto l'art. 9-septies nel d.l. 52/2021 conv. l. 87/2021, con il quale è stato previsto, dal 15.10.2021 e sino al 31.12.2021 (data poi prorogata, dapprima al 31.03.2022 e poi al 30.04.2022) l'obbligo per chiunque svolgesse un'attività lavorativa nel settore privato, di possedere ed esibire su richiesta la certificazione verde COVID-19 di cui all'art. 9, comma 2, del medesimo decreto "ai fini dell'accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta". La norma prevedeva altresì che il datore di lavoro fosse tenuto a verificare il rispetto delle prescrizioni e che nell'ipotesi di mancato possesso dell'attestazione da parte di alcuni dipendenti, gli stessi dovessero considerarsi "assenti ingiustificati" con conseguente sospensione dalla retribuzione e da ogni altro compenso ed emolumento, senza conseguenze disciplinari. Dalla mera lettura della disposizione citata si evince come la stessa fosse destinata a trovare applicazione con riferimento a tutti i lavoratori del settore privato, compreso quindi il (...). La normativa, infatti, ha introdotto una deroga solo per coloro che fossero stati esentati dalla somministrazione del vaccino, sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti dal Ministero della salute. Lo stesso ricorrente, d'altro canto, non ha negato di essere destinatario dell'obbligo di green pass, ma ha contestato la legittimità della norma laddove: - ha introdotto un dovere indiscriminato di possesso ed esibizione della certificazione, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e dall'effettivo stato di salute del dipendente; - ha equiparato il mancato possesso del certificato ad un'assenza ingiustificata con sospensione della retribuzione, anche laddove il dipendente stesso si presentasse correttamente al lavoro senza sintomi influenzali. Ebbene, a fronte di tale quadro normativo, non si rilevano profili di illegittimità nella condotta della società. Invero, è pacifico che il datore di lavoro abbia rifiutato l'attività del (...) sulla base di disposizioni di rango primario che hanno reso impossibile la prestazione a carico del dipendente, nel periodo 15.10.2021-16.01.2022. Stante la natura sinallagmatica del rapporto tra le parti, correttamente (...) S.p.a. - sia ai sensi della normativa emergenziale sia secondo il generale principio di cui all'art. 1463 c.c. - si è rifiutata di versare alla controparte la retribuzione richiesta, che avrebbe integrato un indebito emolumento a fronte dell'assenza di controprestazione, per motivi non riconducibili alla destinataria della stessa. Sotto questo profilo, alcun rilievo assumono le argomentazioni di cui all'atto introduttivo del giudizio, relative alla presunta incompatibilità del d.l. 127/2021 con i principi di rango costituzionale ed europeo. Il datore di lavoro privato, infatti, non avrebbe certamente potuto violare consapevolmente una disposizione vincolante di rango primario, sulla base di una mera prospettazione di illegittimità della stessa, riammettendo in servizio il ricorrente non in possesso della certificazione verde obbligatoria. In altri termini, anche qualora si ritenessero fondate le censure del ricorrente relative alla normativa nazionale, non sarebbe comunque possibile qualificare come illegittima ora per allora la condotta datoriale ed in particolare l'omesso versamento della retribuzione al dipendente, a fronte della mancata percezione della prestazione lavorativa, rifiutata in ottemperanza alla legge vigente. Tanto è sufficiente a far ritenere infondate le domande di parte ricorrente. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenendo conto della natura e del valore della controversia nonché dell'assenza di istruttoria. P.Q.M. Definitivamente pronunciando ogni contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede: respinge il ricorso; condanna (...) a rimborsare ad (...) S.p.a. le spese di lite, che si liquidano complessivamente in Euro 2.000, oltre a spese generali al 15%, IVA, CPA. Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Brescia il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancellaria l'11 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa Laura Laureti, nella causa tra: (...), ricorrente, rappresentata e difesa dall'avv. Laura Careri; E (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fr.Ma. e Ma.Gi.; E REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, contumace; all'udienza del 24 gennaio 2023 ha emesso la seguente Sentenza FATTO E DIRITTO (...) ha convenuto in giudizio la (...) e la Regione Lazio e ha dedotto di essere invalido civile, affetto da cecità assoluta, e di lavorare da circa 37 anni alle dipendenze della Azienda convenuta con mansioni di centralinista. Ha esposto che ha sempre esercitato le proprie mansioni all'interno di un ufficio non accessibile al pubblico e che sin dal 2 agosto 2020 è stato adibito a svolgere il suo lavoro esclusivamente dalla propria dimora (in modalità smart working). Con comunicazione del 15.12.2021 il ricorrente è stato invitato dal datore di lavoro alla vaccinazione anti SarsCoV2. Ritenendo che il personale non sanitario non adibito a lavoro a contatto con il pubblico sia escluso dall'obbligo di vaccinazione, il ricorrente ha contestato l'invito della (...). Con successivo provvedimento prot. n. (...) del 9.2.2022 la Commissione per la verifica dell'obbligo vaccinale ha accertato l'inosservanza dell'obbligo da parte del (...) e la (...) con prot. (...) del 9.2.2022 ha disposto la sua sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ai sensi dell'art. 4-ter del D.L. n. 44 del 2021. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 per violazione dell'art. 2 D.L. n. 172 del 2021 (art. 4-ter co. 3 D.L. n. 44 del 2021), dell'art. 1 D.L. n. 1 del 2022, per inadempimento contrattuale del datore di lavoro e inesigibilità dell'obbligo vaccinale. Ha evidenziato l'illegittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale per contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 32, 36 e 117 della Costituzione, nonché del Codice di Norimberga, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione di Oviedo. Il sig. (...) ha quindi chiesto al Giudice di accertare l'illegittimità del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di disapplicarlo e di condannare le resistenti al risarcimento del danno mediante pagamento in suo favore delle retribuzioni non corrisposte maturate dalla data di sospensione fino alla data di effettiva riammissione in servizio; ha chiesto altresì di condannare le resistenti alla regolarizzazione contributiva della sua posizione previdenziale per il periodo di illegittima sospensione e di computarlo come periodo di effettivo servizio anche ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Si è costituita la (...) e ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata. In via preliminare la convenuta ha osservato che in data 21.4.2022, il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è stato riammesso in servizio a seguito di invio di referto negativo e possesso di green pass (per guarigione in esito a contagio). Ha quindi chiesto di dichiarare l'inammissibilità/improcedibilità della domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio per cessazione della materia del contendere. Nel merito la (...) ha osservato di essersi conformata alla legge a suo tempo vigente che ha previsto l'obbligo vaccinale del ricorrente, in quanto lavoratore presso struttura sanitaria e ultracinquantenne; che la normativa non contempla il lavoro agile quale causa di esonero dall'obbligo vaccinale; che il legislatore ha demandato al datore di lavoro il compito di assicurare la puntuale e rigorosa applicazione delle norme in materia di obbligo vaccinale. La Regione Lazio, regolarmente citata, non si è costituita ed è stata dichiarata contumace. Alla udienza del 17 maggio 2022, la parte ricorrente ha confermato la revoca della sospensione dal servizio e dalla retribuzione e la sua riammissione al lavoro. Ha quindi aderito alla richiesta di cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di ripristino del rapporto di lavoro, mentre ha insistito con la domanda di risarcimento del danno e corresponsione delle retribuzioni omesse durante il periodo di illegittima sospensione. Sul contradditorio così instaurato, la causa ritenuta documentalmente istruita, è stata discussa e decisa con separata sentenza nel corso della odierna udienza. Per orientamento costante e consolidato della S.C. "La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice" (Cass. SS.UU. n. 13969/2004, e nn. 16150/2010, 11931/2006; di recente Cass. n. 2063/2014). Inoltre "La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, che si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l'interesse ad agire e a contraddire, e cioè l'interesse ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all'azione proposta e alle difese svolte dal convenuto" (Cass. 2567/2007 e 4714/2006). Nella specie sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessata materia del contendere in relazione alla domanda di revoca della sospensione dal lavoro e riammissione in servizio. Il provvedimento di sospensione (impugnato) del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è rientrato in servizio dal 21.4.2022. Successivamente al deposito del ricorso (del 9.4.2022) è venuto meno l'interesse delle parti ad una pronuncia del Giudice di annullamento del Provv. del 9 febbraio 2022. Si ritiene poi fondata la domanda di accertamento della illegittima sospensione operata dalla azienda resistente. Il provvedimento di sospensione dal lavoro del 9.2.2022 e l'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale richiamano l'art. 2 del D.L. 26 novembre 2021, n. 172, che ha introdotto l'art. 4-ter al D.L. n. 44 del 2021 sull'estensione dell'obbligo vaccinale, tra l'altro, al personale che opera nelle strutture sanitarie. L'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., nella versione applicabile ratione temporis, statuisce che: "Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del D.L. n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie:? c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis" (comma 1). I successivi commi 2 e 3 dispongono che "La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1. I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1. Si applicano ledisposizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 7" (comma 2) e che "I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento del predetto obbligo vaccinale ... Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021". Gli artt. 4 e 4-bis, richiamati dall'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., prevedono l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (ossia coloro che esercitano professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e la professione ostetrica), nonché per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie. L'art. 8-ter del D.Lgs. n. 502 del 1992, inoltre, fa riferimento alle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie la cui realizzazione è subordinata ad autorizzazione. L'obbligo vaccinale in esame è stato introdotto per prevenire e contenere la diffusione dell'infezione da virus SARS-Cov-2 al fine di tutelare la salute pubblica e in particolare i soggetti fragili. La sua imposizione comporta una limitazione di libertà personali costituzionalmente protette che si giustifica in ragione della situazione emergenziale all'epoca esistente, del dovere inderogabile di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della salute come interesse della collettività (art. 32 Cost.), valori di pari rango costituzionale. La disciplina dell'obbligo vaccinale, dunque, è il risultato di un bilanciamento di interessi (individuali e collettivi) contrapposti e per questo, limitando fortemente libertà individuali in funzione della tutela della salute della collettività, va interpretata restrittivamente. Nella specie il ricorrente è dipendente della (...) con mansioni di centralinista. Ha dedotto di aver svolto la sua attività lavorativa in un ufficio non accessibile al pubblico e dal 2 agosto 2020 ha lavorato esclusivamente dalla propria abitazione nella modalità del lavoro agile (o smart working). Non è un sanitario, né è adibito a prestazioni a contatto con il pubblico. Né, alla data di entrata in vigore dell'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4-ter in esame (15.12.2021), operava presso una struttura sanitaria o socio-sanitaria. Come osservato, l'art. 4-ter in esame ha introdotto l'obbligo vaccinale per il "personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" ossia nelle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie, con esclusione dei collaboratori con contratti esterni e fermo restando l'obbligo vaccinale dei soggetti di cui all'art. 4 e 4-bis. Si ritiene che il ricorrente non rientri in alcuna delle categorie sopra descritte soggette all'obbligo vaccinale. Per un verso, non fa parte del personale sanitario in quanto svolge mansioni di centralinista; per l'altro, prestando attività lavorativa esclusivamente da casa già da agosto 2020, non opera presso una struttura dedicata all'assistenza e al ricovero dei pazienti, non ha contatti con il pubblico né con persone fragili o malate. Inoltre, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest'ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. Alla luce delle osservazioni descritte, si ritiene che sia illegittimo il provvedimento di sospensione dal lavoro del (...) del 9.2.2022, con conseguente condanna della (...) a pagare al ricorrente le retribuzioni maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione. La (...) va altresì condannata a regolarizzare la posizione previdenziale del ricorrente e a considerare il periodo di sospensione come periodo di effettivo lavoro ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Il ricorso va quindi accolto per le ragioni descritte e ciò assorbe l'esame delle ulteriori censure formulate da parte attrice. Si ritiene di compensare le spese di lite tra le parti per la novità e complessità delle questioni trattate. Queste sono le ragioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio; Condanna la (...) resistente al pagamento, in favore del sig. (...), della retribuzione maturata durante il periodo di illegittima sospensione dal lavoro, oltre interessi come per legge, e di computarlo come periodo di effettivo servizio ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa; Condanna altresì la (...) resistente alla regolarizzazione contributiva della posizione previdenziale del ricorrente per il periodo di illegittima sospensione; Compensa le spese di lite. Così deciso in Frosinone il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AREZZO in composizione monocratica, in persona del giudice del lavoro, dott. Giorgio Rispoli, all'esito della discussione orale, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto (ai sensi dell'art. 429 c.p.c.) la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 834/2022 r.g. promossa da (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. MO.CA., giusta procura in calce all'atto di citazione elettivamente domiciliato in Via (...) 53034 Colle di Val d'Elsa Italia presso il difensore avv. MO.CA. RICORRENTE nei confronti di (...) SPA (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. TO.CR., giusta mandato a margine della comparsa di risposta ed elettivamente domiciliato presso il difensore avv. TO.CR. RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO (art. 132 comma II n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla L. n. 69 del 2009 del 18.6.2009) Con ricorso depositato in data 25.10.2022, (...) agisce nei confronti di (...) S.p.a. chiedendo previo accertamento del corretto inquadramento del dipendente la condanna di parte resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 7.033,37 per differenze retributive, oltre permessi, maggiorazioni e differenze corrispondenti al nuovo livello per notturno, festività, ferie dalla data dell'assunzione, nonché la declaratoria dell'illegittimità della sospensione disposta con comunicazione del 28/04/2022 e per l'effetto disporre il pagamento della retribuzione prevista per il IV livello per i mesi dalla sospensione sino all'effettivo rientro, onerando il datore di lavoro degli adempimenti di legge per il nuovo rilascio del decreto di nomina prefettizio che consenta la riammissione in servizio del dipendente. A sostegno delle proprie richieste deduce che ha prestato e sta continuando a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze della resistente , come guardia particolare giurata, VI livello dal 7 maggio 2018, prima con contratto a tempo determinato, rinnovato con comunicazione datata 3/5/2019 e quindi, trasformato a tempo indeterminato a partire dal 22/09/2019; che sin dal momento dell'assunzione, ha svolto la propria mansione come "operatore di centrale", gestendo gli allarmi, reperendo aziende "consorziate" per l'intervento in loco, predisponendo contatti con i responsabili; che detta mansione è stata sempre svolta senza la dotazione dell'arma di ordinanza: ogni dipendente (anche inquadrato come guardia giurata) è stato assunto previa verifica dei requisiti necessari per il rilascio del solo decreto Prefettizio e mai è stato richiesto che fosse dotato obbligatoriamente del porto d'armi e, quindi, dell'arma di ordinanza; che il lavoro è proseguito senza particolari difficoltà sino al momento in cui è subentrata la normativa speciale per la gestione emergenziale epidemiologica; che ha scelto di non vaccinarsi e quando è divenuto obbligatorio il cd. green pass, in data 08/10/2021 ha chiesto di usufruire di un periodo di ferie. Quindi in data 01/11/2021, previo rifiuto dell'offerta aziendale di provvedere al pagamento per l'effettuazione dei tamponi obbligatori, è stato sospeso dalla prestazione e dallo stipendio; che ha accettato serenamente il provvedimento limitandosi a proporre lo svolgimento della prestazione in modo diverso, mediante smart working; che tale proposta è stata rifiutata dall'azienda "in considerazione della tipologia di lavoro e di mansioni"; che in quel periodo la resistente ha indetto una riunione con tutti i dipendenti (di cui è venuto a sapere solo ad inizio anno, mediante una telefonata del titolare di licenza della (...) stessa) nella quale sono stati informati che la resistente era stata autorizzata a dotarli dell'arma di ordinanza; che mediante comunicazione datata 28/01/2022 la resistente comunicava formalmente che l'Istituto era stato autorizzato a dotare i dipendenti di arma da fuoco e ricordava che il decreto prefettizio del ricorrente era in scadenza e quindi allegava la documentazione da riempire e restituire sottoscritta per il rinnovo del decreto e la richiesta di porto d'armi, oltre che effettuare le visite mediche; che detta comunicazione veniva riscontrata dal ricorrente che contestava l'obbligatorietà dell'arma e richiamava contestualmente gli obblighi/doveri assunti dalle parti con la stipula del contratto individuale di assunzione; che il rifiuto del dipendente di presentare richiesta di porto d'armi per svolgere la mansione sarebbe legittimo; che in base alle mansioni concretamente svolte dal ricorrente, secondo la declaratoria del CCNL applicabile, il livello spettante sarebbe il IV e non il V; che detto superiore inquadramento comporterebbe una differenza retributiva di Euro 7.033,37. Sulla scia di tali apporti conclude come da proprio atto introduttivo. Si costituisce ritualmente la parte resistente (...) S.p.a. chiedendo la reiezione della pretesa ex adverso formulata, in quanto asseritamente infondata in fatto e in diritto. Istruita in via esclusivamente documentale (stante la superfluità dell'istruttoria testimoniale richiesta per i motivi di cui infra) la causa viene discussa - e contestualmente decisa - all'udienza odierna. Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Non risulta anzitutto accoglibile la domanda volta alla declaratoria dell'illegittimità della sospensione disposta con comunicazione del 28/04/2022 e al pagamento della retribuzione prevista per il IV livello per i mesi dalla sospensione sino all'effettivo rientro. Ciò in quanto, difetta nella fattispecie qualsivoglia offerta formale della prestazione, ad iniziativa del ricorrente, successiva al 28.04.2022 ed idonea a costituire in mora (...) S.p.a., circostanza né allegata né dedotta dall'odierno ricorrente. Tale mancanza determina l'infondatezza della relativa domanda, con conseguente assorbimento degli ulteriori profili di merito dedotti sul punto, in quanto l'art. 2094 c.c. prevede il principio di necessaria corrispettività fra prestazione di lavoro e retribuzione. Ne deriva che, in difetto di una valida offerta formale della propria prestazione lavorativa, è impossibile invocare l'eccezione d'inadempimento exart. 1460 c.c. Del pari appare da respingersi la richiesta inerente al superiore livello d'inquadramento. Preme anzitutto al giudicante sottolineare la superfluità dell'istruttoria costituenda richiesta sul punto, in quanto è incontestato fra le parti che il ricorrente abbia svolto le esatte mansioni indicate in ricorso. Tuttavia ritiene il decidente che lo svolgimento di dette mansioni non appaia in concreto comparabile col superiore livello d'inquadramento reclamato per mancanza di una compiuta attività allegatoria di parte sul punto. Ed infatti, il CCNL applicato contiene - ai fini della descrizione delle mansioni e delle relative declaratorie - un richiamo al D.M. n. 269 del 2010, regolamento che non è stato prodotto dal ricorrente né dal resistente. Stante la natura amministrativa del decreto ministeriale non appare al giudicante possibile disporne l'acquisizione ex art. 421 c.p.c. (Cfr. Cass. Sez. Unite, 29.04.2009 n. 9441, Cass. - Sez. III Civ.2543/2019). In tal modo, tuttavia, parte ricorrente non ha in alcun modo fornito contezza delle ragioni e del perché le attività da lei svolte sarebbero riconducibili alla declaratoria del V livello rivendicato, non avendo allegato alcunché sui tratti distintivi tra le mansioni concretamente svolte e il livello d'inquadramento rivendicato e non avendo di conseguenza posto in risalto ciò che differenzia una declaratoria dall'altra e in particolare il necessario quid pluris del livello rivendicato. Alla luce del costante insegnamento giurisprudenziale, il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindere da tre fasi successive, cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini (Così, ex pluribus, Cass. 7.4.2016 n. 6762; Cass. 4.4.2016 n. 6496; Cass. 28.4.2015 n. 8589; Cass. 27.9.2010 n. 20272; Cass. 20.2.2004 n. 3446; Cass. 16.2.2005 n. 3069; Cass. 1.9.2004 n. 17561; Cass. 20.11.2000 n. 14981; Cass. 1.7.1998 n. 6446; Cass. 11.1.1990 n. 54, Cass. 21.8.1987 n. 6999). In altre parole, il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica diversa ha l'onere di allegare (e poi di provare) gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente e con precisione, con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. A tale riguardo, tuttavia, "non basta dire: questi sono i compiti, questa è la disposizione contrattuale invocata, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l'intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell'attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale. Nè può, a tal fine, sopperire l'intervento ufficioso del Giudice che non solo ignora i dati fattuali di riscontro, ma neppure può interferire con il principio fondante la regola processuale, che impone a colui che dice l'onere di allegare e di provare gli elementi complessivi posti a sostegno della domanda" (In tal senso Cass. n. 8025 del 2003). In presenza di siffatte carenze, pertanto, la domanda di parte ricorrente non può che essere disattesa. Alla luce di quanto prospettato, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Il giudicante non rinviene ragioni per discostarsi dai parametri medi dello scaglione di valore di riferimento (cause di lavoro senza svolgimento d'istruttoria costituenda di valore compreso fra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00). P.Q.M. L'intestato Tribunale, definitivamente decidendo in ordine alla controversia in epigrafe: 1. RESPINGE il ricorso; 2. CONDANNA parte ricorrente al pagamento - in favore della resistente - delle spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre contributo unificato se dovuto, spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario ove richiesto. Così deciso in Arezzo il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AREZZO in composizione monocratica, in persona del giudice del lavoro, dott. Giorgio Rispoli, all'esito della discussione orale, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto (ai sensi dell'art. 429 c.p.c.) la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 832/2022 r.g. promossa da (...) (c.f. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. MO.CA., giusta procura in calce all'atto di citazione elettivamente domiciliato in Via (...) 53034 Colle di Val d'Elsa Italia presso il difensore avv. MO.CA. RICORRENTE nei confronti di (...) SPA (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. TO.CR., giusta mandato a margine della comparsa di risposta ed elettivamente domiciliato presso il difensore avv. TO.CR. RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO (art. 132 comma II n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla L. 69 del 2009 del 18 giugno 2009) Con ricorso depositato in data 25.10.2022, (...) agisce nei confronti di (...) S.p.a. chiedendo previo accertamento del corretto inquadramento del dipendente la condanna di parte resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.926,41 per differenze retributive, oltre permessi, maggiorazioni e differenze corrispondenti al nuovo livello per notturno, festività, ferie dalla data dell'assunzione, nonché la declaratoria dell'illegittimità della sospensione disposta con comunicazione del 28/04/2022 e per l'effetto disporre il pagamento della retribuzione prevista per il IV livello per i mesi dalla sospensione sino all'effettivo rientro, onerando il datore di lavoro degli adempimenti di legge per il nuovo rilascio del decreto di nomina prefettizio che consenta la riammissione in servizio del dipendente. A sostegno delle proprie richieste deduce che ha prestato e sta continuando a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze della resistente , come guardia particolare giurata, VI livello dal 23 aprile 2018, prima con contratto a tempo determinato, rinnovato con comunicazione datata 17/10/2018 e quindi, trasformato a tempo indeterminato a partire dal 23/04/2019; che sin dal momento dell'assunzione, ha svolto la propria mansione come "operatore di centrale", gestendo gli allarmi, reperendo aziende "consorziate" per l'intervento in loco, predisponendo contatti con i responsabili; che detta mansione è stata sempre svolta senza la dotazione dell'arma di ordinanza: ogni dipendente (anche inquadrato come guardia giurata) è stato assunto previa verifica dei requisiti necessari per il rilascio del solo decreto Prefettizio e mai è stato richiesto che fosse dotato obbligatoriamente del porto d'armi e, quindi, dell'arma di ordinanza; che il lavoro è proseguito senza particolari difficoltà sino al momento in cui è subentrata la normativa speciale per la gestione emergenziale epidemiologica; che ha scelto di non vaccinarsi e quando è divenuto obbligatorio il cd. green pass, in data 08/10/2021 ha chiesto di usufruire di un periodo di ferie. Quindi in data 01/11/2021, previo rifiuto dell'offerta aziendale di provvedere al pagamento per l'effettuazione dei tamponi obbligatori, è stato sospeso dalla prestazione e dallo stipendio; che ha accettato serenamente il provvedimento limitandosi a proporre lo svolgimento della prestazione in modo diverso, mediante smart working; che tale proposta è stata rifiutata dall'azienda "in considerazione della tipologia di lavoro e di mansioni"; che in quel periodo la resistente ha indetto una riunione con tutti i dipendenti (di cui è venuto a sapere solo ad inizio anno, mediante una telefonata del titolare di licenza della (...) stessa) nella quale sono stati informati che la resistente era stata autorizzata a dotarli dell'arma di ordinanza; che mediante comunicazione datata 28/01/2022 la resistente comunicava formalmente che l'Istituto era stato autorizzato a dotare i dipendenti di arma da fuoco e ricordava che il decreto prefettizio del ricorrente era in scadenza e quindi allegava la documentazione da riempire e restituire sottoscritta per il rinnovo del decreto e la richiesta di porto d'armi, oltre che effettuare le visite mediche; che detta comunicazione veniva riscontrata dal ricorrente che contestava l'obbligatorietà dell'arma e richiamava contestualmente gli obblighi/doveri assunti dalle parti con la stipula del contratto individuale di assunzione; che il rifiuto del dipendente di presentare richiesta di porto d'armi per svolgere la mansione sarebbe legittimo; che in base alle mansioni concretamente svolte dal ricorrente, secondo la declaratoria del CCNL applicabile, il livello spettante sarebbe il IV e non il V; che detto superiore inquadramento comporterebbe una differenza retributiva di Euro 6.926,41. Sulla scia di tali apporti conclude come da proprio atto introduttivo. Si costituisce ritualmente la parte resistente (...) S.p.a. chiedendo la reiezione della pretesa ex adverso formulata, in quanto asseritamente infondata in fatto e in diritto. Istruita in via esclusivamente documentale (stante la superfluità dell'istruttoria testimoniale richiesta per i motivi di cui infra) la causa viene discussa - e contestualmente decisa - all'udienza odierna. Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Non risulta anzitutto accoglibile la domanda volta alla declaratoria dell'illegittimità della sospensione disposta con comunicazione del 28/04/2022 e al pagamento della retribuzione prevista per il IV livello per i mesi dalla sospensione sino all'effettivo rientro. Ciò in quanto, difetta nella fattispecie qualsivoglia offerta formale della prestazione, ad iniziativa del ricorrente, successiva al 28.04.2022 ed idonea a costituire in mora (...) S.p.a., circostanza né allegata né dedotta dall'odierno ricorrente. Tale mancanza determina l'infondatezza della relativa domanda, con conseguente assorbimento degli ulteriori profili di merito dedotti sul punto, in quanto l'art. 2094 c.c. prevede il principio di necessaria corrispettività fra prestazione di lavoro e retribuzione. Ne deriva che, in difetto di una valida offerta formale della propria prestazione lavorativa, è impossibile invocare l'eccezione d'inadempimento ex art. 1460 c.c. Del pari appare da respingersi la richiesta inerente al superiore livello d'inquadramento. Preme anzitutto al giudicante sottolineare la superfluità dell'istruttoria costituenda richiesta sul punto, in quanto è incontestato fra le parti che il ricorrente abbia svolto le esatte mansioni indicate in ricorso. Tuttavia ritiene il decidente che lo svolgimento di dette mansioni non appaia in concreto comparabile col superiore livello d'inquadramento reclamato per mancanza di una compiuta attività allegatoria di parte sul punto. Ed infatti, il CCNL applicato contiene - ai fini della descrizione delle mansioni e delle relative declaratorie - un richiamo al D.M. n. 269 del 2010, regolamento che non è stato prodotto dal ricorrente né dal resistente. Stante la natura amministrativa del decreto ministeriale non appare al giudicante possibile disporne l'acquisizione ex art. 421 c.p.c. (Cfr. Cass. Sez. Unite, 29.04.2009 n. 9441, Cass. - Sez. III Civ. 2543/2019). In tal modo, tuttavia, parte ricorrente non ha in alcun modo fornito contezza delle ragioni e del perché le attività da lei svolte sarebbero riconducibili alla declaratoria del V livello rivendicato, non avendo allegato alcunché sui tratti distintivi tra le mansioni concretamente svolte e il livello d'inquadramento rivendicato e non avendo di conseguenza posto in risalto ciò che differenzia una declaratoria dall'altra e in particolare il necessario quid pluris del livello rivendicato. Alla luce del costante insegnamento giurisprudenziale, il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindere da tre fasi successive, cioè dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini (Così, ex pluribus, Cass. 7.4.2016 n. 6762; Cass. 4.4.2016 n. 6496; Cass. 28.4.2015 n. 8589; Cass. 27.9.2010 n. 20272; Cass. 20.2.2004 n. 3446; Cass. 16.2.2005 n. 3069; Cass. 1.9.2004 n. 17561; Cass. 20.11.2000 n. 14981; Cass. 1.7.1998 n. 6446; Cass. 11.1.1990 n. 54, Cass. 21.8.1987 n. 6999). In altre parole, il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica diversa ha l'onere di allegare (e poi di provare) gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente e con precisione, con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. A tale riguardo, tuttavia, "non basta dire: questi sono i compiti, questa è la disposizione contrattuale invocata, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l'intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell'attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale .Nè può, a tal fine, sopperire l'intervento ufficioso del Giudice che non solo ignora i dati fattuali di riscontro, ma neppure può interferire con il principio fondante la regola processuale, che impone a colui che dice l'onere di allegare e di provare gli elementi complessivi posti a sostegno della domanda" (In tal senso Cass. n. 8025 del 2003). In presenza di siffatte carenze, pertanto, la domanda di parte ricorrente non può che essere disattesa. Alla luce di quanto prospettato, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Il giudicante non rinviene ragioni per discostarsi dai parametri medi dello scaglione di valore di riferimento (cause di lavoro senza svolgimento d'istruttoria costituenda di valore compreso fra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00). P.Q.M. L'intestato Tribunale, definitivamente decidendo in ordine alla controversia in epigrafe: 1. RESPINGE il ricorso; 2. CONDANNA parte ricorrente al pagamento - in favore della resistente - delle spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre contributo unificato se dovuto, spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario ove richiesto. Così deciso in Arezzo il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierlui - Consigliere Dott. ARIOLLI G. - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere Dott. MONACO Marco M - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/07/2022 del TRIB. LIBERTA' di BARI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale Dott. ORSI LUIGI, che ha chiesto il rigetto di ricorso; Il difensore, Avvocato (OMISSIS), con nota inviata in alla cancelleria il 10/01/2023, nel rappresentare l'impossibilita' sopravvenuta ad essere presente alla discussione orale, ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO (OMISSIS) ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Bari del 25/07/2022 che ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata al ricorrente dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia, in ordine ai reati di cui agli articoli 110, 56 c.p. - articolo 628 c.p., commi 1 e 3, n. 1 e articoli 110, 582-585 in relazione all'articolo 576 c.p., n. 1. Con un unico motivo il ricorrente deduce "l'erronea applicazione di norma processuale - travisamento degli atti - carenza di motivazione". Si lamenta, anzitutto, che il Tribunale del riesame abbia travisato il contenuto dell'interrogatorio dell'indagato: - nella parte in cui spiegava le ragioni della sua presenza al momento dei fatti: contrariamente a quanto indicato dal Tribunale del riesame, l'indagato non aveva incontrato casualmente le altre persone coinvolte nella vicenda, bensi' si trovava con queste con cui aveva trascorso la prima parte della serata presso un ristorante con le rispettive mogli; - laddove aveva escluso che la persona offesa l'avesse potuto vedere, considerato che era stato lo stesso indagato a precisare che, dopo cena, si erano recati tutti insieme presso un bar con l'intenzione di bere qualcosa e che in quell'occasione la persona offesa che si trovava li' vicino non poteva non averlo notato (precisamente allorche' il ricorrente, fatto ingresso nel locale con gli altri, ne era poi uscito in quanto alcuni non avevano il green pass). Inoltre, si ribadisce l'estraneita' del ricorrente alla lite, considerato che il (OMISSIS), per come confermato dalla moglie nelle informazioni rese al difensore, aveva raggiunto l'auto del (OMISSIS) ove, pur avendo notato il tafferuglio, con questa permaneva in quanto il figlio piccolo, svegliato dalle urla della lite, cominciava a piangere. Il Tribunale del riesame non si era confrontato con tali dichiarazioni a discarico, limitandosi a ritenere non credibile la versione difensiva resa dal ricorrente, con cio' incorrendo nel vizio di omessa motivazione da cui ne derivava la nullita' dell'ordinanza impugnata ai sensi dell'articolo 292 c.p.p., comma 2-ter in riferimento all'articolo 327-bis c.p.p.. Inoltre, con riguardo alla valenza gravemente indiziaria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la difesa rileva come, in sede di prima denuncia, questa avesse riconosciuto con certezza come aggressore il (OMISSIS), ossia colui che lo colpiva al volto con dei pugni, indicando il (OMISSIS) solo come uno dei soggetti che era sopraggiunto unitamente agli altri a bordo di tre autovetture, non ricordando ne' il veicolo sul quale viaggiava, ne' se lo avesse aggredito, mentre sentita a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria a distanza di due mesi, aveva mutato la versione dei fatti, indicando con precisione anche l'indagato, unitamente ad altri, come uno di quelli che lo avevano colpito con calci e pugni mentre si trovava a terra. Rispetto a tale divergenza, non solo nulla era precisato nell'ordinanza genetica, ma lo stesso Tribunale del riesame rendeva una motivazione illogica, in quanto ne asseverava il coinvolgimento in ragione del fatto che i testi presenti avevano riferito di un'aggressione realizzata da piu' persone, omettendo anche di considerare che uno dei testi escussi ( (OMISSIS)) non aveva saputo precisare quanti dei soggetti facenti parte del gruppo a cui era unito l'indagato avevano preso parte alle azioni lesive. Infine, si era anche disatteso l'elemento fattuale costituito dalla particolare stazza del ricorrente, circostanza che avrebbe dovuto rimanere sin dall'inizio impressa nella memoria della persona offesa e che avrebbe certamente reso maggiormente possibile, laddove effettivamente l'aggressione sarebbe avvenuta ad opera di piu' soggetti, la sottrazione del cellulare. 2. Con nota di conclusioni trasmessa in data 10/01/2023, la difesa del ricorrente, nel segnalare l'impossibilita' di partecipare all'odierna udienza, ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato sotto il profilo del vizio di motivazione. 1. Alcuna motivazione e' anzitutto contenuta nel provvedimento impugnato circa la divergenza tra le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di denuncia e quelle rilasciate, a distanza di quasi due mesi, in sede di sommarie informazioni alla polizia giudiziaria. Dalla ricostruzione della vicenda operata dal giudice del merito risulta, infatti, che il ricorrente sia stato per la prima volta riconosciuto quale uno degli aggressori soltanto in sede di sommarie informazioni, mentre nella prima denuncia la persona offesa, pur avendo visionato i fotogrammi estrapolati dai Carabinieri del filmato dalla stessa consegnato, lo ha indicato come presente all'accaduto per via di alcuni capi da questo indossati (giubbotto scuro e berretto da baseball), non ricordando se facesse parte del gruppo di persone che poi l'avevano aggredito. Al riguardo, il Tribunale del riesame, affermando che "non vi e' alcun motivo per dubitare delle dichiarazioni rese dalla persona offesa", ha offerto una motivazione tautologica ed apparente, omettendo in toto di indicare il percorso logico-argomentativo che ha portato a ritenere attendibile la seconda versione rispetto alla prima, anche in considerazione del rilievo difensivo attinente alla robusta corporatura dell'indagato che, distinguendolo marcatamente dagli altri partecipanti, aventi tra loro una simile struttura fisica, lo avrebbe reso riconoscibile. Ne', al riguardo, risulta sufficiente il generico richiamo a quanto dichiarato dagli altri due testi escussi, posto che l'ordinanza impugnata, seppur precisa che questi hanno riferito di piu' persone partecipanti all'aggressione e di avere al contempo subito calci e pugni dagli stessi soggetti allorche' intervennero a difesa dell'offeso, non chiarisce se costoro abbiano poi indicato quali tra gli indagati, una volta usciti dal locale, siano tornati indietro per aggredire la persona offesa e si siano scagliandosi anche contro di loro. Di conseguenza, seppur in tema di concorso di persone nel reato non e' necessario che tutti i concorrenti tengano l'azione tipica, potendo risultare sufficiente anche la semplice presenza, purche' non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, quando sia servita a fornire all'autore del fatto stimolo all'azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa (ex multis Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia ed altri, Rv. 257979 - 01), occorre, pero', che di tale qualificata compartecipazione ed intento il giudice del merito fornisca congrua motivazione. 2. Inoltre, analogo vizio di motivazione e' dato ricavarsi anche con riguardo ai rilievi in forza dei quali si e', allo stato, esclusa l'attendibilita' della versione a discarico fornita dal ricorrente nel corso dell'interrogatorio di garanzia e dalla di lui moglie in sede di informazioni al difensore. Al riguardo, infatti, il Tribunale del riesame ha valorizzato un contrasto con le ragioni indicate dallo stesso indagato a motivo della presenza sui luoghi che, in realta', risultano frutto di travisamento per come allegato dal difensore che ha riprodotto nel ricorso il contenuto della parte di interesse dalla quale si evince che il (OMISSIS) non ha riferito di avere incontrato gli altri correi causalmente, ne' escluso che la persona offesa l'avesse potuto vedere, atteso che ha confermato che insieme agli altri si era poi volutamente recato dopo cena presso il bar ove poi sono accaduti i fatti, pur dichiarandosi estraneo alla lite una volta allontanatosi dal locale, in quanto recatosi con la moglie ed il figlio presso la sua autovettura, versione questa confermata dalla moglie al difensore nelle informazioni prodotte. 3. Ne', infine, risulta logicamente decisivo, quale elemento dimostrativo del coinvolgimento del ricorrente, il riferimento all'assenza, da parte di costui, di forme di dissuasione anche verbale, neanche successivamente ai fatti, condotta certamente riprovevole, ma di per se' riconducibile alla connivenza e non alla compartecipazione criminosa che, come noto, postula un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volonta' di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito. 4. Va, pertanto, annullata l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Bari. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO MONOCRATICO ORDINARIO (art. 544 e segg. c.p.p.) Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Daniela ANGELOZZI - alla pubblica udienza del giorno 09 gennaio 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato a A. (...) il (...), elettivamente domiciliato presso la propria residenza in S. B. del T., via E. n. 44 Libero - assente Difensore di fiducia Avv. An.St. del foro di Teramo IMPUTATO del reato (...) e (...) dall'art. 494 c.p., perché, al fine di procurarsi un vantaggio, consistito nell'accedere e cenare presso il ristorante "Pizzeria (...)" pur essendo privo della c.d. Certificazione Verde Covid-19 necessaria per l'accesso ai ristoranti come prescritto dalla normativa vigente in materia di contenimento del contagio Covid-19, sostituiva la propria persona esibendo al personale del suddetto ristorante il QR Code relativo alla Certificazione Verde del padre (...), in tal modo inducendo in errore il personale del ristorante sul fatto che fosse in possesso di regolare Certificazione Verde, e dunque legittimato ad accedere al ristorante, mentre in realtà ne era sprovvisto, in quanto non sottopostosi ad alcuna vaccinazione o tampone di controllo che ne autorizzasse il rilascio. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto in data 9.6.2022 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Pescara ha disposto il giudizio immediato per (...), a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, per rispondere del reato trascritto in epigrafe. Alla udienza del 31.10.2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, è stato revocato il decreto penale di condanna emesso dal Gip del Tribunale di Pescara n. 287/2022. Il difensore si è riportato alla precedente istanza presentata in sede di opposizione al decreto penale di condanna di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., chiedendone l'accoglimento. Alla udienza del 28.11.2022 il Giudice ha rigettato la richiesta formulata ex art. 448 c.p.p., ritenendo la pena proposta effettivamente illegale. Quindi, con il consenso delle parti, si è data lettura degli atti contenuti nel fascicolo del P.m. Il P.m. ha quindi rinunciato a tutti i testi della propria lista. Quindi, alla udienza del 9.1.2023, sulle conclusioni delle parti, il Tribunale si è ritirato in camera di consiglio e ha pronunciato sentenza come da dispositivo e motivazione di cui è stata data lettura in aula. Dagli atti acquisiti con il consenso delle parti è emerso che in data 10.10.2021, alle ore 21.20, l'ispettore (...), insieme all'assistente capo (...) e all'agente (...), procedeva al controllo degli avventori del ristorante Pizzeria Ristorante (...) della certificazione verde covid 19. Durante il controllo, un uomo, di circa 40 anni, faceva visionare il codice QR relativo asseritamente al proprio green pass, ma che corrispondeva ad una persona ultrasettantenne. L'uomo veniva identificato per (...), nato a A. (...) il (...) (mediante patente di guida), mentre il green pass esibito riportava i dati di (...), nato il (...) genitore dello stesso. Tale condotta integra gli estremi del reato di tentativo dell'art. 494 c.p. il quale punisce chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio (nel caso di specie, il vantaggio è costituito dall'accedere al ristorante), induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona. La giurisprudenza ha affermato che "Il delitto di sostituzione di persona è configurabile nella forma del tentativo quando l'agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti previsti dall'art. 494 cod. pen. senza riuscire nell'altrui induzione in errore, che individua il momento consumativo del reato per il quale non è necessario l'effettivo raggiungimento del vantaggio perseguito dall'agente, attinente al coefficiente psicologico del reato" (Sez. 5 -, Sentenza n. 5432 del 18/12/2020 Ud. (dep. 11/02/2021 ) Rv. 280336 - 01). Tuttavia, l'imputato deve essere assolto ex art. 131 bis c.p. Il delitto per cui si procede è punito, nella forma consumata, con la reclusione fino ad un anno. Il comportamento non è abituale, considerato il casellario giudiziale dell'imputato dal quale lo stesso risulta incensurato. Non si ravvisa alcuno degli elementi previsti dal secondo comma dell'art. 131 bis c.p.c. che escludono la valutazione di particolare tenuità della condotta (avere agito per motivi abietti e futili, con crudeltà, adoperando sevizie, approfittando delle condizioni di minorata difesa della vittima o determinando, come conseguenza del reato, la morte o le lesioni gravissime di una persona). L'offesa al bene giuridico protetto deve essere considerata di particolare tenuità, e ciò in ragione delle modalità della condotta, che peraltro consentivano agli operanti di intuire la sostituzione immediatamente. Ne consegue che (...) debba essere assolto dal reato ascrittogli, ai sensi dell'art. 530, primo comma c.p.p.., perché non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto, qualificato ex art. 56/494 c.p., essendo non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. Così deciso in Pescara il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.
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