Sentenze recenti guardrail

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PALERMO TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice dott.ssa Giovanna Nozzetti ha pronunciato, ai sensi dell'art. 281 quinquies co. 2 c.p.c., la seguente SENTENZA nella controversia iscritta al n. 21695 del registro generale degli affari civili dell'anno 2019 TRA (...), nato a Ibaguè - Tolima (Colombia) il (...) (C.F. (...)), e (...), nata a Ibaguè - Tolima (Colombia) (C.F. (...)), rappresentati e difesi, per mandato in calce all'atto di citazione, dagli avv.ti (...) (pec: (...)) e (...) (pec: (...)) ATTORI E (...) SPA (P I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura generale alle liti in Notar (...) di Torino del 27.4.2017 (rep. 81957 - racc. 38077) dall'Avv. (...) CONVENUTA E NEI CONFRONTI DI (...), nata a Palermo (C.F. (...)) ed ivi residente in via (...), (...), nato a Palermo (...) (C.F. (...)) ed ivi residente in via (...) CONVENUTI CONTUMACI OGGETTO: risarcimento danni da circolazione stradale Conclusioni: trascritte nel verbale dell'udienza del 26.1.2023 RAGIONI DELLA DECISIONE Con l'atto di citazione notificato nei giorni 20.12.2019/2.1.2020, (...) e (...) convennero in giudizio (...) e la (...) spa per sentirne pronunciare condanna solidale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti a seguito del sinistro stradale verificatosi a Palermo i 16.8.2017, alle ore 2,30 circa, allorquando (...), alla guida del motociclo SH 125 targato (...), nel percorrere in discesa la strada che dal Belvedere di Montepellegrino conduce al Santuario, poco prima del Santuario era stato attinto sul lato destro dall'autovettura Citroen C1, targata (...), condotta dal (...) che, ripartendo da una sosta, si era immessa incautamente, a luci spente e senza alcuna segnalazione, sulla strada principale percorsa dal giovane. Quest'ultimo, a seguito dell'urto, aveva perso il controllo del motociclo che era scivolato sull'asfalto ed era andato a schiantarsi contro il guardrail, mentre il conducente era caduto nell'adiacente scarpata riportando gravissime lesioni, per le quali era stato trasportato a mezzo autoambulanza presso il CTO dell'Ospedale Villa Sofia. Ascrivendo l'esclusiva responsabilità dell'accaduto al conducente dell'autovettura, per la grave inosservanza delle regole di condotta prescritte dall'art. 154 Codice della Strada, gli attori domandarono il risarcimento dei danni biologico, morale ed esistenziale subiti da (...) e il ristoro dei danni materiali riportati dal motociclo di proprietà di (...). Nella contumacia degli altri due convenuti, si costituì la (...) spa, deducendo che il sinistro si era prodotto per una dinamica del tutto diversa da quella descritta nell'atto introduttivo, avendo l'attore perso il controllo del motociclo autonomamente e senza il coinvolgimento di altro veicolo, come pure emergeva dal tenore della chiamata di emergenza alla Centrale Operativa del 118, dalla Scheda di intervento del Servizio "Pronto Assistance" intervenuto sui luoghi, dalla richiesta risarcitoria inoltrata ad (...) spa da (...), trasportato sul motociclo condotto dall'attore, il cui coinvolgimento nell'incidente era stato inspiegabilmente sottaciuto nell'atto introduttivo. Contestò comunque nel quantum le avverse pretese risarcitone ritenendole frutto di indebite duplicazioni, e si oppose al relativo accoglimento. La causa, istruita mediante l'interrogatorio formale del convenuto (...) e l'esame dei testi indicati da parte attrice, è stata posta in decisione all'udienza del 26.1.2023 Tanto premesso, va innanzitutto dato atto della proponibilità e della procedibilità dell'azione risarcitoria proposta dagli attori, in quanto preceduta dall'invio della richiesta stragiudiziale di indennizzo ex art. 145 cod. ass. e dal vano decorso del termine di moratoria previsto dalla legge, nonché da duplice invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita ai sensi degli artt. 3 e segg. D.L. 132/2014 (cfr. doc. 1 e 2 fascicolo di parte attrice). Venendo dunque al merito, va anzitutto rammentato che, in ossequio alla regola di cui all'art. 2697 c.c., chi agisce in giudizio per il risarcimento del danno da circolazione stradale ha l'onere di dimostrare che il sinistro si sia effettivamente verificato con le modalità esposte nei propri scritti difensivi e di fornire la prova della relazione causale tra l'evento e le lesioni lamentate. A tal fine gli attori hanno prodotto il modulo di constatazione amichevole dell'incidente, sottoscritto dai due conducenti e raffigurante graficamente la dinamica descritta nell'atto introduttivo, e ne hanno affidato la dimostrazione all'interrogatorio formale del convenuto (...) e alle deposizioni di due testimoni oculari dell'accaduto. Ebbene, in sede di prova per interpello, il convenuto ha in effetti confermato di essersi trovato, in orario notturno, all'interno di un'autovettura che gli era stata prestata, in compagnia di una ragazza conosciuta occasionalmente, di aver avuto una discussione con quest'ultima e di essersi immesso sulla strada che da Montepellegrino va verso Palermo a luci spente e senza prestare attenzione all'eventuale arrivo di veicoli e di aver colpito con la parte sinistra della mia auto la parte destra del ciclomotore - proveniente dalla propria direzione, alla propria sinistra - all'altezza della marmitta; ... la moto è scivolata per una ventina di metri andando a finire contro il guardrail sulla sinistra. Uno dei ragazzi è finito oltre il guardrail, l'altro è rimasto all'incirca accanto alla moto. Ha poi riferito che i due ragazzi erano in compagnia di altri amici, alcuni con le moto, altri con le autovetture, che si erano fermati a prestare soccorso. Ad uno di costoro aveva lasciato il proprio recapito telefonico ed era stato contattato dopo qualche settimana per firmare il CID, incontrandosi in un bar in corso dei Mille. Il teste (...), amico di (...) e di (...), i due giovani coinvolti nell'incidente, ha riferito di avervi assistito avendo trascorso la serata con gli amici a Montepellegrino e ha ricordato che, quando avevano deciso di fare ritorno a Palermo, (...) erano i primi sulla moto di (...). Io ero proprio dietro di loro. Avevamo appena superato il Belvedere quando un'auto di coloro scuro, che era ferma, si è improvvisamente spostata sulla sinistra a luci spente e senza azionare la freccia e ha colpito sul lato destro il motociclo di (...) che stava camminando regolarmente ... eravamo in discesa, alla velocità di circa 30 kmh. Non ho percepito alcuna manovra da parte di (...) per schivare l'auto. Subito dopo l'urto la moto è scivolata per un po' di metri ed è finita contro il guardrail e (...) addirittura ha oltrepassato il guardrail... ricordo che dall'autovettura è sceso un uomo un po' robusto ... posso dirlo di averlo riconosciuto nella persona che è uscita dall'aula di udienza poco fa ... C'erano anche ragazze con noi, ci siamo prodigati a prestare soccorso, in particolare a (...) che era quello in condizioni più critiche. Un amico ha chiamato l'ambulanza, non abbiamo pensato di far intervenire autorità perché eravamo tutti preoccupati per le condizioni dei due ragazzi. Anche l'uomo che guidava l'auto è sceso a prestare aiuto. Non so come sia stata rintracciata la persona che aveva causato l'incidente ... E' stato (...) a chiamare l'ambulanza. Sentito all'udienza successiva, dell'11.1.2022, (...) ha reso dichiarazioni del tutto collimanti con quelle del teste (...), sia quanto alla dinamica (stavamo scendendo con la macchina, avevamo appena cominciato la discesa verso la città. Ad un certo (punto) una macchina che si trovava in sosta sul lato destro della strada si è spostata verso sinistra per rimettersi in carreggiata e ha colpito la moto sul lato posteriore. La moto è scivolata ed è andata a sbattere sul guardrail. Il passeggero è caduto sul posto, l'altro ragazzo è volato oltre il guardrail ed è finito nella scarpata. Alla guida della moto c'era (...)), sia relativamente alla presenza di altri amici della stessa comitiva (prima dell'incidente mi trovavo a circa 10 metri di distanza da (...), loro erano i primi della comitiva. In macchina con me c'erano altri amici e altri ancora dietro), che alla chiamata alla Centrale Operativa del 118 (ho chiamato io il 118) e al numero delle ambulanze intervenute. Ha inoltre ricordato che l'autovettura che aveva urtato il motociclo era di colore nero, che a bordo v'erano due persone, una ragazzo e una ragazza che erano immediatamente scese, ha riconosciuto la propria firma in calce alla dichiarazione spontanea datata 4.12.2017 (doc. 5 del fascicolo diparte attrice), riferendo tuttavia di non conoscere l'identità della persona che ne aveva vergato il testo (ricordo vagamente di aver reso questa dichiarazione in un ufficio, ero stato convocato ma non so dire da chi né chi l'abbia scritta). Le risultanze dell'istruttoria orale sono evidentemente del tutto convergenti, sufficientemente analitiche e circostanziate e, se ci si fermasse al quadro emergente dalle sole prove costituende, potrebbe certamente ritenersi dimostrato il coinvolgimento dell'autoveicolo di proprietà della (...), nel sinistro in cui rimase vittima l'attore. Tuttavia, il compendio rispetto al quale deve formarsi il convincimento del Decidente si è arricchito, per iniziativa dell'assicuratrice evocata in giudizio, di altre risultanze - in parte di natura documentale - alquanto distoniche rispetto alle testimonianze acquisite e ampiamente idonee ad indurre il sospetto che l'incidente si sia verificato con altre modalità. Ci si riferisce innanzitutto al tenore della telefonata d'emergenza effettuata da (...) alla CO del 118 (di cui ambedue le parti hanno depositato il file audio) nel corso della quale il chiamante riferì all'operatore "c'è ... c'è stato un incidente .. due ragazzi sono scivolati con il motore; uno è andato fuori il guardrail..., alludendo ad una dinamica autonoma. In proposito, è apparsa infatti poco convincente la spiegazione fornita dal teste, appositamente compulsato nel corso dell'esame (quando ho telefonato al 118 ho detto che i ragazzi erano scivolati perché effettivamente erano scivolati con la moto per circa 20 metri ... in quel frangente non ho pensato di dire che si era trattato di un incidente con altro veicolo), considerato che neppure quando sopraggiunse l'ambulanza, malgrado sul posto fosse persino presente (stando a quanto riferito) il (...), gli operatori del 118 furono informati della dinamica cui i testi asseriscono di aver assistito (nella scheda medica di bordo dell'automedica, a proposito della dinamica dell'incidente, venne annotato "non nota'). Né l'uso del termine "incidente" rimanda necessariamente ad uno scontro tra veicoli, essendo abitualmente impiegato con generico riferimento ad eventi infausti della circolazione stradale e non. Ad un "incidente" autonomo rimandano invece chiaramente: a) il Rapporto di Intervento della Pronto Assistance, che prelevò il motociclo Honda SH 125 dal luogo del sinistro, in cui riguardo alle modalità risulta annotato " altro: scivolato da solo"; b) il verbale n. 080293 del Pronto Soccorso dell'A.O. Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello ove venne trasferito (...), ferito nel medesimo incidente perché trasportato sul motociclo condotto dal (...) (e della cui presenza quest'ultimo ha stranamente taciuto), documento dal quale risulta che il paziente riferì, in maniera specifica e puntuale, "incidente stradale autonomo (paziente su scooter, passeggero), senza coinvolgimento di terzi". Come noto, il verbale e le certificazioni rilasciate dai medici del Pronto Soccorso sono atti pubblici fidefacenti, essendo caratterizzati, oltre che dall'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, dalla circostanza che siano destinati ab initio alla prova, cioè siano precostituiti a garanzia della pubblica fede e redatti da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice (Cass. n. 16030/2020). In quanto atti pubblici, essi fanno piena prova fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., sia della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha firmato sia delle dichiarazioni al medesimo rese, nonché degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti; in assenza di querela di falso, deve ritenersi, pertanto, che le dichiarazioni riportate nel documento in questione provenissero proprio dal danneggiato e che il contenuto fosse quello verbalizzato. c) la richiesta risarcitoria, inoltrata dall'avv. Alessia Giugno per conto di (...), genitore di (...), ad (...) Ass.ni spa, assicuratrice del motociclo condotto dall'attore, nella quale la dinamica del sinistro venne così testualmente descritta: il dì del sinistro, il minore (...) si trovava in qualità di terzo trasportato a bordo del motociclo di proprietà della sig.ra (...) e condotto dal giovane conducente (...) il quale effettuando una imprudente manovra rovinava al suolo unitamente al motociclo e al terzo trasportato; d) la deposizione resa dal teste (...) nel giudizio n. 928/2021 r.g. promosso dal predetto (...) nei confronti di (...) e di (...) Ass.ni spa dinanzi al Giudice di Pace di Palermo sull'articolato di prova contenuto nell'atto di citazione e precisamente " 1) vero è che in data 16.8.2017, alle ore 2,30, assistevo al sinistro stradale del motociclo verificatosi a Monte Pellegrino all'altezza del Belvedere, modello Honda SH, tg. (...), di proprietà e condotto dal sig. (...), su cui si trovava il sig. (...): (...) (recte, (...)) in qualità di trasportato; 2) vero è che il conducente del detto motociclo perdeva il controllo del mezzo ed il sig. (...) rovinava al suolo unitamente al motociclo procurandosi lesioni per le quali veniva condotto al PS del più vicino nosocomio; 3) vero è che prontamente allertavo il servizio di emergenza ospedaliero del 118 che interveniva per il sig. (...) che accusava forti dolori". In quella sede (...) ha confermato "tutte le circostanze ivi indicate", precisando di essersi trovato sul posto, avendo seguito con la propria autovettura il motociclo sul qual il (...) era trasportato. È persino superfluo sottolineare che l'espressione "perdere il controllo del mezzo" allude ancora una volta alla condotta del conducente che non riesca a governare il veicolo, e che è situazione ben diversa da quella in cui viene a trovarsi chi sia invece improvvisamente urtato da un'autovettura che ne provochi l'incolpevole (ed inevitabile) caduta al suolo. Ne risulta una irrimediabile inconciliabilità tra la versione fornita dal teste in quel procedimento - concorde con la dinamica sostenuta dal trasportato - e quella che ha invece riferito in questo giudizio, per cui appare scarsamente credibile che un dettaglio talmente significativo, ossia il fatto "che il conducente del motociclo aveva perso il controllo dopo essere stato urtato da un'autovettura non sia stato verbalizzato dal giudice - ove effettivamente riferito dal testimone - e che quest'ultimo, che pure sottoscrisse il verbale, non si sia avveduto di una così rilevante omissione. Dinanzi a tante irrisolte discrepanze non può che risultare inficiata l'affidabilità dei due testi oculari, giudizio questo che afferisce alla credibilità soggettiva e alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese, che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della testimonianza, le possibili contraddizioni etc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali del dichiarante, ai rapporti con le parti e anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite); anche un solo elemento, di carattere soggettivo o oggettivo, se ritenuto particolarmente rilevante, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. n. 7623/16; n. 7763/2010). Le evidenziate incongruenze non hanno neppure trovato una spiegazione o "riconciliazione" con le altre emergenze probatorie attraverso le difese di parte attrice, essendosi questa limitata ad insistere sulla rilevanza, a fini probatori, della constatazione amichevole di sinistro e delle dichiarazioni confessorie rese dal (...) in sede di interrogatorio formale, oltre che sulle prove testimoniali assunte. E però, a fronte di una sì grave ed irrisolta contraddittorietà delle risultanze (aggravata dal mancato intervento di Autorità a fronte della gravità delle conseguenze lesive) la mera dichiarazione confessoria del conducente responsabile non proprietario del veicolo danneggiante è liberamente apprezzabile dal Giudice nei riguardi del proprietario e del suo assicuratore, in applicazione dell'art. 2733 co. 3 c.c., come affermato da una più che consolidata giurisprudenza (vds. ex multis, Cass. 13718/2021; 19327/2017; 3875/2014). Per tale ragione è principio costantemente affermato che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, la dichiarazione, avente valore confessorio, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), per essere opponibile all'assicuratore e generare la presunzione iuris tantum di cui all'art. 143 CAP, deve essere resa dal responsabile del danno che sia anche proprietario del veicolo assicurato e dunque litisconsorte necessario, non anche dal conducente del veicolo che non sia anche proprietario del mezzo, il quale è solo litisconsorte facoltativo" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8214 del 04/04/2013. SS.UU. n. 10311 del 5/5/2016; 20/2/2018 n. 4010). A motivo della loro irrimediabile contraddittorietà, le acquisite risultanze non forniscono una prova affidabile del fatto che l'evento lesivo si sia verificato con le modalità prospettate dall'attore e soprattutto circa il coinvolgimento e la responsabilità del conducente dell'autoveicolo di proprietà della convenuta (...), per cui - mancata la dimostrazione dell'ara - la pretesa azionata nei confronti della proprietaria e dell'assicuratrice dev'essere rigettata. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi relativamente alla domanda risarcitoria rivolta al (...), le cui dichiarazioni confessorie non lasciano spazio ad un libero apprezzamento del loro contenuto ad opera del Giudicante, atteso che le stesse, integrando gli estremi di una confessione giudiziale ex art. 2733 c.c., formano piena prova, nei confronti del confitente, circa i fatti sfavorevoli da costui riferiti; è preclusa al Giudicante ogni valutazione circa l'attendibilità e veridicità dei fatti riferiti dal dichiarante, non potendo il Tribunale che attenersi alle risultanze della prova assunta. In questo senso si sono espressi i medesimi precedenti sopra citati a proposito dell'efficacia della confessione del conducente nei confronti del proprietario e dell'assicuratore, essendosi affermato che la confessione proveniente da un soggetto litisconsorte facoltativo, qual è il conducente danneggiante non proprietario del veicolo, ha valore di piena prova nei confronti del medesimo confidente, come previsto dall'art. 2733, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che il giudice può accogliere la domanda nei suoi confronti e rigettarla nei confronti dell'assicuratore della r.c.a. e del proprietario (ex multis, Cass. 20.4.2023 n. 10687; Cass. 19327/2017). Era, dunque, onere del convenuto offrire la prova liberatoria di cui all'art. 2054 co. 1 c.c., dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, al fine di andare esente da responsabilità nei confronti del danneggiato ma costui - restando contumace ed ammettendo, anzi, sia nel corso della prova per interpello che nel modulo CID - di aver posto in essere una manovra incauta, inosservante delle regole di condotta fissate dall'art. 154 Codice della Strada, ha nei fatti escluso qualsivoglia apporto colposo del danneggiato al verificarsi dell'evento di danno. A fronte di tutte le considerazioni sin qui svolte, non può allora che pervenirsi a due statuizioni di opposto segno: da un lato, il rigetto della pretesa azionata dagli attori nei confronti di (...) e (...) Ass.ni spa; dall'altro, invece, la declaratoria di responsabilità del (...). Occorrono, quindi, indagini medico - legali d'ufficio per l'accertamento delle conseguenze dannose lamentate dall'attore e del nesso causale con il sinistro oggetto di causa, in vista delle quali si impone la rimessione della causa sul ruolo istruttorio. L'odierna decisione definisce il rapporto processuale tra gli attori, (...) e (...) Ass.ni spa e deve quindi contenere la pertinente statuizione sulle spese processuali che, in ossequio al principio della soccombenza, vanno poste a carico dei primi e liquidate nel dispositivo, in favore dell'unica parte costituita, secondo i parametri previsti dal d.m. n. 55 del 2014, applicando - per tutte le fasi - i valori medi previsti dalla tabella n. 2 DM 147/2022 per le cause di valore indeterminabile complessità bassa (fino ad Euro 52.000,00) P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sul rapporto tra gli attori e i convenuti (...) Ass.ni spa e (...); disattesa ogni diversa istanza eccezione e difesa; rigetta le domande proposte da (...) e (...) nei confronti di (...) spa e (...) con l'atto di citazione notificato nei giorni 20.12.2019/2.1.2020; condanna, per l'effetto, l'attore a rifondere ad (...) Ass.ni spa le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.616,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario nella misura del 15% dei compensi; non definitivamente pronunciando nel rapporto tra gli attori e (...) Giuseppe, dichiara quest'ultimo responsabile del sinistro oggetto di causa; dispone, con separata ordinanza, la rimessione sul ruolo istruttorio della causa tra gli attori e (...). Così deciso in Palermo il 4 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco - Presidente Dott. GIANNITI Pasquale - rel. Consigliere Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere Dott. AMBROSI Irene - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 20224/2020 proposto da: (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS) Spa, in persona del Procuratore Speciale, (OMISSIS) Direttore Responsabile del quotidiano (OMISSIS), (OMISSIS) giornalista, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 497/2020 della CORTE D'APPELLO di CATANIA, depositata il 27/02/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2023 dal Consigliere Pasquale Gianniti. FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza n. 598/2020 della Corte d'appello di Catania che, a conferma della sentenza n. 4070/2018 del Tribunale di quella stessa citta', ha accertato la responsabilita' civile dei convenuti (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al contenuto diffamatorio dell'articolo pubblicato il 1 ottobre 2010 sulla edizione siciliana del quotidiano (OMISSIS), ma, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, in punto di quantum, ha ridotto ad Euro 10 mila la somma dovuta solidalmente dagli originari convenuti in suo favore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, mentre ha escluso che sia dovuto alcunche' a titolo di risarcimento del danno patrimoniale. 2. Questi in sintesi i fatti. (OMISSIS) e' un geologo specializzato in meccanica delle rocce, che dal 1982 lavora con imprese private ed enti pubblici. In data 1 ottobre 2010 veniva pubblicato sulla edizione siciliana del quotidiano (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.p.a. - (OMISSIS), gia' (OMISSIS) s.p.a.) un articolo, reiterato il giorno successivo, a firma del giornalista (OMISSIS), dal titolo "Un colletto bianco nell'inchiesta su (OMISSIS)", nel quale l'autore riferiva che il "geologo (OMISSIS)" era stato iscritto nel registro degli indagati in relazione ad una imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. (OMISSIS), appresa la notizia della pubblicazione dell'articolo di cui trattasi, veniva colto da un malore, per il quale riceveva cure presso l'Ospedale Garibaldi, Divisione di Cardiologia. Tre giorni dopo l'evento dannoso (dunque, in data 04.10.2010), veniva comunicato a (OMISSIS) da parte della societa' (OMISSIS) che: "a seguito dei noti articoli di stampa riportati sul quotidiano (OMISSIS), che la riguardano in prima persona, considerata la delicatezza dell'argomento, pur manifestando la nostra stima nei suoi confronti e sulle sue capacita professionali, si ritiene opportuno in questo periodo sospendere la nostra collaborazione professionale per i danni che tutto cio' ci puo' arrecare". Nella mattina del 13.10.2010 (OMISSIS) si recava nel territorio di (OMISSIS) per effettuare, per conto della Protezione Civile, delle misurazioni, e, nell'occasione, apprendeva da un suo collaboratore che numerosi abitanti del luogo gli avevano riferito di aver letto la notizia che il (OMISSIS) era stato arrestato perche' era un mafioso. Frustrato e confuso, saliva in auto per fare rientro a casa, ma in autostrada perdeva il controllo della propria auto, andando a collidere contro il guardrail, restando fortunosamente illeso, nonostante il veicolo fosse andato distrutto. In data 18.10.2010, la societa' (OMISSIS) s.r.l. (committente di lavori di importante valore economico) comunicava che "a seguito di sopraggiungere notizie poco rassicuranti sulla integrita' morale e professionale nelle vicende in cui Lei e' coinvolto, ci rincresce comunicarLe che e' opportuno interrompere il rapporto di collaborazione professionale attualmente in corso". Pertanto, (OMISSIS) si rivolgeva, per il tramite di un legale, al quotidiano " (OMISSIS)", chiedendo una rettifica a mezzo stampa. Tuttavia, il quotidiano non dava alcun conto dell'errore commesso e non operava alcuna rettifica o precisazione, limitandosi a pubblicare, nella sezione "la parola ai lettori" uno stralcio della lettera inviata dal difensore. In data 03.11.2010, il GIP di Catania pronunciava ordinanza cautelare nei confronti, tra gli altri, del geologo (OMISSIS), ossia della persona realmente coinvolta nell'inchiesta cui avrebbe dovuto fare riferimento l'articolo pubblicato dal giornale " (OMISSIS)" del 01.10.2010. Nei giorni successivi, contrariamente alle aspettative dell'odierno ricorrente (OMISSIS), a questi non veniva inviata alcuna lettera di scuse da parte del quotidiano, ne' veniva mai pubblicata alcuna rettifica di quanto riportato in quello in precedenza pubblicato. Pertanto, (OMISSIS) presentava atto di denuncia querela nei confronti del giornalista e dell'editore per sentirli condannare per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il conseguente giudizio si concludeva con la sentenza n. 118/2014, con la quale il Giudice dichiarava il non luogo a procedere nei confronti del giornalista (OMISSIS) in ordine al reato allo stesso ascritto, perche' il fatto non costituiva reato (in mancanza del dolo, quale elemento soggettivo del reato contestato) e nei confronti del direttore responsabile (OMISSIS) in ordine al reato allo stesso ascritto, in quanto la responsabilita' colposa del direttore del periodico ex articolo 57 c.p. presuppone la commissione di reati col mezzo di pubblicazione. Tuttavia, il Giudice precisava che "l'evento era "fonte di risarcimento in sede civile per le gravi conseguenze apportate al professionista (OMISSIS)" e che "l'imputato possa e debba rispondere in sede civile per il danno causato da colpa. ex articolo 2043 c.c.". Pertanto, (OMISSIS), dopo aver esperito invano il tentativo di mediazione, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania il (OMISSIS) (OMISSIS), il direttore responsabile (OMISSIS) ed il giornalista (OMISSIS), chiedendo la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, quantificati analiticamente in Euro 147,670,72 per i danni patiti (di cui Euro 139.874,99 per mancato guadagno nel periodo dal 2010 al 2014 ed Euro 7.795,73 per i danni all'autovettura riportati nel sinistro stradale su riferito, Euro 80.000,00 per i danni non patrimoniali), oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nei limiti della somma di Euro 260.000,00, nonche' la condanna dei convenuti ad oscurare la pagina internet del sito ufficiale del quotidiano " (OMISSIS)" o, in alternativa, ove cio' non fosse possibile, ad aggiungere in quella stessa pagina una postilla esplicativa dell'errore di persona commesso dal giornalista. Si costituivano in giudizio i convenuti contestando le domande attoree in ragione del fatto che l'errore sarebbe stato involontario e che era stato concesso al (OMISSIS) di pubblicare sulla testata giornalistica uno stralcio della lettera del suo avvocato in cui si precisava l'estraneita' dello stesso ai fatti. La causa veniva istruita con acquisizione della documentazione prodotta dalle parti nonche' mediante audizione di testimoni. Il Tribunale di Catania con sentenza parziale n. 4070 del 2018 accoglieva la domanda del (OMISSIS) e condannava i convenuti, in solido, al risarcimento: del danno non patrimoniale, quantificato in Euro 50.000,00; ed al risarcimento del danno patrimoniale subito per gli anni 2011, 2012, 2013 e 2014, quantificato in Euro 139.874,99. Al contrario, il giudice di primo grado non riteneva provato il nesso causale tra la pubblicazione dell'articolo di cui sopra e l'incidente stradale del (OMISSIS) e, pertanto, nulla liquidava a titolo di risarcimento dei danni materiali riportati dal veicolo in quella occasione. Le spese processuali venivano poste a carico dei convenuti e la causa veniva rimessa sul ruolo per la restante domanda del (OMISSIS), inerente all'oscuramento dell'articolo dannoso sul sito internet del quotidiano o, in alternativa, ove non piu' possibile, l'aggiunta di una postilla che indicasse l'errore commesso dal giornale e la completa estraneita' del Dott. (OMISSIS) all'intera vicenda di cui trattasi. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano appello gli originari convenuti, che, in via principale, chiedevano il rigetto di tutte le domande attoree e, in via subordinata, la riduzione degli importi liquidati a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Si costituiva nel giudizio di appello (OMISSIS), il quale: - in via preliminare di rito, eccepiva la violazione del divieto dei "nova" in appello ex articolo 345 c.p.c., atteso che la difesa avversaria aveva prodotto nuovi documenti ed aveva formulato nuove eccezioni e, - nel merito, contestava l'erroneita' della sentenza nella ricostruzione del fatto; al riguardo rilevava di aver assolto l'onere probatorio, che su di lui gravava, fornendo al Giudice adeguata dimostrazione non solo delle sofferenze morali e del grave pregiudizio alla propria onorabilita', ma anche del pregiudizio economico subito (comprovato dalla produzione delle dichiarazioni dei redditi sia antecedenti all'articolo diffamatorio, per cui era causa, che di quelle coeve e successive). La Corte d'appello di Catania con sentenza n. 497/2020, in parziale accoglimento del gravame, - riduceva da Euro 50 mila ad Euro 10 mila il risarcimento del danno non patrimoniale ed escludeva il risarcimento del danno patrimoniale, compensando per tre quarti le spese di entrambi i gradi di giudizio. 3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il (OMISSIS). Hanno resistito con un unico controricorso il (OMISSIS) (OMISSIS), il direttore responsabile (OMISSIS) ed il giornalista (OMISSIS). Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni con le quali ha chiesto l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso. Hanno depositato memoria i difensori sia di parte ricorrente che di parte resistente. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Il ricorso e' affidato a cinque motivi, dei quali i primi tre concernono l'avvenuta quantificazione del danno non patrimoniale e gli ultimi due l'avvenuta quantificazione del danno patrimoniale. 1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., oltre che delle Tabelle di Milano, nella parte in cui la corte territoriale, nel ridurre ad Euro 10 mila la somma a lui dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ha dichiarato di voler fare applicazione delle tabelle milanesi, ma ha in concreto liquidato il danno senza fare applicazione dei criteri in dette tabelle previsti. Osserva che il giudice di appello, nel liquidare il danno, ha riconosciuto rilevanza esclusivamente: a) al fatto che l'errore in questione era stato del tutto involontario ed episodico; b) al fatto che in data 22 ottobre 2010 il quotidiano (OMISSIS) aveva pubblicato la lettera inviata alla redazione dal suo legale in cui si precisava la sua estraneita' rispetto alla vicenda oggetto dell'articolo; c) alla circostanza che lo stesso quotidiano, nei giorni immediatamente successivi, aveva pubblicato alcuni articoli relativi all'inchiesta della Procura di Catania, che contenevano l'esatto nominativo del geologo coinvolto, ovverosia (OMISSIS); d) al fatto che successivamente veniva data notizia dell'avvenuto arresto di (OMISSIS), il geologo realmente coinvolto nell'inchiesta". E sulla base di tali parametri ha ritenuto il fatto illecito come "di tenue gravita'". Secondo il ricorrente, la Corte non ha fatto applicazione di nessuno dei criteri indicati nelle tabelle, in quanto, alla stregua di quest'ultime, la tenue gravita' postula: a) la limitata/assente notorieta' del diffamante (mentre nel caso di specie, si trattava di uno dei quotidiani piu' importanti e noti del panorama dell'informazione); b) la tenuita' dell'offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento (mentre nel caso di specie, non si poteva certo ritenere offesa tenue l'aver dato del mafioso ad un onesto cittadino); c) una minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio (mentre nel caso di specie si trattava di un articolo pubblicato in un quotidiano di grande diffusione); d) un minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria (mentre nel caso di specie l'articolo in esame aveva occupato quasi interamente la pagina VI dell'edizione siciliana del quotidiano); e) un'assente risonanza mediatica (mentre nel caso di specie la risonanza era stata massima, anche perche', secondo il quotidiano, anche il presidente della regione ed altri politici erano coinvolti nell'indagine); f) una tenue intensita' dell'elemento soggettivo (mentre nel caso di specie gli era stato attribuito lo status di mafioso con disarmante pubblicita', senza alcun riscontro oggettivo e con riferimento ad una indagine in materia di mafia, peraltro coperta dal segreto investigativo); g) un intervento riparatorio/rettifica del convenuto (mentre nel caso di specie non era intervenuta alcuna formale rettifica). 1.2. Con il secondo motivo denuncia la nullita' della sentenza per motivazione inesistente o apparente nella parte in cui la corte territoriale ha liquidato il danno non patrimoniale senza precisare le ragioni per cui ha ritenuto di tenue gravita' l'accertato fatto illecito. 1.3. Con il terzo motivo denuncia la nullita' della sentenza per motivazione apparente alla luce dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, in concreto utilizzati. Osserva che la circostanza per l'errore in questione sia stato involontario ed episodico non ha alcuna valenza ai fini della liquidazione del danno (che deve tenero conto soltanto del pregiudizio subito), mentre ancora piu' evidente, se possibile, e' l'irrilevanza, l'incongruita' e la macroscopica contrarieta' a dati di comune esperienza degli altri tre elementi presi in considerazione dalla corte. 1.4. Con il quarto motivo denuncia violazione dell'articolo 2697 c.c. e dei principi in materia di onere della prova nella parte in cui la corte territoriale non ha ritenuto sussistente il nesso causale tra la pubblicazione dell'articolo di stampa e le perdite patrimoniali (da lui dedotte e quantificate). Sostiene che, secondo la regola del "piu' probabile che non", ai fini del riconoscimento della configurabilita' del nesso eziologico, non e' necessario approdare ad un giudizio di certezza circa la conseguenzialita' tra condotta illecita e danno, ma e' sufficiente che il danno sia ascrivibile al fatto illecito con ragionevole probabilita'. E tanto, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto affermare la corte di merito sulla base della documentazione da lui prodotta: in particolare, dalle dichiarazioni dei redditi relative al periodo antecedente all'articolo diffamatorio di cui trattatasi, di quelle coeve e di quelle successive, dalle quali risultava il danno economico da lui subito; mentre dalle lettere con le quali due societa' gli avevano comunicato di voler sospendere i rapporti professionali in corso risultava la sussistenza del danno patrimoniale che gli era stato riconosciuto in primo grado. 1.5. Con il quinto motivo denuncia la nullita' della sentenza per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., dei principi in tema di valutazione del quadro probatorio, degli articoli 2727, 2729 e 2697 c.c., nonche' dei principi in materia di prova nella parte in cui la corte territoriale, nell'escludere il suo diritto al risarcimento del danno patrimoniale, non ha valutato globalmente il compendio probatorio ed indiziario ex articoli 2727 e 2729 c.c., ma, scomponendo atomisticamente detto quadro, dapprima, ha valutato la documentazione fiscale e le dichiarazioni dei redditi, senza leggerle in relazione alle menzionate due missive; e, poi, ha escluso qualsiasi rilevanza probatoria di queste ultime, mentre nulla ha detto circa la sua mancata selezione da parte della pubblica amministrazione per lo svolgimento di collaborazioni occasionali. Sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto accedere ad un giudizio di ragionevole probabilita' circa la sussistenza di un rapporto di conseguenzialita' tra fatto illecito e riduzione dei redditi. 2. Nella sentenza impugnata la corte territoriale - dopo aver confermato in punto di an debeatur che l'inesattezza nel riportare il nome del (OMISSIS) configurava un fatto illecito colposo, fonte di danno - in punto di quantum debeatur, ha liquidato in via equitativa il danno non patrimoniale facendo riferimento alle tabelle milanesi (sulle quali, tra le piu' recenti, cfr. Cass. n. 8468 del 2020; 41933 del 2021; n. 7768 del 2016), mentre ha ritenuto non provato che il (OMISSIS), per effetto della portata diffamante dell'articolo, abbia subito un danno patrimoniale. 3. I primi tre motivi di ricorso - che, in quanto tutti relativi al danno non patrimoniale, sono qui trattati congiuntamente per la loro intima connessione - sono fondati. 3.1. Allo scrutinio dei motivi, che concernono tutti la corretta individuazione dei criteri risarcitori del danno da lesione dei diritti fondamentali (e, quindi, la quantificazione del danno), appare opportuno premettere una breve ricognizione della morfologia e della funzione del danno non patrimoniale, come recentemente ed ormai concordemente ricostruite dalla giurisprudenza di questa Corte. Secondo un recente, ma ormai consolidato, orientamento (cfr., tra le tante, Cass. n. 2788 del 2019; n. 901 e n. 7513 del 2018, n. 7766 del 2016, anche in relazione a Corte Cost. n. 325/2014), sul piano del diritto positivo, l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.); mentre ormai da anni e' stata affermata la natura "unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale" sia dalla Corte costituzionale (n. 233 del 2003) che dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 26972 del 2008). Sul piano delle categorie giuridiche, l'unitarieta' del danno non patrimoniale va intesa come unitarieta' rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; mentre la onnicomprensivita' del danno non patrimoniale va intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative "in peius" della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, con il concorrente limite di evitare duplicazioni (attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici), procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. Orbene, il giudice di merito - nel procedere all'accertamento e alla quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile - deve tenere conto, oltre che di quanto statuito dalla Corte costituzionale (n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.), anche di quanto disposto dal legislatore nazionale sugli articoli 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), e il cui contenuto consentono di distinguere, su di un piano generale ed al di la' della specifica sedes materiae, il danno dinamico-relazionale dal danno morale. Ne deriva che il giudice di merito deve valutare la fenomenologia della lesione non patrimoniale sia nell'aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) che nell'aspetto dinamico-relazionale (c.d. danno relazionale, destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto). Tale regola di giudizio si pone in una linea con i principi diacronicamente (ma costantemente) affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (n. 235/2014, 233/2003 293/1996, 372/1994, 184/1986), della Corte di Giustizia Europea (sent. C-371/2012 del 23.1.2014) e di questa Corte (SU. n. 6276 del 2006; e, quanto alla giurisprudenza di legittimita' a sezioni semplici, n. 8827/2003). Occorre qui ribadire che esiste una sussiste una ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale, in quanto il danno alla persona postula il riconoscimento: da un lato, della sofferenza interiore; e, dall'altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell'illecito (illuminante, in tal senso, e' il disposto normativo di cui all'articolo 612 bis c.p., in tema di presupposti del reato cd. di stalking). Danni diversi e percio' solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni). 3.2. Non e' questa la sede per valutare se si possa o si debba fare applicazione, anche alla materia per cui e' causa, degli specifici meccanismi di valutazione come elaborati, con tabelle che aspirano ad una valenza generale, dal Tribunale di Milano: alle quali solo ad altri fini e' stata chiaramente riconosciuta da questa Corte (cosi' Cass. n. 12408/2011) l'attitudine ad individuare coerenti parametri monetari di riferimento uniforme, che possano poi essere adattati al caso concreto ed a porsi come strumento di concreta realizzazione di "un'eguaglianza equitativa". 3.3. E' certo vero che quelle tabelle partono dalla classificazione del fatto concreto alla luce di una serie di elementi rilevanti, da valutare secondo una scala di apprezzamento che conduce all'attribuzione di un primo valore base approssimativo per ciascuno di essi; il valore complessivo cosi' ottenuto dovra' poi essere modulato in virtu' dell'applicazione di necessari coefficienti correttivi (determinati in relazione ad ulteriori variabili rilevanti). Ed e' altrettanto vero che, in concreto, a ciascuno dei seguenti punti, la tabella attribuisce un valore compreso tra i 3.000,00 ed i 5.000,00 Euro, secondo i criteri che seguono: - il tipo di condotta diffamatoria attribuita alla persona danneggiata con la notizia veicolata: a) tra le ipotesi che consigliano l'adozione di un valore massimo, sono annoverabili l'eventuale rilievo penale dei fatti pubblicati, l'uso di espressioni oggettivamente ingiuriose; b) tra le ipotesi che possono rientrare in un valore medio, sono annoverabili le notizie diffamatorie, che, benche' prive dei suddetti caratteri, sono comunque circostanziate e, quindi, determinano, comunque, un significativo grado di incisivita' dell'evento di danno; c) un valore minimo, infine, puo' riconoscersi alle affermazioni di carattere diffamatorio del tutto generiche o solo dequalificanti; - la condotta degli autori e, in particolare, l'intensita' dell'elemento psicologico (si considerino, ad esempio, le fattispecie in cui vi e' prova della consapevolezza, in capo all'autore convenuto, della falsita' della notizia pubblicata); - il mezzo di comunicazione utilizzato per commettere la diffamazione e la diffusivita' dello stesso sul territorio nazionale (fermo restando che una minor tiratura non significa necessariamente un minor danno, specialmente nel caso di un mezzo di stampa che abbia un raggio di distribuzione limitato sul territorio nazionale, ma di elevata penetrazione nel ristretto territorio di vita e relazione del danneggiato); - il rilievo attribuito dai responsabili al pezzo contenente le notizie diffamatorie all'interno della pubblicazione cui lo stesso e' riportato (con attribuzione del valore massimo ad un articolo in prima pagina o al corsivo del direttore ed un valore minimo ad un piccolo trafiletto, privo di segni grafici evidenzianti); - lo spazio che la notizia diffamatoria occupa all'interno dello scritto in questione (elemento che incide sulla portata lesiva della notizia diffamatoria, amplificata dal fatto che tale notizia occupi tutto o solo una minima parte dell'articolo o del libro); - le conseguenze sull'attivita' professionale e sulla vita personale della parte lesa; - il ruolo istituzionale ricoperto dal danneggiato all'epoca dei fatti e la correlazione tra le notizie diffamatorie e l'esercizio delle pubbliche funzioni proprie della carica esercitata; - la natura "sensazionale" della notizia diffamatoria e la capacita' della stessa di incidere sulla formazione dell'opinione pubblica, suscitando e veicolando una vera e propria campagna di stampa denigratoria. 3.4. Ferma la premessa che della astratta doverosita' o meno della loro applicazione non e' dato in questa sede discutere per quanto si vedra' di qui a tra un momento, e' ancora vero che quelle tabelle prevedono: - di applicare i criteri ed i valori sopra indicati (considerando che gli ultimi due non sono necessariamente presenti in tutte le fattispecie risarcitorie ipotizzabili) per giungere ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 18.000,00 (3.000,00 ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬" 6) ed un massimo di Euro 40.000,00 (5.000,00 ÃÆ'Æ'ÃâEuro 'ÃÆ'¢â‚¬" 8); - la possibilita', al fine di adeguare la quantificazione del danno alle peculiarita' del caso concreto, rendendo il risarcimento aderente alla profondita' del danno non patrimoniale effettivamente subito, di adottare ulteriori coefficienti - di aumento o di diminuzione - per i casi di pubblicazione diffamatorie di significativa gravita' o di modestissima entita': cosi' applicandosi un coefficiente variabile, da 1 a 5, da rapportarsi non alla somma finale ottenuta all'esito della prima valutazione, bensi' ad una o piu' voci della griglia (indicata ai punti da 1 a 8) ed eventualmente anche ad ognuna di esse. Tale seconda operazione puo' portare ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 3.600,00 (cosi' ottenuto Euro 3.000,00, assegnati ad ogni singola voce, diviso per il coefficiente 5 = 600,00, sommato per ciascuna delle voci riconosciute per complessivi 3.600,00 Euro o 4.800,00 in caso siano riconosciuti i punti 6 e 7) sino ad un massimo di 200.000,00 Euro (nei casi in cui si dovessero riconoscere Euro 5.000,00 di base per ciascuna voce, ciascuna di esse moltiplicata per 5: 5 x 5.000,00 = 25.000,00, sommando tutte le voci 25.000,00 x 8 = 200.000,00); - la possibilita' di diminuire tali valori nel caso in cui parte attrice abbia ottenuto, medio tempore, la pubblicazione di una rettifica (da quantificarsi, secondo i parametri monetari sopra indicati, in un valore compreso tra 3.000,00 e 5.000,00 Euro, eventualmente da rivalutare o devalutare in ragione dei tempi e dei termini in cui tale rettifica e' stata eseguita). 3.5. Cio' posto, i motivi primo, secondo e terzo - che qui si trattano congiuntamente in quanto censurano tutti la liquidazione del danno non patrimoniale - sono fondati. Infatti, nella fattispecie in esame le tabelle sopra descritte vengono in considerazione non gia' perche' debba essere loro riconosciuto un valore sostanzialmente obiettivo, come avvenuto per altri campi della materia risarcitoria (questione che il Collegio lascia quindi del tutto impregiudicata), ma esclusivamente perche' la corte territoriale ha premesso e si e' prefissa di adottarle quale criterio di valutazione, scegliendole tra le alternative possibili e quindi erigendole a parametro della concreta determinazione del danno non patrimoniale da liquidare. Occorre premettere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa corte, nella diffamazione a mezzo stampa, la liquidazione del danno non patrimoniale presuppone una valutazione necessariamente equitativa, la quale non e' censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (Cass. n. 31358 del 2021; e n. 13153 del 2017). Quest'ultima ipotesi ricorre nel caso di specie, nel quale la corte territoriale, dopo aver premesso di volersi conformare ai criteri di valutazione equitativa consacrati nelle tabelle milanesi, non ha poi applicato i suddetti criteri - liberamente adottati - nel procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale. E, cosi' facendo, e' incorsa nel denunciato vizio motivazionale. Invero, la corte ha sussunto il fatto nella fattispecie generale ed astratta descritta da quelle tabelle come relativa agli eventi di tenue gravita', considerati suscettibili di liquidazione ridotta, argomentando sul fatto che: a) l'errore in questione era stato del tutto involontario ed episodico; b) in data 22 ottobre 2010 il quotidiano aveva pubblicato la lettera inviata alla redazione dal legale del (OMISSIS); c) lo stesso quotidiano aveva successivamente pubblicato articoli che contenevano l'esatto nominativo del geologo coinvolto nelle indagini e che davano la notizia dell'avvenuto arresto di quest'ultimo. Nulla invece ha argomentato la corte di merito in relazione all'effettivo riscontro dei parametri delle tabelle milanesi, liberamente adottate come misura della liquidazione, secondo le quali il fatto illecito e' di tenue gravita' solo in presenza dei seguenti elementi: limitata/assente notorieta' del diffamante, tenuita' dell'offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento, minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio, minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria, assenza di risonanza mediatica tenue intensita' elemento soggettivo, intervento riparatorio/rettifica del convenuto. D'altra parte, la mancata applicazione dei criteri, previsti dalle tabelle milanesi per i fatti diffamatori di tenue entita', ha contraddittoriamente portato la corte di merito a ricondurre la fattispecie concreta ad una astratta non pertinente secondo i parametri liberamente adottati a base della liquidazione, visto che non ha preso in considerazione le seguenti circostanze: - la gravita' del fatto ascritto al danneggiato (OMISSIS) (il concorso esterno in associazione mafiosa quale anello di collegamento fra i sodali e gli esponenti politici); - la potenzialita' dannosa della diffusione di una simile, inesatta informazione, per la reputazione di soggetto operante nell'ambito professionale, necessariamente improntato al permanere di un forte senso di fiducia personale; - il tardivo e insufficiente ridimensionamento dell'errore di persona commesso mediante pubblicazione della lettera di smentita del difensore di (OMISSIS) (avente un risalto editoriale di gran lunga piu' limitato rispetto alla pubblicazione della notizia diffamatoria, stante anche il disinteresse che il lettore medio di un quotidiano riserva alle rubriche dedicate alla posta dei lettori); - la circostanza che, al momento del successivo coinvolgimento nelle indagini di (OMISSIS) e dell'arresto di quest'ultimo quale concorrente esterno al sodalizio criminale, l'organo di stampa diffamante ha mostrato disinteresse a rettificare l'originaria, errata, informazione (non producendo di per se' la semplice divulgazione della notizia, riferita alla persona esattamente individuata, un effetto di correzione della precedente, errata, informazione resa: il lettore medio e' portato a distinguere fra due persone recanti lo stesso cognome e, per di piu', svolgenti la medesima professione di geologo, solo se tale circostanza sia specificamente enfatizzata dal mezzo di informazione). Trattasi di elementi fattuali che si pongono in evidente contrasto con i criteri enunciati dalle tabelle per sussumere la violazione dell'onore e del decoro in un alveo di tenue gravita'. In definitiva, la corte di merito, nel liquidare il danno non patrimoniale, e' incorsa in motivazione apparente, non potendosi riscontrare conseguenzialita' logica tra i criteri fissati nelle premesse e quelli seguiti in conclusione (Cass. 5 luglio 2017, n. 16502). 2.3. Inammissibili sono invece i motivi quarto e quinto, che, in quanto entrambi relativi alla mancata liquidazione del danno patrimoniale - sono qui trattati congiuntamente. In via generale ed astratta, ai fini del riconoscimento della configurabilita' del nesso eziologico, non e' necessario approdare ad un giudizio di certezza circa la conseguenzialita' tra condotta e danno, essendo sufficiente che, secondo la regola del "piu' probabile che non", il danno sia ascrivibile al fatto illecito con "ragionevole probabilita'" (Cass. n. 4024 del 2018). E, d'altra parte, la prova del danno ben puo' essere fornita anche da un ragionamento di carattere presuntivo che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto. Senonche', nella sentenza impugnata, la corte di merito ha ritenuto non provato il nesso causale tra la pubblicazione dell'articolo di stampa, per cui e' ricorso, e le perdite patrimoniali, lamentate e quantificate dal (OMISSIS), in quanto: da un lato, le pur documentate variazioni reddituali possono essere riconducibili alle normali oscillazioni della libera professione o alla crisi economica o ad altri fattori ancora e, quindi, sfuggono a quel rigoroso giudizio di probabilita' che presiede all'assolvimento dell'onere probatorio; dall'altro, la produzione della lettera di (OMISSIS) e della lettera di (OMISSIS) non era stata accompagnata dalla indicazione di riferimenti in relazione alla durata della interruzione del rapporto di collaborazione, nonche' all'entita' economica degli incarichi venuti meno. L'inammissibilita' dei motivi in esame consegue al fatto che il ricorrente, nell'illustrazione degli stessi, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata: che, come rilevato, riguarda la ritenuta carenza di prova sulla durata dell'interruzione del rapporto di collaborazione professionale e sulla entita' economica degli incarichi venuti meno. Inoltre, la valutazione della corte territoriale sul punto sottende un giudizio di fatto e, quindi, ancorche' rigorosa, sfugge al sindacato di legittimita' riservato a questa Corte. Al riguardo, occorre ricordare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: "In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli articoli 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimita', sicche' la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensi' un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012" (cfr., tra le tante, n. 3572 del 2021 e n. 23940 del 2017). Pertanto, da un lato, "in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo' porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche' si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione" (cosi' Cass. n. 27000 del 2016; cfr., piu' di recente, Cass. n. 6774 del 2022). D'altra parte, "La violazione dell'articolo 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioe' attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si puo' ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita' consentita dal paradigma dell'articolo 116 c.p.c., che non a caso e' rubricato alla "valutazione delle prove"...." (cfr. Sez. U, n. 16598 del 2016, in motivazione paragr. § 14; in precedenza, Cass. n. 11949 del 02/12/1993; n. 2155 del 2001; n. 3642 del 2004; n. 2935 e n. 19064 del 2006; n. 15107 del 2013; n. 13960 del 19/06/2014; n. 11892 del 10/06/2016). Poiche' nel caso di specie non ricorre nessuna delle suddette situazioni, i motivi in esame, nei quali viene denunciata la violazione dell'articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., sono inammissibili. 3. Per le ragioni che precedono, dichiarati inammissibili i motivi quarto e quinto, s'impone la cassazione dell'impugnata sentenza in relazione ai motivi primo, secondo e terzo, con rinvio alla Corte d'appello di Catania, che in diversa composizione procedera' a nuovo esame, facendo applicazione dei suindicati disattesi principi. Il giudice del rinvio provvedera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo e, dichiarati inammissibili il quarto ed il quinto motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/02/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANTEZZA FABIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TASSONE KATE, nel senso del rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di L'Aquila, con la pronuncia indicata in epigrafe, pur concedendo il beneficio della non menzione e sostituendo la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida con quella della sospensione per la durata di un anno, ha confermato la sentenza con la quale il G.u.p. del Tribunale di Teramo ha condannato (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 589-bis c.p.. 1.1. L'imputato e' stato ritenuto responsabile di aver cagionato la morte della propria madre (OMISSIS) quale conseguenza di un sinistro verificatosi in autostrada (a tre corsie per senso di marcia) e causato dalla propria condotta di guida. Perso il controllo del veicolo che, dopo aver urtato contro il guardrail di separazione delle carreggiate, ha raggiunto la posizione di quiete tra la seconda e la terza corsia, il conducente (l'attuale imputato) e la passeggera, la di lui madre, hanno abbandonato la vettura ponendosi nelle sue immediate vicinanze e finendo con l'essere investiti dalla stessa vettura in quanto urtata dal veicolo condotto sulla terza corsia da (OMISSIS). Nel dettaglio, la seconda vettura, come chiarito dai giudici di merito, ha urtato con la parte anteriore destra la parte posteriore destra della macchina ferma che, a sua volta, ha investito non solo l'imputato sua madre, sbalzandola nell'opposta carreggiata ove e' stata ulteriormente investita da macchine in transito. 2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, di seguito enunciati in termini strettamente necessari per la motivazione (ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con i primi due motivi si deducono l'erronea applicazione di legge oltre che la mancanza di motivazione in merito al nesso causale tra l'evento e la condotta dell'imputato, ritenuta dalla Corte territoriale colposa in ragione della perdita di controllo del proprio veicolo con conseguente impatto contro il guardrail e raggiungimento della posizione di quiete tre la seconda e la terza corsia. Si critica la sentenza d'appello per la mancata considerazione di altri fattori causali, in termini di interruzione del nesso eziologico o, quantomeno, di rilievo ai fini della diminuzione della pena ex articolo 589-bis c.p., comma 7. Trattasi in particolare della condotta del conducente del veicolo che, provenendo da tergo, ha urtato contro la vettura ferma tra la seconda e la terza corsia, non valutata dalla Corte territoriale solo in ragione dell'intervenuta archiviazione della relativa posizione e della mancata riapertura delle indagini, e della condotta della vittima che, al pari dello stesso imputato, ha abbandonato la vettura rimanendo nei pressi della stessa per poi essere investita a seguito del sopraggiungere di altra macchina transitante nella terza corsia. 2.2. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge e omessa motivazione in merito alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche. 3. Ha depositato conclusioni la Procura generale nei termini di cui in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle relative questioni, sono fondati, nei termini di seguito specificati, con conseguente assorbimento della terza censura. La Corte territoriale ha difatti sostanzialmente omesso di motivare in merito alle prospettate censure inerenti all'influenza causale nel determinismo dell'evento, eventualmente anche ai meri fini di cui all'articolo 589-bis c.p., comma 7, della condotta del conducente della vettura sopraggiungente nella terza corsia del medesimo senso di marcia di quello dell'imputato, oltre che della condotta della stessa vittima, che ha abbandonato il veicolo posizionandosi nei pressi di esso. 2. Sostanzialmente muovendo dalla sentenza di primo grado che, a sua volta, ha argomentato dalla perizia, il giudice d'appello ha ritenuto la seriazione causale conducente al decesso attivata dalla condotta colposa dell'imputato che, non mantenendo il controllo del veicolo, ha urtato contro il guardrail con conseguente posizionamento della vettura, in quiete, tra la seconda e la terza corsia. 3. Premesso cio', nonostante specifici motivi d'appello, la Corte d'appello ha omesso di considerare l'eventuale rilevanza della condotta del conducente del veicolo, in ipotesi in termini di velocita' e rispetto delle distanze di sicurezza, che, sopraggiungendo sulla terza corsia, ha urtato la vettura ferma che, a sua volta, ha investito anche la vittima (poi sbalzata nell'opposta carreggiata e ivi investita da altre vetture). L'omessa considerazione della detta condotta e' stata peraltro giustificata facendo un illogico riferimento all'intervenuta archiviazione della relativa posizione e all'assenza di una riapertura delle indagini ma non considerando che, nella specie, non si trattava di valutale la detta condotta in un processo a carico di (OMISSIS) (la cui posizione e' stata archiviata) ma nel processo a carico dell'imputato tanto ai fini dell'eventuale interruzione del nesso causale quanto, perlomeno, ai fini dell'operativita' dell'articolo 589-bis c.p., comma 7. Per l'operativita' della detta norma, difatti, non rileva l'eventuale condotta colposa di altro soggetto ma che l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o omissione del colpevole. Nella specie, peraltro, non e' stata valutata la condotta dell'autista sopraggiungente sulla terza corsia in uno con la condotta della vittima che ha abbandonato la macchina posizionandosi vicino a essa (quindi all'incirca tra la seconda e la terza corsia) e non in zona di sicurezza. Nulla emerge difatti in merito alla natura necessitata della detta condotta ovvero al tempo di permanenza della donna nei pressi della vettura abbandonata. Solo con riferimento alla condotta dell'automobilista sopraggiungente sulla terza corsia, sollecitata dal motivo d'appello inerente alla rilevanza causale della stessa, sembra peraltro fare riferimento alla prevedibilita' della stessa da parte dell'imputato che, invece, ha attivato la seriazione causale. A cio', pero', nonostante specifiche censure d'appello, non e' seguito il relativo ragionamento logico-giuridico, peraltro nei corretti termini dell'eventuale eccentricita' del rischio, in ipotesi attivato dall'altro conducente e dalla stessa persona offesa, rispetto a quello ordinario da circolazione stradale (per la piu' recente teoria dell'eccentricita' del rischio ai fini dell'interruzione del nesso causale si vedano, ex plurimis, anche sulla scorta di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014: Sez. 4, n. 23116 del 14/06/2022, Conti, non massimata, Sez. 4, n. 30824 del 16/06/2022, Nicoletti, non massimata, nonche' Sez. 4, n. 42017 del 29/09/2022, Malavasi, non massimata). 4. In Conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO Decima sezione civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Lucia Francesca Iori ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 57424/2019 r.g. promossa da: (...) (C.F./P.I. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. DA.CA. e dall'avv. DA.OT. ((...)) e dall'avv. VI.FE. ((...)) ed elettivamente domiciliato giusta procura in atti, PARTE ATTRICE contro (...) SPA (C.F./P.I. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. SC.MA. ed elettivamente domiciliato giusta procura in atti, SOCIETA' (...) S.P.A. (C.F./P.I. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. SCHIAVI MARCELLA ed elettivamente domiciliato giusta procura in atti, PARTI CONVENUTE OGGETTO: lesione personale CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha convenuto in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, (...) S.p.a., in qualità di compagnia assicuratrice dell'autovettura (...), tg. (...), di proprietà di (...) s.p.a. e condotta da (...), al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'attrice a causa del sinistro stradale occorso in data 30.04.2016 verso le ore 23.15 in Via B. S. a V. R. (T.), in cui è rimasta coinvolta in qualità di terza trasportata sull'indicata vettura, nonchè la rifusione delle spese e dei compensi anche del giudizio di istruzione preventiva, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. L'attrice a fondamento della pretesa ha dedotto: - che il giorno 30.04.2016 intorno alle 23.15 si trovava passeggera del veicolo (...), tg. (...), di proprietà di (...) s.p.a e condotta da (...), che stava percorrendo via B. S. a V. R. (T.); - che (...), giunto in prossimità della rotatoria, a causa dell'oscurità, della pioggia e della velocità non adeguata, non si è accorto della presenza della stessa e ha proseguito dritto, invadendo "la montagnola artificiale fatta in pietra autobloccante", capottandosi; - che, in conseguenza del violento urto, (...) ha subito gravi lesioni, per le quali, estratta dal veicolo distrutto, è stata trasportata d'urgenza al Pronto Soccorso dell'ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino; - che a causa del sinistro (...) ha riportato "fratture alla clavicola destra, all'omero destro all'epitroclea destra ed al polso sinistro, oltre ad un trauma maxillo-facciale" ed è rimasta ricoverata fino al 16.05.2016; - che al termine del periodo di prognosi l'attrice si è sottoposta a visita medio legale presso il dott. (...) e a consulenza psicodiagnostica da parte della dott.ssa (...); - che all'esito delle visite menzionate "il danno biologico subito dalla ricorrente nella misura è risultato pari al 40% considerando, appunto, oltre all'obiettiva gravità delle lesioni fisiche, anche la psicopatologia reattiva (disturbo post traumtico da stress e da dismorfismo corporeo) insorta a carico della sig.ra (...)"; - che tali lesioni hanno determinato la perdita dell'impiego di collaboratrice domestica, le hanno precluso la possibilità di impiego come modella e hanno altresì comportato la rinuncia forzata ad attività ludiche e di svago (come palestra, corsi di ballo, sci alpino); - che l'odierna attrice ha inoltrato la richiesta di risarcimento danni alla compagnia assicuratrice (...) s.p.a., la quale ha versato la somma di 70.000,00 Euro in due tranches; - che in data 12.03.2018 ha promosso ricorso ex artt. 696-696 bis c.p.c., iscritto sub R.g. 12814/2018, nei confronti di (...) s.p.a per accertare a tale data i postumi riportati dall'attrice in conseguenza dell'evento lesivo, prima di sottoporsi agli interventi chirurgici necessari per porre rimedio alle gravi patologie lamentate; -che all'esito dell'accertamento tecnico preventivo, il ctu nominato dott.ssa (...) ha quantificato il danno biologico patito dall'attrice nella percentuale del 32% e in analoga percentuale il danno alla capacità lavorativa specifica e ha affermato che "le lesioni riportate dall'attrice sono incompatibili con il corretto utilizzo delle cinture di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda le lesioni al volto"; - che parte attrice dopo il deposito della perizia ha domandato l'integrazione della ctu medico legale a causa del sopravvenuto aggravamento del quadro clinico dell'attrice, chiedendo altresì chiarimenti in ordine alle tabelle utilizzate dalla dott.ssa (...) per la quantificazione del danno; - che l'istanza è stata respinta dal Giudice assegnatario e ciò ha costretto l'attrice a promuovere il presente giudizio per reiterare le medesime doglianze, chiedendo la condanna di (...) s.p.a. al risarcimento del danno non patrimoniale, del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, nonché quello da perdita di chance per l'importo di Euro 355.318,15, al netto della somma di Euro 190.000,00, già corrisposta dalla compagnia assicuratrice (cfr. per tutte atto di citazione). Con deposito di comparsa di costituzione e risposta si è costituita in giudizio (...) s.p.a. chiedendo, in via preliminare, l'integrazione del contradditorio nei confronti di (...) s.p.a., litisconsorte necessaria, in quanto proprietaria del veicolo sul quale era trasportata l'attrice. Nel merito, ha chiesto il rigetto delle pretese di parte attrice in quanto infondate e, contestualmente, ha domandato di dichiarare la satisfattività della somma di Euro 190.000,00, già versata da (...) s.p.a.; in subordine, verificata l'esistenza del nesso di causalità tra l'aggravamento del danno di (...) e il sinistro di cui in causa, ha chiesto di liquidare la somma residua nei limiti di quanto strettamente provato in causa, rigettando ogni ulteriore ed infondata pretesa. All'esito dell'udienza ex art. 183 c.p.c., il Giudice ha disposto l'integrazione del contradditorio ex art. 102 c.p.c. nei confronti di (...) s.p.a., la quale si è costituita con deposito di comparsa di costituzione e risposta, richiamando e facendo proprie tutte le contestazioni, nonché le conclusioni di (...) s.p.a. Il procedimento è stato istruito documentalmente, nonché tramite ctu medico-legale sulla persona di parte attrice con quesito integrativo rispetto all'accertamento già compiuto in sede di istruzione preventiva, nominando la stessa consulente d'ufficio, dott.ssa (...). All'udienza del 23.11.2022, fissata per la precisazione delle conclusioni, svolta nelle modalità della trattazione scritta, il giudice ha dato atto della precisazione delle conclusioni ad opera delle parti, come sopra riportate, e ha trattenuto la causa in decisione, concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusioni e delle memorie di replica. La domanda attorea è solo parzialmente fondata e va accolta esclusivamente nei limiti e per le ragioni di seguito indicate. Nel merito si osserva che la parte attrice, nel presente giudizio, ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni da lei patiti, promuovendo nei confronti dell'assicurazione convenuta azione ex art. 141 cod. ass. priv., sul presupposto di aver riportato lesioni in occasione dell'incidente, che ha visto coinvolta la sola (...) sopra identificata, su cui lei era a bordo, in qualità di terza trasportata. Giova premettere che l'azione ex art. 141 cod. ass. priv. offre al danneggiato-terzo trasportato una tutela rafforzata e aggiuntiva rispetto all'azione ordinaria ex art. 144 cod. ass. priv., consentendogli di esperire un'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo sul quale egli era trasportato, in presenza di una serie di presupposti. A tal proposito, è opportuno rilevare che è stata a lungo dibattuta l'applicabilità, o meno, dell'articolo 141 cod. ass. priv. ai sinistri nei quali sia coinvolto un solo veicolo, riscontrandosi due orientamenti di segno opposto. Infatti, secondo un primo orientamento, la disposizione in questione presuppone soltanto il verificarsi di un sinistro e di un danno subito dal terzo trasportato, che non sia dovuto a caso fortuito, ma non esige allo stesso tempo che lo stesso si sia verificato a causa dello scontro tra due o più veicoli. Un orientamento di segno opposto riteneva, invece, necessario ai fini dell'applicabilità della norma lo scontro di almeno due veicoli, a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti coinvolti nel sinistro, salva l'ipotesi di caso fortuito da identificarsi come un fattore eccezionale, anomalo ed imprevedibile, che non può essere integrato dalla responsabilità dell'altro conducente (il caso fortuito consiste in "un avvenimento imprevedibile ed eccezionale, rappresentato dal fatto naturale o del terzo, che si inserisce nell'azione del soggetto" cfr. cfr. Cass. 17963/2021, secondo cui non è possibile far coincidere il caso fortuito con la condotta colposa del conducente del veicolo antagonista: "nel caso dell'art. 141 Cda, ... il trasportato agisce nei confronti dell'assicuratore del proprio vettore, sulla base della mera allegazione e prova del danno e del nesso di causa, a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, con la possibilità che gli venga opposto il solo caso fortuito, che in un giudizio in cui si prescinde dall'accertamento della responsabilità nel sinistro, deve logicamente essere nozione distinta dalla condotta colposa del conducente dell'altro veicolo coinvolto e deve pertanto coincidere con i fattori naturali ed i fattori umani estranei alla circolazione di altro veicolo"). Il menzionato contrasto giurisprudenziale è stato composto dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte, i cui principi si condividono integralmente, secondo cui "la tutela rafforzata riconosciuta dall'art. 141 cod. ass. al trasportato danneggiato presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli, pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi" e che, di conseguenza "nel caso in cui nel sinistro sia stato coinvolto un unico veicolo l'azione diretta che compete al trasportato danneggiato è esclusivamente quella prevista dall'art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile". Le Sezioni Unite hanno altresì affermato che l'articolo 141 cod. ass. priv. si applica a prescindere dall'accertamento della colpa dei conducenti e che il solo caso fortuito, da intendersi come evento eccezionale e imprevedibile estraneo alla circolazione di un altro veicolo, esonera l'assicuratore del vettore dal risarcimento a favore del trasportato (cfr. sentenza n. 35318/2022). Alla luce dei principi appena esposti consegue che in virtù dell'art. 141 cod. ass. priv. l'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo sul quale il terzo trasportato era a bordo, non può essere preclusa dalla condotta colposa del conducente del veicolo antagonista, essendo l'azione prevista a tutela del danneggiato trasportato per consentirgli di ottenere più agevolmente la liquidazione dei danni riportati, senza che, come detto, occorra accertare la dinamica del sinistro, ma a condizione che siano coinvolti due veicoli (anche senza che si verifichi lo scontro tra essi) e che non ricorra un'ipotesi di caso fortuito, che non può essere ricondotta al comportamento colposo del conducente del veicolo antagonista. Pertanto, nel caso di specie non può trovare applicazione l'articolo 141 cod. ass. priv. Infatti, dalla ricostruzione del sinistro stradale operata dagli agenti della Polizia Locale intervenuti sul luogo del sinistro risulta che non vi sia stata alcuna collisione, né alcun coinvolgimento di altri veicoli rispetto alla vettura (...) già menzionata, ma che il conducente di quest'ultimo, a causa dell'assenza di illuminazione artificiale e della pioggia, non si sia accorto della presenza della rotatoria, vi sia planato sopra e abbia perso il controllo dell'autovettura, che si è capottata. Sulla base dei rilievi effettuati, infatti, è emerso che il veicolo sopra identificato "giunto in prossimità della rotonda, a causa della forte pioggia e della mancanza di illuminazione artificiale, non si avvedeva della rotonda andandoci a finire sopra ed una volta sull'erba perdeva il controllo del veicolo che saliva sulla montagnola artificiale fatta in pietra autobloccante e in parte in erba che ha funto come rampa di lancio. L'autovettura dopo il volo e vari capottamenti finiva la sua corsa prima sul prato della stessa rotonda per poi finire la sua corsa vicino al guardrail posto sulla corsia di marcia direzione Borgaro" (cfr. relazione di sinistro stradale doc. 5 parte convenuta). Alla luce dei rilievi effettuati emerge quindi che il sinistro è stato cagionato unicamente dalla guida imprudente del conducente della (...), senza il coinvolgimento di ulteriori veicoli. Ne consegue che, in assenza del coinvolgimento di due, o più, veicoli e in virtù dei presupposti per l'applicabilità dell'articolo 141 cod. ass. priv., così come ricostruiti dalla recente giurisprudenza sopra richiamata, al caso di specie non è applicabile l'articolo 141 cod. ass. priv, bensì l'articolo 144 cod. ass. priv., che consente al danneggiato di agire nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile. Pertanto, nel caso di specie, stante l'insussistenza dei presupposti richiesti per l'operatività dell'articolo 141 cod. ass. priv., la domanda proposta nei confronti di (...) assicurazioni s.p.a. non può che essere riqualificata ai sensi dell'art. 144 cod. ass. priv. Del resto, il contraddittorio di cui all'articolo 144, terzo comma, cod. ass. priv. è stato correttamente integrato, avendone il Giudice disposto, con ordinanza del 3.6.2020, l'integrazione nei confronti di (...) s.p.a., proprietaria della (...) (cfr. comma 3 "nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno"). Così riqualificata la domanda, si osserva che l'articolo 144 cod. ass. priv. presuppone la prova della dinamica del sinistro, che nel caso di specie risulta non contestata e, in ogni caso, provata, nella sua materialità, alla stregua del rapporto di incidente stradale redatto dalla Polizia Locale sopra richiamato, dal quale si evince la responsabilità del conducente della (...)(...), che, stante l'orario serale e le condizioni meteo avverse, ha violato il disposto dell'art. 141, commi 2 e 3, del codice della strada, nella parte in cui si prescrive di tenere una condotta di guida prudente, che consenta di conservare il controllo del mezzo e porre in essere conseguenti manovre di emergenza e anche di regolare la velocità, ove le condizioni di visibilità non siano ottimali, in orario notturno e a chi si approssimi ad una intersezione. Nessun dubbio sussiste quindi in merito alla responsabilità di (...), conducente della (...) e, per l'effetto, del proprietario dell'autovettura (...) s.p.a. Tuttavia, occorre verificare se sussista, ed eventualmente in che misura, un concorso colposo di (...) per l'aggravamento delle conseguenze lesive del sinistro nel quale è rimasta coinvolta. A tal proposito, occorre prendere in esame l'eccezione formulata dalle parti convenute di mancato uso delle cinture di sicurezza. Come è noto, l'art. 172, comma 1, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 205 prevede, che il conducente ed i passeggeri dei veicoli della categoria (...), dotati di carrozzeria chiusa, di cui all'art. 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2002/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 marzo 2002, e delle categorie (...), (...) ed (...), di cui all'articolo 47, comma 2, del presente codice, muniti di cintura di sicurezza, hanno l'obbligo di utilizzarle in qualsiasi situazione di marcia. È pacifico che l'omesso utilizzo delle cinture di sicurezza rappresenta una condotta colposa nella causazione del danno, che rileva ai sensi del combinato disposto degli artt. 2056 c.c. e 1227 c.c.: se il fatto colposo del trasportato ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il comportamento del danneggiato concorrente nella produzione dell'evento dannoso, infatti, integra il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall'art. 1227 comma 1 c.c., applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. Il comportamento del danneggiato, tuttavia, non interrompe per ciò solo il nesso causale, come eccepito dalla compagnia convenuta. Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che "il comportamento colpevole del danneggiato non può in ogni caso valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta del conducente del veicolo e la produzione del danno né vale ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili. Può esservi, concorso di colpa fra le parti, con riduzione percentuale del risarcimento del danno, ma non certo esclusione totale di responsabilità in capo al conducente del veicolo e del relativo obbligo risarcitorio. La circostanza che vi sia una concausa nella produzione dell'evento di danno non esclude la concorrenza delle cause nella produzione del medesimo, né consente di ritenere interrotto legittimamente il nesso causale tra la condotta del conducente e il danno" (Cass. n. 21991 del 3 settembre 2019 e n. 2531 del 30 gennaio 2019). La circostanza che l'attrice, al momento del sinistro, non indossasse la cintura di sicurezza è desumibile, innanzitutto, dal verbale di pronto soccorso allegato in atti (v. doc. B n.2 fascicolo parte attrice), nel quale si legge "paziente trasportata sul sedile posteriore, non portava la cintura di sicurezza". Deve ritenersi che i sanitari abbiano esperito con tale riferimento una valutazione professionale, preso atto delle condizioni in cui è stata trasportata presso il nosocomio l'odierna attrice. Del resto lo stesso ctu nominato in sede di atp, dott.ssa (...), ha rilevato che "proprio perché l'auto si è capovolta il mancato allacciamento delle cinture ha potuto incidere sull'entità delle lesioni, anche se non è possibile indicare la precisa entità dell'aggravamento determinato dal mancato utilizzo delle stesse", confermando quindi la compatibilità delle lesioni riportate con il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza e che un corretto uso delle cinture di sicurezza avrebbe limitato i danni patiti dall'attrice (cfr. relazione medico legale in sede di atp, doc. 1 fascicolo parte convenuta (...)). Inoltre, diversamente da quanto affermato dall'attrice, la dichiarazione del conducente dell'automobile circa l'utilizzo anche da parte della passeggera delle cinture di sicurezza in sede di dichiarazioni rilasciate agli agenti intervenuti e riportate nel rapporto di sinistro stradale, non può avere, né efficacia confessoria perché non proveniente dalla parte e non avente in ogni caso il contenuto di dichiarazione a sé sfavorevole, né potendo (...) essere ritenuto rispetto a circostanze afferenti la dinamica del sinistro, da lui stesso provocato, capace a testimoniare ex art. 264 c.p.c. Ne consegue che tali dichiarazioni non possono in specie assumere nemmeno il rango di elemento di prova. Al contrario quanto riferito dall'altra passeggera T.K. e riportato nella menzionata relazione di sinistro stradale versata in atti (cfr. "io ero seduta davanti e avevo la cintura allacciata") è compatibile la conclusione secondo cui l'attrice fosse, in tale frangente, priva del mezzo di contenimento, avendo la persona informata dei fatti enfatizzato proprio l'adozione da parte sua della cintura di sicurezza. L'omesso uso delle cinture di sicurezza da parte dell'attrice, pertanto, pur non consentendo di ritenere interrotto il nesso causale tra la condotta del conducente e il danno, genera quindi un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, che legittima la riduzione proporzionale del risarcimento del danno in favore della vittima. Considerandosi, pertanto, l'incidenza che il mancato uso delle cinture ha avuto nel caso di specie sul verificarsi delle lesioni riportate dall'attrice, la misura del concorso colposo del danneggiato può stimarsi nella misura del 30%, sì che dovrà essere operata la relativa diminuzione rispetto alle somme riconosciute alla danneggiata a titolo risarcitorio. Affermata la responsabilità concorrente dell'attrice nella causazione del danno, occorre provvedere a liquidare i danni dalla stessa patiti. Per ciò che attiene alla liquidazione del danno alla persona connesso alle lesioni, va, preliminarmente, tenuto presente l'indirizzo assunto negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione enunciabile, in sintesi, mediante il richiamo alla pronuncia della stessa Suprema Corte (v. sent n. 7513/2018, Cass. Civ. sent. n. 25164/2020), che ha riassunto con estrema chiarezza l'approdo giurisprudenziale al quale è pervenuta la giurisprudenza di legittimità mediante il travagliato iter susseguito alle sentenze emesse a Sezioni Unite nell'anno 2008 (Cass. SS.UU. novembre 2008 nn. 26972-26973-26974-26975). Secondo i principi enunciati, integralmente condivisi dalla scrivente Giudice "1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. 2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non unitaria. 3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.). 4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte leconseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. 5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio. 6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). 7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose de/tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. 8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale")". Sulla scorta di tali enunciazioni di principio, per quanto riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale, questo giudice ritiene di dover orientare la liquidazione equitativa in base ai criteri adottati dal Tribunale di Milano con le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico - fisica aggiornate al tempo della decisione (edizione 2021), riconosciute dalla Suprema Corte di Cassazione, in alcune recenti decisioni, quale parametro per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale su tutto il territorio nazionale (es. Cass. 7/6/2011 n. 12408). Nel caso di specie, va rilevato che la ctu dott.ssa (...) in sede di atp aveva accertato che a seguito dell'incidente (...) riportava "esiti frattura a 4 frammenti della testa omerale destra, frattura (...) medio della clavicola destra, frattura epitroclea gomito destro, frattura epifisi distale radio sinistro, trauma maxillo facciale ed esiti cicatriziali cutanei", che avevano determinato postumi permanenti del 32% e una limitazione della capacità lavorativa di pari grado (cfr. relazione medico legale atp, doc 1 fascicolo parte convenuta (...)). Nel presente giudizio all'esito della disposta integrazione di consulenza, la dott.ssa (...) ha confermato "un aggravamento dei postumi permanenti e dell'inabilità temporanea della danneggiata successivamente alla valutazione medico legale esperita in sede di accertamento tecnico preventivo. Detto aggravamento riguarda le conseguenze lesive eziologicamente derivanti dal sinistro per cui è causa" e ha rilevato "esiti frattura a 4 frammenti della testa omerale evoluta in necrosi con necessità di impianto protesico di spalla" (cfr. relazione medico legale del presente giudizio). La ctu ha quindi stimato che il periodo di inabilità temporanea può essere diviso in due periodi. Quanto al primo periodo di immobilizzazione con tutore ha stimato: - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea assoluta di giorni 3; - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea al 75% di giorni 40; - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea al 50% di giorni 80; - il grado di sofferenza morale nel periodo di inabilità temporanea in una scala da 1 a 5 in elevata. Quanto al secondo periodo di inabilità temporanea, successivo all'immobilizzazione con tutore, in cui l'attrice ha intrapreso un ciclo di terapia riabilitativa e si è sottoposta ad un intervento chirurgico, la ctu ha riscontrato che "la durata del complessivo iter clinico diagnostico - terapeutico è stato (dal 31.01.2019 al 26.03.2019) periodo che va dal primo consulto ortopedico al momento del ricovero di 53giorni a cui si aggiungono 4 mesi dal momento dell'intervento a quello della stabilizzazione dei postumi", stimando: - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea assoluta di giorni 3; - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea al 75% di giorni 50; - il danno biologico di natura temporanea in un'inabilità temporanea al 50% di giorni 120. Ha altresì stimato: - postumi permanenti nella misura di complessivi 40%; - il grado di sofferenza morale nel periodo di inabilità permanente in una scala da 1 a 5 in medio. Alla luce delle conclusioni della relazione tecnica depositata, avuto riguardo al caso concreto, tenuto conto delle lesioni, della durata dell'invalidità temporanea, dell'età della persona al momento della stabilizzazione dei postumi permanenti (26 anni) e dell'entità di questi ultimi, in via equitativa è possibile liquidare per il danno non patrimoniale la somma complessiva di Euro 303.195,00 di cui Euro 280.258,00 per postumi permanenti e di cui Euro 22.937,00 per inabilità temporanea (euro 149,00 pro die per il primo periodo di inabilità temporanea ed Euro 120,00 pro die per il secondo periodo, tenuto conto delle allegazioni della danneggiata e delle indicazioni in punto di sofferenza fornite dal ctu). L'attrice ha chiesto, altresì, il riconoscimento di una personalizzazione del danno non patrimoniale, tenuto conto che le lesioni subite hanno compromesso, sia lo svolgimento di attività ludiche e di svago (palestra, corsi di ballo, sci alpino), sia dell'attività lavorativa di collaboratrice domestica, nonché per i gravi inestetismi al volto riportati. In particolare, con particolare riferimento alla "personalizzazione" del danno non patrimoniale deve richiamarsi l'orientamento della Suprema Corte secondo cui "il grado di invalidità permanente espresso da un barème medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separato del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanza specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo 'tenuto conto della gravità delle lesioni" (Cass. 23778/2014, Cass. 28988/2019; Cass. 7513/2018). Si reputa che non possa essere riconosciuta alcuna personalizzazione del danno non patrimoniale per l'impossibilità per l'attrice di continuare a svolgere l'attività ludico-sportiva praticata in precedenza, poiché non è stata provata, né la tipologia di attività svolta in precedenza, né la frequenza con cui la stessa è stata svolta. Per quanto riguarda gli inestetismi lamentati da parte attrice, dagli accertamenti peritali compiuti dal c.t.u. sia in sede di atp che nel presente giudizio, la stessa dott.ssa (...) ha dato atto della presenza di "trauma maxillo facciale ed esiti cicatriziali cutanei" e di "un'asimmetria del volto quando sorride", nonché della presenza di menomazioni della spalla "per quanto riguarda la spalla la menomazione è evidente occasionalmente alla osservazione di persone terze quando la perizianda indossa abiti senza maniche" (cfr. relazioni medico legali). La presenza di tali lesioni soprattutto al volto, può ritenersi, accedendo ad un ragionamento presuntivo ex art. 2727 c.c., idonea a condizionare la vita dell'odierna attrice e a determinare un conseguente suo patimento e un senso di vergogna. Infatti, dalle foto di (...) ante sinistro allegate in atti da parte attrice (v. doc. Z 10-15 fascicolo di parte attrice) si desume che ella è persona attenta alla cura del corpo e all'estetica, si che gli inestetismi al volto e alla spalla devono presumersi aver arrecato un pregiudizio all'attrice, che giustifica una personalizzazione del danno non patrimoniale. Alla luce delle predette considerazioni e, tenuto conto della mancata produzione di rappresentazioni fotografiche post sinistro, si reputano sussistere motivi per provvedere ad una personalizzazione del danno, applicando un aumento del 10%, da calcolarsi sulla sola componente del danno cd. dinamico relazionale, sì che il danno non patrimoniale va liquidato in complessivi Euro 321.878,80. Nessuna altra somma deve essere riconosciuta a titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale, non essendo stata fornita la prova di peculiari patimenti derivanti dall'impossibilità o difficoltà di eseguire specifiche attività. Quanto, invece, al danno patrimoniale lamentato, deve rilevarsi quanto segue. L'attrice sin dall'atto di citazione ha chiesto il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, allegando di aver perso il proprio impiego di collaboratrice domestica e di non riuscire a reinserirsi nel mercato del lavoro a causa della tipologia delle lesioni riportate a seguito del sinistro, segnalando, in particolar modo, la difficoltà di movimento della spalla destra, che le impedisce di sollevare pesi. Sul punto occorre premettere che in conseguenza di un fatto illecito, la riduzione o la perdita della capacità lavorativa specifica può dare luogo ad un risarcimento di danno patrimoniale (da lucro cessante) qualora si accerti che il danneggiato ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro a causa del sinistro. Difatti, in tale ipotesi di danno patrimoniale il giudice, oltre a dover accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità lavorativa specifica (e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno), è tenuto altresì a verificare se e in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali e ambientali, idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte, e solo nell'ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in forza di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 16213 del 27/06/2013). Inoltre, l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione, o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso (Cass. Sez. 3, Sent. n. 15238 del 03/07/2014 - Rv. 631711). Secondo quanto ribadito, anche con recenti pronunce (v. Corte Cass., sez. III, ord. n. 24209 del 2019),"il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività lavorativa. Ed è stato anche affermato che tale presunzione, peraltro, copre solo l'"an" dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest'ultimo sia diminuito". Nella specie, la dott.ssa (...) ha accertato che "vi è una limitazione della capacità lavorativa la cui l'incidenza percentuale equivale al 40% (quaranta per cento). I settori nei quali può impiegare le energie residue sono tutti quei settori in cui non sono previsti sollevamenti di gravi con l'arto superiore destro (es. centralinista o altro)." Si evince quindi che, in ragione del tipo di lesioni e dell'entità delle stesse, l'evento dannoso ha inciso in maniera negativa sulla capacità lavorativa del danneggiato. A tal proposito, parte attrice ha provato che, al momento del sinistro fosse assunta con regolare contratto stipulato in data 22/04/2016 e che svolgesse la mansione di collaboratore domestico (v. doc. B/71 fascicolo parte attrice). Tuttavia, non ha dimostrato di aver subito un decremento patrimoniale a seguito dell'evento lesivo occorsole. L'odierna attrice si è infatti limitata ad allegare le buste paga relative agli anni 2011 e 2012 e la certificazione CUD del 2012 relativa all'anno 2011, non allegando alcun documento successivo al sinistro idoneo a comprovare l'effettiva perdita patrimoniale subita, né certificati di disoccupazione, né attestazioni dell'Agenzia delle Entrate di mancata presentazione delle dichiarazioni reddituali. Del resto la stessa dott.ssa (...) ha indicato come la danneggiata possa ancora eseguire mansioni analoghe a quelle di centralinista, che si reputano in astratto compatibili con lesioni ed i postumi riportati e non si reputano precluse per il solo fatto che si tratti di persona di origine ucraina, atteso che la propensione di carriera verso il mondo della moda e spettacolo (cfr. doc. Z16) deve far presumere una almeno discreta conoscenza della lingua italiana e proprietà di linguaggio e capacità di relazionarsi con le persone. Pertanto, nessuna somma può essere riconosciuta a titolo di danno da perdita di capacità lavorativa specifica. Parte attrice ha, altresì, formulato domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance atteso che le cicatrici e gli inestetismi al volto le hanno precluso la possibilità di impiego come modella. Sul punto si osserva che la Suprema Corte ha qualificato la perdita di chance come la concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, che non integra una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, sì che il creditore che voglia ottenere il risarcimento dei danni derivanti da detta perdita ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1752 del 28/01/2005). Secondo la giurisprudenza il creditore ha l'onere di provare, benchè solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6488 del 14/03/2017). L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" esige, infatti, la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Nel caso di specie, (...) non ha allegato nulla da cui possa evincersi che prima del sinistro svolgesse l'attività di modella; infatti, le fotografie versate in atti, nonché il messaggio di cui al doc. Z16 del fascicolo di parte attrice, in cui si evince l'offerta a (...) di partecipare ad un casting per la selezione di comparse retribuite, non provano che l'odierna attrice fosse una modella e che gli inestetismi al volto provocati dal sinistro le abbiano impedito di continuare a svolgere tale attività. A ben vedere i documenti allegati dall'attrice non rappresentano una prova dell'attività di modella, quanto al più sono idonei a documentare la semplice speranza di poter svolgere tale professione, speranza che, all'evidenza, non può essere qualificata come perdita di chance. Pertanto, alla luce di quanto esposto, nessuna somma può essere riconosciuta per tale voce di danno richiesta dall'attrice. Quanto alle spese mediche, il ctu ha riconosciuto in sede di accertamento tecnico preventivo la somma di Euro 6.531,75 (rivalutate alla data odierna nella misura di Euro 7.759,72), comprensive di spese fisioterapiche, a cui vanno aggiunte le spese per consulenze di parte nella misura di Euro 2.508,00 (rivalutate dal 2017 alla data odierna in Euro 2.929,39). A tali importi vanno aggiunte spese mediche e spese equiparabili (per acquisizione copia di documentazione sanitaria) per Euro 371,35 (rivalutate dalla metà del 2019 alla data odierna in Euro 427,80), non potendosi riconoscere spese per prestazioni di medicina "alternativa", o idrochinesiterapia, o ulteriori spese di cui non possa evincersi il titolo nel giustificativo. Nessuna somma può essere riconosciuta per gli interventi di chirurgia estetica perché, tenuto conto della riconosciuta personalizzazione del danno sotto quel profilo, il riconoscimento di detta voce costituirebbe fondamentalmente una duplicazione, non potendosi riconoscere simultaneamente il danno da sofferenza per le condizioni fisiche non emendate e le spese per provvedere all'eliminazione del relativo difetto. Ne deriva che, alla luce di quanto esposto, il danno complessivo sofferto dalla parte attrice in conseguenza del sinistro (euro 332.995,71) a fronte dell'accertato concorso di colpa del 30% va determinato nell'importo di Euro 233.097,00. Dall'importo indicato devono essere decurtate le somme ricevute dalla parte attrice ante causam dalle assicurazioni e dall'Inail. Sul punto occorre richiamare il principio di compensatio lucri cum damno, rispetto al quale si sono recentemente espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle sentenze gemelle del 2018 (n. 12564; n. 12565; n. 12566; n. 12567), chiarendo che nel procedere all'accertamento dei danni causati da un determinato fatto illecito si deve tener conto anche dei vantaggi eventualmente scaturiti dallo stesso; invero, la tutela risarcitoria deve essere finalizzata a ripristinare la situazione del danneggiato antecedente al verificarsi del fatto illecito e non deve trasformarsi in un'occasione di ingiustificato arricchimento del danneggiato. Nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, il danneggiato abbia già ricevuto delle somme di denaro a titolo indennitario, infatti, le Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 12565/2018 hanno statuito che: "il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto". Tanto premesso in termini generali, nel caso di specie alle somme già percepite ante causam si applica il principio della compensatio lucri cum damno e, pertanto, le stesse devono essere sottratte in sede di liquidazione del danno nell'ipotesi in cui venga riconosciuto il diritto al risarcimento del danneggiato. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento chiaro e del tutto condivisibile ai fini dell'applicazione del principio della compensatio lucri cum damno vanno decurtate somme che facciano riferimento solo a poste omogenee di danno (Cass. Sez. L, Sentenza n. 20807 del 14/10/2016, secondo cui "In tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee"). Alla luce delle considerazioni che precedono, ne consegue che alla somma di Euro 231.902,93 deve essere decurtata la somma di Euro 35.490,00 (pari alla somma di Euro 30.000,00, rivalutata dall'5.7.2016 - data del pagamento - alla data della presente pronuncia per consentire la sottrazione di importi omogenei), versata ante causam da (...) s.p.a. a titolo di danno non patrimoniale, così come la somma di Euro 46.840,00 (pari ad Euro 40.000,00, rivalutata dall'08.06.2017 -data del pagamento- alla data della presente pronuncia per consentire la sottrazione di importi omogenei) versata ante causam da (...) s.p.a. a titolo di danno non patrimoniale, nonché la somma di Euro 137.520,00 (pari alla somma di Euro 120.000,00, rivalutata dall'1.8.2019 - data del pagamento - alla data della presente pronuncia per consentire la sottrazione di importi omogenei in Euro). Il danno non patrimoniale va pertanto liquidato nella misura di Euro 13.247,00. Sulle somme riconosciute sono inoltre dovuti gli interessi compensativi per la ritardata corresponsione dell'equivalente pecuniario del danno, posto che, nelle obbligazioni di valore, il debitore è in mora dal momento della produzione dell'evento di danno; peraltro, avuto riguardo ai principi enunciati dalla sentenza n. 1712/1995 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, al fine di evitare un lucro ingiustificato per il creditore, e per meglio rispettare la funzione compensativa dell'interesse legale riconosciuto sulla somma rivalutata, gli interessi devono essere calcolati non sulla somma rivalutata (o espressa in moneta attuale) al momento della liquidazione, nè sulla somma originaria, ma debbono essere computati sulla somma originaria che via via si incrementa, a partire dal livello iniziale fino a quello finale, nei singoli periodi trascorsi. Ai soli fini del calcolo degli interessi compensativi, la somma corrispondente al danno liquidato all'attualità deve essere, anzitutto, operata la devalutazione alla data del fatto (30.4.2016); l'importo così devalutato deve essere, quindi, rivalutato, secondo la variazione degli indici Istat del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, dalla data del fatto a quella del primo pagamento sino al 05.07.2016 (data del primo pagamento); sulla somma via via rivalutata devono essere calcolati gli interessi al tasso legale dalla data del fatto a quella del riconoscimento della somma successiva somma per poi operare la relativa decurtazione (cfr. 30.000,00 alla data del 5.7.2016) e così via per tutte le somme corrisposte (v. Euro 40.000,00 alla data dell'8.6.2017, Euro 120.000,00 alla data dell'1.8.2019). Dalla data della sentenza sono dovuti gli interessi al tasso legale sul solo importo residuo liquidato espresso in moneta attuale. Quanto al regolamento delle spese di lite del presente giudizio, l'accertato concorso di colpa di parte attrice nella misura del 30%, l'infondatezza delle pretese circa il danno da perdita di capacità lavorativa specifica e il danno da perdita di chance, nonché la mancata accettazione della proposta conciliativa formulata dal Giudice in corso di causa ex art. 185 bis c.p.c., che comporterebbe l'impossibilità di riconoscere compensi per la seconda parte dell'attività istruttoria e di quella decisoria, giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti processuali del presente giudizio. Le spese di ctp, sostenute dalla parte attrice nel presente giudizio, devono pertanto rimanere a suo esclusivo carico. Quanto alle spese del giudizio ante causam di istruzione preventiva ricorrono le condizioni per giustificare la compensazione parziale delle spese processuali tra la parte attrice e la parte convenuta (...) assicurazioni s.p.a. nella misura del 50%. La liquidazione delle spese avviene direttamente in dispositivo, in applicazione dei parametri indicati dall'art. 4 D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della controversia (calcolato sull'importo riconoscibile all'esito del giudizio di atp ex art. 5 del DM e tenuto conto delle somme già versate in data antecedente dalla compagnia convenuta), delle questioni trattate, nonché dell'attività difensiva concretamente svolta (fasi di studio, introduttiva e istruttoria, secondo i valori medi per il procedimento di istruzione preventiva). Le spese di c.t.u., del procedimento di atp e del presente procedimento (liquidate in corso di causa con decreto di pagamento del 21.12.2021), devono essere definitivamente poste a carico dell'attrice e della convenuta (...) assicurazioni s.p.a. nella misura del 50% ciascuna. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione assorbita o rigettata, così provvede: 1. accertata la responsabilità di (...) nella determinazione del sinistro per cui è causa, occorso in V. R. (T.) in data 30.4.2016, e di (...) nella misura del 30% per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, condanna (...) s.p.a. al risarcimento del 70% dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dall'attrice (...), che, tenuto conto delle somme corrisposte ante causam, si liquidano in Euro 13.247,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, come indicati in parte motiva; 2. compensa integralmente le spese di lite del presente giudizio tra le parti; 3. compensa tra la parte attrice (...) ed (...) s.p.a. le spese di lite del procedimento di istruzione preventiva, iscritto sub r.g. n. 12814/2018, nella misura del 50% e condanna l'assicurazione convenuta a rifondere alla parte attrice il restante 50% delle spese di lite, che si liquidano in Euro 1.822,50 per compensi, Euro 148,75 per le spese, in Euro 732,00 per spese di CTP, oltre al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% sull'indicato compenso, oltre ad I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A., da distrarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari; 4. pone definitivamente a carico di parte attrice e della convenuta (...) s.p.a. le spese di c.t.u del presente giudizio e del procedimento di istruzione preventiva r.g. n. 12814/2018, come rispettivamente liquidate, nella misura del 50% ciascuna. Così deciso in Milano il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENTILI Andrea - Presidente Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MACRI Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della Corte d'appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Manuali Valentina, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito, per le parti civili, l'avvocato (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte e nota spese; uditi l'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), e l'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17 novembre 2021 la Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - decidendo nel giudizio di rinvio scaturito dalla sentenza della Corte di Cassazione del 23 marzo 2021, n. 14634, di annullamento della sentenza assolutoria emessa in data 14 aprile 2019 dalla medesima Corte d'appello, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in data 20 luglio 2015 - ha confermato, per quanto qui rileva, la sentenza di primo grado, con cui gli imputati erano stati condannati alla pena di un anno e due mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore delle parti civili per il reato di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2, per aver cagionato, con azioni indipendenti, la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, mentre percorrevano a bordo di un'autovettura Lancia Y la strada provinciale 12, perdevano il controllo del mezzo, fuoriuscivano dalla sede stradale terminando in un canale di bonifica parallelo e decedevano a seguito del sinistro. 2. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano vizi della motivazione e di violazione dell'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2. Innanzitutto, la difesa evidenzia come non sia stato assolutamente accertato che il conducente dell'auto, (OMISSIS), non avesse ingerite alcool o sostanze psicotrope, visto che non e' stato espletato alcun esame autoptico. Il medico, infatti, aveva effettuato unicamente l'ispezione cadaverica, ritenendo che la causa del decesso del (OMISSIS) e del (OMISSIS) fosse ascrivibile ad asfissia per annegamento. Nel caso di specie - per la difesa - il sinistro andava ascritto unicamente alla condotta imprudente ed imperita del (OMISSIS), il quale, come risultava dalla perizia tecnica del consulente del Pubblico ministero, violava le norme del codice della strada. Ne' si sarebbero considerate le condizioni climatiche, che imponevano un'andatura moderata, e la condotta imprudente e negligente del conducente. Inoltre - sottolinea la difesa - (OMISSIS) era unicamente direttore dei lavori per la costruzione degli argini a seguito dell'inondazione del fiume Lato e non anche, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, per tutto cio' che riguardava la viabilita' e la messa in sicurezza della Strada provinciale 12, in quanto la vigilanza delle strade nella zona interessata dal sinistro non era mai stata di sua competenza. In aggiunta, si evidenza come la segnaletica presente al momento del sinistro fosse assolutamente esplicita nello stabilire che il transito dopo il ponte non era permesso indistintamente a tutti gli utenti della strada, essendovi a impedire il passaggio ben due cartelli di divieto di transito, con il panello che escludeva dal divieto stesso solo i frontisti. Un'ulteriore circostanza di rilievo sarebbe, secondo la difesa, quella che l'impresa esecutrice aveva consegnato da piu' di un mese dalla data del sinistro le opere all'ente proprietario, cosicche' la stessa non aveva piu' competenza su quel tratto di strada. In ogni caso, dalle determine dirigenziali n. 126 del 22 luglio 2005 e n. 155 del 26 settembre 2005 emergeva che l'imputato aveva sottoscritto solo l'impegno di spesa necessario per effettuare i lavori di ripristino dell'alveo del fiume, liquidando gli onorari alla ditta, ma non aveva ulteriori competenze. 2.2. Con un secondo motivo di ricorso si lamentano vizi della motivazione e di violazione delle disposizioni prima indicate,, anche con riferimento al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3. Si sostiene che (OMISSIS) non e' mai stato officiato di compiti di progettazione di opere stradali o di protezione stradale, come invece asserito nella sentenza impugnata. Pertanto, pretendere di individuare una sua responsabilita' per omessa progettazione e realizzazione di opere rientranti nella sua competenza rappresenterebbe una palese violazione delle norme che individuano i compiti e le responsabilita' dei pubblici dipendenti. L'eventuale scelta di proteggere la zona con l'istallazione di un guardrail non sarebbe stata di spettanza dell'imputato, ma semmai di altri soggetti, dotati di specifica competenza progettuale per quella specifica zona territoriale, ovvero di chi aveva superiori doveri di controllo e vigilanza. D'altronde, secondo la difesa, la stessa pretesa che un guardrail fosse istallato in un punto in cui il canale di bonifica dista ben 24 metri dalla sede stradale e' quantomeno di dubbia fondatezza, anche considerando il fatto che la strada provinciale 1.2 era al momento del sinistro chiusa al traffico per la perdurante efficacia dell'ordinanza presidenziale n. 70 del 2004. In ogni caso, secondo la difesa, la norma da prendere in considerazione nella specie non e' l'art, 3 del Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 ma l'articolo 3 delle Istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali, allegate al Decreto Ministeriale stesso. Si sarebbe dovuto considerare che nella zona il traffico era ridotto, che la pendenza della scarpata era nulla, che il raggio di curvatura dell'asse stradale non presentava particolari problematicita' e che, dunque, non vi era obbligo di guard-rail, come anche confermato dalla persona trasportata sopravvissuta all'incidente. Inoltre, si afferma che la motivazione della sentenza impugnata appare contraddittoria laddove esclude la penale responsabilita' di (OMISSIS) - titolare dell'omonima impresa, esecutrice dei lavori - sul rilievo che la stessa impresa aveva gia' consegnato i lavori, ma non esclude quella dell'odierno ricorrente (OMISSIS). Non si sarebbe considerato che anche quest'ultimo aveva terminato il suo rapporto rispetto al contratto di appalto, con la consegna dell'opera alla Provincia di Taranto da parte della ditta appaltatrice. 2.3. In terzo luogo, si lamentano la violazione delle disposizioni gia' menzionate e dell'articolo 185 c.p., nonche' la mancanza di motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha pronunciato nei confronti degli imputati la sentenza di condanna al risarcimento dei danni, anche in relazione alla mancata attestazione dell'avvenuto risarcimento del danno subito dalle parti civili. Si chiede, inoltre, che sia sospesa la provvisoria esecuzione delle provvisionali gia' concesse; provvisoria esecuzione gia' sospesa con ordinanza della Corte d'appello di Taranto. 2.4. Con una quarta doglianza, si lamentano vizi della motivazione e la violazione delle disposizioni gia' menzionate e degli articoli 132 e 133 c.p., in punto di determinazione della pena. La Corte d'appello - secondo la difesa avrebbe omesso di effettuare un distinguo sulla pena irrooata dal Tribunale, perche' la posizione di (OMISSIS), in relazione alla contestazione di cui al capo di imputazione, va ritenuta meno incisiva di quella del dirigente (OMISSIS), anche alla luce del fatto che lo stesso non aveva nessuna posizione di garanzia rispetto alla messa in sicurezza della strada. 2.5. Con un quinto motivo di ricorso,, si denunciano la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione e la violazione dell'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 114 c.p., articolo 589 c.p., comma 2 e, con riferimento al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3, in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a respingere le doglianze difensive con formule di stile e in base ad assunti erroneamente assertivi e distonici rispetto alle risultanze istruttorie, con particolare riferimento all'obbligo di predisporre il guard rail e alla sua sussistenza in capo all'imputato. 3. La sentenza e' stata impugnata anche nell'interesse di (OMISSIS), con un unico motivo di ricorso, con cui si lamentano la mancanza, la contraddittorieta', la manifesta illogicita' della motivazione, non avendo la motivazione impugnata tenuto conto delle plurime prospettazioni difensive volte a scardinare l'impianto accusatorio. Il difensore sottolinea come il ruolo rivestito da (OMISSIS) di responsabile del procedimento sia consistito solo nel garantire che tutte le fasi del procedimento fossero realizzate, al fine di evitare l'inerzia della pubblica amministrazione. Con riferimento al canale oggetto della disamina tecnica, si evidenzia che non puo' essere considerato una pertinenza della strada perche', in ossequio all'articolo 24 C.d.S., le pertinenze per essere tali devono essere destinate in modo permanente al servizio o all'arredo funzionale della strada. Nel caso di specie, invece, il canale non serve una strada, ma la attraversa, in corrispondenza di un ponte realizzato ad hoc. Inoltre - asserisce il difensore lo spazio percorso dall'automobile nel luogo del sinistro e' di oltre 20 metri, come tale fuori dalla fascia di pertinenza massima di 6 metri. 4. Con memorie pervenute presso la cancelleria di questa Suprema Corte il 20 dicembre 2022 e il 12 gennaio 2023, i difensori degli imputati insistono per l'accoglimento dei ricorsi e, in particolare, per l'annullamento o revoca delle statuizioni civili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 1.1. Il primo motivo di doglianza - sostanzialmente riferito alla motivazione della sentenza impugnata circa le modalita' di causazione del sinistro e l'obbligo di garanzia in capo all'imputato - e' infondato. La motivazione della sentenza impugnata, in linea con i principi affermati dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio, evidenzia come la segnaletica presente sul luogo fosse contraddittoria e che a tale contraddittorieta' fosse ascrivibile l'incidente occorso, dovendosi ritenere recessivi ulteriori elementi - peraltro frutto di mere illazioni difensive - quale l'eventualita' che il conducente avesse ingerito alcol o sostanze stupefacenti o quello relativo alla violazione di norme del codice della strada, di per se' insufficiente a giustificare il sinistro. Nella sentenza di primo grado, con la quale quella impugnata si salda sul piano argomentativo, si afferma, in particolare, che la segnaletica di cantiere con sfondo giallo (divieto di transito solo in caso di allagamento) avrebbe dovuto prevalere per l'utente della strada rispetto a quella ordinaria di divieto di transito ugualmente presente, con specifica violazione dell'articolo 30 reg. esec. cod. str., che pone il divieto di apporre segnaletiche contraddittorie (pagg. 5-7 della sentenza di primo grado). Il Tribunale ha giuridicamente ricostruito la responsabilita' di (OMISSIS), evidenziando che lo stesso aveva personalmente disposto l'apposizione della nuova segnaletica di accesso alla strada in esecuzione delle determinazioni dirigenziali nn. 126 e 155 del 2005, a fronte di un'ordinanza del Presidente della Provincia che non era stata revocata e che prevedeva la chiusura al traffico della strada in questione; chiusura che costituiva il solo rimedio idoneo a consentire che la strada restasse priva di barriere protettive nonostante la pericolosita' della presenza del canale di bonifica. Tale ricostruzione, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte di cassazione in sede di annullamento, e' stata fatta propria dalla Corte d'appello, la quale ha valorizzato la permanenza dell'efficacia dell'ordinanza di chiusura della strada, con la quale le determinazioni dirigenziali a firma (OMISSIS), eseguite dall'imputato, si ponevano in contraddizione. 1.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano vizi della motivazione e di violazione delle disposizioni incriminatrici e del Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3 - e' inammissibile, alla luce di quanto affermato da questa Corte nella sentenza di annullamento dalla quale e' scaturito il giudizio di rinvio. Con tale pronuncia, infatti, si e' ricostruito il ruolo svolto dall'imputato nella vicenda e si e' evidenziato come l'obbligo di apposizione del guard rail derivi dall'articolo 14 C.d.S., a mente del quale "gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidita' della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonche' delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze" (sul rilievo dell'articolo 14 quale fonte dell'obbligo manutentivo cfr. anche Sez. 4, n. 46831 del 27/10/2011, Rv. 252141;). Non e' quindi applicabile, come invece sostenuto dalla difesa, il Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3. La norma evocata, infatti, prevede quali contenuti debba avere la progettazione delle strade pubbliche, in modo che essa contempli i tipi di barriera di sicurezza da adottare e, invero, l'esistenza di una fonte di pericolo impone di per se' l'intervento volto a eliminarlo, oppure, ove non possibile una soluzione radicale, almeno a ridurlo, senza alcun rilievo del carattere occulto o palese di tale pericolo e ferma restando l'ipotizzabilita' di un concorso dell'utente della strada, ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente. 1.3. Il terzo motivo di ricorso - riferito alla mancata revoca delle statuizioni civili - e' infondato. Risulta infatti dall'ordinanza della Corte d'appello del 14 giugno 2016 che le parti civili sono state integralmente risarcite dalle assicurazioni, con conseguente sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento delle provvisionali. Se tale sospensione dell'esecuzione impedisce, in concreto, alle parti civili di lucrare ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno, facendo venire meno la funzione anticipatoria della provvisionale, la statuizione civile di condanna contenuta nella sentenza di primo grado e confermata nella sentenza impugnata e' limitata al generico accertamento della responsabilita' civile, ampiamente suffragato dalle risultanze processuali. Trattasi, dunque, di questioni che potranno essere affrontate eventualmente nella sede civile, nella quale troveranno regolamentazione i rapporti fra danneggiati, danneggianti e assicurazioni. 1.4. La quarta doglianza - relativa al trattamento sanzionatorio - deve ritenersi assorbita in forza di quanto si dira' sub 3. 1.5. Quanto al quinto motivo di ricorso, deve rilevarsi come lo stesso sia in parte generico, perche' riferito a non meglio precisati i vizi motivazionali della sentenza impugnata, e in parte comunque inammissibile, essendo riferito a all'obbligo di predisporre il guard rail e alla sua sussistenza in capo all'imputato, su cui e' sufficiente qui richiamare quanto gia' evidenziato sub 1.2. 2. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. Per quanto riguarda le censure relative alla provvisionale e all'omessa considerazione del disposto di cui al Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 3 valgono le considerazioni gia' svolte per il coimputato (OMISSIS) sub 1.2. e 1.3. Quanto invece alla ricostruzione della posizione di garanzia gravante su (OMISSIS), deve darsi atto di come il ricorso risulti formulato in maniera generica, non avendo contrastato in modo diretto la valenza logica dirimente dell'affermazione secondo cui l'imputato era il dirigente che aveva adottato le deliberazioni che avevano portato alla posizione della segnaletica contraddittoria, in espresso contrasto con l'ordinanza presidenziale che disponeva la chiusura della strada. 3. Cio' premesso, essendo i ricorsi infondati e non inammissibili, occorre rilevare come i reati ascritti agli imputati risultino essere gia' prescritti alla data odierna. Al termine prescrizionale ordinario secondo la legge vigente al momento del fatto (decorso il 26 dicembre 2020) devono essere infatti aggiunti 9 mesi e 24 giorni per sospensione del decorso della prescrizione (dal 19 marzo 2012 al 28 giugno 2012, per adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata da organismi di categoria; dal 13 dicembre 2012 al 7 febbraio 2013, per impedimento del difensore; dal 27 giugno 2013 al 18 luglio 2013, per impedimento del difensore; dal 12 dicembre 2018 al 12 aprile 2019, per richiesta difensiva), giungendosi cosi' alla data del 20 ottobre 2021. 4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti dei ricorrenti, per essere il reato estinto per prescrizione. I ricorsi devono essere rigettati agli effetti civili, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4900,00, oltre accessori di legge. P.Q.M Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dei ricorrenti, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 4900,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Ange - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/01/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RANALDI ALESSANDRO; lette le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20.1.2022, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza emessa - con rito abbreviato - dal GUP del Tribunale di Torino in data 11.5.2017, che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di omicidio colposo di (OMISSIS), commesso a seguito di un incidente stradale avvenuto sull'autostrada (OMISSIS). Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, verso le ore 15.30 del (OMISSIS) il (OMISSIS), alla guida di una autovettura Audi, tampono' l'autovettura Mercedes guidata da (OMISSIS), con a bordo altre persone, tra cui la vittima (OMISSIS); in particolare, la vettura condotta dall'imputato colpi' con lo spigolo anteriore sinistro l'angolo posteriore destro della Mercedes, che impatto' contro il guardrail centrale; a sua volta, l'Audi fini' capottata sulla corsia di emergenza, fermandosi sulla seconda corsia posizionata sul fianco destro. I feriti vennero trasportati all'ospedale di (OMISSIS), ove alle ore 23.08 dello stesso giorno intervenne il decesso di (OMISSIS) per "arresto cardiaco in trauma della strada". Lo stesso imputato, a seguito di un grave politrauma con prognosi riservata, ne usci' con una invalidita' del 100%. La Corte territoriale - basandosi sulle deposizioni rese dai testi presenti al fatto, ritenute compatibili con i rilievi raccolti dalla Polizia Stradale - ha desunto, in sintesi, che l'Audi condotta dal (OMISSIS), sorpassando ad alta velocita' la vettura condotta dal teste (OMISSIS) che seguiva la Mercedes, si era infilata fra l'auto del (OMISSIS) e la Mercedes, per poi spostarsi sulla corsia di emergenza tentando il sorpasso a destra della Mercedes, tamponandola con lo spigolo anteriore sinistro. 2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1) quanto segue. 1) Violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al nesso di causalita' tra la condotta dell'imputato e l'evento morte; errata ricostruzione della dinamica del sinistro e attribuzione di responsabilita' all'imputato. Si deduce che dagli atti risulta pacificamente che il ricorrente, dopo aver sorpassato la Renault condotta dal (OMISSIS), non aveva alcuna ragione per spostarsi improvvisamente sulla propria destra, andando a collidere contro la Mercedes, tanto che la stessa polizia stradale accenna alla possibilita' di un colpo di sonno o "torpore fisico". Ne' si puo' escludere, sulla base della consulenza tecnica di parte redatta dal Dott. (OMISSIS), che alla verificazione del sinistro abbia contribuito un movimento da destra verso sinistra del veicolo urtato. 2) Vizio di motivazione in punto di cause della morte della vittima (OMISSIS). Si deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto dei rilievi con cui la difesa dell'imputato aveva evidenziato che il (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), quando era stato ricoverato a seguito dell'incidente non era in pericolo di vita e che nessuna verifica medico-legale era stata effettuata in ordine al decesso del medesimo; non potendosi pertanto escludere che il decesso sia avvenuto per cause indipendenti dal sinistro. 3) Vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato e/o comunque mancanza dell'imputabilita' in capo al (OMISSIS) a causa del c.d. torpore fisico o colpo di sonno o malore. 4) Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai seguenti punti: determinazione della pena, mancata concessione del beneficio della non menzione, mancata concessione e/o revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha cosi' concluso: annullamento senza rinvio limitatamente alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, beneficio da applicarsi; nel resto, inammissibilita' del ricorso. 4. Sono state depositate conclusioni scritte dalla difesa del ricorrente con cui si insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi tre motivi di ricorso sono inammissibili, in quanto sostanzialmente volti a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi fattuali e delle corrette inferenze prospettate dai giudici di merito circa l'affermazione di penale responsabilita' del (OMISSIS). 2. Giova rammentare che, in sede di legittimita', non sono consentite censure attinenti alla valutazione della prova e alla ricostruzione del fatto, profili riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01). In definitiva, nel momento del controllo di legittimita', la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 2000, Moro, Rv. 21574501; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993 - dep. 1994, Modesto, Rv. 19695501). 3. Con il primo motivo, il ricorrente evidenzia come dagli atti redatti dalla Polizia Stradale e dalla stessa consulenza tecnica di parte del Dott. (OMISSIS) risulti oggettivamente che l'imputato, dopo aver sorpassato il veicolo condotto dal (OMISSIS), aveva davanti a se' l'intera corsia di marcia libera, per cui non avrebbe avuto ragione di cambiare direzione e spostarsi d'improvviso sulla destra anziche' proseguire dritto, andando a tamponare la Mercedes. La censura sollecita una non consentita rivalutazione del fatto, pretendendo di ottenere in questa sede una "rilettura" delle prove acquisite, a fronte di una motivazione che ha adeguatamente ricostruito le fasi salienti dell'incidente stradale in questione. In particolare, i giudici di appello, conformemente alla sentenza di primo grado, hanno ricostruito la dinamica del sinistro sulla base di quanto riferito dal teste oculare (OMISSIS) e confermato dalla moglie e dalla figlia di questi, oltre che dagli stessi occupanti della Mercedes tamponata. Secondo i detti testimoni, l'Audi Q5 condotta dall'imputato, sopraggiungendo ad elevata velocita', aveva superato a sinistra la Renault condotta dal (OMISSIS), si era infilata fra la Renault e la Mercedes che lo precedeva, per poi spostarsi a destra, sulla corsia di emergenza, finendo con l'impattare contro la Mercedes. Tale dinamica e' stata ritenuta compatibile con i rilievi raccolti dalla Polizia stradale, desumendosi che la Audi aveva urtato la Mercedes nel tentativo di un sorpasso da destra, oltre che ritenuta compatibile con i danni riportati dalle due autovetture e con i rilievi tecnici. La decisione impugnata ha riscontrato l'assenza di segni o rilievi da cui fosse desumibile uno spostamento della Mercedes dalla propria corsia di marcia verso la corsia di sorpasso, secondo la tesi propugnata dalla difesa del ricorrente, tesi rimasta - secondo i giudici torinesi - priva di riscontri sia oggettivi che dichiarativi. Si tratta di argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche, come tali incensurabili nella presente sede di legittimita', per le ragioni gia' indicate in precedenza. 4. Con il secondo motivo, il ricorrente insiste nell'affermare che dalla documentazione in atti riguardante la persona offesa (OMISSIS), risulta che costui dopo l'incidente non fosse in pericolo di vita in quanto non aveva riportato ferite preoccupanti, talche' non sarebbero state chiarite le cause della morte della vittima in rapporto alla condotta dell'imputato. La censura non si confronta adeguatamente con il percorso motivazionale delle sentenze di merito, che hanno insindacabilmente chiarito che il decesso del (OMISSIS) e' derivato da "insufficienza respiratoria acuta ed edema cerebrale terminale in politrauma contusivo ed elettiva localizzazione cranica, toracica ed artuale inferiore destra..."; lesioni concretamente procurate a seguito del sinistro stradale in questione, le quali sono state non illogicamente ritenute concausa unitamente alla cardiopatia da cui era affetto il (OMISSIS) - del decesso della persona offesa, come tali in rapporto di causalita' con la condotta colposa del prevenuto. 5. Con il terzo motivo, si deduce come la stessa Polizia stradale (nella propria annotazione conclusiva in data 8.7.2015) avesse attribuito le cause del sinistro ad un improvviso "colpo di sonno" o "torpore fisico" dell'imputato, come tale imprevisto ed imprevedibile e quindi non colpevole. Anche tale rilievo prospetta una censura in fatto e comunque non si confronta adeguatamente con le argomentazioni offerte dalla sentenza di primo grado, sul punto avallata dai giudici di appello, secondo cui poteva escludersi la tesi di un malore improvviso del prevenuto, avuto riguardo alle condizioni della giornata e alle sue ottime condizioni di salute; cosi' come l'ipotesi del colpo di sonno, pur prospettata dai verbalizzanti ma in atti non dimostrata, non avrebbe escluso la colpevolezza, trattandosi di situazione riconducibile alla responsabilita' del (OMISSIS), che si sarebbe messo alla guida in condizioni prevedibilmente non ottimali. La doglianza in esame, del resto, nel fare automaticamente derivare dall'ipotesi del "colpo di sonno" o "torpore fisico" del (OMISSIS) l'assenza di responsabilita' colposa in capo al medesimo, si pone in stridente contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita' in base al quale, in tema di omicidio colposo determinato da perdita di controllo del veicolo, qualora venga prospettata la tesi difensiva del malore improvviso, da inquadrarsi nella nozione di infermita' incidente sulla capacita' intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall'articolo 88 c.p., e non all'ipotesi del caso fortuito, di cui all'articolo 45 c.p., il giudice di merito puo' correttamente disattenderla (come espressamente motivato nel caso di specie) in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l'eta' o le condizioni psicofisiche dell'imputato) e pur in presenza di elementi in astratto idonei a fare ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da un altro fattore non imprevedibile (come certamente non imprevedibile deve ritenersi il colpo di sonno pure prospettato dal ricorrente come dovuto a stanchezza o affaticamento) che, semmai, avrebbe dovuto indurre il conducente ad astenersi dal porsi alla guida o di desistere dalla guida (cfr. Sez. 4, n. 32931 del 20/05/2004, Rv. 229082 - 01; v., in senso analogo, Sez. 4, n. 11142 del 24/02/2015, Rv. 262712 - 01; v. anche, piu' di recente, Sez. 4, n. 28435 del 25/05/2022, Rv. 283449 - 01, in un caso in cui e' stata riconosciuta la colpa del conducente per incidente stradale dovuto ad improvviso malore causato da una condizione di epilessia di cui l'imputato era ben consapevole, come tale prevedibile). Ne discende come le prospettate ipotesi del "colpo di sonno" o del "torpore fisico" che avrebbero determinato il sinistro in disamina evocano scenari di assoluta prevedibilita' dell'asserita perdita di coscienza e di grave imprudenza del (OMISSIS) nel porsi alla guida nelle condizioni suddette. 6. Il quarto motivo, in tema di trattamento sanzionatorio, e' fondato solo in riferimento all'apparente diniego, nella sentenza impugnata (v. pag. 8), del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante la stessa sentenza avesse in precedenza riconosciuto (v. pag. 6) che il giudice di primo grado aveva gia' accordato l'anzidetto beneficio, per cui tale statuizione non poteva certo essere riformata in peius, in assenza di impugnazione del PM. Non altrettanto puo' dirsi per il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, la cui concessione e' rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all'articolo 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (cfr. Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016 - dep. 2017, Rv. 268971 - 01). Per il resto, non e' dato riscontrare alcun vizio di legittimita' nella determinazione della pena irrogata, che si e' attestata al di sotto della media edittale, con conseguente applicazione del costante principio affermato da questa Corte di legittimita', secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243 - 01). Allo stesso modo, la misura della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (per anni due) si attesta nella media edittale (tenuto conto del minimo di 15 giorni e del massimo di 4 anni previsto dall'articolo 222 C.d.S.) ed e' stata sostanzialmente commisurata ai parametri previsti dall'articolo 218 C.d.S., comma 2, secondo una ponderata e non arbitraria valutazione di merito, come tale insindacabile in Cassazione. 7. In definitiva, va disposto il parziale annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, laddove ha negato la sospensione condizionale della pena, con conseguente concessione del beneficio in questione. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al diniego della sospensione condizionale della pena, beneficio che concede. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. BRUNO Mariarosari - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angel - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI SALERNO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/12/2021 della CORTE APPELLO di SALERNO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa TASSONE KATE; Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio; udito il difensore; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS); Il difensore presente chiede l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. la Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 2/12/2021, ribaltando l'esito della pronuncia di condanna resa dal Tribunale di Salerno in data 7/7/2020, in accoglimento dell'appello proposto da (OMISSIS), ha assolto quest'ultimo dal reato di omicidio stradale perche' il fatto non costituisce reato. Era contestato all'imputato di avere cagionato la morte di (OMISSIS), con il concorso di colpa della vittima, poiche', viaggiando in autostrada ad una velocita' compresa tra 150.9 km/h e 171 km/h, violando in tal modo il limite massimo di velocita' consentito sull'autostrada (Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 142, comma 1), omettendo di frenare tempestivamente, e comunque omettendo di porre in essere manovre idonee ad evitare l'impatto con un ostacolo, pur potendolo avvistare ad una distanza di circa 200 metri, in violazione del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 141, andava ad impattare contro l'autovettura Volkswagen Golf ferma sulla strada e investiva (OMISSIS), che era disceso dalla vettura. Il Tribunale aveva ritenuto la responsabilita' dell'imputato, pervenendo pronuncia di condanna. La condanna resa in primo grado si fondava sulla disamina della documentazione acquisita, sul contenuto della consulenza effettuata su incarico del P.M., sulla visione di un filmato riproducente la scena dell'investimento acquisito presso la societa' autostrade. Si riteneva che (OMISSIS), conducente dell'auto Golf, avesse perso il controllo del veicolo in autostrada. Lo sbandamento lo aveva portato a destra, nella prima corsia, dove urtava un autocarro nella parte anteriore; dopo questo primo impatto, deviava, si capovolgeva, andava in testacoda e finiva, ribaltandosi su di un iato, nella terza corsia di sorpasso, in una ampia curva. L'occupante slacciava le cinture, scendeva e si accostava al guardrail di sinistra (in tal senso anche le sommarie informazioni rese da (OMISSIS) e le immagini presenti nel filmato acquisito); sopraggiungevano 6 veicoli (tra i quali un autotreno) in terza corsia, avvedendosi dell'ingombro e superandolo. Al sopraggiungere di tali veicoli l'occupante della vettura incidentata era ancora vivo poiche' ne fili-nato (alle ore 4.39) si vedeva una lucina (verosimilmente la torcia del telefono). Alle ore 4.47, sopraggiungeva sulla terza corsia l'autovettura Audi condotta dall'imputato che impattava violentemente contro l'auto Golf, mentre in precedenza altri veicoli avevano superato l'ostacolo. Si evidenziava come l'imputato non avesse tentato alcuna manovra atta ad evitare l'ostacolo, impattando contro tale auto e investendo l'uomo. In punto di responsabilita', nella sentenza di primo grado, si escludeva che l'imputato procedesse a velocita' non consentita - superiore a 130 km/h - in ragione del contrasto emerso nelle risultanze della consulenza effettata dal P.M. e di quella effettuata su incarico dell'imputato. Si riteneva, comunque, che egli avesse serbato una condotta di guida non adeguata alle condizioni di tempo e luogo, desumendo tale circostanza dal fatto che non fosse riuscito a controllare e arrestare tempestivamente i veicolo; si riteneva dimostrato che avrebbe potuto avvistare l'ingombro da 200 mt, evitandolo come avevano fatto numerosi altri veicoli, tra cui un autotreno. Si sosteneva che l'ostacolo fosse avvistabile con la dovuta diligenza anche con i soli anabbaglianti (che consentono una visuale a 50 mt.), il cui uso non e' inibito dall'articolo 153 C.d.S.. A seguito di impugnazione da parte dell'imputato, la Corte di appello e' pervenuta all'esito assolutorio. Nella sentenza si sostiene che l'ostacolo rappresentato dalla vettura della vittima non fosse prevedibile e nemmeno evitabile. Si ritiene che il (OMISSIS), viaggiando con i soli fari anabbaglianti, il cui utilizzo e' consentito dal codice della strada nelle circostanze del sinistro, avesse una visibilita' molto ridotta. Si sostiene che non vi sia certezza in ordine alla funzionalita' del gruppo d'illuminazione anteriore della Golf al momento del sinistro. Si ritiene non convincente l'argomento secondo cui altre auto erano riuscite ad evitare l'impatto ponendo in essere una manovra di scarto a destra. Le condizioni realizzatesi al momento del passaggio dell'imputato, sottolinea la Corte di merito, erano diverse rispetto a quelle delle auto che lo avevano preceduto; se anche il ricorrente avesse serbato una velocita' di 90 km/h l'impatto non si sarebbe evitato ("nel momento in cui il (OMISSIS) sopraggiungeva sulla terza corsia, al min. 4.45 e, dunque due secondi prima dell'impatto a 60 mt dall'ostacolo, aveva entrambe le corsie a destra occupate da altre due auto (cfr. foto p. 48 consulenza difesa). Ed ancora, rimanendo sul profilo della evitabilita' dell'evento, non puo' neppure affermarsi che l'eventuale comportamento alternativo lecito avrebbe evitato di investire l'uomo con conseguenze letali: l'imputato procedeva legittimamente in terza corsia e, dunque, non poteva tenere una velocita' inferiore a 90 km/h (come si evince dal cartello posto a f 9 della consulenza Immediato) e le menzionate condizioni di tempo e luogo (l'assenza di segnalazione del pericolo, in orario notturno, con i fari che illuminavano una direzione diversa da quella da lui percorsa e a fronte dell'ingombro dato da un'auto di colore scuro e dalla presenza di un pedone pure vestito di scuro come risulta dai filmati) non permettono di asserire, con la dovuta certezza che l'imputato, pur procedendo a una velocita' di 90 Km/h avrebbe evitato l'evento infausto)"). 2. Avverso tale ultima sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Salerno, articolando un motivo di doglianza unico, in cui deduce il vizio del travisamento della prova. Si pone in rilievo l'erroneita' dell'assunto secondo il quale la presenza del veicolo sulla corsia di marcia dell'imputato sarebbe stato evento imprevedibile, citando giurisprudenza di questa Corte che, in casi analoghi, ha invece ritenuto prevedibile l'eventualita' di un incidente che possa comportare l'ostruzione totale o parziale di una corsia dell'autostrada. Quanto alla visibilita' dell'ostacolo si evidenzia come dal filmato estratto dal sistema di videosorveglianza installato sul tratto autostradale d'interesse e dall'annotazione della polizia giudiziaria in cui e' descritta la dinamica del sinistro si evinca l'accensione delle luci di emergenza del veicolo della persona offesa che lo rendevano avvistabile dagli altri automobilisti. Quanto alla evitabilita' dell'evento si e' posto in rilievo che ben 14 veicoli avevano schivato la vettura della vittima, avvistandola per tempo. Si sottolinea come dalla visione del filmato due veicoli si fossero trovati nelle medesime condizioni in cui era venuto a trovarsi il (OMISSIS), marciando sulla corsia di sinistra, affiancati da altro veicolo presente sulla corsia centrale. Sulla base di tali argomentazioni si chiede l'annullamento della sentenza impugnata, avendo la Corte d'appello travisato diversi elementi di prova e non avendo fatto buon governo dell'articolo 589-bis c.p. e articolo 141 C.d.S.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere rigettato. Le pur diffuse argomentazioni poste a fondamento del ricorso, supportate da documentazione idonea, non sono suscettibili di disarticolare a trama giustificativa della sentenza in relazione al profilo della evitabilita' dell'evento. Occorre rammentare, in via preliminare, come il sindacato della Corte di Cassazione non possa riguardare i profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, i quali, come e' noto, sono riservati in via esclusiva alla cognizione del giudice di merito, (e cui determinazioni sono insindacabili in sede di legittimita' ove siano sorrette da motivazione scevra da evidenti aporie logiche e palesi contraddizioni. Invero, e' principio non controverso che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non sia tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne' a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento (cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). Ebbene, il ricorso centra il profilo della prevedibilita' dell'evento, ma non quello della evitabilita' di esso. La possibilita' che un veicolo incontri un ostacolo sull'autostrada, anche nella corsia di sorpasso, come osservato correttamente dall'esponente, e' evenienza tutt'altro che imprevedibile e contemplata dallo stesso codice della strada che, all'articolo 141 C.d.S., comma 2, stabilisce il comportamento da tenersi nel caso in cui il conducente incontri un ostacolo sulla strada ("Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita' e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile"). Numerose pronunce di questa Corte hanno esaminato fattispecie concrete assimilabili alla presente, confermando la prevedibilita' della circostanza che altro veicolo possa ingombrare a sede viaria, risultando irrilevante la tipologia della strada (cfr. Sez. 4, n. 8576 del 17/05/1989, Neirotti, Rv. 181573; Sez. 4, n. 24414 del 06/05/2021 Busdraghi Rv. 281399). E tuttavia, come gia' detto in precedenza, il ricorso e' rimasto silente quanto al giudizio controfattuale operato in sentenza ed al profilo dell'evitabilita' della collisione. Con riferimento a tali aspetti, la Corte di merito ha osservato che il ricorrente viaggiava correttamente con i soli fari anabbaglianti. L'articolo 153 C.d.S., comma 3, prevede infatti che "I conducenti devono spegnere i proiettori di profondita' passando a quelli anabbaglianti nei seguenti casi: a) quando stanno per incrociare altri veicoli, effettuando la commutazione delle luci alla distanza necessaria affinche' i conducenti dei veicoli incrociati possano continuare la loro marcia agevolmente e senza pericolo; b) quando seguono altro veicolo a breve distanza, salvo che l'uso dei proiettori di profondita' avvenga brevemente in modo intermittente per segnalare al veicolo che precede l'intenzione di sorpassare; c) in qualsiasi altra circostanza se vi sia pericolo di abbagliare gli altri utenti della strada ovvero i conducenti dei veicoli circolanti su binari, su corsi d'acqua o su altre strade contigue", Nel caso in esame, si legge in motivazione, l'utilizzo di abbaglianti era inibito dall'articolo 153 C.d.S., comma 3, lettera c), potendo il ricorrente incrociare altri veicoli provenienti dal senso opposto di marcia. L'interpretazione fornita in sentenza sul punto e' corretta e conforme al dettato di legge. Dalla circostanza predetta, la Corte di merito ha desunto la logica conseguenza che l'ostacolo presente sulla corsia di marcia fosse avvistabile ad una distanza notevolmente ridotta (50 metri) rispetto a quella stimata ove avesse adoperato le luci di profondita' (200 metri). Ha quindi concluso che il comportamento lecito alternativo non avrebbe evitato l'investimento: l'imputato procedeva legittimamente in terza corsia e, pertanto, non poteva tenere una velocita' inferiore a 90 km/h; l'avvistamento ad una distanza di cinquanta metri, alla velocita' minima di 90 km/h, non avrebbe consentito di evitare la collisione. Ebbene, il ricorso non si confronta con le specifiche argomentazioni teste' richiamate. Il ragionamento controfattuale a cui e' collegata la considerazione dell'evitabilita' di un accadimento, e' aspetto imprescindibile ai fini dell'accertamento della responsabilita' colposa. Oltre alla identificazione di una norma cautelare specifica, posta a presidio della verificazione di un determinato evento, il profilo causale della colpa deve essere riguardato anche sotto l'angolazione soggettiva, piu' strettamente aderente al rimprovero personale. Ai sensi dell'articolo 43 c.p., infatti, per aversi colpa l'evento deve essere stato causato da una condotta anche soggettivamente riprovevole, il che significa che il nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento. Tale assunto rende evidente la forte connessione esistente in molti casi tra le problematiche sulla colpa e quelle sull'imputazione causale. Infatti, non di rado le valutazioni che riguardano lo sviluppo causale si riverberano sul giudizio di evitabilita' in concreto. La colpa si configura, quindi, non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico, ma anche quando la condotta appropriata ha apprezzabili, significative probabilita' di scongiurare il danno. Proprio in tema di circolazione stradale; con riferimento alla. norma di cautela inerente all'adeguamento della velocita' alle condizioni ambientali, e' stata ripetutamente affermata la necessita' di tener conto di tutti gli elementi presenti al momento del fatto e di valutare se l'agente avesse avuto possibilita' concrete di evitare il sinistro (cfr. Sez. 4, n. 34375 del 30/05/2017, Fumarulo, 270823: "In tema di omicidio colposo, l'elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile, ma altresi' che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione "ex ante", non avrebbe potuto comunque essere evitato. (In applicazione del suddetto principio la S.C. ha annullato senza rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva condannato il conducente per l'investimento di un motociclista che aveva improvvisamente perso l'equilibrio, escludendo la possibilita' per l'imputato di evitare l'investimento della vittima se avesse rispettato il limite di velocita')"). Nel caso di specie la Corte di merito, con argomentare non manifestamente illogico e rimasto sostanzialmente esente da critiche nel ricorso, ha ritenuto che l'evento non fosse evitabile. 2. Per le ragioni indicate la sentenza non e' meritevole di annullamento. P.Q.M. Rigetta il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI Anna L. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE APPELLO di CAGLIARI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Cagliari ha confermato la sentenza emessa dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Cagliari di condanna, ex articolo 442 c.p.p., di (OMISSIS) in ordine al reato di omicidio stradale (articolo 589 bis c.p.) in danno di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in esso assorbito quello di lesioni gravi in danno di (OMISSIS), commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS) alla pena di anni 6 mesi 6 di reclusione con la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida. Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Nelle prime ore del mattino del (OMISSIS) l'imputato, alla guida dell'autoveicolo (OMISSIS) sul quale erano trasportai (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), stava percorrendo viale (OMISSIS) in direzione dell'abitato di (OMISSIS), quando, nell'imboccare la bretella che gli avrebbe consentito di accedere ad una rotatoria, a causa della presenza di un dosso e della elevata velocita' stimata dallo stesso consulente della difesa del (OMISSIS) in 124 Km/h a fronte di un limite presente il loco di 50 km/h, aveva perso il controllo del mezzo; l'autovettura, sollevatasi dal pavimento stradale, era andata a schiantarsi contro il guardrail sistemato sulla destra della carreggiata, oltre il quale era infisso un palo in metallo di rilevante diametro posto a servizio di una rete elettrica, e si era ribaltata numerose volte; in esito alla schianto i passeggeri avevano riportato gravi ferite a seguito delle quali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) erano deceduti. All'imputato, quali addebiti di colpa, sono stati contestati l'imprudenza, la negligenza e l'imperizia e la violazione del Decreto Legislativo n. 30 aprile 1002 n. 285, articoli 140, 141 commi 1, 2, 3 e 142. 2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo di difensore, formulando due motivi. 3.1 Con il primo, ha dedotto la violazione dei legge per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p. in relazione alla condotta omissiva imprudente dei passeggeri che non avevano indossato le cinture di sicurezza e in relazione alla presenza del palo. Il difensore rileva che la Corte di Appello aveva negato tale circostanza sulla base di una interpretazione della norma errata, tale per cui l'evento ivi menzionato sarebbe l'incidente stradale e non la morte. Pacifico - secondo il ricorrente- che con l'utilizzo del termine "evento" il legislatore abbia inteso riferirsi all'evento del reato di omicidio stradale, ovvero alla morte della persona offesa. Nel caso in esame doveva ritenersi che il mancato utilizzo delle cintura da parte dei trasportati fosse stata concausa della morte della vittima, in quanto lo stesso Consulente Tecnico del Pubblico Ministero aveva affermato che, laddove gli occupanti avessero indossato i dispositivi di protezione, il sinistro anche per loro, oltre che per l'imputato che indubbiamente indossava le cinture, non avrebbe avuto esito infausto. 2.2. Con il secondo motivo/ ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla omessa pronuncia sulla richiesta formulata dalla difesa dell'imputato di perizia volta ad accertare se il palo a ridosso della barriera di protezione fosse stato posizionato in modo corretto e nel rispetto delle normative vigente. In particolare il difensore ribadisce che secondo il consulente della difesa nella apposizione del palo non era stata rispettata la normativa vigente, ovvero il DM 21 giugno 2004 Ministero Infrastrutture e Trasporti, e che tale scorretto posizionamento era stato concausa dell'evento infausto: nonostante fosse stato richiesto, con i motivi di appello, un approfondimento peritale a fronte delle contrastanti argomentazioni degli altri consulenti, la Corte aveva omesso di pronunciarsi in ordine alla relativa richiesta. 3. Il Procuratore Generale, in persona del sostituto Sabrina Passafiume, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato quanto al primo motivo attinente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p.. 2. A norma di tale articolo, "qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole, la pena e' diminuita fino alla meta'". Ricorre, dunque, tale circostanza attenuante ad effetto speciale nel caso in cui sia stato accertato un comportamento colposo, anche di minima rilevanza, della vittima o di terzi, o qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore. 2.1.La Corte di appello, in replica all'analogo motivo formulato con l'impugnazione, ha ritenuto che nel caso di specie non vi fossero i presupposti normativi di applicabilita' della circostanza attenuante in esame. Secondo i giudici l'articolo 589 bis comma 7 c.p., nel prevedere la diminuzione della pena fino alla meta' nelle ipotesi in cui l'evento non sia esclusiva conseguenza della azione o della omissione del colpevole, farebbe riferimento all'evento-incidente e non gia' all'evento-morte, in coerenza con il fatto che soltanto il concorso di altri fattori, umani o naturali nella determinazione del sinistro e' suscettibile di attenuare il disvalore della condotta e giustifica un minore trattamento sanzionatorio: diversamente opinando, proseguono i giudici, l'attenuante in parola diventerebbe quasi obbligatoria, posto che la morte e' sempre la conseguenza di una pluralita' di cause contingentemente necessarie. 2.2. La interpretazione della Corte di Appello non appare coerente con la formulazione letterale della norma che ha introdotto detta attenuante e con la ratio ad essa sottesa. Nel reato di cui all'articolo 589 bis cod. pen l'evento, per come e' costruita la fattispecie, e' la "morte causata per colpa con violazione delle norme sulla circolazione stradale", che dovra' essere punito in maniera attenuata nelle ipotesi in cui concausa della morte sia stata oltre alla condotta colposa dell'autore del reato anche un comportamento colposo della vittima o di terzi o qualunque concorrente causa esterna. 2.3. Pacifico, prima della introduzione della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis, comma 7, c.p. che, in caso di incidente stradale, il mancato uso da parte della vittima delle cinture di sicurezza integrasse una condotta colposa concorrente della quale si doveva tenere conto nella determinazione della pena e nella determinazione della somma da liquidare ai fini del risarcimento del danno (ex plurimis Sez. 4, n. 42492 del 03/10/2012, Campailla, Rv. 253737 secondo cui "in tema di omicidio colposo conseguente a sinistro stradale, il mancato uso, da parte della vittima, della cintura di sicurezza non vale di per se' ad escludere il nesso di causalita' tra la condotta del conducente di un'autovettura che, violando ogni regola di prudenza e la specifica norma del rispetto dei limiti di velocita', abbia reso inevitabile l'impatto con altra autovettura sulla quale viaggiava la vittima, e l'evento, non potendo considerarsi abnorme ne' del tutto imprevedibile il mancato uso delle cinture di sicurezza, il quale puo', tuttavia, riflettersi sulla quantificazione della pena e sull'ammontare risarcitorio"). La introduzione della circostanza attenuante in esame, stante la sua ampia formulazione letterale, vale a ricomprendere una pluralita' di situazioni nelle quali il disvalore della condotta colposa dell'autore del reato si ritiene minore per essere stato determinato l'evento morte anche da concomitanti fattori, quali comportamenti colposi della vittima o di terzi o anche concorrenti cause esterne. Non vi e' ragione di non ricomprendere fra i concomitanti fattori dell'evento anche la condotta colposa della persona offesa consistita nel non aver ottemperato all'obbligo, pure previsto dal Codice della Strada, di indossare le cinture di sicurezza nelle ipotesi in cui tale condotta abbia avuto un ruolo concorsuale nella determinazione della morte. Una rassegna dei casi in cui tale attenuante e' stata ravvisata nella giurisprudenza di legittimita' vale a confermare tale assunto. La Corte di Cassazione ha precisato che la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'articolo 589-bis, comma 7, c.p. e' configurabile: - nel caso della violazione dell'articolo 190 C.d.S. da parte del pedone che, nel percorrere una strada a doppio senso di circolazione priva di marciapiedi, non proceda sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli, (Sez. 4 n. 46668 del 08/11/2022, Sola, Rv. 283766); - nel caso in cui sia stata accertata qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (Fattispecie relativa all'investimento di un pedone da parte del conducente di un'autovettura, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che non aveva riconosciuto l'attenuante omettendo di valutare l'incidenza, sulla visibilita' dello stato dei luoghi, della forte precipitazione in corso al momento del fatto) (Sez. 4, n. 24910 del 27/05/2021, Gottimer, Rv. 281559 nella quale si fa riferimento anche alla condotta colposa dei sanitari quale possibile concausa dell'evento da valutare ai sensi dell'articolo 589 bis comma 7 c.p.); - nel caso della condotta colposa del ciclista che, viaggiando in prossimita' del centro e non del margine destro della carreggiata, era stato investito da un'autovettura che procedendo nello stesso senso di marcia, stava rientrando da un sorpasso effettuato in un tratto di strada curvilineo (Sez. 4, n. 20091 del 19/01/2021, Brunetti, Rv. 281173); - in ogni ipotesi in cui l'evento sia dipeso dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta (Sez. 4, n. 13103 del 21/12/2018, dep.2019, Stauber, Rv. 276254); - nel caso di attraversamento della carreggiata da parte di animali selvatici (Sez. 4, n. 54576 del 07/11/2018, La Rana, Rv. 274504). La Corte di Cassazione ha, invece, escluso fosse configurabile la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'articolo 589-bis, comma 7, c.p. nel caso di un tamponamento violento da cui era derivata la morte di una persona che, munita di cintura di sicurezza, si era trovata alla guida di un'autovettura ferma al semaforo rosso, confermando che non poteva considerarsi fattore concausale, cui rapportare la minore gravita' della condotta, il tipo di autovettura della vittima - d'epoca e priva di "air bag", con telaio leggero e assetto estremamente basso - dotata, comunque, dei requisiti di sicurezza previsti dalla legge per circolare (Sez. 4, n. 13587 del 26/02/2019, Mendoza, Rv. 275873). 2.4.Nel caso in esame, dunque, la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare i fattori segnalati con i motivi di appello, quali possibili concause in concreto della morte della vittima, e verificare conseguentemente l'applicabilita' nel caso in esame della circostanza di cui all'articolo 589 comma 7 bis c.p.. 3.I1 secondo motivo, con cui si censura il mancato espletamento della perizia volta a verificare se il palo, sul quale, infine, la macchina era andata ad impattare, fosse stato apposto correttamente in conformita' alla normativa di settore, deve essere considerato inammissibile per difetto di specificita' e comunque manifestamente infondato. E' principio consolidato quello per cui nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato e' ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'articolo 603, comma 3, c.p.p. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perche' potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. Secondo il consolidato orientamento di legittimita' tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata (Sez. 6 n. 48093 del 10/10/2018, Aniello, Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353). Nel caso in esame la Corte di appello ha rilevato che il supposto fattore causale rappresentato dalla presenza del palo non poteva aver interrotto il nesso di causa fra la condotta colposa del conducente dell'auto e l'evento ed ha implicitamente rigettato la relativa istanza istruttoria, in quanto non influente ai fine della affermazione di responsabilita', con un percorso logico e coerente e, pertanto, non censurabile. 4.La sentenza deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla omessa concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p. con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari che nel nuovo giudizio dovra' attenersi al principio su indicato. Il ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p. e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra ezione della Corte di Appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. BRUNO M.Rosaria - Consigliere Dott. RICCI A.L.A. - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/10/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE, nel senso dell'inammissibilita' del ricorso; udito l'avvocato CORNACCHIONE MASSIMILIANO del foro di BENEVENTO, in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si associa alle conclusioni del Pubblico ministero e deposita conclusioni scritte e nota spese; udito l'avvocato PANIZ MAURIZIO del foro di BELLUNO in difesa dell'imputato (OMISSIS), che chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Napoli, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Avellino ha condannato (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 589 c.p., commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, per aver cagionato la morte di (OMISSIS) quale conseguenza dell'impatto tra la "Fiat Punto" condotta dallo stesso imputato, a bordo della quale la vittima si trovava, e la "Renault Scenic", condotta da (OMISSIS). Trattasi di sinistro accertato come causato dall'invasione della corsia dell'opposto senso di marcia da parte della citata Fiat Punto all'esito della perdita di controllo del veicolo. Alla conferma della responsabilita' penale e' poi seguita quella delle statuizioni civili, salva l'estromissione della parte civile " (OMISSIS) O.N. L.U.S.". 2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1,). 2.1. Con il primo motivo si deducono il difetto assoluto di motivazione (per apoditticita') e, comunque, vizio congiunto di motivazione, in ipotesi di c.d. "doppia conforme", in ordine alla mancata condivisione dell'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa circa la dinamica del sinistro, in forza della totale mancanza di considerazione delle emergenze della consulenza tecnica della difesa oltre che dell'erronea valorizzazione dell'assenza di un contributo dichiarativo dell'imputato alla ricostruzione dei fatti. I giudici di merito avrebbero altresi' disatteso gli esiti della consulenza della difesa dell'imputato in assenza di una perizia, facendo ricorso alla scienza privata oltre che atto di fede rispetto alle deduzioni del consulente tecnico dell'accusa. Illogicamente e contraddittoriamente sarebbe stata infine esclusa l'ipotesi alternativa, prospettata dalla difesa, che vorrebbe (OMISSIS) procedere contromano e l'imputato tentare vanamente di evitare l'impatto. La Corte avrebbe in particolare argomentato dell'essersi il sinistro verificato su tratto rettilineo e a visuale libera, laddove, invece, si farebbe in sentenza riferimento all'uscita di (OMISSIS) da una curva sinistrorsa. 2.2. Difetto assoluto di motivazione, per il secondo motivo di ricorso, caratterizzerebbe poi la ritenuta attendibilita', da parte tanto dei giudici di primo grado quanto della Corte territoriale, del testimone (OMISSIS), soggetto interessato in forza della dinamica del sinistro come prospettata dalla difesa dell'imputato, peraltro sottrattosi agli accertamenti volti a verificare l'eventuale alterazione psicofisica da ebbrezza alcolica o da uso di stupefacenti. In particolare, il giudizio di attendibilita' in oggetto sarebbe stato frutto di una mera "valutazione circolare" in quanto argomentato in ragione della convergenza del dichiarato rispetto agli esiti della consulenza tecnica disposta dall'accusa che, a sua volta, avrebbe argomentato proprio dalle dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS). 3. Le parti processuali hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle relative questioni, e' nel complesso infondato, al netto del tentativo del ricorrente di sostituire proprie valutazioni a quelle, anche di natura probatoria, dei giudici di merito e dei profili deducenti difetti assoluti di motivazione ma senza confronto con l'apparato argomentativo della sentenza impugnata, letta in uno con quella di primo grado trattandosi di c.d. "doppia conforme". 2. Nella specie, difatti, i giudici di merito, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente e mostrando sostanziale adesione a principio di diritto gia' sancito dalla Suprema Corte (ex plurimis Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435), in virtu' del libero convincimento, pur in assenza di una perizia, hanno scelto tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella del consulente dell'accusa in quanto ritenuta condivisibile, dando conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni della scelta nonche' del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti. Sicche', nella specie, la relativa valutazione dei giudici di merito si mostra insindacabile in sede di legittimita', in quanto congrua nei termini di seguito specificati. Essa si fonda peraltro sulla valutazione di elementi emergenti da un'istruttoria caratterizzata anche dall'escussione del consulente del Pubblico Ministero e di quello della difesa del prevenuto oltre che del conducente del veicolo antagonista e dell'appartenente alla polizia giudiziaria intervenuto nel luogo del sinistro. 2.1. Come innanzi sintetizzato in sede di ricostruzione dei fatti di causa, i giudici di merito, in termini di c.d. "doppia conforme", hanno ritenuto responsabile l'imputato dell'omicidio colposo di (OMISSIS) determinato dall'impatto tra la porzione frontale destra della "Fiat Punto" condotta dallo stesso (OMISSIS), a bordo della quale la vittima si trovava, e la porzione frontale destra della "Renault Scenic", condotta da (OMISSIS). Il sinistro e' stato accertato come causato dalla perdita di controllo del primo veicolo che, nel percorrere, all'uscita da una curva sinistrorsa, un tratto di strada rettilineo e a visuale libera, ha invaso la corsia dell'opposto senso di marcia cosi' impattando, in prossimita' della porzione centrale della relativa corsia, contro la vettura condotta da (OMISSIS). Quest'ultimo, procedente a velocita' inferiore al limite imposto, come evidenziato dal consulente dell'accusa, non ha potuto evitare il sinistro nonostante il compimento, da parte sua, dell'unica manovra di emergenza possibile nel descritto contesto spazio-temporale, consistita nella sterzata verso il margine destro della carreggiata ancorche' limitata dalla presenza del guardrail. Inetta cui prossimita' le due vetture hanno raggiunto la posizione di quiete dopo l'urto. Sono state peraltro escluse quali cause determinanti la perdita di controllo del veicolo guidato dall'imputato tanto le condizioni del veicolo, in quanto "discrete", e del fondo stradale, perche' "asciutto", quanto la velocita' di marcia del veicolo guidato dall'imputato, ancorche' di poco eccedente il limite consentito (57 km/h in luogo di 50 km/h). Parimenti, non e' stato considerato il rilievo dello stato di alterazione psicofisica dovuta allo stato di ebbrezza (originariamente contestata in termini di tasso alcolemico pari a 1 g/l) oltre che all'assunzione di sostanze stupefacenti, in ragione della ritenuta inutilizzabilita' dei relativi accertamenti per l'omesso avvertimento di farsi assistere da un difensore di fiducia (ciò che, peraltro, ha comportato l'assoluzione di (OMISSIS) per le fattispecie di cui agli articoli 186 e 187 C.d.S. ascrittegli al capo b di rubrica). 2.2. I giudici di merito, infine, hanno ritenuto non accertata e meramente ipotizzata la ricostruzione alternativa prospettata dal difensore dell'imputato, peraltro neanche sostenuta dallo stesso (OMISSIS) con contributi dichiarativi. Essa vorrebbe (OMISSIS) aver viaggiato contromano, impegnando quindi la corsia dell'opposto senso di marcia, e l'imputato, al fine di evitare l'impatto, essersi istintivamente diretto verso la sua sinistra mentre (OMISSIS), accortosi di aver invaso l'opposta corsia, avrebbe sterzato verso la sua destra, per ricollocarsi sulla propria corsia, con conseguente urto tra i due veicoli in prossimita' della linea di mezzeria. Nel dettaglio, i giudici di merito hanno argomentato l'implausibilita' della ricostruzione alternativa, prospettata dal difensore dell'imputato, il cui consulente ha solo sostenuto l'impatto verificatosi in prossimita' della linea di mezzeria, dalle valutazioni congiunto. di una pluralita' di elementi. Trattasi in particolare degli esiti della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero circa il punto d'impatto (in prossimita' della porzione centrale della corsia del senso di marcia della vettura antagonista), in merito alle parti dei veicoli attinte e alla successiva posizione di quiete assunta dagli stessi che, come sostenuto anche dal consulente della difesa, si attesta a poca distanza dal punto d'impatto (si vada, in particolare, pag. 4 sent. appello). Gli elementi di cui innanzi sono stati altresi' valutati in uno con le emergenze della deposizione del conducente del veicolo antagonista ( (OMISSIS)), ritenuto attendibile non all'esito di una "valutazione circolare" del suo dichiarato e della consulenza dell'accusa ma in ragione della convergenza del dichiarato con la dinamica ricostruita del detto consulente. Accertato che l'impatto e' avvenuto, dopo l'uscita della vettura condotta dall'imputato da una curva sinistrorsa, su tratto rettilineo e con visibilita' non limitata (come confermato dall'escusso appartenente alla polizia giudiziaria), infine, i giudici di merito hanno ritenuto implausibile la ricostruzione alternativa della difesa che vorrebbe l'imputato non essersi accorto della presenza di una vettura procedente controsenso. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in complessivi Euro 4.800,00 (oltre accessori come per legge). P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in complessivi Euro 4.800,00, oltre accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SPA; avverso la sentenza del 10/12/2021 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTEZZA FABIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ORSI LUIGI, che ha concluso nel senso del rigetto dei ricorsi; udito l'avvocato (OMISSIS) del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di (OMISSIS) che, all'esito delle conclusioni, chiede l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), del foro di TARANTO, in difesa di (OMISSIS), che, all'esito della discussione, chiede l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), del foro di ROMA, in difesa di (OMISSIS) SPA, che all'esito della discussione, chiede l'accoglimento del ricorso; udite le difese delle parti civili che, all'esito della discussione, chiedono si associano alle richieste della Procura generale (con deposito di note spese). RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con la pronuncia indicata in epigrafe, pur riducendo la pena inflitta a (OMISSIS), ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Taranto ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 589 c.p. oltre che, il primo dei due, per le fattispecie di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 189, commi 6 e 7, (di seguito anche "C.d.S."), con conseguente condanna degli stessi e del responsabile civile ( (OMISSIS) s.p.a.) al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili (da liquidarsi in sede civile). 1.1. Gli imputati sono stati ritenuti responsabili di aver cagionato, con condotte indipendenti, la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente, conducente e passeggero anteriore della vettura "Mini Cooper" condotta dal primo e coinvolta nel sinistro. Trattasi di decessi causati dall'urto delle persone offese contro le parti interne del citato veicolo, infrantosi contro un "cavalcafosso" presente sul margine destro della carreggiata ed insistente sul terreno dell'imputato (OMISSIS), e con superfici esterne, in quanto sbalzate al di fuori della vettura ribaltatasi dopo l'urto. La responsabilita' colposa di (OMISSIS), quale conducente dell'"Audi As", e' stata invece accertata come consistita nell'aver tenuto una condotta di guida, oltre che imprudente ed imperita, in violazione dell'articolo 148 C.d.S., eseguita in un contesto di reciproci sorpassi intrapresi tra la detta "Audi" e l'innanzi indicata "Mini" nelle prime ore del giorno. 1.2. La Corte territoriale ha altresi' confermato la statuizione di primo grado anche in merito all'accertata responsabilita' di (OMISSIS) per non aver egli ottemperato all'obbligo di fermarsi nonostante l'occorso sinistro, realizzatosi con le innanzi descritte modalita', e di prestare assistenza. 2. Avverso la sentenza d'appello gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' la responsabile civile ( (OMISSIS) s.p.a.), tramite i propri difensori, hanno proposto ricorsi per cassazione fondati, rispettivamente, su tre motivi, su un motivo complesso e su quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con il primo motivo proposto nell'interesse di (OMISSIS) si deducono la mancanza della motivazione nonche' la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' dell'apparato argomentativo inerente all'accertata dinamica del sinistro ed in particolare in merito alla condotta tenuta dal detto imputato. La Corte(territoriale, al pari del giudice di primo grado, avrebbe in particolare dato esclusiva rilevanza alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), conducente della vettura che la persona offesa (OMISSIS) avrebbe superato immediatamente prima di intraprendere la manovra di sorpasso della vettura guidata da (OMISSIS), in quale avrebbe chiarito di non aver percepito alcuna frenata da parte della Mini, in luogo delle dichiarazioni di (OMISSIS), soggetto trasportato all'interno della stessa Mini e seduto sui sedili posteriori. (OMISSIS), difatti, dopo aver evidenziato l'esecuzione di sorpassi reciproci tra le due vetture (l'Audi e la Mini), avrebbe invece dichiarato di versare al momento dei fatti in dormiveglia, di avere quale ultimo ricordo l'Audi innanzi e di aver avvertito la repentina frenata eseguita da (OMISSIS) seguita dall'uscita di strada della Mini. Per il ricorrente, quindi, anche in considerazione di quanto evidenziato dai consulenti circa l'esistenza di tracce di frenata nella corsia del senso di marcia delle persone offese ed in ordine all'inclinazione delle stesse, la dinamica del sinistro sarebbe diversa da quella ricostruita in forza delle dichiarazioni rese dai testimoni oculari (coloro i quali si trovavano immediatamente dopo l'Audi). (OMISSIS), in particolare, avrebbe intrapreso la manovra di sorpasso per poi non ultimarla, a causa dell'iniziale condotta di (OMISSIS) volta ad ostacolarla, cosi' rientrando nella propria corsia dietro all'Audi mediante azionamento del sistema frenante, con conseguente verificazione del sinistro. Le argomentazioni di cui innanzi, infine, si porrebbero a fondamento anche dello scorretto riparto dei profili di responsabilita' per colpa eseguito dalla Corte territoriale, anche con riferimento ad una pretesa velocita' dell'Audi superiore a quella consentita. 2.1.1. Con il secondo motivo di ricorso la difesa di (OMISSIS) deduce la violazione di legge oltre che vizi motivazionali, in termini di contraddittorieta' e manifesta illogicita', per aver la Corte territoriale ravvisato un contributo causale nella condotta dell'imputato. A cio' si aggiungerebbe l'errore del giudice di merito nell'aver escluso che la presenza del "cavalcafosso" sul terreno di proprieta' dell'imputato (OMISSIS) costituisse nella specie circostanza anomala, eccezionale ed imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale tra la condotta di (OMISSIS) e l'evento. 2.1.2. La diversa dinamica dell'incidente, che vorrebbe (OMISSIS) sempre procedere innanzi alla Mini, avrebbe poi dovuto condurre la Corte territoriale ad escludere la responsabilita' dell'imputato in merito ai delitti omissivi di cui all'articolo 189 C.d.S., non avendo egli avuto contezza dell'incidente verificatosi alle proprie spalle. Cio' e' quanto sostanzialmente si deduce con il terzo motivo di ricorso, con il quale, peraltro, si censura la ricostruzione delle fasi successive all'incidente operata dalla Corte territoriale e dalla stessa valutate quali elementi conducenti nel senso del consapevole allontanamento di (OMISSIS) dal luogo del sinistro. 2.2. Con i primi due motivi del ricorso proposto nell'interesse dalla responsabile civile ( (OMISSIS) s.p.a.) si deducono violazioni di legge e vizi motivazionali per non aver la Corte d'appello argomentato, accertata la dinamica del sinistro, in merito alla c.d. "causalita' della colpa" con riferimento alla condotta di (OMISSIS), al fine quindi di verificare se l'evento sia stato concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata dall'imputato mirava ad evitare. 2.2.1. Con le censure terza e quarta del ricorso proposto nell'interesse della responsabile civile, invece, rispettivamente, ci si duole della violazione di legge per non aver il giudice di merito identificato nella presenza del "cavalcafosso", contro il quale la Mini si e' infranta, una causa interruttiva del nesso causale, e si deducono vizi motivazionali in ordine alla graduazione della colpa (con riferimento ad imputati e persone offese). 2.3. Con il motivo unico complesso del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) si deducono vizi motivazionali e violazioni di legge per aver considerato solo le deduzioni del consulente tecnico dell'accusa e non anche quelle dei consulenti tecnici delle difese. L'ingegnere (OMISSIS), difatti, avrebbe attribuito la perdita di controllo della vettura alla condotta imperita ed imprudente dello stesso conducente, sostanziatasi nel tenere una velocita' pari a circa 125-126 km, notevolmente superiore al previsto limite di 80 km, ed avrebbe chiarito che, comunque, qualora non vi fosse stato il "cavalcafosso" la Mini sarebbe ugualmente uscita di strada finendo all'interno del canale delle acque meteoriche. L'ingegnere (OMISSIS), parimenti, avrebbe ricondotto il sinistro alla descritta guida imperita ed imprudente di (OMISSIS) che, resosi conto della sua eccessiva velocita' rispetto a quella dell'Audi che lo precedeva, avrebbe provveduto a frenare tempestivamente per evitare il tamponamento cosi' perdendo il controllo del veicolo. Se sul tratto stradale in argomento vi fossero state le dovute barriere protettive (guardrail), infine, a detta del ricorrente, nonostante il verificarsi del sinistro l'evento morte non si sarebbe concretizzato. 3. In udienza le parti processuali hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) e' inammissibile per tardivita'. Trattandosi di sentenza di secondo grado emessa il 10 dicembre 2021, senza la previsione di termini ex articolo 544 c.p.p., comma 3, le cui motivazioni sono state depositate il 20 dicembre 2021, quindi nel rispetto dei quindici giorni di cui al citato articolo 544 c.p.p., comma 2, si mostra difatti tardivo il ricorso proposto il 25 gennaio 2022 in ragione dell'intervenuta scadenza del relativo termine di trenta giorni (previsto dall'articolo 585 c.p.p., comma 1, lettera b) il lunedi' 24 gennaio 2022. 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e quello proposto dalla responsabile civile ( (OMISSIS) s.p.a.), suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle relative questioni, sono fondati nei limiti di seguito esplicitati. Il ricorso proposto dall'imputato e' inammissibile nella parte in cui, oltre a reiterare i motivi d'appello, si mostra volto a sostituire a quelle del giudice di merito proprie valutazioni, anche di natura probatoria, per fondare una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro, peraltro non confrontandosi con il relativo apparato argomentativo della sentenza impugnata. Questa, difatti, in maniera non manifestamente illogica, ricostruisce sulla base della deposizione di (OMISSIS), conducente della vettura non coinvolta nelle vicende, la dinamica del sinistro e chiarisce che non vi sono incongruenze significative tra quanto da questi dichiarato, circa il non aver avuto contezza della frenata attuata dalla Mini, e quanto dichiarato dal terzo passeggero della Mini (peraltro in dormiveglia al momento dei fatti) che avrebbe invece fatto riferimento alla detta frenata. Tale ricostruzione non e' incongruente con le emergenze dei consulenti delle difese, oltre che con quella del consulente dell'accusa, avendo peraltro la Corte territoriale evidenziato la compatibilita' dell'angolatura delle tracce di frenata della Mini, rilevate per circa 12 m nella corsia del proprio senso di marcia, con l'ultimazione della manovra di sorpasso. 2.1. Con motivazione non sindacabile in questa sede in quanto coerente e non manifestamente illogica, il giudice d'appello, peraltro in ipotesi di c.d. "doppia conforme", ha accertato che (OMISSIS), quale conducente dell'"Audi As", ha tenuto una condotta di guida, oltre che imprudente ed imperita, in violazione dell'articolo 148 C.d.S., eseguita in un contesto di reciproci sorpassi intrapresi tra la detta "Audi" e l'innanzi indicata "Mini" nelle prime ore del giorno. In particolare, nel descritto contesto, (OMISSIS), durante la fase di sorpasso eseguito dalla vettura condotta da (OMISSIS), da questi realizzato a velocita' superiore ai limiti imposti e in tratto di strada caratterizzato da carreggiata con doppio senso di marcia delimitato da una striscia continua, in luogo di tenersi il piu' possibile vicino al margine destro della propria corsia ha posto la vettura repentinamente sulla corsia opposta ostacolando la manovra di sorpasso della Mini. Quest'ultima, rientrata nella propria corsia dopo l'esecuzione della descritta manovra di sorpasso ed all'esito di una frenata eseguita, per circa 12 m, sulla detta corsia, e' uscita di strada, sulla propria destra, infrangendosi contro un "cavalcafosso" con conseguente ribaltamento e lesioni personali conducenti ai decessi delle due persone offese. Il giudice di merito ha altresi' ritenuto accertato che si sia trattato di "cavalcafosso" insistente sul terreno di proprieta' dell'imputato (OMISSIS) eseguito, per rendere possibile l'accesso alla strada in oggetto da proprieta' privata, in assenza di titoli abilitativi e in violazione dell'articolo 16 C.d.S. che, invece, vieta ai proprietari dei fondi confinanti con le proprieta' stradali fuori dai centri abitati di eseguire edificazioni di qualsiasi tipo lateralmente alla strada. 3. Per contro, il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) e quello della responsabile civile sono fondati nella parte in cui denunciano la mancata esplicitazione, da parte tanto della Corte d'appello quanto del primo giudice, dell'effettivo apporto causale rispetto all'evento fornito dalla condotta colposa di (OMISSIS), ricostruita in sede di merito nei termini di cui innanzi, con conseguente assorbimento del motivo di ricorso proposto nell'interesse dell'imputato in merito alla responsabilita' per i fatti di cui all'articolo 189 C.d.S., commi 6 e 7. Posto che, come accertato dai giudici di merito, (OMISSIS), nonostante la condotta di (OMISSIS) ostacolante il sorpasso, ha ultimato la manovra rientrando nella propria corsia per poi uscire di strada, dalla propria destra e non dalla corsia di sinistra ed all'esito di una repentina frenata eseguita nella detta corsia di destra, senza urtare l'Audi guidata dall'imputato ne' essere da essa urtata, non emerge, perche' non esplicitato in sentenza, quale sarebbe stato, per i giudici di merito, l'effettivo contributo causale fornito dalla condotta colposa di (OMISSIS) rispetto alla descritta uscita di strada della Mini. 4. Nonostante quanto innanzi e diversamente dalle prospettazioni di entrambi i ricorsi, infine, non sussistono i dedotti vizi inerenti all'esclusione dell'interruzione del nesso causale, tra la condotta colposa dell'imputato e l'evento, invece invocata dalle difese in ragione della presenza del "cavalcafosso" quale causa eccezionale e atipica dell'evento, in quanto imprevista e imprevedibile, di per se sola sufficiente a produrlo. Sul punto, difatti, la Corte territoriale, in termini non sindacabili in sede di legittimita' in ragione dell'assenza di vizi motivazionali, ha argomentato, in linea con la piu' recente giurisprudenza di legittimita', escludendo l'eccentricita' del rischio in concreto attivato dalla descritta condotta di (OMISSIS), nella specie avente a oggetto la realizzazione e il mantenimento del "cavalcafosso", la cui presenza lateralmente alla strada, in violazione proprio delle norme sulla circolazione stradale, in particolare dell'articolo 16 C.d.S., e' stata ritenuta tale da aver concretizzato solo un ordinario rischio da circolazione stradale (per la piu' recente teoria dell'eccentricita' del rischio ai fini dell'interruzione del nesso causale si vedano, ex plurimis, anche sulla scorta di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014: Sez. 4, n. 23116 del 14/06/2022, Conti, non massimata, Sez. 4, n. 30824 del 16/06/2022, Nicoletti, non massimata, nonche' Sez. 4, n. 42017 del 29/09/2022, Malavasi, non massimata). 5. In conclusione, deve essere annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) s.p.a. con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. Dev'essere altresi' dichiarata l'inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS) con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, ex articolo 616 c.p.p., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186). (OMISSIS) deve essere altresi' condannato alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimita' in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in complessivi 3.900,00 Euro, oltre accessori come per legge (se dovuti), nonche', in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in complessivi 9.300,00 Euro, oltre accessori come per legge, se dovuti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) s.p.a. con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonche' alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimita' in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in complessivi 3.900,00 Euro oltre accessori come per legge, se dovuti; in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate in complessivi 9.300,00 Euro, oltre accessori come per legge, se dovuti.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/11/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SALVADORI SILVIA che ha concluso chiedendo'annullamento con rinvio per nuovo esame della sentenza impugnata. Uditi i difensori del ricorrente avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente (OMISSIS), con sentenza del 2/11/2021, ha confermato la sentenza emessa in data 21/4/2015 dal GUP del Tribunale di Cassino che, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ridotta la pena per la scelta del rito, alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, applicandogli la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di due mesi e concedendogli i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale in quanto riconosciutolo colpevole del reato p. e p. dall'articolo 589 c.p., comma 1 e 2, perche', nella sua qualita' di conducente della autovettura KIA tg. (OMISSIS) lungo l'Autostrada del Sole in direzione sud, verso Napoli, immettendosi affrettatamente di notte da un'area di sosta nel flusso della corsia di marcia, effettuando un errore di calcolo circa il tempo di avvicinamento dell'autoarticolato Iveco Magirus Stralis tg. (OMISSIS) che sopraggiungeva da tergo impegnando la propria regolare corsia di marcia, cagionava per tale sua colpa il tamponamento della propria autovettura e, quindi, lesioni mortali per la propria moglie (OMISSIS), la quale occupava il sedile posteriore della stessa autovettura. Sull'Autostrada A1, agro di (OMISSIS), ore 1,25. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo si lamenta violazione dell'articolo 522 c.p.p. e la conseguente nullita' della sentenza di primo grado nonche' di quella di appello che del tutto erroneamente avrebbe omesso di rilevare il difetto di contestazione censurato dalla difesa. Il ricorrente ripercorre la vicenda processuale e si sofferma sul tenore dell'imputazione, evidenziando come non vi sia dubbio che oggetto dell'accusa era la circostanza di avere eseguito una immissione nella carreggiata autostradale genericamente qualificata come "affrettata". Ricorda che nel corso del giudizio di primo grado, il giudice dell'udienza preliminare ha disposto una perizia ex articolo 441 c.p.p., comma 5, per indagare l'eziologia e la dinamica del sinistro. Come riportato a foglio 6 della sentenza di prime cure, il perito - Ing. (OMISSIS) - ha formulato tre ipotesi alternative, solo parzialmente sovrapponibili alla ricostruzione proposta dal consulente del pubblico ministero e del tutto confliggenti con quella del consulente della difesa. Si e' pervenuti, quindi, ad affermare la responsabilita' dell'imputato sulla base delle considerazioni di seguito riportare: "basterebbero gia' questi due profili di colpa messi in rilievo dalla perizia (OMISSIS) per censurare la condotta dell'imputato, il quale - sia che viaggiasse in prima corsia a 36-40 Km/h, sia che viaggiasse a cavallo della prima corsia e della corsia d'emergenza alla suddetta velocita' - costituiva certamente un grave intralcio e/o un grave pericolo per il normale flusso della circolazione nonche' per la sicurezza stradale, come del resto i tragici eventi hanno dimostrato. Tanto precisato, non pare neppure in disaccordo con quanto sopra detto la ricostruzione del consulente del P.M, il quale ritiene che il (OMISSIS) sia uscito dalla precedente piazzola di sosta per immettersi sulla prima corsia di marcia (sicche' puo' ben darsi che l'autovettura sia stata travolta nell'attimo in cui passava dalla corsia di emergenza alla prima corsia di marcia, dopo essere appena fuoriuscita dalla piazzola di sosta" (cfr. foglio 8). Sulla scorta di tale motivazione, evidentemente perplessa, il giudice di primo grado ha concluso, sempre a foglio 8: " (OMISSIS) e' certamente responsabile del reato ascrittogli, commesso per negligenza imprudenza ed imperizia e in violazione di specifiche norme di cautelari (articoli 140, 141 e 154 C.d.S.) che impongono al conducente di non circolare a velocita' talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione". Per il ricorrente tale ricostruzione della condotta appare obiettivamente difforme da quella oggetto dell'imputazione, non potendosi ravvisare in questa alcun riferimento ne' alla velocita' ridotta della marcia dell'autoveicolo condotto dal (OMISSIS) (anzi, come visto, contestandosi una immissione affrettata e, dunque, semmai troppo veloce, nella prima corsia di marcia), ne' alle regole cautelari menzionate dal giudicante. Con l'atto di appello - si ricorda in ricorso- si deduceva espressamente la nullita' della sentenza di primo grado ai sensi e per gli effetti degli articoli 521 e 522 c.p.p.. Si eccepiva, in particolare, sulla scorta della giurisprudenza di legittimita', come la lettera dell'imputazione prevedesse una singola e specifica ipotesi colposa, mentre il giudice di merito fosse giunto ad affermare la responsabilita' dell'imputato ritenendo accertata una diversa - benche' come si dira' in seguito, aspeciflca, in quanto consistente nella formulazione di ipotesi ricostruttive meramente ipotetiche - ipotesi di condotta, posta in essere in violazione delle norme cautelari individuate - motu proprio - dallo stesso giudice di prime cure. Quest'ultimo, infatti, aveva, scartato l'ipotesi ricostruttiva formulata dal pubblico ministero e deciso di optare per un ventaglio di tesi alternative, tutte conducenti alla condanna dell'imputato, in difetto di qualsivoglia modifica del fatto contestato o contestazione del fatto diverso da parte del titolare dell'azione penale. Il giudice di appello - si osserva- ha respinto la censura sulla scorta di due considerazioni, una in fatto e una in diritto. Sul piano fattuale, nell'escludere la dedotta violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, ha osservato che "il capo di imputazione ascrive comunque in termini di colpa generica la condotta di aver proceduto a bassa velocita', ipotizzando l'immissione dalla piazzola di sosta senza valutare il sopraggiungere dell'autoarticolato" (pag. 5 della sentenza impugnata). Tale rilievo, per il ricorrente, e', obiettivamente, fuorviante. Tenuto conto della funzione primaria dell'imputazione, consistente nell'indicazione in forma chiara e precisa (in questo caso) della condotta colposa contestata, non possono, infatti, ritenersi sovrapponibili due opposti scenari ricostruttivi del fatto: a. che l'imputato si sia immesso in maniera troppo frettolosa dalla piazzola nella corsia di marcia, violando la regola cautelare che obbliga il conducente intento a una simile manovra a dare precedenza ad altri veicoli che, in quel frangente, siano intenti a percorrere la prima corsia di marcia; b. che il conducente, dopo avere completato la manovra di immissione nella prima corsia di marcia, proceda a velocita' talmente bassa da costituire intralcio alla circolazione. Il ricorrente osserva che le condotte colpose nel primo e nel secondo caso divergono completamente, tant'e' vero che, seppur in maniera contraddittoria e perplessa, il giudice di prime cure aveva evidentemente concluso per l'affermazione di responsabilita' sposando l'opzione sub b. Del resto, come opportunamente osservato dallo stesso perito nel suo elaborato, ad escludere il primo scenario militava la dinamica dell'urto tra i due veicoli, il quale e' stato qualificato come "centrale diretto" e non, invece, "angolare", come sarebbe stato lecito attendersi se la vettura dell'imputato fosse inaspettatamente uscita dalla piazzola di emergenza determinando lo schianto, compiendo la manovra ipotizzata in imputazione (sul punto vengono richiamati i precisi riferimenti agli atti del processo di merito foglio 9 dell'atto di appello). Peraltro - circostanza che il giudice di appello sembrerebbe trascurare - mediante l'indicazione in motivazione di specifiche norme del codice della strada, asseritamente violate dall'imputato, sempre il giudice di prime cure aveva chiaramente ricondotto la responsabilita' dell'odierno ricorrente nell'alveo della colpa specifica e non generica, come invece - a detta della stessa sentenza di appello sembra dedursi dalla lettera dell'imputazione. Sicche' non ci sarebbe dubbio alcuno che la mutatio libelli puntualmente dedotta con il gravame sussistesse con riferimento al caso concreto e dovesse, pertanto, essere rilevata quale causa di invalidita' della decisione di primo grado. In punto di diritto, la sentenza di appello motiva la sua decisione richiamando la giurisprudenza di legittimita' che ha valorizzato la carenza di idoneita' lesiva della suddetta nullita' a vulnerare il diritto di difesa quante volte le parti avessero avuto, comunque, occasione di confrontarsi con la diversa ipotesi di accusa ritenuta in sentenza, sia pure in presenza di una modifica irrituale - in quanto disposta in sentenza e non determinata da una modifica dell'imputazione ad opera del pubblico ministero - della contestazione. Anche queste considerazioni per il ricorrente non colgono nel segno. In primo luogo, perche' - de iure condito - non risulta che il riscontro di un pregiudizio effettivo e concreto ai diritti di difesa quale presupposto di operativita' delle norme in tema di invalidita' processuale sia richiesto dall'ordinamento vigente, viepiu' in una materia dominata dal principio di tassativita'. Sicche' l'orientamento, pure presente nella giurisprudenza di legittimita', richiamato dal giudice di appello deve considerarsi eversivo del principio di legalita' processuale e, piu' in generale, dell'obbligo di subordinazione alla legge da parte del giudice e, percio', merita di essere disatteso. In second'ordine - ma non meno rilevante - perche' l'orientamento richiamato deve intendersi non pertinente a regolare il caso di specie, non fosse altro in relazione all'opzione compiuta dall'imputato per il giudizio abbreviato a fronte di una conformazione dell'imputazione, come rilevato, significativamente difforme da quella in relazione alla quale egli e' stato condannato. Ad opinare diversamente, infatti, la prerogativa accordata a mente dell'articolo 441 bis c.p.p. - che attribuisce all'imputato destinatario di modifica della contestazione il diritto potestativo di provocare la trasformazione del giudizio abbreviato in rito ordinario - risulterebbe del tutto vanificata, con conseguente radicamento di una irragionevole disparita' di trattamento tra imputati che, in presenza di una comune situazione processuale, obbligante a procedere con la modifica dell'imputazione a seguito dell'acquisizione officiosa di nuove prove, si vedrebbero riconoscere o negare tale facolta' in dipendenza della scelta del pubblico ministero di conformarsi o, al contrario, sottrarsi all'onere di effettuare una nuova contestazione. Tanto con l'evidente e irragionevole controindicazione di porre gli imputati nei confronti dei quali il titolare dell'azione non avesse erroneamente ritenuto di procedere alla modifica dell'addebito in una condizione deteriore - sul piano del concreto ventaglio di prerogative processuali a loro disposizione - rispetto a quelli che, nella medesima situazione, avessero potuto godere della partecipazione al processo di un accusatore rispettoso delle regole processuali e, si deve aggiungere, del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. Con un secondo motivo si lamenta, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, mancanza, manifesta illogicita' e/o contraddittorieta' della motivazione con specifico riguardo alla mancata disamina analitica delle censure proposte in sede di appello in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro. Richiamato il dictum di Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 8825, Galtelli, il ricorrente evidenzia che, se il giudice di appello non puo' ritenersi correttamente investito del potere di sindacare la decisione di prime cure "quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata", appare consequenziale concludere che, ove investito di motivi sufficientemente specifici da superare il rigoroso vaglio di ammissibilita' teste' richiamato, egli sia, viceversa, tenuto a offrire una motivazione autonoma e logicamente argomentata sugli specifici profili di fatto e di diritto legittimamente sottoposti alla sua cognizione. Il ricorrente ricorda, ancora, che "la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado e' viziata per carenza di motivazione se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e senza argomentare sull'inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi, non potendosi in tal caso evocare lo schema della motivazione per retationem" (il richiamo e' a Sez. 6, n. 49754/2012; in senso analogo, ex pluribus, Sez. 3 n. 27416/2014). Si denuncia in ricorso la natura apparente della decisione impugnata e, comunque, la grave carenza della motivazione in rapporto alle specifiche censure elevate in sede di appello. Per il ricorrente da una lettura attenta della motivazione della sentenza impugnata risulta che l'unica censura che il giudice di appello abbia inteso esaminare sia quella relativa alla dedotta nullita' di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p., cui si e' fatto riferimento nel precedente motivo di ricorso. Per il resto, l'intero apparato argomentativo si limita a una parafrasi, pressoche' testuale, della decisione di prime cure e a una breve ricapitolazione - peraltro, molto parziale e travisante - delle deduzioni affidate dalla difesa all'atto di appello. Unico passaggio esplicativo della propria decisione con riferimento alle censure relative al merito dell'addebito sarebbe, difatti, quello condensato nelle ultime battute di foglio 6 della sentenza, dove - anche in cio' ribadendo pedissequamente quanto osservato dal giudice di prime cure - si sottolinea come lo scenario alternativo proposto dalla difesa, tendente a individuare quale causa esclusiva del sinistro in una condotta di guida imperita dell'autista dell'autoarticolato, non persuaderebbe sulla scorta delle osservazioni formulate dal perito in punto di ricostruzione della dinamica e di stima della velocita' del mezzo pesante. Tale passaggio motivazionale -ci si duole- non tiene in alcuna considerazione le penetranti deduzioni contenute nell'atto d'appello, condivise durante il giudizio d'appello anche dal Procuratore Generale il quale, infatti, ha richiesto l'assoluzione dell'imputato benche' la sentenza dica il contrario e sia stata, per questo, oggetto di una specifica richiesta di correzione dell'errore materiale. Quelle deduzioni ignorate dalla Corte territoriale specificavano le ragioni per le quali le identiche considerazioni poste dal primo giudice a base della sua decisione dovevano considerarsi del tutto destituite di fondamento e il diretto portato di una valutazione approssimativa delle argomentazioni tecniche elaborate dal consulente tecnico della difesa, in buona parte corroborate in esito all'esame in udienza preliminare dello stesso perito d'ufficio. Limitandosi a ribadire le conclusioni raggiunte dal primo giudice senza peritarsi di confutare le argomentazioni difensive, il giudice di appello sarebbe incorso in una manifesta carenza della motivazione. Il ricorrente riporta alle pagg. 10-13 del ricorso ampi stralci dell'atto di appello e alle pagg. 13-14 delle successive memorie indirizzate al giudice del gravame del merito lamentando che nessuna delle specifiche ed analitiche deduzioni abbia ottenuto una specifica ed analitica confutazione. Con un terzo motivo il ricorrente lamenta mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con specifico riguardo all'incerta ricostruzione della dinamica del sinistro e, conseguentemente, manifesto disallineamento dei giudici di merito dalla regola di giudizio del ragionevole dubbio nonche' erronea applicazione degli articoli 140, 141 e 154 C.d.S., in quanto norme extrapenali dalla cui interpretazione dipende strettamente l'integrazione delle ipotesi di reato ritenuta in sentenza. Premessi i requisiti accertativi e motivazionali posti dalla regola del ragionevole dubbio alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimita', il ricorrente lamenta che, nel caso di specie, la ricostruzione operata dalla Corte di appello in motivazione e, ancor prima, dal giudice di prime cure, non si confronta minimamente con tale standard di giudizio, per lo meno, sotto due distinti ma connessi profili: non individua con certezza ne' indica in motivazione la precisa dinamica degli eventi; non si perita di escludere in maniera argomentata decorsi causali alternativi di portata potenzialmente liberatoria. Il ricorrente lamenta l'avvenuta ricostruzione del fatto in termini meramente possibilistici e l'omessa e, comunque, l'illogica esclusione da parte dei giudici di merito della ricostruzione alternativa conducente a ravvisare la responsabilita' esclusiva del conducente dell'autoarticolato in ordine al sinistro oggetto di accertamento. L'ipotesi ricostruttiva alternativa proposta dalla Difesa, di rilievo potenzialmente dirompente sull'esito del giudizio, sarebbe stata esclusa sulla scorta di una mera considerazione di natura logica che puo' sintetizzarsi come segue: non e' verosimile che il conducente dell'autoarticolato, pur avendo la possibilita' concreta di sorpassare il mezzo guidato dal (OMISSIS), lo abbia tamponato. Sennonche' per il ricorrente un tale modo di ragionare non pare minimamente conformarsi agli ordinari criteri della logica giudiziale. In primo luogo, perche' manifestamente congetturale. In secondo luogo, perche' non terrebbe conto che l'oggetto dell'accertamento processuale si iscrive, evidentemente, nell'alveo della responsabilita' colposa, tant'e' vero che a questo titolo l'imputato e' stato condannato. Non pare, allora, logicamente sostenibile che l'ipotesi in questione possa essere esclusa dando per presupposto cio' che non e' stato minimamente accertato, e cioe' che il comportamento di guida del conducente dell'autoarticolato, nel caso concreto, non si fosse rilevato imprudente, negligente o imperito. Corrisponde, del resto, alla comune esperienza non solo degli operatori del diritto ma, perfino, di qualunque automobilista - si legge in ricorso- che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'eziologia di un tamponamento vada ascritta alla disattenzione del conducente del mezzo che tampona colui che lo precede nello stesso senso di marcia; tant'e' vero che la casistica giudiziaria - civile come penale - assai di rado documenta, in questi casi, l'ascrizione di responsabilita' in capo al soggetto tamponato. E cio' a prescindere dalla velocita' alla quale il veicolo bersaglio dell'investimento viaggiasse nel caso di specie, giacche' - come finisce implicitamente per asseverare finanche il giudice di prime cure - sul tratto di strada interessato dal sinistro non sussisteva un limite minimo di velocita', avendo addebitato al (OMISSIS) la responsabilita' in dipendenza della presunta violazione della norma che pone il generico divieto del conducente di un mezzo a motore di creare intralcio alla circolazione. Ancora, il ricorrente lamenta l'omessa esplicitazione delle ragioni che, secondo i giudici di merito, consentono di ritenere il ricorrente responsabile del sinistro in dipendenza dell'adesione, sia pure in termini puramente ipotetici, alla seconda e alla terza ipotesi ricostruttiva avanzata dal perito. Tenuto conto del dato normativo di cui agli articoli 140 e 141 C.d.S., tanto piu' alla luce delle deduzioni difensive in appello, sarebbe stato compito specifico del giudice di secondo grado, non avendolo fatto il suo predecessore, spiegare in quali termini la ridotta velocita' dell'autovettura del ricorrente potesse integrare una violazione delle regole cautelari citate di grado talmente elevato da rendere, addirittura, impossibile in capo all'autista dell'autoarticolato una banale manovra di sorpasso in presenza delle gia' richiamate condizioni di: perfetta visibilita' e tenuta del manto stradale; traffico scarso; andamento rettilineo e, persino, in leggera salita del tratto stradale - a tre corsie di marcia di tipo autostradale - interessato dal sinistro. Sul punto, tuttavia, si lamenta che non e' dato registrarsi alcun approfondimento critico, che invece sarebbe stato doveroso. Secondo la tesi proposta in ricorso costituisce, pertanto, un macroscopico difetto di motivazione delle due sentenze di merito di aver mancato di indicare le ragioni fattuali o tecniche che qualificherebbero come colposa la condotta di guida ipotizzata a carico dell'imputato e, al contempo, inesigibile il sorpasso da parte dell'autista dell'altro mezzo coinvolto. Si tratterebbe di gravi lacune motivazionali attinenti sia la corretta ricostruzione della dinamica del fatto - e, quindi, incidenti sulla motivazione atta a sostenere il superamento del ragionevole dubbio in ordine alla condotta tenuta dall'imputato e alla sua individuazione quale causa del sinistro - sia al tema della natura colposa della condotta che si riverberano, inevitabilmente, anche sulla corretta qualificazione del comportamento in concreto tenuto dall'imputato e, dunque, comporterebbero una concorrente violazione della legge extra penale, rilevante ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b). Con un quarto motivo, si lamenta, in subordine rispetto al secondo motivo, si lamenta mancanza, manifesta illogicita' e/o contraddittorieta' della motivazione con specifico riguardo all'accertamento delle velocita' dei mezzi coinvolti nel sinistro. Il ricorrente propone due estratti delle motivazioni di primo e secondo grado e ritiene che sia sufficiente confrontarli con la sintesi degli argomenti e delle pro-spettazioni tecniche fornite dalla difesa, pure sintetizzate in ricorso, per avvedersi di come entrambi i giudici di merito sarebbero incorsi nello stesso errore logico, avendo entrambi dimostrato di non aver compreso ne' le prospettazioni tecniche rassegnate dal consulente della difesa, ne' le deduzioni difensive puntualmente esplicitate nel corso del giudizio di primo grado e - con riferimento specifico al giudice di appello - in sede di gravame. Ed infatti il rilievo dirimente assegnato nelle rispettive decisioni alla mancanza di indizi sintomatici circa la manomissione dei sigilli apposti al cronotachigrafo in questione non sarebbe argomento pertinente per confutare la ricostruzione operata dal consulente tecnico della difesa, il quale, anzi, aveva puntualmente esplicitato nella sua relazione la possibilita' tecnica che lo strumento presentasse alterazioni del funzionamento dovute all'impiego di strumenti progettati allo scopo la cui installazione non richiede la fisica. Inoltre, nulla avrebbe a che vedere con il tema - cruciale per l'esito del giudizio - posto dalla difesa, avente ad oggetto il necessario approfondimento e la risoluzione motivata tra le incompatibili stime sulla velocita' dipendenti dall'impiego di diversi metodi di accertamento, in particolare quello impiegato dal consulente della difesa e basato sull'applicazione dileggi scientifiche proprie della matematica e della fisica a partire da due dati oggettivi: il coefficiente di attrito la cui stima veniva condivisa anche dal perito; lo spazio di arresto dell'autoarticolato rilevato sul luogo teatro dei fatti; quello impiegato dal perito e basato sulla mera rilevazione del dato del cronotachigrafo istallato sul mezzo protagonista del tamponamento. Per il ricorrente non dirime la questione se, in presenza di simili contraddizioni e di concrete ed esplicitate ragioni tecniche utili a riporre in discussione l'affidabilita' del dato estratto dallo strumento di bordo - mentre lo stesso non puo', ovviamente, dirsi per le leggi scientifiche puntualmente richiamate dal consulente difensivo nei suoi elaborati - possa ritenersi giuridicamente legittima l'adozione di una soluzione palesemente antitetica al principio in dubio pro reo o, comunque, in aperta negazione della gia' richiamata regola di giudizio del ragionevole dubbio. In definitiva, per il ricorrente entrambi i giudici di merito e, in particolar modo, quello di appello sarebbero incorsi in quello che si potrebbe definire un doppio travisamento: avrebbero travisato le argomentazioni e le censure difensive, specie quelle chiaramente espresse nel gravame; avrebbero travisato la prova tecnico-scientifica fornita dalle due relazioni a firma del consulente tecnico della difesa. Percio' la decisione impugnata - reiterando il difetto gia' proprio di quella precedente - avrebbe omesso di fornire compiuta e logica esplicitazione delle ragioni per le quali meritasse adesione la ricostruzione tecnica del perito e andasse, invece, scarta quella proposta dall'esperto incaricato dalla difesa. Tale lacuna atterrebbe a un aspetto dirimente della decisione e radicherebbe, altresi', un vistoso disallineamento delle sentenze di merito rispetto ai canoni giurisprudenziali che devono guidare l'analisi della prova tecnico-scientifica nel processo penale, in particolare laddove il giudice sia chiamato a scegliere tra opposte ricostruzioni dei fatti dipendenti dalla selezione di diversi metodi di interpretazione e analisi dei dati di realta'. Ci si duole, infine, che nella sentenza impugnata e in quella di primo grado, non figurerebbe alcuna menzione alla disamina comparativa: a. circa l'accreditamento scientifico e professionale dei diversi esperti; b. circa l'appropriatezza al caso concreto e l'idoneita' dei diversi metodi di accertamento della velocita' dei veicoli coinvolti da questi adottati; c. circa la congruenza delle rispettive conclusioni e dei diversi metodi impiegati con i dati circostanziali acquisiti. Il risultato finale sarebbe una motivazione illogica, contraddittoria, lacunosa e gravemente carente sul tema cruciale dell'intero accertamento processuale e risulterebbe, percio' solo e impregiudicati i precedenti motivi di ricorso, meritevole di cassazione. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Il P.G. presso questa Corte ha presentato in data 10/10/2022 memoria ex articolo 121 c.p.p., con la quale ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. I fatti, per quanto rileva in questa sede, sono stati cosi' ricostruiti dai giudici del merito, sulla scorta degli atti delle indagini preliminari, in forza della scelta del rito, oltre che della perizia disposta ed espletata ai sensi dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, affidata al perito ingegner (OMISSIS). Intorno alle ore 1,25 del 3/8/2011 sull'autostrada Al Roma - Napoli, direzione Sud, al km 674+350 avveniva un sinistro stradale nel quale moriva sul colpo (OMISSIS), passeggera dell'autovettura Kia CEE D targata (OMISSIS), condotta dal coniuge odierno ricorrente (OMISSIS) e con a bordo anche il figlioletto in tenera eta' della coppia, i quali non riportavano lesioni dall'impatto. L'autovettura impattava contro un autocarro IVECO Magirus targato (OMISSIS) con semirimorchio, condotto da (OMISSIS). Secondo la prima ricostruzione dell'incidente operata dalla Polizia Stradale di Cassino intervenuta nell'immediato emergeva che l'autovettura condotta dal (OMISSIS) era stata tamponata dall'autoarticolato con semirimorchio condotto dal (OMISSIS). L'urto era avvenuto sulla prima corsia di marcia, quindi l'autovettura, agganciata alla parte anteriore del mezzo pesante, era stata sospinta in avanti andando ad urtare contro la barriera guardrail collocata al margine destro della carreggiata, aveva poi effettuato una rotazione di 180 gradi, per assumere infine una posizione di quiete contromano, tra le corsie di marcia ordinarie e quella d'emergenza, mentre l'autoarticolato si era arrestato tra le due corsie ma in posizione corretta rispetto al senso di marcia percorso. Nessuno dei due conducenti risultava positivo all'alcoltest e al test per la ricerca di tracce di sostanze stupefacenti. (OMISSIS) risultava non aver violato il limite di velocita', alla luce dei dati riportati sul cronotachigrafo. Il (OMISSIS), escusso dalla P.G. nell'immediatezza dei fatti, dichiarava che, mentre procedeva su quel tratto autostradale nella prima corsia di marcia a velocita' non eccessivamente elevata, da lui indicata intorno ai 60 km/h, si era trovato fermo in carreggiata e aveva visto solo un tir davanti a lui e sentito il pianto di suo figlio, senza aver realizzato le circostanze dell'impatto. Aveva quindi cercato di soccorrere sua moglie che appariva incosciente. Riferiva che stava procedendo lentamente da alcuni minuti, avendo riscontrato un presumibile malfunzionamento del cambio. A sua volta il (OMISSIS) riferiva che, procedendo su quel tratto autostradale diretto a Gioia Sannitica, impegnando la prima corsia di marcia alla velocita' di circa 85 km/h, aveva visto un veicolo che precedeva il suo autoarticolato viaggiando a cavallo tra la corsia di emergenza e la prima corsia, verso la quale deviava improvvisamente, senza dargli il tempo di evitare l'impatto, nonostante avesse azionato i freni. Dopo il tamponamento, da lui definito inevitabile, era sceso dal suo mezzo per prestare soccorso agli occupanti dell'autovettura, e aveva chiamato la Polizia Municipale. 3. Va anche evidenziato, in premessa, che la Corte territoriale opera una corretta ed esauriente disamina del sapere scientifico introdotto nel processo, coerentemente con i dicta di questa Corte di legittimita' secondo cui, qualora sussistano, in relazione a pluralita' di indagini svolte da periti e consulenti, tesi contrapposte sulla causalita' materiale dell'evento, il giudice, previa valutazione dell'affidabilita' metodologica e dell'integrita' delle intenzioni degli esperti, che dovranno delineare gli scenari degli studi e fornire adeguati elementi di giudizio, deve accertare, all'esito di una esaustiva indagine delle singole ipotesi formulate dagli esperti, la sussistenza di una soluzione sufficientemente affidabile, costituita da una metateoria frutto di una ponderata valutazione delle differenti rappresentazioni scientifiche del problema, in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Altrimenti potendo concludere per l'impossibilita' di addivenire ad una conclusione in termini di certezza processuale (cfr. ex multis Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015 dep. 2016, Minichini ed altri, Rv. 267567). E questa Corte di Cassazione, rispetto a tale apprezzamento, non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia stata razionale e logica. Cio' significa che, in questa sede, non si puo' valutare la maggiore o minore attendibilita' degli apporti scientifici esaminati dal giudice, in quanto quest'ultimo, in virtu' del principio del suo libero convincimento e dell'insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, ha la possibilita' di scegliere, fra le varie tesi prospettategli dai differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purche' dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti. Ricorda la sentenza impugnata che la consulenza tecnica fatta espletare dal P.M. nel corso delle indagini preliminari tramite l'ingegner (OMISSIS) giungeva alla conclusione che il (OMISSIS) viaggiasse a una velocita' ben piu' ridotta rispetto a quella di 60 km/h da lui indicata alla P.G., stimandola invece in circa 40 km/h. Ricostruiva quindi la dinamica del sinistro evidenziando i seguenti tre elementi cruciali: a. al momento dell'impatto la KIA viaggiava ad una velocita' molto contenuta, non compatibile con la tesi di una prolungata guida in prima corsia; b. il conducente dell'autoarticolato era credibile allorquando riferiva di aver visto la autovettura condotta dall'imputato scartare improvvisamente a sinistra della corsia di emergenza; c. in prossimita' del punto di impatto era presente una piazzola di sosta. Ne inferiva che la KIA si fosse mossa in accelerazione da una posizione di stasi o di movimento lento dalla piazzola di sosta, diretta alla prima corsia di marcia, alla velocita' di circa 40 km/h. Percorsi circa 22 metri sarebbe stata tamponata dall'autoarticolato, il conducente del quale non avrebbe avuto il tempo di reazione necessario per percepire la manovra di immissione nella corsia da lui percorsa e di reagire appropriatamente. A parere del consulente (OMISSIS) tale siffatta ricostruzione sarebbe l'unica plausibile, in quanto permetterebbe di comprendere perche' la vettura, che in quel momento aveva necessariamente una velocita' molto ridotta, fosse stata tamponata con conseguenze tanto gravi, nonostante il conducente dell'autoarticolato avesse frenato energicamente. Proprio a partire dal dato riferito dal (OMISSIS) dell'improvviso avvistamento dello scarto del veicolo che lo precedeva verso la prima corsia il consulente tecnico del P.M. era indotto a ritenere che l'imputato avesse effettuato uno scarto improvviso e a ridotta velocita' dalla piazzola di sosta. Riteneva quindi l'esperto - si legge ancora in sentenza- che non fosse altrettanto plausibile l'ipotesi che l'imputato procedesse da un apprezzabile lasso temporale in prima corsia e a velocita' ridotta, perche' in quel caso l'investitore avrebbe avuto il tempo di avvistarlo e di frenare efficacemente, cosi' evitando l'impatto. Neppure sarebbe fondata l'ipotesi che il (OMISSIS) procedesse da tempo a ridotta velocita' sulla corsia di emergenza, proprio a causa della presenza a brevissima distanza dal luogo dell'impatto di una piazzola di sosta. E comunque a parere del consulente del P.M. anche tale condotta non potrebbe sottrarsi alla censura di imprudenza perche' di per se' idonea a causare un pericolo per la circolazione. La sentenza impugnata da' conto che le conclusioni del consulente tecnico del P.M. venivano contestate dal consulente tecnico della difesa, che in particolare non concordava con il calcolo del coefficiente di attrito tra gli pneumatici dell'autoarticolato e il manto stradale, e dubitava della affidabilita' delle indicazioni emergenti dal cronotachigrafo, giungendo quindi alla conclusione che l'autoarticolato doveva procedere a una velocita' superiore rispetto a quella individuata dal consulente tecnico del P.M.. Percio', sulla scorta di tale contrasto, il GUP nominava perito l'ingegner (OMISSIS), che effettuava una ricostruzione degli elementi offerti dalle indagini preliminari che lo portava a rassegnare conclusioni parzialmente sovrapponibili a quelle del consulente tecnico del P.M.. Il perito, in realta', formulava tre possibili ricostruzioni del sinistro, tutte foriere di responsabilita' del (OMISSIS) nella determinazione del sinistro. Secondo la prima ipotesi l'imputato sarebbe partito da fermo dalla piazzola di sosta, immettendosi nella prima corsia di marcia dell'autostrada ad una velocita' di circa 36 km/h, ma in tal caso il (OMISSIS) avrebbe sicuramente avvistato l'imputato e lo avrebbe potuto evitare, avendo a disposizione il tempo per farlo, ancorche' viaggiasse a velocita' inferiore a 80 km/h. Per tale motivo il perito ha ritenuto di scartare tale ipotesi. Seguendo una seconda ricostruzione, che il perito ritiene preferibile, alla pari con la terza, il (OMISSIS) avrebbe viaggiato in prima corsia di marcia ad andatura molto lenta, intorno a 36 km/h, avendo avvertito segni di malfunzionamento del cambio, come da lui riferito. L'autoarticolato quindi, sopraggiunto alla velocita' di 80 km/h, pur avendo avvistato il veicolo lento, non sarebbe riuscito a valutarne adeguatamente la velocita' di marcia, notevolmente inferiore alla propria, e non avrebbe avuto a disposizione il tempo necessario a evitare il tamponamento. La terza ipotesi, dal perito ritenuta altrettanto verosimile e fondata, vede il (OMISSIS) condurre la sua autovettura marciando a cavallo tra la corsia di marcia e quella di emergenza e anche in questo caso all'andatura molto lenta di 36 km/h, avendo avvertito un malfunzionamento del cambio. Una volta operato bruscamente un riallineamento nella prima corsia di marcia, il conducente l'autoarticolato, sorpreso da tale manovra repentina, non sarebbe riuscito a evitare l'impatto, nonostante avesse azionato i freni. Sulla scorta di tali ricostruzioni il primo giudice ha fondato il giudizio di responsabilita', argomentando nel senso che la diversa prospettazione difensiva, secondo la quale la responsabilita' del sinistro sarebbe da attribuire integralmente alla condotta colposa del (OMISSIS), avrebbe come necessario presupposto, sconfessato dagli accertamenti tecnici sul cronotachigrafo, che il (OMISSIS) procedesse alla velocita' di almeno 100 km/h. Ne' la ventilata ipotesi che il conducente l'autoarticolato potesse aver manomesso il cronotachigrafo -rilevava gia' il GUP- ha trovato il minimo riscontro, essendo rimasta a livello di mera enunciazione difensiva. La Corte territoriale, invece, ritiene che dirimente sia la velocita' ridotta cui procedeva l'auto del (OMISSIS) e, per contro, la ipotizzata responsabilita' del (OMISSIS), come gia' sopra evidenziato, dovesse ritenersi esclusa in radice alla luce della accertata velocita' alla quale costui procedeva, entro il limite fissato su quel tratto autostradale. In proposito, va ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilita', determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - e' rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita' se, come nel caso in esame, sorretti da adeguata motivazione (ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Baldisseri, Rv. 271679; Sez. 4, n. 10335 del 10/2/2009, Pulcini, non mass.; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, Azzarito, Rv. 238321). E in altra condivisibile pronuncia si e' chiarito che sono sottratti al sindacato di legittimita', se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia quali la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, l'accertamento delle relative responsabilita' e la determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente (Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, Tarquini, Rv. 245294). Il ricorrente ripropone in questa sede, come aveva gia' fatto in entrambi i gradi di merito, la tesi che andasse meglio indagata la condotta di guida dell'autoarticolato tamponante. Ma il punto e' stato ampiamente preso in considerazione dai giudici di merito, che non hanno, evidentemente, potuto esimersi dal valutare che il perito, espressamente richiesto in sede di esame sulle conclusioni rassegnate nel suo elaborato scritto, aveva riferito che la Polizia Stradale, che aveva esaminato il cronotachigrafo dell'autoarticolato, aveva escluso che il cronotachigrafo dell'autoarticolato (la c.d. scatola nera) presentasse segni di manomissione e constatato che attestava che lo stesso procedeva lungo la propria direttrice di marcia nel rispetto dei limiti di velocita' esistenti su quel tratto autostradale. A fronte di cio' l'affermazione che il cronotachigrafo in questione possa essere stato oggetto di alterazione con strumentazione di tipo elettronico che nono rendesse necessaria alcuna manomissione dello stesso rimane allo stadio di mera illazione. 4. Orbene, infondata si palesa la prima doglianza riproposta in questa sede, ovvero quella secondo cui vi sarebbe stata una violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. in quanto la ricostruzione della condotta del (OMISSIS) posta sin dal primo grado alla base della sua affermazione di penale responsabilita' sarebbe obiettivamente difforme da quella oggetto dell'imputazione, non potendosi ravvisare in questa alcun riferimento ne' alla velocita' ridotta della marcia dell'autoveicolo condotto dal (OMISSIS) (anzi, come visto, contestandosi una immissione affrettata e, dunque, semmai troppo veloce, nella prima corsia di marcia), ne' alle regole cautelari menzionate dal giudicante, e' stata gia' motivatamente confutata dai giudici del gravame del merito. La Corte territoriale (pagg. 5-6 della sentenza impugnata) ha motivatamente gia' confutato tale tesi ritenendo di non riscontrare nella decisione del primo giudice alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, poiche' il capo di imputazione ascrive comunque in termini di colpa generica la condotta di aver proceduto a bassa velocita', ipotizzando l'immissione dalla piazzola di sosta senza valutare il sopraggiungere dell'autoarticolato, che viaggiava evidentemente ad una velocita' ben superiore a quella della autovettura condotta dal (OMISSIS). L'elemento materiale della bassa velocita' tenuta dal veicolo condotto dal (OMISSIS) - rileva la sentenza impugnata- resta comunque il fondamento e il presupposto delle due ipotesi alternative, la seconda e la terza, che il perito ing. (OMISSIS) ha ritenuto alla pari plausibili come modalita' di verificazione del sinistro, nessuna delle quali esclude la responsabilita' dell'imputato. Peraltro, questa Corte di legittimita' ha recentemente chiarito -e va qui ribadito- che in tema di reati colposi, il ricorso per cassazione con cui si deduca la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ai fini della sua ammissibilita', sotto il profilo della specificita', non puo' limitarsi a segnalare la mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, ma deve altresi' allegare -il che nel caso che ci occupa non e' accaduto- il concreto pregiudizio che ne e' derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo (cosi' questa Sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Castaldo ed altri, Rv. 281997 che ha precisato come la motivazione della sentenza debba dare conto dei dati processuali dai quali risulti che sul fatto, come ritenuto in sentenza, le parti abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio). I motivi di ricorso, che pure denunciano la violazione dell'articolo 522 c.p.p. e del principio di correlazione tra accusa e sentenza, paiono adombrare che si sia pervenuti ad una condanna per un fatto nuovo o diverso da quello contestato. Ma cosi' non e'. La giurisprudenza di questa Corte di legittimita' e' costante nell'affermare che per "fatto nuovo", regolato dall'articolo 518 c.p.p., si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendi, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo. Il "fatto diverso", cui si riferisce dell'articolo 521 c.p.p., comma 2 e', invece, non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una correlativa puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (cfr. ex multis Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 - dep. 2016, Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998, Capano, Rv. 211477). La Corte Costituzionale, in un passaggio della sentenza 103/2010 (Corte Cost., n. 103 del 10/3/2010 pubblicata in G.U. 24/03/2010, n. 12) scrive: "Si deve premettere che l'articolo 521 c.p.p., ha codificato il principio della necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza, in base al quale il giudice puo' attribuire al fatto una definizione giuridica diversa, senza incorrere nella violazione del suddetto principio, soltanto quando l'accadimento storico addebitato rimanga identico negli elementi costitutivi tipici, cioe' quando risultano immutati l'elemento psicologico, la condotta, l'evento e il nesso di causalita'. Se il giudice, invece, accerta che il fatto e' diverso da quello descritto nell'imputazione, deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero. L'anzidetto principio e' diretto a garantire il contraddittorio e il diritto di difesa dell'imputato, il quale deve essere posto nelle condizioni di conoscere l'oggetto dell'imputazione nei suoi elementi essenziali e di difendersi, secondo la linea ritenuta piu' opportuna, in relazione ad esso". Anche per il giudice delle leggi, dunque, l'operazione di rivalutazione che il giudice puo' compiere, senza far scattare il precetto dell'articolo 521 c.p.p., comma 2 e' soltanto quella che non va a modificare ne' l'elemento oggettivo del reato (condotta, evento e nesso causale) ne' quello soggettivo; o, quantomeno, che non va a stravolgere detti elementi, rendendoli incompatibili rispetto ad un effettivo esercizio del diritto di difesa. Sussiste, dunque, diversita' del fatto e percio', in caso di condanna, si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, cosi' da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, Domizi e altri, Rv. 254888). Occorre quindi una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, che nel caso che ci occupa non c'e' stata. In ogni caso l'indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr. Sez. Un. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. Un. 16 del 19/06/1996, Di Francesco Rv. 205619). E' questo il punto nodale della decisione sul punto. Correttamente, rileva la Corte capitolina che le parti hanno avuto modo di confrontarsi nel corso del giudizio di primo grado sulle due possibili diverse ricostruzioni della dinamica, in seguito all'esame del perito nominato dal GUP, sicche' nessuna violazione dei diritti della difesa risulta realizzata. Ebbene, da tale affermazione si evince che il giudice del gravame del merito ha operato si punto un corretto governo dell'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita' che ha fatto seguito alle pronunce della Cedu nel caso (OMISSIS) c/Italia (vedasi in particolare le recenti Sez. 4 n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762 e Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093). 5. Detto dell'immutazione del fatto, occorre tuttavia interrogarsi sulla possibilita' che avesse il giudice di primo grado, una volta ritiratosi in camera di consiglio, di uscirne con una decisione, per certi versi, "a sorpresa" rispetto al fatto come descritto nell'editto accusatorio o addirittura alla qualificazione giuridica di quel fatto che era stata data in imputazione. La risposta, ad avviso del Collegio, e' positiva. E cio' in base ad una corretta interpretazione del principio costituzionale di cui all'articolo 111 Cost., comma 3, che si giova delle sentenze della Corte E.D.U. nel caso (OMISSIS) contro Italia Sez. 2 dell'11/12/2007 e Sez. 1 del 24/2/2018, dalla dottrina comunemente indicate come sentenze " (OMISSIS) 1" e " (OMISSIS) 2". Tali pronunce offrono un valido spunto, anche rispetto ad un caso come quello che ci occupa, per compiere una piu' ampia riflessione sul tema del rapporto tra ulteriore specificazione e/o riqualificazione del fatto-reato (operazione squisitamente ermeneutica, che si estrinseca nel ricondurre la fattispecie concreta nell'alveo di una differente norma incriminatrice, ma che purtuttavia non fa acquisire al fatto una connotazione diversa per quel che concerne i suoi elementi essenziali) e mutamento dell'addebito (attivita' valutativa che invece va a stravolgere l'originaria imputazione anche sotto il profilo fattuale, incidendo proprio su uno degli elementi essenziali del reato che era stato ascritto all'imputato). Si avra' violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, come si dira' di qui a poco secondo quella che e' un'impostazione tutt'altro che formalistica della Corte di Strasburgo fatta propria da questa Corte di legittimita'- quando si sia di fronte ad un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novita' che da quel mutamento sono scaturiti (vedasi in proposito Sez. Un. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438, in motivazione). 6. Giovera' ricordare, in estrema sintesi, il caso sottoposto per due volte al vaglio della Corte di Strasburgo. Condannato in primo ed in secondo grado per i delitti di falso continuato in atti pubblici fidefacenti e di corruzione continuata per atti contrari ai doveri d'ufficio ex articoli 81 e 319 c.p., l'imputato, ex giudice fallimentare del Tribunale di Pordenone, si rivolse a questa Corte di legittimita' chiedendo dichiarare l'intervenuta prescrizione dei reati. Questa Corte Suprema, tuttavia, con la sentenza Sez. 6, n. 23024 del 4/2/2004, Rv. 230440, ritenne, ai sensi dell'articolo 521 c.p.p., comma 1, che i fatti corruttivi andassero riqualificati nel reato di corruzione in atti giudiziari ex articolo 319 ter c.p. e dunque che, in relazione alla pena edittale stabilita da quest'ultima norma, fossero infondate le doglianze relative alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Da qui, il primo ricorso presentato dal (OMISSIS) alla Corte di Strasburgo, che lamentava l'illegittimita' di una riqualificazione giuridica in peius "a sorpresa" da parte di questa Corte. E che vide l'11 dicembre 2017 la condanna dell'Italia per l'inosservanza dell'articolo 6 commi 1 e 3 lettera a) e b) Cedu, con l'invito alla riapertura o alla rinnovazione del giudizio viziato. Nella pronuncia " (OMISSIS) 1" la Corte Europea dei diritti dell'uomo, affermo' la violazione della norma sopra ricordata, e, in particolare, del diritto dell'imputato di essere informato in modo dettagliato non solo dei motivi dell'accusa, ma anche della qualificazione giuridica attribuita ai fatti oggetto della stessa, che, quindi, venne ritenuto rappresentare un presupposto essenziale per un processo equo. Ritennero, percio', i giudici di Strasburgo che, poiche' con la sentenza 23024/2004 questa Corte aveva proceduto ad una diversa, e piu' grave, qualificazione giuridica del fatto, senza che ne' il pubblico ministero ne' il Collegio avesse segnalato, prima della deliberazione, l'opportunita' di procedere ad una riqualificazione giuridica dei fatti; il ricorrente non era mai stato avvisato circa tale eventualita' e, di conseguenza, non aveva mai avuto la possibilita' di dibattere la nuova accusa in contraddittorio. Concluse, pertanto, la Corte E.D.U. che era "stato leso il diritto del ricorrente ad essere informato in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico nonche' il suo diritto a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa" e, in assenza di domanda di equo soddisfacimento, che "un nuovo procedimento o la riapertura del procedimento su richiesta dell'interessato rappresenta(sse) in linea di massima un mezzo adeguato per porre rimedio alla violazione contestata". Questa Corte di legittimita', investita della questione con ordinanza della Corte di Appello di Venezia, che, provvedendo quale giudice dell'esecuzione su ricorso proposto dal (OMISSIS), aveva dichiarato la ineseguibilita' ex articolo 670 c.p.p. del giudicato, con sentenza Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008 Rv. 241754, riconosciuta "la forza vincolante delle sentenze definitive della Corte Europea dei diritti dell'uomo, sancita dall'articolo 46 della Convenzione", dopo aver provveduto alla revoca della sentenza del 4 gennaio 2004, dispose la "nuova trattazione del ricorso" con riferimento al quale si era verificata la violazione constatata dalla Corte dei diritti dell'uomo, "limitatamente al punto della diversa qualificazione giuridica data al fatto corruttivo rispetto a quella enunciata nell'imputazione e poi ritenuta dai giudici di merito". Si era, tuttavia, di fronte all'assenza di rimedi codicistici, in quanto all'epoca l'ordinamento italiano non prevedeva ancora la c.d. "revisione Europea", in quanto solo con la sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 113 del 2011 sarebbe poi stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un ulteriore caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna, al fine di conseguire la riapertura del processo, quando cio' sia necessario, ai sensi dell'articolo 46 paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea della Corte dei diritti dell'uomo. Al risultato, comunque, di una nuova trattazione del ricorso, la sentenza 45807/2008 pervenne applicando estensivamente l'articolo 625 bis c.p.p., norma ritenuta idonea "a rimediare, oltre che a veri e propri errori di fatto, a violazioni del diritto di difesa occorse nell'ambito del giudizio di legittimita' e nelle sue concrete e fondamentali manifestazioni che rendono invalida per iniquita' la sentenza della Corte di Cassazione". La precedente sentenza di legittimita' del 4 febbraio 2004 n. 23024 nei confronti di (OMISSIS), venne, dunque, revocata, limitatamente ai fatti corruttivi qualificati come reati di corruzione in atti giudiziari ex articolo 319 ter c.p. e si dispose che si procedesse a nuova trattazione del ricorso contro la sentenza della Corte d'appello di Venezia del 2 giugno 2002. All'esito della nuova trattazione del ricorso suddetto, Sez. 6, n. 36323 del 25/05/2009 Rv. 244971, qualificati nuovamente i fatti corruttivi quali reati di corruzione in atti giudiziari ex articolo 319 ter c.p., rigetto' ancora una volta il ricorso. A tale conclusione questa Corte di legittimita' pervenne sulla scorta dell'affermato principio che il contraddittorio argomentativo sul nomen iuris fosse sufficiente per assicurare l'equita' processuale, non essendo, invece, imposto dalla giurisprudenza Europea il riconoscimento del diritto alla prova. Insoddisfatto dell'esito del processo, il (OMISSIS) decise nuovamente di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, ritenendo che il rimedio straordinario offertogli dall'ordinamento nazionale avesse nuovamente violato l'equita' processuale, sotto il profilo dell'articolo 6 comma 1 e 3 lettera a) e b) della CEDU. In particolare, lamentava di non aver beneficiato ne' del tempo necessario per preparare la propria difesa, ne' del diritto di comparire personalmente dinanzi alla Corte di Cassazione, ne' del potere d'ottenere una riapertura del dibattimento al fine d'acquisire ulteriori prove sul riformulato addebito. Stavolta, pero', con la sentenza del 22/2/2018, la Corte E.D.U. gli ha dato torto, sul rilievo che il ricorso ex articolo 625 bis c.p.p., non avesse in alcun modo pregiudicato i suoi diritti defensionali, ai sensi dell'invocato articolo 6 comma 1 e 3 lettera a) e b) CEDU. Nello specifico, i giudici sovranazionali hanno ritenuto che, nei cinque mesi trascorsi fra l'annullamento parziale della sentenza e la "riapertura" del processo ex articolo 625 bis c.p.p., il (OMISSIS) abbia avuto modo di preparare adeguatamente la propria difesa, tanto che, durante tale lasso di tempo, egli aveva presentato due memorie scritte, mentre il suo difensore aveva presenziato all'udienza del 25 maggio 2009. Quanto, poi, alla lamentata impossibilita' di comparire personalmente, la Corte E.D.U. ha evidenziato come la discussione dinanzi al giudice di legittimita' abbia avuto per oggetto esclusivamente questioni di diritto, che non rendevano necessaria la presenza dell'imputato. Con riguardo alla mancata acquisizione di nuove prove, infine, i giudici di Strasburgo hanno preso atto del fatto che il ricorrente non aveva mai contestato la ricostruzione dei fatti come operata dai giudici di merito e che non risultava in alcun modo ex actis che la difesa avesse mai chiesto la riapertura dell'istruttoria, essendosi invece il difensore del (OMISSIS), nelle sue memorie, limitato a chiedere l'annullamento senza rinvio della condanna per prescrizione dei reati contestati. 7. Puo' allora, a questo punto, trarsi una prima conclusione. L'articolo 111 Cost., comma 3, che -com'e' noto- costituisce la trasposizione, pressoche' letterale, della corrispondente disposizione contenuta nell'articolo 6, comma 3, lettera a), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, secondo cui "ogni accusato ha piu' specificamente diritto a: a) essere informato (..) in un modo dettagliato della natura e dei motivi della accusa elevata a suo carico" dunque, sancisce il diritto della persona accusata di un reato a essere informata (..) della natura e dei motivi della accusa". L'inequivocabile tenore della formulazione, dunque, secondo il diritto vivente, alla luce delle pronunce della Corte E.D.U. sopra ricordate, porta ad escludere che tale informazione possa essere limitata ai meri elementi fattuali posti a fondamento della accusa e ad imporre, invece, anche l'enunciazione della qualificazione giuridica dei fatti addebitati, che necessariamente concorre a definirne la "natura" dell'addebito, alla quale l'ordinamento riconnette, in esito all'accertamento giudiziario, le conseguenze sanzionatorie. Solo cosi', infatti, e' assicurata, nella sua interezza, la possibilita' di effettivo esercizio del diritto di difesa nel "giusto processo" attraverso il quale si attua la giurisdizione. Il diritto alla informazione in ordine alla "natura della accusa" che, in rapporto alla evoluzione del procedimento nella fase processuale, si traduce nel diritto alla contestazione della "imputazione", vera e propria, consistente nella "enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge" (articolo 405 c.p.p.; articolo 417 c.p.p., comma 1, lettera b); articolo 429 c.p.p., comma 1, lettera c), deve essere correlato al potere del giudice, previsto dall'articolo 521 c.p.p., comma 1, "di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella contenuta nel capo di imputazione". Ebbene, tale contemperamento e' certamente possibile attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 521 c.p.p., comma 1, la quale condizioni l'esercizio del potere di una diversa qualificazione giuridica alla preventiva instaurazione ad opera del giudice del contraddittorio tra le parti sulla quaestio iuris relativa oppure alla possibilita' che tale contraddittorio sia instaurato anche in un grado successivo. 8. Questa Corte di legittimita' ha nel corso degli anni conformato la sua giurisprudenza ai principi di cui alle ricordate pronunce della Corte E.D.U. nel caso (OMISSIS), precisando che nel giudizio di legittimita', il potere della Corte di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti accertati non puo' avvenire con atto a sorpresa e con pregiudizio del diritto di difesa, imponendosi, per contro, la comunicazione alle parti del diverso inquadramento prospettabile, con concessione di un termine a difesa (cosi' Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015 - dep. 2016, Caruso, Rv. 266953; conf. Sez. 4, n. 2340 del 29/11/2017 dep. 2018, D.S, Rv. 271758 che, ritenendo doversi procedere alla riqualificazione giuridica di una circostanza aggravante contestata nell'imputazione, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente a tale aggravante, con rinvio alla corte d'appello per l'instaurazione del contraddittorio in ordine al diverso inquadramento giuridico della circostanza; Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017 dep. il 2018, Giacomelli, Rv. 272263 che, invece, ha ritenuto rispettato il principio sopra enunciato in quanto la diversa qualificazione giuridica dei fatti, operata dalla Corte medesima, era stata rappresentata, nel giudizio di cassazione, dal Procuratore generale nel corso della sua requisitoria ed era stata oggetto di discussione, all'esito della quale le parti avevano rassegnato le loro rispettive conclusioni). In altro caso, i giudici di legittimita' hanno ravvisato la violazione irrimediabile del diritto di difesa essendo stata ritenuta in sentenza l'ipotesi aggravata del reato di falso in atto pubblico, ex articolo 476 c.p., comma 2, non adeguatamente e correttamente esplicitata nella contestazione, considerato che, anche alla luce dei vincoli posti dalla giurisprudenza della Corte EDU e' diritto dell'imputato essere informato tempestivamente e dettagliatamente tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica ad essi attribuiti (Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso e altri, Rv. 260209). La giurisprudenza di questa Corte - come evidenzia la condivisibile Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204 - ha dunque in varie prospettive circoscritto la portata del principio e della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti con la sentenza (OMISSIS) 1, rifuggendo un'interpretazione meramente formalistica ed andando a ritenerlo applicabile a quei soli casi in cui, effettivamente, l'imputato non avesse avuto modo di rielaborare la propria linea difensiva. 9. Costituisce, pertanto, ius receptum il principio che non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimita' (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961; Sez. 2, n. 32840 del 09/05/2012, Damjanovic e altri, Rv. 253267; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 15 19/02/2013, Jovanovic, Rv. 254649; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - 17/01/2013, Manara, Rv. 254135; Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, Tirenna, Rv. 254357). In tale prospettiva, e' stato percio' ritenuto che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, perche' l'imputato puo' contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Salsi, Rv. 259564; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204). E si e' concluso nel senso che il diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato e' chiamato a rispondere, sancito dall'articolo 111 Cost., comma 3, e dall'articolo 6 CEDU, comma 1 e terzo, lettera a) e b), cosi' come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. (OMISSIS) c. Italia, e' garantito anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato puo' comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - dep. 2013, Manara e altro, Rv. 254135). Quanto alla riqualificazione giuridica del fatto dinanzi a questa Corte di legittimita', come detto in precedenza sub 9., l'unico limite e' rappresentato dal fatto che la stessa non puo' avvenire "a sorpresa", all'atto della deliberazione, occorrendo che le parti siano poste in grado di interloquire - e soprattutto la difesa di spiegare appieno le proprie strategie difensive- in ordine alla possibilita' di una diversa qualificazione giuridica. Ne' vale osservare, in contrario, che i limiti del giudizio di legittimita' non consentirebbero l'esercizio di un'adeguata attivita' difensiva. Ed invero, la questione della qualificazione giuridica del fatto (e non dell'accertamento materiale dello stesso) rientra fra i casi tipici del ricorso per cassazione (articolo 606 c.p.p., lettera b) e quindi puo' essere adeguatamente discussa anche in ultima istanza. Risulta pertanto ormai ampiamente superato l'orientamento, gia' minoritario, espresso in tre sentenze di questa Suprema Corte (Sez. 1, n. 18590 del 29/04/2011, Corsi, Rv. 250275; Sez. 6, n. 20500 del 19/02/2010, Fadda, Rv. 247371; Sez. 5, n. 6487 del 28/10/2011 dep. il 2012, Finocchiaro, Rv. 251730), le quali avevano ritenuto configurabile una nullita' a seguito della riqualificazione dell'imputazione operata in sentenza senza il previo contraddittorio In tal senso, prima ancora della seconda pronuncia sul caso (OMISSIS) 2 questa Corte, con la pronuncia poi impugnata in sede Europea, si era condivisibilmente orientata nell'affermare che nel giudizio di legittimita', il diritto del ricorrente a essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico deve ritenersi soddisfatto quando l'eventualita' di una diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice "ex officio" sia stata rappresentata al difensore dell'imputato, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa. (In motivazione la Corte ha precisato che l'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu, puo' ritenersi rispettato con l'informazione al solo difensore, tenendo conto della natura tecnica del giudizio di legittimita'). cosi' Sez. 2, n. 37413 del 15/5/2013, (OMISSIS), Rv. 256653. Puo' essere utile aggiungere che, coerentemente con il dictum di Sez. 2 n. 37413/2013 potrebbe essere ipotizzabile una contestazione, in fatto, della diversa qualificazione giuridica prospettata, ma in questo caso sarebbe imprescindibile che con il ricorso per cassazione o con le difese in sede di legittimita' fosse formulata una richiesta di annullamento con rinvio, che specificamente indicasse nuovi elementi di fatto, non valutati dal giudice di merito e non prospettati perche' non attinenti alla originaria qualificazione, che consentirebbero di escludere la diversa e nuova qualificazione. E nel caso in cui la difesa non assolvesse a tale onere la relativa richiesta di annullamento con rinvio sarebbe viziata da genericita' (articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). 10. Va peraltro evidenziato che, nel caso che ci occupa, siamo di fronte ad un minus rispetto alla riqualificazione del fatto contestato. Il giudice di primo grado, come rileva il ricorrente, ha ritenuto di fondare la propria affermazione di responsabilita' su un comportamento (la guida ad un'andatura troppo lenta, tale da costituire intralcio alla circolazione) diverso da quell'immissione repentina nella circolazione autostradale cui faceva specifico riferimento l'editto accusatorio. Ebbene, a ben guardare, che cio' fosse possibile la giurisprudenza di questa Corte l'aveva gia' da tempo affermato, ancor prima di quella piu' "aperturista" sopra richiamata, allorquando aveva reiteratamente affermato che, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversita' o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicche' questi e' posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui e' chiamato a rispondere (cfr. Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 4/5/2005, De Bona, Rv. 232427 nell'ambito di un procedimento penale per il reato di omicidio colposo in cui si era addebitato al proprietario dell'immobile, in relazione al decesso dell'inquilino conseguente ad esalazioni di monossido di carbonio provenienti dallo scaldabagno, di non avere adeguato l'impianto alla normativa di sicurezza, mentre era stato condannato per avere dato l'immobile in locazione senza prima avere verificato la funzionalita' dell'impianto a gas; conf. Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005 dep. il 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973 in relazione ad un infortunio sul lavoro in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per mancato rispetto di norme cautelari, laddove la contestazione riguardava plurimi profili di negligenza e di colpa; Sez. 4, n. 31968 del 19/5/2009, Raso, Rv. 245313). Sviluppando tale orientamento si era ulteriormente precisato, piu' recentemente, che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cosi' Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161in un caso in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione). E ancora piu' recente era stata l'ulteriore precisazione che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilita' di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (cosi' Sez. 4, n. 27389 del 8/3/2018, Siani, Rv. 273588 nella cui motivazione la Corte ha precisato che i profili di colpa commissiva per il reato disastro colposo individuati nella sentenza impugnata non potevano considerarsi estranei alla imputazione originaria, in quanto ricompresi nel fatto storico in essa delineato e, soprattutto, rientranti nella colpa generica contestata all'imputato). Se a cio' poi si si aggiunge che, sin dall'atto di appello, il (OMISSIS) ha avuto la possibilita' di difendersi in relazione al fatto addebitatogli, come precisato dal giudice di primo grado, appare evidente che non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa. Coerentemente con i principi sopra ricordati, si puo' dunque affermare conclusivamente il principio di diritto secondo cui, immutato il fatto in contestazione, il giudice puo' dare in sentenza una diversa connotazione allo stesso quanto ai profili di colpa e giungere anche a darne una diversa qualificazione giuridica: 1. senza alcuna preventiva informazione alle parti, sia in primo grado che in appello, potendo le difese in ordine alla diversa connotazione della condotta colposa e alla qualificazione giuridica essere pienamente dispiegate nei successivi gradi di giudizio, quindi, rispettivamente, dinanzi al giudice di appello o a quello di legittimita'; 2. nel giudizio in cassazione, sempreche' le parti siano state rese edotte della diversa connotazione colposa e della possibilita' di diversa qualificazione giuridica o, in un caso come quello che ci occupa, direttamente vertendo sulla stessa l'atto di impugnazione oppure attraverso un'informativa, anche orale, alle stesse, da parte del PG in sede di requisitoria o anche da parte del Collegio prima della discussione. 11. Quanto ai restanti motivi di ricorso, gli stessi sono infondati in quanto le censure del ricorrente, in gran parte, si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze gia' sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimita' sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicita' della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794). Piu' di recente e' stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il controllo di legittimita' sulla motivazione non attiene ne' alla ricostruzione dei fatti ne' all'apprezzamento del giudice di merito, ma e' circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorieta' della motivazione o di illogicita' evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542). Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'e', in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilita' di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E cio' anche alla luce del vigente testo dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimita' non puo' procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il ricorrente non puo', come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto (la colpa esclusiva dell'autoarticolato tamponante) senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicita' e, in concreto, da cosa tale illogicita' vada desunta. Com'e' stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a se' stessa", cioe' rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione puo' risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purche' specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. Se questa, dunque, e' la prospettiva ermeneutica cui e' tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Roma alcuna illogicita' che ne vulneri la tenuta complessiva. La lettura dell'atto di appello del 15/10/2015 (in atti) raffrontata al decisum della sentenza impugnata consente di poter dire, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che i giudici del gravame del merito hanno affrontato e motivatamente confutato tutte le doglianze loro proposte. L'impianto argomentativo del provvedimento impugnato, infatti, appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio' a superare lo scrutinio di legittimita', avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalita', e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorieta' o di manifesta illogicita' e percio' insindacabili in sede di legittimita'. La lettura della sentenza impugnata non evidenzia, come ritiene il ricorrente, che i giudici di appello si siano soffermati solo sulla doglianza relativa al difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Al contrario, la sentenza impugnata propone un'ampia e coerente descrizione della cinematica del sinistro. In sentenza si legge di "unico motivo" di appello perche', come si evince dal gia' citato atto di gravame nel merito del 15/10/2015 a firma degli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), tale atto -peraltro, con ampi profili di aspecificita' e di genericita' e con uno scarso confronto critico con la sentenza di primo grado- e' stato effettivamente articolato in un motivo unico, omnicomprensivo sia del profilo del difetto di correlazione che di quelli di contestazione fattuale e di merito. Peraltro, a pag. 1 della motivazione in "fatto e diritto" la sentenza impugnata da' atto esaustivamente di tutti i profili contestati. Peraltro, a fronte di motivi di appello come quelli sopra ricordati, che constano in realta' di una riproposizione delle argomentazioni difensive spese in primo grado, senza un reale confronto critico con la sentenza impugnata, il giudice di secondo grado, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e' chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia gia' soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (confronta l'univoca giurisprudenza di legittimita' di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250). Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non e' tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia' ed altri rv. 254107). La motivazione della sentenza di appello e' del tutto congrua, in altri termini, se -come nel caso in esame- il giudice del gravame del merito abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (cosi' si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, rv. 223061). E' stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1 lettera e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisivita', non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma e' solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita' degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 dell'8/2/2013, Reggio, Rv. 254988). 12. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/10/2020 della CORTE APPELLO di LECCE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DAWAN DANIELA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ODELLO LUCIA, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. (NDR: testo mancante da originale). trasmissione della certificazione medica non appena in possesso. Si da atto che la cancelleria comunica che alle ore 11:55 non e' pervenuta certificazione sanitaria da parte dell'avvocato (OMISSIS). IL PG esprime parere contrario in quanto l'istanza di rinvio non e' sostenuta da certificazione medica. L'avvocato (OMISSIS) si oppone alla richiesta di rinvio del ricorso. Il Collegio si ritira in Camera di Consiglio per deliberare. La Corte rilevato che l'istanza non e' in alcun modo documentata, non essendo corredata da alcuna certificazione sanitaria e che e' anche generica nel tenore, non indicando neanche il grado febbrile, rilevato che il difensore avrebbe avuto il tempo di trasmettere documentazione sanitaria a supporto dell'istanza atteso che sono le ore 12:10 respinge l'istanza e dispone procedersi oltre. L'avvocato (OMISSIS) del foro di PATTI anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) (delega orale) in difesa delle parti civili riportandosi alle conclusioni insiste per il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata. Deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce che ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 589 c.p.. 2. Si tratta di un sinistro stradale avvenuto in data (OMISSIS) su una strada provinciale. Giunta all'altezza di un'area di parcheggio, mentre percorreva la carreggiata unidirezionale della strada provinciale procedendo sulla corsia di destra, l'auto, condotta dall'imputato e su cui viaggiavano la moglie, i tre figli minori e la badante, fuoriusciva dalla carreggiata destra andando ad impattare contro il guardrail ubicato sull'isola di canalizzazione di accesso alla predetta area. In conseguenza dell'urto, dopo aver staccato dagli appositi sostegni circa 26 metri di guardrail e sradicato la segnaletica verticale ivi esistente, il mezzo sormontava il cordolo bituminoso dell'isola, circostanza che ne determinava il rotolamento, durante il quale subiva la rottura delle ruote anteriori, una delle quali veniva poi localizzata sulla corsia di destra, mentre l'altra sulla parte terminale dello svincolo di immissione alla strada provinciale. Nella fase di rotolamento, l'imputato e la moglie erano espulsi violentemente dall'abitacolo: la moglie decedeva sul posto; gli altri occupanti dell'autovettura erano soccorsi e trasportati in ospedale dove uno dei tre figli decideva. 3. Avverso la sentenza di appello ricorre l'imputato, a mezzo del difensore che solleva tre motivi: 3.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell'articolo 192 c.p.p. e conseguente difetto di motivazione per erronea valutazione delle prove, per non avere la Corte di appello preso in considerazione le conclusioni della consulenza della difesa la quale ha individuato, come piu' probabile causa del sinistro, l'improvviso sgonfiamento della ruota anteriore destra, evento suscettibile di interrompere qualsiasi nesso eziologico tra la condotta di guida dell'imputato e le conseguenze derivate dall'incidente. 3.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione laddove la Corte territoriale ha omesso di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto che la condotta alternativa lecita avrebbe certamente impedito il verificarsi dell'evento. Il Giudice di appello avrebbe dovuto verificare e quindi affermare che, laddove l'agente si fosse conformato alle regole di prudenza asseritamente violate, l'evento non si sarebbe verificato. 3.3. Con il terzo motivo, si duole del trattamento sanzionatorio e dell'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando come l'unico precedente, per detenzione e spaccio di stupefacenti, risalirebbe al 1994 e come nessuna delle persone offese si sia costituita parte civile, avendo l'imputato provveduto al risarcimento del danno. 4. Con memoria, pervenuta in data 08/06/22, il difensore dell'imputato, avv. (OMISSIS) chiede che venga accolto il ricorso e che, preliminarmente, sia dichiarata la prescrizione del reato. 5. Il Procuratore generale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per manifesta infondatezza e per genericita', atteso che, pedissequamente, in esso si reiterano argomenti cui la Corte del merito ha fornito compiute risposte con le quali, in alcun modo, il ricorrente si confronta. 2. Va premesso che nella specie ricorre l'ipotesi di una "doppia conforme" pronuncia di responsabilita', in cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si saldano per formare un unico apparato logico-argomentativo a cui il giudice di legittimita' deve riferirsi per valutare la congruita' e la completezza della motivazione che sorregge la decisione assunta. Come e' noto, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), unicamente nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (ex multis, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina e altro, Rv. 269217), ipotesi che non ricorre nel caso di specie. Va, inoltre, ribadito il divieto di deducibilita', nel giudizio di legittimita', del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Rv. 238215). 3. Tanto premesso, si osserva che tutte le argomentazioni sviluppate dal ricorrente, nel primo e nel secondo motivo, attengono alla dinamica del sinistro, e, come tali, debbono ricondursi al vizio del "travisamento del fatto": la difesa prospetta infatti una erronea interpretazione delle circostanze emerse nel corso del dibattimento, e fornisce una diversa versione dei fatti, sollecitando una rilettura delle emergenze processuali, non consentita nella presente sede di legittimita', come in piu' occasioni ribadito da codesta Corte (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601). In tema di giudizio di Cassazione, invero, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. A cio' si aggiunga che la ricostruzione della dinamica di un incidente stradale, nella sua dinamica ed eziologia, e' rimessa al solo giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti in fatto sottratti al giudice di legittimita' se sorretti da congrua e logica motivazione, come avvenuto nella specie (ex multis, Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Baldisseri, Rv. 271679). Nella specie l'affermazione di responsabilita' e' supportata da un congruo apparato motivazionale. La Corte territoriale, infatti, ha adeguatamente esaminato e confutato i motivi di doglianza, reiterati nella presente sede, evidenziando come non si sia realizzata la causa eccezionale idonea ad escludere la responsabilita' del conducente ma, invece, vi sia la prova dell'elemento soggettivo della colpa generica, per non avere prestato dovuta attenzione nella guida, e specifica, per non avere rispettato una velocita' ritenuta adeguata allo stato dei luoghi, avendo riguardo alle circostanze di tempo e luogo. Ha anche rinvenuto il nesso di causa tra la violazione di tali regole cautelari e l'incidente, reputando non riscontrata e quindi non apprezzabile l'ipotesi alternativa formulata dal consulente di parte, senza affatto incorrere in aporie logiche o violazione di legge, come assunto dal ricorrente. 4. Per quanto attiene al trattamento sanzionatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (ex multis, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Nel caso in esame, la Corte territoriale, con apprezzamento fattuale logicamente motivato - e quindi non sindacabile in sede di legittimita' - ha negato il riconoscimento delle invocate circostanze, individuando, quale elemento preponderante di carattere ostativo, la personalita' negativa evincibile dal precedente di cui l'imputato e' gravato, e l'assenza di elementi positivamente valutabili e suscettibili di positiva valutazione. 5. La rilevata inammissibilita' del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) preclude alla Corte di esaminare l'eccezione di prescrizione dei reati (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818), sollevata nelle conclusioni difensive. 6. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Oscuramento dati.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposta da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/06/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VIGNALE LUCIA; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Dr. FIMIANI PASQUALE, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 giugno 2020, la Corte di appello di Bologna ha riformato la sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Bologna il 5 luglio 2012 riconoscendo all'appellante l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 e confermando nel resto. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2 ed e' stata confermata la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione determinata applicando le attenuanti generiche (gia' concesse dal primo giudice) e l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 con criterio di equivalenza rispetto alla aggravante. E' stata pure confermata l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida per la durata di anni uno. 2. Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi il (OMISSIS) sulla strada statale (OMISSIS) in localita' (OMISSIS). Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito, la Fiat 600 condotta da (OMISSIS), al termine di una ampia curva volgente a destra, supero' la linea continua di mezzeria e, per questo, entro' in collisione con la Volvo S60 condotta da (OMISSIS). Nell'urto perse la vita (OMISSIS) che viaggiava sulla Fiat 600 quale passeggero. 3. Il difensore dell'imputato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza articolandolo in due motivi con i quali lamenta, sotto diversi profili, la violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e). Col primo motivo il ricorrente sostiene la mancanza, contraddittorieta' o illogicita' della motivazione nella parte in cui ha escluso la rilevanza causale (o almeno concausale) della condotta di guida di (OMISSIS). Osserva che, come accertato nel giudizio di merito, la Volvo condotta da (OMISSIS) procedeva a velocita' superiore rispetto a quella consentita per la sua direzione di marcia (50 km/h). Sottolinea che il perito d'ufficio ha ipotizzato una velocita' di 59 km/h e la Corte territoriale ha irragionevolmente considerato modesto un tale superamento. Lamenta che la motivazione sarebbe illogica nella parte in cui sostiene che l'urto tra i veicoli non avrebbe potuto essere evitato ne' avrebbe avuto conseguenze diverse e meno gravi se la Volvo avesse viaggiato alla velocita' di 50 km/h. Col secondo motivo il ricorrente si duole che, pur avendo riconosciuto la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 la Corte di appello non abbia modificato il giudizio di bilanciamento operato dal primo giudice. Rileva che le attenuanti generiche gia' concesse erano state ritenute equivalenti all'aggravante. Sostiene che il riconoscimento di una ulteriore attenuante avrebbe dovuto incidere sul giudizio di bilanciamento determinando la prevalenza delle attenuanti e, pertanto, la pena avrebbe dovuto essere ridotta. 4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilita'. 2. Preliminarmente e' opportuno ricordare che, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) il sindacato del giudice di legittimita' sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioe' realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Da cio' consegue che e' preclusa alla Corte di cassazione - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche' ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa. Un tal modo di procedere, infatti, trasformerebbe la Corte da giudice di legittimita' nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). 3. Muovendo da queste premesse, si deve osservare che i giudici di merito hanno ricostruito la dinamica del sinistro alla luce dei rilievi eseguiti dagli ufficiali di polizia giudiziaria intervenuti sul posto, delle consulenze tecniche di parte e di una perizia. Sulla base di questi elementi, le sentenze di primo e secondo grado hanno concluso: - che l'urto si verifico', subito dopo che (OMISSIS) aveva percorso una ampia curva volgente a destra, nella corsia di marcia percorsa dalla Volvo; - che si tratto' di un urto frontale obliquo - concretizzatosi inizialmente tra la parte anteriore destra della Fiat e la parte anteriore centrale della Volvo - per effetto del quale la Fiat 600 ruoto' in senso antiorario, cio' che determino' un nuovo urto tra la fiancata destra di questa macchina e lo spigolo anteriore sinistro della Volvo; - che la fiancata della Volvo aveva in precedenza urtato contro il guardrail posto alla sua destra, vi era stato quindi da parte di (OMISSIS) un tentativo di evitare l'impatto e cio' smentisce la tesi difensiva secondo la quale era stata la Volvo a invadere la semicarreggiata percorsa dalla Fiat; - che, nella direzione di marcia tenuta da (OMISSIS), il limite di velocita' era di 90 km/h e, nella direzione di marcia tenuta da (OMISSIS), il limite di velocita' era di 50 km/h; - che, secondo il perito d'ufficio, gli elementi disponibili per stimare la velocita' dei due veicoli sono troppo pochi per consentire di giungere a conclusioni certe e tuttavia si puo' ritenere che la velocita' tenuta dalla Fiat fosse di circa 50 km/h, e la velocita' della VolVo si aggirasse intorno ai 59 km/h; - che (OMISSIS) affronto' male la curva, supero' la linea continua di mezzeria e giunse all'impatto in "condizioni di instabilita'"; - che, se (OMISSIS) avesse mantenuto una velocita' di 50 km/h, non superiore a quella consentita, l'urto si sarebbe ugualmente verificato perche' (OMISSIS) non sarebbe comunque riuscito a fermarsi in tempo per impedirlo e le conseguenze non sarebbero state diverse perche' l'urto coinvolse soprattutto la fiancata destra della Fiat 600 e perche' la carrozzeria di una Fiat 600 e' assai piu' fragile e meno resistente di quella di una Volvo. Si tratta di argomentazioni complete, scevre da profili di contraddittorieta' e manifesta illogicita' e conformi ai principi di diritto che regolano la materia. Come noto, in tema di delitti colposi "per stabilire la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto attivo e l'evento, occorre verificare la sussistenza non solo della causalita' della condotta (ossia della dipendenza dell'evento dalla condotta in cui quest'ultima si ponga quale condicio sine qua non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresi' la sussistenza della causalita' della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l'evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio)" (cosi', testualmente, Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv. 266645, pag. 5 della motivazione). Di questi principi i giudici di merito appaiono consapevoli. La sentenza impugnata, infatti, non si e' limitata a sottolineare che il superamento del limite di velocita' da parte del conducente della Volvo non poteva dirsi provato con certezza (essendo stato ipotizzato dal perito in termini dubitativi), ma ha aggiunto che, sulla base delle emergenze istruttorie, il comportamento alternativo lecito consistito nel contenere la velocita' entro il limite dei 50 km/h, non sarebbe stato idoneo a scongiurare l'evento perche' non avrebbe consentito l'arresto immediato della Volvo. Ha concluso, quindi, che la regola cautelare della quale si ipotizza la violazione non era destinata a governare il fattore di rischio costituito dall'imprevedibile occupazione della corsia di marcia da parte della Fiat 600, che proveniva dalla direzione opposta e sorpasso' la linea continua di mezzeria all'uscita da una curva perche' (OMISSIS) non riusci' a mantenere una traiettoria corretta (aveva piovuto e il manto stradale era bagnato). Secondo la sentenza impugnata, tali considerazioni escludono non soltanto la rilevanza causale, ma anche la rilevanza concausale della ipotizzata violazione cautelare. In altri termini, i giudici di merito sostengono che, quand'anche provata, la violazione dei limiti di velocita' realizzata da (OMISSIS) non avrebbe avuto rilievo sul piano della causalita' della colpa perche' la situazione di rischio concretamente verificatasi (invasione della carreggiata da parte di un veicolo proveniente dalla direzione opposta) non e' tra quelle che il rispetto della regola ipoteticamente violata mira a prevenire. Principi analoghi sono stati affermati da questa Corte di legittimita' in casi simili a quello in esame in cui la morte del conducente di uno dei veicoli era stata determinata dallo sbandamento della vettura, dall'invasione dell'opposta corsia di marcia e dallo scontro con altra vettura proveniente in senso opposto. In questi casi, un modesto superamento del limite di velocita' da parte del conducente dell'auto che viaggiava regolarmente sulla propria corsia e' stato ritenuto irrilevante perche', "pur in assenza di tale violazione, il fatto si sarebbe egualmente verificato". Si e' sottolineato, in particolare, che "in tema di omicidio colposo da incidente stradale, la violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti, di una specifica norma di legge dettata per la disciplina della circolazione stradale non puo', di per se', far presumere l'esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l'evento dannoso, che occorre sempre provare e che deve essere escluso quando sia dimostrato che l'incidente si sarebbe ugualmente verificato anche qualora la condotta antigiuridica non fosse stata posta in essere." (Sez. 4, n. 45589 del 10/11/2021, Lagana' c/ Poggi, Rv. 282596; Sez. 4, n. 24898 del 24/05/2007, Venticinque ed altri, Rv. 236854). Non rileva in contrario la considerazione che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocita', in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali, fa si' che il conducente debba "essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresi' conto di eventuali imprudenze altrui, purche' esse siano ragionevolmente prevedibili" (cfr. sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, Luciano, Rv. 270176). Nel caso di specie, infatti, come risulta dalle sentenze di merito, il conducente della Volvo si sposto' sulla destra fino a strisciare la fiancata dell'auto contro il guardrail e il compimento di tale manovra dimostra che era attento nella guida. 4. Col secondo motivo di ricorso il difensore dell'imputato lamenta che, non ostante abbia ritenuto sussistente l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (negata dal primo giudice), la Corte di appello non ha mutato il giudizio di bilanciamento tra circostanze e non ha ridotto la pena. A questo proposito si deve preliminarmente ricordare che, quando, a seguito di gravame proposto dal solo imputato, pur riconoscendo un'altra attenuante, il giudice di appello lascia inalterata la misura della pena inflitta in primo grado, non e' violato il divieto di "reformatio in pejus". Il riconoscimento di una attenuante non applicata in precedenza, infatti, comporta la necessita' di un rinnovato giudizio comparativo tra circostanze aggravanti e attenuanti, ma, nel formulare tale giudizio "il giudice di secondo grado conserva piena facolta' di conferma della precedente operazione di bilanciamento, secondo una valutazione insindacabile in cassazione, se congruamente motivata" (Sez. 4, n. 10448 del 22/12/2009, dep. 2010, Ducoli, Rv. 246529; Sez. 2, n. 33480 del 07/05/2021, Ticci, Rv. 281917). La sentenza impugnata ha sostenuto che il riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (esclusa dal giudice di primo grado sull'erroneo assunto che il risarcimento fosse stato soltanto parziale), non potesse comportare una modifica del giudizio di equivalenza ne' una riduzione della pena perche' il grado della colpa e' elevato e la regola cautelare violata dall'imputato (consistente nel tenere la destra e non superare la linea continua di mezzeria) ha particolare rilievo nel mantenere la sicurezza della circolazione. La Corte territoriale sottolinea che le condizioni del fondo stradale (reso viscido dalla pioggia), la giovane eta' dell'imputato, la sua incensuratezza e l'intervenuto risarcimento del danno, integrano le attenuanti di cui all'articolo 62 bis c.p. e articolo 62 c.p., n. 6, ma, per l'importanza delle regole cautelari violate, queste attenuanti non possono prevalere sull'aggravante della violazione delle norme in materia di circolazione stradale e sono al piu' idonee a eliderne la rilevanza: una valutazione che non presenta profili di contraddittorieta' o manifesta illogicita' e non puo' dunque essere censurata in questa sede. Con riferimento all'entita' della pena inflitta (censurata anch'essa dal ricorrente) si deve osservare che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se da' conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. o richiama alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). A questo proposito la giurisprudenza ha anche specificato che la pena media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale e aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288). Nel caso in esame, la pena base e' stata determinata nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione, inferiore alla pena media edittale, e la scelta di non modificarla e' stata motivata congruamente, ancorche' sinteticamente, facendo riferimento al grado elevato della colpa. 5. Poiche' tutti i motivi sono manifestamente infondati il ricorso e' inammissibile. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', deve essere disposto a suo carico, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma cosi' determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilita'. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposta da: (OMISSIS) nata a (OMISSIS) - parte civile; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/05/2021 del TRIBUNALE di CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTEZZA FABIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CASELLA GIUSEPPINA, nel senso dell'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni della Difesa di parte civile (l'avvocato (OMISSIS)), che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Catania con la pronuncia indicata in epigrafe, in qualita' di giudice d'appello, ha confermato la sentenza con la quale il Giudice di Pace di Catania ha assolto (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente, il primo, in qualita' di dirigente pro tempore del servizio strade di Catania e, il secondo, quale Commissario Straordinario del comune di Catania con funzioni di Sindaco, dal reato di lesioni personali in offesa di (OMISSIS) (costituitasi parte civile) che, a causa di una buca presente sul manto di una strada dalla stessa percorso a piedi, ha riportato un trauma distorsivo al piede destro con frattura. 2. Avverso la sentenza d'appello la costituita parte civile ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1). 2.1. Con il primo motivo si deduce (oltre ai vizi di contraddittorieta' e manifesta illogicita') la mancanza della motivazione per apoditticita', in quanto meramente richiamante la sentenza di primo grado in assenza tanto di esplicitazione e considerazione dei motivi di appello quanto di un proprio autonomo iter logico-giuridico. Il Tribunale, peraltro, nel fare acriticamente propria la decisione di primo grado, avrebbe sostanzialmente violato i principi governanti la materia nella quale, invece, opererebbero gli ordinari criteri di imputazione della colpa a prescindere dalla circostanza per la quale il difetto di manutenzione della strada risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto. 2.2. Con il secondo e terzo motivo si deducono, oltre a profili di illogicita' della motivazione, anche l'omessa considerazione da parte del Tribunale delle specifiche censure mosse con l'appello avverso i punti della sentenza di primo grado inerenti alla ritenuta non applicabilita' dell'articolo 2051 c.c. (terzo motivo) e all'accertata interruzione del nesso causale a cagione della condotta della persona offesa (secondo motivo). 3. Sono state depositate conclusioni scritte, ex Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, dalla Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Casella Giuseppina, in termini d'inammissibilita' del ricorso, e della parte civile che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato, nei termini di seguito specificati, nelle parti in cui la ricorrente non si limita a prospettare meri vizi motivazionali. 2. Dev'essere in questa sede difatti ribadito il principio per cui, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 2-bis, e Decreto Legislativo n. 28 agosto 2000, n. 274, articolo 39-bis (introdotti dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, entrato in vigore il 6 marzo 2018), avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace non puo' essere proposto ricorso per cassazione per mero vizio della motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (ex plurimis: Sez. 5, n. 22854 del 29/04/2019, De Billo, Rv. 275557-01; Sez. 4, n. 24381 del 12/05/2022, Masciarelli, in motivazione, la quale chiarisce che il principio opera anche con riferimento alla prospettata violazione della regola di giudizio compendiata nella formula "al di la' di ogni ragionevole dubbio" rilevando essa, in sede di legittimita', esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicita' manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). In merito e' stata peraltro gia' ritenuta dalla Suprema Corte manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato articolo 39-bis, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui esclude la proponibilita' del ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello per vizi della motivazione, potendo il legislatore, anche per l'assenza di vincoli sovranazionali, differenziare la disciplina delle impugnazioni in ragione della natura e dell'oggetto del giudizio. E' difatti ragionevole modulare diversamente l'accesso al giudizio di legittimita' per i procedimenti aventi ad oggetto violazioni di minore entita' cui non seguano sanzioni detentive (Sez. 7, n. 49963 del 06/11/2019, Fusini, Rv. 277417-01). Tale regola opera anche nel caso di impugnazione proposta, come nella specie, dalla parte civile, in ragione della lettera della disposizione, che non contiene alcuna distinzione, e del principio costituzionale di uguaglianza (Sez. 4, n. 38625 del 05/10/2021, Sperati, Rv. 282058). La violazione di legge di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sindacabile ai sensi del comma 2-bis del medesimo articolo anche con riferimento alle sentenza di appello pronunciate per reati di competenza di giudice di pace, ricomprende sia gli errores in iudicando o in procedendo sia il vizio totale di motivazione cioe' quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'iter logico seguito dal giudice (circa il vizio totale di motivazione si vedano ex plurimis, in generale, ancorche' in ambito cautelare, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01; Sez. 4, n. 30851 del 24/05/2022, Lo Iacono, in motivazione; Sez. 5, n. 643 del 06/12/2017, dep. 2018, Pohl, Rv. 271925; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, oltre che, in materia di patrocinio a spese dello Stato, Sez. 4, n. 22637 del 21/03/2017, Attanasio, Rv. 270000, la quale ha chiarito che non rileva il vizio deducente l'incongruita' della motivazione bensi' la mancanza di essa; Sez. 4, 16908, del 07/02/2012, Grando, Rv. 252372, nello stesso senso della sentenza in precedenza citata; Sez. 4, n. 11771 del 07/12/2016, dep. 2017, Doratiotto, Rv. 269672, in ipotesi di ricorso per saltum in cassazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione, ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 113; Sez. 3, n. 3271 del 10/12/2009, dep. 2012, Provenza, Rv. 245877, e la recente Sez. 4, n. 30055 del 30/06/2022, Attanasio, in motivazione). 3. Con il primo motivo di ricorso oltre ai meri vizi motivazionali, la cui deduzione e' inammissibile per quanto innanzi evidenziato, si prospetta il vizio totale di motivazione (per apoditticita') nel quale sarebbe incorso il Tribunale che, peraltro, nel fare propria acriticamente la sentenza impugnata, avrebbe, al pari di quest'ultima, anche violato ii principi governanti la materia. 3.1. Il profilo di censura innanzi evidenziato e' fondato, con conseguente assorbimento degli altri motivi di ricorso. 3.2. Il Tribunale ha evidenziato l'intervenuta assoluzione in primo grado dei due imputati, per insussistenza del fatto, avendo il giudice di pace ritenuto dagli atti (comprese le dichiarazioni testimoniali) e tenuto conto delle condizioni di tempo in cui e' avvenuta la caduta di (OMISSIS), di non poter affermare l'esistenza nella specie di un trabocchetto o di una insidia non evitabili con l'uso della normale diligenza, con conseguente esclusione di responsabilita' per colpa di (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultimo (Commissario Straordinario con funzioni di Sindaco) anche in ragione della ripartizione delle competenze in materia di manutenzione stradale. Premesso quanto innanzi circa il fondamento della statuizione di primo grado, il giudice d'appello ha genericamente evidenziato una non corretta (perche' non esplicita) formulazione dell'imputazione con riferimento a fattispecie omissiva, e ha motivato la conferma della sentenza assolutoria sostanzialmente condividendola in quanto fondata su motivazione articolata e aderente alle risultanze processuali oltre che logica nei vari passaggi. 3.3. Orbene, l'apparato argomentativo della sentenza impugnata, sostanziandosi in una mera acritica condivisione dell'esito assolutorio, si mostra privo di consistenza laddove, nonostante si sia trattato di c.d. "doppia conforme", non rende percepibili non solo le specifiche doglianze mosse avverso alla sentenza di primo grado ma anche l'iter logico-giuridico posto a fondamento delle confermate assoluzioni. In caso, come quello di specie, di doppia sentenza conforme, difatti, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, diversamente da quanto accaduto nella specie, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e operando frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, del 1994, Rv. 197250). Cio' a maggior ragione allorche' i motivi di gravame, che nella specie non e' dato conoscere in quanto non emergenti dalla sentenza d'appello, non abbiano riguardato elementi nuovi ma si siano limitati a prospettare circostanze gia' esaminate e ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Sez. 3 n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; per l'operativita' del principio si vedano altresi', tra le recenti ex plurimis: Sez. 4, n. 1321872022, Cerbai, cit., in motivazione, e Sez. 4, n. 12149/2021, Rodenghi, cit., in motivazione). 3.4. Fermo restando quanto innanzo, tale da fondare l'accoglimento della censura, occorre altresi' evidenziare che il Tribunale, nel fare acriticamente propria la decisione di primo grado, mostra di aver violato i principi attualmente governanti la materia nella quale, invece, opererebbero gli ordinari criteri di imputazione della colpa a prescindere dalla circostanza per cui il difetto di manutenzione della strada risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto. Come chiarito di recente da Sez. 4, n. 6513 del 27/01/2021, Savanelli, Rv. 280933, la Suprema Corte in passato, ha ripetutamente statuito che "l'obbligo di eliminare la fonte di pericolo su una pubblica via o di apprestare adeguate protezioni, ripari, cautele ed opportune segnalazioni sorge nel momento in cui la strada presenti situazioni tali da costituire un'insidia o un trabocchetto per gli utenti, sicche' venga a costituire una fonte di pericolo inevitabile con l'uso della normale diligenza". Qualora, invece, "adottando la normale diligenza che si richiede a chi usi una strada pubblica, la situazione di pericolo sia conoscibile e superabile, la causazione di un eventuale infortunio non puo' che far capo esclusivamente e direttamente a chi non abbia adottato la diligenza imposta... Il sancito principio mira ad armonizzare l'esigenza della garanzia di sicurezza, con la impossibilita' di esigere sempre e comunque l'adempimento di oneri che per P.A. difficili da realizzare in ragione dell'ampiezza della cura del territorio affidatole, limitando pertanto l'adempimento ai soli casi in cui la fonte di pericolo non sia percepibile con la normale diligenza" (Sez. 4, n. 4479 del 9/10/2012 dep. 2013, Rizzo, in motivazione, oltre a quella citata in sentenza Sez. 4, n. 31302 del 18/05/2005, Rv. 231738; Sez. 4, n. 32970 del 23/06/2004, Rv.229145, Sez. 4, n. 478 del 1998). La piu' recente giurisprudenza di legittimita' - con un orientamento maggiormente condivisibile - ha pero' superato negli ultimi anni tale impostazione affermando che in materia di responsabilita' penale l'esistenza di una fonte di pericolo prescinde dalla natura insidiosa e occulta perche' impone di per se' l'intervento volto a eliminarlo o a ridurlo e la responsabilita' va valutata secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa, non sussistendo solo nel caso in cui il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto (Sez. 4, n. 21040 del 1/4/2008, Cerri, Rv. 240218, la quale ha altresi' chiarito che la responsabilita' dell'addetto alla manutenzione puo' essere esclusa solamente quando la condotta dell'utente della strada si configuri come evento eccezionale e abnorme, non altrimenti prevedibile ne' evitabile). Successivamente, nel solco di tali pronunce si e' ribadito che l'incidente stradale causato da omessa o insufficiente manutenzione della strada determina la responsabilita' del soggetto incaricato del relativo servizio, il quale risponde penalmente secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa e non solo quando il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto (Sez. 4, n. 46831 del 27/10/2011, Caruso, Rv. 252141 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilita' dei concessionari del diritto di superficie di un'area comprensiva della strada - in cui era avvenuto l'incidente - sul cui margine era stato apposto un cordolo di 25 cm prospiciente uno scavo laterale di circa 5 metri, ritenendolo del tutto insufficiente per altezza rispetto al predetto scavo e, quindi, inidoneo a fungere da recinzione). E, ancora, piu' recentemente, si e' condivisibilmente affermato che l'incidente stradale causato da omessa o insufficiente manutenzione della strada determini la responsabilita' del soggetto incaricato del relativo servizio, il quale risponde penalmente secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa e non solo quando il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto, ferma restando la concorrente responsabilita' dell'utente della strada, ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente (cosi' Sez. 4, n. 24943 dell'11/04/2017, De Petris Pollini, in motivazione, e Sez. 4, n. 3290 del 04/10/2016 dep. 2017, Piccolo, Rv. 268878, che, in fattispecie relativa ad ipotesi di omicidio colposo contestato al dirigente comunale responsabile della manutenzione del tratto di strada in esso si era verificato, per non aver provveduto al ripristino del guardrail divelto da tempo, ha annullato la sentenza di assoluzione che - senza accertare la pericolosita' del tratto di strada, ne' l'idoneita' della barriera di protezione a fronteggiare la situazione di pericolo eventualmente riscontrata - si era limitata ad affermare il carattere non obbligatorio del ripristino del guardrail e, comunque, la possibilita' che l'omissione fosse dipesa da valutazioni discrezionali). Del resto, secondo numerose pronunzie delle Sezioni civili della Suprema Corte che si riconoscono in tale orientamento, la tutela aquiliana deve trovare piena attuazione secondo i criteri applicabili ordinariamente (in questo senso, come ricordato da Sez. 4, n. 6513/2021, Savanelli, cit., si vedano Sez. 3 civ., n. 2308 del 2/2/2007, Autostrada Torino-Milano v. Cravetto, Rv 594388, e Sez. 3 civ., n. 3651 del 20/2/2006, Foti v. Anas, Rv 588889). Tuttavia, anche per tale filone l'applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsiasi automatico addebito di responsabilita' a carico di chi ricopre la posizione di garanzia imponendo la verifica del contenuto e dell'ampiezza della regola cautelare (generica o specifica), della concreta violazione della stessa e della prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. "concretizzazione" del rischio). Argomentando da quanto innanzi, infine, e' stato ribadito dalla citata Sez. 4, n. 6513 del 2021, Savanelli, che, trattandosi di una posizione di garanzia derivata dalla gestione della cosa pubblica, con i limiti legati alle disponibilita' di spesa, il rischio annullabile solo con un continuo intervento di manutenzione ordinaria che eviti qualsiasi anomalia della strada appare esorbitante rispetto a quelli che l'imputato e' chiamato a governare (in applicazione di tale principio la pronuncia da ultimo citata ha ritenuto immune da censure la sentenza di assoluzione del responsabile del servizio di manutenzione delle strade di un Comune dal reato di omicidio colposo, in relazione all'infortunio occorso ad una donna anziana, caduta per una lieve anomalia del manto stradale non integrante una condizione di rischio per la generalita' degli utenti; sul punto, in tema di rischio eccentrico e interruzione del nesso causale si vedano, ex plurimis, tra le piu' recenti, Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero, in motivazione; oltre che Sez. 4, n. 22691 del 25/02/2020, Romagnolo, Rv. 279513). 4. In conclusione, la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui demanda altresi' la regolamentazione delle spese tra le parti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresi' la regolamentazione delle spese tra le parti.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria T. - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa; avverso l'ordinanza emessa il 02/11/2021 dal Tribunale della Liberta' di Catania; nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Elena Carusillo; sentito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Passafiume Sabrina, che ha concluso per il rigetto del ricorso; ascoltato il difensore dell'indagato, avv. (OMISSIS), che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' o, in subordine, il rigetto del ricorso; letta la memoria del 29/03/2022, a firma dell'avv. (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Siracusa propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con la quale, in data 02 novembre 2021, il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato l'appello articolato avverso l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari di Siracusa non aveva accolto la richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio o pubblico servizio nei confronti di (OMISSIS), indagato del delitto di cui all'articolo 110 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, articolo 479 in relazione all'articolo 476 c.p., comma 2. 2. In particolare al (OMISSIS), assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Siracusa, veniva addebitato di aver attestato - al fine di occultare il delitto di lesioni commesso dall'assistente capo (OMISSIS) ai danni di un minore, nel corso di un intervento volto a scongiurare il tentativo di furto ai danni di una palestra -, nell'annotazione di polizia giudiziaria, false circostanze di fatto riguardanti: il numero di persone fermate (indicate in due anziche' in quattro); l'abbigliamento indossato dalle stesse (felpa scura con cappuccio per entrambi, la' dove era risultato che uno dei due, il minore di eta', indossava una maglia chiara a maniche corte); la dinamica dell'inseguimento del minore (raggiunto nel mentre tentava di attraversare la strada scavalcando il guardrail, mentre, invece, era emerso che lo stesso si era nascosto dietro un veicolo senza tentare alcun attraversamento); la causale delle lesioni riportate dal minore (caduta rovinosa, anziche' calci sferrati dall'assistente capo (OMISSIS)) che richiedevano l'intervento del servizio di soccorso 118 ed il successivo ricovero in ospedale. 3. Il pubblico ministero ha articolato le proprie censure in due motivi di ricorso. 3.1 Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per vizio di motivazione, lamenta che il Tribunale del riesame, con argomentazioni insufficienti e contraddittorie, ha ritenuto l'insussistenza di un grave quadro indiziario a carico del (OMISSIS), omettendo di rilevare o, comunque, di valutare correttamente il contenuto: - delle conversazioni telefoniche intercorse tra gli operatori delle due volanti intervenute sul posto, che, diversamente da quanto riportato nell'annotazione - che dava atto del controllo di due soli soggetti, entrambi in fuga -, davano riscontro del controllo operato su quattro ragazzi, riuniti in un unico gruppo, uno solo dei quali tentava la fuga; - delle conversazioni intercorse, a mezzo del cellulare della madre del minore, con l'operatore del 118, nel corso delle quali, prima la donna e, subito dopo, l'assistente della Polizia di Stato (OMISSIS) chiedevano l'intervento dei sanitari per un ragazzo "picchiato dalla Questura" che lamentava un dolore al fianco. Ad avviso del ricorrente, dunque, (OMISSIS), gia' al momento della sottoscrizione dell'annotazione di p.g., era consapevole sia delle condizioni in cui versava il minore, sia della causa del dolore riferito dal medesimo. 3.2 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per vizio di motivazione, lamenta che il Tribunale del riesame, con argomentazioni insufficienti e contraddittorie, ha ritenuto la non attualita' delle esigenze cautelari in ragione del trasferimento ad altra sede del (OMISSIS), nonche' della pendenza di un procedimento penale relativo alla vicenda. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Entrambi i motivi di ricorso sono manifestamente infondati. 2. Preliminarmente, quanto alla struttura della motivazione dell'ordinanza impugnata, giova precisare che il Tribunale del riesame, richiamate per relationem le argomentazioni del provvedimento del giudice di prime cure, ha saldato in un unico corpo le proprie ragioni di merito con quelle gia' sviluppate nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, dando vita ad una consentita valutazione complessiva delle vicende sottoposte al suo vaglio (Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765; Sez. 6, n. 48649 del 6/11/2014, Beshaj, rv. 261085). 3. Cio' premesso, e' principio fondamentale, in tema d'impugnazione, che per proporre impugnazione e' necessario avervi interesse. E' ius receptum che l'interesse richiamato dall'articolo 568 c.p.p., comma 4, come elemento costitutivo del diritto all'impugnativa, non deve essere meramente astratto o potenziale, ma specifico e concreto, dovendo mirare, pur nella sua piu' ampia accezione, ad un immediato risultato pratico favorevole al ricorrente in relazione a specifiche situazioni o facolta' tutelate dall'ordinamento giuridico o, al contrario, a rimuovere un effettivo pregiudizio che la stessa parte abbia subito con il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 4392 del 05/10/2006, dep. 2007, Caroli Casavola, Rv. 235884). Secondo il costante insegnamento di questa Corte (ex multis, Sez. 6 n. 4180 del 3/11/1994 n. 4180, Isaia, Rv. 200832; Sez. 4 n. 14422 del 24/11/2005, Riccardi, Rv. 234023; Sez. 6 n. 12816 del 19/01/2006, Bertolucci, Rv. 233731; Sez. 6 n. 24637 del 21/04/2006, Casu, Rv. 234734), l'interesse alla decisione sull'appello cautelare non puo' prescindere da effettivi caratteri di concretezza e attualita', che nel caso di specie non e' dato ravvisare in ragione dell'intervenuta sentenza di condanna con pena sospesa e non menzione, nell'ambito del procedimento penale a suo carico per il delitto gia' addebitato al (OMISSIS) in sede di istanza cautelare. Del resto, anche il Procuratore generale in sede di conclusioni, ha formulato la richiesta di rigetto del ricorso. 4. In ogni caso, le questioni giuridiche sollevate sono manifestamente infondate perche' attinenti a profili imperniati su una lettura alternativa e una reinterpretazione dei dati processuali estranee al giudizio di legittimita', tenuto conto anche della coerenza logica e della corretta applicazione dei canoni di valutazione della vicenda che connotano il provvedimento in verifica. 4.1 In merito al primo motivo, che investe la ritenuta insussistenza degli elementi indiziari, il ricorrente si e' limitato a ripercorrere gli stessi motivi di doglianza gia' proposti in sede di appello ed ivi adeguatamente superati. Si deve riaffermare infatti che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi in quella sede, dovendosi considerare gli stessi non specifici ma soltanto apparenti, in quanto avulsi dalla tipica funzione di una critica argomentata avverso l'ordinanza in verifica (Sez. 6 n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 2 11951/2014, Lavorato, Rv. 259425), nella quale, diversamente, tutti gli elementi addotti dal ricorrente sono stati ampiamente valutati. 4.2 Manifestamente infondata e' anche la seconda censura che investe l'insussistenza dell'attualita' delle esigenze cautelari. Il motivo proposto, ancora una volta, e' generico in quanto non si confronta con i dati valorizzati dai giudici della cautela, ma si risolve nella mera reiterazione di censure gia' dedotte in appello e puntualmente disattese dal Tribunale del riesame. 5. Per quanto complessivamente detto deve dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

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