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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 962 del 2024, proposto da Fe. Co. St. S.C. a R.L., Ra. S.r.l., ciascuno in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG (…), rappresentati e difesi dagli avvocati An. Cl. e An. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Be., El. Or. Mi. e Ma. Do., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Co. St. Si., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento dell’Università di (Omissis), prot. n. (…) del 29 maggio 2024, con il quale si è disposta l’esclusione dell’ATI Fe. Co. St. Scarl – Ra. Srl dalla procedura indetta per l’affidamento dei “Lavori di realizzazione e messa in esercizio del nuovo Dipartimento di Biologia e Polo Didattico in via Moruzzi, località (Omissis) (Pisa),con contestuale cessione, a titolo di corrispettivo contrattuale parziale, di immobile in proprietà della stazione appaltante” (CIG (…)), per incongruità dell’offerta, ai sensi dell’art. 110, comma 5, D. Lgs. 36/2023, nonché degli atti ivi richiamati; - della Comunicazione del provvedimento che determina l’esclusione dalla procedura di affidamento ai sensi dell’art. 90 comma 1 lett. d) del D. Lgs. n. 36/2023; - della nota pec del 29 maggio 2024, di trasmissione del provvedimento di esclusione; - della relazione sottoscritta dal Responsabile Unico del Progetto (prot. n. (…) del 24 maggio 2024) nella quale, all’esito dell’istruttoria, si è espresso giudizio di non congruità dell’offerta presentata dall’ATI ricorrente, nonché della relazione di supporto della commissione del 23 maggio 2024; - ove e per quanto occorra, della comunicazione prot. n. (…) del 5 marzo 2024, di richiesta giustificazioni ex art. 110 D. Lgs. 36/2023; - di tutta la fase di verifica della congruità dell’offerta presentata dall’ATI ricorrente e del relativo esito; - ove e per quanto occorra, dei verbali di gara del 2 febbraio 2024, del 6 febbraio 2024, del 26 febbraio 2024 e del 28 febbraio 2024; - del provvedimento dell’Università di (Omissis), prot. n. (…) del 13 febbraio 2024, con il quale si è proceduto all’approvazione dei verbali di gara ed all’aggiudicazione della procedura controversa in favore del Co. St. Si., in uno alla comunicazione ex art. 90 D.Lgs. 36/2023 ed alla nota pec di trasmissione del 13 febbraio 2024; - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e conseguenziali nonché per l’accertamento, in sede di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 133 lett. d) n. 1) c.p.a. - del diritto dell’ATI ricorrente alla riammissione alla procedura controversa ed alla conseguente aggiudicazione, previa declaratoria di inefficacia del contratto, medio tempore, stipulato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Co. St. Si. e dell’Università di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l’art. 120 cod. proc. amm.; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 la dott.ssa Katiuscia Papi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L’Università di (Omissis), con bando di gara pubblicato in Gazzetta ufficiale il 22 dicembre 2023, indiceva una «Procedura aperta per l’affidamento dei lavori di realizzazione e messa in esercizio del nuovo Dipartimento di Biologia e Polo Didattico in via Moruzzi, località San Cataldo (Pisa), con corrispettivo parziale di contratto costituito da trasferimento di un bene immobile – Direttiva 2014/24/UE». L’importo a base d’asta, comprensivo dei lavori di realizzazione dell’opera e della successiva manutenzione quinquennale, veniva stimato in €. 57.484.474,28, di cui €. 1.602.244,22 per costi della sicurezza non soggetti a ribasso. Il criterio di aggiudicazione era quello del minor prezzo. 1.1. Quanto alle modalità di presentazione dell’offerta, il paragrafo 16 del Disciplinare di gara stabiliva che: «Il Dettaglio Economico deve contenere, a pena di esclusione, i seguenti elementi: A) offerta per l’esecuzione dei lavori con l’indicazione del valore offerto, in formato valuta, espresso con 2 decimali, sull’importo posto a base di gara soggetto a ribasso […]. Non sono ammesse offerte in aumento, pena l’esclusione dalla procedura. Gli operatori economici devono indicare inoltre: - nell’apposito campo A.2 “oneri della sicurezza afferenti l’impresa”, i costi aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ai sensi del comma 9 dell’art. 108 del D. Lgs. n. 36/2023, che costituiscono un di cui dell’offerta economica. Tali oneri della sicurezza afferenti l’impresa non possono essere pari a “zero” pena l’esclusione. Gli oneri che devono essere indicati sono quelli sostenuti dall’operatore economico per gli adempimenti cui è tenuto ai sensi del D. Lgs. 81/2008 e imputati allo specifico appalto; - nell’apposito campo A.3 “costi della manodopera”, i propri costi della manodopera. Il costo della manodopera non può essere pari a 0 pena l’esclusione. Ai sensi dell’articolo 41 comma 14 del Codice i costi della manodopera, pari a € 11.452.723,72, non sono ribassabili. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione». 1.2. Partecipavano alla procedura selettiva nove imprese; nel verbale delle operazioni di gara del 2 febbraio 2024 si dava atto che la migliore offerta era quella del R.T.I. Fe. Co. St. SCARL/Ra. S.r.l., che prevedeva un differenziale tra l’importo per l’esecuzione dei lavori e l’importo per l’acquisizione dell’immobile corrispondente a €. 38.794.184,15 al netto degli oneri della sicurezza; l’offerta risultava tuttavia anomala, ai sensi del punto 21 del disciplinare di gara, secondo cui: «Sono considerate anormalmente basse tutte le offerte che presentano una percentuale di ribasso sul differenziale a base di gara che supera di un quinto la media aritmetica dei ribassi delle offerte ammesse». Si classificava al secondo posto il Co. St. Si., la cui offerta era parimenti anomala, sulla base del calcolo del seggio di gara. 1.3. Veniva dunque avviata la verifica di congruità sull’offerta del R.T.I. Fe./Ra., ai sensi del medesimo art. 21 del Disciplinare, che stabilisce che: «Nel caso in cui la prima migliore offerta appaia anormalmente bassa, il RUP, con l’eventuale supporto di una Commissione, ne valuta la congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità. […] Il RUP richiede al concorrente la presentazione delle spiegazioni, se del caso, indicando le componenti specifiche dell’offerta ritenute anomale. […] Il RUP esclude le offerte che, in base all’esame degli elementi forniti con le spiegazioni risultino, nel complesso, inaffidabili». Con nota del 5 marzo 2024 il RUP chiedeva dunque al Raggruppamento di rendere giustificazioni utili ai fini della verifica di congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta presentata, sia con riferimento al ribasso sull’esecuzione dei lavori, sia riguardo al rialzo sull’acquisto dell’immobile, precisando che: «Non sono ammesse giustificazioni: a) in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge; b) in relazione agli oneri di sicurezza di cui alla normativa vigente». In particolare, per quanto qui interessa, il RUP evidenziava che: «Questa Stazione appaltante, ai sensi dell’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 36/2023, escluderà l'offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi suddetti, oppure se l’offerta è anormalmente bassa in quanto: […] c) sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all'articolo 108, comma 9, rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori. A tal fine è necessario compilare l’apposita tabella in formato Excel allegata alla presente in relazione agli oneri aziendali della sicurezza da Voi dichiarati pari a € 15.000,00; […]». 1.4. Nel subprocedimento di verifica, il raggruppamento Fe./Ra. presentava apposita Relazione, ove giustificava l’offerta nei seguenti termini: «7. Giustifica oneri gestione/adempimento sicurezza. Tali oneri come altri sono ricompresi nelle spese generali esposte al 12% che ammontano complessivamente ad euro 4.562.141,24. Il costituendo raggruppamento RTI in fase di gara ha dichiarato quali “oneri interni aziendali relativi allo specifico cantiere per la gestione degli adempimenti delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (ai sensi dell'art.108 c.9 del D.Lgvo 36/2023)” il valore di euro 15.000,00 (rigo g6 delle spese generali); tali oneri riguardo i costi interni aziendali per la gestione centralizzata (dagli uffici della sede principale del costituendo RTI) degli adempimenti. Tale costo di fatto è la quota proporzionale al singolo cantiere necessaria per gestire in maniera manageriale dalla sede centrale gli adempimenti di sicurezza. Il costituendo raggruppamento RTI, ha previsto altresì gli oneri aziendali relativi allo specifico cantiere per gli adempimenti delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (ai sensi dell'art.108 c.9 del D.Lgvo 36/2023) oltre quanto già previsto negli oneri di sicurezza di progetto stimati in euro 185.000,00 (rigo g7 delle spese generali). Sempre all’interno delle spese generali ai righi c1, c3, c5, c8, d1, d2, g2 il costituendo RTI ha previsto ulteriori costi nelle spese generali per la gestione/attuazione delle misure di sicurezza e integrazione delle stesse anche in relazione alle misure di sicurezza previste in progetto, che ammontano ad euro 388.500,00. In sintesi gli oneri aziendali interni e non per la gestione e per gli adempimenti di sicurezza di relativi allo specifico cantiere per gli adempimenti delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (ai sensi dell'art.108 c.9 del D.Lgvo 36/2023) ammontano ad euro 200.000,00 = 15.000,00 + 185.000,00. In allegato come richiesto dal RUP con nota pec del 05/03/2024 è stata compilata la tabella degli oneri aziendali della sicurezza che si rimette in allegato, dalla tabella è possibile evincere il costo delle singole voci come onere interno gestionale e come onere per gli adempimenti delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (ai sensi dell'art.108 c.9 del D.Lgvo 36/2023). Nelle spese generali sommando i righi g6 e g7 ed i righi c1, c3, c5, c8, d1, d2, g2 risultano oneri per la gestione della sicurezza pari complessivamente a euro 588.500,00 = (euro 200.000,00 + euro 388.500,00)». In sostanza, la società affermava che l’importo da imputare a costi per la sicurezza, sebbene indicato in offerta in €. 15.000,00, ammontava invece ad €. 200.000,00 in quanto, alla più ridotta somma inizialmente inserita, avrebbe dovuto essere aggiunto l’ulteriore importo di €. 185.000,00, dapprima ricompreso nella voce delle spese generali. 1.5. La Commissione di supporto al RUP medio tempore nominata, con documento del 24 maggio 2024, esaminata la relazione giustificativa presentata dal R.T.I. Fe./Ra., con riferimento ai costi per la sicurezza affermava che: «In conclusione, il concorrente non giustifica la congruità dei costi aziendali per la sicurezza dichiarati in offerta, pari a euro 15.000, ma aggiunge altri costi, pari a euro 185.000, emergenti solo in fase di giustifica, a carico delle spese generali, modificando di fatto l’offerta. Come precisato dalla giurisprudenza e dalle posizioni espresse da Anac, in sede di giustificazione dei costi della manodopera o della sicurezza indicati nell’offerta economica, la mancata indicazione del corretto importo dei costi della sicurezza aziendale, al pari dell’omessa integrale indicazione, comporta l’esclusione dell’offerente interessato, a prescindere anche dall’incidenza di tale voce di costo sull’equilibrio complessivo dell’offerta (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1677 del 20/02/2024) e gli eventuali errori asseritamente materiali in cui sia incorso l’operatore economico nella indicazione di detti costi possono essere emendati solo se percepibili ictu oculi come tali dal contesto stesso dell’atto e senza dovere attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima. Diversamente, la “correzione” si tradurrebbe in una inammissibile manipolazione e variazione postuma dei contenuti dell’offerta con violazione del principio della par condicio dei concorrenti. (cfr. parere di precontenzioso ANAC n. 349 del 20 luglio 2022). Nella dichiarazione di offerta non c’è traccia di alcun indizio che possa far ritenere che il costo della sicurezza sia il frutto di un errore materiale di calcolo e non invece di una stima incongrua del costo della sicurezza. L’importo indicato in sede di giustificazioni è una inammissibile variazione postuma. Da ciò discende che detta ricostruzione economica inserita nelle giustificazioni non possa considerarsi una mera integrazione e/o variazione di modico valore nella prospettazione di voci di costo, comunque, nel rispetto dell’offerta economica presentata, perché ne costituisce chiaramente una modifica successiva non ammissibile. Tutto ciò premesso, l’allegato 4 alla Relazione di giustifica è atto a costituire una modifica all’offerta economica e dunque, in quanto tale, non è ammissibile». La relazione dava inoltre atto, per completezza, che nelle altre voci di costo esposte in offerta erano state rilevate ulteriori incongruenze. In particolare, mentre la ricorrente aveva affermato in sede di giustificazioni che l’anticipazione del 20% prevista negli atti di gara avrebbe lo scopo di «annullare quasi del tutto gli oneri finanziari» e di ottenere un «vantaggio competitivo per acquisto con sconto di materiali e fornitura dietro il pagamento anticipato coperto da anticipazione», la Commissione di supporto precisava che: «Poiché l’anticipazione del prezzo del 20 % ha lo scopo di garantire all’aggiudicatario le risorse per la cantierizzazione e i primi approvvigionamenti, non è possibile considerarlo un elemento atto a giustificare la congruità dell’offerta». Il RUP, con proprio atto emesso nella stessa data del 24 maggio 2024, vista la relazione di cui sopra, e concordando con la stessa, esprimeva il proprio giudizio di non congruità dell’offerta presentata da Fe./Ra.; contestualmente si pronunciava invece in favore della congruità dell’offerta della seconda classificata Co. St. Si. (sulla quale si era contemporaneamente svolto il giudizio di anomalia). Il Seggio di gara, nel verbale della riunione del 28 maggio 2024, preso atto degli atti sopra indicati, dichiarava la necessità di escludere l’offerta di Fe./Ra., siccome non congrua, e proponeva l’aggiudicazione dell’appalto al Co. St. Si., la cui offerta era reputata congrua. 1.6. Successivamente, con provvedimento dirigenziale Prot. (…) del 29 maggio 2024 l’Università di (Omissis), richiamando le attività istruttorie sopra descritte, disponeva l’esclusione dell’offerta del R.T.I. Fe./Ra., ritenuta non congrua ai sensi dell’art. 110 comma 5 D. Lgs. 36/2023. Da ultimo, mediante il provvedimento Prot. (…) del 13 giugno 2024, l’Università approvava la graduatoria predisposta dalla Commissione giudicatrice e disponeva l’aggiudicazione della gara al Co. St. Si. 2. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, Fe. Co. St. S.C. a R.L. e Ra. S.r.l. impugnavano l’esclusione del R.T.I. tra essi costituendo, e l’aggiudicazione al Co. St. Si., nonché gli ulteriori atti indicati in epigrafe, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare dell’efficacia, sulla base di plurimi argomenti di censura. 2.1. Attraverso il primo motivo di gravame, epigrafato «Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 2,5 e 110 del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36. Violazione ed erronea applicazione della lex specialis. Violazione dei principi generali di buon andamento, trasparenza e par condicio. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, illogicità manifesta, motivazione erronea e carente», la parte ricorrente evidenziava l’illegittimità della propria esclusione in quanto disposta dall’Amministrazione in contrasto con l’art. 16 del Disciplinare di gara. Invero, secondo la prospettazione di Fe. e Ra., il paragrafo 16 del Disciplinare esonererebbe i concorrenti dall’indicazione specifica degli oneri della sicurezza afferenti l’impresa, e prevedrebbe l’esclusione quale sanzione per la sola omessa indicazione di tali oneri, o per l’indicazione in misura pari a zero. L’importo esposto dalle ricorrenti, pari a €. 15.000,00, essendo diverso da zero, non poteva condurre all’esclusione; tale ultimo provvedimento era dunque adottato dall’Università anche in violazione del vigente principio di tassatività delle cause di esclusione. Del resto, la suddetta somma di €. 15.000,00 non era esaustiva degli oneri della sicurezza, riguardando i soli costi che l’impresa avrebbe dovuto sostenere per la gestione centralizzata (dalla sede) degli adempimenti imposti dalla legge, mentre per le attività preventive da espletare nei singoli cantieri avrebbe dovuto sopperire l’ulteriore somma di €. 185.000,00 ricompresa nelle spese generali, come precisato in sede di giustificazioni. Tale diversa imputazione, indicata dalle concorrenti nel subprocedimento di verifica dell’anomalia, non integrerebbe del resto una modificazione dell’offerta, bensì una specificazione della stessa, da ritenersi ammissibile. 2.2. Il secondo motivo attiene invece alle ulteriori voci di costo analizzate nella relazione della Commissione di supporto al RUP, rispetto alle quali le due aziende raggruppande evidenziavano la piena validità delle giustificazioni presentate. 2.3. Infine, mediante il terzo motivo le ricorrenti affermavano che i provvedimenti gravati contrasterebbero con il principio del risultato e con quello della fiducia, di cui agli artt. 1 e 2 D. Lgs. 36/2023, in quanto l’Amministrazione non avrebbe scelto l’offerta con il prezzo più basso, maggiormente coerente con il criterio di aggiudicazione adottato nella lex specialis, privilegiando al contrario una lettura formalistica degli atti e documenti di gara. 3. Si costituivano in giudizio l’Università di (Omissis) e la controinteressata Si. S.c.a.r.l., resistendo al ricorso, del quale deducevano l’infondatezza. In sintesi, l’Amministrazione resistente e l’aggiudicataria evidenziavano che l’esclusione è prevista quale sanzione per l’ipotesi di costi della sicurezza indicati in offerta in misura insufficiente ex lege, in virtù degli artt. 108 comma 9 e 110 comma 5 lettera ‘c’ D. Lgs. 36/2023, dunque non ne era necessaria la riproposizione nella lex specialis; non potrebbe inoltre ravvisarsi un errore scusabile da parte delle ricorrenti nella compilazione dell’offerta, in quanto la legge di gara e i relativi allegati indicavano con chiarezza quali oneri dovessero essere esposti nella sezione dedicata ai costi per la sicurezza; la specificazione in sede giustificativa dei costi per la sicurezza, in parte reperiti tramite lo storno di €. 185.000,00 dalle spese generali, deve assimilarsi a una (vietata) modifica postuma dell’offerta; non vi sarebbe alcuna violazione dei principi della fiducia e del risultato, che impongono invero alla PA di selezionare contraenti affidabili, i quali abbiano (per quanto qui di interesse) presentato un’offerta sostenibile, e idonea a indicare correttamente i costi per la sicurezza. 4. Le ricorrenti, alla camera di consiglio del 25 luglio 2024, rinunciavano alla domanda cautelare. 4.1. All’udienza pubblica del 19 settembre 2024 la causa era trattenuta in decisione. 5. Si prende in esame il ricorso proposto dalle società Fe. e Ra., che risulta palesemente infondato, per le ragioni che di seguito si vanno ad esporre. 5.1. Preliminarmente, e sotto il profilo metodologico, il Collegio evidenzia che il provvedimento di esclusione è fondato su una pluralità di motivazioni (non congruità dei costi per la sicurezza; erronea considerazione dell’anticipazione del 20% prevista dalla legge di gara), ciascuna idonea a giustificare la non congruità dell’offerta. Orbene, come reiteratamente affermato in giurisprudenza, in caso di provvedimento plurimotivato, l’accertata legittimità di una delle ragioni poste dall’Amministrazione a fondamento della propria determinazione esime il Collegio dalla disamina delle doglianze riguardanti le altre ragioni, in quanto non idonee a travolgere il provvedimento, e dunque non suscettibili di apportare un vantaggio al ricorrente. In tal senso, ex plurimis: «Quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l'eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l'illegittimità» (Consiglio di Stato, III, 16 agosto 2024 n. 7157); «Per sorreggere l'atto plurimotivato in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse, con la conseguenza che il rigetto delle doglianze svolte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento; pertanto, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze» (Consiglio di Stato, IV, 19 luglio 2024 n. 6502; cfr: ibidem, V, 17 luglio 2024 n. 6416). 5.2. Si procede dunque con lo scrutinio del primo motivo di gravame, afferente alla voce di costo relativa agli oneri aziendali per la sicurezza. La censura è complessivamente destituita di fondamento. 5.2.1. Ai sensi dell’art. 108 comma 9 D. Lgs. 36/2023, infatti, è espressamente stabilito che: «Nell'offerta economica l'operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l'adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale». La disposizione è oltremodo chiara nel prevedere che tutti gli oneri gravanti sull’azienda per l’assolvimento degli obblighi riguardanti la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro devono essere specificamente indicati nell’offerta. L’omessa indicazione degli stessi comporta dunque la necessaria esclusione dell’offerta medesima. Inoltre, ai sensi del successivo art. 110 D. Lgs. 36/2023: «1. Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell'articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l'avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione. 2. In presenza di un'offerta che appaia anormalmente bassa le stazioni appaltanti richiedono per iscritto all'operatore economico le spiegazioni sul prezzo o sui costi proposti […]. […] 5. La stazione appaltante esclude l'offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 3, oppure se l'offerta è anormalmente bassa in quanto: […] c) sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all'articolo 108, comma 9, rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture; […]». Il comma 5 dell’articolo qui riportato contempla due ipotesi di esclusione dell’offerta non congrua. Il primo caso è quello in cui le giustificazioni non siano risultate sufficienti a spiegare il livello dei costi o dei prezzi indicati in offerta. Il secondo caso, invece, introdotto dalla congiunzione con valore disgiuntivo “oppure”, è quello dell’offerta anormalmente bassa per (tra le altre ipotesi contemplate dalla norma) la non congruità dei costi aziendali indicati in offerta. Anche nel caso in esame, dunque, abbiamo una causa di esclusione imposta ex lege, riguardante l’accertata non congruità dei costi della sicurezza, la quale, diversamente da quanto affermato dalla parte odierna ricorrente, non ha alcuna necessità di essere specificamente ripetuta nella legge di gara. L’esclusione dalla procedura disposta in ragione della non congruità dei costi aziendali per la sicurezza non viola dunque il principio di tassatività delle cause di esclusione, con conseguente infondatezza del gravame sotto questo primo profilo. 5.2.2. Occorre ora stabilire se i costi per la sicurezza esposti in offerta dal raggruppamento fossero congrui. Per far ciò, è necessario valutare se possa ritenersi ammessa, nella fattispecie, l’integrazione degli oneri in esame, in sede di giustificazioni rese nel sub procedimento di verifica dell’anomalia, mediante l’imputazione “postuma” di parte delle spese generali. Se l’integrazione risulterà inammissibile, la congruità andrà riferita all’importo di €. 15.000,00 (come ritenuto dall’Università); ove invece la diversa imputazione proposta in sede di verifica di anomalia sarà ritenuta corretta, il giudizio di congruità dovrà prendere a riferimento il maggiore importo di €. 200.000,00 risultante dall’integrazione in esame (diversamente dalle valutazioni svolte dal seggio di gara). Orbene, la questione della modifica dei costi per la sicurezza in sede di verifica dell’anomalia è stata reiteratamente affrontata dalla giurisprudenza, che anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo D. Lgs. 36/2023, applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa, ha ribadito i principi già enucleati, sul punto, dagli arresti intervenuti sul D. Lgs. 50/2016. Più nello specifico, si è affermata l’assoluta immodificabilità degli oneri aziendali per la sicurezza, anche nell’ambito della verifica di anomalia. Ciò in relazione al notevole rilievo che deve attribuirsi alla voce di costo in esame, la cui specifica indicazione ha la funzione di assicurare la sostenibilità, per l’impresa, delle spese necessarie a garantire la sicurezza dei lavoratori, e che abbisogna pertanto di assoluta certezza e predeterminazione in tutte le fasi della gara, dalla redazione dell’offerta all’aggiudicazione della procedura. Conseguentemente, se è vero che in sede di giustificazione della congruità delle voci di costo sono in linea di massima ammesse minime compensazioni tra le diverse poste che compongono l’offerta, tale possibilità trova il suo limite (per quanto qui rileva) nel suddetto principio di immodificabilità dei costi aziendali per la sicurezza, che impedisce ogni “spostamento” degli importi incidenti su tale voce. In tal senso, ex plurimis: «Giova premettere che gli oneri di sicurezza aziendali sono quelli che l'impresa deve sostenere per garantire la sicurezza dei lavoratori nell'esecuzione dell'appalto […]. […] La necessaria indicazione degli oneri per la sicurezza aziendale risponde, pertanto, all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost.), così come l'altrettanto necessaria indicazione dei costi della manodopera tutela il lavoro per il profilo relativo alla giusta retribuzione di cui all'art. 36 Cost. (in termini Cons. Stato, V, 19 ottobre 2020, n. 6306). In questa contesto di riferimento è corretto esaminare il tema della modifica delle offerte in sede di giustificazioni delle singole voci di costo, che è generalmente ammessa in giurisprudenza non solo in correlazione a sopravvenienze di fatto o di diritto, ma anche allo scopo di porre rimedio ad originari e comprovati errori di calcolo, a condizione che resti ferma l'entità originaria dell'offerta economica, nel rispetto del principio dell'immodificabilità, che presiede la logica della par condicio tra i competitori (così, tra le tante, Cons,. Stato, V, 16 marzo 2020, n. 1873). Tale soluzione incontra dunque il limite della radicale modificazione della composizione dell'offerta che ne alteri l'equilibrio economico, allocando diversamente voci di costo nella sola fase delle giustificazioni, ma anche, per quanto rileva in questa sede, il limite della revisione della voce degli oneri di sicurezza aziendale, che, quale elemento costitutivo dell'offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida inalterabilità, a presidio degli interessi pubblici sottesi alla relativa disciplina legislativa (Cons. Stato, III, 31 maggio 2022, n. 4406; V, 11 dicembre 2020, n. 7943; V, 24 aprile 2017, n. 1896). Detta disciplina, che rende gli oneri aziendali per la sicurezza insuscettibili di essere immutati nell'importo, è, in particolare, inferibile anche dall'art. 97 del d.lgs. n. 50 del 2016, che, in tema di offerte anormalmente basse, prevede, al quinto comma, sub lett. c), che la stazione appaltante esclude l'offerta, tra l'altro, allorché abbia accertato, all'esito del contraddittorio (sub)procedimentale, che "sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all'articolo 95, comma 10, rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture"» (Consiglio di Stato, V, 20 febbraio 2024, n. 1677; cfr: TAR Veneto, I, 9 febbraio 2024 n. 230; TAR Lazio, Latina, I, 17 novembre 2023 n. 789; TAR Lazio, Roma, V, 6 novembre 2023). Deve dunque ribadirsi l’assoluta immodificabilità dell’offerta in sede di verifica di anomalia, con riferimento alla voce dei costi aziendali per la sicurezza. 5.2.3. Stante il principio di intangibilità dell’importo indicato in offerta a titolo di oneri aziendali per la sicurezza, è evidente la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione, la quale ha correttamente valutato la congruità dell’offerta tenendo in considerazione, per gli oneri in parola, l’importo indicato dal R.T.I., pari a €. 15.000,00. Orbene, come riconosciuto anche dalla parte ricorrente, il suddetto importo era assolutamente, macroscopicamente e palesemente insufficiente a far fronte ai costi necessari alla sicurezza dei lavoratori in un appalto che abbia le dimensioni e il valore di quello oggetto di causa. La valutazione è, sotto questo profilo, non controversa tra le parti. Attesa la pacifica non congruità dei costi aziendali per la sicurezza esposti in offerta, l’esclusione della parte ricorrente risultava un provvedimento vincolato per la stazione appaltante, in virtù dell’art. 110 comma 5 lettera ‘c’ D. Lgs. 36/2023, come precisato al precedente punto 5.2.1, cui in proposito si rinvia. 5.2.4. Ne consegue l’accertata legittimità dell’esclusione impugnata, con riferimento alla non congruità dei costi aziendali per la sicurezza. 5.2.5. Per mero scrupolo di completezza, si osserva che il tenore del paragrafo 16 del disciplinare, riportato al precedente punto 1.1, era chiaro ed inequivoco nel richiedere l’indicazione specifica e congiunta di tutti i costi aziendali necessari a far fronte agli adempimenti riguardanti la sicurezza dei lavoratori, senza che fosse ragionevolmente ipotizzabile una distinzione tra costi della sede e costi dei singoli cantieri. Anche la tesi di parte ricorrente, secondo cui la stessa sarebbe stata indotta in errore dalla lex specialis (e premesso che un siffatto errore sarebbe comunque irrilevante ai fini dell’applicazione delle disposizioni qui in esame, in base al principio di auto responsabilità del concorrente, operatore professionale del settore) è pertanto palesemente destituita di fondamento. 5.3. Nemmeno può dirsi che l’esclusione dell’impresa si ponga in contrasto con il principio del risultato e con il principio della fiducia, come pure sostenuto dalle società ricorrenti nel terzo motivo di impugnazione. Entrambi i suddetti principi impongono invero all’Amministrazione di selezionare un contraente affidabile, e dunque un operatore economico che dia le necessarie garanzie in ordine all’assolvimento degli obblighi di legge che sullo stesso gravano in virtù dell’ordinamento, e tra essi certamente in primis quelli che riguardano la sicurezza dei lavoratori (garantiti anche in sede costituzionale, ai sensi degli artt. 32 e 36 della Carta fondamentale). Invero, l’art. 1 D. Lgs. 36/2023, in materia di principio del risultato, stabilisce al primo comma che la P.A. deve individuare il contraente che assicuri il miglior rapporto tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità e concorrenza. L’individuazione di un contraente che non abbia esposto in offerta un importo sufficiente a coprire i costi della manodopera si porrebbe in contrasto con entrambi i suddetti canoni, in quanto la specificazione di tali oneri nell’offerta di gara è imposta per legge (e dunque verrebbe meno il principio di legalità), e si impone a tutti i concorrenti (e quindi non vi sarebbe par condicio con chi osserva il relativo obbligo). A conclusioni non dissimili si perviene esaminando il principio della fiducia, che è introdotto dall’art. 2 del D. Lgs. 36/2023 e prevede che l’esercizio del potere pubblico deve basarsi sulla reciproca fiducia nell’azione legittima e corretta (oltre che trasparente) dell’amministrazione e degli operatori economici. Nel caso di specie, non avendo adeguatamente valorizzato in offerta gli oneri aziendali della sicurezza, la parte ricorrente non si è certamente comportata secondo correttezza e in modo legittimo. Anche sotto i profili qui considerati, il ricorso è perciò infondato, e l’esclusione basata sulla non congruità dei costi per la sicurezza si appalesa legittima. 5.4. In virtù di quanto precisato al precedente punto 5.1, il Collegio si esime dallo scrutinio delle censure afferenti alle altre ragioni giustificatrici poste a fondamento dell’esclusione, siccome inidonee a revocare in dubbio l’accertata legittimità del provvedimento di esclusione qui impugnato. 6. In considerazione di quanto precede il ricorso, siccome infondato, deve pertanto essere respinto, previo assorbimento del secondo motivo. 7. Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vengono pertanto poste a carico della parte ricorrente, che dovrà rifonderle all’amministrazione resistente e alla società controinteressata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge per le ragioni indicate in motivazione. Condanna Fe. Co. St. S.C. a R.L. e Ra. S.r.l., in solido tra loro, alla refusione, in favore dell’Università di (Omissis) e del Co. St. Si., delle spese di lite del presente giudizio, che si quantificano in misura pari a €. 3.000,00 (Tremila/00) per ciascuna delle due parti creditrici, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Alessandro Cacciari, Presidente Andrea Vitucci, Primo Referendario Katiuscia Papi, Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Mantova Sezione Civile Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n.r.g. 255/2022 promossa da: (...) in persona del Curatore Dott. (...) con l'Avvocato An.Ca. - ricorrente - contro (...) con gli Avvocati El.Cr. e Ri.Ma. del Foro di Milano - resistente - Conclusioni delle parti Per (...) ricorrente: IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO, accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale di (...) in persona del direttore pro tempore, e per l'effetto, condannare (...) (...), in persona del direttore pro tempore, a restituire al (...) in persona del Curatore fallimentare (...), la somma di Euro 32.500,00=, o quella somma maggiore o minore che l'Ill.mo Tribunale riterrà equa e di giustizia. In ogni caso: Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Per p parte resistente: In via preliminare: dare atto che poiché alla (...) convenuta non risulta chiaro dal tenore del ricorso introduttivo se controparte abbia inteso svolgere azione di mera responsabilità contrattuale ovvero anche azione di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, per tale ultima ipotesi la (...) stessa ha cautelativamente eccepito prima di ogni altra difesa la prescrizione quinquennale ex art. 2947 co. 1 c.c. del diritto al risarcimento del relativo danno, conseguentemente dichiarandolo per tale ipotesi prescritto; - Nel merito, in via principale, dato atto in particolare che: a) le operazioni contestate risultano a suo tempo approvate dal correntista; b) tali operazioni in ogni caso erano state richieste dai soggetti legittimati a disporle; c) il contratto inter partes non prevede il diritto del cliente a pretendere la formale corrispondenza agli specimen delle sottoscrizioni apposte sulle disposizioni bancarie per cui è causa; d) la ricorrente ha omesso di provare il danno effettivo subito a suo tempo dal correntista (...); per l'effetto respingere tutte le domande formulate da parte ricorrente nei confronti della convenuta (...) (...) perché infondate in fatto e in diritto per le ragioni esposte in atti; - Nel merito, in via subordinata e nel denegato caso in cui fosse ravvisata qualunque eventuale responsabilità della (...) convenuta, dichiarare che ai sensi dell'art. 1227 co. 1 e 2 c.c. nulla è comunque dovuto atteso che il danno risulta imputabile alla negligenza del titolare del conto signor (...) il quale avrebbe comunque potuto evitarlo ove si fosse adoperato con la diligenza dovuta; - In ulteriore subordine e sempre ai sensi dell'art. 1227 co. 1 e 2 c.c. ridurre il risarcimento in misura corrispondente alla colpa del titolare del conto signor (...) - Con vittoria di spese e compensi, oltre al rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% dei compensi totali ex D.M.55/2014 ed oltre ancora a CPA ed IVA (partita quest'ultima non detraibile per la (...). Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 1.2.2022, il (...) esponeva: che, in data 08/05/2006, presso la Banca (...), filiale di Sant'Angelo Lodigiano (LO), il Signor (...) aveva sottoscritto con il detto Istituto Bancario contratto di conto corrente n. 273/65; che, nell'occasione, il Signor (...) aveva depositato la propria firma per esteso e conferito al proprio fratello, (...), delega ad operare sul predetto conto corrente facendo depositare la firma del medesimo; che, con sentenza n. 56/2010 del 20/10/2010, era stato dichiarato il fallimento del Signor (...) in qualità di socio illimitatamente responsabile della società (...) (...) e nominato quale curatore fallimentare il Dott. (...) che, da un esame della documentazione bancaria relativa al Signor (...) il curatore del (...) aveva riscontrato delle anomalie in merito alle operazioni effettuate sul detto conto corrente e, precisamente, aveva rilevato che, a far data dal mese di maggio 2007 sino al mese di settembre 2007, vi erano stati prelevamenti di ingente valore a firma apocrifa; che, dalle distinte versate agli atti, si evinceva come i prelevamenti fossero stati effettuati da soggetti non identificati, le cui firme, o meglio sigle, non coincidevano con alcuna delle sottoscrizioni depositate presso la filiale; che il Dott. (...) pertanto, aveva provveduto a far nominare dal Giudice delegato un legale al fine di procedere nei confronti dell'(...) Bancario convenuto; che, inviata - in data 27/04/2015 - una prima raccomandata di richiesta chiarimenti, seguita da una seconda raccomandata di richiesta di incontro - in data 09/11/2015 - entrambe rimaste senza riscontro, in data 16/01/2017, a seguito di autorizzazione a procedere del Giudice Delegato, era stato introdotto il procedimento di mediazione avanti all'Organismo di Mediazione presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Mantova, il cui primo incontro veniva fissato in data 09/03/2017 e nessuno era comparso per la (...) (...) che era interesse ed intenzione del Dott. (...) in qualità di curatore fallimentare del (...), procedere giudizialmente nei confronti di (...) per ottenere la restituzione della somma di Euro 32.500,00= quale importo risultante indebitamente prelevato dal conto corrente n. 273/65 e ciò, per la responsabilità della (...) medesima che aveva omesso i dovuti controlli sui soggetti che avevano operato sul detto conto corrente, non correttamente indentificati. Sosteneva il Fallimento ricorrente: che, nelle condizioni generali relative al rapporto Banca - Cliente era previsto: "Art. 6 - Identificazione della clientela e di altri soggetti che entrano in rapporto con la banca -1. All'atto della costituzione dei singoli rapporti, il cliente è tenuto a fornire alla banca i dati identificativi propri e delle persone eventualmente autorizzate a rappresentarlo, in conformità alla normativa vigente anche in materia di antiriciclaggio. 2. Al fine di tutelare il proprio cliente, la banca valuta, nello svolgimento delle operazioni comunque connesse ad atti di disposizione del medesimo l'idoneità dei documenti eventualmente prodotti come prova dell'identità personale dei soggetti che entrano in rapporto con essa (quali portatori di assegni, beneficiari di disposizioni di pagamento, ecc.)."; Art.7 - Deposito delle firme autorizzate" 1. Le firme del cliente e dei soggetti a qualsiasi titolo autorizzati ad operare nei rapporti con la banca sono depositate presso lo sportello ove il relativo rapporto è intrattenuto. 2. Il cliente e i soggetti di cui al comma precedente sono tenuti ad utilizzare, nei rapporti con la banca, la propria sottoscrizione autografa in forma grafica corrispondente alla firma depositata, ovvero - previo accordo fra le parti - nelle altre forme consentite dalle leggi vigenti (es. firma elettronica)."; che era palese l'omissione posta in essere dall'Istituto Bancario rispetto ai richiamati articoli 6 e 7; che, all'atto dell'apertura del conto corrente bancario, il signor (...) aveva provveduto al regolare deposito della propria firma per esteso, nonché al conferimento di delega ad operare sul conto corrente, autorizzando all'uopo il fratello (...) con contestuale deposito della firma per esteso del medesimo; che applicabili alla fattispecie erano gli artt. 1176 e 1854 c.c. nonché l'art. 18 del D.Lgs. n. 231/07 attuativo della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose, la Direttiva 2006/70/CE, l'art. 119 T.U.B., i cui disposti si richiamavano unitamente a giurisprudenza di legittimità che si era espressa in materia; che, nel caso di specie, dall'esame delle distinte prodotte in atti in confronto sia con lo specimen del cliente, (...) che del suo delegato, (...), si evinceva come l'intermediario convenuto non avesse correttamente operato in quanto, ictu oculi, appariva sussistere una palese difformità della sottoscrizione apposta sul modulo di prelievo rispetto alle sottoscrizioni autorizzate ad operare; che, dalle distinte, si evinceva come le firme del correntista, delegato o richiedente non correntista fossero sigle apposte in carattere corsivo, palesemente difformi rispetto alle sottoscrizioni a suo tempo depositate presso l'intermediario. Il Fallimento ricorrente concludeva nei termini in epigrafe indicati. Notificato il ricorso e il decreto di fissazione di udienza, si costituiva tempestivamente (...) contestando quanto ex adverso dedotto e rilevando: che tra i mesi di maggio e settembre 2007 erano stati effettuati i girofondi per complessivi Euro 32.500,00 dal conto corrente indicato da parte attrice n. 273.65 ad altri quattro conti correnti presso la stessa Filiale della (...) e che le suddette operazioni erano state materialmente disposte dal titolare del conto (...) ovvero dal fratello (...) quale delegato, presentandosi personalmente presso lo sportello, dove erano ben conosciuti, onde compilare contestualmente i moduli prodotti ex adverso su cui risultavano apposte: sottoscrizioni di (...) identiche a quelle di cinque distinte di versamento - che la Banca convenuta produceva in giudizio - effettuate dallo stesso (...) tra il maggio e l'agosto 2007 e relative ad operazioni non contestate, e, per altre operazioni specificamente indicate in comparsa, la firma del delegato (...) conforme a quella in calce al contratto della carta di credito Blu Evolution datato 2/3/2007, contratto che la convenuta del pari allegava; che le suddette operazioni erano state regolarmente riportate negli estratti conto prodotti in atti, inviati sia a ciascun titolare dei quattro conti accreditati e al titolare del conto di addebito (...) il quale mai aveva formulato contestazione o mosso obiezione alcuna agli addebiti effettuati per le operazioni contestate; che solo successivamente, al fallimento dichiarato nel 2010, secondo quanto esposto dal ricorrente, nell'ottobre del 2011 sarebbe accaduto che il fallito (...) si sarebbe recato di persona assistito dalla propria legale di fiducia avv. An.Ca. presso il ridetto Curatore per fargli presente di avere rilevato presunte "operazioni anomale sul conto corrente della società nell'anno 2007, aperto presso la Banca (...)"; che il legale del (...) aveva quindi ritenuto di assumere concrete iniziative solo quattro anni più tardi, inviando alla (...) le raccomandate 27/04/2015 e 9/11/2015, per poi procedere giudizialmente soltanto nel febbraio 2022. La (...) eccepiva la prescrizione per il caso in cui si fosse ritenuta configurabile una responsabilità di natura extracontrattuale della convenuta, non essedo stato chiarito a che titolo il (...) facesse valere la propria pretesa; rilevava che le operazioni erano effettuate nel 2007 e contestate soltanto con il ricorso introduttivo del 2022, il titolare del conto di addebito, signor (...) mai avendo prima eccepito alcunché rispetto all'operato della (...) né tanto meno impugnato gli estratti conto a suo tempo inviati con la regolare contabilizzazione di ciascuna operazione; che l'art. 11 delle condizioni giuridiche del conto corrente rubricato "Approvazione dell'estratto conto" approvato con sottoscrizione specifica ai sensi dell'art. 1342 co. 2 c.c., prevede espressamente che l'operato della Banca si intenda approvato trascorsi trenta giorni dall'invio dell'estratto conto, salvo solo il caso - nella specie pacificamente insussistente - di errori di scritturazione o di calcolo, omissioni o duplicazioni di partite; che la suddetta clausola contrattuale fa espresso riferimento all'art. 1712 c.c. in tema di mandato, secondo cui una volta comunicata l'esecuzione dell'incarico al mandante, il silenzio di questi per un congruo tempo, attesa la natura dell'affare o gli usi, importa approvazione; che il suddetto articolo 11 delle condizioni giuridiche costituisce altresì applicazione di specie del principio sancito in tema di contratto di conto corrente dall'art. 1832 c.c. che pone a carico del cliente l'onere di impugnare il conto entro il termine di sei mesi a pena di decadenza, termine sicuramente decorso nella fattispecie; che, pertanto, l'azione avversaria risultava infondata per essere avvenuta nelle more l'approvazione del conto da parte del titolare signor (...) sia sotto il profilo delle norme sul mandato, comunque richiamate espressamente dal contratto di conto corrente in atti, sia delle norme in tema di conto corrente bancario. Parte convenuta evidenziava come il ricorrente si fosse limitato a contestare la corrispondenza agli specimen delle sottoscrizioni in calce ai moduli con cui erano state disposte le singole operazioni; che la vicenda, occorsa nel 2007, poteva essere ricostruita oggi sulla base dei documenti in atti, a cominciare dalle contabili prodotte dalla Curatela, evidentemente consegnate da (...) che ne era in possesso; che tutte le operazioni contestate erano state disposte da soggetti presentatisi personalmente allo sportello bancario dove erano ben conosciuti; che dai singoli moduli compilati e prodotti ex adverso risultava come le sottoscrizioni di (...) erano uguali a quelle in calce alle cinque distinte dei versamenti effettuati dal medesimo tra il maggio e l'agosto 2007 prodotte in atti e le firme apposte da (...) erano conformi a quelle risultanti dal contratto della carta di credito del 2/3/2007 da questi sottoscritto e pure prodotto in atti; che tutte le operazioni effettuate erano consistite in meri girofondi, cioè in trasferimenti dal conto corrente 273.65 intestato a (...) ad altri conti correnti presso la stessa Filiale della (...) disposti in favore di soggetti strettamente collegati al titolare del conto di addebito, come risultava documentalmente; che, pertanto, tali operazioni risultavano essere state approvate dal titolare del conto e le modalità concrete della loro esecuzione, così come risultanti per tabulas, dimostravano come fossero state legittimamente disposte dai soggetti legittimati e puntualmente eseguite dalla (...) secondo le istruzioni ricevute da tali soggetti; che gli artt. 6 e 7 delle condizioni generali del rapporto (...) - Cliente, richiamate dalla ricorrente ponevano l'onere di sottoscrivere in modo corrispondente allo specimen a carico del cliente e degli eventuali delegati ad operare sul conto, al fine di consentire alla (...) (allorquando la concreta situazione potesse dar luogo a dubbi o incertezze) di procedere con le verifiche formali del caso in operazioni nelle quali non partecipavano personalmente il titolare del conto o suoi delegati, quali ad esempio il pagamento di un assegno emesso con la firma di traenza del correntista o di un delegato e presentato all'incasso dal beneficiario (portatore); che tale onere di sottoscrizione conforme allo specimen a carico del cliente non generava un diritto di quest'ultimo a pretendere che la (...) verificasse l'applicazione di tale modalità di sottoscrizione in tutti gli atti ad essa diretti per le funzionalità del rapporto di conto corrente, essendo la (...) libera di apprezzare la modalità di sottoscrizione delle disposizioni fornitele dal cliente quando non abbia motivo di dubitare della loro genuinità come, esemplificativamente, allorquando il cliente stesso o il suo delegato si presentino personalmente allo sportello per consegnare la disposizione medesima, ancorché sottoscritta con sigla difforme dallo specimen.; che la (...) quale mandataria tenuta ad operare in modo diligente nell'interesse del cliente, nel caso in cui la legittimazione di chi disponeva l'operazione risultasse comunque accertata (come era accaduto nella fattispecie in cui le operazioni erano state personalmente disposte allo sportello della Filiale da soggetti conosciuti in favore di rapporti facenti evidentemente capo alla cerchia del titolare), aveva il dovere di eseguire le operazioni richieste e sarebbe venuta meno ai propri obblighi ove le avesse rifiutate; che inconferente era il riferimento effettuato da parte avversa alla disciplina in tema di antiriciclaggio, non essendo in discussione né l'identificazione del titolare effettivo del conto, né tanto meno la natura eventualmente sospetta delle operazioni de quibus sotto il profilo di tale disciplina; che l'asserita violazione degli ipotetici obblighi contrattuali affermati dal ricorrente a carico della (...) comportava al più un correlativo obbligo risarcitorio a carico di quest'ultima solo se e in quanto da tale violazione potesse dirsi conseguito un effettivo danno al cliente, danno che, nella specie, non era neppure allegato; che, quand'anche la (...) avesse violato il preteso diritto azionato ex adverso, nessun risarcimento sarebbe dunque spettato al (...); che, in ogni caso, trovava applicazione l'art. 1227 c.c., comma 1 e comma 2 c.c., dal momento che il danno era stato cagionato con il concorso del fatto colposo del titolare del conto corrente signor (...), il quale avrebbe potuto evitarlo o quanto meno ridurlo ove si fosse attivato tempestivamente all'epoca delle operazioni disposte nel 2007, riferite come "irregolari' al curatore solo a distanza di anni. La convenuta concludeva nei termini in epigrafe indicati. All'esito dell'udienza di prima comparizione, il giudice, ritenuta necessaria un'istruzione non sommaria, disponeva il mutamento del rito e rinviava la causa ex art. 183 c.p.c. all'udienza del 15/11/2022; concessi i termini ex art. 183 comma VI c.p.c. per il deposito di memorie, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18.4.2023, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 26.2.2024; la causa era quindi trattenuta in decisione con concessione di termini ex art. 190 comma 1 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda proposta va rigettata. La responsabilità di cui l'attore chiede l'accertamento va qualificata come contrattuale. Deve, infatti, condividersi l'autorevole indirizzo dottrinale che qualifica il rapporto obbligatorio come un "fascio di diritti e obblighi reciproci", che, parallelamente all'obbligazione principale e caratterizzante il contratto, conosce una serie di obbligazioni accessorie che contribuiscono a definire l'oggetto del rapporto contrattuale in applicazione degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Ne discendono una serie di doveri strumentali a carico dei soggetti contraenti, tra cui -nel caso di specie - l'obbligo di protezione del correntista che è immanente al principio costituzionale di solidarietà e si declina nel dovere di ciascuna parte contrattuale di compiere tutte quelle attività secondarie necessarie a proteggere la sfera giuridica altrui. Sul punto, numerosi arresti della Corte di Cassazione confermano che tale obbligazione "enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost., che (...) esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge" (così Cass., Sez. 3, sent. n. 22819 del 10 novembre 2010; confermativa di Cass., Sez. 1, sent. n. 23273 del 27 ottobre 2006, di Cass., Sez. 1, sent. n. 21250 del 6 agosto 2008 e Cass., Sez. 3, sent. n. 20067 del 19 luglio 2008). Nel caso specifico, deve ritenersi che tra gli obblighi accessori della banca e scaturenti dall'apertura di un rapporto di conto corrente sussista certamente anche quello di verificare l'identità del soggetto che chiede di eseguire operazioni sul conto stesso, essendo doveroso ed esigibile un controllo sulla legittimazione del disponente. L'attività dell'istituto di credito è un'attività professionale e l'adempimento delle obbligazioni ad essa inerenti deve essere valutato "con riguardo alla natura dell'attività esercitata", ex art. 1176, comma 2, c.c.. Applicato tale grado di diligenza alla banca contraente, si deve validamente ritenere che tale parametro debba essere utilizzato anche nella valutazione del corretto adempimento all'obbligazione (derivante, come detto, dal combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 c.c.) di verificare la legittimazione e l'identità del soggetto che ponga in essere operazioni bancarie. Sulla sussistenza del requisito della diligenza specifica in capo agli istituti di credito si sono espressi sia i giudici di legittimità (ad esempio, "la banca, svolgendo attività professionale, deve adempiere a tutte le obbligazioni, con la diligenza particolarmente qualificata dell'accorto banchiere, assunte nei confronti dei propri clienti, non solo con riguardo all'attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni tipo di operazione oggettivamente esplicata (art. 1176 c.c.). Pertanto la banca risponde di tutti i rischi tipici della sua sfera professionale per la cui eliminazione non ha provveduto alla adozione di mezzi idonei", così Cass., Sez. 1, sent. n. 13777 del 12 giugno 2007; sulla scorta di costante giurisprudenza, ex aliis Cass., Sez. 1, sent. n. 5617 del 12 maggio 1992, n. 5617, confermata da Cass., Sez. 1, sent. n. 806 del 19 gennaio 2016: "la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell'accorto banchiere"); sia i giudici di merito (App. Pa., Sez. 3, sent. n. 76 del 20 gennaio 2016; Trib. Milano, 9 ottobre 2007: "La diligenza cui l'accorto banchiere e la banca devono attenersi non è quella di cui all'art. 1176 comma 1 c.c., ma precisamente quella del comma 2 dello stesso articolo: la diligenza qualificata di colui che esercita un'attività professionale"). Ciò detto, deve essere conseguentemente respinta l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca convenuta per l'ipotesi in cui la responsabilità della convenuta fosse stata qualificata come extracontrattuale. Invero, nel giudizio de quo, l'azione risarcitoria promossa dalla curatela trova fondamento nella dedotta violazione di obblighi di diligenza e vigilanza della (...) nella conclusione ed esecuzione del contratto di conto corrente bancario sottoscritto con il socio illimitatamente responsabile in bonis. La (...) ha, inoltre, eccepito la decadenza della Curatela attrice dall'esercizio dei diritti di cui al presente giudizio, per non avere il titolare del conto corrente mai contestato gli estratti conto regolarmente inviati dall'Istituto di credito negli anni in questione. Detta eccezione risulta infondata, alla luce delle argomentazioni che seguono, confortate dal costante orientamento giurisprudenziale in materia. Costituisce principio ricorrente in giurisprudenza quello secondo il quale la ricezione degli estratti conto non fa decadere il cliente dal diritto di contestare le nullità che viziano il rapporto bancario. In proposito, si rileva che la Suprema Corte ha più volte chiarito che non è mai precluso al correntista contestare gli errori di contabilizzazione anche in caso di mancata impugnazione dell'estratto conto bancario. In base alla corretta esegesi del combinato disposto degli artt. 1857 e 1832 c.c., infatti, espressa in un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, l'approvazione tacita o espressa, del conto non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità in senso lato o all'efficacia di singoli negozi o fatti giuridici che costituiscono titolo dell'annotazione. Il tutto, ove si consideri che l'incontestabilità delle risultanze del conto, derivante dalla mancata impugnazione, si riferisce ai rispettivi accrediti ed addebiti considerati nella loro realtà effettuale e non alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivano. Pertanto, nel rapporto di conto corrente bancario il termine di decadenza di sei mesi per l'impugnazione dell'estratto conto trasmesso al cliente, fissato dall'art. 1832, 2° comma, c.c., ove non esercitato, non preclude la possibilità di contestare il debito da esso risultante, che sia fondato su negozio nullo, annullabile inefficace o, comunque su situazione illecita (in tal senso cfr. ex multis, Cass. Civ. n. 10186/2001; Cass. Civ. n. 18626/2003; Cass. Civ. n. 76625/2005; Cass. Civ. n. 11749/2006; Cass. Civ. n. 12372/2006; Cass. Civ. n. 6514/2007, e Cass. Civ. n. 17679/2009). Come noto, la natura contrattuale della responsabilità produce conseguenze circa il riparto dell'onere della prova in ordine all'inadempimento. Avendo, infatti, l'attore provato il titolo contrattuale ed allegato l'inadempimento della banca, spetta a quest'ultima provare di avere esattamente adempiuto (Cass., Sez. Un., sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001). Dunque, secondo i principi propri della responsabilità contrattuale, perché la banca possa andare esente da responsabilità, è tenuta a dimostrare di aver esattamente adempiuto alle obbligazioni derivanti dal contratto; l'istituto di credito deve, cioè, provare anche di aver soddisfatto l'obbligazione accessoria di verificare l'identità del soggetto che ha eseguito le operazioni bancarie. Nel caso analizzato, ciò comporta la dimostrazione di aver verificato l'identità e la legittimazione del soggetto che ha realizzato le operazioni sul conto corrente del quale era titolare il sig. (...) Sul punto, va detto che parte attrice allega esclusivamente la difformità delle sottoscrizioni apposte agli atti di disposizione oggetto di contestazione rispetto allo specimen delle stesse depositato, altro non specificando. Per contro, la (...) ha dato conto della corrispondenza delle stesse rispetto ad altra documentazione in suo possesso che ha indicato nel dettaglio e versato agli atti e che è riferibile a operazioni poste in essere da (...) e (...), mai contestate. L'(...) ha altresì precisato che i sig.ri (...) erano ben conosciuti in filiale e che le operazioni sono state poste in essere dagli stessi presentandosi personalmente presso lo sportello. A fronte di quanto documentato e dedotto dalla (...) il (...), non ha sollevato altrettanto specifici rilievi, non ha prodotto documenti, né ha formulato idonee istanze istruttorie a sostegno. Va dunque ricordato che il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. opera non solo per il convenuto ma anche per l'attore (Cass. n. 8647/2016). Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, il principio di contestazione tempestiva (con il relativo corollario della non necessità di prova riguardo ai fatti non tempestivamente contestati, e, a fortiori non contestati tout court, e dovere, per il giudice, di ritenere non necessaria la prova per ciò che non è espressamente contestato), è applicabile sia nei confronti dell'attore che del convenuto. Si è infatti affermato che "ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l'altra parte ha l'onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio" (Cass. n. 1540/2007). Pertanto, per quanto possa allegarsi la circostanza che la (...) non abbia adempiuto ai propri obblighi contrattuali derivanti dagli obblighi di protezione, a fronte di quanto specificamente dedotto e documentato dall'istituto, era onere dell'attrice fornire precisi elementi a conferma delle rilevate difformità di firma e della mancata verifica - secondo la richiesta diligenza - della legittimazione del soggetto che stava operando sul conto corrente da parte della convenuta. A quanto esposto deve aggiungersi che, posta la natura della responsabilità contrattuale allegata da parte attrice, la conseguente domanda di risarcimento del danno postula la sussistenza della relativa prova. Infatti, la natura contrattuale dell'illecito e la ripartizione come sopra delineata in relazione alla sussistenza dell'inadempimento non comporta anche l'inversione dell'onere probatorio in relazione all'esistenza di un danno risarcibile, in capo all'attore. In questo senso, si esprime anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui "in tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore" (così Cass., Sez. 1, sent. n. 21140 del 10 ottobre 2007; in senso conforme si veda Cass. Sez. 3, sent. n. 5960 del 18 marzo 2005). In relazione al danno patrimoniale lamentato, la prova richiede la dimostrazione che le somme oggetto delle disposizioni ed operazioni bancarie indicate siano state destinate a fini non autorizzati, né ratificati, dal socio correntista Tale prova del danno risarcibile non è stata offerta e fornita da parte attrice. In relazione alla risarcibilità si aggiunge la dirimente rilevanza del concorso del fatto colposo del creditore che rende, comunque, il danno lamentato non risarcibile. In capo alla curatela del fallimento, quale soggetto che accede e succede alla posizione sostanziale del soggetto fallito, è ravvisabile un concorso nella causazione del danno attesa la condotta omissiva del socio illimitatamente responsabile in bonis che riveste un ruolo di esclusiva efficienza nella causazione del danno ex art. 1227 c.c.: il danno si sarebbe potuto evitare o quanto meno ridurre ove il socio, titolare del conto, si fosse attivato tempestivamente all'epoca delle operazioni disposte nel 2007, riferite genericamente come irregolari solo a distanza di anni. Ciò vale ad escludere la risarcibilità degli eventuali danni, in applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c.. Il Fallimento non può considerarsi soggetto terzo per la pretesa avanzata nei confronti della Banca. Secondo l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8914 del 4/06/2003): "la posizione del curatore fallimentare è differenziata secondo che egli - può dirsi genericamente - rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti di terzi; nel primo caso egli è terzo, nell'altro subentra nella medesima posizione del debitore fallito, facendone valere i diritti così come in capo a quello esistevano e si configuravano. Si trova in quest'ultima posizione allorché agisce per la riscossione di un credito del fallito". Nel caso di specie, il (...) agisce in giudizio per far valere diritti sorti in capo al socio illimitatamente responsabile antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e riguardanti il rapporto contrattuale con l'istituto di credito convenuto. Ne discende che la posizione sostanziale e processuale della curatela attrice si pone in perfetta continuità con quella del socio, del quale è avente causa a tutti gli effetti. Pertanto, anche alla luce del mancato raggiungimento della prova del danno risarcibile ed in virtù dell'applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c. - ritualmente eccepito -, non può essere accolta la domanda proposta dal (...). Deve essere accolta la domanda di condanna della convenuta al pagamento, in favore dell'Erario, di somma pari al contributo unificato ai sensi dell'art. 8 comma 4-bis del D.Lgs. 28/2010, ratione temporis applicabile, non avendo la (...) addotto adeguate giustificazioni in ordine alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria come risulta da verbale di mediazione riferito all'incontro fissato in data 9.3.2017. Deve al riguardo ritenersi priva di rilevanza la valutazione prognostica, formulata dalla convenuta, circa l'inutilità della procedura per l'impossibilità di raggiungere la conciliazione (in tal senso, C.d.A. Genova n. 652/2020). In ordine alle spese di lite, si rileva che, nonostante il rigetto della domanda per mancanza di prova del danno risarcibile, la domanda non poteva dirsi totalmente destituita di fondamento, considerato l'onere probatorio che gravava sulla convenuta contrattualmente obbligata, il tempo trascorso dalle operazioni contestate e l'oggettiva incertezza che ne è conseguita in termini di accertamento; si ritengono dunque sussistere gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione integrale delle medesime. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita; rigetta la domanda di parte attrice; compensa le spese tra le parti; condanna (...) al versamento all'entrata di bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Mantova, 14 agosto 2024.
TAR Catania
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2086 del 2023, proposto da Ne. S.r.l. Società Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A00C34A92B, rappresentata e difesa dall'avvocato En.Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; nei confronti Pa. S.r.l., La.Po.II. Soc. Coop., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Bo.Lo.Du., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via (...); per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione di registro generale n. 66 del 06-10-2023 con la quale il Dirigente della Direzione Manutenzioni, Servizi, Ambiente ed Energia dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale ha aggiudicato al costituendo R.T.I. composto tra le Società “Pa. S.R.L.” (mandataria, P.IVA (...)) e “La.Po.II.” Soc. Coop. a.r.l. (mandante, P.IVA (...)), l'appalto per l'affidamento del servizio per mesi sei oltre opzione contrattuale di ulteriori mesi sei, di pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali e delle relative linee di battigia di competenze dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, ai fini della sicurezza nell'ambito portuale (Porto di Catania e Porto di Augusta, C.I.G. A00C34A92B); - del verbale unico di gara del 26-09-2023 con il quale la Commissione della licitazione per cui è causa, dopo avere ammesso alla gara il costituendo R.T.I. composto dalle predette società e dopo avere provveduto ad aprire l'offerta economica presentata dalla stessa ed averla ritenuta congrua, ha stilato la graduatoria provvisoria di gara che ha visto il predetto R.T.I. collocarsi al primo posto, ed ha proposto l'aggiudicazione della gara al succitato costituendo R.T.I.; - di ogni altro atto presupposto, connesso e successivo e comunque sconosciuto e pregiudizievole per la ricorrente, tra i quali la sconosciuta nota prot. n. 17855 del 05-10-2023 del R.U.P; E con richiesta di conseguire l'aggiudicazione ed il contratto, nonché di subentro nel contratto, previa dichiarazione di inefficacia di quello “nelle more”, ove mai, dovesse essere stipulato con il costituendo R.T.I. aggiudicatario, e/o in subordine per il risarcimento del danno causato alla ricorrente correlato al pregiudizio per la mancata esecuzione del servizio nella misura che verrà accertata in corso di causa. E per l’annullamento, per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Pa. S.r.l. e La.Po.II. Soc. Coop.: - della determinazione n. 66 del 06.10.2023 dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, nella sola parte in cui non è stata disposta l'esclusione dalla gara della Ne. S.r.l.; - del verbale di gara del 26.9.2023 della Commissione di gara, nella parte in cui non ha provveduto ad escludere l'offerta della Ne.S.r.l.; - di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e/o conseguente, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale e delle società Pa. S.r.l. e La.Po.II. Soc. Coop.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2024 il dott. Francesco Fichera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Con lettera di invito dell’8.09.2023 l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale ha indetto - ai sensi dell’art. 50 del d.lgs. n. 36/2023 - una procedura di gara negoziata avente ad oggetto l’affidamento, per mesi sei, oltre opzione di ripetizione contrattuale di ulteriori mesi sei, per l’affidamento del servizio di pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali e delle relative linee di battigia di competenza della stessa Autorità, ai fini della sicurezza nell’ambito portuale (porto di Catania e porto di Augusta, C.I.G. A00C34A92B). Secondo quanto previsto dalla lettera di invito: i) l’appalto ha ad oggetto l’attività di pulizia degli specchi acquei e delle relative linee di battigia del porto di Augusta e del porto di Catania, con conseguente obbligo dell’impresa aggiudicataria di eseguire il pattugliamento e la raccolta dei rifiuti solidi di provenienza ignota, galleggianti, semisommersi di qualsiasi natura e consistenza, differenziandoli quando possibile, nonché il carico, il trasporto, il recupero o smaltimento dei rifiuti raccolti, presso impianti di conferimento finali, autorizzati secondo la normativa vigente; ii) le attività di pattugliamento e raccolta dei rifiuti devono essere esperite per n. 365 giorni l’anno, e per n. 8 ore giornaliere di cui n. 5 ore giornaliere per il porto di Augusta e n. 3 ore giornaliere per il porto di Catania, nelle ore diurne; iii) per lo svolgimento del servizio di pattugliamento e pulizia degli specchi acquei l’impresa partecipante ed aggiudicataria è chiamata a mettere a disposizione almeno n. 1 squadra tipo per ogni porto, ciascuna delle quali è composta da un minimo di n. 2 unità; l’impresa aggiudicataria è unica responsabile delle operazioni di pulizia, trasporto e recupero smaltimento rifiuti, ottemperando agli adempimenti di cui al d.lgs. n. 152/2006 tra i quali, a titolo esemplificativo, classificazione dei rifiuti, registro di carico e scarico, formulari di identificazione dei rifiuti; iv) l’importo a base d’asta per lo svolgimento del servizio, da aggiudicarsi con il criterio del maggior ribasso, è pari ad € 96.000,00, di cui € 94.000,00 per servizio a base d’asta soggetto a ribasso ed € 2.000,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso; v) il criterio di selezione delle offerte è quello del minor prezzo. Il capitolato speciale d’appalto prevede, altresì, all’art. 3, che ciascuna delle due squadre da impiegare per lo svolgimento del servizio deve essere composta da n. 1 comandante e da n. 1 mozzo; viene inoltre stabilito che, per il conferimento all’impianto di recupero e smaltimento dei rifiuti raccolti, è previsto l’impiego di n. 1 ulteriore unità lavorativa per entrambi i porti. Le dotazioni minime dei mezzi necessari per l’esecuzione del servizio consistono in: n. 2 mezzi nautici a motore completamente attrezzati (almeno uno per ogni porto) dotati delle caratteristiche minime indicate nello stesso capitolato, n. 1 autocarro con gru idraulica, ricetrasmittente VHF e altre eventuali attrezzature. L’art. 8 del capitolato speciale d’appalto prevede, infine, che l’impresa aggiudicataria si obbliga ad osservare tutte le norme di legge in materia di assunzione di manodopera e versamento contributi previdenziali, nonché le norme in materia di sicurezza del lavoro, con indicazione di almeno un referente/responsabile del servizio sempre reperibile. Alla gara, alla quale sono stati invitati n. 6 operatori economici, hanno partecipato solo Ne.s.r.l. società unipersonale, odierna ricorrente principale, e le società Pa. s.r.l. e La.Po.II. soc. coop. a.r.l., rispettivamente mandataria e mandante di un costituendo R.T.I., ricorrente incidentale. In data 26.09.2023 si è tenuta la seduta unica di gara, durante la quale si è proceduto all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa presentata dalle imprese partecipanti e, in seguito, all’apertura delle buste contenenti le rispettive offerte economiche, da cui si è appurato che: i) l’odierna ricorrente ha praticato un ribasso sulla base d’asta di € 94.000,00 pari all’1,33% (con prezzo offerto pari ad € 92.749,80, comprensivo di € 65.771,00 per costo della manodopera ritualmente indicato); l’R.T.I. “Pa.-La.Po.” ha invece praticato il ribasso del 41,321% (con un prezzo offerto pari ad € 55.158,26, comprensivo di € 48.856,44 per costo della manodopera ritualmente indicato). Il verbale di gara è stato pubblicato sulla piattaforma telematica e trasmesso al R.U.P. in data 28.09.2023 prot. 17361. Non vertendosi nell’ipotesi di esclusione automatica dell’offerta prevista dall’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023, la commissione di gara ha, pertanto, proposto l’aggiudicazione in favore del costituendo R.T.I. “Pa.-La.Po.”. Eseguite le relative verifiche di legge, giusto verbale del 05.10.2023 prot. 17855, in data 06.10.2023 il R.U.P. ha aggiudicato l’appalto in favore del suddetto raggruppamento temporaneo d’imprese. Con ricorso principale ritualmente notificato in data 3.11.2023 e depositato il 6.11.2023, Ne. s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione degli effetti, i seguenti atti: 1) la determinazione di registro Generale n. 66 del 06.10.2023 con la quale il Dirigente della Direzione Manutenzioni, Servizi, Ambiente ed Energia dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale ha aggiudicato al costituendo R.T.I. “Pa.-La.Po.” l’appalto per l’affidamento - per mesi sei oltre opzione contrattuale di ulteriori mesi sei - del servizio di pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali e delle relative linee di battigia di competenze dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, ai fini della sicurezza nell’ambito portuale (Porto di Catania e Porto di Augusta, C.I.G. A00C34A92B); 2) il verbale unico di gara del 26.09.2023 con il quale la Commissione di gara, dopo avere ammesso alla gara il costituendo R.T.I. “Pa.-La.Po.” e dopo avere provveduto ad aprire l’offerta economica presentata dalla stessa ed averla ritenuta congrua, ha stilato la graduatoria provvisoria di gara che ha visto il predetto R.T.I. collocarsi al primo posto, ed ha proposto l’aggiudicazione della gara al succitato costituendo R.T.I.; 3) ogni altro atto presupposto, connesso e successivo e comunque sconosciuto e pregiudizievole per la ricorrente, tra i quali la sconosciuta nota prot.n. 17855 del 05.10.2023 del R.U.P.. La ricorrente ha altresì chiesto: 1) di conseguire l’aggiudicazione ed il relativo contratto; 2) il subentro nel contratto, previa dichiarazione di inefficacia di quello nelle more eventualmente stipulato con il costituendo R.T.I. aggiudicatario; 3) e/o in subordine, il risarcimento del danno correlato al pregiudizio per la mancata esecuzione del servizio nella misura che verrà accertata in corso di causa. I sopra riportati atti sono stati impugnati per il seguente, unico, motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 54 e dell’art. 110 del d.lgs. n. 36/2023 (codice degli appalti); eccesso di potere per illogicità manifesta ed irragionevolezza; eccesso di potere per contraddittorietà e per sviamento; violazione dei principi ex art. 97 Costituzione di buon andamento e di imparzialità della p.a.. 2.1. Viene in particolare evidenziato che la condotta dell’Amministrazione appaltante abbia concretizzato una violazione degli artt. 54 e 110 del d.lgs. n. 36/2023, nella misura in cui quest’ultima ha ritenuto di non qualificare come anomala l’offerta economica ricevuta dal R.T.I. aggiudicatario dell’appalto, contenente un ribasso pari al 41,321% del prezzo posto a base d’asta, pari a € 94.000,00, da cui discenderebbe, al netto della somma da impiegare per il costo della manodopera (pari a € 48.856,44), che l’aggiudicataria dispone della residua somma di € 6.301,82 per far fronte alle ulteriori spese di gestione del servizio e conseguire, allo stesso tempo, un utile d’impresa. Tale somma residua, in particolare, secondo la prospettazione della ricorrente non sarebbe sufficiente per coprire i costi di carburante necessari per garantire il funzionamento dei due mezzi da impiegare per la gestione del servizio durante i sei mesi di durata del contratto (che sarebbero pari a € 10.950,00), conseguendo, pertanto, una perdita economica rispetto al residuo. A tale spesa, continua parte ricorrente, andrebbe sommata anche quella necessaria per conferire in discarica i rifiuti raccolti dai due mezzi nautici, che graverebbe interamente sulla aggiudicataria del servizio, il cui costo complessivo - alla luce dei formulari dei rifiuti allegati dalla mandante La.Po. nel corso del precedente servizio gestito dal R.T.I. de quo e di cui la ricorrente principale ha estratto copia a seguito di istanza di accesso - sarebbe pari a € 6.300,00 per il periodo di durata del servizio previsto dall’appalto per cui è causa. A tali costi sarebbero da aggiungersi, inoltre: i) il costo del carburante del mezzo deputato a trasportare i rifiuti raccolti in discarica, stimato per il semestre in € 744,00; ii) il costo legato agli oneri di manutenzione dei mezzi nautici (varo, alaggio, manutenzione, motore ed assicurazione), stimato in € 5.500,00; iii) le spese per la manutenzione di autocarro (assicurazione, bollo, usura, tagliando, ammortamento), che sono stimate in € 386,00; iv) i costi della manodopera indicati in sede di gara dal R.T.I., che si discostano da quelli dallo stesso indicati in una precedente gara del 2020, e che, applicando il C.C.N.L. di riferimento, ammonterebbero a € 49.216,60 (già superiore di € 360,16 al costo indicato dal R.T.I.), senza tener conto che nel luglio 2023 è subentrato un aumento salariale per le figure professionali impiegate nello svolgimento del servizio. Da tali evidenze discenderebbe, per la ricorrente, che la scelta dell’Amministrazione appaltante di non sottoporre a verifica di anomalia l’offerta economica presentata dal R.T.I. aggiudicatario sia manifestamente illogica e irragionevole; tale irragionevolezza sarebbe ancor più significativa alla luce del fatto che l’anomalia di tale offerta fosse accertabile già alla luce dei costi presuntivi del servizio indicati dalla Stazione appaltante in seno alla precedente medesima gara dalla stessa indetta nel 2020. L’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, Amministrazione intimata, si è costituita in giudizio in data 16.11.2023 e con successiva memoria del 17.11.2023 ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato. 3.1. L’Amministrazione appaltante, in particolare, ha evidenziato di essere in possesso di dati empirici per stimare con presumibile certezza i costi presuntivi relativi al carburante per i mezzi impiegati, il valore medio dei rifiuti da mancare a conferimento e il correlato prezzo. Con specifico riguardo al costo di conferimento in discarica viene dedotto che, come precisato nel capitolato speciale d’appalto, il mezzo impiegato per l’attività conferita in appalto deve avere essere dotato di “big bag” (sacchi contenitori omologati adatti per il trasporto di qualsiasi materiale solido alla rinfusa: polvere, scaglie e granuli) che consente una capacità minima di stoccaggio a bordo pari a 3 metri cubi. Da ciò discenderebbe un elemento dirimente per la quantificazione delle spese, atteso che il costo della discarica non va quantificato “al giorno” in quanto nelle attività giornaliere potrebbe non verificarsene la necessità. Il costo giornaliero medio di conferimento a discarica, in ragione di quanto sopra e delle tabelle medie di costo evidenziatesi nell’ultimo quinquennio per la tipologia di servizio, sarebbe pari a € 12,00. Tenuto conto, come evidenziato, che l’appaltatore gode di una capacità di stoccaggio a bordo pari a 3 metri cubi, ammettendo che il conferimento avvenga ogni giorno, il costo complessivo sarebbe pari a € 2.196,00. Quanto al costo del carburante, viene stimato che la media consumo del carburante sia pari a circa un litro e mezzo l’ora, stante la necessità di osservare dei precisi limiti di velocità di bordo atteso che il mezzo si muove in acque portuali ad alta densità di traffico mercantile e peschereccio, con un costo giornaliero, per 8 ore al giorno, pari a € 20,4 e un costo semestrale pari a € 3.733,2. Da tali stime, secondo la prospettazione della parte resistente, si evincerebbe che, alla luce dell’importo dei costi residui indicati dall’aggiudicataria, pari a € 6.301,82 (da sommare a quelli relativa alla manodopera), l’offerta acquisita sia da ritenersi congrua e sostenibile. Non sarebbero evidenziabili, in particolare, vizi macroscopici e di manifesta illogicità nella valutazione della congruità dell’offerta, principalmente in considerazione del fatto che il costo della discarica non può essere quantificato “al giorno”, in quanto - nelle attività giornaliere proprie dello specifico servizio aggiudicato - non se ne riscontrerebbe quotidianamente la necessità. Nel caso di specie, invero, non viene in rilievo un servizio di pulizia analogo a quello di raccolta dei rifiuti urbani, nel quale si ha invece certezza della necessità delle relative attività di pulizia con cadenza giornaliera. Pa. s.r.l. e La.Po. Soc. Coop., società controinteressate, con memoria di costituzione del 20.11.2023 hanno eccepito l’infondatezza del ricorso e della contestuale istanza cautelare, con riserva di meglio articolare le proprie difese e di proporre ricorso incidentale, anche in considerazione del fatto che l’Autorità resistente, al momento della costituzione, non avesse consentito l’accesso alla documentazione di gara presentata dalla ricorrente. Le controinteressate evidenziano, nello specifico, che - posta la piena discrezionalità della Stazione appaltante di procedere ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023 alla valutazione della congruità delle offerte presentate - mancherebbero gli “specifici elementi” per ritenere che l’offerta pervenuta dal R.T.I. “Pa.-La.Po.” possa apparire anormalmente bassa. In particolare, sarebbe errato il costo per il carburante dedotto dalla ricorrente, in quanto frutto di una comparazione con delle stime risalenti nel tempo (relative al 2020), concernenti un’altra procedura di gara e non confrontabili con l’attuale affidamento. Il R.T.I. aggiudicatario della gara avrebbe infatti ottimizzato negli anni i consumi dei propri mezzi nautici, i quali montano motori (c.d. entrobordo diesel) che permettono un significativo risparmio di costi rispetto a quelli che asseritamente sarebbero invece montati dalla Ne.(c.d. fuoribordo a benzina), i cui consumi sono nettamente superiori. Ugualmente errato sarebbe anche quanto dedotto dalla ricorrente in merito alla spesa necessaria per conferire in discarica i rifiuti, in quanto i formulari presi a riferimento dalla stessa si riferirebbero alla tipologia di rifiuti urbani non differenziati CER 200301, comprendendo quindi tutti i rifiuti raccolti in ambito portuale e non soltanto quelli relativi al servizio di pulizia degli specchi acquei, oggetto dell’affidamento contestato in giudizio. Più nello specifico, il quantitativo indicati in tali formulari deriverebbe, continuano le due società controinteressate, dalla sommatoria sia dei rifiuti raccolti negli specchi acquei portuali nonché dei rifiuti raccolti sul sedime portuale e nelle banchine portuali, servizio dato in concessione alla Società La.Po.II. con un diverso contratto. I formulari attinenti alla gara per cui è causa, invece, riportano nelle annotazioni la dicitura “rifiuti provenienti dall’ambito portuale”. Da ciò deriverebbe che solo una frazione di tale quantitativo sia computabile al servizio di pulizia specchi acquei. Fuorviante sarebbe anche il riferimento alle spese di manutenzione dei mezzi nautici, le quali, affermano la società controinteressate, non corrisponderebbero a quelle necessarie per i propri mezzi. Errata risulterebbe, infine, anche la censura relativa al costo della manodopera, in quanto il costo dichiarato in sede di offerta dal R.T.I. aggiudicatario sarebbe ben superiore ai trattamenti salariali previsti dal C.C.N.L. Marittimi di navi fino a 151 TSL, sottosezione speciale per Marittimi imbarcati su navi che svolgono attività di Disinquinamento e Antinquinamento, comprensivo anche degli adeguamenti all’anno corrente e dei relativi oneri contributivi. In ultimo, le controinteressate evidenziano anche l’avvenuta sottoscrizione del contratto conseguente all’aggiudicazione in data 9-10.10.2023. A seguito della camera di consiglio del 22.11.2023, con ordinanza cautelare n. 571 del 23.11.2023 il Collegio ha rilevato che non sussiste il requisito del periculum in mora, tenuto conto che in data 9-10.10.2023 è stata sottoscritta la lettera di affidamento del servizio e, nella comparazione dei contrapposti interessi, risulta prevalente quello in capo all’Amministrazione resistente allo svolgimento del servizio oggetto di affidamento, attesa la rilevanza dell’interesse pubblico a esso sotteso. In ragione del rito cui è soggetta la controversia, il Collegio ha altresì fissato l’udienza pubblica per la decisione della causa per la data del 31.01.2024. Con ricorso incidentale notificato il 4.12.2023 e depositato in data 13.12.2023, le controinteressate Pa. s.r.l. e La.Po.II. Soc. Coop. hanno impugnato i seguenti atti: 1) la determinazione n. 66 del 06.10.2023 dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, nella sola parte in cui non è stata disposta l’esclusione dalla gara della Ne.s.r.l.; 2) il verbale di gara del 26.9.2023 della Commissione di gara, nella parte in cui non ha provveduto ad escludere l’offerta della Ne.s.r.l.; 3) ogni ulteriore atto connesso, presupposto e/o conseguente, ancorché non conosciuti. I suddetti atti sono stati impugnati per i seguenti motivi: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 99 e 100 del d.lgs. 36/2023; violazione dell’art. 3 del capitolato speciale descrittivo prestazionale di gara, dell’art. 5 della lettera d’invito; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, difetto di motivazione; violazione del principio della par condicio dei concorrenti; violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa; 2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 99 e 100 del d.lgs. 36/2023; violazione dell’art. 3 del capitolato speciale descrittivo prestazionale di gara, dell’art. 5della lettera d’invito; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, difetto di motivazione; violazione del principio della par condicio dei concorrenti; violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa; 3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 94, 99 e 100 del d.lgs. n. 36/2023; violazione dell’art. 3 del capitolato speciale descrittivo prestazionale di gara, dell’art. 11 e art. 20 del disciplinare di gara; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, difetto di motivazione; violazione del principio della par condicio dei concorrenti; violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. 6.1. Con il primo motivo del gravame incidentale, viene rilevato che la procedura di affidamento per cui è causa ha ad oggetto il servizio di pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali, richiedendo all’uopo, tra le dotazioni minime, 2 mezzi nautici, per ciascuno dei quali deve essere messa a disposizione una squadra composta da 1 comandante e 1 mozzo. In contrasto con quanto richiesto dalla lex specialis di gara, la Ne.- affermano le ricorrenti incidentali - ha dichiarato di applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il settore “Nettezza urbana igiene ambientale”, il quale non sarebbe tuttavia applicabile alle figure professionali richieste e non sarebbe attinente al servizio oggetto della procedura di affidamento, dovendosi, al contrario, dare applicazione al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il settore privato dell’industria armatoriale, il quale disciplina il rapporto di lavoro per la figura del comandante di mezzo nautico e per quella del mozzo. Da ciò discenderebbe, continuano le controinteressate, l’inidoneità dell’offerta presentata dalla Ne., la quale avrebbe dovuto essere esclusa. Sebbene la Stazione appaltante non possa imporre agli operatori economici l'applicazione di un determinato C.C.N.L. per la partecipazione alla gara, l’offerta sarebbe da considerarsi inammissibile ove il C.C.N.L. di settore, applicato dall'offerente, sia del tutto avulso rispetto all'oggetto dell'appalto. 6.2. Con la seconda doglianza, viene dedotto che l’art. 3 del Capitolato Speciale richiede tra le dotazioni minime dei mezzi per l’esecuzione del servizio la disponibilità di “n. 1 autocarro con pianale/cassone, idoneo all’espletamento del servizio, con gru idraulica per il carico dei Big Bag’s e successivo trasporto presso gli impianti di recupero/smaltimento autorizzati”. Dalla domanda di partecipazione presentata dalla Ne., che include anche le dichiarazioni relative alla capacità tecnica dell’impresa, con “elenco mezzi ed attrezzature posseduti”, non emergerebbe la presenza di alcun mezzo con le caratteristiche richieste dalla legge di gara quali dotazioni minime. Viene altresì precisato che le “casse scarrabili con Gru”, indicate nell’elenco dei mezzi e delle attrezzature nella disponibilità della Ne., siano differenti dalla dotazione richiesta dal disciplinare, in quanto trattasi di semplici attrezzature, non motorizzate. Il paragrafo 20 del disciplinare, tra l’altro, stabilisce che “...tutte le prescrizioni, modalità e condizioni contenute nella presente lettera hanno il carattere dell’inderogabilità e, pertanto, nel caso in cui le medesime non vengano osservate o rispettate il concorrente inadempiente è sanzionato con l’esclusione dalla gara.” Da ciò discenderebbe che l’offerta della Ne.andasse esclusa anche per carenza delle dotazioni minime. 6.3. Con la terza e ultima censura, viene rilevato che in seno alla propria domanda di partecipazione e nella documentazione presentata Ne.avrebbe integralmente omesso tutte le dichiarazioni aventi ad oggetto il prescritto possesso dei requisiti di cui agli di cui agli artt. 94, 99 e 100 del d.lgs. 36/2023, nonché di cui all’art. 85, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011. Il Paragrafo 11 “requisiti necessari per la partecipazione” del disciplinare prevede: “Requisiti di ordine generale e speciale. La partecipazione alla procedura di gara è riservata agli operatori economici in possesso, a pena di esclusione, dei requisiti di ordine generale ovvero in capo ai quali non sussistano i motivi di esclusione di cui agli artt. 94, 99 e 100 del nuovo TU degli Appalti”. Anche sotto tale profilo la ricorrente principale avrebbe dovuto essere esclusa, ritenendosi, concludono le due società, che il rimedio del soccorso istruttorio non sarebbe comunque idoneo a sanare la radicale carenza che inficia la validità dell’offerta della Ne.. Con successiva memoria del 18.12.2023, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale ha insistito per il rigetto del ricorso principale. Con memoria del 10.01.2024, la società ricorrente ha controdedotto rispetto alle censure sollevate dalle controinteressate con il ricorso incidentale. Rispetto alla prima doglianza ivi proposta, viene rilevato che, tenuto conto di quanto espressamente previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023 - il cui secondo comma stabilisce che “Nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell'appalto o nella concessione, in conformità al comma 1” - alcun atto di gara avrebbe indicato il C.C.N.L. applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto per cui è causa. La Ne., pertanto, in ossequio a quanto previsto dal comma 3 del predetto art. 11 - ai sensi del quale “Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente” - ha indicato di applicare il C.C.N.L. del Settore “Nettezza urbana igiene ambientale”, il quale sarebbe applicabile all’oggetto dell’appalto e/o compatibile con esso, tenuto conto che quest’ultimo è finalizzato alla pulizia ed alla raccolta dei rifiuti presenti in mare, ed al loro trasporto e conferimento in discarica. Il C.C.N.L. applicato dalla ricorrente, inoltre, garantirebbe ai dipendenti maggiori tutele rispetto al differente C.C.N.L. applicato dalle controinteressate, in quanto i costi della manodopera indicati in seno alla propria offerta economica sarebbero superiori a quelli indicati dalle altre concorrenti. Rispetto al secondo motivo del ricorso incidentale, viene rilevato che l’art. 11 disciplinare di gara non preveda - tra i requisiti di ordine tecnico ed economico necessari ai fini della partecipazione alla gara - la comprova, entro il termine di presentazione dell’offerta, di alcun mezzo, in quanto il possesso dei suindicati mezzi indicati negli atti di gara non costituirebbe in alcun modo requisito di partecipazione, ma requisito di esecuzione del servizio. In ordine all’ultima censura del ricorso incidentale, la ricorrente principale afferma di aver presentato tutte le dichiarazioni sostitutive richieste per legge e dalla lettera di invito. Viene altresì evidenziato che l’omessa presentazione di dichiarazioni sostitutive in merito al possesso dei requisiti di affidabilità morale e di ordine generale sia suscettibile di soccorso istruttorio, non essendo tale omissione/carenza riconducibile alla nozione di “irregolarità essenziali non sanabili”. Con successiva memoria del 15.01.2023, le due controinteressate hanno insistito per il respingimento del ricorso principale, evidenziando di aver versato in atti una specifica relazione tecnica che comproverebbe l’erroneità delle deduzioni della ricorrente. Nello specifico, la quantificazione del costo del lavoro per l’affidamento in oggetto è stata effettuata con riferimento al C.C.N.L. Marittimi - Navi fino a 151 t.s.l. codice CNEL I391. Per le contribuzioni previdenziali e assistenziali si è tenuto conto della contribuzione attualmente a carico della azienda, che nel 2023, e anche nel 2024, potrà inoltre scontare fino al 30% di sgravio per decontribuzione “SUD”, garantendo un ulteriore margine di riduzione del costo lavoro. Viene altresì evidenziata la produzione, in allegato alla citata relazione, di una tabella riepilogativa con lo sviluppo degli importi minimi inderogabili del costo complessivo del lavoro, con tutti gli oneri diretti e indiretti, che tiene conto anche della quota di TFR spettante calcolata sul periodo di riferimento. Quanto al costo relativo alla figura di un autista per la gestione tra le due sedi dei porti di Catania e Augusta, questo troverebbe copertura economica nel margine (considerato il minimo inderogabile pari ad euro 24.698,31) dei costi della manodopera dichiarati nell’offerta economica del R.T.I. aggiudicatario. Per quanto riguarda i costi di carburante e smaltimento, questi si baserebbero su dati certi e anche statistici, relativi ai consumi dei propri mezzi nautici, che negli anni le due società sono riuscite ad ottimizzare, grazie a procedure operative adeguate e all’utilizzo di tecnologie ecosostenibili in linea con la politica ambientale aziendale. In ultimo, per quanto concerne la “spesa necessaria per conferire in discarica i rifiuti”, viene evidenziato che i costi siano da correlarsi alle quantità raccolte, tenendo conto che essa è distribuita solo su alcuni giorni della settimana. Il R.T.I. aggiudicatario, viene dedotto, svolge le attività di raccolta differenziata a bordo dei propri mezzi e grazie ai propri impianti, con riduzione del volume dei rifiuti da conferire in discarica. Con successiva memoria di replica del 20.01.2024, le società controinteressate hanno replicato alle controdeduzioni presentate dalla ricorrente principale in ordine al proprio gravame incidentale. In merito alla prima censura del summenzionato ricorso, viene ribadito che il C.C.N.L. indicato dalla Ne.non sarebbe applicabile alle figure richieste obbligatoriamente dalla legge di gara, individuate in un comandante e un mozzo. Non condivisa è anche l’affermazione della ricorrente principale secondo cui il suddetto C.C.N.L. sarebbe di maggior tutela per le figure lavorative a cui lo stesso è applicabile, in quanto esso non prevede le indennità di cui agli artt. 353 (Indennità in caso di risoluzione del contratto per la perdita o la innavigabilità assoluta della nave), 354 (Indennità nel caso di perdita presunta), 355 (Indennità in caso di morte dell’arruolato), 356 (Trattamento spettante dopo la risoluzione del contratto all’arruolato ammalato o ferito), 358 (Indennità in caso di risoluzione del contratto per volontà dell’armatore) e 360 (Indennità in caso di perdita della nazionalità della nave o di sbarco dell’arruolato per cattivo trattamento) del Codice della navigazione. Il C.C.N.L. Nettezza urbana igiene ambientale, inoltre, continua la ricorrente incidentale, non prevedrebbe nemmeno le ulteriori tutele previste dal C.C.N.L. sezione per i marittimi imbarcati su navi fino a 151 t.s.l., quali quelle previste dall’art. 15 “Vitto - Panatica convenzionale”, dall’art. 22 “Indennità perdita corredo”, dall’allegato 2 “Assicurazioni Malattie” e dall’allegato 3 “Assicurazioni infortuni”, dall’allegato 8 “sottosezione speciale per i marittimi imbarcati su navi che svolgono attività di antinquinamento e disinquinamento”. Viene altresì osservato che per l’accesso all’attività professionale di lavoratore marittimo oggetto dell’appalto siano richiesti requisiti professionali specifici, come sarebbe confermato dall’art. 35 dello Statuto dei lavoratori (l. n. 300/1970). Rispetto al secondo motivo di ricorso incidentale, è sottolineato che il possesso di un autocarro con gru idraulica per espressa previsione della legge di gara rientra tra i requisiti richiesti per la dimostrazione della capacità tecnica dell’impresa e non costituirebbe, come invece sostenuto dalla Ne., solo un requisito per l’esecuzione del servizio. In ultimo, sul terzo motivo di ricorso incidentale, viene ribadito che l’omessa dichiarazione di un requisito non possa essere rimediata dalla Stazione appaltante nel caso di dichiarazione del tutto mancante. Alla pubblica udienza del 31.12.2024, presenti i difensori delle parti come da verbale, la causa è stata posta in decisione. Il ricorso principale è fondato, nei sensi di quanto di seguito specificato. 12.1. L’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023 stabilisce, al primo comma, che “Nel caso di aggiudicazione, con il criterio del prezzo più basso, di contratti di appalto di lavori o servizi di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea che non presentano un interesse transfrontaliero certo, le stazioni appaltanti, in deroga a quanto previsto dall'articolo 110, prevedono negli atti di gara l'esclusione automatica delle offerte che risultano anomale, qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque. Il primo periodo non si applica agli affidamenti di cui all'articolo 50, comma 1, lettere a) e b). In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”. Viene così previsto che, ove i contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea relativi ad appalti di lavori o servizi siano aggiudicati con il criterio del prezzo più basso e non presentino un interesse transfrontaliero certo, le stazioni appaltanti, in deroga all’art. 110, prevedono negli atti di gara l'esclusione automatica delle offerte che risultino anomale, «qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque». La ratio della previsione poggia sulla circostanza che la concorrenza tra offerte competitive a basso prezzo, sebbene consenta talvolta risparmi economici significativi per le stazioni appaltanti, nondimeno può risultare non conveniente nei casi in cui al basso prezzo corrisponda o una troppo ottimistica valutazione dei costi di esecuzione del contratto o il comportamento spregiudicato di alcuni operatori economici i quali, nonostante i molti presidi a tutela della serietà delle offerte, fondino il basso prezzo su uno scarso rapporto qualità-prezzo. È in questo tipo di contesto che si pone il concetto di “anomalia” o, meglio, di “offerte anormalmente basse”. Il meccanismo dell’esclusione automatica viene escluso per le forme di affidamento di cui all’art. 50, comma 1, lett. a) e b), prevedendosi che le stazioni appaltanti possano comunque valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa. Viene così recuperata, nel testo del nuovo codice di settore in materia di appalti, quanto previsto dall’art. nell’art. 97, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016 in tema di “verifica facoltativa” della congruità dell’offerta. Il successivo comma 2, innovando rispetto alla pregressa disciplina, introduce l’obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere negli atti di indizione della procedura da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso, oltre alla citata opzione per l’esclusione automatica delle offerte, anche il metodo matematico di determinazione della soglia di anomalia, individuato - a scelta delle medesime stazioni appaltanti - tra uno dei tre indicati nell’allegato II.2 dello stesso d.lgs. n. 36/2023. Al fine di ridurre in misura significativa i rischi di manipolazione della soglia di anomalia, e, al contempo, assicurare il fondamentale bilanciamento tra il contenimento dei costi e l’ottenimento di una qualità dell’esecuzione del contratto adeguata alle esigenze della stazione appaltante, la disposizione consente, pertanto, alle stazioni appaltanti di scegliere, in via alternativa e senza necessità di motivazione, uno dei tre metodi di calcolo della soglia descritti nell’allegato II.2, con l’unica condizione di indicare negli atti indittivi il metodo prescelto. Ciò rilevato in via di premessa sistematica, dal tenore della lettera di invito pubblicata in data 8.09.2023 dalla Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale, nelle vesti di Stazione appaltante, si evince, alla luce del servizio oggetto di affidamento, del criterio economico di selezione dell’aggiudicatario, del valore economico dell’appalto e del numero di imprese invitate a partecipare alla procedura, che, con specifico riguardo alla verifica di anomalia dell’offerta debba trovare applicazione l’art. 54 del d.lgs. 36/2023, nella parte in cui tale verifica viene resa facoltativa e senza obbligo di indicazione del metodo di calcolo della soglia di anomalia negli atti di gara. La giurisprudenza amministrativa, in presenza di una “verifica facoltativa” della congruità dell’offerta di un operatore economico, riconosce alle stazioni appaltanti un’ampia discrezionalità con riguardo alla scelta di procedere, o no, alla verifica facoltativa, con la conseguenza che il ricorso all’istituto (come pure la mancata applicazione di esso) non necessita di una particolare motivazione né può essere sindacato se non nelle ipotesi, remote, di macroscopica irragionevolezza o di decisivo errore di fatto (Consiglio di Stato, sez. V, 29/01/2018, n. 604). Più specificatamente, la valutazione di anomalia dell'offerta costituisce tipica espressione della discrezionalità tecnica di cui l'amministrazione è titolare per il conseguimento e la cura dell'interesse pubblico ad essa affidato dalla legge: detta valutazione è di norma sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, arbitrarietà o travisamento dei fatti; in altri termini, il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni operate dalla stazione appaltante in ordine al giudizio di anomalia dell'offerta non può estendersi oltre l'apprezzamento della loro intrinseca logicità e ragionevolezza, nonché della congruità della relativa istruttoria, essendo preclusa all'organo giurisdizionale la possibilità di svolgere (autonomamente o a mezzo di consulenti tecnici) un'autonoma verifica circa la sussistenza, o meno, dell'anomalia, trattandosi di questione riservata all'esclusiva discrezionalità tecnica dell'amministrazione; laddove, pertanto, le valutazioni dell'amministrazione in ordine alla congruità della offerta, pur in ipotesi opinabili, siano tuttavia motivate sotto il profilo tecnico discrezionale e fondate su dati, anche statistici, non manifestamente errati né travisati (o del cui errore o travisamento non sia stata fornita alcuna dimostrazione in giudizio), non può che concludersi per il rigetto della relativa impugnazione (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 01/03/2023, n. 2170). Anche la decisione di non procedere alla mancata verifica di anomalia dell’offerta, pertanto, costituisce una scelta discrezionale e facoltativa dell’amministrazione, che diventa sindacabile dal giudice amministrativo solo nei casi di manifesta illogicità e ragionevolezza, o quando alla base vi sia un decisivo errore di fatto (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 02/02/2022, n. 1233; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 07/04/2021, n. 2294). Tale indirizzo appare giustificato dall’ampiezza del presupposto su cui l’art. 54 (e prima di esso, l’art. 97, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016) fonda la discrezionalità dell’amministrazione appaltante, la quale “può” valutare la congruità di un’offerta in base a “elementi specifici” e nel caso in cui essa “appia anormalmente bassa”. Va altresì rilevato che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, “la verifica di congruità di un'offerta non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell'offerta analizzata ed alla capacità dell'impresa - tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne - di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse” (Cons. Stato sez. V, 15/02/2023, n. 1589; Cons. Stato, V, 28 gennaio 2019, n. 690; Cons. Stato, V, n. 2540 del 2018, cit.; 13 febbraio 2017, n. 607; 20 luglio 2016, n. 3271; 7 settembre 2007 n. 4694; IV, 29 ottobre 2002, n. 5945). Non avendo per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, la verifica di anomalia dell’offerta mira - quindi - ad accertare se in concreto essa risulti, nel suo complesso, attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto; pertanto, la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo (ex multis, Cons. Stato, V, 2 maggio 2019, n. 2879; III, 29 gennaio 2019, n. 726; V, 23 gennaio 2018, n. 430; 30 ottobre 2017, n. 4978). L'esito della gara, conseguentemente, può essere travolto solo quando il giudizio negativo sul piano dell'attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera operazione economicamente non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità a garantire la regolare esecuzione del contratto volta al perseguimento dell'interesse pubblico (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 10/06/2022, n. 7712). Non può esser taciuto, d’altro lato, che la formulazione di un'offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e, dunque, su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall'esecuzione futura di un contratto e risultando, pertanto, sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile (così espressamente Cons. Stato, sez. V, 3480/2018). Orbene, nella procedura di affidamento oggetto del presente gravame emerge, ictu oculi, la presenza di taluni elementi che possono far legittimamente dubitare della ragionevolezza e logicità con cui l’Amministrazione resistente ha valutato l’offerta presentata dal R.T.I. aggiudicatario, escludendo ogni necessità di ricorrere al giudizio di anomalia. Il predetto R.T.I. ha, invero, praticato un ribasso sulla base d’asta di € 94.000,00 del 41,321%, con un prezzo offerto pari ad € 55.158,26, comprensivo di € 48.856,44 per costo della manodopera. Da ciò discende che il raggruppamento dispone della residua somma di € 6.301,82 per far fronte alle ulteriori spese di gestione del servizio, tra i quali appare plausibile dover far rientrare - stimati per un semestre - i costi di carburante necessari per garantire il funzionamento dei due mezzi da impiegare per la gestione del servizio durante la durata del contratto, i costi per conferire in discarica i rifiuti raccolti dai due mezzi nautici, il costo del carburante del mezzo deputato a trasportare i rifiuti raccolti in discarica, il costo legato agli oneri di manutenzione dei mezzi nautici. Comparando il prezzo offerto dal raggruppamento controinteressato con i costi stimati dalla stessa Stazione appaltante nell’ambito dell’affidamento avente ad oggetto, nel 2020, il medesimo servizio di pulizia e disinquinamento nei porti di Augusta e Catania, appare irragionevole che a distanza di tre anni dalla precedente gara i costi effettivi di tutte le attività connesse al servizio di pulizia e disinquinamento dello specchio acqueo del Porto di Augusta e del Porto di Catania, tra cui rientrano - si legge nel calcolo presuntivo redatto dalla stessa Amministrazione nel 2020 - i costi del personale, del mezzo nautico, del carburante e del mezzo terrestre con gru, possano variare al punto da far supporre un loro abbattimento che raggiunge il ribasso praticato in sede di offerta dalle società controinteressate. Lo scrutinio volto a individuare la presunta macroscopica irragionevolezza e illogicità della scelta discrezionale dell’Amministrazione resistente di non sottoporre il R.T.I. aggiudicatario al giudizio di anomalia non deve fondarsi, ad avviso del Collegio, sul rilievo che i costi di manodopera indicati in sede di gara si discostino, tra l’altro in misura non significativa, dai parametri retributivi previsti dal C.C.N.L. di categoria per le figure professionali da impiegarsi nella gestione del servizio, come invece rilevato da parte ricorrente. Per consolidata giurisprudenza, invero, “nell'ambito di una procedura di gara pubblica l'offerta non può essere considerata anomala qualora il costo del lavoro sia stato calcolato in base a valori inferiori a quelli risultanti dalle tabelle ministeriali, o dai contratti collettivi; i costi medi della manodopera, indicati in dette tabelle, non assumono infatti valore di parametro assoluto e inderogabile” (Consiglio di Stato sez. V, 18/02/2019, n. 109). È pertanto giustificabile che vi sia uno scostamento tra il valore astratto di un C.C.N.L. e il costo del lavoro (complessivo) sostenuto dalla singola impresa, rientrando nell'autonomia organizzativa dell'imprenditore anche il potere di gestire e organizzare in maniera efficiente le risorse umane, abbattendo i costi della manodopera (eventualmente usufruendo delle misure di flessibilità o di incentivazione previste dall'ordinamento: es. part-time, sgravi determinati dall'apprendistato o dovuti ad assunzioni agevolate; sgravi contributivi previsti eventualmente anche dalle diverse leggi di bilancio annuali), o anche applicando un contratto collettivo nazionale diverso da quello dello specifico settore merceologico preso in considerazione dalla tabella, purché ad esso congruente (ex multis, T.A.R. Napoli, (Campania) sez. II, 11/12/2019, n. 5892). Non è quindi dal costo della manodopera - ove evidentemente quest’ultimo non risulti basso in modo abnorme - che l’amministrazione deve trarre il convincimento di sottoporre una data offerta al giudizio di anomalia; la valutazione da compiersi, nell’esercizio della propria piena discrezionalità, attiene piuttosto ad un accertamento in concreto dell’offerta, il quale deve risultare globale e sintetico e non concentrarsi sulle singole voci di costo. Il Collegio ritiene che la natura del prezzo offerto in sede di gara dal R.T.I. “Pa.-La.Po.”, con un ribasso del 41,321% rispetto all’importo della basa d’asta, avrebbe dovuto condurre l’Amministrazione resistente a compiere gli accertamenti che la legge le consente in caso di offerte che “appaiano anormalmente basse”, disponendo di quegli “elementi specifici” - come previsto dall’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023 - che le consentono di appurare la congruità di un’offerta, avendo, peraltro, proceduto nel 2020 a indire una gara per l’affidamento del medesimo servizio e con specifiche stime delle singole voci di costo ad esso correlate, dalle quali avrebbero potuto essere tratte, ragionevolmente, utili indicazioni per accertare se l’offerta presentata dall’aggiudicatario potesse risultare economicamente non plausibile o, al più, potesse risultare insidiata da indici strutturali di carente affidabilità al fine di garantire la regolare esecuzione di un servizio che, avendo ad oggetto la pulizia e il disinquinamento degli specchi acquei portuali e delle relative linee di battigia dei porti di Augusta e Catania, appare volto al perseguimento di un rilevante interesse pubblico. Devono invero evidenziarsi i seguenti profili. Quanto ai costi di carburante, i quali - secondo la prospettazione della ricorrente - andrebbero quantificati in sei mesi in € 10.950,00, deve da un lato tenersi in debito conto, ai fini del vaglio della presunta manifesta irragionevolezza e illogicità della valutazione compiuta dall’Amministrazione aggiudicatrice, di quanto controdedotto in sede difensiva dalle due società controinteressate, le quali evidenziano che le suddette stime operate da chi ricorre in giudizio, promananti da una comparazione con la speculare procedura di gara indetta nel 2020 dalla Stazione appaltante, debbano essere rapportate all’ottimizzazione dei consumi che negli anni ha interessato i mezzi adoperati dalle due società vincitrici, con conseguente risparmio di costi. A corroborare tale risparmio sarebbe il ricorso a mezzi nautici per i quali viene chiesto un tipo di carburante che renderebbe più circoscritti i costi rispetto a quanto supposto dalla Ne.. Non viene tuttavia fornita alcuna allegazione atta a suffragare tale risparmio. Più puntuali appiano, sul punto, le stime operate in sede difensiva dalla Stazione appaltante, secondo cui il costo semestrale del carburante non supererebbe la somma di € 3.733,2, a cui deve addivenirsi sommando il presumibile costo giornaliero dello stesso - pari a € 20,40 per le otto ore giornaliere di servizio previste complessivamente per entrambi i porti dalla lex specialis (5h/giorno per il porto di Augusta, 3h/giorno per il porto di Catania), calcolato stimando il costo del carburante in € 1,70/l, il quale è in linea con quello attualmente praticato nel mercato - per i 180 giorni corrispondenti alla durata del contratto (“mesi 6, ripetibile per ulteriori mesi 6”). Rispetto alla spesa per conferire in discarica i rifiuti, l’Amministrazione resistente evidenzia di aver verificato, in sede di valutazione dell’offerta, il costo giornaliero medio di conferimento, in ragione delle tabelle medie di costo relative all’ultimo quinquennio per la tipologia di servizio interessata, corrispondente a € 12,00. Tenuto conto che il mezzo adoperato per l’attività oggetto dell’appalto, come previsto dal capitolato speciale di gara, deve essere dotato di “big bag” - con correlata capacità minima di stoccaggio a bordo pari a 3 metri cubi -, non appare irragionevole l’esito di calcolo cui giunge la Stazione appaltante, la quale, pur rilevando che il conferimento in discarica possa non avvenire giornalmente (attesa la suddetta capacità minima di stoccaggio richiesta di 3 metri cubi), specifica che, anche ammettendo che tale conferimento sia effettuato ogni giorno, il costo complessivo sarebbe pari a € 2.196,00. Rispetto agli ulteriori costi residui, i quali attengono ai costi di carburante relativi al conferimento in discarica con apposito mezzo di terra per un semestre nonché agli oneri di manutenzione di tutti mezzi adoperati nello svolgimento del servizio, la quantificazione operata dalla società ricorrente - che quantifica tali costi in € 5.500,00 (per varo, alaggio, manutenzione, motore e assicurazione dei mezzi nautici) e € 386,00 (per assicurazione, bollo, usura, tagliandi, ammortamento per l’autocarro) - non viene smentita né dalla Stazione appaltante, la quale è silente sul punto, né dalle due società controinteressate, le quali nulla allegano per supportare la propria tesi difensiva secondo cui “fuorviante è il riferimento alle spese di manutenzione dei mezzi” fornita dalla ricorrente, evidenziando che “probabilmente i costi immaginati si riferiscono ai mezzi acquistati d’occasione da parte della Ne., ma non sono replicabili per i mezzi e le attrezzature del RTI aggiudicatario”. Orbene, questo Collegio ritiene che, anche a voler ritenere, in linea di pura ipotesi, plausibili le stime riportate dall’Amministrazione aggiudicatrice in ordine ai costi di carburante per i due mezzi di mare, pari a € 3.733,20, e a quelli concernenti lo smaltimento in discarica, pari a € 2.196,00, sia macroscopicamente irragionevole ritenere che la residua somma di € 372,62, risultante dalla sottrazione dei suddetti importi alla somma complessiva dei costi indicati dal R.T.I. aggiudicatario, pari a € 6.301,82 (al netto di quelli previsti per la manodopera), sia sufficiente per coprire le ulteriori spese sopra riportate, relative, lo si ripete, ai costi di carburante relativi al conferimento in discarica con apposito mezzo di terra per un semestre nonché agli oneri di manutenzione di tutti mezzi adoperati nello svolgimento del servizio. Non può sfuggire, invero, che la Stazione appaltante abbia individuato l’importo a base d’asta, fissandolo in € 96.000,00 (di cui € 94.000,00 per servizio a basa d’asta soggetto a ribasso ed € 2.000,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso) tenendo evidentemente conto anche di tali costi, anche alla luce del prospetto dei costi relativi alla gara avente il medesimo oggetto bandita nel 2020. A fronte di tale importo residuo, pari a € 372,62, e dinanzi alla concreta possibilità di sottoporre l’offerta censurata dalla ricorrente principale ad una comparazione con i costi relativi alla precedente gara - da cui, tra l’altro, promana la scelta di fissare a € 96.000,00 l’importo a basa d’asta, quale espressione di un giudizio di discrezionalità tecnica - non si comprende come l’Amministrazione che resiste in giudizio abbia deciso di non sottoporre al giudizio di anomalia tale offerta, specie in considerazione della particolare natura dell’interesse pubblico sotteso al servizio di pulizia e disinquinamento degli specchi acquei di due porti nevralgici per la Sicilia orientale. Ritenuto, pertanto, che sussistano i presupposti per sottoporre la decisione di non ricorrere al giudizio di anomalia al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, il Collegio rileva che la scelta compiuta dall’Amministrazione resistente risulti inficiata da irragionevolezza e illogicità manifesta, risultando altresì sintomatica - atteso, come detto, il rilevante interesse pubblico perseguito con l’affidamento in oggetto - di un uso della discrezionalità tecnica distorto e contrario al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., determinando, pertanto, l'intervento caducatorio dell'Autorità giurisdizionale. Tale impostazione, del resto, risulta altresì coerente con la ratio che pervade il nuovo impianto codicistico adottato in materia di contratti pubblici con il suddetto d.lgs. n. 36/2023, il quale erge, tra i suoi capisaldi, il c.d. principio della fiducia, introdotto dall’art. 2 con il preciso fine di valorizzare l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni oggetto di gara. Tale principio-guida amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile e delimita - con maggior forza rispetto al passato - il perimetro della discrezionalità amministrativa sottoposta al vaglio dell’Autorità giurisdizionale. Il Giudice, tuttavia, a fronte di scelte discrezionali dell’amministrazione che presentino, come nel caso di specie, macroscopici vizi di illegittimità, non può veder arretrare l’area del suo scrutinio, specie ove riconosca che la “fiducia” accordata alla scelta operata da una stazione appaltante tradisca l’interesse pubblico sotteso ad una gara. Ogni stazione appaltante ha invero la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività. Trattasi quindi di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile, senza tuttavia tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, invece, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento. Proprio il perseguimento di tale interesse pubblico costituisce il “risultato” cui deve tendere l’appalto, rappresentando, come previsto dall’art. 1 del predetto d.lgs. 36/2023, il “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale”. Il risultato che l’amministrazione deve perseguire, invero, deve essere “virtuoso”, risultando tale quello che possa portare a diminuire i costi di un servizio assicurando allo stesso tempo l’accrescimento della qualità e della produttività. Se è vero che, nell’impostazione del nuovo Codice dei contratti pubblici l’amministrazione è chiamata a compiere la scelta più “virtuosa”, assicurando il “miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”, non può ritenersi che tale “miglior rapporto” sia stato raggiunto nella gara in oggetto, ove la stazione appaltante, addivenendo alla propria decisione di aggiudicare l’appalto in favore delle due società controinteressate sulla base di una valutazione che appare largamente basarsi sul maggior ribasso praticato dalla stessa, ha disatteso, irragionevolmente, ogni potenziale verifica in ordine ai presidi di qualità ed efficienza del servizio che quest’ultima è chiamata a svolgere, finendo per tradire la funzionalizzazione verso il miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico cui essa deve tendere. Nel caso di specie, l’ampliamento dei poteri valutativi in capo alla Stazione appaltante non può implicare, ad avviso del Collegio, che la stessa possa compiere scelte manifestamente illogiche o irragionevoli, ove quest’ultime, come si ritiene sia accaduto nella gara in oggetto, determino il rischio di non ottenere il miglior risultato possibile, e, quindi, di ledere l’interesse pubblico sotteso all’indizione di una procedura di affidamento. Disponendo, lo si ribadisce, di quegli “elementi specifici” - come previsto dall’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023 - che le consentissero di appurare la congruità di un’offerta, data l’indizione della medesima gara nel 2020 e la presenza di specifiche stime delle singole voci di costo ad essa correlate, l’Amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità ampliata dai principi della fiducia e del risultato, avrebbe dovuto disporre il giudizio di anomalia nei confronti della parte controinteressata, nell’ottica di assicurarsi di compiere la scelta più funzionale al soddisfacimento dell’interesse pubblico sotteso alla procedura di gara. Per tutto quanto sopra esposto e considerato, il ricorso principale è quindi da ritenersi fondato con specifico riferimento alla domanda di annullamento degli atti impugnati. Appurata la fondatezza della domanda di annullamento del ricorso principale, il Collegio esamina le censure sollevate con il ricorso incidentale presentato dal R.T.I. controinteressato, il quale è infondato e deve essere respinto. 13.1. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato per quanto di seguito indicato. In assenza dell’indicazione da parte della Stazione appaltante del C.C.N.L. da applicare ai lavoratori impiegati nel servizio oggetto di affidamento, l’operatore economico deve ritenersi libero di operare gli inquadramenti professionali secondo la regolamentazione dettata dal C.C.N.L. che viene da quest’ultimo applicato. L’eventuale difformità tra l'inquadramento professionale attribuito al lavoratore e la qualifica contrattuale spettategli secondo le declaratorie previste dal contratto collettivo dev'essere fatta valere - in linea di principio - nell'ambito dei rapporti fra lavoratore e datore di lavoro, salvi i riflessi sulla congruità complessiva dell'offerta, ove l'inquadramento sia del tutto anomalo o abnorme in relazione ai profili professionali ritenuti necessari per lo svolgimento del servizio; e fatti salvi, altresì, i riflessi in punto di ammissibilità dell'offerta, se il C.C.N.L. di settore, applicato dall'offerente, risulti del tutto avulso rispetto all'oggetto dell'appalto. Dalla comparazione tra il C.C.N.L. Nettezza urbana igiene ambientale, indicato in sede di offerta dalla Ne., e il C.C.N.L. del settore marittimo dell’industria armatoriale, indicato invece dal R.T.I. aggiudicatario, non può trarsi il convincimento che il primo sia da considerarsi del tutto avulso rispetto all’oggetto dell’appalto, tenuto conto, in particolare, della classificazione del personale operata dall’art. 140 del C.C.N.L. Nettezza urbana igiene ambientale, basata su cinque aree funzionali e nove livelli, oltre al livello di quadro, e delle correlate tabelle retributive. Rilevato invero che il servizio oggetto dell’affidamento per cui è causa concerne la pulizia e il disinquinamento degli specchi acquei portuali e delle relative linee di battigia, e che le attività di “spazzamento, raccolta, tutela e decoro del territorio” (prima area funzionale del C.C.N.L. applicato dalla ricorrente principale), nonché di “conduzione” di mezzi (seconda area funzionale del medesimo C.C.N.L.), presentino caratteristiche da ritenersi compatibili con tale servizio, non può contestarsi, ad avviso del Collegio, la decisione di ammissione alla gara della società Ne.operata dalla Stazione appaltante. Tale assunto appare, del resto, coerente con l’impostazione pretoria secondo cui soltanto la scelta del C.C.N.L. applicabile al personale dipendente che diverge insanabilmente, per coerenza e adeguatezza, da quanto richiesto dalla Stazione appaltante in relazione ai profili professionali ritenuti necessari è idonea, di per sé, a determinare un'ipotesi di anomalia, riflettendosi sulla possibilità di formulare adeguate offerte sotto il profilo economico, essendo incoerenti o incompatibili i profili professionali di riferimento (Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 2020, n. 6336). L’Amministrazione portuale ha ritenuto, nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa, di non ricorrere al giudizio di anomalia alla luce del C.C.N.L. indicato da Ne.in sede di offerta, e tale decisione non può ritenersi manifestamente illogica o irragionevole, specie ove si considerino, tra l’altro, i costi di manodopera indicati dalla stessa società, pari a € 65.771,00, pienamente coerenti con l’importo a base d’asta indicato dall’Autorità resistente nel bando di gara. 13.2. Anche la seconda doglianza del ricorso incidentale appare priva di pregio e deve essere disattesa. Dal combinato disposto dei paragrafi 11 e 20 della lettera d’invito e dell’art. 3 del capitolato speciale di gara emerge che la dotazione di “1 autocarro con pianale/cassone, idoneo all’espletamento del servizio, con gru idraulica per il carico dei Big Bag’s e successivo trasporto presso gli impianti di recupero/smaltimento autorizzati” non costituisse requisito necessario da comprovare, a pena di esclusione, al momento della presentazione dell’offerta, non figurando all’interno del paragrafo 11 della suddetta lettera d’invito. L’esclusione dalla gara cui fa riferimento, invece, il successivo paragrafo 20 di quest’ultima investe, con specifico riferimento alla dotazione di mezzi richiesta, la successiva fase di esecuzione del contratto e deve essere raccordata, tra l’altro, con il principio di tassatività delle cause di esclusione previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 36/2023, il quale, al comma 1, stabilisce che “I contratti pubblici non sono affidati agli operatori economici nei confronti dei quali sia stata accertata la sussistenza di cause di esclusione espressamente definite dal codice”, e al secondo comma prevede che “Le cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 sono tassative e integrano di diritto i bandi e le lettere di invito; le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte”. 13.3. Il terzo e ultimo motivo di ricorso del gravame incidentale è anch’esso infondato e deve essere respinto. L’art. 101 del d.lgs. 36 del 2023 prevede, al comma 1, l’obbligo della Stazione appaltante di attivare il soccorso istruttorio sia per integrare la documentazione trasmessa, sia allo scopo di sanare eventuali omissioni, inesattezze ed irregolarità; non viene riproposta la differenziazione, operata dal precedente d.lgs. n. 50 del 2016, tra irregolarità essenziali e non essenziali. Il soccorso istruttorio, in particolare, non può riguardare la sola “documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica” e l’amministrazione vi fa ricorso per “sanare ogni omissione, inesattezza o irregolarità della domanda di partecipazione, del documento di gara unico europeo e di ogni altro documento richiesto dalla stazione appaltante per la partecipazione alla procedura di gara...Sono non sanabili soltanto le omissioni, inesattezze e irregolarità che rendono assolutamente incerta l’identità del concorrente”. La logica semplificatoria che emerge dalla disposizione è affiancata dall’intento di evitare che, nel rispetto del principio della par condicio, lo svolgimento della procedura di gara sia condizionato da un eccessivo formalismo, il quale potrebbe pregiudicare la qualità dell’offerta e il pieno raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalla stazione appaltante con la procedura di gara. Concretizzando una manifestazione del principio-guida della fiducia, da leggersi in termini bilaterali quale fiducia nell’attività dell’amministrazione e nella diligente responsabilità dell’operatore, la disposizione attenua, quindi, possibili rigorismi applicativi e non può indurre ad accogliere la prospettazione delle due società ricorrenti incidentali, secondo cui la carenza dichiarativa della Ne.rispetto al possesso dei requisiti di cui agli artt. 94, 95 e 100 del d.lgs. n. 36 del 2023 non potrebbe essere rimediata dalla Stazione appaltante. Tale rilievo, che deve essere esteso anche alla dichiarazione di cui all’art. 85, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011, conduce a ritenere che la Ne.non avrebbe potuto essere esclusa per non aver prodotto le suddette dichiarazioni; tale lettura, per il vero già affermata dalla giurisprudenza amministrativa in costanza di applicazione del precedente d.lgs. 50 del 2016 (Consiglio di Stato, VI, 24 febbraio 2022, n. 1308; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 24/03/2023, n. 971), deve ancor più essere ribadita in virtù del nuovo impianto codicistico delineato dal d.lgs. n. 36 del 2023. Per tutto quanto sopra considerato ed esposto, il ricorso principale è fondato e deve essere accolto relativamente alla domanda di annullamento degli atti impugnati, facendo salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione resistente. Nelle more del riesercizio del potere amministrativo, non può invece essere accolta la correlata domanda avente ad oggetto il conseguimento dell’aggiudicazione e del relativo contratto, previa sua dichiarazione di inefficacia. Non è altresì accoglibile la domanda risarcitoria presentata in subordine dalla ricorrente principale, in quanto l’eventuale diritto al risarcimento risulta, anch’esso, correlato al riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione resistente. Il ricorso incidentale, in quanto infondato, deve essere invece respinto. Alla luce del combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c.p.c., si ritiene di ravvisare, nelle peculiarità del giudizio, eccezionali ragioni per l'integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso incidentale, come in epigrafe proposti: - accoglie il ricorso principale nei sensi e nei limiti di cui in motivazione; - respinge il ricorso incidentale. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Valeria Ventura, Referendario Francesco Fichera, Referendario, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Francesco Fichera Aurora Lento IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29-06-2022 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Guerra Mariaemanela, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla confisca, con inammissibilita' nel resto dei ricorsi; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 ottobre 2017, il Tribunale di Torre Annunziata, per quanto in questa sede rileva, condannava (OMISSIS) alla pena di anni 7 di reclusione, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione ciascuno e (OMISSIS) alla pena di anni 3 di reclusione, in quanto ritenuti colpevoli, tutti, del reato di cui all'articolo 416 c.p., a loro contestato al capo A per essersi associati ( (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) quali promotori e organizzatori) allo scopo di commettere piu' reati tributari (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 3 e 4) e piu' condotte di truffa ai danni dello Stato, reati diretti dapprima a consentire un'ingente evasione fiscale da parte della (OMISSIS) s.a. e successivamente la distribuzione dei dividendi ai soci, evitando l'esercizio dell'azione impositiva all'Amministrazione finanziaria. Veniva altresi' affermata la responsabilita' penale degli imputati per i reati fine di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 del (capo B, ascritto a tutti e sei i ricorrenti), Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 (capi C e D, ascritti rispettivamente a (OMISSIS) e a (OMISSIS)) e articolo 640 c.p., comma 2 (capo E ascritto a (OMISSIS), capo F ascritto a (OMISSIS) e capo G ascritto a (OMISSIS)), risultando i fatti commessi in (OMISSIS) in epoca compresa tra il 2008 e il 20 settembre 2012. Il giudice di primo grado, inoltre, disponeva la confisca di quanto in sequestro, nei limiti della somma complessiva di Euro 9.859.000,80, importo corrispondente alle imposte evase, con restituzione agli aventi diritto della residua somma di Euro 768.986 Euro. Con sentenza del 29 giugno 2022, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata sia dal P.M. in relazione alla statuizione sulla confisca, sia dagli imputati, assolveva costoro dal reato di associazione a delinquere di cui al capo A, perche' il fatto non sussiste, e dichiarava non doversi procedere nei confronti dei medesimi in ordine ai reati di cui ai capi B, E, F e G, perche' estinti per prescrizione; quanto alle imputate (OMISSIS) e (OMISSIS), i giudici di secondo grado rideterminavano la pena a carico della prima, per il residuo capo C, nella misura di due anni, con riconoscimento della sospensione condizionale della pena e, quanto alla seconda, in ordine al residuo capo D, nella misura di anni due e mesi sei di reclusione; infine, in accoglimento dell'appello del P.M., veniva ordinata la confisca di quanto in sequestro fino all'ammontare della somma di 11.209.539 Euro e, per l'effetto, veniva disposta la restituzione del residuo agli aventi diritto. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. 2.1. (OMISSIS) ha sollevato quindici motivi. Con il primo, la difesa, premesso l'interesse della ricorrente a impugnare anche la declaratoria di prescrizione, in ragione della confisca su di essa fondata, deduce l'erronea applicazione della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, con riferimento alla statuizione della confisca, rispetto alla quale si osserva che la stessa non poteva essere disposta, non potendosi ritenere configurabile la fattispecie di cui al citato articolo 3, posto che la somma di 35,8 milioni di Euro ricevuta da (OMISSIS) asseritamente come provento di evasione fiscale, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, non doveva essere contabilizzata come reddito imponibile ai sensi della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, in quanto tale norma impone di considerare "reddito da illecito" non le somme che una societa' riceve da un soggetto che, in passato, aveva commesso degli illeciti, ma solo le somme che la societa' consegue direttamente da un illecito, situazione non verificatasi nel caso di specie, mancando la prova di un illecito che abbia generato il provento, avendo la (OMISSIS) ricevuto i fondi per effetto di un mezzo lecito, ossia un prestito obbligazionario, con conseguente difetto del presupposto oggettivo del tributo. Di qui l'errore di diritto della Corte di appello, che non ha considerato che la L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4 richiede un nesso di derivazione diretta tra l'attivita' illecita e il provento conseguito, non riguardando la norma ipotesi di attivita' lecite esercitate grazie alla commissione di un reato o al reimpiego di proventi delittuosi; i giudici di appello avrebbero quindi creato una norma nuova che non esiste nel nostro ordinamento e che peraltro sarebbe assurda, atteso che il reddito derivante da un'evasione fiscale non puo' essere ritenuto reddito effettivo, ma, al piu', risparmio di imposta. Dunque, escluso che le somme utilizzate per la sottoscrizione del prestito obbligazionario costituiscano un componente positivo di reddito, le stesse sono state correttamente contabilizzate quali passivita' finanziarie nel bilancio della (OMISSIS), per cui si chiede di annullare senza rinvio la declaratoria di estinzione per prescrizione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 con conseguente revoca della confisca, difettandone il reato che ne avrebbe giustificato l'adozione. Con il secondo motivo, e' di nuovo censurata la statuizione della confisca, sotto il profilo della carenza del presupposto soggettivo del tributo. Si evidenzia al riguardo che la somma di 35,8 milioni di Euro non era tassabile in capo alla (OMISSIS), in quanto il provento illecito doveva essere causalmente collegato all'illecito dichiarativo asseritamente commesso dalle persone fisiche. Ragionando diversamente, la Corte territoriale avrebbe violato la previsione di cui alla L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4 secondo cui puo' essere assoggettato a tassazione esclusivamente il soggetto cui puo' essere imputata, soggettivamente e oggettivamente, la fattispecie illecita, mirando la norma a colpire i proventi ricavati dall'autore dei fatti illeciti da cui gli stessi derivano, per cui, essendo riconducibili le infedelta' dichiarative alle persone fisiche, non potevano essere aggrediti i proventi di chi solo indirettamente ne ha beneficiato. L'identificazione del soggetto passivo di imposta sarebbe dunque avvenuta in violazione del principio di riserva di legge stabilito dall'articolo 23 Cost.. Con il terzo motivo, e' nuovamente censurata la statuizione della confisca, sotto il profilo dell'erronea identificazione dell'ambito temporale applicativo del tributo: si precisa che, in forza della L. n. 597 del 1993, articolo 14 i proventi di natura illecita devono essere tassati secondo gli ordinari canoni e principi disposti dal T.U.I.R., per competenza o per cassa, non essendo previste deroghe alle regole generali in tema di imputazione temporale, ribadendosi che le somme utilizzate per la sottoscrizione del prestito obbligazionario non costituiscono un componente positivo di reddito, atteso che, al momento della sottoscrizione del prestito, non e' emerso alcun provento illecito, che in ogni caso ricadrebbe solo sulle persone fisiche autrici dell'illecito, non potendosi in ogni caso traslare l'imposizione fiscale oltre il periodo in cui matura l'asserita evasione fiscale. Con il quarto motivo, si contesta il vizio di motivazione in relazione alla prova circa la sussistenza dell'attivita' illecita a monte, propedeutica all'applicazione della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4: si osserva al riguardo che la Corte di appello aveva individuato tre presunti illeciti da cui sarebbe stato generato il provento illecito della somma di 35,8 milioni di Euro, ossia: 1) la mancata dichiarazione in Italia dei ricavi prodotti da Marine Trade, sul presupposto che tale societa' fosse esterovestita; 2) le false fatturazioni effettuate nei confronti di (OMISSIS), che avrebbero consentito di trasferire consistenti fondi alle societa' uruguaiane; 3) le infedelta' dichiarative delle persone fisiche, che avrebbero omesso di specificare, nelle rispettive dichiarazioni, il possesso di fondi tramite le societa' uruguaiane. La motivazione della sentenza impugnata tuttavia sarebbe del tutto illogica, posto che, rispetto al primo punto, l'assunto della Corte di appello e' smentito dalla sentenza irrevocabile resa il 7 settembre 2017 dal Tribunale di Torre Annunziata, che ha assolto i componenti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) dal delitto di omessa dichiarazione ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 perche' il fatto non sussiste, non avendo i giudici di secondo grado spiegato le ragioni per cui hanno ritenuto di non condividere le conclusioni cui e' pervenuta tale pronuncia irrevocabile, fondata peraltro sul medesimo materiale probatorio. Ne' poteva ritenersi pertinente il richiamo della sentenza impugnata alle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dal coimputato Dott. (OMISSIS) di (OMISSIS), che in dibattimento si era avvalso della facolta' di non rispondere, non avendo gli altri imputati prestato il consenso all'utilizzabilita' delle dichiarazioni investigative nei loro confronti; quanto al secondo punto, si obietta che alcuna prova circa la presunta falsa fatturazione e' stata acquisita, per cui si sarebbe in presenza di un illecito del tutto inventato, non assumendo rilievo ne' le dichiarazioni del coimputato, ne' il ritrovamento dell'agenda, senza data ne' nome, sequestrata a (OMISSIS), a cio' aggiungendosi che le non identificate fatture di cui si discute risulterebbero emesse da societa' non residenti in Italia e dunque non soggette alla disciplina del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, non essendo soggetta al pagamento delle imposte previste dalla nostra legislazione neanche la (OMISSIS), che aveva sede effettiva in Lussemburgo dove pagava le tasse. Quanto al terzo aspetto, si precisa che le affermazioni circa le infedelta' dichiarative delle persone fisiche sono rimaste prive di supporto probatorio, tanto e' vero che la Procura della Repubblica non ha mai contestato tali condotte illecite, che al tempo delle indagini preliminari certamente non erano prescritte, fermo restando che gli imputati avevano aderito allo scudo fiscale di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, pagando tutte le imposte sostitutive. Con il quinto e il sesto motivo, tra loro sovrapponibili, e' stata eccepita la violazione dell'articolo 521 c.p.p., articoli 111 e 117 Cost. e articolo 6 par. A e B della C.E.D.U., in relazione al capo B, osservandosi che nel capo di imputazione sono state descritte tre distinte e alternative ipotesi ricostruttive rispetto all'origine dei 38,5 milioni di Euro che si assumono evasi: ora, il Tribunale, scartando le prime due ipotesi, riguardanti una cd. "partita di giro" e un presunto atto di liberalita', ha accolto apparentemente la terza tesi che qualificava il prestito obbligazionario alla stregua di una componente di ricavo, sviluppando al riguardo un articolato ragionamento, in forza del quale si e' sostenuto che i denari incamerati con il prestito obbligazionario avrebbe dovuto avere il trattamento fiscale di un provento da fatto illecito ex L. n. 597 del 1993, articolo 14, comma 4, con cio' enucleando una quarta ipotesi ricostruttiva, non oggetto dell'originaria imputazione, avendo cio' impedito alla difesa di esercitare i propri diritti, non potendo l'imputata conoscere i fatti contestati facendo riferimento al contenuto nel fascicolo processuale, atteso che l'ipotesi ricostruttiva circa l'asserita provenienza del denaro e' comparsa per la prima volta nella motivazione della sentenza del Tribunale, con evidente violazione del contraddittorio processuale. Con il settimo motivo, la difesa lamenta l'apparenza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha disconosciuto gli effetti penali premiali previsti dalla disciplina dello scudo fiscale, senza confrontarsi con le memorie a firma del prof. (OMISSIS) e dell'avvocato (OMISSIS) e senza tenere conto che la disciplina di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009 attribuisce rilevanza al luogo di detenzione delle attivita' oggetto di scudo, che nel caso di specie e' il Lussemburgo, dove avevano sede gli istituti di credito sui cui conti erano detenute le somme nella disponibilita' degli imputati, essendo invece del tutto irrilevante il luogo in cui aveva sede il soggetto giuridico meramente interposto. Tale impostazione interpretativa era stata del resto seguita in due sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie, ossia la sentenza n. 11728/29/2017 della Commissione Provinciale di Napoli e la sentenza n. 4081/22 della Commissione Regionale della Campania, in cui e' stato messo in risalto che la procedura di regolarizzazione era perfettamente conforme alla previsione di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, come interpretata dalla stessa Amministrazione finanziaria con la Circolare n. 43/E del 2009, che ha escluso che il luogo della detenzione delle attivita' da scudare, in caso di un soggetto con sede in un Paese della black list, potesse identificarsi con il luogo in cui era situato lo schermo societario, piuttosto che con il luogo di detenzione delle attivita'. Con l'ottavo motivo, si contesta il giudizio sull'elemento oggettivo del reato di cui Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 stante l'impossibilita' di applicare la legge italiana in materia di scritture contabili obbligatorie: la (OMISSIS), infatti, e' una societa' anonima che operava nel Granducato del Lussemburgo e che in Italia aveva solo un suo rappresentante fiscale, senza essere gravata da alcun obbligo di tenere le scritture contabili e di depositare il bilancio nel nostro Paese. Premesso che l'articolo 2214 c.c. non indica il bilancio tra le scritture contabili obbligatorie, la difesa sottolinea che la sentenza indica quali "bilanci" delle copie informi in lingua francese non tradotte, di cui non e' si sa ne' come ne' quando siano state acquisite, ne' se i dati in essi riportati abbiano valore fidefaciente, non essendo stato nominato un consulente per valutarne l'effettiva rilevanza. Con il nono motivo, la difesa, sempre rispetto al reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 deduce il difetto di motivazione rispetto a due temi, ossia la sussistenza del mezzo fraudolento e la natura del prestito obbligazionario emesso dalla (OMISSIS); in ordine al primo tema, si evidenzia che la societa' era sottoposta alla disciplina del Lussemburgo e non a quella dell'Italia, per cui alcun obbligo giuridico era ravvisabile in capo ad essa, tanto piu' che gli imputati gia' detenevano le somme presso le societa' uruguaiane, che peraltro avevano conti correnti in Lussemburgo, per cui non c'era alcun bisogno di far rientrare tali somme, apparendo del resto singolare un'evasione fiscale finalizzata a destinare delle somme, liberamente gestibili in Lussemburgo, facendole transitare da una societa' estera, con il quasi esclusivo scopo di finanziare la societa' armatoriale in Italia. In ogni caso, in assenza delle scritture contabili obbligatorie, mai acquisite ne' acquisibili, non essendo la (OMISSIS) obbligata a tenere un libro giornale italiano, alcun mezzo fraudolento sarebbe ravvisabile, occorrendo a tale fine un quid pluris che risulti in grado di ostacolare in maniera insidiosa l'accertamento. Quanto al secondo tema, si ribadisce la natura lecita del prestito obbligazionario emesso, avendo i giudici di merito ignorato la consulenza e la deposizione del Dott. (OMISSIS), che ha spiegato diffusamente la legittimita' dell'operazione e della sua reale finalita', peraltro confermata in alcuni documenti allegati al bilancio da parte di (OMISSIS), che certificano l'esigenza di finanziare la Rbd armatori per mancanza di liquidita', essendosi in presenza di una ragione economica lecita. Con il decimo motivo, si contesta l'attribuzione della condotta illecita di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 alla ricorrente, osservandosi che, soprattutto all'esito della assoluzione di tutti gli imputati dal reato associativo, la Corte di appello avrebbe dovuto illustrare l'apporto causale concorrente fornito alla commissione del fatto dalla ricorrente, mentre sul punto la sentenza impugnata non spende alcuna parola, limitandosi a far discendere automaticamente la prova della colpevolezza dalla sola intestazione del rapporto cartolare obbligazionario, senza alcun approfondimento circa eventuali condotte di supporto morale o materiale della (OMISSIS) rispetto al compimento del presunto evento illecito. Con l'undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo motivo, e' stata censurata la conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputata rispetto al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 oggetto di contestazione al capo D, rilevandosi che proprio la ricostruzione operata dalla Corte di appello, secondo cui le somme corrisposte dalla (OMISSIS) agli imputati con la falsa causale della parziale restituzione del prestito obbligazionario, esclude la sussistenza del reato, posto che, se le somme ricevute dalla ricorrente a titolo di rimborso del prestito altro non sono che quota parte degli utili dalla stessa ricevuti dalla (OMISSIS) nel periodo 2006-2008, il periodo di imposta in cui le stesse avrebbero dovuto essere assoggettate a tassazione attraverso le dichiarazioni annuali dei redditi, in ossequio al principio di autonomia stabilito dall'articolo 7 del Tuir, non poteva che essere il solo periodo nel quale tali utili erano stati percepiti, corrispondendo quest'ultimo al periodo nel quale era stato da questi prodotto il predetto reddito da capitale, essendo invece irrilevante, dal punto di vista della imposizione fiscale, il momento in cui parte di quel medesimo reddito sia materialmente tornato nella disponibilita' del contribuente, restando sempre unico il presupposto impositivo, costituito dalla percezione dei dividendi della (OMISSIS). Andava dunque escluso l'elemento oggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 non potendo le somme ricevute dall'imputata nel 2010 e nel 2011 essere considerate, ex articolo 7 e 163 del Tuir, elementi attivi di reddito da soggettare a tassazione nel periodo di imposta in cui sono state ricevute; la tesi sostenuta dai giudici di merito si traduce infatti in una violazione del divieto di doppia imposizione fiscale, in quanto i medesimi redditi da capitale verrebbero a essere tassati due volte, la prima negli anni 2006-2008, la seconda negli anni 2010-2011, non potendo attribuirsi a tali somme la natura di dividendo, posto che la loro distribuzione costituiva la restituzione di un finanziamento alla societa', la cui unica finalita' sarebbe stata quella di consentire all'imputata di rientrare nel possesso degli utili dalla stessa in precedenza maturati all'estero. Si evidenzia inoltre che la decisione del Tribunale e' stata fondata, in via esclusiva, su un'informativa della Guardia di Finanza, quella n. 0475306/13 del 3 ottobre 2013, mai acquisita, a differenza di quanto esposto dai giudici di primo grado, con il consenso delle parti, come risulta dallo stesso prospetto riassuntivo delle attivita' dibattimentali svolte, riportato a pag. 10 della sentenza del Tribunale. La questione e' stata ritualmente sottoposta alla Corte di appello, che tuttavia ha mancato di dare risposta all'eccezione difensiva, richiamandosi a richiamare un atto diverso, ossia il PVC del 24 giugno 2013, cui e' stato attributo un contenuto probatorio diverso da quello reale, posto che tale PVC e' stato emesso nei confronti della (OMISSIS) e non delle persone fisiche, il che spiega perche' nelle 52 pagine che lo compongono non vi e' alcun riferimento al contenuto delle dichiarazioni fiscali presentate dall'imputata, alla loro eventuale falsita', all'ammontare dell'imposta evasa e al presunto superamento delle soglie di punibilita' previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 tanto e' vero che poi la Corte di appello ha ricostruito la sussistenza dei predetti elementi costitutivi proprio sulla scorta del contenuto dell'informativa indebitamente utilizzata dal Tribunale, pur in assenza del consenso delle parti alla sua acquisizione. E' stato inoltre contestato il giudizio sulla configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, evidenziandosi che, relativamente alle somme percepite dalla (OMISSIS) s.a. e fiscalmente non dichiarate, l'imputata, nel 2009, ovvero nell'anno antecedente a quello in cui vi e' stato il parziale rimborso di quanto versato a titolo di sottoscrizione del prestito obbligazionario, fece ricorso alla procedura di scudo fiscale di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, e cio' anche con riferimento di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, e cio' anche con riferimento ai titoli obbligazionari emessi dalla (OMISSIS): avendo ella sanato l'omessa tassazione dei dividendi distribuiti della (OMISSIS) tra il 2006 e il 2008, in relazione agli utili ricevuti da tale societa', non vi era piu' alcun onere impositivo e dichiarativo da dover soddisfare al momento delle dichiarazioni fiscali contestate, dunque, le imputate non avevano motivo di nutrire dubbi sulla regolarita' delle dichiarazioni presentate il 15 dicembre 2009, tanto piu' che ben due Commissioni Tributarie (provinciale e regionale) avevano ritenuto legittima la procedura di scudo fiscale attivata dalla ricorrente, essendo avvenuto il disconoscimento dello scudo fiscale da parte dell'UCIFI solo il 26 giugno 2013, ossia dopo la presentazione delle dichiarazioni dei redditi in esame. Dunque, a difettare, nel caso di specie, prima ancora del dolo specifico, era il dolo generico, posto che l'imputata non poteva rappresentarsi di inoltrare una dichiarazione infedele, avendo ella corrisposto all'Erario la relativa imposta sostitutiva sull'intero controvalore delle obbligazioni sottoscritte. Ma in punto di elemento soggettivo, la motivazione della sentenza della Corte di appello sarebbe del tutto assente, nonostante l'espressa doglianza difensiva. Il quattordicesimo motivo e' dedicato al trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa sia del diniego delle attenuanti generiche, sia del discostamento della pena dal minimo edittale, sia della quantificazione dell'aumento per la continuazione, censurandosi la carenza di adeguata motivazione al riguardo, non avendo la Corte di appello tenuto conto della irreprensibile condotta processuale e della condizione di incensurata della (OMISSIS), che ha pagato il ruolo formale ricoperto all'interno della vicenda societaria, pur non avendo posto in essere condotte ideative, cooperative e rafforzative dell'asserita attivita' criminosa. Con il quindicesimo motivo, e' stata eccepita la violazione degli articolo 25 Cost., articolo 322 ter c.p., articolo 578 bis c.p.p., del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, della L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, con riferimento alla statuizione della confisca, rispetto alla quale si osserva che la Corte di appello ha aderito a un'impostazione contraria a quelle recepita delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 38678 del 29 settembre 2022, con cui e' stata esclusa la possibilita' di applicare retroattivamente la norma di cui all'articolo 578 bis c.p.p. in ipotesi di confisca per equivalente, trattandosi di disposizione di natura anche sostanziale, soggetta al divieto di retroattivita' di cui all'articolo 25 Cost.. 2.1.1. In data 21 giugno 2023 i difensori della ricorrente hanno fatto pervenire una memoria difensiva, con cui hanno proposto un motivo aggiunto, osservando che, nelle more del giudizio, in relazione al capo D, per cui e' intervenuta condanna a 2 anni e 6 mesi, e' maturata, in data 24 settembre 2022, la prescrizione del reato relativamente alla condotta riguardante la dichiarazione infedele presentata nel 2011 rispetto all'anno 2010; cio' comporterebbe il venir meno dell'aumento di 6 mesi per la continuazione interna, con conseguente rideterminazione della pena in 2 anni di reclusione, il che consente l'applicazione della sospensione condizionale della pena, peraltro gia' concessa alla coimputata (OMISSIS) e concedibile anche alla ricorrente, che e' incensurata e che ha avuto un ruolo marginale, come gia' argomentato nel quattordicesimo motivo. 2.2. (OMISSIS) ha sollevato quindici motivi. Con il primo, la difesa, ribadito anche in tal caso l'interesse a ricorrere avverso la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, deduce la violazione dell'articolo 25 Cost., articoli 2 e 322 ter c.p., articolo 578 bis c.p.p., del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, con riferimento alla statuizione della confisca, con argomenti sovrapponibili a quelli esposti nel quindicesimo motivo del ricorso di (OMISSIS), cui si rinvia. Il secondo e il terzo motivo, ripropongono, rispetto alla confisca disposta ai sensi dell'articolo 578 bis c.p.p., le analoghe considerazioni svolte dei primi due motivi del ricorso di (OMISSIS), alla cui esposizione si rimanda. Il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono, il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso censurano il giudizio sulla configurabilita' del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, con argomentazioni analoghe a quelle veicolate nei motivi da tre a dieci del ricorso di (OMISSIS), cui si rinvia. Con il dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo motivo di ricorso, la difesa contesta il giudizio sulla configurabilita' del reato ex articolo 4 del Decreto Legislativo cit., con argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle dedotte con i motivi da undici a tredici del ricorso di (OMISSIS), alla cui trattazione si rinvia. Il quindicesimo motivo e' infine dedicato al trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa sia del diniego delle attenuanti generiche, sia del discostamento della pena dal minimo edittale, censurandosi la carenza di adeguata motivazione al riguardo, non avendo la Corte di appello tenuto conto della irreprensibile condotta processuale e della condizione di incensurata della (OMISSIS), che ha pagato il ruolo formale ricoperto all'interno della vicenda societaria, pur non avendo posto in essere condotte ideative, cooperative e rafforzative dell'asserita attivita' criminosa. 2.3. (OMISSIS) ha sollevato quattordici motivi. Con il primo, la difesa ha innanzitutto rimarcato l'interesse a impugnare del ricorrente pur in presenza di una declaratoria di estinzione del reato, in ragione sia della disposta confisca, sia dell'interesse a ottenere una pronuncia favorevole da far valere nel parallelo contenzioso civile e tributario. Con il secondo motivo, si contesta, rispetto al giudizio sulla sussistenza del reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 l'erronea identificazione del presupposto oggettivo del tributo, osservandosi che, nel caso di specie, mancano i requisiti applicativi della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4 mancando la prova di un illecito che abbia generato il provento, avendo in ogni caso la (OMISSIS) ricevuto i fondi indicati nell'imputazione per effetto di un mezzo lecito, ossia un prestito obbligazionario, avendo la Corte di appello operato una interpretazione del citato articolo 14 valida solo in una prospettiva de iure condendo, posto che tale norma, ragionando de iure condito, richiede un nesso di derivazione diretta, non ravvisabile nel caso di specie, tra l'attivita' illecita e il provento conseguito, dovendo cioe' il provento provenire da un evento connotato da intrinseca illiceita', a nulla rilevando il successivo utilizzo del provento illecito. Con il terzo motivo, si censura, sempre in ordine al giudizio sulla configurabilita' del reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 l'erronea identificazione del presupposto soggettivo del tributo, con argomentazioni sovrapponibili a quelle esposte nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), alla cui trattazione pertanto si rimanda. Con il quarto motivo, e' stata dedotta, in relazione alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 l'erronea identificazione dell'ambito applicativo del tributo, osservandosi che, in forza della L. n. 597 del 1993, articolo 14 i proventi di natura illecita devono essere tassati secondo gli ordinari canoni e principi disposti dal T.U.I.R., per competenza o per cassa, non essendo previste deroghe alle regole generali in tema di imputazione temporale, per cui l'asserita evasione realizzata dalle persone fisiche per le annualita' 2006-2008, unico evento genetico che potrebbe aver determinato il possesso del provento da reato di evasione, determina e segna in modo inderogabile anche l'imputazione temporale del provento in quello stesso periodo in cui si e' realizzata l'evasione. Cio' non consente quindi di "traslare" l'imposizione oltre tale periodo di riferimento, per il solo fatto che la disponibilita' sia stata asseritamente conseguita da (OMISSIS) per effetto del prestito obbligazionario in anni successivi, per cui si ribadisce che le somme utilizzate per la sottoscrizione del prestito obbligazionario non costituiscono un componente positivo di reddito. Con il quinto motivo, la difesa lamenta l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 e il difetto di motivazione della sentenza impugnata rispetto alla valutazione della sentenza emessa dal giudice monocratico di Torre Annunziata e divenuta irrevocabile, con la quale gli imputati sono stati assolti dal reato di cui Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 del contestato in relazione alla vicenda (OMISSIS), avendo la Corte di appello eluso la previsione di cui all'articolo 238 bis c.p.p., non richiamando alcuno degli argomenti utilizzati dal giudice per assolvere i medesimi imputati, per fatti storici sostanzialmente identici, disponendo peraltro di una piattaforma indiziaria ancor piu' vasta. La sentenza impugnata avrebbe quindi mancato di confrontarsi con la puntuale ricostruzione operata nella pronuncia del giudice monocratico, nella quale e' stata esclusa la cd. esterovestizione, evidenziandosi che la (OMISSIS) operava non in Italia ma in Lussemburgo e precisandosi che, in ogni caso, non era emersa la prova del concorso morale degli imputati con l'unico possibile autore materiale del reato, ovvero (OMISSIS), amministratore di diritto della (OMISSIS). Con il sesto motivo, e' stato eccepito il vizio di motivazione rispetto alla prova circa la sussistenza dell'attivita' illecite a monte a fine di poter applicare la disposizione di cui alla L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, con considerazioni del tutto speculari a quelle formulate nel quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), alla cui esposizione pertanto si rinvia. Il settimo e l'ottavo motivo criticano, con argomenti tra loro sovrapponibili, la violazione del principio di diritto inerente la liceita' di contestazioni alternative nella formulazione dell'imputazione, rilevandosi in proposito che il primo giudice, rispetto alle tre ipotesi alternative indicate nel capo di imputazione circa la qualificazione del prestito obbligazionario che ne giustificava la tassazione (atto di liberalita', sopravvenienza attiva o plusvalenza tassabile ex articolo 88 del Tuir), ha enucleato una quarta ipotesi ricostruttiva, non oggetto dell'originaria imputazione, affermando che il prestito obbligazionario avrebbe dovuto avere il trattamento fiscale di un provento da fatto illecito ex L. n. 597 del 1993, articolo 14, comma 4, avendo tale ricostruzione, distonica con la contestazione, impedito alla difesa di esercitare i propri diritti, non potendo l'imputata conoscere i fatti contestati facendo riferimento al contenuto nel fascicolo processuale, atteso che l'ipotesi ricostruttiva circa l'asserita provenienza del denaro e' comparsa per la prima volta nella motivazione della sentenza del Tribunale, con evidente violazione del contraddittorio processuale. Con il nono motivo, oggetto di censura e' l'erronea interpretazione del Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis (cd. scudo fiscale ter), risultando le doglianze difensive coincidenti con quelle operate nel settimo motivo del ricorso di (OMISSIS), alla cui esposizione si fa pertanto rinvio. Con il decimo motivo, e' stato eccepito il difetto di giurisdizione ex articolo 20 c.p.p., evidenziandosi che, ai fini della sussistenza del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, era necessario che la dichiarazione fiscale fraudolenta trovasse il proprio fondamento in una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, scritture non esigibili dalla (OMISSIS), societa' anonima che operava nel Granducato del Lussemburgo, Paese a fiscalita' privilegiata, nel quale non trovano applicazione la legge italiana in materia di bilanci e scritture contabili obbligatorie, per cui la societa' non era affatto tenuta a detenere tali documenti, dovendosi quindi ritenere che fosse precluso ai poteri del giudice italiano accertare l'eventuale falsita' di un bilancio estero, e cio' senza considerare che i presunti bilanci acquisiti non sono stati ne' tradotti, ne' fatti oggetto di adeguata verifica tecnica al fine di valutane la rilevanza ai fini del reato contestato. L'undicesimo motivo, avente ad oggetto la violazione di legge e il difetto di motivazione rispetto alla sussistenza del mezzo fraudolento e alla natura del prestito obbligazionario emesso dalla (OMISSIS), si articola nella proposizione dei medesimi argomenti del nono motivo del ricorso di (OMISSIS), per cui si rinvia sul punto all'esposizione gia' illustrata in precedenza. Con il dodicesimo motivo, si contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione in punto di concorso di persone nel reato proprio e della violazione di legge, l'attribuzione della condotta illecita di cui Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 al ricorrente, osservandosi che, soprattutto all'esito della assoluzione di tutti gli imputati dal reato associativo, la Corte di appello avrebbe dovuto illustrare l'apporto causale concorrente fornito alla commissione del fatto dal ricorrente, mentre sul punto la sentenza impugnata non spende alcuna parola, limitandosi a far discendere automaticamente la prova della colpevolezza dalla sola intestazione del rapporto cartolare obbligazionario, senza alcun approfondimento circa eventuali condotte di supporto morale o materiale di (OMISSIS) rispetto al compimento del presunto evento illecito. Con il tredicesimo motivo, e' stato censurato il giudizio sulla configurabilita' del reato di cui all'articolo 640 c.p. contestato al capo E, dichiarato prescritto, rilevandosi che proprio la ricostruzione operata dalla Corte di appello, secondo cui le somme corrisposte dalla (OMISSIS) agli imputati con la falsa causale della parziale restituzione del prestito obbligazionario, esclude la sussistenza del reato, posto che, se le somme ricevute dalla ricorrente a titolo di rimborso del prestito altro non sono che quota parte degli utili dalla stessa ricevuti dalla (OMISSIS) nel periodo 2006-2008, il periodo di imposta in cui le stesse avrebbero dovuto essere assoggettate a tassazione attraverso le dichiarazioni annuali dei redditi, in ossequio al principio di autonomia stabilito dall'articolo 7 del Tuir, non poteva che essere il solo periodo in cui tali utili erano stati percepiti, corrispondendo quest'ultimo al periodo nel quale era stato da questi prodotto il predetto reddito da capitale, essendo invece irrilevante, dal punto di vista della imposizione fiscale, il momento in cui parte di quel medesimo reddito sia materialmente tornato nella disponibilita' del contribuente, restando sempre unico il presupposto impositivo, costituito dalla percezione dei dividendi della (OMISSIS). Non era in ogni caso configurabile il delitto di truffa ai danni dello Stato, difettando innanzitutto l'elemento oggettivo, atteso che nessuna sottrazione di imposta veniva realizzata dall'imputato, il quale non aveva alcun obbligo dichiarativo rispetto alle somme a lui distribuite a titolo di parziale rimborso del prestito obbligazionario corrisposto a (OMISSIS), non concorrendo le remunerazioni di partecipazioni non qualificate alla formazione del reddito. Parimenti carente era inoltre l'elemento soggettivo del reato, avendo (OMISSIS) aderito alla procedura del cd. scudo fiscale ter, sanando l'omessa tassazione. A cio' si aggiunge che, come precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1235 del 28/10/2010 (Rv. 248865), sussiste un rapporto di specialita' tra i reati tributari e il reato di truffa, avendo il sistema sanzionatorio in materia fiscale un spiccata specialita' che lo caratterizza come sistema chiuso e autosufficiente, al cui interno si esauriscono tutti gli interventi repressivi delle condotte lesive, anche potenzialmente, dell'interesse dello Stato alla percezione dei tributi. Con il quattordicesimo motivo, e' stata eccepita la violazione degli articolo 25 Cost., 2 e articolo 322 ter c.p., articolo 578 bis c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, con riferimento alla statuizione della confisca, rispetto alla quale si osserva che la Corte di appello ha aderito a un'impostazione contraria a quella recepita delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 38678 del 29 settembre 2022, con cui e' stata esclusa la possibilita' di applicare retroattivamente la norma di cui all'articolo 578 bis c.p.p. in ipotesi di confisca per equivalente, trattandosi di disposizione di natura anche sostanziale, soggetta al divieto di retroattivita' di cui all'articolo 25 Cost.. 2.4. (OMISSIS) e (OMISSIS), nei loro autonomi ma coincidenti ricorsi, a firma dei medesimi difensori, hanno sollevato nove motivi ciascuno. Con il primo motivo, la difesa, rimarcato in premessa l'interesse dei ricorrenti a proporre l'impugnazione, ha dedotto la violazione degli articolo 25 Cost., 2 e articolo 322 ter c.p., articolo 578 bis c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, con riferimento alla statuizione della confisca, rispetto alla quale si osserva che la Corte di appello ha aderito a un'impostazione contraria a quella recepita delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 38678 del 29 settembre 2022, con cui e' stata esclusa la possibilita' di applicare retroattivamente la norma di cui all'articolo 578 bis c.p.p. in caso di confisca per equivalente, trattandosi di disposizione di natura anche sostanziale, soggetta al divieto di retroattivita' di cui all'articolo 25 Cost.. Con il secondo motivo, oggetto di doglianza e' l'erronea identificazione dei presupposti oggettivi e soggettivi della norma extrapenale di cui alla L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, nonche' dell'ambito temporale di applicazione della norma citata, proponendo le censure difensive i temi gia' illustrati in relazione della disamina del ricorso di (OMISSIS) (motivi uno, due e tre), alla cui esposizione si fa rinvio. Con il terzo motivo, la difesa eccepisce il vizio di motivazione rispetto alla prova circa la presunta attivita' illecita "a monte", con argomenti speculari a quelli indicati nel quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), cui si rimanda. Il quarto motivo concerne l'inosservanza dell'articolo 521 c.p.p. e la violazione del principio di diritto riguardante la liceita' delle contestazioni alternative, rilevandosi che il primo giudice, rispetto alle tre ipotesi alternative indicate nel capo di imputazione circa la qualificazione del prestito obbligazionario che ne giustificava la tassazione (atto di liberalita', sopravvenienza attiva o plusvalenza tassabile ex articolo 88 del Tuir), ha enucleato una quarta ipotesi ricostruttiva, non oggetto dell'originaria imputazione, affermando che il prestito obbligazionario avrebbe dovuto avere il trattamento fiscale di un provento da fatto illecito ex L. n. 597 del 1993, articolo 14, comma 4, avendo tale ricostruzione, distonica con la contestazione, impedito alla difesa di esercitare i propri diritti, non potendo l'imputata conoscere i fatti contestati facendo riferimento al contenuto nel fascicolo processuale, atteso che l'ipotesi ricostruttiva circa l'asserita provenienza del denaro e' comparsa per la prima volta nella motivazione della sentenza del Tribunale, con evidente violazione del contraddittorio processuale non rilevata dalla Corte di appello. Con il quinto motivo, la difesa contesta l'erronea interpretazione del Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis (cd. scudo fiscale ter) e il vizio di motivazione, rimandandosi sul punto al settimo motivo del ricorso di (OMISSIS), risultando del tutto sovrapponibili le censure formulate. Con il sesto motivo, si sostiene l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 per l'impossibilita' di applicare la legge italiana in tema di scritture contabili obbligatorie, facendosi rinvio a tal caso, stante la comunanza anche lessicale degli argomenti difensivi, all'esposizione dell'ottavo motivo del ricorso di (OMISSIS). Con il settimo motivo, si deduce l'erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione rispetto alla sussistenza del mezzo fraudolento e alla natura del prestito obbligazionario emesso dalla (OMISSIS), con argomenti del tutto sovrapponibili a quelli del nono motivo del ricorso di (OMISSIS), per cui si rinvia sul punto all'esposizione gia' illustrata in precedenza. Con l'ottavo motivo, si contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione in punto di concorso di persone nel reato proprio e dell'erronea applicazione degli articolo 81 e 110 c.p., l'attribuzione della condotta illecita di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 ai ricorrenti, osservandosi che, soprattutto all'esito della assoluzione di tutti gli imputati dal reato associativo, la Corte di appello avrebbe dovuto illustrare l'apporto causale concorrente fornito alla commissione del fatto dai ricorrenti, mentre sul punto la sentenza impugnata non spende alcuna parola, limitandosi a far discendere automaticamente la prova della colpevolezza dalla sola intestazione del rapporto cartolare obbligazionario, senza alcun approfondimento circa eventuali condotte di supporto morale o materiale di (OMISSIS) e (OMISSIS) rispetto al compimento del presunto evento illecito. Con il nono motivo, e' stato censurato il giudizio sulla configurabilita' del reato di cui all'articolo 640 c.p. contestato ai capi E e G e dichiarato prescritto, rilevandosi che la vicenda in esame non puo' rientrare nello schema della truffa aggravata ai danni dello Stato, difettandone i presupposti oggettivi e soggettivi. Si sottolinea in proposito che l'erogazione delle somme all'imputato sotto forma di rimborso del prestito obbligazionario mai avrebbe potuto essere finalizzata a evadere il pagamento delle imposte sui dividendi, posto che gli imputati avevano gia' regolarizzato la propria posizione rispetto al Fisco, attraverso il pagamento della sanzione straordinaria prevista dal Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis per cui in capo ai ricorrenti non vi era alcuna rappresentazione della condotta illecita contestata, fermo restando che le somme ricevute a titolo di rimborso del prestito obbligazionario non dovevano essere tassate in quanto partecipazioni non qualificate, non concorrendo la remunerazione delle stesse alla formazione del reddito. A cio' si aggiunge che, come precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1235 del 28/10/2010 (RV.248865), sussiste un rapporto di specialita' tra i reati tributari e il reato di truffa avendo il sistema sanzionatorio in materia fiscale un'elevata specialita' che lo caratterizza come sistema chiuso e autosufficiente, al cui interno si esauriscono gli interventi repressivi delle condotte lesive dell'interesse dello Stato alla percezione dei tributi. 2.5. (OMISSIS) ha sollevato due motivi. Con il primo, e' stata eccepita l'erronea applicazione dell'articolo 578 bis c.p.p. in relazione alla disposta confisca per equivalente, richiamandosi in tal senso la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte del 29 settembre 2022, che ha sancito la natura anche sostanziale della previsione di cui all'articolo 578 bis c.p.p., che dunque e' soggetta al divieto di retroattivita' ex articolo 25 Cost.. Con il secondo motivo, e' stato censurato il giudizio sulla sussistenza del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 rilevandosi che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che la somma di 35,8 milioni di Euro ricevuta dalla (OMISSIS) costituisse un provento illecito tassabile in forza della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, che e' invece una norma di chiusura, finalizzata solo a evitare una diseguaglianza di sistema, ma non a creare una nuova fattispecie impositiva, essendo la ratio legis quella di assicurare che le attivita' illecite scontino le imposte al pari di quelle lecite, ma senza per questo voler infliggere al privato l'ablazione prima e la tassazione poi, per cui la disposizione di cui al citato articolo 14 non puo' essere utilizzata per creare anomale forme impositive rispetto a manifestazioni di ricchezza che scontano a monte l'imposizione o comunque la subiscono diversamente; dunque, nel caso di specie, (OMISSIS) non era tenuta a dichiarare una sopravvenienza per via del prestito obbligazionario, non costituendo questo un provento illecito altrimenti non imponibile, trattandosi invece di una provvista in realta' lecita, frutto dell'attivita' di impresa di (OMISSIS) che, semmai, avrebbe dovuto essere tassata in capo a quest'ultima secondo le regole ordinarie di tassazione del reddito di impresa, non essendo in ogni caso imputabile alla (OMISSIS) la capacita' contributiva sottesa alla somma di 35,8 milioni di Euro. CONSIDERATO IN DIRITTO Sono meritevoli di accoglimento, nei limiti che saranno di seguito esposti, le doglianze in punto di confisca, da cio' conseguendo sia l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in parte qua, sia la declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati rispettivamente ascritti al capo C a (OMISSIS) e al capo D a (OMISSIS), con riferimento a quest'ultima nei termini e con le conseguenze che saranno piu' avanti illustrate, risultando invece gli ulteriori motivi di ricorso inammissibili perche' manifestamente infondati. 1. In via preliminare, occorre premettere che, nei confronti dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello, oltre ad assolverli (al pari di (OMISSIS) e (OMISSIS)) dal reato associativo perche' il fatto non sussiste, ha dichiarato estinti perche' prescritti gli ulteriori reati per cui gli stessi erano stati condannati in primo grado, declaratoria di prescrizione che ha riguardato, rispetto al solo capo B, anche le ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), condannate solo per il reato di cui al al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, loro rispettivamente ascritto ai capi C e D. Va altresi' premesso che nessuno dei sei ricorrenti ha rinunciato alla prescrizione. Cio' impone di circoscrivere l'ambito di valutazione delle censure dagli stessi sollevate in punto di responsabilita', dovendosi richiamare la costante e condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 18069 del 20/01/2022, Rv. 283131, Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Rv. 275219 e Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, Rv. 274200), secondo cui, in tema di impugnazioni, l'imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e' tenuto, a pena di inammissibilita', a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilita' in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, affinche' possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, ponendosi cosi' rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata. Peraltro, gia' le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244275, ricorrente Tettamanti, hanno chiarito che la pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, e' consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento. In quest'ottica, le Sezioni Unite hanno affermato che il controllo demandato al giudice deve appartenere piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento". In definitiva, l'evidenza richiesta dal menzionato articolo 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verita' processuale talmente chiara e obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione a un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, per cui la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato, ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. Ne consegue che, allorche' le emergenze processuali siano tali da condurre a diverse interpretazioni tutte logicamente corrette, l'omesso proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. non puo' venire in considerazione come violazione di legge, ne' l'eventuale vizio di difetto di motivazione e' deducibile in cassazione, poiche' l'inevitabile rinvio al giudice di merito sarebbe incompatibile con l'obbligo di declaratoria immediata della causa estintiva del reato. 2. Alla luce di tali premesse interpretative, le doglianze difensive in punto configurablilita' dei reati per i quali e' intervenuta la declaratoria di estinzione per prescrizione, devono ritenersi tutte inammissibili, non tanto perche' non sia ravvisabile un interesse a impugnare in capo agli imputati, ma piuttosto perche' non sono configurabili nel caso di specie elementi idonei a escludere, con il necessario grado di evidenza richiesto dall'articolo 129 c.p.p., comma 2, la sussistenza dei fatti e la commissione degli stessi da parte dei ricorrenti. 3. Occorre innanzitutto evidenziare che la Corte di appello, nello sviluppare maniera adeguatamente critica il ragionamento logico-giuridico della sentenza di primo grado, non ha mancato ai confrontarsi con le censure ad essa devolute, superandole con argomentazioni non manifestamente illogiche. 3.1. Cio' e' avvenuto, innanzitutto, in relazione alla conferma del giudizio sulla configurabilita' del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 (capo B, ascritto a tutti e sei i ricorrenti), avente ad oggetto l'indicazione, nella dichiarazione annuale 2010 riguardante l'anno di imposta 2009, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, essendo l'imposta evasa pari a eviro 10.194.855 e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti al'imposizione superiore al 5% dell'importo totale degli elementi attivi indicati in dichiarazione e comunque superiore a un milione di Euro; tale risultato e' stato conseguito sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili e, in particolare, mediante l'indicazione della somma pari a Euro 37.072.200, come una passivita' derivante dall'emissione obbligazionaria del 29 dicembre 2008 e gia' come cementi attivi riconducibili: o a utili extra-contabili accantonati presso le societa' uruguaiane (OMISSIS) e (OMISSIS); o a sopravvenienze attive, in quanto somma trasferita alla (OMISSIS) e oggetto di rinuncia al credito da parte di un soggetto non socio, corre atto di liberalita'; o ancora a ricavi non tassati, prodotti dalla societa' lussemburghese (OMISSIS), effettivamente operante in Italia. Ora, rispetto al tenore dell'imputazione, che contiene una triplice spiegazione alternativa circa l'origine della somma evasa, la Corte di appello ha ragionevolmente escluso la violazione dell'articolo 521 c.p.p., richiamando modo pertinente l'affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007" dep. 2008, Rv. 238636; Sez. 4, n. 10109 del 22/01/2007, Rv. 236107Sez. 5, n. 38245 del 18/03/2004, Rv. 230373), secondo cui, in presenza di una condotta dell'imputato tale da richiedere un approfondimento dell'attivita' dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, e' legittima la contestazione, nei decreto che dispone il giudizio, di imputazioni alternative, sia nel senso ci piu' reati, sia di fatti alternativi, in quanto tale metodo risponde a un'esigenza della difesa, posto che l'imputato e' messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si sviluppera' il dibattito processuale. In sintonia con tale impostazione ermeneutica, e' stato cosi' evidenziato (pag. 29 della sentenza impugnata) che gli imputati sono stati posti nella condizione di interloquire su ogni aspetto della vicenda, articolando, mediante la loro difesa tecnica, gli argomenti volti a provare l'infondatezza delle prime due ipotesi ricostruttive, avendo il Tribunale accolto la terza tesi, in ordine alla quale gli imputati hanno potuto comunque dispiegare le proprie facolta' difensive, per cui alcuna violazione dell'articolo 521 c.p.p. e' stata ritenuta sussistente, essendosi in senso correttamente ricordato il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 24753 dei 16/04/2007, Rv. 237338), che va riaffermato, secondo cui e' abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiari la nullita' del decreto che dispone il giudizio e disponga la contestuale trasmissione degli atti al P.M., ravvisando l'indeterminatezza delle imputazioni formulate attraverso la tecnica delle "contestazioni alternative", poiche' anche in tal caso l'indicazione delle condotte ascritte all'imputato e' precisa, ed e' facolta' del Giudicante escludere l'una o l'altra, od anche entrambe le ipotesi. 3.2. Anche rispetto al tema, su cui si sono molto soffermati i ricorsi, relativo all'applicazione della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, le risposte fornite dalla sentenza impugnata alle obiezioni difensive risultano appropriate. Deve premettersi che, in punto di fatto, e' stato accertato che, quando il mercato in cui operava la (OMISSIS) subi' una flessione, le ingenti somme di denaro (almeno 117 milioni di Euro) guadagnate dalla (OMISSIS), societa' costituita al fine stipulare contratti derivati, di cui era amministratore unico (OMISSIS), furono trasferite e accantonate presso le societa' uruguaiane (OMISSIS) e (OMISSIS). Tali somme, secondo i giudici di merito, erano da considerare come utile extracontabile prodotto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e dalle sorelle (OMISSIS), atteso che, successivamente, la (OMISSIS) trasferi' le somme provenienti dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) per l'emissione del presito obbligazionario emesso il 29 dicembre 2008 per l'importo di 37.072.200 Euro, risultando le obbligazioni emesse dalla (OMISSIS) intestate, su indicazione della (OMISSIS), a (OMISSIS), ai (OMISSIS) e alle (OMISSIS). Orbene, la Corte di appello (pag. 31 ss. della pronuncia gravata), nel condividere la ricostruzione operata dal primo giudice, ha rimarcato la rilevanza reddituale delle somme elative ai ricavi non tassati prodotti dalla (OMISSIS) e trasferiti dai singoli soci, componenti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), alla (OMISSIS), attraverso le box companies uruguaiane. Condivisa invero l'irrilevanza reddituale, gia' sottolineata dal Tribunale, dell'operazione (OMISSIS), avente ad oggetto la somma di 1.221.000 Euro, i giudici di secondo grado hanno osservato che invece la somma di 117 milioni di Euro, di cui 35,8 milioni confluiti alla (OMISSIS) dalla (OMISSIS) attraverso i bonifici effettuati dal 6 maggio al 22 dicembre 2009, era certamente da qualificare come profitto illecito, trattandosi reddito sottratto illecitamente all'imposizione fiscale delle persone fisiche tenute a dichiarare al Fisco gli utili loro distribuiti dalla (OMISSIS). E' infatti emerso che le societa' schermo uruguayane avevano quale unica finalita' quella di ricevere il denaro, per cui, stante la natura meramente fittizia delle box companies che non svolgevano alcuna attivita' produttiva di beni o servizi, evidentemente le rimesse provenienti dalla (OMISSIS) non potevano che fondarsi su operazioni inesistenti, circostanza questa del resto emersa anche dal contenuto dell'agenda sequestrata al ricorrente (OMISSIS), agenda nella quale si faceva univoco riferimento a fatture per operazioni inesistenti. Tali somme rappresentavano inoltre, secondo i giudici di merito, il provento anche di un illecito di carattere amministrativo, in quanto il trasferimento delle stesse alle societa' uruguayane era avvenuto in violazione delle disposizioni del Decreto Legge n. 167 del 1990, convertito dalla L. n. 227 del 1990 ("Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori"). E' stato in tal senso precisato nella decisione gravata (pag. 33) che, in tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, ove derivanti da frodi fiscali, qualora non classificabili nelle categorie reddituali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 6, comma 1, vanno comunque considerati come redditi diversi di cui agli articolo 67 ss. del T.U.I.R., sebbene non ricompresi nella relativa eencazione. A tal fine e' stato richiamato la L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, secondo cui "nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attivita' qualificabili come illecito civile" penale o amministrativo se non gia' sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria", E' stata altresi' richiamata dai giudici di appello la previsione di cui al al Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 36, comma 34 bis, (recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), decreto convertito dalla L. n. 248 del 2006, secondo cui" "in deroga alla L. 27 luglio 2300, n. 212, articolo 3 la disposizione di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 14, comma 4 si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano dassificabili nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono comunque considerati come redditi diversi". E' stato dunque evidenziato dalla Corte territoriale che, con tale norma, costituente interpretazione autentica della L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, e' stato introdotto il principio, di carattere generale, della tassabilita' dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e dunque, dalla sussumibilita' della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui all'articolo 6 del T.U.I.R. ("redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa e redditi diversi"), venendo dunque in rilievo la previsione residuale dei redditi diversi. Del resto, e' stato sottolineato che in quest'ultima previsione e' riconducibile anche l'ipotesi di un passaggio di disponibilita' economica di somme tra due soggetti, nella mancata osservanza di ogni previsione di onere fiscale, cio' in coerenza con quanto affermato dalla giurisprudenza della Sezione Tributaria di questa Corte (cfr. Sez. 5 n. 2224 del 02/02/2021, Rv. 660447 - 02), secondo cui, in tema di redditi di impresa, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37 bis, ora sostituito dalla L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, non contiene un'elencazione tassativa delle fattispecie abusive, ma costituisce una norma aperta, la quale trova applicazione, alla stregua del generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, in presenza di una o piu' costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l'imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali. La Corte di appello, riprendendo e sviluppando le considerazioni gia' svolte dal Tribunale (pag. 23 ss. della sentenza di primo grado), ha dunque evidenziato che l'obiettivo della citata L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, e' quello di evitare che, ove sequestro e confisca non abbiano possibilita' di operare (la norma fa salvo il caso in cui il provento illecito abbia formato oggetto di sequestro o confisca), si realizzi la paradossale situazione per cui redditi normalmente assoggettati a tassazione, in quanto provenienti da attivita' espressive di capacita' contributiva, ne vadano esenti, perche' quelle stesse attivita' sono state connotate da illiceita', cio' in palese violazione del principio di uguaglianza rispetto alla stessa capacita' contributiva; ne discende che, ove il reddito derivi da un'attivita' soggetta a una qualche forma di tassazione, l'illiceita' cne eventualmente la caratterizzi, mentre non impedira' di applicare quella tassazione, non ne aggiungera' di nuove, ne' modifichera' l'imposta applicabile, proprio perche' lo scopo dell'articolo 14, comma 4 non e' quello sanzionatorio, ma solo quello di evitare il crea.-si di indebite sacche di ricchezza e conseguenti aree di immunita', da cio' scaturendo la conseguenza, gia' illustrata dal Tribunale (pag. 30 della decisione di primo grado) che le somme provento di attivita' illecita che non sono state dichiarate costituiscono componente attivita' del reddito e vanno sottoposte a tassazione nel momento in cui emergono, a prescindere dal periodo d'imposta in cui il provento sarebbe stato imponibile. Cio' posto i giudici di appello, nel confrontarsi con le obiezioni difensive, hanno operato una corretta applicazione del principio affermato dalla giurisprudenza tributaria di questa Corte (Sez. 5, n. 19936 del 23/09/2020, non mass.), secondo cui L. n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4, della richiede un nesso causale tra l'illecito e il provento, ma, una volta che tale nesso sia dimostrato, secondo il criterio della regolarita' causale, non fa distinzioni di tipo quantitativo e impone di sottoporre a tassazione l'intero provento; tanto premesso, e' stato ricordato che, nella vicenda in esame, le societa' coinvolte (ossia la (OMISSIS) e la (OMISSIS)), risultate pacificamente riferibili ai ricorrenti, membri della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), hanno prodotto il reddito costituente la provvista con cui veniva pagato il prestito emesso dalla (OMISSIS), anche essere riferibile agli imputati. Dunque la successiva rinuncia al credito da parte della (OMISSIS), con intestazione delle obbligazioni ai soci componenti del gruppo armatoriale, si configurava come operazione causalmente collegata all'illecito fiscale produttivo di proventi per gli imputati, essendo evidente che l'emissione del prestito obbligazionario deliberata dal (OMISSIS) il 29 dicembre 2008 per la somma di Euro 37.072.200, lungi dal fondarsi su valide ragioni economiche, aveva come unico scopo quello di consentire il rientro degli utili distribuiti dalla (OMISSIS) negli anni 2005-2008, accantonati sui conti delle box companies uruguaiane, mai dichiarati al Fisco. Le somme in questione sono quindi divenute tassabili nel momento e nell'anno di imposta in cui sono entrate nel patrimonio della (OMISSIS)" attraverso la sottoscrizione del prestito obbligazionario erogato con la liquidita' fatta transitare dal 6 maggio al 22 dicembre 2009 dalla societa' schermo (OMISSIS), non rilevando il fatto che tale reddito fosse il frutto della precedente evasione fiscale degli imputati. L'importo di 35,8 milioni di Euro, classificabile quale provento derivante da illecito penale e amministrativo e non sottoposto a confisca o sequestro penale, doveva essere indicato pertanto dalla (OMISSIS) nella dichiarazione annuale 2010 per l'anno fiscale 2009 non come passivita', ma come elemento attivo di reddito, riconducibile a ricavi non tassati prodotti dalla (OMISSIS), societa' risultata nella disponibilita' degli appartenenti alla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), i quali sono stati conseguentemente ritenuti tutti compartecipi (nonche' beneficiari) dell'iniziativa fraudolenta, al pari di (OMISSIS), rappresentante fiscale della (OMISSIS), nonche' firmatario della dichiarazione fiscale relativa all'anno di imposta 2009. Nell'ottica del giudizio sulla configurabilita' del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 oggetto del capo B dichiarato prescritto dalla Corte di appello, l'emissione del prestito obbligazionario (con la successiva rinuncia al credito) e' stata considerata un mezzo fraudolento, essendosi in presenza di una condotta connotata da particolare insidiosita', volta a ostacolare l'accertamento della falsita' contabile, risultando tale valutazione coerente con l'affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 2292 del 22/11/2012, dep. 2013, Rv. 254136), secondo cui, in tema di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 3), per la realizzazione del mezzo fraudolento, e' necessaria la sussistenza c; un "quid pluris" rispetto alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligatorie e, cioe', una condotta connotata da particolare insidiosita' derivante dall'impiego di artifici idonei a ostacolare l'accertamento della falsita' contabile, quale appunto e' stata ritenuta quella in esame, essendo stato sottolineato in tal senso che il disvelamento della condotta illecita de qua ha richiesto l'intervento sincrono di diversi Uffici (tra i quali la Guardia di Fnanza, il Nucleo di Polizia Tributaria, l'U.C.I.F.I e l'Ufficio Grandi Contribuenti dell'Agenzia delle Entrate) al fine di delineare i profili e la natura di un'operazione fiscale rivelatasi particolarmente complessa. Nel confrontarsi con le deduzioni difensive, la Corte di appello ha peraltro ribadito l'assenza di valide ragioni economiche a sostegno del prestito obbligazionario, evidenziando che la (OMISSIS) non aveva alcuna necessita' di ricorrere a un prestito ci importo cosi' elevato, a fronte di cospicue disponibilita' economiche della societa', che, come emerso dall'esame dei bilanci, nell'esercizio 2307 presentava un quadro di assoluta solidita' patrimoniale, con disponibilita' liquide di poco superiori a 600.000 Euro, con incidenza dei mezzi propri sul totale di biascio pari a circa il 99% e con consistenti aumenti di liquidita' negli anni successivi, come desumibile dall'esame dei bilanci relativi agli anni 2008-2010. Del resto, ha aggiunto in modo pertinente la Corte di appello, se effettivamente il prestito obbligazionario, come dedotto, fosse stato indirettamente collegato all'operazione di family buy out per garantire risorse per investimenti di gruppo, non si spiegano le ragioni di una restituzione anticipata della somma erogata, a fronte di una scadenza del prestito recante la data del 31 dicembre 2014. 3.3. Non ha poi mancato la Corte di appello di confrontarsi con il rilievo difensivo riguardante la pronuncia resa dal Tribunale di Torre Annunziata il 7 settembre 2017, con la quale i componenti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) sono stati assolti dal delitto di omessa dichiarazione ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 mancando la prova della esterovestizione della (OMISSIS). Ed invero, dopo aver premesso che la predetta sentenza assolutoria, pur se irrevocabile, non aveva efficacia vincolante, dovendo la stessa, ai sensi dell'articolo 238 bis c.p.p., essere liberamente valutata unitamente ad altri elementi di prova, non essendovi alcun automatismo valutativo, i giudici di appello hanno evidenziato che, nei presente giudizio, diversamente dal procedimento gia' conclusosi con sentenza definitiva, la natura della (OMISSIS) rileva soltanto al fine di comprendere la ragione delle complesse operazioni poste in essere dagli imputati rispetto all'emissione del prestito obbligazionario da parte della (OMISSIS) e alla successiva rinuncia al credito da pate delle box companies uruguaiane facenti capo ai componenti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). La Corte di appello ha sottolineato che, in ogni caso, le violazioni circa la sottrazione aa tassazione dei proventi di tale operazione sussisterebbero anche a voler seguire la tesi dell'effettiva operativita' della (OMISSIS) in Lussemburgo, costituendo la distribuzione dei dividendi della predetta societa' negli anni 2005-2008 alle box companies uruguaiane un momento antecedente aire operazioni poste in essere in seguito e oggetto delle imputazioni elevate nel presente giudizio. Ad ogni buon conto, ha aggiunto la Corte territoriale, la natura esterovestita della (OMISSIS) e' in realta' emersa dalla documentazione acquisita, dalle dichiarazioni di (OMISSIS) Di (OMISSIS), consigliere di amministrazione della societa', e soprattutto dagli accertamenti investigativi ripercorsi in dibattimento del mar. (OMISSIS), essendo stato appurato che tale societa' aveva sede solo formale in Lussemburgo, perche' domiciliata presso la societa' lussemburghese (OMISSIS), ma in realta' le scelte operative venivano decise a Torre dei Greco, dove risiedevano i soci, essendo la gestione societaria affidata prevalentemente, nell'interesse suo e dei suoi familiari, a (OMISSIS), residente a (OMISSIS) e dotato di competenze tecniche in materia di shipping e derivati, essendo il predetto munito di effettivi poteri gestori) del gruppo armatoriale R.B.D., operante anch'esso nella citta' corallina; del resto, anche la stessa (OMISSIS), pur dichiarandosi societa' di diritto lussemburghese, ha presentato, per gli anni di imposta 2008, 2009 e 2010 la dichiarazione dei redditi in Italia (giustificando cio' l'applicazione del regime normativo nazionale), non limitandosi a indicare i redditi prodotti in Italia, ma tutti i redditi ovunque prodotti, cio' a riprova del fatto che il centro sostanziale degli interessi aziendali era senz'altro radicato in Italia, essendo la scelta di operare formalmente all'estero ricollegabile evidentemente all'esigenza di operare in un regime contrassegnato di vincoli e controlli di gran lunga minori. 3.4. Anche con riferimento alla disamina della problematica concernente l'operativita' dello "scudo fiscale ter", non si ravvisano criticita' argomentative nel percorso motivazionale della sentenza impugnata. Al riguardo la Corte di appello ha innanzitutto ricordato che il Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis convertito dalla L. n. 102 del 2009, consentiva la possibilita' di far emergere, mediante "rimpatrio" o "regolarizzazione", le attivita' finanziarie e non finanziarie detenute all'estero in violazione delle norme tributarie e ci monitoraggio valutano contenuto nel Decreto Legge n. 167 del 1990, attraverso la presentazione a un intermediario di una dichiarazione riservata, con la quale procedere all'emersione delle attivita' finanziarie e degli investimenti detenuti all'estero e il versamento di un'imposta straordinaria; il "rimpatrio" o la "regolarizzazione" potevano essere effettuati a partire dal 15 settembre 2009 e fino ai 15 aprile 2010, per il denaro e altre attivita' detenute in qualsiasi Paese Europeo ed extraEuropeo, a partire da una data non successiva ai 31 dicembre 2008. Tanto premesso, la Corte di appello ha poi richiamato, dichiarando di condividerne interamente il contenuto, il provvedimento di disconoscimento del 28 giugno 2013, con il quale l'Agenzia delle Entrate ha riscontrato varie irregolarita' nelle dichiarazioni riservate presentate per conto dei ricorrenti; con tale provvedimento, in particolare, e' stata rimarcata sia la carenza di documentazione a supporto dell'avvenuta regolarizzazione presso l'intermediario, sia il ricorso a schemi societari in Paesi black list che non consentivano lo scudo fiscale. L'Agenzia delle Entrate, pertanto, ha ritenuto non opponibili all'Amministrazione finanziaria le dichiarazioni riservate presentate dai contribuenti, perche' inficiate sia da vizi formali, determinati dalla mancanza di documentazione a corredo delle stesse, sia da vizi sostanziali, in quanto oggetto della regolarizzazione erano state disponibilita' finanziarie per le quali, in primo Lodo, non risultava dimostrata una diretta detenzione in capo alle persone fisiche e, in ogni caso, la procedura non era ammissibile ai sensi della circolare 43/E dell'Agenzia delle Entrate del 10 ottobre 2009, in quanto avvenuta per il tramite di soggetti residenti in Paesi black list. Sul punto, la Corte di appello ha anche dato conto degli esiti del parallelo contenzioso tributario intrapreso da (OMISSIS), richiamando innanzitutto la sentenza n. 14949 del 12 novembre 2018, con cui la Commissione Tributaria provinciale di Napoli ha respinto il ricorso della ricorrente, avverso gli atti di contestazione alla stessa notificati, ritenendo rilevante, ai fini dell'applicabilita' dolio scudo fiscale, il luogo in cui e' ubicato il soggetto titolare, dal punto di vista formale, e non il luogo di materiale detenzione delle stesse. Tale conclusione risulta coerente con il passaggio della circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009, in cui e' specificato che la regolarizzazione e' possibile se il soggetto interposto e' residente in un Paese che garantisce un effettivo scambio di informazioni, indipendentemente dal luogo in cui i capitali sono detenuti, essendo evidente che le collaborazione tra Italia e Lussemburgo, che ha determinato la cancellazione di quest'ultimo Paese dalla black list, non puo' estendere i suoi effetti a quelle ipotesi in cui le richieste di accertamento riguardano soggetti residenti in Paesi terzi che non garantiscono in alcun modo un effettivo scambio di informazioni (come appunto nel caso delle societa' uruguaiane, per le quali erano inibiti accertamenti bancari sulle somme depositate nel Paese). Cio' posto, la Corte di appello ha anche dato atto che la pronuncia in esame del giudice tributario di primo grado e' stata riformata dalla Commissione Tributaria regionale per la Campania che, con la sentenza n. 4081 dell'11 maggio 2022, ha accolto l'appello presentato dalla (OMISSIS), essendo stata accolta la tesi difensiva secondo cui, ai fini dell'operativita' degli effetti premiali della disciplina dello scudo fiscale, rileva il luogo di detenzione delle attivita' oggetto di scudo (in tal caso il Lussemburgo), mentre e' irrilevante il luogo in cui ha sede il soggetto meramente interposto. Ora, rispetto a tale impostazione, i giudici di secondo grado hanno espresso un dissenso non solo legittimo, stante l'autonomia tra giudizio penale e contenzioso tributario, ma, per quanto in questa sede rileva, anche congruamente motivato; e' stato infatti evidenziato (pag. 49 ss. della sentenza impugnata) che un importante limite oggettivo di applicazione dello scudo fiscale ter e' costituito dalla previsione di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, comma 1, secondo cui l'imposta straordinaria puo' essere aoplicata a condizione che le attivita' siano rimpatriate in Italia da Stati non appartenenti all'Unione Europea, ovvero siano regolarizzate o rimpatriate perche' detenute in Stati dell'Unione Europea e in Stati aderenti allo Spazio economico Europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa, da cio' desumendosi che, mentre il rimpatrio puo' avvenire indipendentemente dallo Stato estero dal quale l'attivita' e' fatta entrare o rientrare nel territorio italiano, la regolarizzazione e' invece possibile solo se l'attivita' e' localizzata in uno Stato appartenente alla Unione Europea, trovando giustificazione tale differenza di disciplina nel fatto che, nel secondo caso, l'attivita' permaneva in tutto e per tutto all'estero, per cui all'Amministrazione doveva essere consentito di svolgere i controlli necessari. In ogni caso; ha aggiunto la Corte territoriale, le dichiarazioni riservate per le attivita' patrimoniali detenute all'estero sono state presentate dai componenti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS) il 15 dicembre 2009, ossia quando essi non avevano piu', tramite la (OMISSIS), la disponibilita' delle somme, trasferite al patrimonio di un autonomo soggetto giuridico, la (OMISSIS), mediante i bonifici effettuati dalla stessa (OMISSIS) dai 6 maggio al 22 dicembre 2009, aventi ad oggetto non le somme di denaro, ma i titoli obbligazionari, sebbene il 15 dicembre 2009 i certificati nominativi dei titoli obbligazionari non furono emessi, essendo avvenuta l'emissione dei titoli da parte della (OMISSIS) il 13 dicembre 2010, ossia ben oltre il termine ultimo del 31 dicembre 2008 fissato dal Decreto Legge n. 78 del 2009, fermo restando che, se pure dalla documentazione presentata fosse stato possibile appurare la titolarita' indiretta delle disponibilita' finanziarie, e stesse sarebbero risultate detenute per il tramite di soggetti residenti in un cd. paradiso fiscale", l'Uruguay, che non rientra tra i Paesi dai quali era possibile regolarizzare e "scudare" capitali. 3.5. Inammissibili, sotto un duplice aspetto, sono anche le doglianze riguardanti l'inutilizzabilita' della informativa della Guardia di Finanza n. 0475306/13 del 3 ottobre 2013: al riguardo va innanzitutto rilevato che la Corte di appello, in modo pertinente, ha richiamato l'affermazione della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, Rv. 274131), secondo il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale utilizzabile nel processo penale; tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalita' previste dall'articolo 220 disp. att. c.p.p., perche', altrimenti, a parte del documento redatta successivamente a detta emersione non puo' assumere efficacia probatoria, ma con la precisazione che la violazione dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. non determina automaticamente l'inutilizzabilita' dei risultati probatori acquisiti o la nullita' dell'atto, se una tale sanzione non e' prevista dalle norme del codice di rito, cui tale disposizione rinvia. Ora, al di la' della mancata prova circa il momento di emersione degli indizi di reita' e dunque circa la reale portata dell'inutilizzabilita' dedotta, occorre osservare che, nel caso di specie, le censure difensive risultano comunque generiche, non avendo cioe' la difesa specificato l'effettiva rilevanza dell'atto processuale in questione nella complessiva valutazione delle prove che ha portato all'affermazione della colpevolezza degli imputati, non potendosi sottacere che l'informativa in questione non costituisce affatto l'unico e decisivo elemento prooatorio su cui si regge l'impostazione accusatoria, che viceversa e' stata ritenuta fondata in base a una pluralita' di fonti dimostrative, di tipo non solo documentale ma anche dichiarativo, come ad esempio le deposizioni dei testi (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate e (OMISSIS)D'Inverno (OMISSIS) cena Guardia di Finanza di Napoli, deposizioni che hanno consentito di ricostruire adeguatamente e autonomamente i fatti di causa. In proposito questa Corte ha infatti precisato (cfr. ex multis Sez. 2, n. 7986 del 13/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218, Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 252011 e Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452), che, nell'ipotesi, come quella in esame, in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'utilizzabilita' di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita' per aspecificita', l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro esenzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento, "prova di resistenza" nel caso di specie non fornita. 3.6. In definitiva-, la motivazione della Corte territoriale circa la configurabilita' del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 oltre che aderente alle acquisizioni probatorie e non manifestamente illogica, risulta anche coerente con il quadro normativo di riferimento, per cui deve senz'altro escludersi che i giudici di appello fossero tenuti ad assolvere gli imputati nel merito, piuttosto che a dichiarare prescritto il reato a loro ascritto al capo B, come e' avvenuto, non potendosi sottacere che le doglianze difensive sono essenzialmente volte a suggerire una differente lettura delle operazioni economiche censurate dai giudici di merito, sulla scorta di argomentazioni che la sentenza impugnata ha gia' superato con considerazioni pertinenti e razionali. Anche sotto tale profilo le censure articolate nei ricorsi risultano inammissibili, dovendosi ribadire che, come affermato piu' volte da questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 e Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109), in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 3.7. Anche rispetto agli episodi del reato di truffa ai danni dello Stato contestati a (OMISSIS) (capo E), a (OMISSIS) (capo F) e a (OMISSIS). (G), la declaratoria di estinzione per prescrizione operata dalla Corte di appello resiste alle obiezioni difensive, non emergendo alcuna evidenza ne' dell'insussistenza dei fatti, ne' dell'estraneita' agli stessi degli imputati. Ed invero la Corte territoriale ha osservato che gli imputati sono stati anch'essi percettori degli utili, per cui, pur non essendo gravati da un proprio obbligo dichiarativo, in quanto detentori di partecipazioni non qualificate (spettando alla (OMISSIS) l'obbligo di effettuare le ritenute sulle rispettive quote di dividendi), gli stessi hanno comunque posto in essere comportamenti volti a occultare l'inadempimento dell'obbligo contributivo e a indurre in errore l'Erario in ordine alla sussistenza di una legittima pretesa impositiva, essendo peraltro consapevoli che i dividendi percepiti non erano stati sottoposti a ritenuta di legge, stante il mancato rilascio della relativa certificazione, dagli stessi neppure sollecitata. Sono stati quindi ragionevolmente ritenuti sussistenti gli estremi del delitto di truffa ai danno dello Stato, essendo ravvisabili nel caso di specie sia gli artifici e i raggiri, integrati da ricorso allo strumento del prestito obbligazionario, sia l'ingiusto profitto, costituito dal mancato introito fiscale da parte dello Stato in favore del quale la (OMISSIS), quale sostituto di imposta, avrebbe dovuto versare le ritenute dovute (pari al 12,50%) sui dividendi che i tre soci non qualificati avevano complessivamente percepito negli anni 2010-2011, per un totale di 665.800 Euro, sia l'elemento soggettivo del reato, integrato non solo dall'intento di evadere le imposte (per un importo pari a 119.400 Euro per (OMISSIS), di 266.275 Euro per (OMISSIS) e di 129.675 Euro nel 2010 e di 150.000 Euro nel 2011 per (OMISSIS)), ma anche dalla volonta' di occultare l'evasione attraverso lo strumento del rimborso obbligazionario, posto in essere insieme al tentativo di accedere alla procedura dello scudo fiscale ter. Lo scopo di tale iniziativa, evidentemente, non era quello di sanare l'omessa tassazione tramite il pagamento dell'imposta sostitutiva, ma quello di apprestare una plausibile giustificazione alla ricostruzione alternativa in relazione alla complessa operazione costituita dall'emissione del prestito obbligazionario da parte della (OMISSIS) e dalla successiva rinuncia al credito da parte della (OMISSIS), con incarico agli amministratori della societa' lussemburghese, di cui peraltro gli imputati erano soci, di utilizzare la somma trasferita per intestare le obbligazioni in capo ai suoi soci, che ottenevano il parziale rimborso da parte della (OMISSIS), negli anni 2010 e 2011, del prestito obbligazionario de quo. Quanto all'eccezione difensiva secondo cui la condotta dei soci possessori di partecipazioni non qualificate, pur essendo caratterizzata da un minore disvalore, verrebbe a integrare una fattispecie di reato piu' grave, sotto il profilo sanzionatori, rispetto a quella ascritta alle sorelle (OMISSIS), nonostante la meno consistente imposta evasa, e' stato replicato nella sentenza impugnata (pag. 55) che, in realta', il presupposto della disparita' di trattamento evocata dalla difesa non si e' realizzato, in quanto per il delitto di truffa ai danni dello Stato e' intervenuta la declaratoria di prescrizione, a differenza della fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 ascritta ai capi C e D alle (OMISSIS), il che, a prescindere da ogni considerazione circa le scelte del legislatore sul punto, vale gia' di per se a escludere la rilevanza di un eventuale incidente di costituzionalita', che invero non era stato neanche espressamente prospettato dai ricorrenti. 3.8. In conclusione, deve ribadirsi che le doglianze dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), oltre che di (OMISSIS) e (OMISSIS), riferite ai reati per cui vi e' stata in secondo grado declaratoria di estinzione per prescrizione (ovvero capo B per il reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3 e i capi E ed F per il reato di cui all'articolo 640 c.p., comma 2), sono inammissibili, perche' volti a censurare la mancata pronuncia assolutoria ex articolo 129 c.p., comma 2, senza che gli imputati abbiano rinunciato alla prescrizione e senza che, come detto, siano ravvisabili elementi idonei ad escludere, in maniera evidente, la sussistenza dei fatti contestati e la commissione degli stessi da parte dei ricorrenti. 4. Devono a questo punto essere esaminate le doglianze di (OMISSIS) e (OMISSIS), riguardanti la conferma del giudizio di colpevolezza per il reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 di cui le stesse sono state ritenute responsabili dal Tribunale (capo C per (OMISSIS) e capo D per (OMISSIS)). Orbene, tali censure sono inammissibili perche' manifestamente infondate. Ed invero la Corte territoriale, ribadite la rilevanza reddituale delle somme ricevute dalla (OMISSIS) e l'artificiosita' del prestito obbligazionario emesso dalla stessa societa' il 29 dicembre 2008, ha evidenziato, coerentemente, che la colpevolezza delle sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS) per i delitti di dichiarazione infedele loro ascritti e' emersa chiaramente dalla documentazione allegata al processo verbale di contestazione U.C.I.F.I. (libro obbligazionisti) e dalle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche in relazione agli anni contestati, da cui risulta che le (OMISSIS) si sono rese responsabili dell'omesso adempimento degli obblighi dichiarativi previsti dall'articolo 47 del T.U.I.R., limitatamente al 49,72% dell'ammontare percepito. In particolare, e' stato evidenziato (pag. 52 della sentenza impugnata) che (OMISSIS) ha ottenuto, sotto la forma apparente di rimborso obbligazionario, dividendi per Euro 960.000 nel corso del 2313, indicando nella dichiarazione annuale 2011, per l'anno fiscale 2010, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con un'imposta evasa superiore a Euro 205.244, essendo risultato l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione pari a Euro 477.312, quindi superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione; a sua volta, (OMISSIS) ha ottenuto, sotto la forma simulata del prestito obbligazionario, dividendi per Euro 1.042.400 nel corso del 2010 ed Euro 1.200:000 nell'anno 2011, indicando nella dichiarazioni annuale 2011, per l'anno 2010, e nella dichiarazione annuale 2012, per l'anno 2011, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con un'imposta evasa pari a 222.864 Euro con riferimento alla dichiarazione annuale 2011, e a Euro 596.640 in relazione alla dichiarazione annuale 2012, quindi per importi superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, concorrendo senz'altro le somme incassate sotto forma di rimborso del prestito obbligazionario dalle contribuenti; titolari di partecipazioni qualificate negli anni 2310 e 2011, alla formazione del reddito imponibile complessivo. Di qui la conferma del giudizio di colpevolezza gia' operato dal Tribunale a carico delle due ricorrenti rispetto al delitto di cui Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 a cr0 rispettivamente ascritto, dovendosi solo precisare che, avuto riguardo alla concatenazione degli eventi e all'entita' delle imposte evase, non sussistono dubbi circa la sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma e consistente nel "fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto", rivelando la omessa indicazione di elementi attivi di cosi' rilevante importo l'evidente consapevolezza delle imputate di indicare elementi falsi, con il chiaro intento di evadere le imposte. Del resto, e' stato precisato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23810 del 08/04/2019, Rv. 275993) che, nel reato previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 "la consapevolezza dell'agente deve limitarsi alla coscienza e volonta' di indicare, al fine di evadere le imposte, costi fittizi o, come nel caso di specie., di non indicare ricavi realmente conseguiti, ma non deve riguardare anche il superamento delle soglie di punibilita', essendo tale dato automaticamente (e matematicamente) ricavabile dalla stessa condotta precedente, di cui costituisce una conseguenza inevitabile. Ne consegue che non vi e' spazio per l'accoglimento delle doglianze difensive, che, soprattutto in ordine a'la componente oggettiva del reato, ripropongono questioni che hanno gia' trovato adeguate risposte nelle due conformi sentenze di merito. 4.1. Parimenti immune da censure risulta il trattamento sanzionatorio. Ed invero, nel rideterminare le pene a seguito dell'assoluzione dal reato associativo e della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo B, la Corte di appello ha rideterminato le pene nei seguenti termini: anni 2 d: reclusione per (OMISSIS), cui e' stata concessa la sospensione condizionale della pena, e anni 2 e mesi 6 di reclusione per (OMISSIS), giustificandosi l'aumento di 6 mesi in virtu' del riconoscimento della continuazione interna ai reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 che al capo D e' stato contestato in relazione a due distinte annualita' (2011 e 2012). Non sono stati invece ritenuti configurabili, per entrambe le ricorrenti, i presupposti per riconoscimento delle invocate attenuanti generiche, essendo stata rimarcata dalla Corte di appello, in senso ostativo, la mancata dimostrazione di elementi suscettibili di positiva considerazione, mentre e' stato sottolineato che le (OMISSIS) non hanno manifestato alcuna resipiscenza, risultando in ogni caso le pene inflitte "senz'altro moderate e adeguate all'entita' e gravita' dei fatti commessi, all'entita' delle somme sottratte e al complesso meccanismo truffaldino posto in essere dalle imputate" (cfr. pag. 63 della sentenza impugnata). Orbene, in presenza di un apparato argomentativo non illogico, le doglianze difensive nor. possono trovare ingresso in questa sede, in quanto volte a sollecitare differenti apprezzamenti di merito estranei al perimetro del giudizio di legittimita', dovendosi considerare, da un lato, che la pena base irrogata dalla Corte di appello corrisponde al valore medio della cornice edittale all'epoca vigente (da 1 a 3 anni di reclusione) e, dall'altro lato, che le motivazioni poste a fondamento del diniego delle attenuanti generiche non sono ne' irrazionali, ne' distoniche rispetto alle acquisizioni processuali, dovendosi ribadire in tal senso come affermato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899), in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche', come avvenuto nella vicenda in esame, sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusiene, per cui non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente, che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. 4.2. Cio' posto, stante la fondatezza delle doglianze in punto di confisca, come sara' meglio chiarito nel paragrafo successivo, occorre confrontarsi con il tempus commissi delicti rispetto alla posizione di entrambe le ricorrenti. Orbene, premesso che la prescrizione massima del delitto di cui all'articolo 4 ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 17, comma 1 bis medesimo decreto, si calcola in 10 anni, essendo i fatti successivi all'entrata in vigore del Decreto Legge n. 138 del 2011, convertito dalla L. n. 148 del 2011, occorre altresi' evidenziare che nei due giudizi di merito vi sono stati 336 giorni di sospensione. Ne consegue che, quanto alla posizione di (OMISSIS), il reato a lei ascritto a; capo C, la cui data di consumazione e' il 29 dicembre 2011, si e' estinto per prescrizione 2 dicembre 2022, mentre, quanto a (OMISSIS), dei due episodi a lei contestati al capo D, si e' estinto per prescrizione il primo, ossia quello risalente al (OMISSIS) ((OMISSIS)), mentre, al momento della presente decisione, non e' maturata la prescrizione rispetto al secondo episodio, ossia quello riguardante la dichiarazione presentata il 5 settembre 2012 rispetto all'anno di imposta 2011, maturando il relativo termine il 5 agosto 2023. Pertanto, nei confronti di (OMISSIS), la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, in ordine al residuo reato di cui al capo D, limitatamente alla condotta de (OMISSIS), da cio' discendendo la rideterminazione della pena in anni due di reclusione, con eliminazione cioe' dell'aumento di sei mesi di reclusione, che la Corte di appello aveva apportato per la continuazione interna. In accoglimento della sollecitazione operata dalla difesa della ricorrente nella memoria del 21 giugno 2023, si impone altresi' il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per le valutazioni di sua competenza in ordine alla concedibilita' della sospensione condizionale della pena in favore della ricorrente. 5. Suscettibili di trattazione unitaria, in quanto ampiamente sovrapponibili, sano infine le doglianze difensive riguardanti la statuizione della confisca. 5.1. Al riguardo deve premettersi che il primo giudice aveva ordinato la confisca di quanto in sequestro nei limiti della somma complessiva di 9.859.000 Euro, disponendo il dissequestro della residua somma di 786.986 Euro e la restituzione agli aventi diritto: tale statuizione era stata impugnata soltanto dal P.M., in base al rilievo secondo cui l'ammontare dell'imposta evasa, complessivamente considerata per tutte le imputazioni di cui ai capi C, D, E, F e G per cui v era stata condanna, era pari a 1.350.459 Euro, somma che il Tribunale aveva omesso di considerare: tale rilievo e' stato condiviso dalla Corte territoriale che, in accoglimento dell'appello del P.M. e in parziale riforma sul punto della decisione di primo grado, ha disposto la confisca di quanto in sequestro fino all'ammontare della somma di Euro 11.209.539, importo cui si e' pervenuti sommando all'imposta evasa in relazione all'imponibile da sottoporre a tassazione di cui al capo B (Euro 9.859.080) l'importo di Euro 11.209.539, corrispondente all'imposta evasa con riferimento agli altri capi di imputazione. Pur in assenza di formali censure dei ricorrenti riguardanti la statuizione sul provvedimento ablatorio, la Corte di appello si e' tuttavia interrogata su se fosse possibile applicare nel caso di specie la previsione di cui all'articolo 578 bis c.p.p., che, come e' noto, consente di decidere sulla confisca per equivalente, pur in presenza della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, ma previo accertamento della responsabilita'. Nel dare atto che questa Sezione penale della Corte di cassazione, con ordinanza n. 15229 dei 16 marzo 2022, aveva rimesso alle Sezioni Unite l'esame della questione concernente la sorte della statuizione della confisca per equivalente disposta nei precedenti gradi di giudizio nei casi in cui, come quello in esame, si proceda per fatti anteriori all'entrata in vigore dell'articolo 578 bis c.p.p., (avvenuta ad opera del Decreto Legislativo n. 21 del 2018), la Corte di appello ha ritenuto, pur non essendovi stata alcuna decisione nomofilattica all'epoca in cui e' stata emessa la sentenza impugnata, di aderire all'orientamento secondo cui all'articolo 578 bis c.p.p. doveva attribuirsi natura esclusivamente processuale, con conseguente sua immediata applicazione anche ai fatti anteriori alla sua introduzione, in forza del principio tempus regit actum. 5.3. Cio' posto, e' evidente che la statuizione della Corte di appello debba essere rivista alla luce della decisione delle Sezioni Unite che ha affrontato la questione sull'ambito di applicabilita' dell'articolo 578 bis c.p.p., ovvero la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Rv. 284209, ricorrente Esposito. Con tale pronuncia, infatti, le Sezioni Unite, accogliendo l'indirizzo interpretativo opposto a duello recepito dalla Corte di appello, hanno affermato il principio secondo cui a disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p., introdotta dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, e' inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. Si e' infatti chiarito che la confisca per equivalente, consistendo in una "forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti", assume un carattere preminentemente sanzionatorio, aggredendo beni che, pur nella disponibilita', anche per interposta persona, dell'autore del reato, sono individuati, senza alcun nesso di pertinenzialita' col fatto criminoso, in base alla loro corrispondenza con i benefici che il responsabile ha ottenuto o, in determinati casi, fatto indebitamente ottenere ad altri dalla commissione dell'illecito. In altri termini, quando l'ordinamento, nell'impossibilita' di apprendere coattivamente, in via diretta, provento dell'illecito, consente di confiscare, peraltro obbligatoriamente, beni, sia pure del tutto leciti, di valore corrispondente al vantaggio illecito conseguito, ma del tutto scollegati dal reato, la confisca del provento dei reato assume una funzione pienamente sanzionatoria, per cui, siccome gli istituti che rientrano nella nozione di sanzione penale devono essere governati necessariamente dagli statuti di garanzia predisposti dall'ordinamento interno (articolo 25 Cost., comma 2) e da quello convenzionale (articolo 7 CEDU), e' la funzione sanzionatoria della confisca per equivalente che assorbe quella ripristinatoria e/o le eventuali altre concorrenti funzioni non penali, cui la confisca di valore si atteggi, e non viceversa. Cio' posto, prima dell'introduzione nel codice di rito dell'articolo 578 bis c.p.p., le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 254435, ricorrente Lucci) avevano affermato il principio secondo cui il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non poteva disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto. In seguito, tuttavia, il Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, ha inserito nel codice di rito l'articolo 578 bis c.p.p., in forza del quale "quando e' stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dall'articolo 240 bis c.p., comma 1 e da altre disposizioni di legge (o la confisca prevista dall'articolo 322 ter c.p.: parole, queste ultime, successivamente inserite dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 4 lettera f), il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato". Ora, premesso che la previsione di cui all'articolo 578 bis c.p.p. si applica anche alla confisca prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis essendo stato gia' precisato in altri due interventi delle Sezioni Unite (sentenze n. 13539 del 30/01/2020, ricorrente Perroni e n. 6141 del 25/10/2018, dep. 2019, ricorrente Milanesi) che alla norma introdotta dal legislatore del 2018 deve riconoscersi una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere, siccome formulato senza uteriori specificazioni, anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale, la richiamata sentenza n. 4145 del 2022 ha osservato che la disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p., ha natura mista (processuale e sostanziale), dovendosi ricomprende nel concetto di "punizione" e d: "legge penale" tutte le norme che, come appunto quella sulla confisca di valore, incidono negativamente sull'an, sul quantum e sul quomodo della punibilita'. Di qui l'affermazione delle Sezioni Unite secondo cui l'articolo 578 bis c.p.p. "consentendo al giudice dell'impugnazione, allorquando e' stata ordinata la confisca per equivalente, di decidere, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato, non sia una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell'ordinamento, sebbene non codificato, ma sia una norma che ha natura costitutiva in parte qua, perche' attributiva del potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena (la confisca per equivalente) che, anteriormente all'introduzione dell'articolo 578 bis, non poteva, secondo il diritto vivente, in alcun modo essere applicata nel caso di declaratoria d: estinzione del reato per prescrizione. Dunque, la natura pienamente costitutiva della disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p. esclude che la confisca di valore possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi quando, nel caso di estinzione del reato, tale misura non era in alcun modo adottabile nei confronti dell'autore del reato, quand'anche ne fosse stata accertata la responsabilita' penale. 5.4. Alza luce di tali coordinate interpretative, deve essere senz'altro annullata la statuizione della sentenza impugnata riguardante la confisca, avendo la Corte di appello indebitamente applicato la previsione di cui all'articolo 578 bis c.p.p. a fatti pacificamente antecedenti all'entrata in vigore della predetta previsione. L'annullamento va operato con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello, al fine di accertare un dato che dalla sentenza impugnata non emerge chiaramente, ovvero se sequestro della somma confiscata fosse effettivamente per equivalente, o se invece si era in presenza di un sequestro in forma diretta. Se infatti si fosse in presenza di questa seconda situazione, la confisca diretta del denaro sarebbe possibile anche in caso di declaratoria di estinzione del reato presupposto per prescrizione, avendo questa Corte precisato, anche di recente (cfr. Sez. 2, n. 17354 del 08/03/2023, Rv. 284529) che la confisca "diretta" e' quafficabile come misura di sicurezza e puo', pertanto, essere applicata anche in caso ai prescrizione dei reato, nel caso in cui vi sia stata condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria, secondo gli insegnamenti delle sentenze delle Sezioni Unite n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264435, ricorrente Lucci e n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646 ricorrente Gubert, per cui la natura della confisca deve essere accertata in maniera attenta, scaturendo da tale qualificazione giuridica rilevanti conseguenti sul piano operativo. Se infatti per la confisca per equivalente vale nel caso di specie la preclusione circa la ricliamata inapplicabilita' ai fatti pregressi dell'articolo 578 bis c.p.p., viceversa, nell'ottica della confisca diretta, vale il principio di diritto secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nei patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile de bene, con la conseguenza che non e' ostativa alla sua adozione l'allegazione c la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto ci apprensione (cfr. sentenza delle Sezioni Unite n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037, ricorrente C.). Di qui la necessita' di stabilire in sede di merito, anche avuto riguardo al tenore del provvedimento cautelare reale che non e' nella disponibilita' di questa Corte, cosa sia stato oggetto di sequestro e soprattutto se il provvedimento ablativo, anche alla luce del rapporto tra gli imputati e le societa' di cui facevano parte, sia stato disposto in forma diretta o per equivalente, presupponendo la relativa qualificazione giuridica il preventivo e rigoroso accertamento circa la natura dei beni sequestrati in rapporto al reato per cui vi e' stata condanna, essendo evidente, alla stregua delle considerazioni esposte, che ove si propenda per la confisca diretta, la statuizione puo' essere mantenuta anche in caso di declaratoria di estinzione del reato, mentre nel caso d; confisca per equivalente, va disposta la restituzione dei beni agli aventi diritto. 6. In conclusione, tirando le conclusioni delle argomentazioni svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in ordine al residuo reato di cui al capo C), perche' estinto per prescrizione, nonche' nei confronti di (OMISSIS) in ordine al residuo reato di cui al capo D), limitatamente alla condotta del (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione; per l'effetto, la pena per costei va rideterminata, relativamente alla restante condotta, in anni due di reclusione. La sentenza impugnata va altresi' annullata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente pila concedibilita' della sospensione condizionale della pena, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente alla statuizione della confisca, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio su detti punti. Nel resto i ricorsi vanno dichiarati invece inammissibili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in ordine al residuo reato di cui al capo C), perche' estinto per prescrizione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in ordine al residuo reato di cui al capo D), limitatamente alla condotta del (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per prescrizione e, per l'effetto, ridetermina la pena relativamente alla restante condotta in anni due di reclusione. Annulla altresi' la sentenza impugnata nei confronti della medesima limitatamente alla concedibilita' della sospensione condizionale della pena, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente alla statuizione della confisca, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio su detti punti. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di tutti i ricorrenti.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI FIRENZE SECONDA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Firenze, seconda sezione civile, in persona dei Magistrati: dott. Anna Primavera - Presidente Relatore dott. Fabrizio Nicoletti - Consigliere dott. Nicola Mario Condemi - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili di II Grado iscritte ai nn. r.g. 1608/2020 e r.g. 1671/2020 promosse rispettivamente da: No.Ma. (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. NI.SO. (CF (...)) No.Fe. (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. NI.SO. (CF (...)) Ca.Do. (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. NI.SO. (CF (...)) APPELLANTI nei confronti di Cr. SPA (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. AL.FA. (CF (...)) APPELLATA Lu.Lu. (CF (...)) APPELLATA CONTUMACE e dal IL FALLIMENTO Ca. SRL (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. CL.CE. (CF (...)) APPELLANTE nei confronti di Cr. SPA (CF (...)) con il patrocinio dell'Avv. AL.FA. (CF (...)) APPELLATA Lu.Lu. (CF (...)) No.Ma. (CF (...)) No.Fe. (CF (...)) Ca.Do. (CF (...)) APPELLATI CONTUMACI avverso la sentenza n. 714/2020 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 24/07/2020 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 714/2020 pubblicata il 24/07/2020, il Tribunale di Pisa ha così deciso: "rigetta le opposizioni e conferma i decreti ingiuntivi impugnati, già dichiarati esecutivi. Rigetta le domande riconvenzionali, perché infondate. Compensa integralmente le spese di lite fra No./Ca. e Cr.. Condanna il fallimento della società Ca. s.r.l. e Lu.Lu. alla refusione delle spese di lite in favore di Cr., liquidate in Euro 35.000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge. Pone definitivamente a carico di parte Cr. le spese di c.t.u., già liquidate in atti" Tale sentenza è stata emessa sulle distinte opposizioni proposte da un lato, da Ca. SRL (di seguito anche DEBITRICE PRINCIPALE O SOCIETÀ), da Lu.Lu. quale amministratore della medesima e dall'altro, da No.Ma., No.Fe. e Ca.Do. (di seguito anche FIDEIUSSORI) avverso il D.I. n. 62/2012, emesso dal Tribunale di Pisa in data 18.01.2012, in favore della Cr. spa - poi fusa nella Cr. SPA (di seguito Ca. o anche solo BANCA) - in relazione al saldo passivo del conto corrente n. (...), intestato alla Ca. SRL per Euro 401.773,56 (per i No. e la Ca. limitatamente all'importo di Euro 65.000,00), per il quale: - Lu.Lu. aveva sottoscritto, a garanzia di tutte le obbligazioni derivanti, contratte dalla SOCIETÀ con la BANCA, tre contratti di fideiussione in data 24.01.2011, rispettivamente di Euro 65.000,00 per affidamento di Euro 50.000,00 con scadenza 15.02.2011; di Euro 65.000,00 per affidamento di Euro 50.000,00 con scadenza 15.03.2011 e di Euro 260.000,00 per affidamento di Euro 200.000,00 con scadenza 10.06.2011, tutti a valere sul conto corrente n. (...); - No.Ma., No.Fe. e Ca.Do. avevano sottoscritto un contratto di fideiussione in data 24.01.2011, di Euro 65.000,00 per l'affidamento di Euro 50.000,00 con scadenza 15.02.2011, a valere sul conto corrente (...) a garanzia di tutte le obbligazioni derivanti, contratte dalla SOCIETÀ con la BANCA. Con l'atto di opposizione a D.I., la Ca. SRL e Lu.Lu. avevano affermato la responsabilità dell'istituto bancario, per avere esso pagato assegni ed eseguito bonifici, a favore di terzi, per Euro 652.000,00, nonostante la falsità delle firme di traenza e di quelle apposte sulle disposizioni di bonifico ed avevano quindi chiesto, in via riconvenzionale, l'accertamento del saldo attivo del conto corrente n. (...), previa epurazione delle poste passive di cui agli assegni e bonifici recanti falsa sottoscrizione nonché la condanna della BANCA al risarcimento di tutti i danni da essa loro causati. I restanti FIDEIUSSORI No. e Ca. avevano, invece, opposto il D.I., contestando la validità del contratto di fideiussione da essi sottoscritto, per manifesti vizi del consenso che sarebbe stato acquisito dalla BANCA mediante pressione psicologica, dato che la SOCIETA' stava costruendo un complesso immobiliare per conto del Consorzio "Il.", di cui faceva parte l'immobile da essi promesso in acquisto e stante il fermo del cantiere, nella speranza di una ripresa dei lavori, il tutto come accertato nel processo penale con sentenza n. 701/2017 del Tribunale di Livorno, parzialmente riformata con sentenza n. 430/2020 della Corte d'Appello di Firenze. La BANCA si era costituita in entrambe le cause contestando le opposizioni e chiedendone la reiezione. Medio tempore era intervenuto il fallimento della Ca. SRL, dichiarato con sentenza n. 45/2012 del Tribunale di Livorno e la causa, all'esito della riunione delle due opposizioni a D.I., era stata interrotta e successivamente riassunta da parte del FALLIMENTO Ca. SRL (di seguito solo FALLIMENTO). La causa era stata istruita attraverso produzioni documentali, prova per testi e CTU grafologica, la quale accertava che tutte le firme apposte sugli assegni e sulle disposizioni di bonifico oggetto di causa fossero grossolanamente false. Con atto di citazione, regolarmente notificato, No.Ma., No.Fe., Ca.Do. (di seguito anche APPELLANTI) hanno, quindi convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, la Ca. proponendo gravame avverso la suddetta sentenza per il seguente unico motivo di appello (RG 1608/2020): A. errata valutazione della complessa vicenda fattuale e processuale, soprattutto con riferimento al contesto criminoso che ha condotto alla estorsione del consenso di essi FIDEIUSSORI. Con separato atto di citazione, regolarmente notificato, anche il FALLIMENTO ha convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, la BANCA, Lu.Lu. e i FIDEIUSSORI, proponendo gravame avverso la suddetta sentenza per i seguenti motivi di appello (RG 1671/2020): B. Violazione degli articoli 52 e 93 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) per avere il Giudice di prime cure errato accertando nel merito il credito dedotto nei decreti ingiuntivi opposti e, conseguentemente, condannato la Curatela al pagamento di Euro 401.773,56 oltre interessi al minor tasso del 1,5% decorrente dal 22/12/2011 fino all'effettivo saldo poiché, nonostante la dichiarazione di fallimento della Ca. srl, che invece avrebbe dovuto indurre l'accertamento del credito nell'ambito dell'accertamento del passivo fallimentare, con dichiarazione di improcedibilità della domanda formulata all'interno di un giudizio civile ordinario, qual è quello di opposizione a decreto ingiuntivo; B. Violazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 112 c.p.c, sulla regola della rilevabilità delle eccezioni in senso stretto e sull'onere della prova per avere il giudice errato nel dare rilevo, ai fini della decisione, ad una circostanza che avrebbe dovuto essere oggetto di un'eccezione in senso stretto non rilevata dalla parte e comunque nell'averla ritenuta fondata nonostante fosse priva di prova; C. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1776, 2 comma, c.c. per non avere il giudice di prime cure, ai fini della decisione, ritenuto - sussistendo un contratto tra la Ca. srl e la Banca - che quest'ultima, applicando la normale diligenza nell'adempimento, avrebbe, in via esclusiva, impedito il provocarsi del danno; Per tali ragioni è stata pertanto formulata dagli APPELLANTI richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte. Radicatosi il contraddittorio, Lu.Lu. e i FIDEIUSSORI, nonostante la rituale evocazione in giudizio da parte del FALLIMENTO, non si sono costituiti. La BANCA, invece, nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse dagli appellanti alla sentenza impugnata, della quale ha chiesto, per contro la conferma. La causa è stata trattenuta in decisione in data 15/06/2023, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, ex art. 127 ter c.p.c., concessi i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. IN VIA PRELIMINARE Va dichiarata la contumacia di Lu.Lu., in quanto ritualmente citata in giudizio e non costituitasi, nonché di No.Ma., No.Fe. e Ca.Do. questi ultimi limitatamente al giudizio promosso dal FALLIMENTO. NEL MERITO Gli appelli riuniti sono infondati e vanno entrambi respinti, con integrale conferma della sentenza impugnata. Passando alla disamina degli avanzati gravami, si osserva quanto segue. A. La critica contenuta nel primo e unico motivo di gravame - di cui all'appello iscritto al NRG 1608/2020 - è infondata. I FIDEIUSSORI hanno censurato la sentenza appellata, per avere il Tribunale, nel condividere il contenuto della ordinanza del G.I. del 19.12.2017, depositata in data 19.03.2018, trascurato la rilevanza del contesto criminoso, che avrebbe dovuto portare a ritenere estorto il loro consenso, da parte del funzionario della BANCA, al momento della sottoscrizione delle garanzie. In particolare, secondo gli APPELLANTI No. e C., "non solo gli esiti del procedimento penale, ma anche le testimonianze di Pe. e Sa. nonché il riconoscimento di L. che in atti conferma le modalità con cui si è pervenuti alla concessione di fido in favore di Ca. srl e le modalità di acquisizione del consenso dei No. alla fideiussione", avrebbero reso evidente la coartazione della loro volontà. In particolare, a detta dei FIDEIUSSORI, le circostanze rilevanti, attinenti al contesto criminoso nel quale si era pervenuti alla firma del contratto di garanzia, erano le seguenti: - la fideiussione in favore della SOCIETÀ non era stata richiesta dagli amministratori della medesima, ma inspiegabilmente solo dalla vicedirettrice della BANCA e dal mediatore immobiliare Pe., rivelatosi poi essere anche l'amministratore di fatto della Ca. SRL; - la fideiussione per Euro 65.000,00 a garanzia del fido di circa Euro 400.000,00 in favore della Ca. SRL era stata loro richiesta, quali promittenti l'acquisto degli immobili, nel 2011, quando il cantiere edile si era da tempo fermato e quando essi FIDEIUSSORI avevano praticamente già pagato il prezzo di acquisto degli immobili, ma erano stati rassicurati sul buon esito dei lavori, ovvero sul fatto che il cantiere avrebbe potuto riattivarsi fino al compimento dei lavori, proprio grazie alla fideiussione che era stata loro richiesta; - il rilascio della fideiussione sarebbe derivato da un "magheggio dei suddetti Pe. amministratore di fatto della Ca. SRL e Au. vicedirettrice della BANCA" - come accertato in sede penale e come riferito dal teste Pe., che all'epoca dei fatti era il procuratore speciale della Ca. SRL - ed avvenuto nel "più ampio contesto truffaldino organizzato ed attuato con il concorso del Direttore e della Vicedirettrice della Banca, i quali concedevano finanziamenti e fidi a Ca. srl in assenza di merito creditizio, erogavanodenaro in forza di Stati di Avanzamento Lavori (SAL) falsificati su disposizione del Direttore stesso, favorivano negoziazioni di titoli e bonifici con firma apocrifa per oltre Euro 600.000,00 sul conto corrente della Ca. srl"; - la fideiussione sarebbe stata, dunque, sottoscritta in ragione della "grave minaccia" secondo la quale, in mancanza della sottoscrizione, i FIDEIUSSORI "avrebbero inesorabilmente perso tutti i loro soldi già spesi per gli appartamenti in cantiere non ancora costruiti e della falsa promessa che, invece, le case sarebbero state certamente realizzate e consegnate nel caso avessero prestato garanzia". Ciò posto, in primo luogo la Corte osserva che, come si rileva dalla sentenza penale d'appello gli imputati, tra cui per quanto qui di interesse Lu.Lu., quale amministratore della Ca. SRL e Br.Ga., quale Direttore all'epoca dei fatti della Cr., Agenzia 1 di Livorno, sono stati prosciolti dal reato di truffa loro contestato al capo a), per intervenuta prescrizione; inoltre, la L. è stata condannata per il reato di bancarotta fraudolenta, di cui al capo g), mentre del delitto di estorsione di cui al capo b) previsto e punito dagli artt. 110, 61 c.1 nr. 2 e 11 e 629 c.p., la L. ed il Br. non sono stati neppure imputati, essendo stato il medesimo ascritto solo a P.A. - in qualità di agente immobiliare della E.C. con mandato a vendere in esclusiva, per conto della Ca. SRL, gli immobili in costruzione presso la l.G.D.C., nonché di amministratore di fatto della predetta Ca. SRL - ed a As., quale vice Direttrice della filiale di L. della Cr. erogatrice di linee di credito alla società Ca. SRL. Naturalmente, la pronuncia di proscioglimento dal delitto di truffa aggravata per intervenuta prescrizione non preclude l'accertamento del vizio del consenso carpito con dolo, nella presente sede civile, mentre la condotta estorsiva accertata in sede penale nei confronti degli imputati Pe. e Au. può rivestire valenza probatoria nei soli confronti di costoro, sempre che, nel presente processo, siano stati specificamente e tempestivamente allegati i fatti che integrano tale reato loro ascritto e che possono assumere rilevanza ai fini civilistici. Ebbene, i No./Ca. in atto di opposizione a D.I. hanno al riguardo, allegato che: - la fideiussione da essi sottoscritta venne prestata "anche dietro consiglio di un funzionario c/o la Cr. Spa,dietro al presupposto che in mancanza vi sarebbe stato il rischio di non consentire all'impresa costruttrice di reperire le risorse per poter continuare a costruire"; - "durante la compilazione dei moduli i fidejussori furono esortati, sottoposti a enorme pressione psicologica, nonostante le loro giustificate perplessità, a firmare; il consenso prestato dagli odierni opponenti alla sottoscrizione delle fidejussioni de quibus risulta senz'altro viziato dallo stato d'animo dei medesimi che stavano vedendo andare "in fumo" i risparmi di tre generazioni della famiglia per realizzare un sogno tanto agognato quanta ormai svanito portandosi dietro la serenità e la vita delle due famiglie coinvolte No.Ma. e Ca.Do., No.Fe. rispettiva moglie e figlia. II "miraggio" creato da Pe. agli opponenti era che la fidejussione avrebbe consentito alla Ca. Srl di ottenere un'erogazione finanziaria dalla Br. opposta al fine di riprendere le lavorazioni alla costruzione delle abitazioni degli opponenti: le condizioni psicologiche in cui venne sottoscritta la fidejussione in favore proprio della società responsabile del dissesto patrimoniale degli opponenti, rendono senz'altro viziato il consenso reso, effettivamente, in uno stato dl violenza psicologica". Inoltre, come si legge nella ordinanza del G.I. datata 19.12.2017, richiamata in sentenza dal primo giudice - nella quale sono state riportate le allegazioni dei No./Ca. contenute in atto di opposizione a D.I. ed in prima memoria ex art. 183 c.p.c. - effettivamente "le deduzioni concrete della parte, cioè, sono, inequivocabilmente, quelle, e solo quelle, di un contratto invalido per violenza", avendo peraltro, gli stessi opponenti sempre fatto specifico riferimento all'art. 1434 c.c. relativo alla violenza. Infine, gli opponenti hanno fatto riferimento al Pe., quale procuratore speciale di Ca. SRL ed al Pe., quale Agente Immobiliare con mandato esclusivo par la vendita degli appartamenti, senza aver mai ascritto a quest'ultimo, la qualità di amministratore di fatto della SOCIETA' debitrice fallita. Non risulta, peraltro, depositata in questa sede la prima memoria ex art. 183 c.p.c. dei No./Ca., peraltro deputata alla sola emendatio libelli, né è reperibile all'interno del fascicolo telematico di primo grado. La condotta estorsiva sotto il profilo della minaccia e quindi della violenza ai fini civilistici, non può dunque ricondursi alla Ca. SRL per il tramite del suo preteso amministratore di fatto, trattandosi di circostanza non specificamente e tempestivamente allegata in questa sede. Tuttavia, la stessa può essere astrattamente riconducibile al Pe. quale Agente Immobiliare con mandato esclusivo da parte della Ca. SRL, per la vendita degli appartamenti, per avere gli opponenti allegato di aver sottoscritto la garanzia alla presenza del medesimo. Inoltre, stando alle allegazioni degli opponenti As., quale viceDirettore della filiale di L. della Cr., che aveva erogato linee di credito alla società Ca. SRL, presente anch'ella alla stipula, si limitò solo a "consigliare" la sottoscrizione della fideiussione, anche se poi gli stessi opponenti avevano allegato anche che durante la compilazione dei moduli essi FIDEIUSSORI "furono esortati, sottoposti a enorme pressione psicologica, nonostante le loro giustificate perplessità, a firmare". Pertanto, anche a voler ritenere che la stessa As. pose in essere le pressioni psicologiche lamentate dagli APPELLANTI de quibus, essendo stata condannata per il medesimo reato di estorsione, occorre considerare che la sentenza penale d'appello non risulta passata in giudicato e quindi non fa stato ex art. 651 c.p.c. nel presente giudizio che, peraltro, non è volto ad ottenere il risarcimento del danno, né la restituzione di somme, come richiede la norma precitata per l'operatività del giudicato penale. Ciò posto, il Collegio rileva che il giudice di primo grado ha ben argomentato le ragioni del suo convincimento, sia dal punto di vista dell'analisi fattuale, sia dal punto di vista ermeneutico-giuridico, circa il contesto nel quale la garanzia è stata prestata dai FIDEIUSSORI. In particolar modo, il Tribunale ha dato conto del fatto che "con riferimento all'opposizione articolata da No./Ca., deve rilevarsi che le prove assunte nel procedimento penale - coincidenti, in sostanza, con le dichiarazioni rese dalle parti offese, odierni attori - siano inutilizzabili in questa sede, e d'altra parte i testi escussi nel presente procedimento, all'esito della rimessione della causa sul ruolo, non hanno reso dichiarazioni che attestino l'effettività della condotta di violenza e minaccia esercitata prima della prestazione del consenso alla conclusione del nuovo contratto di fideiussione: il teste Sa. ha riportato, infatti, quanto riferitogli dagli attori, ed il teste Pe. si è limitato a riferire quanto saputo da Pe., che avrebbe utilizzato, termini che evocano condotte fraudolente ("magheggio") ma che in ogni caso non provano la condotta di violenza e minaccia assunta come determinante della prestazione del consenso" e che "nessun ulteriore elemento emerge dalla sentenza emessa dalla Corte d'Appello in sede penale, che, a quanto emerge dalla motivazione (cfr. tra le altre pag. 70/74) si è sostanzialmente fondata sempre sulle dichiarazioni rese dalle parti offese". Il Tribunale ha dato conto, quindi, dell'inutilizzabilità all'interno del processo civile di prove che nel processo penale sono state poste alla base del convincimento del giudice, in quanto costituite essenzialmente dalle deposizioni rese dagli stessi FIDEIUSSORI, inutilizzabilità che era stata già ritenuta tale dal G.I. con ordinanza del 05.04.2018. Sempre secondo il giudicante "la motivazione della sentenza penale - oltre a ricostruire un più generale, e dettagliato, quadro di rapporti tra il Br. e il Pe. e gli altri coimputati - menziona un solo, ma di per sé non decisivo, elemento ulteriore, rappresentato dalla deposizione di S., che ha confermato come N., dopo aver parlato per un po' con la Au., le disse: "Ma si ricorda di noi due? Si ricorda delle nostre facce?", al che lei rimase sbigottita, sgomenta, ebbe un attimo, e No. proseguì: "Noi siamo quelli a cui Lei ci ha fatto firmare la fideiussione con Pe. qualche mese fa, si ricorda ora quei 65.000 euro?", e lei iniziò a muoversi sulla sedia, le si gonfiarono quasi gli occhi, aveva quasi il panico e si mise a farfugliare qualcosa, e dalla deposizione di Pagliai che ha confermato questo secondo incontro (ma, a quanto si evince dalla sentenza, non la frase riferita da Sa.). Si evince, poi, dalla motivazione della sentenza penale che la teste Re., ritenuta dal Tribunale di Livorno non attendibile, aveva riferito circostanze in contrasto con quelle riferite dai No. e dalla Ce.; mentre ulteriori elementi menzionati nella sentenza penale come riscontri sembrano avere un rilievo decisamente minore". Tale convincimento è corretto ove si consideri che, non essendo stato provato che la sentenza penale d'appello sia passata in giudicato, "in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice civile può legittimamenteporre a base del proprio convincimento le prove "atipiche" ? se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2947del 01/02/2023). Nello specifico, quanto alla valenza probatoria delle testimonianze che non sarebbero state considerate dal Tribunale, il Collegio rileva che - circa la deposizione del teste Pe. - il medesimo in conformità a quanto asserito in atto di opposizione di D.I., ha dichiarato di non essere stato presente al momento del rilascio della garanzia da parte dei FIDEIUSSORI; il teste Sa. ha dichiarato, invece: "i signori Ma. e Fe.No. mi hanno riferito di aver ricevuto una proposta dai signori At.Pe. e Su.Au. di sottoscrivere una fideiussione di Euro 65.000,00 a favore della ditta Ca. per poter rendere possibile una disponibilità economica alla stessa al fine di terminare gli appartamenti che erano in costruzione ? Non sono stato personalmente presente. La circostanza l'ho appresa dalle testimonianze che sono state rese dal Fe. e Ma.No. nel processo penale". Pertanto, nel giudizio di primo grado, non sono risultate provate le "pressioni psicologiche" subite dai FIDEIUSSORI, né tantomeno risulta provata la violenza morale perpetrata "al fine di porre in essere un assetto contrattuale in frode alla legge", essendo stata la deposizione del teste Sa. resa de relato. Rilevasi al riguardo che "la deposizione "de relato ex parte", con cui si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima, ha la natura giuridica di prova testimoniale di una confessione stragiudiziale fatta a un terzo, se supportata dal relativo elemento soggettivo, in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice,ai sensi dell'art. 2735, comma 1, secondo periodo, c.c., e sufficiente ad integrare prova od elemento di prova idoneo a suffragare altra testimonianza indiretta. Al contrario, qualora verta su circostanze apprese dalle parti, la deposizione in parola ha una rilevanza probatoria sostanzialmente nulla, poiché attiene al fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non a quello oggetto dell'accertamento" (Cass. Sez. 3 - Ordinanza n. 7746 del 08/04/2020). A ciò si aggiunga che la BANCA ha dato prova di una serie di circostanze che rendono, peraltro, inverosimile la ricostruzione che i FIDEIUSSORI vorrebbero ottenere dell'intera vicenda. Infatti, l'APPELLATA ha depositato nel corso del giudizio di primo grado, la lettera del 10.04.2009 con data certa 17.04.2009, con la quale Ma.No., Fe.No. e D.C. si erano (già) costituiti garanti nell'interesse della Ca. SRL, fino all'importo complessivo di Euro 100.000,00. Tale fideiussione, risalente a due anni prima di quella oggetto del presente giudizio, era stata rilasciata dagli stessi soggetti in piena consapevolezza, senza essere stata mai revocata, verosimilmente, per lo stesso motivo per i quali è stata poi rilasciata la fideiussione per cui è causa, ovvero per la necessità di garantire il credito per la prosecuzione della costruzione dell'immobile, da parte della Ca. SRL, tantopiù che la stessa risulta collegata al medesimo conto corrente intestato alla SOCIETÀ. Peraltro, l'impegno dei garanti nei confronti della BANCA, con la seconda fideiussione, si è ridotto, passando da Euro 100.000,00 a Euro 65.000,00. I FIDEIUSSORI, al riguardo, hanno, altresì, dedotto che la garanzia venne prestata perché versavano in stato di grave necessità, vedendo il cantiere fermo, sperando di consentire il superamento delle difficoltà del costruttore e di non perdere, così, tutti i risparmi investiti negli immobili, il che depone per il fatto che la volontà degli stessi fosse ben ferma e decisa nel sottoscrivere la fideiussione. Su questo l'ordinanza del G.I. del 05.04.2018, che il Collegio condivide, ha ben chiarito come "nel caso di specie appaiono assolutamente incerti gli elementi costitutivi del dolo invocato e non specificatamente allegato (particolarmente sotto il profilo della falsa rappresentazione per comportamenti estrinsecatesi in raggiri e artifizi e insussistenti già in astratto gli elementi della violenza morale per come dedotta, talchè la denunciata minaccia esercitata nei locali della Banca nei confronti degli opponenti No.Ma., No.Fe. e Ca.Do. per indurli a prestare la fideiussione a garanzia di un finanziamento della C.R. da erogare in favore della società Ca. s.r.l. che avrebbe consentito alla società di riprendere le lavorazioni alla costruzione delle abitazioni promesse in vendita, non esula e non appare esorbitante rispetto allo scopo di garanzia (che può essere prestata anche dal terzo) del finanziamento da erogare, essendo non diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, in quanto la fideiussione prestata dagli opponenti (promittenti acquirenti della Ca. s.r.l.) risulta finalizzata ad ottenere dalla Banca il finanziamento in favore della Ca. s.r.l. e per la banca ad una migliore tutela del diritto di credito (alla restituzione) nascente dalla erogazione del finanziamento". I FIDEIUSSORI, pertanto, non hanno dato prova di aver subito alcuna violenza, né tantomeno che il loro consenso alla sottoscrizione fosse stato carpito con dolo, né, infine, che la fideiussione fosse subordinata a condizione risolutiva e/o subordinata ad un contratto di finanziamento principale illecito. Quello che invece, emerge, chiaramente anche dagli atti in corso di causa (v. pag. 3 dell'atto di opposizione a D.I.) è che i FIDEIUSSORI, in un rapporto di amicizia e di fiducia, con il Pe. abbiano effettuato diversi pagamenti per ovviare alle carenze di liquidità della Ca. SRL, nella speranza di poter far riprendere vigore ai lavori del complesso immobiliare di cui risultavano soci. Infine, quanto alla eccezione di nullità della fideiussione per violazione dell'art. 2, comma 2, lett. a) L. n. 287 del 1990 (cd. Legge Antitrust) con riferimento alle clausole sub nn. (...), (...) e (...), la medesima risulta formulata per la prima volta in grado di appello, sulla base di elementi di fatto tardivamente allegati e per questo neppure rilevabile ex officio. Ad ogni modo i FIDEIUSSORI non hanno neppure dimostrato, ai sensi dell'art. 1419, primo comma c.c., che tale contratto non sarebbe stato concluso senza quella parte del suo contenuto, ovvero senza le suddette clausole asseritamente colpite da nullità, di talché la nullità non potrebbe certo ritenersi estesa all'intero contratto di cui trattasi. Alla luce di tutto quanto sopra precede, la sentenza deve essere confermata. B. La critica contenuta nel primo motivo di gravame - di cui all'appello RG1671/2020 - è infondata. IL FALLIMENTO censura la sentenza di primo grado per avere il Tribunale accertato, nel merito, il credito dedotto in sede monitoria e, conseguentemente, condannato la Ca. SRL, al pagamento di Euro 401.773,56, oltre interessi al minor tasso del 1,5% decorrente dal 22.12.2011 fino all'effettivo saldo, con ciò omettendo di "indurre l'accertamento del credito per cui è causa nell'ambito dell'accertamento del passivo fallimentare", in violazione degli artt. 52 e 93 L.F. Per contro, secondo l'APPELLATA, nonostante la procedura per l'accertamento del credito fosse pendente in sede fallimentare, il FALLIMENTO, dopo che il giudizio di opposizione a D.I. era stato interrotto, ha voluto riassumere il giudizio confermando le conclusioni rassegnate dalla SOCIETA', chiedendo, infatti, l'accertamento del credito a suo favore e la condanna della BANCA in forza della domanda riconvenzionale proposta. Al riguardo, il Collegio ritiene necessarie alcune precisazioni dirimenti ai fini del decidere. In atti risulti pacifico come la BANCA si sia insinuata al passivo fallimentare della Ca. SRL per quello stesso credito, per il quale ha coltivato la domanda monitoria ed ottenuto, poi, l'ingiunzione richiesta, nei confronti di FIDEIUSSORI. L'insinuazione rigettata dal giudice delegato è stata opposta ed il relativo procedimento sospeso in attesa dell'esito del presente giudizio. È certo che il Collegio, in tema di rapporto tra giudizio delegato ex artt. 52 e 93 L.F. e giudizio ordinario di cognizione, conosce l'orientamento della Suprema Corte sul tema; pur tuttavia, è altresì vero che la sospensione del giudizio, comportando la collocazione del giudizio in uno stato di quiescenza destinato a protrarsi fino al momento della definizione di quello avente carattere pregiudiziale, non può essere adottato nel caso in cui, come nella specie, quest'ultimo sia stato sospeso, in quanto ritenuto a sua volta dipendente dalla decisione del primo, e quindi nella fattispecie, non può ritenersi sussistente il presupposto richiesto dall'art. 295 c.p.c., consistente nell'effettiva pendenza della causa "pregiudicante" e nell'idoneità della stessa ad approdare alla pronuncia ritenuta pregiudiziale. In altri termini, non essendovi alcun accertamento definitivo del credito della BANCA insinuata al passivo del FALLIMENTO, non vi è motivo di sospendere il presente processo, in attesa della pronuncia del Tribunale fallimentare, a fronte della disposta sospensione del giudizio di opposizione in quella sede. Tale principio trova conforto nella osservazione che il giudice dell'unica causa concretamente pendente - quella in oggetto - non può revocare, né altrimenti sindacare, l'ordine di sospensione impartito nell'altra controversia, il quale può essere rimosso soltanto mediante l'impugnazione accordata alle parti dall'art. 42 c.p.c.; poiché la proponibilità di quest'ultima resta esclusa allorquando, come nel caso in esame, il relativo termine sia ormai decorso, una nuova pronuncia di sospensione si tradurrebbe in un'inevitabile paralisi del rapporto processuale, dal momento che non potrebbe mai realizzarsi la condizione risolutiva rispettivamente apposta dai due giudici alla sospensione di ciascun procedimento (cfr. sul punto Cass. Sez. VI, 18/06/2019, n. 16361; Cass., Sez. III, 21/11/2006, n. 24742; Cass., Sez. III. 23/12/2005, n. 28520; Cass., Sez. I, 21/07/2000, n. 9585; 15/02/1999, n. 1237). Alla luce di quanto precede, è evidente come la doglianza non sia fondata e, pertanto, sul punto, la sentenza deve essere confermata. C. La seconda censura alla sentenza impugnata - di cui all'appello RG1671/2020 - è infondata. Con il secondo motivo di appello, il FALLIMENTO critica la sentenza impugnata laddove il Tribunale - esaminato il merito - ha respinto le domande riconvenzionali proposte dalla società fallita, volte la prima, all'accertamento del saldo attivo sul conto corrente, ammontante ad Euro 250.888,44, epurato degli importi derivanti dalle operazioni di falsa sottoscrizione degli assegni tratti sul conto e dei bonifici effettuati a favore di terzi che avevano ridotto la disponibilità del conto, (di cui ai docc. dal n. 4 al n. 47) e, la seconda, al risarcimento danni da inadempimento contrattuale, discendente dalle condotte della BANCA per il tramite dei suoi funzionari. Al riguardo, il primo giudice ha così motivato: "deve considerarsi come, nel caso di specie, del tutto improvvidamente gli amministratori della società abbiano di fatto consentito la gestione della stessa a Pe., allo stesso tempo consentendogli di operare sui conti correnti intestati alla società e sottoscrivere assegni ? deve quindi ritenersi che le condotte gravemente colpose dell'opponente L. e della Società Carolina in bonis (poste in essere per il tramite dei suoi amministratori) costituiscano di per sé l'antecedente logico e giuridico del danno patrimoniale arrecato alla società dall'indebito utilizzo di assegni (con falsa firma di traenza e dei conti correnti e dei corrispondenti ammanchi) con false dichiarazioni di bonifico nonostante la falsità delle sottoscrizioni accertata dal CTU e la verosimile conoscenza della falsità in capo ad alcuni dipendenti dell'istituto di credito". Ad avviso del FALLIMENTO, in particolare, le considerazioni contenute nella parte motiva sopra riportata, sarebbero state inferite dal giudicante "sulla base di una deduzione contenuta nella prima memoria istruttoria della sig.ra L., la quale dichiarava che il sig. P.A. era la mente dell'operazione, con coinvolgimento di professionisti e in particolare modo con il direttore Br.Ga. ed il vicedirettore della filiale di L. della Ca. agenzia di Livorno". Inoltre, nello stesso senso, anche la BANCA aveva affermato nella comparsa di costituzione risposta in primo grado che fosse presente "una prassi operativa instaurata per consapevoli disposizioni di parte opponente, con la delega a persona estranea ad operare sul conto e la manifestata piena fiducia nell'operato della stessa, finché i rapporti sono rimasti di collaborazione" deducendo, quindi, la delega offerta a terzi per operare sul conto e la tacita accettazione dei movimenti bancari. Tali circostanze, a detta del FALLIMENTO, avrebbero portato il Tribunale non già ad attenuare il danno, con conseguente diminuzione della sua entità secondo la gravità della colpa nei fattori concorrenti, ma ad escludere in toto il risarcimento del danno in applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c., disposizione che, tuttavia, non sarebbe stata applicabile al caso di specie, in assenza di una eccezione in senso stretto da parte della BANCA, avendo quest'ultima, con la propria difesa, inteso soltanto impedire una contestazione tardiva, in ordine alla tacita approvazione del conto. Per contro, secondo la BANCA, dalle risultanze processuali del primo grado, emergerebbe chiaramente che la DEBITRICE PRINCIPALE, tramite il suo legale rappresentante Lu.Lu., sapeva da tempo delle operazioni poste in essere con firme falsificate e conosceva chi operava in tal senso e quindi non poteva non avere la "colposa consapevolezza dell'uso falso delle firme" da parte del Pe., né avrebbe preso alcun rimedio per evitare che tali falsificazioni continuassero nel tempo. Al riguardo, il Collegio ritiene che nei rispettivi scritti difensivi, la L. e la Ca. SRL hanno fatto riferimento al Pe. come persona che aveva preso parte alla gestione di fatto della SOCIETÀ. Si legge, infatti, a titolo esemplificativo nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. della Lo. "quanto all'autore della condotta illecita, delle firme false, la signora Lo. dichiara di essere il signor P.A., che era la mente dell'operazione della lottizzazione i Ghiaccioni ? il signor Pe. godeva (purtroppo) della fiducia della Ca. s.r.l. ed aveva accesso agli uffici della stessa". A ciò si aggiunga che la Ca. SRL, nel corso degli anni, non ha mai contestato gli estratti conto ricevuti che documentavano le anomale operazioni bancarie intraprese sul conto corrente mediante assegni bancari e bonifici di ingente importo e con operazioni effettuate con firma falsificata dal settembre del 2008 al marzo del 2010. A giudizio della Corte dunque, ciò che emerge è che la DEBITRICE PRINCIPALE non abbia impiegato neppure una diligenza minima nel custodire gli assegni, nel controllare gli estratti conto e nel vigilare sull'operato di persona interne o ad essa vicine, quali il Pe., che avevano, comunque, la disponibilità degli assegni e del timbro della medesima. Devono, pertanto, ritenersi responsabili per la condotta negligente della Ca. SRL, sia la L. quale amministratore di diritto, sia il Pe. quale amministratore di fatto della stessa. Quest'ultimo, infatti, sulla base dell'istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado, è stato, secondo la definizione che dà la Cassazione di amministratore di fatto, "il soggetto investito, in modo continuativo e significativo, dei poteri tipici dell'organo di gestione, ovvero di una parte dell'attività, attraverso l'inserimento - con funzioni direttive - in una qualsiasi fase del processo produttivo" (Cass. 19 novembre 2019, n. 2714). Risulta, pertanto, condivisibile il ragionamento del giudice di prime cure, il quale ha negato al FALLIMENTO il diritto al risarcimento del danno, posto che la mala gestio della SOCIETÀ ha costituito "di per sé, l'antecedente logico e giuridico, del danno patrimoniale arrecato alla società dall'indebito utilizzo di assegni (con falsa firma di traenza) e dei conti correnti e dei corrispondenti ammanchi (con false dichiarazioni di bonifico), nonostante la falsità delle sottoscrizioni accertata dal c.t.u. e la verosimile conoscenze della falsità in capo ad alcuni dipendenti dell'istituto di credito". Inoltre, la condotta della L. nella indicata qualità è stata connotata dal dolo eventuale, ovvero dall'accettazione del rischio che fosse falsificata la firma di traenza degli assegni bancari e la sottoscrizione degli ordini di bonifico effettuati in nome e per conto della Ca. SRL. Si ricorda al riguardo che tra le scritture di comparazione figura lo specimen di Lu.Lu. e quello di Pa.Ni., procuratore speciale di Ca. SRL, depositati presso la BANCA in data 05/04/2006, di talché costoro erano gli unici legittimati ad emettere assegni bancari ed a impartire disposizioni bancarie, in nome e per conto della predetta società. Quanto alla condotta della BANCA, la misura della diligenza richiesta alla medesima "nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell'accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata, alla stregua del paradigma di cuial secondo comma dell'art. 1176 cod. civ. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la congruità della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6513 del 20/03/2014). Pertanto, "la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell'accorto banchiere (Cass. n. 806/16). Inoltre, la diligenza esigibile dal professionista o dall'imprenditore, nell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività, ha contenuto tanto maggiore quanto più è specialistica e professionale la prestazione richiesta; pertanto, incorre in responsabilità il soggetto che non adoperi la diligenza dovuta in relazione alle circostanze concrete del caso, con adeguato sforzo tecnico e con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari o utili all'adempimento della prestazione dovuta e al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili effetti dannosi (Cass., n. 12407/2020)" (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 16417 del 20/05/2022). Rileva la Corte che nella fattispecie, non è dato sapere se gli assegni bancari de quibus e le disposizioni di bonifico fossero state presentate alla BANCA ancora da sottoscrivere né è stata allegata la grossolanità della falsificazione, della firma di Pa.Ni. quale procuratore speciale della Ca. SRL, tale da rendere più evidente la negligenza dell'istituto bancario e che, comunque, deve ritenersi insussistente, essendo stata, infatti, necessaria una CTU grafologica per accertare che: "Non vi sono firme in Verifica a nome Lu.Lu., pertanto non si è potuto proceduto al confronto con le autografe della sig.ra L.. La firma a nome Pa.Ni. apposta sull'allegato n.35, da noi indicato come V35, è autografa, cioè è stata scritta dal sig. Pa.Ni.. Tutte le altre firme a nome Pa.Ni. sugli assegni e sui bonifici oggetto di indagine sono apocrife". La falsificazione della firma della Lo. o del Pe. nella indicata qualità non riveste dunque, caratteristiche tali da poterne configurare la grossolanità. Infatti, il CTU - dopo aver verificato n. 32 assegni bancari con firma a nome Pa.Ni. apposta su timbro: Ca. SRL (ad eccezione di due assegni con firma senza timbro, i numeri 22bis e 35) e n. 12 ordini di bonifico impartiti alla BANCA, per un totale di 46 firme, a nome Pa.Ni., anch'esse su timbro: Ca. SRL (ad eccezione dei seguenti numeri: 36c, 43a, 43b, 43c) - ha accertato, grazie alla specifica competenza, che "nel confronto effettuato tra le firme del primo gruppo in Verifica e quelle in Comparazione di Pa.Ni., sono emerse differenze qualitative rilevanti. Qualche apparente analogia formale non riesce a nascondere le profonde divergenze del gesto grafico: così notiamo accostamenti, talvolta addossamenti, dietro i quali non c'è continuità del gesto grafico, bensì continue interruzioni con alzate di penna documentate da suture e collage evidenziate nelle immagini esposte. Chi ha firmato a nome Pa.Ni. ha cercato di imitarne il tracciato in maniera più libera nei documenti del primo gruppo, in modo più pedissequo in quelli del secondo". Pertanto, nel caso di specie, l'insussistenza dell'inadempimento della BANCA all'obbligo contrattuale di diligenza su di essa incombente non può dirsi fondato soltanto sull'esame visivo delle sottoscrizioni, sia perché la falsificazione non era grossolana, evincibile cioè ictu oculi, sia perché il presunto "falsificatore" (il P.) della firma a nome di Pa.Ni., procuratore speciale di Ca. SRL, risultava avere pieno potere di agire sul conto corrente della stessa Ca. SRL, evidentemente a ciò di fatto legittimato, quale amministratore di fatto della medesima società, dall'amministratore di diritto Lu.Lu.. Ad ogni modo, anche a voler ravvisare una condotta negligente in capo alla BANCA, nella negoziazione dei suddetti titoli e nella esecuzione delle precitate disposizioni di bonifico, sul presupposto della avvenuta falsificazione delle firme di traenza di disposizione da parte del Pe., la stessa risulta assorbita dalla colposa condotta dolosa sopra descritta, in applicazione dell'art. 1227 co. 1 c.c. e non dell'art. 1227 co. 2 c.c., come assume, invece, il FALLIMENTO, ove si consideri, altresì, che la Ca. SRL con l'atto di opposizione a D.I., aveva imputato alla BANCA di "non aver controllato la corrispondenza fra lo 'specimen' depositato e le firme apposte sugli assegni e sui bonifici", con conseguente responsabilità della medesima tenuta, oltre che al riaccredito/restituzione di dette somme, anche al risarcimento del danno. Ad ogni buon conto, secondo l'APPELLANTE, i funzionari della BANCA "se avessero usato la diligenza professionale richiesta, avrebbero impedito, in via esclusiva, il verificarsi del danno" e ciò equivale ad invocare il disposto dell'art. 1227 co. 2 c.c. a norma del quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Inoltre, l'avere Ca. allegato che non sia pensabile che la società fallita non si fosse accorta di assegni di ingente importo e di bonifici addirittura di Euro 220.000,00 e di Euro 50.000,00, che degli assegni con firma falsificata risalenti agli anni 2008 - 2009 se ne fosse accorta solo nel 2012 ed infine che l'approvazione reiterata degli estratti conto nei quali gli importi degli assegni e dei bonifici erano stati inseriti, si fosse protratta per lunghissimo lasso di tempo ovvero per cinque anni, altro non è che implicitamente aver sollevato l'eccezione di cui all'art. 1227 co. 2 c.c., per non avere la Ca. SRL, tramite il suo legale rappresentante, fatto tutto il possibile per evitare il danno o quantomeno attenuarne le conseguenze, avendo invece, non solo autorizzato preventivamente, permettendo al Pe. di ingerirsi nella gestione della società, ma anche successivamente, ratificato tacitamente la condotta illecita del medesimo, in nome e per conto della Ca. SRL. Alla luce di quanto sopra precede, la sentenza deve essere confermata, con la sopra indicata motivazione integrativa. D.La terza censura alla sentenza impugnata - di cui all'appello RG 1671/2020 - è infondata. Con il terzo motivo di appello, il FALLIMENTO critica la sentenza impugnata per avere il giudice di prime cure ritenuto non sussistente la responsabilità della BANCA e dei suoi funzionari - i quali, secondo l'APPELLANTE, "se avessero usato la diligenza professionale richiesta, avrebbero impedito, in via esclusiva, il verificarsi del danno" - e per questo infondate le domande di risarcimento del danno da esso avanzate, in tal modo incorrendo in violazione dell'art. 1176, secondo comma, c.c.. Secondo parte APPELLATA, invece, la responsabilità del banchiere sussisterebbe esclusivamente quando la falsità sia rilevabile ictu oculi in base alle conoscenze del bancario medio, ma, nel caso di specie, tale falsità non era rilevabile ictu oculi. Ciò posto, la Corte richiama le considerazioni svolte in ordine al motivo precedente e rileva, altresì, che totalmente estranea alla falsificazione de qua risulta essere la vice-direttrice della filiale Au., chiamata a rispondere dagli stessi APPELLANTI solo per le presunte pressioni psicologiche ricevute dai FIDEIUSSORI. E. In applicazione, per vero, del principio di soccombenza, tenuto conto dell'esito del giudizio complessivo (che vede vittoriosa Cr. SPA) le spese processuali del presente grado del giudizio devono essere poste a carico di No.Ma., No.Fe., Ca.Do. nei rapporti tra questi ultimi e la BANCA, nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147 del 2022, in relazione al valore effettivo della controversia ed all'attività svolta, con applicazione dei parametri, esclusa la fase istruttoria. Nel rapporto processuale tra il FALLIMENTO e la BANCA le spese vanno poste a carico del primo, nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147 del 2022, in relazione al valore effettivo della controversia ed all'attività svolta, con applicazione dei parametri, esclusa la fase istruttoria. Va dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 co. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 in capo a ciascun appellante. P.Q.M. La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull'appello proposto da No.Ma., No.Fe., Ca.Do. nei confronti di Cr. SPA e Lu.Lu. nonché sull'appello promosso dal FALLIMENTO Ca. SRL nei confronti di Cr. SPA, No.Ma., No.Fe., Ca.Do. e Lu.Lu., riuniti, avverso la sentenza n. 714/2020 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 24/07/2020, così provvede: 1. DICHIARA la contumacia di Lu.Lu. nonché di No.Ma., No.Fe. e Ca.Do., questi ultimi limitatamente al giudizio promosso dal FALLIMENTO; 2. RESPINGE gli appelli e per l'effetto, conferma integralmente la sentenza impugnata; 3. CONDANNA No.Ma., No.Fe. e Ca.Do., in solido tra loro, alla rifusione in favore di Cr. SPA, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 9.991,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali al 15%, Iva e Cap come per legge; 4. CONDANNA il FALLIMENTO Ca. SRL alla rifusione in favore di Cr. SPA, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 9.991,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali al 15%, Iva e Cap come per legge; 5. DÀ atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 co. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 in capo a ciascun appellante. Così deciso in Firenze il 12 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA XVII Sezione Civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Fausto Basile, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 32330 del R.G.A.C.C. dell'anno 2019, e vertente tra Un. S.p.A., in persona del suo procuratore speciale, rappresentata e difesa, giusta procura alle liti allegata all'atto di costituzione di nuovo difensore, dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, via (...) ATTRICE e Ba. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura generale alle liti del 17.07.2018, dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata in Roma, (...) CONVENUTA OGGETTO: titoli di credito. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 7/5/2019, la Un. S.p.A. ha evocato in giudizio, dinanzi all'intesto Tribunale, la Ba. S.p.A. per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: "... Piaccia all.mo Giudice adito, ogni contraria istanza, ragione ed eccezione disattesa, accertate le contraffazioni e le alterazioni sugli assegni bancari non trasferibili nn. (...), (...), (...) e (...) accertare e dichiarare la responsabilità della società Bn. s.p.a. ex art. 1218 e 1228 c.c., nonchè ex art. 2043 e 2049 c.c. e, ex art. 43 legge assegno, e per l'effetto, condannare la stessa alla restituzione della somma pari ad Euro 6.051,18 oltre gli interessi e rivalutazione maturati dalla data di emissione sino al momento della liquidazione del danno, oltre al risarcimento in favore di (...) S.p.A. di tutti i danni cagionati dall'istituto di credito in parola, da quantificarsi in via equitativa, nei limiti della competenza dell'odierno giudicante. Si chiede altresì al Giudicante il rimborso della somma paria ad Euro 48,80 quali spese di avvio della procedura di mediazione obbligatoria. Con vittoria di spese, competenze ed onorari oltre il 15% si spese forfettarie di cui all'art. 15 L.P., oltre I.V.A. e C.P.A. da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario. Ci si riserva di articolare le richieste istruttorie con i termini di cui all'art. 183 c.p.c. di cui sin da ora si chiede la concessione". A sostegno della domanda, parte attrice esponeva che: 1) la società istante, in virtù della convenzione relativa al servizio di liquidazione sinistri, ordinava al proprio Istituto di credito l'emissione di quattro assegni di traenza non trasferibili per l'ammontare complessivo di Euro 6.051,18, intestati e spediti tramite servizio postale ad altrettanti beneficiari; 2) in particolare, l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.500,00 era stato inviato alla Sig. Di.To.; l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.300,00 era stato inviato al Sig. Vi.Ca.; l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.801,18 era stato inviato alla Sig.ra Ma.Al.; e l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.450,00 era stato inviato alla Sig.ra Pe.An.; 3) che in seguito ai controlli contabili operati, la società attrice riscontrava come i legittimi beneficiari non avessero mai incassato gli assegni in parola, i quali, peraltro, in seguito, sono risultati essere stati incassati da soggetti non legittimati; 4) segnatamente, i titoli nn. (...) e (...) risultano essere stati incassati presso la Bn. S.p.A. da tale "Pa.Lu." che il titolo n. (...) risulta essere stato incassato presso la Bn. S.p.A. da tale "Ca.Ma."; che infine il titolo n.(...) risulta essere stato incassato presso la Bn. S.p.A. da tale "Da.Gi.", i quali a tal fine si sono illecitamente impossessati dei titoli de quibus. 5) su richiesta dei propri assicurati, legittimi intestatari dei titoli, l'attrice è stata costretta ad ordinare al proprio Istituto di credito di reiterare i pagamenti; conseguentemente, in favore di sig. Di.To. veniva emesso assegno bancario n. (...), regolarmente incassato in data 01/12/10; in favore del sig. Vi.Ca. veniva emesso assegno bancario n. (...), regolarmente incassato in data 23/03/2011; in favore della sig.ra Ma.Al. veniva eseguito bonifico bancario avente CRO n. (...); in favore della Sig.ra Pe.An. veniva eseguito bonifico bancario avente CRO n. (...); 6) presa visione degli assegni per cui è causa, Un. verificava che i titoli presentavano anomale cancellature, con il nome del falso prenditore dattiloscritto con diverso carattere meccanografico. Tanto esposto in punto di fatto, in punto di diritto parte attrice ha dedotto la palese responsabilità in capo alla Bn. S.p.A. per aver negoziato i titoli in favore di soggetti diversi rispetto a quelli legittimati e per aver manifestato incuria e negligenza a mezzo dei suoi cassieri nell'adempimento delle proprie obbligazioni, posto che la negoziazione è avvenuta a favore di clienti, nella maggior parte dei casi, non conosciuti o non correttamente identificati ai quali è stato però consentito aprire un conto corrente presso la Banca convenuta, con l'ulteriore aggravante di aver consentito a soggetti nuovi o in precedenza identificati con negligenza l'incasso di titoli riportanti alterazioni rilevabili ictu oculi che avrebbero dovuto quantomeno indurre a sospettare la loro falsificazione unitamente ai documenti prodotti in sede di apertura del conto corrente e/o del libretto al portatore. Ha altresì sostenuto che dalla spedizione dell'assegno di traenza non trasferibile tramite lettera postale non assicurata non può ravvisarsi alcun concorso di colpa ex art. 1227 c.c. della Un. s.p.a. con l'istituto di credito convenuto, in quanto non sussisterebbe alcun nesso di causalità tra il tipo di spedizione degli assegni e il danno patito dall'attrice sotto forma di doppio esborso a causa dell'imperizia di Bn. s.p.a. nella negoziazione dei titoli per cui è causa. Tale forma di spedizione dei titoli, infatti, non configurerebbe un eventuale comportamento negligente del creditore, rappresentando anzi un comportamento legittimo in quanto il servizio postale è strumento sul quale deve farsi legittimo affidamento. Tanto più, nel caso oggetto del presente giudizio, trattandosi di titoli emessi con la clausola "non trasferibile" e, quindi, ulteriormente tutelati dalle norme sulla circolazione. Inoltre, sempre a detta di parte attrice, andrebbe escluso il concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227 c.c. della banca emittente (Un. S.p.A.) con quella che ha negoziato i titoli per cui è causa (l'odierna convenuta) mediante la procedura di check, truncation. Tale procedura che prevede che la banca negoziatrice del titolo lo presenti per il pagamento - compensazione - all'istituto trattario/emittente senza inviarne la materialità in stanza di compensazione, ma trasmettendone i dati con mezzi informatici, attraverso rete internazionale interbancaria. Trascorso il termine previsto da accordi interbancari ed in assenza di messaggi di impagato da parte della banca emittente, l'importo portato dall'assegno viene accreditato sul rapporto di versamento. Solo dopo tale momento la somma entra nella disponibilità materiale del beneficiario). Sennonché, nella procedura di check, truncation, i dati che vengono comunicati dalla banca negoziatrice (nel caso in esame la Bn. S.p.A.) sono esclusivamente il numero dell'assegno, il CAB ed ABI identificativi dell'assegno e l'importo dell'assegno, e non anche il nominativo. Per cui, la banca emittente, ricevuto il flusso elettronico da parte della Bn. S.p.A. consistente nei soli dati innanzi indicati, non sia in grado di inviare alcun messaggio di impagato e/o di blocco, non potendo accertare materialmente la contraffazione del nome del beneficiario sul titolo. Al contrario, delle alterazioni degli assegni di traenza non trasferibili avrebbe dovuto prioritariamente e concretamente accorgersi la Bn. S.p.A., detentrice materiale dei titoli per cui è causa. (...) ha, pertanto, dedotto la responsabilità della con venuta Bn. S.p.A. non solo ex art. 2043 c.c., ma anche ex artt. 1218 e 1228, nonché ex art. 2049 c.c. ex art. 43 legge assegni. Si è costituita in giudizio Bn. S.p.A. la quale, contestato tutto quanto ex adverso dedotto ed argomentato, ha chiesto il rigetto delle domande di parte attrice. A tal fine, ha eccepito a) in primis, la genericità e la laconicità della ricostruzione in fatto svolta da parte attrice; b) in ogni caso, il concorso colposo ex art. 1227 c.c. dell'attrice nella causazione del preteso danno, per avere la stessa inviato i titoli con posta ordinaria, ossia con un sistema di corrispondenza notoriamente non sicuro ed esposto ad un elevato rischio di sottrazione dei plichi. All'udienza del 21.02.2019, il Giudice ha ordinato alla Bn. S.p.A., ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'esibizione in originale cartaceo dei quattro titoli oggetto di contestazione nel presente giudizio. All'udienza del 03.11.2022, il Giudice, dato atto del mancato deposito degli assegni in originale, ha assegnato a parte convenuta nuovo termine per il deposito degli stessi titoli e ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni. All'udienza a trattazione scritta del 26.04.2023, la causa, sulle conclusioni in epigrafe indicate, è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Le domande di parte attrice sono fondate e devono trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte. Al fine dell'inquadramento sistematico della responsabilità della banca che pagato un assegno bancario non trasferibile a persona diversa da quella cartolarmente legittimata come prenditore, va richiamato l'orientamento giurisprudenziale tracciato dalla pronuncia delle SS.UU. n. 14712/2007, secondo cui "la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall'art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l'incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non traferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha - nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno - natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso". Qualificata la responsabilità della banca negoziatrice come responsabilità da "contatto sociale qualificato", quale species del genus della responsabilità contrattuale si è registrato un contrasto giurisprudenziale sui limiti della responsabilità della banca per il pagamento di un assegno non trasferibile a un soggetto diverso dall'effettivo beneficiario, a seguito di un'errata identificazione di colui che presenti il titolo per l'incasso o del mancato riconoscimento della contraffazione del titolo stesso. Secondo un primo orientamento inaugurato da Cass. n. 1098/1999 - che, a sua volta, ristabiliva il principio enunciato da Cass. n. 3133 del 1958 - "l'art. 43 del R.D. n. 1736 del 1933 disciplina in modo autonomo la fattispecie dell'adempimento dell'assegno non trasferibile, derogando sia alla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile, sia al disposto di diritto comune dettato, in tema di obbligazioni, dall'art. 1189 c.c. (che dispone la liberazione del debitore adempiente in buona fede in favore del creditore apparente), con la conseguenza che la banca, nell'effettuare il pagamento in favore di persona diversa dal legittimato, non è liberata dalla propria obbligazione finché non paghi nuovamente al prenditore esattamente individuato l'importo dell'assegno, a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sulla identificazione di quest'ultimo". Tale indirizzo interpretativo, seguito da diverse pronunce di legittimità (Cass., n. 3654/2003; Cass. 7949/2010), è stato ribadito più recentemente da Cass. 3405/2016 e da Cass. 4381/2017. A tale soluzione ermeneutica, si contrappone quella giurisprudenza che, facendo leva sui normali criteri di attribuzione della responsabilità per colpa in materia di obbligazioni, ritenute applicabili anche all'attività bancaria, affermava il diverso principio di diritto secondo il quale "se il pagamento dell'assegno bancario non trasferibile è fatto a chi si legittima cartolarmente come prenditore dell'assegno, colui che ha eseguito il pagamento ne rifonde verso il prenditore a norma dell'art. 43, secondo comma, della legge sull'assegno bancario n. 1736 del 1933 - applicabile anche all'assegno circolare in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 86 della stessa legge - soltanto se non ha usato la dovuta diligenza nell'identificazione del presentatore dell'assegno, in quanto la disposizione di cui al secondo comma del citato art. 43, laddove sancisce la responsabilità per il pagamento di chi paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, si riferisce non alla persona fisica del prenditore, ma alla legittimazione cartolare cioè alla persona che non è legittimata come prenditore, e, quindi, non comporta deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimatone nominale" (Cass. n. 2360/1968; Cass. n. 686/1983; Cass. n. 9888/1997). Tale orientamento era stato recentemente confermato da Cass. n. 1377/2016. Il contrasto riguardava, quindi, la portata dell'art. 43 L.A., interpretato, da una parte della giurisprudenza, con riferimento agli oneri di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale, sul presupposto che l'art. 43, comma 2, citato, regolasse in modo autonomo l'adempimento del pagamento dell'assegno non trasferibile, con deviazione anche dalla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile dettata dall'art. 1992 c.c. e, da altra parte, come riferibile solo alla disciplina della circolazione dell'assegno bancario, trasformato in titolo a legittimazione invariabile. L'indirizzo giurisprudenziale che interpreta l'art. 43 L.A. come riferibile alla sola disciplina della circolazione dell'assegno bancario trasformato in titolo a legittimazione invariabile appare più corretto, dal momento che esso - al fine della disciplina della responsabilità della banca per il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario - opera una corretta distinzione tra ipotesi completamente diverse tra di loro: da una parte, quella del pagamento a colui che non è legittimato cartolarmente come prenditore del titolo non trasferibile e, dall'altra parte, quelle, del tutto diverse, della erronea identificazione del soggetto che appare cartolarmente legittimato e del colpevole mancato riconoscimento dell'alterazione del titolo. Risulta chiara la differenza tra le due ipotesi: nel primo caso, la banca paga a Caio, non legittimato, mentre T. è l'intestatario dell'assegno munito di clausola di non trasferibilità; nel secondo caso, in cui non vi è alcuna girata fatta in violazione della clausola di non trasferibilità, la banca paga ad un soggetto di nome T., effettivo intestatario dell'assegno, senza però controllare con la dovuta diligenza se la persona che si presenta all'incasso sia veramente T., oppure un soggetto diverso che ha falsificato il nome del prenditore dell'assegno e/o il documento con il quale si è fatto identificare come T.. Seguire l'opposto orientamento, che afferma la responsabilità della banca a prescindere dalla colpa anche nell'ipotesi di errata identificazione del prenditore o di alterazione del titolo, porterebbe a trattare alla stessa maniera ipotesi radicalmente diverse tra di loro. Esso, inoltre, verrebbe a creare, nell'ambito delle stesse ipotesi, un'ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra la disciplina della responsabilità della banca che negozia un assegno a legittimazione variabile e quella della banca che negozia un assegno a legittimazione invariabile; la prima, basata sulla diligenza media e, la seconda, sulla natura oggettiva della sua responsabilità. Ciò posto, la responsabilità oggettiva della banca (o come, nel caso di specie, di P.I.) si giustifica soltanto nel caso in cui negozi un titolo non trasferibile violando le specifiche prescrizioni del primo comma dell'art. 43, L.A., ovvero quando paghi il titolo con clausola di non trasferibilità a un soggetto diverso da quello che risulta avere la legittimazione cartolare ai sensi della medesima norma (pagamento a Caio di un assegno di traenza il cui prenditore legittimato cartolarmente risulta T.). Nei distinti casi di errore nella identificazione del soggetto legittimato cartolarmente e nel riconoscimento della contraffazione del titolo, appare dunque corretto l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la responsabilità della banca (sia quella trattaria, che quella negoziatrice) non possa prescindere da una valutazione in concreto sull'uso della diligenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze, essendo applicabili all'attività bancaria le disposizioni generali di cui agli artt. 1176, comma 2, c.c. e 1992, comma 2, c.c. A comporre il contrasto giurisprudenziale innanzi indicato, sono recentemente intervenute le SS.UU. con le sentenze nn. 12477 e 12478/2018 che lo hanno risolto in favore della seconda interpretazione. Una volta ricondotta l'attività della banca negoziatrice nell'ambito della responsabilità contrattuale derivante da "contatto sociale qualificato" (come affermato dalle citate SS.UU. n. 14712/2007), le SS.UU. hanno ritenuto insostenibile la tesi secondo la quale la banca risponde del pagamento dell'assegno non trasferibile prescindendo dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sull'identificazione. Una forma di responsabilità oggettiva, infatti, potrebbe predicarsi solo in difetto di un rapporto in senso lato contrattuale tra danneggiante e danneggiato, come ad esempio nelle ipotesi tipiche disciplinate dagli artt. 2048/2053 c.c., appartenenti però all'ambito della responsabilità aquiliana, laddove, invece, nella logica della responsabilità contrattuale (anche nella forma della responsabilità da contatto sociale qualificato), la colpa toma a recuperare la propria centralità ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c.. Di conseguenza, le SS.UU. hanno affermato il principio secondo il quale, nell'azione promossa dal presunto danneggiato, la banca che ha pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore "è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2 comma dell'art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lievi". In tal modo, la funzione assolta dall'art. 43, comma 2, L.A. viene a consistere nell'impedire la circolazione del titolo, predisponendo "una sanzione di responsabilità cartolare, il cui presupposto risiede nella circostanza che non si è pagato ad un soggetto legittimato come prenditore del titolo" e si pone, pertanto, su un piano differente rispetto alla responsabilità civile collegata all'errore nell'identificazione dell'effettivo prenditore. Dunque, la responsabilità risarcitoria della banca, nel caso di pagamento di assegni bancari non trasferibili a soggetto diverso da colui che appare cartolarmente legittimato, non può discendere oggettivamente dall'art. 43, secondo comma, legge assegno, ma rimane collegata alla mancata o negligente identificazione del presentatore del titolo o al colpevole mancato riconoscimento dell'alterazione dello stesso, alla stregua della dirigenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze. Nella delineata prospettiva della dirigenza richiesta alla banca negoziatrice di titoli, la S.C. ha più volte affermato che, nel caso di pagamento di un assegno circolare trafugato ed alterato, non basta la mera rilevabilità dell'alterazione, occorrendo che la stessa sia visibile "ictu oculi", in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né deve essere un esperto grafologo. Il giudice di merito deve, pertanto, verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o - piuttosto - se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo, o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche (Cass., 1377/2016; cfr. Cass. 6524/2000; 15066/2005; 20292/2011; 6513/2014). Sempre con riferimento alla diligenza professionale media richiesta nell'attività bancaria, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la banca, cui sia presentato un assegno per l'incasso, ha il dovere di pagarlo se le eventuali irregolarità (falsificazione o alterazione) dei requisiti esteriori non siano rilevabili con la normale diligenza inerente all'attività bancaria che coincide con la diligenza media, non essendo la stessa tenuta a predisporre un'attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell'autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per la riscossione (Cass., n. 6524/2000). Dunque, la banca negoziatrice non è tenuta a predisporre particolari attrezzature idonee ad evidenziare il falso, né i suoi dipendenti debbono avere una particolare competenza in grafologia, in quanto sussiste la diligenza della banca trattaria allorquando riscontra la corrispondenza delle firme di traenza allo "specimen" depositato dal correntista e la difformità delle sottoscrizioni non sia rilevabile ad un esame attento, benché a vista, del titolo (Cass., n. 12761/1993). Ciò posto, quello dedotto nel presente giudizio non rientra tra i casi nei quali la responsabilità della banca convenuta va ricondotta all'ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all'art. 43, secondo comma, L.A. (pagamento a Caio di un assegno di traenza il cui prenditore legittimato cartolarmente è T.). Si tratta, invece, di un caso nel quale la responsabilità deve essere valutata alla stregua dell'uso concreto della diligenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze, in applicazione dei principi generali di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 1992, secondo comma, c.c. Ne discende allora che, poiché la responsabilità della banca negoziatrice di un assegno (circolare o bancario) è di tipo contrattuale, in base ai principi generali in materia di riparto dell'onere della prova sanciti da SS.UU. n. 13533/2001, una volta allegato l'inesatto adempimento dell'obbligazione di pagamento, spetta alla stessa banca negoziatrice provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., di aver correttamente operato, ovvero, non essendo sufficiente una generica prova di diligenza, dimostrare la sussistenza di una impossibilità della prestazione non imputabile alla luce del canone di diligenza del banchiere professionale, ai sensi degli artt. 1176 secondo comma c.c. e 1992, secondo comma, c.c. Sicché, l'indagine che il Tribunale è chiamato ad effettuare riguarda l'osservanza dell'obbligo di diligenza, anche sotto il profilo della colpa lieve, della Bn. S.p.A. in relazione al colpevole mancato riconoscimento della contraffazione del titolo e della sostituzione del nome del beneficiario originario con quello del soggetto che ha presentato all'incasso gli assegni nn. (...), (...), (...) e (...). La misura della diligenza richiesta alla banca negoziatrice, in caso di falsificazione del titolo, necessita di "un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche" (Cass., 1377/2016; Cass., 6513/2014; Cass., 20292/2011; Cass., 15066/2005; Cass. 6524/2000). Al riguardo, va osservato che, sebbene ai fini della corretta identificazione del presentatore del titolo l'obbligo di diligenza e di protezione a carico della banca negoziatrice non possa essere spinto fino al punto di imporre all'impiegato addetto di verificare la falsità del documento di identità o di riconoscimento, trattandosi di una cautela estremamente difficile da rispettare anche usando l'ordinaria diligenza, nondimeno, per andare esente da responsabilità, è necessario che essa dimostri di aver adottato tutte le cautele del caso soprattutto in presenza di quegli elementi di sospetto e di allarme innanzi indicati. Inoltre, alla stregua delle più recenti pronunce della S.C., "In tema di titoli di credito, la banca negoziatrice, chiamata a rispondere del danno derivato dal pagamento di un assegno non trasferibile a soggetto che successivamente risulti non essere il beneficiario del titolo, è ammessa a provare che l'inadempimento non è a lei imputabile, ma, trattandosi di operatore professionale qualificato, contrattualmente responsabile anche per colpa lieve in virtù del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, c.c. e 43, comma 2, R.D. n. 1736 del 1933, è tenuta ad offrire una prova liberatoria in grado di escludere anche tale colpa, (Fattispecie relativa al pagamento di un assegno di traenza, inviato al beneficiario a mezzo posta ordinaria e pagato ad un soggetto che poi si è rivelato estraneo al rapporto cartolare)." (Cass. 17737/2019). Nella fattispecie in esame, l'odierna attrice ha allegato l'inadempimento contrattuale della Banca convenuta, sostenendo che la negoziazione dei titoli per cui è causa è avvenuta in favore di soggetti diversi dall'originario beneficiario, a seguito dell'avvenuta contraffazione dei medesimi titoli, e che a seguito di tale inadempimento - che ha comportato la mancata riscossione degli assegi de quibus da parte dei legittimi destinatari, i sig.ri (...) - si era vista costretta ad effettuare un secondo pagamento in favore degli stessi. A sostegno delle proprie allegazioni, (...) ha prodotto copia fotostatica degli assegni per cui è causa successivamente alla negoziazione contenenti i nomi di beneficiari diversi da quelli originari, nonché le dichiarazioni di mancato ricevimento dei titoli da parte dei legittimi beneficiari e copia delle dichiarazioni di nuovo pagamento. Alla stregua dei superiori principi e di quanto dedotto e provato documentalmente dall'odierna attrice, la Banca convenuta, al fine di evitare l'applicazione dell'art. 1218 c.c., avrebbe dovuto provare la diligenza del banchiere professionale di cui agli articoli 1176, comma 2, c.c. e 1992, comma 2, c.c., dimostrando che la contraffazione dei titoli per cui è causa non era visibile "ictu oculi" in base alle conoscenze del bancario medio e, quindi, di non aver avuto alcuna colpa nella mancata individuazione della contraffazione. Questo Tribunale si è già espresso, in ipotesi analoghe a quelle per cui è causa, affermando che qualora la contraffazione del titolo sia avvenuta attraverso la sostituzione del nome del beneficiario, la prova liberatoria possa essere fornita "solo producendo in giudizio l'originale dell'assegno allo scopo di permettere al giudicante di controllare materialmente il titolo e verificare se i segni della falsificazione fossero o meno rilevabili ictu oculi." (Trib. Roma 7903/18). Ebbene, nel caso di specie, l'originale dei titoli in contestazione non è stato prodotto dalla convenuta nonostante l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. impartito alla Bn. S.p.A. Tale circostanza induce a ritenere che parte convenuta non abbia assolto all'onere probatorio sulla stessa incombente, non avendo essa dimostrato tramite il deposito in originale dei titoli - al di là di mere petizioni di principio circa la pretesa correttezza del proprio operato - l'apparente regolarità formale, nella loro materialità, degli assegni di traenza per cui è causa. Va dunque riconosciuta la responsabilità contrattuale per inadempimento della Banca convenuta nella negoziazione degli assegni in questione. Inoltre, l'esistenza di un nesso causale tra l'inadempimento della banca convenuta e il danno subito da (...) emerge con dal fatto che, in assenza dell'errata negoziazione, l'assegno non sarebbe stato pagato ad un soggetto non legittimato e, conseguentemente, l'odierna attrice non sarebbe stata costretto ad effettuare un nuovo pagamento in favore dei propri assicurati. La banca convenuta ha poi eccepito la sussistenza di un concorso colposo ex art. 1227 c.c. di Un. per avere la stessa spedito per posta ordinaria ai legittimi intestatari gli assegni di traenza non trasferibili in contestazione, trattandosi notoriamente di una modalità di trasmissione e di consegna non sicura e facilmente soggetta ad episodi di sottrazione/furto dei plichi spediti. Nella specie, che tutti gli assegni risultano spediti con posta prioritaria, salvo quello intestato a Ma.Al., spedito tramite posta assicurata. In ordine a tale questione, questo Giudicante ha escluso in precedenti pronunce la configurabilità di un concorso colposo dell'istituto trattario/emittente che avesse spedito i titoli trafugati e contraffatti con posta ordinaria anziché con posta assicurata. A tale soluzione si è pervenuti in considerazione della mancanza di un nesso di causalità giuridica tra la condotta eventualmente negligente della banca mittente e l'evento dannoso consistente nella condotta inadempiente della banca negoziatrice del titolo in mancanza della diligenza professionale richiesta. Difatti, sebbene per la prevalente giurisprudenza di legittimità il fatto colposo ex art. 1227 c.c. possa ricomprendere "qualsiasi condotta negligente od imprudente che costituisca causa concorrente dell'evento e, quindi, (... ) anche un comportamento antecedente", quest'ultimo deve comunque essere "legato da nesso eziologico con l'evento medesimo" (cfr. Cass. Civ., 15 marzo 2006, n. 5677). Si è, dunque, seguito l'orientamento giurisprudenziale di legittimità che aveva esplicitamente escluso che la spedizione di un assegno a mezzo del servizio postale possa rilevare ai fini del concorso colposo ex art. 1227 c.c., in quanto, "in materia di spedizione, per via postale ordinaria, di un titolo di credito pagabile all'ordine, munito della clausola di non trasferibilità, ove il pagamento a soggetto non legittimato sia attribuibile a negligenza della banca negoziatrice, ai fini della valutazione comparativa dell'incidenza o meno della colpa del creditore-emittente nella determinazione del danno, da accertare in concreto e alla luce del principio di "causalità adeguata", non rilevano né il rischio generico assunto dall'emittente nell'affidarsi al servizio postale ordinario, né le modalità con le quali è stato spedito il plico postale" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 17 gennaio 2019, n. 1049). Tale orientamento escludeva l'applicabilità dall'art. 1227 c.c. in quanto "l'evento dannoso prodottosi non dipende dall'inoltro dell'assegno a mezzo del plico postale - evenienza, questa, da cui può solo derivare la conseguenza dell'appropriazione del titolo da parte del non legittimato - ma dalla condotta dell'ente giratario per l'incasso, siccome responsabile del pagamento in favore di un soggetto diverso dal beneficiario" (Cass. 10 febbraio 2018, n. 2520; Cass. 4 novembre 2014, n. 23460). Si rileva, inoltre, che anche gli artt. 83 - 84 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, concernenti il divieto di includere nella corrispondenza ordinaria denaro o preziosi, erano considerati irrilevanti nei casi analoghi a quello in esame, in quanto tali norme pongono un divieto che attiene esclusivamente ai rapporti fra l'ente postale e gli utenti, al fine di prevenire condotte e comportamenti fonte di responsabilità per le parti del rapporto stesso, onde ne risulterebbe l'irrilevanza al di fuori di quel rapporto, ma soprattutto in considerazione del fatto che l'assegno non trasferibile non è equiparabile né agli oggetti preziosi, né al denaro, né alle carte di valore esigibili al portatore (Cass. 7618/2010, Cass., 20911/2018). Si era ritenuto, difatti, che la spedizione con posta ordinaria, anziché con posta assicurata, del titolo successivamente contraffatto non potesse essere causalmente messa in collegamento con l'evento dannoso de quo, concretizzatosi nel successivo pagamento ad un soggetto diverso dal titolare originariamente indicato. Evento questo che, nella specie, sarebbe stato evitato qualora la Banca negoziatrice avesse rifiutato, in osservanza dei doveri di protezione sulla stessa gravanti, di procedere al pagamento dell'assegno in assenza di ulteriori verifiche/controlli sulla genuinità del titolo presentato per l'incasso, alla luce delle evidenti anomalie che lo stesso presentava. In effetti, la maggiore garanzia della sicurezza dei sistemi di pagamento dovrebbe essere offerta proprio dalla gestione dei medesimi da parte di soggetti (banche ed istituti assimilati) dotati di specifiche competenze e professionalità e assoggettati a stringenti obblighi di diligenza proprio al fine di assicurare la correttezza dei pagamenti anche a fronte di eventuali fatti illeciti di terzi. Di poi, la notorietà e frequenza degli episodi di sottrazione di titoli di credito inviati a mezzo posta ordinaria, anziché determinare il concorso di colpa del mittente/danneggiato nell'evento dannoso, avrebbe dovuto costituire circostanza ulteriore alla luce della quale si imporrebbe alle banche negoziatrici - soprattutto in presenza di altri elementi di sospetto circa l'effettiva titolarità del titolo presentato per l'incasso - una maggiore attenzione nelle operazioni di negoziazione del titolo medesimo, con conseguente innalzamento della diligenza richiesta. Sul tema del concorso di colpa del mittente/danneggiato che ha spedito con posta ordinaria l'assegno successivamente trafugato e contraffatto, sono recentemente intervenute le SS.UU. che con la sentenza del 26/05/2020, n. 9769, nel comporre il contrasto giurisprudenziale in materia, ha affermato il principio secondo il quale "La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d'intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l'affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l'esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl'interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell'evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell'identificazione del presentatore". Tale pronuncia, dopo aver riconosciuto l'inesistenza di norme giuridiche che escludono l'utilizzazione della posta ordinaria per i pagamenti a distanza - inclusi gli artt. artt. 83 - 84 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - richiama le modalità di prestazione del servizio postale cosi come disciplinate dal D.M. 26 febbraio 2004 vigente all'epoca dei fatti, per poi affermare che "la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell'assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri, si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini della individuazione della causa dell'evento dannoso (...) Tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, è stata ritenuta da questa Corte sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ,...". Il pur autorevole arresto della SS.UU. non può essere condiviso da questo Giudicante, dovendosi ribadire - conformemente alla giurisprudenza di merito formatasi dopo il pronunciamento delle SS.UU. (cfr. Trib. Milano, 07.07.2020, n. 3961; Trib. Milano, 07.07.2020, n. 3965; Trib. Milano, 13.10.2020, n 6205; Trib. Milano, 01.12.2020n. 7818; Trib. Roma, n. 13173/2020) - il principio dell'insussistenza di un concorso di colpa del mittente/danneggiato che utilizza il servizio di posta ordinaria per la spedizione di un assegno bancario/circolare, in assenza di un nesso di causalità giuridica con l'evento dannoso. Infatti, in senso critico rispetto alle argomentazioni utilizzate dalle SS.UU., va osservato come l'utilizzo della posta raccomandata o assicurata non comporti il trasporto e lo smistamento del plico secondo canali diversi, separati o preferenziali e più sicuri rispetto alla posta ordinaria. Difatti, se è vero che nel momento della consegna, la lettera raccomandata o assicurata debba essere consegnata a mani del destinatario o di persona autorizzata al ritiro e non possa essere immessa nella cassetta postale, è altrettanto vero che ciò attiene alla sola fase della consegna, rimanendo il differente mezzo di spedizione privo di rilevanza per tutte le precedenti fasi di lavorazione (trasporto e smistamento), durante le quali più verosimilmente la corrispondenza viene intercettata e trafugata. D'altro canto, una volta effettuata la consegna, la lettera risulta dai registri interni presa in carico dal portalettere, rendendo in tal modo facilmente identificabile il soggetto che ne ha preso il controllo. Neppure potrebbe rilevare in concreto la circostanza che la spedizione con raccomandata o assicurata possa essere monitorata dal mittente, dal momento che il breve lasso di tempo intercorrente tra il trafugamento dell'assegno e la sua presentazione all'incasso non consentirebbe comunque di rilevare un ritardo anomalo, tale da far legittimamente insorgere sospetti nel mittente/ danneggiato. Altrettanto contraddittoria è l'affermazione delle SS.UU secondo la quale la scelta di uno strumento di spedizione a loro dire inaffidabile e comportante un maggior rischio di trafugamento, finirebbe con l'aggravare ingiustamente la "posizione della banca trattoria o negoziatrice, maggiormente esposta alla possibilità di andare in contro a responsabilità, e quindi costretta a munirsi di strumenti tecnici sempre più sofisticati e costosi per l'identificazione dei presentatori e del contrasto dell'uso di documenti falsificati". Se, infatti, la responsabilità della banca negoziatrice non è di natura oggettiva ma, come si è detto, ricade nei parametri della responsabilità contrattuale fondata sull'obbligo di adempimento diligente ex articolo 1176 c.c., la stessa è "ammessa a provare che l'inadempimento non è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'articolo 1176, 2 comma c.c." (SS.UU. 12477/2018). Sicché, là dove la contraffazione del titolo o dei documenti di identificazione del prenditore non sia riconoscibile in forza di una verifica condotta secondo i parametri della diligenza qualificata, cui la banca negoziatrice è comunque tenuta, la stessa non potrà essere considerata inadempiente e, conseguentemente, non potrà essere condannata ad alcun risarcimento del danno. Considerato, dunque, che la banca negoziatrice è chiamata in ogni caso a comportarsi secondo un parametro di diligenza professionale qualificata nel valutare la correttezza del titolo e nell'identificare il presentatore all'incasso, non si comprende in forza di quale principio essa, qualora non si fosse attenuta al proprio obbligo di condotta diligente, dovrebbe essere considerata meno responsabile (o meglio, corresponsabile con il mittente/danneggiato) per il solo fatto che l'assegno pagato non correttamente fosse stato spedito con lettera ordinaria. Tanto più in considerazione del fatto che, nella fase del pagamento, gli obblighi di adempimento gravanti sulla banca negoziatrice rimangono immutati qualsiasi fosse stata la forma di spedizione del titolo utilizzata dal mittente/ danneggiato. Conclusivamente, deve escludersi che la spedizione a mezzo posta ordinaria del titolo successivamente contraffatto configuri un antecedente necessario dell'evento dannoso de quo concretizzatosi nel pagamento di un assegno contraffatto ad un soggetto diverso dal titolare originariamente indicato. Evento che, va ribadito ancora una volta, sarebbe stato evitabile qualora la banca trattarla avesse rifiutato, in osservanza dei doveri di protezione sulla stessa gravanti, di procedere al pagamento dell'assegno alla stregua delle dovute verifiche/controlli sulla contraffazione del titolo presentato all'incasso. Infine, del tutto condivisibili sono le argomentazioni in base alle quali parte attrice ha escluso qualsiasi concorso di responsabilità, ai sensi dell'art. 1227 c.c., della banca emittente Ba. S.p.A.) con quella che ha negoziato i titoli per cui è causa (l'odierna convenuta) per il comportamento tenuto nell'ambito della procedura di check truncation. Ne deriva che risultano integrati tutti gli estremi per configurare la responsabilità contrattuale esclusiva della Bn. S.p.A. ex art. 1218 c.c., per violazione del precetto di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. non avendo la stessa dimostrato - com'era suo onere fare - di aver adoperato la diligenza del bonus argentarius nella negoziazione dei titoli in contestazione. In conclusione, la domanda promossa da Un. S.p.A. risulta fondata e, pertanto, in accoglimento della stessa, va dichiarata la responsabilità contrattuale della Ba. S.p.A., la quale va condannata al pagamento della somma di Euro 6.051,18 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, in favore di Un. S.p.A. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e pertanto vanno poste a carico di parte convenuta, nella misura liquidata in dispositivo, secondo il parametro medio previsto dal D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. per lo scaglione di valore di riferimento. P.Q.M. Il Tribunale di Roma, XVII Sezione Civile, così provvede: 1) accoglimento della domanda, condanna la Ba. S.p.A. al pagamento in favore di Un. S.p.A., della somma di Euro 6.051,18, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; 2) condanna Ba. S.p.A. alla rifusione delle spese di lite in favore di Un. S.p.A., che liquida in Euro 237,00 per spese vive e in Euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma il 20 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7503 del 2022, proposto da Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e Istat - Istituto Nazionale di Statistica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura- Unioncamere, non costituita in giudizio; As. - Associazione Na. Co. di Im. e Ca. Si. S.r.l. unipersonale, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Ar. Va. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Sia il ricorso principale che il ricorso incidentale presentato da As. e Ca. Si.: per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 7216/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di As. - Associazione Na. Co. di Im. e di Ca. Si. S.r.l. Unipersonale; Visto l'appello incidentale presentato da questi ultimi; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati l'avvocato dello Stato St. Me. e l'avvocato Va. Si.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto solo in parte il ricorso proposto dall'As. - Associazione Na. Co. di Im., associazione di categoria degli operatori economici operanti nel settore degli appalti dei lavori concernenti l'impiantistica, e da Ca. Si. s.r.l. contro il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili (oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), l'Istat - Istituto Nazionale di Statistica e l'Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura - Unioncamere per l'annullamento: - del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili dell'11 novembre 2021, pubblicato in G.U.R.I - Serie Generale n. 279 del 23 novembre 2021, recante "Rilevazione delle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all'8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell'anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi" (oltre agli atti presupposti indicati in ricorso), nella parte in cui, in assenza di un criterio univoco di rilevazione e in presenza di dati evidentemente irragionevoli e contraddittori, non ha proceduto ad individuare i materiali da costruzione che hanno subito un eccezionale aumento dei prezzi nel primo semestre dell'anno 2021; nonché nella parte in cui, anche sulla base dei dati trasmessi dai Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, da Unioncamere e da Istat, con criterio del tutto illogico ed irragionevole, oltre che svincolato da qualsivoglia dato reale, ha rilevato, in taluni casi, un aumento percentuale dei prezzi di gran lunga inferiore all'aumento reale registrato sul mercato. 1.1.Il provvedimento impugnato è stato adottato, per fronteggiare gli eccezionali aumenti dei prezzi dei materiali da costruzione verificatisi nel primo semestre dell'anno 2021 e le connesse conseguenze negative per gli operatori economici impegnati nell'esecuzione di appalti pubblici e per le stazioni appaltanti, ai sensi dell'art. 1-septies del decreto-legge 25 maggio 2021 n. 73 (c.d. "Decreto Sostegni bis") convertito con modificazioni in legge 23 luglio 2021 n. 106, che ha introdotto un meccanismo straordinario di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione impiegati nei contratti in corso di esecuzione. In particolare, la disposizione -in deroga all'art. 133 del d.lgs. n. 163/2006 e all'art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016- ha previsto che, per i materiali da costruzione più significativi, "si procede a compensazioni, in aumento o in diminuzione", per le variazioni percentuali di prezzo, rispetto al prezzo medio dell'anno d'offerta, "eccedenti l'8 per cento se riferite esclusivamente all'anno 2021 ed eccedenti il 10 per cento complessivo se riferite a più anni". La compensazione è determinata applicando, alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, le variazioni dei relativi prezzi rilevate da un apposito decreto ministeriale da adottarsi a cura del Ministero delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili, entro il 31 ottobre 2021, volto a rilevare "le variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all'8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell'anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi". Tale decreto, è stato appunto emanato in data 11 novembre 2021 e successivamente emendato dal d.m. 7 dicembre 2021 per la rettifica del prezzo medio di uno specifico materiale. 1.2. La ricorrente proponeva due motivi di gravame. 1.2.1. Con il primo, censurava l'illegittimità del decreto per violazione e falsa applicazione dell'art- 1 septies comma 1 della legge n. 23 luglio 2021 n. 106, di conversione del d.l. n. 73/2021. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, arbitrarietà, irragionevolezza, travisamento dei fatti, disparità di trattamento, illogicità manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione; difetto di istruttoria, travisamento dei fatti. L'esponente si doleva, in primo luogo, del fatto che il MIMS avrebbe individuato i materiali da costruzione di cui trattasi con un criterio del tutto arbitrario, senza tenere in alcun modo conto di quali fossero i materiali che avevano effettivamente subito un aumento eccezionale dei prezzi nel primo semestre del 2021, superiore all'8%. In particolare, la Commissione consultiva del MIMS avrebbe errato laddove si era limitata a riconfermare solo i 56 materiali da costruzione già considerati negli anni precedenti, lasciando illegittimamente fuori dall'elenco sottoposto a monitoraggio alcuni materiali che tuttavia avevano fatto registrare eccezionali aumenti di prezzo nel periodo considerato. A tale proposito, As. allegava un quadro sinottico recante una serie di materiali i quali, sulla base dei dati reperiti presso la Camera di Commercio Milano-Monza-Brianza-Lodi, nonché dal Listino DEI-Tipografia del Genio Civile, avevano registrato tali significativi incrementi. Secondo As. il modus operandi della Commissione avrebbe frustrato completamente lo scopo della norma introdotta in via d'urgenza dal legislatore che mirava a fronteggiare l'eccezionale aumento del prezzo dei materiali da costruzione verificatisi in un tempo ben determinato, ovvero il primo semestre del 2021, così impedendo agli operatori economici affidatari di contratti pubblici, che avevano utilizzano materiali esposti al suddetto eccezionale aumento dei prezzi, ma che non comparivano nell'elenco dei 56 materiali indicati dalla Commissione, di poter legittimamente fare ricorso alla "compensazione dei prezzi". 1.2.2. I ricorrenti censuravano il suddetto decreto anche sotto altro profilo. In particolare, evidenziavano che le percentuali di aumento dei prezzi rilevate dal MIMS, in taluni casi, risultavano del tutto avulse dai reali prezzi di mercato; inoltre, tali percentuali sarebbero state individuate in assenza di un univoco criterio di rilevazione e si sarebbero basate su dati irragionevoli trasmessi da Provveditorati, Unioncamere e Istat. Tali incongruenze, rilevate anche da altre associazioni di categoria, in particolare dall'A. nella seduta della Commissione consultiva di cui al verbale del 10 novembre 2021, ed emergenti dai dati pubblicati dalla Camera di Commercio di Milano-Monza-Brianza-Lodi, nonché dal listino DEI, tipografia del Genio Civile indicati in ricorso, si attestavano su scostamenti che giungevano fino ad oltre il 70 %; ciò nonostante, tali palesi anomalie sarebbero state ingiustificatamente ignorate dal Ministero. 1.2.3. Con il secondo motivo di ricorso si prospettava l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 septies del d.l. n. 73/2021, inserito in sede di conversione con la legge n. 106/2021, per contrasto con l'art. 3 della Cost. per disparità di trattamento, dato che la misura compensativa introdotta dalla norma in parola trovava applicazione per i soli contratti pubblici di "lavori" e non anche per quelli di forniture o di servizi. 1.3. Tutto quanto sopra premesso, il tribunale - riassunte le argomentazioni difensive delle amministrazioni e delineato il contesto normativo di riferimento - ha esaminato il primo motivo di ricorso e ha deciso come segue: A) ha ritenuto infondato il profilo concernente l'individuazione dei 56 materiali da costruzione che già negli anni precedenti al 2021 erano stati individuati dalla Commissione consultiva centrale per la rilevazione del costo dei materiali da costruzione a fini compensativi, da intendersi quali "materiali da costruzione più significativi" anche ai sensi della norma in esame; B) ha invece ritenuto fondato il secondo profilo dello stesso motivo, concernente la metodologia seguita per la rilevazione degli incrementi dei prezzi, nei termini di seguito precisati: 1) dall'esame dei dati riferiti al prezzo di alcuni dei materiali monitorati emergevano "invero esorbitanti - e non facilmente giustificabili - differenze idonee a minarne la complessiva attendibilità ", secondo quanto illustrato in parte motiva in ordine al raffronto dei dati acquisiti con le rilevazioni effettuate dai Provveditorati, da un lato, e dalle Camere di commercio, dall'altro, ma anche dei dati acquisiti dai singoli Provveditorati; 2) le incongruenze avrebbero dovuto indurre il Ministero ad un supplemento istruttorio; 3) l'utilizzazione di un metodo condiviso e consolidatosi nel corso degli anni non escludeva che esso, per diverse ragioni, necessitasse "di opportuni affinamenti utili a salvaguardarne il rigore scientifico funzionale alla corretta ed equa applicazione delle compensazioni previste dal D.Lgs 73/2021", trattandosi di attività di rilevazione di dati che, pur offrendo garanzie procedimentali e di tutela di contrapposti interessi, aveva "registrato numerosi snodi problematici afferenti al reperimento dei dati e alla loro gestione e "normalizzazione" minandone, pertanto, la complessiva rispondenza alle reali dinamiche dei prezzi di mercato. E proprio tali dinamiche "straordinarie" il legislatore voleva intercettare al fine di arginare l'impatto che le stesse avevano sul tessuto imprenditoriale"; d'altronde, la stessa Sezione, nella materia della revisione dei prezzi, aveva già affermato la necessità di supplemento di istruttoria, anche facendo ricorso ad altre fonti, in caso di palesi incongruenze in ordine ai valori di incremento recati dalle fonti interpellate (cfr. Tar Lazio - Roma, sez. III, 20 febbraio 2009, n. 1707); 4) le linee guida recentemente adottate dal Dipartimento per le opere pubbliche del MIMS in data 14.1.2022 prevedevano, peraltro, con riguardo alla fase di revisione l'individuazione di "segnali di allerta" "al fine di garantire una sufficiente robustezza delle statistiche prodotte e di evitare differenze anomale tra le varie fonti (e, all'interno di ciascuna fonte, tra i vari territori o tra materiali simili) (...)", contemplando quale primo livello di controllo il "raffronto tra le variazioni percentuali registrate dal soggetto rilevatore e quelle derivanti da banche dati nazionali e internazionali di riferimento dei singoli materiali"; 5) in definitiva, l'attività istruttoria si era rivelata carente, senza che l'esigenza rappresentata dalle amministrazioni di salvaguardare l'omogeneità di metodo per rendere raffrontabili le serie storiche dei dati reperibili potesse essere di ostacolo all'integrazione dei data set o anche solo all'approfondimento istruttorio; non coglieva nel segno l'affermata riconducibilità alla discrezionalità tecnica della scelta metodologica, poiché non era in contestazione quest'ultima, bensì l'attendibilità delle risultanze prodotte con riguardo al monitoraggio dell'incremento dei prezzi in contestazione. 1.4. Dati i detti profili di fondatezza, il tribunale, accogliendo il motivo con cui era denunciato difetto di istruttoria ha dichiarato "tenuto il Ministero resistente ad espletare, con riferimento ai materiali in contestazione, ricompresi nel novero di quelli riconducibili alla locuzione "materiali da costruzione più significativi" di cui alla disciplina in esame, un supplemento istruttorio condotto anche autonomamente ed eventualmente facendo ricorso anche ad altre fonti e tenendo, se del caso, anche conto delle introdotte nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati.". 1.5. Il tribunale ha invece ritenuto manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 septies del d.l. n. 73/2021, inserito in sede di conversione con la legge n. 106/2021 per contrasto con l'art. 3 della Cost.. 1.6. Le spese processuali sono state compensate per la "parziale e circoscritta fondatezza del gravame" e per la particolare complessità della questione. 2. Il Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e l'Istat hanno avanzato appello con unico motivo. L'As. e la Ca. Si. si sono costituite per resistere all'appello ed hanno proposto appello incidentale con due motivi. 2.1. Con ordinanza cautelare del 21 ottobre 2022, n. 5043 è stata accolta l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza avanzata dalle amministrazioni appellanti. 2.2. All'udienza dell'8 giugno 2023 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza. 3. Logicamente preliminare è la trattazione del primo motivo dell'appello incidentale. 3.1. Con questo As. e Ca. Si. ripropongono la censura, secondo cui, ai sensi dell'art. 1 septies, comma 1, della legge n. 106 del 2021, il MIMS, ai fini dell'adozione del decreto ivi previsto, era chiamato a svolgere un'istruttoria, la quale avrebbe dovuto: a) individuare i materiali più significativi in uso nel mercato delle costruzioni nel 2021; b) verificare se i detti materiali avessero subito un aumento eccezionale, oltre l'8% nel primo semestre del 2021; c) verificare se gli stessi materiali avessero subito un aumento eccezionale, oltre il 10% negli anni precedenti al 2021. Gli appellanti incidentali lamentano che il MIMS non ha svolto la detta attività istruttoria, avendo utilizzato l'elenco dei materiali di costruzione preconfezionato, risalente nel tempo, elaborato quindici anni prima e mai aggiornato. La vetustà dell'elenco avrebbe fatto sì che in esso non compaiano alcuni "significativi materiali" che nell'ultimo decennio, ed anche più, sono stati utilizzati in modo sempre più diffuso nel mondo delle costruzioni (come ad esempio, i materiali per la realizzazione degli impianti di fotovoltaici, nonché gli altri materiali che hanno fatto registrare un eccezionale aumento del loro prezzo di acquisto nel 2021, indicati nel quadro sinottico riportato in ricorso). 3.1.1. Ribadite come sopra le censure del primo grado, viene criticata la decisione di rigetto, opponendovi i seguenti argomenti: - sebbene non sia in discussione che il MIMS dovesse rilevare l'aumento dei materiali di costruzione "più significativi" nel 2021, non avrebbe potuto servirsi di un elenco già esistente, ma avrebbe dovuto individuare "i materiali più significativi" presenti nel mercato delle costruzioni nell'anno 2021; una volta individuati i materiali avrebbe dovuto verificare quali tra essi avevano subito un aumento eccezionale, tale da mettere in crisi gli operatori del settore; - nell'elenco dei 56 materiali non compaiono materiali che pure hanno fatto registrare rilevanti aumenti, tra cui quelli indicati in ricorso a mero titolo esemplificativo (cavo rigido multipolare per impianti citofonici; generatore di vapore e acqua surriscaldata), laddove nell'elenco ne compaiono alcuni con aumenti minimi rispetto a quelli ricordati (tra cui la "presa ad incasso" e il "radiatore in alluminio"). Ne sarebbe risultata anche la penalizzazione delle imprese più virtuose che più di altre utilizzano materiali all'avanguardia, frutto di una scelta illogica, irragionevole, oltre che "contraria allo spirito della norma voluta dal legislatore", che non può essere giustificata da valutazioni tecnico-discrezionali dell'amministrazione. 3.2. Il motivo non merita di essere accolto. Esso ripropone le censure del primo grado, in modo che - in disparte profili di inammissibilità ex art. 101, comma 1, c.p.c. - non risultano affrontati, ed a maggior ragione nemmeno smentiti, i principali argomenti a sostegno della decisione di rigetto. Questi, che pienamente si condividono, sono i seguenti: - la disciplina introdotta dall'art. 1 septies del d.l. 73/2021 reca, nella sostanza, un contenuto omo a quello proprio della precedente misura straordinaria introdotta dal d.l. 162/2008 e della disposizione che contempla la misura compensativa "ordinaria" stabilita dal D.Lgs 163/2006; entrambe tali disposizioni si riferiscono sempre ad un predeterminato novero di materiali oggetto di analisi dei prezzi definito con la locuzione "materiali da costruzione più significativi" e già oggetto di individuazione da parte della Commissione consultiva centrale istituita presso il Ministero (su cui infra); - la norma introdotta con il d.l. 73/2021, nulla dicendo riguardo ad un eventuale monitoraggio da effettuarsi ex novo e, impiegando la medesima locuzione delle disposizioni previgenti, non consente, nemmeno letteralmente, l'interpretazione sostenuta dalle ricorrenti, riferita ad una complessiva verifica in merito all'incremento dei prezzi di qualsiasi materiale impiegato nel comparto delle costruzioni; - la ratio legis, desumibile anche dal contesto normativo in cui la disposizione si inserisce, dimostra a sua volta che si sia voluto tenere conto della particolare situazione congiunturale e del rilevante incremento dei prezzi delle materie prime per consentire l'adozione di misure compensative per i contratti d'appalto non assoggettati alla disciplina (residuale) di cui al previgente codice dei contratti, ancorandosi tuttavia alla metodica e all'ambito di rilevazione già sperimentati; -in assenza di un dettato normativo che, in maniera esplicita, imponesse l'individuazione di altri o diversi materiali o che all'uopo disponesse l'attivazione di un apposito iter di reperimento di nuove voci, risulta coerente, sul punto, l'operato dell'amministrazione che, anche in ragione delle esigenze di celerità che accompagnavano la misura, ha operato il monitoraggio sui predetti 56 materiali nel tempo riconosciuti come dotati di una specifica rilevanza; - l'interpretazione preferita è, peraltro, coerente con la previsione che ha riferito l'incremento dei prezzi rilevante non solo all'anno 2021, ma anche agli anni precedenti (pur differenziando la misura di incremento rilevante, eccedente l'8% se riguardante il 2021, eccedente il 10% se riguardante più anni), in modo che la ricostruzione della serie storica delle variazioni riguardava gli stessi materiali anche per gli anni dal 2003 al 2019 al fine di apprezzarne la variazione rispetto al primo semestre 2021. 3.3. Il primo motivo dell'appello incidentale va quindi respinto. 4. Prima di illustrare l'unico motivo dell'appello principale va dichiarata inammissibile la produzione documentale d'appello dell'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse delle Amministrazioni appellanti, per tutti i documenti per i quali queste ultime nell'atto di appello non hanno evidenziato gli specifici contenuti del documento ed il loro significato, al fine di chiarirne la rilevanza a sostegno del gravame (cfr. per l'affermazione del principio, corollario di quello di specificità dell'atto di appello, sancito anche nel processo amministrativo dall'art. 101 c.p.a., Cass. 29 gennaio 2019, n. 2461, secondo cui "La mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all'onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell'integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata", nonché nello stesso senso già Cass. 29 maggio 2003, n. 8599; id., 20 ottobre 2005, n. 20287; id., 7 aprile 2009, n. 8377). Pertanto, si darà conto nel prosieguo soltanto dei documenti richiamati nel ricorso in appello ed elencati in calce al medesimo, pur dovendosi dare atto della difficoltà di reperimento di alcuni dovuta alla mancata corrispondenza tra l'indicazione in calce al ricorso e la numerazione effettiva degli allegati. Atteso quanto sopra, risulta in gran parte superata l'eccezione di inammissibilità della produzione documentale in appello sollevata dalla difesa di As. per novità dei documenti prodotti dall'Avvocatura generale dello Stato in violazione dell'art. 104, comma 2. c.p.a. Quanto ai documenti indicati nel ricorso in appello, va precisato che la gran parte era stata già acquisita agli atti del giudizio di primo grado iscritto col n. 902/22 r.r. dello stesso T.a.r. del Lazio in quanto ivi prodotti dalla ricorrente AN.. Tale vicenda procedimentale, per un verso, è indice della carenza di interesse di As. ad eccepirne l'inammissibilità poiché non utile a supporto della difesa erariale; per altro verso, consente di ritenere che la produzione documentale in appello delle Amministrazioni sia meramente chiarificatrice delle deduzioni già svolte in primo grado e comunque attinente il procedimento amministrativo in contestazione, quindi non vietata ex art. 104 c.p.a., anche in ragione di quanto previsto dall'art. 65, comma 3, c.p.a.. Fa eccezione a tali ultime considerazioni il documento del 2 febbraio 2022 della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, indicato come allegato 10 nell'indice in calce al ricorso in appello (di fatto allegato 2 della seconda produzione del 30 settembre 2022), sul quale si tornerà nel prosieguo. Il Ministero ha depositato in data 3 marzo 2023 il parere reso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in data 26 gennaio 2023 prot. 96/2022; la produzione è priva di memoria illustrativa delle ragioni per le quali il parere potrebbe rilevare ai fini della decisione. Esso è stato reso con riferimento a due decreti ministeriali sopravvenuti, in data 4 aprile 2022 e 24 maggio 2022, riguardanti l'aumento dei prezzi registrati nel secondo semestre dell'anno 2021, separatamente impugnati, ed è pertanto estraneo al presente giudizio. 4.1. Con l'unico motivo di appello (Violazione e falsa applicazione dell'art. 1-septies del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito in legge 23 luglio 2021, n. 106) le Amministrazioni appellanti, dopo la ricognizione del quadro normativo e delle modalità operative seguite dal Ministero per l'istruttoria, espongono quanto di seguito sintetizzato sulla metodologia in concreto adottata per l'elaborazione del decreto ministeriale impugnato, nonché sulle ragioni di supporto al proprio operato (in gran parte riproduttive delle difese del primo grado) e sui motivi di contestazione della sentenza: - subito dopo la pubblicazione della legge n. 106/2021, l'Amministrazione ha provveduto a trasmettere, rispettivamente ai Provveditorati, all'Istat e a Unioncamere, la nota di richiesta dei dati (All. n. 6, 7 e 8) - da far pervenire entro il 20 settembre 2021- al fine di consentire il celere monitoraggio sull'andamento dei prezzi nel corso del primo semestre 2021, con riferimento ai materiali da costruzione più significativi riportati nella tabella allegata alla medesima nota, nonché di contenere al massimo, mediante la tempestiva pubblicazione del decreto, i tempi per la formulazione delle istanze alle stazioni appaltanti finalizzate ad ottenere la compensazione per i maggiori costi sostenuti a seguito degli aumenti, attivando immediatamente le rilevazioni da parte dei Provveditorati, di Istat e di Unioncamere e, di volta in volta che pervenivano i dati dalle tre fonti ufficiali, procedendo all'attività istruttoria e di analisi degli stessi; - come si può evincere dalla nota trasmessa in data 12/10/2021 alle suddette strutture ministeriali (All. n. 9), il Ministero ha provveduto ad un "secondo giro di consultazione" dei Provveditorati teso alla conferma della robustezza dei dati o ad un'eventuale integrazione degli stessi, prima della definitiva elaborazione da parte del Ministero medesimo; - anche Unioncamere, autonomamente, ha provveduto ad un "secondo giro di consultazione" interno e, a seguito dell'arrivo di nuovi dati da parte delle proprie articolazioni territoriali, ha trasmesso in data 20/10/2021 una nuova tabella che recepiva tali integrazioni; - agli effetti di cui all'art. 1-septies, c. 1, del d.l. 73/2021 (come anche dei precedenti decreti ministeriali annuali) era infatti necessario che ogni fonte (Provveditorato, Istat e Unioncamere) svolgesse la propria istruttoria interna secondo una precipua metodologia di rilevazione rispettosa di criteri di uniformità e continuità nel tempo, in modo tale da garantire che il confronto del prezzo di un determinato materiale da un anno all'altro fosse corretto; - i risultati di queste rilevazioni su base territoriale sono confluiti, quindi, nelle tabelle che i Provveditorati hanno inviato alla Direzione generale per la regolazione del Ministero, che ha assunto poi il ruolo di soggetto aggregatore di tali dati per ottenere un unico valore mediato su base nazionale, procedendo, ove necessario, ad accantonare quei dati che presentavano anomalie (ad esempio, a causa di una non omogeneità dell'unità di misura adottata) o una manifesta incongruità, per eccesso o per difetto, rispetto al dato dell'anno precedente; - in ogni caso, la mancanza di dati forniti da parte di qualche articolazione regionale dei Provveditorati non inficiava la validità della procedura o dei dati stessi; - per quanto riguarda Unioncamere la metodologia seguita, consolidata nel tempo, ha previsto una preliminare "normalizzazione" dei dati rilevati dalle Camere di commercio distribuite su tutto il territorio nazionale, secondo quanto specificato in ricorso; - anche l'Istat ha adottato una metodologia consolidata che prevede una rilevazione ed elaborazione dei dati effettuata mensilmente sulla base dei valori forniti da un campione di imprese; - la procedura utilizzata per le rilevazioni da ciascuna delle tre fonti istituzionali - resa nota in maniera trasparente attraverso le rispettive relazioni e note metodologiche di accompagnamento - sarebbe stata perciò consolidata, ragionevole e coerente nel tempo, in modo da assicurare la necessaria continuità nelle rilevazioni e nell'elaborazione dei dati; - al termine di tale complessa attività di rilevazione ed aggregazione dei dati si è riunita la Commissione consultiva centrale che a maggioranza (con il solo voto contrario di AN.) ha approvato l'istruttoria svolta dal Ministero-Direzione generale (cfr. verbale della riunione del 10 novembre 2021); - le somme derivanti dalla predetta compensazione non costituiscono un'integrazione del corrispettivo relativo all'esecuzione dell'appalto in quanto, come specificato nelle citate circolari ministeriali del 4 agosto 2005 e del 25 novembre 2021, ai fini del calcolo dell'eventuale compensazione, i prezzi indicati nei decreti ministeriali "assumono unicamente un valore parametrico e non interferiscono con i prezzi dei singoli contratti"; - pertanto, per poter avere una reale confrontabilità di tutti i prezzi con quelli esaminati negli anni precedenti, occorrerebbe non trattare differentemente, in termini di valutazione, i 56 materiali della lista, mantenendo nel tempo le medesime fonti e metodologia di rilevazione dei prezzi per tutti i materiali, quale condizione imprescindibile per la piena confrontabilità dei dati, che sono - per le specificità applicative delle norme sottostanti - concatenati nella serie storica sin dalla prima rilevazione dell'annualità 2003, anche al fine di garantire la par condicio tra le imprese destinatarie degli importi di compensazione; - ancora occorrerebbe mantenere come uniche fonti quelle attuali di rilevamento, aventi natura pubblica e qualifica di autorità competente in materia di rilevazione prezzi che agisce nel perseguimento del pubblico interesse, secondo quanto specificato in ricorso; - solo in tal modo sarebbe possibile garantire la trasparenza, l'attendibilità e la verificabilità dei dati da parte di soggetti terzi indipendenti, nonché consentire la conoscenza reale dell'attività amministrativa ed effettuare il controllo sulla stessa, mentre analoga autorità, in materia di rilevazione dei prezzi, non è rinvenibile in nessuna altra fonte privata (quali quelle proposte dall'A. in ana ricorso concluso con la sentenza del T.a.r. n. 7215/2020 oggetto dell'appello iscritto col n. 6978/22 r.g.); - parimenti non assimilabili a quelle ministeriali sarebbero le "fonti" indicate da As. (listino DEI e Camera di commercio di Milano - Monza - Brianza - Lodi), dato che le rilevazioni devono essere effettuate in ambito nazionale e non in un ambito territoriale ristretto, come quello della singola camera di commercio (peraltro inserita tra quelle monitorate da Unioncamere) e comunque ad opera di fonti di rilevazione istituzionali e con finalità pubbliche, a differenza della DEI, casa editrice di diritto privato; - il "cambiamento in corso della metodologia" avrebbe provocato effetti distorsivi del meccanismo della compensazione ed in ogni caso la scelta della metodologia e delle fonti ai fini delle suddette rilevazioni rientra nella discrezionalità tecnica che, come noto, è sindacabile solo in presenza di valutazioni incoerenti o irragionevoli; - sarebbe oltretutto pericoloso e fuorviante mettere in discussione i prezzi medi ricavati delle tre fonti ufficiali del Ministero ogni qualvolta si rinvengano da "fonti non ufficiali" aumenti più favorevoli alle imprese, in quanto ciò potrebbe innescare un meccanismo non controllabile con riguardo a tutte e 56 le voci di materiali in elenco; -la sentenza del TAR n. 7216/2022 sarebbe contraddittoria laddove, da una parte, riconosce la correttezza della metodologia di rilevazione adottata dal Ministero e, dall'altra, dispone di modificarla espletando un supplemento istruttorio. 4.2. In merito alla "presunta irragionevolezza e criticità dei dati rilevati", la difesa erariale osserva inoltre che: - quanto alla "divergenza dei dati raccolti", occorre tenere conto che la rilevazione è stata effettuata in un contesto economico peculiare, caratterizzato da aumenti dei prezzi imprevedibili e fluttuanti, diverso dalla situazione di mercato complessivamente stabile con variazioni annuali dei prezzi di modesta entità, delle annualità precedenti, come comprovato dal documento del 2 febbraio 2022 della Conferenza delle Regioni e delle province autonome; pertanto, la presenza di dati diversi rilevati in ambiti territoriali diversi non costituirebbe né un'incongruenza né un difetto di istruttoria; - quanto ai "dati mancanti" questi non deriverebbero necessariamente da una "mancanza" del soggetto rilevatore, come rammentato dal Provveditore OO.PP. della Sicilia e della Calabria nella nota in atti e nella successiva interlocuzione con AN. Si. (all. da 12 a 18 dell'indice in calce al ricorso); analoga vicenda di inattendibilità dei dati trasmessi dalle sezioni locali dell'A. avrebbe riguardato il Provveditorato per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna (all. 19); - quanto alla nota trasmessa dal Provveditorato OO.PP. per la Lombardia e per l'Emilia Romagna prot. n. 18333 del 19 ottobre 2021 (all. 20), il significato non sarebbe quello di sospetta inattendibilità delle rilevazioni, attribuito da AN.; - ulteriori elementi della "scrupolosità della rilevazione" effettuata ai fini dell'emanazione del d.m. impugnato si trarrebbero dalle note di trasmissione dei dati da parte di altri Provveditorati alle OO.PP. (per il Piemonte, la Valle d'Aosta e la Liguria; per la Toscana, le Marche e l'Umbria; per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna: all. 21, 22 e 19); - non vi sarebbe stata alcuna carenza nell'istruttoria ministeriale, tanto che nel corso della riunione del 10 novembre 2021 della Commissione consultiva centrale, la proposta di AN. di ricorrere, con riferimento a 10 materiali (poi diventati 15 nel ricorso), a fonti private di rilevazione, non è stata condivisa (col solo voto contrario di AN.), per le ragioni esposte nel relativo verbale; - quanto ai presunti vizi dell'istruttoria, questi sarebbe stati esclusi anche successivamente sulla base di un'analisi di sensibilità (di cui all'all. 23) sulle rilevazioni fornite dai Provveditorati effettuata dagli esperti del Ministero usando cinque scenari differenti di aggregazione dei dati; - considerata detta analisi, le risultanze non cambierebbero anche se si dovesse procedere ad applicare le Linee guida ministeriali emanate il 14 gennaio 2022 alle rilevazioni del primo semestre 2021, così come indicato, ai fini del supplemento istruttorio, dalla sentenza gravata, poiché anzi si perverrebbe ad incrementi addirittura inferiori a quelli indicati nel decreto ministeriale impugnato (come da all. 26 e 27). 5. L'appello principale non merita accoglimento, anche se la motivazione della sentenza impugnata va integrata secondo quanto si dirà nel prosieguo. 5.1. L'assunto di fondo della difesa erariale è che il decreto ministeriale impugnato sia stato adottato a seguito di un'attività istruttoria procedimentalizzata, resa nota e condivisa tra i tutti i componenti della commissione consultiva, ed in conformità ad un modus operandi oramai consolidato, in quanto ripetuto nel tempo e ritenuto legittimo già con la sentenza di questo Consiglio di Stato, IV, 16 maggio 2011, n. 2961. In effetti, con tale sentenza si ebbe ad affermare che "la decisione della commissione di utilizzare tale meccanismo, ossia quello di fare perno su tre diversi indici di carattere oggettivo, non appare di per sé censurabile, trattandosi di un modo di organizzazione della discrezionalità, e come tale idoneo a vincolare in positivo le scelte dello stesso organo consultivo". Tuttavia, la stessa sentenza aveva altresì precisato che il "criterio è idoneo ad assumere un valore di vincolo decisionale ragionevole qualora sia integralmente rispettato, ossia quando si verifichi la concordanza dei dati tra le diverse fonti. Nel caso invece in cui questo non accade, ed in particolar modo quando sia mancata l'acquisizione agli atti di uno degli indici prescelti, il criterio appare monco, sia in relazione all'autovincolo impostosi dalla commissione, sia in rapporto alla sua esclusività ed assolutezza, dato che in tal modo la decisione sull'esistenza del presupposto dell'aumento verrebbe a derivare non da un concreto accertamento in fatto, ma in relazione all'evento esterno della mancata acquisizione del dato rilevante.". Si ritiene che debba essere confermato il giudizio di favore per la scelta, effettivamente discrezionale, di avvalersi delle tre fonti di rilevazione "ufficiali" ridette. Il ricorso a queste ultime, in sé considerato, non presenta profili di irragionevolezza né di illogicità, essendo anzi adeguatamente supportato, per i Provveditorati, dall'essere articolazioni territoriali del Ministero competente all'adozione del decreto, e comunque, per tutte e tre le fonti, dalla qualifica di autorità competenti in materia di rilevazione dei prezzi, di natura pubblica, sulla base della normativa di riferimento (art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50 del 2016 per i Provveditorati; art. 2, comma 6, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, per le camere di commercio; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 322 del 1989 per l'ISTAT). Non è poi immediatamente in contestazione - sebbene l'Avvocatura generale dello Stato vi si sia ampiamente soffermata nei propri scritti di primo e di secondo grado - la metodologia di aggregazione e di calcolo (secondo i diversi algoritmi di media ponderata, media aritmetica, media geometrica, mediana) dei dati raccolti su base territoriale e per ciascuno dei materiali inseriti nell'elenco. 5.2. Piuttosto, necessita soffermarsi sulla metodologia di rilevazione dei dati seguita da ciascuna delle fonti anzidette e sull'attività di controllo, verifica e aggregazione espletata dal Ministero (tramite la Direzione generale per la regolazione dei contratti pubblici e la vigilanza sulle grandi opere) e dalla Commissione consultiva centrale, secondo le rispettive competenze. 5.2.1. Va premesso che la procedura di rilevazione dei dati seguita per l'attuazione dell'art. 1 septies del d.l. n. 73/2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 106/2021, è quella disciplinata dai vari decreti ministeriali che si sono succeduti in attuazione, prima, dell'art. 26, comma 4 quater, della legge n. 109/1994 e, poi, dell'art. 133, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 (la cui applicazione è stata estesa ai contratti in corso dal d.lgs. n. 50/2016, art. 216, co. 27 ter). Si tratta della procedura descritta nel dettaglio nel ricorso in appello, riassumibile nei seguenti passaggi, in sé non contestati: richiesta ai Provveditorati interregionali OO.PP. del prezzo medio in valore assoluto e della variazione percentuale nell'anno di riferimento rispetto all'anno precedente per ciascuno dei 56 materiali inseriti in elenco; aggregazione da parte della Direzione generale dei dati trasmessi dalle articolazioni territoriali; acquisizione dei dati (prezzi medi dei materiali e variazioni percentuali) dalle altre due fonti (Istat e Unioncamere, che a sua volta aggrega i dati delle Camere di commercio); riduzione ad unità dei dati aggregati provenienti dalle tre fonti, attraverso l'applicazione di un criterio che, negli ultimi anni, si è attestato su quello della media ponderata (attribuendo ai dati di ciascuna fonte un peso diverso a seconda delle rilevazioni fornite o dei materiali monitorati); le tabelle corrispondenti sono sottoposte all'approvazione della Commissione consultiva centrale. Precisa il Ministero in tutti i suoi scritti che, per quanto riguarda i Provveditorati, i dati sarebbero acquisiti dai competenti uffici su base regionale tramite l'acquisizione di listini prezzi aggiornati dei materiali, richieste di dati rivolte direttamente agli operatori di settore (imprese e fornitori), acquisizione di dati in possesso delle associazioni e organizzazioni di categoria degli addetti del settore, operanti sul territorio, nonché tenendo conto dei prezzi desumibili dalle tabelle di rilevamento del costo dei materiali che semestralmente provvedono a redigere nell'ambito delle Commissioni regionali costituite ai sensi della circolare 505/I AC del 28 gennaio 1977 e durante l'iter di redazione dei prezziari regionali. 5.3. Orbene, la descrizione delle modalità operative degli enti rilevatori e della Direzione generale contenuta negli scritti di parte appellante, nonché le affermazioni di principio ivi ripetutamente enunciate, non consentono di superare le evidenze che hanno condotto il giudice di prime cure a giudicare inadeguata l'applicazione in concreto della metodologia di rilevamento e fortemente carente l'istruttoria svolta. 5.3.1. Con il ricorso di primo grado, l'As., anche avvalendosi delle risultanze verbale della riunione della commissione consultiva centrale del 10 novembre 2021, ha dato conto di una serie di criticità, che, oggettivamente riscontrabili, non sono state né smentite, né giustificate dalla difesa erariale. Facendo rinvio all'atto di parte ed alla sentenza di primo grado che vi si riferisce, è sufficiente ricordare che sono stati rilevate: - divergenze elevatissime fra i dati aggregati relativi agli incrementi percentuali ricavati da quelli trasmessi dalle diverse fonti (come per i materiali n. 5, n. 7, n. 18, n. 23); - divergenze altrettanto rilevanti fra le rilevazioni dei singoli Provveditorati, ancor più significative perché riguardano dati che, se non necessariamente omogenei, dovrebbero presentare divergenze quanto meno spiegabili sulla base di altrettanto rilevanti peculiarità territoriali (come per i materiali n. 4, n. 6, n. 23, n. 53 ed altri). In proposito, pienamente si condivide e va ribadita la motivazione della sentenza gravata, secondo cui, quanto ai primi dati, "il disallineamento... si palesa talmente ampio...da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e nell'elaborazione dei dati stessi" e, quanto ai secondi, "pur ritenendo che i differenti contesti territoriali incidano sui predetti incrementi (in ragione delle specificità territoriali afferenti alla logistica, ai trasporti, al numero di sedi produttive operanti etc.) appare ictu oculi anomalo un range di variazione oscillante tra lo zero (Emilia Romagna) e oltre il 100%.". La discrasia e l'incongruenza dei dati raccolti sono sintomatiche quanto meno di una disomogeneità del metodo di rilevazione seguito da ciascun Provveditorato, nonché dell'inadeguatezza scientifica della relativa verifica e del raffronto dei dati provenienti delle diverse fonti. In proposito, è possibile utilizzare le risultanze della relazione della verificazione espletata nel giudizio del TAR Lazio, n. 9756/2019, da cui si ricava che il modus operandi del Ministero non è conforme agli standard in materia di rilevazioni statistiche proposti anche da organismi internazionali e che, in conformità a tali standard, il Ministero avrebbe dovuto fornire, in primo luogo ai Provveditorati, quindi agli altri enti rilevatori, indicazioni sulle specifiche tecniche da osservare nell'effettuare le rilevazioni, in modo da consentire la verifica ed il controllo dei dati da parte ministeriale. Tali indicazioni, riscontrate mancanti per l'anno cui si riferisce la verificazione (2019), non risulta siano state fornite in vista della rilevazione oggetto del presente giudizio. Inoltre dalla documentazione prodotta in atti (da AN. nell'appello iscritto al n. 6978/22 R.G., ma anche dalle medesime amministrazioni appellanti nel presente giudizio), si desume che i dati raccolti dai Provveditorati, oltre ad essere in alcuni casi errati o incongrui (come nel caso di serie storiche di prezzi immutati per più anni, risultanti dai dati forniti dall'Emilia Romagna), sono spesso indicati come parziali e lacunosi da parte degli stessi rilevatori, i quali nelle relazioni metodologiche trasmesse al Ministero fanno presente di non aver ricevuto o reperito, in tutto o in parte, i dati richiesti o ricercati. Istat, a sua volta, ha trasmesso dati per dieci materiali su 56, dei quali soltanto per due dei materiali in contestazione. Alla stregua di tali elementi processuali, è corretto quanto affermato in sentenza, secondo cui "il Ministero in presenza di simili incongruenze non potesse risolversi nella mera acquisizione del dato e nella sua trasfusione nel decreto gravato ma dovesse opportunamente attivarsi per acclarare in maniera approfondita la causa che aveva generato tali anomalie e approntare i necessari correttivi mediante l'implementazione delle informazioni necessarie alla stabilizzazione del dato.". La difesa erariale sostiene che i dovuti correttivi sarebbero stati approntati in presenza di palesi irregolarità, quale "una non omogeneità dell'unità di misura", o di una manifesta incongruità rispetto al dato dell'anno precedente, ma evidentemente si è trattato di meccanismi correttivi della lavorazione dei dati e della gestione delle anomalie non sufficienti se, all'esito, sono risultati confermati dati incongrui e lacunosi, perciò inaffidabili alla stregua di quanto sopra. L'assunto della difesa erariale secondo cui non sarebbe stata rilevante la mancanza di alcuni dati provenienti dai singoli territori, non può poi essere condiviso, sia perché risulta che la media dei dati elaborata dalla Direzione generale su base nazionale dà per pervenuti dati invece mancanti, sia perché la media, secondo gli standard in materia di rilevazioni statistiche, non sempre consente di rimediare agli effetti distorsivi della mancanza del dato, i quali vanno prima individuati e quindi corretti per garantire l'omogeneità ed il rigore scientifico della rilevazione. 5.3.2. Riscontro all'inaffidabilità dei dati rilevati dalle fonti "ufficiali" ed aggregati in ambito ministeriale si rinviene nel disallineamento delle percentuali di incremento dei prezzi registrati all'esito della procedura ministeriale rispetto quelli registrati dalle fonti facenti capo ai providers indicati da AN. e da As.. Se, in prima battuta, non è sindacabile la scelta ministeriale di avvalersi delle tre fonti di rilevazione "ufficiali", non risponde ai principi di ragionevolezza e di buona amministrazione privarsi dell'apporto di fonti alternative, in primo luogo, a fini di controllo del risultato ottenuto, e, quindi, di supporto all'istruttoria, se e nei limiti in cui sia necessaria l'implementazione di dati eventualmente mancanti. In tal senso è corretto il richiamo fatto in sentenza alle Linee guida per la rilevazione sui prezzi dei materiali da costruzione emanate dal MIMS il 14 gennaio 2022, pur se non direttamente applicabili al primo semestre 2021 (riguardando invece il secondo semestre). Queste richiamano alla necessità di "stabilire alcuni segnali di allerta che devono portare ad una revisione della fase di rilevazione e all'identificazione, laddove esistano di anomalie e/o errori" ed individuano fra i "segnali di allerta", appunto "il raffronto tra le variazioni percentuali registrate dal soggetto rilevatore e quelle derivanti da banche dati nazionali e internazionali di riferimento dei singoli materiali". Ragionevole e corretto è pertanto procedere a rinnovare, in tutto o in parte, la fase della rilevazione quando vi siano scarti eccessivi tra i valori rilevati in ambito ministeriale e i valori risultanti da fonti private (alcune delle quali, peraltro, compulsate già dai singoli Provveditorati OO.PP. nelle rilevazioni regionali, per quanto si evince dalle singole relazioni metodologiche). Nel caso di specie, dal verbale del 10 novembre 2021 risulta un disallineamento degli incrementi percentuali accertati in ambito ministeriale (e poi trasfusi nel decreto) rispetto a quelli rilevati dai providers indicati da AN. che supera di gran lunga il 20% per ciascuno dei dieci materiali ivi considerati. Tali differenze, che vanno oltre un tollerabile margine di errore statistico, avrebbero ragionevolmente imposto, a prescindere dalle sopravvenute indicazioni delle Linee guida, il supplemento istruttorio, che è stato ritenuto necessario dal primo giudice. 5.4. I riscontrati profili di irragionevolezza dell'operato delle Amministrazioni non sono smentiti dalle argomentazioni degli appellanti, già prospettate e respinte in primo grado. 5.4.1. In primo luogo, non è utile l'argomentazione basata sul contesto economico di riferimento caratterizzato da "oscillazioni di mercato non lineari ed incontrollate" e da "discostamenti, anche notevoli, dai "picchi" di prezzo (...)" del prezzo mediato su base semestrale. All'opposto, la particolare congiuntura economica, dalla quale si è originata la previsione legislativa de qua, avrebbe imposto indicazioni operative addirittura più stringenti ed un maggiore coordinamento degli enti rilevatori, come d'altronde fatto col documento del 2 febbraio 2022 della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che conferma tale esigenza per la redazione dei prezzari regionali, onde superare la disomogeneità delle rilevazioni in un contesto eccezionale quale quello verificatosi dai primi mesi del 2021. Il documento, considerato il suo diverso ambito di applicazione, rileva nel presente giudizio soltanto al limitato fine di corroborare il dato notorio della grave crisi di disponibilità e reperimento di materie prime, determinato da diversi fattori, che ha investito il settore delle costruzioni dai primi mesi del 2021. Tale rilievo consente di prescindere dall'eccezione di inammissibilità per tardività della produzione, sollevata dalla parte appellata. 5.4.2. Inoltre, proprio la peculiarità della congiuntura economica, unitamente alle novità organizzative sui metodi di rilevazione dei prezzi dei materiali di costruzione indicati dalle Linee guida del gennaio 2022, confermano come non sia ostativa ad un supplemento istruttorio l'esigenza, ripetutamente rappresentata dalla difesa erariale, di salvaguardare l'omogeneità di metodo per rendere raffrontabili le serie storiche dei dati reperibili. 5.4.3. Infine, non rileva il richiamo dell'Avvocatura generale dello Stato alla discrezionalità tecnica della scelta metodologica, dato che, per come reso evidente da quanto sopra e per come già detto nella sentenza gravata, non si discute la scelta metodologica, bensì l'attendibilità dei risultati cui la sua applicazione in concreto ha condotto riguardo al monitoraggio dell'incremento dei prezzi, specificamente riferito al primo semestre 2021. 5.5. Non convince infine l'argomento che la difesa erariale ha basato sulle richiamate Linee guida del 14 gennaio 2022, relativo agli esiti dell'asserita applicazione di queste ultime alle rilevazioni del primo semestre 2021. Invero la simulazione è stata limitata alla "fase di aggregazione", essendo consistita nella mera rielaborazione dei dati (anomali e disomogenei) già raccolti, laddove, come ripetutamente detto, le criticità riscontrate attengono al reperimento dei dati da parte di ciascuna fonte ed alla loro gestione da parte della Direzione generale competente. 5.6. L'appello principale va quindi respinto. 5.6.1. Il supplemento istruttorio che consegue all'effetto conformativo della presente sentenza riguarda la "Fase di rilevazione" e la "Fase di revisione" (secondo la terminologia delle Linee guida), necessitando l'una e l'altra di correttivi indispensabili per rendere completi, congrui ed attendibili i dati raccolti e per consentirne il controllo effettivo e l'adeguata attività di aggregazione a livello centrale relativamente al prezzo dei materiali indicati nel ricorso proposto in primo grado da As.. L'attività di rilevazione va in primo luogo resa omogenea, quanto meno in ciascuno dei contesti di riferimento (quindi, in primo luogo, tra Provveditorati e tra Camere di commercio, sia riguardo ai territori che riguardo ai materiali). Garantita l'univocità dei criteri di rilevazione, il Ministero, continuando ad avvalersi delle fonti ufficiali - per le ragioni di affidabilità ed autorevolezza che, come esposto dalla difesa erariale, conseguono alla natura pubblica ed ai compiti istituzionali degli organi ed enti di riferimento - qualora ottenga dati che presentano delle anomalie ovvero, anche per difficoltà di reperimento, profili di incompletezza, dovrà intervenire correggendo gli errori (sostituendo o eliminando i dati errati) e colmando le lacune anche mediante eventuale ricorso a fonti alternative, compresa la DEI (la cui affidabilità, in linea di principio, e salvo diverso apprezzamento in concreto rimesso all'Amministrazione, è desumibile al riferimento alla casa editrice contenuto nel D.M. 6 agosto 2020, art. 13, emanato dal Ministero dell'Industria e dello Sviluppo Economico, richiamato, a sua volta, dalla legge di bilancio per l'anno 2022). 5.6.2. In tal senso va integrata la motivazione della sentenza gravata laddove ha riconosciuto la possibilità per il Ministero di fare "ricorso ad altre fonti" e di tenere "se del caso" anche conto delle "introdotte nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati". Invero, l'ordine di espletare un "supplemento istruttorio" va dato riconoscendo espressamente la necessità per l'Amministrazione di raffrontare i dati rilevati dalle proprie fonti e quelli risultanti da banche dati nazionali o internazionali di riferimento dei singoli materiali e di fare ricorso a queste ultime in caso di difficoltà di reperimento dei dati sul territorio o per determinati materiali, al fine di accertare la reale variazione percentuale del prezzo dei materiali da costruzione oggetto del ricorso. 5.7. Giova precisare che siffatta conclusione riguarda solo i materiali per i quali As. e Ca. Si. hanno contestato specificamente col ricorso introduttivo l'incremento di prezzo trasfuso nel decreto ministeriale impugnato, e non tutti i materiali cui questo si riferisce. 6. Col secondo motivo dell'appello incidentale l'As. ripropone l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 septies del d.l. n. 73 del 2021, inserito in sede di conversione con la legge n. 106 del 2021, per violazione dell'art. 3 della Costituzione perché dei benefici finanziari previsti dalla norma possono godere solo le imprese che operano nel comparto dei "lavori", e non anche quelle che operano nei "servizi" e nelle "forniture", ancorché queste ultime forniscano all'Amministrazione appaltante gli stessi materiali da costruzione contemplati nel DM impugnato (quali oggetto di contratti di "fornitura"). A tale disparità di trattamento il legislatore avrebbe posto rimedio soltanto attraverso la previsione dell'art. 29 del d.l. n. 4 del 2022, che ha reintrodotto la revisione prezzi per i contratti di servizi e forniture, ma che non ha effetto retroattivo, sicché, per il passato, sarebbe necessaria una sentenza "additiva" della Corte Costituzionale. Le sentenze richiamate nella decisione di primo grado di manifesta infondatezza della questione, secondo l'appellante incidentale, all'opposto confermerebbero la disparità di trattamento, laddove di riferiscono a situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (Corte Cost. sentenze n. 340 del 2004, n. 136 e n. 135 del 2004, n. 208 del 2002, ord. n. 168 del 2001). 6.1. L'eccezione di illegittimità costituzionale va disattesa sia per le ragioni di manifesta infondatezza affermate nella sentenza gravata (alla cui motivazione è qui sufficiente fare rinvio) sia perché -sotto il profilo della rilevanza della questione - non è chiarita la legittimazione ad agire degli appellanti incidentali in rappresentanza di imprese esclusivamente fornitrici, risultando l'Associazione composta da imprese qualificate per lavori così come qualificata per lavori è la ricorrente in proprio Ca. Si.. 7. Fatta salva l'integrazione della motivazione sopra precisata, vanno quindi respinti sia l'appello principale che l'appello incidentale. 7.1. La soccombenza reciproca consente di compensare integralmente tra le parti anche le spese del grado di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, come in epigrafe proposti, li respinge e, per l'effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza appellata. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Gianluca Rovelli - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6978 del 2022, proposto da Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e Istat - Istituto Nazionale di Statistica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura Unioncamere, non costituita in giudizio; A.N. - Associazione Na. Co. Ed., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Anna Romano e Filippo Arturo Satta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Filippo Satta in Roma, Foro (...); Per quanto riguarda sia il ricorso introduttivo che il ricorso incidentale presentato da A.N. - Associazione Na. Co. Ed. il 8/11/2022: per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Terza n. 07215/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.N. - Associazione Na. Co. Ed.; Visto l'appello incidentale di quest'ultima; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati l'avvocato dello Stato St. Me. e l'avvocato Ro.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto in parte il ricorso proposto dall'A.N. - Associazione Na. Co. Ed. (quale associazione di categoria delle imprese operanti nel settore dell'edilizia pubblica e privata) contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l'Istat - Istituto Nazionale di Statistica e l'Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura - Unioncamere (oltre che contro i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche indicati in epigrafe) per l'annullamento: - del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili dell'11 novembre 2021, pubblicato in G.U.R.I - Serie Generale n. 279 del 23 novembre 2021, recante "Rilevazione delle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all'8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell'anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi" e degli Allegati n. 1 e 2 al suddetto Decreto, nella parte in cui, in assenza di criteri univoci di rilevazione e in presenza di dati evidentemente irragionevoli e contraddittori trasmessi da Provveditorati, Unioncamere e Istat, hanno rilevato un aumento percentuale del tutto irragionevole e di gran lunga inferiore all'aumento reale registrato sul mercato - di cui si è chiesto il riconoscimento -, per i seguenti 15 materiali: (...), nonché degli atti presupposti meglio specificati in ricorso, ivi compresi: - il parere espresso dall'Ufficio legislativo del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili n. 30433 del 9 agosto 2021, recante "indicazioni operative in ordine all'adozione dei decreti ministeriali ai sensi dell'art. 1-septies, commi 1 e 8, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106", menzionato nelle premesse del DM 11 novembre 2021 e non conosciuto; e il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili del 7 dicembre 2021, pubblicato in G.U.R.I - Serie Generale n. 294 del 11 dicembre 2021, recante "Rettifica dell'allegato 1 e dell'allegato 2 del decreto 11novembre 2021", nella misura in cui ha confermato le rilevazioni intervenendo in senso modificativo soltanto sui prezzi medi del materiale "Tubazioni in ghisa sferoidale per acquedotti". 1.1.I provvedimenti impugnati sono stati adottati, per fronteggiare gli eccezionali aumenti dei prezzi dei materiali da costruzione verificatisi nel primo semestre dell'anno 2021 e le connesse conseguenze negative per gli operatori economici impegnati nell'esecuzione di appalti pubblici e per le stazioni appaltanti, ai sensi dell'art. 1-septies del decreto-legge 25 maggio 2021 n. 73 (c.d. "Decreto Sostegni bis") convertito con modificazioni in legge 23 luglio 2021 n. 106, che ha introdotto un meccanismo straordinario di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione impiegati nei contratti in corso di esecuzione. In particolare, la disposizione -in deroga all'art. 133 del d.lgs. n. 163/2006 e all'art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016- ha previsto che, per i materiali da costruzione più significativi, "si procede a compensazioni, in aumento o in diminuzione", per le variazioni percentuali di prezzo, rispetto al prezzo medio dell'anno d'offerta, "eccedenti l'8 per cento se riferite esclusivamente all'anno 2021 ed eccedenti il 10 per cento complessivo se riferite a più anni". La compensazione è determinata applicando, alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, le variazioni dei relativi prezzi rilevate da un apposito decreto ministeriale da adottarsi a cura del Ministero delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili, entro il 31 ottobre 2021, volto a rilevare "le variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all'8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell'anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi". Tale decreto, è stato appunto emanato in data 11 novembre 2021 e successivamente emendato dal d.m. 7 dicembre 2021 per la rettifica del prezzo medio di uno specifico materiale. 1.2. Secondo la ricorrente, tuttavia, il decreto sarebbe stato illegittimo, nella parte in cui avrebbe stimato un aumento percentuale dei prezzi irragionevole e di gran lunga inferiore all'aumento reale registrato sul mercato per 15 dei complessivi 56 materiali da costruzione più significativi rilevati, così come individuati ed approvati dalla Commissione consultiva, sulla cui base era stato emanato il citato d.m. L'affermata inattendibilità dei dati recepiti nel provvedimento impugnato sarebbe emersa a seguito del raffronto delle percentuali di incremento dei prezzi riportate dal Ministero rispetto agli esiti dell'attività di verifica e rilevazione messa in campo da AN. in vista proprio dell'adozione del decreto. La rilevazione condotta dalla ricorrente riguardante, in particolare, 24 materiali ritenuti più significativi dall'Associazione, avrebbe dato quale esito che, per soltanto 5 di essi, poteva dirsi riscontrabile una sostanziale convergenza con le valutazioni ponderali effettuate dal Ministero e, per 15 di questi, viceversa, le differenze sarebbero state così esorbitanti da mettere in pericolo la tenuta stessa del mercato. AN. contestava quindi la metodologia adottata dal Ministero, evidenziando preliminarmente come la scelta dei 56 materiali da costruzione effettuata nell'anno 2006 non fosse più attuale e indicava alcune discrasie, a titolo esemplificativo, rinvenute nella rilevazione degli aumenti durante il primo semestre. Sottolineava una disomogeneità dei dati rilevati in senso assoluto ed una differenza tra i valori percentuali con uno scostamento di valore pari a circa un terzo nella rilevazione dei prezzi di una decina di materiali di estrema importanza per le infrastrutture del Paese. Pertanto, l'Associazione ricorrente, muovendo dalla rilevata macroscopica differenza tra le rilevazioni proposte e quelle risultanti dai dati in suo possesso, richiedeva al Ministero di effettuare un supplemento di indagine quantomeno per dieci materiali, che per la loro rilevanza mettevano maggiormente a rischio la prosecuzione dei cantieri. La Commissione consultiva, nel dare atto che il Ministero aveva già effettuato i dovuti approfondimenti, approvava a maggioranza e con il solo voto contrario di AN. il lavoro istruttorio della Direzione Generale del Ministero; tali risultanze venivano poi recepite nel gravato decreto ministeriale dell'11.11.2021. 1.2. Tutto quanto sopra premesso, il tribunale - riassunte le censure oggetto del ricorso e le eccezioni preliminari e le argomentazioni difensive del Ministero - ha respinto l'eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione e di interesse ad agire della ricorrente Associazione. 1.3. Nel merito, dopo avere delineato il contesto normativo di riferimento, ha trattato congiuntamente i due motivi di ricorso e li ha ritenuti fondati nei termini che possono essere sintetizzati come segue: 1) dall'esame dei dati riferiti al prezzo di alcuni dei materiali monitorati emergevano "invero esorbitanti - e non facilmente giustificabili - differenze idonee a minarne la complessiva attendibilità ", secondo quanto illustrato in parte motiva in ordine al raffronto dei dati acquisiti con le rilevazioni effettuate dai provveditorati, da un lato, e dalle camere di commercio, dall'altro, ma anche dei dati acquisiti dai singoli provveditorati; le riscontrate incongruenze avrebbero dovuto indurre il Ministero ad un supplemento istruttorio; 2) l'utilizzazione di un metodo condiviso e consolidatosi nel corso degli anni non escludeva che, per varie ragioni, esso necessitasse "di opportuni affinamenti utili a salvaguardarne il rigore scientifico funzionale alla corretta ed equa applicazione delle compensazioni previste dal D.Lgs 73/2021", trattandosi di attività di rilevazione di dati che, pur offrendo garanzie procedimentali e di tutela di contrapposti interessi, aveva "registrato numerosi snodi problematici afferenti al reperimento dei dati e alla loro gestione e "normalizzazione" minandone, pertanto, la complessiva rispondenza alle reali dinamiche dei prezzi di mercato. E proprio tali dinamiche "straordinarie" il legislatore voleva intercettare al fine di arginare l'impatto che le stesse avevano sul tessuto imprenditoriale."; 3) la stessa Sezione, nella materia della revisione dei prezzi, aveva già in passato affermato la necessità di supplemento di istruttoria, anche facendo ricorso ad altre fonti, in caso di palesi incongruenze in ordine ai valori di incremento recati dalle fonti interpellate (cfr. Tar Lazio - Roma, sez. III, 20 febbraio 2009, n. 1707); 4) le linee guida recentemente adottate dal Dipartimento per le opere pubbliche del MIMS in data 14.1.2022 prevedevano, peraltro, con riguardo alla fase di revisione l'individuazione di "segnali di allerta" "al fine di garantire una sufficiente robustezza delle statistiche prodotte e di evitare differenze anomale tra le varie fonti (e, all'interno di ciascuna fonte, tra i vari territori o tra materiali simili) (...)", contemplando quale primo livello di controllo il "raffronto tra le variazioni percentuali registrate dal soggetto rilevator e quelle derivanti da banche dati nazionali e internazionali di riferimento dei singoli materiali"; 5) in definitiva, l'attività istruttoria si era rivelata carente, senza che l'esigenza rappresentata dalle amministrazioni di salvaguardare l'omogeneità di metodo per rendere raffrontabili le serie storiche dei dati reperibili potesse essere di ostacolo all'integrazione dei data set o anche solo all'approfondimento istruttorio; 6) non coglieva nel segno l'affermata riconducibilità alla discrezionalità tecnica della scelta metodologica, poiché non era in contestazione quest'ultima, bensì l'attendibilità dei risultati prodotti con riguardo al monitoraggio dell'incremento dei prezzi in contestazione. 1.4. Dati i detti profili di fondatezza, il tribunale ha tuttavia ritenuto di non accogliere la domanda principale della ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento degli incrementi di prezzo stimati dalle proprie fonti ai fini delle correlate compensazioni, mediante diretta rettifica e/o integrazione del d.m. Sul punto il collegio, nel respingere la richiesta di AN., ha osservato che "il sistema di rilevazione Ministeriale conserva una propria complessiva validità e pertanto deve essere demandato al prudente apprezzamento dell'Amministrazione l'individuazione delle modalità più appropriate (ed eventualmente l'utilizzo anche dei dati riportati da parte ricorrente) per addivenire ad un affinamento delle rilevazioni condotte con riguardo alle voci di prezzo in questione e all'approntamento degli eventuali opportuni correttivi sulle risultanze emerse.". 1.5. Ne è derivato l'accoglimento del ricorso con riferimento alla domanda proposta in via subordinata, con obbligo del Ministero resistente "all'espletamento - con riguardo ai rilevati incrementi di prezzo dei materiali più significativi in contestazione nel presente giudizio- di un supplemento istruttorio, condotto anche autonomamente ed eventualmente facendo ricorso anche ad altre fonti e tenendo, se del caso, anche conto delle introdotte nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati.". 1.6. Le spese processuali sono state compensate per la particolare complessità della questione. 2. Il Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e l'Istat hanno avanzato appello con unico motivo. L'A. si è costituita per resistere all'appello ed ha proposto appello incidentale con un motivo. 2.1. Con ordinanza cautelare del 14 ottobre 2022, n. 4936 è stata respinta l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza avanzata dalle amministrazioni appellanti. 2.2. All'udienza dell'8 giugno 2023 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memoria della difesa erariale e di replica dell'A.. 2.3. Accogliendo l'eccezione di tardività sollevata da quest'ultima, va disposto lo stralcio della memoria difensiva depositata dall'Avvocatura generale dello Stato oltre il termine di cui all'art. 73 c.p.a. Il deposito è stato effettuato in data 8 maggio 2023, ultimo giorno utile, ma alle ore 18,30, quindi va considerato come effettuato il giorno successivo, ai sensi dell'art. 4, comma 4, dell'allegato 2 al d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (c.p.a.), come modificato dall'art. 7 del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197. Detta memoria è perciò inammissibile, in ragione delle perentorietà del termine di cui all'art. 73, comma 1, c.p.a. (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 9 gennaio 2019, n. 194 e, da ultimo, Cons. Stato, V, 27 maggio 2022, n. 4278). 2.4. Parimenti inammissibile è da ritenersi la produzione documentale d'appello dell'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse delle Amministrazioni appellanti, per tutti i documenti per i quali queste ultime non hanno evidenziato gli specifici contenuti del documento ed il loro significato, al fine di chiarirne la rilevanza a sostegno dell'atto di appello (cfr. per l'affermazione del principio, corollario di quello di specificità dell'atto di appello, sancito anche nel processo amministrativo dall'art. 101 c.p.a., Cass. 29 gennaio 2019, n. 2461, secondo cui "La mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all'onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell'integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata", nonché nello stesso senso già Cass. 29 maggio 2003, n. 8599; id., 20 ottobre 2005, n. 20287; id., 7 aprile 2009, n. 8377). Pertanto, si darà conto nel prosieguo soltanto dei documenti richiamati nel ricorso in appello, pur dovendosi dare atto della difficoltà di reperimento di alcuni dovuta alla mancata corrispondenza tra l'indicazione fattane nel ricorso e la numerazione effettiva degli allegati, con la precisazione che la gran parte degli stessi era stata già acquisita agli atti del giudizio di primo grado grazie alla produzione della ricorrente AN., riprodotta in appello (come da indice allegato alla memoria depositata il 10 ottobre 2022 ed allegati corrispondenti). 3. Nell'illustrare l'unico motivo di gravame (Violazione e falsa applicazione dell'art. 1-septies del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito in legge 23 luglio 2021, n. 106) le amministrazioni appellanti, dopo la ricognizione del quadro normativo e delle modalità operative seguite dal Ministero per l'istruttoria, espongono quanto di seguito sintetizzato sulla metodologia in concreto adottata per l'elaborazione del decreto ministeriale impugnato, nonché sulle ragioni di supporto al proprio operato (in gran parte riproduttive delle difese del primo grado) e sui motivi di contestazione della sentenza: - subito dopo la pubblicazione della legge n. 106/2021, l'Amministrazione ha provveduto a trasmettere, rispettivamente ai Provveditorati, all'Istat e a Unioncamere, la nota di richiesta dei dati (All. n. 6, 7 e 8, corrispondenti agli all. 30, 31 e 32) - da far pervenire entro il 20 settembre 2021- al fine di consentire il celere monitoraggio sull'andamento dei prezzi nel corso del primo semestre 2021, con riferimento ai materiali da costruzione più significativi riportati nella tabella allegata alla medesima nota, nonché di contenere al massimo, mediante la tempestiva pubblicazione del decreto, i tempi per la formulazione delle istanze alle stazioni appaltanti finalizzate ad ottenere la compensazione per i maggiori costi sostenuti a seguito degli aumenti, attivando immediatamente le rilevazioni da parte dei Provveditorati, di Istat e di Unioncamere e, di volta in volta che pervenivano i dati dalle tre fonti ufficiali, procedendo all'attività istruttoria e di analisi degli stessi; - come si può evincere dalla nota trasmessa in data 12/10/2021 alle suddette strutture ministeriali (All. n. 9, corrispondente all'all. 33), il Ministero ha provveduto ad un "secondo giro di consultazione" dei Provveditorati teso alla conferma della robustezza dei dati o ad un'eventuale integrazione degli stessi, prima della definitiva elaborazione da parte del Ministero medesimo; - anche Unioncamere, autonomamente, ha provveduto ad un "secondo giro di consultazione" interno e, a seguito dell'arrivo di nuovi dati da parte delle proprie articolazioni territoriali, ha trasmesso in data 20/10/2021 una nuova tabella che recepiva tali integrazioni; - agli effetti di cui all'art. 1-septies, co.1, del d.l. 73/2021 (come anche dei precedenti decreti ministeriali annuali), era infatti necessario che ogni fonte (Provveditorato, Istat e Unioncamere) svolgesse la propria istruttoria interna secondo una precipua metodologia di rilevazione, rispettosa di criteri di uniformità e continuità nel tempo, in modo tale da garantire che il confronto del prezzo di un determinato materiale da un anno all'altro fosse corretto; - i risultati di queste rilevazioni su base territoriale sono confluiti, quindi, nelle tabelle che i Provveditorati hanno inviato alla Direzione generale per la regolazione del Ministero, che ha assunto poi il ruolo di soggetto aggregatore di tali dati per ottenere un unico valore mediato su base nazionale, procedendo, ove necessario, ad accantonare quei dati che presentavano anomalie (ad esempio, a causa di una non omogeneità dell'unità di misura adottata) o una manifesta incongruità, per eccesso o per difetto, rispetto al dato dell'anno precedente; - in ogni caso, la mancanza di dati forniti da parte di qualche articolazione regionale dei Provveditorati non inficiava la validità della procedura o dei dati stessi; - per quanto riguarda Unioncamere la metodologia seguita, consolidata nel tempo, ha previsto una preliminare "normalizzazione" dei dati rilevati dalle Camere di commercio distribuite su tutto il territorio nazionale, secondo quanto specificato in ricorso; - anche l'Istat ha adottato una metodologia consolidata che prevedeva una rilevazione ed elaborazione dei dati effettuata mensilmente sulla base dei valori forniti da un campione di imprese; - la procedura utilizzata per le rilevazioni da ciascuna delle tre fonti istituzionali - resa nota in maniera trasparente attraverso le rispettive relazioni e note metodologiche di accompagnamento - sarebbe stata perciò consolidata, ragionevole e coerente nel tempo, in modo da assicurare la necessaria continuità nelle rilevazioni e nell'elaborazione dei dati; - al termine di tale complessa attività di rilevazione ed aggregazione dei dati si è riunita la Commissione consultiva centrale che a maggioranza (con il solo voto contrario di AN.) ha approvato l'istruttoria svolta dal Ministero-Direzione generale; - le somme derivanti dalla predetta compensazione non costituiscono un'integrazione del corrispettivo relativo all'esecuzione dell'appalto in quanto, come specificato nelle citate circolari ministeriali del 4 agosto 2005 e del 25 novembre 2021, ai fini del calcolo dell'eventuale compensazione, i prezzi indicati nei decreti ministeriali "assumono unicamente un valore parametrico e non interferiscono con i prezzi dei singoli contratti"; - pertanto, per poter avere una reale confrontabilità di tutti i prezzi con quelli esaminati negli anni precedenti, occorrerebbe non trattare differentemente, in termini di valutazione, i 56 materiali della lista, mantenendo nel tempo le medesime fonti e metodologia di rilevazione dei prezzi per tutti i materiali, quale condizione imprescindibile per la piena confrontabilità dei dati, che sono - per le specificità applicative delle norme sottostanti - concatenati nella serie storica sin dalla prima rilevazione dell'annualità 2003, anche al fine di garantire la par condicio tra le imprese destinatarie degli importi di compensazione; - ancora, occorrerebbe mantenere come uniche fonti quelle attuali di rilevamento, aventi natura pubblica e qualifica di autorità competente in materia di rilevazione prezzi che agisce nel perseguimento del pubblico interesse, secondo quanto specificato in ricorso; - solo in tal modo sarebbe possibile garantire la trasparenza, l'attendibilità e la verificabilità dei dati da parte di soggetti terzi indipendenti, nonché consentire la conoscenza reale dell'attività amministrativa e di effettuare il controllo sulla stessa, mentre analoga autorità, in materia di rilevazione dei prezzi, non sarebbe rinvenibile in nessuna altra fonte privata (quali quelle proposte dall'A.); - il "cambiamento in corso della metodologia" avrebbe provocato effetti distorsivi del meccanismo della compensazione ed in ogni caso la scelta della metodologia e delle fonti ai fini delle suddette rilevazioni rientra nella discrezionalità tecnica che, come noto, è sindacabile solo in presenza di valutazioni incoerenti o irragionevoli; - sarebbe oltretutto pericoloso e fuorviante mettere in discussione i prezzi medi ricavati delle tre fonti ufficiali del Ministero ogni qualvolta si rinvengano da "fonti non ufficiali" aumenti più favorevoli alle imprese, in quanto ciò avrebbe potuto innescare un meccanismo non controllabile con riguardo a tutte e 56 le voci di materiali in elenco; -la sentenza del TAR n. 7215/2022 sarebbe contraddittoria laddove, da una parte, riconosce la correttezza della metodologia di rilevazione adottata dal Ministero e, dall'altra, dispone di modificarla espletando un supplemento istruttorio. 3.1. In merito alla "presunta irragionevolezza e criticità dei dati rilevati", la difesa erariale osserva inoltre che: - quanto alla "divergenza dei dati raccolti", occorre tenere conto che la rilevazione è stata effettuata in un contesto economico peculiare, caratterizzato da aumenti dei prezzi imprevedibili e fluttuanti, diverso dalla situazione di mercato complessivamente stabile con variazioni annuali dei prezzi di modesta entità, delle annualità precedenti, come comprovato dal documento del 2 febbraio 2022 della Conferenza delle Regioni e delle province autonome (All. 11, corrispondente all'all. 3); pertanto, la presenza di dati diversi rilevati in ambiti territoriali diversi non costituirebbe né un'incongruenza né un difetto di istruttoria; - quanto ai "dati mancanti" questi non deriverebbero necessariamente da una "mancanza" del soggetto rilevatore, come rammentato dal Provveditore OO.PP. della Sicilia e della Calabria nella nota in atti e nella successiva interlocuzione con AN. Si. (all. da 12 a 19, corrispondenti agli all. da 4 a 14); analoga vicenda di inattendibilità dei dati trasmessi dalle sezioni locali dell'A. avrebbe riguardato il Provveditorato per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna (all. 20 corrispondente all'all.15); - quanto alla nota trasmessa dal Provveditorato OO.PP. per la Lombardia e per l'Emilia Romagna prot. n. 18333 del 19 ottobre 2021 (all. 21 corrispondente all'all. 17), il significato non sarebbe quello attribuito dall'A. nel ricorso introduttivo di sospetta inattendibilità delle rilevazioni; - ulteriori elementi della "scrupolosità della rilevazione" effettuata ai fini dell'emanazione del d.m. impugnato si trarrebbero dalle note di trasmissione dei dati da parte di altri Provveditorati alle OO.PP. (per il Piemonte, la Valle d'Aosta e la Liguria; per la Toscana, le Marche e l'Umbria; per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, rispettivamente all. 22, 23 e 20, corrispondenti agli all. 18, 19 e 16); - non vi sarebbe stata alcuna carenza nell'istruttoria ministeriale, tanto che nel corso della riunione del 10 novembre 2021 della Commissione consultiva centrale, la proposta di AN. di ricorrere, con riferimento a 10 materiali (poi diventati 15 nel ricorso), a fonti private di rilevazione, non è stata condivisa (col solo voto contrario di AN.), per le ragioni esposte nel relativo verbale (che si rinviene nella produzione di AN., all. 5 doc. 4); - quanto ai presunti vizi dell'istruttoria, questi sarebbe stati esclusi sulla base di un'analisi di sensibilità (di cui all'all. 24, corrispondente all'all.20) sulle rilevazioni fornite dai Provveditorati effettuata dagli esperti del Ministero usando cinque scenari differenti di aggregazione dei dati; - le risultanze non cambierebbero anche se si dovesse procedere ad applicare le Linee guida ministeriali emanate il 14 gennaio 2022 alle rilevazioni del primo semestre 2021, così come indicato, ai fini del supplemento istruttorio, dalla sentenza gravata, poiché anzi si perverrebbe ad incrementi addirittura inferiori a quelli indicati nel decreto ministeriale impugnato (come da tabella inserita nel ricorso in appello); - la denunciata carenza di istruttoria non sarebbe riscontrabile nemmeno in riferimento al d.m. 7 dicembre 2021, che ha rettificato parzialmente il d.m. 11 novembre 2021. 4. Le censure degli appellanti principali appena riassunte vanno trattate congiuntamente all'unico motivo dell'appello incidentale. 4.1. Con questo (Sull'erroneo rigetto della richiesta di disporre la rettifica e/o integrazione del decreto con i dati di AN., quindi "Error in iudicando; Travisamento dei fatti; Difetto di istruttoria; Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 septies del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73") l'Associazione lamenta il mancato accoglimento della propria domanda principale, volta a conformare specificamente l'attività del Ministero conseguente all'annullamento dei decreti gravati, con la richiesta di disporre "che il contenuto del DM 11 novembre 2021 sia rettificato e/o integrato, ai fini del riconoscimento del meccanismo compensativo con i valori di ulteriore incremento del prezzo dei materiali di cui è causa, rilevati dalle fonti alternative proposte da AN.". 4.2. L'appellante incidentale sostiene che con questa domanda ha puntato ad ottenere una tutela effettiva e tempestiva dell'interesse azionato in giudizio, ovvero dell'interesse delle imprese associate ad ottenere il riconoscimento dei maggiori importi non rilevati dalla procedura ministeriale, in modo da fronteggiare la sopravvenuta maggiore onerosità dei contratti in essere con una soluzione di rapida implementazione e corrispondente agli standard in materia, quale la sostituzione del data set sin qui utilizzato e l'acquisizione di dati sostitutivi da altre fonti, da riversare direttamente nel provvedimento. 4.3. L'associazione appellante critica la duplice motivazione sulla cui base il giudice di prime cure ha respinto la domanda, vale a dire che: i) "il sistema di rilevazione Ministeriale conserva una propria complessiva validità "; ii) "AN., accanto a quelli di alcuni providers, si limita a produrre, per talune voci, dati reperiti da aziende fornitrici. E non vi è chi non veda come tali dati non possano di certo acquisire di per sé una maggiore attendibilità di quelli individuati all'esito della ben più complessa e capillare attività ricognitiva Ministeriale." 4.3.1. Osserva l'appellante che la prima motivazione sarebbe smentita dalla stessa sentenza, per le criticità riscontrate nella procedura ministeriale di rilevazione dei dati. Questa, inoltre, non sarebbe nuova al fallimento, avendo manifestato i propri limiti in diverse occasioni, certificate anche da pronunce giurisdizionali, una delle quali (dello stesso T.a.r. del Lazio, 28 giugno 2022, n. 8786), adottata all'esito di una verificazione le cui risultanze non sono state favorevoli alle amministrazioni (per come nel dettaglio riportato in ricorso). Sarebbe emerso che la metodologia seguita dal Ministero si pone in contrasto con i consolidati standard, internazionali e nazionali, di rilevazioni statistiche, ovvero con i più basilari principi e regole comuni atti a garantire risultati rispondenti alle esigenze di affidabilità, flessibilità e livello di dettaglio dei dati, oltre che con il dato normativo che impone di effettuare un'istruttoria seria e obiettiva. 4.3.2. La seconda argomentazione della sentenza sarebbe, a sua volta, priva di pregio perché i materiali per i quali l'Associazione ha fornito i dati delle aziende fornitrici sono soltanto due su quindici, mentre per la restante parte ha fatto ricorso a providers indipendenti, nazionali ed internazionali, che operano secondo procedure codificate e conformi agli standard in materia, volte tra l'altro a garantire l'obiettività dei dati. Le Linee guida per la rilevazione dei prezzi dei materiali da costruzione emanate dal MIMS il 13 gennaio 2022 avrebbero d'altronde individuato nelle banche dati nazionali ed internazionali di riferimento dei singoli materiali un utile "valore benchmark", rispetto al quale il disallineamento delle rilevazioni ministeriali, oltre una certa soglia, costituisce "segnale di allerta" dell'inattendibilità di queste, che dovrebbe portare alla loro revisione. 4.4. La decisione assunta dal giudice di prime cure si presta, infine, alla critica, illustrata dall'appellante incidentale, di allungare i tempi di rilevazione dei dati, in una situazione emergenziale, che avrebbe richiesto il rapido accertamento dei dati oggettivi riguardanti gli scostamenti dei prezzi. A tale ultimo fine, ove non si ritenessero sufficienti i dati forniti dai providers indicati da AN., quest'ultima rinnova l'istanza istruttoria già formulata in primo grado e trascurata dal giudice, al fine di accertare la correlazione tra le variazioni di prezzo rilevate dalle fonti offerte da AN. e quelle effettivamente registrate sul mercato. 5. I motivi di appello, principale ed incidentale, sopra sintetizzati non meritano di essere accolti, anche se la motivazione della sentenza impugnata va integrata secondo quanto si dirà nel prosieguo. 5.1. L'assunto di fondo della difesa erariale è che il decreto ministeriale impugnato sia stato adottato a seguito di un'attività istruttoria procedimentalizzata, resa nota e condivisa tra i tutti i componenti della Commissione consultiva, ed in conformità ad un modus operandi oramai consolidato, in quanto ripetuto nel tempo e ritenuto legittimo già con la sentenza di questo Consiglio di Stato, IV, 16 maggio 2011, n. 2961. In effetti, con tale sentenza si ebbe ad affermare che "la decisione della commissione di utilizzare tale meccanismo, ossia quello di fare perno su tre diversi indici di carattere oggettivo, non appare di per sé censurabile, trattandosi di un modo di organizzazione della discrezionalità, e come tale idoneo a vincolare in positivo le scelte dello stesso organo consultivo". Tuttavia, la stessa sentenza aveva altresì precisato che il "criterio è idoneo ad assumere un valore di vincolo decisionale ragionevole qualora sia integralmente rispettato, ossia quando si verifichi la concordanza dei dati tra le diverse fonti. Nel caso invece in cui questo non accade, ed in particolar modo quando sia mancata l'acquisizione agli atti di uno degli indici prescelti, il criterio appare monco, sia in relazione all'autovincolo impostosi dalla commissione, sia in rapporto alla sua esclusività ed assolutezza, dato che in tal modo la decisione sull'esistenza del presupposto dell'aumento verrebbe a derivare non da un concreto accertamento in fatto, ma in relazione all'evento esterno della mancata acquisizione del dato rilevante.". Si ritiene che debba essere confermato il giudizio di favore per la scelta, effettivamente discrezionale, di avvalersi delle tre fonti di rilevazione "ufficiali" ridette. Il ricorso a queste ultime, in sé considerato, non presenta profili di irragionevolezza né di illogicità, essendo anzi adeguatamente supportato, per i Provveditorati, dall'essere articolazioni territoriali del Ministero competente all'adozione del decreto, e comunque, per tutte e tre le fonti, dalla qualifica di autorità competenti in materia di rilevazione dei prezzi, di natura pubblica, sulla base della normativa di riferimento (art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50 del 2016 per i Provveditorati; art. 2, comma 6, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, per le camere di commercio; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 322 del 1989 per l'ISTAT). Non è poi immediatamente in contestazione - sebbene l'Avvocatura generale dello Stato vi si sia ampiamente soffermata nei propri scritti di primo e di secondo grado - la metodologia di aggregazione e di calcolo (secondo i diversi algoritmi di media ponderata, media aritmetica, media geometrica, mediana) dei dati raccolti su base territoriale e per ciascuno dei materiali inseriti nell'elenco. 5.2. Piuttosto, necessita soffermarsi sulla metodologia di rilevazione dei dati seguita da ciascuna delle fonti anzidette e sull'attività di controllo, verifica e aggregazione espletata dal Ministero (tramite la Direzione generale per la regolazione dei contratti pubblici e la vigilanza sulle grandi opere) e dalla Commissione consultiva centrale, secondo le rispettive competenze. 5.2.1. Va premesso che la procedura di rilevazione dei dati seguita per l'attuazione dell'art. 1 septies del d.l. n. 73/2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 106/2021, è quella disciplinata dai vari decreti ministeriali che si sono succeduti in attuazione, prima, dell'art. 26, comma 4 quater, della legge n. 109/1994 e, poi, dell'art. 133, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 (la cui applicazione è stata estesa ai contratti in corso dal d.lgs. n. 50/2016, art. 216, co. 27 ter). Si tratta della procedura descritta nel dettaglio nel ricorso in appello, riassumibile nei seguenti passaggi, in sé non contestati: richiesta ai Provveditorati interregionali OO.PP. del prezzo medio in valore assoluto e della variazione percentuale nell'anno di riferimento rispetto all'anno precedente per ciascuno dei 56 materiali inseriti in elenco; aggregazione da parte della Direzione generale dei dati trasmessi dalle articolazioni territoriali; acquisizione dei dati (prezzi medi dei materiali e variazioni percentuali) dalle altre due fonti (Istat e Unioncamere, che a sua volta aggrega i dati delle Camere di commercio); riduzione ad unità dei dati aggregati provenienti dalle tre fonti, attraverso l'applicazione di un criterio che, negli ultimi anni, si è attestato su quello della media ponderata (attribuendo ai dati di ciascuna fonte un peso diverso a seconda delle rilevazioni fornite o dei materiali monitorati); le tabelle corrispondenti sono sottoposte all'approvazione della Commissione consultiva centrale. Precisa il Ministero in tutti i suoi scritti che, per quanto riguarda i Provveditorati, i dati sarebbero acquisiti dai competenti uffici su base regionale tramite l'acquisizione di listini prezzi aggiornati dei materiali, richieste di dati rivolte direttamente agli operatori di settore (imprese e fornitori), acquisizione di dati in possesso delle associazioni e organizzazioni di categoria degli addetti del settore, operanti sul territorio, nonché tenendo conto dei prezzi desumibili dalle tabelle di rilevamento del costo dei materiali che semestralmente provvedono a redigere nell'ambito delle Commissioni regionali costituite ai sensi della circolare 505/I AC del 28 gennaio 1977 e durante l'iter di redazione dei prezzari regionali. 5.3. Orbene, la descrizione delle modalità operative degli enti rilevatori e della Direzione generale contenuta negli scritti di parte appellante, nonché le affermazioni di principio ivi ripetutamente enunciate, non consentono di superare le evidenze che hanno condotto il giudice di prime cure a giudicare inadeguata l'applicazione in concreto della metodologia di rilevamento e fortemente carente l'istruttoria svolta. 5.3.1. Con il ricorso di primo grado, AN. ha dato conto di una serie di criticità, che, oggettivamente riscontrabili, non sono state né smentite, né giustificate dalla difesa erariale. Facendo rinvio all'atto di parte ed alla sentenza di primo grado che vi si riferisce, è sufficiente ricordare che sono state rilevate: - divergenze elevatissime fra i dati aggregati relativi agli incrementi percentuali ricavati da quelli trasmessi dalle diverse fonti (come per i materiali n. 5, n. 7, n. 18, n. 23); - divergenze altrettanto rilevanti fra le rilevazioni dei singoli Provveditorati, ancor più significative perché riguardano dati che, se non necessariamente omogenei, dovrebbero presentare divergenze quanto meno spiegabili sulla base di altrettanto rilevanti peculiarità territoriali (come per i materiali n. 4, n. 6, n. 23, n. 53 ed altri). In proposito, pienamente si condivide e va ribadita la motivazione della sentenza gravata, secondo cui, quanto ai primi dati, "il disallineamento... si palesa talmente ampio...da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e nell'elaborazione dei dati stessi" e, quanto ai secondi, "pur ritenendo che i differenti contesti territoriali incidano sui predetti incrementi (in ragione delle specificità territoriali afferenti alla logistica, ai trasporti, al numero di sedi produttive operanti etc.) appare ictu oculi anomalo un range di variazione oscillante tra lo zero (Emilia Romagna) e oltre il 100%.". La discrasia e l'incongruenza dei dati raccolti sono sintomatiche quanto meno di una disomogeneità del metodo di rilevazione seguito da ciascun Provveditorato, nonché dell'inadeguatezza scientifica della relativa verifica e del raffronto dei dati provenienti delle diverse fonti. In proposito, è possibile utilizzare le risultanze della relazione della verificazione espletata nel giudizio del TAR Lazio, n. 9756/2019 (all. 35, doc. 32 della produzione AN.), da cui si ricava che il modus operandi del Ministero non è conforme agli standard in materia di rilevazioni statistiche proposti anche da organismi internazionali e che, in conformità a tali standard, il Ministero avrebbe dovuto fornire, in primo luogo ai Provveditorati, quindi agli altri enti rilevatori, indicazioni sulle specifiche tecniche da osservare nell'effettuare le rilevazioni, in modo da consentire la verifica ed il controllo dei dati da parte ministeriale. Tali indicazioni, riscontrate mancanti per l'anno cui si riferisce la verificazione (2019), non risulta siano state fornite in vista della rilevazione oggetto del presente giudizio. Inoltre dalla documentazione prodotta da AN. (come all. 8, ma anche disordinatamente dalle stesse amministrazioni appellanti) si desume che i dati raccolti dai Provveditorati, oltre ad essere in alcuni casi errati o incongrui (come nel caso di serie storiche di prezzi immutati per più anni, risultanti dai dati forniti dall'Emilia Romagna), sono spesso indicati come parziali e lacunosi da parte degli stessi rilevatori, i quali nelle relazioni metodologiche trasmesse al Ministero fanno presente di non aver ricevuto o reperito, in tutto o in parte, i dati richiesti o ricercati. Istat, a sua volta, ha trasmesso dati per dieci materiali su 56, dei quali soltanto per due dei materiali in contestazione. Alla stregua di tali elementi processuali, è corretto quanto affermato in sentenza, secondo cui "il Ministero in presenza di simili incongruenze non potesse risolversi nella mera acquisizione del dato e nella sua trasfusione nel decreto gravato ma dovesse opportunamente attivarsi per acclarare in maniera approfondita la causa che aveva generato tali anomalie e approntare i necessari correttivi mediante l'implementazione delle informazioni necessarie alla stabilizzazione del dato.". La difesa erariale sostiene che i dovuti correttivi sarebbero stati approntati in presenza di palesi irregolarità, quali "una non omogeneità dell'unità di misura" o una manifesta incongruità rispetto al dato dell'anno precedente, ma evidentemente si è trattato di meccanismi correttivi della lavorazione dei dati e della gestione delle anomalie non sufficienti se, all'esito, sono risultati confermati dati incongrui e lacunosi, perciò inaffidabili alla stregua di quanto sopra. L'assunto della difesa erariale secondo cui non sarebbe stata rilevante la mancanza di alcuni dati provenienti dai singoli territori, non può poi essere condiviso, sia perché risulta che la media dei dati elaborata dalla Direzione generale su base nazionale dà per pervenuti dati invece mancanti, sia perché la media, secondo gli standard in materia di rilevazioni statistiche, non sempre consente di rimediare agli effetti distorsivi della mancanza del dato, i quali vanno prima individuati e quindi corretti per garantire l'omogeneità ed il rigore scientifico della rilevazione. 5.3.2. Riscontro all'inaffidabilità dei dati rilevati dalle fonti "ufficiali" ed aggregati in ambito ministeriale si rinviene nel disallineamento delle percentuali di incremento dei prezzi registrati all'esito della procedura ministeriale rispetto quelli registrati dai providers indicati da AN.. Se, in prima battuta, non è sindacabile la scelta ministeriale di avvalersi delle tre fonti di rilevazione "ufficiali", non risponde ai principi di ragionevolezza e di buona amministrazione privarsi dell'apporto di fonti alternative, in primo luogo, a fini di controllo del risultato ottenuto, e, quindi, di supporto all'istruttoria, se e nei limiti in cui sia necessaria l'implementazione di dati eventualmente mancanti. In tal senso è corretto il richiamo fatto in sentenza alle Linee guida per la rilevazione sui prezzi dei materiali da costruzione emanate dal MIMS il 14 gennaio 2022, pur se non direttamente applicabili al primo semestre 2021 (riguardando invece il secondo semestre). Queste richiamano alla necessità di "stabilire alcuni segnali di allerta che devono portare ad una revisione della fase di rilevazione e all'identificazione, laddove esistano di anomalie e/o errori" ed individuano fra i "segnali di allerta", appunto "il raffronto tra le variazioni percentuali registrate dal soggetto rilevatore e quelle derivanti da banche dati nazionali e internazionali di riferimento dei singoli materiali". Ragionevole e corretto è pertanto procedere a rinnovare, in tutto o in parte, la fase della rilevazione quando vi siano scarti eccessivi tra i valori rilevati in ambito ministeriale e i valori risultanti da fonti private (alcune delle quali, peraltro, compulsate già dai singoli Provveditorati OO.PP. nelle rilevazioni regionali, per quanto si evince dalle singole relazioni metodologiche). Nel caso di specie, AN. ha indicato un disallineamento degli incrementi percentuali accertati in ambito ministeriale (e poi trasfusi nel decreto), rispetto a quelli rilevati dai providers privati, che va da un minimo del 21,57% ad un massimo del 66,82%. Tali differenze, che vanno oltre un tollerabile margine di errore statistico, avrebbero ragionevolmente imposto, a prescindere dalle sopravvenute indicazioni delle Linee guida, il supplemento istruttorio, che è stato ritenuto necessario dal primo giudice. 5.4. I riscontrati profili di irragionevolezza dell'operato delle Amministrazioni non sono smentiti dalle argomentazioni degli appellanti, già prospettate e respinte in primo grado. 5.4.1. In primo luogo, non è utile l'argomentazione basata sul contesto economico di riferimento caratterizzato da "oscillazioni di mercato non lineari ed incontrollate" e da "discostamenti, anche notevoli, dai "picchi" di prezzo (...)" del prezzo mediato su base semestrale. All'opposto, la particolare congiuntura economica, dalla quale si è originata la previsione legislativa de qua, avrebbe imposto indicazioni operative addirittura più stringenti ed un maggiore coordinamento degli enti rilevatori, come d'altronde fatto col documento del 2 febbraio 2022 della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che conferma tale esigenza per la redazione dei prezzari regionali, onde superare la disomogeneità delle rilevazioni in un contesto eccezionale quale quello verificatosi dai primi mesi del 2021. Il documento, considerato il suo diverso ambito di applicazione, rileva nel presente giudizio soltanto al limitato fine di corroborare il dato notorio della grave crisi di disponibilità e reperimento di materie prime, determinato da diversi fattori, che ha investito il settore delle costruzioni dai primi mesi del 2021. 5.4.2. Inoltre, proprio la peculiarità della congiuntura economica, unitamente alle novità organizzative sui metodi di rilevazione dei prezzi dei materiali di costruzione indicati dalle Linee guida del gennaio 2022, confermano come non sia ostativa ad un supplemento istruttorio l'esigenza, ripetutamente rappresentata dalla difesa erariale, di salvaguardare l'omogeneità di metodo per rendere raffrontabili le serie storiche dei dati reperibili. 5.4.3. Infine, non rileva il richiamo dell'Avvocatura generale dello Stato alla discrezionalità tecnica della scelta metodologica, dato che, per come reso evidente da quanto sopra e per come già detto nella sentenza gravata, non si discute la scelta metodologica, bensì l'attendibilità dei risultati cui la sua applicazione in concreto ha condotto riguardo al monitoraggio dell'incremento dei prezzi, specificamente riferito al primo semestre 2021. 5.5. Non convince infine l'argomento che la difesa erariale ha basato sulle richiamate Linee guida del 14 gennaio 2022, relativo agli esiti dell'asserita applicazione di queste ultime alle rilevazioni del primo semestre 2021. Invero la simulazione è stata limitata alla "fase di aggregazione", essendo consistita, come nota la difesa di AN., nella mera rielaborazione dei dati ("anomali e disomogenei") già raccolti, laddove, come ripetutamente detto, le criticità riscontrate attengono al reperimento dei dati da parte di ciascuna fonte ed alla loro gestione da parte della Direzione generale competente. 5.6. L'appello principale va quindi respinto. 5.6.1. Il supplemento istruttorio che consegue all'effetto conformativo della presente sentenza riguarda la "Fase di rilevazione" e la "Fase di revisione" (secondo la terminologia delle Linee guida), necessitando l'una e l'altra di correttivi indispensabili per rendere completi, congrui ed attendibili i dati raccolti e per consentirne il controllo effettivo e l'adeguata attività di aggregazione a livello centrale relativamente al prezzo dei materiali indicati nel ricorso proposto in primo grado da AN.. L'attività di rilevazione va in primo luogo resa omogenea, quanto meno in ciascuno dei contesti di riferimento (quindi, in primo luogo, tra Provveditorati e tra Camere di commercio, sia riguardo ai territori che riguardo ai materiali). Garantita l'univocità dei criteri di rilevazione, il Ministero, continuando ad avvalersi delle fonti ufficiali - per le ragioni di affidabilità ed autorevolezza che, come esposto dalla difesa erariale, conseguono alla natura pubblica ed ai compiti istituzionali degli organi ed enti di riferimento - qualora ottenga dati che presentano delle anomalie ovvero, anche per difficoltà di reperimento, profili di incompletezza, dovrà intervenire correggendo gli errori (sostituendo o eliminando i dati errati) e colmando le lacune anche mediante eventuale ricorso a fonti alternative. 5.6.2. In tal senso va integrata la motivazione della sentenza gravata laddove ha riconosciuto la possibilità per il Ministero di fare "ricorso ad altre fonti" e di tenere "se del caso" anche conto delle "introdotte nuove metodiche di rilevazione, revisione e aggregazione dei dati". Invero, l'ordine di espletare un "supplemento istruttorio" va dato riconoscendo espressamente la necessità per l'Amministrazione di raffrontare i dati rilevati dalle proprie fonti e quelli risultanti da banche dati nazionali o internazionali di riferimento dei singoli materiali e di fare ricorso a queste ultime in caso di difficoltà di reperimento dei dati sul territorio o per determinati materiali, al fine di accertare la reale variazione percentuale del prezzo dei 15 materiali da costruzione oggetto del ricorso di AN.. 6. Siffatta conclusione, pur correttiva della motivazione della sentenza gravata, conduce peraltro a confermare il rigetto della domanda principale di AN., riproposta con appello incidentale, di integrare/rettificare direttamente il decreto annullato mediante i valori di ulteriore incremento del prezzo dei materiali per cui è causa, rilevati dalle fonti alternative proposte da AN.. Essendo incontestabile che l'art. 1 septies d.l. n. 73/2021 imponga una rilevazione trasparente, congrua e verificabile di dati oggettivi riguardanti gli scostamenti percentuali dei prezzi, come dedotto da parte di AN., questo comporta che il Ministero debba dettare specifiche tecniche comuni di rilevazione dei dati e sottoporre a valutazione critica i dati rilevati dalle proprie fonti, ma non che debba sostituire queste ultime con altre che, per natura e fini statutari, potrebbero offrire minori garanzie di affidabilità . 6.1. A quest'ultimo riguardo, si precisa, ad integrazione di quanto detto sull'effetto conformativo della decisione, che, fermo restando il requisito di indipendenza dei providers nazionali ed internazionali, l'eventuale inattendibilità dei dati risultanti dalle banche dati gestite dai medesimi od anche soltanto l'inutilizzabilità ai fini della rilevazione per cui è causa costituisce un elemento sottratto ad un giudizio ex ante e rimesso al prudente e motivato apprezzamento dell'Amministrazione, da rendersi considerando le procedure in concreto seguite dalle fonti private per assicurare l'obiettività dei dati rilevati. 6.2. L'appello incidentale va quindi respinto. 7. Fatta salva la correzione della motivazione suddetta, vanno quindi respinti sia l'appello principale che l'appello incidentale. Resta assorbita l'eccezione di inammissibilità dell'appello principale per genericità dei motivi di censura e assenza di elementi essenziali sollevata da A.N. con la memoria difensiva. 7.1. L'annullamento del decreto 11 novembre 2021, in parte qua, e la riedizione del potere con le modalità sopra specificate non esclude, come precisato con l'ordinanza cautelare n. 4936 del 14 ottobre 2022, la transitoria applicazione delle variazioni dei prezzi già accertate e le compensazioni medio tempore richieste o percepite, salvo conguaglio. 8. La soccombenza reciproca consente di compensare integralmente tra le parti anche le spese del grado di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, come in epigrafe proposti, li rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza gravata, con diversa motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Gianluca Rovelli - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Paganini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 5926/2021 del Ruolo Generale promossa da: GI.RU. (c.f. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ma.Cr.; ATTORE contro AL.VI. (c.f. (...)), BR.RI. (c.f. (...)) e DR ES.ME. S.R.L. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentantepro tempore, con il patrocinio dell'avv. An.Bo.; CONVENUTI nonché contro H.A. S.P.A. (c.f. (...)), già H.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Di.Mu.; TERZA CHIAMATA nonché contro AL. S.P.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Fr.Al.; TERZA CHIAMATA Conclusioni delle parti Per la parte attrice: "NEL MERITO: previa ogni più opportuna declaratoria accertata e dichiarata la responsabilità dei resistenti Dott. AL.VI. e Dott. BR.RI. nonché della struttura Sanitaria 'Dr. ES.ME. S.r.l.' per i titoli esposti in narrativa, in via esclusiva o concorrente secondo eventualmente la ritenuta congrua percentuale di colpa di ognuno dei resistenti, condannare i medesimi in via tra loro solidale e/o alternativa e/o concorrente al risarcimento dei danni tutti patiti dal ricorrente, nella misura di complessivi Euro 10.144,50.- per le varie componenti del danno non patrimoniale oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interesse legali dal dovuto 26/10/2017 al saldo, o in quella diversa misura maggiore e minore che sarà ritenuta dovuta ed oltre al rimborso dell'importo di Euro 3.200,00.- oltre agli interessi legali dal dovuto al saldo. Oltre alle spese e competenze legali del procedimento di ATP da liquidarsi conformemente alla tariffa di cui al D.M. 55/2014, all'importo di Euro 2.440,00.- corrisposto ai CTU per spese e compensi ed alle spese e compensi professionali del presente giudizio, oltre al rimborso forfettario del 15% ed agli accessori di legge. IN VIA ISTRUTTORIA: ammettersi prova per interpello dei due medici convenuti Dott. Vi.Al. e Dott. Ri.Br. e del legale Rappresentante della Dr ES.ME. e per testi sui seguenti capitoli di prova, preceduti dall'inciso 'vero che': 1) in data 26 ottobre 2017 l'esponente si recava nell'ambulatorio "DA." sito presso la "DR. ES.ME. S.R.L." con sede in Padova (...) (P.IVA (...)) per essere sottoposto ad un intervento di 'liposcultura', che veniva eseguito dal DR. AL.VI. (doc. 1 -cartella clinica "anno 10/2017") previo pagamento in contanti dell'importo di Euro 3.200,00.-; 2) l'intervento aveva però esito del tutto negativo, non risolvendo i problemi dell'esponente, che anzi ha visto formarsi un progressivo accumulo di grassi concentrati in prossimità della zona ombelicale dell'addome; 3) la clinica odierna resistente, nella persona dell'Amministratore Signora Za.Cr., esaminata la cartella clinica ed accertato l'esito assolutamente negativo dell'intervento, invitava l'esponente a sottoporsi ad un secondo intervento promesso come risolutore, che avveniva il 6/10/2018 per mezzo del Dott. BR.RI. (doc. 2 "scheda valutazione medico-estetica") a spese della clinica stessa; 4) anche questo secondo intervento non risolveva il problema, tanto che l'esponente il 10/4/2019 si sottoponeva ad 'Ecografia sottocute parete addominale ' con il seguente esito 'In corrispondenza delle tumefazioni palpatoriamente apprezzabili si rileva presenza di accumuli focali di tessuto adiposo a margini sfumati con spessore massimo di 6 mm., quest'ultimo a sede paraombellicale ds. (doc. 3)'; 5) le fotografie che si producono sub doc. 4 evidenziano ictu oculi il problema; 6) con raccomandata A/R 19/9/2019 (doc. 5) l'esponente chiedeva agli odierni resistenti gli estremi delle rispettive Compagnie Assicurative, senza ricevere alcun riscontro; 7) il c.d. 'peggioramento estetico della regione addominale' (cfr pag. 8 ctu), derivata al sig. Ru. a seguito dei due interventi ha provocato al medesimo un grave disagio nella sfera prettamente intima e privata; 8) il disagio del sig. Ru. causa peggioramento estetico della ragione addominale si manifesta a livello relazionale e nel rapporto con il partner; 9) il sig. Ru. manifesta vergogna nel potersi mostrare a petto nudo in spiaggia o in piscina o in palestra causa peggioramento estetico della ragione addominale. Si indicano sin d'ora a testimoni i sig.ri: 1. Wa.Gh. - Casorezzo - Via (...). 2. An.Ma. - Villastanza di Parabiago - via (...). 3. El.Zu. - Busto Garolfo - via (...). 4. Ma.Am. - Castano Primo - via (...). Si chiede concedersi i termini ex art. 190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. ". Per le parti convenute: "NEL MERITO In via principale Per le ragioni di cui agli atti di causa, respingersi le domande dell'attore nei confronti del dott. Ri., del dott. Vi. e della DR ES.ME. Srl in quanto infondate in fatto e in diritto. Spese di lite rifuse. In via subordinata nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande attoree, ridursi le pretese alla minor somma ritenuta di giustizia, e ritenersi che AL. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore e H.I. Spa (già Am.As. Spa), in persona del legale rappresentante pro tempore, sulla base dei rapporti contrattuali dedotti in atti, essendo emerso che eventualmente trattasi di danno estetico di natura biologica e pertanto rientrante nella copertura assicurativa, siano condannate a tenere indenni e manlevare rispettivamente il dott. Ri. e il dott. Vi. da qualsivoglia pretesa economica in ordine ai fatti per cui è lite. Per le stesse causali, condannarsi le compagnie assicurative alla rifusione delle spese di lite in favore rispettivamente del dott. Ri. e del dott. Vi.. In via istruttoria: si chiede il rinnovo della CTU diretta ad accertare la correttezza del trattamento praticato dagli odierni resistenti nei confronti di Ru.Gi..". Per la terza chiamata H.A. S.p.A.: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria eccezione, così giudicare: Nel merito In via principale, rigettare ogni domanda svolta nei confronti di H.I. S.p.A., poiché infondata in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese e competenze di lite. In via subordinata, limitare l'onere di indennizzo gravante su H.I. S.p.A. a quanto ritenuto di giustizia all'esito dell'istruttoria e comunque nei termini ed entro i limiti contrattualmente previsti. ". Per la terza chiamata AL. S.p.A.: "A - sulla garanzia: - respingere la domanda in quanto infondata e comunque non provata anche sotto il profilo dell'inoperatività; - respingere, in ogni caso, la domanda di manleva totale, escludendo dalla prestazione assicurativa le somme eventualmente dovute per restituzione dei compensi e quelle ulteriori rispetto al debito risarcitorio pro-quota riferibile al dott. BR.RI.; - nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, determinare l'obbligazione della Compagnia tenuto conto della normativa di cui alla polizza R.C. professionale, ivi compresi scoperto e/o franchigia alle condizioni evidenziate in atti; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. B - sulla domanda principale del sig. GI.RU.: Nel merito: - respingersi la domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto e, comunque, non provata; - respingersi comunque ogni pretesa nei confronti del dott. BR.RI.; - respingere, perché irrituale, infondata e non provata, ogni richiesta in relazione alla restituzione dei compensi; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. C - nei confronti dei convenuti dott. AL.VI. ed s.r.l. DR. ES.ME.: - determinarsi, nel rapporto interno, l'obbligazione risarcitoria di ogni singolo soggetto; - con condanna - nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle eccezioni proposte dalla s.p.a. AL. - della s.r.l. DR. ES.ME., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nonché del dott. AL.VI. alle restituzioni in favore della s.p.a. AL. conseguenti alla ripartizione proporzionale di responsabilità; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. D - in via istruttoria ed esclusa ogni inversione dell'onere della prova: - riproposta ogni istanza, osservazione, deduzione, contestazione, eccezione ed opposizione di cui alla comparsa di costituzione, alle memorie ex art.183, VI° co. n.2 e n.3 c.p.c., nonché a verbale di causa. - reiterata ogni contestazione alla documentazione prodotta dall'attore.". Motivi della decisione GI.RU. ha convenuto innanzi al Tribunale di Busto Arsizio DR ES.ME. S.r.l., il dr. AL.VI. ed il dr. BR.RI. con procedimento ex art. 702-bis c.p.c., domandando accertarsi la responsabilità esclusiva o concorrente dei resistenti nella determinazione dei danni lamentati dal ricorrente e condanna degli stessi a restituire il corrispettivo di Euro 3.200,00 percepito per l'intervento chirurgico di liposuzione all'addome praticato in data 26-10-2017 dal dr. AL.VI., nonché a pagare l'ulteriore importo di Euro 10.144,50 a titolo di risarcimento. Il ricorrente riferiva, infatti, che l'operazione, eseguita presso la clinica DR ES.ME. S.r.l., aveva sortito esito negativo, avendo determinato un peggioramento degli inestetismi lamentati dal Ru.. La legale rappresentante della struttura sanitaria aveva perciò invitato l'esponente a sottoporsi gratuitamente ad un secondo intervento, volto alla eliminazione definitiva delle problematiche rimaste irrisolte ed effettivamente eseguito il 06-10-2018 ad opera del dr. BR.RI.. Tuttavia, anche la seconda operazione non aveva emendato gli esiti negativi della prima, come attestato dagli esami clinici eseguiti a distanza di alcuni mesi. Per tali ragioni, il Ru. aveva infine promosso innanzi al Tribunale di Busto Arsizio il procedimento ex art. 669-bis c.p.c. n. 6945/19 R.G., conclusosi con il deposito dell'elaborato peritale da parte dei c.t.u. nominati, dr. Al.Mi. e Fe.Am., nel quale si dava conto di errori tecnici commessi tanto nel corso del primo intervento chirurgico, quanto nel corso del secondo, si accertava la sussistenza dei danni denunciati dal ricorrente e la loro riconducibilità all'operato dei sanitari. Costituitisi in giudizio con comparsa depositata in data 03-02-2022, i resistenti DR. ES.ME. S.r.l., AL.VI. e BR.RI. eccepivano preliminarmente l'inammissibilità/improcedibilità della domanda risarcitoria avanzata da GI.RU. nei loro confronti, per mancato rispetto del termine perentorio di 90 giorni stabilito dall'art. 8 della Legge 0803-2017, n. 24 ("Legge Gelli - Bianco") per intraprendere il giudizio di merito una volta definito il procedimento per a.t.p. ex art. 696-bis c.p.c. In via subordinata, qualora la domanda spiegata dal Ru. fosse stata ritenuta ammissibile e/o procedibile, essi chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa in garanzia le compagnie presso le quali erano assicurati per la responsabilità professionale (rispettivamente, HD. As. S.p.A., all'epoca Am. S.p.A., e AL. S.p.A.) e di disporre la conversione del rito, da sommario ad ordinario, in ragione delle difese svolte dal Ru., tali da imporre un'istruzione non sommaria della causa. Nel merito, i resistenti negavano qualsivoglia responsabilità nella causazione dei danni lamentati da parte ricorrente, allegando di avere operato ciascuno, per quanto di competenza, secondo i dovuti canoni di diligenza e nel pieno rispetto delle buone prassi e delle linee guida vigenti in materia (DR ES.ME. S.r.l. eccepiva, inoltre, l'esistenza di una clausola di esonero da responsabilità a proprio favore, sottoscritta dal ricorrente al momento della prestazione del consenso all'esecuzione degli interventi chirurgici). Essi concludevano, dunque, per il rigetto delle domande avversarie e, per il caso di loro accoglimento, per la condanna delle compagnie assicurative chiamate in causa a tenerli indenni da qualsivoglia obbligazioni risarcitone nei riguardi del Ru.. Alla prima udienza, svoltasi con modalità di trattazione scritta, il Giudice autorizzava la chiamata in causa di H.A. S.p.A. e di AL. S.p.A. e rinviava la procedura al 27-04-2022. Le società terze chiamate si costituivano con comparse depositate, rispettivamente, il 06-04-2022 ed il 15-04-2022. Entrambe le terze chiamate aderivano, poi, alle istanze dei convenuti di inammissibilità/improcedibilità della domanda per violazione dell'art. 8 della Legge n. 24/2017 ed instavano per la rinnovazione della c.t.u. e per la conseguente conversione del rito, affermando l'inopponibilità ad esse dell'elaborato peritale depositato all'esito del procedimento per a.t.p., non essendo state evocate nel relativo giudizio. Eccepivano, inoltre, l'insussistenza di un danno estetico, assumendo che la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata in termini di mancato raggiungimento del risultato atteso dal paziente, circostanza non coperta dalle garanzie assicurative, e contestavano la quantificazione del danno non patrimoniale operata dal ricorrente, manifestamente eccessiva, erroneamente fondata sulle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano anziché su quelle contemplate dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private e, comunque, comprensiva di personalizzazione in aumento per la quale non esistevano i presupposti. Allegavano, infine, che i contratti di assicurazione prevedevano franchigie, le quali, in caso di accoglimento della domanda risarcitoria di parte attrice, avrebbero comunque dovuto determinare la riduzione dell'importo liquidabile, da rideterminare al netto degli scoperti contrattualmente stabiliti. Negavano, infine, il diritto del Ru. alla restituzione dei corrispettivi pagati per il primo intervento di liposuzione, dovendosi escludere la sussistenza in capo alle compagnie di assicurazione terze chiamate dell'obbligazione di restituire somme percepite da terzi. H.A. S.p.A. eccepiva, inoltre, la non operatività della copertura assicurativa a favore del dr. AL.VI., assumendo che il medico si fosse reso inadempiente all'onere di denunciare il sinistro imposto all'assicurato dagli artt. 1913 e 1915 c.c. Nel corso dell'udienza del 27-04-2022, il Giudice disponeva la conversione del rito e fissava udienza ex art. 183 c.p.c. per il 25-05-2022; all'esito, concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. richiesti dalle parti, che depositavano le relative memorie. Esaurita l'istruzione della causa con l'assunzione dei mezzi di prova orale tramite interrogatorio formale dei convenuti ed escussione dei testi di parte attrice, il Giudice rinviava al 29-03-2023 per la celebrazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, al termine della quale tratteneva la causa in decisione ed assegnava alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. In via preliminare, dev'essere esaminata l'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dalle parti convenute e terze chiamate per violazione dell'art. 8, comma 3, della Legge n. 24/2017. Tale disposizione prevede un'ipotesi di giurisdizione condizionata, nel senso che, per poter promuovere un'azione in materia di responsabilità medica, è necessario aver previamente promosso ricorso ex art. 696-bis c.p.c., ovvero, in alternativa, il procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010 e ss. mm. L'art. 8, comma 3, della Legge n. 24/2017, nella versione vigente al momento della proposizione della domanda di merito, aggiungeva che "Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato presso il Giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'art. 702 bis del codice di procedura civile". Le parti convenute e terze chiamate, facendo leva su tale disciplina, hanno invocato una pronuncia in rito in ordine alla domanda attorea, assumendo che l'attore sarebbe incorso nella sanzione dell'improcedibilità della domanda, per avere introdotto l'azione risarcitoria con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. solo in data 15-122021, ben oltre la scadenza del termine di novanta giorni dal deposito della relazione peritale nel procedimento per a.t.p. n. 6945/2019 R.G., avvenuto l'08-03-2021. Tale ricostruzione deve essere disattesa e la domanda attorea deve ritenersi procedibile anche se proposta oltre il termine di novanta giorni dal deposito della relazione di c.t.u. e dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso per a.t.p. Infatti, come ritenuto dalla preponderante giurisprudenza di merito, e come previsto dalle linee guida in materia adottate da alcuni Tribunali (ad esempio le Linee guida in materia di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 8 Legge 24/2017 stilate dalla XIII Sezione Civile del Tribunale di Roma), il termine di novanta giorni per l'avvio del procedimento di cognizione ha natura meramente ordinatoria. La contrapposta tesi della perentorietà di detto termine non convince sotto plurimi profili. In primo luogo, l'opzione interpretativa prospettata dai convenuti contrasta apertamente con la lettera della norma, posto che, in base alla formulazione del citato art. 8 della Legge n. 24/2017, è il decorso del termine perentorio di sei mesi previsto per il deposito della c.t.u. a rendere procedibile la domanda risarcitoria. Infatti, ciò che ne condiziona la procedibilità è solo ed esclusivamente l'avvio del procedimento ex art. 696-bis c.p.c., per la cui durata il legislatore ha fissato un termine, di sei mesi, che costituisce l'unico espressamente definito come perentorio. Al contrario, nessuna perentorietà è stata prevista in relazione al termine di novanta giorni per il deposito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (oggi, ricorso ex art. 281-undecies c.p.c., a seguito della riforma del rito civile introdotta dal D.Lgs. n. 149/2022), di tal che, in assenza di una qualificazione normativa espressa in tal senso, i suddetti novanta giorni non possono che essere intesi come ordinatori (art.152, comma 2, c.p.c., secondo cui "I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori"). In secondo luogo, dalla formulazione letterale dell'art. 8, comma 3, Legge n. 24/2017 emerge che il rispetto del termine di novanta giorni per l'avvio della successiva fase sommaria di cognizione con le forme dell'art. 702-bis c.p.c. è previsto "al fine di far salvi gli effetti della domanda". Ciò comporta che all'inosservanza del termine stesso non possono ricollegarsi conseguenze diverse dalla perdita della possibilità di ancorare gli effetti della domanda giudiziale al momento del deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. In altri termini, se il ricorrente ha introdotto il procedimento di merito oltre i novanta giorni, semplicemente non si avrà quell'ancoraggio e la domanda produrrà i propri effetti soltanto dal momento dell'introduzione del giudizio di merito e non da quello precedente del deposito del ricorso per a.t.p., non potendosi applicare sanzioni processuali più gravi, quale quella di onerare l'interessato di instaurare un altro processo, previa reiterazione della condizione di procedibilità per la seconda causa. Una simile evenienza si porrebbe in evidente contrasto con il principio di conservazione degli atti giudiziari, di efficienza della macchina giudiziaria e di ragionevole durata del processo. Non senza considerare lo spirito e lo scopo deflattivo sotteso alla normativa in esame; infatti, il voler necessariamente costringere la parte ricorrente ad instaurare il giudizio di merito, prima ancora di sapere se l'esito dell'a.t.p. in itinere potrà essere di supporto alle sue ragioni, appare illogico e contrario alla natura conciliativa dell'a.t.p. imposto per legge in una chiara ottica di economia processuale. Per le suesposte ragioni, la domanda proposta da GI.RU. va dichiarata procedibile (con la produzione dei relativi effetti dalla data di deposito del ricorso ex art. 702=bis c.p.c.) imponendosi il rigetto dell'eccezione in rito ex adverso formulata. Ugualmente infondata e da rigettare è l'ulteriore eccezione svolta dalla convenuta DR ES. ME. S.r.l., tesa a far valere le clausole di esonero di responsabilità per i danni conseguenti all'attività imprudente, negligente o imperita svolta dal medico operante presso la struttura sanitaria, contenute nei moduli per l'acquisizione del consenso informato destinati al paziente Ru., di cui ai documenti nn. 1 e 2 del fascicolo attoreo. Il patto di esonero preventivo dalla responsabilità sottoscritto dall'attore in favore della società convenuta è, infatti, nullo per contrarietà all'art. 1229 c.c., comma 2, in quanto la tutela della salute rileva come "norma di ordine pubblico" e la trasgressione delle disposizioni dirette a salvaguardare il bene "salute" espone l'autore della violazione al risarcimento, a prescindere da qualsiasi patto preventivo di esclusione o di limitazione di responsabilità. Ciò in quanto, nell'ambito di operatività dell'art. 1229, comma 2, c.c., vanno senz'altro ricompresi gli obblighi riguardanti la salvaguardia della altrui integrità fisica o morale, con la conseguenza che le clausole di esonero della responsabilità per i danni alla persona debbono ritenersi invalide. Osservato, incidentalmente, che le clausole di esonero in discorso sono inserite nella modulistica deputata all'acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario e, dunque, in un contesto che rende scarsamente riconoscibili l'effettiva natura delle stesse e le conseguenze della loro sottoscrizione, nella fattispecie in esame la sanzione della nullità consegue, altresì, all'indeterminatezza dell'oggetto delle clausole. Infatti, mandando libera la struttura sanitaria da "ogni obbligo e/o responsabilità derivanti dall'intervento chirurgico, essendo lo stesso di esclusiva competenza del medico", esse appaiono inidonee a individuare il contenuto dell'obbligazione, tenuto conto che le prestazioni implicate nel rapporto di spedalità tra paziente e casa di cura sono le più varie, per durata, contenuto e modalità, potendo svolgersi nel corso di anni e ricomprendere, in ipotesi, visite, accertamenti diagnostici, interventi medici e chirurgici, questi ultimi da soli o in equipe. Un obbligo così vasto e indefinito rende impossibile individuare a priori le conseguenze patrimoniali da esso scaturenti e non soddisfa il requisito di determinabilità sancito dall'art. 1346 c.c. Ancora, e soprattutto, la nullità delle clausole di esonero da responsabilità discende dalla carenza di causa. Esse sono infatti connotate da un evidente squilibrio in favore di DR ES. ME. S.r.l. e dall'assenza di un apprezzabile interesse in capo al paziente, il quale, nell'ipotesi di insorgenza di danni, si vede privato in via preventiva e definitiva della possibilità di ottenere il risarcimento dalla casa di cura, il tutto senza alcuna diretta contropartita. I patti di esonero da responsabilità contenuti nei documenti in esame risultano dunque unicamente finalizzati a traslare sulla parte debole del rapporto le conseguenze patrimoniali della responsabilità della parte forte: per tali motivi, essi non superano il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., il quale, viceversa, richiede che il contratto miri a soddisfare interessi meritevoli di entrambe le parti. Infine, si osserva che legittimare un meccanismo di trasferimento convenzionale delle conseguenze pregiudizievoli dell'inadempimento dalla struttura sanitaria al paziente si porrebbe in evidente contrasto sia con l'interpretazione comunemente data dell'art. 1228 c.c., sia con la ratio e con le disposizioni della legge n. 24/2017, poiché esso vanificherebbe il regime del c.d. "doppio binario" introdotto dalla Legge "Gelli-Bianco" nella disciplina del riparto delle responsabilità gravanti sulla casa di cura e sul medico operante nella medesima. La pluralità di elementi ora illustrata conduce dunque alla declaratoria di nullità delle clausole di esonero dalla responsabilità di DR ES.ME. S.r.l., in applicazione anche di quanto disposto dagli atti. 1229, comma 2, e 1322 c.c. La dichiarazione di nullità delle stesse vanifica, quindi, le difese svolte dalla società convenuta in merito alla rinuncia ad agire nei confronti della struttura sanitaria espressa dall'attore attraverso la loro sottoscrizione. Svolte tali necessarie considerazioni preliminari e procedendo con l'esame del merito della controversia, merita ricordare che il vigente regime della responsabilità medico-sanitaria, come codificato dalla Legge n. 24/2017, prevede una bipartizione in ragione delle diverse posizioni occupate dalla struttura sanitaria che, conformemente alla disciplina ed all'orientamento giurisprudenziale previgente, continua ad essere inquadrata nell'alveo della responsabilità contrattuale, e dall'esercente la professione sanitaria, espressamente ricondotta alla responsabilità extracontrattuale "salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente" (art. 7, comma 3, della Legge n. 24/2017), il tutto con evidenti implicazioni in termini di prescrizione, onere della prova e danno risarcibile. Infatti, nel caso in cui il paziente agisca giudizialmente nei confronti della struttura sanitaria, egli dovrà rispettare il termine di prescrizione decennale e sarà onerato di provare il contratto, di allegare l'inadempimento del medico consistente nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando invece a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la dimostrazione dell'assenza di colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. Civ., Sez. III, Sentenza 26-02-2020, n. 5128). Inquadrata la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito contrattuale, il riparto dell'onere probatorio non potrà che seguire i criteri fissati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di impugnative contrattuali in ipotesi di inadempimento o inesatto adempimento (cfr. Cass. Civ., SS. UU., Sentenza 30-10-2001, n. 13533/2001). In particolare, sarà onere del paziente danneggiato provare il titolo a fondamento della propria pretesa, il danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e le condotte (commissive e/o omissive) del debitore concretantesi nell'aggravamento della patologia o nell'insorgenza di nuove affezioni per effetto dell'intervento sanitario. Viceversa, nel caso in cui l'azione sia promossa nei confronti del medico, il paziente disporrà del termine prescrizionale di cinque anni per far valere le proprie ragioni in giudizio e sarà tenuto a dimostrare il dolo o la colpa del medico nell'esecuzione del trattamento sanitario ed il nesso causale tra la condotta dell'operatore ed il danno lamentato. Sotto questo punto di vista, la struttura sanitaria risponde, oltre che per l'inadempimento da colpa propria, anche per il fatto colposo o doloso dei suoi ausiliari, a mente dell'art. 1228 c.c., sicché sussiste nei confronti del paziente creditore una sorta di garanzia, assunta dalla struttura sanitaria debitrice, di rispondere anche dei fatti commessi da terzi, della cui opera essa si avvale. La struttura sanitaria risponde, pertanto, per il fatto dei medici sulla base di una regola di responsabilità che, pur prescindendo dalla colpa nella scelta o nella vigilanza dell'ausiliario, rimanda pur sempre alla condotta dei medici (e ferma restando la configurabilità di una sua responsabilità per fatto proprio) solo allorquando costoro abbiano agito con dolo o colpa. Il fatto doloso o colposo dell'ausiliario rileva, dunque, per un verso come fatto di inadempimento, del che il medico non risponde verso il creditore non essendo parte del rapporto obbligatorio (responsabilità contrattuale della casa di cura), e, per altro verso, come fatto che incidendo sull'integrità psico-fisica del paziente ne ha leso un diritto fondamentale della persona, rilevante ai sensi dell'art. 2043 c.c. (responsabilità aquiliana in proprio). Nella fattispecie in esame, posto che non sono in discussione né il perfezionamento del contratto tra il Ru. e la DR ES.ME. S.r.l. (la quale, nella comparsa di costituzione e risposta, ammette espressamente che "(...). L'odierno ricorrente si rivolgeva alla DR ES.ME. S.r.l. di Padova per un intervento di liposuzione all'addome (...)"), né l'esecuzione dei due interventi di chirurgia plastica per cui è causa ad opera dei convenuti Vi. e Ri., né tantomeno l'avvenuto pagamento del corrispettivo di Euro 3.200,00, la consulenza tecnica d'ufficio espletata nel corso del procedimento per a.t.p. ha accertato la responsabilità di entrambi i chirurghi correlata al peggioramento estetico della regione addominale rispetto alla situazione preesistente. Vero è che il procedimento ex art. 696-bis c.p.c. si era svolto senza la partecipazione delle compagnie assicurative odierne terze chiamate, allora non evocate in giudizio; tuttavia, l'elaborato peritale acquisito agli atti del presente procedimento è comunque valutabile come elemento di prova da parte di questo Giudice, conformemente all'orientamento ribadito, anche di recente, dalla Suprema Corte di legittimità, secondo il quale: "La relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo" (Cass. Civ., Sez. III, Sentenza 24-03-2023, n. 8496). Le conclusioni espresse dai c.t.u dr. Al.Mi. (specialista in medicina legale e delle assicurazioni) e dr. Fe.Am. (specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica) meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della persona dell'attore e della documentazione medica prodotta, e perché esaurienti e complete. Dopo ampia descrizione delle caratteristiche tecniche generali dell'intervento di liposuzione, i c.t.u. hanno illustrato la tecnica operatoria praticata sulla persona dell'attore ("tecnica tumescente secondo Klein, riconosciuta come metodica di base della liposuzione ", con "aspirazione di tessuto nei piani superficiali e profondi dell'addome e del dorso"), accertando che, nonostante la natura "routinaria" di entrambi gli interventi chirurgici, non implicanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel corso di ambedue erano stati commessi errori legati ad "incongrue manovre di aspirazione che risulta essere stata in alcune zone eccessiva ed in altre insufficiente, in altre ancora troppo superficiale", tanto da avere determinato il permanere di visibili "zone irregolari di minus" ("ondulazioni ed avvallamenti cutanei"). Il dr. Mi. ed il dr. Am., pertanto, concludevano affermando che l'esito infausto della liposcultura alla quale l'attore si era sottoposto era dipeso dall'imperita condotta dei medici convenuti, causa efficiente del danno estetico lamentato dall'attore (cfr. la perizia a pag. 8: "la metodica di esecuzione della liposuzione effettuata dagli Operatori ha nella misura del più probabile che non compromesso il risultato finale, creando, come detto, zone di minus la cui evidenza è peggiorata dalle caratteristiche intrinseche della cute della paziente e dalla presenza di residui adiposi localizzati in altre sedi, come documentate anche dall'esame ecografico postoperatorio eseguito dal paziente. Si configura quindi errore tecnico di esecuzione chirurgica nel corso della prima procedura, non emendato sempre per errore tecnico nel corso della seconda procedura (...). Pertanto, nelle zone aspirate il risultato estetico non è stato migliorativo rispetto alla situazione preoperatoria, considerando la qualità della cute della paziente e lo standard medio di risultati attendibili con l'utilizzo di questa tecnica in casi consimili"). Il danno occorso al Ru. a seguito dell'inesatta esecuzione degli interventi chirurgici rientra nella tipologia del "danno estetico", come del resto attestato dai c.t.u., i quali hanno fatto chiaramente riferimento al "peggioramento estetico delle zone trattate a carico del paziente" (cfr. l'elaborato peritale, a pagina 10). Detta tipologia di danno (nel caso di specie post intervento di liposuzione) esprime una formula meramente descrittiva del più generale danno alla salute, inteso quale lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona esplicante un'incidenza negativa sulla sua quotidianità e sui profili dinamico-relazionali della sua vita, ossia in tutti gli ambiti in cui si svolge la sua personalità, e andrà pertanto liquidato alla stregua dei generali criteri di monetizzazione del danno biologico, di cui subito appresso. I c.t.u. hanno stimato in misura del 4% i postumi permanenti sofferti dal Ru. e quanto all'inabilità temporanea, in giorni due l'inabilità assoluta, in giorni 18 l'inabilità parziale al 75%, in giorni 20 l'inabilità parziale al 50% e in giorni 20 l'inabilità parziale al 25%. Come espressamente previsto dall'art. 7, comma 4, della Legge n. 24/2017 con riguardo di risarcimento del danno conseguente all'attività della struttura sanitaria e dell'esercente la professione sanitaria, la liquidazione deve essere operata in base alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 07-09-2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni Private), le quali attualmente prevedono un valore punto base di Euro 870,97 per il danno biologico permanente ed un'indennità giornaliera di Euro 50,79 per ciascun giorno di inabilità temporanea. Tenuto conto dell'età del danneggiato al momento della stabilizzazione dei postumi (momento identificato con lo spirare dei 60 giorni di inabilità temporanea trascorsi a far tempo dal secondo intervento chirurgico), il risarcimento spettante al Ru. per il danno biologico sofferto deve essere liquidato come segue: A) Danno biologico permanente al 4%: Età della persona danneggiata al termine del periodo di inabilità temporanea anni 59 Percentuale di invalidità permanente 4% Danno biologico permanente Euro 3.419,43 B) Danno biologico temporaneo: inabilità temporanea totale: giorni 2 (due) (Euro 50,79 x 2 Euro 101,58 inabilità temporanea parziale al 75%: giorni 18 (diciotto) (Euro 50,79 x 0,75 x 18) Euro 685,67 inabilità temporanea parziale al 50%: giorni 20 (venti) (Euro 50,79 x 0,50 x 20) Euro 507,90 inabilità temporanea parziale al 25%: giorni 20 (venti) (Euro 50,79 x 0,25 x 20) Euro 253,95 Il risarcimento per il danno non patrimoniale complessivamente dovuto all'attore, dato dalla somma delle voci A e B di cui sopra, ammonta pertanto a Euro 4.968,53, importo cui devono aggiungersi gli interessi compensativi al tasso legale a far tempo dal sinistro, calcolati non sulla somma in valori attuali (Cass. Civ. S.U. 1712/1995, Cass. Civ. n. 26303/2019) bensì su quella originaria (ottenuta devalutando il detto importo al suo valore al momento del fatto) rivalutata anno per anno, secondo gli indici ISTAT di rivalutazione dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati. Non si ravvisano i presupposti per incrementi connessi all'invocata personalizzazione in aumento della liquidazione del danno, stante l'assoluta genericità ed indeterminatezza delle allegazioni di parte attrice circa i presupposti della personalizzazione medesima e stante il rigetto dei mezzi di prova orale articolati sul punto dal Ru., inammissibili per le ragioni già indicate nell'ordinanza del 05-10-2022, che si richiamano e si confermano. Va, infatti, opportunamente valorizzato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale: "In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento" (Cass. Civ., Sez. VI-III, 04-03-2021, n. 5865). Quanto alla ripartizione interna dell'obbligazione risarcitoria, non è possibile quantificare il grado di colpa individuale di ciascun convenuto, poiché i c.t.u., nel rispondere al quesito a tal fine formulato in sede di a.t.p., hanno riferito che: "I profili di responsabilità dei singoli Chirurghi operatori non appaiono distinguibili.". Pertanto, deve farsi ricorso alla presunzione di cui all'art. 2055, comma 3, c.c. nel senso di ritenere sussistente una gradazione paritaria delle rispettive responsabilità. Alla luce dell'accertata responsabilità concorrente di DR ES.ME. S.r.l., del dr. Vi. e del dr. Ri., appare altresì fondata e meritevole di accoglimento l'ulteriore domanda attorea, articolata nella richiesta di restituzione ex art. 2033 c.c. del compenso di Euro 3.200,00 pagato per il primo intervento chirurgico di liposuzione: infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla terza chiamata AL. S.p.A., la domanda di restituzione del corrispettivo sottende quella implicita di risoluzione del contratto d'opera ex art. 1453 c.c., da ritenersi inequivocabilmente presupposta dal Ru. per il fatto stesso che pretendere la restituzione del prezzo versato implica il fatto di ritenere privo di causa il pagamento effettuato (v. Cass. Civ., Sez. II, Sentenza 18-09-2020, n. 19513; Cass. Civ., Sez. VI - I, Ordinanza 23-10-2017, n. 24947, secondo cui "la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un'altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione", proprio con riguardo al caso di richiesta di restituzione della prestazione eseguita dalla parte non inadempiente). Naturalmente, l'obbligazione restitutoria grava sull'accipiens effettivo del corrispettivo, ovvero sul dr. Vi. che, come ricordato precedentemente, per ammissione delle stesse parti convenute è il soggetto al quale era stato materialmente effettuato il pagamento. Per tutte le ragioni esposte, i convenuti devono essere condannati in solido tra loro a risarcire a GI.RU. il danno non patrimoniale patito dall'attore come conseguenza dell'errata esecuzione degli interventi di chirurgia estetica per cui è causa, nella misura retro indicata. Il dr. AL.VI. deve altresì essere condannato a restituire all'attore il corrispettivo percepito per l'esecuzione dell'operazione effettuata il 26-10-2017, ammontante a Euro 3.200,00, somma produttiva degli interessi al saggio legale dalla data dell'intervento fino al saldo effettivo. Acclarata la responsabilità solidale dei convenuti vanno da ultimo esaminate le domande di manleva proposte rispettivamente dal dr. BR.RI. nei confronti di AL. S.p.A. e dal dr. AL.VI. nei confronti di H.A. S.p.A. Entrambe sono fondate e meritevoli di accoglimento. Le deduzioni delle compagnie di assicurazione circa l'inoperatività delle polizze muovono dal presupposto secondo il quale il danno estetico lamentato dal Ru. non sarebbe conseguenza di errori tecnici imputabili ai medici. Tuttavia, esse sono espressamente contraddette dalle risultanze della c.t.u. espletata nel corso del procedimento per a.t.p., delle quali si è già dato conto diffusamente nella superiore parte motiva. H.A. S.p.A. ha inoltre eccepito la violazione dei termini per la denuncia del sinistro previsti dall'art.1913 c.c. da parte dell'assicurato dr. Vi. e la conseguente perdita del diritto alla garanzia ai sensi dell'art. 1915 c.c. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., n. 5435/2005; Cass. Civ., n. 3044/97) ha precisato che, "affinché l'assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente - con conseguente perdita del diritto all'indennità ai sensi dell'art. 1915 c.c. - all'obbligo imposto dall'art. 1913 c.c. di dare avviso del sinistro all'assicuratore (la cui ratio risiede nell'esigenza di porlo in condizioni di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l'entità del danno prima che possano disperdersi eventuali prove e indizi), non occorre lo specifico e fraudolento intento di creargli danno, essendo sufficiente la consapevolezza dell'indicato obbligo e la cosciente volontà di non osservarlo". Facendo applicazione al caso in esame dei principi enunciati si ritiene che la semplice conoscenza del sinistro da parte del dr. Vi. non consenta, di per sé, di dedurre un'intenzionale omissione della comunicazione alla società assicuratrice, nel termine previsto dalla norma indicata, sicché u ritardo della comunicazione non può che essere attribuito a negligenza o dimenticanza. La pretesa inosservanza dell'obbligo di avviso può assumere, tutt'al più, natura colposa e non dolosa. Infatti, l'assicurato con la comunicazione del 02-12-2019 ha certamente inteso rendere edotta la compagnia assicuratrice del sinistro. Deve pertanto ritenersi applicabile il secondo comma del citato art. 1915 c.c., con l'effetto che, come ben chiarito dalla giurisprudenza richiamata, l'indennità può essere ridotta solo in ragione del pregiudizio sofferto per il ritardo dalla società assicuratrice, onerata di dimostrarne sia l'effettiva esistenza, sia l'esatto ammontare. Nel caso di specie, di tale pregiudizio - che sarebbe da correlarsi al lasso temporale intercorso tra la data effettiva del sinistro e la ricezione della denuncia dello stesso ed è quello derivante dalle difficoltà di accertamento delle circostanze del sinistro ad opera dell'assicuratore, che non sia prontamente informato della vicenda dannosa - non vi è alcuna dimostrazione. H.A. S.p.A. non ha in alcun modo chiarito in che termini avrebbe subito un pregiudizio dal ritardo della comunicazione del sinistro, essendosi limitata a dedurre l'applicabilità delle citate norme, senza ulteriori specificazioni. L'eccezione di inoperatività della garanzia deve, pertanto, essere respinta. Ne consegue che le compagnie assicuratrici AL. S.p.A. e H.A. S.p.A. debbono essere condannate a tenere indenni, rispettivamente, il dr. Ri. ed il dr. Vi., per quanto gli stessi saranno tenuti a pagare a GI.RU. in forza della presente sentenza a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, entro i limiti delle franchigie previsti dalle polizze e con esclusione degli importi riconosciuti all'attore a titolo di restituzione del corrispettivo versato, da porre interamente a carico del dr. Vi. per le ragioni in precedenza esposte. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014 e ss.mm. Le spese relative al procedimento per a.t.p., comprensive dei compensi per i c.t.u. e del difensore di GI.RU., sono da liquidare quali spese di giudizio e si pongono definitivamente a carico solidale delle sole parti convenute, stante la mancata partecipazione al giudizio ex art. 696-bis c.p.c. delle compagnie di assicurazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: condanna i convenuti, in via solidale, a pagare all'attore il complessivo importo di Euro 4.968,53, da devalutare al momento di stabilizzazione dei postumi e da rivalutare annualmente a far tempo da tale momento, con aggiunta degli interessi legali sulle somme rivalutate, fino ad oggi; oltre interessi legali sulle somme così liquidate da oggi al saldo; condanna il dr. AL.VI. a restituire a GI.RU. l'importo di Euro 3.200,00, oltre interessi al saggio legale dal 26-10-2017 al saldo; condanna i convenuti, in via solidale, a rifondere all'attore le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. ed anticipazioni, da distrarsi a favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c.; condanna i convenuti, in via solidale, a rifondere all'attore le spese del procedimento per a.t.p., liquidate in Euro 900,00 per compensi professionali, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. ed anticipazioni, da distrarsi a favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c., oltre a Euro 2.440,00 a titolo di rimborso dei compensi pagati ai c.t.u.; condanna AL. S.p.A. a tenere indenne il dr. BR.RI. di quanto sarà tenuto a versare all'attore in forza dei capi precedenti; condanna H.A. S.p.A. a tenere indenne il dr. Al.Vi.in quanto sarà tenuto a versare all'attore in forza dei capi precedenti a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Busto Arsizio, 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 32, commi 7 e 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, nel procedimento vertente tra G. spa e il Ministero dell’interno e altri, con ordinanza del 25 luglio 2022, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2022. Visti l’atto di costituzione di G. spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2023 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi; uditi l’avvocato Antonio Bartolini per G. spa e l’avvocato dello Stato Carmela Pluchino per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2023. Ritenuto in fatto 1.− Con ordinanza del 25 luglio 2022, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 42 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 32, commi 7 e 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui, secondo l’interpretazione assunta quale diritto vivente, dispone «la retrocessione degli utili alle stazioni appaltanti» in caso di definitività del provvedimento di informativa antimafia che abbia attinto l’impresa appaltatrice in corso di esecuzione del contratto e che, in ragione della necessità del suo completamento, sia stata sottoposta alla misura della «gestione straordinaria e temporanea». 1.1.− Il TAR Lazio riferisce di essere chiamato a decidere dell’impugnazione da parte di impresa sottoposta alla gestione commissariale di cui all’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, in esito a interdittiva antimafia: a) del provvedimento prefettizio che ha disposto il versamento in favore dell’amministrazione appaltante, anziché in suo favore, degli utili derivanti dall’esecuzione dei contratti affidata alla gestione commissariale e accantonati in apposito fondo vincolato; b) dei relativi atti procedimentali; c) dell’atto generale ad esso presupposto costituito dalle «Quinte linee guida per la gestione degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d’appalto o di concessione sottoposti alla misura di straordinaria gestione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto-legge n. 90/2014» del 16 ottobre 2018 dettate dal Ministero dell’interno e dall’Agenzia nazionale anticorruzione (ANAC), nella parte in cui disciplinano il meccanismo della retrocessione. Il rimettente espone in punto di fatto che: − la ricorrente nel 2015 è stata destinataria di informazione antimafia a carattere interdittivo ai sensi degli artt. 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) per la riscontrata sussistenza di rischi di infiltrazione mafiosa; − sulla base di tale presupposto è stata disposta dal Prefetto di Perugia la gestione straordinaria della società in relazione ad alcuni contratti di appalto in corso con nomina di tre amministratori; − l’impugnazione proposta dalla società avverso l’interdittiva è stata respinta in primo grado; − a seguito di istanza di aggiornamento liberatorio la prefettura nel 2016 ha «revocat[o]» tanto l’interdittiva quanto la gestione straordinaria; − nel 2019 è stato confermato in secondo grado il rigetto dell’impugnazione del provvedimento interdittivo; − la società ha anche proposto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo avverso la sentenza di appello; − il Prefetto, in esito alla sentenza del Consiglio di Stato, ha disposto in favore della stazione appaltante la devoluzione degli utili contrattuali accantonati dai commissari nel fondo vincolato. 1.2.− Tanto premesso, il TAR in via preliminare afferma essere munito di giurisdizione nel giudizio a quo. Infatti, il provvedimento di retrocessione sarebbe conseguenza dell’informazione interdittiva e del “commissariamento” disposto ai sensi dell’art. 32, commi 2 e 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, di cui condividerebbe il carattere potestativo e di conseguenza la posizione del privato sarebbe di interesse legittimo. Tale conclusione − per come anche affermato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato nel parere 18 giugno 2018, n. 1567 − non contrasterebbe con l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario in relazione a controversia sull’accantonamento degli utili rinvenibile nell’ordinanza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, 11 maggio 2018, n. 11576: tale unica pronuncia in materia sarebbe stata adottata nella diversa ipotesi di commissariamento disposto dal prefetto ai sensi del comma 1 del medesimo art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, ovvero per fatti di corruzione, in cui, secondo il giudice della giurisdizione, «l’accantonamento degli utili, nella struttura della disposizione sopra richiamata, non deriva da una valutazione di natura discrezionale, ma costituisce un atto vincolato, come conseguenza automatica del commissariamento». D’altro canto, sottolinea il TAR, la stessa ordinanza precisa significativamente che «appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui venga in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione eserciti un’attività vincolata, dovendo verificare soltanto se sussistano i presupposti predeterminati dalla legge per l’adozione di una determinata misura, e non esercitando, pertanto, alcun potere autoritativo correlato all’esercizio di poteri di natura discrezionale». 1.3.− Il rimettente si dedica, poi, all’analisi delle disposizioni censurate, evidenziando che esse nulla indicano sul destino degli utili accantonati, né per l’ipotesi di rigetto dell’impugnazione dell’informativa antimafia né per l’ipotesi di sua revoca. A fronte di tale silenzio normativo, il TAR afferma, tuttavia, che gli utili spetterebbero alle stazioni appaltanti secondo il diritto vivente, che assume fondato sull’interpretazione fornita dal parere del Consiglio di Stato n. 1567 del 2018, recepita dalle menzionate quinte linee guida di ANAC e Ministero dell’interno, da una pronuncia del giudice amministrativo (si cita Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 16 gennaio 2019, n. 392) e da una del giudice ordinario (si cita Tribunale ordinario di Napoli [Nord], sezione terza, ordinanza 19 ottobre 2020). Secondo il parere del Consiglio di Stato, per effetto dell’interdittiva l’originario rapporto contrattuale si scioglie ai sensi dell’art. 94 cod. antimafia e il commissariamento prefettizio obbliga l’impresa appaltatrice interdetta a portare ad esecuzione l’originaria prestazione per specifiche ragioni di pubblica utilità. La fonte dell’obbligazione sarebbe, dunque, novata dal provvedimento e determinerebbe, sotto il versante civilistico, una vicenda inquadrabile in una (imposta) gestione di affari altrui e, sotto quello pubblicistico, in una prestazione imposta. Al venir meno del titolo contrattuale conseguirebbe il venir meno del corrispettivo pattuito e, piuttosto, all’impresa spetterebbe il solo rimborso dei costi e delle spese con ablazione del profitto. Ciò troverebbe fondamento sia nella necessità di precludere all’impresa attinta da interdittiva di conseguire un arricchimento patrimoniale in virtù di un proprio comportamento antigiuridico, sia nella connotazione restitutoria (e non corrispettiva) di quanto dovuto per il compimento della prestazione nell’interesse pubblico sia, ancora, nella logica compensativa (e non retributiva) che caratterizza le prestazioni personali imposte. 1.4.− L’ordinanza motiva, quindi, sui presupposti per sollevare le questioni di legittimità costituzionale. In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che l’impugnato provvedimento prefettizio è diretta applicazione della norma censurata e che solo la declaratoria di illegittimità costituzionale della stessa potrebbe condurre al suo annullamento per accoglimento del corrispondente motivo di ricorso. Chiarisce, inoltre, che la rilevanza non può essere esclusa dalla pendenza del ricorso proposto dalla ricorrente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto essa non determina una fattispecie di sospensione necessaria ex art. 295 del codice di procedura civile, per difetto tanto della pregiudizialità logica quanto di quella giuridica. 1.5.− Alla illustrazione delle ragioni di non manifesta infondatezza delle questioni sollevate il TAR fa antecedere talune premesse ricostruttive del quadro normativo. Il rimettente rammenta, anzitutto, la natura cautelare e preventiva del potere di interdittiva antimafia − frutto del bilanciamento dei contrapposti interessi all’ordine e sicurezza pubblica, da un lato, e alla tutela della libertà di iniziativa economica, dall’altra − al cui esercizio è richiesto il rigoroso rispetto del principio di legalità sostanziale. Lo stesso principio, a suo dire, imporrebbe una interpretazione rigorosa dei suoi effetti, con respingimento di ricostruzioni non ricavabili dal dettato legislativo. Per contro l’art. 32, commi 7 e 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, prevede la sola misura dell’accantonamento degli utili di impresa in apposito fondo e non la retrocessione all’appaltante affermata dal diritto vivente. Il rimettente critica, poi, la ricostruzione del parere del Consiglio di Stato posta a fondamento di tale meccanismo. In primo luogo, non ricorrerebbe alcuna novazione della fonte atteso che l’originario contratto, nel difetto di risoluzione, continuerebbe a essere eseguito dalla società ricorrente con propri mezzi, umani e patrimoniali, con correlativa responsabilità, seppur sotto l’amministrazione dei commissari prefettizi. In secondo luogo, sono contestate le conclusioni dell’accostamento della misura del commissariamento alla negotiorum gestio: secondo la disciplina degli artt. 2030 e 2031 del codice civile il soggetto gerendo (il commissario prefettizio) sarebbe, al contrario, tenuto a versare al gerito (la società) i corrispettivi ottenuti dall’esecuzione dei contratti gestiti. Il TAR Lazio, piuttosto, accosta l’incapacità parziale e temporanea derivante dall’interdittiva all’incapacità naturale di cui agli artt. 427 e 428 cod. civ., cui conseguirebbe l’efficacia degli atti compiuti dall’incapace sino all’annullamento. 1.5.1.− Alla luce del delineato quadro, il Tribunale amministrativo regionale assume, anzitutto, il contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost. perché la misura della retrocessione, quanto meno nel caso di impresa cui sia stata revocata l’interdittiva, sarebbe misura sproporzionata e irragionevole. Il previsto accantonamento degli utili in apposito fondo costituirebbe misura già sufficiente a salvaguardare l’economia legale dai tentativi di infiltrazione mafiosa in quanto sottrarrebbe all’impresa interdetta ogni forma di locupletazione durante il periodo di vigenza dell’interdittiva. Inoltre, la norma censurata contrasterebbe con lo stesso parametro costituzionale trattando la fattispecie in maniera differente da quella similare (per identità di ratio) contemplata dall’art. 94, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011. Tale ultima disposizione − che costituisce una deroga alla regola generale dettata dal precedente comma 2 dello stesso articolo, secondo cui a seguito del rilascio dell’informazione interdittiva le stazioni appaltanti recedono dai contratti in corso – consente all’appaltante la prosecuzione dei contratti di appalti con l’impresa infiltrata se l’opera sia in corso di ultimazione o se la fornitura di beni e servizi sia essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora l’appaltatore non sia sostituibile in tempi rapidi. In tale fattispecie di prosecuzione contrattuale «non si dubita», afferma il TAR, che l’impresa percepisca il corrispettivo previsto dal contratto. 1.5.2.− Tale normativa inciderebbe, ancora, eccessivamente sulla libertà di iniziativa economica privata e sul diritto di proprietà tutelati dagli artt. 41 e 42 Cost. 1.5.3.− I commi censurati contrasterebbero, infine, con l’art. 23 Cost. Il silenzio sulla sorte degli utili derivanti dalle prestazioni rese dall’impresa per effetto del commissariamento prefettizio darebbe luogo a una ipotesi di prestazione imposta in cui la fonte primaria non detterebbe i criteri direttivi e le linee generali della relativa disciplina in particolare in ordine alla sua concreta entità. 2.– Con atto depositato il 21 ottobre 2022, si è costituita in giudizio la società ricorrente nel giudizio principale che ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 32, commi 7 e 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito e come interpretato dal diritto vivente, negli stessi termini auspicati dal rimettente. In via subordinata, per l’ipotesi in cui questa Corte non ritenesse sussistere il diritto vivente nella interpretazione delle disposizioni censurate, la parte domanda di «chiarire che il giudice a quo possa rendere un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 32 cc. 7 e 10 del d.l. n. 90/2014, la quale si differenzi da quella oggi offerta dal Parere n. 1567/2018 del Consiglio di Stato». L’impresa, dopo aver ricostruito i fatti, ha illustrato, condiviso e sostenuto le argomentazioni spese dall’ordinanza di rimessione. In particolare, con riguardo alla ammissibilità della questione in relazione alla giurisdizione del giudice rimettente, ha sottolineato che appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie nelle quali venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo anche solo correlato all’esercizio di poteri di natura discrezionale e ha aggiunto che da una eventuale pronuncia di fondatezza di questa Corte deriverebbe la riconfigurazione del potere prefettizio e, di conseguenza il chiarimento sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva del privato. Nel contestare il fondamento della retrocessione alla stazione appaltante degli utili ha prospettato che: a) la revoca dell’interdittiva determinerebbe il venir meno delle ragioni per cui si era proceduto all’accantonamento degli utili; b) diversamente da quanto affermato nel parere n. 1567 del 2018 del Consiglio di Stato, nel caso della gestione straordinaria e temporanea, da un lato, vi sarebbe prosecuzione del rapporto contrattuale senza alcuna novazione del titolo e, dall’altro, pur riconducendo la fattispecie alla negotiorum gestio, i corrispettivi dei contratti stipulati dal gestore spetterebbero al soggetto sostituito. 3.− Con atto depositato l’8 novembre 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le sollevate questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate. 3.1.− In via preliminare, l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di giurisdizione del giudice a quo. Diversamente da quanto ritenuto dall’ordinanza di rimessione, l’accantonamento degli utili nella gestione straordinaria e temporanea troverebbe nel comma 7 dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, la medesima disciplina tanto se la gestione sia stata disposta per finalità di anticorruzione (comma 1, lettera b) quanto per finalità di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa (comma 10). Conseguentemente, secondo la difesa statale, per entrambi i casi dovrebbe valere l’affermazione delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, di cui all’ordinanza n. 11576 del 2018, dell’appartenenza della giurisdizione al giudice ordinario, in quanto la controversia sugli utili accantonati concerne un diritto soggettivo corrispondente ad una attività vincolata della pubblica amministrazione. 3.2.– Il Governo nell’affrontare il merito delle questioni illustra, anzitutto, l’interpretazione delle disposizioni censurate. Il legislatore, ad avviso dell’interveniente, distinguerebbe sotto il profilo temporale la cessazione della misura della gestione straordinaria dalla statuizione sulla destinazione del fondo. Il limite temporale dell’accantonamento degli utili sarebbe individuato nel passaggio in giudicato della sentenza che decide sul ricorso per l’annullamento del provvedimento interdittivo comportando, in caso di suo rigetto, la restituzione degli utili all’amministrazione appaltante e, in caso di suo accoglimento, la restituzione all’operatore economico. Nulla, invece, sarebbe previsto in caso di aggiornamento dell’interdittiva ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011. Diversamente, in relazione alla misura della gestione straordinaria il comma 10 dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, ne prevede la cessazione in caso di sentenza di annullamento o di ordinanza cautelare che la sospenda «in via definitiva» e anche in caso di aggiornamento dell’informazione interdittiva. In tale ultimo caso si avrebbe un «ritorno in bonis» dell’operatore, ma non anche la restituzione degli utili dipendente dalla decisione sull’impugnazione dell’interdittiva. Ancora, secondo la difesa statale, le disposizioni censurate distinguerebbero la durata dell’accantonamento, coincidente con il periodo di applicazione della misura, dalla durata dell’obbligo di tenuta del relativo fondo segnata dall’esito dei giudizi di impugnazione dell’interdittiva. In tale contesto normativo, secondo l’interveniente, l’interpretazione dell’art. 32, commi 7 e 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, adottata dalle quinte linee guida a firma del Ministro dell’interno e del Presidente dell’ANAC − riconducibili al potere di regolazione di tale Autorità previsto dall’art. 213 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) − sarebbe coerente con il sistema normativo in materia di prevenzione antimafia e rispettosa del dettato costituzionale. 3.3.– Il Presidente del Consiglio si sofferma, poi, sull’informazione antimafia liberatoria che ha interessato la ricorrente del giudizio principale e della cui portata il TAR non si sarebbe debitamente occupato. Tale provvedimento è emanato, infatti, in esito a nuova istruttoria e nuova valutazione, al ricorrere di sopravvenienze fattuali che non sconfessano la legittimità della precedente valutazione interdittiva e, dunque, ha effetti ex nunc. Coerentemente, dovrebbe ritenersi che l’impresa destinataria del provvedimento di aggiornamento liberatorio non possa essere destinataria degli utili accantonati sotto la gestione commissariale. Nell’arco temporale tra l’adozione dell’interdittiva e il suo aggiornamento vige, infatti, il divieto per l’interdetta di stipulare i contratti con la pubblica amministrazione e di ricevere erogazioni (art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011) e il principio della caducazione dei contratti in corso di esecuzione. Rispetto a tali regole generali la prosecuzione di specifici contratti prevista dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, è deroga prevista in via eccezionale per la necessità e l’urgenza di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la salvaguardia di determinati diritti e interessi (per tutela di diritti fondamentali, per l’integrità dei livelli occupazionali e dell’integrità dei bilanci pubblici). Per l’Avvocatura dello Stato, inoltre, tale cornice normativa avvalorerebbe l’interpretazione del Consiglio di Stato secondo cui all’esecuzione contrattuale eccezionalmente imposta dal provvedimento prefettizio corrispondono non utili, ma solo rimborso di costi e spese. 3.4.– Alla luce dell’illustrato quadro normativo, l’atto di intervento ha resistito alle singole questioni. 3.4.1.– La violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe, anzitutto, non fondata sotto entrambi i profili denunciati. In primo luogo, in relazione alla comparazione delle norme censurate con l’art. 94, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011, il giudice rimettente non avrebbe tenuto conto della valenza applicativa ormai nulla di tale norma proprio a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito. Il comma 10 di tale articolo, con la dicitura «ancorché ricorrano i presupposti di cui all’articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159», in particolare, sancirebbe la prevalenza della misura prefettizia della gestione straordinaria sulla determinazione della stazione appaltante nella prosecuzione del contratto stipulato e ciò per l’intento di sottrarre all’operatore economico la gestione dei contratti in corso e l’incameramento degli utili. In secondo luogo, la misura della gestione straordinaria e temporanea non risulterebbe irragionevole alla luce del complessivo sistema di prevenzione. Il legislatore, infatti, ha previsto plurimi strumenti con diverso grado di pervasività sulla gestione dell’impresa in ragione della diversa rilevanza dell’infiltrazione criminale. Così, se per l’agevolazione mafiosa di carattere solo occasionale il codice antimafia prevede misure di controllo (il controllo giudiziario dell’art. 34-bis cod. antimafia) e di tutoraggio (la prevenzione collaborativa dell’art. 94-bis cod. antimafia), in cui l’impresa conserva la capacità di contrattare, di eseguire i contratti e di incamerare i corrispettivi, di contro per le ipotesi più gravi è adottabile la gestione temporanea e straordinaria con l’ablazione degli utili riportabile all’incapacità dell’operatore economico. Ragionando diversamente, si garantirebbe alle imprese infiltrate la permanenza nel mercato a detrimento delle imprese sane. 3.4.2.– Le disposizioni censurate per come interpretate dalle quinte linee guida sarebbero, inoltre, rispettose dell’art. 23 Cost. Il legislatore stesso stabilisce che i corrispettivi versati dalle appaltanti non entrino a far parte nella disponibilità dell’operatore, ma siano versati in un fondo cautelare le cui somme non sono pignorabili dai creditori né distribuibili tra i soci. L’ablazione degli utili all’impresa con retrocessione alla appaltante per l’ipotesi di intervenuta definitività del provvedimento interdittivo (per rigetto della sua impugnazione o per mancata impugnazione) troverebbe fondamento nell’evocato parametro in quanto la gestione straordinaria e temporanea «assume i connotati di un munus publicum per il soddisfacimento di interessi pubblici superiori». 3.4.3.– In ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l’insussistenza della violazione degli artt. 41 e 42 Cost. non essendo rinvenibile, alla luce della ratio dell’istituto, alcuna irragionevole incidenza su iniziativa economica privata e su diritto di proprietà. 4.− In vista dell’udienza pubblica la parte ha depositato memoria, ove ha replicato all’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato deducendo essere superabile con il rilievo che il giudice a quo abbia espressamente motivato in modo non implausibile sulla giurisdizione. Nel merito ha dedotto che gli argomenti della difesa statale non superano le ragioni di fondatezza delle questioni sollevate dal TAR. Considerato in diritto 1.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, dubita della legittimità costituzionale di alcune disposizioni inserite nell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che disciplina il potere del prefetto di disporre un parziale commissariamento delle imprese destinatarie di informazioni interdittive antimafia al fine di dare completa esecuzione ai contratti pubblici loro aggiudicati, in deroga alla regola generale dell’obbligo delle appaltanti di risolvere il contratto al sopravvenire del provvedimento interdittivo. È censurato, in particolare, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 42 Cost., il combinato disposto dei commi 7 e 10 del citato art. 32, nella parte in cui, «per come interpretato nel cd. “diritto vivente”», dispone che gli utili contrattuali, accantonati dai commissari prefettizi in apposito fondo vincolato, siano «retrocessi» alle stazioni appaltanti in caso di rigetto dell’impugnazione dell’informazione interdittiva anziché corrisposti all’impresa. Il giudice amministrativo solleva le questioni nell’ambito di un giudizio per l’annullamento del provvedimento del prefetto (e degli atti ad esso presupposti) che ha fatto applicazione di tale previsione, nonostante che l’appaltatrice interdetta, tra il rigetto del ricorso avverso l’informativa in primo e in secondo grado, avesse ottenuto “informazione liberatoria” ai sensi dell’art. 91, comma 5, cod. antimafia e, di conseguenza, l’anticipata cessazione della misura della «gestione straordinaria». Secondo il rimettente la retrocessione degli utili sarebbe, anzitutto, contraria al principio di proporzionalità − quanto meno nel caso in cui l’impresa abbia ottenuto la “riabilitazione” con l’aggiornamento in senso liberatorio −, perché il fine di salvaguardia dell’economia legale dai tentativi di infiltrazione mafiosa sarebbe già adeguatamente preservato dal legislatore con l’accantonamento degli utili nell’apposito fondo (e dunque con relativa sottrazione) in costanza di interdittiva. La norma censurata tratterebbe, inoltre, la fattispecie con ingiustificata disparità rispetto alla ipotesi simile della continuazione del rapporto contrattuale con l’impresa interdetta per decisione dell’appaltante, disciplinata dall’art. 94, comma 3, cod. antimafia, nel qual caso «non si dubita» del riconoscimento del corrispettivo contrattuale alla appaltatrice. Ancora, il riversamento del guadagno all’amministrazione contrasterebbe con gli artt. 41 e 42 Cost., incidendo in maniera eccessiva sulla libertà di iniziativa economica privata e sul diritto di proprietà. Infine, l’imposizione all’impresa interdetta dell’ultimazione della prestazione contrattuale costituirebbe una prestazione imposta che, nel silenzio della norma sulla sorte dei relativi utili, non troverebbe nella fonte primaria criteri di determinazione della sua concreta entità, in violazione dell’art. 23 Cost. 2.− In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di giurisdizione del giudice a quo. La controversia sugli utili accantonati ai sensi del comma 7 dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario, concernendo una posizione di diritto soggettivo, per come già affermato dalla Corte di cassazione (Cass., sez. un., n. 11576 del 2018), in relazione alla similare ipotesi della misura di straordinaria gestione disposta per finalità anticorruzione ai sensi del comma 2 dello stesso art. 32. L’accantonamento costituirebbe, infatti, atto vincolato quale conseguenza del commissariamento. 2.1.− L’eccezione non è fondata. È noto che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la sussistenza della giurisdizione costituisce un presupposto della legittima instaurazione del processo principale, la cui valutazione è rimessa al giudice a quo, rispetto al quale spetta a questa Corte una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza della questione (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2020 e n. 52 del 2018). Ne consegue che il difetto di giurisdizione del rimettente determina l’inammissibilità della questione, per irrilevanza, solo ove esso sia macroscopico e, quindi, rilevabile ictu oculi (tra le tante, sentenze n. 79 del 2022, n. 65 del 2021 e n. 267 del 2020). Ebbene, nella specie il TAR Lazio afferma la propria giurisdizione sul rilievo che la decisione di retrocessione degli utili adottata dal prefetto è conseguenza (pur automatica) del provvedimento di informativa antimafia e di quello del correlativo “commissariamento”, emessi nell’esercizio di poteri di natura discrezionale, sicché ne condividerebbe il carattere di autoritatività. A tale determinazione potestativa corrisponderebbe, dunque, in capo al privato una posizione di interesse legittimo. L’ordinanza esclude, inoltre, la pertinenza di quanto affermato nella citata ordinanza della Corte di cassazione in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario perché relativa all’accantonamento delle somme in diversa ipotesi di commissariamento, quello “anticorruzione”, come anche sostenuto dal Consiglio di Stato nel parere n. 1567 del 2018. Per contro, il TAR sottolinea come nella motivazione delle stesse sezioni unite si escluda il ricorrere di un diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione quando questa esercita un «potere autoritativo correlato all’esercizio di poteri di natura discrezionale». La motivazione del rimettente sul potere prefettizio in ordine (non all’accantonamento, ma) al versamento degli utili accantonati per effetto della conferma del provvedimento interdittivo e sulla correlativa posizione sostanziale dell’impresa non è implausibile: tanto basta per escludere che la giurisdizione del giudice amministrativo sia ictu oculi manifestamente insussistente (di recente, sentenze n. 152 del 2021, n. 99 e n. 24 del 2020). 3.− L’esame del merito delle questioni sollevate richiede una essenziale ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inserisce la misura della «gestione straordinaria e temporanea dell’impresa» per l’esecuzione del contratto pubblico tramite amministratori (d’ora in avanti, anche: commissariamento del contratto) disposta dal prefetto in esito alla informazione antimafia interdittiva (art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito) e del conseguente necessario accantonamento, in apposito fondo, dell’utile di impresa derivante da quel contratto (art. 32, comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito). 3.1.− L’informazione antimafia con effetto interdittivo (artt. 84, 92 e 94 cod. antimafia) è provvedimento rivolto all’imprenditore (individuale o collettivo) con cui il prefetto attesta (in termini vincolati, al pari della comunicazione antimafia) la sussistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione personale emesso dall’autorità giudiziaria o di una sentenza di condanna (definitiva o anche solo in grado di appello) per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonché (in termini tipicamente discrezionali), sulla base degli elementi elencati dal legislatore (artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, cod. antimafia), la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Come rilevato da questa Corte, il provvedimento interdittivo ha natura cautelare e preventiva in funzione di difesa della legalità dalla penetrazione della criminalità organizzata nell’economia (sentenze n. 180 del 2022 e n. 57 del 2020) e determina una particolare forma d’incapacità del destinatario, tendenzialmente temporanea, in riferimento ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione (sentenze n. 118 del 2022 e n. 178 del 2021 che richiamano Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3). Con specifico riferimento ai contratti pubblici, l’informazione interdittiva: a) costituisce causa di esclusione dalla procedura di evidenza pubblica (art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 e art. 94 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, recante «Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici»); b) impedisce l’aggiudicazione per riscontro del difetto dei requisiti di capacità a contrarre (in particolare l’efficacia dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016 e la sua adozione ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2023); c) preclude alle stazioni appaltanti di stipulare, approvare o autorizzare contratti o subcontratti (art. 94 cod. antimafia); d) nel caso in cui sopravvenga nel corso dell’esecuzione del contratto, a mente degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, cod. antimafia, le stazioni appaltanti «recedono». Alla regola generale dell’obbligo di recesso (recte: risoluzione), l’art. 94, comma 3, cod. antimafia giustappone l’eccezionale facoltà per le stazioni appaltanti di proseguire il rapporto contrattuale «nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi». Altra deroga all’ordinario obbligo di “scioglimento del rapporto” con la contraente è costituita proprio dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito. Tale disposizione prevede che il prefetto che abbia emesso un’informazione interdittiva, al fine di «assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto ovvero dell’accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici», possa adottare diverse misure di sottoposizione dell’impresa appaltatrice ad un regime di “legalità controllata”: il rinnovo degli organi sociali, il sostegno e il monitoraggio dell’impresa con nomina di esperti e la «gestione straordinaria e temporanea dell’impresa» con nomina di amministratori. In particolare, con la gestione straordinaria si attribuiscono agli amministratori prefettizi tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’operatore economico (cosiddetto commissariamento dell’impresa) o solo quelli necessari all’ultimazione della prestazione contrattuale (cosiddetto commissariamento del contratto), ipotesi quest'ultima verificatasi nel giudizio a quo (combinato disposto dei commi 1, lettera b, e 3, dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, per come modificato dall’art. 12, comma 1, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121, recante «Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali», convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 156). La misura prefettizia cessa in via naturale con l’ultimazione della prestazione contrattuale, ma il legislatore ne prevede la definizione anticipata al sopravvenire di provvedimenti favorevoli all’impresa costituiti dall’annullamento dell’informazione interdittiva, dichiarato con sentenza passata in giudicato, dalla sua sospensione cautelare disposta con ordinanza definitiva (cosiddetto giudicato cautelare), ovvero dall’aggiornamento della predetta informazione in senso liberatorio, ai sensi dell’art. 91, comma 5, cod. antimafia, per il venir meno degli elementi che avevano fondato il riscontro dei tentativi di infiltrazione mafiosa (art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito). 3.2.− Quanto al rapporto tra la prosecuzione del contratto per determinazione dell’appaltante (art. 94, comma 3, cod. antimafia) e il commissariamento prefettizio, è lo stesso comma 10 dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che dirime il concorso tra norme in termini di prevalenza della misura prefettizia (essa è disposta «ancorché ricorrano i presupposti di cui all’articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159»). 3.3.− Per quanto di interesse è necessario, ancora, rammentare che il commissariamento può essere anche disposto, in virtù dell’art. 32, commi 1 e 2, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, dal prefetto su proposta del Presidente dell’ANAC in caso di pendenza di un procedimento penale per una serie di reati contro la pubblica amministrazione o se sia acquisita notizia di «situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali» attribuibili alla aggiudicataria del contratto pubblico (cosiddetto commissariamento anticorruzione). 3.4.− Per entrambe le gestioni straordinarie è previsto che gli amministratori prefettizi accantonino l’utile dell’impresa derivante dalla esecuzione dei contratti da loro gestiti in apposito fondo che «non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento» sino all’esito dei giudizi penali, nel caso del commissariamento anticorruzione, o sino all’esito dei giudizi amministrativi di impugnazione dell’interdittiva (di merito e cautelare), nel caso del commissariamento antimafia (art. 32, comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito). <p>In proposito, con specifico riguardo al commissariamento antimafia, deve essere rimarcata la previsione, da parte del combinato disposto dei commi 7 e 10, di due distinte cesure temporali: quella di durata della misura (per ultimazione della prestazione contrattuale o per effetto del sopravvenire dei suddetti provvedimenti favorevoli all’impresa), cui è correlato l’obbligo di accantonamento degli utili in apposito fondo, e quella di indisponibilità del fondo (per effetto della definizione del contenzioso amministrativo sulla interdittiva). Il diverso termine può far sì che la permanenza del fondo vincolato possa oltrepassare la fine della misura: così nel caso in cui il facere dell’appaltatore sia ultimato, ma non lo sia il giudizio amministrativo, o così nel caso (come in quello del giudizio a quo) in cui l’impresa abbia ottenuto l’aggiornamento liberatorio e, dunque, abbia riacquisito ex nunc la capacità a contrarre e a eseguire la prestazione contrattuale, ma sia ancora sub iudice l’originaria interdittiva. In sede applicativa, è stato rilevato il silenzio del comma 7 dell’art. 32 in ordine alla destinazione degli utili accantonati nel fondo all’esito definitivo dei giudizi amministrativi sull’informazione interdittiva cui la misura di gestione straordinaria è collegata: così, tanto le seconde linee guida ANAC («per l’applicazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione anticorruzione ed antimafia» adottate dal Ministro dell’interno e dal Presidente dell’ANAC il 27 gennaio 2015), che hanno recepito sul punto il parere dell’Avvocatura generale dello Stato (del 23 dicembre 2014), quanto le quinte linee guida ANAC che hanno recepito il parere del Consiglio di Stato n. 1567 del 2018. Nessun dubbio esegetico in proposito si è posto per l’ipotesi in cui venga annullato o sospeso in via definitiva il provvedimento interdittivo: argomentando dal comma 10 e dagli effetti retroattivi del provvedimento giurisdizionale, la gestione temporanea perde immediatamente e retroattivamente il suo presupposto, al pari, di conseguenza, del meccanismo accessorio del congelamento degli utili, i quali vanno corrisposti all’impresa secondo le originarie previsioni contrattuali. Al contrario, discussa è la sorte delle somme giacenti nel fondo nell’opposta ipotesi di rigetto definitivo (o diniego definitivo della sospensiva) dell’impugnazione dell’informazione interdittiva. L’interrogativo non ha, anzitutto, trovato soluzione nella “logica funzionale”. Infatti, mentre nel commissariamento anticorruzione il congelamento delle somme è, pacificamente, strumentale a garantire l’attuazione della confisca eventualmente emessa in caso di sentenza di condanna per i reati che lo hanno giustificato, nel commissariamento antimafia alla conferma giurisdizionale del provvedimento antimafia non consegue una specifica misura “ablativa” che vada a soddisfarsi su quanto cautelativamente accantonato. L’accantonamento è stato, infatti, definito «fine a sé stesso». Piuttosto, l’Autorità anticorruzione e il Consiglio di Stato in sede consultiva hanno ricavato dall’inquadramento sistematico delle disposizioni la regola della retrocessione degli utili e, dunque, il riversamento delle somme accantonate nel fondo in favore dell’amministrazione contraente o del soggetto finanziatore dell’investimento pubblico. Il parere consultivo e le quinte linee guida hanno sostenuto l’operatività di tale meccanismo in base al seguente ragionamento: in esito all’interdittiva, per l’incapacità giuridica dell’operatore economico che ne consegue, si ha una automatica risoluzione del contratto e il provvedimento prefettizio di commissariamento diviene nuova e unica fonte della obbligazione di ultimazione dell’originario programma negoziale. Ne deriva in capo all’impresa, in termini pubblicistici, una prestazione imposta «nella logica dell’art. 23 della Costituzione» e, in termini civilistici, una obbligazione rapportabile a una gestione di affari altrui; correlativamente viene meno l’obbligo contrattuale del corrispettivo in capo all’appaltante con obbligo di restituzione all’impresa dei soli costi sopportati «per portare a compimento, nell’interesse pubblico, il programma negoziale» e con «(definitiva) ablazione del profitto» (in virtù degli artt. 2030, primo comma, e 1713, primo comma, cod. civ. e della «logica “compensativa” [della] prestazione personale imposta»). Si ritiene, così, di evitare che l’operatore economico interdetto consegua un arricchimento patrimoniale in virtù di un proprio comportamento antigiuridico. 4.− La conclusione esegetica della retrocessione degli utili cui sono pervenuti il Consiglio di Stato e le linee guida ANAC è stata dal TAR rimettente assunta a diritto vivente e sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale di questa Corte. Alla riportata interpretazione il giudice a quo afferma di ritenersi vincolato per l’autorevolezza degli organi che l’hanno resa, perché seguita da una sentenza del giudice amministrativo (Consiglio di Stato, n. 392 del 2019) e da una ordinanza del giudice ordinario (Tribunale di Napoli Nord, 19 ottobre 2020) nonché per l’attinenza della questione al delicato settore della prevenzione antimafia. Questa Corte ritiene, per contro, che l’isolato precedente giurisdizionale del Consiglio di Stato e il riferimento ad unico precedente di merito del giudice ordinario non danno luogo a quella interpretazione giurisprudenziale consolidata, perché reiterata e uniforme, idonea ad integrare un diritto vivente (ex plurimis, sentenze n. 54 del 2023, n. 243 e n. 20 del 2022, n. 192 e n. 123 del 2020, n. 141 del 2019 e n. 122 del 2017). Neppure conducono in senso diverso le linee guida ANAC, che − prive di valore vincolante, in difetto di apposita “delega di disciplina” da parte di fonti primarie e di natura regolamentare (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 3 marzo 2021, n. 1791 e sezione prima, parere 17 ottobre 2019, n. 2627) – sono atti di indirizzo interpretativo, fatte proprie dai provvedimenti dei prefetti e che hanno, al più, dato origine a una prassi amministrativa alla quale da lungo tempo è stato negato autonomo valore di diritto vivente (sentenza n. 83 del 1996 e ordinanza n. 188 del 1998). 5.− Nel merito le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate, nei termini che seguono. 5.1.− Ritiene, infatti, questa Corte che diversa sia l’interpretazione da attribuire alle disposizioni censurate, secondo il loro corretto inquadramento sistematico e alla luce dei canoni costituzionali (sentenze n. 65 del 2022, n. 206 del 2015, n. 198 del 2003, n. 316 del 2001 e n. 113 del 2000). E tale diversa interpretazione consente di superare i prospettati dubbi di illegittimità costituzionale. 5.1.1.− Più elementi comprovano, anzitutto, che l’originario rapporto contrattuale prosegua senza essere risolto. In tal senso depone la lettera dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che espressamente prevede la gestione straordinaria come misura (sull’impresa) strumentale al «completamento dell’esecuzione del contratto» (comma 10) e l’utile accantonato come «derivante dalla conclusione de[l] contratt[o]» (recte: della prestazione contrattuale) (comma 7). Ancora, dal punto di vista sistematico, la determinazione prefettizia di cui all’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, va equiparata alla determinazione della stazione appaltante di cui all’art. 94, comma 2, cod. antimafia, in quanto entrambe giustificano per ragioni di pubblico interesse l’eccezionale prosecuzione del rapporto contrattuale in deroga alla regola dell’obbligo per le appaltanti di risolvere il contratto al sopravvenire dell’interdittiva. L’equivalente protrazione dell’accordo nelle due ipotesi derogatorie non solo è ricavabile dalla citata prevalenza per specialità della prima misura sulla seconda, ma risulta anche esplicitata in un recente intervento legislativo: l’art. 3 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, nel consentire la stipula degli appalti sulla base di informative liberatorie provvisorie (comma 2), obbliga ancora le amministrazioni alla risoluzione in caso di pervenimento di informazioni interdittive definitive, «fermo restando quanto previsto dall’articolo 94, commi 3 e 4, [cod. antimafia], e dall’articolo 32, comma 10» del d.l. n. 90 del 2014, come convertito (comma 4). Infine, la conclusione cui questa Corte perviene in via ermeneutica trova ulteriore conforto in quelle pronunce del giudice amministrativo che ritengono la riassunzione della titolarità dell’esecuzione del contratto in corso, in caso di riacquisizione della capacità da parte dell’operatore economico per annullamento o revoca dell’interdittiva, o per effetto della ammissione alla misura del «controllo giudiziario» (così, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 25 luglio 2019, n. 5268). 5.1.2.− Se pur, dunque, è certa la prosecuzione del rapporto tra amministrazione e impresa in virtù dell’originario contratto, altrettanto vero è che questo subisce mutamenti sia sul versante soggettivo sia su quello oggettivo. Dal punto di vista soggettivo, la prestazione contrattuale è posta in essere dall’impresa con i propri mezzi, ma è eseguita sotto la “direzione e vigilanza” degli amministratori prefettizi. Dal punto di vista oggettivo, inoltre, la “ratio” funzionale del rapporto contrattuale viene a permearsi del pubblico interesse. Infatti, da un lato, il mantenimento del contratto è giustificato non dall’essenzialità per l’interesse pubblico della prestazione contrattuale “di per sé” (come nel caso dell’art. 94, comma 3, cod. antimafia), bensì dall’essere questa a sua volta mezzo di soddisfazione di selezionati e preminenti interessi pubblici (individuati nella continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nella salvaguardia dei livelli occupazionali o nell’integrità dei bilanci pubblici). Dall’altro lato, l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è espressamente definita «di pubblica utilità» dal comma 4 dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito. Proprio la significativa incidenza del commissariamento sullo svolgimento del contratto non consente di ricondurre la vicenda in termini di modifica solo soggettiva per sopravvenuta gestione (da parte degli amministratori prefettizi) dell’affare altrui (dell’imprenditore interdetto). D’altra parte, l’inquadramento della vicenda nella negotiorum gestio porterebbe a conseguenze opposte a quelle prospettate dall’interpretazione che il rimettente ha censurato: i commissari, gravati dei medesimi obblighi del mandatario (art. 2030 cod. civ.), dovrebbero rimettere alla gerita impresa il corrispettivo ricevuto dalla stazione appaltante (art. 1713 cod. civ.) al netto di spese (art. 2031 cod. civ.) e compenso (artt. 1709 e 2031 cod. civ.). 5.1.3.− Nel descritto rinnovato contesto contrattuale, anche il corrispettivo originariamente pattuito risulta inciso dalla sopravvenuta misura prefettizia ove divenga definitiva l’interdittiva su cui è stata fondata. Il sinallagma contrattuale si trova, infatti, alterato da vicende imputabili alla contraente privata cui quella pubblica ha dovuto porre rimedio. È, invece, nella lettura sistematica delle disposizioni censurate con quelle relative all’incidenza dell’interdittiva sui contratti in corso che si rinviene la rideterminazione del dovuto nel contratto conformato dall’interesse pubblico. Posto che dall’originario corrispettivo va detratto il compenso liquidato ai commissari (art. 32, comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito), è nell’art. 94, commi 2 e 3, cod. antimafia che deve essere rivenuta la regola di rideterminazione del quantum della prestazione resa nel regime di “legalità controllata”. Le indicate norme regolano, infatti, le conseguenze della sopravvenienza dell’interdittiva sui contratti pubblici in corso e all’appaltatore riconoscono espressamente, per il caso della “ordinaria” scelta dell’amministrazione di risolvere il contratto, «il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite» dall’amministrazione. La medesima quantificazione si ritrova ribadita nel comma 3 dell’art. 93 cod. antimafia e nel menzionato art. 3 del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, e coincide con quella dettata per le risoluzioni conseguenti al sopravvenire della comunicazione antimafia (art. 88 cod. antimafia). Tale regime pecuniario si discosta da quello previsto dal codice dei contratti pubblici per le ordinarie ipotesi di risoluzione pubblicistica, che riconosce all’appaltatore il prezzo delle prestazioni regolarmente eseguite decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto (art. 108 del d.lgs. n. 50 del 2016 e art. 122, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 36 del 2023). L’art. 94, comma 3, cod. antimafia non detta a sua volta espressamente la regola del compenso per l’ipotesi, ivi prevista in termini alternativi, seppur residuali, in cui l’amministrazione si determini per la prosecuzione del contratto. In proposito (diversamente da quanto affermato dal rimettente) non si rinvengono pronunce giurisprudenziali o prassi amministrative, ma alla fattispecie può agevolmente estendersi la regola dettata nella disposizione che la precede e a cui è legata: le opere interamente eseguite per volontà dell’amministrazione vanno ugualmente compensate nel loro valore nei limiti dell’utilità ricavata dalla controparte. Nel caso del commissariamento tale regola vale a maggior ragione: se il legislatore, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si determini a recidere il rapporto con l’impresa interdetta (in primis per tentativi di infiltrazione pregressi, ma successivamente acclarati), riconosce all’appaltatrice per la prestazione, sino ad allora eseguita in autonomia, il relativo valore nei limiti dell’utilità, a fortiori il medesimo importo deve essere riconosciuto all’impresa che, per valutazione discrezionale della stessa amministrazione (prefettizia), porti a termine la prestazione con propri mezzi, ma nel regime di legalità controllata. Al venir meno del vincolo di indisponibilità del correlato fondo, dunque, andrà versato all’operatore economico non l’intero guadagno lì accantonato (costituito dalla differenza tra il prezzo e i costi già corrisposti), bensì il minor importo dato dal valore della prestazione nei limiti dell’utilità conseguita dall’amministrazione, al netto dei costi già versati. Ciò, comunque, sempre salve le eventuali ritenzioni per compensazioni con somme dovute all’appaltante dall’appaltatrice per risarcimenti da inadempimento o per confische penali (artt. 240, 240-bis, 416-bis, comma 7, cod. pen.) o confische della prevenzione (artt. 24 e 34, comma 7, cod. antimafia), se l’interdittiva è collegata a vicende di rilevanza penale o della prevenzione giurisdizionale. 5.1.4.− Il riconoscimento del compenso nei limiti dell’utilità conseguita dall’amministrazione è coerente, del resto, per diversi profili con i princìpi sottesi alla logica del sistema, i quali si rinvengono anche nell’istituto dell’arricchimento ingiustificato. In primo luogo, gli utili accantonati in costanza di commissariamento non costituiscono di per sé guadagni illecitamente prodotti dall’operatore economico e rispetto ai quali l’ordinamento reagisce con specifiche misure di neutralizzazione dell’arricchimento, come con le misure ablatorie penali o della prevenzione (sentenza n. 24 del 2019): essi, piuttosto, si producono per richiesta dell’amministrazione e sotto il suo controllo. In secondo luogo, il riconoscimento del valore della prestazione compiuta dall’imprenditore interdetto nei limiti dell’utilità dell’amministrazione che ne trae vantaggio si può accostare (con i dovuti distinguo) a quelle fattispecie in cui il legislatore codicistico, per «trovare in un’ottica redistributiva un equilibrio tra le prestazioni (e comunque tra i due patrimoni)», compensa lo spostamento patrimoniale del “depauperato” in favore dell’“arricchito” con il suo valore (del bene o del suo uso o il valore della prestazione ex artt. 935, 936, 939, 940 e 1150 cod. civ.) anziché con la sola diminuzione subita (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 11 settembre 2008, n. 23385). Infine, tramite la previsione del comma 2 dell’art. 94 cod. antimafia (e con quella identica dell’art. 92, comma 3), il legislatore intende riconoscere «al soggetto interdetto [...] il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento» (così, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 6 agosto 2021, n. 14 e 26 ottobre 2020, n. 23). 5.1.5.− La predetta interpretazione delle disposizioni censurate, diversamente dalla regola della retrocessione degli utili, ipotizzata dal giudice a quo, trova anche riscontro nel dato letterale: al venir meno del vincolo di indisponibilità del fondo, il comma 7 dell’art. 32 prevede che quell’importo vada «distribuito», con significativo utilizzo del linguaggio codicistico adottato per il pagamento degli utili o dividendi tra soci (artt. 2303, 2433, e 2433-bis e 2478-bis, cod. civ.). Ancora, in quel momento le somme tornano soggette al regime ordinario di aggredibilità («pignora[bilità]») da parte dei creditori dell’imprenditore, altrimenti soppiantati da una non prevista acquisizione al soggetto pubblico. 5.2.− Questa ricostruzione ermeneutica delle disposizioni censurate supera ogni profilo di contrasto con i parametri evocati (artt. 3, 23, 41 e 42 Cost.) oltre che con il pur pertinente principio di legalità. 5.2.1.− In primo luogo, il riversamento delle somme accantonate in favore dell’impresa interdetta che le ha prodotte, con sola riduzione fondata sulla dinamica contrattuale secondo il combinato disposto dell’art. 32, comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, e dell’art. 94, comma 2, cod. antimafia, trova chiaro fondamento in norme primarie. Ciò, innanzi tutto, integra quella «base legale» richiesta dal dettato costituzionale agli artt. 41 e 42 Cost. (per tutte, rispettivamente, sentenze n. 113 del 2022 e n. 24 del 2019), oltre che dall' art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, secondo l’interpretazione datane dalla Corte EDU, per fondare i limiti alla libertà di impresa e al diritto di proprietà. In più, diversamente dall’ipotizzato meccanismo della retrocessione in favore dell’amministrazione degli utili accantonati, l’interpretazione adottata esclude la configurabilità di una ablazione amministrativa del ricavato che, pur giustificata dalla finalità della prevenzione, risulti priva della necessaria previsione legislativa e, dunque, in contrasto con le disposizioni costituzionali e convenzionali (artt. 41 e 42 Cost. e art. 1 Prot. addiz. CEDU; ancora sentenza n. 24 del 2019). Del pari, in applicazione del principio di legalità posto a presidio dell’attività dell’amministrazione (sentenze n. 12 del 2019, n. 115 del 2011 e, per lo specifico caso dell’informazione antimafia, n. 57 del 2020), si evita di estendere gli effetti restrittivi dell’interdittiva oltre ai casi legislativamente previsti: il pagamento del valore nei limiti dell’utilità per la prestazione contrattualmente resa è erogazione pubblica sottratta al divieto sancito dall’art. 94, comma 1, cod. antimafia in quanto espressamente fatta salva dagli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, cod. antimafia (Consiglio di Stato, sentenze n. 14 del 2021 e n. 23 del 2020). 5.2.2.− Sotto diverso angolo visuale, l’interpretazione adottata consente di superare ogni dubbio di violazione dell’art. 23 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la riserva di legge relativa posta da tale disposizione costituzionale è rispettata quando la fonte primaria stabilisce sufficienti criteri direttivi e linee generali di disciplina, richiedendosi in particolare che la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dai pertinenti precetti legislativi (sentenze n. 139 del 2019, n. 69 del 2017, n. 83 del 2015 e n. 115 del 2011). Orbene, sulla base della adottata interpretazione, il facere richiesto all’impresa non trova imposizione pubblicistica, avendo la sua fonte nell’originario contratto, e inoltre questo, come il suo “valore”, sono determinati da norma primaria nel rispetto della riserva di legge in parola. 5.2.3.− Ancora, il riconoscimento all’imprenditore del compenso, pur ridotto, evita la configurabilità di irragionevoli compressioni della libertà di impresa e del diritto di proprietà. Costante è, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte nell’affermare che la restrizione della libertà di iniziativa economica è giustificata dall’utilità sociale, ma alla condizione che gli interventi del legislatore non la perseguano mediante «misure palesemente incongrue» (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 113 del 2022, n. 218 del 2021, n. 85 del 2020) e che sussista un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e l’ingerenza nel diritto individuale al godimento dei beni (da ultimo, sentenza n. 213 del 2021). Si è visto che la misura del commissariamento è eccezionale deroga all’incapacità dell’impresa interdetta ad intrattenere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione per ragioni di interesse generale: essa è prevista per assicurare il completamento di prestazioni contrattuali di peculiare rilievo pubblicistico ed è bilanciata dall’intervento (anche solo parziale) sull’assetto di governo dell’impresa ad argine del rischio di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione del contratto. Orbene, con la determinazione prefettizia è richiesta all’imprenditore l’esecuzione di attività gravose e protratte nel tempo, con distoglimento dei relativi mezzi aziendali a lui necessari per intraprendere o svolgere attività imprenditoriali nei confronti dei privati di cui, nonostante l’interdizione, rimane capace o che potrebbe altrimenti mettere a frutto: l’acquisizione pubblica delle «utilità» prodotte con il compendio aziendale e sotto “controllo pubblico”, senza alcun compenso – cui si perverrebbe sulla base dell’interpretazione prospettata dal rimettente − darebbe luogo a misura che, aggiungendosi agli effetti restrittivi dell’interdittiva, andrebbe a comprimere in termini sproporzionati il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica. Il congelamento degli utili per il tempo di durata della misura commissariale e sino al successivo momento della definizione del giudizio amministrativo, del resto, costituisce già sufficiente garanzia per l’interesse pubblico, in quanto assicura sia l’esatto adempimento sia la realizzabilità delle misure dei sequestri e delle confische, anche solo della prevenzione, laddove ne ricorressero i relativi presupposti. 6.− In conclusione, le disposizioni censurate si prestano a una interpretazione diversa da quella posta a base dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale e conforme a Costituzione; da qui la non fondatezza, nei sensi indicati, delle questioni sollevate. Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 32, commi 7 e 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 42 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore Valeria EMMA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023. Il Cancelliere F.to: Valeria EMMA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO DECIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 63553/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avvocato (...) (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avvocato (...) (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avvocato (...) ATTORI contro (...) SPA (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avvocato BR.MA. (...) (C.F. (...) ), contumace CONVENUTI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Breve svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), (...) e (...), rispettivamente madre, fratello e sorella del signor (...), convenivano in giudizio (...) s.p.a. e il signor (...), quali assicuratore e proprietario/conducente dell'automobile (...) tg. (...), per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, diretti ed indiretti, a qualsiasi titolo subiti e subendi, derivanti dal sinistro stradale occorso in data 22 aprile 2017 ore 18.30 in Sabbioneta (MN), sulla SP 420 al km 30 + 8,900, nel quale era deceduto il signor (...). (...) s.p.a. si costituiva in giudizio contestando la responsabilità del proprio assicurato, nonché la sussistenza dei danni reclamati. Il Giudice dichiarava la contumacia di (...). Successivamente al deposito delle memorie ex articolo 183 sesto comma c.p.c., ed espletate le prove testimoniali e per interpello del convenuto, il Tribunale disponeva lo svolgimento di una CTU cinematica e una CTU medico legale. Seguiva successivamente una integrazione del quesito in merito alla CTU cinematica, all'esito della quale veniva disposta udienza di precisazione delle conclusioni. All'udienza del 31 gennaio 2023, le parti precisavano le conclusioni come da verbale di causa e il Tribunale tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di legge ex articolo 190 c.p.c.. 2. Con riferimento all'an debeatur. La relazione di consulenza tecnica d'ufficio cinematica ha concluso evidenziando come entrambi i mezzi hanno concorso nella causazione dell'incidente. In particolare, risulta accertato che "il sinistro è indubitabilmente originato dalla condotta del conducente della (...), sig. (...), il quale ha invaso l'opposto senso di marcia. È altamente probabile che tale condotta sia stata conseguenza delle condizioni di ebrezza alcolica in cui si trovava il soggetto. La condotta del conducente della (...) è stata altresì negligente ed imprudente, per aver mantenuto una velocità di circa 100 km/h (...) superiore al limite nel tratto interessato", limite che era di 90 km/h. Il Giudice disponeva supplemento di CTU cinematica al fine di verificare l'ipotesi che, se la velocità dell'automobile del convenuto fosse stata contenuta entro i limiti consentiti di 90 km/h, avrebbe determinato un esito differente, non mortale, del sinistro. Il CTU ha quindi chiarito che: "se l'urto fosse comunque avvenuto, avendo la (...) velocità all'urto di 79 km/h, anziché 86 km/h, è certo che la potenzialità lesiva dell'incidenza (proporzionale all'energia d'urto, a sua volta proporzionale al quadrato della velocità) sarebbe stata inferiore, avendo la (...) un'energia cinetica all'urto di circa il 35% inferiore. Ad una minore velocità all'urto sarebbe conseguita un'azione impulsiva inferiore sulla (...), ed una conseguente minor accelerazione sul corpo del conducente. Il (...), non indossava le cinture di sicurezza, ciò che lo rendeva comunque molto vulnerabile in un urto frontale, anche nel caso di intensità inferiore". Per quanto riguarda la disposta CTU medico legale, volta a rispondere alla domanda se il corretto uso delle cinture di sicurezza avrebbe determinato un esito non mortale del sinistro, il prof. (...) ha così risposto: "dalla Letteratura emerge in maniera indiscutibile che - in generale - l'uso della cintura di sicurezza riduce in maniera considerevole il rischio di lesioni gravi/mortali (ed ancor più se si associa a questa il dispositivo airbag). Ciò detto, nella valutazione dei casi concreti risulta però indispensabile la combinata conoscenza di dati cinematici/ biomeccanici e clinico/autoptici da integrare con le conoscenze epidemiologiche/biostatistiche disponibili, al fine di cercare di giungere a determinazioni precise ed affidabili. Purtroppo, come anticipatamente precisato, nel caso in oggetto i dati tecnici disponibili (esigui e non completi quelli clinici ed assenti quelli autoptici) sono insufficienti al fine di poter fornire indicazioni dirimenti al riguardo. Si è detto che l'andamento della vicenda clinica induce a valorizzare come più probabile - in considerazione dei tempi e dei modi in cui ebbe a determinarsi il decesso - una prevalenza della componente anemizzante, senza potersi però esprimere quali-quantitavamente sulle precise lesioni che la sostenevano. I dati strumentali disponibili localizzano queste ultime in sede addominale, distretto che però può essere traumatizzato e riportare lesioni interne anche nel caso di corretto utilizzo della cintura di sicurezza, così da non poter consentire di prospettare -nello specifico caso in discussione - una motivata e perentoria graduazione tecnica di probabilità causale". Riassumendo, pare dimostrato come l'incidente si sia verificato per prevalente colpa del signor (...), che guidando in stato di ebbrezza, ha invaso la corsia di marcia in senso opposto, costringendo il signor (...) ad una manovra di emergenza che si è comunque conclusa con l'impatto dall'esito fatale. Il mancato uso delle cinture di sicurezza hanno certamente aumentato le probabilità di esito mortale del sinistro stesso, ma senza un grado di certezza tale da escludere che l'evento morte non si sarebbe comunque verificato, stante che il decesso, probabilmente, è stato determinato non tanto dall'urto della testa del conducente contro il parabrezza, piuttosto dalle lesioni da questo subite nella parte addominale, parte che sarebbe rimasta lesa, con esiti fatali, anche in ipotesi di corretto impiego delle cinture di sicurezza. Dall'altra, risulta altresì accertato che il signor (...) stesse conducendo la propria autovettura oltre i limiti di velocità, ponendosi in ogni caso come soggetto corresponsabile del relativo sinistro, anche se in misura causale del tutto inferiore rispetto al comportamento del signor (...). Orbene, il comportamento del signor (...), con le precisazioni sopra riportate, seppur non idoneo ad interrompere del tutto il nesso di causa tra la condotta del conducente dell'autovettura e l'evento dannoso, integra in ogni caso, ai sensi dell'art. 1227 c.c., primo comma, un concorso colposo nella causazione del danno. Bisogna premettere che, ai sensi dell'art. 2054 comma 1 cod. civ. il conducente è responsabile dei danni cagionati dalla circolazione del veicolo "se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno" e, nel caso di scontro tra veicoli, "si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno". Incombeva, dunque, ad entrambe le parti l'onere di superare la presunzione di colpa, provando una condotta prudente e diligente nella fattispecie concreta. Ebbene, detta presunzione non risulta superata in considerazione del costante principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione (di recente, Cass. Civ. n. 30338 del 2017) relativo alla necessità che sia data prova non solo dell'elemento negativo della condotta del conducente del veicolo, ossia del non aver violato specifiche norme di legge o di diligenza, prudenza e perizia, con particolare riguardo alla velocità idonea in relazione allo stato dei luoghi, ma anche dell'elemento positivo, consistente nel concreto e attivo tentativo di evitare in ogni modo il sinistro, approntando idonee manovre di emergenza. Dalla descritta dinamica dell'incidente risulta, quindi, non del tutto superata la presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c. citato e pertanto, alla luce di tutte le argomentazioni esposte, appare adeguato alla fattispecie concreta riconoscere al signor (...) una corresponsabilità nella misura del 85% nella produzione dell'incidente di cui è causa e alla parte convenuta contumace una corresponsabilità del 15%. 3. In punto di quantum debeatur, si osserva quanto segue. 3.1. In relazione al danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, le parti attrici lamentano il pregiudizio subito con la morte del signor (...), richiedendo, a tal fine, il relativo risarcimento del danno in loro favore, nella loro qualità, rispettivamente, di madre, fratello e sorella dello stesso. Sul punto questo Giudice ritiene di dover confermare quanto già esposto nella propria precedente sentenza Tribunale di Milano n. 6059/2022 (ex art. 118 disp. att. c.p.c.). Ebbene, già avvertivano le note cd. "sentenze gemelle" del 2003 (Cass., sent. n. 8827/2003 e 8828/2003) che "il soggetto che chiede "iure proprio" il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela "ex" art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.". Anche nelle successive cd. "sentenze San Martino" del 2008 le Sezioni Unite della Cassazione affermavano: "la perdita del prossimo congiunto cagiona pregiudizi di tipo esistenziale, i quali sono risarcibili perché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona: nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), il pregiudizio di tipo esistenziale è risarcibile appunto perché consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.)". Giova premettere che, con la voce di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, si deve intendere quel pregiudizio, subito dal prossimo congiunto, che va ad incidere tanto sul profilo della sofferenza interiore soggettiva, quanto sul piano dinamico-relazionale (Cass. n. 28989/2019). Per quanto concerne più specificamente la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, occorre ricordare quanto segue. In mancanza di parametri di quantificazione analitica, il danno da perdita del rapporto parentale, così come altre ipotesi di danno non patrimoniale, è liquidabile esclusivamente mediante il ricorso a criteri equitativi a norma del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c. L'art. 1226 c.c., nel prevedere che, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, "per una parte risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l'altra ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso". Più precisamente, "quale fattispecie, l'art. 1226 richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno medesimo. Quale clausola generale, l'art. 1226 viene a definire il contenuto del potere del giudice nei termini di "valutazione equitativa"" (così Cass., sentenza n. 10579/2021 e, nello stesso senso, Cass. sentenza n. 28990/2019). Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione. Difatti, "l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari" (Cass. n. 10579/2021; Cass. n. 12408/2011). Proprio per assicurare l'esigenza di uniformità di trattamento in situazioni analoghe e, quindi, di certezza del diritto, sono state predisposte delle Tabelle - prima di origine pretoria, poi anche di produzione legislativa - che individuano parametri uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale. Tanto più diffusa è l'applicazione sul territorio nazionale di un'unica tabella di liquidazione del danno, tanto maggiore è l'auspicata uniformità di trattamento, in ossequio al disposto dell'art. 3 Cost. La giurisprudenza di legittimità ha, però, recentemente rilevato che non ogni criterio di quantificazione del danno è in grado di assicurare la prevedibilità nell'esercizio della discrezionalità rimessa al giudice di merito. Sicuramente tale finalità è assicurata dall'adozione del sistema del punto variabile, il quale consente di pervenire ad una "conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno", con ciò definendo "un complesso di caselle entro le quali sussumere il caso, analogamente a quanto avviene con la tecnica della fattispecie, in funzione dell'uniforme risoluzione delle controversie" (Cass. n. 10579/2021). A tale tecnica di liquidazione del danno si fa ricorso nel sistema tabellare inaugurato dalle Tabelle milanesi con riferimento al danno cd. biologico: si individua la misura standard del risarcimento per l'appunto tramite il sistema del punto variabile, misura che può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Il sistema tabellare milanese disciplinante la quantificazione del danno biologico ha trovato larga diffusione sull'intero territorio nazionale, consentendo, così, di perseguire l'esigenza di prevedibilità ed uniformità delle liquidazioni giudiziali, tanto da veder riconosciuto la sua natura paranormativa (recentemente Cass. n. 8532/2020, ma già nella citata sentenza Cass. n. 12408/2011 si attribuiva alla tabella milanese "una sorta di vocazione nazionale". Per quanto qui di rilievo, occorre ricordare che l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano aveva già predisposto un sistema tabellare che fornisce parametri uniformi per la liquidazione di un'altra tipologia di danno non patrimoniale, nella specie quello da perdita del rapporto parentale. Anche tale tabella ha avuto larga diffusione sul territorio nazionale, come si evince dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche per la liquidazione di tale voce di danno non patrimoniale occorre fare riferimento ai criteri elaborati dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano (cfr. 3.2.5. Cass. n. 12408/2011). Tuttavia, in questo caso, differentemente da quanto si è visto per il danno biologico, non si è fatto ricorso alla tecnica del punto variabile, ma si è prevista fino all'anno 2021 una forbice edittale risarcitoria che consente di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto tipizzabili, in particolare: della sopravvivenza o meno di altri congiunti del nucleo familiare primario, della convivenza o meno di questi ultimi, della qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, della qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta, dell'età della vittima primaria e secondaria. Sulla base di questi parametri sono stati identificati dei valori edittali massimi e minimi, differenziati a seconda del rapporto di parentela sussistente tra danneggiato e congiunto deceduto. Proprio la tecnica di liquidazione del danno prescelta è stata censurata dalla citata sentenza Cassazione n. 10579/2021, in quanto ritenuta inadeguata a perseguire le esigenze di uniformità sottese ad ogni valutazione equitativa. Nella specie, vengono individuati due principali limiti al sistema tabellare milanese in materia di danno da perdita del rapporto parentale: da un lato, esso "si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza(ad esempio a favore del coniuge è prevista nell'edizione 2021 delle tabelle un'oscillazione fra Euro 168.250,00 e Euro 336.500,00)"; dall'altro lato, non si fa ricorso al criterio del punto variabile, il quale consentirebbe di tradurre la clausola generale dell'equità in una fattispecie, con ciò circoscrivendo l'esercizio della discrezionalità del giudice in sede di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e assicurando, conseguentemente, l'uniformità di trattamento sul territorio nazionale. Proprio tali elementi precludono alla Tabella di garantire "la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza. L'individuazione di un così ampio differenziale costituisce esclusivamente una perimetrazione della clausola generale di valutazione equitativa del danno e non una forma di concretizzazione tipizzata quale è la tabella basata sul sistema del punto variabile. Resta ancora aperto il compito di concretizzazione giudiziale della clausola, della quale, nell'ambito di un range assai elevato, viene indicato soltanto un minimo ed un massimo. In definitiva si tratta ancora di una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità. La tabella, così concepita, non realizza in conclusione l'effetto di fattispecie che ad essa dovrebbe invece essere connaturato" (Cass. n. 10579/2021). A fronte di tali considerazioni, la Corte di Cassazione auspica la predisposizione di "una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione. In particolare, i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio "a punto variabile"; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi" (Cass. n. 10579/2021). Recentemente, in data 29 giugno 2022, sono state pubblicate, sul sito del Tribunale di Milano e sul sito dell'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, le nuove tabelle elaborate dal "Gruppo danno alla persona" dell'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano e licenziate dall'intero Osservatorio milanese nella riunione del 16 maggio 2022, contenute nel documento denominato "Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale- Tabelle integrate a punti - Edizione 2022"; i Criteri orientativi sono anche corredati di due allegati: "Allegato 1. Esempi di calcolo risarcitorio confrontati con il monitoraggio" e "Allegato 2. Domande & risposte". Giova premettere che sin dal 2015 l'Osservatorio di Milano aveva iniziato un ampio monitoraggio delle sentenze in materia di liquidazione del danno da perdita/grave lesione del rapporto parentale al fine di verificare i criteri con cui i giudici liquidano questa voce di danno non patrimoniale. Negli anni successivi sono state raccolte ed esaminate circa 600 sentenze. Nel luglio 2018 il Gruppo di studio aveva rilevato l'incongruenza di una Tabella milanese che prevedeva liquidazioni per importi assai differenziati, con range in aumento fino al 100% di quello base, per genitori, figli, coniuge ed "assimilati" e fino al 500%, per il fratello ed il nonno. Dopo la citata sentenza Cass. n. 10579/2021, il Gruppo danno dell'Osservatorio decise di elaborare nuove tabelle integrate a punti sulla perdita del rapporto parentale. In primo luogo, si valutò se aderire alla tabella romana, che era l'unica tabella a punti già esistente, ma questa ipotesi fu scartata. Il gruppo dell'Osservatorio di Milano, quasi all'unanimità, nella riunione del 28.05.2021, ritenne che questa via non fosse percorribile perché: - la tabella romana non aveva estratto il valore del punto dai precedenti, a differenza di quanto indicato da Cass. 10579/2021 e certamente, come accennato, non dalla gran parte degli uffici giudiziari, in cui vengono applicati i valori monetari delle tabelle milanesi; - la tabella romana non era il frutto del confronto tra le componenti dei giudici e degli avvocati (delle vittime e delle compagnie assicuratrici) ma era nata in una riunione ex art. 47quater Ordinamento giudiziario tra i giudici di tre sezioni civili e della sezione lavoro del Tribunale di Roma; - la tabella romana appariva per un verso troppo "ingessata", perché con il semplice certificato anagrafico si potevano ottenere liquidazioni vicino al massimo di oltre Euro 300.000,00, senza una specifica allegazione ed indagine sulle concrete relazioni affettive tra vittima primaria e secondaria e, per altro verso, lasciava troppa discrezionalità al giudice di diminuire fino ad un terzo i valori monetari in assenza di convivenza; mentre, in assenza di altri familiari entro il secondo grado, prevedeva un aumento da 1/3 a 1/2, risultando quindi addirittura meno predittiva di quella milanese edizione 2021; - i valori monetari finali non risultavano allineati al monitoraggio effettuato dall'Osservatorio milanese. Il gruppo di studio dell'Osservatorio ha quindi proseguito i lavori tenendo sempre presente i seguenti "paletti", propri del metodo degli Osservatori e, cioè: 1) l'humus di partenza sono stati i valori monetari delle tabelle milanesi, in quanto seguite da almeno l'80% degli uffici giudiziari d'Italia e considerato che la sentenza della Cassazione n. 10579/2021 non ha censurato i valori monetari ma solo i criteri di applicazione. Del resto, già qualche mese dopo la sentenza n. 10579/2021, il Tribunale di Milano affermava: "E tuttavia, in attesa dell'elaborazione della "tabella a punti", appare certamente corretta l'individuazione sin d'ora dei parametri minimi e massimi previsti dalle Tabelle milanesi, che costituiscono con tutta evidenza l'humus da cui far germogliare il valore del punto" (Trib. Milano - sentenza n. 5947/2021 pubblicata il 7/07/2021); Pertanto, il valore-punto è stato determinato dividendo per 100 il valore monetario massimo previsto dalle due tabelle milanesi per la liquidazione del rispettivo danno parentale: per la perdita del parente di primo grado/coniuge ed "assimilati" il valore-punto è pari ad Euro 3.365,00 (Euro 336.500,00 : 100) e per la perdita del parente di secondo grado (nipote/fratello) il valore punto è pari ad Euro 1.461,20 (Euro 146.120,00 : 100); anche per questo motivo le tabelle sono state denominate tabelle "integrate a punti"; 2) gli importi liquidabili sono stati elaborati secondo la regola della coerenza con il monitoraggio già effettuato; 3) rispetto ed applicazione dei principi elaborati dalla Cassazione, tra cui, in primis, quelli esposti nella già citata sentenza n. 10579/2021 ed in particolare la regola per cui il "valore medio del punto" deve essere estratto dai precedenti; 4) evitare che il risarcimento si traduca in un mero calcolo matematico e le tabelle siano usate come una scorciatoia per eludere gli oneri di allegazione e prova gravanti sulle parti e l'obbligo di motivazione gravante sul giudice; le tabelle devono tener conto, invece, delle peculiarità della fattispecie concreta e dar modo ai difensori di allegare e provare (spesso anche in via presuntiva) i fatti posti a fondamento della domanda, ovvero di eccepirne l'insussistenza, ed al Giudice di motivare sul punto, sì da evitare che si liquidi un danno in re ipsa. Anche recentemente la Corte di Cassazione ha ribadito che il giudice di merito deve valutare analiticamente "tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio)in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. 'tabellare' in tema di perdita del rapporto parentale" (Cass. 11689/2022). Come già scritto anche nei criteri orientativi delle tabelle milanesi ed. 2021: "Rimane sempre fermo il dovere di motivazione dei criteri adottati per graduare il risarcimento nel range previsto dalla Tabella od anche (eccezionalmente) al di fuori della stessa; come si legge nella sentenza n. 12408/2011, la Tabella esprime un valore "equo", "e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità". I parametri rilevanti, indicati dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 10579/2021 sono quelli già previsti in linea generale dalle precedenti versioni delle tabelle milanesi: corrispondenti all'età della vittima primaria e della vittima secondaria, alla convivenza tra le due, alla sopravvivenza di altri congiunti, alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta. Per distribuire i punti tra le dette circostanze il G.D. alla persona dell'Osservatorio di Milano ha proceduto per tentativi con tante simulazioni su dei "casi", confrontando gli importi monetari liquidabili in base alle ipotesi di distribuzione dei punti e le liquidazioni in concreto riconosciute dai giudici di merito per casi simili nelle sentenze raccolte con il monitoraggio. In definitiva, quindi, nelle nuove tabelle integrate a punti (edizione 2022) è stato previsto un punteggio per ognuno dei menzionati parametri: si determina così il totale dei punti secondo le circostanze presenti nella fattispecie concreta e quindi si moltiplica il totale dei punti per il menzionato "valore punto" (pari ad Euro 3.365,00 ed Euro 1.461,20), pervenendo così all'importo monetario liquidabile. Giova sottolineare che le cinque circostanze considerate ai fini della distribuzione dei punti non costituiscono ciascuna un pregiudizio in sé ovviamente, ma integrano tutte elementi che rivelano - secondo le note massime di comune esperienza, cfr. Cass. 25164/2020- l'esistenza e consistenza di una sofferenza soggettiva e di pregiudizi dinamico-relazionali derivanti dalla perdita del parente. Le prime quattro circostanze (età della vittima primaria e della vittima secondaria, convivenza tra le due, sopravvivenza di altri congiunti) hanno natura "oggettiva" e sono quindi "provabili" anche con documenti anagrafici; la quinta circostanza (lett. "E", qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto) è invece di natura "soggettiva" e riguarda sia gli aspetti cd "esteriori" del danno da perdita del parente (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia gli aspetti cd "interiori" di tale danno (sofferenza interiore) e deve essere allegata, potendo poi essere provata anche con presunzioni. Nell'apprezzamento dell'intensità e qualità della relazione affettiva (lett. "E"), si dovrà valutare lo specifico rapporto parentale perduto, con tutte le caratteristiche obiettive e soggettive, sulla scorta di quanto allegato e provato (anche con il ricorso alle presunzioni) in causa. Infine, si è rimesso al singolo giudice la scelta se procedere alla liquidazione dei valori monetari riconducibili al parametro "E" con un unico importo monetario o con somme distinte per ciascuna delle menzionate voci/componenti del danno non patrimoniale: sofferenza soggettiva interiore e dimensione dinamico relazionale. Ai fini dell'attribuzione dei punti per il parametro "E" (fino ad un massimo di 30 punti nelle due tabelle), il giudice potrà tenere conto, sia delle circostanze obiettive di cui ai precedenti 4 parametri ("obiettivi") e delle consequenziali valutazioni presuntive, sia di ulteriori circostanze che siano allegate e provate (anche con presunzioni) relative, ad esempio, ma non solo, alle seguenti circostanze di fatto: - frequentazioni/contatti (in presenza o telefonici o in internet), - condivisione delle festività/ricorrenze, - condivisione di vacanze, - condivisione attività lavorativa/hobby/sport, - attività di assistenza sanitaria/domestica, - agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria, - altri casi. In entrambe le nuove tabelle integrate a punti ed. 2022, in coerenza con i criteri orientativi delle precedenti tabelle milanesi ed. 2021, si conferma il principio che "non esiste un minimo garantito", con l'espressa avvertenza che "contrasti di rilevante intensità o controversie giudiziarie tra le due vittime, violenze o reati commessi dalla vittima secondaria nei confronti della vittima primaria possono ridurre, fino ad azzerare, l'ammontare risarcitorio riconosciuto in base a tutti i parametri/punti della tabella". Si conferma altresì, come per la precedente edizione 2021, che per il danno da perdita del rapporto parentale (come peraltro per quelle del danno biologico), vanno distinte le ipotesi integranti reati colposi o dolosi; le tabelle si applicano solamente alle prime. Nelle fattispecie in cui l'illecito sia stato cagionato con dolo, spetta al giudice valutare tutte le peculiarità del caso concreto e pervenire eventualmente ad una liquidazione che superi l'importo massimo previsto in tabella. Infatti, nelle ipotesi di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale conseguente a rapina, sequestro di persona, percosse, violenza sessuale, ecc., senza aderire alla tesi del c.d. "danno punitivo" (nettamente smentita dalla sentenza Cass. Sez. U. n. 15350/2015 e ben circoscritta dalla sentenza Cass. Sez. U. n. 16601/2017), è indubbio che sia (di regola) maggiore l'intensità delle sofferenze psicofisiche patite dalla vittima primaria e secondaria. Anche nella sentenza Cass. n. 10579/2021 si afferma: "Poiché si tratta di un'opera di astrazione dalle decisioni della giurisprudenza di merito, la tabella non ha la cogenza del dettato legislativo e consente pertanto la riespansione della clausola generale se le peculiarità del caso concreto non tollerano la sussunzione nella fattispecie tabellare. A parte la previsione di "finestre" per l'aumento in ragione delle peculiarità del caso, è sempre data la possibilità al giudice di liquidare il danno, oltre i valori massimi o minimi previsti dalla tabella, in relazione a casi la cui eccezionalità, specificatamente motivata, fuoriesca ictu oculi dallo schema standardizzato". Alla luce di quanto esposto, dei Criteri orientativi e degli allegati pubblicati sul sito del Tribunale di Milano, può dunque concludersi che le nuove tabelle integrate a punti elaborate dall'Osservatorio di Milano siano coerenti con i principi di diritto enunciati nella sentenza Cass. n. 10579/2021 e possano essere utilizzati dal giudice per determinare una liquidazione equa, uniforme e prevedibile del danno da perdita del rapporto parentale. Ritiene inoltre questo giudice che nella liquidazione del danno non patrimoniale occorre fare riferimento alla tabella più recente in uso al momento della decisione (Cass., ord. n. 13269/2020 e cfr. anche Cass. Sentenza n. 28994/2019, nell'ipotesi di successiva emanazione di una tabella normativa). E dunque, nella fattispecie concreta, potranno agevolmente applicarsi le nuove tabelle milanesi integrate a punti - edizione 2022. Ebbene, in applicazione delle nuove "tabelle milanesi integrate a punti" si devono riconoscere all'attrice (...), madre convivente del signor (...), i seguenti punti: punti 18 in considerazione dell'età della vittima primaria: 55 anni alla data del decesso (lett. "A" della Tabella); punti 8 in considerazione dell'età della vittima secondaria: 84 anni alla data del decesso del figlio (lett. "B" della Tabella); punti 16 in relazione alla lett. "C" della Tabella in forza dello stato di convivenza; punti 12 in considerazione della sopravvivenza di n. 2 superstiti (lett. "D" della Tabella); punti 20 in considerazione della qualità e intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale perduto (lett. "E" della Tabella); per un totale quindi di punti 74, pari ad Euro 249.010,00 (74 punti x Euro 3.365,00). Accertato il concorso di colpa del signor (...) nella causazione del sinistro pari al 85%, deve essergli riconosciuta all'attrice (...), a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale, la cifra complessiva, già rivalutata, di Euro 37.351,50. All'attore, (...), fratello convivente del signor (...), i seguenti punti: punti 12 in considerazione dell'età della vittima primaria: 55 anni alla data del decesso (lett. "A" della Tabella); punti 14 in considerazione dell'età della vittima secondaria: 49 anni alla data del decesso del fratello (lett. "B" della Tabella); punti 20 in relazione alla lett. "C" della Tabella in forza dello stato di convivenza; punti 12 in considerazione della sopravvivenza di n. 2 superstiti (lett. "D" della Tabella); punti 15 in considerazione della qualità e intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale perduto (lett. "E" della Tabella); per un totale quindi di punti 73, pari ad Euro 106.667,60 (73 punti x Euro 1.461,20). Accertato il concorso di colpa del signor (...) nella causazione del sinistro pari al 85%, deve essergli riconosciuto all'attore (...), a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale, la cifra complessiva, già rivalutata, di Euro 16.000,00. All'attrice, (...), sorella non convivente del signor (...), i seguenti punti: punti 12 in considerazione dell'età della vittima primaria: 55 anni alla data del decesso (lett. "A" della Tabella); punti 12 in considerazione dell'età della vittima secondaria: 60 anni alla data del decesso del fratello (lett. "B" della Tabella); zero punti in relazione alla lett. "C" della Tabella in forza dello stato di non convivenza; punti 12 in considerazione della sopravvivenza di n. 2 superstiti (lett. "D" della Tabella); punti 12 in considerazione della qualità e intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale perduto (lett. "E" della Tabella); per un totale quindi di punti 48, pari ad Euro 70.137,60 (48 punti x Euro 1.461,20). Accertato il concorso di colpa del signor (...) nella causazione del sinistro pari al 85%, deve essergli riconosciuto all'attrice (...), a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale, la cifra complessiva, già rivalutata, di Euro 10.521,00. 3.2. In relazione al danno patrimoniale, le parti attrici chiedono il relativo risarcimento. In particolare è stato documentato il rimborso delle spese per la perizia di parte dell'ing. (...), per Euro 1.317,60, prodotta in atti in capo all'attrice (...). Detta somma deve essere riconosciuta nella misura del 50%, e non del 15%, in quanto la perizia di parte è risultata comunque utile ai fini dell'accertamento in contraddittorio della dinamica dell'incidente di cui è causa. Pertanto la somma di Euro 658,80, rivalutata ad oggi è pari a Euro 765,00, e i convenuti in solido devono essere condannati al relativo pagamento a favore dell'attrice (...). Per quanto riguarda le spese di assistenza stragiudiziale, le stesse - anche in considerazione del richiamato concorso di colpa in capo al signor (...) - vengono riconosciute nella complessiva somma di Euro 375,00, da liquidarsi in favore degli attori in solido ed a carico dei convenuti in solido. Gli interessi compensativi - secondo l'ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione; per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata. Pertanto, alla luce di tale criterio di calcolo, il convenuto (...), in solido con la compagnia assicuratrice (...) spa devono essere condannati al pagamento, in favore degli attori delle seguenti somme: Per l'attrice (...), la complessiva somma di Euro 37.351,50 liquidata in moneta attuale, oltre: interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell'1%, sulla somma di Euro 37.351,50 dalla data del 22 aprile 2017 ad oggi; interessi, al tasso legale, sulla complessiva somma di Euro 37.351,50, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Per l'attore (...), la complessiva somma di Euro 16.000,00 liquidata in moneta attuale, oltre: interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell'1%, sulla somma di Euro 16.000,00 dalla data del 22 aprile 2017 ad oggi; interessi, al tasso legale, sulla complessiva somma di Euro 16.000,00 dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Per l'attrice (...), la complessiva somma di Euro 10.521,00 liquidata in moneta attuale, oltre: interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell'1%, sulla somma di Euro 10.521,00 dalla data del 22 aprile 2017 ad oggi; interessi, al tasso legale, sulla complessiva somma di Euro 10.521,00, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Inoltre, per l'attrice (...), l'ulteriore somma di Euro 765,00 liquidata in moneta attuale, oltre: interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell'1%, sulla somma di Euro 765,00 dalla data del 31 dicembre 2018 ad oggi; interessi, al tasso legale, sulla complessiva somma di Euro 765,00, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. 4. Consegue alla parziale e limitata soccombenza, la condanna dei convenuti in solido a rifondere alle parti attrici il 15% delle spese processuali relative al presente giudizio, da liquidarsi in favore dell'avv. Ma.Im., antistatario ex art. 93 c.p.c., con compensazione tra le parti del rimanente 85%. Le spese delle consulenze tecniche d'ufficio vanno poste, per il 50%, a carico delle parti convenute in solido fra loro e, per il 50%, a carico delle parti attrici, trattandosi di accertamenti tecnici necessari ai fini di una corretta decisione. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede: - dichiara la responsabilità concorrente del signor (...) e del convenuto (...) nella causazione dell'incidente verificatosi il 22 aprile 2017, nella misura, rispettivamente, del 85% e del 15%; - condanna il convenuto (...), in solido con la (...) spa, al pagamento, in favore dell'attrice (...), della somma di Euro 37.351,50, oltre interessi come specificato in motivazione; - condanna il convenuto (...), in solido con la (...) spa, al pagamento, in favore dell'attore (...), della somma di Euro 16.000,00, oltre interessi come specificato in motivazione; - condanna il convenuto (...), in solido con la (...) spa, al pagamento, in favore dell'attrice (...), delle somme di Euro 10.521,00 e di Euro 765,00, oltre interessi come specificato in motivazione; - rigetta le altre domande ed istanze proposte dalle parti; - condanna il convenuto (...) in solido con la (...) spa, al pagamento, in favore delle parti attrici in solido, del 15% delle spese processuali che, in tale proporzione, liquida in Euro 375,00 per spese stragiudiziali, Euro 90,00 per esborsi ed anticipazioni, Euro 4.050,00 per onorario di avvocato, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre C.P.A. ed I.V.A. somma da distrarsi in favore dell'avv. Ma.Im., antistatario, con compensazione tra le parti del rimanente 85% - pone le spese delle CTU per il 50% a carico delle parti attrici in solido ed il restante 50% a carico dei convenuti in solido; - dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Milano il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA XVII Sezione civile in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Fausto Basile, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 60037 del R.G.A.C.C. dell'anno 2019, e vertente tra (...) S.p.A., rappresentata dal Dott. (...), giusta delibera di conferimento dei poteri, rappresentata e difesa in virtù di mandato allegato all'atto di citazione in appello dall'Avv. Pa.Ci. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Ca.Na., sito in Roma, Via (...) APPELLANTE e (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura generale alle liti per atto del notaio Pi.Am., registrato a Roma il 6 aprile 2017, dall'Avv. Do.Fe., ed elettivamente domiciliata in Roma, viale (...); APPELLATA avverso e per la riforma della sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 10538/2019, del 15.04.2019. OGGETTO: titoli di credito. FATTO E DIRITTO Con atto di appello ritualmente notificato, (...) S.p.A. (in sede di prime cure (...) S.p.A. oggi incorporata da (...) S.p.A.; di seguito, anche (...)) ha impugnato, dinanzi all'intestato Tribunale, la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Roma, n. 10538/2019, depositata il 15.04.2019, con la quale è stata rigettata la domanda formulata nei confronti di (...) S.p.A. (di seguito anche (...)). L'odierna appellante ha dedotto di aver chiesto in primo grado la condanna di (...) S.p.A. al pagamento della somma di Euro 1.785,21 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, per avere la stessa pagato negligentemente, a soggetto diverso dal legittimo beneficiario, l'assegno di traenza "non trasferibile" n. (...) intestato a (...), dell'importo di Euro 1.785,21. Si costituiva in giudizio, di fronte al giudice di pace di Roma, (...) S.p.A. che sosteneva di aver legittimamente negoziato il titolo in questione e chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda attorea. La causa veniva istruita con CTU sul titolo oggetto di causa e all'esperto veniva posto il seguente quesito: "dica il CTU se l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.785,21 intestato a (...) presenti elementi di contraffazione nel nome del beneficiario, rilevabili ictu oculi". Espletata la CTU, il Giudice di Pace di Roma, con sentenza n. 10538/2019, rigettava la domanda di (...) con conseguente sua condanna al pagamento delle spese di lite. (...), con il proposto appello, lamenta l'erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto provato che la convenuta avesse diligentemente adempiuto agli obblighi sulla stessa incombenti in sede di negoziazione dei titoli di credito, sulla base dell'errato presupposto per cui la stessa aveva provveduto a verificare sia la regolarità dell'assegno presentato che l'identità della persona che ne aveva chiesto la riscossione, il Sig. (...), identificato tramite carta d'identità. Al riguardo, rileva parte appellante che il titolo per cui è causa, negoziato presso (...), è un assegno di traenza contraffatto nel nominativo. Infatti, l'appellante ritiene di aver provato documentalmente, senza peraltro aver smentita alcuna, che l'originario assegno era stato emesso da (...) S.p.a. su mandato di (...) S.p.A. in favore del Sig. (...), nei confronti del quale ha dovuto effettuare un secondo pagamento. (...), invece, ha negoziato l'assegno contraffatto in favore del sedicente (...). L'appellante ha altresì censurato il punto di motivazione della sentenza impugnata che sottintende il fatto che (...) non potrebbe essere considerata responsabile poiché il pagamento a soggetto diverso dal beneficiario sarebbe dipeso dal mancato invio del messaggio di blocco da parte della trattaria (...). A tale riguardo, (...) ha evidenziato che l'impiego della procedura di invio denominata di check truncation si caratterizza per il fatto che la banca negoziatrice omette di presentare il titolo (in originale o copia fotografica) alla banca trattaria, limitandosi a trasmetterle, in forma elettronica, solo taluni dati (il numero dell'assegno, l'importo, data di emissione), tra cui non è compreso il nominativo del soggetto indicato sul titolo come beneficiario. A detta dell'appellante, nel caso di specie si dovrebbe escludere qualsiasi responsabilità in capo alla banca trattaria, giacché, in quanto banca emittente, nel sistema di negoziazione sopra descritto, non ha avuto alcuna possibilità di esaminare gli assegni nella loro materialità e, quindi, di potersi avvedere di eventuali falsificazioni dei titoli, ma ha ricevuto solo il flusso elettronico dei dati ad esso relativi, comunicatole dall'Ufficio Postale. L'appellante ha altresì evidenziato l'erroneità delle argomentazioni del Giudice di Pace circa la presunta responsabilità della Compagnia assicuratrice per le modalità di spedizione del titolo di credito al titolare del rimborso, laddove afferma che: "Nel corso del giudizio, la (...) S.p.A. non ha comprovato la data di spedizione dell'assegno, né di aver usato tutte le cautele previste dalla legge, come stabilito dall'art. 83 del D.P.R. n. 156 del 1973 che fa espresso divieto di includere nella corrispondenza ordinaria denaro o preziosi". Infatti, l'invio dell'assegno a mezzo posta ordinaria non può considerarsi causale rispetto al danno consequenziale alla erronea identificazione del presentatore, non potendosi affermare a priori, ai fini di cui all'art. 1227 c.c., che l'utilizzo di tale accorgimento avrebbe impedito il verificarsi dell'evento dannoso, laddove, come nella specie, non risultano accertate le modalità con cui in concreto è avvenuta la sottrazione del titolo; mentre, qualora l'Ufficio Postale avesse tenuto un comportamento diligente in occasione della negoziazione del titolo, l'evento dannoso si sarebbe certamente evitato. Si è costituita nel giudizio di appello (...) S.p.A. contestando tutto quanto dedotto dall'appellante. In particolare, la carenza di legittimazione attiva della (...) S.p.A. in quanto non avrebbe provato di avere effettivamente subito il danno lamentato, attraverso nella rinnovazione del pagamento al presunto beneficiari del titolo in contestazione. Circa invece i primi due motivi, l'appellata ha evidenziato che l'Ufficio Postale presso il quale era stato negoziato l'assegno aveva provveduto ad identificare il presentatore del titolo, dietro presentazione di apposito documento di identità e codice fiscale, in apparenza perfettamente regolari; aveva verificato la rispondenza della sottoscrizione del titolo con quella depositata dal cliente; aveva verificato, secondo le proprie competenze, la regolarità dell'assegno e l'intestazione del medesimo titolo. Tra l'altro, l'assegno era stato regolarmente pagato dopo l'esame dei dati trasmessi dalla Banca emittente con l'ausilio della Rete Nazionale Interbancaria e, quindi, accreditato sul libretto postale del presentatore. Ha contestato, altresì, trattandosi di orientamento superato, la tesi avversaria dell'asserita sussistenza di una responsabilità "da contatto sociale" della banca negoziatrice che paghi un assegno bancario non trasferibile a persona diversa dal legittimo prenditore, a prescindere dalla sussistenza della colpa nell'errore sulla identificazione di quest'ultimo. Difatti, il più recente orientamento delle SS.UU. della Corte di Cassazione ha escluso la natura extracontrattuale di detta responsabilità riconducendola nell'alveo della responsabilità contrattuale dove la colpa (presunta) assume fondamentale rilevanza potendo essere esclusa solamente dalla prova, posta a carico del debitore e fornita, nella fattispecie in esame da (...), del comportamento diligente della banca che ha negoziato il titolo. Ha, infine, rilevato l'appellata come il titolo in contestazione, essendo stato inviato a mezzo posta ordinaria, non fosse stato spedito con le dovute cautele imposte dalla normativa vigente, ossia mediante posta assicurata, secondo quanto prescritto dall'art. 83 del D.P.R. del 29 marzo 1973, n. 156 che fa espresso divieto di includere nelle corrispondenze ordinarie e raccomandate, denaro e oggetti preziosi. Infatti, la trasmissione dell'assegno de quo a mezzo posta ordinaria non solo non avrebbe evitato che l'assegno finisse in mani sbagliate ma neppure avrebbe garantito la possibilità di avere un riscontro su eventuali anomalie verificatesi durante l'iter di consegna. All'udienza del 5.11.2020, nessuno è comparso, il Giudice ha rinviato per gli stessi incombenti all'udienza del 07.07.2021. All'udienza del 07.07.2021 il Giudice ha rinviato per precisazione delle conclusioni alla udienza a trattazione scritta del 26.10.2022, disponendo altresì, a cura della Cancelleria, l'acquisizione del fascicolo di primo grado. All'esito dell'udienza a trattazione scritta del 26.10.2022, il Giudice ha trattenuto la causa in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e le memorie di replica. L'appello va accolto per le ragioni di seguito indicate. Innanzitutto, non coglie nel segno eccezione preliminare, riproposta anche in appello da parte appellata, di carenza di legittimazione attiva dell'odierna appellante per non avere la stessa fornito la prova del mancato ricevimento del titolo da parte del legittimo beneficiario (...), né della duplicazione del pagamento nei suoi confronti e quindi della perdita economica sofferta. In astratto, va riconosciuta legittimazione del soggetto che ha richiesto l'emissione da parte della banca di un assegno di traenza riscosso da un destinatario diverso dall'effettivo beneficiario ad agire nei confronti della banca negoziatrice dello stesso assegno per il pregiudizio economico subito. Nel caso concreto, la CTU espletata nel giudizio di primo grado ha accertato - come si vedrà meglio con riferimento alla diligenza dell'odierna appellata - l'avvenuta alterazione - sia pure non visibile ictu oculi - del titolo nella parte dell'intestazione del beneficiario. Ebbene, l'avvenuta falsificazione del nominativo del beneficiario dell'assegno di traenza in contestazione, dimostra la circostanza dell'originaria emissione del titolo in favore di un soggetto diverso da colui che l'ha presentato per l'incasso presso le (...). Di poi, il fatto che l'assegno è stato incassato da un soggetto diverso dall'intestatario originario, prova altresì che la provvista che la Compagnia aveva fornito alla trattaria (...) S.p.A., è stato impiegato indebitamente, con conseguente danno patrimoniale per la (...). Il danno per la Compagnia appellante è rappresentato proprio dal mancato incasso del titolo da parte di chi era legittimato all'incasso e non presuppone la dimostrazione di un secondo pagamento in favore di quest'ultimo. Difatti, in caso di assegno di traenza, emesso dalla banca trattaria a fronte della costituzione della relativa provvista da parte del richiedente, il pregiudizio economico subito da quest'ultimo non postula la dimostrazione dell'avvenuta effettuazione di un nuovo pagamento in favore del prenditore, potendo essere ravvisato nella mera perdita dell'importo versato o addebitato a causa dello indebito pagamento del titolo (cfr. Cass. S.U. n. 9769/2020). Passando al merito, vanno trattati congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione, i primi due motivi di appello che censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto la domanda attorea sul presupposto del riconoscimento della diligenza di (...) nella negoziazione dell'assegno di traenza per cui è causa. Ai fini dell'inquadramento sistematico della fattispecie in esame, va preliminarmente accertata la natura della responsabilità della banca che paga un assegno bancario non trasferibile a persona diversa dalla persona cartolarmente legittimata come prenditore. Al riguardo, occorre richiamare l'orientamento giurisprudenziale tracciato dalla pronuncia delle SS.UU. n. 14712/2007, secondo cui "la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall'art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l'incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha - nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno - natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso". Inquadrata in ambito contrattuale la responsabilità dell'istituto negoziatore, si è registrato, tuttavia, un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione, che qui rileva, dei limiti della responsabilità della banca in caso di pagamento di un assegno non trasferibile a un soggetto diverso dall'effettivo beneficiario, in ragione di un'errata identificazione di colui che presenti il titolo per l'incasso o del mancato riconoscimento della contraffazione del titolo stesso. Secondo l'orientamento giurisprudenziale inaugurato da Cass. n. 1098/1999 - che, a sua volta, ristabiliva il principio enunciato da Cass. n. 3133 del 1958 - "l'art. 43 del R.D. n. 1736 del 1933 disciplina in modo autonomo la fattispecie dell'adempimento dell'assegno non trasferibile, derogando sia alla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile, sia al disposto di diritto comune dettato, in tema di obbligazioni, dall'art. 1189 c.c. (che dispone la liberazione del debitore adempiente in buona fede in favore del creditore apparente), con la conseguenza che la banca, nell'effettuare il pagamento in favore di persona diversa dal legittimato, non è liberata dalla propria obbligazione finché non paghi nuovamente al prenditore esattamente individuato l'importo dell'assegno, a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sulla identificazione di quest'ultimo". Tale indirizzo interpretativo, seguito da diverse pronunce di legittimità (Cass., n. 3654/2003; Cass. 7949/2010), era stato più recentemente ribadito da Cass. 3405/2016 e da Cass. 4381/2017. A tale soluzione ermeneutica, si contrapponeva quella giurisprudenza che, facendo leva sui normali criteri di attribuzione della responsabilità per colpa in materia di obbligazioni, ritenute applicabili anche all'attività bancaria, affermava il diverso principio di diritto secondo il quale "se il pagamento dell'assegno bancario non trasferibile è fatto a chi si legittima cartolarmente come prenditore dell'assegno, colui che ha eseguito il pagamento ne risponde verso il prenditore a norma dell'art. 43, secondo comma, della legge sull'assegno bancario n. (...) del 1933 - applicabile anche all'assegno circolare in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 86 della stessa legge - soltanto se non ha usato la dovuta diligenza nell'identificazione del presentatore dell'assegno, in quanto la disposizione di cui al secondo comma del citato art. 43 R.D. n. 1736 del 1933, laddove sancisce la responsabilità per il pagamento di chi paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, si riferisce non alla persona fisica del prenditore, ma alla legittimazione cartolare cioè alla persona che non è legittimata come prenditore, e, quindi, non comporta deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale" (Cass. n. 2360/1968; Cass. n. 686/1983; Cass. n. 9888/1997). Tale orientamento era stato più recentemente confermato da Cass. n. 1377/2016. Il contrasto atteneva quindi alla portata dell'art. 43 L.A., interpretato, da una parte della giurisprudenza, con riferimento agli oneri di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale, sul presupposto che l'art. 43 R.D. n. 1736 del 1933, comma 2, citato, regolasse in modo autonomo l'adempimento del pagamento dell'assegno non trasferibile, con deviazione anche dalla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile dettata dall'art. 1992 c.c. e, da altra parte, come riferibile solo alla disciplina della circolazione dell'assegno bancario, trasformato in titolo a legittimazione invariabile. Questo Giudicante, in alcuni precedenti in termini, ha già ritenuto di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che interpreta l'art. 43 L.A. come riferibile solo alla disciplina della circolazione dell'assegno bancario trasformato in titolo a legittimazione invariabile, dal momento che esso - al fine della disciplina della responsabilità della banca per il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario - opera una corretta distinzione tra ipotesi completamente diverse tra di loro. Da un canto, quella del pagamento a colui che non è legittimato cartolarmente come prenditore del titolo non trasferibile e, dall'altro canto, quelle, del tutto diverse, della erronea identificazione del soggetto che appare cartolarmente legittimato e del colpevole mancato riconoscimento dell'alterazione del titolo. Risulta chiara la differenza tra le due ipotesi: nel primo caso, la banca paga a Caio, non legittimato, mentre Tizio è l'intestatario dell'assegno munito di clausola di non trasferibilità; nel secondo caso, in cui non vi è alcuna girata fatta in violazione della clausola di non trasferibilità, la banca paga ad un soggetto di nome Tizio, effettivo intestatario dell'assegno, senza però controllare con la dovuta diligenza se la persona che si presenta all'incasso sia veramente Tizio, oppure un soggetto diverso che ha falsificato il nome del prenditore dell'assegno e/o il documento con il quale si è fatto identificare come Tizio. Seguire l'opposto orientamento, che afferma la responsabilità della banca a prescindere dalla colpa anche nell'ipotesi di errata identificazione del prenditore o di alterazione del titolo, porterebbe a trattare alla stessa maniera ipotesi radicalmente diverse tra di loro. Esso, inoltre, verrebbe a creare, nell'ambito delle stesse ipotesi, un'ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra la disciplina della responsabilità della banca che negozia un assegno a legittimazione variabile e quella della banca che negozia un assegno a legittimazione invariabile; la prima, basata sulla diligenza media e, la seconda, sulla natura oggettiva della sua responsabilità. Ciò posto, la responsabilità oggettiva della banca (o come, nel caso di specie, di (...)) si giustifica soltanto nel caso in cui negozi un titolo non trasferibile violando le specifiche prescrizioni del primo comma dell'art. 43, L.A., ovvero quando paghi il titolo con clausola di non trasferibilità a un soggetto diverso da quello che risulta avere la legittimazione cartolare ai sensi della medesima norma (pagamento a Caio di un assegno di traenza il cui prenditore legittimato cartolarmente risulta Tizio). Nei distinti casi di errore nella identificazione del soggetto legittimato cartolarmente e nel riconoscimento della contraffazione del titolo, appare dunque corretto l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la responsabilità della banca (sia quella trattaria che quella negoziatrice) non possa prescindere da una valutazione in concreto sull'uso della diligenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze, essendo applicabili all'attività bancaria le disposizioni generali di cui agli artt. 1176, comma 2, c.c. e 1992, comma 2, c.c. A comporre il contrasto giurisprudenziale innanzi indicato, risolto in favore di quest'ultima interpretazione, sono recentemente intervenute le SS.UU. con le sentenze nn. 12477 e 12478/2018. Una volta ricondotta la condotta della banca negoziatrice nell'ambito della responsabilità contrattuale derivante da contatto qualificato (come affermato dalle citate SS.UU. n. 14712/2007), le SS.UU. hanno ritenuto che la tesi secondo la quale la banca risponde del pagamento dell'assegno non trasferibile prescindendo dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sull'identificazione non possa più essere sostenuta. Una forma di responsabilità oggettiva, infatti, potrebbe predicarsi solo in difetto di un rapporto in senso lato contrattuale tra danneggiante e danneggiato, come ad esempio nelle ipotesi tipiche disciplinate dagli artt. 2048/2053 c.c., appartenenti però all'ambito della responsabilità aquiliana, laddove, invece, nella logica della responsabilità contrattuale (anche nella forma della responsabilità da contatto sociale qualificato), la colpa torna a recuperare la propria centralità ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c.. La conseguenza che le SS.UU. ricavano da tali considerazioni di carattere generale consiste nel fatto che, nell'azione promossa dal presunto danneggiato, la banca che ha pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore "è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2 comma dell'art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve". In tal modo, la funzione assolta dall'art. 43, comma 2, L.A. consiste nell'impedire la circolazione del titolo, predisponendo "una sanzione di responsabilità cartolare, il cui presupposto risiede nella circostanza che non si è pagato ad un soggetto legittimato come prenditore del titolo" e si pone, pertanto, su un piano differente rispetto alla responsabilità civile collegata all'errore nell'identificazione dell'effettivo prenditore. Dunque, la responsabilità risarcitoria della banca, nel caso di pagamento di assegni bancari non trasferibili a soggetto diverso da colui che appare cartolarmente legittimato, non può discendere oggettivamente dall'art. 43, secondo comma, legge assegno, ma rimane collegata alla mancata o negligente identificazione del presentatore del titolo o al colpevole mancato riconoscimento dell'alterazione dello stesso, alla stregua della diligenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze. Orbene, nella delineata prospettiva della diligenza richiesta alla banca negoziatrice di titoli, la S.C. ha più volte affermato che, nel caso di pagamento di un assegno circolare trafugato ed alterato, non basta, ai fini dell'applicazione dell'art. 43, comma 2, del R.D. n. 1736 del 1933, la mera rilevabilità dell'alterazione, occorrendo che la stessa sia visibile "ictu oculi", in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né deve essere un esperto grafologo. Il giudice di merito deve, pertanto, verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o - piuttosto - se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo, o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche (Cass., 1377/2016; cfr. Cass. 6524/2000; 15066/2005; 20292/2011; 6513/2014). Sempre con riferimento alla diligenza professionale media richiesta nell'attività bancaria, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la banca, cui sia presentato un assegno per l'incasso, ha il dovere di pagarlo se le eventuali irregolarità (falsificazione o alterazione) dei requisiti esteriori non siano rilevabili con la normale diligenza inerente all'attività bancaria che coincide con la diligenza media, non essendo la stessa tenuta a predisporre un'attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell'autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per la riscossione (Cass., n. 6524/2000). Del resto, la banca negoziatrice non è tenuta a predisporre particolari attrezzature idonee ad evidenziare il falso, né i suoi dipendenti debbono avere una particolare competenza in grafologia, in quanto sussiste la diligenza della banca trattaria nel riscontrare la corrispondenza delle firme di traenza allo "specimen" depositato dal correntista quando la difformità delle sottoscrizioni non sia rilevabile ad un esame attento, benché a vista, del titolo (Cass., n. 12761/1993). Ciò posto, quello dedotto nel presente giudizio non rientra tra i casi nei quali la responsabilità di parte convenuta va ricondotta all'ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all'art. 43, secondo comma, L.A. (pagamento a Caio di un assegno di traenza il cui prenditore legittimato cartolarmente è Tizio), bensì si tratta di un caso nel quale la responsabilità deve essere valutata alla stregua dell'uso concreto della diligenza richiesta al bancario medio sulla base delle sue conoscenze, in applicazione dei principi generali di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 1992, secondo comma, c.c. Ne discende allora che, poiché la responsabilità della banca negoziatrice di un assegno (circolare o bancario) è di tipo contrattuale, una volta contestato l'inesatto adempimento dell'obbligazione di pagamento, spetta alla stessa banca negoziatrice provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., di aver correttamente operato, ovvero, non essendo sufficiente una generica prova di diligenza, dimostrare la sussistenza di una impossibilità della prestazione non imputabile alla luce del canone di diligenza del banchiere professionale, ai sensi degli artt. 1176 secondo comma c.c. e 1992, secondo comma, c.c. Nella fattispecie in esame, l'indagine che il Giudice è chiamato ad effettuare riguarda, dunque, l'osservanza dell'obbligo di diligenza, anche sotto il profilo della colpa lieve, di (...) sia in relazione al colpevole mancato riconoscimento della contraffazione del titolo consistente nella sostituzione del nome del beneficiario originario con quello del soggetto che ha presentato all'incasso l'assegno, che con riferimento alla non corretta identificazione del medesimo soggetto portatore del titolo. Alla stregua dei principi giurisprudenziali innanzi richiamati (Cass., 1377/2016; Cass., 6513/2014; Cass., 20292/2011; Cass., 15066/2005; Cass. 6524/2000), la misura della diligenza richiesta alla banca negoziatrice, in caso di falsificazione del titolo, necessita di "un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche". Al riguardo, va osservato che, sebbene ai fini della corretta identificazione del presentatore del titolo l'obbligo di diligenza e di protezione a carico della banca negoziatrice non possa essere spinto fino al punto di imporre all'impiegato addetto di verificare la falsità del documento di identità o di riconoscimento, trattandosi di una cautela estremamente difficile da rispettare anche usando l'ordinaria diligenza, nondimeno, per andare esente da responsabilità, è necessario che essa dimostri di aver adottato tutte le cautele del caso soprattutto in presenza di quegli elementi di sospetto e di allarme innanzi indicati. Inoltre, alla stregua delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione, "In tema di titoli di credito, la banca negoziatrice, chiamata a rispondere del danno derivato dal pagamento di un assegno non trasferibile a soggetto che successivamente risulti non essere il beneficiario del titolo, è ammessa a provare che l'inadempimento non è a lei imputabile, ma, trattandosi di operatore professionale qualificato, contrattualmente responsabile anche per colpa lieve in virtù del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, c.c. e 43, comma 2, R.D. n. 1736 del 1933, è tenuta ad offrire una prova liberatoria in grado di escludere anche tale colpa. (Fattispecie relativa al pagamento di un assegno di traenza, inviato al beneficiario a mezzo posta ordinaria e pagato ad un soggetto che poi si è rivelato estraneo al rapporto cartolare)." (Cass. 17737/2019). Nella fattispecie in esame, il Giudice di primo grado ha disposto apposita CTU al fine di accertare se l'assegno in contestazione presentasse elementi di contraffazione nel nome del beneficiario, rilevabili "ictu oculi". All'esito delle operazioni peritali, il CTU ha risposto a tale quesito affermando che "l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 1.785,21 intestato a (...) non presenta elementi di contraffazione nel nome del beneficiario, rilevabili ictu oculi". Ai fini di giustizia, tuttavia, il CTU rilevava altresì che dall'analisi strumentale dell'assegno de quo era emerso che "per la compilazione dell'assegno verificato sono stati utilizzati due mezzi meccanici differenti", circostanza rilevabile ictu oculi, nonché che "in corrispondenza dell'importo in lettere ed in corrispondenza del nome del beneficiario, si riscontra uno sfaldamento delle fibre del supporto cartaceo", circostanza, questa non rilevabile ictu oculi, se non con l'utilizzo di specifici strumenti tecnici. Parte opponente censura il punto della sentenza impugnata che avrebbe tratto da tali affermazioni del CTU l'affermazione della dimostrazione del comportamento diligente di (...) nella negoziazione del titolo in questione. Parte appellata sostiene, invece, la correttezza della decisione di primo grado, atteso che la CTU avrebbe confermato che la contraffazione del nome del beneficiario non fosse evidente ictu oculi, ma soltanto attraverso l'utilizzo di speciali apparecchiature. In realtà, dagli accertamenti compiuti dal CTU, se da un lato non emerge alcun elemento di contraffazione rilevabile ictu oculi nella dattiloscrittura del nome del beneficiario (cfr. pag. 4), dall'altro lato, che il mezzo meccanico utilizzato per la dattiloscrittura della data di emissione e dell'importo in cifre è emerge ictu oculi differente dal mezzo meccanico che ha apposto sul medesimo assegno l'importo in lettere. Dunque, benché non possa parlarsi di evidente contraffazione del nominativo del prenditore del titolo, tuttavia, attraverso l'esame diretto dello stesso, l'agente postale avrebbe dovuto rivelare con la diligenza richiesta al bonus argentarius, anche senza l'impiego di speciali apparecchiature, l'utilizzo di strumenti meccanici differenti per la compilazione di parti diverse dell'assegno e, dunque, la contraffazione del medesimo titolo, sia pure in parti diverse dal nome del beneficiario. Un tale contraffazione del titolo, pur non dimostrando di per sé la negligenza del buon banchiere nella negoziazione dell'assegno, tuttavia costituisce un elemento di sospetto e di allarme circa l'effettiva titolarità del titolo presentato per l'incasso che, unitamente agli altri riscontrabili nel caso di specie, avrebbe dovuto indurre l'operatore di cassa ad adottare una maggiore attenzione nelle operazioni di negoziazione, effettuando maggiori controlli sul conto della persona presentatasi per l'incasso dell'assegno stesso. Altra evidente anomalia che emerge dal confronto del cognome del beneficiario dattiloscritto sul titolo e quello riportato sulla carta d'identità acquisita in occasione della presentazione del titolo, è rappresentato dal fatto che mentre sul primo è scritto "DELUCIA" senza soluzione di continuità, sulla seconda è scritto "D.L." con punto di separazione tra "DE" e "LUCIA". D'altro canto, un atteggiamento maggiormente prudenziale avrebbe dovuto essere stato adottato anche alla luce di quegli ulteriori elementi di sospetto (ovvero, indici di allarme) a fronte dei quali la giurisprudenza - sia di merito, che di legittimità richiede un innalzamento del livello di attenzione e di diligenza richiesto all'operatore di cassa. Difatti, l'orientamento giurisprudenziale a cui si intende dare seguito, in situazioni analoghe a quelle verificatesi nel caso in esame, si è invero espresso nel senso che "la banca, nel consentirel'apertura di un libretto bancario ad un soggetto che le era in precedenza sconosciuto ed in una situazione di per sé stessa sospetta, in cui risultava evidente che l'unico scopo perseguito era quello di incassare l'assegno, non poteva accontentarsi di identificare il cliente (?), ma avrebbe dovuto adottare maggiori cautele, acquisendo ulteriori informazioni, sia attraverso il sistema bancario, sia mediante l'interpello dello stesso presentatore del titolo" (cfr. Cass., SS.UU. n. 12477/2018). Tale principio è stato ribadito anche recentemente dalla S.C., laddove ha affermato che " in tema di assegno bancario cd. "di traenza" l'attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario, da espletare nel rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., deve essere particolarmente attenta, non potendosi esaurirsi nell'esame del solo documento d'identità esibito dal prenditore, ma deve investire anche la valutazione di eventuali circostanze "extracartolari" anomale. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che l'ufficio postale innanzi al quale l'assegno era stato presentato avrebbe dovuto valutare che il prenditore era persona totalmente sconosciuta all'ufficio ed aveva appena aperto un libretto postale dove aveva depositato le somme riscosse a mezzo dell'assegno) (Cass., n. 13152/21 e Cass., n. 9842/21). Sotto tale profilo, non è però corretta l'affermazione di parte appellante secondo la quale, ai fin della corretta identificazione del presentatore del titolo, l'obbligo di diligenza e di protezione a carico della banca negoziatrice si sarebbe dovuto spingere fino al punto di imporre all'impiegato addetto di acquisire due documenti di identità munito di foto di riconoscimento, - come previsto dalla raccomandazione contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati - e non solo uno come avvenuto nel caso di specie, avendo l'operatore postale identificato il (...) attraverso un solo documento d'identità (la carta d'identità rilasciata dal Comune di Grumo Nevano - NA) e il codice fiscale. Difatti, la più recente giurisprudenza di legittimità ha negato qualsiasi portata precettiva alla circolare ABI del 07.05.2001 e conseguentemente ha escluso l'obbligo di identificare il presentatore del titolo attraverso due documenti d'identità, affermando il principio secondo il quale "in materia di pagamento di un assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell'identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., che è norma "elastica", da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell'ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli "standards" valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il dirittovivente; non rientra in tali parametri la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l'opportunità per la banca negoziatrice dell'assegno di traenza di richiedere due documenti d'identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale". (Cass., 34107 del 19/12/2019) Tale principio è stato confermato dalla S.C. laddove ha stabilito che "nel caso di pagamento di una somma in favore di soggetto non legittimato, non concorre ad individuare il livello di diligenza qualificata, esigibile da (...) ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., la raccomandazione ABI contenuta nella circolare del 7 maggio 2001 (che prescrive l'identificazione del beneficiario del pagamento attraverso due documenti muniti di fotografia), dal momento che alla stessa non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, né tale regola prudenziale di condotta si rinviene negli "standards" valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale". (Cass., Ordinanza n. 26866 del 13/09/2022) Sebbene ai fini della corretta identificazione del presentatore del titolo, l'obbligo di diligenza e di protezione a carico della banca negoziatrice non possa essere spinto fino al punto di imporre all'impiegato addetto l'acquisizione di due documenti d'identità, nondimeno, per andare esente da responsabilità è necessario che essa dimostri di aver adottato tutte le cautele del caso, soprattutto in presenza di quegli elementi di sospetto e di allarme riscontrati. Nel caso in esame, dalla stessa documentazione allegata alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado emerge che il (...) era persona "sconosciuta" a (...) e cioè non legata da precedenti rapporti di conto corrente o di risparmio con la banca negoziatrice, avendo lo stesso provveduto all'apertura di un libretto di risparmio presso l'Ufficio Postale di Casandrino (NA) solo in occasione della presentazione dell'assegno per cui è causa in data 27.01.2006). La presenza congiunta delle anomalie riscontrabili ictu oculi sul titolo e degli indici di allarme sopra evidenziati, avrebbe dovuto indurre l'operatore di cassa ad effettuare maggiori controlli sul conto della persona presentatasi per l'incasso dell'assegno, sia attraverso il sistema bancario, che mediante l'interpello del presentatore stesso. Al contrario, nella specie, non vi è stato alcun innalzamento del livello di attenzione e di diligenza, essendosi (...) limitata a dedurre di aver correttamente verificato l'identità della persona presentatasi per la riscossione dell'assegno de quo, senza aver dimostrato di aver effettuato gli accertamenti richiesti al fine di verificare l'evidente contraffazione dello stesso. Segnatamente, invece, tenuto conto dei limiti oggettivi delle informazioni sulla "pagabilità" del titolo propri della procedura della c.d. check truncation (sulla quale si tornerà più avanti), l'operatore avrebbe dovuto chiedere conferma alla banca trattaria della correttezza del nome del beneficiario in favore del quale aveva emesso l'assegno presentato all'incasso ed effettuare il controllo della correttezza del codice fiscale del presentatore. Di conseguenza, qualora la convenuta avesse agito, in occasione della negoziazione del titolo, con la normale diligenza del banchiere qualificato, effettuando più specifiche e approfondite verifiche, avrebbe dovuto astenersi dal procedere al pagamento dell'assegno per cui è causa in favore di colui che lo aveva presentato per l'incasso. Ciò posto, neppure è possibile individuare una corresponsabilità in capo alla banca emittente ex art. 1227 c.c. in considerazione dell'utilizzo della procedura di check truncation ai fini della negoziazione degli assegni de qibus e del fatto che (...) abbia reso disponibili le somme portate dai titoli non immediatamente, ma solo una volta decorso senza alcun messaggio di impagato o di blocco il termine entro il quale la banca trattaria, effettuate le opportune comunicazioni, può segnalare eventuali irregolarità del titolo. Difatti, a differenza di quanto erroneamente assume parte convenuta, la materiale contraffazione del titolo nella parte relativa al nome del prenditore non poteva essere in alcun modo riscontrata dalla banca trattaria, in quanto nella procedura di check truncation le comunicazioni intercorrenti tra banca negoziatrice e banca trattaria vertono unicamente sull'esistenza e sulla capienza della provvista con cui provvedere al pagamento del titolo presentato per l'incasso. Difatti, i dati che vengono comunicati dalla banca negoziatrice ((...)) sono esclusivamente il numero, il cab ed abi identificativi e l'importo dell'assegno, e non anche il nominativo del prenditore. Il titolo, invece, resta nella materiale disponibilità della banca negoziatrice e non viene visionato dalla banca trattaria. Ne discende che il positivo esito della procedura di check truncation espletata nelle vicende in esame non esimeva in alcun modo (...) dal diligente adempimento agli obblighi di protezione sulla medesima gravanti in sede di negoziazione dei titoli di credito, nonché dalle responsabilità insorgenti in caso di inadempimento. Semmai, in presenza degli specifici elementi di allarme rilevabili nel caso di specie, sarebbe rientrato negli obblighi di diligenza e di protezione dell'odierna appellata quello di non limitarsi, nella negoziazione del titolo, all'utilizzo della procedura di check truncation, ma di effettuare più specifiche ed approfondite verifiche bancarie al fine di appurare presso la banca trattaria se il nome del beneficiario corrispondeva a quello che aveva presentato il titolo all'incasso. Va ora esaminata l'ulteriore eccezione - prospettata da parte appellata - della configurabilità di un concorso colposo ex art. 1227 c.c. di (...) per avere la stessa scelto di inviare il titolo al beneficiario tramite posta ordinaria e non tramite posta assicurata, scegliendo così un sistema di corrispondenza notoriamente non sicuro e facilmente soggetto ad episodi di sottrazione/furto dei plichi spediti. In precedenti pronunce, questo Giudicante ha escluso la configurabilità di un concorso colposo dell'Istituto trattario/emittente che avesse spedito i titoli trafugati e contraffatti con posta ordinaria anziché con posta assicurata. A tale soluzione si è pervenuti in considerazione della mancanza di un nesso di causalità giuridica tra la condotta eventualmente negligente della banca mittente e l'evento dannoso consistente nella condotta inadempiente della banca negoziatrice del titolo in mancanza della diligenza professionale richiesta. Difatti, sebbene per la prevalente giurisprudenza di legittimità il fatto colposo ex art. 1227 c.c. possa ricomprendere "qualsiasi condotta negligente od imprudente che costituisca causa concorrente dell'evento e, quindi, (?) anche un comportamento antecedente", quest'ultimo deve comunque essere "legato da nesso eziologico con l'evento medesimo" (cfr. Cass. Civ., 15 marzo 2006, n. 5677). Si è, dunque, seguito l'orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha esplicitamente escluso che la spedizione di un assegno a mezzo del servizio postale possa rilevare ai fini del concorso colposo ex art. 1227 c.c., in quanto, "in materia di spedizione, per via postale ordinaria, di un titolo di credito pagabile all'ordine, munito della clausola di non trasferibilità, ove il pagamento a soggetto non legittimato sia attribuibile a negligenza della banca negoziatrice, ai fini della valutazione comparativa dell'incidenza o meno della colpa del creditore-emittente nella determinazione del danno, da accertare in concreto e alla luce del principio di "causalità adeguata", non rilevano né il rischio generico assunto dall'emittente nell'affidarsi al serviziopostale ordinario, né le modalità con le quali è stato spedito il plico postale" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 17 gennaio 2019, n. 1049). Tale orientamento escludeva l'applicabilità dall'art. 1227 c.c. in quanto "l'evento dannoso prodottosi non dipende dall'inoltro dell'assegno a mezzo del plico postale - evenienza, questa, da cui può solo derivare la conseguenza dell'appropriazione del titolo da parte del non legittimato - ma dalla condotta dell'ente giratario per l'incasso, siccome responsabile del pagamento in favore di un soggetto diverso dal beneficiario" (Cass. 10 febbraio 2018, n. 2520; Cass. 4 novembre 2014, n. 23460). Si rileva, inoltre, che anche gli artt. 83 - 84 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, concernenti il divieto di includere nella corrispondenza ordinaria denaro o preziosi, ersno considerati irrilevanti nei casi analoghi a quello in esame, in quanto tali norme pongono un divieto che attiene esclusivamente ai rapporti fra l'ente postale e gli utenti, al fine di prevenire condotte e comportamenti fonte di responsabilità per le parti del rapporto stesso, onde ne risulterebbe l'irrilevanza al di fuori di quel rapporto, ma soprattutto in considerazione del fatto che l'assegno non trasferibile non è equiparabile né agli oggetti preziosi, né al denaro, né alle carte di valore esigibili al portatore (Cass. 7618/2010, Cass., 20911/2018). Si era ritenuto, difatti, che la spedizione con posta ordinaria, anziché con posta assicurata, del titolo successivamente contraffatto non potesse essere causalmente messa in collegamento con l'evento dannoso de quo, concretizzatosi nel successivo pagamento ad un soggetto diverso dal titolare originariamente indicato. Evento questo che, nella specie, sarebbe stato evitato qualora (...) avesse rifiutato, in osservanza dei doveri di protezione sulla stessa gravanti, di procedere al pagamento dell'assegno in assenza di ulteriori verifiche/controlli sulla genuinità del titolo presentato per l'incasso, alla luce delle evidenti anomalie che lo stesso presentava. In effetti, la maggiore garanzia della sicurezza dei sistemi di pagamento dovrebbe essere offerta proprio dalla gestione dei medesimi da parte di soggetti (banche ed istituti assimilati) dotati di specifiche competenze e professionalità e assoggettati a stringenti obblighi di diligenza proprio al fine di assicurare la correttezza dei pagamenti anche a fronte di eventuali fatti illeciti di terzi. Di poi, la notorietà e frequenza degli episodi di sottrazione di titoli di credito inviati a mezzo posta ordinaria, anziché determinare il concorso di colpa del mittente/danneggiato nell'evento dannoso, avrebbe dovuto costituire circostanza ulteriore alla luce della quale si imporrebbe alle banche negoziatrici - soprattutto in presenza di altri elementi di sospetto circa l'effettiva titolarità del titolo presentato per l'incasso - una maggiore attenzione nelle operazioni di negoziazione del titolo medesimo, con conseguente innalzamento della diligenza richiesta. Sul tema del concorso di colpa del mittente/danneggiato che ha spedito con posta ordinaria l'assegno successivamente trafugato e contraffatto, è recentemente intervenuta la pronuncia delle SS.UU. 26/05/2020, n. 9769 che, nel comporre il contrasto giurisprudenziale in materia, ha affermato il principio secondo il quale "La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d'intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l'affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l'esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl'interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell'evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell'identificazione del presentatore. Tale sentenza, dopo aver riconosciuto l'inesistenza di norme giuridiche che escludono l'utilizzazione della posta ordinaria per i pagamenti a distanza - inclusi gli artt. artt. 83 - 84 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - richiama le modalità di prestazione del servizio postale così come disciplinate dal D.M. 26 febbraio 2004 vigente all'epoca dei fatti, per poi affermare che "la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell'assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri, si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini della individuazione della causa dell'evento dannoso (...) Tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, è stata ritenuta da questa Corte sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ. ...". Il pur autorevole arresto della SS.UU. non è condiviso da questo Giudicante, dovendosi ribadire, in conformità alla giurisprudenza di merito formatasi dopo il pronunciamento delle SS.UU. (cfr. Trib. Milano, 07.07.2020, n. 3961; Trib. Milano, 07.07.2020, n. 3965; Trib. Milano, 13.10.2020, n. 6205; Trib. Milano, 01.12.2020n. 7818; Trib. Roma, n. 13173/2020), l'insussistenza di un concorso di colpa del mittente/danneggiato che utilizza il servizio di posta ordinaria per la spedizione di un assegno bancario/circolare, in assenza di un nesso di causalità giuridica con l'evento dannoso. Infatti, in senso critico rispetto alle argomentazioni utilizzate dalle SS.UU., va osservato come l'utilizzo della posta raccomandata o assicurata non comporti il trasporto e lo smistamento del plico secondo canali diversi, separati o preferenziali e più sicuri rispetto alla posta ordinaria. Difatti, se è vero che nel momento della consegna, la lettera raccomandata o assicurata debba essere consegnata a mani del destinatario o di persona autorizzata al ritiro e non possa essere immessa nella cassetta postale, è altrettanto vero che ciò attiene alla sola fase della consegna, rimanendo il differente mezzo di spedizione privo di rilevanza per tutte le precedenti fasi di lavorazione (trasporto e smistamento), durante le quali più verosimilmente la corrispondenza viene intercettata e trafugata. D'altro canto, una volta effettuata la consegna, la lettera risulta dai registri interni presa in carico dal portalettere, rendendo in tal modo facilmente identificabile il soggetto che ne ha preso il controllo. Neppure potrebbe rilevare in concreto la circostanza che la spedizione con raccomandata o assicurata possa essere monitorata dal mittente, dal momento che il breve lasso di tempo intercorrente tra il trafugamento dell'assegno e la sua presentazione all'incasso non consentirebbe comunque di rilevare un ritardo anomalo, tale da far legittimamente insorgere sospetti nel mittente/danneggiato. Altrettanto contraddittoria è l'affermazione delle SS.UU secondo la quale la scelta di uno strumento di spedizione a loro dire inaffidabile e comportante un maggior rischio di trafugamento, finirebbe con l'aggravare ingiustamente la "posizione della banca trattaria o negoziatrice, maggiormente esposta alla possibilità di andare in contro a responsabilità, e quindi costretta a munirsi di strumenti tecnici sempre più sofisticati e costosi per l'identificazione dei presentatori e del contrasto dell'uso di documenti falsificati" Se, infatti, la responsabilità della banca negoziatrice non è di natura oggettiva ma, come si è detto, ricade nei parametri della responsabilità contrattuale fondata sull'obbligo di adempimento diligente ex articolo 1176 c.c., la stessa è "ammessa a provare che l'inadempimento non è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'articolo 1176, 2 comma c.c." (SS.UU. 12477/2018). Sicché, là dove la contraffazione del titolo o dei documenti di identificazione del prenditore non sia riconoscibile in forza di una verifica condotta secondo i parametri della diligenza qualificata, cui la banca negoziatrice è comunque tenuta, la stessa non potrà essere considerata inadempiente e, conseguentemente, non potrà essere condannata ad alcun risarcimento del danno. Considerato, dunque, che la banca negoziatrice è chiamata in ogni caso a comportarsi secondo un parametro di diligenza professionale qualificata nel valutare la correttezza del titolo e nell'identificare il presentatore all'incasso, non si comprende in forza di quale principio essa, qualora non si fosse attenuta al proprio obbligo di condotta diligente, dovrebbe essere considerata meno responsabile (o meglio, corresponsabile con il mittente/danneggiato) per il solo fatto che l'assegno pagato non correttamente fosse stato spedito con lettera ordinaria. Tanto più in considerazione del fatto che, nella fase del pagamento, gli obblighi di adempimento gravanti sulla banca negoziatrice rimangono immutati qualsiasi fosse stata la forma di spedizione del titolo utilizzata dal mittente/danneggiato. Nel caso di specie, dunque, deve escludersi che la spedizione a mezzo posta ordinaria del titolo successivamente contraffatto si configuri come antecedente necessario dell'evento dannoso de quo concretizzatosi nel pagamento di un assegno contraffatto ad un soggetto diverso dal titolare originariamente indicato. Evento che, va ribadito ancora una volta, sarebbe stato evitabile qualora (...) avesse rifiutato, in osservanza dei doveri di protezione sulla stessa gravanti, di procedere al pagamento dell'assegno in assenza di ulteriori verifiche/controlli sulla evidente contraffazione del titolo presentato all'incasso. Alla stregua di quanto fin qui esposto, risultano integrati tutti gli estremi per configurare la responsabilità contrattuale ex art.1218 c.c. di (...), la quale non ha fornito la prova liberatoria rispetto alla negoziazione dell'assegno in contestazione. Sussiste, inoltre, il nesso causale tra l'inadempimento di (...) e il danno subito dalla (...) emerge dal fatto che, in assenza dell'errata negoziazione da parte della convenuta, il titolo non sarebbe stato pagato ad un soggetto diverso dall'effettivo ed originario beneficiario, sicché, la società attrice non avrebbe perduto la provvista messa a disposizione della banca trattaria ai fini dell'emissione dell'assegno di traenza in contestazione. In conclusione, l'appello proposto da (...) risulta fondato e va dunque dichiarata la responsabilità ex art. 1218 c.c. di (...) per violazione del precetto di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. Sicché, in accoglimento della domanda spiegata in prime cure, (...) S.p.A. va condannata al pagamento, in favore di (...) S.p.A., della somma di Euro 1.785,21, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico di (...), nella misura liquidata in dispositivo, secondo i parametri medi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e smi per lo scaglione di valore di riferimento. P.Q.M. Il Tribunale di Roma - XVII Sezione Civile, definitivamente pronunciando in riforma della sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 10538/2019, del 15.04.2019, disattesa o assorbita ogni altra domanda ed eccezione, così provvede: 1) accoglie l'appello e condanna la convenuta (...) S.p.A. al pagamento, in favore di (...) S.p.A., della somma di Euro 1.785,21, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; 2) condanna (...) S.p.A. alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio in favore di parte appellante, che liquida, per il primo grado, in Euro 88,00 per spese vive e in Euro 1.205,00 per compenso professionale e, per il secondo grado, in Euro 147,00 per spese vive e in Euro 2.552,00 per compenso professionale, oltre in entrambi i casi al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8706 del 2022, proposto dalla società Co. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Pe. e Ar. Te., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso (...), contro l'Azienda Ospedaliera Universitaria - A.O.U. dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della società Ra. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ri. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 6881/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ra. S.r.l. e dell'A.O.U. dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2023, il Cons. Giovanni Pescatore e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso di prime cure Co. ha impugnato gli atti afferenti alla procedura di gara per l'affidamento del servizio annuale, rinnovabile di un ulteriore anno, di vigilanza armata presso le strutture aziendali site nel centro storico di Napoli, conclusasi con la aggiudicazione in favore della S.r.l. Ra.. 2. Con articolata decisione il Tar periferico ha respinto le censure condensate nel ricorso e nei motivi aggiunti, confermando la legittimità del provvedimento di aggiudicazione, con condanna di Co. alla refusione delle spese di lite. 3. Quest'ultima (seconda classificata e gestore uscente del servizio) è insorta chiedendo la riforma della pronuncia qui appellata, sulla base di tre motivi di censura, di seguiti riepilogati. 4. Per resistere alle istanze della parte appellante si sono costituite in giudizio la società controinteressata S.r.l. Ra. e l'Azienda Ospedaliera Universitaria - Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. 5. A seguito della reiezione dell'istanza cautelare (ordinanza n. 5753 del 2022) la causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 26 gennaio 2023. 6. Il primo motivo di appello reitera i rilievi veicolati nel primo motivo del ricorso introduttivo, con i quali Co. si era lamentata del fatto che Ra., producendo una relazione tecnica di ben 84 facciate, redatta in più passaggi con caratteri e interlinea inferiori a quelli richiesti, si sarebbe avvalsa di uno spazio illustrativo delle proposte tecniche ben più ampio di quello concesso agli altri concorrenti, con ciò violando il principio di par condicio e di non discriminazione fra tutti i partecipanti della gara. Osserva in questa sede la parte appellante che poiché la legge di gara nulla disponeva sul punto, legittimamente la stazione appaltante l'ha integrata a mezzo dei chiarimenti, il cui rispetto, d'altra parte, giammai può ripercuotersi in danno o a svantaggio delle imprese che ad essi si siano attenute, se non violando in radice i principi di par condicio, certezza delle regole di gara, trasparenza, correttezza e legittimo affidamento. 6.1. In linea con quanto già esaustivamente chiarito dal giudice di primo grado e ribadito da questa Sezione in fase cautelare, il Collegio ritiene che la censura sia infondata. 6.2. Merita infatti osservare che: -- la disciplina di gara non contemplava alcuna prescrizione sui limiti dimensionali e per l'ipotesi del loro mancato rispetto nella redazione dell'offerta tecnica (v. art. 16 del disciplinare di gara, secondo capoverso); -- i chiarimenti resi dalla stazione appaltante in corso di gara in risposta al quesito n. PI043151-22, pur introducendo ex novo indicazioni sui limiti dimensionali, ovvero sulla composizione e sul numero di facciate dell'offerta ("file di testo di complessive n. 40 facciate massimo, in formato A4, con numerazione progressiva delle pagine, con carattere di scrittura minimo pari ad 11, con interlinea di 1,5"), non sono stati accompagnati dalla previsione di alcuna sanzione (tantomeno quella espulsiva) applicabile per il caso della loro inosservanza autentica e, comunque, (contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante) hanno introdotto una prescrizione (il numero massimo di pagine) per nulla contenuta nell'originaria lex specialis; -- pertanto, del tutto correttamente la Commissione di gara ha disapplicato, ossia ritenuto tamquam non esset, la prescrizione in questione, e lo ha fatto per tutti i concorrenti in gara, compresa l'odierna appellante; -- i chiarimenti e le Faq, d'altra parte, non sono idonei ad integrare o modificare la legge di gara (v. Cons. Stato, sez. V, n. 3492 del 2022; sez. I, parere n. 1275 del 2021; sez. III, n. 904 del 2021 e n. 64 del 2022). Essi, avendo natura meramente illustrativa delle regole della disciplina di gara, sono ammissibili nei limiti in cui, pur svolgendo la funzione di interpretazione autentica della lex specialis, non modifichino la disciplina ivi dettata per lo svolgimento della procedura selettiva; se, viceversa, si pongono in contrasto con le regole della gara, la stazione appaltante deve dare prevalenza alle clausole della lex specialis e al significato desumibile dal tenore letterale delle stesse (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, nn. 7793 e 2260 del 2021; sez. III, n. 64 del 2022); -- come ben chiarito dal primo giudice, nel caso in esame i chiarimenti non hanno assunto "un'efficacia esplicativa di una prescrizione di gara, nel senso di limitarsi ad illustrane il contenuto per quanto concerne aspetti in essa già presenti, ma hanno introdotto un "quid novi" che "ha comportato una inammissibile modificazione sostanziale della lex specialis rispetto al suo originario contenuto precettivo"; -- il precedente giurisprudenziale, apparentemente difforme, citato dalla parte appellante (sentenza del Cons. Stato, sez. V, n. 6939 del 2022), fa riferimento al diverso caso in cui il disciplinare di gara prevedeva espressamente il divieto per la Commissione di gara di esaminare le facciate ulteriori a quelle previste come limite massimo. Nel caso qui al vaglio, è il caso di ribadire, il disciplinare di gara non ha previsto alcuna sanzione per il caso del mancato rispetto dei limiti dimensionali dell'offerta tecnica; -- aggiungasi che la prescrizione inerente al numero massimo di pagine, oltre a poter dar luogo a esclusione solo se espressamente previsto dalla legge di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 298 del 2021; n. 6857 del 2021; n. 577 del 2020), richiede sempre la specifica prova, a carico di chi invoca la illegittimità della aggiudicazione, del vantaggio competitivo conseguito da un concorrente in danno degli altri per effetto dell'eccedenza dimensionale dell'offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V n. 6857 del 2021 e n. 999 del 2021); -- questa ipotesi di prova risulta in radice contraddetta, nel caso di specie, dalla duplice circostanza che nessuna delle ditte partecipanti si è attenuta strettamente ai parametri indicati dalla S.A.; e che la stessa Co. ha presentato una relazione tecnica aggiuntiva (composta da n° 11 facciate) utile ai fini dell'attribuzione dei punteggi e come tale valutata dalla Commissione; -- il modus agendi di Co., oltre ad inficiare la tesi del vantaggio competitivo di cui si sarebbe giovata Ra. e delle pretesa violazione del principio di parità e non discriminazione (v. Cons. Stato, sez. III, n. 10878 del 2022), espone la censura all'eccezione di inammissibilità per violazione del principio del nemo potest venire contra factum proprium (eccezione ritualmente sollevata in primo grado dalla stazione appaltante nella memoria di costituzione e quindi certamente delibabile in questa sede); -- risulta infatti pacifico che la relazione tecnica prodotta dall'appellante superava il numero massimo di pagine stabilito dal chiarimento, mentre è vano il tentativo della stessa parte appellante di differenziare la propria posizione da quella della controinteressata poiché, anche a voler ritenere che nel caso dell'appellata le pagine in più costituissero un "mero allegato" della relazione tecnica, non è possibile escludere che detta integrazione abbia inciso - come del resto assume l'appellata Ra. S.r.l. - sull'attribuzione dei punteggi in relazione a specifici criteri di valutazione dell'offerta tecnica, così come l'istante assume essere avvenuto per la controinteressata; -- non hanno pregio, dunque, le deduzioni svolte da Co. per dimostrare la supposta diversa portata che le sue integrazioni avrebbero assunto rispetto a quelle introdotte da Ra.. Come ben chiarito dal primo giudice, con motivazione non confutata dalle allegazioni contenute nell'atto di appello, non sono "comunque predicabili differenze di tipo "qualitativo", come tali implicanti eccezioni dipendenti dallo specifico contenuto delle porzioni eccedenti: non solo, infatti, nessun riferimento in tal senso è rinvenibile nella lex specialis, così come nemmeno nella nota di chiarimenti; ma, seguendo l'impostazione di Co., si determinerebbe una situazione di opinabilità ed ambiguità in ordine al contenuto richiesto dal bando per l'offerta tecnica - tra l'altro imponendone un esame puntuale già in fase di verificazione dei requisiti di ammissione - con consequenziale oggettiva incertezza circa l'effettività di prescrizioni poste a pena di estromissione, in quanto afferenti alle modalità di compilazione dell'offerta, in palese distonia con il principio di tassatività delle cause di esclusione, da ritenersi operante anche con riferimento alla chiarezza e trasparenza di specifiche prescrizioni espulsive" (pagg. 9 - 13 della sentenza). 6.3. In conclusione, la censura sin qui esaminata non può trovare accoglimento né ai fini dell'esclusione della controinteressata dalla procedura selettiva, né ai fini di una decurtazione di punteggio, né tanto meno ai fini di una obbligatoria ripetizione della gara (profilo del quale l'appellante lamenta l'omesso esame da parte del T.A.R., ma del quale, specie alla stregua di quanto fin qui rilevato, davvero non si vede come possa predicarsi la fondatezza). 7. Con il secondo mezzo di impugnazione Co. deduce la violazione dell'art. 95 del d.lgs 50/2016, sostenendo che l'offerta economica presentata da Ra. non sarebbe conforme a quanto prescritto dal disciplinare di gara (art. 16) nella parte in cui esso imponeva ai concorrenti di formulare e presentare in gara la propria offerta economica mediante la compilazione a sistema dell'apposita scheda resa disponibile on line integrante la Busta C; e di inserire ai fini della compilazione della predetta Busta C (e quindi dell'offerta economica) anche le pertinenti spiegazioni "in merito agli elementi costitutivi dell'offerta". Ra. avrebbe mancato di allegare, appunto, le spiegazioni preventive "in merito agli elementi costitutivi" della propria offerta economica. 7.1. Il motivo è infondato. L'art. 17 del disciplinare ha previsto da parte dei concorrenti la presentazione: a) di una "dichiarazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del D. Lgs. n. 50/2016, nella quale la ditta dovrà indicare la stima dei costi aziendali relativi alla salute ed alla sicurezza sui luoghi di lavoro di cui all'art. 95, comma 10 del Codice. Detti costi relativi alla sicurezza connessi con l'attività d'impresa dovranno risultare congrui rispetto all'entità e le caratteristiche delle prestazioni oggetto dell'appalto"; b) di "Spiegazioni ex art. 97 commi 1 e 4 D.L.gs. n. 50/2016, ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta. Sulla base delle suddette spiegazioni sarà valutata la congruità delle offerte che risultassero anormalmente basse, ai sensi dell'art. 97, comma 3 D. Lgs. n. 50/2016". 7.2. Ebbene, il Collegio condivide i rilievi delle parti intimate in ordine alla insussistenza di una clausola espulsiva specificamente collegata al mancato assolvimento dell'onere di produzione della documentazione di cui alla busta "C", contenente i giustificativi dell'offerta. Ritiene inoltre che detta misura espulsiva non sia ricavabile neppure in via interpretativa, ovvero da una lettura sistematica della legge di gara. 7.3. E' vero infatti che il disciplinare ha previsto che "Saranno escluse tutte le offerte redatte o inviate in modo difforme da quello prescritto nel presente disciplinare di gara" (punto 13 del disciplinare); ma è altresì vero che la lex specialis ha connotato tali spiegazioni come "eventuali", condizionandone l'allegazione al solo caso in cui le stesse fossero "ritenute pertinenti" da parte del loro proponente, così rimettendo a quest'ultimo la loro stessa individuazione. 7.4. Non solo, ma il medesimo disciplinare, al punto 21, rubricato "verifica di anomalia delle offerte", terzo capoverso, ha previsto, riportando quanto stabilito dall'art. 97, comma 5, Codice dei Contratti, che è il RUP, in sede di verifica delle offerte, a richiedere "per iscritto al concorrente la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni, se del caso indicando le componenti specifiche dell'offerta ritenute anomale. A tal fine, assegna un termine non inferiore a quindici giorni dal ricevimento della richiesta". 7.5. Dunque, quest'ultima previsione ha correttamente ricollocato nella fase di verifica dell'anomalia dell'offerta l'adempimento dell'onere di produzione dei giustificativi, in linea con le previsioni del codice appalti, il che induce a devalutare la perentorietà dell'obbligo introdotto, in via anticipata, nella fase di presentazione dell'offerta economica, più correttamente interpretabile alla stregua di una mera facoltà rimessa alla valutazione discrezionale del concorrente. 7.6. Oltre a condividersi quanto osservato dal primo giudice in ordine all'afferenza delle spiegazioni de quibus non alla fase di valutazione delle offerte ma a quella di verifica della congruità dell'offerta effettuata nei confronti del solo aggiudicatario, nonché all'assenza nell'attuale disciplina (a differenza di quanto avvenuto in passato) di un generale obbligo di inserimento nell'offerta delle predette spiegazioni in via preventiva, si può aggiungere che, se anche una tale clausola fosse stata contenuta nel Disciplinare di gara e sanzionata con l'esclusione dalla procedura - come l'appellante insiste nel sostenere -, essa sarebbe risultata nulla per violazione della regola della tassatività delle cause di esclusione ex articolo 83, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016 (in tal senso essendo decisiva proprio la scelta del legislatore di escludere, rispetto a pregressa normativa, un obbligo di inserimento delle spiegazioni "preventive" a carico dei concorrenti), e quindi del tutto correttamente sarebbe stata non applicata dalla Commissione di gara. 7.7. Il principio di tassatività delle cause di esclusione, di cui all'art. 83, comma 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016, importa infatti che le prescrizioni a pena di esclusione ulteriori rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti "sono comunque nulle"; e detto stigma di nullità è tale per cui la clausola in tal senso viziata è da intendersi come 'non appostà a tutti gli effetti di legge, quindi inefficace e tamquam non esset, senza alcun onere di doverla impugnare, dovendosi semmai impugnare gli atti conseguenti che ne facciano applicazione (v. Cons. Stato, ad. plen., n. 22 del 2020). 7.8. Rileva infine osservare, sotto altro punto di vista, che, specularmente a quanto già eccepito con riferimento al primo motivo di appello, anche Co. non ha allegato l'enunciazione degli elementi identificativi dell'offerta economica (la parte richiama il doc. 6 allegato il 7 ottobre 2022, dal quale nulla si desume sul punto), il che, nuovamente, espone la censura all'eccezione di inammissibilità per violazione del principio del nemo potest venire contra factum proprium e vanifica in toto la doglianza relativa alla pretesa violazione del principio di parità e non discriminazione. 8. Con il terzo motivo di appello, Co. censura la sentenza di primo grado lì dove non ha accolto i motivi aggiunti afferenti alla valutazione dell'offerta tecnica. 8.1. L'appellante evidenzia come anomalo il fatto che per ogni criterio valutativo l'offerta di Ra. abbia sempre ricevuto una preferenza premiale, pur a fronte di elementi offerti da Co. platealmente più rispondenti al relativo specifico criterio dettato dalla norma di gara. Sostiene che questa attribuzione preferenziale sarebbe avvenuta in modo "metodico" e "preconcetto", al deliberato fine di capovolgere il vantaggio acquisito da Co. attraverso l'offerta economica; e, ripercorrendo i sette parametri tecnici, segnala, analiticamente, i singoli elementi di maggior pregio tecnico che avrebbero dovuto far prevalere la sua offerta su quella di Ra.. 8.2. Il motivo non può essere accolto. 8.3. Come noto, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, al fine di contrastare il giudizio della commissione giudicatrice e far emergere suoi vizi di incoerenza e illogicità non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità delle valutazioni da questa espresse, ma occorre fornire prova della loro macroscopica e del tutto manifesta inattendibilità, ovvero della loro evidente irragionevolezza e/o illogicità . 8.4. Nel caso di specie, il Collegio non ritiene che le allegazioni della parte appellante attingano ad un sufficiente grado di concludenza e compiutezza nella dimostrazione di questi indici di incongruenza. 8.5. Il solo confronto tra le allegazioni formulate da Co. nell'atto di appello e le controdeduzioni proposte in replica da Ra. nella comparsa di costituzione rende la chiara misura della oggettiva opinabilità della materia esaminata e della conseguente incertezza del rovesciamento dei giudizi che la parte appellante rivendica, al contrario, come esito necessitato, in quanto pienamente rispondente a criteri di logica ed evidenza. 8.6. A rendere arduo e sostanzialmente insondabile in sede giudiziale - per i limiti che connotano questa tipologia di scrutinio - l'accertamento della fattispecie di ingiustificata disparità di trattamento, concorre il fatto che la ricorrente non lamenta che gli stessi elementi delle due offerte tecniche siano stati apprezzati in modo inspiegabilmente diverso dalla commissione di gara; ma pretende di porre a confronto componenti ed aspetti di offerte tecniche differenti tra di loro dal punto di vista qualitativo. Ciò che si sollecita in questa sede giurisdizionale è dunque un'operazione di apprezzamento complessivo degli articolati contenuti delle due offerte, funzionale ad un successivo raffronto comparativo delle stesse e, in ultima analisi, ad una rideterminazione conclusiva dei punteggi. 8.7. Senonché, una simile impostazione argomentativa sconta il limite del carattere parziale dei profili tecnici censurati, ai quali Ra. ne contrappone altri che, nell'ambito del medesimo parametro, per specifica rilevanza, giustificherebbero la diversificazione dei giudizi operata dalla Commissione, motivando quel bilanciamento degli elementi qualitativi che, a giudizio della stessa, ha concorso a determinare il punteggio. Non si tratta di un sindacato, dunque, finalizzato a contestare profili circoscritti e limitati, a parità di tutte le altre circostanze - ceteris paribus - ma di un sindacato volto ad innescare un diverso bilanciamento della totalità dei profili qualitativi integrati nel singolo parametro tecnico. 8.8. Non vi è dubbio che una tale tipologia di sindacato giurisdizionale va ben oltre i limiti ammessi dal consolidato indirizzo interpretativo del giudice amministrativo e, senza trovare supporto in elementi di chiara e manifesta evidenza, trasmoda in un'inammissibile invasione o sostituzione nell'attività tecnico-discrezionale riservata all'autorità amministrativa, secondo quanto condivisibilmente sostenuto dal giudice di primo grado. 8.9. Le rassegnate considerazioni si condensano nella conclusiva valutazione espressa dal primo giudice secondo la quale nel caso di specie l'istante non ha evidenziato la sussistenza di quei macroscopici profili di travisamento, errore o irragionevolezza, evidenti ictu oculi, i quali solo possono legittimare un sindacato del giudice in subiecta materia, essendosi limitato a esternare una propria personale e soggettiva non condivisione dei giudizi formulati dalla Commissione, per di più in una logica "comparativa" tra le due offerte che è estranea al corretto funzionamento delle procedure selettive, laddove -con la sola eccezione del caso in cui la legge di gara preveda il ricorso al metodo del confronto a coppie - all'esame delle offerte tecniche e all'attribuzione dei relativi punteggi si procede in via autonoma e "assoluta", e non previo raffronto con le offerte di altri concorrenti. 8.10. Pure l'affermazione secondo cui la stazione appaltante avrebbe voluto indebitamente favorire la controinteressata, "premiandola" sull'offerta tecnica in modo da annullare gli effetti della maggior convenienza dell'offerta economica dell'odierna appellante (la quale, dunque, avrebbe dovuto essere conosciuta o presunta dall'Amministrazione) risulta sfornita di un affidabile supporto indiziario, non potendo questo desumersi dalla semplice circostanza che all'offerta di Ra. S.r.l. sia stato attribuito sempre il punteggio massimo per tutte le voci dell'offerta tecnica (come sottolinea l'appellante, quasi a voler sostenere, in apparente contraddizione con quanto poco prima dedotto, una irragionevolezza della valutazione di detta offerta in termini generali, e non con riguardo a specifiche voci oggetto di valutazione). 9. Per quanto esposto, l'appello va respinto, assorbite le eccezioni preliminari reiterate dalle parti appellate. 10. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte appellante a rifondere in favore delle due parti appellate le spese di lite che liquida per ciascuna di esse in Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere, Estensore Ezio Fedullo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/10/2021 della CORTE APPELLO di CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha concluso chiedendo: l'inammissibilita' del ricorso per le posizioni (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Relativamente alla posizione di (OMISSIS), il PG conclude per l'annullamento senza rinvio con riferimento al Capo B; inammissibilita' nel resto. In relazione alla posizione di (OMISSIS), il PG conclude per l'accoglimento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Relativamente alla posizione di (OMISSIS), il PG conclude per il rigetto del ricorso. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), che chiede l'inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS); deposita comparsa conclusionale e nota spese. L'avvocato (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), che insiste per l'accoglimento di entrambi i ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), il quale si associa alle richieste del co-difensore (OMISSIS). L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Catania che, in parziale riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Catania in data 11.1.2019: - ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato loro ascritto al capo C della rubrica, riqualificato gia' in primo grado, dall'iniziale contestazione di estorsione, nel meno grave reato di cui all'articolo 393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza alle persone), per mancanza di querela; - ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine ai reati loro ascritti ai capi F, H, 3, K, L ed N dell'imputazione, perche' estinti per intervenuta prescrizione; - ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in anni due di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale ascrittogli al capo G, in relazione al quale gia' in primo grado era stata esclusa l'aggravante mafiosa, concedendogli le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante di aver commesso piu' fatti di bancarotta e sospensione condizionale della pena; - ha rideterminato in quattro anni e 4 mesi di reclusione la pena nei confronti di (OMISSIS), in ordine ai reati residui a lui ascritti ai capi G, I, e Q dell'imputazione, concesse le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sull'aggravante di aver commesso piu' fatti di bancarotta; - ha rideterminato in anni due e mesi sei di reclusione la pena nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al capo G della rubrica, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante di aver commesso piu' fatti di bancarotta; - ha rideterminato in anni otto di reclusione la pena nei confronti di (OMISSIS), condannato per i reati ascrittigli ai capi A, E, M, G, I e Q (associazione a delinquere di stampo mafioso, escluse le aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi 4 e 6; bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale; intestazione fittizia di beni e corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, tutti con esclusione dell'aggravante mafiosa); - ha ritenuto la continuazione criminosa nei confronti di (OMISSIS) (tra il capo E a lui ascritto e i reati giudicati con la sentenza della Corte d'Appello di Catania del 17.12.2018, irrevocabile) e modulato l'aumento relativo in un anno e sei mesi di reclusione; - ha escluso la continuazione interna al reato di cui al capo Q ed ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in anni nove di reclusione, ritenuta la continuazione tra i reati di cui ai capi O (rivelazione di segreti d'ufficio, nella sua qualita' di luogotenente in servizio presso il Gruppo della Guardia di Finanza di Catania, limitatamente all'episodio relativo a (OMISSIS) ed esclusa l'aggravante mafiosa, come gia' deciso dalla sentenza di primo grado) e Q (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, quale pubblico ufficiale parte dell'accordo corruttivo, esclusa l'aggravante mafiosa, come gia' stabilito con la sentenza di primo grado), nonche' quelli giudicati con sentenza del Tribunale di Catania del 21.9.2017, irrevocabile; - ha escluso la continuazione interna al reato di cui al capo Q della contestazione ed ha rideterminato la pena inflitta per tale imputazione nei confronti di (OMISSIS) (nella sua qualita' di gestore di esercizi commerciali coinvolti nel patto corruttivo) in anni due di reclusione; - ha rideterminato in anni 15 e mesi 6 di reclusione la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS) a titolo di continuazione, tra il reato di associazione mafiosa a lui ascritto al capo A (con esclusione delle aggravanti previste dall'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6) e quelli giudicati con le sentenze del 22.12.2016 della Corte d'Appello di Catania e del 16.11.2017 del Tribunale di Catania, irrevocabili; - ha rimodulato o revocato la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'interdizione legale nei confronti di alcuni imputati; - ha rideterminato la durata delle pene accessorie fallimentari nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riducendola alla misura di 4 anni. La complessa vicenda criminale, che si dipana negli anni tra il 2010 ed il 2013 a Catania, si ricollega alle attivita' del clan mafioso denominato "(OMISSIS)", operante nella citta' etnea e facente capo a (OMISSIS), attivo soprattutto nel controllo delle attivita' economiche presenti sul territorio, ed e' emersa grazie ad attivita' di intercettazioni in atto nei confronti di alcuni dei protagonisti, portando alla luce alcuni episodi delittuosi, che hanno coinvolto imprenditori catanesi (i Cerbo, (OMISSIS)), protagonisti anche di un rapporto illecito corruttivo con un sottufficiale della Guardia di Finanza del Gruppo di Catania, (OMISSIS). In relazione al reato di associazione mafiosa (capo A), che vedeva inizialmente imputati tutti quelli che si dira' essere gli attuali ricorrenti, tranne (OMISSIS), cui era stato contestato il delitto di concorso esterno nella medesima associazione mafiosa (capo B), sono stati poi condannati, gia' all'esito del giudizio di primo grado, soltanto (OMISSIS) e (OMISSIS), poiche' colui il quale era il leader del sodalizio secondo la contestazione, vale a dire (OMISSIS), ha visto nei suoi confronti dichiararsi non doversi procedere per precedente giudicato (ne bis in idem), mentre (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - per limitarsi alle posizioni che interessano il presente processo - sono stati assolti per non aver commesso il fatto. (OMISSIS) e' stato a sua volta assolto dal delitto di concorso esterno al sodalizio "(OMISSIS)" (capo B in relazione al capo A), perche' il fatto non sussiste (e' stato anche assolto da un'ulteriore contestazione di rivelazione di segreto d'ufficio, contenuta al capo P dell'imputazione). Molti degli imputati, e tra questi gli attuali ricorrenti, sono stati anche assolti da ulteriori imputazioni marginali loro ascritte, mentre alcuni di loro si sono visti accogliere dalla Corte d'Appello la richiesta di concordato sulla pena formulata ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p. e articolo 602 c.p.p., comma 1-bis, con rinuncia agli altri motivi d'appello (quanto ai ricorrenti, si tratta di (OMISSIS) ed (OMISSIS)); infine, (OMISSIS) ha rinunciato al primo motivo d'appello, tenendo ferme solo le censure relative al trattamento sanzionatorio, contenute nel secondo motivo e (OMISSIS) ha rinunciato a molti dei motivi d'appello anch'egli (tra questi, quelli relativi al merito dei delitti ascrittigli ai capi A, E, M, Q), tenendo fermi soltanto quelli di merito relativi ai capi C, F, G, H, I, 3, K, L, N, dei quali ultimi delitti contestati residuano, all'esito della sentenza di secondo grado, soltanto quelli di bancarotta fraudolenta contenuti nei capi G ed I. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione avverso la richiamata sentenza d'appello gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con distinti atti di impugnazione formulati dai rispettivi difensori di fiducia. 3. Il ricorso di (OMISSIS), che, come si e' anticipato, ha concordato la pena in appello in relazione ai reati per i quali era stato condannato, ascrittigli ai capi G, I e Q, si compone di un unico motivo, con cui si denuncia vizio di motivazione del provvedimento impugnato, che non darebbe conto, se non mediante formule di stile, delle ragioni in base alle quali ha confermato la condanna. L'adesione al concordato sulla pena non esimerebbe la sentenza d'appello dal dare spiegazioni sul merito della decisione. Con riguardo, in particolare ai due delitti di bancarotta fraudolenta contestati al ricorrente ai capi G (bancarotta relativa alla (OMISSIS) s.p.a., amministrata formalmente da (OMISSIS), ma di fatto gestita da e di proprieta' dei Cerbo, fallita il 21.3.2013) ed I (bancarotta relativa al fallimento della societa' (OMISSIS) s.p.a., amministrata formalmente da (OMISSIS), ma di fatto "gestita da" e di proprieta' dei (OMISSIS), fallita il (OMISSIS)), si evidenzia: - l'inutilizzabilita' assoluta delle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rese dal coimputato (OMISSIS) al curatore fallimentare e mai acquisite dal Tribunale; - l'inesistenza della prova dell'esercizio di poteri gestionali di fatto da parte del ricorrente, il quale e' stato condannato come concorrente, forse morale, nelle bancarotte realizzate dal figlio (OMISSIS), senza individuare i caratteri del contributo concorsuale in alcun modo, ma solo basandosi sulla loro convivenza familiare. Analoga carenza motivazionale, quanto alla constatazione del contributo fornito al reato, si riscontra in relazione alla condanna per il delitto di corruzione ascritto al ricorrente al capo Q. 4. Il ricorso di (OMISSIS) propone due motivi distinti. 4.1. La prima deduzione difensiva denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al rigetto, da parte del Tribunale e della Corte d'Appello, della richiesta di riduzione di pena nella misura di un terzo, a seguito di istanza di giudizio abbreviato formulata dalla difesa all'udienza dibattimentale di primo grado del 22.3.2016, avuto riguardo a tutti i reati contestati, all'esito della modifica del capo C dell'imputazione da parte del pubblico ministero (avvenuta all'udienza dibattimentale del 23.2.2016). La difesa lamenta la tardiva riqualificazione giuridica della contestazione delittuosa, da estorsione aggravata in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, che avrebbe falsato le scelte sul rito premiale del ricorrente: la Procura aveva gia' nella fase delle indagini gli elementi di fatto per rendersi conto della corretta qualificazione giuridica della vicenda (intercettazioni, dichiarazioni in interrogatorio dell'imputato, esiti delle perquisizioni e sommarie informazioni rese dalla vittima del reato), collegata a rapporti di debito-credito risalenti tra i protagonisti, ma all'udienza del 23.2.2016, pur modificando significativamente le modalita' di realizzazione della condotta, teneva ferma la contestazione estorsiva aggravata, poi smentita dal Tribunale. Da tale situazione di patologica riqualificazione dei fatti emerge, secondo la difesa, il diritto a vedere riaperti i termini per proporre richiesta di abbreviato, non soltanto rispetto al reato modificato di cui al capo C, come ritenuto, invece, dalla sentenza impugnata, bensi' rispetto a tutti i reati contestati, "trascinati" nella valutazione difensiva dall'opzione relativa al piu' grave delitto della continuazione criminosa, espresso proprio dal capo C. Richiamandosi ad una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni processuali contenute negli articoli 516 e 517 c.p.p., nel solco gia' tracciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione, il ricorrente evidenzia che, limitando il diritto ad ottenere l'ammissione successiva al rito abbreviato e la conseguente riduzione di pena, al solo reato oggetto di modifica della contestazione e non estendendola anche ai reati ad esso connessi e contenuti nello stesso processo, si impedirebbe all'imputato di elaborare una strategia difensiva che tenga conto dell'intera vicenda processuale. Si deduce, altresi', l'incoerenza tra le due ratio decidendi che emergono alla base del rigetto dell'istanza difensiva dai provvedimenti di primo e secondo grado. 4.2. Il secondo motivo propone l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 516 c.p.p., qualora non lo si potesse che interpretare nel senso del rigetto di un'istanza volta alla riapertura dei termini per avanzare richiesta di rito abbreviato estesa a tutti i reati connessi o contestati nel medesimo processo ad imputazione relativamente alla quale si e' proceduto a modifica delle caratteristiche essenziali da parte del pubblico ministero "in ritardo" rispetto agli elementi che l'hanno determinata, e per questo in modo "patologico". La difesa rappresenta che, a ragionar diversamente rispetto alla tesi "garantista" suggerita, si determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento - rilevante ai sensi dell'articolo 3 Cost. e dell'articolo 24 Cost. per le sue ricadute sul diritto di difesa - tra l'imputato chiamato ab origine dell'imputazione "corretta" e l'imputato che, invece, subisce in ritardo una nuova e diversa contestazione. L'imputato, in ipotesi di modifica dibattimentale dell'imputazione, in ogni caso, deve poter recuperare i diritti tutti, connessi alle precedenti fasi processuali (come suggeriscono, peraltro, le sentenze nn. 265 del 1994, 530 del 1995, 333 del 2009, 273 del 2014, 206 del 2017, 14 del 2020, che si citano nel ricorso), poiche' tale modifica innova il perimetro accusatorio, sia che riguardi il reato di maggior gravita', come nel caso di specie, sia nell'ipotesi che attenga ad altro reato contestato nel processo, e, dunque, incide sulla scelta per eventuali riti alternativi, "falsandola". Infine, interpretando la disposizione processuale dell'articolo 516 c.p.p. nel senso di consentire un'apertura del termine per proporre richiesta di rito alternativo (abbreviato, per il ricorrente) unicamente in relazione alla contestazione per la quale vi e' stata modifica in dibattimento, si determinerebbero anche irragionevolezze intollerabili rispetto all'articolo 3 Cost., in relazione al principio di ragionevole durata del processo: il simultaneus processus verrebbe spezzato per l'imputazione modificata tardivamente, con conseguente separazione del procedimento attinente al relativo reato e mutamento del giudice. 5. Il ricorso di (OMISSIS) si compone di quattro diversi motivi. 5.1. Il primo di essi eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, carente in ordine all'eccepita nullita' per difetto di contestazione dedotta ex articolo 604 c.p.p. in relazione al capo Q dell'imputazione (corruzione propria) ed ai sensi dell'articolo 522 c.p.p. (si richiama la sentenza della Sesta Sezione Penale n. 40966 del 2015): il ricorrente sarebbe stato condannato per una condotta diversa da quella oggetto dell'imputazione e precisamente il Tribunale ha riportato l'asservimento della condotta del pubblico ufficiale nei suoi confronti non gia' ad un rapporto che lo vedeva coinvolto quale titolare di una attivita' commerciale bensi' come semplice privato. Inoltre, il totale asservimento del pubblico ufficiale, cui il Tribunale ha ricondotto la contestazione, avrebbe dovuto determinare la riqualificazione del fatto nel reato di cui all'articolo 318 c.p.p. (corruzione per l'esercizio della funzione). La difesa richiama i principi declinati dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di legittimita' della riqualificazione giuridica del fatto, gli orientamenti della Cassazione sul mutamento del fatto in sede di verifica della correlazione tra accusa e sentenza, nonche' la totale omessa motivazione sull'eccezione di nullita' ex articolo 604 c.p.p. formulata dalla difesa in sede di discussione. 5.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi soggettivo ed oggettivo del delitto di corruzione, contestato ai sensi degli articoli 319 e 321 c.p. al capo Q dell'imputazione. Mancherebbe la prova di un atto contrario ai doveri d'ufficio da parte del pubblico ufficiale. Infatti, vi sarebbe stato travisamento, da parte del giudice d'appello, dell'interesse di (OMISSIS) nell'esercizio commerciale gestito dalla suocera ("(OMISSIS)" di (OMISSIS)), legata da antichi rapporti di amicizia con (OMISSIS), il pubblico ufficiale imputato, che avrebbe agito solo nell'interesse esclusivo di lei, indipendentemente dal ricorrente; non e' stato provato l'intervento del pubblico ufficiale, su sollecitazione del ricorrente e degli altri coimputati, per ottenere controlli ed ispezioni sulle attivita' commerciali concorrenti rispetto a quelle "protette", anzi nessun esposto risulta mai inoltrato e nessun controllo esercitato nei confronti di detti concorrenti; non sarebbe provato che (OMISSIS) fornisse personale aggiuntivo della Guardia di Finanza per i controlli all'interno della discoteca (OMISSIS), di proprieta' del ricorrente, ne' che egli si rendesse disponibile a raggiungere il locale in qualsiasi caso fosse "opportuno" il suo intervento (le testimonianze in atti e le intercettazioni dimostrano che (OMISSIS) non ha mai svolto il ruolo di "responsabile alla sicurezza" della discoteca (OMISSIS), ma - secondo lo stesso "accusatore", il coimputato (OMISSIS) - si sarebbe limitato ad indicare colleghi eventualmente disponibili a fornire ausilio alla vigilanza). Quanto alla vicenda, anch'essa oggetto di condanna per la corruzione di cui al capo Q (ed al centro dell'autonoma condanna per il capo O del solo (OMISSIS), in ordine al reato previsto dall'articolo 326 c.p.), relativa alla rivelazione di segreti d'ufficio (anche) al ricorrente, costituiti dalle informazioni sui controlli ispettivi che la Guardia di Finanza si apprestava a svolgere nei primi giorni di giugno 2012, la difesa evidenzia che la notizia dei prossimi controlli era divenuta gia' di dominio pubblico, al momento in cui il pubblico ufficiale l'ha diffusa, sicche' non puo' da essa desumersi un indicatore dell'esistenza di quella condizione di asservimento della funzione al ricorrente, da parte di (OMISSIS), che e' stato ritenuto costituisse l'in se dell'imputazione per corruzione propria. Si contesta, altresi', nel ricorso, la prova della controprestazione data o promessa dall'extraneus nel patto corruttivo. La fruizione dell'appartamento di proprieta' di (OMISSIS) da parte della fidanzata del pubblico ufficiale e, quindi, di lui stesso - che si indica come una delle controprestazioni del patto delittuoso - non sarebbe stata ottenuta in virtu' della richiesta del ricorrente, come invece sostiene la sentenza d'appello, poiche' tale circostanza non risulta da alcun elemento processuale. Il teste di polizia giudiziaria (OMISSIS), all'udienza del 12.1.2016, ha specificato di non aver mai accertato la circostanza che il luogotenente (OMISSIS) frequentasse l'appartamento ne' se pagasse o meno il canone al proprietario. Si denuncia eguale mancanza di prova del collegamento tra la dazione di un Ipad a titolo gratuito al pubblico ufficiale da parte di (OMISSIS) ed il patto corruttivo riconducibile al ricorrente: non risulta da alcun elemento di fatto che (OMISSIS) fosse al corrente della regalia, ne' puo' desumersi la sua consapevolezza dalla generica indicazione che l'accordo corruttivo coinvolgeva, da una parte, il finanziere, e dall'altra gli imprenditori, in quanto gestori del lido e della discoteca in relazione ai quali quest'ultimo aveva messo a disposizione la propria funzione. Risulta priva di riscontri anche la dichiarazione del teste-collaboratore di giustizia in altro procedimento, (OMISSIS), in merito alla fruizione di pasti gratis, da parte del luogotenente (OMISSIS), nel locale della suocera del ricorrente (il gia' citato ristorante (OMISSIS)): il pubblico ufficiale si recava a pranzo con altri colleghi nella pausa di servizio ed avrebbe avuto diritto comunque al rimborso dei pasti; inoltre, la difesa evidenzia come, alla base della consumazione gratuita, potrebbero esservi anche i rapporti amicali di (OMISSIS) con la titolare del ristorante. Eguale mancanza di significato corruttivo (quali controprestazioni) hanno le liberalita' di consumazioni per il finanziere nel corso di serate organizzate presso la discoteca (OMISSIS) di proprieta' del ricorrente. Infine, si lamenta l'erronea interpretazione del concetto di stabile asservimento del pubblico ufficiale agli interessi personali di un privato, declinato nella sentenza d'appello ed in quella di primo grado, sotto l'egida del reato di cui all'articolo 319 c.p. piuttosto che, come richiesto dalla difesa, entro il perimetro normativo dettato dall'articolo 318 c.p. (corruzione per l'esercizio della funzione). L'orientamento dominante della Corte di legittimita' andrebbe nel senso di configurare il reato meno grave evocato dal ricorrente piuttosto che quello in relazione a cui vi e' stata condanna (Sez. 2, n. 51961 del 2017; Sez. 6, n. 4486 del 2019, Palozzi, Rv. 269347; Sez. 6, n. 45184 del 2019). In mancanza di prova dell'esistenza di un patto corruttivo vero e proprio tra il pubblico ufficiale ed il ricorrente, di atti contrari ai doveri d'ufficio posti in essere dal primo, di illecite dazioni al finanziere direttamente provenienti dal ricorrente, non vi e' spazio - a giudizio della difesa - per ritenere sussistente il delitto previsto dall'articolo 319 c.p. e, al piu', potrebbe ipotizzarsi la meno grave fattispecie di pericolo prevista dall'articolo 318 c.p.. La riqualificazione giuridica della condotta richiesta dalla difesa, valutata la pena prevista per il delitto di cui all'articolo 318 c.p. all'epoca dei fatti (contestati fino al novembre 2012), determinerebbe, poi, l'estinzione del reato per prescrizione, anche tenendo conto dei periodi di sospensione dei termini calcolati espressamente in sentenza dalla Corte d'Appello. Erroneamente, infatti, risulta che sia stato computato anche nei confronti del ricorrente il periodo di sospensione di cui al rinvio all'udienza del 10.9.2021, disposto all'udienza del 11.6.2021. 5.3. Il terzo motivo di censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 323-bis c.p.. La Corte d'Appello ha ritenuto l'attenuante invocata non configurabile per la mancanza di elementi utili a sostenere che l'imputato si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e consentire l'individuazione degli altri responsabili; ma la disposizione richiamata, secondo la difesa, impone la diminuzione di pena tutte le volte nelle quali i fatti di cui all'articolo 319 c.p. siano di particolare tenuita', come nel caso di specie (in cui la controprestazione della corruzione sarebbe consistita nella consumazione di pasti e bevande, un ipad, il godimento per pochi mesi di un appartamento). 5.4. Il quarto argomento di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche: i giudici di merito non hanno tenuto conto del comportamento collaborativo del ricorrente, dimostrato dall'assoluta rilevanza delle dichiarazioni rilasciate al GIP ed al PM in interrogatorio dall'imputato, nonostante la stessa sentenza d'appello dia atto che solo dopo tali dichiarazioni, aventi ad oggetto la puntuale descrizione dei rapporti personali con (OMISSIS), la Procura si determinava a contestare l'ulteriore fattispecie di reato poi confluita nel capo Q dell'imputazione. Nell'interrogatorio di garanzia del 2.4.2014, poi, il ricorrente ha dichiarato spontaneamente particolari inediti delle vicende in relazione alle quali e' processo. 6. Il ricorso di (OMISSIS) si compone di due motivi di ricorso. 6.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla contestazione di rivelazione di segreto d'ufficio contenuta nel capo O dell'imputazione. La notizia dei controlli ispettivi da avviarsi nel giorno successivo ed in quelli seguenti ai lidi sul litorale di Catania, tra i quali quelli gestiti dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), era gia' di dominio pubblico il giorno 8 giugno 2012, quando si contesta la sua diffusione da parte del ricorrente, poiche' il 9 giugno 2012 i giornali gia' la riportavano, il che vuol dire che il comando della Guardia di Finanza l'aveva gia' diffusa ai giornalisti. Il segreto, dunque, era venuto meno gia' nel giorno della presumibile rivelazione alle testate giornalistiche da parte degli organi deputati della Guardia di Finanza, poiche' va rapportato al momento della rivelazione della notizia e non a quello della sua diffusione, magari con pubblicazione giornalistica. La rivelazione di segreto d'ufficio, essendo un reato di pericolo concreto, e' punibile non di per se' stessa, ma solo se idonea a produrre effettivo nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta. 6.2. La seconda censura difensiva muove dai vizi di violazione di legge e di motivazione carente e manifestamente illogica in relazione alla condanna per il capo Q dell'imputazione. La sentenza impugnata ha ritenuto provata la generalizzata disponibilita' dell'imputato al servizio delle piu' disparate esigenze dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (rivelazione di informazioni riservate; controlli e sanzioni ai danni di imprenditori "concorrenti" dei partecipi del patto corruttivo; risoluzione di problemi amministrativi; attivita' di controllo della sicurezza all'interno della discoteca di (OMISSIS); segnalazione di colleghi ai quali far svolgere, illegittimamente, la seconda attivita' di "buttafuori" della discoteca), a fronte della percezione di utilita' economiche varie da parte sua (tra queste, pranzi non pagati, disponibilita' a titolo gratuito di un appartamento, elargizione di un ipad Apple, accesso e consumazioni nel lido e nella discoteca gestiti da (OMISSIS)). Tuttavia, non vi e' prova di alcun atto contrario ai doveri d'ufficio che sia stato effettivamente posto in essere dall'imputato. Ad esempio, quanto al presunto illecito intervento per controlli nei confronti di esercizi commerciali concorrenti di quelli collegati al patto corruttivo, dalle stesse intercettazioni (si richiama la conversazione n. 3903 del 13.7.2012) si evince che la proprietaria del ristorante, suocera di (OMISSIS), non chiede di far chiudere l'attivita' concorrenziale, bensi' manifesta legittimi timori sulla regolarita' delle autorizzazioni in possesso di quest'ultima e per la titolarita' del locale (gestito da un pregiudicato per droga); di contro, il ricorrente si limita a garantire di voler soltanto verificare la veridicita' di quanto lamentato dall'interlocutrice. Neppure vi sono in atti verbali di ispezioni o verifiche poi effettivamente coinvolgenti tale locale "concorrente" (o di altri locali "concorrenti" di quelli gestiti dai coimputati), come confermato dai testi di polizia giudiziaria ascoltati in dibattimento. L'essersi limitato a raccogliere la segnalazione ed a passarla ai colleghi competenti non puo' costituire prova alcuna della realizzazione di un atto contrario ai doveri d'ufficio. Allo stesso modo viene ripercorso il contenuto di altre intercettazioni telefoniche dalle quali si evince che questi non realizza alcun atto contrario ai doveri d'ufficio, ma si limita sempre a prospettare verifiche su quanto i suoi interlocutori denunciano, ovvero consiglia loro di inviare esposti presso il suo ufficio, ovvero ancora indica e contatta un commercialista suo parente per una consulenza da svolgere per conto di (OMISSIS), a seguito di una richiesta da parte di costui, radicata nel loro rapporto di amicizia, datato e solido, per quanto si e' accertato nel dibattimento. Neppure hanno rilievo penale gli sconti per fruire di pasti nel ristorante gestito dalla suocera di (OMISSIS), ovvero l'attivita' lecita di organizzatore di serate in discoteca; ne' risulta che il ricorrente abbia svolto direttamente attivita' di "doppio lavoro" di buttafuori nella discoteca di cui e' titolare ancora (OMISSIS): sono stati due suoi colleghi ad essere pagati per tale ruolo, che, in ogni caso, non configura un elemento di patto corruttivo (il doppio lavoro, per le forze dell'ordine, al piu' determina una sanzione per responsabilita' disciplinare, mentre, per i titolari dei locali, si dispone ai sensi degli articoli 134 e 140 TULPS). Le regalie ricevute da (OMISSIS), infine, sarebbero frutto di sua autonoma determinazione e non deriverebbero da alcun patto corruttivo, mentre la disponibilita' a svolgere "controlli" per danneggiare discoteche concorrenti di quella di (OMISSIS) e (OMISSIS) si evince solo da dichiarazioni de relato (apprese da (OMISSIS)) e prive di riscontri del coimputato (OMISSIS). Senza contare che la corruzione e' un reato proprio funzionale, con elemento necessario di tipicita' configurato dal fatto che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio della funzione rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio a cui appartiene il soggetto corrotto: occorre, cioe', che l'atto o il comportamento siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata, sicche' non ricorre il delitto di corruzione se l'intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell'accordo illecito non comporti l'attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio e non sia in qualche modo a questi ricollegabile. Se, invece, l'intervento e' destinato ad incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il corrotto e' privo di poteri funzionali, manca una parte dell'oggettivita' del reato. E nel caso di specie, non vi e' prova della sussistenza di tali condizioni di configurabilita' del reato di corruzione propria, ne' di alcun rapporto sinallagmatico, che non sia riconducibile alla semplice amicizia; anche a voler ritenere integrata la diversa fattispecie di traffico di influenze, prevista dall'articolo 346 c.p., andrebbero verificati i presupposti di legge ulteriori e diversi. 7. Anche (OMISSIS), che, come si e' anticipato, ha concordato la pena in appello in relazione ai reati per i quali era stato condannato, rinunciando agli ulteriori motivi dedotti, ha proposto ricorso per cassazione, censurando i vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza di secondo grado: pur in presenza di un patto processuale ai sensi dell'articolo 599-bis c.p., non viene meno l'obbligo di motivazione del giudice quanto all'affermazione di responsabilita', che non puo' essere eluso facendo ricorso a formule di stile (si e' definita la posizione del ricorrente sostenendo che le risultanze processuali non rendono manifesta l'innocenza dell'imputato). 8. Il ricorso di (OMISSIS), nei confronti del quale e' stata riconosciuta la continuazione tra il reato di cui al capo A e quelli individuati in sentenze passate in giudicato alle quali si e' gia' fatto riferimento, con rideterminazione della pena complessivamente inflittagli, deduce due motivi. 8.1. Un primo motivo denuncia l'erronea valutazione del reato piu' grave, ai fini della determinazione della continuazione criminosa. Non sarebbe reato base quello di tentata estorsione aggravata, di cui alla sentenza del Tribunale di Catania del 16.11.2017, considerato dalla Corte d'Appello, e punito con la pena di anni nove e mesi sei di reclusione, bensi' quello giudicato dalla Corte d'Appello di Catania con sentenza del 22.12.2016, per il delitto di associazione mafiosa aggravata, sanzionato con la pena in abbreviato di otto anni di reclusione, tenuto conto del criterio valutativo secondo cui, per decidere della maggior gravita' di un reato ai fini della continuazione, deve guardarsi alla pena massima in astratto prevista per ciascuna fattispecie (e per la tentata estorsione aggravata, la pena massima all'epoca dei fatti era quella di 13 anni e 4 mesi di reclusione, mentre per l'associazione mafiosa, al momento della commissione della condotta, era pari a 15 anni di reclusione). Ad analoga soluzione si perverrebbe anche volendo considerare il diverso, minoritario orientamento interpretativo che fa leva sulla pena in concreto inflitta, piuttosto che su quella astrattamente prevista: reato piu' grave sarebbe pur sempre quello di cui alla sentenza della Corte d'Appello di Catania del 22.12.2016, considerata la pena di 12 anni su cui poi e' stata operata la riduzione per il rito abbreviato, sino alla misura di anni 8 di reclusione. L'interesse del ricorrente alla deduzione sta, ovviamente, nella diversa base di partenza, piu' favorevole, che si individuerebbe per aggiungere gli aumenti per la continuazione criminosa (8 anni, per il delitto associativo aggravato, e non gia' 9 anni e sei mesi, base di partenza della sentenza di condanna per il reato di tentata estorsione aggravata). 8.2. Un secondo motivo di censura eccepisce vizio di motivazione in relazione alla mancata giustificazione dei singoli aumenti disposti per la continuazione criminosa, anche in considerazione della misura di essi. Infatti, partendo dalla pena base per il reato di estorsione aggravata dalla mafiosita', si e' operato un primo aumento di un anno di reclusione per la continuazione con la condanna per la partecipazione mafiosa di cui alla contestazione nel presente processo (il clan "(OMISSIS)", dal marzo 2012 ad aprile 2013) e di ben cinque anni di reclusione per la continuazione con la condanna relativa al delitto di partecipazione alla stessa associazione mafiosa, di cui alla sentenza della Corte d'Appello di Catania del 22.12.2016 (fino al febbraio 2012, con inizio che la difesa colloca, nonostante la contestazione aperta, al mese di novembre 2009, sicche' sarebbe ancora di piu' evidente la sperequazione tra il primo aumento ed il secondo). Il difetto di motivazione si porrebbe, peraltro, in contrasto con le indicazioni delle Sezioni Unite, derivanti dalla sentenza Sez. U, n. 6296 del 24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735, secondo cui il giudice dell'esecuzione, nel procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto dell'applicazione della disciplina del reato continuato, non puo' quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna; il ricorrente non deduce specificamente le ragioni di contrasto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili per ragioni analoghe, sicche' l'esame delle loro impugnazioni puo' essere condotto unitariamente. 1.1. Entrambi i ricorrenti hanno definito la loro posizione processuale in appello ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., attraverso il cd. concordato in appello sulla pena, rinunciando agli ulteriori motivi di ricorso. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che, in tema di concordato in appello, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. ed, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102). Con analoga linea interpretativa, e' stato chiarito che, in tema di concordato (o "patteggiamento") in appello, reintrodotto ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 56, il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p., ne' sull'insussistenza di cause di nullita' assoluta o di inutilizzabilita' delle prove, in quanto, in ragione dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice e' limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Rv. 274522; Sez. 5, n. 15505 del 19/3/2018, Bresciani, Rv. 272853). 1.2. Le ragioni difensive articolate nei ricorsi in esame, pertanto, si rivelano inammissibili sin da un'immediata analisi. L'impugnazione di (OMISSIS), che denuncia vizio di motivazione del provvedimento impugnato, poiche' l'adesione al concordato in appello non implica che il giudice abdichi ai suoi doveri argomentativi, a giustificazione della sentenza di condanna, sebbene a pena "patteggiata", nonche' lamenta l'inutilizzabilita' e l'inesistenza di prove attinenti alla sua condanna per i delitti di bancarotta fraudolenta ascrittigli ai capi G ed I, si pone esattamente nell'area di inammissibilita' disegnata dal legislatore: si tenta, infatti, di riproporre i temi al centro dei motivi di merito, ai quali si e' rinunciato. Inoltre, la denuncia di inutilizzabilita' di alcune prove non ne indica neppure con precisione la decisivita', ai fini dell'affermazione di colpevolezza, sicche' anche per questo e' inammissibile in quanto generica (cfr. Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416). L'impugnazione di (OMISSIS), in verita', si rivela anche generica, oltre che inammissibile, poiche' incentrata su una mera e superficiale critica della motivazione della sentenza d'appello, critica che fa riferimento solo in generale al dovere motivazionale violato dal giudice, il quale avrebbe fondato l'esclusione di cause di proscioglimento su di una frase inadeguata e una formula di stile ("le risultanze processuali non rendono manifesta l'innocenza dell'imputato"), invece del tutto in linea con le esigenze di sintesi piu' volte affermate dalla Corte di cassazione, con riguardo alle argomentazioni delle sentenze di patteggiamento. Ed infatti, in relazione alla sentenza che applichi la pena su richiesta delle parti ex articolo 444 c.p.p. (istituto con molti aspetti di analogia a quello previsto dall'articolo 599-bis c.p.p. sul piano della struttura motivazionale del provvedimento), escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall'articolo 129 c.p.p., si e' affermato che puo' essere oggetto di controllo di legittimita', sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilita' ex articolo 129 c.p.p. (Sez. 2, n. 39159 del 10/9/2019, Hussain Tasawar, Rv. 277102; Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Rv. 256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 252085). Sotto tale profilo, il ricorso di (OMISSIS) si rivela privo di specificita', poiche' non indica elementi favorevoli all'imputato acquisiti in atti e non considerati, o mal considerati, ai fini di un proscioglimento. Anche alcune risalenti sentenze delle Sezioni Unite si sono espresse sulla legittimita' della formulazione "per esclusione" di elementi favorevoli a condurre ad una pronuncia ex articolo 129 c.p.p. nel caso di sentenze di patteggiamento (cfr. Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135 e Sez. U, n. 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270), facendo leva dalla peculiare natura delle sentenze emesse sulla base di una volonta' concordata tra le parti e rilevando come, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall'articolo 129 c.p.p., l'obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi; in caso contrario, e' sufficiente la semplice enunciazione (addirittura anche implicita) di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioe' che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p.. 2. Il ricorso di (OMISSIS) e' complessivamente infondato e deve essere rigettato. 2.1. Con entrambi i motivi di ricorso la difesa si lamenta del mancato riconoscimento, in favore del ricorrente, della possibilita' di essere riammesso a richiedere il rito abbreviato non soltanto in relazione al reato per cui si e' giunti, in dibattimento, ad una riqualificazione giuridica (da estorsione ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona), ma con riguardo a tutti i reati avvinti dalla continuazione criminosa ed a lui contestati nel processo, "trascinati" nella valutazione difensiva dall'opzione relativa al piu' grave delitto della continuazione criminosa, espresso proprio dal capo C, al centro della riqualificazione ad opera della sentenza di primo grado; la riapertura complessiva dei termini per proporre istanza di rito abbreviato si imponeva dal momento che detta riqualificazione era frutto di una "patologia" applicativa, poiche' derivata da un errore di qualificazione giuridica degli elementi di prova in possesso del pubblico ministero sin dal primo momento utile alla contestazione. Richiamandosi ad una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni processuali contenute negli articoli 516 e 517 c.p.p., nel solco gia' tracciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione, il ricorrente evidenzia che, limitando il diritto ad ottenere l'ammissione successiva al rito abbreviato e la conseguente riduzione di pena al solo reato oggetto di modifica della contestazione e non estendendola anche ai reati ad esso connessi e contenuti nello stesso processo, si impedirebbe all'imputato di elaborare una strategia difensiva che tenga conto dell'intera vicenda processuale. La tesi limitativa del diritto a veder riaperta, a vantaggio dell'imputato, la possibilita' di optare per il rito abbreviato si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali - di qui la richiesta di sollevare questione di illegittimita' al giudice delle leggi, formulata nel secondo motivo di ricorso - poiche' determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento, rilevante ai sensi dell'articolo 3 Cost. e dell'articolo 24 Cost. per le sue ricadute sul diritto di difesa, tra l'imputato chiamato ab origine dell'imputazione "corretta" e l'imputato che, invece, subisce in ritardo una nuova e diversa contestazione; si imporrebbe la scelta piu' garantista, anche ai fini di corrispondere pienamente ad esigenze di ragionevole durata del processo. 2.2. La tesi del ricorrente non puo' essere accolta, proprio alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, per quanto si dira' di seguito. E tuttavia, non puo' non evidenziarsi, prima ancora di ogni altra osservazione in diritto, come la questione giuridica formulata si riveli, nella sua parte presupposta, anche afflitta da un forte profilo di inammissibilita', per difetto di specificita' delle ragioni in base alle quali il ricorrente deduce la tardivita' della modifica dell'imputazione: sono stati, infatti, solo enunciati gli elementi di prova dai quali si trae la tardivita' ma non e' stato indicato il loro contenuto, in modo da consentire al Collegio una valutazione effettiva sulla censura. Ritornando al nucleo essenziale dei due motivi di ricorso, non puo' sottacersi che la Corte di cassazione ha mostrato diversita' di opinioni riguardo al tema proposto, se non anche due opposte linee interpretative. Secondo un primo orientamento, in tema di nuove contestazioni, la modifica di una delle imputazioni ex articolo 516 c.p.p. non determina, per l'imputato, il recupero della facolta' di richiedere il rito abbreviato per tutti i reati originariamente contestati e rispetto ai quali egli aveva gia' consapevolmente lasciato spirare il termine per la relativa richiesta, avendo egli facolta' di richiedere il rito alternativo per la sola imputazione oggetto di modifica (Sez. 2, n. 28582 del 11/03/2015, Romeo, Rv. 264562). Parallelamente, si e' dichiarata manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, a seguito di contestazioni sopravvenute, l'imputato possa chiedere l'ammissione al giudizio abbreviato per tutti i reati ascrittigli, e quindi anche per quelli gia' contestati, in quanto la situazione riguardante questi ultimi, per i quali si e' scelto di procedere con rito ordinario consapevolmente assumendo l'alea di nuove contestazioni, e' differente dai reati oggetto di nuova contestazione (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino, Rv. 264627) In un'altra, diversa pronuncia, invece, in disparte l'evidente funzionalita' dell'affermazione a risolvere la questione specifica sottoposta in quella fattispecie, si e' invece ritenuto che, in caso di contestazioni suppletive in dibattimento, la richiesta di giudizio abbreviato non puo' essere proposta solo per taluna ma, a pena di inammissibilita', deve avere riguardo a tutte le nuove, ulteriori imputazioni, poiche' la funzione riparatoria dell'accesso in tale fase al rito speciale va comunque coniugata, senza poterla sostituire, con quella deflattiva propria del rito, in difetto della quale non si giustificherebbe l'effetto premiale (Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, dep. 2016, Branchi, Rv. 266479). Il Collegio ritiene di aderire alla prima opzione, maggiormente consapevole delle implicazioni processuali di sistema coinvolte nella risoluzione della questione giuridica in esame, basandosi proprio su un'attenta lettura della giurisprudenza della Corte costituzionale richiamata anche dal ricorrente. Passando in rassegna i contenuti solo di alcune delle sentenze che possono avere rilievo sul problema in esame, conviene soffermarsi sulle pronunce n. 333 del 2009, n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, n. 139 del 2015. Nella prima delle sentenze citate, riferita al tema della contestazione dibattimentale "patologica" o tardiva, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso al reato concorrente contestato in dibattimento quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. Nella sentenza n. 237 del 2012, relativa alla contestazione dibattimentale "fisiologica", si e' dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione Nella sentenza n. 273 del 2014, relativa anch'essa alla contestazione dibattimentale "fisiologica", si e' dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 516 c.p.p." nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Nella pronuncia n. 139 del 2015, e' stata dichiarata non fondata, invece, la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 517 c.p.p., nella parte in cui, nel caso di contestazione di un reato concorrente o di circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato anche in relazione ai reati diversi da quello che forma oggetto della nuova contestazione, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost.. La questione e' del tutto sovrapponibile a quella che investe oggi, nell'ottica del ricorrente, la fattispecie processuale in esame e l'articolo 516 c.p.p. (per una conferma esplicita della identita' strutturale tra le ipotesi previste dagli articoli 516 e 517 c.p.p., ai fini del recupero di facolta' difensive, cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 2020, in tema di messa alla prova), sicche' e' di evidente utilita' seguire il ragionamento della Consulta. Ebbene, afferma la Corte costituzionale nella sentenza n. 139 del 2015, che, "nel caso di processo oggettivamente cumulativo, l'esigenza che emerge - sul piano del ripristino della legalita' costituzionale - e' quella di restituire all'imputato la facolta' di accedere al rito alternativo relativamente al nuovo addebito, in ordine al quale non avrebbe potuto formulare una richiesta tempestiva a causa dell'avvenuto esercizio dell'azione penale con modalita' "anomale" (nell'ipotesi della contestazione "tardiva"), o comunque derogatorie rispetto alle ordinarie cadenze procedimentali (nell'ipotesi della contestazione "fisiologica"): e cio', "senza che possa ipotizzarsi un recupero globale della facolta' stessa", esteso, cioe', anche alle imputazioni diverse da quelle oggetto della nuova contestazione, rispetto alle quali "l'imputato ha consapevolmente lasciato spirare il termine di proposizione della richiesta" (sentenza n. 333 del 2009). Sarebbe, infatti, "illogico - e, comunque, non costituzionalmente necessario - che, a fronte della contestazione suppletiva di un reato concorrente (magari di rilievo marginale rispetto al complesso dei temi d'accusa), l'imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie", relativamente alle quali si e' scientemente astenuto dal formulare la richiesta nel termine (sentenza n. 237 del 2012). Soluzione, questa, che rischia di privare di ogni razionale giustificazione lo sconto di pena connesso all'opzione per il rito speciale.". Tali considerazioni, estese dalla Consulta all'ipotesi della contestazione dibattimentale "tardiva" di una circostanza aggravante, hanno condotto i giudici delle leggi a ritenere non configurabile il vulnus agli articoli 3 e 24 Cost. sotto entrambi i profili tacciati di incostituzionalita'. E la sentenza in esame ha aggiunto, in maniera significativa e determinante per la questione oggi sottoposta al Collegio, che "qualora all'imputato fosse attribuita, nelle ipotesi in esame - come chiede il rimettente, tramite la proposizione di due distinte questioni, tra loro cumulative - la facolta' di accedere al giudizio abbreviato tanto in rapporto (e limitatamente) al reato oggetto della nuova contestazione, quanto (e anche) alle imputazioni residue, l'imputato stesso verrebbe a trovarsi in posizione non gia' uguale, ma addirittura privilegiata rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se la contestazione fosse avvenuta nei modi ordinari. Egli potrebbe, infatti, scegliere tra una richiesta di giudizio abbreviato "parziale" (limitata alla sola nuova imputazione) e una richiesta globale: facolta' di scelta della quale - stando all'indirizzo giurisprudenziale evocato dal giudice a quo - non fruirebbe invece nei casi ordinari, essendogli consentita solo la seconda opzione". Con evidenti conseguenze in tema di violazione del principio costituzionale di eguaglianza, previsto dall'articolo 3 Cost.. Dunque, e' proprio per essere coerenti con i piu' profondi paradigmi costituzionali che si impone la soluzione di escludere una rivitalizzazione della facolta' di optare per il rito abbreviato indiscriminata e totalizzante, piuttosto che limitata alla sola imputazione "diversa" o "nuova", patologicamente o fisiologicamente oggetto di contestazione. In una recente decisione, la n. 146 del 2022, resa in tema di recupero per l'imputato delle facolta' relative alla richiesta di messa alla prova, la Corte costituzionale, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede, a seguito di contestazione di reati connessi a norma dell'articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera b), la facolta' per l'imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova con riferimento a tutti i reati contestatigli, ha confermato l'impostazione della propria giurisprudenza, operando una differenza tra le modalita' attraverso le quali tale recupero deve esprimersi in un istituto quale la messa alla prova e, viceversa, nell'abbreviato. Al par. 2.4. della pronuncia, infatti, i giudici sottolineano: "La ratio dell'istituto (della messa alla prova, n.d.r.) impone, in effetti, di distinguere la situazione all'esame da quella relativa al recupero del rito abbreviato, decisa dalla sentenza n. 237 del 2012, in cui questa Corte aveva ritenuto che la richiesta del rito dovesse in tal caso riferirsi ai soli reati oggetto di nuove contestazioni dibattimentali, senza che "l'imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie, rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato spirare il termine utile per la richiesta", poiche' "diversamente da quanto accade nel rito abbreviato, nella messa alla prova convivono un'anima processuale e una sostanziale", con un'accentuata vocazione risocializzante che caratterizza (solo) quest'ultimo istituto e si oppone alla possibilita' di una messa alla prova solo "parziale". Nessun ostacolo, dunque, ribadisce la Corte costituzionale anche in questa recentissima pronuncia, puo' imporre un recupero "totalizzante" nel caso di abbreviato "riaperto" relativamente ad una o piu', limitate contestazioni per fatto diverso ovvero per fatto nuovo concorrente. Del resto, per una logica sanzionatoria non necessariamente unitaria tra reati avvinti dalla continuazione, alcuni soltanto dei quali giudicati con rito abbreviato, si sono espresse anche le Sezioni Unite, affermando che l'applicazione della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinario e altri giudicati con il rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi - siano essi reati cd. satellite ovvero reati che integrino la violazione piu' grave - deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell'articolo 442 c.p.p., comma 2, (Sez. U, n. 35852 del 22/2/2018, Cesarano, Rv. 273547). Deve essere precisato, infine, solo per completezza, poiche' la questione di illegittimita' costituzionale e' stata proposta in modo generico su tale aspetto, che la tesi qui accolta non mostra crepe neppure rispetto al principio di ragionevole durata del processo. La Corte costituzionale, infatti, ha piu' volte affermato, anche di recente, che la nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare, del processo penale) e' sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare l'obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilita', nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicche' una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'articolo 111 Cost., comma 2, puo' essere ravvisata soltanto allorche' l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli quindi privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014). Nella fattispecie all'esame del Collegio, da un lato, non si rivelano evidenti ricadute negative sul principio di celerita' processuale, strumentale ad assicurare la ragionevole durata, poiche' la separazione delle posizioni processuali per i diversi reati in contestazione, solo eventuale nel caso del ricorrente, che non ha inteso proporre istanza di abbreviato parziale (di qui, anche l'irrilevanza della questione di costituzionalita'), non implica automaticamente tempi decisori piu' lunghi; dall'altro, si configura una logica esigenza di bilanciamento tra i valori costituzionali in campo, costituita dall'esigenza di assicurare che il processo di ragionevole durata non sia "diseguale", rispetto a posizioni processuali soggettive sovrapponibili, e non crei "privilegi" ingiustificati (come sottolineato dalla sentenza n. 139 del 2015 Corte Cost.). 2.3. In conclusione dell'analisi sin qui condotta, deve affermarsi che: - la modifica di una delle imputazioni ex articolo 516 c.p.p. non determina, per l'imputato, il recupero della facolta' di richiedere H rito abbreviato per tutti i reati originariamente contestati e rispetto ai quali si era gia' consapevolmente lasciato spirare il termine per la relativa richiesta, avendo egli facolta' di richiedere il rito alternativo per la sola imputazione oggetto di modifica; - e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 516 c.p.p., nella parte in cui, nel caso di contestazione di un reato diverso da quello che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato anche in relazione a tutti i reati originariamente contestati, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost.. 2.4. Al rigetto dei motivi di ricorso consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo M, in relazione al quale sono trascorsi i termini massimi di prescrizione del reato e non vi sono evidenti ragioni di proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. (secondo quanto e' chiaramente evincibile dalla motivazione), coerentemente con le indicazioni delle Sezioni Unite di questa Corte in base alle quali, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244274). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo, con cui si denuncia la mancata corrispondenza tra accusa e sentenza in relazione al capo Q dell'imputazione (corruzione propria), ed il secondo motivo, ad esso collegato, sono manifestamente infondati. La contestazione di corruzione in esame vede protagonisti, da un lato, (OMISSIS), luogotenente in servizio presso il Gruppo di Catania della Guardia di Finanza; dall'altro, (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' lo stesso (OMISSIS), quali privati beneficiari degli atti contrari ai doversi d'ufficio specificamente indicati nella contestazione (dare informazioni riservate su attivita' di controllo ad esercizi commerciali, nei quali i tre privati avevano interessi economici; sollecitare controlli e sanzioni a diretti concorrenti della discoteca "(OMISSIS)", riferibile a costoro; garantire l'intervento in loro favore, in caso di controlli amministrativi; garantire l'ordine e la sicurezza all'interno della citata discoteca), in cambio di precise dazioni di beni ed utilita' a vantaggio del pubblico ufficiale (il comodato gratuito di un appartamento nella disponibilita' di (OMISSIS), da luglio a settembre 2012, che (OMISSIS) utilizzava insieme alla compagna; un Ipad; l'accesso gratuito alla discoteca (OMISSIS) ed al lido (OMISSIS), consumazioni comprese; consumazione di pasti al ristorante "(OMISSIS)", gestito dalla suocere di (OMISSIS)). La sentenza d'appello ha condannato l'imputato ricostruendo la sua condotta in linea con la contestazione di reato, riferita all'articolo 319 c.p., sicche' non si colgono aporie foriere di vizi o nullita' ai sensi dell'articolo 522 c.p.p., anche per la genericita' di fondo del motivo di censura - dettagliato solo all'apparenza - che, forse, intendeva appuntare le proprie critiche ad echi della pronuncia di primo grado, che avrebbero fatto riferimento ad uno "stabile asservimento" del coimputato (OMISSIS), pubblico ufficiale, agli interessi dei suddetti commercianti, con conseguente rivalutazione dei fatti ai sensi dell'articolo 318 c.p.. E difatti, il secondo motivo di ricorso propone proprio la violazione degli articoli 319 e 318 c.p., che - secondo la tesi difensiva - imponevano, nella loro corretta ricostruzione ermeneutica rispetto alla fattispecie, la rimodulazione della condanna secondo il paradigma piu' favorevole del reato di corruzione per l'esercizio della funzione. In proposito, tuttavia, il Collegio evidenzia l'erronea lettura del caso concreto alla luce delle norme richiamate e della loro corretta interpretazione, ricostruita dall'intervento nomofilattico di questa Corte regolatrice. Invero, configura il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio - e non il piu' lieve delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'articolo 318 c.p. lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, ma che si conformano all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (cosi', Sez. 5, n. 34979 del 10/09/2020, Magnoni, Rv. 280321 - 02, in una fattispecie relativa alla corresponsione di denaro ed altre utilita' al presidente della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri a fronte della totale rinuncia all'esercizio dei poteri decisori e di controllo sugli investimenti delle risorse dell'ente in strumenti finanziari; conforme a Sez. 6, n. 51946 del 19/04/2018, Cavazzoli, Rv. 274507 - 02; vedi anche Sez. 6, n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342). La linea interpretativa ha trovato una ancor piu' precisa ed approfondita definizione nella sentenza Sez. 6, 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv. 279555 (04 e 05), che ha chiarito come il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica, di cui all'articolo 318 c.p. come novellato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all'articolo 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l'individuazione del compimento di uno specifico atto d'ufficio; in altre parole, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, e' sussumibile nella previsione dell'articolo 318 c.p., e non in quella, piu' severamente punita, dell'articolo 319 c.p., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia in concreto prodotto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio. Nella fattispecie che vede protagonista il ricorrente insieme al pubblico ufficiale (OMISSIS) ed agli altri coimputati, sussistono specifici atti contrari ai doveri d'ufficio che sono stati ritenuti sussistenti, unitamente a diverse, ben indicate utilita' ricevute in cambio dell'attivita' infedele, secondo la ricostruzione in fatto, scevra da illogicita', disegnata dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 17-21, in particolare); di contro, le censure difensive riguardo alla qualificazione giuridica, prima ancora che stigmatizzare l'interpretazione riferita agli elementi di prova in atti, puntano ad una rivalutazione di tali elementi, non consentita in sede di legittimita' e, per giunta, assertiva in favore del ricorrente (ad esempio, la revisione dell'episodio dell'intervento di (OMISSIS) e della guardia di finanza sollecitato dalla suocera di (OMISSIS), legati da amicizia, che si vuole dovuto a presunti timori per la gestione del ristorante "rivale" in spregio alla normativa vigente, laddove e' evidente, invece, dalla prova costituita anche da telefonate intercettate, il reale obiettivo di ottenere la "chiusura" dell'attivita' commerciale concorrente: cfr. pag. 19, del provvedimento d'appello, che sottolinea anche, acutamente, come sia irrilevante l'eventuale concorso di moventi - amicale e corruttivo - sotteso alla condotta contraria ai doveri d'ufficio). La Corte d'Appello ha puntualizzato in modo ineccepibile come le prove in atti intercettazioni e dichiarazioni confessore di (OMISSIS), in particolare abbiano rivelato l'asservimento di (OMISSIS) e la "vendita della sua discrezionalita'", cristallizzatasi in precisi episodi di atti, manifestazione della corruzione (cfr. in tal senso anche pag. 19, in fine, della sentenza impugnata), ed in altrettanto specifiche utilita' ricevute in cambio: il ricorrente tenta di rileggere ognuno degli aspetti riferiti al primo ed al secondo "nucleo essenziale" della corruzione (richiamati al par. 5.2. del "ritenuto in fatto") secondo una propria, alternativa lettura, viziata da apoditticita' ed aspecificita', poiche' priva di reale confronto con la sentenza impugnata (peraltro, dimenticando anche che, per quanto concerne il "favore" costituito dalla rivelazione di segreto d'ufficio di cui al capo O, la condotta e' stata esclusa sin dal primo grado avuto riguardo alla quota riferita alla rivelazione a vantaggio del ricorrente e di (OMISSIS): v. infra). 3.2. Il terzo motivo di censura, volto a contestare il diniego dell'attenuante prevista dall'articolo 323-bis c.p., comma 2, e' anch'esso del tutto privo di fondamento e generico. La Corte territoriale ha spiegato alle pagine 26 e 27 della sentenza impugnata le ragioni in base alle quali ha ritenuto di non poter applicare la diminuente richiesta: non e' stato dimostrato in alcun modo - ma solo evocato in maniera assertiva - che l'imputato si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per l'individuazione degli altri responsabili. Il ricorrente non oppone che argomenti apodittici a tali conclusioni, non mettendo il Collegio neppure in condizioni di comprendere la natura specifica delle sue censure, ne' quale fosse effettivamente il fulcro delle sue eventuali richieste; egualmente generici i riferimenti, svolti nel motivo di ricorso, alla possibilita' di configurare, sempre ai sensi della citata disposizione speciale in materia di corruzione (comma 1), l'attenuante della particolare tenuita' del fatto, non potendo ritenersi sufficiente il mero richiamo ai particolari di contesto della condotta che, di per se', non possono certo costituire indice dello scarso rilievo offensivo di essa (non soltanto se le utilita' sono considerate cumulativamente, ma anche se valutate ciascuna singolarmente: si tratta della consumazione di pasti e bevande per consistenti periodi di tempo; dell'elargizione di un ipad e del godimento di un appartamento, sia pur per pochi mesi). 3.3. Infine, anche il motivo di censura proposto in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e' manifestamente infondato rispetto alle indicazioni fornite dalla Corte d'Appello, che ha valorizzato in chiave negativa il grave precedente penale a carico del ricorrente e l'assenza di elementi in suo favore: le ragioni addotte sono in line con gli orientamenti di legittimita' in materia (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 23093 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590). 4. Il ricorso di (OMISSIS) e' anch'esso inammissibile, per le ragioni che si indicheranno di seguito. 4.1. Il primo motivo di denuncia del ricorrente e' generico. La difesa contesta la sussistenza del reato di rivelazione di segreto d'ufficio ascritto all'imputato al capo O della contestazione, ignorando, tuttavia, la circostanza che la parte di imputazione investita dalla censura con cui piu' specificamente ci si confronta - vale a dire la rivelazione in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), titolari effettivi dei lidi balneari catanesi che avrebbero beneficiato della comunicazione anticipata dei controlli che stavano per essere effettuati dal personale della Guardia di Finanza nell'ambito di un'operazione "stagionale" - e' stata gia' espunta dall'imputazione, in seguito alla pronuncia di primo grado, che ha limitato la condanna dell'imputato alla sola anticipata rivelazione di segreto d'ufficio effettuata a vantaggio di (OMISSIS) in data 8.6.2012 (cfr. le pagine 90 e 91 della sentenza del Tribunale e le pagg. 15-16 del provvedimento d'appello). 4.2. Il secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato e formulato secondo direttrici di censura in fatto, sottratte al sindacato di legittimita' (in tema, tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), come si e' gia' evidenziato con riguardo al secondo motivo dell'impugnazione di (OMISSIS), alle cui osservazioni si riporta il Collegio, per le conseguenze di inammissibilita' derivate. Deve in questa sede solo aggiungersi che le osservazioni difensive riguardo al fatto che la corruzione sia un reato proprio funzionale, con elemento necessario di tipicita' configurato dal fatto che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio della funzione rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio a cui appartiene il soggetto corrotto, sono state gia' superate dalla sentenza impugnata, che ha evidenziato come - dalla ricostruzione della complessiva vicenda criminosa - gli atti compiuti o promessi da parte dell'imputato costituiscono espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione da lui esercitata, escludendo anche la possibilita' di configurare, invece del reato di corruzione propria, quello di cui all'articolo 346 c.p.. Le osservazioni in diritto proposte dalla difesa nei termini suddetti passano, dunque, ancora una volta, per un tentativo inammissibile di rilettura della fattispecie concreta, cosi' come accertata nei due giudizi di merito, conformi tra loro, nella speranza di allontanare il pubblico ufficiale coinvolto dalle sue dirette responsabilita' rispetto ai molteplici atti di mercimonio della funzione, compiuti anche grazie al contributo di altri colleghi (si pensi agli episodi del controllo dell'ordine nella discoteca gestita da (OMISSIS) ovvero ai controlli al ristorante "rivale" di quello condotto dalla suocera di (OMISSIS)). 5. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato e generico. 5.1. Il ricorrente denuncia, con un primo motivo, la erronea individuazione della violazione piu' grave in relazione al reato continuato riconosciuto nei suoi confronti, contestando che possa essere tale la tentata estorsione gia' divenuta irrevocabile. Il motivo, come anticipato, e', da un lato, generico, poiche' la sentenza della Corte d'Appello, a pag. 15, riferisce di un'estorsione consumata e non tentata, quale reato piu' grave, tra quelli gia' coperti da giudicato, posto a base della continuazione criminosa: il ricorso non si confronta con tale dato, anzi, non e' autosufficiente perche' non ha neppure prodotto o richiamato esplicitamente le sentenze, con gli elementi specifici riferiti alle condanne riportate, ma genericamente evoca quella relativa al reato di tentata estorsione di cui alla sentenza del Tribunale di Catania del 16.11.2017; dall'altro si rivela anche manifestamente infondato, dal momento che l'esame del certificato del casellario giudiziale dell'imputato mostra che, con la sentenza posta in continuazione, questi e' stato condannato non soltanto per una tentata estorsione aggravata ma anche per un'estorsione consumata, altrettanto aggravata. Alla luce di tali emergenze processuali e' corretta l'indicazione dei giudici d'appello relativa all'individuazione del reato piu' grave ex articolo 81 cpv, tenuto conto dell'orientamento di legittimita' maggioritario secondo cui, per decidere della maggior gravita' di un reato ai fini della continuazione, deve guardarsi alla pena massima in astratto prevista per ciascuna fattispecie (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 36107 del 21/7/2017, Ciccia, Rv. 271031; Sez. U, n. 25939 del 28/2/2013, Ciabotti, Rv. 255347) 5.2. Anche il secondo motivo di censura e' manifestamente infondato poiche' la sentenza impugnata ha dato conto, nell'ambito dell'intera motivazione e, piu' precisamente, nella parte dedicata ad esplicitare la misura degli aumenti per il reato continuato, delle ragioni in base alle quali, all'evidenza, risulta piu' grave la fattispecie associativa gia' passata in giudicato e di cui alla sentenza del 22.12.2016 della Corte d'Appello di Catania, piuttosto che quella di cui al capo A del presente processo: si tratta, nel primo caso, di un'associazione mafiosa aggravata ai sensi dell'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6 e, nel secondo caso, di un'associazione mafiosa che, in concreto, ha visto l'esclusione delle aggravanti contestate. 6. In conclusione, si impone l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo M), perche' estinto per prescrizione, con eliminazione della relativa pena di mesi due di reclusione da parte del Collegio, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l; deve, invece, rigettarsi nel resto il ricorso di detto ricorrente. Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna di detti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita' (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000. Infine, deve essere disposta la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, costituita nei soli loro confronti, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al reato di cui al capo M) perche' estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione; rigetta nel resto il ricorso di detto ricorrente. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna detti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8067 del 2020, proposto da Autorità per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Re. Te. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Me., Ma. Mo., Gi. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 07340/2020, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Re. Te. It. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Davide Ponte e nessuno presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il provvedimento impugnato in prime cure, la delibera adottata a conclusione del procedimento n. 2222/10/FB, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ravvisato a carico della ricorrente la violazione dell'articolo 4, comma 1 lett. b), d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, con conseguente irrogazione di una sanzione pecuniaria pari a euro 51.646,00. Con la sentenza n. 7340 del 2020, oggetto del presente gravame, il Tar Lazio accoglieva il ricorso proposto dalla stessa società odierna appellata, annullando la sanzione irrogata; in particolare venivano reputate fondate le censure dedotte in termini di mancata dimostrazione della la presenza dell'elemento soggettivo. Avverso tale sentenza l'Autorità proponeva l'appello in esame, deducendo i seguenti motivi: - violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 1, lett. b) e 51, comma 2, d.lgs. 177/2005 e dell'articolo 3 l. 689/1981, illogicità manifesta. La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. Venivano altresì riproposti i motivi assorbiti dalla sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 101 comma 2 cod proc amm: violazione e falsa applicazione, sotto diversi profili, dell'articolo 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 177/2005, eccesso di potere nella figura sintomatica della carenza di motivazione; in subordine, violazione e falsa applicazione degli articoli 4, comma 1, lett. b) e 51, comma 2, d.lgs. 177/2005 e dell'articolo 11 l. 689/1981, eccesso di potere nella figura sintomatica della carenza di motivazione. Avverso le censure riproposte replicava l'Autorità appellante, con specifica memoria depositata in data 11 dicembre 2022. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO L'appello è fondato sulla scorta delle argomentazioni poste a base dell'orientamento già espresso, in analoga fattispecie, da parte della sezione (cfr. sentenza n. 3729 del 2021), alla cui motivazione occorre rinviare anche ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 74 cod. proc. amm. La vicenda sanzionata dall'AGCOM accadde durante il programma televisivo "Gr. Fr. 10", trasmesso il 21 gennaio 2010 sull'emittente Ca. 5 del Gr. RT. s.p.a., quando, alle ore 22,03, uno dei concorrenti diede in escandescenze, usando un linguaggio scurrile e pronunciando una bestemmia, in violazione dell'art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005, recante le norme sui principi generali del sistema radio televisivo a garanzia degli utenti; In particolare, tal disposizione recitava ("... la disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce:... la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona, essendo, comunque, vietate le trasmissioni che contengono... incitamenti all'odio comunque motivato o che inducono ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità o che, anche in relazione all'orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongano l'adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo ..."). Come si vede, da un lato, non sono consentite trasmissioni (quindi, le singole emissioni televisive, a prescindere dalla loro natura, dal loro oggetto o dal loro particolare format) che non rispettino i diritti fondamentali, inducano ad atteggiamenti d'intolleranza d'ogni tipo (l'elenco era meramente esemplificativo) o che nuocciano allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori (in ogni caso, al di là anche del segmento temporale della c. d. "televisione per tutti"). Dall'altro lato e sebbene ciò sia obbligatorio in modo specifico per le trasmissioni ad accesso condizionato, s'evince dalla serena lettura della norma sulle garanzie che la necessità di un'attenta predisposizione ex ante d'un acconcio sistema di controllo, specifico e selettivo, pur facoltativo, è comunque una misura suggerita dal principio di precauzione per quelle trasmissioni il cui format, pure se non inibito nel segmento della "televisione per tutti", tende (se non mira) al compiacimento, all'induzione o alla tolleranza verso episodi estremi. In altre parole, al di là dell'indubbio effetto d'un tal format sul pubblico meno smaliziato -che spera sempre d'assistere a talune pruderie o ad un voyeurismo gladiatorio, perlopiù derivanti dalle forzate convivenze di personalità disparate nei reality show-, anzi, appunto per questo occorre, a cura dell'emittente, l'assunzione di misure cautelative ex ante, cioè sempre pronte ad attivarsi per elidere tempestivamente scene o parole inappropriate, che non è, tra i vari possibili, un gravoso ed inesigibile apparato di controllo o, comunque, non è offerta una seria prova contraria. Esso sembra (anzi, è ) piuttosto il rimedio ordinario e rapido d'intervento nei casi di trasmissioni che riprendano, dal vivo e senza intermediazioni di sorta, i comportamenti di comunità umane talvolta assortite in guisa da far prevedere conflitti, ristrette in ambiti che non permettono altri tipi d'interazioni che non quelli interni e comunque poco aduse a mediare con calma neppure le minime difficoltà scaturenti dalla convivenza o divergenze di comportamenti o idee, cose, queste, assai probabili e ben prevedibili, quindi tali da poter esser gestite in base a dati segnali d'ascolto e d'attenzione a situazioni anomale che possano montare negativamente in fretta. Già fin d'ora è facile replicare all'appellante che, se, negli illeciti per culpa in vigilando in ordine alla congruenza di trasmissioni alla normativa vigente, il contenuto dell'obbligo di vigilanza varia a seconda del tipo di programma, allora il tipo in esame, a causa delle aspettative di chi assiste e per la volontà dei protagonisti d'offrire la visione d'uno spaccato di vita al contempo artificioso e senza veli, impone per forza una catena di controlli d'attenzione crescente e ridondante, atta a prevenire le situazioni di pericolo più che probabile, se del caso smorzando luci ed audio ancor prima che la condotta dannosa si realizzi, come, p.es., avviene quando si mette in blocco una tratta ferroviaria se son segnalate anche mere anomalie di rete e non anche danni concreti; Va quindi ribadito che è integrato un'ipotesi d'illecito amministrativo di pericolo astratto per il bene giuridico tutelato (cioè il corretto sviluppo e libera formazione dei minori) sotto il regime non solo del previgente art. 15, co. 10 della l. 223/1990, ma anche dell'art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005, quindi prescindendo, stante il chiaro dato testuale della norma, dall'orario in cui l'illecito si consumò in concreto e dalla materiale circostanza che tal condotta fosse avvenuta fuori dal segmento della "televisione per tutti". Invero, il legislatore, in modo ragionevole e congruente con le esigenze di tutela di beni giuridici e diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino, vietò tout court ed espressamente le trasmissioni "... che, anche (ma non solo-NDE) in relazione all'orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori...". Fu proprio l'art. 2.5), lett. b) del Codice di autoregolamentazione media e minori (approvato il 29 novembre 2002 e richiamato dall'art. 34, co. 6 del D.lgs. 177/2005) ad impegnare tuttavia le emittenti a "... non trasmettere quegli spettacoli che per impostazione o per modelli proposti possano nuocere allo sviluppo dei minori (oggetto del provvedimento AGCOM, ma rispondente ad un principio generale sul rispetto del sentimento religioso-NDE), e in particolare ad evitare quelle trasmissioni... nelle quali si faccia ricorso gratuito al turpiloquio e alla scurrilità nonché si offendano le confessioni e i sentimenti religiosi...", donde l'obbligo dell'emittente d'approntare ex ante gli strumenti tecnici più adeguati ed opportuni, proprio desumendoli dalla scelta dei concorrenti e dall'osservazione in continuo aggiornamento delle loro personalità ed atteggiamenti. A parte che le attività pericolose sono anche quelle atipiche (ma in realtà, in base al citato art. 4, si tratta di pericolosità tipica), tal divieto connotò di pericolosità del tipo ex art. 2050 c.c. l'attività delle emittenti televisive, per quelle trasmissioni che, per oggetto o natura, potessero intercettare e, se del caso, ledere i citati beni giuridici protetti, rispondendo quindi l'emittente sia per il format in sé che per il comportamento lesivo dei soggetti da essa organizzati nelle singole trasmissioni. In tal caso la responsabilità per violazione dell'art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005 e dell'art. 2.5), lett. b) del Codice di autoregolamentazione (quest'ultimo non richiamato espressamente dal provvedimento impugnato, ma sotteso alla fonte primaria e parte integrante della fattispecie reale) è accollata all'emittente per non aver attuato misure acconce a fronte di un'attività ontologicamente pericolosa per com'è stata conformata dal legislatore, per cui la prova liberatoria si risolve non nella dimostrazione del solo caso fortuito (peraltro invocato dall'appellante, ma a torto) che interrompa il nesso causale tra l'attività pericolosa e la condotta illecita, ma nell'approntamento di misure tanto preventive, quanto in corso di trasmissione secondo la regola del "principiis obsta" (p. es., mercé l'intervento della regia quando inizino ad intravvedersi atti o comportamenti anomali), confacenti, cioè, a quel tipo di trasmissioni ove la normalità è il lasciar correre parole in libertà, non certo la misura, il riserbo, la calma e l'autocontrollo. Quindi prova troppo tanto l'assunto per cui l'idoneità delle misure cautelative non sia valutabile o non debba esser valutato ex post (giacché, a suo dire, il sol fatto dell'evento non voluto dimostrerebbe sempre e comunque l'inidoneità delle cautele adottate, dando luogo a responsabilità oggettiva), quanto quello secondo cui, nelle trasmissioni in diretta, il controllo ex ante è limitato al genere del programma ed alla scelta dei relativi partecipanti. Infatti, nell'un caso, la consumazione dell'illecito, che per forza di cose è valutato ex post, è anche la conseguenza di un'inefficacia specifica delle misure preventive messe in campo, ma non è per forza connotante d'una responsabilità oggettiva, anzi, al contrario è spia di come non basti la scelta oculata dei partecipanti, che è misura generica e buona per ogni tipo di programma, occorrendo ulteriori misure durante lo svolgimento del programma quindi ex ante e tenendo conto di come il pericolo di comportamenti degenerativi sia la cifra specifica di quel format precipuo e non di altri. Nell'altro caso, poiché non tutti ma solo taluni format televisivi s'appalesano ictu oculi ben più pericolosi di altri, a tal evidenza fattuale l'emittente non può opporre l'impossibilità di prevedere con assoluta certezza tutta la gamma delle reazioni umane, non essendo questo quanto richiestole, mentre essa sarebbe stata obbligata a fornire la prova positiva d'aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso come rettamente sottolinea il TAR, in qualunque orario, solo nel qual caso si sarebbe potuto apprezzare eventualmente il caso fortuito. Tutto questo non è accaduto ed appalesandosi le misure attuate tanto labili da coglier di sorpresa l'emittente stessa di fronte ad un comportamento anomalo del partecipante, più che incontrollabile, a ben vedere non controllato. Petizioni di principio appaiono allora la predicata estraneità dell'atto illecito del partecipante al contesto del programma (invece questo vuol mostrare tutti i tipi di comportamenti dei partecipanti stessi, per cui il fatto fu disdicevole in sé, non avulso dal predetto contesto), l'assenza di causazione dell'emittente nella condotta illecita (ché ciò ne avrebbe connotato la responsabilità a titolo di dolo specifico), l'assenza d'un concreto pericolo per lo sviluppo psichico dei minori (non vale l'ora tarda per escludere a priori tal pregiudizio verso i minori) e l'inconfigurabilità della natura astratta del pericolo delineato dalle norme citate, che pongono clausole generali di protezione, come quelle ex artt. 2049 e 2050 c.c. (cui pure assomigliano). Analoghe considerazioni negative seguono le doglianze, così come riproposte, sia sul merito della contestazione sia sulla misura della sanzione determinata dall'AGCOM (pari a Euro 100.00,00, cioè quattro volte il minimo edittale ex art. 35 del D.lgs. 177/2005), non ravvisandosi nel caso in esame scostamenti incongrui rispetto a tutti i parametri indicati dall'art. 11 della l. 689/1981, comprese dunque, la gravità della violazione, l'opera svolta dall'appellante per attenuare gli effetti dell'illecito (certo seria, ma non più efficace), la personalità della stessa (la RT. s.p.a. è dotata di un'organizzazione interna, anche di controllo, idonea a garantire le misure cautelative efficaci che si sarebbero attese fin dall'inizio dell'irradiazione di quel programma da un'impresa certo di norma sempre attenta ad evitare nocumenti o situazioni pregiudizievoli al pubblico minorile) e le relative condizioni economiche. La presente decisione è stata assunta tenendo altresì conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209, 13 settembre 2022 n. 7949 e 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. In definitiva, l'appello va accolto, ma giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Andrea Pannone - Presidente FF Alessandro Maggio - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Thomas Mathà - Consigliere
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