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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1163 del 2022, proposto da An. Gh., titolare della ditta individuale Pu. di Gh. An., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Puglia, in nome del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Pa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio delegazione Regione Puglia in Roma, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Terza n. 00913/2021, resa tra le parti, per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: - della determina dirigenziale della Regione Puglia Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari avente n° di protocollo r.puglia/AOO_155/PROT/09/12/2020/0015019 del 9/12/2020, notificata a mezzo p.e.c. in data 9/12/2020, con la quale la Regione Puglia non concede al ricorrente il contributo finanziario richiesto e previsto N. 00276/2021 REG.RIC. dall'Avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020; - della determinazione del Dirigente Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari della Regione Puglia 4.11.2020 n° 243 (SIAN CARI-19269.Codice CUP n. B34I20000670001.Aiuti in favore degli operatori del settore florovivaistico. Approvazione degli elenchi degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo), pubblicata in data 26.11.2020 sul B.U.R. Puglia, n° 160, con la quale vengono fatte proprie le determinazioni richiamate con l'approvazione dell'elenco degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo di che trattasi e viene escluso il ricorrente dal contributo finanziario richiesto; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ancorché non conosciuto; e per la declaratoria del diritto del ricorrente ad ottenere gli aiuti finanziari previsti dall'Avviso pubblico nella misura richiesta Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; udita, per parte appellata, l'avv. Ca. Pa. Ca.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce Sezione Terza, n. 00913/2021, di reiezione del ricorso proposto dal sig. An. Gh. avverso il diniego (del 9/12/2020) opposto dalla Regione Puglia-Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere all'istanza di contributo finanziario di cui dall'Avviso pubblico di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020. 1.1. Cumulativamente, il ricorrente ha impugnato gli atti connessi del procedimento di sovvenzione. 2. L'appellante, proprietario d'azienda florovivaistica, rientrante nel codice ATECO A001192 (coltivazione di fiori in colture protette), ha presentato domanda di aiuti ai sensi dell'avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico ai sensi del d.l. 19.05.2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio). L'art. 3 del suddetto avviso individua i soggetti beneficiari tra "gli operatori economici ovvero a PMI del settore primario, comparto florovivaistico, aventi sede legale ed operativa all'interno del territorio regionale pugliese, che hanno distrutto i materiali vegetali per effetto delle misure per il contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica nel periodo compreso tra il 9 marzo (DPCM 8.3.2020) e il 18 maggio 2020 (DPCM 15.5.2020) e la cui attività è contraddistinta dai codici ATECO: A0119 Floricoltura e coltivazione di altre colture non permanenti; A01191 Coltivazione di fiori in piena aria; A01192 Coltivazione di fiori in colture protette; A0128 Coltivazione di spezie, piante aromatiche e farmaceutiche; A0130 riproduzione di piante". Al successivo art. 4, con riferimento ai requisiti per l'accesso agli aiuti regionali veniva richiesto, tra l'altro, di "aver inviato regolare comunicazione di distruzione dei beni all'Agenzia Entrate territoriale e Comando Guardia di Finanza competente per territorio almeno 5 giorni prima della data prevista di distruzione della merce ai sensi art. 53 DPR 633/72 e s.m.i. nonché del dpr 10.11.1997 n. 441, completa di specie distrutte, quantità e costi, al netto di imposte, nel periodo compreso tra il 9/3/2020 e il 18/5/2020". 3. La Regione ha opposto il diniego impugnato poiché, dall'esame della documentazione trasmessa, ha riscontrato delle discrasie tra quanto dichiarato nel verbale della Guardia di Finanza e quanto dichiarato all'Agenzia delle Entrate, sia con riferimento alla specie vegetale distrutta che alla quantificazione del costo della distruzione. 4. Con ordinanza istruttoria il Tar ha ordinato alla Guardia di Finanza di Lecce, Compagnia di Gallipoli, "l'esibizione di una relazione di chiarimenti che precisi se l'espressione "Bulbi Lilium" riportata sub "Descrizione Merce" nei prospetti riepilogativi contenuti nel "processo verbale di operazioni compiute" del 17/04/2020 e del 05/05/2020 redatti dalla medesima Guardia di Finanza, Compagnia di Gallipoli". All'esito del deposito della relazione, previa comunicazione alle parti ex art. 73 c.p.a., richiamando quanto dedotto dalla Regione resistente sulla eventuale decurtazione "finanziaria in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario", il Tar ha dichiarato il ricorso inammissibile per omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati. 5. Appella la sentenza il sig. An. Gh.. Resiste la Regione Puglia. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui il ha dichiarato inammissibile il ricorso. L'appellante sottolinea che il ricorso di primo grado cumula una molteplicità di domande: d'annullamento della determinazione dirigenziale espressamente riferita alla sua posizione; d'annullamento del provvedimento dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi; e, da ultimo, d'accertamento e/o declaratoria del diritto al beneficio richiesto. Sicché la declaratoria d'inammissibile il ricorso, ex art. 41 c.p.a., della domanda d'annullamento - per difetto di regolarità del contraddittorio stante l'omessa notifica ad almeno ad almeno un controinteressato per l'appellante - non s'estenderebbe alla domanda d'accertamento del diritto al contributo. Né, ad avviso del ricorrente, i beneficiari del contributo, collocati in posizione utile della graduatoria finale, possiederebbero la qualifica di controinteressati sostanziali. In aggiunta, l'appellante censura l'affermazione contenuta nella sentenza appellata che già in sede di avviso sussistevano tutti gli elementi per poter valutare la sussistenza dell'obbligo di notifica ai controinteressati. Secondo la censura in esame nella determinazione n. 243/2020 l'unico aspetto chiarito dalla Regione sarebbe consistito nel fatto che l'ammontare complessivo del contributo liquidabile corrisponde a euro 3.731.411,42 che si procederà a ripartire in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario ai sensi del paragrafo 9 dell'Avviso pubblico approvato con DDS 156/2020 8.1 Il motivo è infondato. Va precisato che le ditte ammesse a contributo sono tutte nominativamente indicate nel decreto dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi e, in caso d'accoglimento del gravame, ai sensi del par. 9 dell'Avviso Pubblico, si sarebbe dovuto procedere ad un'ulteriore decurtazione finanziaria di quanto ad essi spettante. Raggiunta la dotazione finanziaria prevista, l'accoglimento del ricorso in esame avrebbe comportato, quale atto dovuto, la decurtazione a discapito dei soggetti ammessi al contributo, che, di conseguenza, assumono la veste di controinteressati. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale a mente del quale nel processo amministrativo la nozione di controinteressato al ricorso si fonda sulla simultanea sussistenza di due elementi: a) quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, tale da consentirne alla parte ricorrente l'agevole individuazione; b) quello sostanziale, derivante dall'esistenza in capo a tale soggetto di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l'azione impugnatoria, vale a dire di un interesse al mantenimento della situazione esistente (cfr., Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2022, n. 4891 Sicché, come ritenuto dai giudici di prime cure, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere notificato ad almeno uno dei soggetti controinteressati, individuati nel provvedimento impugnato. Da cui la declaratoria, ai sensi dell'art. 41 c.p.a., d'inammissibilità del gravame, senza che residui, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la cognizione della domanda d'accertamento del diritto al contributo cumulativamente proposta. Con gli atti impugnati è irritrattabilmente definita la schiera di coloro cui spetta il contributo nella quantificazione ivi stabilita: la tutela di mero accertamento, invocata dal ricorrente, sarebbe inutiliter data, o meglio non sarebbe corredata dal necessario presupposto processuale dell'interesse ad agire. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui ha ritenuto insussistente l'errore scusabile e la rimessione in termini, sul rilievo che "non si verteva in materia di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto". Al contrario, secondo l'appellante, al momento della proposizione del ricorso e del successivo giudizio sussisterebbero condotte della p.a. riconducibili al concetto di ambiguità della condotta amministrativa. 9.1 Il motivo è infondato. Il rimedio dell'errore scusabile va riconosciuto e concesso con estremo rigore, entro limiti ben ristretti poiché il processo amministrativo, alla stregua dei criteri desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost., è improntato al principio di perfetta simmetria delle posizioni delle parti in causa. In giurisprudenza è ribadito che "l'art. 37, c.p.a., va considerato norma di stretta interpretazione e la concessione del beneficio dell'errore scusabile è istituto eccezionale da applicarsi limitatamente alle ipotesi di: non intellegibilità delle norme di riferimento, orientamenti giurisprudenziali non univoci, attività macroscopicamente equivoche o contraddittore poste in essere dalla stessa amministrazione, caso fortuito e forza maggiore" (cfr., Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 345; Id., sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7029; Id., sez. VII, 16 agosto 2023, n. 7767). Nel caso di specie non si ravvisano gli estremi per concedere il beneficio dell'errore scusabile, in quanto le ditte nei confronti delle quali il ricorso di primo grado andava notificato risultavano elencate nominativamente nel decreto d'approvazione della graduatoria, espressamente impugnato dal ricorrente. 10. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 11. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. An. Gh. alla rifusione delle spese in favore della Regione Puglia liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Oggetto: Elusione fiscale Ud. 9/5/2024 – P.U. R.G. 12026/2016 Composta da Dott. Lucio Napolitano Presidente Dott. Luciano Ciafardini Consigliere Dott. Riccardo Rosetti Consigliere Dott. Federico Lume Consigliere Dott. Angelo Napolitano Consigliere rel. est. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12026/2016 R.G. proposto da Cofely Progetti s.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Paolo Petrosillo, elettivamente domiciliata in Roma alla via delle Quattro Fontane n. 20, presso lo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners; – ricorrente – contro Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla via dei Portoghesi n. 12; - intimata - avverso la sentenza n. 5801/35/2015 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio - Roma, depositata in data 6/11/2015, non notificata; udita la relazione della causa svolta dal dott. Angelo Napolitano nella pubblica udienza del 9 maggio 2024; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. Fulvio Troncone, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso; udito l’Avvocato Luciano Bonito Oliva per delega dell’Avv. Paolo Petrosillo per la società ricorrente e l’Avvocato dello Stato Eva Ferretti per l’Agenzia delle Entrate; Fatto Con avviso di accertamento n. TK034M04635/2010, emesso nei confronti della società Cofely Progetti s.r.l. in liquidazione (d’ora in poi, anche “la società” o “la contribuente” o “Progetti”), l’Agenzia delle Entrate riconsiderò, ai fini delle imposte dirette, una serie di vicende poste in essere nell’ambito della riorganizzazione del gruppo Cofely. In particolare, Cofely Italia s.p.a. (già Cofathec Servizi s.p.a., d’ora in poi “Servizi”) deteneva l’intero capitale sociale di Progetti; Progetti, a sua volta, deteneva l’intero capitale sociale di Cofathec Prasi s.p.a. (d’ora in avanti, anche “Prasi”). Come risulta dall’avviso di accertamento, nel 2000, in forza della convenzione conclusa con il Ministero dei Beni e delle Attività culturali (d’ora in avanti, anche il “Mibac”), è stata affidata alla associazione temporanea di imprese (“ATI”), composta da Progetti quale mandataria, Prasi e Ales s.p.a. (quest’ultima società Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. partecipata dal Ministero), la realizzazione del “Progetto per la Sicurezza e tutela del Patrimonio culturale”, della durata di 60 mesi. Successivamente, la Progetti firmò con il Ministero dei nuovi contratti per la prosecuzione della sua attività nell’ambito della tutela dei beni culturali. Il 28 gennaio 2005 Prasi trasferì a titolo oneroso a Progetti il ramo d’azienda avente ad oggetto lo svolgimento, a livello nazionale, delle attività di lavori e servizi nel ramo dei beni culturali, oggetto della convenzione con il MIBAC. Successivamente, Prasi fu posta in liquidazione volontaria (iniziata il 9 settembre 2005 e conclusasi il 30 dicembre 2005) e cancellata dal registro delle imprese. In data 22 dicembre 2005 fu trasferito da Progetti a Servizi il ramo d’azienda avente ad oggetto lo svolgimento dell’attività di “Ingegneria ed Impianti”, relativo alla realizzazione e manutenzione di impianti tecnologici e di cogenerazione all’interno di edifici civili, del terziario e dei siti industriali (d’ora in poi, anche “Ramo Ingegneria e Impianti”). In relazione alla cessione del ramo d’azienda MIBAC da Prasi a Progetti, l’Ufficio rilevò che la liquidazione della Prasi aveva consentito a Progetti di dedurre fiscalmente la minusvalenza realizzata attraverso l’annullamento della partecipazione in Prasi pari ad euro 1.420.256. Rispetto alla cessione del Ramo Ingegneria e Impianti, l’Ufficio rilevò che la Servizi aveva iscritto tra le immobilizzazioni immateriali l’avviamento del suddetto ramo per un importo pari ad euro 10.942.654 e aveva dedotto, per il periodo d’imposta 2007, una quota di ammortamento pari ad euro 607.925 (1/18 del valore complessivo dell’avviamento). Con l’avviso di accertamento impugnato, l’Ufficio riprese a tassazione in capo a Progetti la minusvalenza risultante dalla cessione del ramo d’azienda MIBAC da Prasi a Progetti, accertando una maggiore imposta pari ad euro 668.148. Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. In particolare, secondo l’Ufficio gli atti di riorganizzazione del gruppo societario sarebbero stati privi di ragioni economiche, finalizzati solo a conseguire in capo a Servizi la doppia deduzione delle perdite in capo a Progetti, con aggiramento del divieto del riporto delle perdite fiscali pregresse dell’incorporante, in violazione dell’art. 172, comma 7, Tuir. Progetti impugnò l’avviso di accertamento dinanzi alla C.T.P. di Roma, che accolse il ricorso. Su appello dell’Ufficio, la C.T.R. riformò integralmente la sentenza di primo grado, ritenendo legittima la ripresa a tassazione della minusvalenza in capo a Progetti. Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha depositato un atto di costituzione. Il sostituto Procuratore Generale, dott. Fulvio Troncone, ha depositato una requisitoria scritta. La contribuente ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. Diritto 1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, in violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) – Omessa individuazione degli elementi probatori dimostrativi del disegno elusivo ipotizzato dall’Ufficio”, la società censura la carenza motivazionale che affliggerebbe l’impugnata sentenza, deducendo che il giudice d’appello, a conferma dell’elusività della cessione del ramo di azienda da Prasi a Progetti, si sarebbe soffermato esclusivamente sull’asserito aggiramento “delle regole della cd. partecipation exemption (cfr. artt. 87 e 101 Tuir)”, sulla base delle quali la società non avrebbe potuto procedere alla svalutazione del valore della partecipazione in Prasi, senza una disamina della sussistenza nel caso di specie degli elementi sulla base dei quali Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. sarebbe stato possibile applicare l’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. 2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, commi 1 e 2, 2727 e 2729, comma 1 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) – Errato governo dei princìpi generali in tema di onere della prova in relazione alla valutazione della sussistenza del “disegno elusivo” ipotizzato dall’Ufficio”, la sentenza impugnata avrebbe violato i princìpi relativi al riparto dell’onere della prova, in base ai quali la dimostrazione dell’esistenza del disegno elusivo e della manipolazione e alterazione degli schemi negoziali a fini elusivi incombe sull’amministrazione finanziaria. Spetterebbe, invece, al contribuente l’onere di provare che le operazioni effettivamente poste in essere corrispondono ad un interesse economico non marginale. 3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, l. n. 241 del 1990, dell’art. 7, comma 1, l. n. 212 del 2000, dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 37 bis comma 5 del d.P.R. n. 600 del 1973, per avere i giudici di seconde cure ritenuto “chiaramente e compiutamente motivato” l’avviso di accertamento nonostante l’omessa individuazione di una operazione “fisiologica” effettivamente alternativa a quella posta in essere dalle parti (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)”, la società si lamenta che il giudice di appello non avrebbe dato risposta alle sue osservazioni secondo le quali il comportamento preteso dall’Ufficio (la fusione per incorporazione di Prasi in Progetti e di Progetti in Servizi) avrebbe avuto come conseguenza la concentrazione in un unico soggetto imprenditoriale (Servizi) di attività tra loro eterogenee (quelle del ramo MIBAC e quelle relative al ramo “Ingegneria e Impianti”), contrariamente ai criteri di ottimizzazione delle risorse e della diversificazione seguiti dalla società nella riorganizzazione del gruppo. 4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. le parti, sulla base dei quali avrebbe dovuto essere rilevata la sussistenza di valide ragioni economiche sottese all’operazione di riorganizzazione”, la società censura la sentenza impugnata perché questa non avrebbe esaminato i fatti da essa addotti per dimostrare la razionalità dal punto di vista imprenditoriale del passaggio del ramo di azienda MIBAC da Prasi a Progetti. 5. I quattro motivi di ricorso, attesa la loro connessione, posso essere esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono infondati. 5.1. Seppure con una motivazione sintetica, concentrata nella parte finale, la sentenza impugnata ha, innanzitutto, ristretto l’ambito oggettivo del giudizio alla ripresa dell’imposta che la società Progetti avrebbe eluso adottando, in luogo della fusione (per incorporazione di Prasi in Progetti), lo schema negoziale della cessione del ramo di azienda MIBAC da Prasi a Progetti. Ponendo in essere la cessione del ramo d’azienda MIBAC da Prasi a Progetti in luogo della fusione per incorporazione della prima nella seconda, il giudice di appello ha affermato che la società ha ottenuto la svalutazione delle quote detenute in Prasi, abbattendo in questo modo la base imponibile determinata dalla successiva cessione del ramo d’azienda “Ingegneria e Impianti” da Progetti a Servizi. La sentenza ha anche spiegato con un percorso motivazionale congruo e lineare che non vi era ragione che Prasi cedesse a Progetti il ramo d’azienda MIBAC anziché fondersi per incorporazione in quest’ultima società, atteso che dopo la cessione Prasi divenne sostanzialmente una scatola vuota e fu messa in liquidazione. A tal proposito, la sentenza impugnata ha anche accertato, in esito ad una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, che Prasi non svolgeva altre attività che non fossero quelle relative al ramo d’azienda MIBAC, sicché lo schema “naturale” per la riorganizzazione delle attività di Prasi e Progetti non era la cessione d’azienda dalla prima alla seconda, ma la fusione della prima nella seconda. Ric. n. 12026/2016 sez. T – ud. 9 maggio 2024 est. Napolitano A. Dopo l’individuazione, congruamente motivata, della fusione di Prasi in Progetti come lo schema “naturale” per la riorganizzazione delle attività delle due società, la sentenza impugnata ha ragionevolmente ed insindacabilmente ritenuto che le due operazioni (la cessione del ramo d’azienda da Prasi a Progetti e la successiva messa in liquidazione di Prasi, ormai svuotata) erano state pensate e poste in essere solo per garantire a Progetti un sostanzioso risparmio fiscale sulla riorganizzazione delle attività proprie e della controllata Prasi. 6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. All’Agenzia delle Entrate devono essere liquidati, in base al principio di soccombenza, solo gli onorari spettanti per lo studio e la discussione orale della controversia. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna Cofely Progetti s.r.l. in liquidazione al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, della somma di euro seimila a titolo di onorari per lo studio della controversia e la discussione orale. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso, in Roma, il 9 maggio 2024. Il Consigliere estensore Il Presidente dott. Angelo Napolitano Dott. Lucio Napolitano

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto LUCIO NAPOLITANO Presidente LUCIANO CIAFARDINI Consigliere RICCARDO ROSETTI Consigliere UP – 09/05/2024 FEDERICO LUME Consigliere ROSANNA ANGARANO Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 28141/2016 R.G. proposto da: FARMA CARMINE PETRONE S.R.L. E FIN POSILLIPO S.P.A. rappresentate e difese dall’Avv. Michele di Fiore ed elettivamente domiciliate presso l’indirizzo pec di quest’ultimo micheledifiore@ avvocatinapoli.legalmail.it – ricorrenti – contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende, – controricorrente – IRAP IRES AVVISO ACCERTAMENTO 2 avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 6891/2016, depositata il 15 luglio 2016. udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 maggio 2024 dal Consigliere Rosanna Angarano; dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dei primi tre motivi di ricorso e l’accoglimento del quarto. sentiti l’Avv. Michele Di Fiore per i ricorrenti e l’Avv. dello Stato Eva Ferretti per l’Agenzia delle entrate. FATTI DI CAUSA 1. La Farma Carmine Petrone s.r.l. e la Fin Posillipo s.p.a., nelle rispettive qualità di consolidata e consolidante, ricorrono nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello delle contribuenti avverso la sentenza della C.t.p. di Napoli che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2008, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione un maggiore imponibile. 2. L’Ufficio, con una prima ripresa, riteneva che gli importi erogati per liberalità alla associazione con personalità giuridica «Zia Agnesina», riconducibile alla famiglia Petrone, cui facevano pure capo la società erogante e la sua consolidante, non potessero essere dedotti ai sensi dell’art. 100, comma 2, lett. a) t.u.i.r., in quanto la beneficiaria, di fatto, non svolgeva, né aveva mai svolto, l’attività di assistenza sociale e sanitaria prevista nello Statuto.; con una seconda ripresa, riteneva non deducibili i costi di manutenzione sostenuti su un immobile di proprietà di terzi e detenuto in locazione dalla Farma Carmine Petrone s.r.l. RAGIONI DELLA DECISIONE 3 1. Con il primo motivo (§. 2) le società ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 101, comma 2, lett. a) t.u.i.r. Censurano la sentenza impugnata per aver negato la deducibilità delle erogazioni liberali in favore dell’Associazione «zia Agensina» sul presupposto che quest’ultima avesse utilizzato le somme ricevute per investimenti in strumenti finanziari ed in quanto la somma erogata non era stata effettivamente destinata all’attività solidale. Osservano che il reimpiego delle somme (per la parte eccedente il 12 per cento destinato all’attività solidaristica) in strumenti finanziari non può essere considerato esercizio di ulteriore attività in quanto funzionale a salvaguardarne il valore in attesa dell’utilizzo e valutabile come mera attività di gestione ed amministrazione del patrimonio, non idonea ad integrare un’attività commerciale. Aggiungono che l’utilizzo solo del 12 per cento delle liberalità per lo scopo solidaristico, pure accertato, è circostanza irrilevante in quanto la disposizione non prevede un termine, né l’impiego integrale dei contributi ricevuti. 2. Con il secondo motivo (§ 3) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36 d.gs. 29 dicembre 1992, n. 546 e la nullità della sentenza per motivazione apparente e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 101, comma 2, lett. a) t.u.i.r. Criticano la sentenza impugnata per avere «implicitamente» aderito alla tesi dell’Ufficio secondo la quale le erogazioni ricevute dalla beneficiaria avrebbero dovuto essere impiegate «per intero e subito» e muovono due diverse censure. Con la prima assumono la carenza di motivazione perché resa in forma implicita. In via subordinata osservano che la norma richiamata non richiede un termine entro il quale il beneficiario deve impiegare i contributi ricevuti e non condiziona la deducibilità ad una valutazione 4 quantitativa del raggiungimento delle finalità istituzionali, occorrendo solo che il beneficiario svolga «esclusivamente» l’attività solidaristica; censurano, quindi, la sentenza impugnata per aver ritenuto non sufficiente l’impiego parziale (nella misura del 12 per cento dei contributi ricevuti) a soddisfare il requisito di cui all’art. 100 cit. 3. Con il terzo motivo (§ 4) denunciano in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. In premessa osservano che la statuizione con la quale la C.t.p. aveva affermato l’esistenza di una commistione di interessi tra erogante e beneficiaria ed aveva sostenuto che l’Associazione fosse stata utilizzata dalla famiglia Petrone, cui erano entrambe riconducibili, al fine di abusare del diritto alla deduzione degli oneri, andrebbe valutata alla stregua di obiter dictum; ciononostante, per l’ipotesi subordinata in cui, invece, si ritenesse che detta affermazione fosse espressione di una seconda ratio decidendi, censurano la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul vizio di ultra-petizione, già proposto con l’appello, e motivato in ragione del fatto che si trattava di argomento non speso dall’Ufficio. 4. Con il quarto motivo (§ 5) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r. Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la deducibilità delle quote di ammortamento delle spese di ristrutturazione dell’immobile tratto in locazione sul presupposto che, beneficiandone solo il locatore, mancherebbe l’inerenza, la quale ultima, invece, presupporrebbe che i miglioramenti siano eseguiti su immobili destinati all’esercizio di un’attività destinata a produrre utili. Assumono che tale distinzione non è presente nell’art. 109 t.u.i.r. per il quale rileva il solo collegamento funzionale tra spese ed attività 5 che dà luogo ai ricavi e che, diversamente opinando, la norma dovrebbe ritenersi incostituzionale. 5. Va preliminarmente esaminata la prima censura di cui al secondo motivo in quanto con la medesima si denuncia un error in procedendo, ravvisato nella parvenza della motivazione per mero rinvio alla tesi dell’Ufficio; detto vizio, infatti, ove esistente, determinerebbe la nullità della sentenza. La censura è infondata. 5.1. La C.t.r. ha ritenuto, con riferimento alla prima ripresa fiscale, che non sussistevano le condizioni per la deduzione in quanto l’ente beneficiario, costituito nel 1998 dalla famiglia Petrone, non aveva effettivamente destinato le somme erogate all’attività sociale, stante le modalità di utilizzazione di queste ultime. Ha rilevato, infatti, che dal controllo effettuato era risultato che l’Associazione aveva investito la liquidità raccolta in strumenti finanziari; che le spese istituzionali coprivano meno del 12 per cento di quanto incassato nell’anno; che, data la commistione di interessi tra erogante e beneficiario, entrambi facenti capo alla famiglia Petrone, le scelte di gestione delle somme ricevute erano sostanzialmente riconducibili al soggetto erogante. Ha aggiunto che la ratio dell’agevolazione risiedeva nel principio di sussidiarietà e che la deduzione era vincolata all’affettivo beneficio sociale di natura solidaristica. 5.2. La ratio decidendi, così come sopra sintetizzata,sottesa alla statuizione di indeducibilità, non soltanto non risulta esposta in modo implicito, ma nemmeno riproducendo pedissequamente atti dell’Amministrazione. Per altro, questa Corte, a Sezioni Unite, ha anche chiarito che nel processo tributario, così come in quello civile, non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte, eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, qualora le ragioni della decisione 6 siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d'imparzialità del giudice, al quale non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato. Si è precisato, infatti, che una volta assunta la decisione ed individuate le ragioni, giuridiche e di fatto, che la sostengono, deve riconoscersi al giudice la possibilità di esporle nel modo che egli reputi più idoneo - purché in lingua italiana, succintamente ed in maniera chiara, univoca ed esaustiva - perciò anche (se lo ritiene) attraverso le «voci» dei soggetti che hanno partecipato al processo (parti, periti). E può farlo sia richiamando i relativi atti sia direttamente riportandoli (in tutto o in parte) nella sentenza. (Cass. Sez. U. 16/01/2015, n. 642). 6. Il primo motivo e la seconda censura di cui al secondo motivo sono infondati. 6.1. La deducibilità delle erogazioni liberali, ai sensi dell'art. 100, comma 2, lett. a), t.u.i.r., è condizionata, oltre a requisito soggettivo del beneficiario, che deve essere una persona giudica, anche al requisito oggettivo dell’attività svolta da quest’ultimo il quale deve perseguire «esclusivamente» finalità comprese fra quelle indicate nel precedente comma 1, tra le quali, per quanto di rilievo, finalità di assistenza sociale e sanitaria. Tale previsione, come già chiarito da questa Corte, si giustifica in relazione al principio di sussidiarietà, c.d. orizzontale, e costituisce una deroga al principio di inerenza, rendendo deducibili dal reddito di impresa elargizioni, in via di principio, redditualmente non rilevanti. L’elenco degli oneri di utilità sociale deducibili è tassativo atteso che l’art. 100, comma 4, t.u.i.r. stabilisce che le erogazione diverse da 7 quelle di cui ai precedenti commi (e diverse da quelle di cui all’art. 95 comma 1 t.u.i.r. che non rileva nella fattispecie in esame) non sono ammesse in deduzione. Il riconoscimento statutario dell'esclusività del fine costituisce requisito formale necessario, ma non sufficiente, dovendo trovare riscontro nell'effettiva attività svolta dalla beneficiato atteso il carattere eccezionale delle disposizioni derogatorie e la natura della finalità solidaristica, a cui può essere assegnato rilievo solo se sia concreta e non si traduca in una mera enunciazione (Cass. 02/08/2017, n. 19192 e Cass. 12/05/2017 n. 11872 entrambe rese nei confronti delle società contribuenti con riferimento agli anni di imposta 2004 e 2005). Trattandosi di norma agevolativa, l’onere della prova spetta al contribuente che, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., ha l'onere di dimostrare, in seguito alla contestazione dell'Ufficio, i fatti che palesino il raggiungimento dello scopo sotteso all’agevolazione, ovverosia l'effettiva realizzazione dell'intento dichiarato, perché tale intento rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio fiscale richiesto (Cass. 24/06/2011, n. 13954). Sebbene la norma non richieda una corrispondenza immediata e diretta tra l’elargizione liberale e l’impiego di una delle finalità di cui all’art. 100, comma 1, t.u.i.r., occorre, tuttavia, che la destinataria svolga concretamente un’attività ivi riconducibile avvalendosi delle erogazioni ricevute. In sintesi, affinché le erogazioni liberali di cui all’art. 100, comma 2, lett. a) t.u.i.r. siano deducibili, occorre, non soltanto il riconoscimento statutario dell'esclusività del fine, ma anche l’effettivo svolgimento di attività funzionale alla sua realizzazione. 6.2. La C.t.r. si è attenuta a questi principi in quanto, dopo aver rilevato che l’Associazione beneficiaria aveva destinato i capitali raccolti solo in via irrisoria alla realizzazione delle finalità sociali, 8 reinvestendone la gran parte in strumenti finanziari, ha escluso che dette modalità fossero rispettose del dettato di cui all’art. 100 t.u.i.r. in quanto incompatibili con l’effettiva destinazione all’attività sociale. 6.3. Vanno disattese, pertanto, le considerazioni dei ricorrenti secondo il quale la norma in esame non imporrebbe né un limite quantitativo di utilizzo delle elargizioni né un termine né, tanto meno, imporrebbe all’erogante di controllare l’utilizzo delle somme da parte del beneficiario. Gli argomenti non colgono la ratio della sentenza impugnata che, in una valutazione complessiva dell’attività svolta dalla beneficiaria, sin dalla sua istituzione risalente al 1998, ha escluso che quest’ultima svolgesse concretamente quella per la quale era stata costituita. Il riferimento al dato temporale, alle risorse, minime, impiegate per i fini statutari, all’impiego massiccio delle elargizioni in investimenti finanziari, non può essere inteso nel senso che la C.t.r. abbia posto dei limiti per il perseguimento del fine, non previsti dalla norma: piuttosto, si tratta di argomenti evidentemente volti a corroborare l’assunto secondo il quale l’Associazione non svolgeva, e non aveva mai svolto, l’attività di utilità sociale in ragione della quale si giustificava la deduzione del reddito. Inoltre, le censure di parte contribuente sollecitano una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito ad escludere che la beneficiaria avesse concretamente svolto l’attività sociale di cui allo statuto. Così facendo, parte ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle 9 prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/2013, n. 8315). Quanto poi, alla tesi del contribuente secondo cui la C.t.r. avrebbe posto a carico del beneficiante un onere di controllo dell’attività del beneficiato, basti osservare che è la stessa disposizione dell’art. 100 t.u.i.r. a prevedere il requisito oggettivo in capo a quest’ultimo. 7. Il terzo motivo è inammissibile. La ricorrente assume che il giudice del primo grado, nell’escludere la deduzione ravvisando la fattispecie dell’elusione fiscale, abbia reso un obiter dictum; che, tuttavia, ove l’affermazione possa essere valutata alla stregua di ratio decidendi, la sentenza della C.t.r. sarebbe viziata per non aver scrutinato il motivo di appello con il quale si era dedotto che la C.t.p. era andata ultrapetita. Il motivo, tuttavia, censura una statuizione della sentenza di primo grado che, con specifico riferimento alla ricostruzione di una fattispecie elusiva, non risulta riprodotta nella sentenza di secondo grado con la quale, invece, il ricorrente non si confronta. 8. Il quarto motivo è fondato. 8.1. Le Sezioni Unite della Corte sono intervenute sulla questione della detrazione dell’Iva con riguardo a lavori di manutenzione o ristrutturazione su immobili di terzi e condotti in locazione ed hanno affermato che deve «riconoscersi il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l'attività d'impresa o professionale, anche se quest'ultima [...] non abbia poi potuto concretamente esercitarsi» (Cass. Sez. U. 10/05/2018 n. 11533). Le medesime considerazioni, tuttavia, sono valide anche ai fini delle imposte dirette, dovendosi considerare unitario – per la sua derivazione 10 dalla nozione di reddito d'impresa – il principio di inerenza dei costi. Pertanto, l'esercente attività d'impresa o professionale può dedurre dai redditi d'impresa i costi occorsi per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di un immobile condotto in locazione, anche se si tratta di un bene di proprietà di terzi, purché sussista il requisito dell'inerenza, avente valenza qualitativa, e quindi da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l'attività svolta (Cass. 27/09/2018, n. 23278). 8.2. La C.t.r., nell’escludere l’inerenza dei costi all’attività di impresa nell’ipotesi di immobili detenuti in locazione, assumendo che in tal caso l’unico beneficiario sarebbe il locatore, non si è attenuta a questi principi. 9. In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo e dichiarato inammissibile il terzo; la sentenza impugnata va cassata quanto al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo ricorso, disattesi gli ulteriori; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, 9 maggio 2024. Il Consigliere est. Il Presidente (Rosanna Angarano) (Lucio Napolitano)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTO Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19424/2015 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TAMBASCO FRANCESCA (TMBFNC84C41C351V), DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 350/2015 depositata il 29/01/2015. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023; Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del quinto e del settimo motivo, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. A seguito di PVC di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Enna, l’Agenzia delle Entrate notificava al sig. Ettore Forno, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, in data 01.08.2012, l’avviso di accertamento n.TYU01T200460/2012, con il quale veniva recuperato imponibile per l’anno d’imposta 2010, con conseguenti maggiori imposte IRPEF, IRAP e IVA, oltre interessi e sanzioni correlate. 2. L’Ufficio accertava l’omessa contabilizzazione di incassi, una plusvalenza derivante da cessione d’azienda e ricavi non dichiarati desunti da accertamenti bancari. 3. Il contribuente impugnava, quindi, l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna emetteva la sentenza n. 432/01/13, depositata il 20.12.2013, con la quale rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese di giudizio. 4. Il contribuente proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. 5. La CTR osservava che con l’atto impugnato, correttamente motivato per relationem con riferimento al PVC, regolarmente notificato al Forno, l’Ufficio aveva «adeguatamente motivato, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dell’accertamento»; nel merito confermava tutti i rilievi, osservando, in particolare, quanto agli accertamenti bancari che questi pongono una presunzione legale in base alla quale sia i versamenti sia i prelevamenti costituiscono ricavi, mentre è onere del contribuente fornire la prova contraria e, in questo caso, «i prelevamenti contestati dall’Ufficio sono quelli per i quali non è stata fornita alcuna giustificazione e quelli per i quali il contribuente, pur fornendo qualche forma di giustificazione non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto, così come precisato a pag. 104 del processo verbale di giustificazione». 6. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su quindici motivi. 7. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente deducel’«inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del Direttore firmatario» alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, in quanto «pare» che la nomina del Direttore provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 1.1. L'eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia, la quale rileva che la questione non era stata proposta con il ricorso iniziale in primo grado, può essere superata trattandosi di ius superveniens per effetto della pronuncia della Corte costituzionale invocata. Il motivo è inammissibile, piuttosto, perché si esprime in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del sottoscrittore rientrasse tra quelle interessate dalla pronunzia di incostituzionalità. 1.2. Il motivo, in ogni caso, è infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (Cass. n. 22810 del 2015; conf. Cass. n. 5177 del 2020). 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.7 dello Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui non è stato annullato l’avviso per mancata indicazione della metodologia di accertamento, essendo insufficiente il riferimento all’art. 39 comma 1 d.P.R. n. 600/1973 che contempla diverse metodologie – l’accertamento analitico e l’accertamento analitico – induttivo - , con conseguente violazione del diritto di difesa del contribuente. 2.1. La censura è infondata, posto che è irrilevante la formale qualificazione della metodologia a fondamento dell’atto da parte dell’Amministrazione finanziaria, essendo essenziale invece che siano chiari i suoi presupposti di fatto e di diritto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, non è necessaria l'indicazione delle «norme di riferimento», bastando che l'avviso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo (Cass. n. 9499 del 2017; Cass. n. 28968 del 2008; Cass. n. 3257 del 2002); d’altro canto, all’Amministrazione finanziaria è consentito impiegare sia il metodo di accertamento induttivo che quello analitico- induttivo contemporaneamente, ove consti una complessiva inattendibilità delle scritture contabili la quale, peraltro, non esclude che l’accertamento possa essere fondato anche su elementi contabili (Cass. n.7626 del 2008; Cass. n. 27068 del 2006). 3. Con il terzo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.7 Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui la CTR non ha annullato, per omessa motivazione, l’avviso impugnato che aveva malamente sintetizzato il PVC che non conteneva specifici accertamenti di irregolarità contabili. 3.1. Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato. 3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, denunciando genericamente carenze del PVC e acritico recepimento di questo da parte dell’Agenzia ma senza riportare puntualmente il contenuto dell’atto né offrire comunque elementi specifici in grado di circostanziare queste doglianze. 3.4. In ogni caso il motivo è infondato. Come osservato dalla stessa CTR, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 32957 del 2018; Cass. n. 30560 del 2017; Cass. n. 21119 del 2011; Cass. n. 8183 del 2011); inoltre, non sussisteva alcun obbligo di allegazione del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento, trattandosi di atto già a conoscenza del contribuente (tra le tante, Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 16976 del 2012). 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c. sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Agenzia dalle entrate, laddove la CTR ha ritenuto provata l’omessa contabilizzazione di incassi «atteso che il contribuente non è riuscito a provare l’omesso pagamento della somma in questione», invertendo di fatto l’onere della prova e addossando sul contribuente un fatto negativo, quando deve essere l’Amministrazione a dimostrare che il pagamento vi era stato. 4.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi, ed è comunque infondato. 4.2. La decisione non si fonda sulla mancata prova di un fatto negativo ma poggia sull’assenza degli adempimenti che fiscalmente fanno ritenere che non vi è materiale imponibile tassabile. Infatti, l’emissione di fattura per operazioni imponibili fa sorgere l’obbligazione tributaria di versamento della relativa IVA, ex art. 6, comma 5, d.P.R. 26.10.1972, n. 633 e l’eventuale mancato pagamento della fattura emessa, per portare all’annullamento dell’obbligazione tributaria di versamento dell’IVA, deve essere contabilizzato mediante nota di credito, ex art. 26, d.P.R. n. 633/1972, la cui emissione non è stata dedotta né tantomeno provata. Ai fini delle imposte dirette, invece, il venir meno dell’imponibile fatturato deve essere registrato come sopravvenienza passiva, ex art. 101 (ex art. 66), d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Cass. n. 7313 del 2003) ma non è stato indicato neppure questo adempimento. 5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.86 comma 2 TUIR e dell’art.2 d.P.R. n.460/1996 nella parte in cui non si è annullato il rilievo sulla plusvalenza da cessione di azienda nonché deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo con riferimento alla plusvalenza per cessione di azienda, erroneamente calcolata sulla base di quanto definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro, anziché sulla base del corrispettivo conseguito. 5.1. Il motivo è fondato con riguardo alla violazione di legge, mentre è inammissibile la censura sotto il paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non trattandosi di un fatto storico e ricorrendo una c.d. “doppia conforme” (v. § 9.2. e § 9.3.). 5.2. Va rammentato che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, d.lgs. 14.9.2015, n. 147, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria (Cass. n. 12131 del 2019; Cass. n. 9513 del 2018; Cass. n. 19227 del 2017); in questo caso, invece, come riportato in sentenza, la plusvalenza accertata deriva dalla rettifica dall’atto ai fini dell’imposta di registro. 6. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.32 d.P.R. n. 600/73 e dell’art.2967 c.c., perché la CTR non ha annullato la ripresa a tassazione dei prelevamenti di cui è stato indicato il beneficiario. 6.1. Il motivo è inammissibile, perché in realtà tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile come tale nel giudizio di legittimità, ed è comunque infondato. 6.2. Il citato art. 32, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, prevede che vengano posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche ed accertamenti i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei rapporti bancari, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Si pone così una presunzione relativa, di fonte legale, circa la corrispondenza fra versamenti e prelevamenti bancari, non risultanti dalle scritture contabili, e ricavi occultati, che determina in capo al contribuente un preciso ed analitico onere di prova contraria; quest’onere non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022). Va altresì osservato che l’indicazione del beneficiario non può risolversi nella mera menzione di un nominativo, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la causa del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo che sia fornita prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (tra le altre, v. Cass. n. 15161 del 2020; n. 16896 del 2014). 6.3. Incombeva, quindi, sul ricorrente allegare di aver superato la presunzione attraverso la dimostrazione in modo analitico dell'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili (Cass. n. 35258 del 2021); solo in questa evenienza il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione. Nel caso in esame, però, il motivo si sostanzia nella elencazione dei prelevamenti recuperati con indicazione di causali in gran parte generiche, mentre, come riferito in sentenza, il recupero ha riguardato solo i prelevamenti per i quali il ricorrente non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto. 7. Con il settimo motivo il ricorrente deducenullità della sentenza per violazione dell’art.32 D.P.R. 600/1973 e art. 53 Cost. nella parte in cui non tiene conto degli eventuali costi per produrre il reddito. 7.1. Il motivo è fondato. 7.2. A seguito della sentenza della Corte cost. n. 10/2023, che ha operato un'interpretazione adeguatrice dell'art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall'ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. n. 18653 del 2023; n. 6874 del 2023; v. anche n. 7122 del 2022). 8. Con l’ottavo motivo rileva nullità della sentenza, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art.36 d.lgs. n. 546/1992 e 115 c.p.c. avendo la CTR erroneamente ritenuti assorbiti una serie di motivi d’appello, riguardanti singole riprese. e mancato di esaminare i documenti prodotti e mai contestati dall’Ufficio, cosicché risulta un vizio di omessa motivazione che rende nulla la sentenza. 8.1. Il motivo è inammissibile in quanto l'assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. n. 26520 del 2023; Cass n. 12193 del 2020), che deve essere censurata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 11459 del 2019). In questo caso il motivo si discosta dalle regole in materia secondo cui, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell'art.112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 9. Con i motivi dal nono al quindicesimo il ricorrente denunzia la sentenza impugnata, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., per l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia e segnatamente: «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi all’acquisto di vendita e di carburante Eni» (motivo 9); «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi agli incassi del negozio di telefonia Tim» (motivo 10); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni effettuate quale “anticipo socio”, “finanziamento a favore di Ipsale” (Rosa, Salvatore, Luca, Fortunato), “restituzione finanziamento Ipsale”» (motivo 11); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni neutre» (motivo 12); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 90.000,00 relativo all’acquisto dell’appartamento in via Canfora 55 Catania» (motivo 13); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 515.000,00 relativo all’acquisto delle quote di Villa Parlapiano» (motivo 14); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 300,000,00 relativo all’acquisto di un immobile a Milano alla via Teuliè n.13» (motivo 15). 9.1. Questi motivi sono inammissibili. 9.2. La censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022). 9.3. Va considerato, inoltre, che, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), è escluso che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”), salvo che il ricorrente non dimostri che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello sono tra loro diverse (Cass. n.5947 del 2023); la “doppia conforme”, peraltro, ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo Giudice (Cass. n. 7724 del 2022). 9.4. In questo caso, da un lato, manca la precisa indicazione dei fatti storici decisivi che la CTR avrebbe omesso di esaminare, poiché le doglianze riguardano la valutazione di mezzi istruttori ovvero istanze difensive, e, dall’altro, il ricorrente non si è fatto carico di superare la preclusione derivante dalla c.d. “doppia conforme”. 10. Conclusivamente, accolti il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, la causa deve essere cassata di conseguenza con rinvio alla Corte di merito in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6902 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); contro -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante, non costituito in giudizio; Ministero dell'Istruzione e del Merito, -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e udito per la parte appellante l'Avv. An. Ve.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha sostenuto l'esame di Stato nel secondo ciclo di istruzione per l'anno scolastico 2020/21, per il conseguimento del diploma di maturità classica presso -OMISSIS-, ottenendo un voto pari a 93/100 così composto: - 55 punti per il credito scolastico; - 37 punti per il colloquio finale; - 1 punto per il punteggio integrativo di cui all'art. 18, co. 5, d.lgs. 62/2017 e all'art. 16, co. 8, lett. b), dell'ordinanza del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (O.M.) n. 53/2021, in relazione al criterio - stilato dalla sottocommissione d'esame il 14 giugno 2021 - "per un'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano sia in lingua straniera". Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la mancata attribuzione di ulteriori 3 punti integrativi e il mancato conseguimento di un voto complessivo pari a 96/100. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. La ricorrente ha impugnato l'esito dell'esame di Stato per vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere, sostenendo che la sottocommissione d'esame si sia immotivatamente discostata dai criteri da essa stessa fissati, con il verbale della riunione del 14 giugno 2021, per l'attribuzione del punteggio integrativo. La candidata, avendo conseguito una valutazione pari a 37 punti nel colloquio finale, avrebbe dovuto ottenere - oltre al punto assegnatole per l'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano sia in lingua straniera - i seguenti punteggi premiali: - 1 punto per una valutazione alta del colloquio (pari, cioè, al range di voti tra 35 e 37); - 1 punto per un elaborato (che ciascun candidato doveva redigere e discutere all'inizio del colloquio) di elevata qualità ; - 1 punto per una conduzione globale del colloquio di elevata qualità . Il Tar ha osservato che il punteggio integrativo attribuibile ai candidati all'esame di Stato è previsto dall'art. 18, co. 5, d.lgs. 62/2017, in forza del quale "la commissione d'esame può motivatamente integrare il punteggio fino a un massimo di cinque punti ove il candidato abbia ottenuto un credito scolastico di almeno trenta punti e un risultato complessivo nelle prove d'esame pari almeno a cinquanta punti". Per l'esame di Stato relativo all'anno scolastico 2020/21, l'O.M. n. 53/2021, all'art. 16, co. 8, lett. b), chiarisce che, in sede di riunione preliminare, la sottocommissione definisce "i criteri per l'eventuale attribuzione del punteggio integrativo, fino a un massimo di cinque punti per i candidati che abbiano conseguito un credito scolastico di almeno cinquanta punti e un risultato nella prova di esame pari almeno a trenta punti". Nel caso di specie, la sottocommissione d'esame, nella riunione preliminare del 14 giugno 2021, ha fissato i seguenti criteri per l'attribuzione del punteggio integrativo: "1) 2 punti per una valutazione altissima (p. 38-40) del colloquio; 2) 1 punto per una valutazione alta (p. 35-37) del colloquio; 3) 1 punto per un'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano che in lingua straniera; 4) 1 punto per un elaborato di elevata qualità ; 5) 1 punto per una conduzione globale del colloquio di elevata qualità ". Dagli artt. 18, co. 5, d.lgs. 62/2017 e 16, co. 8, lett. b), O.M. n. 53/2021 emerge che il punteggio integrativo è una votazione premiale di natura prettamente eventuale e, dovendo essere adeguatamente motivata dalla commissione, con portata eccezionale. In altri termini, la regola è la mancata spettanza del punteggio integrativo, mentre il suo riconoscimento costituisce un'eccezionale facoltà attribuita alla commissione in relazione a speciali qualità dimostrate dal candidato durante il corso di studi o all'esame finale. Ne consegue, secondo il Tar, che la decisione di non assegnare in tutto o in parte il punteggio integrativo non deve essere motivata, la motivazione essendo richiesta solamente se la commissione decide di premiare lo studente. Legittimamente, dunque, la sottocommissione ha illustrato la ragione per cui ha assegnato alla ricorrente 1 punto per la fluidità e la correttezza espressiva sia in italiano che in lingua straniera, mentre non era tenuta a giustificare la mancata attribuzione di ulteriori punti premiali. Il Tar ha ritenuto che, avuto riguardo al carattere premiale ed eccezionale del punteggio integrativo, non può ritenersi che l'attribuzione di 37 punti per il colloquio finale imponesse altresì di assegnare alla ricorrente 1 punto "per una valutazione alta (p. 35-37) del colloquio". Non può esservi alcun automatismo tra il voto del colloquio e l'assegnazione del punteggio integrativo, perché altrimenti esso perderebbe la sua funzione premiale e si tramuterebbe in uno strumento di livellamento al rialzo dei voti dell'esame. Né può sostenersi che la sottocommissione si fosse autovincolata in tal senso, inserendo la valutazione alta del colloquio tra i criteri per l'attribuzione del punteggio integrativo. La valutazione del colloquio è, per l'appunto, solo un criterio a cui ispirarsi per il riconoscimento del punteggio integrativo, il quale rimane, però, eventuale. L'autovincolo insiste sull'elemento premiale, nel senso che la commissione non avrebbe potuto valorizzare criteri diversi da quelli precedentemente enucleati, e non anche sull'an dell'attribuzione del punteggio. Di riflesso, ha osservato il Tar, la commissione non era tenuta ad attribuire neppure gli ulteriori 2 punti "per un elaborato di elevata qualità " e "per una conduzione globale del colloquio di elevata qualità ", che la ricorrente pretende le venissero assegnati in via ulteriormente automatica, in ragione della votazione alta conseguita in sede di colloquio finale. Il Tar ha ritenuto inammissibili le impugnazioni proposte avverso: - il certificato d'esame, in quanto privo delle diciture "rilasciato ai fini dell'acquisizione d'ufficio" e "rilasciato solo per l'estero", imposte dalla normativa sulle certificazioni (primo atto di motivi aggiunti); - le relazioni predisposte dal presidente della sottocommissione e dalla coordinatrice didattica a seguito del ricorso, sia per invalidità derivata dai vizi censurati con il ricorso introduttivo, sia perché provenienti da singoli membri della commissione e dunque violativi del principio della collegialità della valutazione, sia perché contenenti indebite e, comunque, non condivisibili integrazioni postume della motivazione provvedimentale (primo atto di motivi aggiunti); - la relazione integrativa predisposta nel corso del giudizio dal presidente della sottocommissione, sia invalidità derivata, sia per difetto assoluto di attribuzioni in quanto redatta dopo lo scioglimento della commissione, sia perché contenente ulteriori integrazioni postume della motivazione provvedimentale (secondo e terzo atto di motivi aggiunti). Infatti il certificato d'esame e le relazioni istruttorie sono atti non provvedimentali, come tali non lesivi e, di conseguenza, insuscettibili di impugnazione. Il certificato si limita ad attestare l'esito dell'esame sostenuto dalla ricorrente, mentre le relazioni sono redatte dall'amministrazione all'unico fine di aiutare l'Avvocatura di Stato nella predisposizione della difesa. Né l'uno né gli altri producono effetti giuridici, tantomeno lesivi, per la ricorrente. Con il primo atto di motivi aggiunti al ricorso di primo grado, la ricorrente ha mosso all'esito dell'esame una nuova censura di eccesso di potere per disparità di trattamento, perché la sottocommissione avrebbe attribuito 2 punti premiali ad altra candidata "per una valutazione altissima (p. 38-40) del colloquio". Il Tar ha ritenuto tale doglianza è inammissibile perché priva del requisito della "distinzione", imposto dall'art. 40, co. 1, lett. d), cod. proc. amm., essendo stata formulata nel medesimo motivo incentrato sull'impugnazione delle relazioni istruttorie, che tra l'altro sono atti insuscettibili d'impugnazione, e non in apposita parte del gravame dedicata a tale elemento, di cui il motivo costituisce il nucleo essenziale e centrale. Il Tar ha anche ritenuto la medesima censura destituita di fondamento, perché l'esame di Stato non è una procedura comparativa, sicché le votazioni dei candidati non si influenzano reciprocamente. I punteggi integrativi sono assegnati in relazione alle specifiche qualità dei singoli esaminandi, senza alcuna comparazione tra gli stessi. Ne consegue che l'attribuzione di 2 punti premiali ad altra candidata, oltretutto per il diverso criterio relativo alla valutazione altissima del colloquio, non imponeva alla sottocommissione di riconoscere alla ricorrente 1 punto per la valutazione alta del colloquio. 2. Parte appellante deduce i motivi di ricorso articolati in primo grado con l'atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti, al fine della loro devoluzione al Consiglio di Stato in sede d'appello e lamenta che avrebbero dovuto essere attribuiti alla candidata i 3 punti previsti a titolo di bonus che le avrebbero consentito di raggiungere il punteggio complessivo e finale di 96/100. Parte appellante fa genericamente riferimento (pagine 11 e 12 dell'appello) alla possibilità di riproporre in appello una censura non delibata dal giudice di primo grado. Tuttavia non specifica in modo adeguato quali sarebbero le censure non delibate dal giudice di primo grado. Ne consegue l'inammissibilità dell'appello nella sola parte in cui sono riproposti i motivi di censura proposti in primo grado senza che siano formulate specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, richieste invece dal primo comma dell'art. 101 del cod. del proc. amm. Infatti il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall'art. 101, comma 1, c.p.a., impone che sia formulata una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo (Consiglio di Stato sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1308). Il fatto che l'appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo, non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nell'atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e, inoltre, i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti originariamente dedotti (così Consiglio di Stato VII n° 659 del 22 gennaio 2024). Il collegio esamina pertanto l'appello limitatamente alle specifiche censure formulate avverso la sentenza appellata, a prescindere dal superamento dei limiti dimensionali dell'appello. 3. Ciò premesso parte appellante contesta la sentenza appellata ove afferma (p.ti 5.3 e 5.4 sentenza impugnata) "(...) che il punteggio integrativo è una votazione premiale di natura prettamente eventuale e, dovendo essere adeguatamente motivata dalla commissione, con portata eccezionale" per poi stabilire, illogicamente, poche righe dopo, "La decisione di non assegnare in tutto o in parte il punteggio integrativo non deve essere motivata". Secondo parte appellante tale affermazione sarebbe smentita dalla giurisprudenza che fa riferimento all'inapplicabilità al caso di specie della regola della sufficienza del voto numerico -come pure sostenuta dalla amministrazione resistente - in presenza del vincolo esplicito posto dal citato comma 9, art. 18, o.m. n. 65 del 2022, in ordine alla motivazione specifica che deve accompagnare ogni deliberazione. 3 - bis. Le censure sono infondate. Parte appellante, oltre al punto assegnatole per l'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano sia in lingua straniera - chiede il riconoscimento dei seguenti ulteriori punteggi premiali: - 1 punto per una valutazione alta del colloquio (pari, cioè, al range di voti tra 35 e 37); - 1 punto per un elaborato (che ciascun candidato doveva redigere e discutere all'inizio del colloquio) di elevata qualità ; - 1 punto per una conduzione globale del colloquio di elevata qualità . Il Tar ha correttamente osservato che il punteggio integrativo attribuibile ai candidati all'esame di Stato è previsto dall'art. 18, co. 5, d.lgs. 62/2017, in forza del quale la commissione d'esame può motivatamente integrare il punteggio fino a un massimo di cinque punti ove il candidato abbia ottenuto un credito scolastico di almeno trenta punti e un risultato complessivo nelle prove d'esame pari almeno a cinquanta punti. Per l'esame di Stato relativo all'anno scolastico 2020/21, l'O.M. n. 53/2021, all'art. 16, co. 8, lett. b), chiarisce che, in sede di riunione preliminare, la sottocommissione definisce i criteri per l'eventuale attribuzione del punteggio integrativo, fino a un massimo di cinque punti per i candidati che abbiano conseguito un credito scolastico di almeno cinquanta punti e un risultato nella prova di esame pari almeno a trenta punti. Nel caso di specie, la sottocommissione d'esame, nella riunione preliminare del 14 giugno 2021, ha fissato i seguenti criteri per l'attribuzione del punteggio integrativo: 1) 2 punti per una valutazione altissima (p. 38-40) del colloquio; 2) 1 punto per una valutazione alta (p. 35-37) del colloquio; 3) 1 punto per un'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano che in lingua straniera; 4) 1 punto per un elaborato di elevata qualità ; 5) 1 punto per una conduzione globale del colloquio di elevata qualità . Dagli artt. 18, co. 5, d.lgs. 62/2017 e 16, co. 8, lett. b), O.M. n. 53/2021 emerge che il punteggio integrativo è una votazione premiale di natura prettamente eventuale e, dovendo essere adeguatamente motivata dalla commissione, con portata eccezionale. In altri termini, la regola è la mancata spettanza del punteggio integrativo, mentre il suo riconoscimento costituisce un'eccezionale facoltà attribuita alla commissione in relazione a speciali qualità dimostrate dal candidato durante il corso di studi o all'esame finale. Ne consegue che la decisione di non assegnare in tutto o in parte il punteggio integrativo non deve essere motivata, la motivazione essendo richiesta solamente se la commissione decide di premiare lo studente. Legittimamente, dunque, la sottocommissione ha illustrato la ragione per cui ha assegnato alla ricorrente 1 punto per la fluidità e la correttezza espressiva sia in italiano che in lingua straniera, mentre non era tenuta a giustificare la mancata attribuzione di ulteriori punti premiali. D'altro canto la stessa parte appellante ha ottenuto un punto premiale in relazione all'efficace fluidità e compiuta correttezza espressiva sia in italiano che in lingua straniera. Anche tale circostanza induce il collegio a ritenere che l'esame sia stato nel suo complesso adeguatamente valutato, anche con riferimento al punteggio premiale. 4. Secondo parte appellante sarebbe irragionevole, contraddittoria e perplessa la condotta dell'Amministrazione, e quindi il relativo capo di sentenza, nella misura in cui dapprima, in sede di valutazione del colloquio, attribuiva alla ricorrente la votazione di n. 37 punti, salvo poi non assegnare all'appellante il punto integrativo previsto dalla Commissione stessa per le "valutazioni" della prova orale comprese tra n. 35 e n. 37 punti. Secondo parte appellante le avrebbe dovuto essere attribuito n. 1 punto integrativo, ulteriore a quello ottenuto, in ragione della "valutazione alta" del colloquio, documentalmente acclarata dalla Sottocommissione, che ha deliberatamente attribuito n. 37 punti al colloquio svolto dall'Appellante. La sentenza appellata sarebbe errata ove afferma l'assenza di un automatismo tra il voto del colloquio e l'attribuzione del punteggio integrativo. A fronte di siffatta specifica previsione contenuta nei criteri predeterminati dalla commissione, verificata l'esistenza del presupposto (voto di esame ricompreso tra i limiti di 35 e 37) deve conseguire l'effetto predeterminato in sede di formulazione dei criteri di valutazione. 4 - bis. Le censure sono infondate. Infatti, avuto riguardo al carattere premiale ed eccezionale del punteggio integrativo, non può ritenersi che l'attribuzione di 37 punti per il colloquio finale imponesse altresì di assegnare alla ricorrente 1 punto "per una valutazione alta (p. 35-37) del colloquio". Non può esservi alcun automatismo tra il voto del colloquio e l'assegnazione del punteggio integrativo, perché altrimenti esso perderebbe la sua funzione premiale e si tramuterebbe in uno strumento di livellamento al rialzo dei voti dell'esame. Né può sostenersi che la sottocommissione si fosse autovincolata in tal senso, inserendo la valutazione alta del colloquio tra i criteri per l'attribuzione del punteggio integrativo. La valutazione del colloquio è, per l'appunto, solo un criterio a cui ispirarsi per il riconoscimento del punteggio integrativo, il quale rimane, però, eventuale. Il vincolo sussiste nel senso che la commissione non avrebbe potuto valorizzare criteri diversi da quelli enucleati, e non invece nel senso che avrebbe avuto l'obbligo di attribuire il punteggio. 5. Parte appellante censura la mancata attribuzione del punto integrativo che la sottocommissione stessa aveva stabilito di riconoscere per la "conduzione globale del colloquio di elevata qualità ". Secondo parte appellante l'attribuzione alla medesima di 37 punti (su un totale di 40) per la prova orale, contiene il corrispondente giudizio di eccellenza per "l'elevata qualità della conduzione globale del colloquio" della candidata, che pertanto avrebbe dovuto trovare riconoscimento anche nella gestione del punteggio integrativo. La stessa sottocommissione, nel riconoscere alla ricorrente l'unico punto integrativo per la fluidità e correttezza espressiva, qualifica "elevata" la competenza linguistica valorizzata in sede di esame orale con una valutazione "altissima", ossia con il voto massimo a disposizione della Sottocommissione (5/5) ad avviso della quale la ricorrente "si esprime con ricchezza e piena padronanza lessicale e semantica, anche in riferimento al linguaggio tecnico e/o di settore". Se ne dovrebbe desumere che la Sottocommissione avrebbe qualificato "elevata" la competenza valorizzata in sede di esame orale con una valutazione "altissima" (sub criterio riferito alla "ricchezza e padronanza lessicale e semantica" per la quale è stato attribuito il punteggio di "5/5"). 5 - bis. La censura è inammissibile perché non contiene specifica censura nei confronti della sentenza appellata. La censura è altresì infondata. Infatti non può esservi alcun automatismo tra il voto del colloquio e l'assegnazione del punteggio integrativo, perché altrimenti il punteggio integrativo perderebbe la sua funzione premiale e si tramuterebbe in uno strumento di livellamento al rialzo dei voti dell'esame. Né può sostenersi che la sottocommissione si fosse autovincolata in tal senso, inserendo la valutazione alta del colloquio tra i criteri per l'attribuzione del punteggio integrativo. La valutazione del colloquio è, per l'appunto, solo un criterio a cui ispirarsi per il riconoscimento del punteggio integrativo, il quale rimane, però, eventuale. Il vincolo sussiste nel senso che la commissione non avrebbe potuto valorizzare criteri diversi da quelli enucleati, e non invece nel senso che avrebbe avuto l'obbligo di attribuire il punteggio. Né, come vorrebbe invece parte appellante, doveva essere riconosciuto il punteggio integrativo per la conduzione globale del colloquio di elevata qualità per avere ottenuto il diverso punteggio premiale integrativo per la fluidità e correttezza espressiva. 6. Parte appellante lamenta che la sentenza appellata non avrebbe affrontato la questione relativa alla mancata attribuzione del punto che la sottocommissione stessa aveva stabilito di riconoscere ai candidati che avessero presentato "un elaborato di elevata qualità ", come previsto dal criterio n. 5 dell'elenco di cui al verbale n. 2 delle Sottocommissioni. Fa riferimento alla circostanza che la Sottocommissione aveva elaborato il criterio per cui si deve considerare elevata" la "qualità " dell'elaborato a prescindere dalla valutazione e dal punteggio ottenuti per il colloquio. 6 - bis. La censura è inammissibile perché non contiene specifica censura nei confronti della sentenza appellata che ha motivato sul punto. La censura è inoltre infondata. La decisione di non assegnare in tutto o in parte il punteggio integrativo non deve essere motivata, la motivazione essendo richiesta solamente se la commissione decide di premiare lo studente. La commissione non era tenuta ad attribuire gli ulteriori 2 punti per un elaborato di elevata qualità . Il vincolo sussiste nel senso che la commissione non avrebbe potuto valorizzare criteri diversi da quelli enucleati, e non invece nel senso che avrebbe avuto l'obbligo di attribuire il punteggio. 7. Parte appellante ripropone i primi motivi aggiunti di ricorso con cui si è contestato nel giudizio di primo grado, oltre al certificato d'esame, la relazione a firma della -OMISSIS-e la relazione a firma del Presidente della Commissione d'esame (nonché il verbale n. 13 relativo all'attribuzione del voto finale, integrato dei punteggi riconosciuti agli altri candidati, se interpretato come vorrebbero le gravate relazioni) poiché costituirebbero un'inammissibile e illegittima integrazione postuma della motivazione. Parte appellante, con riferimento al certificato d'esame, lamenta che la sentenza gravata nell'assumere l'inammissibilità della censura, sarebbe viziata giacché il certificato lederebbe la sfera giuridica dell'appellante. 7 - bis. Le censure sono inammissibili perché non contengono specifiche censure avverso la sentenza appellata e per carenza d'interesse oltre che infondate. Il certificato d'esame e le relazioni istruttorie sono atti non provvedimentali, come tali non lesivi e, di conseguenza, insuscettibili di impugnazione. Il certificato si limita ad attestare l'esito dell'esame sostenuto dalla ricorrente, mentre le relazioni sono redatte dall'amministrazione all'unico fine di aiutare l'Avvocatura di Stato nella predisposizione della difesa. Né l'uno né gli altri producono effetti giuridici, tantomeno lesivi, per l'appellante. Il collegio osserva altresì che parte appellante non ha provato la lesione ed in particolare non ha provato che il certificato abbia un contenuto falso con riferimento alla propria sfera giuridica. Parte appellante, riproponendo i primi motivi aggiunti del ricorso di primo grado ha formulato censura di eccesso di potere per disparità di trattamento, perché la sottocommissione avrebbe attribuito 2 punti premiali ad altra candidata per una valutazione altissima (punteggio tra 38 e 40) del colloquio. La censura è anche infondata, perché l'esame di Stato non è una procedura comparativa, sicché le votazioni dei candidati non si influenzano reciprocamente. I punteggi integrativi sono assegnati in relazione alle specifiche qualità dei singoli esaminandi, senza alcuna comparazione tra gli stessi. La circostanza secondo cui l'esame di Stato non è una procedura comparativa, è del resto condivisa dalla stessa appellante a pagina 32 dell'appello. 8. Parte appellante ripropone i secondi motivi aggiunti proposti in primo grado, aventi ad oggetto la relazione istruttoria relativa al ricorso al TAR a a firma del Presidente della Commissione d'esame e relativi allegati. 8 - bis. Le censure sono inammissibili perché non contengono specifiche censure verso la sentenza appellata e perché non sussiste l'interesse, trattandosi di documenti a supporto della difesa erariale e non di provvedimenti. 9. Parte appellante formula istanza istruttoria per l'acquisizione in giudizio degli atti del procedimento gravato, nonché per l'esibizione dell'originale della griglia di valutazione della prova orale, istanza già respinta nel giudizio di primo grado. 9 - bis. Il collegio respinge l'istanza istruttoria, essendo sufficiente il quadro probatorio esistente ai fini della decisione. In conclusione l'appello deve essere respinto. Le spese dell'appello possono essere compensate, essendosi l'Amministrazione costituita in appello solo formalmente. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese dell'appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, incarica la Segreteria di precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l'indicazione delle sole generalità della parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTI BANCARI Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18120/2018 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PALERMO n. 5083/2017 depositata il 18/12/2017. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023, Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, Ettore Forno, titolare di omonima ditta individuale esercente il commercio di prodotti di telefonia, ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate contenente la determinazione di maggiori ricavi e minori costi deducibili per il 2008 con conseguente recupero di imposte. 2. L'accertamento di maggiori ricavi era fondato, per la gran parte, su accertamenti bancari che il contribuente ha contestato osservando che l’Agenzia aveva acriticamente recepito le risultanze del PVC della Guardia di finanza senza svolgere alcun controllo e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna ha accolto il ricorso, osservando che l’Ufficio non aveva approfondito le giustificazioni rese dal Forno in ordine alle movimentazioni bancarie contestate. 3. Il gravame erariale è stato accolto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, la quale ha osservato che l’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamenti bancari pone una presunzione legale a favore dell’Amministrazione, cosicché incombe sul contribuente l’onere di giustificare i versamenti o dimostrare che i prelevamenti erano già stati considerati nella determinazione della base imponibile ovvero erano irrilevanti a quei fini, non essendo onere dell’Amministrazione “approfondire” le proprie indagini sulla base delle giustificazioni fornite dal contribuente. 4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Forno fondato su cinque motivi. 5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone ricorso incidentale fondato su un motivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di tardività del ricorso iniziale sollevata dall’Agenzia: notificato l’atto impugnato il 23.2.2012, il contribuente aveva proposto ricorso soltanto il 20.7.2012 confidando, secondo la controricorrente, nel termine di sospensione di gg. 90 di cui all’accertamento con adesione che era stato richiesto con chiari intenti dilatori in quanto l'istanza non conteneva alcuna proposta e il contribuente, invitato al contraddittorio, non si era presentato. 1.1. L'eccezione è infondata. 1.2. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di novanta giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza, né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. n. 27274 del 2019). L’effetto sospensivo del termine di impugnazione è automatico (Cass. n. 21096 del 2018) e non può dipendere da indagini sulla effettiva intenzione del contribuente di addivenire ad un accordo transattivo, pena l’intollerabile incertezza sulla operatività della sospensione e sul verificarsi della decadenza dall’impugnazione che, per loro stessa natura, debbono essere ancorate unicamente ad eventi oggettivi e immediatamente verificabili. 2. Passando al ricorso principale, con il primo motivoil contribuente deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione in violazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992 in quanto la motivazione resa dalla CTR non dava conto della complessa articolazione delle controdeduzioni in appello. 3. Con il secondo motivodeduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui la CTR non si è pronunciata sull’eccezione di inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del direttore firmatario, alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, e ciò in quanto «pare» che la nomina del Direttore Provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 4. Con il terzo motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/1972, avendo la CTR accolto l’appello dell’Ufficio senza esaminare le giustificazioni che il contribuente aveva fornito in ordine alle movimentazioni bancarie contestate né precisare perché quelle giustificazioni, che il Giudice di prime cure aveva ritenuto «affidabili», erano state invece disattese in appello. 5. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., «nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui si contesta l’acquiescenza parziale della sentenza per non aver l’Ufficio indicato la categoria di reddito cui ascrivere l’imponibile recuperato»: in sostanza, il ricorrente rileva che nel giudizio d’appello si era eccepita l’acquiescenza dell’Agenzia sul capo della sentenza di primo grado che aveva annullato l’accertamento perché non era stata indicata la categoria di reddito a cui ascrivere il rilevante imponibile recuperato, «certamente non correlabile all’attività economica esercitata», poiché l’appellante aveva contestato solo l’idoneità della documentazione prodotta a giustificare i movimenti bancari contestati; su tale eccezione, mai contestata dall’Ufficio, la CTR non si era pronunziata. 6. Con il quinto motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame di fatti decisivi riportati nei rilievi indicati nelle controdeduzioni (da pagg. 18 a pag. 74) e mai esaminati dalla CTR, così riassunti in ricorso: I) nullità dell’accertamento per insanabile difetto di motivazione, mancata indicazione della metodologia di accertamento (pagg. 18-21); II nullità dell’accertamento per aver omesso l’Ufficio qualsiasi controllo o confronto nei riguardi del contribuente (pagg. 21-22); III infondatezza dei rilievi relativi alla presunta inattendibilità della contabilità (pagg. 23-27); IV sulle indagini finanziarie (pagg. 27- 76). 7. Il primo motivo è infondato. 7.1. E’ noto chenon essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017). 7.2. In questo caso la motivazione raggiunge il c.d. “minimo costituzionale” ed esprime chiaramente la sua ratio decidendi, fondata sull’inottemperanza da parte del contribuente all’onere di prova a suo carico, «per i versamenti e i prelevamenti non giustificati», al fine di superare la presunzione legale posta dall’art. 32 comma 2 cit. a favore dell’Amministrazione, la quale, prosegue la CTR, non è tenuta ad approfondire le giustificazioni rese dal contribuente in ordine alle movimentazioni contestate, come erroneamente ritenuto dai giudici di prime cure. 8. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienzaesprimendosi in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del soggetto che aveva sottoscritto l’atto rientrasse tra quelle incise dalla pronunzia di incostituzionalità. 8.1. Il motivo, in ogni caso, è infondato nel merito alla luce di Cass. n. 22810 del 2015 secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (conf. Cass. n. 5177 del 2020). 9. Il terzo motivo è inammissibile. 9.1. In tema di accertamenti bancari, grava sul contribuente l'onere di superare la presunzione di legge dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, in questo caso il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione(Cass. n. 35258 del 2021). Tale preciso ed analitico onere della prova contraria non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022); con riguardo ai prelevamenti, in particolare, non è sufficiente neppure la mera indicazione del nominativo dell’asserito beneficiario, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma la deduzione deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la cagione del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo da fornire la prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. n. 16896 del 2014; Cass. n. 13035 del 2012; Cass. n. n. 25502 del 2011). 9.2. La denunzia dell’omessa verifica da parte del giudice di merito delle prove fornite dal contribuente, da svolgersi con riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione (Cass. n. 15161 del 2020; Cass. n. 16896 del 2014), presuppone quindi che il contribuente abbia dedotto in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili; in questo caso, in cui l’Agenzia ha chiarito che l’avviso impugnato aveva riguardato soltanto le movimentazioni bancarie su cui non si era data alcuna giustificazione o la giustificazione era sprovvista di idonea documentazione, il motivo difetta di autosufficienza; il ricorrente non ha allegato le analitiche giustificazioni e prove relative alle movimentazioni bancarie contestate, che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare e valutare; la doglianza resta estremamente generica, manca di puntuali riferimenti alle deduzioni difensive e a tale carenza non può supplire il mero richiamo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto «affidabili» le giustificazioni del contribuente. 10. Anche il quarto motivo è inammissibile e, in ogni caso, la questione proposta è infondata. 10.1. Da un lato, come già si è osservato, non ricorre nella sentenza impugnata un difetto assoluto di motivazione e, dall’altro, non è ravvisabile nel motivo l’omesso esame di un fatto decisivo denunciandosi una questione riguardante l’interpretazione e valutazione degli atti processuali (sul contenuto del “fatto decisivo”, v. par. 11.2); il motivo tende, piuttosto, all’esame di quella questione ma non si confronta con il principio, affermato da questa Corte, secondo cui la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 20951 del 2022; Cass. n. 40276 del 2021; Cass. n. 21566 del 2017; Cass. n. 4732 del 2012); in questo caso, la questione non costituisce autonoma ratio decidendi ma è uno dei profili cui deve estendersi, secondo i Giudici di primo grado, l’onere di prova in capo all’Agenzia che peraltro, denunziando «violazione degli artt. 32 del dpr 600 del 1973 e 51 del dpr 633 del 19872 in relazione alle indagini finanziarie» nonché «omessa carente ed erronea motivazione» (v. sentenza della CTR), ha aggredito in termini assai ampi la sentenza di primo grado, in modo da ricomprendere nel gravame anche quel profilo. 11. Il quinto motivo, infine, è inammissibile sotto svariati profili. 11.1. Anche in questo caso la doglianza presenta un difetto di autosufficienza in quanto non riporta i “fatti decisivi” il cui esame sarebbe stato omesso ma il contribuente si limita a rinviare alle sue corpose controdeduzioni difensive in appello (da pag. 18 a pag. 74 delle controdeduzioni), lasciando alla Corte il compito di ricercare ed individuare quegli elementi che, invece, era suo onere indicare in maniera puntuale. 11.2. Dalla riassuntiva esposizione, poi, si desume che l’omesso esame lamentato non riguarda tanto fatti storici decisivi quanto la valutazione di elementi probatori e la valutazione di singole doglianze e allegazioni difensive. La censura di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (ex multis, v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017). 12. Con l’unico motivo di ricorso incidentale,l’Agenzia delle entrate ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della CTR che non si era pronunciata con riguardo a maggiori ricavi per euro 11.665,95, relativi a incassi documentati con scontrino fiscale su cui non era stata riportata l’annotazione “corrispettivo non pagato”. 12.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza mancando la puntuale indicazione della riproposizione del rilievo come motivo d’appello contro la sentenza di primo grado che aveva annullato per intero l’avviso di accertamento. La deduzione della violazione dell'art.112 c.p.c. in sede di legittimità postula che la parte abbia formulato la domanda o l'eccezione in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l'indicazione specifica dell'atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Cass. n. 16899 del 2023; Cass. n. 29952 del 2022; Cass. n. 28184 del 2020); Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 13. Conclusivamente devono essere rigettati entrambi i ricorsi e la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese; Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. ALIFFI Francesc - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/02/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PIERGIORGIO MOROSINI che ha concluso chiedendo. udito il difensore. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 10 febbraio 2022, che ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Agrigento il 18 giugno 2020 all'esito di giudizio abbreviato, con la quale era stato condannato alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, in ordine al reato di cui all'articolo 10, comma 2-ter, Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, perche', quale straniero destinatario di decreto di respingimento del 9 settembre 2019 (convalidato dal G.d.P. di Trapani con provvedimento dell'11 settembre 2019), con il quale il Questore di Agrigento gli aveva vietato il reingresso nel territorio dello Stato e nella c.d. area Schengen per un periodo di tre anni dal rimpatrio (avvenuto il 12 settembre 2019), il 30 settembre 2019 era stato sorpreso in Lampedusa senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. 2. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'articolo 10, comma 2-ter, Testo Unico imm., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perche' il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che la normativa penale applicata violerebbe le garanzie imposte dalla c.d. direttiva rimpatri 2008/2015/CE, prevedendo una misura coercitiva qualitativamente diversa e temporalmente piu' estesa di quella prevista dalla normativa comunitaria. Nel ricorso, inoltre, si evidenzia che l'imputato, non avendo compreso il contenuto del decreto di respingimento, non avrebbe potuto commettere il reato accertato dalla Corte territoriale, ma - qualora ne ricorressero i presupposti - il diverso reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 10-bis Testo Unico imm. Il ricorrente, poi, denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita', con riferimento all'articolo 143 c.p.p., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perche' la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che il decreto di respingimento non era stato tradotto in una lingua conosciuta dall'imputato e che, quindi, questo non ne aveva potuto conoscere il contenuto. Il ricorrente, infine, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'articolo 131-bis c.p., perche' il giudice di merito in maniera ingiustificata non avrebbe applicato la causa di non punibilita' per la particolare tenuita' del fatto, nonostante ne ricorressero tutti i presupposti. 3. Con note difensive del 18 marzo 2023, il ricorrente insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 1.1. Il ricorso e' inammissibile nella parte in cui denuncia che la normativa penale applicata violerebbe le garanzie imposte dalla c.d. direttiva rimpatri 2008/2015/CE, poiche' questione non conferente al caso di specie e, in ogni caso, manifestamente infondata. In tal senso, giova in diritto evidenziare che, in tema di reato di reingresso, senza autorizzazione, nel territorio dello Stato del cittadino extracomunitario gia' destinatario di un provvedimento di rimpatrio, l'irrogazione di una pena detentiva e' conforme alla direttiva 2008/115/CE, come interpretata dalla pronuncia della Corte di giustizia del 1 ottobre 2015 nel caso Celaj, che consente all'ordinamento statuale di adottare, secondo un criterio di progressivita', differenti tipologie di sanzioni rispetto alle diverse cause di presenza irregolare sul territorio (Sez. 1, n. 49859 del 14/10/2015, Moussa, Rv. 265469). A tale conclusione la Corte e' pervenuta sul rilievo - che smentisce il presupposto della tesi difensiva in esame - che la direttiva equipari le diverse situazioni di irregolarita' e che il riferimento alla violazione delle condizioni d'ingresso comprende anche il caso del divieto di ingresso che correda una decisione di rimpatrio. L'analisi delle premesse e dell'articolato della direttiva legittima piuttosto una conclusione diversa, ossia che le cause della presenza irregolare del cittadino di un Paese terzo sul territorio di uno degli Stati membri dell'Unione Europea non sono riconducibili ad un'unica categoria di "irregolarita'", ma si fondano piuttosto su presupposti differenti e che, rispetto alle singole situazioni, l'ordinamento statuale e' legittimato ad adottare, secondo un criterio di progressivita', differenti tipologie di provvedimenti: 1) una decisione di rimpatrio quale atto dichiarativo della irregolarita' del soggiorno stesso che imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio; 2) l'allontanamento coattivo dell'individuo fuori dello Stato membro; 3) il divieto di ingresso, quale ulteriore misura inibitoria di un futuro ritorno, suscettibile di emissione nei confronti della persona il cui soggiorno irregolare sia gia' stato riconosciuto e che sia stata oggetto di rimpatrio immediato (articolo 7, comma 4, della direttiva) ovvero sia stata inutilmente invitata ad allontanarsi entro un termine prefissato (articolo 7 e 8 della direttiva). La questione posta dalla difesa ha comunque ricevuto recente risposta da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale infatti, con sentenza 01/10/2015, Causa C-294/14, Celaj, ha risolto la pregiudiziale comunitaria sollevata da altre autorita' giudiziarie affermando il seguente principio: "la direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare, deve essere interpretata nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa di uno Stato membro che prevede l'irrogazione di una pena detentiva ad un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno e' irregolare il quale, dopo essere ritornato nel proprio paese d'origine nel quadro di un'anteriore procedura di rimpatrio, rientri irregolarmente nel territorio del suddetto Stato trasgredendo un divieto di ingresso". 1.2. Il ricorso, inoltre, e' inammissibile nella parte in cui lamenta la mancata traduzione del decreto di respingimento. In tal senso, giova evidenziare che la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilita' originaria dell'impugnazione. Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimita', infatti, e' delineato dall'articolo 609, comma 1, c.p.p., che ribadisce in forma esplicita un principio gia' enucleabile dal sistema, e cioe' la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Questi motivi - contrassegnati dall'inderogabile "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" che sorreggono ogni atto d'impugnazione ai sensi degli articoli 581, comma 1, lettera e), e 591, comma 1, lettera c), c.p.p. - sono funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata ed all'indicazione delle relative questioni, con modalita' specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve quindi essere letta in correlazione con quella dell'articolo 606, comma 3, c.p.p. nella parte in cui prevede la non deducibilita' in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilita' in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti e' facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perche' mai investito della verifica giurisdizionale. La doglianza relativa alla mancata traduzione del decreto di respingimento quindi, riguardando uno dei punti della decisione, doveva formare oggetto dei motivi proposti con il gravame, posto che, a norma dell'articolo 597, comma 1, cod. proc. pen., l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione devoluti con l'impugnazione. Nel caso di specie, invece, il ricorrente non aveva lamentato tale vizio nel suo atto di appello, ne' aveva formalizzato alcuna doglianza in tal senso in udienza. 1.3. Anche il motivo relativo alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto e' infondato. La Corte territoriale in modo ineccepibile ha evidenziato che la condotta dell'imputato e' stata posta in essere quando non erano ancora passati i tre anni dalla pregressa espulsione (pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata). Il ricorrente, invece, nel suo atto di appello si era limitato a rilevare l'astratta compatibilita' tra l'istituto in esame e il reato accertato, senza indicare le specifiche circostanze di fatto che avrebbero giustificato l'accertamento della particolare tenuita' ex articolo 131-bis c.p.. 2. In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/05/2022 della CORTE di ASSISE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO; udito il Sostituto Procuratore Generale LUCA TAMPIERI che ha concluso il rigetto dei ricorsi; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che insistono per dei ricorsi rispettivamente proposti. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Assise di Appello di Milano, con sentenza del 11/5/2022, ha confermato le sentenze di condanna rispettivamente pronunciate dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di COMO il 27/10/2021, all'esito del giudizio abbreviato, nei confronti di (OMISSIS) e, all'esito del giudizio ordinario, dalla Corte di Assise di COMO il 7/10/2021 nei confronti di (OMISSIS), entrambi imputati in concorso dei reati di omicidio di cui agli articoli 575 in relazione all'articolo 576, comma 1 n. 2 c.p., occultamento di cadavere di cui agli articoli 412 e 61 n. 2 c.p. e detenzione e porto di un'arma da fuoco calibro 7,65 di cui agli articoli 61 n. 2 c.p. e 10 e 12 L. 497/74. 2. I due imputati sono stati rinviati a giudizio per avere cagionato la morte di (OMISSIS), avvenuta il 5 marzo 2017, con due separati decreti di giudizio immediato in virtu' dei diversi momenti nei quali e' stata eseguita l'ordinanza con la quale e' stata disposta nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere. (OMISSIS) ha chiesto procedersi con le forme del rito abbreviato, nel corso del quale ha reso interrogatorio e ha dichiarato, in estrema sintesi, di avere lavorato per (OMISSIS) provvedendo ai pagamenti della sostanza stupefacente acquistata, svolgendo i compiti che man mano gli venivano assegnati ma sempre e comunque senza sapere quali fossero le intenzioni e i programmi di (OMISSIS), cio' anche con riferimento alla gestione dei rapporti intercorsi con la vittima e con alcuni soggetti calabresi a cui si e' fatto riferimento nel corso delle indagini. Il processo nei confronti di (OMISSIS), invece, si e' svolto con le forme del rito ordinario e durante l'istruttoria dibattimentale sono stati sentiti diversi testimoni quali gli operanti, che hanno riferito in ordine alle indagini effettuate, e' stata disposta la trascrizione delle intercettazioni e l'imputato ha reso dichiarazioni spontanee. 2.1. All'esito dei due processi i giudici di primo grado, sulla base al compendio indiziario contenuto in ciascun processo, hanno pronunciato sentenza di condanna, ognuno ritenendo che il rispettivo imputato avesse commesso il reato contestato. Secondo la conforme ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito le indagini hanno preso le mosse il 2 aprile 2017 allorche', durante una domenica ecologica, alcuni ragazzi hanno rinvenuto il cadavere di un uomo in un bosco a (OMISSIS) nel (OMISSIS). A seguito dei primi accertamenti e' emerso che la vittima era sottoposta a indagini dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia per traffico internazionale di stupefacenti e che le utenze a questa riferibili, cosi' come quelle di molti altri soggetti, erano intercettate. Dall'analisi dei risultati di tali indagini, quindi, la polizia giudiziaria ha estrapolato alcune utenze e analizzandone i contatti, il traffico e, anche ascoltando le conversazioni e leggendo i messaggi intercorsi, ha ricostruito gli spostamenti della vittima nei mesi antecedenti l'omicidio, sino al giorno in cui questo e' stato commesso. Nello specifico sono emersi i rapporti tra (OMISSIS), che operava in Veneto, e i due attuali ricorrenti, che avevano la loro sfera d'azione in Lombardia e che avevano acquistato, per loro conto e anche nell'interesse di alcuni soggetti di origine calabrese, ingenti quantitativi di sostanza stupefacente dalla vittima. Nel corso di tali rapporti (OMISSIS), anche in nome e conto del gruppo di calabresi per il quale fungeva anche da garante, avrebbe maturato un debito di circa 300.000,00 Euro che (OMISSIS), trovatosi esposto a causa della perdita di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, gli aveva chiesto di saldare in tempi brevi. Dall'analisi dei tabulati sono emersi numerosi contatti tra gli imputati e la vittima finalizzati a risolvere tale situazione e anche un viaggio effettuato da (OMISSIS) e (OMISSIS) in Calabria proprio al fine di recupera almeno una parte della somma. Tornato dalla Calabria senza avere avuto la somma richiesta (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS), avrebbe cercato di far andare (OMISSIS) in Lombardia simulando un incontro decisivo con uno dei calabresi che avrebbe dovuto versargli quanto meno una buona parte di quanto dovuto. Dai contatti intercorsi e attraverso gli spostamenti delle utenze telefoniche riferibili agli imputati e alla vittima, sono stati cosi' ricostruiti cinque viaggi che i due ricorrenti, il piu' delle volte (OMISSIS), avrebbero effettuato dalla Lombardia al Veneto nei giorni 1, 2, 3, 4 e 5 marzo. In data 5 marzo 2017, finalmente, (OMISSIS) si sarebbe fatto convincere a farsi accompagnare in Lombardia e quella sera stessa sarebbe stato ucciso. Nei giorni immediatamente successivi, poi, (OMISSIS) ha lasciato la casa che condivideva con (OMISSIS) e si e' trasferito in albergo fino al 18 marzo quando ha lasciato l'Italia per andare, dopo un breve transito in (OMISSIS), prima in Francia e, dopo, in Germania, dove e' stato arrestato per cessione di stupefacenti e da dove, una volta scontata la pena, e' stato estradato in Italia. (OMISSIS), invece, si e' allontanato dall'Italia il 2 aprile 2017, il giorno del rinvenimento del cadavere, e si e' trasferito in (OMISSIS), dove e' stato catturato e da li' estradato in Italia. Nelle sentenze di primo grado i giudici di merito hanno valorizzato i contatti emersi dall'analisi del traffico telefonico relativo alle varie utenze attribuite a vario titolo agli imputati e, nello specifico, i contatti e gli spostamenti da questi effettuati nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa di (OMISSIS) e, anche, le "indagini" effettuate dal fratello della vittima e la denuncia da questo presentata. 2.2. Avverso le due sentenze di primo grado gli imputati, ognuno facendo riferimento al processo celebrato nei propri confronti, hanno presentato appello. La Corte territoriale, ritenuto che fosse necessario procedere a una valutazione unitaria, ha sentito le parti sul punto e ha riunito i processi. Nello specifico la Corte territoriale ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimita' per la quale la riunione di due processi celebrati con diverso rito e' possibile purche' la Corte d'appello utilizzi, per ognuno degli imputati, esclusivamente le prove acquisite nel rito dallo stesso scelto. Il giudice dell'appello, in ordine a tale aspetto, ha evidenziato che le prove erano in questo caso sovrapponibili in quanto gli atti di p.g. erano nella sostanza entrati nella conoscenza del giudice del dibattimento con l'audizione degli operanti e le intercettazioni erano state trascritte senza che vi fossero contestazioni circa la corrispondenza delle stesse ai c.d. brogliacci. All'esito del giudizio di appello le due sentenze, come indicato all'inizio, sono state confermate dalla Corte territoriale che ha nella condiviso il giudizio di convergenza indiziaria effettuato dai primi giudici. Secondo il giudice dell'impugnazione, d'altro canto, la diversa conclusione circa la persona che si era recata in Veneto a prendere la vittima il 5 marzo 2017 (secondo il giudice di primo grado del processo a carico di (OMISSIS) in Veneto a prendere la vittima sarebbe andato lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe rimasto in Lombardia, per la Corte di Assise di Appello, invece, (OMISSIS) sarebbe andato in Veneto e (OMISSIS) avrebbe effettuato i sopralluoghi in Lombardia) sarebbe nella sostanza indifferente in quanto ci sarebbe stata una totale fungibilita' nell'uso delle utenze riferibili ai due imputati, cio' anche per quelle apparentemente "personali". Ragione questa per la quale la Corte non ha ritenuto credibile la tesi difensiva di (OMISSIS) che ha affermato essere andato lui a prendere (OMISSIS) in Veneto per portarlo in Lombardia e di avere agito esclusivamente quale factotum e senza sapere quali fossero le reali intenzioni di (OMISSIS). 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno dedotto i seguenti motivi. 3.1. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.1.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. Nel primo motivo la difesa rileva che a seguito della riunione, alla quale pure era stato prestato assenso, la Corte territoriale sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" cosi' che di fatto la pronuncia a carico del ricorrente si fonderebbe anche sulle prove acquisite nel corso del giudizio abbreviato in cio' violando il criterio che la giurisprudenza di legittimita' pone come indefettibile al fine di consentire la riunione di due processi celebrati con riti diversi. 3.1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' per i reati di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, occultamento di cadavere e detenzione a porto d'arma da fuoco. Nel secondo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe effettuato una valutazione confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. I riferimenti alle "indagini" effettuate dal fratello della vittima sarebbero inconferenti. Alcune delle utenze indicate e ritenute come significative, come quella con finale 544, utilizzata proprio il giorno 5 marzo 2017, non sarebbero mai state nella disponibilita' del ricorrente. Il tenore e il significato di alcuni messaggi sarebbero stati travisati o comunque non sarebbero stati correttamente compresi. La spiegazione fornita all'allontanamento dall'Italia del ricorrente sarebbe sbagliata, cio' in quanto l'imputato non si sarebbe dato alla fuga. Tutto l'impianto accusatorio, di fatto fondato sull'importanza attribuita alla geolocalizzazione effettuata attraverso i tabulati di cella sarebbe inconsistente 3.1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante della premeditazione. Nel terzo motivo la difesa censura la conclusione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione criticando i passaggi della motivazione sul punto e, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Circostanze queste che non avrebbero un effettivo valore dimostrativo quanto alla configurabilita' dell'aggravante. 3.1.4. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 3.1.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove. Nel quinto motivo la difesa rileva che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. 3.2. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.2.1. Vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 cod. Pen. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati. Nel primo articolato motivo la difesa rileva la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. Nello specifico la difesa censura: -la ritenuta attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e cio' soprattutto sotto il profilo della fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse. Una volta ritenuto che la stessa utenza possa essere stata utilizzata da diversi utenti, infatti, non sarebbe logico limitare tale fungibilita' ai soli due attuali imputati, soprattutto in un contesto nel quale la stessa Corte territoriale ha ritenuto che fossero coinvolti altri soggetti, peraltro anche in qualche modo individuati e pure indicati nelle sentenze di merito. Ragione questa per la quale quella che la difesa chiama "fungibilita' limitata" sarebbe illogica; -il ribaltamento causale che determina l'attribuzione a (OMISSIS) piuttosto che a (OMISSIS) il viaggio in Veneto effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia, cio' in considerazione del fatto che l'altra utenza, finale 810, ha effettuato i sopralluoghi nel posto in cui poi e' stato ritrovato il cadavere e senza che questo, per lo stesso principio della fungibilita' dell'uso delle utenze, consenta di stabilire con certezza chi vi abbia proceduto; -le conclusioni, che sarebbero il risultato di una semplificazione probatoria, circa il ruolo avuto da (OMISSIS) e la consapevolezza dello stesso in ordine al programma, di altri, di uccidere (OMISSIS); - la lettura attribuita dai giudici di merito al messaggio del 3/3/2017, "portalo", che sarebbe palesemente illogica; - il rilievo attribuito allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima; - il mancato riconoscimento del ruolo gregario che avrebbe avuto il ricorrente che non aveva la consapevolezza di quanto sarebbe successo. 3.2.2. Vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della ritenuta sussistenza di una consapevole, cosciente e volontaria partecipazione del ricorrente all'omicidio in quanto sul punto non sarebbe sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi di (OMISSIS). 3.2.3. Vizio di motivazione in relazione alla premeditazione. Nel quarto motivo la difesa rileva che la conclusione in ordine alla sussistenza dell'aggravante sarebbe carente. La Corte territoriale, infatti, avrebbe del tutto omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. L'organizzazione del viaggio, d'altro canto, diversamente da quanto indicato nelle sentenze, non sarebbe sul punto significativa in quanto sarebbe stato pianificato per il diverso fine di discutere del pagamento del debito. 3.2.4 Vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. 3.2.5. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono complessivamente infondati. 1. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 1.1. Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. evidenziando che la Corte territoriale, disposta la riunione tra i processi celebrati con diverso rito, sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" e avrebbe cosi' violato il principio enucleato dalla giurisprudenza di legittimita' secondo il quale in questo peculiare caso di riunione il giudice deve tenere conto del diverso regime di ammissione delle prove e deve, pertanto, procedere a valutazioni separate. La doglianza e' infondata. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte ribadito che la riunione e la trattazione congiunta in fase d'appello di procedimenti celebrati nei confronti di piu' coimputati con riti diversi (nella specie, l'uno con rito ordinario e l'altro con rito abbreviato) non e' causa di abnormita' o di nullita' della decisione, ne', tanto meno, di una situazione di incompatibilita' suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiche' la coesistenza di tali procedimenti comporta solo la necessita' che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i diversi regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (cfr. Si, n. 35293 del 1/2/2021, Rho, n. m; Sez. 1, n. 26642 del 10/4/2019, Villacaro, n. m.; Sez. 3, n. 35476 del 12/04/2016, B., Rv. 268122 - 01; Sez. 3, n. 14592 del 19/02/2015, Crini, Rv. 263054 - 01). La Corte territoriale, disposta la riunione anche con il consenso delle parti, si e' conformata ai principi enucleati sul punto. I giudici dell'appello, infatti, hanno dimostrato di avere proceduto a un'attenta analisi delle prove acquisite nei due diversi processi di primo grado. Nelle due parti distinte della sentenza la Corte territoriale ha fatto riferimento agli elementi rispettivamente emersi a carico di ognuno dei due imputati, dando conto del diverso regime di acquisizione ed evidenziando la diversa valutazione delle prove effettuata in ordine all'affermazione di responsabilita'. La conclusione in ordine alla responsabilita' di (OMISSIS) (OMISSIS) si fonda sulle fonti di prova acquisite dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini compendiate nelle e comunicazioni notizie di reato, sui tabulati delle utenze individuate, sui brogliacci delle intercettazioni contenenti le conversazioni e i messaggi intercorsi e dall'interrogatorio reso dall'imputato. La decisione resa nei confronti di (OMISSIS), invece, si basa sulle prove testimoniali, sulla perizia di trascrizione delle intercettazioni acquisite nel corso del dibattimento e tiene conto delle dichiarazioni spontanee dell'imputato. In tale contesto la preliminare considerazione secondo la quale molte delle prove acquisite nei due giudizi sono perfettamente sovrapponibili risulta corretta e non ha determinato alcuna "confusione probatoria". Il contenuto delle comunicazioni di notizie di reato e delle intercettazioni presenti negli atti del giudizio abbreviato, infatti, e' stato acquisito nel corso del dibattimento attraverso l'audizione dei testi che tali documenti hanno redatto ovvero con le trascrizioni delle conversazioni e dei messaggi. Le dichiarazioni delle persone informate dei fatti oggetto dei relativi verbali sono state acquisite in dibattimento esaminando i testimoni. Nello specifico, d'altro canto, non e' emersa alcuna differenza tra l'efficacia rappresentativa delle prove acquisite nel giudizio abbreviato e quelle assunte in dibattimento e nello stesso ricorso e al di la' di considerazioni generiche, non e' indicato alcun elemento specifico che possa far ritenere che la Corte abbia erroneamente posto a fondamento della decisione a carico del ricorrente prove acquisite nel solo giudizio abbreviato, ovvero, ad esempio, che il contenuto di una comunicazione di reato acquisita e utilizzata nell'abbreviato sia diverso dal tenore della dichiarazione resa sul punto in dibattimento dal soggetto che l'ha redatta. 1.2. Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' rilevando che la Corte territoriale avrebbe effettuato un'analisi confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che afferiscono esclusivamente la completezza e logicita' della motivazione, tese anche a sollecitare una diversa e non consentita lettura delle prove, sono manifestamente infondate. 1.2.1. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo' grado, ha infatti fornito congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Alla Corte di cassazione, d'altro canto, e' precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte e' chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'articolo 606 lettera e) c.p.p., infatti, e' esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi' Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilita' del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla consistenza del compendio indiziario ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell'istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente ("esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacche' tale attivita' e' riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimita' solo la verifica dell-iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione", in questo senso Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). 1.2.2. La Corte territoriale, invero, ha dato conto di avere proceduto a una verifica attenta e puntuale della tenuta del compendio indiziario acquisito a carico del ricorrente e cio' anche in riferimento alle specifiche censure evidenziate dalla difesa nell'atto di appello. La valutazione cosi' effettuata, nella quale si e' tenuto sia conto della consistenza e della tenuta di ogni singolo elemento e poi si e' proceduto a una lettura complessiva, risulta adeguata e coerente. La ricostruzione quanto alla riferibilita' delle utenze, ai rapporti intercorsi fino al giorno dell'omicidio tra la vittima e il ricorrente, nonche' ai viaggi e agli spostamenti in Veneto e in Calabria, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non e' il frutto di alcuna commistione probatoria. Il rinvio della Corte territoriale a quanto gia' evidenziato nella parte relativa al coimputato (OMISSIS), infatti, e' stato correttamente effettuato facendo riferimento alle dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno reso un'articolata deposizione in ordine alle indagini svolte e ai relativi atti. Sotto tale profilo la considerazione del giudice dell'appello circa l'assenza di elementi contrari all'attribuzione delle utenze agli imputati e le trasferte che questi avrebbero fatto, non determina alcuna inversione dell'onere della prova quanto, piuttosto, rende conto dell'assenza di plausibili letture alternative a quella cui era pervenuto il giudice di primo grado. L'esistenza di contatti tra l'imputato e la vittima, la circostanza che tra i due esistessero dei rapporti illeciti, la necessita' che era sorta di recuperare delle somme presso "i calabresi" e che di cio' se ne sarebbe dovuto occupare (OMISSIS), d'altro canto, risultano nella sostanza essere stati confermati dallo stesso ricorrente e sono comunque stati oggetto di una puntuale e attenta e conforme ricostruzione che, in assenza di palesi illogicita', non e' sindacabile in questa sede. Ad analoghe conclusioni, inoltre, deve pervenirsi quanto all'attribuibilita' di alcune delle utenze a (OMISSIS) o, meglio, della conclusione quanto alla riferibilita' di tutte le utenze a entrambi gli imputati che le utilizzavano indifferentemente. Sul punto i giudici di merito hanno evidenziato i riscontri emersi non solo dall'analisi del traffico telefonico, ovvero dalla geolocalizzazione degli spostamenti, ma, anche e soprattutto, dal contenuto dei messaggi (in alcuni dei quali, ad esempio, si fa riferimento alla necessita' che il ricorrente aveva di tornare in Lombardia entro il lunedi' mattina cfr. pag. 23 della sentenza impugnata, ovvero anche al nome del ricorrente, "sono Moke", cfr. pag. 22 della sentenza impugnata e "ma sei Mondi", cfr. pag. 38 della sentenza impugnata) ovvero dal collegamento esistente tra i messaggi inviati da due utenze diverse, evidentemente riconducibili alla stessa persona o, considerata la fungibilita' di utilizzo, agli imputati, cio' con riferimento specifico all'utenza con finale 544. In ordine a tale utenza, infatti, utilizzata solo in data 5 marzo 2017, risulta una continuita' tra i messaggi inviati la sera del 4 marzo 2017 dall'utenza con finale 810 (in uso al ricorrente) per concordare l'incontro del giorno successivo e quello, appunto, inviato il 5 marzo 2017 dall'utenza con finale 544, "sono nel parcheggio" (cfr. pagine 83 e 84 della sentenza impugnata). Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure della difesa quanto al mancato approfondimento dei temi da questa indicati nell'appello quanto alla c.d. geolocalizzazione risultano del tutto generiche non specificando quali incertezze o errori siano ravvisabili nell'attribuzione delle utenze o nella loro geolocalizzazione, come pure le ulteriori critiche in merito al tenore dei messaggi ovvero agli altri elementi emersi e valutati dal giudice dell'appello. Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito dei messaggi, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto che e' rimessa alla valutazione del giudice di merito e, quindi, si sottrae al sindacato di legittimita' se tale valutazione, come nel caso di specie, e' motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 - 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 - 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724). In sede di legittimita', infatti, puo' essere prospettata una diversa interpretazione del significato di un'intercettazione da quella proposta dal giudice di merito soltanto qualora la difesa rilevi la sussistenza di un travisamento della prova, ovvero evidenzi che il giudice ha indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. Di Maro, Rv. 272558 - 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190 - 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994). 1.2.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto alle ulteriori censure della difesa in ordine agli altri elementi di riscontro indicati dai giudici di merito. i. Le modalita' dell'allontanamento del ricorrente dall'Italia sono state correttamente ritenute significative del coinvolgimento dello stesso nell'omicidio. La motivazione della sentenza impugnata, con i riferimenti alle intercettazioni effettuate, nelle quali si da' atto che la partenza per l'(OMISSIS) non era prevista ma e' stata decisa repentinamente il pomeriggio del 2 aprile 2017, dopo il ritrovamento del cadavere e dopo le richieste di notizie da parte del fratello della vittima, tanto da spostare anche il matrimonio gia' fissato nei giorni immediatamente successivi, e' insindacabile in questa sede perche' fruttp di corretta valutazione dei dati probatori e di logico procedimento inferenziale. ii. Gli elementi tratti dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), cosi' come quelle di (OMISSIS), sono stati correttamente valorizzati. Sebbene i testi non conoscessero il nome del ricorrente prima del 5 marzo 2017, hanno comunque dato conto di elementi che hanno consentito di individuarlo in funzione della provenienza dello stesso, "il ragazzo di 9Scutari", della presenza di un vistoso tatuaggio sul collo e del luogo di residenza. Caratteristiche queste attribuite alla persona che il giorno 5 marzo 2017 era andata a prendere (OMISSIS) in Veneto anche dalla ex moglie della vittima, (OMISSIS), le cui dichiarazioni, pure se riferite dal teste (OMISSIS), in assenza di una espressa richiesta di esame da parte della difesa, sono utilizzabili ai sensi dell'articolo 195 c.p.p. (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 33100 del 07/06/2022, F., Rv. 283651 - 02). Il motivo, inoltre, risulta generico anche a ragione della mancata confutazione di quanto riferito da (OMISSIS), che aveva appreso dal fratello poi ucciso che il "ragazzo di (OMISSIS)" e i soggetti calabresi avevano maturato un debito nei suoi confronti per oltre 300.000,00, mai saldato. iii. Le critiche circa l'uso del termine "montanaro" e l'attribuibilita' di questo al ricorrente ovvero ad altra persona risultano del tutto inconferenti. La Corte territoriale, infatti, non ha fatto riferimento a tale termine al fine di individuare il ricorrente quanto, piuttosto, per dare conto della spiegazione da questo data alla vittima della ragione per la quale la persona che lo aveva cercato non si era permessa di andare a casa sua senza che lui stesso fosse presente. iv. Le considerazioni circa la necessita' di acquisire i c.d. criptofonini e di sentire i titolari degli esercizi commerciali dove sono state acquistate le sim relative alle utenze sono prive di consistenza in quanto, come evidenziato nella sentenza impugnata, tali elementi risultano del tutto ininfluenti a fronte del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente. v. L'assenza di testimonianze e prove dirette, infine, come correttamente indicato nella sentenza impugnata, assume un rilievo neutro e non inficia la tenuta del ragionamento posto a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. 1.3. Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione censurando, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo e ha cosi' ritenuto la sussistenza sia dell'elemento cronologico che di quello psicologico richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito ai numerosi contatti intercorsi tra le parti, al tenore degli stessi, tesi a individuare il luogo dove la vittima si trovava e poi a farla andare in Lombardia, ai viaggi effettuati e alle modalita' nel complesso utilizzate, alla promessa di cessione dell'auto Lexus Infinity che l'imputato sapeva essere stata noleggiata e non suscettibile di cessione, appare formalmente giustificato e logicamente connesso a un fatto programmato e attivato da tempo. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che siano stati effettuati dei sopralluoghi sul luogo dove poi e' stato rinvenuto il cadavere prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 1.4. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all'imputato ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalita', l'esercizio del potere discrezionale ex articoli 132 e 133 c.p. della Corte di merito, e cio' anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest'ultimo aspetto, della gravita' del fatto cosi' correttamente ritenuta per i mezzi e le modalita' utilizzate, per il danno cagionato alla vittima, per l'intensita' del dolo e per i motivi che lo hanno determinato (cfr. pagine 97 e 98 per come richiamate a pag. 128). Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruita' della pena (cfr. Sez. Un. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p., d'altro canto, e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (cfr. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419). Il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737) 1.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove rilevando che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. La doglianza e' manifestamente infondata ed esplorativa. La rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale, infatti, e' un istituto di carattere eccezionale, al quale puo' farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorche' il giudice dell'impugnazione ritenga, nella propria discrezionalita', che l'integrazione sia indispensabile, nel senso che non e' altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale gia' a sua disposizione. A fronte di una richiesta di rinnovazione dell'istruttoria fondata sull'indicazione di prova preesistente al giudizio di appello ma non ancora acquisita, d'altro canto, l'articolo 603, comma 1, c.p.p., attribuisce al giudice il potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della "non decidibilita' allo stato degli atti", cosi' che la motivazione del provvedimento nel quale siano indicate, anche in sintesi (come nel caso di specie con il riferimento all'inutilita' di acquisire i dati eventualmente contenuti nei presunti criptofonini, della cui esistenza non si ha neanche certezza, ovvero di identificare chi materialmente ha acquistato le sim card utilizzate, cfr. pagine 118 e 121 della sentenza impugnata), le ragioni della scelta operata, non incorre in vizi di manifesta illogicita' (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203574; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 27511401). Nel caso in esame, poi, non e' stata specificato quali siano le utenze da verificare e dig ne abbia la disponibilita' e cio' ha precluso la fattibilita' di ogni verifica al riguardo. 2. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (OMISSIS). 2.1. Nel primo articolato motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 c.p. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati rilevando la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. o' Le doglianze, tese anche a sollecitare una diversa valutazione delle prove che non e' consentita in questa sede, sono manifestamente infondate. Anche con riferimento alle censure sollevate da (OMISSIS) (OMISSIS) in ordine al processo celebrato con le forme del giudizio abbreviato, infatti, richiamato quanto evidenziato sub. 1.2.1., si deve rilevare che la Corte territoriale ha reso una motivazione adeguata e coerente gli elementi acquisiti nel corso delle indagini rispondendo in termini puntuali alle critiche gia' dedotte nei motivi di appello. Nello specifico. i. La conclusione quanto all'attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e alla fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse si fonda su di una ricostruzione puntuale degli spostamenti delle utenze, dei contatti intercorsi tra le stesse e tra queste e la vittima e questa, alla quale sono addivenuti in senso conforme entrambi i giudici di merito, in assenza di elementi dirimenti di segno contrario, non e' sindacabile in questa sede. Cio' neanche sotto il profilo prospettato dalla difesa secondo la quale, una volta che si e' comunque ipotizzato che nell'omicidio siano coinvolti altri soggetti, sarebbe illogico ritenere che la fungibilita' fosse limitata ai soli imputati dell'attuale processo. A fronte del ragionamento sviluppato nelle sentenze di merito, nella totale assenza di elementi che consentano di attribuire ad altri l'uso di una delle utenze individuate, infatti, quanto sostenuto dalla difesa e' il frutto di una mera affermazione di possibilita' in astratto. ii. L'attribuzione a (OMISSIS), piuttosto che al ricorrente, del viaggio effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia e' motivata facendo riferimento a elementi concreti ai quali la difesa si limita a contrapporre la fungibilita' nell'uso delle utenze. La conclusione sul punto, invero, si fonda sulla continuita' dei messaggi intercorsi la sera prima tra (OMISSIS) e la vittima e, a ben vedere, anche sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) circa la persona, il ragazzo di (OMISSIS) con un visibile tatuaggio sul collo, con cui (OMISSIS) si e' incontrato la mattina del 5 marzo 2017 in Veneto. Sotto tale profilo, quindi, l'attribuzione del viaggio a (OMISSIS) risulta essere non congetturaleima basata su concreti elementi di fatto cosi' come, proprio in virtu' della fungibilita' delle utenze e del coinvolgimento del ricorrente in tutte le fasi preparatorie dell'omicidio, risulta logico ritenere che (OMISSIS) si sia quindi occupato di effettuare i necessari sopralluoghi a (OMISSIS). La questione circa la fungibilita' nell'uso delle utenze fra due soggetti determinati, infatti, non esclude di poter individuare chi in effetti abbia utilizzato in una o piu' occasioni una determinata utenza quanto, piuttosto, consente di ritenere che la specifica attribuzione sia nella sostanza indifferente, fermo restando che, una volta individuato quale dei due imputati sta utilizzando in quel momento concreto una o piu' utenze, l'altro sta necessariamente utilizzando le altre che sono nella comune detenzione. iii. Quanto alla presunta illogicita' nella quale sarebbero incorsi i secondi giudici in merito alla lettura del messaggio del 3 marzo 2017 (quello nel quale il ricorrente, in cio' peraltro confermando di utilizzare una delle utenze individuate, afferma di riferirsi a una busta di denaro e non alla vittima) si rinvia a quanto indicato nel punto 1.2.2. circa i limiti del sindacato di questa Corte nella lettura delle conversazioni e dei messaggi intercettati. Nel caso di specie, d'altro canto, e' del tutto logica l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale, che fa riferimento al tenore complessivo della chat, rilevando che in questa non vi e' nessuna espressa indicazione al denaro ovvero a buste da consegnare a (OMISSIS). Cio' anche considerato che la spiegazione fornita dall'imputato sulla pluralita' di viaggi per consegnare 5.000, Euro alla volta non e' plausibile ed e' illogica per i rischi connessi al trasporto del denaro e che il trasporto, di contro, e' coerente con l'intento di condurre la vittima in zona prossima a quella ove volevano i coimputati. iv. Ad analoghe conclusioni, infine, si deve pervenire in relazione alle critiche sollevate nel ricorso in merito al rilievo indiziario attribuito dai giudici di merito all'allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima. Le circostanze e le modalita' con le quali l'allontanamento si e' verificato, proprio in concomitanza con i primi tentativi di (OMISSIS) di contattare (OMISSIS), quasi immediatamente individuato come l'ultima persona che aveva incontrato il fratello (cfr. anche pag. 115 della sentenza di primo grado), sono infatti significativi della necessita' avvertita dal ricorrente di evitare che si potesse risalire a lui come il "ragazzo di Valona", "socio" di (OMISSIS) che, secondo le logiche criminali, doveva essere collegato alla sparizione del fratello e che pertanto avrebbe potuto subire le conseguenze di una eventuale vendetta, sicuramente temuta dallo stesso (OMISSIS), ben consapevole delle regole imposte dal (OMISSIS), da lui stesso evocato. 2.2. Nell'ultima parte del primo motivo e, piu' compiutamente, nel secondo, la difesa deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo evidenziando che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della conclusione secondo la quale (OMISSIS) aveva partecipato consapevolmente e volontariamente alla commissione dell'omicidio, cio' considerato che il ricorrente aveva sempre svolto un ruolo subalterno a quello del coimputato e che, quindi, non vi sarebbe la prova che sapesse quali erano le reali intenzioni di (OMISSIS) in ordine alla sorte di (OMISSIS), non essendo comunque sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi criminali di (OMISSIS). Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, seppure in termini sintetici nella parte specificamente dedicata alla sussistenza dell'elemento psicologico, ha dato comunque complessivamente atto della consapevole partecipazione del ricorrente alla commissione del reato evidenziando come lo stesso abbia contribuito alle fasi relative all'esecuzione dell'omicidio. Pure volendo ritenere che (OMISSIS) non abbia deliberato l'eliminazione di (OMISSIS), infatti, risulta che lo stesso ha effettuato i viaggi in Veneto, ha mantenuto i contatti con la vittima (anche facendogli credere di essere (OMISSIS)) finalizzati a convincerla ad andare in Lombardia e, da ultimo, ha effettuato i sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, ha fatto perdere le proprie tracce subito dopo il delitto. Elementi questi che, complessivamente considerati, impongono, pertanto, di ritenere che il ricorrente abbia fornito un consapevole e volontario contributo all'esecuzione dell'omicidio e che la motivazione in punto di sussistenza dell'elemento psicologico sia adeguata. In cio' non assumendo alcun rilievo, d'altro canto, qualsivoglia considerazione in ordine alla condivisione o meno degli interessi e dei propositi del concorrente nel reato, con il quale la sentenza impugnata ricostruisce identita' anche parziale di movimenti e di affari criminali. 2.3. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'aggravante della premeditazione in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. La doglianza e' infondata. Come gia' evidenziato nel punto 1.3., al quale e quali si rinvia, infatti, la Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo in ordine e ha cosi' ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante, conformandosi cosi' alla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito alla partecipazione del ricorrente al c.d. "piano trappola", condiviso ed attuato da entrambi gli imputati che lo hanno congiuntamente posto in essere e all'attivita' di costante ausilio fornita da (OMISSIS) a (OMISSIS), appare congruamente giustificato e immune da vizi logici. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia siano stati effettuati dei sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, come gia' in precedenza evidenziato, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 2.4 Nel quarto motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. La doglianza e' manifestamente infondata. La giurisprudenza di questa Corte e' consolidata nel ritenere che l'articolo 114 c.p. si applichi laddove l'apporto del correo risulti obbiettivamente cosi' lieve da apparire, nell'ambito della relazione eziologica, quasi trascurabile e del tutto marginale (cfr. Sez. 2, n. 46588 del 29/11/2011, Eraki EI Sayed, RV. 251223; n. 9491 del 07/06/1989, Pedori, RV. 184773; Sez. 6, n. 3053 del 27/10/1981, Stipo, RV. 152864). In tema di concorso di persone nel reato, infatti, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'articolo 114 c.p., non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri quanto, piuttosto, e' necessario che il contributo sia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (cfr. Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P, Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi e altro, Rv. 254051; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, Barbato, Rv. 266461), ovvero accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato. (Sez. 6, n. 24571 del 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo e altro, Rv. 253091) In tale corretto contesto, nel caso di specie il giudice di appello, con motivazione adeguata e coerente, ha evidenziato le ragioni per le quali il ruolo del ricorrente non possa essere ritenuto marginale e la richiesta difensiva di applicazione della circostanza attenuante prevista dall'articolo 114 c.p. dovesse essere disattesa. Nello specifico, infatti, la Corte territoriale ha evidenziato come il ruolo svolto dal ricorrente sia stato fondamentale per il "buon fine" dell'operazione e cio', eventualmente, anche volendo dare credito alle dichiarazioni rese dallo stesso quanto all'avere svolto "solo" il ruolo di autista che ha consegnato la vittima a chi avrebbe poi proceduto all'eliminazione, ruolo questo a cui non potrebbe comunque attribuirsi un rilievo marginale ovvero accessorio. 2.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata per le ragioni esposte nel punto 1.4. al quale integralmente si rinvia. 3. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 12.7.2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita fa relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Molino Pietro, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli Avv.ti (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui, in data 13.7.2021, il Tribunale di Castrovillari aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile dei delitti di rapina pluriaggravata in concorso e sequestro di persona aggravato in concorso e, esclusa, sul delitto di rapina, la aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3-quinquies, ritenuta la continuazione tra le due violazioni di legge, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 8 e mesi 8 di reclusione ed Euro 4.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere; 2. ricorre per cassazione il difensore del (OMISSIS) deducendo: 2.1 violazione di legge sostanziale e processuale - vizio di motivazione: rileva che, con l'atto di appello, la difesa aveva impugnato la sentenza di primo grado unitamente alla ordinanza del GUP prima e del Tribunale, dopo, che aveva respinto la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato condizionato all'espletamento di una perizia sull'operato del RIS di Messina in ordine alla estrazione e comparazione dei residui biologici oltre che all'esame del teste (OMISSIS), autore della consulenza genetica per conto del PM,, e di quello del Dott. (OMISSIS), consulente della difesa; richiama, quindi, la motivazione con cui la Corte di appello ha disatteso la doglianza difensiva segnalando come il primo giudice avesse deciso senza acquisire contezza degli atti procedimentali avendo ritenuto non necessaria la acquisizione, al solo fine di vagliare la richiesta difensiva, del contenuto del fascicolo del PM tra cui, in particolare, la relazione del consulente della difesa che non era stata ancora acquisita al fascicolo del dibattimento; rileva che l'errata percezione del contenuto della censura difensiva ha portato la Corte di appello a considerare difformi le richieste avanzate di fronte al GUP ed al Tribunale che, invece, al di la' delle variabili di natura terminologica, erano tuttavia esattamente sovrapponibili; osserva che la richiesta non si risolveva affatto, come ritenuto dalla Corte, in un accertamento tecnico su un accertamento tecnico avendo ad oggetto anche il prelievo di campioni biologici sul (OMISSIS) e nuova comparazione; sottolinea che l'accertamento peritale cui era stato subordinato il rito alternativo avrebbe consentito la definizione del processo in una unica udienza a fronte delle 11 udienze istruttorie in cui si sarebbe sviluppato il dibattimento nel corso del quale sono stati sentiti numerosi testi gia' escussi nel corso delle indagini preliminari ed acquisiti gli accertamenti tecnici gia' in atti; 2.2 violazione di legge sostanziale e processuale in relazione agli articoli 431 e 512 c.p.p., articoli 192 e 533 c.p.p., articoli 357, 360, 373, 137, 138 e 142 c.p.p.; articolo 178 c.p.p., lettera c); rileva che la Corte di appello ha ritenuto che non residuassero dubbi sulla correttezza della procedura seguita e sulle metodologie utilizzate travisando quanto era stato dedotto nei motivi di appello articolati sul punto con riguardo, in particolare, ai vizi procedurali ed al mancato rispetto della normativa e delle direttive in materia di sicurezza del repertamento della scena del crimine in relazione non gia' alle operazioni di estrazione e disamina del DNA quanto, piuttosto, alla loro raccolta ed alla loro custodia; segnala, a tal proposito, come nell'atto di appello fosse stato evidenziato che dalla documentazione fotografica relativa alla scena del crimine risultava che la fase di repertamento era stata caratterizzata dalla presenza di operanti che non indossavano sovrascarpe ed aggiunge che, sempre con l'atto di appello, era stato evidenziato che il teste (OMISSIS) aveva riferito di aver notato le tute "per terra nell'ufficio dei carabinieri" in una busta aperta di quelle usate per la spesa, peraltro strappate, come, d'altronde, indirettamente confermato dalle parole degli operanti sentiti nel corso del processo che avevano riferito di avere utilizzato, per custodire le tute, una busta della spesa nuova, mai usata, non ricordando, tuttavia, quando fosse procurata finendo per ammettere di non poter dar conto della sua provenienza; rileva che, in ogni caso, l'attivita' della polizia scientifica sulla scena del crimine non e' stata oggetto di alcuna documentazione e redazione di un apposito verbale di polizia giudiziaria; segnala, ancora, che la affermata irripetibilita' dell'accertamento e' contraddetta da quanto riferito dallo stesso (OMISSIS) tanto che il RIS procedette ad una seconda estrazione laddove, al contrario, la Corte ha confuso tra rilievi ed accertamenti dovendosi invece distinguere tra estrapolazione del profilo genetico, decodificazione dell'impronta genetica e, infine, comparazione tra i due profili, e la nozione di irripetibilita' riguarda soltanto il primo di essi; rileva, inoltre, la violazione del diritto della difesa tecnica di partecipazione alle operazioni poiche' il consulente tecnico aveva mantenuto rapporti costanti con il RIS di Messina per l'intero svolgimento delle operazioni, protrattesi per oltre quattro mesi ed aveva appreso, telefonicamente, in data 24.10.2019, dal ten. Col. (OMISSIS), dell'esito negativo dei tentativi di rinvenimento di tracce genetiche sui reperti avendo, da quel momento, non certo per disinteresse ma a seguito delle informazioni ricevute, interrotto la propria interlocuzione con il RIS, che tuttavia avrebbe proceduto il 26.11.2019 ad ulteriori attivita'; aggiunge che, peraltro, anche la informazione ricevuta in data 24.10.2019 era errata dal momento che i dati estratti il 18.10.2019 avevano gia' consentito la acquisizione di risultati utili con la tipizzazione di varie tracce; segnala, percio', la violazione del diritto di difesa per la impossibilita' del consulente tecnico, nel rispetto dell'articolo 360 c.p.p., comma 2, di assistere non soltanto al conferimento dell'incarico, ma di partecipare agli accertamenti; violazione degli articoli 192, 125 e 195 c.p.p.: segnala che la procedura irritualmente seguita e' comunque inidonea a supportare la riconducibilita' delle tracce al (OMISSIS); richiama, a tal proposito, le modalita' con cui, secondo la ricostruzione fornita dal M.llo (OMISSIS), erano stati svolti gli accertamenti, a partire dal conclamato rischio di contaminazione, con particolare riferimento alla traccia 2-2 ed al campione di confronto 4-1 del (OMISSIS) che sono stati lavorati in violazione delle linee guida imposte dalla comunita' scientifica; segnala, ancora, come i due ritagli della stoffa della tuta, come sarebbe emerso soltanto in dibattimento, erano stati indicati con lo stesso identificativo in data 16 ottobre e 26 novembre, contrariamente a quanto era avvenuto per altri campioni dello stesso indumento; richiama, quindi, i protocolli di laboratorio ISO/IEC applicati nei laboratori di Messina ed evidenzia la difformita' dell'iter seguito nel caso di specie rispetto alle indicazioni ivi contenute; sottolinea come, in definitiva, le operazioni eseguite dal M.llo (OMISSIS) non sono verificabili, non essendo stati stilati dei verbali relativi al secondo prelievo, in violazione, peraltro, delle norme che impongono di documentare le attivita' di PG e, nel caso di specie, quelle del consulente tecnico del PM e che, nel caso in esame, lo stesso M.llo (OMISSIS) aveva riferito, in aula, di non essere tenuto a fare; 2.3 violazione di legge sostanziale e processuale, vizio motivazionale con riguardo al giudizio di idoneita' e valutazione della prova di accusa risultando, sul punto, la sentenza illogica e contraddittoria; a) in merito alla incertezza sulla individuazione delle tute sottoposte a sequestro, ritenute quelle utilizzate nel corso della rapina in contestazione e b) in merito alla compatibilita' fisiognomica e fisionomica dell'appellante con il soggetto che aveva indossato la tuta da meccanico: rileva che, su questi aspetti, la Corte territoriale ha male inteso le doglianze articolate con l'atto di appello in cui mai la difesa aveva rilevato la incongruita' del luogo di ritrovamento delle tute da lavoro (quanto, semmai, la riconducibilita' delle tute rinvenute nel vano caldaia a Quelle utilizzate dai rapinatori) ed alla provenienza delle stesse dal negozio (OMISSIS) (quanto sulla inadeguatezza della tuta di taglia 46 per il (OMISSIS)); ribadisce c:ome la sentenza sia viziata per erronea interpretazione delle doglianze articolate nell'atto di appello che aveva insistito sulla assenza di accertamenti sulla identita' tra le tute in sequestro e quelle indossate dai rapinatori poiche' i reperti non erano mai stati mostrati ai protagonisti dell'episodio, ed inoltre prive di scritte o targhe identificative e non essendo stato accertato che esse fossero state collocate nel vano caldaia per altre e diverse ragioni; ribadisce, anche, come la Corte di appello non abbia risposto alla censura sugli occhi azzurri del rapinatore, evidentemente non compatibili con quelli del (OMISSIS) nonche' sulla taglia delle tuta a lui attribuita ed incompatibile con la sua stazza dell'epoca; 2.4 violazione di legge sostanziale e processuale - vizio motivazionale, con riferimento al giudizio di idoneita' della prova di accusa risultando sul punto la sentenza illogica e contraddittoria con violazione del giudizio di valutazione della prova in merito alla ritenuta esistenza della proposizione di alibi falso da parte dell'imputato: riporta le considerazioni svolte con l'atto di appello sul punto e le valutazioni operate dalla Corte, sottolineando che mai il (OMISSIS) aveva rilasciato dichiarazioni ovvero addotto un alibi non potendosi percio' parlare di alibi "falso"; aggiunge che, in realta', i giudici di secondo grado, pur parlando di alibi "falso", hanno fatto riferimento ad un profilo di inadeguatezza probatoria finendo percio' per approdare alla ipotesi di alibi "fallito" che non puo' mai essere posto a carico dell'imputato integrando un elemento del tutto neutro; 2.5 violazione di legge sostanziale e processuale con riferimento alla denunciata violazione dell'articolo 192 c.p.p. quanto al capo 2) della rubrica: richiama, anche in tal caso, il motivo di appello articolato sul punto su cui la Corte non si e' in alcun modo soffermata omettendo di motivare in merito alla dedotta inidoneita' degli strumenti segretativi utilizzati (le fascette di plastica montate al contrario e percio' facilmente rimuovibili); ribadisce che, nel caso di specie, sussistevano tutte le condizioni per ritenere il reato di sequestro di persona assorbito in quello di rapina; 3. la Procura Generale, nonostante la tempestiva e rituale richiesta di discussione orale avanzata dalla difesa, ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 a valere comunque come memoria, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso: rileva che il ricorso si risolve nella riproposizione delle medesime ragioni addotte dalla difesa con l'atto di appello in assenza, tuttavia, di un reale confronto con le ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento della sua decisione; rileva, in particolare, la correttezza della valutazione circa i presupposti del rito abbreviato condizionato e, quanto agli altri motivi, rileva che la risposta della Corte di appello risulta priva di qualsiasi profilo di illogicita' sia in ordine alle procedure seguite per la estrazione, decodificazione e comparazione del DNA, della compatibilita' antropometrica e delle tenuta probatoria dell'alibi; 4. la difesa del (OMISSIS) ha trasmesso una ampia ed articolata memoria difensiva con riguardo: al difetto e contraddittorieta' della motivazione in merito alla documentazione della attivita' di accertamento genetico comparativo ed in merito alla violazione del diritto di difesa determinata dalla errata informazione fornita dal colonnello (OMISSIS) al proprio consulente di parte: ribadisce come l'attivita' di ispezione, estrapolazione, estrazione e comparazione del 16 e del 19 ottobre del 2019 era stata oggetto di documentazione che non aveva invece interessato la analoga attivita' del 26.11.2019 che sarebbe risultata invece determinante ai fini del giudizio e tuttavia affidata al solo ricordo ed alla ricostruzione mnemonica del teste; sottolinea, ancora, come la Corte non abbia in realta' affrontato la censura articolata sul punto; evidenzia, inoltre, come lo stesso M.llo (OMISSIS) avesse giudicato ripetibile l'accertamento tecnico tanto da aver eseguito una seconda comparazione non potendo percio' rigettarsi la richiesta difensiva sul presupposto della impossibilita' della sua ripetizione; ribadisce, ancora, che il reperto estratto in data 26.11.2019 era stato denominato con la stessa sigla della traccia comparata il 19.12.2019 con la procedura che aveva determinato la contaminazione; sottolinea, ancora, la violazione del diritto di difesa perpetrato in danno del consulente tecnico dell'imputato il quale - contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale - era stato informato dal comandante del reparto della conclusione, con esito negativo, degli accertamenti tecnici con prossima trasmissione delle relativa relazione inducendo percio' il professionista a non presiedere agli ulteriori accertamenti che sarebbero stati eseguiti inaudita altera parte e con esito positivo; sottolinea che su tali circostanze il consulente della difesa era stato sentito nel corso del processo sotto obbligo di riferire la verita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. (OMISSIS) era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito ed all'esito di una conforme valutazione, nei due gradi, delle medesime emergenze istruttorie, per i delitti di rapina pluriaggravata e di sequestro di persona in concorso in quanto, secondo la ricostruzione dei fatti restituita dalle due sentenze di merito, agendo con un complice non identificato, con il volto travisato e con l'uso di una pistola, si sarebbe impossessato della somma di 171.000 costringendo i dipendenti dell'ufficio Postale di Corigliano Calabro a sbloccare l'ATM per poi immobilizzarli con delle fascette di plastica ed una cinghia per avvolgibile. Il Tribunale era pervenuto alla affermazione della penale responsabilita' dell'odierno ricorrente, identificato per uno dei due rapinatori, sulla scorta, essenzialmente, degli esiti delle indagini effettuate dal RIS di Messina sui reperti biologici estratti da una delle tute da meccanico che erano state rinvenute in un vano caldaia posto al piano terra di un immobile confinante con i locali dell'ufficio postale. In particolare, secondo la (in definitiva incontroversa) ricostruzione operata dai giudici di primo grado, il giorno 31.5.2017 personale della Compagnia dei Carabinieri di Corigliano Calabro era intervenuto presso l'ufficio postale dove era stata segnalata una rapina; i militari avevano individuato, in via Licata n. 18, una porta in ferro solo apparentemente chiusa da un catenaccio e che dava ingresso ad un vano caldaie sulla cui parete era stato praticato un foro che consentiva di accedere (attraverso un alto locale) al bagno dell'ufficio postale; all'interno del vano caldaie, poggiate su alcune cassette di plastica, erano state rinvenute due tute da lavoro blu e blu-notte del tipo di quelle che, dalle testimonianze acquisite, indossavano i due rapinatori. Le prime indagini erano state avviate con la acquisizione dei tabulati telefonici relativi ai giorni dal 28 al 30 maggio del 2017 nelle ore comprese tra le 20.00 e le 24.00 e, per il 31 maggio, dalle ore 12.00 alle ore 14,30 la cui analisi aveva portato al nominativo dell'odierno imputato come uno di coloro che erano stati coinvolti nelle conversazioni intercorse, in quei giorni, con altro soggetto che, il giorno 28 maggio, si trovava nell'area interessata dalla celha telefonica nel cui ambito ricadeva l'ufficio postale. Tanto era bastato, tuttavia, per avviare le indagini tecniche sulle tute da lavoro e che avrebbero portato ad affermare che il (OMISSIS) era uno dei due rapinatori che le avevano indossate nel corso della rapina per poi liberarsene durante la fuga. 2. La sentenza di primo grado era stata impugnata dalla difesa che aveva mosso una serie di rilievi e di censure su cui la stessa difesa e' tornata in questa sede ricorrendo contro la decisione della Corte di appello che ha ritenuto essere viziata sia per molteplici profili di violazione di legge che, anche, per difetto di motivazione quanto alla risposta fornita alle considerazioni ed alle argomentazioni difensive. Tanto premesso, ritiene la Corte che la sentenza qui impugnata non sia censurabile ne' quanto ai denunziati aspetti di violazione di legge sostanziale e processuale e nemmeno quanto alla complessiva congruita' ed esaustivita' della motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa. 3.1 Infondato, infatti, e' il primo motivo del ricorso, in cui la difesa denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla conferma della conferma della decisione con cui sia il GUP che, poi, il Tribunale, avevano respinto la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato condizionato sia alla ripetizione dell'accertamento generico che, anche, all'esame del M.llo (OMISSIS), del RIS di Messina, e del prof. (OMISSIS), consulente tecnico della difesa, sugli accertamenti genetici comparativi. Quanto al rilievo operato "in rito" circa la mancata acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo del PM, e' sufficiente" infatti, rilevare che la richiesta di accesso al rito abbreviato "condizionato" non comporta l'obbligo, per il giudice, di ordinare prima della decisione, l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, in quanto l'articolo 135 disp. att. c.p.p., che tale obbligo prevede, trova applicazione unicamente in presenza di una richiesta di applicazione della pena (cfr., Sez. 3, n. 4887 del 17/12/2009, Hammama, Rv. 246023 - 01). D'altra parte, il rigetto della richiesta puo' intervenire non soltanto nel caso di rilevata incompletezza o inadeguatezza delle acquisizioni contenute nel fascicolo delle indagini preliminari ma, anche, in conseguenza di una diagnosi negativa circa la compatibilita' tra il tipo di integrazione probatoria cui la richiesta sia stata condizionata rispetto alle caratteristiche proprie del rito a forma contratta ovvero, ancora, alla natura stessa della "condizione" posta alla definizione del processo con quelle modalita'. E, a ben guardare, e' proprio quanto accaduto in questa occasione in cui il Tribunale, con l'ordinanza impugnata unitamente alla sentenza di primo grado, aveva rilevato che la richiesta difensiva aveva ad oggetto, in primo luogo, la rivalutazione dell'operato dei consulenti tecnici del PM, incaricati di espletare gli accertamenti stimati irripetibili e, pertanto, eseguiti con le modalita' e le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p. e, nel caso, la ripetizione dei medesimi accertamenti laddove effettivamente possibile; il primo giudice, infatti, aveva spiegato che l'istanza era stata fondata sulla dedotta esistenza di una serie di lesioni del diritto di difesa, conseguenti alla mancata partecipazione del consulente tecnico alle operazioni, nonche' su errori metodologici e procedurali in cui sarebbero incorsi i consulenti del PM. Tanto premesso, il Tribunale aveva affrontato le censure di ordine procedimentale (e su cui si dovra' tornare avendo formato oggetto di autonomo motivo di ricorso) sostenendo - correttamente - che i rilievi sull'operato dei consulenti tecnici del PM avrebbero dovuto essere valutati e verificati nella appropriata sede del dibattimento potendosi soltanto all'esito di tale approfondimento porsi il problema della eventuale rinnovazione - ove possibile degli accertamenti tecnici. Del tutto lineare era stata, percio', la considerazione secondo cui la "condizione" posta dalla difesa si sarebbe risolta, in primo luogo (come peraltro risulta dalla formulazione del duplice quesito proposto dalla difesa nell'istanza depositata in data 5.11.2020), nella rivalutazione dell'operato dei consulenti del PM sotto l'aspetto procedurale e tecnico e soltanto in secondo luogo, in una nuova indagine genetica, ove consentita dal materiale ancora disponibile; ineccepibile e giuridicamente corretta, percio', era stata la considerazione secondo cui, in presenza di un accertamento gia' in atti, i rilievi di natura tecnica sollevati dalla difesa avrebbero dovuto essere affrontati in sede dibattimentale non potendo formare oggetto di una valutazione "preventiva" finalizzata ad una eventuale ed ipotetica ripetizione delle indagini biologiche. Tanto precisato, dunque, e' senz'altro incensurabile la motivazione della Corte di appello che, nel confermare decisione del Tribunale, ha motivato sul fatto che la prognosi circa la compatibilita' tra il rito abbreviato e la integrazione probatoria rispetto alle prospettive di economia processuale va fatta con valutazione "ex antea" senza tener conto di quella che avrebbe potuto essere la concreta evoluzione del dibattimento; era soltanto in quella sede, infatti, che sarebbe stato possibile operare una diagnosi di incompletezza o inadeguatezza dei dati acquisiti e, percio', formulare una prognosi di oggettiva e sicura utilita', o idoneita', del probabile risultato dell'attivita' istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio. 3.2 Con il secondo motivo di ricorso la difesa deduce violazione di legge evidenziando come gia' nell'atto di appello fossero stati sollevati una serie di rilievi circa le procedure seguite in sede di repertamento, sottolineando come tale attivita' non fosse stata oggetto di verbalizzazione; per altro verso, segnala la erroneita' della decisione della valutazione di irripetibilita' degli accertamenti tecnici di natura biologica; e, ancora, eccepisce la nullita' dell'accertamento tecnico operato dai consulenti del PM per violazione del diritto di partecipazione della difesa tecnica alle operazioni peritali. Il motivo e', complessivamente, infondato. Non e' inutile, in primo luogo, ribadire che gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilita' di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257 - 01; Sez. 2, n. 43406 del 01/06/2016, Syziu, Rv. 268161 01; conf., da ultimo, Sez. 2 -, n. 38184 del 06/07/2022, Cospito, Rv. 283904 03). Tanto premesso, ed affrontando in generale, e nell'ordine logico delle questioni dedotte dalla difesa nel secondo motivo, la tematica della eccepita "nullita'" degli atti e delle operazioni peritali per mancata loro verbalizzazione, va richiamato l'orientamento di questa Corte che, in piu' occasioni, ha chiarito che l'obbligo di redazione degli atti indicati dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall'articolo 373 c.p.p., non e', in primo luogo, stabilito a pena di nullita' od inutilizzabilita'; per le attivita' di polizia giudiziaria e' infatti sufficiente la loro documentazione, anche in un momento successivo al compimento dell'atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilita', quello che e' necessario acquisire e documentare e' la certezza dell'individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all'atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti (cfr., Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, Delussu, Rv. 234884 - 01, in cui la Suprema Corte ha ritenuto che fosse legittimamente contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi utilizzabile nel rito abbreviato, la documentazione relativa agli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla polizia giudiziaria su impronte papillari rinvenute nel luogo e nell'immediatezza dei fatti sul corpo di reato, anche in mancanza della redazione del verbale dei rilievi; conf., Sez. 5, n. 25799 del 12/12/2015, Stasi Rv. 267260 01 che, ribadendo il principio per cui l'obbligo di redazione degli atti indicati dall'articolo 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall'articolo 373 c.p.p., non e' previsto a pena di nullita' od inutilizzabilita', ha di conseguenza concluso nel senso che deve ritenersi ammissibile la testimonianza degli operatori della polizia giudiziaria in merito a quanto dagli stessi direttamente percepito nell'immediatezza dei fatti ma non verbalizzato, anche in relazione alle ragioni della omessa verbalizzazione). Sotto altro profilo, poi, e' opportuno, ancora una volta, evocare la giurisprudenza che, ormai in diverse occasioni, ha avuto modo di puntualizzare che, in materia di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta, automaticamente, l'inutilizzabilita' del dato probatorio ove non si dimostri che quella violazione abbia negativamente condizionato, in concreto, l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilita' (cfr., in tal senso, recentemente, Sez. 6 -, n. 15140 del 24/02/2022, Neagu Rv. 283144 - 01, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva attribuito all'imputato l'utilizzo del guanto da cui era stato estratto il DNA, pur se il prelievo non era avvenuto con guanti sterili, stante la mancanza sul supporto di tracce riferibili a soggetti diversi; conf., tra le non massimate, Sez. 7, n. 12442 del 22.2.2023, Oruci; Sez. 5, n. 7830 del 30.11.2022, Negro; Sez. 4, n. 46978 dell'11.10.2022, Gioka). Tanto chiarito, in diritto, va rilevato che le due sentenze di merito non hanno affatto pretermesso i rilievi operati dalla difesa su tali aspetti) che hanno invece affrontato e superato in termini che risultano del tutto in linea con considerazioni e le conclusioni cui e' pervenuta la giurisprudenza e di cui si e' appena dato conto. In particolare, gia' il Tribunale (cfr., pag. 7 della sentenza di primo grado) aveva motivato in merito alla circostanza secondo cui l'attivita' di repertamento sarebbe intervenuta ad opera di personale di PG non munito di sovrascarpe e che, in attesa del loro invio al RIS, le tute erano state collocate in un ufficio della Caserma dei c.c. (nel quale, peraltro, non vi era libero accesso da parte di chiunque), segnalando come si fosse trattato di un condotte in qualche caso superficiali ma - con argomentazione rispetto alla quale la difesa non si confronta - che non avevano avuto alcun rilievo stante la assenza, sui reperti, di tracce di DNA diversi da quelli dell'imputato. Per quanto concerne, poi, l'espletamento delle analisi da parte del M.llo (OMISSIS), del RIS di Messina, il Tribunale, anche su tale aspetto, aveva motivato in maniera analitica e puntuale riportando le dichiarazioni del sottufficiale che aveva riferito sulle varie fasi della estrazione, della esaltazione e della comparazione dei campioni (cfr., pag. 9 della sentenza di primo grado); in particolare, il M.llo (OMISSIS) aveva precisato di aver ritenuto necessario procedere alla ripetizione dell'accertamento avendo valutato che l'esito positivo della prima comparazione, effettuata il 16.10.2019, potesse essere state frutto di possibile contaminazione con il campione di riferimento (cfr., ivi, ancora, pag. 9) provvedendo, per questa ragione, alla resezione, dalla stessa area della tuta (parte interna del polsino sinistro della tuta taglia 46), di una ulteriore e piu' estesa porzione di tessuto avendo cura di procedere, questa volta, evitando che sulla piastra non fosse presente il DNA del (OMISSIS) che era stato acquisito ai fini del confronto con quello estratto dal tessuto (cfr., ivi). Ed erano state proprio le modalita' e le cautele con cui era stata svolta la seconda indagine che avevano portato a ritenere infondati i rilievi difensivi che, attraverso il consulente tecnico prof. (OMISSIS), si erano appuntati sulle modalita' di espletamento del primo esame (cfr., pag. 10). Anche con riferimento alla mancata documentazione della attivita' del consulente del PM, fermo quanto sopra chiarito in punto di rilevanza in diritto della questione, va richiamato il tenore della sentenza di primo grado che (cfr., pagg. 10-11), in merito alla esistenza dei fogli di lavoro prodotti in aula e che le parti hanno avuto modo di consultare poiche' la difesa aveva messa in dubbio la stessa procedura secondo cui era stato eseguito il secondo esame se, in definitiva, avvenuto sullo stesso ritaglio di stoffa o su un ritaglio di stoffa diverso (cfr., ivi, ancora, pag. 10). E, tuttavia, anche su questi aspetti le due sentenze di merito sono state del tutto esaustive avendo il Tribunale richiamato le dichiarazioni rese sul punto dal M.llo (OMISSIS) come riscontrate dal modulo qualita' (DETERMINAZIONE GENOTIPICA COMPLETA DA TRACCIA BIOLOGICA MOD. 5.4/BIO Rev.0-ESTRAZIONE) e dai moduli di lavoro risalenti al 26.11.2019 attestanti la quantificazione, amplificazione e tipizzazione e dai diversi profili genotipici stampati. La Corte di appello, dal canto suo, ha ribadito che la seconda analisi aveva consentito di estrarre una quantita' di DNA tripla rispetto a quella del primo reperto il che dimostrava, anche in difetto di una specifica documentazione dell'attivita', che si trattava di un secondo esame eseguito su un secondo reperto (cfr., pag. 10 della sentenza di appello); ne', ha aggiunto, l'utilizzo della medesima nomenclatura per la seconda provetta rispetto alla prima era elemento in grado di ingenerare dubbi perche' "le due provette non sono mai coesistite" in quanto la prima era stata analizzata nelle 72 ore e successivamente smaltita mentre la seconda estrazione era intervenuta un mese e dieci giorni dopo. Va anche sottolineato come gia' il Tribunale avesse evidenziato e dato conto di come al consulente della difesa fosse stata sottoposta la documentazione acquisita, con particolare riferimento ai "fogli di lavoro" e di come il prof. (OMISSIS) "... a fronte di puntuali domande della pubblica accusa in ordine agli esiti della seconda analisi, si fosse in realta' limitato a contestare il modus operandi senza mettere in dubbio la predetta compatibilita' tra genotipi" (cfr., pag. 12 della sentenza di primo grado). In merito, poi, all'eccezione di nullita' delle operazioni eseguite dal consulente del PM per violazione del diritto di difesa, si deve convenire sulla complessiva correttezza delle considerazioni svolte dai giudici di merito sia in punto di fatto che in punto di diritto. Va rilevato, in primo luogo, come sia incontroverso che la difesa avesse ricevuto rituale avviso dell'inizio delle operazioni cui, va pur detto, il prof. (OMISSIS), per quanto risulta dalle due sentenze di merito e dagli stessi atti di impugnazione, non ha mai preso parte personalmente limitandosi, sempre, a contatti telefonici con gli uffici del RIS di Messina. Ed e' proprio in occasione di una di queste interlocuzioni telefoniche che, secondo quanto riferito dalla difesa (e, invero, dichiarato dallo stesso prof. (OMISSIS) in aula), alla fine di ottobre del 2019, il consulente avrebbe appreso, dal colonnello (OMISSIS), che le indagini tendenti a rinvenire tracce utili sulle tute in sequestro non avevano dato esito positivo, essendosi percio' a quel punto risolto ad attendere la formalizzazione di tali attivita' senza insistere oltre e senza porre in essere o tentare ulteriori approcci. Se non che', assume la difesa, quella ricevuta dall'ufficiale, era una notizia per un verso inesatta poiche' gia' l'analisi condotta nel mese di ottobre aveva dato un esito positivo (quand'anche con il sospetto di contaminazione) e, per altro verso, superata dalla non comunicata iniziativa del M.llo (OMISSIS) di eseguire un secondo accertamento su un secondo ritaglio di stoffa senza comunicare alcunche' al consulente della difesa. Ebbene, va puntualizzato, in diritto, che in tema di perizia (o, analogamente, di consulenza tecnica eseguita con le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p.) il diritto dei difensori e dei consulenti tecnici di parte di ricevere notizia del giorno, ora e luogo fissati per le operazioni peritali affinche' possano assistervi e' soddisfatto con la notizia relativa all'inizio delle operazioni; non e', pertanto, configurabile alcuna nullita' nel caso in cui, dopo il suddetto avviso, venga omessa una ulteriore comunicazione circa il giorno e l'ora di prosecuzione delle operazioni fuori dell'ufficio, gravando sui difensori l'onere di procurarsi le necessarie informazioni (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3 -, n. 31640 del 31/05/2019, Manna, Rv. 276680 - 02; conf., Sez. 5, n. 25403 del 15/02/2013, Savona, Rv. 256319 01; Sez. 5 -, n. 36152 del 30/04/2019, Barone, Rv. 277529 - 01). Tanto premesso, non e' dunque, e nel caso di specie, configurabile alcuna nullita' conseguente alla omessa comunicazione, da parte del M.llo (OMISSIS), della prosecuzione delle indagini con la estrazione del DNA dal secondo ritaglio di stoffa e la comparazione con il profilo del (OMISSIS) poiche', come correttamente rilevato dai giudici di merito, era stato proprio il metodo di interlocuzione per il quale aveva optato la difesa tecnica a porre a carico di quest'ultime le conseguenze di eventuali inesattezze nelle informazioni ricevute; va a tal proposito precisato che, secondo la ricostruzione offerta dagli difensivi ed effettivamente confermata dal prof. (OMISSIS) in aula, costui aveva contattato ed aveva ricevuto le notizie asseritamente fuorvianti da persona comunque diversa, pur appartenente al medesimo reparto, rispetto al sottufficiale che era stato specificamente incaricato dell'espletamento delle indagini tecniche. Da ultimo, con riguardo alle diverse censure articolate nel secondo motivo del ricorso, occorre puntualizzare che proprio la diagnosi di irripetibilita' dell'accertamento tecnico (evidentemente riferita alla fase della estrazione ed esaltazione del campione, non certo a quella della comparazione) aveva correttamente portato il PM a procedere con le garanzie e le cautele di cui all'articolo 360 c.p.p.. Correttamente, peraltro, la Corte di appello ha puntualizzato che la ripetibilita' o meno dell'esame era il frutto di una prognosi (si puo' osservare in questa sede giustamente prudente trattandosi di un "essudato" che rischiava, con il tempo, di "volatilizzarsi") legata al tipo ed alla quantita' di materiale disponibile ed al rischio della sopravvenuta impossibilita' di procedere nelle forme della perizia, laddove la circostanza che, in concreto, il M.llo (OMISSIS), dopo una prima analisi, abbia potuto effettuare un nuovo esame non vuol dire che esso fosse ulteriormente ripetibile. In ogni caso, la inequivocita' del risultato cui era pervenuto il consulente del PM aveva escluso la necessita' di un ulteriore approfondimento non essendovi, sul punto, un "diritto" della difesa ad ottenere la ripetizione delle indagini che, con motivazione adeguata in fatto e corretta in diritto, si ritenga avessero dato un esito assolutamente affidabile. 3.3 Ed e' proprio la nettezza delle risultanze della indagine tecnica circa la attribuibilita', al (OMISSIS), del DNA rinvenuto su una delle tute da lavoro rinvenute nel locale caldaia utilizzato dai rapinatori, che - con argomentazione che non si presta a rilievi di manifesta illogicita' - ha consentito alla Corte di appello di superare le argomentazioni difensive che, anche con il ricorso, hanno cercato di mettere in dubbio la stessa circostanza che essa potesse essere stata indossata dal (OMISSIS) nonostante la taglia apparentemente inadeguata alla corporatura dell'odierno ricorrente. Altrettanto lineare e corretta da un punto di vista logico e' la inferenza con cui la Corte di appello ha ritenuto che quelle abbandonate nel locale caldaia fossero proprio le tute indossate dai due rapinatori trattandosi di vestiario che, pur non essendo stato mostrato ai dipendenti dell'ufficio postale, era proprio dello stesso tipo di quello descritto da costoro e, per altro verso, abbandonato sulla via di accesso e di fuga dal luogo della rapina. 3.4 E' infondato anche il quarto motivo del ricorso relativo al ritenuto (dalla Corte di appello) "fallimento" della prova d'alibi che, tuttavia, sostiene la difesa, mai era stata fornita dallo stesso (OMISSIS) il quale non aveva mai rilasciato dichiarazioni in tal senso, mentre era stata la difesa tecnica che aveva proceduto ad acquisire elementi di prova "liberatoria". La Corte di appello, dando seguito ai rilievi ed alle allegazioni difensive (supportate anche da indagini difensive) ha dato conto degli accertamenti che erano stati eseguiti al fine di verificare la effettivita' dell'incidente stradale che, secondo la difesa, sarebbe occorso e che avrebbe visto coinvolto il (OMISSIS) proprio il giorno della rapina. Con motivazione del tutto esaustiva in fatto, la Corte ha spiegato le ragioni per le quali doveva "... ritenersi indimostrato l'alibi del (OMISSIS)"; al di la' del tenore dell'espressione utilizzata dalla Corte, cui il ricorso ritiene di attribuire rilievo ritenendo che, in tal modo, i giudici abbiano inteso evocare una ipotesi di alibi "fallito" piuttosto che di alibi "falso", e' sufficiente tuttavia rilevare che la stessa sentenza impugnata ha attribuito a tali risultanze un rilievo meramente confermativo e di contorno rispetto alle conclusioni cui era stato possibile approdare sulla scorta degli elementi gia' acquisiti. 3.5 Sul quinto motivo va rilevato che, a seguito della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, il delitto di sequestro di persona e' procedibile a querela di parte, non proposta. La sentenza impugnata va dunque annullata, senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo B), essendo la azione penale improcedibile per difetto di querela; di conseguenza, va eliminato il relativo aumento di pena nella misura di mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo B), per essere l'azione penale improcedibile per mancanza di querela ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TIVOLI; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/11/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TIVOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere EGLE PILLA; Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, LIDIA GIORGIO, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente all'applicazione dell'articolo 165 c.p., eventualmente a seguito della pronunzia delle Sezioni Unite cui e' stata rimessa la questione con ordinanza della Sezione terza del 26/01/2023 n. 7239. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 18 novembre 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, ha applicato su richiesta delle parti, all'imputato (OMISSIS), con la diminuente del rito la pena di anni uno di reclusione, condizionalmente sospesa per: - il reato di lesioni personali nei confronti di (OMISSIS) aggravate dalla circostanza dei futili motivi e dell'aver commesso il fatto contro il coniuge (articoli 582 e 585 in relazione all'articolo 577 c.p., comma 2, articolo 61 c.p., n. 1). 2. Avverso la decisione ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli articolando il seguente motivo di censura. 2.1. Con il motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge avuto riguardo all'articolo 165 c.p. e alla mancata subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena agli obblighi di partecipazione a specifici corsi di recupero presso enti o associazioni qualificate. Lamenta il ricorrente che, in ragione della obbligatorieta' della previsione introdotta dalla L. n. 69 del 2019, articolo 6 (cd. codice rosso), essendo la stessa applicabile al caso in esame in quanto il fatto contestato e' stato commesso successivamente all'entrata in vigore della disposizione, il giudice non avrebbe potuto ratificare l'accordo. 2.2. Quanto alla riconducibilita' di siffatta violazione ai motivi per i quali e' possibile il ricorso per cassazione avverso le sentenze ex articolo 444 c.p.p., il Procuratore della Repubblica ha richiamato due opposti orientamenti giurisprudenziali. 2.2.1. Un primo indirizzo, che il Pubblico ministero condivide, ritiene che la omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento di obblighi sia riconducibile alla nozione di pena illegale (Sez.4, n. 35906 del 14/09/2021; Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018 - dep. 2019 -, Bonomi, Rv. 275118). 2.2.2. Diversamente, un secondo indirizzo esclude che siffatta violazione costituisca motivo per ricorrere in cassazione ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, trattandosi di vizio non riconducibile al concetto di illegalita' della pena (Sez. 6, n. 23416 del 10/03/2022, Abbondanza; Sez. 6 n. 9690 del 17/02/2022, Dudun; Sez. 3, n. 35485 del 27/08/21). 2.3. Il Procuratore evidenzia che argomenti a sostegno del primo orientamento possono rinvenirsi anche nella pronunzia delle Sez. Unite n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, Rv. 283577, in quanto le Sezioni unite pongono l'accento sulla funzione della pena sospesa e sulla necessita' di consentire il libero esplicarsi dei suoi effetti in presenza di obblighi cui subordinare la concessione, sia se imposti per legge, sia se imposti dal giudice nell'ambito delle sue facolta' discrezionali. Evidenzia altresi' la giurisprudenza di questa Corte che riconosce al Pubblico Ministero la possibilita' di "sanare" una pena, sia pure illegittima, ed in particolare: la possibilita' di agire in sede esecutiva e ottenere dal giudice dell'esecuzione la revoca del beneficio concesso anche in presenza di una causa ostativa (Sez.6, n. 29950/2022); cosi' come la giurisprudenza che, al contrario, ritiene che il caso di specie sia da ricondurre alla nozione di pena illegale dal momento che in sede esecutiva la revoca della sospensione condizionale della pena e' possibile solo in due specifiche ipotesi (articolo 674 c.p.p.). 2.4. Il ricorso evidenzia altresi' che l'articolo 165 c.p., comma 5, come modificato dalla L. n. 69 del 2019 e ulteriormente "rafforzato" dalla L. n. 134 del 2021, trova la sua ratio nella volonta' di prevenire il rischio di recidiva e nella scelta di vincolare il giudice, in deroga alla discrezionalita' concessagli dall'articolo 165 c.p., comma 1. La indicazione normativa si colloca nel piu' vasto ambito di disposizioni che valorizzano la sottoposizione degli autori di violenza di genere a programmi di prevenzione o corsi di recupero per raggiungere gli obiettivi che sono alla base della norma (articolo 282 quater c.p.p.; L. n. 119 del 2013, articolo 5 bis; L. n. 354 del 1975, articolo 13 bis). Non ritenere illegale la pena e, dunque, impedire di intervenire con la impugnazione del Pubblico Ministero avverso le sentenze di pal:teggiamento ex articolo 448 c.p.p., comma 2, comporterebbe la limitazione degli effetti di una disposizione volta a prevenire la recidiva e, a fronte di ulteriori reati commessi dal soggetto, comporterebbe la condanna dell'Italia da parte della CEDU per non avere lo Stato italiano attuato tutte le misure previste a tutela delle vittime di reati di violenza di genere o domestici (Corte EDU Talpis c. Italia 2 marzo 2017; Landi c. Italia 7 aprile 2022). 2.5. Ha concluso il Procuratore per l'annullamento con rinvio della impugnata sentenza. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. 1. La questione posta all'attenzione di questo Collegio richiede un sintetico, ma necessario inquadramento della stessa nell'ambito della piu' vasta tematica dei limiti di ricorribilita' delle sentenze di applicazione di pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis. 1.1. Per quanto di specifico interesse, utili indicazioni da cui muovere possono rinvenirsi nell'articolato ragionamento delle Sezioni unite Boccardo (S.U, n. 23400 del 27/01/2022, Rv. 283191) chiamate a risolvere il contrasto relativo "(..)alla latitudine del potere del giudice che procede ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena concordata dalle parti alla prestazione di attivita' non retribuita in favore della collettivita' nel caso in cui l'imputato abbia gia' usufruito in precedenza del beneficio(..)"; la pronunzia ha, infatti, approfondito il tema dei limiti del potere dispositivo delle parti e di quello del giudice cui e' affidata la omologa dell'accordo anche attraverso la ricostruzione del relativo panorama della giurisprudenza di legittimita' e costituzionale. Gia' la Consulta aveva affermato l'inscindibile legame esistente tra la componente negoziale del rito e lo spazio cognitivo del giudice, evidenziando che questi rimane vincolato al contenuto dell'accordo sul merito dell'imputazione e della commisurazione della pena concluso dalle parti, nel senso che gli e' consentito soltanto di accoglierlo nei termini proposti ovvero di rigettarlo e procedere oltre (Corte Cost. n. 66 del 1990; Corte Cost., sent. n. 251 del 1991; Corte Cost., sent. n. 155 del 1996 e, da ultima, Corte Cost., sent. n. 394 del 2002). 1.1.1.Le Sezioni Unite hanno successivamente definito i poteri del giudice del patteggiamento in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena. In particolare, Sez. U, n. 5882 del 11/05/1993, Iovine, Rv. 193417 ha escluso che il giudice possa, di sua iniziativa, concedere il beneficio, ritenendo tale decisione preclusa, per l'appunto, dal vincolo negativo costituito dai termini dell'accordo intervenuto tra le parti (il principio e' stato piu' volte ribadito dalla giurisprudenza successiva: ex multis, Sez. 2, n. 42973 del 13/06/2019, Demian, Rv. 277610; Sez. 2, n. 21071 del 15/04/2016, Dubets, Rv. 266694). Successivamente la pronunzia delle Sez. un. 10 del 1993, Zanlorenzi, ha, invece, escluso che nel rito speciale il giudice possa, alterando il contenuto dell'accordo intervenuto tra le parti, subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento di un obbligo, alla cui imposizione la legge lo autorizzi. Dopo aver ribadito il dictum delle Sezioni Unite "Iovine", la sentenza "Zanlorenzi" ha introdotto la distinzione tra determinazioni previste dalla legge "quale conseguenza di una decisione giurisdizionale senza fasciare al giudice facolta' di diversamente deliberare", che devono essere adottate con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se non comprese nei termini dell'accordo, "essendo implicito che le parti ne abbiano fatto oggetto di previsione, proprio per l'ineludibilita' della conseguenza", e determinazioni considerate dalla legge "quale esercizio di una facolta' del giudice". Queste ultime, se non previste dall'accordo (e, a maggior ragione, se escluse), non possono essere adottate dal giudice, al quale "non rimane altra opzione tra quelle di aderire al patto (..) ovvero, nell'ipotesi contraria, respingere il patto per procedere al giudizio ordinario, all'esito del quale sara' adottata decisione coerente allo schema previsto dalla legge, lasciando spazio alle parti per l'esercizio della facolta' di impugnazione anche nel merito, non prevista per il caso di definizione concordata". Le sentenze "Iovine" e "Zanlorenzi" hanno costituito la base della successiva elaborazione svolta dalle Sezioni Unite, quanto al rapporto tra il contenuto negoziale dell'accordo ed i poteri del giudice. 1.1.2. Le pronunzie che hanno concorso a definire l'ambito delle statuizioni che lo stesso giudice puo' autonomamente adottare, in quanto sottratte al potere dispositivo delle parti (Sez. U, n. 21369 del 26/09/2019, dep. 2020, Melzani, Rv. 279349, Sez. U, n. 20 del 21/06/2000, Cerboni, Rv. 217018 e Sez. U, n. 8488 del 27/05/1998, Bosio, Rv. 210981) hanno, ad esempio, ribadito che con la sentenza di patteggiamento devono essere sempre applicate le sanzioni amministrative accessorie che ne conseguono di diritto, mentre Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214638 ha precisato come, con la stessa sentenza, il giudice sia tenuto a dichiarare, ai sensi dell'articolo 537 c.p.p., comma 1 l'accertata falsita' di atti o di documenti. 1.2. Negli ulteriori e piu' recenti interventi normativi che hanno interessato la disciplina del patteggiamento, il legislatore ha inequivocabilmente rivelato di voler ampliare i contenuti negoziali del rito. La giurisprudenza ha percepito negli interventi riformatori una progressiva mutazione del modulo consensuale di definizione del processo. La pronunzia Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019 - dep. 2020 - Savin, Rv. 279348, ha ritenuto che dalla successione delle riforme emerga una piu' ampia valorizzazione della logica negoziale del rito, tesa a riconoscere anche all'accordo stipulato dalle parti la possibilita' di assumere contenuti che trascendono quello "necessario" definito dall'articolo 444 c.p.p., comma 1. E, facendo leva sull'esplicita evocazione delle misure di sicurezza nell'inedita disciplina della ricorribilita' della sentenza di patteggiamento introdotta nell'articolo 448 c.p.p., comma 2-bis la pronunzia menzionata e' conseguentemente giunta a riconoscere la facolta' delle parti di concordarne l'applicazione, con eguale valore vincolante per il giudice dell'accordo stipulato sulla pena, al quale, anche in tal caso, e' consentito solo recepire integralmente il patto ovvero rigettare la richiesta. 1.3. Dall'elaborazione compiuta dalle Sezioni Unite in ordine ai rapporti tra la base negoziale del rito ed il potere decisionale del giudice, la sentenza "Boccardo" ha quindi affermato che il perimetro decisionale e' definito dal contenuto dell'accordo raggiunto dalle parti, residuando in favore del giudice spazi cognitivi autonomi limitatamente a quei contenuti estranei, per loro natura o per espressa volonta' della legge, alla struttura negoziale del rito. Il patteggiamento, dunque, non e' caratterizzato unicamente dalla retribuzione premiale in ragione della rinunzia dell'imputato a contestare l'accusa ed al contraddittorio sulla prova, ma anche dalla prevedibilita' in concreto della decisione. Il divieto di ultra-petizione, assunto dalle Sezioni Unite "Zanlorenzi" a fondamento dell'esclusione del potere del giudice di integrare il patto intervenuto tra le parti nell'esercizio di mere facolta' conferitegli dalla legge e, in particolare, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena oggetto dell'accordo ad una delle prescrizioni previste dall'articolo 165 c.p., comma 1, e' stato condiviso dalle Sezioni Unite "Boccardo" con la conseguenza che il decidente e' tenuto autonomamente ad adottare con la sentenza di patteggiamento soltanto quelle statuizioni la cui applicazione gli e' imposta dalla legge. Tale principio e' intimamente connaturato all'impianto negoziale del rito e condizione della sua compatibilita' costituzionale e convenzionale. Ma proprio per tale ultima ragione deve esserne precisata la sua effettiva estensione. Non puo' dubitarsi che esso riguardi anzitutto quelle statuizioni di cui la legge impone l'adozione in quanto sottratte al potere dispositivo delle parti, come nel caso, ad esempio, dell'applicazione con la sentenza di patteggiamento delle sanzioni amministrative accessorie. Invero, in tal caso, nemmeno si pone il pericolo di un'alterazione dell'accordo, per il semplice motivo che le parti non possono disporre con effetto vincolante per il giudice dell'an o del quomodo di determinazioni che non rientrano nella base legale del negozio processuale. Il passaggio rilevante ai fini della presente decisione e' relativo all'ipotesi in cui la statuizione normativamente imposta incida su uno degli aspetti negoziabili dalle parti: le Sezioni Unite Boccardo intervengono chiarendo che il giudice puo' si' adottarla, anche prescindendo da una manifestazione di volonta' di queste ultime, ma a condizione che il suo contenuto sia predeterminato dalla legge. Soltanto in questo caso, infatti, puo' effettivamente ritenersi che il silenzio delle parti sul punto costituisca implicita adesione alla successiva determinazione giudiziale, in quanto, nella consapevolezza dell'imposizione normativa, le stesse sono state in grado di prevederne l'integrale contenuto. In altri termini, quando la legge impone al giudice di adottare una prescrizione non prevista dall'accordo (seppure negoziabile dalle parti), ma allo stesso tempo gli attribuisce il potere di determinarne in concreto il contenuto, non e' dubbio che l'esito della sua deliberazione sul punto non e' piu' prevedibile e non puo' pertanto ritenersi che l'imputato abbia avuto piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche della sua scelta al momento in cui ha eletto il rito speciale e rinunziato all'esercizio dei propri diritti. 1.4. Sez. Un. Boccardo ha dunque stabilito che al giudice del patteggiamento non e' consentito subordinare motu proprio la concessione della sospensione condizionale concordata dalle parti ad uno degli obblighi previsti dall'articolo 165 c.p., anche nel caso di reiterazione del beneficio, atteso che la scelta della prescrizione da imporre e la modulazione del relativo contenuto non sono elementi predeterminati dalla legge, ma rimessi alla discrezionalita' del decidente, con la conseguente sottrazione alle parti della possibilita' di prevedere come verra' in concreto esercitato il relativo potere. La determinazione della prestazione e delle sue modalita' di esecuzione non possono, quindi, considerarsi la mera conseguenza di un automatismo normativo implicitamente accettato all'atto della subordinazione dell'accordo al riconoscimento della sospensione condizionale. Una volta ammessa la negoziabilita' della concessione della pena sospesa, una divergente decisione del giudice si risolverebbe comunque in una inammissibile alterazione dell'accordo, tale da rendere non piu' prevedibile il contenuto della sentenza. E' dunque evidente che anche in tal caso lo stesso giudice potra' o recepire l'accordo nella sua totalita' ovvero rigettare integralmente la richiesta di patteggiamento, valutando incongrue le scelte operate dalle parti. Rientra nel potere negoziale delle parti non solo l'indicazione dell'obbligo cui subordinare la concessione del beneficio, ma anche del suo contenuto. Con riguardo al caso della prestazione di attivita' non retribuita, cio' significa che le parti hanno dunque la facolta' di concordarne durata e modalita' di esecuzione, vincolando il giudice alla loro pattuizione. 2. Le argomentazioni contenute nella pronunzia delle Sezioni Unite Boccardo risultano pienamente applicabili anche all'ipotesi in esame di cui all'articolo 165 c.p., comma 5, che regola un ulteriore caso in cui la sospensione condizionale della pena puo' essere concessa unicamente se subordinata all'adempimento di obblighi il cui contenuto va determinato in sede di accordo (partecipazione a specifici corsi di recupero). Qualora le parti, come nel caso in esame, pur avendo ricompreso nel loro accordo negoziale il beneficio della pena sospesa, non ne abbiano subordinato la concessione all'adempimento di obblighi dal contenuto predeterminato, non resta altra alternativa al giudice dell'omologa che rigettare la richiesta concordata. 3. Le conclusioni raggiunte, tuttavia, non consentono - da sole - di ritenere risolta la questione sottoposta a questo Collegio. Preso atto, infatti, che l'accordo nei termini raggiunti non poteva essere recepito dal giudice ai sensi dell'articolo 448 c.p., comma 1, occorre verificare se e in che modo siffatto vizio possa essersi tradotto nel ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 448 c.p., comma 2-bis. La questione e' gia' stata affrontata da questa Corte in numerose pronunzie attraverso il ricorso alla categoria della "pena illegale", in quanto ricompresa tra i motivi per i quali e' possibile ricorrere per cassazione avverso la sentenza di applicazione su richiesta ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., comma 2. Al riguardo la perimetrazione del concetto di "pena illegale" con riferimento alla sentenza di patteggiamento ha dato luogo ad un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, all'ordinanza di rimessione alle Sezioni unite (Sez. 3, n. 7239 del 26/01/2023) e, successivamente al dispositivo di decisione del presente ricorso, alla fissazione della udienza del prossimo 28 settembre 2023 per la risoluzione del contrasto. 3.1. Secondo un primo orientamento l'ipotesi di specie non puo' essere ricondotta alla nozione di pena illegale (Sez. 6, n. 3677 del 12/09/22, Rv.283829; Sez. 3, n. 35485 del 23/04/2021, P., Rv. 281945; Sez. 6, n. 29950 del 23/06/2022, Sotgiu, non mass.; Sez. 6, n. 23416 del 10/03/2022, Abbondanza, non mass.; Sez. 6 n. 18976 del 22/02/2022, Dibisceglia, non mass.; Sez. 6, n. 9690 del 17/02/2022, Dudun, non mass.; Sez. 3 n. 35485 del 23/04/2021, Rv. 281945, non mass.). 3.1.1. Attraverso una articolata elaborazione giurisprudenziale, con il significativo contributo di numerose pronunzie anche delle Sezioni Unite (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano; Sez. U. n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264207; Sez. U. n. 47766 del 26/6/2015, Butera, Rv. 265108; Sez. U., n. 40986 del 19/7/2018, Pittala'; anche Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Sez. U. n. 877 del 14/07/2022 - dep. 2023 - Sacchettino, RV.283886), la nozione di pena illegale si e' andata gradualmente restringendo, riconoscendo un sempre piu' esteso campo alla qualificazione della pena come illegittima. La "illegalita'" della pena presuppone la totale estraneita' della stessa al sistema a differenza della "illegittimita'" della pena, configurabile quando la sanzione, pur astrattamente compatibile con le norme che la regolano, risulti in concreto contraria a specifiche prescrizioni che ne avrebbero condizionato l'operativita'. Cio' accade, per esempio, quando il giudice abbia omesso di subordinare la concessione della sospensione condizione della pena a condizioni che pure avrebbero dovuto essere apposte obbligatoriamente per legge, come appunto nel caso in esame. 3.1.2. Un ulteriore aspetto evidenziato e' l'estraneita' della ratio delle disposizioni sulla sospensione condizionale al nucleo della "pena". Se la pena va intesa come sofferenza inflitta per l'offesa cagionata mediante il reato, la disciplina della sospensione condizionale si pone in antitesi a siffatto patimento. L'istituto in esame blocca proprio l'effettivita' della pretesa punitiva in funzione chiaramente social - preventiva e di potenziale recupero del condannato. 3.2. Al richiamato orientamento si contrappone un orientamento di legittimita'- condiviso dal Procuratore della Repubblica di Tivoli nel presente ricorso- secondo cui la concessione della sospensione condizionale della pena al di fuori dei presupposti legislativamente indicati integra un'ipotesi di illegalita' della pena e come tale ricorribile in cassazione. 3.2.1. A talune condizioni, tale tesi riconduce al concetto di illegalita' della pena anche l'inosservanza di disposizioni genericamente preposte al trattamento sanzionatorio, e cioe' di norme che incidono sulla concreta ed effettiva applicazione delle sanzioni, quali, appunto, la sospensione condizionale (Sez.4, n. 47202 del 18/11/202 Loi; Sez.2, n. 11611 del 27/01/2020, Serpillo, Rv.278632-01; Sez.2, n. 17119 del 14/03/2019, P., Rv. 275898; Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, (2019), Bonomi, Rv. 275118). 3.2.2. In particolare si osserva che una nozione restrittiva di pena illegale non puo' ritenersi imposta in relazione all'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, atteso che siffatta previsione deve essere interpretata bilanciando il principio costituzionale racchiuso nell'articolo 111 Cost., comma 7 (contro le sentenze (..) e' sempre ammesso ricorso in Cassazione (..)) e le esigenze di celerita' e deflazione proprie del rito speciale di cui all'articolo 444 c.p.p.. Il principio costituzionale non puo' considerarsi recessivo rispetto allo scopo di scoraggiare ricorsi defatigatori, con il rischio che una serie di violazioni di legge non siano deducibili in cassazione contrariamente al disposto di cui all'articolo 111 Cost. (In tal senso Sez.4 n. 47202, cit.). 3.2.3. La sospensione condizionale della pena ha un suo pur limitato contenuto afflittivo, che si traduce nell'ammonimento che, nell'ipotesi di mancata astensione dalla commissione di ulteriori reati, sara' data esecuzione alla pena comminata; siffatto contenuto e' sicuramente rafforzato nelle ipotesi, come quella in esame, in cui la sospensione e' condizionata anche all'adempimento di obblighi specifici. 3.2.4. La riconducibilita' dell'ipotesi in esame alla nozione cli pena illegale non e' in contrasto con i principi espressi dalle pronunzie delle Sez. Unite che si sono direttamente o indirettamente occupate della nozione di pena illegale (Sez.4 n. 47202, cit.) in quanto: - Sez. U. "Savini" affronta il tema della riduzione di pena nel giudizio abbreviato e dunque una ipotesi del tutto diversa; - Sez. U. "Sacchettino" attiene alle modalita' di calcolo della pena nella sentenza di patteggiamento e, quindi, attiene a vicende estranee al patto, il quale ha ad oggetto unicamente la pena finale; - Sez. U. "Miraglia" n. 38809 del 2022 attiene a sentenza diversa da quella ex articolo 444 c.p.p. e non si occupa dell'esatta perimetrazione delle censure proponibili ex articolo 448 c.p.p., oltre a riguardare una ipotesi di rilevabilita' di ufficio di una questione in ipotesi di ricorso inammissibile. 3.3. Con riferimento all'articolo 165 c.p., comma 5 assumono inoltre importanza alcuni rilievi contenuti nel presente ricorso avuto riguardo: - allo spirito riformatore dell'articolo 165 c.p. a fondamento della L. n. 69 del 2019 ulteriormente "rafforzato" dalla L. n. 134 del 2021, volto a prevenire il rischio di recidiva e a vincolare il giudice in deroga alla discrezionalita' concessagli dall'articolo 165 c.p., comma 1. L'indicazione normativa si colloca nel piu' vasto ambito di disposizioni che valorizzano la sottoposizione degli autori di violenza di genere a programmi di prevenzione o corsi di recupero per raggiungere gli obiettivi che sono alla base della norma (articolo 282 quater c.p.p.; L. n. 119 del 2013, articolo 5 bis; L. n. 354 del 1975, articolo 13 bis). Non ritenere illegale la pena e, dunque, impedire di intervenire con l'impugnazione del Pubblico Ministero avverso le sentenze di patteggiamento ex articolo 448 c.p.p., comma 2, comporterebbe la limitazione degli effetti di una disposizione volta a prevenire la recidiva e, a fronte di ulteriori reati commessi dal soggetto, potrebbe comportare la condanna dell'Italia da parte della CEDU per non avere lo Stato italiano attuato tutte le misure previste a tutela delle vittime di reati di violenza di genere o domestici (Corte EDU Talpis c. Italia 2 marzo 2017; Landi c. Italia 7 aprile 2022). 4. Conclusivamente vanno sintetizzate le considerazioni che, ad avviso di questo collegio, consentono di ritenere ammissibile il ricorso per cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica di Tivoli avverso la sentenza impugnata, censurabile laddove l'accordo negoziale non ha tenuto in conto l'obbligo di subordinare la pena sospesa alle specifiche prescrizioni imposte dall'articolo 165 c.p. con conseguente illegalita' del trattamento sanzionatorio: - i principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite "Boccardo"; - le argomentazioni a sostegno del secondo degli orientamenti di legittimita' richiamati, con particolare riferimento all'idea che il principio fissato dall'articolo 111 Cost., comma 7 non puo' considerarsi recessivo rispetto alle finalita' acceleratorie e deflattive che sorreggono l'articolo 448 c.p.p., comma 2 bis; - le specifiche ragioni che hanno condotto alle modifiche normative in tema di violenza di genere anche per adeguare la normativa interna alle indicazioni sovranazionali. 5. Per questi motivi la sentenza va annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Tivoli per nuovo giudizio. 6. Il rapporto di coniugio intercorrente tra l'imputato e la persona offesa impone l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Tivoli per nuovo giudizio. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/03/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Firenze riformava in favore dell'imputato, limitatamente all'entita' della pena inflitta, che riduceva, la sentenza con cui il tribunale di Siena, in data 12.12.2017, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati di cui all'articolo 570 bis c.p., articolo 614 c.p., u.c., articoli 582, 585 e 612 bis c.p., ascrittigli, rispettivamente, ai capi A), B), C) e D) dell'imputazione, commessi in danno della moglie divorziata (OMISSIS), oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, liquidati in 20.000,00 Euro, confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo: 1) violazione di legge, con riferimento alla contestazione di cui al capo A), in quanto la corte territoriale, riqualificato il fatto originariamente contestato ex articolo 570 c.p., nel reato di cui all'articolo 570 bis c.p., affermava la responsabilita' del (OMISSIS) ritenendo irrilevante la dimostrata impossibilita' assoluta, persistente e incolpevole di far fronte agli impegni assunti, dell'imputato, del tutto privo di risorse economiche, tanto da non essere in grado di corrispondere i canoni di affitto e costretto a vivere per strada presso la stazione; 2) vizio di motivazione con riferimento al reato di violazione di domicilio e di lesione personale volontaria, in quanto la corte territoriale, da un lato, ha omesso di considerare che gli agenti operanti hanno accertato che la porta dell'abitazione della persona offesa non recava tracce di danneggiamento, circostanza che smentiva quanto riferito dalla (OMISSIS), secondo cui il prevenuto avrebbe sfondato la porta con un calcio, dovendosi, pertanto, escludere, quanto meno, la contestata circostanza aggravante; dall'altro, non ha valutato quanto riferito dal teste (OMISSIS), agente della polizia municipale, il quale, intervenuto nell'immediatezza dei fatti, ha riferito di avere appreso dai figli della persona offesa che l'imputato, dopo avere colpito con un calcio la porta di ingresso, aveva colpito la ex moglie con uno schiaffo, il che appare incompatibile con il racconto della persona offesa, la quale ha affermato di essere stata colpita con pugni ripetuti e con una bottiglia; 3) vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento delle risultanze probatorie, con riferimento all'articolo 612 bis c.p., in quanto, sulla base delle stesse dichiarazioni della persona offesa, si evince l'insussistenza dell'elemento oggetti del delitto in questione; 4) vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. 3. Con requisitoria scritta del 16.2.2023, depositata sulla base della previsione del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte pervenute il 28.2.2023, il difensore di ufficio dell'imputato insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Il ricorso e' parzialmente fondato e va accolto nei termini che seguono. 5. Inammissibili appaiono il secondo e il terzo motivo di ricorso. Si osserva al riguardo che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', dunque, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). Ne' va taciuta, con riferimento agli atti processuali e, in particolare, alle prove dichiarative, di cui il ricorrente lamenta un'inadeguata valutazione da parte della corte territoriale, la violazione del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071; cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432). Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo 165 bis, comma 2, inserito dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, articolo 7, dovendosi ribadire l'onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432). Del resto il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, fondato sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. Tali dichiarazioni, come e' noto, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, non trovando applicazione nei confronti della persona offesa, anche quando sia costituita parte civile, le regole di valutazione della prova dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214). Nel solco della decisione delle Sezioni Unite si inseriscono ulteriori arresti in cui si evidenzia, da un lato, la necessita' che il giudice, nella valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata (cfr. Cass., sez. V, n. 1666 dell'8.7.2014, rv. 261730); dall'altro, che, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, ne' assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass., sez. V, n. 21135 del 26.3.2019, rv. 275312). Orbene di tali principi ha fatto buon governo la corte territoriale nella ricostruzione della dinamica degli eventi, attraverso una motivazione che appare affatto manifestamente illogica o contraddittoria. Essa, infatti, e' fondata sulle dichiarazioni della parte civile, che la corte territoriale ha ritenuto, con inappuntabile argomentare, attendibili e riscontrate da elementi esterni, quali le dichiarazioni dei figli della coppia; di uno zio della (OMISSIS); il contenuto della relazione di servizio dei Carabinieri di Sinalunga, intervenuti sul luogo dell'aggressione perpetrata dal (OMISSIS) in danno della ex moglie; la documentazione sanitaria acquisita agli atti, attestante lesioni compatibili con il narrato della persona offesa. 6. Fondato, invece, appare il primo motivo di ricorso, in esso assorbite le ulteriori doglianze in punto di sospensione condizionale della pena inflitta. Come affermato, invero, dalla giurisprudenza di legittimita' con orientamento condiviso dal Collegio, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'impossibilita' assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'articolo 570-bis c.p., che esclude il dolo, non puo' essere assimilata all'indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilita' di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza. In motivazione la Corte ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarita' del caso concreto, e, in particolare, dell'entita' delle prestazioni imposte, delle disponibilita' reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all'occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessita' per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento (cfr. Sez. 6, n. 32576 del 15/06/2022, Rv. 283616). Orientamento che va integrato da quanto affermato in altro recente arresto della Suprema Corte, secondo cui in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la condotta incriminata dall'articolo 570-bis, c.p., non e' integrata da qualsiasi forma di inadempimento civilistico, ma necessita di inadempimento serio e sufficientemente protratto, o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla entita' dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire. (Fattispecie relativa al ritardo nel pagamento di due soli assegni mensili di mantenimento: cfr. Sez. 6, n. 47158 del 20/10/2022, Rv. 284023). Risulta, pertanto, erronea l'affermazione del giudice di appello, in ordine alla "irrilevanza di ogni accertamento sulla carenza dei mezzi di sussistenza in capo ai figli minori e alla obiettiva e incolpevole possibilita' di adempiere" del (OMISSIS), che, invece, rappresentano due profili indispensabili dell'indagine demandata al giudice di merito ai fini di accertare se la condotta dell'imputato abbia o meno integrato, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, gli elementi costituitivi del reato di cui all'articolo 570-bis c.p.. Sul punto la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi del disposto dell'articolo 624 c.p.p., comma 2, va dichiarata irrevocabile la sentenza oggetto di ricorso nella parte relativa all'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) per i reati di cui ai capi B); C) e D) dell'imputazione. La non completa soccombenza del ricorrente comporta che quest'ultimo non sia condannato al pagamento delle spese processuali. Va, infine, disposta l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, comma 5. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) dell'imputazione con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Inammissibile il ricorso nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - rel. Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/06/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PAOLA MASTROBERARDINO. che ha concluso chiedendo. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore delle costituite parti civili, in relazione ai reati in materia tributaria e fallimentare, loro rispettivamente ascritti ai capi A); B); C) e D) dell'imputazione, in qualita', la (OMISSIS), di amministratore unico, il (OMISSIS) e l' (OMISSIS), di amministratori di fatto della societa' "(OMISSIS) S.r.l.", dichiarata fallita dal tribunale di Torino con sentenza del (OMISSIS); il (OMISSIS) e l' (OMISSIS), inoltre, anche nella qualita' di amministratori unici, in diversi momenti di tempo, della societa' "(OMISSIS) S.r.l", dichiarata fallita dal tribunale di Torino con sentenza dell'(OMISSIS), dichiarava non doversi procedere nei confronti della (OMISSIS) e del (OMISSIS), in ordine al reato tributario di cui al capo B), perche' estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione dell'entita' del trattamento sanzionatorio in favore dei predetti imputati; eliminava la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici inflitta alla (OMISSIS) e riduceva la durata delle pene accessorie fallimentari applicate ai tre imputati. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, con autonomi atti di impugnazione. 2.1. La (OMISSIS) e il (OMISSIS), in particolare, nel ricorso a firma del loro difensore d'ufficio, avv. (OMISSIS), lamentano: 1) manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'accertamento della responsabilita' penale e violazione di legge, con riferimento all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in relazione all'articolo 546, lettera e), c.p.p.; 2) manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'accertamento della responsabilita' penale e violazione di legge, con riferimento agli articoli 216, comma 1, n. 1) e n. 2), 219, 223, L. Fall., in relazione all'articolo 546, lettera e), c.p.p.; 3) vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, invece che di equivalenza, sulle circostanze aggravanti. 2.2. L' (OMISSIS), nel ricorso a firma del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), lamenta: 1) mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla confermata declaratoria di responsabilita' dell'imputato, nonche' violazione di legge, con riferimento agli articoli 530, comma 2, 533, comma 1, c.p.p.; 2) mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto sub capo D), n. 4, nonche' violazione di legge, con riferimento agli articoli 216, 219, 223, 224, comma 1, n. 2), L. Fall. 3. Con requisitoria scritta del 13.1.2023, depositata sulla base della previsione dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'articolo 16, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio, limitatamente al primo motivo di impugnazione articolato dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), il cui ricorso, nel resto, va rigettato, e che venga dichiarato inammissibile il ricorso dell' (OMISSIS). Con atto del 18.1.2023 il difensore dell' (OMISSIS) articola nuovi motivi di ricorso in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Con conclusioni scritte del 25.1.2023 il medesimo difensore, nel replicare alle conclusioni del pubblico ministero, insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Diversi sono i profili che militano a sostegno dell'inammissibilita' dei ricorsi presentati dagli imputati. 5. Con particolare riferimento al ricorso presentato nell'interesse dell' (OMISSIS), si osserva che, con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce un'inadeguata valutazione delle risultanze processuali da parte della corte territoriale, evidenziando come l'affermazione di responsabilita' dell'imputato si fondi su mere congetture, del tutto apodittiche e non univoche, in quanto la corte territoriale ha operato una sorta di presunzione di conoscenza, inaccettabile, in capo all' (OMISSIS), configurando un automatismo tra la carica di amministratore di diritto da lui ricoperta e la sua penale responsabilita', che in tal modo diventa una responsabilita' di posizione, giungendo, con una motivazione apparente, a condannare il ricorrente ritenendo apoditticamente scontato che egli conoscesse o avesse potuto conoscere la dissoluta gestione sociale della (OMISSIS), dimenticando che proprio la pregressa conoscenza tra l'imputato e quest'ultima ben puo' giustificare il di lui colpevole affidamento. Si tratta, in tutta evidenza, di un motivo versato in fatto. Il ricorrente, invero, non tiene nel dovuto conto che, secondo l'orientamento dominante nella giurisprudenza della Suprema Corte, ormai costituente diritto vivente, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', dunque, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). La corte territoriale, del resto, con motivazione immune da vizi, si e' soffermata specificamente sul ruolo dell' (OMISSIS), evidenziando come l'imputato sia stato amministratore di diritto della "(OMISSIS)" dal 20.5.2009 al 31.12.2010, in un periodo in cui "e' stata omessa la dichiarazione fiscale relativa all'anno di imposta 2008 e presentata in bianco quella relativa all'anno 2009, non e' stato redatto, approvato e depositato il bilancio 2009 ed erano maturati consistenti debiti di carattere fiscale", disinteressandosi completamente della sorte della societa' fallita, circostanze tutte che, unitamente agli stretti rapporti di lavoro che lo legavano all'amministratrice di fatto (OMISSIS), con cui condivideva lo studio professionale, il giudice di secondo grado, sulla base di un ragionamento dotato di intrinseca coerenza logica, ha valutato complessivamente come rivelatrici della condivisione dolosa delle finalita' illecite perseguite dalla (OMISSIS). Conclusione, quella cui perviene la corte territoriale, peraltro, del tutto conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui sussiste la responsabilita' dell'amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, con l'amministratore di fatto non gia' ed esclusivamente in virtu' della posizione formale rivestita all'interno della societa', ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex articolo 40, comma 2, c.p., l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire e cioe' nel mancato esercizio dei poteri di gestione della societa' e di controllo sull'operato dell'amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita. Nel in esame l' (OMISSIS) aveva la possibilita' e il dovere di attivare i poteri di controllo connaturati alla carica rivestita, in considerazione delle irregolarita' della gestione societaria in precedenza richiamate, di cui egli, in ragione delle sue competenze professionali, non poteva non cogliere la gravita', integrando la sua condotta per tale ragione, anche l'elemento soggettivo dei fatti di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta fraudolenta da operazioni dolose a lui contestati nel capo D, n. 1) e n. 4), dell'imputazione. Del pari inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente chiede di qualificare la condotta dell'imputato, ai sensi dell'articolo 224, comma 1, n. 2), L. Fall., sul presupposto che, a tutto voler concedere, l' (OMISSIS) avrebbe aggravato il dissesto della societa' a causa di un comportamento solo negligente, evidenziando come la corte territoriale non abbia fornito risposta sulla relativa doglianza avanzata con l'atto di appello. Si tratta, in tutta evidenza di un rilievo del tutto generico e versato in fatto, che, inoltre, non tiene conto della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo D), n. 1. D'altro canto giova rammentare, che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, con costante insegnamento, l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica, come nel caso che ci occupa, le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicche', quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilita' del vizio di mancanza di motivazione di cui all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593). E, come si e' detto, appare evidente come la corte territoriale abbia escluso in radice che la condotta dell'imputato possa qualificarsi in termini di semplice negligenza. L'originaria inammissibilita' dei motivi di ricorso, rende inammissibili anche i motivi nuovi proposti dall' (OMISSIS), giusto il disposto dell'articolo 585, comma 4, c.p.p. 6. Inammissibili appaiono anche i motivi di impugnazione proposti nell'interesse della (OMISSIS) e del (OMISSIS). Generico e manifestamente infondato risulta il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti deducono vizio di motivazione e violazione di legge, con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il reato ex articolo 5 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, di cui al capo A). Vero e' che il pubblico ministero nella sua requisitoria scritta del 13.1.2023 si e' pronunciato per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto, ma tale assunto non puo' condividersi per le seguenti ragioni. La giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che, in materia di reati tributari, ai fini dell'individuazione della soglia di punibilita' del delitto di omessa dichiarazione di cui all'articolo 5 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74 vigente "ratione temporis", deve farsi riferimento al momento della consumazione del reato, che va fissato nel termine di novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all'imposta sui redditi o all'I.v.a. (In motivazione, la Corte ha precisato che la soglia di punibilita' era originariamente fissata in una evasione di Euro 77.000 con riferimento a taluna delle singole imposte; poi, e' stata rideterminata in Euro 30.000 dall'articolo 2, comma vicies semel, lettera f), del Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in L. 14 settembre 2011 e, da ultimo, e' stata stabilita in Euro 50.000 (cfr. Sez. 3, n. 19647 del 20/02/2019, Rv. 275747) Cio' posto, nella giurisprudenza della Suprema Corte si confrontano due orientamenti in tema di elemento soggettivo del reato per cui si procede. Si e' affermato, infatti, che nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall'articolo 5 Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, il superamento della soglia rappresentata dall'ammontare dell'imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell'agente (cfr. Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, Rv. 272578). In senso contrario, si e', invece, sostenuto che nel reato di omessa dichiarazione, il superamento della soglia rappresentata dall'ammontare dell'imposta evasa costituisce una condizione oggettiva di punibilita', come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente (cfr. Sez. 3, n. 25213 del 26/05/2011, Rv. 250656). E a tale precedente ha fatto riferimento la corte territoriale in motivazione per disattendere il rilievo difensivo sul punto. Orbene, pur sembrando prevalere in giurisprudenza l'orientamento secondo cui, nei reati tributari, il superamento della soglia di punibilita' deve formare oggetto del dolo (in questo senso di veda, con riferimento al reato di omesso versamento di IVA, previsto dall'articolo 10-ter del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, Rv. 265939), si osserva che, in ogni caso, la condotta di cui si discute e' ascrivibile ai ricorrenti quanto meno a titolo di dolo eventuale, costituito, come e' noto, dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha probabilita' di verificarsi in conseguenza della propria azione, nonche' dall'accettazione di tale rischio, che potra' essere graduata a seconda di quanto maggiore o minore l'agente consideri la probabilita' di verificazione dell'evento (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, Rv. 281385). Sul punto non e' revocabile in dubbio che tale consapevolezza ha contraddistinto l'atteggiamento psicologico degli imputati, che hanno omesso dolosamente di presentare, pur essendovi obbligati, la dichiarazione relativa all'anno di imposta 2011, omettendo di dichiarare elementi attivi di notevole entita', pari a 721.213,00, Euro, accettando, dunque, il rischio, come si ricava per implicito dalla motivazione della corte di appello, che l'ammontare dell'imposta evasa fosse superiore alla soglia di punibilita' di Euro 50.000, 00, come effettivamente avvenuto, posto che tale ammontare e' risultato pari a circa 88.000,00 Euro. Sicche' nessun difetto di motivazione o violazione di legge e' ravvisabile nel caso in esame, potendosi affermare che la decisione della corte territoriale, da un lato, non e' affetta da manifesta illogicita', vizio che si configura solo nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o piu' premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Rv. 215132), dall'altro appare conforme a entrambi gli orientamenti presenti nella giurisprudenza di legittimita' sull'elemento soggettivo del reato di cui si discute, in precedenza richiamati. Del tutto generici, infine, si appalesano i rilievi difensivi sulla mancanza di fonti probatorie che giustifichino la decisione dei giudici di merito e sulla omessa considerazione delle istanze difensive volte a contrastare l'affermazione di responsabilita' dei prevenuti, dovendosi ribadire, al riguardo, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui e' inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita', dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 4.11.2014, n. 35964, rv. 264879). Inammissibile, in quanto tale da sollecitare, peraltro genericamente, un'inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali, risulta il secondo motivo di ricorso. Sul punto il Collegio condivide le osservazioni svolte nella requisitoria scritta del 13.1.2023 dal pubblico ministero, che ha evidenziato la completezza del percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale, "atteso che quanto accertato dal curatore fallimentare e' stato suffragato sia dalle documentazione bancaria che dalle ammissioni della (OMISSIS) in ordine ai prelievi di denaro dalle casse e dai conti della societa' (OMISSIS) per scopi personali e del marito", avendo, inoltre, la corte "evidenziato anche i ruoli in concreto svolti da ciascuno dei coniugi". Quanto all'ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti non tengono nel dovuto conto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Cass., sez. IV, 06/05/2014, n. 29951). Ne' va taciuta l'esistenza di un costante orientamento del Supremo Collegio, secondo cui ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell'eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l'obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalita' del giudice e che, come tale, non postula un'analitica esposizione dei criteri di valutazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, 08/07/2010, n. 36265, rv. 248535; Cass., sez. I, 09/12/2010, n. 2668, rv. 249549). Orbene la decisione della corte territoriale si colloca a pieno titolo nel menzionato alveo giurisprudenziale, in quanto il giudice di appello ha fondato il rigetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, all'esito di una valutazione negativa sulla gravita' dei fatti, dunque proprio su uno dei parametri di cui all'articolo 133, c.p., sicche', sul punto, la suddetta motivazione non puo' ritenersi ne' arbitraria, ne' manifestamente illogica. Ne consegue l'inammissibilita' del motivo per manifesta infondatezza. 7. Alla dichiarazione di inammissibilita', segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 28/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere DI SALVO EMANUELE; lette/sentite le conclusioni del PG ORSI LUIGI. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe indicata, che ha rigettato l'appello avverso l'ordinanza reiettiva della richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in ordine ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articoli 73 e 74. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto il Tribunale avrebbe dovuto motivare sulla pericolosita' attuale e concreta, considerando l'insussistenza della possibilita' che si presentino occasioni di reiterazione del delitto. Il Tribunale non ha neanche dato il giusto peso ai documenti allegati dal difensore, che dimostrano che il ricorrente, condannato il 26 maggio 2020 dal Tribunale di Napoli per il reato di cui alla L.Stup., articolo 73 e posto agli arresti domiciliari, ha osservato tassativamente tutti gli obblighi impostigli, godendo della liberazione anticipata, tanto che le Autorita' di polizia hanno rilasciato informazioni positive sulla condotta serbata dal ricorrente. Il Tribunale non ha nemmeno attribuito la giusta importanza alla circostanza che per il reato contestato al capo 54 l' (OMISSIS) era gia' agli arresti domiciliari, come disposto dal G.i.p. in sede di convalida dell'arresto, e aveva osservato una condotta del tutto conforme alle regole imposte dal giudice. Del resto, erroneamente e' stato dato risalto ai quantitativi acquistati, ritenuti sempre notevoli sebbene non vi sia una consulenza tossicologica. L' (OMISSIS), posto agli arresti domiciliari dal maggio 2020, per un periodo di oltre due anni ha osservato una condotta esente da censure. Il difensore ha altresi' depositato documentazione relativa alla richiesta di collocazione agli arresti domiciliari in Scalea, localita' molto distante dal luogo di operativita' dell'associazione. Del resto, benche' l'associazione fosse operativa, l'imputato non ha mai avuto contatti con alcun associato e, piu' in generale, con soggetti estranei al proprio nucleo familiare. Si chiede pertanto annullamento dell'ordinanza impugnata. 3. Le doglianze sono state ulteriormente illustrate e argomentate con memoria del 7-2-2023. 4. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto declaratoria di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La doglianza formulata dal ricorrente non puo' trovare ingresso in questa sede di legittimita'. Infatti, gia' prima della modifica dell'articolo 275 c.p.p., comma 3, ad opera della L. 16 aprile 2015, n. 47, articolo 4, comma 1, Corte Cost. 22-7-2011 n. 231 aveva dichiarato, come e' noto, l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 275 c.p.p., comma 3, nella parte in cui, nel prevedere che, allorquando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, debba essere applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che vengano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui vi siano risultanze specifiche, relative al caso concreto, dalle quali emerga che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. In quest'ordine di idee, anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha affermato che, perfino in relazione ai processi per fatti di criminalita' organizzata, l'assenza di elementi in grado di attestare un concreto rischio di ordine cautelare impedisce di giustificare la detenzione in carcere dell'accusato per l'intero processo (CEDU, 3-3-2009, Hilgartner ci Polonia). Legittimamente dunque il giudice puo' applicare misure gradate, rivalutando il quadro cautelare (Sez. 2, n. 17012 dell'8-1-2012, Rv. 252733) e tenendo presente che l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non presuppone necessariamente, ne' sotto il profilo fenomenico ne' sotto il profilo normativo, l'esistenza di una struttura organizzativa complessa, essendo una fattispecie "aperta", idonea a qualificare in termini di rilevanza penale situazioni fortemente eterogenee, oscillanti dal sodalizio a vocazione transnazionale all'organizzazione di tipo "familiare". Un panorama cosi' variegato impone al giudice di valutare attentamente ogni singola fattispecie concreta sottoposta al suo esame, onde stabilire se le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con misure diverse da quella intramurale, comunque in grado di assicurare l'allontanamento dell'indiziato dal contesto delinquenziale. In questa prospettiva, assume rilievo ogni risultanza idonea ad indurre a ritenere impossibile che il soggetto possa continuare a fornire il suo contributo alla compagine associativa per conto della quale egli ha operato, con la conseguenza che, ove cio' non risulti, persiste la presunzione di pericolosita' (Sez. 6, n. 46060 del 14-11-2008, Rv. 242041; Sez. 3, n. 305 del 12-12-2006, dep. 2007, Rv. 235367; Sez. 5, n. 48430 del 19-11-2004, Rv. n. 231281). Ogni valutazione, al riguardo, e' riservata al giudice di merito e le relative determinazioni sono insindacabili in sede di legittimita' ove siano supportate da adeguata motivazione (Cass.,2-8-1996, Colucci; Cass., 21-7-1992, Gardino, Rv. 191652; Cass., 26-5-1994, Montaperto, Rv. 199030). Tuttavia l'obbligo di motivazione diviene piu' intenso ove la difesa rappresenti elementi idonei, nella sua ottica, a dimostrare l'insussistenza di esigenze cautelari o la possibilita' di soddisfarle con misure di minore afflittivita' (Sez. U, n. 16 del 5-10-1994, Demitry, Rv. 199387; Sez. 1, 14-7-1998, Modeo). 2. Nel caso di specie, il Tribunale ha evidenziato il numero di episodi nei quali l'indagato era coinvolto; la cospicuita' dei quantitativi di stupefacente da lui acquistati (2 kg comperati il 7 novembre 2019; un chilogrammo nella vicenda contestata al capo 51); i continui contatti con (OMISSIS), soggetto di vertice dell'associazione; il tenore dei dialoghi intercettati, che dimostrano un rapporto confidenziale e consolidato nel tempo con il (OMISSIS); la funzione di intermediario con altri acquirenti, che aveva avuto un'importanza notevole per la vita del gruppo criminale; il numero e la specificita' dei precedenti penali da cui L' (OMISSIS) e' gravato, sintomatici di una lunga dedizione ad attivita' criminose, che nemmeno le condanne riportate avevano interrotto; il radicamento, la struttura complessa e la rete, anche internazionale, di rapporti del sodalizio di cui L' (OMISSIS) era partecipe, che aveva continuato ad operare anche successivamente all'arresto di alcuni suoi componenti, a dimostrazione della pervicacia dei sodali; la necessita' di recidere i contatti con gli ambienti criminali nei quali il ricorrente aveva per lungo tempo operato; la non particolare lontananza dalla Campania del luogo in cui L' (OMISSIS) aveva chiesto di essere collocato agli arresti domiciliari. Di qui la conclusione relativa all'impossibilita' di ritenere che le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie, tuttora permanenti, potessero essere soddisfatte con una misura diversa da quella intramurale. Trattasi di apparato giustificativo adeguato, esente da vizi logico-giuridici ed aderente ad una corretta impostazione concettuale in tema di motivazione del provvedimento cautelare, segnatamente in relazione al parametro di cui all'articolo 275 c.p.p., in quanto ancorato a specifiche circostanze di fatto (Sez. 3, n. 306 del 3-12-2003,dep. 2004, Scotti) e pienamente idoneo ad individuare, in modo puntuale e dettagliato, gli elementi atti a denotare l'attualita' e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa, non fronteggiabile con misure meno gravose di quella disposta (Cass., 24-5-1996, Aloe', Rv. 205306); con esclusione di ogni congettura (Cass., 19-9-1995, Lorenzetti) e attenta focalizzazione dei termini dell'attuale ed effettiva potenzialita' di commettere determinati reati, connessa alla disponibilita' di mezzi e alla possibilita' di fruire di circostanze che renderebbero altamente probabile la ripetizione di delitti della stessa specie (Cass., 28-11-1997, Filippi, Rv. 209876; Cass., 9-6-1995, Biancato, Rv. 202259). 3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila, determinata secondo equita', in favore della Cassa delle ammende. Vanno infine espletati gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. FILOCAMO Fulvio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 11/11/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILOCAMO FULVIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza aveva opposto il rigetto all'istanza di permesso premio avanzata dal detenuto ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 30-ter (Ord. Pen.). Il Tribunale di sorveglianza ha posto a base della sua decisione la gravita' dei reati, l'entita' della pena irrogata e gli esiti dell'osservazione della personalita' del detenuto contenuti nell'integrazione del programma di trattamento del 13 febbraio 2018, osservando come l'equipe di osservazione non avesse inteso aggiornare la relazione di sintesi "non ritenendo evidentemente ancora maturate le condizioni per addivenire ad una diversa prognosi trattamentale". 2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), con il ministero del difensore, censurando con un unico motivo la violazione di legge, il travisamento degli esiti dell'osservazione della personalita' e la mancata attivazione dei poteri istruttori da parte del Tribunale di sorveglianza. In particolare, il ricorrente osserva che, a fronte del mancato aggiornamento della relazione di sintesi da parte dell'equipe, risalente al periodo antecedente il trasferimento ad altro istituto di detenzione, il Tribunale avrebbe dovuto attivare i propri poteri istruttori. Si evidenzia altresi' un travisamento di quella relazione, nella parte in cui si e' espressa positivamente sul comportamento del detenuto, ravvisando l'esigenza di sostenere il detenuto nel suo percorso di revisione critica delle passate scelte devianti e la possibilita' di svolgere un lavoro all'esterno (sempre nel perimetro del carcere); possibilita', questa, che poteva essere solo uno dei modi per perseguire l'esigenza di sostenerne il percorso di risocializzazione. Si sottolinea, infine, come il Tribunale di sorveglianza abbia omesso di disporre le verifiche imposte a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2022, nonostante la difesa avesse rispettato l'onere di allegazione, come prescritto dalla giurisprudenza in materia. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso e l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato per nuovo esame. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato, quindi, meritevole di accoglimento. 2. Considerato che secondo l'articolo 30-ter Ord. Pen., il permesso premio e' parte integrante del programma di trattamento del detenuto, coerentemente, l'articolo 65 reg. esec. Ord. Pen. stabilisce che la relativa domanda, diretta al competente magistrato di sorveglianza, debba essere corredata dall'Istituto penitenziario, tra l'altro, dagli esiti dell'osservazione scientifica della personalita' e dal parere del direttore; eventuali ulteriori informazioni sono possibilmente acquisite dal magistrato, a integrazione di quelle gia' rese disponibili. La decisione sull'istanza deve essere dunque assunta sulla base di tale compendio istruttorio, a impulso anche officioso, entro un tempo ragionevole, sul cui rispetto l'Autorita' decidente e' chiamata a vigilare (Sez. 1, n. 19366 del 19/03/2019), salvo che le risultanze parziali gia' disponibili rivelino comunque, in modo inequivoco, l'impossibilita' di una valutazione favorevole, a fronte dell'accertata pericolosita' del richiedente e dell'assenza di prospettive di una sperimentazione fruttuosa del richiesto beneficio tali da non giustificare l'ulteriore attesa (in termini, sia pure con riferimento alle misure alternative alla detenzione, Sez. 7, n. 7724 del 12/11/2013, Rv. 261292). Il reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza ha natura devolutiva e sostitutiva. L'effetto devolutivo, correlato all'impugnazione, ricavabile dall'articolo 597 c.p.p., comma 1, trasferisce al Tribunale di sorveglianza il potere di statuire sulla domanda e di valutare, a tal fine, gli argomenti addotti dal reclamante a sostegno del diverso esito decisorio da lui invocato. Per l'effetto sostitutivo, il Tribunale e' tenuto a definire il reclamo, assunte, se del caso, sommarie informazioni, non potendo esso, ove riconosca errato il primo arresto, limitarsi a rinviare la decisione al giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. A tale configurazione del mezzo di gravame consegue che il Tribunale di sorveglianza deve decidere se confermare o riformare la pronuncia censurata considerando le sopravvenienze rispetto a essa e, prima ancora, rilevando eventuali carenze istruttorie. Deve quindi apprezzare nel merito la fondatezza della domanda anche alla luce del contributo argomentativo e documentale offerto dall'interessato, nonche' delle informazioni pervenute o acquisite, esercitando i poteri d'ufficio di cui all'articolo 666 c.p.p., comma 5, richiamato dall'articolo 678 c.p.p. (Sez. 1, n. 10316 del 30/01/2020, Rv. 278691). Tali poteri di ufficio vanno attivati doverosamente, nell'ambito del devoluto, quando siano rilevabili, in origine ovvero in seguito, decisivi deficit istruttori (Sez. 1, n. 6299 del 18/01/2022,). 3. Nel caso di specie il giudice a quo non si e' attenuto a tali principi. Va, infatti, osservato che il Tribunale ha travisato gli esiti della relazione di sintesi. Invero, quando ha affermato che l'equipe non avrebbe ritenuto sussistenti le condizioni per addivenire a una diversa prognosi trattamentale, ha postulato che la stessa abbia dato un giudizio negativo sul comportamento del detenuto. Dal contenuto effettivo della relazione allegata al ricorso, invece, nonche' negli altri atti del procedimento che questo Collegio puo' valutare, essendo stata dedotta una violazione di legge processuale (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, Rv. 273525), risulta essere stato espresso un giudizio positivo sul percorso rieducativo effettuato dal detenuto qui ricorrente. In particolare, la relazione evidenzia che "il condannato ha continuato a mostrare particolare impegno nel trarre profitto dalle opportunita' trattamentali offertegli", "ha avviato un percorso di revisione critica delle passate scelte devianti, percorso che va comunque ancora sostenuto anche attraverso il coinvolgimento del detenuto in attivita' lavorative che lo impegnino in misura maggiore". L'esigenza di progressiva responsabilizzazione del detenuto, pertanto, si e' tradotta nell'integrazione del programma di trattamento con la previsione secondo cui il condannato e' ammesso a svolgere "lavoro all'esterno", purche' all'interno del perimetro del carcere. Cio' posto, questo Collegio osserva che il contenuto positivo di quella relazione basata sullo sviluppo del trattamento rieducativo, il significativo arco temporale trascorso da detta relazione del 13 febbraio 2018 al momento della decisione, giunta il 11 novembre 2021, e il trasferimento del detenuto intervenuto medio tempore in altro carcere, sono tutti fattori che avrebbero dovuto portare il giudice a esercitare i propri poteri istruttori - peraltro sollecitati dal reclamante - con riguardo ai progressi trattamentali effettuati dal detenuto nell'arco temporale non coperto dall'osservazione intramuraria. 4. L'ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza per nuovo esame, da condurre alla luce dei principi sopra esposti. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.

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