Sentenze recenti impresa familiare

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Oggetto Dott. FELICE MANNA - Presidente - DIVISIONE Dott. LINALISA CAVALLINO - Consigliere - Dott. VINCENZO PICARO - Consigliere - Ud. 23/05/2024 – PU Dott. GIUSEPPE FORTUNATO - Consigliere - R.G.N. 27516/2018 Dott. MAURO CRISCUOLO - Rel. Consigliere - Rep. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 27516-2018 proposto da: SGARZI MASSIMO FRANCESCO, SGARZI SRL, elettivamente domiciliati in ROMA al VIALE MANZONI 26, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO RICCIARDI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO DIEGOLI, giusta procura speciale in sostituzione dei precedenti difensori; - ricorrenti - contro MANFERDINI MARIA MORENA, elettivamente domiciliata in ROMA alla VIA GREGORIO VII 474, presso lo studio dell’avvocato GUIDO Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -2- ORLANDO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA AUDINO, giusta procura in calce al controricorso; - ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 1239/2018 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata l’11/05/2018; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del primo, sesto e settimo motivo del ricorso incidentale, il rigetto del primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi del ricorso principale ed incidentale; lette le memorie delle parti; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del primo, sesto e settimo motivo del ricorso incidentale, il rigetto del primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi del ricorso principale ed incidentale; uditi l’avvocato Giacomo Diegoli per i ricorrenti principali, e l’avvocato Andrea Audino per la ricorrente incidentale; FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Manferdini Maria Morena conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ferrara l’ex coniuge Massimo Francesco Sgarzi, la Sgarzi S.r.l. e la Banca di Credito Cooperativo di Cento – Crevalcore, poi divenuta Banca Centro Emilia soc. coop., chiedendo accertare la nullità ovvero la simulazione dell’atto di Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -3- costituzione dell’impresa familiare del 22 dicembre 1989, con l’annullamento del contratto di affitto di azienda concluso dal convenuto in favore della Sgarzi S.r.l.; disporsi la divisione dei beni oggetto della comunione legale dei coniugi, comprensivi dell’azienda coniugale, nonché degli utili e degli incrementi maturati sino alla divisione, e dei canoni di locazione percepiti e percipiendi per l’affitto dell’azienda, oltre le somme liquide versate sui conti correnti intestati al solo convenuto, il quale andava condannato anche ai rimborsi ex art. 192 c.c., per le somme indebitamente prelevate per finalità estranee rispetto a quelle relative alla gestione della comunione. Chiedeva altresì assegnarsi la metà dell’azienda caduta in comunione, anche per equivalente in denaro, ed in via subordinata, ove si fosse ritenuto che l’attrice era una mera collaboratrice dell’impresa familiare, che fosse disposta la divisione dei beni caduti in comunione de residuo, con la condanna del convenuto al versamento della quota di utili di sua spettanza per il lavoro prestato nell’azienda familiare, previo annullamento della rinuncia contenuta nell’atto per notar Maglione del 31 gennaio 2003. Nella resistenza dei convenuti, all’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito, preso atto che nelle more il mutuo ipotecario, a garanzia del quale erano stati offerti i beni oggetto di causa, era stato integralmente rimborsato all’istituto di credito, condannava lo Sgarzi al pagamento della somma di € 287.976,38, oltre interessi e rivalutazione, stante l’accertamento della natura comune dei beni individuati dall’attrice, e ciò in ragione della loro assegnazione in esclusiva al convenuto, trattandosi di beni caduti Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -4- in comunione de residuo a seguito dello scioglimento della comunione legale. Era però rigettata la domanda di condanna del convenuto al pagamento della quota di utili asseritamente non percetti, nonché la domanda di nullità del contratto costitutivo dell’impresa familiare e del contratto di affitto di azienda. Avverso tale sentenza proponeva appello lo Sgarzi, cui resistevano sia la Sgarzi S.r.l. che la Manferdini proponendo entrambi appello incidentale. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 1239 dell’11 maggio 2018, ha rigettato tutti i gravami, condannando lo Sgarzi al rimborso delle spese in favore dell’ex coniuge, compensando le spese tra le altre parti. Nell’esaminare l’appello principale, la Corte distrettuale reputava che non potesse riscontrarsi la nullità dell’atto di citazione, in quanto la causa petendi andava identificata tenendo conto non solo delle richieste finali, ma anche della parte espositiva. In tal senso emergeva che la domanda attorea era finalizzata ad accertare che l’impresa commerciale del marito, il Tappeto Verde, rientrava nella comunione legale, in quanto costituita e gestita dopo il matrimonio da entrambi i coniugi, essendo stata avanzata in via subordinata la richiesta di accertare che, ove invece si fosse ritenuto che l’impresa era stata gestita dal solo marito, la medesima rientrava nella comunione de residuo ex art. 178 c.c. Una volta esclusa la gestione comune, il Tribunale aveva correttamente reputato che i beni acquistati dal convenuto, e destinati allo svolgimento dell’attività imprenditoriale, erano poi ricaduti nella comunione una volta venuta meno la comunione legale, non potendo rilevare a tal fine la dichiarazione resa Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -5- dall’attrice al momento dell’acquisto, essendo necessario, sulla scorta delle previsioni normative, distinguere tra i beni destinati all’esercizio dell’attività professionale (effettivamente costituenti beni personali ex art. 179 c.c.), ed i beni destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale, che invece ricadono nella comunione de residuo ex art. 178 c.c. Né poteva attribuirsi alla dichiarazione, resa dalla Manferdini al momento dell’acquisto, il valore di rinuncia, avendo la giurisprudenza escluso tale possibilità. Passando alla valutazione dei beni, la Corte distrettuale reputava condivisibile la stima operata dal CTU, la cui metodologia di indagine appariva corretta, ed in grado di offrire il reale valore venale dei beni comuni. Dovendosi, quindi, condividere le conclusioni del giudice di primo grado, risultava corretta anche la condanna del convenuto al pagamento delle spese di lite in favore dell’attrice, attesa la sua prevalente soccombenza. In relazione all’appello incidentale della Manferdini, finalizzato a pretendere il pagamento degli utili maturati durante la collaborazione prestata nell’impresa familiare, la sentenza impugnata osservava che il rapporto di collaborazione era cessato il 31 gennaio 2003 e che l’appellante incidentale non aveva offerto la prova dell’ammontare delle somme percepite a titolo di utili, così come non aveva offerto alcuna prova circa il fatto che nessuna somma le fosse stata corrisposta dal 1989 al 2003. Né poteva ritenersi irrilevante la “liberatoria” sottoscritta dalla attrice in occasione della stipula dell’atto con il quale era venuta meno la comunione legale, in quanto nella stessa aveva dichiarato di reputarsi soddisfatta di ogni sua eventuale pretesa nascente dalla Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -6- cessata collaborazione, dichiarazione che, anche a voler ammettere che dovesse essere sottoposta alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c., non era stata tempestivamente impugnata. In merito, infine, all’appello incidentale della Sgarzi S.r.l., la Corte d’Appello osservava che nella fattispecie trovava applicazione l’art. 92, co. 2, c.p.c., nella sua originaria formulazione, così che la compensazione poteva essere disposta anche facendo richiamo alla complessità dell’istruttoria e delle questioni giuridiche trattate, come appunto fatto dal Tribunale. 2. Sgarzi Massimo Francesco e la Sgarzi S.r.l. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello sulla base di tre motivi. Manferdini Maria Morena ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad undici motivi. Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. 3. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte ed entrambe le parti hanno depositato memorie. 4.Preliminarmente deve essere disattesa l‘eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale per essere stato tardivamente notificato, e ciò sul presupposto che, avendo la parte in ricorso eletto il proprio domicilio digitale, la notifica avvenuta a mezzo posta del controricorso contenente ricorso incidentale, sarebbe invalida, risultando poi tardiva la successiva notifica avvenuta a mezzo pec, oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c. Infatti, questa Corte ha in passato affermato che la notificazione del controricorso per cassazione, contenente ricorso incidentale, Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -7- effettuata al domicilio eletto per il giudizio di appello e non a quello eletto per il giudizio di legittimità, in violazione dell'art. 370 cod. proc. civ., è da ritenere nulla e non inesistente allorché, essendo identico il difensore della parte nel giudizio di appello e in quello di cassazione, e risultando dalla relata di notifica dell'atto d'impugnazione un collegamento tra il luogo in cui questo è stato notificato ed il luogo in cui avrebbe dovuto esserlo ai sensi degli artt. 366, 370 e 371 cod. proc. civ., sussista un collegamento tra professionista, parte ed affare, che giustifichi la valutazione per cui il difensore è in tale ipotesi normalmente messo a conoscenza dell'impugnazione; ne consegue che la suddetta nullità ben può essere sanata mediante rinnovazione della notificazione (cfr. ex multis Cass. n. 1666/2004). Attesa l’evidente assimilazione della fattispecie ora indicata a quella della notifica effettuata a mezzo posta ordinaria al domicilio fisico in luogo della notifica presso il domicilio digitale, la prima notifica, evidentemente tempestiva, in quanto avvenuta nel rispetto del termine di cui al primo comma dell’art. 370 (e precisamente in data 10 ottobre 2018, essendo stato il ricorso principale notificato il 31 luglio 2018), ove anche reputata nulla, era però suscettibile di sanatoria con efficacia ex tunc per effetto della sua rinnovazione, avvenuta con la successiva notifica avvenuta a mezzo pec (e ciò anche a voler ignorare la circostanza che la notifica era stata effettuata già in data 10 ottobre 2019 anche all’indirizzo pec di uno dei difensori dei ricorrenti principali). 5. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 183 c.p.c., con omessa pronuncia. Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -8- Si evidenzia che la Corte d’Appello ha confermato l’accoglimento della domanda dell’attrice di divisione dei beni asseritamente comuni, ma senza tenere conto del fatto che tale domanda era stata in realtà avanzata solo in occasione della precisazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado. Infatti, le conclusioni dell’atto di citazione, cui sostanzialmente si rifacevano quelle articolate nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., miravano alla divisione del complesso aziendale sul presupposto che lo stesso fosse caduto in comunione legale, nel mentre solo in occasione della precisazione delle conclusioni è stata formulata la richiesta di accertare che i beni destinati all’esercizio dell’impresa costituita dopo il matrimonio dal ricorrente nonché gli incrementi dovessero essere divisi, in quanto caduti in comunione ex art. 178 c.c. La novità della domanda era stata eccepita e dedotta come motivo di appello, ma la risposta sul punto del giudice di secondo grado è stata sostanzialmente elusiva della questione posta, in quanto non è stata colta la differenza tra la richiesta di accertare la comunione sull’azienda e quella di accertare la comunione sui singoli beni aziendali. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata, nel replicare alla deduzione dell’appellante secondo cui l’atto di citazione era affetto da nullità per difetto di specificità della causa petendi, ha ritenuto che la domanda dovesse essere interpretata, così come formulata in citazione, nel senso che contenesse già in quella veste la richiesta subordinata di appurare, una volta esclusa la natura comune della stessa impresa (per essersi al cospetto di un’impresa costituita e gestita unicamente dal marito) che fossero comuni ai sensi Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -9- dell’art. 178 c.c. i beni destinati all’esercizio dell’impresa (così pag. 7). Alla luce di tale specificazione deve perciò escludersi che ricorra la violazione dell’art. 112 c.p.c., quanto al motivo di appello formulato a tal proposito, avendo la sentenza evidentemente risposto alla censura formulata dall’appellante principale, reputando che non vi fosse stata alcuna extra petizione, e trovando la richiesta di divisione dei beni comuni un suo fondamento nelle conclusioni già avanzate con l’atto di citazione. Tuttavia, anche a voler diversamente opinare, ed a voler attestarsi al tenore letterale delle espressioni utilizzate in citazione e nella memoria ex art. 183 c.p.c., ove si fa richiesta di procedere alla divisione del complesso aziendale, la correttezza della soluzione cui sono pervenuti i giudici di merito appare evidente alla luce del richiamo fatto dalla stessa attrice in citazione alla previsione di cui all’art. 178 c.c. (cfr. pag. 3 del ricorso principale che riproduce le conclusioni di cui all’atto introduttivo del giudizio), che appunto, per l’ipotesi di impresa individuale di uno dei coniugi, costituita dopo il matrimonio, come appunto appurato nella fattispecie in esame, prevede che cadano in comunione de residuo i beni destinati all’esercizio dell’impresa, che coincidono con quelli per i quali è stata pronunciata la divisione. La subordinazione della richiesta poi accolta all’ipotesi in cui fosse accertato che in realtà l’impresa era gestita unicamente dal convenuto, come appunto avvenuto, rende evidente, al di là di qualche imprecisione terminologica, che la domanda de qua fosse appunto rivolta alla divisione della comunione venutasi a creare sui beni oggetto della comunione de residuo, e quindi sui beni Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -10- destinati all’esercizio dell’impresa costituita in epoca successiva al matrimonio (e ciò con modalità rispettose del principio secondo cui il coniuge non imprenditore, in caso di comunione de residuo, vanta solo un diritto di credito – Cass. S.U. n. 15889/2022 – essendo stata liquidata all’attrice solo una quota in denaro). A tali considerazioni deve poi aggiungersi che, ancorché l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, debba essere considerata come un bene distinto dai singoli elementi, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito (Cass. S.U. n. 5087/2014), evidentemente ricomprende anche tutte le componenti attraverso le quali viene ad essere esercitata l’attività di impresa, e quindi anche quei beni dei quali l’imprenditore abbia la proprietà e che, quindi, siano inseriti ed utilizzati nell’azienda vantando un titolo proprietario. In tal caso rivendicare la titolarità dell’azienda o, come in questo caso, la comproprietà della stessa implica anche che sia pretesa la titolarità dei beni nella medesima inseriti, di tal che, a fronte dell’originaria pretesa di essere riconosciuta comproprietaria dell’intero complesso aziendale, la successiva richiesta di attribuzione della comproprietà solo dei beni destinati all’esercizio dell’impresa al più si configura come una riduzione dell’originaria domanda, da reputarsi comunque ammissibile anche in sede di precisazione delle conclusioni (cfr. Cass. S.U. n. 3453/2024, a mente della quale, anche nel giudizio di appello la parte può sempre rinunciare alla domanda, o a parti di essa, anche dopo la precisazione delle conclusioni, perché la restrizione del thema decidendum, a differenza dell'estensione, è sempre permessa, in quanto il principio dispositivo, secondo cui la parte è sovrana delle Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -11- scelte difensive e delle domande poste al giudice, prevale sugli effetti che esso produce nei confronti delle altre parti, presentando il sistema idonee modalità procedurali per assicurare il pieno rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa). 6. Rispetto all’esame degli altri motivi di ricorso principale, si impone, in base all’ordine logico delle questioni, la preventiva disamina dei motivi di ricorso incidentale. Il primo motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 230 bis, 1218 e 2697 c.c., nonché dell’art. 5 del DPR n. 597/73, come sostituito dall’art. 5, co. 4, del DPR n. 917/1986, in relazione al rigetto dell’appello incidentale della Manferdini, concernente la mancata liquidazione degli utili maturati per il periodo di collaborazione prestata all’interno dell’impresa familiare. Si deduce che, pur avendo i giudici di merito ritenuto provata la collaborazione prestata dall’attrice dal 1989 al 2003, la domanda de qua è stata rigettata sul presupposto che non fosse stato adempiuto l’onere probatorio che le incombeva, e che quindi non fosse stata fornita la prova degli utili maturati né del fatto che alcuna somma le fosse stata versata dal marito. Una volta esclusa la cogestione dell’impresa costituita successivamente al matrimonio, e ritenuto che si trattasse di un’impresa familiare nella quale l’attrice aveva prestato la personale attività lavorativa, alla luce del contenuto dell’atto costitutivo dell’impresa familiare del 22 dicembre 1989, si evidenzia che in tale atto era previsto che l’utile sarebbe stato ripartito tra i due coniugi “in proporzione alla quantità e qualità del lavoro da ciascuno effettivamente apportato in modo Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -12- continuativo e prevalente a norma dell’art. 5 DPR 29/9/1973 n. 597”. Tale ultima norma è stata poi sostituita dall’art. 5, co. 4, del DPR n. 917/86 che prevede che i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore, possono essere imputati a ciascun familiare, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione. Dalle dichiarazioni dei redditi prodotte nel corso del giudizio di primo grado erano emersi i redditi attribuiti per la quota in genere del 49 % alla ricorrente incidentale, ed era stata quindi determinata la quota di utili non percetti tenendo proprio conto delle dichiarazioni dei redditi fatte predisporre unilateralmente da parte del convenuto. Tali dati erano poi stati verificati anche dal CTU nominato in corso di causa, che aveva effettivamente riscontrato che la quota di utili lordi spettanti alla Manferdini sulla base delle dichiarazioni fiscali prodotte in atti era pari all’importo oggetto della domanda attorea. Deve perciò reputarsi che sia stata offerta la prova degli utili prodotti dall’impresa familiare, essendo stato assolto il relativo onere probatorio, e non potendosi porre a carico della ricorrente incidentale anche la prova del fatto che tali utili non le siano stati versati. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 2730, 2733, 2734 c.c., nonché 116, 228 e 230 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha negato che l’attrice avesse assolto all’onere probatorio circa la mancata percezione degli utili. Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -13- Si evidenzia che in sede di interrogatorio formale lo Sgarzi aveva riferito che non versava alcuna somma mensilmente alla moglie, la quale accedeva liberamente alla cassa dell’attività. Trattasi però di dichiarazione che non consente di affermare che i soldi siano stati effettivamente prelevati, come confermato dalla deposizione di altra teste che ha riferito che il contante incassato era utilizzato solo per pagare i fornitori e dietro autorizzazione dello Sgarzi. Deve, quindi, reputarsi che quest’ultimo abbia confessato di non avere versato la quota di utili spettante all’attrice. Analogamente risulta oggetto di confessione che tutti gli incassi erano gestiti dal solo Sgarzi, che era l’unico intestatario dei conti correnti sui quali le somme incassate erano riversate. Risulta di conseguenza erronea l’affermazione del giudice di appello che ha ritenuto che l’attrice non abbia fornito prova dell’assenza di versamenti in suo favore ad opera del marito. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., sempre in relazione al medesimo capo, in quanto la Corte d’Appello ha omesso di valutare le dichiarazioni dei redditi dalle quali emerge come all’attrice fosse riservata una quota di utili quale compenso per la collaborazione prestata nell’impresa familiare, trascurando altresì le dichiarazioni confessorie rese dal convenuto, in merito agli incassi ed alla loro gestione. Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere i giudici di merito valutato il materiale probatorio versato in atti, e quindi le dichiarazioni dei redditi relative all’impresa, le dichiarazioni rese in Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -14- sede di interrogatorio formale dallo Sgarzi, le deposizioni testimoniali, nonché gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio. Il quinto motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. per avere la sentenza offerto in parte qua una motivazione meramente apparente, essendo stato apoditticamente affermato che l’attrice non avesse assolto all’onere probatorio che le incombeva, ma senza specificare le ragioni del proprio convincimento, alla luce del compendio probatorio versato in atti. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. Questa Corte ha precisato che l'impresa familiare di cui all'art. 230 bis c.c. appartiene solo al suo titolare, anche nel caso in cui alcuni beni aziendali siano di proprietà di uno dei familiari, in ciò differenziandosi dall'impresa collettiva, come quella coltivatrice, la quale appartiene per quote, eguali o diverse, a più persone, e dalla società, con la quale è incompatibile. L'inesistenza di quote in base alle quali determinare gli utili da distribuire implica che questi ultimi sono assegnati in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in assenza di un patto di distribuzione periodica, non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti tra i partecipanti ma al reimpiego nell'azienda o all'acquisto di beni (Cass. n. 24560/2015). Tuttavia, nel caso in cui il partecipante agisca per ottenere la propria quota di utili, questi ha l'onere di provare la consistenza del patrimonio aziendale e la quota astratta della propria partecipazione, potendo a tal fine ricorrere anche a presunzioni semplici, tra cui la predeterminazione delle quote operata a fini fiscali; sul familiare esercente l'impresa grava invece l'onere di Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -15- fornire la prova contraria rispetto alle eventuali presunzioni semplici, nonché di dimostrare il pagamento degli utili spettanti "pro quota" a ciascun partecipante (Cass. n. 27966/2018; Cass. n. 5224/2016, che fa proprio riferimento alla predeterminazione della distribuzione, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 576 del 1975; Cass. n. 9683/2003). Alla luce di tali principi, si palesa evidentemente erronea l’affermazione del giudice di appello che ha reputato che non fosse stata offerta la prova né dell’ammontare degli utili, né della quota spettante all’attrice né che alcuna somma le fosse stata versata. Le dichiarazioni fiscali prodotte, come evidenziato, costituiscono un elemento presuntivo dal quale poter inferire la prova sia dell’ammontare degli utili prodotti sia della misura in cui gli stessi fossero stati riservati al familiare collaboratore, così che, una volta offerta tale prova, ancorché tramite il ricorso a presunzioni semplici, era poi onere del familiare imprenditore documentare che la quota di utili spettanti al familiare non imprenditore fosse stata effettivamente corrisposta. La sentenza impugnata, peraltro in maniera sostanzialmente immotivata, ha proceduto ad un’indebita inversione dell’onere probatorio, trasferendo sulla ricorrente incidentale la prova di fatti che invece spettava alla controparte provare, tenuto conto della documentazione fiscale idonea ad ingenerare una ragionevole presunzione sia in ordine al quantum degli utili prodotti, sia in merito alla percentuale riservata alla moglie quale compenso per la collaborazione prestata. La sentenza deve pertanto essere cassata in parte qua. Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -16- 7. Il sesto motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e/o errata applicazione degli artt. 1362-1371 e 2113 c.c. nella parte in cui ha affermato l’irrilevanza della “liberatoria” sottoscritta dall’attrice nell’atto per notar Maglione del 31 marzo 2003 con il quale si provvedeva allo scioglimento dell’impresa familiare. Si evidenzia che in realtà tale dichiarazione, avente il seguente tenore “La signora Maria Morena Manferdini rinuncia fin d’ora a ogni e qualsiasi diritto ad ella spettante ai sensi dell’art. 230 bis del Codice Civile, dichiarandosi soddisfatta di ogni sua eventuale pretesa nascente dalla cessata collaborazione”, costituisce una vera e propria rinuncia ai diritti spettanti in base alle previsioni di cui all’art. 230 bis c.c., non potendo quindi essere liquidata come una semplice liberatoria. Trattandosi, pertanto, di rinuncia, la medesima è sottoposta alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c., norma che trova applicazione anche nel caso di parasubordinazione, fenomeno cui viene ricondotto anche il rapporto che si instaura all’interno dell’impresa familiare. Nella specie, l’attrice aveva impugnato detta rinuncia con la raccomandata del 4 agosto 2003, chiedendone l’annullamento ovvero l’accertamento della nullità. Il settimo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione o errata applicazione dell’art. 2969 c.c. nella parte in cui il giudice di appello ha affermato che, anche a voler ricondurre tale dichiarazione nel novero delle rinunce ex art. 2113 c.c., la sua impugnazione era stata avanzata tardivamente ai sensi del secondo comma dell’articolo de quo. Si rileva che la decadenza posta dalla norma è correlata al decorso di sei mesi dalla cessazione del rapporto, ma costituisce Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -17- oggetto di un’eccezione in senso stretto, non essendo quindi rilevabile d’ufficio dal giudice. Nella vicenda in esame, lo Sgarzi non aveva sollevato alcuna eccezione di decadenza nella comparsa di risposta, essendone quindi precluso il rilievo della tardività alla Corte d’Appello. L’ottavo motivo di ricorso incidentale lamenta la violazione e/o errata applicazione degli artt. 112 e 167 c.p.c. in quanto, in assenza di una tempestiva eccezione del convenuto circa la tardiva impugnazione della rinuncia, la Corte d’Appello ha deciso in realtà su di un’eccezione mai sollevata. Il nono motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 2113 e 2733 c.c., 115 co. 1 e 116 co. 1 c.p.c., in quanto è stata ravvisata la tardività dell’impugnazione senza tenere conto del fatto che l’attrice aveva prestato la propria attività lavorativa nell’impresa familiare fino al mese di maggio del 2003, e cioè sino a quando lo Sgarzi le richiese la restituzione delle chiavi del locale ove era svolta l’attività imprenditoriale. Tale circostanza è comprovata dalle dichiarazioni rese dal convenuto in sede di interrogatorio formale, con la conseguenza che deve escludersi la tardività dell’impugnazione. Il decimo motivo di ricorso incidentale denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., sempre in relazione alla data di cessazione dell’attività lavorativa, in quanto la Corte d’Appello non ha considerato le dichiarazioni confessorie della controparte, nonché la deposizione resa dalla sorella dell’attrice, confermative del fatto che l’attività è proseguita anche nella primavera del 2003. Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -18- L’undicesimo motivo di ricorso incidentale lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’art. 115, co. 1, c.p.c. nella parte in cui la Corte d’Appello ha reputato che il rapporto collaborativo dell’attrice fosse cessato in coincidenza con l’atto per notar Maglione del 3 gennaio 2003, con il quale era stata sciolta l’impresa familiare, trascurando il materiale probatorio che invece permetteva di affermare che la collaborazione fosse proseguita anche successivamente e fosse durata sino al mese di maggio del 2003, rendendo quindi tempestiva l’impugnazione della rinuncia effettuata con la missiva del 4/8/2003. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. Rileva il Collegio che la Corte d’Appello, senza profondersi sull’esegesi della dichiarazione resa dall’attrice nell’atto del 3 gennaio 2003, ha soffermato la sua attenzione sulla intempestività della sua impugnazione. Ha, infatti, reputato che, anche a voler ricondurre la dichiarazione nel novero delle rinunce di cui all’art. 2113 c.c., era precluso l’esame della sua impugnazione stante la sua tardiva formulazione, risalendo la cessazione della collaborazione alla data in cui era stata redatta (30/01/2003). Ritiene il Collegio che sia risolutiva ai fini dell’accoglimento delle censure della ricorrente incidentale la deduzione secondo cui i giudici di merito avrebbero rilevato la tardività dell’impugnazione in assenza di una tempestiva eccezione da parte dell’attore. Ancorché esuli dal novero delle questioni sottoposte a questo giudice quella relativa alla necessità di riservare la controversia de qua alla cognizione del giudice del lavoro, la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che le controversie Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -19- aventi ad oggetto i diritti patrimoniali riconosciuti ai familiari dall'art. 230 bis c.c. appartengono alla competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro, a norma dell'art. 409, n.3, cod.proc.civ., vertendosi in tema di collaborazione tra i diversi componenti della famiglia, ed attesa la sussistenza del carattere della parasubordinazione nell'attività svolta dai medesimi (Cass. n. 5875/1997; Cass. n. 6060/1996; Cass. n. 11374/1995). Alla riconduzione del rapporto di collaborazione nel novero dei rapporti di subordinazione si riconnette poi anche l’applicazione alle eventuali rinunce dell’art. 2113 c.c., essendo stato precisato che la disciplina delle rinunzie e transazioni dettate dall'art. 2113 cod. civ., è applicabile anche ai rapporti dei lavoratori cosiddetti parasubordinati, considerati nell'art. 409, n. 3, cod. proc. civ. (Cass. n. 7111/1995; Cass. n. 7550/1987). Come ulteriore conseguenza deve poi richiamarsi il principio per cui la decadenza del lavoratore dal diritto d'impugnare una rinuncia ai sensi dell'art. 2113 cod. civ. (sostituito dall'art. 6 della legge n. 533 del 1973) costituisce oggetto di una eccezione propria - cui si applicano le preclusioni degli artt. 416 e 437 cod. proc. civ. - e non può essere dichiarata d'ufficio (art. 2969 cod. civ.), non concernendo una materia sottratta alla disponibilità delle parti ma solo l'osservanza di norme inderogabili poste a tutela del trattamento minimo garantito (Cass. n. 13466/2004; Cass. n. 7550/1987). In assenza di una tempestiva eccezione di decadenza formulata dal titolare dell’impresa individuale, ne consegue che il giudice di merito non poteva rilevarne la tardività, a nulla rilevando anche l’eventuale accettazione del contraddittorio, essendo quella delle Ric. 2018 n. 27516 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -20- preclusioni materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. n. 24040/2019; Cass. n. 17121/2020, con specifico riferimento al regime delle eccezioni in senso stretto). Anche tali motivi devono quindi essere accolti, e la sentenza deve essere cassata nella parte in cui la attingono. 8. In ragione della cassazione della sentenza di appello, restano assorbiti il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale che lamentano, il primo, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., quanto alla valutazione di soccombenza del ricorrente principale, ed il secondo, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., quanto alla decisione del giudice di appello di confermare la compensazione delle spese di lite nei rapporti tra l’attrice e la Sgarzi S.r.l. 9. Il giudice di rinvio che si designa nella Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio. PQM La Corte accoglie il ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri due motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 Il Presidente Il Consigliere Estensore Felice Manna Mauro Criscuolo

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO, Te.Sa., nato a P il (omissis), Sc.Lu., nato a P il (omissis), Ma.Vi., nato a P il (omissis), Di.Pi., nato a P il (omissis), Ur.En., nato a P il (omissis), Lu.Pi., nato a P il (omissis), Mi.Al., nato a P il (omissis), Mi.Pa., nato a P il (omissis), Mi.Lo., nato a P il (omissis), Te.Ca., nato a P il (omissis); avverso la sentenza del 11/04/2022 della Corte d'appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE NICASTRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FULVIO BALDI, il quale ha concluso chiedendo che: a) in accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo, la sentenza impugnata venga annullata con rinvio in relazione al trattamento sanzionatorio nei confronti di Mi.Al.; b) la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio nei confronti di Mi.Lo. limitatamente alle statuizioni civili in favore delle associazioni che non si erano costituite e che il ricorso dello stesso Mi.Lo. sia dichiarato inammissibile nel resto; c) la sentenza impugnata sia annullata con rinvio nei confronti di Te.Sa. e di Sc.Lu. limitatamente al trattamento sanzionatorio e che i ricorsi degli stessi Te.Sa. e Sc.Lu. siano dichiarati inammissibili nel resto; d) i ricorsi di Di.Pi., Lu.Pi., Ma.Vi., Mi.Al., Mi.Pa., Te.Ca. e Ur.En. siano dichiarati inammissibili; udito l'Avv. FE.DA., in sostituzione dell'Avv. AL.GA., in difesa della parte civile "Associazione Nazionale per la Lotta contro le Illegalità e le Mafie Ca.An.", la quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo, il rigetto o la declaratoria di inammissibilità di tutti gli altri ricorsi e la conferma delle statuizioni civili e ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito l'Avv. ET.BA., il quale si è associato alle conclusioni del Pubblico Ministero e ha depositato conclusioni scritte e nota spese per tutte le parti civili che rappresenta, in proprio o in sostituzione; udito l'Avv. AN.BA., in difesa di Te.Sa., il quale, dopo la discussione, ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'Avv. VI.GI., sempre in difesa di Te.Sa., il quale si è riportato integralmente ai motivi di ricorso e si è associato alle conclusioni del codifensore; udito l'Avv. DI.BE., in difesa di Sc.Lu., il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso; udito l'Avv. VI.GI., in difesa di Sc.Lu., Lu.Pi. e Te.Ca., il quale ha insistito nei motivi dei ricorsi, dei quali ha chiesto l'accoglimento; udito l'Avv. DE.SP., in sostituzione dell'Avv. EL.GA., in difesa di Mi.Lo., la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso; udito l'Avv. DE.SP., in difesa di Ur.En., la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso; udito l'Avv. DE.SP., in difesa di Mi.Al., la quale, dopo la discussione, si è riportata ai motivi di ricorso, del quale ha chiesto l'accoglimento; udito l'Avv. DE.SP., in difesa di Di.Pi. e di Mi.Pa., la quale, dopo la discussione, si è riportata ai motivi dei ricorsi chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 11/04/2022, la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 28/09/2020 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, emessa in esito a giudizio abbreviato: 1) confermava la condanna di Te.Sa. alla pena di 16 anni e 8 mesi di reclusione per i reati di: a) promozione, direzione e organizzazione di un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui al capo 1) dell'imputazione; b) autoriciclaggio (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 13) dell'imputazione; c) trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 14) dell'imputazione; d) trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 15) dell'imputazione; 2) confermava la condanna di Sc.Lu. per i reati di: a) partecipazione a un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui al capo 1) dell'imputazione; b) autoriciclaggio (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 13) dell'imputazione; c) trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 14) dell'imputazione; d) trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 15) dell'imputazione; e) violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo di soggiorno di cui al capo 27 dell'imputazione (aggravata ex art. 416-bis 1 cod. pen.). La Corte d'appello di Palermo, inoltre, unificati dal vincolo della continuazione i reati sub iudice con quelli già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, di parziale riforma della sentenza del 05/04/2004 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007, e ritenuto più grave quello di cui al capo 1) dell'imputazione, aumentava la pena inflitta allo Sc.Lu. per i fatti già giudicati di 8 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione e, per l'effetto, dichiarava che la pena complessiva diveniva pari a 22 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione; 3) confermava la condanna di Ma.Vi. per il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424, secondo comma, cod. pen.) in concorso di cui al capo 21) dell'imputazione, riducendo a 2 anni di reclusione la pena inflitta all'imputato per tale reato, "tenendo conto della riqualificazione della recidiva allo stesso contestata in reiterata"; 4) confermava la condanna di Di.Pi. alla pena di 12 anni di reclusione per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di: a) partecipazione a un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui al capo 2) dell'imputazione; b) estorsione (pluriaggravata dall'essere stata la minaccia posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen. nonché ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione; c) traffico illecito di sostanze stupefacenti (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 12) dell'imputazione; 5) assolveva Ur.En. dal reato di usura continuata in concorso di cui al capo 19) dell'imputazione e confermava la condanna dello stesso imputato per il reato di assistenza continuativa agli associati di cui al capo 4) dell'imputazione (art. 418, secondo comma, cod. pen.), riducendo a 2 anni di reclusione la pena inflitta all'Ur.En. (pena sospesa), tenuto conto della predetta assoluzione e della considerazione come non contestata, con riferimento al reato di assistenza agli associati, la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen.; 6) confermava la condanna di Lu.Pi. alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti in concorso, aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen., di cui al capo 12) dell'imputazione; 7) assolveva Mi.Al. dal reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione per non avere commesso il fatto e confermava la condanna dello stesso 7Mi.Al. per i reati di: a) partecipazione a un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui al capo 2) dell'imputazione; b) trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) di cui al capo 15) dell'imputazione. Riduceva a 11 anni e 8 mesi di reclusione la pena irrogata all'imputato; 8) confermava la condanna di Mi.Pa. alla pena di 11 anni e 4 mesi di reclusione per i reati di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui al capo 2) dell'imputazione e di estorsione (pluriaggravata dall'essere stata la minaccia posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen. nonché ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione; 9) riqualificata la condotta di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso contestata a Mi.Lo. al capo 2) dell'imputazione in concorso esterno in tale associazione, ed escluse, nei confronti dello stesso Mi.Lo., le circostanze aggravanti di cui al quarto e al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., rideterminava in 8 anni di reclusione la pena inflitta all'imputato per il predetto reato di concorso esterno nell'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione; 10) confermava la condanna di Te.Ca. alla pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di estorsione (pluriaggravata dall'essere stata la minaccia posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen. nonché ex art. 416-bis 1 cod. pen.) in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Palermo, hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo e, per il tramite dei propri rispettivi difensori, Te.Sa., Sc.Lu., Ma.Vi., Di.Pi., Ur.En., Lu.Pi., Mi.Al., Mi.Pa., Mi.Lo. e Te.Ca. 3. Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo, che è relativo alla posizione del solo Mi.Al., è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente deduce la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d'appello di Palermo ha dichiarato, nel dispositivo, di assolvere il Mi.Al. dal reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione (art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ora art. 512-ò/s cod. pen.) e nella parte in cui ha rideterminato la pena applicata allo stesso Mi.Al.in 11 anni e 8 mesi di reclusione. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe: a) in primo luogo, da un lato, nel dispositivo, dichiarato di assolvere il Mi.Al. dal reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione e non di non applicare alcun aumento di pena per tale reato e, dall'altro lato, nella motivazione, motivato in realtà nel senso che l'appello del Mi.Al. era fondato solo "limitatamente alla dosimetria della pena" (pag. 165 della sentenza impugnata) e della conferma della responsabilità dello stesso Mi.Al. anche per il predetto reato di cui al capo 14) dell'imputazione (pagg. 170 e 171 della sentenza impugnata); b) in secondo luogo, da un lato, affermato, come si è detto, che l'appello del Mi.Al. era fondato in ordine alla "dosimetria della pena" e, dall'altro lato, in realtà confermato la pena di 11 anni e 8 mesi di reclusione che era stata irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo per i reati di cui ai capi 2) e 15) dell'imputazione, al netto dell'aumento di pena per il reato di cui al capo 14) dell'imputazione (pag. 476 della sentenza impugnata). 4. I ricorsi di Te.Sa. Te.Sa. ha proposto due ricorsi, uno a firma dell'avv. Vi.Gi. e uno a firma dell'avv. An.Ba.. 4.1. Il ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. è affidato a undici motivi. 4.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 416-bis , primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen., e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di promozione, organizzazione e direzione di un'associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione. 4.1.1.1. Sotto un primo profilo, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta sussistenza di un sodalizio di tipo mafioso. Il ricorrente deduce che, dalle risultanze processuali, non sarebbero emersi fatti concreti e specifici dimostrativi né dell'esteriorizzazione, da parte dei sodali, della forza di intimidazione del vincolo associativo, né della condizione di assoggettamento e di omertà in capo ai terzi, né di una ripartizione di ruoli e di rispettati vincoli gerarchici tra gli associati. Il Te.Sa. rappresenta che tali elementi dell'associazione di tipo mafioso non potrebbero essere logicamente ritenuti esistenti, contrariamente a quanto mostrerebbe di ritenere la Cotte d'appello di Palermo, sulla base né dei precedenti penali propri e di alcuni dei coimputati per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., né delle asseritamente "datate" "indeterminate" e "generiche" propalazioni dei collaboratori di giustizia Ga.Vi. e Fl.Se. - atteso anche che esse "nulla aggiungono su fatti concreti ed attuali" -, né di "alcuni incontri effettuati tra i vari coimputati e dai loro reciproci contatti", né dei tre modesti contestati episodi estorsivi di cui ai capi 5), 9) e 11) dell'imputazione, con riguardo a due dei quali era peraltro intervenuta l'assoluzione dell'unico imputato, mentre del terzo non era il Te.Sa. a risponderne. 4.1.1.2. Sotto un secondo profilo, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta sua partecipazione, con ruolo apicale, all'associazione di tipo mafioso. Nel citare diverse pronunce della Corte di cassazione sul tema, il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe illegittimamente ritenuto che, poiché era stata accertata, con sentenza passata in giudicato, la sua appartenenza all'associazione mafiosa, non sarebbe stato necessario "provare ex novo il fatto della partecipazione", con la conseguenza che la stessa Corte d'appello avrebbe perciò omesso di accertare, come sarebbe stato invece necessario fare, se tale partecipazione si fosse effettivamente protratta anche dopo la scarcerazione del Te.Sa. - sulla base di elementi che dimostrassero una nuova adesione, dopo la scarcerazione, e un apprezzabile e dinamico contributo causale teleologicamente orientato alla realizzazione degli scopi associativi - o se, invece, la stessa partecipazione fosse venuta meno per una qualsiasi causa diversa dalla collaborazione con la giustizia. In secondo luogo, il ricorrente lamenta la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Ga.Vi. e Fl.Se. e deduce in proposito che la stessa Corte d'appello avrebbe omesso di operare la necessaria rigorosa valutazione della credibilità dei predetti collaboratori e dell'attendibilità delle loro dichiarazioni - connotazioni che, comunque, difetterebbero nella specie, stante anche l'asserita mancanza di spontaneità e precisione delle stesse dichiarazioni -, tenuto anche conto del fatto che il Ga.Vi. e il Fl.Se. aveva appreso quanto da loro riferito da terzi (da Sa.Ni. per quanto riguarda il Ga.Vi. e da Di.Gi. e da La.To. per quanto riguarda il Fl.Se.), con la conseguenza che la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori avrebbe dovuto essere compiuta anche in relazione alle fonti originarie dell'accusa, le quali, invece, non erano mai state sentite. Il ricorrente rappresenta poi specificamente: a) quanto alle dichiarazioni del Ga.Vi., che esse non avrebbero "offerto alcuno spunto investigativo, né hanno fatto riferimento a fatti specifici con riguardo al comportamento contestato al Sig. Te.Sa. nel capo di imputazione 1) e nell'arco temporale delineato da questa contestazione", sicché esse costituirebbero "un mero dato neutro", "atteso che l'asserita vicinanza in passato del Sig. Te.Sa. ai Sig.ri Ta. non è comprovante dell'attuale e concreta sua intraneità nel presunto sodalizio mafioso nell'arco temporale delineato nel capo di incolpazione 1)"; b) quanto alle dichiarazioni del Fl.Se., che questi si sarebbe "limitato a riferire notizie risalenti nel tempo - già coperti da giudicato - limitatamente al fatto che terze persone nominavano qualche volta in maniera vaga e astratta il nome del Sig. Te.Sa., senza pertanto descrivere fatti specifici" e che la Corte d'appello di Palermo avrebbe trascurato di considerare che il Fl.Se. aveva affermato di conoscere il Te.Sa. solo di nome, che aveva appreso dai menzionati Di.Gi. e La.To. La sentenza impugnata sarebbe poi affetta da contraddittorietà e da illogicità "nella parte in cui il propalante Sig. Fl.Se. collocava il Sig. Te.Sa. in una famiglia mafiosa diversa (Br.) da quella in cui si presume faccia parte (Co.)". In terzo luogo, il ricorrente contesta la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, quali riscontri alle dichiarazioni dei due menzionati collaboratori di giustizia, sia degli incontri dell'imputato con altri sodali sia del contenuto delle conversazioni intercettate. Sotto il primo aspetto, il Te.Sa. lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe trascurato di considerare le doglianze, che erano state avanzate nel proprio atto di appello, circa il fatto che non vi era prova né che i menzionati incontri, in particolare quelli con Sc.Lu., il Vi. e Mu.Gi., fossero effettivamente avvenuti, né, in ogni caso, delle motivazioni e dell'oggetto degli stessi. Sotto il secondo aspetto del contenuto delle conversazioni intercettate, il ricorrente contesta l'idoneità di esso a costituire prova della propria partecipazione, con ruolo apicale, all'associazione. Il ricorrente deduce in particolare che: a) il significato delle conversazioni del 4/12/2015, del 11/12/2015 e del 12/12/2015 presso Largo (omissis) - inteso dalla Corte d'appello di Palermo nel senso che l'imputato aveva il "ruolo di coordinatore delle attività estorsive ai danni dei commercianti della zona" (così il ricorso) - sarebbe stato frainteso, atteso, in particolare, che dalle stesse conversazioni non emergerebbe la consegna di denaro provento dell'attività estorsiva da parte del Di.Gi. e da parte del Gi.Sa. al Te.Sa., che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe considerato la "massima di esperienza secondo cui è incompatibile con l'assunzione del ruolo di dirigente di una consorteria criminosa che un soggetto subordinato e dedito alla riscossione del c.d. "pizzo" possa pretendere autonomamente e contravvenendo alle direttive il raddoppio di una presunta pretesa estorsiva" e che il Te.Sa. "assiste ai racconti dei suoi interlocutori in modo passivo e inerme, tali da dimostrare che non dava direttive o ordini sul da farsi ai propri sottoposti; così derivando un travisamento della prova"; b) con riguardo alla conversazione dell'11/11/2017, la Corte d'appello di Palermo "non riscontrava la circostanza che la persona imputata si fosse limitato semplicemente a dire, senza particolare interesse, al Sig. Ca. che i Sig.ri Ca. e Mi. avrebbero fatto meglio a curarsi ognuno il proprio orticello senza calpestarsi i piedi, piuttosto che usare il suo nome indebitamente senza escogitare, a differenza di quanto prospettato dal Decidente, eventuali ritorsioni, ma soprattutto senza impartire alcuna direttiva e senza esercitare alcun controllo del territorio" e che la stessa Corte d'appello non avrebbe considerato che al Te.Sa. non era stato contestato il reato di cui all'art. 291-quater del D.P.R. 23 gennaio 1972, n. 43, in ordine al quale gli altri imputati erano stati assolti; c) con riguardo alle conversazioni del 8/11/2017 e del 11/11/2017 con il coimputato Sc.Lu., che da esse non emergerebbero elementi confermativi dell'interessamento della presunta associazione mafiosa nel settore dei giochi e delle scommesse né del fatto che la stessa vi avesse investito i propri supposti proventi illeciti, e che la Corte d'appello di Palermo non si sarebbe confrontata con le deduzioni difensive dell'imputato, prospettate nel suo atto di appello, con le quali era stato evidenziato come dalla menzionate conversazioni fosse emerso che il mercato dei giochi e delle scommesse era dominato da diverse imprese che operavano nel settore (in particolare, da "Am.Fi. Giochi di Am.Fi.") e che l'impresa "Ca.Ro." generava continue perdite economiche (circostanza, quest'ultima, che sarebbe stata confermata anche dalla conversazione del 21/11/2017); d) con riguardo "all'asserito investimento dei proventi derivanti dai reati commessi in attuazione del programma delittuoso del presunto sodalizio criminoso", dalle risultanze probatorie non emergerebbe che la presunta associazione criminosa avesse tratto profitti dalle estorsioni, dal traffico illecito di sostanze stupefacenti o dall'attività del gioco e delle scommesse ("si è notato come la ditta "Ca.Ro." generasse continue perdite di esercizio"), dovendosi, altresì, considerare che il Te.Sa. non era stato rinviato a giudizio per alcun reato di estorsione ai danni di commercianti, che lo Sc.Lu. era stato assolto dal reato di cui all'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e che, dall'intercettata conversazione del 01/07/2016, ignorata dalla Corte d'appello di Palermo, risultava che "il Sig. Te.Sa. richiedeva al Sig. De.Gi. la restituzione dei propri soldi personali perché non era soddisfatto della gestione di quest'ultimo a causa delle ingenti perdite e dei presunti ammanchi di cassa"; e) quanto alla "vicenda della rapina alla sala bingo "Taj Mahal"", durante l'incontro del 06/07/2016 con i rapinatori sarebbe emerso "soltanto il fatto che il Sig. Te.Sa. chiedeva spiegazioni ai rapinatori in ordine al loro comportamento riprovevole in relazione al quale uno di essi (Ma.) aveva posto in essere un comportamento aggressivo e violento nei confronti di un'impiegata della sala bingo "Taj Mahal", che peraltro era una persona cara all'odierno imputato", cioè "una situazione prettamente e squisitamente personale" del Te.Sa., "il quale aveva l'esclusivo interesse a chiedere spiegazioni sul motivo che ha portato i rapinatori a percuotere l'impiegata dell'esercizio commerciale in cui si è perpetrata al rapina". In conclusione, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, per tali ragioni, anapodittica e manifestamente illogica e avrebbe posto a fondamento della contestata affermazione di responsabilità "mere congetture e sospetti". 4.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis , primo e secondo comma, cod. pen., nonché agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., con riguardo alla mancata riqualificazione del reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione come partecipazione a tale associazione anziché come direzione e organizzazione della stessa. Dopo avere citato diverse sentenze della Corte di cassazione sul tema, il Te.Sa. deduce che dalle prove che sono state valorizzate dalla Corte d'appello di Palermo non emergerebbero elementi tali da fare ritenere che egli avesse assunto un ruolo apicale, "attivo e dinamico", all'interno della famiglia mafiosa di Co. e lamenta il carattere anapodittico e manifestamente illogico della motivazione della sentenza impugnata là dove essa argomenta in ordine all'assunzione di detto ruolo. A proposito delle singole prove valorizzate dalla Corte d'appello di Palermo, il ricorrente rappresenta: a) la non decisività e la non persuasività delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Ga.Vi. e Fl.Se., atteso che essi "non hanno rivelato fatti specifici e concreti comprovanti la contestazione"; b) che l'attribuito ruolo apicale non potrebbe trovare fondamento logico neppure nel contenuto delle intercettazioni telefoniche e tra presenti "in ordine ai presunti incontri avvenuti tra il Sig. Te.Sa. e altri sospettati sodali", né nell'impiego di denaro in presunte attività nel settore del gioco e delle scommesse; c) che, in particolare, con riguardo alla conversazione del 04/12/2015 (riportata alle pagg. 95-96 della sentenza impugnata), in essa il Gi.Sa. e il Di.Gi. "riferivano all'odierno impugnante delle pretese estorsive di soggetti non meglio identificati e di avere agli stessi consegnato delle somme di denaro di presunta provenienza illecita, cosicché la dimostrazione dell'asserito ruolo apicale assunto dal Sig. Te.Sa. è smentita", atteso che "se il Sig. Te.Sa. avesse assunto una posizione apicale in seno alla consorteria mafiosa, non avrebbe avuto senso che i Sig.ri Di.Gi. e Gi.Sa. consegnassero il denaro proveniente da attività predatorie ad altri soggetti, né che questi ultimi avessero avuto l'autorità di pretendere somme più ingenti"; d) che il ruolo apicale dell'imputato non potrebbe essere desunto neppure dall'incontro con i rapinatori della sala bingo "Taj Mahal", atteso che "in quell'occasione il Sig. Te.Sa. aveva soltanto l'interesse a rimproverare i rapinatori per il loro comportamento aggressivo e violento posto in essere nei confronti di una giovane impiegata di detta impresa, che era molto amica" sua e che dalle emergenze processuali non risulterebbe "dimostrato che altri soggetti presunti appartenenti alla famiglia di Vi. si siano recati dallo stesso al fine di chiedere spiegazioni in ordine all'esecuzione di detta rapina, atteso che, ammesso e non concesso, la stessa comunque non è stata commissionata dalla presunta famiglia mafiosa di Co., né tanto meno può imputarsi alla figura dell'odierno impugnante, il quale è allo scuro di tutto". Il ricorrente lamenta ancora che: a) la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di considerare che la figura del Te.Sa. non era emersa nell'ambito del procedimento penale cosiddetto "Cupola 2.0", nel quale risultavano diversi incontri tra esponenti della consorteria mafiosa, tra i quali Se.Mi., indicato come il nuovo capo della ricostituita commissione provinciale di "Cosa Nostra", il che contrasterebbe che l'assunto secondo cui il Te.Sa. sarebbe stato "a capo della famiglia de qua") b) i collaboratori di giustizia Co., Bi. e Ma., così come "gli altri citati in sentenza", "nulla riferiscono di posizioni apicali in ordine all'odierno appellante". 4.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 648-ter 1 e 416-bis 1 cod. pen., con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di autoriciclaggio aggravato in concorso di cui al capo 13) dell'imputazione. Dopo avere citato alcune sentenze della Corte di cassazione su tale reato, il ricorrente lamenta il carattere astratto, generico, apparente, illogico e contraddittorio della motivazione della sentenza impugnata, la quale si rivelerebbe inconsistente e carente nella valutazione dei fatti processuali e avrebbe travisato il significato delle conversazioni intercettate. A proposito degli elementi di prova valorizzati dalla Corte d'appello di Palermo, il ricorrente rappresenta, con riguardo al delitto presupposto e alla provenienza dallo stesso del denaro trasferito e impiegato nell'impresa individuale "Ca.Ro.", che: a) la Corte d'appello di Palermo non si sarebbe confrontata con la deduzione difensiva secondo cui i reati di estorsione e di traffico illecito di sostanze stupefacenti, indicati nel capo 13) d'imputazione, non avevano trovato riscontro, atteso che il G.u.p. del Tribunale di Palermo aveva assolto Sc.Lu. dal reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti e che tale reato, così come quello di estorsione, non era stato contestato al Te.Sa. (così come allo Sc.Lu. non era stata addebitata alcuna condotta estorsiva); b) la stessa Corte d'appello non avrebbe "consideralo il fattore temporale secondo cui tali fatti-reato siano oltretutto successivi al tempus commissi delicti della presunta condotta di autoriciclaggio"; c) la sentenza impugnata non avrebbe neppure considerato "l'irrisorietà del valore economico dei presunti profitti illeciti riconducibili ai reati presupposti contestati ai capi 5), 9) e 11) (ad imputati diversi dal Sig. TE.Sa. e dal Sig. Sc.Lu.)", con la conseguente irrisorietà dei profitti illeciti che la presunta organizzazione criminale avrebbe potuto ricavare dalla commissione di tali reati; d) non potrebbe "imputarsi come delitto presupposto la fattispecie prevista dall'art. 416-bis c.p. se non si prova in concreto se effettivamente dalla perpetrazione del reato associativo si siano ricavati profitti illeciti"; e) diversamente da quanto anapoditticamente ritenuto dalla Corte d'appello di Palermo, come sarebbe risultato dalle intercettate conversazioni del 08/11/2017 e del 11/11/2017 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., nonché dalla conversazione del 21/11/2017, "in realtà il mercato dei giochi e delle scommesse nel territorio in cui presumibilmente operava il sodalizio criminoso era dominato da diverse imprese operanti nel settore delle scommesse, su tutte la ditta "Am.Fi. Giochi di Am.Fi." e, viceversa, che la ditta "Ca.Ro." generasse continue perdite di esercizio"; f) non sarebbe "dirimente" neppure il fatto che l'imputato fosse disoccupato e privo di un patrimonio in conseguenza dell'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, atteso che le argomentazioni dei giudici di merito non avevano "dimostrato (...) che la presunta somma di denaro oggetto di contestazione fosse di sicura provenienza illecita e non invece, secondo una lettura alternativa, frutto di un prestito di un parente o amico dell'imputato, ovvero di una somma di denaro che non era stata precedentemente sequestrata nell'ambito del procedimento di prevenzione"; g) la Corte d'appello di Palermo, con l'interpretare la frase intercettata "i piccioli della gente" nel senso che nell'impresa "Ca.Ro." erano stati investiti i soldi di provenienza illecita prelevati dalla cassa dell'associazione mafiosa, avrebbe travisato il significato di detta frase, la quale andrebbe invece "intesa nel senso che gli interlocutori (Sig.ri Te.Sa. e Sc.Lu.), non soddisfatti della gestione da parte del Sig. De.Gi., gli facevano presente che quest'ultimo si era preso i soldi della gente, cioè i loro soldi personali e non quelli di una presunta consorteria delittuosa". Con riguardo "all'aspetto soggettivo" del reato, il ricorrente deduce che non sarebbe stato dimostrato che l'imputato "abbia presumibilmente trasferito una somma di denaro nella ditta "Ca.Ro.", con consapevolezza e volontà, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della sua provenienza". Il ricorrente conclude affermando l'insufficienza delle risultanze delle effettuate intercettazioni a giustificare una sua condanna al di là di ogni ragionevole dubbio. 4.1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 512-bis e 416-bis 1 cod. pen., con riguardo all'affermazione di responsabilità per i reati di trasferimento fraudolento di valori in concorso di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione. Dopo avere citato alcune sentenze della Corte di cassazione su tale reato - e, poi, anche sulla distinzione tra sospetti e indizi e sulla valutazione della prova indiziaria - il ricorrente lamenta il carattere carente, anapodittico, illogico e contraddittorio della motivazione della sentenza impugnata. Anzitutto, con riguardo all'elemento materiale dei reati, il ricorrente deduce: a) quanto a quello di cui al capo 14) dell'imputazione: a.1) il già evidenziato (nell'ambito dell'esposizione del terzo motivo) travisamento, per le ragioni che si sono pure dette, della frase "i piccioli della gente"; a.2) che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di confrontarsi con il dato dal quale sarebbe risultato che l'imputato (come anche lo Sc.Lu.) aveva prestato una somma di denaro a De.Gi., il quale gestiva l'impresa "Ca.Ro." che operava nell'ambito del noleggio di slot machines e, quindi, del gioco e delle scommesse, così travisando i fatti e la prova allorquando imputava la riconducibilità di detta impresa allo stesso imputato, il quale, "allorquando si accorgeva della mala gestio del Sig. De.Gi. gli richiedeva indietro il proprio denaro personale che gli aveva in precedenza dato a credito, stante lo stato di insolvenza che da lì a poco stava travolgendo il Sig. De.Gi.", con la conseguenza che, date tali circostanze, la Corte d'appello di Palermo avrebbe "bypassato di accertare" se l'imputato fosse il gestore occulto dell'impresa de qua; b) quanto al reato di cui al capo 15) dell'imputazione, che la Corte d'appello di Palermo "non delinea alcun contributo causale e/o morale" dell'imputato "nella costituzione della società (...) Srl" - in particolare, non avrebbe "spiegato sulla base di quali elementi e circostanze desumeva che il contratto di locazione (dell'immobile di corso (omissis), n. (omissis)) fosse stato stipulato nell'interesse e per conto dell'odierno ricorrente" - e non avrebbe considerato che (...) Srl "non è stata mai avviata", in quanto "non aveva mai ricevuto l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di noleggio di slot machines, né (...) aveva nel suo patrimonio aziendale dette macchinette e tutta l'attrezzatura necessaria per l'assistenza tecnica". Il ricorrente deduce poi che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe considerato che il trasferimento fraudolento di valori è un reato a concorso necessario e a dolo specifico, con la conseguenza che, "non sussistendo la responsabilità penale nei confronti degli altri concorrenti necessari (atteso che il Ca.Ro. non era stato imputato e il La.Pa. e il Na.Gi. erano stati assolti per carenza del dolo specifico), ne deriva il venire meno della stessa anche nei confronti dell'odierno ricorrente dal momento che il delitto de quo non può ritenersi integrato con il venir meno del concorso necessario e del dolo specifico in capo agli altri concorrenti nel reato". Secondo il ricorrente, sarebbe carente, anche in capo a sé, l'elemento psicologico dei reati, atteso che "dal compendio probatorio non è possibile desumere elementi idonei a fornire la prova logica di commettere il fraudolento trasferimento dei beni allo scopo di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione". 4.1.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 15, 84, 512-bis, 648-ter 1 cod. pen., e agli artt. 125, 192, 521, 546 e 604, comma 4, cod. proc. pen., con riguardo "alla sussistenza del concorso apparente di norme tra i reati di trasferimento di valori e di autoriciclaggio, in ordine alle condotte addebitate all'odierno ricorrente ed erronea applicazione relativamente ai capi di incolpazione 13) e 14)". Il ricorrente contesta che la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto il concorso tra il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione. Il ricorrente rappresenta in proposito che, come aveva dedotto nel non esaminato quinto motivo del proprio atto di appello, ai fatti contestati in detti capi d'imputazione - dovendosi ritenere che, come era stato dedotto nel non esaminato motivo del proprio atto di appello, la ridefinizione del fatto di cui al capo 13) da parte del giudice di primo grado violasse l'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. - sarebbe applicabile la sola fattispecie di autoriciclaggio, di cui all'art. 648-ter 1 cod. pen., attesi, da un lato, la clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato" contenuta nell'art. 512-bis cod. pen. e, dall'altro lato, che la fittizia intestazione dell'impresa "Ca.Ro." aveva costituito "un segmento della più articolata condotta di autoriciclaggio", che sarebbe nella specie un reato a formazione progressiva, con la conseguenza che il più grave reato di autoriciclaggio dovrebbe assorbire il reato di trasferimento fraudolento di valori. 4.1.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 15, 84, 416-bis e 648-ter 1 cod. pen., e agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., con riguardo "alla sussistenza del concorso apparente di norme tra i reati di associazione di tipo mafioso e di autoriciclaggio in ordine alle condotte addebitate all'odierno ricorrente ed erronea applicazione relativamente ai capi di incolpazione 1) e 13)". Il ricorrente contesta che la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto, con una motivazione apparente, anapodittica, illogica e giuridicamente errata, il concorso tra il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione e il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione. Il Te.Sa. rappresenta in proposito che tra i due reati si configurerebbe invece un concorso apparente di norme, in quanto quello di associazione di tipo mafioso, che costituirebbe, nella specie, un'ipotesi di reato complesso, punirebbe già la condotta di impiego, sostituzione e trasferimento in attività economiche, finanziarie e imprenditoriali del denaro o delle altre utilità provenienti dallo stesso reato, al fine di ostacolarne l'identificazione della loro provenienza delittuosa, come sarebbe confermato, oltre che dalla stessa definizione di associazione di tipo mafioso fornita dal terzo comma dell'art. 416-bis cod. pen. e dalla comune ratio dei due reati, dalle previsioni di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. -comma nel quale "sono assenti forme di esclusione o limitazione della responsabilità per tale ipotesi" e che integrerebbe "una sorta di "progressione criminosa" rispetto al reato-base" - e al settimo comma dello stesso articolo, con la conseguenza che l'associato non potrebbe rispondere del reato di autoriciclaggio del denaro proveniente dalla commissione del delitto di associazione di tipo mafioso, pena la violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del favor rei, oltre che dei principi di legalità costituzionale e convenzionale. Secondo il ricorrente, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello di Palermo, il concorso apparente di norme non potrebbe essere negato per il solo fatto che, nella specie, non è prevista una clausola di riserva. Il Te.Sa. rappresenta ancora che il concorso tra i due reati in considerazione sarebbe stato escluso anche dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione Iavarazzo (Sez. U., n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259587-01). Il ricorrente chiede che, qualora l'adita Corte di cassazione dovesse ravvisare un contrasto giurisprudenziale sul punto, la questione venga rimessa alle Sezioni unite. 4.1.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis , quarto e quinto comma, cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata. Il ricorrente lamenta che, a proposito della sussistenza di tale circostanza aggravante, la Corte d'appello di Palermo avrebbe fornito una motivazione contraddittoria, generica e carente, oltre che viziata da un'erronea applicazione della legge penale, non avendo adeguatamente considerato che, dal compendio probatorio, non era risultato che egli avesse mai fatto uso di armi o che gliene fossero state sequestrate in occasione delle perquisizioni personale e domiciliare che erano state eseguite in occasione della sua sottoposizione alla misura della custodia cautelare in carcere, né che altri coimputati o la famiglia di Co. avessero fatto uso o disponessero di armi nel periodo di tempo di cui all'imputazione, ciò che non era emerso neppure dall'esito delle attività di intercettazione. Il ò1Te.Sa. rappresenta che non potrebbero deporre in senso contrario né il riferimento, fatto dalla Corte d'appello di Palermo, a "vicende passate, da collocare addirittura a molti anni prima e riguardanti anche le vicende di altre compagini associative" - in particolare, il rinvenimento, molti anni addietro, di munizioni all'interno di un autoarticolato di uno dei coimputati -, trattandosi di episodi che non lo riguardavano specificamente e ormai "coperti" da sentenza definitive, né la circostanza che il coimputato Ro. avesse fatto riferimento, in una conversazione con il padre, ad alcune armi (peraltro mai ritrovate), atteso che la disponibilità delle stesse non poteva essere attribuita alla famiglia di Co., dato che il Ro. non ne era partecipe. La Corte d'appello di Palermo non avrebbe spiegato neppure da quali elementi si potesse desumere che egli era a conoscenza dell'esistenza di armi a disposizione della famiglia o per quali ragioni tale esistenza si dovesse ritenere da lui ignorata per colpa. 4.1.8. Con l'ottavo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis , sesto comma, cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere il controllo finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Nel citare diverse pronunce della Corte di cassazione sul tema di tale circostanza aggravante, il ricorrente lamenta che, a proposito della sussistenza di essa, la Corte d'appello di Palermo avrebbe fornito una motivazione carente, contraddittoria e illogica, oltre che viziata da un'erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente deduce che, dall'acquisito compendio probatorio, non sarebbero emersi - né la Corte d'appello di Palermo avrebbe dato adeguatamente conto di tale emersione - né l'investimento, da parte propria, nell'economia lecita, dei proventi dell'attività illecita del sodalizio criminoso, né che tale investimento "avesse assunto una misura e/o una quantità tale da controllare o tentare di controllare precisi settori merceologici nel territorio di riferimento", in modo da alterare le regole che governano l'economia, la concorrenza e la correttezza dei rapporti commerciali, dovendosi ritenere ricorrere, al più, una mera infiltrazione nel tessuto economico. Il ricorrente deduce in particolare in proposito che: a) come risulterebbe dalle intercettate conversazioni del 08/11/2017 e del 11/11/2017 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., nonché dall'intercettata conversazione del 21/11/2017, nel territorio di riferimento il mercato dei giochi e delle scommesse era in realtà dominato da diverse imprese, su tutte la "Am.Fi. Giochi di Am.Fi.", mentre l'impresa "Ca.Ro." generava continue perdite; b) dal quadro probatorio non sarebbe emerso che l'associazione mafiosa avesse tratto profitti dalle estorsioni, dal traffico illecito di sostanze stupefacenti e dal settore del gioco e delle scommesse, mentre la Corte d'appello di Palermo avrebbe al riguardo omesso di considerare che il Te.Sa. non era stato rinviato a giudizio per alcun reato di estorsione perpetrato dalla consorteria mafiosa ai danni di commercianti e che il coimputato Sc.Lu. era stato assolto dal reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990; c) la Corte d'appello di Palermo non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine al ritenuto investimento, da parte dell'organizzazione mafiosa, di proventi illeciti nelle imprese che operavano nel settore del gioco e delle scommesse, tenuto conto che dalle emergenze processuali non sarebbe emerso che le imprese "Ca.Ro." e (...) Srl "siano finanziate dai proventi illeciti della presunta compagine associativa e, conseguentemente, che abbiano assunto una posizione predominante - che come abbiamo visto è del tutto smentita avendo il Giudicante travisato la prova - nel mercato del gioco e delle scommesse nel territorio di pertinenza della famiglia di Co."; d) la Corte d'appello di Palermo avrebbe travisato il significato dell'intercettata conversazione del 01/07/2016, nella quale il Te.Sa., alla presenza dello Sc.Lu., aveva in realtà chiesto al De.Gi. di restituirgli i propri soldi personali in quanto non era soddisfatto della gestione dello stesso De.Gi. a causa delle ingenti perdite e degli ammanchi di cassa, come sarebbe confermato anche da un'ulteriore conversazione intercettata tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., anch'essa travisata, "in cui il ricorrente voleva restituito il suo denaro", nonché dalla frase "io ci ho messo un sacco di soldi", mentre la frase "i piccioli della gente" sarebbe stata male interpretata dalla Corte d'appello di Palermo, dovendosi essa intendere non nel senso che nell'impresa erano stati investiti i soldi di provenienza illecita tratti dalle casse dell'associazione criminosa ma nel senso che gli interlocutori Te.Sa. e Sc.Lu., "non soddisfatti della gestione del Sig. De.Gi., gli facevano presente che quest'ultimo si era preso i soldi della gente, cioè i loro soldi personali e non quelli di una presunta consorteria delittuosa". 4.1.9. Con il nono motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 81, secondo comma, 99, 132 e 133 cod. pen., all'art. 27 Cost. e agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica. 4.1.9.1. Sotto un primo profilo, il ricorrente, dopo avere evidenziato che, nel capo 1) dell'imputazione, il reato di associazione di tipo mafioso gli era stato contestato "fino al 2 luglio 2019 (precedente condanna di Te.Sa. per 416 bis c.p. in data 18.05.2001 (...))", "ponendosi così in continuazione con la precedente condotta associativa", anche sulla premessa che il predetto reato è un reato permanente e, quindi, unico, costituendo "un segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo - costituito da fasi di detenzione o da condanne -", deduce l'incompatibilità tra la "presenza di un unicum delittuoso" o, comunque, la continuazione, e la recidiva. 4.1.9.2. Sotto un secondo profilo, il ricorrente deduce l'inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte d'appello di Palermo si sarebbe basata genericamente sulla semplice circostanza che la condotta tenuta dall'imputato sarebbe indicativa di una maggiore colpevolezza e propensione all'illecito, senza tenere conto del "comportamento" dello stesso imputato e del contesto sociale ed economico in cui i reati erano stati commessi. A tale proposito, il ricorrente deduce che il quartiere palermitano di Co. "versa in un precario degrado economico e sociale, nel quale mancano i servizi essenziali e in cui vive un'ampia fascia di popolazione in stato di semi-povertà" e che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di motivare "in ordine alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, oltre all'eventuale occasionalità della ricaduta, al fine di stabilire propensione a delinquere da parte dell'impugnante". 4.1.10. Con il decimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'attribuzione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, senza motivare, abbia implicitamente ritenuto la sussistenza delle aggravanti dell'agevolazione mafiosa e del metodo mafioso, nonostante non fosse "dato rilevare alcun elemento tale da dimostrare (...) che il Te.Sa. abbia agito al fine di agevolare l'associazione mafiosa "Cosa Nostra", né che lo stesso abbia assunto un atteggiamento tale da incutere timore e imporre la coartazione del soggetto passivo tipico del c.d. metodo mafioso". Il ricorrente rappresenta al riguardo che: a) nell'intercettata conversazione del 01/07/2016, il Te.Sa. chiedeva al De.Gi. la restituzione di propri soldi personali, come sarebbe risultato anche da un'altra conversazione tra lo stesso Te.Sa. e lo Sc.Lu.; b) non sarebbe significativa, al fine di ritenere l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, la frase "tutti i soldi in comune sono", atteso che essa "può interpretarsi nel senso che i soldi che il Sig. Te.Sa. ed altri presunti soci avevano conferito nell'impresa venivano gestiti in comune in quanto facenti parte del capitale sociale"; c) la frase "io ci ho messo un socco di soldi" significava che il Te.Sa. aveva "consegnato una propria somma di denaro rilevante e non di una moltitudine di persone, né di una presunta associazione delittuosa"; d) la frase "i piccioli della gente" andava intesa nel senso che gli interlocutori Te.Sa. e Sc.Lu. facevano presente al De.Gi. che egli "si era preso i soldi della gente, cioè i loro soldi personali e non quelli di una presunta consorteria delittuosa", con la conseguenza che "il presunto interesse per il settore delle scommesse non era finalizzato ad agevolare l'associazione mafiosa, né imporlo con il c.d. metodo mafioso"; e) l'asserito rapporto di conoscenza tra Te.Sa., Sc.Lu. e De.Gi., "pur se negativamente qualificati, non può in alcun modo comportare la prova che l'impugnante abbia posto in essere la condotta incriminata di per sé per agevolare la consorteria mafiosa". 4.1.11. Con l'undicesimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 81, secondo comma "e ss.", 132 e 133 cod. pen. e all'art. 27 Cost. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe adeguatamente motivato la determinazione della misura sia della pena base per il più grave reato di associazione di tipo mafioso sia degli aumenti per la continuazione con i reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione, pervenendo a irrogare, per tutti tali reati, delle pene eccessive e inadeguate, in relazione all'effettiva gravità dei fatti e ala "scarsa pericolosità del soggetto agente", "tenuto conto dello specifico modus operandi, del contesto familiare e sociale in cui viveva l'odierno imputato". 4.2. Il ricorso a firma dell'avv. An.Ba. è affidato a cinque motivi. 4.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., e la mancanza della motivazione con riguardo alla mancata applicazione di quest'ultima disposizione in tema di concorso tra più circostanze aggravanti a effetto speciale. Il ricorrente rappresenta che il proprio motivo di appello sul trattamento sanzionatorio era stato "implementato e illustrato con motivi nuovi espressamente incentrati sulla applicabilità al ricorrente dell'art. 63 comma 4 c.p." e lamenta che, in ordine a tale aspetto, la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso qualsiasi motivazione. Il Te.Sa. deduce che per ciascuna delle aggravanti a lui attribuite, cioè quelle di cui ai commi quarto e sesto dell'art. 416-bis cod. pen. e la recidiva reiterata specifica, da ritenere tutte a effetto speciale, il giudice di primo grado aveva applicato il relativo aumento di pena, così non osservando il disposto del quarto comma dell'art. 63 cod. pen. 4.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 533 dello stesso codice e all'art. 416-bis, primo e sesto comma, cod. pen., violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, prevista dal sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti. Il ricorrente rappresenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe preso posizione sul fatto che tale circostanza aggravante era stata esclusa dalla sentenza del 01/12/2020 del G.u.p. del Tribunale di Palermo sui partecipanti alla ricostituita "commissione". Ciò rappresentato, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata e, premessa l'inammissibilità del riferimento al fatto notorio che sarebbe stato operato dalla Corte d'appello di Palermo, deduce l'inadeguatezza della predetta motivazione in ordine all'effettivo reimpiego di profitti illeciti e l'improprietà del richiamo "alle sale "Bingo" ed alla raccolta di scommesse" (così il ricorso), in quanto esse costituirebbero "singole iniziative", non rappresenterebbero ""strutture produttive" capaci di generare "beni o servizi" del genere tutelato dall'aggravante" e sarebbero gestite in modo solo apparentemente legale ma, in realtà, illecito. Il ricorrente contesta altresì l'affermazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui "è con riferimento a "Cosa Nostra", e non alle singole unità operative, che deve essere valutata (...) anche l'esistenza delle contestate circostanze aggravanti". 4.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 533 dello stesso codice e all'art. 416-bis, primo e quarto comma, cod. pen., violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, prevista dal quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen., dell'essere l'associazione armata. Il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata al riguardo, lamentando che la Corte d'appello di Palermo avrebbe affermato la sussistenza della menzionata circostanza aggravante "su un piano meramente presuntivo anziché essere derivata da circostanze accertate in giudizio", facendo inammissibilmente leva sul fatto notorio e, comunque, argomentando in modo inadeguato in ordine sia alla materiale disponibilità di armi da parte dei partecipanti alla specifica struttura associativa in cui si sarebbe concretamente realizzata la condotta partecipativa sia in ordine alla consapevolezza di detta disponibilità, nonché trascurando il fatto che nessuno dei contestati reati-fine era stato commesso con l'uso di armi. 4.2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 648-ter 1 cod. pen., violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione. Il ricorrente contesta l'affermazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui la già ricordata sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione Iavarazzo non avrebbe escluso il concorso tra il delitto di autoriciclaggio e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di autoriciclaggio abbia a oggetto denaro beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa. Il Te.Sa. lamenta poi la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, ai fini della prova della provenienza del denaro trasferito e impiegato nell'impresa individuale "Ca.Ro." da un delitto non colposo, del fatto che l'imputato "non disponeva di propri capitali" (così il ricorso), atteso che tale argomentazione, "oltre a sottendere un inammissibile ribaltamento dell'onere probatorio", trascurerebbe il fatto che "la gran parte delle disponibilità finanziarie facenti capo alle organizzazioni mafiose proviene dall'esercizio di lecite attività imprenditoriali e che nulla esclude l'eventualità - per i singoli affiliati - di conseguire proventi da attività sommerse o da illeciti di natura contravvenzionale". Il ricorrente rappresenta in proposito come la Corte d'appello di Palermo abbia trascurato il fatto che, come era stato riferito dal collaboratore di giustizia Ga.Vi., egli era titolare di un'officina ("lavorava, aveva tipo una cosa di meccanico di macchine lattoniere, una cosa del genere"), ancorché tale attività fosse esercitata in forma "sommersa". 4.2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 99 cod. pen., inosservanza della legge penale e vizio della motivazione con riguardo all'applicazione della recidiva reiterata specifica "a due segmenti di un'unica condotta anziché a due distinti reati". Dopo avere rammentato che il reato di associazione di tipo mafioso gli era stato contestato "fino al 2 luglio 2019 (precedente condanna di Te.Sa. per 416-bis c.p. in data 18.05.2001 (...))", il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non abbia motivato in ordine alla doglianza, che era stata sollevata con il proprio atto di appello, secondo cui lo stesso contestato reato non costituiva un reato autonomo ma "il successivo segmento della condotta giudicata nel 2001" - con sentenza di condanna che aveva determinato T'interruzione" ma non la "cessazione" della permanenza - con la conseguenza che la commissione del reato in contestazione non poteva costituire il presupposto per l'applicazione della recidiva. 5. I ricorsi di Sc.Lu. Sc.Lu. ha proposto due ricorsi, uno a firma dell'avv. Vi.Gi. e uno a firma dell'avv. Di.Be.. 5.1. Il ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. è affidato a tredici motivi. 5.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 416-bis, primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen., e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione. 5.1.1.1. Sotto un primo profilo, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta sussistenza di un sodalizio di tipo mafioso. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte, in ordine a tale aspetto, da Te.Sa., nel ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.1.1. 5.1.1.2. Sotto un secondo profilo, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta sua partecipazione all'associazione di tipo mafioso. Nel citare diverse pronunce della Corte di cassazione sul tema, il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe illegittimamente ritenuto che, poiché era stata accertata, con sentenza passata in giudicato, la sua appartenenza all'associazione mafiosa, non sarebbe stato necessario "provare ex novo il fatto della partecipazione", con la conseguenza che la stessa Corte d'appello avrebbe perciò omesso di accertare, come sarebbe invece stato necessario fare, se tale partecipazione si fosse effettivamente protratta anche dopo la scarcerazione dello Sc.Lu. - sulla base di elementi che dimostrassero una nuova adesione, dopo la scarcerazione, e un apprezzabile e dinamico contributo causale teleologicamente orientato alla realizzazione degli scopi associativi - o se, invece, la stessa partecipazione fosse venuta meno per una qualsiasi causa diversa dalla collaborazione con la giustizia. In secondo luogo, il ricorrente lamenta la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia So.Sa. e deduce in proposito che la stessa Corte d'appello avrebbe omesso di operare la necessaria rigorosa valutazione della credibilità del predetto collaboratore e dell'attendibilità delle sue dichiarazioni - connotazioni che, comunque, difetterebbero nella specie, stante anche l'asserita mancanza di spontaneità e precisione delle stesse -, tenuto anche conto del fatto che il So.Sa. avrebbe appreso quanto da lui riferito da terzi, con la conseguenza che la valutazione delle dichiarazioni del collaboratore avrebbe dovuto essere compiuta anche in relazione alle fonti originarie dell'accusa. Il ricorrente rappresenta poi specificamente che: a) il So.Sa. si sarebbe limitato a riferire che aveva dedotto che lo Sc.Lu. era intraneo alla consorteria mafiosa perché era "compare di Pi.", che egli identificava come il capo mandamento di V, sostenendo che era stato lo Sc.Lu. a fare incontrare il Pi. con il Ta.Pi., senza, tuttavia, specificare "il motivo, il giorno e il luogo", così rendendo una dichiarazione astratta e generica; b) lo stesso So.Sa. aveva altresì riferito di avere appreso che lo Sc.Lu. aveva collocato delle slot machines nel Comune di V, coinvolgendolo anche in una presunta condotta estorsiva "mai accertata e riscontrata processualmente". Poiché, con tali dichiarazioni, il So.Sa. non avrebbe in realtà fatto riferimento ad alcun fatto specifico in ordine alle condotte contestate all'imputato nel capo 1) dell'imputazione e nell'arco temporale in esso indicato e poiché le circostanze riferite dal collaboratore di giustizia non avevano trovato riscontro nel processo, né il Pi. e il Ta.Pi. erano stati sentiti, ne discenderebbe che le stesse dichiarazioni si dovrebbero ritenere costituire "un mero dato neutro" e che anche la valutazione di attendibilità delle medesime si dovrebbe ritenere "superficiale". In terzo luogo, il ricorrente contesta la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, quali riscontri alle dichiarazioni del menzionato collaboratore di giustizia, sia degli incontri dell'imputato con altri sodali sia del contenuto delle conversazioni intercettate. Sotto il primo aspetto, lo Sc.Lu. lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe trascurato di considerare le doglianze, che erano state avanzate nel proprio atto di appello, circa il fatto che non vi era prova né che i menzionati incontri, in particolare quelli con il Te.Sa., il Su., il Bi., il Cl., il Ta., il Na. e il Sa., fossero effettivamente avvenuti, né, in ogni caso, delle motivazioni e dell'oggetto degli stessi. Sotto il secondo aspetto del contenuto delle conversazioni intercettate, il ricorrente contesta l'idoneità dello stesso a costituire prova della propria partecipazione all'associazione. Il ricorrente deduce in particolare che: a) con riguardo alle conversazioni del 08/11/2017 e del 11/11/2017 con il coimputato Te., che da esse non emergerebbero elementi confermativi dell'interessamento della presunta associazione mafiosa nel settore dei giochi e delle scommesse né del fatto che la stessa vi avesse investito i propri supposti proventi illeciti, e che la Corte d'appello di Palermo non si sarebbe confrontata con le deduzioni difensive dell'imputato, prospettate nel suo atto di appello, con le quali era stato evidenziato come dalla menzionate conversazioni fosse emerso che il mercato dei giochi e delle scommesse era dominato da diverse imprese che operavano nel settore (in particolare, da "Am.Fi. Giochi di Am.Fi.") e che l'impresa "Ca.Ro." generava continue perdite economiche (circostanza, quest'ultima, che sarebbe stata confermata anche dalla conversazione del 21/11/2017); b) con riguardo "all'asserito investimento dei proventi derivanti dai reati commessi in attuazione del programma delittuoso del presunto sodalizio criminoso", dalle risultanze probatorie non emergerebbe che la presunta associazione criminosa avesse tratto profitti dalle estorsioni, dal traffico illecito di sostanze stupefacenti o dall'attività del gioco e delle scommesse ("si è notato come la ditta "Ca.Ro." generasse continue perdite di esercizio"), dovendosi, altresì, considerare che lo Sc.Lu. non era stato ritenuto responsabile di alcun reato di estorsione ai danni di commercianti ed era stato assolto dal reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e dai reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 16) e 17) dell'imputazione, e che, da II'intercettata conversazione del 01/07/2016, ignorata dalla Corte d'appello di Palermo, risultava che "gli interlocutori richiedevano, ognuno per la propria parte, i propri soldi al Sig. De.Gi."; c) l'affermazione di responsabilità per i reati di autoriciclaggio e di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi, rispettivamente, 13), 14) e 15) dell'imputazione, non poteva costituire una conferma della partecipazione alla consorteria mafiosa, "in quanto si trattava di condotte delittuose di matrice esclusivamente personale e singola e non relative a un programma associativo"; d) quanto alla "vicenda della rapina alla sala bingo "Taj Mahal"", durante l'incontro del 06/07/2016 con i rapinatori sarebbe emerso "soltanto il fatto che il coimputato chiedeva spiegazioni ai rapinatori in ordine al loro comportamento riprovevole in relazione al quale uno di essi (Ma.) aveva posto in essere un comportamento aggressivo e violento nei confronti di un'impiegata della sala bingo "Taj Mahal", che peraltro era una persona cara e amica del coimputato", e lo Sc.Lu. aveva mantenuto una mera "presenza (...) passiva", non intervenendo nella conversazione intrattenuta dagli altri soggetti presenti; e) la Corte d'appello di Palermo non avrebbe adeguatamente considerato "l'episodio dell'incendio delle autovetture della ditta di onoranze funebri del ricorrente", il quale episodio, come era stato evidenziato nel proprio atto di appello, "deponeva in senso contrario ad una presunta intraneità (...) nel sodalizio criminoso", dovendosi ritenere del tutto singolare che un sodale ritenuto vicino al capo mandamento di Br. potesse subire un atto incendiario di tal genere davanti alla propria abitazione, in quello che era reputato essere il territorio di riferimento dell'associazione mafiosa cui sarebbe appartenuto. In conclusione, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, per tali ragioni, anapodittica e manifestamente illogica e avrebbe posto a fondamento della contestata affermazione di responsabilità "mere congetture e sospetti". 5.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 648-ter 1 e 416-bis 1 cod. pen., con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di autoriciclaggio aggravato in concorso di cui al capo 13) dell'imputazione. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel terzo motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.3. Con l'aggiunta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe trascurato il fatto che la famiglia dello Sc.Lu. era titolare di un'agenzia di onoranze funebri, della quale l'imputato era un impiegato e, quindi, che questi disponeva di entrate lecite, finendo così con l'attribuire allo Sc.Lu. delle entrate di denaro di provenienza illecita alle quali, in realtà, egli non aveva mai fatto riferimento nelle conversazioni intercettate. 5.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 512-bis e 416-bis 1 cod. pen., con riguardo all'affermazione di responsabilità per i reati di trasferimento fraudolento di valori in concorso di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel quarto motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.4. Con l'aggiunta che l'acquisito compendo probatorio deporrebbe "per un proscioglimento" dello Sc.Lu. dal reato di cui al capo 15) dell'imputazione in quanto: a) egli non avrebbe intrattenuto alcun rapporto con Na.Gi. e La.Pa., asseriti fittizi intestatari di (...) Srl; b) non sarebbe mai stato contattato per problematiche attinenti all'attività imprenditoriale; c) non avrebbe intrattenuto rapporti con gli esercenti presso i quali avrebbero dovuto essere installate le slot machines; d) non era menzionato nelle intercettate conversazioni riguardanti (...) Srl 5.1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), e), ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 15, 84, 512-bis, 648-ter 1 cod. pen., e agli artt. 125, 192, 521, 546 e 604, comma 4, cod. proc. pen., con riguardo "alla sussistenza del concorso apparente di norme tra i reati di trasferimento di valori e di autoriciclaggio, in ordine alle condotte addebitate all'odierno ricorrente ed erronea applicazione relativamente ai capi di incolpazione 13) e 14)". Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel quinto motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.5. Con la precisazione che il ricorrente deduce che la Corte di cassazione, a seguito della presentazione di un motivo nuovo non dedotto in appello, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto, ancorché soltanto nei limiti in cui esso sia stato storicamente ricostruito dal giudice di merito. 5.1.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c), ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 15, 84, 416-bis e 648-ter 1 cod. pen., e agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., con riguardo "alla sussistenza del concorso apparente di norme tra i reati di associazione di tipo mafioso e di autoriciclaggio in ordine alle condotte addebitate all'odierno ricorrente ed erronea applicazione relativamente ai capi di incolpazione 1) e 13)". Il ricorrente contesta che la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto, con una motivazione apparente, anapodittica, illogica e giuridicamente errata, il concorso tra il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione e il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione. Il ricorrente deduce argomentazioni identiche a quelle dedotte da Te.Sa. nel sesto motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.6. 5.1.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 75, comma 2, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e agli artt. 43, 47 e 81, secondo comma, cod. pen., con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato dì violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui al capo 27) dell'imputazione. Nel citare diversa giurisprudenza della Corte EDU, della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Corte di cassazione sul tema di detto reato, il ricorrente rappresenta che: a) "in assenza del contenuto dei dialoghi intrattenuti tra i coimputati nel corso di incontri conviviali", difetterebbe "la prova della "pericolosità" di tali episodici incontri", i quali, anche per il fatto di essere "saltuari" e "caratterizzati dalla spontaneità, senza una pregressa programmazione", non sarebbero stati "finalizzati a violare alcuna prescrizione imposta dal Giudice della prevenzione"; b) dal compendio probatorio era emerso che egli si era recato più volte nella propria casa di villeggiatura nel Comune di A, unitamente al proprio nucleo familiare, "senza per tale motivo mettere in concreto pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice de qua". Il ricorrente lamenta quindi che la Corte d'appello di Palermo non abbia escluso la sussistenza del reato in applicazione del principio di necessaria offensività, cioè senza verificare se il proprio comportamento avesse messo in pericolo o leso il bene giuridico tutelato "così da essere connotato da un'eloquente volontà di ribellione all'obbligo imposto in modo da vanificare lo scopo della misura", in assenza di "indicazioni univoche e chiare in ordine alla condotta posta in essere (...) da cui possa evincersi che la violazione sia avvenuta in concreto con l'intenzione di sottrarsi ai controlli ed al fine di tenere condotte illecite". 5.1.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis, quarto e quinto comma, cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel settimo motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.7. 5.1.8. Con l'ottavo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere il controllo finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nell'ottavo motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.8. Il ricorrente evidenzia altresì: a) che egli non era stato riconosciuto responsabile di alcun reato di estorsione perpetrato dalla presunta associazione mafiosa ai danni di commercianti ed era stato assolto, oltre che dal reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, anche dai reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 16) e 17) dell'imputazione; b) la frase, da lui pronunciata nel corso dell'intercettata conversazione del 01/07/2016, "io non ce ne metto più" (di soldi), la quale andrebbe anch'essa intesa nel senso che sia lo Sc.Lu. sia il Te.Sa. avevano consegnato una propria rilevante somma di denaro, "non facente capo ad una moltitudine di persone, né ad una presunta associazione delittuosa". 5.1.9. Con il nono motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 81, secondo comma, 99, 132 e 133 cod. pen., all'art. 27 Cost. e agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica. Il ricorrente - nell'evidenziare che, nel capo 1) dell'imputazione, il reato di associazione di tipo mafioso gli era stato contestato "fino al due luglio 2019 (precedente condanna (...) di Sc.Lu. in data 24.05.2006)" e che la Corte d'appello di Palermo ha riconosciuto la continuazione tra i reati sub iudice e quelli già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, di parziale riforma della sentenza del 05/04/2004 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007 - deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel nono motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.9. 5.1.10. Con il decimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'attribuzione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 13), 14), 15) e 27) dell'imputazione. Il ricorrente deduce argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte da Te.Sa. nel decimo motivo del suo ricorso a firma dello stesso avv. Gi., delle quali si è dato conto al punto 4.1.10. Con riguardo ai reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione, il ricorrente evidenzia anche la frase, da lui pronunciata nel corso dell'intercettata conversazione del 01/07/2016, "io non ce ne metto più" (di soldi), la quale confermerebbe anch'essa che sia lui sia il Te.Sa. avevano consegnato una propria rilevante somma di denaro "non facente capo ad una moltitudine di persone, né ad una presunta associazione delittuosa". Con riguardo al reato di cui al capo 27) dell'imputazione, il ricorrente lamenta anche la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione della Corte d'appello di Palermo, la quale avrebbe del tutto omesso di confrontarsi con la doglianza difensiva secondo cui le violazioni delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno sarebbero state poste in essere "nel proprio esclusivo interesse e non con il proprio fine di agevolare l'associazione criminale "cosa nostra" (paradigmatici, in tal senso, i riferimenti alla frequentazione della propria abitazione di villeggiatura sita ad A o, ancora, di ristoranti e agriturismi, in alcun modo riconducibili alla consorteria)". 5.1.11. Con l'undicesimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 81, secondo comma "e ss.", 132 e 133 cod. pen. e all'art. 27 Cost. "in ordine all'illegittima individuazione del reato più grave, alla quantificazione della pena e del calcolo stabilito per il reato continuato e le circostanze aggravanti". Il ricorrente deduce anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe dovuto "scorporare" i reati posti in continuazione già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, di parziale riforma della sentenza del 05/04/2004 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007, "e comparare questi con quelli di cui alla sentenza impugnata, al fine di individuare la proporzionalità degli aumenti e anche il reato più grave e motivare sulla consistenza di ciascun aumento per i reati-satellite", e lamenta che la stessa Corte d'appello "non ha specificamente motivato circa la determinazione della pena, omettendo di indicare, nel dettaglio, non solo i singoli aumenti per ciascuno dei reati posti in continuazione previo "scorporo", allo scopo di verificare la proporzionalità dei singoli aumenti, di ciascuno di essi ma, altresì, le ragioni giustificative degli aumenti operati", avendo "optato per un aumento non contenuto né proporzionato rispetto alla pena base". In secondo luogo, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe errato nell'individuare quale reato più grave quello sub iudice di cui al capo 1) dell'imputazione "in ragione dell'inasprimento della pena edittale, nonché della contestata recidiva ex art. 99 comma IV c.p.", atteso che, al fine di detta individuazione, "avrebbe dovuto comparare la gravità in concreto delle singole condotte e non limitarsi a fare una rilevazione relativa alla pena vigente nel singolo momento in cui i reati posti in continuazione sono stati commessi"; comparazione sulla base della quale il reato più grave avrebbe dovuto essere ritenuto quello associativo già giudicato, "perché la condotta posta in essere dall'odierno imputato aveva un disvalore maggiore, per la caratura dei soggetti coinvolti, per i fatti e le dinamiche emersi nell'ambito del pregresso processo, per l'intensità del dolo e la durata della condotta delittuosa, per la commissione del reato-fine di estorsione, per il ruolo ricoperto in seno alla famiglia di Co.". 5.1.12. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 62-bis, 63, quarto comma, 81, secondo comma, 132 e 133 cod. pen. e all'art. 27 Cost. Sotto un primo profilo, il ricorrente contesta la motivazione con la quale la Corte d'appello di Palermo, in ragione dell'"assenza di elementi positivamente valutabili" e "della elevata offensività della condotta ascritta all'imputato", ha confermato il diniego allo stesso delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente rappresenta al riguardo come la gravità del reato non si possa ritenere di ostacolo alla concessione del detto beneficio e come la Corte d'appello di Palermo, nel negarlo, avrebbe omesso di valutare gli elementi positivi, che erano stati evidenziati dalla propria difesa, della sua età anziana, delle sue gravi condizioni di salute (che avevano portato alla sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari e che ne comprovavano la "scarsa pericolosità"), della sua "situazione familiare", del suo contesto socio-ambientale di vita e del "percorso rieducativo intrapreso (...) nell'espiazione della pena". Sotto un secondo profilo, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di motivare in ordine al percorso logico-giuridico che aveva seguito nel determinare la misura della pena irrogata, la quale sarebbe "inadeguata e sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti e non idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del reo". Sotto un terzo profilo, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe erroneamente applicato il quarto comma dell'art. 63 cod. pen. Lo Sc.Lu. rammenta che la misura della pena è stata così determinata: a) pena base 12 anni di reclusione per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. aggravato ai sensi del quarto comma dello stesso articolo; b) aumento di un terzo (quindi, di 4 anni di reclusione, arrivando così a 16 anni di reclusione) per la circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen.; c) ulteriore aumento di 2 anni di reclusione, ai sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen. per la recidiva reiterata specifica (arrivando così a 18 anni di reclusione). Ciò rammentato, il ricorrente afferma l'erronea applicazione del quarto comma dell'art. 63 cod. pen. in quanto la Corte d'appello di Palermo, a norma di tale comma, "avrebbe potuto operare solo un aumento facoltativo di un terzo". Sotto un quarto profilo, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo: a) avrebbe omesso di argomentare in ordine agli aumenti di pena, ai sensi del secondo comma dell'art. 81 cod. pen., "in modo distinto per i reati meno gravi"; b) nel riconoscere la continuazione con i reati già giudicati con la menzionata sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, non avrebbe "operato una riduzione degli aumenti per i reati-satellite posti in continuazione, così apparendo irragionevole e sproporzionato un simile trattamento sanzionatorio dal momento che veniva, in sede di appello, ritenuto responsabile di una condotta sanzionata in maniera più mite e, per l'effetto, dovevano essere rivisti gli aumenti per le altre condotte poste in continuazione"; c) ribadisce che, come già dedotto con l'undicesimo motivo, la Corte d'appello di Palermo avrebbe dovuto "scorporare" i reati posti in continuazione già giudicati "e comparare questi con quelli di cui alla sentenza impugnata, al fine di individuare la proporzionalità degli aumenti e anche il reato più grave e motivare sulla consistenza di ciascun aumento per i reati-satellite". 5.1.13. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 132, 133, 202, 203, 228, 230 e 233 cod. pen. e all'art. 27 Cost., per avere la Corte d'appello di Palermo confermato l'applicazione, nei propri confronti, delle misure di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni e del divieto di soggiorno nella Provincia di Palermo. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, con l'affermare al riguardo che "trattasi di misura obbligatoria e determinata nella sua durata dall'art. 230 comma uno n. 1) c.p. in relazione alla pena detentiva inflitta all'imputato superiore a dieci anni di reclusione e quindi in misura non inferiore ad anni tre", si sarebbe sottratta all'obbligo - che sarebbe previsto anche per l'applicazione di misura di sicurezza nel caso di condanna per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p., ai sensi dell'art. 417 dello stesso codice - di motivare in ordine al positivo accertamento della pericolosità sociale del condannato. Inoltre, la citata motivazione della Corte d'appello di Palermo non potrebbe valere per la misura di sicurezza del divieto di soggiorno nella Provincia di Palermo, atteso che "l'applicazione di quest'ultima misura è discrezionale, cosicché il Giudice di merito avrebbe dovuto motivare sul punto le ragioni di una siffatta condanna"; motivazione che, invece, difetterebbe anche in ordine alla pericolosità sociale del condannato Sc.Lu. 5.2. Il ricorso a firma dell'avv. Di.Be. è affidato a undici motivi. 5.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. Il ricorrente sostiene anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe illegittimamente ritenuto che, poiché era stata accertata, con sentenza passata in giudicato, la sua appartenenza all'associazione mafiosa, non sarebbe stato necessario "provare ex novo la partecipazione all'associazione mafiosa", atteso che tale partecipazione deve essere, invece, "dimostrata, senza avvalersi di automatismi e presunzioni, nella sua concretezza e con riferimento al periodo della imputazione". A proposito di tale necessaria dimostrazione, il ricorrente asserisce che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe indicato, in concreto, in che modo gli elementi da essa valorizzati potessero dimostrare la sua partecipazione all'associazione, nei necessari termini di un ""apporto quotidiano"" e di un "inserimento stabile ed organico", e contesta, in particolare, che tale dimostrazione potesse risultare sulla scorta del contenuto delle dichiarazioni che erano state rese dal collaboratore di giustizia So.Sa. durante il suo interrogatorio del 19/06/2016 e dei propri incontri con altri presunti sodali, atteso anche che tali incontri, il più delle volte, erano rimasti ""muti"", in quanto non accompagnati da intercettazioni. Il ricorrente contesta poi la valorizzazione, in termini accusatori, del contenuto dell'intercettata conversazione del 30/01/2015 tra egli stesso e Da.Cl. - nel corso della quale quest'ultimo diceva allo Sc.Lu.: "se tu hai bisogno di me, nel mio piccolo" - e deduce in proposito che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe spiegato quale valenza si potesse attribuire, al fine di provare la propria reintroduzione nel sodalizio, al "mero riconoscimento di disponibilità da parte di un conoscente dello Sc.Lu., una volta che quest'ultimo aveva scontato il proprio periodo di detenzione" (disponibilità che "peraltro (...) avrebbe potuto essere stata legata a convinzioni dell'interlocutore dello Sc.Lu. ingenerate dalla sue condotte pregresse, oggetto del precedente giudizio)". Lo Sc.Lu. sostiene poi, con riguardo alla valorizzazione dei propri incontri con altri soggetti che avrebbero asseritamente fatto parte del sodalizio, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello di Palermo, la mancata conoscenza delle conversazioni che ebbero luogo durante tali incontri, per non essere state le stesse intercettate, renderebbe "gli stessi logicamente inutilizzabili, potendo questi ultimi avere avuto - come è effettivamente accaduto - un tenore di tutt'altro tipo, totalmente estraneo alle logiche ed alle dinamiche dell'associazione mafiosa". Né, sempre contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello di Palermo, si comprenderebbe "come il distanziamento tra gli interlocutori o il fatto che alcuni incontri siano avvenuti in appartamenti o in luoghi privati possa essere sintomatico di una afferenza delle conversazioni effettuate alle questioni tipiche del sodalizio". Quindi, la Corte d'appello di Palermo avrebbe "adottato un ragionamento prettamente presuntivo, conferendo valore probatorio a dati del tutto privi di tale significato". Il ricorrente sostiene ancora che, come aveva rappresentato nel proprio atto di appello, i cui rilievi sarebbero stati ignorati dalla Corte d'appello di Palermo, nelle rare occasioni in cui furono effettuate delle intercettazioni delle conversazioni che ebbero luogo nel corso dei menzionati incontri, "queste si rivelano in concreto poco comprensibili o comunque neutre". Dopo avere rammentato che, nel proprio atto di appello, aveva dedotto come egli fosse rimasto estraneo alle fattispecie estorsive che erano state contestate ad altri coimputati e fosse stato assolto dal reato dì traffico illecito di sostanze stupefacenti, oltre che dai reati di trasferimento illecito di valori di cui ai capi 16) e 17) dell'imputazione, lo Sc.Lu. contesta la motivazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui tale rilievo non coglierebbe nel segno "avendo l'imputato riportato condanna per i delitti di cui agli artt. 648-ter e 512-bis c.p. contestati ai capi 13), 14) e 15)", atteso che queste ultime fattispecie di reato si dovevano ritenere avere "matrice esclusivamente personale, in alcun modo elevabili a elementi di conferma di una partecipazione dell'odierno ricorrente al sodalizio mafioso", e che la risposta della Corte d'appello di Palermo allo stesso rilievo sarebbe comunque "approssimativa e dunque solo apparente". Il ricorrente deduce infine che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe riconosciuto adeguato rilievo all'episodio dell'incendio delle autovetture intestate all'impresa di onoranze funebri a lui riconducibile, episodio che si porrebbe "in palese contrasto con l'impostazione della Corte, secondo la quale l'imputato sarebbe un soggetto molto vicino al capo mandamento di Br.". Lo Sc.Lu. contesta la motivazione resa al riguardo dalla Corte d'appello di Palermo ("potendo invece l'episodio inserirsi agevolmente nel gioco dei rapporti di forza all'interno della famiglia mafiosa"), in quanto fondata "sulla base di una ipotesi (...) non supportata - e non sorretta dal punto di vista motivazionale - da elemento alcuno". 5.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, della sussistenza della circostanza aggravante, di cui al quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen., dell'essere l'associazione armata. Il ricorrente lamenta anzitutto che sarebbero inconferenti, alla luce della citata giurisprudenza della Corte di cassazione, i riferimenti, operati dalla Corte d'appello di Palermo, "alla "notorietà" della stabile dotazione di armi da parte del sodalizio "cosa nostra" per giustificare, in ossequio ad inaccettabili automatismi, l'applicazione dell'aggravante al singolo appartenente". Il ricorrente deduce poi che gli elementi addotti dalla stessa Corte d'appello di Palermo al fine di "corroborare il c.d. fatto notorio della disponiblità di armi da parte di "cosa nostra"" sarebbero "incongrui", tanto da configurare una motivazione meramente apparente, in quanto basata su "di un ragionamento meramente presuntivo". Il ricorrente rappresenta al riguardo, anzitutto, che sarebbero "privi di concreto valore probatorio" gli elementi costituiti dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Va.Pa. e dal contenuto di alcune intercettate conversazioni tra soggetti asseritamente facenti parte del sodalizio (tra Va.Pa., Ro. e Li.Ma.; tra Di.Sa. e la cognata Pi.Ma.; tra Di.Sa. e il cognato Co.Sa.), atteso che si trattava di "affermazioni rese da soggetti terzi, in alcun modo riconducibili allo Sc.Lu. ed alle quali non ha fatto peraltro seguito alcun riscontro concreto" -avendo la stessa sentenza impugnata dato atto che la perquisizione che era stata effettuata nell'abitazione dei Ro. aveva avuto esito negativo - e, quindi, di elementi inidonei a dimostrare che lo Sc.Lu. avesse avuto contezza diretta della dotazione di armi o l'avesse colpevolmente ignorata. Parimenti, sarebbero inidonei a giustificare l'applicazione della circostanza aggravante de qua il contenuto dell'intercettata conversazione tra Ro.Pa. e suo padre Ro.Pi. e il fatto che, a seguito dell'arresto del Ta.Pi., lo Sc.Lu. e Te.Sa. avrebbero sostituito lo stesso Ta.Pi. nella gestione degli affari inerenti alla famiglia di Co.. Il ricorrente rappresenta in proposito che: a) la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sua assoluzione dal delitto di direzione e promozione dell'associazione mafiosa, ruolo che, comunque, non potrebbe, da sé solo, costituire prova della disponibilità di armi da parte del sodalizio e della consapevolezza di ciò da parte dell'imputato; b) quanto alla menzionata intercettata conversazione tra Ro.Pa. e Ro.Pi., in cui egli viene menzionato, si tratterebbe "di una intercettazione dal contenuto decisamente lacunoso e vago, in alcun modo idonea a provare l'asserita disponibilità di armi da parte dell'odierno ricorrente o comunque la mera consapevolezza, da parte di quest'ultimo, in ordine al relativo possesso da parte degli altri associati", e che sarebbe assolutamente illogico considerare quale elemento a proprio carico una captazione nel corso della quale gli stessi interlocutori definiscono "minchiate" i racconti su armi nella disponibilità dello Sc.Lu. o, comunque, del sodalizio. 5.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, della sussistenza della circostanza aggravante, di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, disattendo anche la citata giurisprudenza della Corte di cassazione sul tema della menzionata circostanza aggravante: a) avrebbe omesso "di fornire l'indicazione di una prova puntuale e concreta dell'immissione, da parte dell'odierno ricorrente, di capitale di provenienza delittuosa nelle attività economiche" del settore delle slot machines, ritenendo dimostrata tale immissione sulla base di captate affermazioni proprie ("I picciuli della gente... G.") e di Te.Sa. ("tutti i soldi in comune sono") "generiche e decontestualizzate"; b) avrebbe affermato in modo del tutto sommario e anapodittico, in assenza di richiami a prove concrete, che l'attività a sé riconducibile avrebbe alterato la concorrenza e il mercato delle cosiddette "macchinette", finendo per prevalere sulle altre presenti nello stesso territorio. Posto che la Corte d'appello di Palermo ha valorizzato anche quanto da essa considerato in ordine all'affermazione di responsabilità per i reati di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione, il ricorrente richiama anche le doglianze, "da intendersi qui riportate", svolte nei successivi motivi relativi a tali affermazioni di responsabilità. 5.2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'affermazione di responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione. Dopo avere argomentato che, con riguardo a tale affermazione di responsabilità, non ricorrerebbe una cosiddetta "doppia conforme" e avere in particolare precisato che la Corte d'appello di Palermo ha individuato, quale delitto presupposto dell'autoriciclaggio, esclusivamente quello di associazione mafiosa, il ricorrente contesta anzitutto l'errata applicazione dell'art. 648-ter 1 cod. pen. con riguardo all'affermazione della stessa Corte d'appello secondo cui "appare sufficiente che agli stessi imputati sia stato contestato (...) il delitto di cui all'art. 416-bis c.p.", atteso che, così ritenendo, si verrebbe a "creare una sorta di automatismo tra la contestazione del reato associativo e l'investimento in attività economiche - con modalità tali da integrare il delitto di autoriciclaggio - dei proventi del delitto associativo (che avrebbero dovuto essere, quantomeno, previamente individuati)". In secondo luogo, lo Sc.Lu. lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe motivato in modo solo apparente in ordine all'elemento del reato di autoriciclaggio costituito, in particolare, dall'immissione di utili di provenienza illecita derivanti dalla partecipazione al sodalizio mafioso nell'attività economica relativa alla gestione delle slot machines. In terzo luogo, il ricorrente deduce che la Corte d'appello di Palermo avrebbe del tutto omesso di tenere conto di due doglianze, che erano state prospettate nel proprio atto di appello e che avrebbero dovuto indurre a escludere la propria responsabilità, costituite dalla rappresentazione dei fatti che: a) non gli era imputato l'investimento di una somma di denaro determinata (come era per il coimputato Te.Sa.) ma di "una somma non meglio specificata" (così il capo d'imputazione); b) la propria famiglia era titolare di una nota agenzia di pompe funebri, presso la quale egli era impiegato, fonte di redditi acclarati, consistenti e, evidentemente, leciti. 5.2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'affermazione di responsabilità per i reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15 dell'imputazione. Il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo, in contrasto con l'orientamento della citata giurisprudenza della Corte di cassazione, avrebbe ritenuto la propria responsabilità per i predetti due reati sulla base del solo preteso esercizio, da parte propria, di un potere gestorio dei beni - il quale sarebbe stato peraltro comunque affermato sulla base di una motivazione meramente apparente - in difetto, non solo di accertamenti di natura patrimoniale, ma anche di elementi specifici, non indicati nella motivazione della sentenza impugnata, idonei a dimostrare la provenienza delle risorse asseritamente investite e la riconducibilità di esse all'imputato. Con specifico riguardo al reato di cui al capo 14) dell'imputazione, il ricorrente afferma l'inidoneità degli elementi valorizzati dalla Corte d'appello di Palermo ai fini della conferma della sua affermazione di responsabilità. In particolare, con riguardo al contenuto delle conversazioni intercettate, lo Sc.Lu. deduce che queste sarebbero "poco chiare, inserendosi spesso in contesti connotati da tratti incerti ed espressioni incomprensibili, per tali ragioni, in alcun modo idonee a sorreggere l'accusa" e, specificamente, che, come era stato osservato nel proprio atto di appello, restato, sul punto , senza risposta: a) la frase di Te.Sa. "tutti i soldi in comune sono", "si inserisce in tutta evidenza in un quadro poco chiaro, tra espressioni prive di significato e riferimenti a un "ragazzo" che non c'è più e ad altri terzi soggetti"; b) le frasi del Te.Sa. "Cioè come... ci ho messo un sacco di soldi" e dello Sc.Lu. "Io non ce ne metto più" costituirebbero "una evidente riproposizione indiretta di quanto detto dal De.Gi., il quale sosteneva per l'appunto di avere immesso denaro nella società e di non volerne mettere più, tant'è che Te.Sa. concludeva asserendo "Non ce ne mettono più? Ma stiamo impazzendo?""; c) la frase "i picciuli della gente" sarebbe "poco chiara", sicché da essa non sarebbe "possibile dedurre - se non con un inaccettabile salto logico (...) - la prova di una qualsivoglia immissione di capitale nell'impresa da parte degli imputati". Il ricorrente contesta ancora la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, del fatto che, dopo un incontro nel magazzino dell'impresa "Ca.Ro.", egli e il Di.Pi. venivano trovati dalla Polizia in possesso, rispettivamente, di Euro 950,00 e di Euro 2.050,00, atteso che si tratterebbe "di somme con tutta evidenza non particolarmente ingenti, delle quali i due soggetti potevano ovviamente disporre per altre ragioni (...) certamente non collegate all'incontro precedentemente intercorso". Con riguardo al reato di cui al capo 15) dell'imputazione, il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe desunto la propria responsabilità dal fatto che egli "abbia messo in contatto Mi.Al. con Nu.Gi., titolare del magazzino di Corso (omissis) n. (omissis), così agevolando la ricerca di un locale ove esercitare l'attività di impresa e favorendo la stipulazione del contratto di locazione tra le parti" (così il ricorso), il che, tuttavia, evidenzierebbe un proprio ruolo "notevolmente limitato e marginale", del tutto inidoneo a dimostrare che egli avesse un interesse in (...) Srl, che vi avesse investito risorse proprie e ne fosse l'effettivo titolare. Il ricorrente contesta poi l'affermazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui dalle risultanze istruttorie si desumerebbe che i capitali per la costituzione della menzionata società furono forniti dallo Sc.Lu. e da Te.Sa. ed evidenzia al riguardo che: a) le risultanze istruttorie non lo riguardavano, salvo che per la già contestata "questione dell'affitto dei locali"; b) il valorizzato dialogo "in cui si parlava di tale F.", avrebbe un "contenuto assai vago e poco comprensibile" e la Corte d'appello di Palermo non chiarirebbe "da dove dovrebbe risultare che gli interlocutori si riferiscano alla (...), all'epoca (1.7.2016) neppure costituita". La Corte d'appello avrebbe poi del tutto trascurato quanto era stato rilevato nel proprio atto di appello riguardo ai fatti che egli: a) "non intratteneva alcun rapporto con Na.Gi. e La.Pa."; b) "non veniva mai contattato per problematiche riguardanti l'attività"; c) "non aveva mai avuto rapporti con i titolari delle attività commerciali presso le quali erano state collocate le macchinette"; d) "non veniva mai menzionato, neppure nei dialoghi concernenti la società valorizzati in chiave accusatoria". 5.2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'applicazione della recidiva, nonostante il riconoscimento della continuazione con i reati per i quali era stata pronunciata sentenza passata in giudicato (resa nell'ambito del procedimento cosiddetto "Ghiaccio"). Il ricorrente deduce - citando anche, in tale senso, Sez. 5, n. 5761 del 11/03/2010, dep. 2011, Melfitano, Rv. 249255-01 - l'incompatibilità tra recidiva e continuazione, come risulterebbe dal fatto che la continuazione è istituto "volto a considerare, agli effetti penali ed in un'ottica di minor disvalore, quale un unico reato plurime condotte poste in essere dall'agente, anche in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso", e contesta l'affermazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui la compatibilità tra i due istituti sarebbe confermata dal quarto comma dell'art. 81 cod. pen., atteso che tale disposizione "non riguarda in alcun modo l'applicazione della recidiva per il secondo reato in continuazione e non attiene affatto, dunque, alla questione della compatibilità tra recidiva e continuazione". Lo Sc.Lu. evidenza poi che, nel caso di specie, "si è in presenza - come riconosciuto nella stessa statuizione impugnata - di un'unica condotta permanente di fatto protrattasi nel tempo, proseguendo "senza soluzione di continuità" (così a pag. 483 della sentenza) anche dopo la prima condanna, rispetto alla quale la contestazione di due diversi reati è legata esclusivamente ad una fictio iurìs", sicché, "specie in considerazione di ciò, l'applicazione della recidiva avrebbe dovuto essere oggetto di una specifica motivazione, mentre la Corte vi dedica solo poche righe, con considerazioni di solo stile, che rendono la motivazione meramente apparente". 5.2.7. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'applicazione di tutte le aggravanti di cui al quarto e al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. e della recidiva, in violazione dell'art. 63, quarto comma, cod. pen. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo abbia confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Palermo nella parte in cui questo aveva applicato gli aumenti di pena prima per la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen., poi per la circostanza aggravante di cui al sesto comma dello stesso articolo e, infine, per la recidiva, laddove, invece, ai sensi del quarto comma dell'art. 63 cod. pen., "solo uno dei tre aumenti (...) sarebbe stato, in astratto, legittimo, mentre per l'ulteriore aumento, meramente facoltativo per espressa previsione di legge, la scelta di applicarlo avrebbe dovuto essere adeguatamente motivata", "specie in considerazione del fatto che la difesa aveva lamentato l'immotivata valutazione compiuta sul punto dal primo giudice". 5.2.8. Con l'ottavo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., anche con riferimento all'art. 125 dello stesso codice, l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. con riguardo ai reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine al proprio motivo di appello (il quarto) con il quale aveva dedotto l'insussistenza, con riferimento ai due menzionati reati di trasferimento fraudolento di valori, della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. (che, nel capo d'imputazione, gli era stata contestata sia come metodo mafioso sia come agevolazione mafiosa). 5.2.9. Con il nono motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma, da parte della Corte d'appello di Palermo, del diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, nel confermare tale diniego, avrebbe motivato in modo solo apparente, non avendo considerato quanto la propria difesa "aveva posto all'attenzione della (stessa) Corte", cioè che "i precedenti penali non possono essere utilizzati quale presupposto sulla base del quale negare la concessione delle attenuanti" e che la propria "posizione (...) fosse già stata ampiamente ridimensionata". Lo Sc.Lu. lamenta altresì la violazione del divieto di bis in idem sostanziale per avere la Corte d'appello di Palermo valutato due volte la propria ricaduta nel reato, sia per applicare "la relativa circostanza" (id est: la recidiva) sia per escludere le circostanze attenuanti generiche. 5.2.10. Con il decimo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo all'applicazione di una pena asseritamente eccessivamente elevata, in violazione degli artt. 81 e 133 cod. pen. Il ricorrente lamenta che la "conferma della pena inflitta" sarebbe "viziata" in quanto gli sarebbe stato "riconosciuto un ruolo non significativo all'interno del sodalizio criminale "cosa nostra"" e che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe motivato in ordine alla congruità della pena irrogata e sugli aumenti per la continuazione se non ricorrendo a mere clausole di stile, quale si dovrebbe ritenere l'argomentazione "tenuto conto dei criteri soggettivi e oggettivi di cui all'art. 133 c.p." (pag. 484 della sentenza impugnata). 5.2.11. Con l'undicesimo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge e la mancanza della motivazione con riguardo alla conferma dell'applicazione delle misure di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni e del divieto di soggiorno nella Provincia di Palermo. Il ricorrente contesta la motivazione della Corte d'appello di Palermo secondo cui "trattasi di misura obbligatoria e determinata nella sua durata dall'art. 230 comma 1 n. 1) c.p. in relazione alla pena detentiva inflitta all'imputato superiore ad anni dieci di reclusione e dunque non inferiore ad anni tre" e deduce in proposito che tale motivazione sarebbe, anzitutto, incompleta, in quanto afferisce alla sola misura di sicurezza della libertà vigilata, e, in secondo luogo, errata, in quanto non terrebbe conto dei principi, affermati dalla Corte di cassazione, secondo cui, dopo la novella di cui all'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nell'applicazione delle misure di sicurezza, esclusi qualsiasi automatismo e presunzione, è sempre necessario accertare in concreto la pericolosità del condannato. Il denunciato vizio di motivazione sarebbe "ancor più grave" con riguardo all'applicazione del divieto di soggiorno di cui all'art. 233 cod. pen., atteso che tale misura di sicurezza è, per espressa previsione normativa, facoltativa. 5.2.12. In conclusione del proprio ricorso, lo Sc.Lu. chiede che, nel caso di annullamento della sentenza impugnata cui consegua una rideterminazione della pena per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., venga annullata anche la statuizione della stessa sentenza che ha individuato tale reato come il più grave tra quelli posti in cntinuazione. 6. Il ricorso di Ma.Vi., a firma dell'avv. Ma.Mo., è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., I'"insufficienza della motivazione". Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe "esplicitato chiaramente i criteri di valutazione che sulla base di quelle prove (che sorreggevano la sua decisione) consentono di pervenire alle conclusioni alle quali è pervenuta", atteso che "nella impugnata sentenza in poche righe si dà atto della colpevolezza dell'odierno ricorrente (...) senza che vi sia un percorso motivazionale a tal proposito" e senza considerare le specifiche doglianze che erano state avanzate dall'imputato. Il ricorrente, "(i)n via subordinata", "chiede la riforma dell'impugnata sentenza escludendo l'aumento per la contestata recidiva". 7. Il ricorso di Di.Pi., a firma dell'avv. DE.SP., è affidato a quattro motivi. 7.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 192 dello stesso codice e agli artt. 416-bis e 629 cod. pen. e all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, che la Corte d'appello di Palermo abbia confermato l'affermazione della sua responsabilità per i reati di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione, estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione e traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione. 7.1.1. Quanto al primo reato di partecipazione a un'associazione mafiosa, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo si sarebbe limitata a un'opera di copia-incolla della sentenza di primo grado, senza motivare "sulle doglianze difensive" e senza, comunque, riuscire a evidenziare elementi tali da giustificare l'affermazione di responsabilità. Il ricorrente contesta anzitutto la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, delle dichiarazioni che erano state rese dai collaboratori di giustizia So.Sa. e Bi. Quanto, in particolare, a quelle di quest'ultimo, la Corte d'appello di Palermo, col ritenere che egli avrebbe indicato l'imputato come alter ego del suocero Sc.Lu. (pag. 155 della sentenza impugnata), non avrebbe considerato che le dichiarazioni del Bi. "sono state di altro tenore". Ciò in quanto il Bi.: "dichiara di conoscerlo fotograficamente, quando, in realtà, lo scambia per un altro"; solo "dopo averne sentito il nome", afferma che il Di.Pi. "è contiguo al suocero" (così il ricorso), concetto, quello di contiguità, che "non equivale ad intraneità", la quale richiede "il fattivo contributo per l'intera organizzazione"; afferma che "non gli risulta (che egli sia) uomo d'onore" (così il ricorso); riferisce che il Di.Pi., quando lo Sc.Lu. "parlava con determinati soggetti o in di lui presenza", si allontanava, senza che, peraltro, dal contenuto delle effettuate intercettazioni tra presenti, fosse emerso che egli fosse a conoscenza del contenuto dei dialoghi, neanche per essergli stato riferito dal suocero. Secondo il ricorrente, pertanto, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che non lo avrebbero indicato come uomo d'onore, ma soltanto come vicino al suocero Sc.Lu., sarebbero state "più che riscontrate, (...) interpretate". Il Di.Pi. sottolinea ancora come la Corte d'appello di Palermo avrebbe trascurato di valorizzare il dato che il collaboratore di giustizia Co. aveva affermato di non conoscerlo. In secondo luogo, il Di.Pi. contesta la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'elemento che egli avrebbe accompagnato il suocero Sc.Lu. nei luoghi di presunti incontri con altri sodali. Il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, egli non si era mai trattenuto all'esterno dei predetti luoghi, garantendo la sicurezza degli incontri, atteso che, come sarebbe emerso dai foto-filmati, egli lasciava il suocero nei luoghi degli incontri, andava via e tornava poi a riprenderlo, con la conseguenza che la Corte d'appello di Palermo avrebbe "attribuito un dato probatorio diverso da quello reale". Il ricorrente rappresenta che nessuna delle conversazioni tra presenti intercettate avrebbe "valenza investigativa" e, in particolare, che "non si ha una sola intercettazione in cui il di lui suocero si sfoghi o renda partecipe il Di.Pi. del contenuto di tali fantomatiche riunioni mafiose". Nella parte finale dell'esposizione del motivo, il ricorrente, dopo avere esposto gli orientamenti della Corte di cassazione sugli elementi necessari per potere ritenere la sussistenza del reato di partecipazione a un'associazione mafiosa, deduce che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe motivato con riguardo agli stessi e, segnatamente, al suo inserimento organico nel sodalizio, suggellato dalla volontà di inclusione da parte di esso, e al contributo causale da lui prestato all'esistenza dell'associazione, rappresentando, altresì, che l'attribuzione dei reati-fine "esula dalla di lui intraneità in Cosa Nostra". Il ricorrente rappresenta ancora che, quando le intercettazioni risultano parzialmente incomprensibili o, comunque, poco chiare, il giudice che le ponga a fondamento della propria decisione dovrebbe spiegare "le ragioni che lo inducono a giungere a determinate conclusioni". 7.1.2. Quanto al reato di estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione, il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di considerare, come sarebbe stato necessario fare, le dichiarazioni che erano state rese dalia persona offesa dal reato An.Ni. il 22/11/, "il quale in maniera cristallina ha dichiarato che è stata una sua iniziativa rintracciare il proprietario del motore sottratto dal figlio". Il ricorrente deduce altresì che, nel caso di specie, difetterebbero "i profili oggettivi del reato", atteso che, da quanto era emerso dal compendio probatorio, egli "si è convinto di potere accettare l'offerta risarcitoria propostagli dalla persona offesa, ritenendo di avere subito un ingiusta (s/c) per il furto subito". 7.1.3. Quanto al reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione, il ricorrente deduce la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione là dove la Corte d'appello di Palermo afferma: "e che l'acquisto effettuato dal Di.Pi. avvenisse nell'interesse della famiglia di Co. è dimostrato da alcune conversazioni intercettate e segnatamente quella del 15.11.2017 h. 11,18 prog. 96, (...) tra Te.Sa. e Sc.Lu. in cui i due fanno riferimento a un debito di un soggetto nei confronti di Sc.Lu. per il rifornimento di un panetto" (pag. 159). I menzionati vizi della motivazione discenderebbero, secondo il ricorrente, dai fatti che: a) lo Sc.Lu. era stato assolto dal reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti; b) "viene valorizzata l'ipotesi di un debito per un panetto, quando al Di.Pi. viene contestato il primo comma dell'art. 73 D.P.R. 309/90, ovvero droga pesante". 7.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza "o comunque genericità" della motivazione relativamente alla mancata della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alla mancata concessione di dette circostanze attenuanti, le quali, in ragione "della marginalità del ruolo contestato", "della personalità dell'imputato", delle "condizioni di vita familiari e sociali", della "scarsa entità del dolo" e delle "modalità dell'azione", "avrebbero dovuto essere concesse". 7.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui ai commi quarto (essere l'associazione armata) e sesto (essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) dell'art. 416-bis cod. pen. 7.3.1. Quanto alla prima di tali circostanze aggravanti, il ricorrente, dopo avere esposto gli orientamenti della Corte di cassazione sul tema - i quali, a suo avviso, farebbero emergere l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale -, sull'assunto che "non è possibile caratterizzare ipso iure un'associazione come armata se ciò non sia provato da ingenti quantità di armi di disponibilità comune. Quindi dovrà essere provata l'esistenza della conservazione delle armi unitamente all'esatta individuazione del luogo interessato e si aggiunge anche del reale utilizzo delle armi da parte dell'imputato", lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante relativamente alla propria posizione, in quanto la Corte d'appello di Palermo avrebbe, "in maniera palesemente generica, (...) enunciato cosa si intende e quando ricorre tale aggravante senza tuttavia, soffermarsi e fornire, quindi una motivazione riguardo al ricorrente". 7.3.2. Quanto alla seconda delle menzionate circostanze aggravanti, il ricorrente deduce che la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Palermo resa nell'ambito del procedimento penale n. 12644/2016 N.R. cosiddetto "Mare Dolce 1" e la sentenza della Corte d'appello di Palermo resa nell'ambito del procedimento penale n. 2390/2020 cosiddetto "Mare Dolce 2" avrebbero escluso la sussistenza della predetta aggravante, sicché, poiché tali procedimenti sarebbero "strettamente connessi" a quello sub iudice, non si comprenderebbe "la differenza di trattamento motivazionale tra le tre sentenze, pur facendo parte dello stesso troncone di indagine". Dopo avere argomentato che "non è possibile imputare oggettivamente il reinvestimento di somme di denaro ai singoli consociati in mancanza di una verifica circa la disponibilità economica concreta", il ricorrente lamenta poi che "(n)on si ha in atti alcuna motivazione riguardo le doglianze difensive, riguardanti proprio la figura" dello stesso ricorrente. 7.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l'"omessa motivazione in relazione all'art. 378 c.p.". Il Di.Pi. deduce che la Corte d'appello di Palermo avrebbe "omesso di motivare l'ipotesi delittuosa alternativa prospettata dalla difesa, in punto di diritto, ovvero quella di favoreggiamento che rispecchiava pienamente, l'eventuale condotta illecita posta in essere dal ricorrente in difformità dalla prospettazione accusatoria della di lui intraneità in Cosa Nostra". Il ricorrente espone anzitutto i tratti differenziali tra i reati di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso e di favoreggiamento personale, anche con riferimento all'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 378 cod. pen., precisando che quest'ultimo reato sarebbe caratterizzato dalla coscienza e volontà di aiutare taluno degli associati ad eludere le investigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa, senza che l'agente, con il suo comportamento, contribuisca all'esistenza o al rafforzamento dell'associazione criminosa nel suo complesso, di questa non facendo, perciò, patte. Il ricorrente sostiene poi che, "anche a voler seguire l'impostazione accusatoria, alla luce delle risultanze d'indagine, non v'è chi non veda l'assoluta insussistenza dell'aggravante a effetto speciale di cui all'art. 7 L. 203/91" (recte: del d.l. 13 maggio 1991, n. 152), atteso che "gli elementi a carico dell'odierno imputato non costituiscono espressione dell'aiuto arrecato all'organizzazione denominata "Cosa Nostra", bensì ad un singolo soggetto anche se negativamente qualificato"; il che "non può di per sé solo comportare un vantaggio per l'organizzazione e costituire prova della volontà di agire a tale fine". Il Di.Pi. sostiene quindi che sarebbe "di palmare evidenza che l'amicizia, i rapporti, le frequentazioni tra Sc.Lu. e l'odierno ricorrente sono maturati e si sono consolidati fuori da Cosa Nostra, esclusivamente per ragioni di natura familiare" e che a nulla rileverebbero "le eventuali dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, considerato che si tratta o di testimonianza indiretta o comunque, afferisce sempre a fatti singoli non ricollegabili all'associazione mafiosa". 8. Il ricorso di Ur.En., a firma dell'avv. DE.SP., è affidato a due motivi. 8.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 418, secondo comma, cod. pen., e all'art. 7 del d.l. n. 152 del 1991 (ora art. 416-bis 1 cod. pen.), la mancanza o, comunque, la manifesta illogicità della motivazione relativamente alla conferma dell'affermazione della sua responsabilità per il reato di assistenza continuativa agli associati di cui al capo 4) dell'imputazione. Dopo avere rammentato di essere stato assolto dall'imputazione dì usura continuata in concorso di cui al capo 19) dell'imputazione e che, con riferimento al menzionato reato di assistenza agli associati, la Corte d'appello di Palermo aveva ritenuto non contestata l'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. - il che renderebbe ancor più illogiche le conclusioni della sentenza impugnata di conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato (non aggravato) di assistenza agli associati - il ricorrente, a proposito di tale affermazione di responsabilità, lamenta che la Corte d'appello si sarebbe limitata "a dare per certo e per scontato, in assenza di riscontri probatori certi, che l'Ur.En. fosse consapevole del fatto che la sua condotta potesse agevolare la consorteria mafiosa, non avendo mai (...) preso parte a nessuno di questi incontri" (cioè quelli che si svolgevano presso la sua abitazione di Palermo in via Fratelli Campo, n. 33). Il ricorrente deduce altresì che nella sentenza impugnata non sarebbe emersa "la coincidenza temporale dell'attività di assistenza" da lui prestata "con l'operatività dell'associazione", come richiesto da Sez. 6, n. 17704 del 03/03/2004, Barillà, Rv. 228501-01. 8.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce "(violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all'art. 62-bis c.p.". 8.2.1. Il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di motivare con riguardo alla mancata concessione delle richieste circostanze attenuanti generiche e trascurato di operare "qualsivoglia riferimento al tratteggiato positivo contegno assunto dal ricorrente, al certificato del casellario giudiziale (che ne ha permesso la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena), che certamente avrebbe meritato disamina critica e adeguata valorizzazione". 8.2.2. L'Ur.En., inoltre, "lamenta l'eccessività della pena inflitta, la quale, invero, avrebbe dovuto esser mantenuta entro i minimi edittali e, comunque, contenuta in limiti più ristretti", e rappresenta che "la necessaria circoscrizione degli elementi caratterizzanti la condotta ascritta al ricorrente, il contesto situazionale in cui va inserito l'occorso; i rilievi afferenti la personalità, nonché il di lui il ruolo, e, in ultimo, la scelta di richiedere la definizione del procedimento ex artt. 438 e ss. c.p.p. (...) inducono a ritenere relativamente contenuti i profili di meritevolezza della pena". 9. Il ricorso di Lu.Pi., a firma dell'avv. Vi.Gi., è affidato a tre motivi. 9.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110 e 416-bis 1 cod. pen., all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e agli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., con riguardo alla conferma dell'affermazione della sua responsabilità per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti in concorso di cui al capo 12) dell'imputazione. Dopo avere citato alcune pronunce della Corte di cassazione su tale reato, il ricorrente asserisce che la motivazione della sentenza impugnata riguardo alla sua affermazione di responsabilità sarebbe carente, insufficiente, anapodittica, contraddittoria, astratta e generica e farebbe ricorso "a vere e proprie congetture". Il Lu.Pi. lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe adeguatamente considerato il fatto, che era stato evidenziato nel proprio atto di appello, che egli, il 05/10/2017, era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con la conseguenza che egli "non aveva per questo preso parte né alla compravendita di droga né alla successiva e solo presunta vendita di stupefacente "in data antecedente e prossima all'ottobre 2017"" (tale essendo il tempus commissi delicti indicato nel capo d'imputazione). Ciò posto, il ricorrente deduce che l'affermazione della propria responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio, non potrebbe essere fondata sulla base "di due sporadici viaggi in Calabria, peraltro in epoca lontana da quella indicata nel capo d'imputazione", e rappresenta specificamente al riguardo: a) quanto agli incontri dei 03/02/2017 e del 05/02/2017, il quale ultimo "secondo la tesi accusatoria era finalizzato per ritirare e trasportare la sostanza stupefacente acquistata", che ciò sarebbe smentito "dal quadro probatorio", segnatamente, dal fatto che la perquisizione personale alla quale egli fu sottoposto, insieme con la sua compagna di viaggio, durante il suo ritorno dalla Calabria, aveva dato esito negativo; b) che non avrebbe valore dirimente il fatto che egli, il 08/02/2017, "si fosse incontrato con i calabresi", "dal momento che dalla piattaforma probatoria non si è appurato alcuno scambio di sostanze di stupefacenti, atteso che non è stato mai identificato il soggetto con cui si presume avesse un appuntamento l'impugnante, ma soprattutto sulla scorta del fatto che il servizio di pedinamento ad un certo punto veniva interrotto dagli agenti di P.G.". La motivazione della Corte d'appello di Palermo sarebbe poi anapodittica e illogica là dove valorizza il contenuto dell'intercettata conversazione del 08/04/2017 tra il Lu.Pi. e Di.Pi., la quale sarebbe stata travisata, atteso che "dal tenore della stessa non si evincono né l'oggetto della compravendita, né l'identità dei venditori e/o acquirenti, ma solo un proposito di carattere generale di cui non si ha alcuna evidenza in ordine alla sua concreta attuazione". Il travisamento della prova da parte della Corte d'appello di Palermo si evincerebbe dalla successiva captata conversazione del 30/11/2017 tra il Mi.Al. e Di.Pi., "in cui quest'ultimo riferiva al suo interlocutore di non essere a conoscenza di precedenti accordi tra tali Ba. e altri soggetti" (così il ricorso) e dalla quale sarebbe stato agevole ricavare che era proprio il coimputato (Di.Pi.) ad affermare che sia lui sia il Lu.Pi. non avevano partecipato ad alcun traffico di sostanze stupefacenti e che il Lu.Pi. "fosse estraneo atteso il suo stato detentivo". Dopo avere rammentato alcuni principi, affermati dalla Corte di cassazione, in tema di cosiddetta "droga parlata" e di valutazione della prova indiziaria, il ricorrente riassume le proprie doglianze lamentando che la Corte d'appello di Palermo avrebbe respinto le deduzioni difensive che evidenziavano la mancanza di ogni concreta possibilità di ritenere la conclusione di un accordo tra palermitani e calabresi sulla base di argomentazioni anapodittiche, senza attribuire valore al fatto che egli era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, fondando la propria decisione su "lacunose" intercettazioni, di un periodo (febbraio e aprile del 2017) non prossimo all'ottobre 2017, e trascurando il contenuto della menzionata intercettata conversazione tra il Di.Pi. e il Mi.Al. nella quale il primo disconosceva la conclusione di precedenti accordi con i Ba. Il ricorrente contesta ancora che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe correttamente valutato le emergenze processuali secondo i canoni previsti dagli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), e 533 cod. proc. pen., incorrendo, così, in un'erronea applicazione dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, in quanto, nell'accertare i fatti, avrebbe operato una valutazione frammentaria e parcellizzata dei dati che erano emersi dalle indagini preliminari anziché compiere un esame unitario e globale degli stessi, i quali sarebbero stati insufficienti a consentire di affermare la responsabilità dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. 9.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis 1 cod. pen., con riguardo alla conferma della sussistenza, nel reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione, della circostanza aggravante di cui al suddetto art. 416-bis 1 cod. pen. Nel richiamare diverse pronunce della Corte di cassazione sul tema delle aggravanti del metodo mafioso e dell'agevolazione mafiosa, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo - omettendo di confrontarsi con la doglianza, avanzata nel proprio atto di appello, secondo cui sarebbe emerso che egli e i suoi complici avevano agito esclusivamente per il proprio interesse economico e che i loro interlocutori calabresi, per riscuotere le somme a essi dovute, non si erano mai rivolti ad altri soggetti afferenti a "Cosa nostra" - avrebbe reso una motivazione apparente e anapodittica, non avendo individuato un "quid pluris" che consentisse di ritenere che la propria condotta fosse diretta, oggettivamente e soggettivamente, ad agevolare il sodalizio mafioso e non a perseguire l'interesse dei singoli coimputati. Il Lu.Pi. sostiene che non sarebbe "dirimente", in senso contrario, l'intercettata conversazione del 15/11/2017 tra Te.Sa. e Sc.Lu. in quanto, contrariamente a quanto avrebbe ritenuto la Corte d'appello di Palermo, da detta conversazione "non si evince nessun tipo di connessione con il delitto imputato all'impugnante e, conseguentemente, il presunto interesse per il traffico di sostanze stupefacenti non era finalizzato ad agevolare l'associazione mafiosa, né imporlo con il c.d. metodo mafioso". Inoltre, l'asserito pregresso semplice rapporto di conoscenza tra il Ba. e Di.Pi., "pur se negativamente qualificati, non può in alcun modo comportare la prova che l'impugnante abbia posto in essere la condotta incriminata di per sé per agevolare la consorteria mafiosa e in alcun modo può costituire prova della volontà di agire a tal scopo". 9.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. e all'art. 27 Cost., in ordine alla conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e della pena che era stata irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo. 9.3.1. Quanto alla conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di motivare su tale punto, che era stato oggetto di censura nel proprio atto di appello, trascurando così di valutare gli elementi - che emergevano dal compendio probatorio e che avrebbero deposto nel senso della concessione del beneficio - dell'"età", delle "condizioni socio economiche", del "contesto ambientale in cui viveva l'impugnante (il quartiere è uno dei più degradati in cui mancano i servizi essenziali)", della "situazione familiare", della "scarsa pericolosità del soggetto agente" e del "percorso rieducativo intrapreso dal Sig. Lu.Pi. nell'espiazione della pena". 9.3.2. Quanto alla conferma della pena irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, il ricorrente deduce che la determinazione della misura di essa sarebbe "sfornita di qualsiasi motivazione che dia contezza del percorso logico-giuridico seguito dal Giudice ex art. 133 c.p., con la conseguenza che lo stesso si è sottratto del tutto all'obbligo di motivare", e che la stessa pena sarebbe "inadeguata e sproporzionata rispetto alla gravita dei fatti" e inidonea ad assicurare la rieducazione e il reinserimento sociale del reo, "tenuto conto dello specifico modus operandi, del contesto familiare e sociale in cui viveva l'odierno imputato" e della "peculiarità dei fatti", elementi che avrebbero dovuto indurre a irrogare una pena "in misura notevolmente ridotta". 10. Il ricorso di Mi.Al., a firma dell'Avv. DE.SP., è affidato a tre motivi. 10.1 Con il primo motivo, il ricorrente contesta, in relazione all'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 192 dello stesso codice e agli artt. 416-bis e 512-bis cod. pen., l'affermazione della sua responsabilità per il reato di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso (aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) di cui, a capo 2) dell'imputazione e per il reato di trasferimento fraudolento di valori (aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.) di cui al capo 15) dell'imputazione. 10.1.1 Quanto all'affermazione di responsabilità per il primo di tali reati, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe adeguatamene motivato in ordine al suo inserimento nel sodalizio e al contributo casuale che egli avrebbe dato allo stesso. Il ricorrente contesta anzitutto la valorizzazione da parte della corte d'appello di Palermo, delle dichiarazioni dei collaboratoti di giustizia "nel Va.Pa., Bi.Fi. e Ga.Vi., e deduce che nessuno di tali collaboratori lo avrebbe "additato (...) quale uomo d'onore" e, ,n particolare , quanto a„e dichiarazioni rese da Va.Pa. nell'interrogatorio del 21/04/2015, che questi affermò soltanto che il Mi.Al. "si occupava di aggiustare le macchinette" (cioè le slot machines) e che "non era a conoscenza che e stesse venissero imposte a, vari esercenti" (così il ricorso), sicché dalle stesse dichiarazioni sarebbe risultata soltanto la "competenza tecnica dell'imputato", che nulla ha a che fare con l'essere associato mafioso"; b) quanto alle dichiarazioni rese da Bi.Fi. - Il quale aveva riferito notizie che aveva appreso da Te.Sa. - che il collaboratore non lo aveva neppure riconosciuto in fotografia, che sarebbe "anomalo che il Te.Sa. abbia parlato del Mi.Al., indicandolo, addirittura, con nome e cognome, senza, tuttavia farglielo conoscere", che il Bi.Fi., "non indica in che contesto è emerso tale nome" del Mi.Al., che lo stesso collaboratore non sarebbe "neppure sicuro" avendo dichiarato "credo sia la persona incaricata per conto di Cosa Nostra di Corso dai Mille nell'ambito del gioco"; c) quanto alle dichiarazioni rese da Ga.Vi., che questi, nell'interrogatorio del 29/03/2018, dichiarò di avere conosciuto l'imputato nel 2001-2002 "in una mangiata" e che, ai tempi, lo stesso era "vicino", in particolare, a Sc.Fa., senza tuttavia specificare che cosa intendesse per vicinanza, e che la Corte d'appello dl Palermo non avrebbe considerato che 2001 sino alla data dell'arresto vi sono state varie operazioni di P.G., anche lo stesso 1Te.Sa. e Sc.Lu. sono stati arrestati negli anni indicati per reati di criminalità organizzata, senza che la figura del Mi.Al. sia mai emersa". Il ricorrente contesta poi la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, della partecipazione ad alcuni incontri con sodali (in particolare, con Te.Sa. e con Sc.Lu.), e deduce che, in nessuna delle intercettate conversazioni alle quali aveva partecipato, "si ha un abbassamento di voce, o mezze parole", e che dalle stesse conversazioni sarebbero emerse delle "mere consulenze tecniche dettate dalla conoscenze (...) nel settore" delle slot machines. Il Mi.Al. lamenta poi che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe considerato che egli era un dipendente dell'impresa "Ca.Ro." e, prima, dell'impresa "Stellar Games" di Lo.Ro., come era stato documentato dalla propria difesa, anche mediante la produzione di buste paga. Il Mi.Al. contesta ancora che la Corte d'appello di Palermo abbia tratto conferma della sua appartenenza al sodalizio criminoso "dalla contestazione dei reati fine che esula dalla di lui intraneità in Cosa Nostra". 10.1.2. Quanto all'affermazione di responsabilità per il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 15) dell'imputazione, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, nel ritenere che Ca.Ro. sarebbe stato "un prestanome per conto del ricorrente" (così il ricorso), di Te.Sa. e di Sc.Lu., non avrebbe considerato che Ca.Ro. "non era mai stato sentito a Sit, né alcun procedimento era stato aperto nei suoi confronti". Il ricorrente deduce che Ca.Ro. "era il reale intestatario della ditta" e che, ancorché il mi.Al. avesse "trattato la locazione di un immobile" destinato a sede della società intestata al Ca.Ro., tuttavia lo stesso imputato aveva "sempre operato per costui e mai in proprio", come si ricaverebbe dal contenuto delle intercettate conversazioni del 06/06/2016 tra il Mi.Al. e il De.Gi., in cui il primo comunicava al secondo che doveva informare il proprio titolare o che il Ca.Ro. si sarebbe incontrato di persona con il De.Gi., e del 31/01/2017, in cui "sarà il di lui datore di lavoro (cioè il Ca.Ro.) che incaricherà direttamente il Mi.Al. per capire cosa era successo e non diversamente". Il ricorrente contesta ancora che la Corte d'appello di Palermo, da un lato, lo ha condannato per il reato di trasferimento fraudolento di valori, dall'altro lato, avrebbe contraddittoriamente assolto "coloro che (...) aveva ritenuto essere intestatari fittizi per l'odierno appellante". 10.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 62-bis cod. pen., la mancanza della motivazione "o comunque la genericità della stessa" con riguardo alla conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta che, a tale riguardo, la Corte d'appello di Palermo si sarebbe "limitata ad un implicito giudizio di gravità del fatto reato ascritto", senza fare comprendere le ragioni della propria decisione, la quale non avrebbe tenuto adeguatamente conto dei parametri indicati nell'art. 133 cod. pen. e, in concreto, del fatto che "le condizioni di vita familiari e sociali, la scarsa entità di dolo, le modalità dell'azione", "la marginalità del ruolo contestato" e la "personalità dell'imputato" avrebbero dovuto indurre a concedere il beneficio richiesto. 10.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui ai commi quarto (essere l'associazione armata) e sesto (essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) dell'art. 416-bis cod. pen. 10.3.1. Quanto alla prima di tali circostanze aggravanti, il ricorrente sviluppa argomentazioni coincidenti con quelle sviluppate nel corrispondente motivo (il terzo) del ricorso di Di.Pi., delle quali si è dato conto al punto 7.3.1. 10.3.2. Quanto alla seconda di tali circostanze aggravanti, il ricorrente sviluppa argomentazioni coincidenti con quelle sviluppate nel corrispondente motivo (il terzo) del ricorso di Di.Pi., delle quali si è dato conto al punto 7.3.2. 11. Il ricorso di Mi.Pa., a firma dell'avv. DE.SP., è affidato a tre motivi. 11.1. Con il primo motivo, il ricorrente contesta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 192 dello stesso codice e agli artt. 416-bis e 629 cod. pen., l'affermazione della sua responsabilità per i reati di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione e di estorsione in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione. 11.1.1. Con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo si sarebbe limitata a un'opera di copia-incolla della sentenza di primo grado, senza motivare "sulle doglianze difensive" e senza, comunque, riuscire a evidenziare elementi tali da giustificare l'affermazione di responsabilità. Dopo avere rappresentato che nessuno dei collaboratori di giustizia avrebbe dichiarato di conoscerlo, salvo il solo Bi.Fi., il ricorrente contesta anzitutto la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, delle dichiarazioni di tale collaboratore di giustizia, atteso che questi, in sede di riconoscimento fotografico, lo avrebbe scambiato "per il genero di Sc.Lu." e, comunque, non avrebbe "parlato di intraneità, ma di contiguità dello stesso, non a Cosa Nostra, ma a Sc.Lu., indicandolo come suo dipendente presso le onoranze funebri", e non avrebbe mai raccontato l'episodio del "bigliettino che il Mi.Pa. avrebbe destinato proprio al collaboratore di giustizia Bi.Fi.". Il ricorrente sostiene che, se fosse stato "analizzato dettagliatamente tale dato", la Corte d'appello di Palermo non avrebbe potuto avvalorare la tesi accusatoria del ruolo di intermediario che egli avrebbe svolto, atteso che tale presunto ruolo sarebbe desumibile solo dai video-filmati, "senza che vi sia stato alcun riscontro effettivo". Il ricorrente rappresenta altresì che, dalle dichiarazioni del Bi.Fi., sarebbe emerso che "Di.Pi. (sic), quando lo Sc.Lu. parlava con determinati soggetti o in di lui presenza, si allontanava, né emerge dal contenuto delle intercettazioni ambientali, anche successivi agli accompagnamenti monitorati, riscontrare l'ipotesi investigativa, ovvero che il Di.Pi. (sic) era conoscitore del contenuto di tali dialoghi per racconto, anche de relato da parte dei di lui suocero o da chissà chi". Quanto alla valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, degli "accompagnamenti del suocero (sic) nei luoghi di presunti incontri", il ricorrente deduce che "il Tribunale ha riprodotto tutti i fotofilmati in cui il Mi.Pa. accompagnava, Sc.Lu. in diversi luoghi, senza, tuttavia, mai soffermarsi o allontanarsi di poco, per mantenersi nei paraggi", che, in quasi tre anni di attività di indagine, "gli accompagnamenti monitorati sono pochissimi, senza che si rilevi un'attiva partecipazione (dell'imputato) in Cosa Nostra" e che lo stesso imputato "non era l'unico soggetto ad accompagnare Sc.Lu. in diversi luoghi, tutti monitorabili". Secondo il ricorrente, quest'ultimo dato avrebbe dovuto essere valorizzato dalla Corte d'appello di Palermo, al fine di stabilire "se il contributo apportato dal Mi.Pa., con la sua condotta, all'organizzazione mafiosa, era di tale indispensabilità tale per cui senza il di lui supporto non era possibile raggiungere gli scopi della stessa". Il ricorrente afferma quindi che la sentenza impugnata sarebbe affetta da "un enorme vuoto motivazionale" in ordine all'analisi del proprio ruolo e del proprio contributo all'associazione criminosa tali da potere ritenere l'intraneità alla stessa associazione. Nella parte finale dell'esposizione del motivo, il ricorrente, dopo avere esposto gli orientamenti della Corte di cassazione sugli elementi necessari per potere ritenere la sussistenza del reato di partecipazione a un'associazione mafiosa, deduce che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe motivato con riguardo agli stessi e, segnatamente, al suo inserimento organico nel sodalizio, suggellato dalla volontà di inclusione da parte di esso, e al contributo causale da lui prestato all'esistenza dell'associazione, rappresentando, altresì, che l'attribuzione dei reati-fine "esula dalla di lui intraneità in Cosa Nostra". Il ricorrente rappresenta ancora che, quando le intercettazioni risultano parzialmente incomprensibili o, comunque, poco chiare, il giudice che le ponga a fondamento della propria decisione dovrebbe spiegare "le ragioni che lo inducono a giungere a determinate conclusioni". 11.1.2. Con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di estorsione in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione, il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di considerare, come sarebbe stato necessario fare, le dichiarazioni che erano state rese dalla persona offesa dal reato An.Ni., "il quale in maniera cristallina ha dichiarato che è stata una sua iniziativa rintracciare il proprietario del motore sottratto dal figlio". Il ricorrente deduce altresì che, nel caso di specie, difetterebbero "i profili oggettivi del reato" e che sarebbe illogica la valorizzazione, che sarebbe stata operata dalla Corte d'appello di Palermo a pag. 181 della sentenza impugnata, del "coinvolgimento del ricorrente nell'acquisto di stupefacente presso una famiglia calabrese che non ha mai costituito oggetto di contestazione". 11.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza "o comunque genericità" della motivazione relativamente alla mancata della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alla mancata concessione di dette circostanze attenuanti, le quali, in ragione "della marginalità del ruolo contestato", "della personalità dell'imputato", delle "condizioni di vita familiari e sociali", della "scarsa entità del dolo" e delle "modalità dell'azione", "avrebbero dovuto essere concesse". 11.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui ai commi quarto (essere l'associazione armata) e sesto (essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti) dell'art. 416-bis cod. pen. 11.3.1. Quanto alla prima di tali circostanze aggravanti, il ricorrente sviluppa argomentazioni coincidenti con quelle sviluppate nel corrispondente motivo (il terzo) del ricorso di Di.Pi., delle quali si è dato conto al punto 7.3.1. 11.3.2. Quanto alla seconda di tali circostanze aggravanti, il ricorrente sviluppa argomentazioni coincidenti con quelle sviluppate nel corrispondente motivo (sempre il terzo) del ricorso di Di.Pi., delle quali si è dato conto al punto 7.3.2. 12. Il ricorso di Mi.Lo., a firma dell'avv. EL.GA., è affidato a cinque motivi. 12.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la manifesta contraddittorietà della motivazione con riguardo all'affermazione della sua responsabilità per il reato di concorso esterno nell'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione. Il ricorrente asserisce che la motivazione di tale affermazione di responsabilità sarebbe illogica, lacunosa, apparente e basata su mere supposizioni. Il Mi.Lo. lamenta anzitutto che la Cotte d'appello di Palermo non avrebbe considerato che egli era il portiere dello stabile di via (omissis) n. (omissis), in P, sicché "la sua presenza non era dovuta ad organizzare incontri ma a svolgere il lavoro di portiere" sicché il fatto che, dai filmati delle telecamere di videosorveglianza, si vedesse che alcuni soggetti, entrando nel condominio, gli si avvicinavano, "era assolutamente normale". Il ricorrente contesta poi la valorizzazione, da parte della Corte d'appello di Palermo, dell'elemento del "recapito del "pizzino" del Bi.Fi. in data 17.2.2016" (pag. 197 della sentenza impugnata). Il Mi.Lo. contesta in particolare le argomentazioni della Corte d'appello di Palermo secondo cui l'affermazione del Bi.Fi. di non conoscerlo si spiegherebbe con i fatti che tale collaboratore di giustizia "lo ha incontrato fugacemente solo una volta e non emerge che dovesse essere a conoscenza del nome dell'imputato" (pag. 198 della sentenza impugnata) e che "il Mi.Lo. non è un partecipe al sodalizio" (pag. 199 della sentenza impugnata), atteso che tali argomentazioni costituirebbero delle mere supposizioni. Inoltre, la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di considerare che al Bi.Fi., nel corso del suo interrogatorio del 28/03/2019, non solo fu indicato il nome del Mi.Lo., che il collaboratore di giustizia affermò di non conoscere ("neanche il nome mi dice niente"), ma fu anche sottoposta la fotografia dello stesso Mi.Lo., che il Bi. non riconobbe. Tali affermazioni del Bi.Fi. "escluderebbero con assoluta certezza la responsabilità del Mi.Lo.". Sempre a proposito del menzionato "pizzino", il ricorrente chiede, retoricamente: "se il Mi.Lo. fosse stato consapevole di qualsiasi cosa perché il Bi.Fi. avrebbe dovuto consegnare un ipotetico biglietto al Mi.Lo. e non riferirgli a voce quanto ipoteticamente vi sarebbe stato scritto? Se fosse stato il Mi.Lo. un soggetto consapevole perché il Bi.Fi. non gli comunicava oralmente ciò che voleva riferire?". Sue ""frequentazioni" o "relazioni qualificate"" con esponenti dell'ipotizzata organizzazione criminale si sarebbero dovute escludere tenuto conto, oltre che delle ricordate dichiarazioni del Bi.Fi., del fatto che dal compendio probatorio esse non erano in alcun modo emerse. Secondo il ricorrente, l'esclusione dell'elemento soggettivo del reato a lui attribuito si ricaverebbe poi dal proprio interrogatorio, in cui egli aveva chiarito il tipo e le ragioni dei rapporti di conoscenza con Sc.Lu. (perché era il titolare dell'agenzia di pompe funebri che si trovava vicino al condominio dove il Mi.Lo. lavorava), con Pi.Fi. (in quanto era il proprietario dell'appartamento al sesto piano dello stesso condominio) e con Gi.An. ("è venuto qualche volta fuori in portineria... siccome io gli ho detto perché non mi dai il nome e cognome che io lo chiamo?"). Ancora, non vi sarebbe "alcuna prova" "in ordine all'effettivo svolgimento di incontri connotati da tematiche inerenti ad interessi mafiosi", come risulterebbe anche dall'interrogatorio di Pi.Fi. del 10/07/2019, atteso che le riunioni che avevano luogo nell'appartamento del sesto piano di via (omissis), nella disponibilità del Pi.Fi., "avevano ad oggetto la divisione della proprietà dei fratelli Cl." e il Bi.Fi. e il Pi.Fi. vi intervenivano "in qualità di tecnico". Inoltre, in mancanza di intercettazioni delle conversazioni, "non può non credersi a quanto affermato dall'imputato". Non sarebbe poi "basato su prove certe" quanto sarebbe stato affermato dalla Corte d'appello di Palermo - in contrasto con quanto ritenuto dal G.i.p. del Tribunale di Palermo nell'ordinanza di applicazione, nei confronti del Mi.Lo., della misura degli arresti domiciliari - in ordine al fatto che l'imputato "avrebbe effettuato un incontro anche in data 4/5/2018 nei pressi del Condominio", con, poi, una conversazione telefonica, alle ore 17:18, tra il Mi.Lo. e Sc.Lu. dalla quale, secondo la Corte d'appello, si ricaverebbe che lo Sc.Lu. sarebbe stato "consapevole del motivo della chiamata, senza nemmeno far parlare il suo interlocutore, riferisce di stare arrivando". Secondo il ricorrente, "tutto questo si basa su presunzioni ma non vi sono prove certe che poi lo stesso fosse arrivato o quanto altro". Pertanto, "nel Mi.Lo. non risulta provata alcuna consapevolezza della previsione incriminatrice, né alcun contributo causale che la condotta possa portare alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione". 12.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento all'art. 418 cod. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la manifesta contraddittorietà della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della sussistenza, nella specie, non del reato di concorso esterno nell'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione, ma del reato di assistenza agli associati di cui al suddetto art. 418 cod. pen. Il ricorrente asserisce che la Corte d'appello di Palermo avrebbe escluso la sussistenza di quest'ultimo reato sulla base di "un ragionamento altamente contraddittorio" e "basandosi solo su supposizioni non corroborate da prove certe" e rappresenta, in proposito, che "non solo non vi è prova che il Mi.Lo. facesse parte di una famiglia mafiosa, tanto che il collaboratore di giustizia Bi.Fi. dichiara di non conoscerlo", ma che le "sporadiche conversazioni intercettate (...) al massimo integrano aiuto episodico ad un associato da parte di un soggetto esterno all'associazione". 12.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 62-bis e 69 cod. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la "manifesta illegittimità della motivazione" con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe dato risposta al relativo motivo del proprio atto di appello e avrebbe negato la concessione del suddetto beneficio senza considerare gli elementi - che, invece, avrebbero dovuto essere positivamente valutati - costituiti dal suo essere incensurato e privo di carichi pendenti, dalla "dinamica dei fatti" e dalla "concretezza della vicenda" e dal suo corretto comportamento processuale, avendo egli "spiegato, sin da subito, durante interrogatorio di garanzia, la propria condotta con dichiarazioni genuine e veritiere", e tenuto anche conto che la mancanza di resipiscenza non potrebbe costituire motivo di diniego del beneficio. 12.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 132 e 133 cod. pen. e agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., l'inosservanza "di norme giuridiche" e la mancanza della motivazione con riguardo alla determinazione della misura della pena. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo, limitandosi ad affermare che "la pena nei confronti del Mi.Lo. va ridotta, tendo conto dell'intervenuta riqualificazione della condotta allo stesso ascritta ai sensi degli artt. 110 e 416-bis c.p., nella misura finale di anni otto di reclusione, così determinata: pena base anni dodici di reclusone, ridotta per il rito": a) da un lato, avrebbe del tutto omesso di motivare, con riferimento ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen., in ordine alle ragioni che l'hanno indotta alla determinazione dell'indicata misura della pena; b) dall'altro lato, pur avendo riqualificato la condotta come concorso esterno e pur avendo escluso la sussistenza delle circostanze aggravanti di cui al quarto comma e al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., avrebbe illegittimamente irrogato una pena base di 12 anni di reclusione, cioè - appunto, illegittimamente - la stessa pena che era stata irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo per il reato aggravato dalla circostanza, ormai esclusa dalla Corte d'appello di Palermo, di cui al quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen. 12.5. Con il quinto motivo, il ricorrente contesta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la statuizione di condanna, nei propri confronti, "al risarcimento del danno" (recte: delle spese processuali; si veda la pag. 478 della sentenza impugnata) sostenute dalle parti civili "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane", "Associazione S.O.S. Impresa rete per la Legalità Sicilia", "Federazione Provinciale del Commercio, del Turismo, dei Servizi, della Professioni e delle Piccole e Medie Imprese di Palermo-Confcommercio Imprese per l'Italia Palermo", "Sicindustria-organizzazione territoriale del sistema Confindustria", "Centro Studi ed Iniziative Culturali La.Pi. ONLUS", "La Cooperativa sociale antiracket e antiusura Solidaria S.C.S. ONLUS", atteso che, come risulterebbe dai relativi atti di costituzione di parte civile, tali enti non si erano costituti parte civile nei suoi confronti. 13. Il ricorso di Te.Ca., a firma dell'avv. Vi.Gi., è affidato a quattro motivi. 13.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 629 e 416-bis 1 cod. pen. e agli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., con riguardo all'affermazione della propria responsabilità per il reato di estorsione in concorso di cui al capo 11) dell'imputazione. Il ricorrente sostiene che tale affermazione di responsabilità sarebbe sorretta da una motivazione carente, contraddittoria, astratta, generica e anapodittica con riguardo sia all'elemento oggettivo sia all'elemento soggettivo del reato di estorsione. Il Te.Ca. lamenta anzitutto che la Corte d'appello di Palermo, omettendo di confrontarsi con la relativa doglianza che era stata avanzata nel proprio atto di appello, non avrebbe considerato come, dall'intercettata conversazione del 26/05/2017 (alle ore 15:59) - nell'ambito della quale sarebbe particolarmente significativa la frase, pronunciata dall'imputato: "alla fine chi minchia se l'è portato questo motore?"" - sarebbe risultato che "l'imputato non sapeva chi avesse rubato il ciclomotore del Sig. @Sc.Fa., né inizialmente che fosse quest'ultimo la vittima del furto, con ciò emergendo dalla piattaforma probatoria che lo stesso pomeriggio del 26 maggio 2017 si trovava con il coimputato, Sig. Di.Pi., suo datore di lavoro presso l'agenzia di onoranze funebri, presso l'agenzia disbrigo pratiche per formalizzare il passaggio di proprietà del nuovo motoveicolo". Secondo il ricorrente, dal quadro probatorio, e proprio dal percorso logico-giuridico seguito dalia Corte d'appello di Palermo, emergerebbe che egli era stato soltanto presente, per avere accompagnato il suo datore di lavoro, nel momento in cui veniva formalizzato il passaggio di proprietà del ciclomotore presso l'agenzia di pratiche auto, con la conseguenza che egli non avrebbe posto in essere alcun contributo concorsuale, giuridicamente rilevante ex art. 110 cod. pen., alla presunta attività estorsiva. Il Te.Ca. rappresenta in proposito che detta sua presenza: a) da un lato, non aveva fornito all'autore del fatto né stimolo all'azione né un maggior senso di sicurezza; b) dall'altro lato, si era manifestata quando tutti gli attori della vicenda si trovavano all'interno dell'agenzia di pratiche auto nell'atto di formalizzare il passaggio di proprietà del ciclomotore, "sicché già in quel momento la presunta condotta estorsiva era stata probabilmente posta in essere nei confronti della persona offesa, la cui volontà era già stata coartata". Il ricorrente rappresenta che, dalle risultanze processuali, emergerebbe che egli, al di là della menzionata mera presenza nel momento del passaggio di proprietà del ciclomotore, era stato del tutto estraneo a quanto era accaduto nei giorni antecedenti a quello del suddetto passaggio di proprietà. Neppure sarebbe "dirimente", sempre ad avviso del ricorrente, che egli abbia condotto il ciclomotore presso l'agenzia di onoranze funebri dello Sc.Lu., dal momento che egli "era impiegato in detta attività commerciale, atteso che in quel momento la presunta condotta criminosa si era già esaurita". Il ricorrente evidenzia poi il rilievo del fatto che, sempre nell'intercettata conversazione del 26/05/2017, egli aveva utilizzato il condizionale ("E se mi intromettevo io per il motore"). Il ricorrente contesta ancora che la Corte d'appello di Palermo non avrebbe correttamente valutato le emergenze processuali secondo i canoni previsti dagli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), e 533 cod. proc. pen., incorrendo, così, in un'erronea applicazione degli artt. 110 e 629 cod. pen., in quanto, nell'accertare i fatti, avrebbe operato una valutazione frammentaria e parcellizzata dei dati che erano emersi dalle indagini preliminari anziché compiere un esame unitario e globale degli stessi, i quali sarebbero stati insufficienti a consentire di affermare la responsabilità dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. 13.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 110, 629 e 416-bis 1 cod. pen. e agli artt. 110 e 393 cod. pen., con riguardo alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo 11) dell'imputazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 cod. pen.). Nell'esporre gli elementi differenziali tra il reato di estorsione e il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e le condizioni per la configurabilità del concorso del terzo in quest'ultimo reato, richiamando anche la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione al riguardo (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02 e Rv. 280023-03), il ricorrente deduce che, dall'acquisito materiale probatorio, sarebbe emerso che egli: a) si era limitato ad accompagnare, il 26/05/2017, il Di.Pi., suo datore di lavoro, all'agenzia di pratiche auto, dove il Di.Pi. concludeva con la persona offesa il passaggio di proprietà del ciclomotore, "senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità indebita"; b) con riguardo all'elemento soggettivo, aveva "concorso tutt'al più con coscienza nell'arbitrario esercizio del diritto del Sig. Di.Pi. di recuperare, sebbene in forma per equivalente, il ciclomotore che gli era stato indebitamente sottratto, da cui non emergono ulteriori finalità". Ad avviso del ricorrente, inoltre, non sarebbe condivisibile la tesi della Corte d'appello di Palermo secondo cui la presenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa comporterebbe sempre la sussumibilità della fattispecie concreta nella sfera di tipicità dell'art. 629 cod. pen., in quanto "il Giudice deve sempre accertare in concreto se la finalizzazione della condotta sia preordinata alla soddisfazione di un interesse ulteriore rispetto a quello di mera soddisfazione del diritto arbitrariamente fatto valere". Il ricorrente evidenzia poi che, con riguardo al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, l'azione penale non doveva essere iniziata o, quantomeno, non deve essere proseguita, difettando la condizione di procedibilità della querela. 13.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, con riferimento all'art. 416-bis 1 cod. pen., in ordine alla conferma della sussistenza, in relazione al reato di cui al capo 11) dell'imputazione, delle circostanze aggravanti previste dal suddetto art. 416-bis 1 cod. pen. Nell'esporre gli elementi necessari per ritenere la sussistenza delle aggravanti del metodo mafioso e dell'agevolazione mafiosa, il ricorrente afferma che: a) dal compendio probatorio non risulterebbero elementi idonei a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che egli avesse agito al fine di agevolare l'associazione mafiosa "Cosa Nostra" né che avesse assunto "un atteggiamento tale da incutere timore e imporre la coartazione del soggetto passivo tipico del c.d. metodo mafioso"; b) "dal tenore della conversazione captata de qua non si evince nessun tipo di connessione con il delitto addebitato all'impugnante e, conseguentemente, il presunto interesse al recupero del ciclomotore rubato e, nello specifico, la semplice presenza del Sig. Te.Ca. all'atto del passaggio di proprietà presso l'agenzia di disbrigo pratiche non erano finalizzati ad agevolare l'associazione mafiosa, né ad imporlo con il c.d. metodo mafioso"; c) il rapporto di lavoro con il Di.Pi. e lo Sc.Lu. non potrebbero in alcun modo comprovare che egli avesse realizzato la condotta incriminata per agevolare la consorteria mafiosa e con le modalità tipiche della sopraffazione mafiosa; d) la propria mera isolata presenza presso l'agenzia di pratiche auto non potrebbe assumere i caratteri dell'intimidazione mafiosa "in primo luogo per la ragione che lo stesso presunto minacciato non aveva avuto a sua volta alcun contatto prima di quel momento con il ricorrente, né in quell'occasione i due avevano avuto modo di interloquire o scambiarsi qualche semplice battuta sul punto, così da derivare la sudditanza della presunta vittima nei confronti dell'odierno impugnante". 13.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e il vizio della motivazione, con riferimento agli artt. 62-bis, 123 e 133 cod. pen. e all'art. 27 Cost., in ordine al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla conferma della pena irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo. 13.4.1. Quanto al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo avrebbe omesso di motivare su tale punto, che era stato oggetto di censura nel proprio atto di appello, trascurando così di valutare gli elementi - che emergevano dal compendio probatorio e che avrebbero deposto nel senso della concessione del beneficio - dell'"età", delle "condizioni socio economiche", del "contesto ambientale in cui viveva l'impugnante (il quartiere è uno dei più degradati in cui mancano i servizi essenziali)", della "situazione familiare", dello stato di incensuratezza, del "contegno processuale", della "scarsa pericolosità del soggetto agente" e del "percorso rieducativo intrapreso dal Sig. Te.Ca. nell'espiazione della pena". 13.4.2. Quanto alla determinazione della misura della pena, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Palermo non l'avrebbe adeguatamente motivata, tenendo conto dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen., pervenendo a irrogare, per il reato a lui attribuito, una pena eccessiva e sproporzionata all'effettiva gravità dei fatti e, comunque, "tenuto conto dello specifico modus operandi, del contesto familiare e sociale in cui viveva l'odierno imputato". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi di Te.Sa. (a firma dell'avv. Vi.Gi. e dell'avv. An.Ba.). 1.1. Il primo e il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. non sono consentiti. 1.1.1. Anzitutto, quanto alla contestazione relativa all'esistenza stessa dell'associazione di tipo mafioso (punto 4.1.1.1. della parte in fatto), la censura risulta generica e aspecifica. Il ricorrente, infatti, in primo luogo ha omesso di confrontarsi adeguatamente con il contenuto del punto 1.4 della sentenza impugnata (pagg. 38-39), nel quale la Corte d'appello di Palermo ha argomentato in ordine all'esistenza e alle attività criminose della famiglia mafiosa di Co., facente parte del mandamento di Br., della quale il Te.Sa. era accusato di avere assunto la "reggenza" dopo l'arresto, nel settembre del 2015 (il 29/09/2015), di Ta.Pi., già capo del suddetto mandamento di Br. In secondo luogo, lo stesso ricorrente ha omesso di confrontarsi adeguatamente anche con la motivazione che è stata resa dalla Corte d'appello di Palermo nel replicare alla corrispondente censura difensiva che era stata avanzata dal Te.Sa. in sede di appello, là dove, in particolare, la Corte d'appello ha evidenziato come l'avvalimento della forza di intimidazione del vincolo associativo, connotazione dell'associazione di tipo mafioso, fosse emblematicamente comprovata dagli elementi, che erano emersi dalle risultanze investigative: dell'attività di imposizione del "pizzo", documentata dal contenuto delle conversazioni intercettate; del controllo capillare delle attività illecite che venivano svolte nel territorio, come comprovato dal caso della rapina alla sala bingo "Taj Mahal"; della gestione di altre attività illecite, come l'acquisto di sostanze stupefacenti e il commercio di tabacchi lavorati esteri (pagg. 87-88 della sentenza impugnata). Si tratta di indici che, sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità, sono senz'altro sintomatici dell'operatività di una cosca di tipo mafioso, senza che, a fronte di essi, il ricorrente si possa ritenere avere spiegato per quale ragione si dovrebbe ritenere contraddittoria o illogica la conclusione, che dagli stessi indici è stata tratta dalla Corte d'appello di Palermo, dell'esistenza di una siffatta cosca. 1.1.2. In secondo luogo, quanto alle contestazioni relative all'affermazione di responsabilità per il reato di direzione e organizzazione dell'associazione di tipo mafioso della famiglia di Co. (punti 4.1.1.2 e 4.1.2 della parte in fatto), si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento del ritenuto ruolo apicale del Te.Sa., a partire dalla fine dell'anno 2015, nella suddetta famiglia mafiosa di Co.. Dopo avere premesso che l'imputato era già stato condannato per la partecipazione al sodalizio criminoso, la Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provata la continuità della stessa partecipazione e, di più, l'ascesa del Te.Sa. a rivestire un ruolo direttivo e organizzativo, sulla scorta, anzitutto, delle due autonome dichiarazioni de relato dei collaboratori di giustizia Ga.Vi. e Fl.Se., i quali avevano affermato di avere saputo: il primo, da Sa.Ni., come il Te.Sa. fosse un "uomo d'onore" e persona di fiducia di Ta.Pi. ("lui con Ta.Pi. erano fratelli"); il secondo, da Di.Gi. e da La.To., come il Te.Ca. fosse un influente "uomo d'onore" della famiglia di Br. (indicazione, quest'ultima, che non illogicamente veniva ritenuta dalla Corte d'appello non inficiare l'attendibilità della chiamata per la ragione che la famiglia di Co. faceva parte del mandamento di Br.). Tali due autonome (e riscontrantesi) chiamate in correità avevano trovato riscontro anche nell'accettata (mediante servizi di osservazione a opera della polizia giudiziaria) frequentazione - in incontri sempre caratterizzati da modalità di svolgimento riservate - con diversi altri sodali (pagine da 90 a 94 della sentenza impugnata). La Corte d'appello di Palermo ha poi valorizzato il contenuto di numerose conversazioni intercettate, il quale appare avere lo spessore non del mero riscontro alle ricordate chiamate in correità ma della prova "autosufficiente" del ruolo di effettiva direzione e organizzazione che era stato assunto dal Te.Sa. nell'ambito della famiglia mafiosa di Co. e del riconoscimento di tale ruolo da parte degli altri sodali, oltre che di soggetti estranei all'organizzazione criminosa. Da tali conversazioni era infatti emerso: a) il ruolo di direzione e organizzazione che veniva svolto dal Te.Sa. nell'attività di imposizione del "pizzo" (tra le altre: conversazione del 11/12/2015 tra il Te.Sa., Di.Gi. e Gi.Sa., nel corso della quale il Gi.Sa. consegnava al Te.Sa. il denaro provento dell'attività estorsiva, mentre il Di.Gi. chiedeva al Te.Sa. di contarlo rivolgendoglisi dandogli del "lei"; conversazione del 12/12/2015 tra il @Te.Sa. e Gi.Sa., nel corso della quale l'imputato chiedeva al Gi.Sa. il rendiconto del denaro raccolto dai vari commercianti, facendo anche riferimento alla "raccolta" di denaro per i detenuti; conversazione del 21/12/2015 tra il Te.Sa. e Gi.Sa., nel corso della quale venivano elencate tutte le richieste estorsive ai danni dei commercianti della zona e in cui il Te.Sa., tramite il Gi.Sa., ordinava a un altro sodale di recarsi presso un altro esercizio commerciale per richiedere del denaro); b) il ruolo di direzione che veniva svolto dal Te.Sa. rispetto all'attività di commercio dei tabacchi lavorati esteri, il quale era attestato dalla risoluzione, da patte dello stesso @Te.Sa., di un contrasto che era insorto in ordine a tale commercio tra un certo Ca. e Mi.St. e Mi.Gi., bloccando anche Sc.Lu. che aveva proposto una ritorsione nei confronti dei suddetti Mi. e stabilendo di riservare a ciascuno una fetta del relativo mercato (conversazione del 11/11/2017 tra il Te.Sa., lo Sc.Lu. e Ca.); c) il ruolo di direzione che veniva svolto dal Te.Sa.con riguardo al noleggio di slot machines e agli esercizi commerciali ai quali imporre la collocazione delle stesse "macchinette" (conversazioni del 08/11/2017 tra il Te.Sa.e lo Sc.Lu.), comprovato anche dalle contestazioni mosse al gestore di un'impresa del settore (De.Gi.), dall'esautoramento dello stesso da tale gestione e dall'affidamento di essa a Mi.Ga.; d) l'intervento del Te.Sa. a seguito della rapina che era stata commessa ai danni della sala bingo "Taj Mahal" di via (omissis), con la convocazione del rapinatore - alla presenza anche di Sc.Lu., Di.Gi. e Vi. (che era stato incaricato di individuare gli autori della suddetta rapina), ancorché l'unico a interloquire fosse il Te.Sa. - e il rimprovero dello stesso rapinatore per essersi impossessato del denaro del sodalizio, a riprova anche del potere che veniva esercitato dall'imputato sul territorio della famiglia mafiosa di Co. e dell'esercizio, da parte della sua, del potere del sodalizio mafioso di autorizzare o contrastare le attività illecite nello stesso territorio. A fronte di tale puntuale, dettagliata e ragionata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento del ritenuto ruolo apicale del Te.Sa., a partire dalla fine dell'anno 2015, nella famiglia mafiosa di Co., le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella riproposizione, in questa sede, delle tesi che erano già state avanzate in sede di merito, e nella sollecitazione di una nuova e alternativa valutazione dei suddetti elementi probatori, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 1.2. Il settimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.7 della parte in fatto) e il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. An.Ba. (punto 4.2.3 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata -sono manifestamente infondati. La giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nel senso che tale circostanza aggravante: a) ha natura oggettiva; b) va riferita all'intera associazione di cui si fa parte (pertanto, nella specie, a "Cosa Nostra" e non alla famiglia di Co.); c) è addebitabile al singolo associato che sia consapevole della disponibilità di armi da parte dell'associazione o ignori per colpa tale disponibilità. Con specifico riguardo a Cosa Nostra, è stato in particolare affermato che: a) in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, l'aggravante prevista dall'art. 416-bis, quarto comma, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa. Con riferimento alla stabile dotazione di armi dell'organizzazione mafiosa denominata "Cosa Nostra" si può ritenere che la circostanza costituisca fatto notorio non ignorabile (Sez. 1, n. 5466 del 18/04/1995, Farinella, Rv. 201650-01); b) in senso analogo, in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, la circostanza aggravante prevista dall'art. 416-bis, quarto comma, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa (Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, Bruno, Rv. 211901-01, relativa a una fattispecie concernente l'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata "Cosa Nostra", in riferimento alla quale la Corte ha affermato che, data la sua stabile dotazione di armi, questa costituisca fatto notorio non ignorabile); c) in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, non si espone a censura la sentenza del giudice di merito che ritiene sussistente l'aggravante della disponibilità delle armi di cui all'art. 416-bis, quarto comma, cod. pen., quando il delitto associativo è contestato agli appartenenti di una famiglia mafiosa aderente all'organizzazione denominata "Cosa Nostra", anche nel caso in cui la disponibilità delle armi è provata a carico di un solo appartenente (Sez. 5, n. 18837 del 05/11/2013, dep. 2014, Corso, Rv. 260919-01); d) in tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, "Cosa Nostra"), per la configurabilità dell'aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l'esatta individuazione delle stesse, ma è sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori (Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, Seminara, Rv. 284761-01). Nel caso in esame, la Corte d'appello di Palermo ha appurato che non solo "Cosa Nostra", di cui la famiglia di Co. costituiva un'articolazione, ma anche tale famiglia, al cui vertice si trovava il Te.Sa., disponeva di armi - così come, più in generale, il mandamento di Br. - come risultava: dall'intercettata conversazione del 05/04/2017 tra Ro.Pa. e il padre di lui Ro.Pi., nella quale si faceva riferimento alla disponibilità di armi in capo a Sc.Fa.; dall'accettata disponibilità di una pistola da parte di Gi.Sa.; dall'accettata disponibilità di una pistola, presso la propria abitazione, da patte di Di.Sa.; dall'intercettata conversazione del 12/04/2014 tra lo stesso Di.Sa. e la cognata Pi.Ma., in cui i due discutevano delle armi. A fronte dei ricordati principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione e di tali non censurabili accertamenti in fatto, si deve ritenere che del tutto correttamente la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto sia la disponibilità di armi in capo all'associazione sia la conoscenza o, comunque, l'ignoranza colpevole, da parte dei sodali, di tale disponibilità (e, in particolare, da parte del Te.Sa., atteso anche il ruolo apicale che egli rivestiva), avendo, altresì, sempre correttamente escluso che potessero assumere alcun rilievo, in senso contrario, i fatti che non fossero state usate armi per la commissione di reati-fine o che, in esito alle eseguite perquisizioni, non fossero state sequestrate delle armi. 1.3. L'ottavo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.8 della parte in fatto) e il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. An.Ba. (punto 4.2.2 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti - non sono fondati. La più recente giurisprudenza della Corte di cassazione è orientata nel senso che tale circostanza aggravante: a) ha natura oggettiva e deve essere riferita all'attività dell'associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe; b) richiede un apporto di capitale nelle attività economiche che corrisponde al reinvestimento delle utilità che sono state procurate dalle azioni criminose della consorteria; c) richiede altresì che tale reinvestimento si concreti nell'intervento in strutture produttive destinate a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre che offrono beni o servizi analoghi. La Corte di cassazione ha in particolare affermato che: a) ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen. - che ricorre quando gli associati intendono assumere il controllo di attività economiche, finanziando l'iniziativa, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti - occorre, in primo luogo, una particolare dimensione dell'attività economica, nel senso che essa va identificata non in singole operazioni commerciali o nello svolgimento di attività di gestione di singoli esercizi, ma nell'intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrano gli stessi beni o servizi. È, pure, necessario che l'apporto di capitale corrisponda a un reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni criminose, essendo proprio questa spirale sinergica di azioni delittuose e di intenti antisociali a richiedere un più efficace intervento repressivo. La suddetta aggravante deve, inoltre, essere riferita all'attività dell'associazione e non alla condotta del singolo partecipe ed ha, pertanto, natura oggettiva (Sez. 5, n. 12251 del 25/01/2012, Monti, Rv. 252172-01, con la quale la Corte, in applicazione di tale principio, ha censurato la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., ritenendo anapoditticamente certo che i proventi delle estorsioni cui il sodalizio era dedito fossero reinvestiti nelle attività economiche gestite da due degli interessati alla vicenda, in assenza, tra l'altro, di verifiche in ordine alla titolarità, alle dimensioni e tipologia dell'attività nonché alla data di costituzione dell'impresa e alle forme di finanziamento di essa; b) la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., ricorre quando l'attività economica finanziata con il provento dei delitti esecutivi del programma del sodalizio non sia limitata a singole operazioni commerciali o alla gestione di singoli esercizi, ma si concreti nell'intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre che offrano beni o servizi analoghi (Sez. 5, n. 49334 del 05/11/2019, Corcione, Rv. 277653-01, con la quale la Corte, in applicazione di tale principio, ha annullato la sentenza di merito che aveva riconosciuto l'aggravante nei confronti di un soggetto, depositario dei proventi del traffico di stupefacenti gestito dal sodalizio, senza tuttavia investirli in attività economiche); c) ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen. - che ricorre quando gli associati intendano assumere il controllo di attività economiche, finanziando l'iniziativa, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti e che ha natura oggettiva dovendo essere riferita all'attività dell'associazione e non alla condotta del singolo partecipe - occorre sia un intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrono gli stessi beni o servizi, sia che l'apporto di capitale corrisponda a un reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni criminose, essendo proprio il collegamento tra azioni delittuose e intenti antisociali a richiedere un più efficace intervento repressivo (Sez. 5, n. 9108 del 21/10/2019, dep. 2020, Stucci, Rv. 278796-01, con la quale la Corte, in applicazione di tale principio, ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva configurato l'aggravante in presenza di investimenti in alcune attività commerciali, senza valutare le dimensioni delle attività economiche acquisite e la loro eventuale prevalenza rispetto alle altre strutture produttive operanti nel territorio di insediamento); d) la circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. - che si configura ove le attività economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo siano finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti - ha natura oggettiva e va riferita all'attività dell'associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, il quale, nel caso di associazioni cosiddette storiche come mafia, camorra e 'ndrangheta, ne risponde per il solo fatto della partecipazione, dato che - appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che dette associazioni operano nel campo economico utilizzando e investendo i profitti di delitti che tipicamente pongono in essere in esecuzione del loro programma criminoso - un'ignoranza al riguardo in capo a un soggetto che sia ad alcuna di tali associazioni affiliato è inconcepibile (Sez. 2, n. 23890 del 01/04/2021, Aieta, Rv. 281463-02). È necessario segnalare anche quell'orientamento della Corte di cassazione secondo cui, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravata ai sensi dell'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., si ha reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni delittuose anche quando al soggetto passivo viene imposto, con violenza o minaccia, di far assegnare lavori in appalto a imprese colluse o di cedere attività commerciali in favore di prestanome mafiosi, atteso che, in tali ipotesi, il profitto ingiusto del delitto estorsivo è costituito dalla remunerazione dei lavori e dei servizi svolti dall'impresa mafiosa, che si giova dell'imposizione criminale, ovvero dai proventi derivanti dall'acquisizione dell'attività commerciale altrui, e il reimpiego si attua attraverso l'investimento di tale profitto nelle attività della medesima impresa mafiosa (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Buglisi, Rv. 275586-02). Nel caso in esame, la Corte d'appello di Palermo ha valorizzato le dichiarazioni di So.Sa. e il contenuto di alcune intercettate conversazioni, segnatamente, la conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu. (pagine da 219 a 221 della sentenza impugnata) e l'ulteriore conversazione tra gli stessi Te.Sa. e Sc.Lu. e De.Gi. (pagine da 221 a 225 della sentenza impugnata) - contenuto del quale, con trariamente a quanto è sostenuto nel ricorso a firma dell'avv. Gi., la stessa Corte d'appello ha dato un'interpretazione e ha operato un apprezzamento non manifestamente illogici né irragionevoli e, perciò, non sindacabili in sede di legittimità (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01) - rilevando come da tali elementi di prova risultasse come il sodalizio criminale avesse sia investito nel settore delle slot machines del denaro non personale degli imputati ma proveniente dalle casse dello stesso sodalizio (e, perciò, proveniente dalle azioni criminose di esso), denaro che era stato impiegato per gestire, attraverso dei prestanome, delle attività nel settore suddetto, sia imposto ad altri esercizi commerciali di gestire le "macchinette" dell'associazione, così finendo per operare un'infiltrazione nel settore intesa al controllo del medesimo nel territorio di insediamento. Tale motivazione appare rispettosa dei principi di diritto affermati dalla più recente (e più rigorosa) giurisprudenza della Corte di cassazione, oltre che priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae alle censure avanzate dal ricorrente nei suoi due ricorsi. Occorre in proposito precisare come sia irrilevante il fatto che l'impresa intestata a Ca.Ro. (e utilizzata dal Te.Sa.) potesse essere in perdita, atteso che il sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. richiede soltanto che i proventi dei delitti associativi vengano reinvestiti in attività economiche di cui gli associati "intendono assumere o mantenere il controllo", mentre l'eventuale perdita di esercizio costituisce un elemento estraneo alla norma e, perciò, irrilevante. 1.4. Il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.3 della parte in fatto) e il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. An.Ba. (punto 4.2.4 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione - sono manifestamente infondati. Anzitutto, è manifestamente infondata la tesi, sostenuta nel ricorso dell'avv. Ba., dell'esclusione del concorso tra il reato di associazione di tipo mafioso e il reato di autoriciclaggio. La Corte di cassazione ha infatti ormai chiarito - affermando un principio che il Collegio, condividendolo, intende ribadire - che il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter 1 cod. pen., ove commesso dall'appartenente a un'associazione per delinquere di tipo mafioso, concorre con quello di partecipazione a tale associazione aggravato dal finanziamento di attività illecite, di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., attesa l'obiettiva diversità dei rispettivi elementi costitutivi, in quanto solo l'art. 648-ter 1 cod. pen., e non anche l'aggravante di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., richiede che l'autore agisca in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto di reimpiego (Sez. 2, n. 5656 del 07/12/2021, dep. 2022, Fontana, Rv. 282626-01; Sez. 1, n. 36283 del 22/10/2020, Petriccione, Rv. 280273-01). Quanto all'attribuzione al Te.Sa. (in concorso con Sc.Lu. e con De.Gi.) del contestato reato di autoriciclaggio, la Corte d'appello di Palermo ha motivato come dal contenuto delle conversazioni intercettate - tra le quali la più rilevante si doveva ritenere quella del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu. (pagine da 274 a 276 della sentenza impugnata) - fosse emerso come: a) il Te.Sa. avesse impiegato ingenti somme di denaro nell'impresa "Ca.Ro.", esercente l'attività di gestione di slot machines-, b) tali somme provenissero dalle casse della famiglia mafiosa, come risultava da un chiaro passaggio della conversazione intercettata nel quale si faceva riferimento ai "piccioli della gente" (avendo, peraltro, il G.u.p. del Tribunale di Palermo evidenziato anche come il te.Sa. fosse disoccupato e privo di beni, per essergli stati gli stessi in precedenza confiscati). Tale impiego di denaro proveniente dal commesso delitto di associazione di tipo mafioso in un'impresa intestata a un terzo configura la condotta di dissimulazione che è prevista e punita dall'art. 648-ter 1 cod. pen., atteso che la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca e l'individuazione della sua origine delittuosa (Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, Carabetta, Rv. 244477-01; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407-02). Né, a fronte di ciò, come è stato correttamente affermato dalla Corte d'appello di Palermo, poteva assumere rilievo, in senso contrario, il fatto che l'impresa "Ca.Ro." potesse asseritamente versare in cattive condizioni economiche. A fronte di tale motivazione, la quale appare priva sia di errori in diritto sia di contraddizioni e di illogicità manifeste, le censure del ricorrente risultano sostanzialmente dirette a prospettare una diversa interpretazione del contenuto della menzionata intercettata conversazione e, più in generale, un'alternativa valutazione del significato probatorio degli elementi di prova, il che non è possibile fare in sede di legittimità. 1.5. Il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.4 della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per i reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione - è manifestamente infondato. La Corte d'appello di Palermo ha fondato tale affermazione di responsabilità del Te.Sa. sugli elementi di prova costituiti dal contenuto di alcune intercettate conversazioni. In particolare, quanto al reato di cui al capo 14) dell'imputazione, tra gli altri, dal contenuto della conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., dalla quale risultava come i capitali per la costituzione dell'impresa individuale "Ca.Ro." fossero stati forniti dal Te.Sa. (oltre che dallo Sc.Lu.), nonché dal contenuto della conversazione del 01/06/2016 tra il Te.Sa. e Mi.Al., dalla quale risultava come il Te.Sa. fosse (insieme con lo Sc.Lu.) il reale titolare della suddetta impresa, la quale veniva gestita, per conto del Te.Sa. (oltre che dello Sc.Lu.), da De.Gi. Quanto al reato di cui al capo 15) dell'imputazione, tra gli altri, dal contenuto della conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., dalla quale risultava come i capitali per la costituzione di (...) Srl fossero stati forniti dal Te.Sa. (oltre che dallo Sc.Lu.), come lo stesso Te.Sa. fosse (insieme con lo Sc.Lu.) il reale titolare di (...) Srl (di cui erano formali titolari Na.Gi. e La.Pa.), la quale veniva gestita, sempre per conto del Te.Sa. (oltre che dello Sc.Lu.), da Mi.Al., che teneva tutti i contatti con i fornitori e i gestori (conversazione del 06/10/2016 tra Mi.Al. e La.Pa.). Te.Sa. (e Sc.Lu.) nell'interesse sostanziale dei quali risultava anche essere stato quindi stipulato il contratto di locazione dell'immobile sede della suddetta (...) Srl Da ciò la conclusione, del tutto logica, della Corte d'appello di Palermo che il Te.Sa. aveva fittiziamente attribuito a Ca.Ro. e a Na.Gi. e La.Pa., la titolarità, rispettivamente, dell'impresa individuale "Ca.Ro." e di (...) Srl La stessa Corte d'appello di Palermo motivava altresì come il Te.Sa. avesse fatto ricorso a tali fittizie intestazioni a persone insospettabili (rispettivamente, Ca.Ro. e Na.Gi. e La.Pa.) in quanto, essendo un pregiudicato mafioso, aveva il "timore di poter subire le "attenzioni" degli inquirenti", cioè il timore che potesse essere iniziato un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, che aveva, quindi, per mezzo delle suddette fittizie intestazioni, inteso eludere. Con la conseguente sussistenza, oltre che dell'elemento materiale, anche, in capo al Te.Sa., del dolo specifico del reato. A fronte di tale motivazione, il motivo di ricorso, con riguardo a entrambi i reati di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione, si traduce nella prospettazione di un'interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate e, più in generale, di una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova, senza realmente chiarire il perché la motivazione della sentenza impugnata si dovrebbe ritenere contraddittoria o manifestamente illogica e tentando, in realtà, di introdurre una nuova valutazione della prove, a sé favorevole, il che non è consentito fare in sede di legittimità. Quanto alle censure in diritto, la manifesta infondatezza delle stesse discende dal fatto che: a) il reato di cui all'art. 512-bis cod. pen. non è un reato plurisoggettivo improprio e colui che si renda fittiziamente titolare dei beni a lui attribuiti può rispondere a titolo di concorso eventuale, ex art. 110 cod. pen. (tra le tante: Sez. 2, n. 35826 del 12/07/2019, Como, Rv. 277075-01; b) secondo la più recente giurisprudenza della Corte dì cassazione - alla quale il Collegio, condividendola, intende dare seguito -, in tema di trasferimento fraudolento di valori, risponde a titolo di concorso anche colui che non è animato dal dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen., a condizione che almeno uno dei concorrenti agisca con tale intenzione e che della medesima il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 27123 del 03/05/2023, Carnovale, Rv. 284796-01). 1.6. Il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.5 della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione del ritenuto concorso tra il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione, in luogo del concorso apparente di norme tra tali due fattispecie, con il conseguente assorbimento del secondo reato nel più grave primo reato - non è fondato. Il Collegio ritiene che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, e come è già stato affermato dalla Corte di cassazione, il delitto di trasferimento fraudolento di valori concorra con il delitto di autoriciclaggio (Sez. 2, n. 3935 del 12/01/2017, Di Monaco, Rv. 269078-01). Ciò in quanto la condotta di autoriciclaggio non presuppone e non implica che l'autore di essa ponga in essere anche un trasferimento fittizio a un terzo dei cespiti provenienti dal reato presupposto. Questo costituisce un elemento ulteriore, che l'ordinamento ha inteso punire a norma dell'art. 512-bis cod. pen. Un elemento che, proprio in quanto coinvolge un terzo soggetto "prestanome", non si può neppure ricomprendere tra quelle "operazioni", idonee a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni, che sono indicate nell'art. 648-ter 1 cod. pen., le quali sono riferibili soltanto al soggetto agente o a chi si muova per lui senza avere ricevuto un'autonoma investitura formale. Inoltre, le due violazioni della legge penale si pongono anche in due momenti cronologicamente distinti, a ulteriore dimostrazione della loro diversità, la quale non consente assorbimenti: l'autore del reato presupposto prima compie l'operazione di interposizione fittizia che, poi, darà luogo a quella di autoriciclaggio, senza la quale la condotta sarebbe punibile solo come reato di cui all'art. 512-bis cod. pen. 1.7. Il sesto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.6 della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione del ritenuto concorso tra il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione e il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione - non è fondato. Il Collegio ritiene che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, e come è già stato ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione, il delitto di autoriciclaggio, commesso dall'appartenente all'associazione di tipo mafioso, concorra con il delitto di partecipazione a tale associazione, aggravato, a norma del sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., dal finanziamento delle attività economiche con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti (Sez. 2, n. 5656 del 07/12/2021, dep. 2022, Fontana, Rv. 282626-01; Sez. 1, n. 36283 del 22/10/2020, Petriccione, Rv. 280273-01). Tali due pronunce hanno anzitutto precisato che il principio che è stato affermato dalla sentenza Iavarazzo delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U., n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, cit.), secondo cui non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell'associato abbia a oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, operando in tal caso la clausola di riserva contenuta nelle predette disposizioni (la Corte ha peraltro precisato che si può configurare il concorso tra i reati sopra menzionati nel caso dell'associato che ricicli o reimpieghi proventi dei soli delitti-scopo alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun contributo causale), non è estensibile all'autoriciclaggio, atteso che, in questo, non è contemplata la clausola di riserva che, invece, inerisce alle altre due fattispecie di reato. Le stesse pronunce, alla cui motivazione - che è idonea a superare tutte le obiezioni del ricorrente -, condividendola, si fa integralmente rinvio, hanno poi essenzialmente evidenziato l'obiettiva diversità degli elementi costitutivi delle due fattispecie, atteso che solo l'art. 648-ter 1 cod. pen., e non anche l'art. 416-bis cod. pen. aggravato ai sensi del sesto comma dello stesso articolo, richiede che l'autore agisca in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto di reimpiego. Il che esclude che venga in rilievo un concorso apparente di norme o un reato complesso, e, con ciò, che il ritenuto concorso tra i due reati - in assenza, in quello di cui all'art. 648-ter 1 cod. pen., della menzionata clausola di riserva - integri una violazione del divieto di bis in idem sostanziale, posto a fondamento degli artt. 15, 68 e 84 cod. pen. 1.8. Il decimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 4.1.10 della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione della ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione - non è fondato. È vero che, con riguardo a tali circostanze aggravanti, la sentenza impugnata non contiene una motivazione espressa. La motivazione della sussistenza della circostanza aggravante cosiddetta dell'agevolazione mafiosa - tale dovendosi ritenere quella effettivamente riconosciuta dai giudici di merito (vedi la pag. 277 della sentenza impugnata) -risulta tuttavia implicitamente, ma in modo assolutamente inequivoco, dal complesso della motivazione della sentenza impugnata e, in particolare, dal fatto che: a) come si è visto al punto 1.4, il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione è stato ritenuto dalla Corte d'appello di Palermo, con una motivazione non contraddittoria né manifestamente illogica, avere a oggetto denaro proveniente dalle casse della famiglia mafiosa; b) come si è visto al punto 1.3, la Corte d'appello di Palermo, con una motivazione non contraddittoria né manifestamente illogica, ha ritenuto come dagli acquisiti elementi di prova fosse risultato come il sodalizio mafioso avesse investito nel settore delle slot machines del denaro non personale degli imputati ma proveniente dalle casse dello stesso sodalizio, denaro che era stato impiegato per gestire, attraverso dei prestanome, delle attività nel settore suddetto. Tali argomentazioni, relative all'affermazione della responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e della sussistenza della circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., valgono altresì, in tutta evidenza, a sostenere anche la sussistenza della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa relativamente al reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e ai reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione, atteso che: a) il reato di autoriciclaggio ha avuto a oggetto del denaro appartenente al sodalizio mafioso; b) i reati di trasferimento fraudolento di valori riguardavano l'intestazione fittizia di due imprese che operavano nel settore delle slot machines, nel quale, come si è detto, lo stesso sodalizio criminoso investiva il proprio denaro per gestire, attraverso dei prestanome, le attività nello stesso settore. 1.9. Il nono motivo del ricorso a firma dell'avv. Gi. (punto 4.1.9. della parte in fatto) e il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Ba. (punto 4.2.5 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica - non sono fondati. Occorre anzitutto rilevare come la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione affermi ormai costantemente che non sussiste incompatibilità tra l'istituto della recidiva e quello della continuazione, con la conseguente possibile applicazione, in presenza dei relativi presupposti normativi, di entrambi tali istituti, in quanto il secondo non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma è fondato su una mera fictio iuris a fini di temperamento del trattamento penale (tra le tantissime: Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296-01). Quanto all'ulteriore censura, sollevata in entrambi i ricorsi, di insussistenza dei presupposti per l'applicazione della recidiva, premesso che, perché sia configurabile la recidiva, è necessario che il nuovo reato sia commesso dopo che la precedente condanna sia divenuta irrevocabile, si deve ritenere che la stessa recidiva possa operare anche nel caso in cui l'agente, successivamente a tale irrevocabilità, prosegua la stessa condotta o la riprenda in epoca successiva -come può accadere, per quanto qui rileva, nei reati associativi - ponendo così in essere un ulteriore diverso fatto di reato, rispetto al quale la precedente condanna può senz'altro operare come presupposto per ritenere la recidiva. Si deve infine rilevare che la Corte d'appello di Palermo ha confermato l'applicazione della recidiva avendo ritenuto in fatto che la condotta dell'imputato, evidentemente posta in relazione con i suoi precedenti penali, fosse ulteriormente espressiva della sua capacità a delinquere e della sua inclinazione al delitto (pag. 488 della sentenza impugnata); costituisse, cioè, insomma, una significativa prosecuzione di un già avviato processo delinquenziale. Tale considerazione - che, essendo espressiva di un giudizio di fatto, non è censurabile in questa sede -, appare sufficiente, ponendosi sostanzialmente in linea con la giurisprudenza della Corte dì cassazione secondo cui, ai fini dell'applicazione (o no) della recidiva, compito del giudice di merito è quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito costituisca un effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di maggiore pericolosità del suo autore, al di là del mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419-01; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464-01). 1.10. Il primo motivo del ricorso a firma dell'avv. Ba. (punto 4.2.1. della parte in fatto) è manifestamente infondato. Come è stato più volte affermato dalla Corte di cassazione, "nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso dall'art. 416-bis c.p., commi 4 e 6, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63 c.p., comma 4, bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui all'art. 416-bis c.p., comma 6, che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata" (Sez. 2, n. 7155 del 11/11/2020, dep. 2021, Liccardi, Rv. 280662 - 01; Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, Spadaro Tracuzzi, Rv. 261333 - 01; Sez. 6, n. 7916 del 13/12/2011, dep. 2012, La Franca, Rv. 252069 - 01; Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo, Rv. 244460 - 01). Da questa specifica disciplina sanzionatoria, come è stato chiaramente messo in luce dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (n. 38158 del 27/11/2014, dep. 2015, Ventrici, Rv. 264674 - 01), si ricava che il regime degli aumenti stabiliti per le aggravanti speciali contemplate dall'art. 416-bis ù cod. pen. non interrompe "il collegamento con la pena stabilita per il reato (base) cui accedono, indicando esse stesse ex lege la cornice degli incrementi sanzionatori". In definitiva, ove siano attribuite entrambe le circostanze aggravanti ricordate, il legislatore ha fissato un criterio autonomo di determinazione degli aumenti di pena, che riveste carattere di specialità rispetto alla disciplina generale dettata dall'art. 63 cod. pen. (al pari delle ipotesi considerate per l'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, aggravata dal carattere armato dell'associazione ai sensi dell'art. 74, comma 4, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e per l'aggravante dell'ingente quantitativo di stupefacenti, riferita all'ipotesi del delitto di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, aggravato dall'essere le sostanze con accentuata potenzialità lesiva, come previsto dall'art. 80, comma 2, dello stesso D.P.R., nelle parti in cui fissano in modo autonomo la pena per le ipotesi che concernono fattispecie già aggravate; o, ancora, per l'ipotesi del concorso di più circostanze aggravanti previste dall'art. 628, terzo comma, cod. pen., la cui misura è stabilita dal quarto comma dello stesso art. 628 cod. pen.). Da tale caratteristica del trattamento sanzionatorio, previsto espressamente dalla legge, discende che il concorso con l'ulteriore aggravante della recidiva reiterata richiede l'applicazione del disposto dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., considerando quali circostanze aggravanti a effetto speciale da comparare - al fine di individuare la più grave - quelle unitariamente considerate a fini sanzionatori dall'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., e quella della recidiva reiterata ex art. 99, quarto comma, cod. pen.; operando, quindi, sulla pena per la più grave tra le dette circostanze, l'eventuale ulteriore aumento ex art. 63, quarto comma, ultimo periodo, cod. pen. I giudici di merito hanno dunque correttamente operato il calcolo della pena da irrogare all'imputato, individuando quale circostanza aggravante che comportava il maggior aumento quella dell'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., determinando la pena nella misura di 20 anni di reclusione, pena su cui è stato poi operato l'ulteriore aumento per effetto della recidiva attribuita, nei limiti imposti dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., giungendo alla pena di 22 anni di reclusione. 1.11. L'undicesimo motivo a firma dell'avv. Gi. (punto 4.1.11. della parte in fatto) è manifestamente infondato. Quanto alla determinazione della misura della pena per il reato di promozione, direzione e organizzazione di un'associazione di tipo mafioso aggravato dall'essere l'associazione armata e dall'essere le attività economiche di cui gli associati intendevano assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti, si deve osservare che la pena è stata in realtà determinata nella misura del minimo edittale, segnatamente: partendo dalla pena di 15 anni di reclusione, cioè dal minimo che è previsto dal quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen. per il reato di promozione, direzione o organizzazione di un'associazione armata; aumentando tale pena di un terzo - e, quindi, a 20 anni di reclusione -per l'ulteriore circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., aumento (di un terzo) che corrisponde alla misura minima che è prevista da tale sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. Quanto alla determinazione della misura degli aumenti di pena per la continuazione con i reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione, si deve rilevare l'inammissibilità del corrispondente motivo di appello per difetto di specificità, rilevabile anche in Cassazione, ai sensi del comma 4 dell'art. 591 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, Criscuolo, Rv. 270799 - 01; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., Rv. 271193 - 01). Infatti, nell'atto di appello (pagg. 36-38 dell'atto di appello a firma dell'avv. Gi.), il ricorrente si era limitato, del tutto genericamente, da un lato, a dedurre "la scarsa pericolosità del soggetto agente" e, dall'altro lato, a invocare la necessità di tenere "conto dello specifico modus operandi, del contesto familiare e sociale in cui viveva l'odierno imputato" e della "peculiarità dei fatti", senza, tuttavia, specificare in alcun modo le ragioni della suddetta asserita scarsa pericolosità dell'agente né quale sarebbero state le caratteristiche del "modus operandi", del "contesto familiare" e dei "fatti" che avrebbero giustificato un più mite trattamento sanzionatorio, né perché. La genericità delle doglianze prospettate con il motivo di appello escludeva, pertanto, la necessità di una specifica motivazione della sentenza impugnata in punto di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione. 2. I ricorsi di Sc.Lu. (a firma dell'avv. Vi.Gi. e dell'avv. Di.Be.). 2.1. Il primo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.1 della parte in fatto) e il primo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.1. della parte in fatto) non sono consentiti. 2.1.1. Anzitutto, quanto alla contestazione, avanzata nel ricorso a firma dell'avv. Gi., relativa all'esistenza stessa dell'associazione di tipo mafioso (punto 5.1.1.1 della parte in fatto), trattandosi di censure identiche a quelle che sono state prospettate con il primo motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dello stesso avv. Gi. (punto 4.1.1.1 della parte in fatto), è sufficiente rinviare a quanto è stato argomentato, in ordine alla genericità e aspecificità delle medesime censure, al punto 1.1.1. 2.1.2. In secondo luogo, quanto alle contestazioni relative all'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione all'associazione di tipo mafioso della famiglia di Co. (punti 5.1.1.2 e 5.2.1 della parte in fatto), si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento della ritenuta partecipazione dello Sc.Lu. alla suddetta famiglia mafiosa, nella quale l'imputato si era reinserito dopo la sua scarcerazione il 13/01/2014. Dopo avere premesso che lo Sc.Lu. era già stato condannato per la partecipazione al sodalizio criminoso, la Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provata la continuità della stessa partecipazione e, di più, l'accrescimento dell'apporto fornito al sodalizio, mercé anche il rafforzamento del legame con Te.Sa., sulla scorta, anzitutto, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia So.Sa., il quale, nel corso dell'interrogatorio che aveva reso il 19/06/2015 (il cui contenuto è testualmente riportato alle pagine da 128 a 138 della sentenza impugnata), aveva espressamente indicato, per averne avuto diretta conoscenza, lo Sc.Lu. come uomo di Ta.Pi. (successivamente arrestato il 28/09/2015) che si occupava, per conto del sodalizio mafioso, di imporre la collocazione di slot machines negli esercizi pubblici. Tale chiamata in correità, rispetto alla quale la Corte d'appello di Palermo ha logicamente argomentato la ritenuta credibilità del dichiarante (pagine 68-69 della sentenza impugnata), aveva trovato riscontro, oltre che nell'accertata assidua frequentazione - in incontri sempre caratterizzati da modalità di svolgimento riservate - con Te.Sa. e con diversi altri membri del sodalizio, anche aventi ruoli apicali (come Su., vertice del mandamento di S, il quale, il 07/04/2016, si era personalmente recato presso l'agenzia di pompe funebri dello Sc.Lu.), anche nel contenuto di numerose conversazioni intercettate; il quale, anche in questo caso, appare avere lo spessore non del mero riscontro alla ricordata chiamata in correità, ma della prova "autosufficiente" della partecipazione dello Sc.Lu. alla famiglia mafiosa di Co.. Con riguardo a tali intercettate conversazioni, la Corte d'appello di Palermo ha in particolare evidenziato come da esse fossero emersi: a) l'immediata ripresa, da parte dell'imputato, dopo la sua scarcerazione, dei contatti con il sodalizio criminale (conversazione del 30/01/2015 con Da.Cl., uomo di fiducia di Ta.Pi., il quale Da.Cl. aveva espressamente manifestato la propria piena disponibilità ad aiutare lo Sc.Lu.); b) i numerosi discorsi con Te.Sa. aventi a oggetto gli affari illeciti del sodalizio, quali l'imposizione del "pizzo", il traffico degli stupefacenti e il commercio dei tabacchi lavorati esteri (tra le altre: conversazione del 15/11/2017, nella quale si faceva riferimento al denaro per i carcerati; conversazione del 21/11/2017, avente a oggetto l'estorsione ai danni dell'impresa di specchi "Mi.Ig."); c) il contributo che era stato dato dallo Sc.Lu. all'individuazione degli autori della già menzionata rapina ai danni della sala bingo "Taj Mahal" di via (omissis), riconducibile alla famiglia mafiosa di Vi. La Corte d'appello di Palermo valorizzava altresì l'attribuzione anche allo Sc.Lu. dei reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione, in quanto dimostrativa del contributo che era stato dato dall'imputato alla famiglia mafiosa di Co. nell'attività di riciclaggio e di trasferimento fraudolento di valori, a tutela del denaro proveniente dai delitti commessi dal sodalizio. A fronte di tale puntuale, dettagliata e ragionata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento della ritenuta rinnovata partecipazione dello Sc.Lu., dopo la sua scarcerazione, alla famiglia mafiosa di Co., le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella riproposizione, in questa sede, delle tesi che erano già state avanzate in sede di merito, al fine di ottenere una nuova e alternativa valutazione dei suddetti elementi probatori, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 2.2. Il settimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.7 della parte in fatto) e il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.2. della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata - sono manifestamente infondati. Come si è visto al punto 1.2, la Corte d'appello di Palermo ha appurato che non solo "Cosa Nostra", di cui la famiglia di Co. costituiva un'articolazione, ma anche tale famiglia, di cui lo Sc.Lu. era un "autorevole" esponente, disponeva di armi - così come, più in generale, il mandamento di Br. - come risultava: dall'intercettata conversazione del 05/04/2017 tra Ro.Pa. e il padre di lui Ro.Pi., nella quale si faceva riferimento alla disponibilità di armi proprio in capo a Sc.Fa.; dall'accertata disponibilità di una pistola da parte di Gi.Sa.; dall'accertata disponibilità di una pistola, presso la propria abitazione, da parte di Di.Sa.; dall'intercettata conversazione del 12/04/2014 tra lo stesso Di.Sa. e la cognata Pi.Ma., in cui i due discutevano delle armi. A fronte dei ricordati (al punto 1.2) principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione e di tali non censurabili accertamenti in fatto, si deve reputare che del tutto correttamente la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto sia la disponibilità di armi in capo all'associazione sia la conoscenza o, comunque, l'ignoranza colpevole, da parte dei sodali, di tale disponibilità (e, in particolare, da parte dello Sc.Lu., atteso anche il ruolo significativo, ancorché non apicale, che egli rivestiva), avendo, altresì, sempre correttamente escluso che potessero assumere alcun rilievo, in senso contrario, i fatti che non fossero state usate armi per la commissione di reati-fine o che, in esito alle eseguite perquisizioni, non fossero state sequestrate delle armi. 2.3. L'ottavo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.8 della parte in fatto) e il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.3. della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti - non sono fondati. Come si è visto al punto 1.3, la Corte d'appello di Palermo ha valorizzato le dichiarazioni di So.Sa. e il contenuto di alcune intercettate conversazioni, segnatamente, la conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu. (pagine da 219 a 221 della sentenza impugnata) e l'ulteriore conversazione tra gli stessi Te.Sa. e Sc.Lu. e De.Gi. (pagine da 221 a 225 della sentenza impugnata) - contenuto del quale, contrariamente a quanto è sostenuto nel ricorso a firma dell'avv. Gi., la stessa Corte d'appello ha dato un'interpretazione e ha operato un apprezzamento non manifestamente illogici né irragionevoli e, perciò, non sindacabili in sede di legittimità (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, cit.; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, cit.; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, cit.) - rilevando come da tali elementi di prova risultasse come il sodalizio criminale avesse sia investito nel settore delle slot machines del denaro non personale degli imputati ma proveniente dalle casse dello stesso sodalizio (e, perciò, proveniente dalle azioni criminose di esso), denaro che era stato impiegato per gestire, attraverso dei prestanome, delle attività nel settore suddetto, sia imposto ad altri esercizi commerciali di gestire le "macchinette" dell'associazione, così finendo per operare un'infiltrazione nel settore intesa al controllo del medesimo nel territorio di insediamento. Tale motivazione appare rispettosa dei ricordati (al punto 1.3) principi di diritto affermati dalla più recente (e più rigorosa) giurisprudenza della Corte di cassazione, oltre che priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae alle censure avanzate dal ricorrente nei suoi due ricorsi. In proposito, si è già precisato come sia irrilevante il fatto che l'impresa intestata a Ca.Ro. (e utilizzata dallo Sc.Lu.) potesse essere in perdita, atteso che il sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. richiede soltanto che i proventi dei delitti associativi vengano reinvestiti in attività economiche di cui gli associati "intendono assumere o mantenere il controllo", mentre l'eventuale perdita di esercizio costituisce un elemento estraneo alla norma e, perciò, irrilevante. 2.4. Il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.2 della parte in fatto) e il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.4. della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione - sono manifestamente infondati. Quanto all'attribuzione allo Sc.Lu. (in concorso con Te.Sa. e con De.Gi.) del contestato reato di autoriciclaggio, la Corte d'appello di Palermo ha motivato come dal contenuto delle conversazioni intercettate - tra le quali la più rilevante si doveva ritenere quella del 01/07/2016 tra lo Sc.Lu. e il Te.Sa. (pagine da 274 a 276 della sentenza impugnata) - fosse emerso come: a) lo Sc.Lu. avesse impiegato delle somme di denaro nell'impresa "Ca.Ro.", esercente l'attività di gestione di slot machines; b) tali somme provenissero dalle casse della famiglia mafiosa, come risultava da un chiaro passaggio della conversazione intercettata nel quale si faceva riferimento ai "piccioli della gente" (avendo, peraltro, il G.u.p. del Tribunale di Palermo evidenziato anche come lo Sc.Lu. non disponesse di somme rapportabili a quelle da lui impiegate nella suddetta impresa "Ca.Ro."; affermazione, questa, che si deve ritenere contestata dal ricorrente solo in modo generico). Tale impiego di denaro proveniente dal commesso delitto di associazione di tipo mafioso in un'impresa intestata a un terzo configura la condotta di dissimulazione che è prevista e punita dall'art. 648-ter 1 cod. pen., atteso che la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca e l'individuazione della sua origine delittuosa (Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, Carabetta, cit.; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, cit.). Né, a fronte di ciò, come è stato correttamente affermato dalla Corte d'appello di Palermo, poteva assumere rilievo, in senso contrario, il fatto che l'impresa "Ca.Ro." potesse asseritamente versare in cattive condizioni economiche. A fronte di tale motivazione, la quale appare priva sia di errori in diritto sia di contraddizioni e di illogicità manifeste, le censure del ricorrente risultano sostanzialmente dirette a prospettare una diversa interpretazione del contenuto della menzionata intercettata conversazione e, più in generale, un'alternativa valutazione del significato probatorio degli elementi di prova, il che non è possibile fare in sede di legittimità. 2.5. Il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.3 della parte in fatto) e il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.5. della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per i reati di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione - sono manifestamente infondati. La Corte d'appello di Palermo ha fondato tale affermazione di responsabilità dello Sc.Lu. sugli elementi di prova costituiti dal contenuto di alcune intercettate conversazioni. In particolare, quanto al reato di cui al capo 14) dell'imputazione, tra gli altri, dal contenuto della conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., dalla quale risultava come i capitali per la costituzione dell'impresa individuale "Ca.Ro." fossero stati forniti dallo Sc.Lu. (oltre che dal v), nonché dal contenuto della conversazione del 01/06/2016 tra il Te.Sa. e Mi.Al., dalla quale risultava come lo Sc.Lu. fosse (insieme con il Te.Sa.) il reale titolare della suddetta impresa, la quale veniva gestita, per conto dello Sc.Lu. (oltre che del Te.Sa.), da De.Gi. Quanto al reato di cui al capo 15) dell'imputazione, tra gli altri, dal contenuto della conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu., dalla quale risultava come i capitali per la costituzione di (...) Srl fossero stati forniti dallo Sc.Lu. (oltre che dal Te.Sa.), come lo stesso Sc.Lu. fosse (insieme con il Te.Sa.) il reale titolare di (...) Srl (di cui erano formali titolari Na.Gi. e La.Pa.), la quale veniva gestita, sempre per conto dello Sc.Lu. (oltre che del Te.Sa.), da Mi.Al., che teneva tutti i contatti con i fornitori e i gestori (conversazione del 06/10/2016 tra Mi.Al. e La.Pa.). Sc.Lu. (e Te.Sa.) nell'interesse sostanziale dei quali risultava anche essere stato quindi stipulato il contratto di locazione dell'immobile sede della suddetta (...) Srl Da ciò la conclusione, del tutto logica, della Corte d'appello di Palermo che lo Sc.Lu. aveva fittiziamente attribuito a Ca.Ro. e a Na.Gi. e La.Pa., la titolarità, rispettivamente, dell'impresa individuale "Ca.Ro." e di (...) Srl La stessa Corte d'appello di Palermo motivava altresì come lo Sc.Lu. avesse fatto ricorso a tali fittizie intestazioni a persone insospettabili (rispettivamente, Ca.Ro. e Na.Gi. e La.Pa.) in quanto, essendo un pregiudicato mafioso, aveva il "timore di poter subire le "attenzioni" degli inquirenti", cioè il timore che potesse essere iniziato un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, che aveva, quindi, per mezzo delle suddette fittizie intestazioni, inteso eludere. Con la conseguente sussistenza, oltre che dell'elemento materiale, anche, in capo allo Sc.Lu., del dolo specifico del reato. A fronte di tale motivazione, il motivo di ricorso, con riguardo a entrambi i reati di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione, si traduce nella prospettazione di un'interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate e, più in generale, di una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova, senza realmente chiarire il perché la motivazione della sentenza impugnata si dovrebbe ritenere contraddittoria o manifestamente illogica e tentando, in realtà, di introdurre una nuova valutazione della prove, a sé favorevole, il che non è consentito fare in sede di legittimità. Quanto alla manifesta infondatezza delle censure in diritto sollevate nel ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi., si rinvia a quanto si è argomentato alla fine del punto 1.5. 2.6. Il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.4. della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione del ritenuto concorso tra il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione e il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 14) dell'imputazione, in luogo del concorso apparente di norme tra tali due fattispecie, con il conseguente assorbimento del secondo reato nel più grave primo reato - non è fondato. Trattandosi della stessa questione in diritto che è stata posta con il quinto motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dello stesso avv. Gi. ed essendo le argomentazioni dei due ricorsi sostanzialmente sovrapponibili, si fa integrale rinvio all'esposizione delle ragioni della ritenuta infondatezza del suddetto quinto motivo del ricorso di Te.Sa. che è stata fatta al punto 1.6. 2.7. Il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.5. della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione del ritenuto concorso tra il reato di associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell'imputazione e il reato di autoriciclaggio di cui al capo 13) dell'imputazione -non è fondato. Trattandosi della stessa questione in diritto che è stata posta con il sesto motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dello stesso avv. Gi. ed essendo le argomentazioni dei due ricorsi identiche, si fa integrale rinvio all'esposizione delle ragioni della ritenuta infondatezza del suddetto sesto motivo del ricorso di Te.Sa. che è stata fatta al punto 1.7. 2.8. Il sesto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.6 della parte in fatto) - motivo che attiene alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui al capo 27) dell'imputazione - è manifestamente infondato. La Corte d'appello di Palermo ha confermato tale affermazione di responsabilità sulla base degli elementi probatori costituiti dalle risultanze del localizzatore GPS che era apposto all'automobile in uso allo Sc.Lu., dai servizi di osservazione, pedinamento e controllo che erano stati svolti dalla polizia giudiziaria e dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, elementi dai quali risultava come l'imputato si fosse ripetutamente allontanato dal Comune di P, nel quale gli era stato imposto l'obbligo di soggiornare, e aveva preso parte a numerosi summit cui avevano partecipato dei noti esponenti mafiosi. Tale motivazione della ritenuta pienamente consapevole violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo di soggiorno appare, oltre che conforme alle norme di legge, del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, sicché si sottrae alle censure del ricorrente, dovendosi ritenere, altresì, manifesta, la concreta offensività, rispetto agli scopi della misura di prevenzione, delle condotte di ripetuto allontanamento del Comune di P al fine di incontrare (insieme al Te.Sa.) sodali della famiglia mafiosa di Br. 2.9. Il decimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.10 della parte in fatto) e l'ottavo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.8 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 13), 14), 15) e 27) dell'imputazione (ricorso a firma dell'avv. Gi.) e in relazione ai reati di cui ai capi 14) e 15) dell'imputazione (ricorso a firma dell'avv. Di.Be.) - non sono fondati. Quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante cosiddetta dell'agevolazione mafiosa - tale dovendosi ritenere quella effettivamente riconosciuta dai giudici di merito (vedi la pag. 277 della sentenza impugnata) - in relazione ai reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione, si fa integrale rinvio all'esposizione delle ragioni della ritenuta infondatezza del decimo motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dell'avv. Gi. che è stata fatta al punto 1.8, atteso che tali ragioni appaiono pienamente idonee ad argomentare anche l'infondatezza dei motivi in esame. Quanto alla ritenuta sussistenza della stessa circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa in relazione al reato di cui al capo 27) dell'imputazione - tale dovendosi ritenere, anche in questo caso, quella effettivamente riconosciuta dai giudici di merito (vedi le pagg. 472-473 della sentenza impugnata) - la motivazione della Corte d'appello di Palermo, secondo cui i comprovati allontanamenti dal Comune di P per incontrare, come era stato pure provato, sodali della famiglia mafiosa di Br., erano stati posti in essere, attesa quest'ultima circostanza, al fine di agevolare l'attività della stessa famiglia mafiosa, appare del tutto conforme al disposto dell'art. 416-bis 1 cod. pen. e, altresì, del tutto priva di contraddizioni e illogicità, tanto meno manifeste, sicché la stessa motivazione si sottrae senz'altro alle censure che sono state avanzate nel ricorso a firma dell'avv. Gi. 2.10. Il nono motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.9 della parte in fatto) e il sesto motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.6 della parte in fatto) - motivi che attengono alla contestazione della ritenuta sussistenza della recidiva reiterata specifica - non sono fondati. Quanto all'insussistenza di incompatibilità tra l'istituto della recidiva e quello della continuazione e alla possibilità che la recidiva possa operare anche nel caso in cui l'agente, successivamente a una precedente condanna per un reato associativo divenuta irrevocabile, prosegua la stessa condotta o la riprenda in epoca successiva - questioni che sono state poste in entrambi ì ricorsi -, si fa integrale rinvio all'esposizione delle ragioni della ritenuta infondatezza delle analoghe censure che sono state sollevate al riguardo con il nono motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dell'avv. Gi. e con il quinto motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dell'avv. Ba. che è stata fatta al punto 1.9. Si deve poi rilevare che la Corte d'appello di Palermo ha confermato l'applicazione della recidiva avendo ritenuto in fatto che la condotta dello Sc.Lu., evidentemente posta in relazione con i suoi precedenti penali, fosse ulteriormente espressiva della sua capacità a delinquere e della sua inclinazione al delitto (pag. 480 della sentenza impugnata); costituisse, cioè, insomma, una significativa prosecuzione di un già avviato processo delinquenziale. Tale considerazione - che, essendo espressiva di un giudizio di fatto, non è censurabile in questa sede -, appare sufficiente, ponendosi sostanzialmente in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui, ai fini dell'applicazione (o no) della recidiva, compito del giudice di merito è quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito costituisca un effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di maggiore pericolosità del suo autore, al di là del mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, cit.; Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, cit.). 2.11. Il primo profilo del dodicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.12 della parte in fatto) e il nono motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.9 della parte in fatto) - profilo e motivo che attengono alla contestazione del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche - sono manifestamente infondati. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244 - 01). Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 - 01). Nel caso di specie, la Corte d'appello di Palermo ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi dell'elevata offensività della condotta che era stata ascritta all'imputato e del fatto che questi, terminato il periodo di detenzione, non aveva esitato a offrire e a dare nuovamente il proprio contributo alla famiglia mafiosa di Co., così legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali anche quelli che erano dedotti dall'imputato (e che sono richiamati nei ricorsi). Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità. Né sussiste la violazione del divieto di bis in idem sostanziale che è stata lamentata con il ricorso a firma dell'avv. Di.Be. La Corte di cassazione ha infatti ripetutamente chiarito - affermando un principio che il Collegio, condividendolo, intende ribadire - che il giudice può negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, in quanto il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative a istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783 - 01; Sez. 6, n. 47537 del 14/11/2013, Quagliara, Rv. 257281 - 01). 2.12. Il terzo profilo del dodicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.12 della parte in fatto) e il settimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.7 della parte in fatto) - profilo e motivo che attengono alla contestazione del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche - sono manifestamente infondati. Come si è già diffusamente detto al punto 1.10 nell'esaminare il primo motivo del ricorso di Te.Sa. a firma dell'avv. An.Ba., la Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di associazione a delinquere di tipo mafioso, nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti a effetto speciale previste dall'art. 416-bis, quarto e sesto comma, cod. pen., la pena è determinata secondo la disciplina speciale di cui all'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata, con la conseguenza che, quando concorre anche l'aggravante a effetto speciale della recidiva reiterata, ai fini dell'individuazione della più grave tra le dette circostanze, sulla quale operare l'eventuale ulteriore aumento di pena, previsto dalla regola generale di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen., rileva quella unitariamente considerata, a fini sanzionatori, dall'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen. I giudici di merito hanno perciò correttamente operato il calcolo della pena di irrogare all'imputato, individuando quale circostanza aggravante che comportava il maggior aumento di pena quella dell'art. 416-bis, sesto comma, cod. pen., determinando la pena nella misura di 16 anni di reclusione, pena su cui è stato poi operato l'ulteriore aumento per effetto della recidiva attribuita, nei limiti imposti dall'art. 63, quarto comma, cod. pen., giungendo alla pena di 18 anni di reclusione. Nella confermata sentenza del G.u.p. del Tribunale di Palermo, la rilevanza di quest'ultima meno grave circostanza della recidiva e la quantificazione del relativo aumento di pena di 2 anni di reclusione erano stati altresì sufficientemente motivati in considerazione, rispettivamente: del fatto che la recidiva si doveva ritenere effettivamente dimostrativa di una maggiore pericolosità e di un maggior grado di colpevolezza; della congruità ed equità dell'irrogato aumento di pena di 2 anni di reclusione, entro il limite massimo "fino a un terzo" che è previsto dal quarto comma dell'art. 63 cod. pen. 2.13. Le restanti doglianze in punto di trattamento sanzionatorio che sono state avanzate con l'undicesimo motivo e con il secondo e il quarto profilo del dodicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punti 5.1.11 e 5.1.12 della parte in fatto), nonché con il decimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.10 della parte in fatto), sono fondate limitatamente all'aumento di pena irrogata per la continuazione con i reati già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007, mentre non sono fondate o sono manifestamente infondate nel resto. 2.13.1. Anzitutto, non è fondata la doglianza che è stata avanzata con l'undicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Gi. con riguardo all'individuazione del reato di cui al capo 1) dell'imputazione come violazione più grave rispetto al reato di associazione di tipo mafioso già giudicato con la suddetta sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo. La Corte di cassazione ha chiarito che, nel caso di reati in parte decisi con sentenza definitiva e in parte sub iudice - come era nel caso di specie - la valutazione circa la maggiore gravità delle violazioni deve essere compiuta confrontando tra loro la pena irrogata per i fatti già giudicati con quella irroganda per i reati al vaglio del decidente, attesa la necessità di rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena già coperte da giudicato e, nello stesso tempo, di rapportare grandezze omogenee (Sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, dep. 2016, Velia, Rv. 265733 - 01; Sez. 6, n. 36402 del 04/06/2015, Fragnoli, Rv. 264582 - 01. In senso analogo: Sez. 6, n. 29404 del 06/06/2018, Assinnata, Rv. 273447 - 01). La Corte d'appello di Palermo ha rispettato tale principio, avendo adeguatamente argomentato come, tenuto conto dell'inasprimento delle pene edittali per la fattispecie di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso che era stato operato con la legge 27 maggio 2015, n. 69 (art. 5, comma 1, lett. b), nonché del fatto che il reato sub iudice era aggravato dalla recidiva reiterata, la pena irroganda per tale reato sarebbe stata maggiore rispetto a quella che era stata inflitta per il reato già giudicato con la sentenza irrevocabile, con la logica conseguenza che, in applicazione dello stesso suddetto principio, il reato sub iudice si doveva considerare violazione più grave rispetto al reato associativo già giudicato. Ferma la correttezza di tale motivazione, si deve peraltro altresì osservare che: a) il ricorrente ha del tutto omesso di indicare quale sarebbe il suo interesse a che fosse invece ritenuta violazione più grave quest'ultimo reato già giudicato; b) le considerazioni svolte dallo stesso ricorrente a sostegno di tale diversa soluzione appaiano del tutto generiche. 2.13.2. In secondo luogo, è manifestamente infondata la doglianza che attiene alla determinazione della misura della pena per il più grave reato di cui al capo 1) dell'imputazione, atteso che, per tale reato, la pena è stata in realtà determinata nel minimo edittale, segnatamente: partendo dalla pena di 12 anni di reclusione, cioè dal minimo che è previsto dal quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen. per il reato di partecipazione a un'associazione armata; aumentando tale pena di un terzo - e, quindi, a 16 anni di reclusione - per l'ulteriore circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen., aumento (di un terzo) che corrisponde alla misura minima che è prevista da tale sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen. 2.13.3. In terzo luogo, quanto alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione con i reati di cui ai capi 13), 14), 15) e 27) dell'imputazione, si deve rilevare l'inammissibilità del corrispondente motivo di appello, rilevabile anche in Cassazione, ai sensi del comma 4 dell'art. 591 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, Criscuolo, cit.; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., cit.). Infatti, nell'atto di appello (pagg. 29-30 dell'atto di appello a firma dell'avv. Di.Be. e dell'avv. DE.SP.), il ricorrente si era limitato, genericamente, ad affermare che gli irrogati aumenti di pena di un anno di reclusione per ciascuno dei reati di cui ai capi 13), 14) e 15) dell'imputazione e di 6 mesi di reclusione per il reato di cui al capo 27) dell'imputazione sarebbero stati "non in linea con i principi discrezionali di cui all'art. 133 c.p.", tenuto conto del suo "ruolo non significativo (...) all'interno della famiglia mafiosa" e del fatto che egli sarebbe stato "anche destinatario di danneggiamenti e intimidazioni", senza specificare in alcun modo per quali ragioni il suo ruolo nella famiglia mafiosa si sarebbe dovuto ritenere "non significativo" e per quali ragioni il suo essere stato "destinatario di danneggiamenti e intimidazioni" avrebbe dovuto incidere sulla determinazione della misura della pena per i suddetti reati in continuazione. La genericità delle doglianze prospettate con il motivo di appello escludeva, pertanto, la necessità di una specifica motivazione della sentenza impugnata in punto di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione. Aumenti, peraltro, contenuti, e di cui la Corte d'appello di Palermo ha comunque ritenuto la congruità (pag. 481 della sentenza impugnata). 2.13.4. Le doglianze sono, invece, fondate, come si è anticipato, limitatamente all'aumento di pena irrogata per la continuazione con i reati già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007. Con riferimento a tali reati, la Corte d'appello di Palermo ha infatti irrogato un aumento cumulativo di 8 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione, senza in nessun modo motivare - come è invece necessario fare, anche alla luce dei principi che sono stati affermati dalla sentenza Pizzone delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U., n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01) - in ordine alle ragioni che, alla luce dei parametri che sono stabiliti nell'art. 133 cod. pen., l'hanno indotta a determinare l'aumento di pena nella suddetta misura e senza distinguere gli aumenti relativi ai diversi reati satellite. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con riguardo all'aumento di pena inflitta per la continuazione con i reati già giudicati con la sentenza del 24/05/2006 della Corte d'appello di Palermo, divenuta irrevocabile il 29/10/2007, con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte d'appello per un nuovo giudizio su tale punto. 2.14. Il tredicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Vi.Gi. (punto 5.1.13. della parte in fatto) e l'undicesimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Di.Be. (punto 5.2.11 della parte in fatto) sono fondati. Il Collegio aderisce infatti a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione dettata dall'art. 417 cod. pen., secondo cui, dopo la modifica introdotta dall'art. 31, comma 2, della legge n. 633 del 1986, l'applicazione delle misure di sicurezza, ivi compresa quella prevista dall'art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l'espresso positivo scrutinio dell'effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di fare ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice (tra le più recenti: Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, La Rosa, Rv. 244817 - 01; Sez. 1, n/7188 del 10/12/2020, dep. 2021, Pavone, Rv. 280804 - 01; Sez. 1, n. 35996 del 08/05/2019, Natale, Rv. 276813 - 01). Infatti, l'espressione utilizzata nell'art. 417 cod. pen., che abbina "sempre" alla condanna per uno dei delitti previsti dai due articoli precedenti (e, quindi, sicuramente per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen.) la disposizione di una misura di sicurezza da parte del giudice, deve essere coordinata con l'evoluzione normativa e, in particolare, con il fatto che, a partire dall'entrata in vigore della cosiddetta legge "Gozzini" (legge n. 633 del 1986), il quadro di riferimento è stato radicalmente modificato, attraverso l'abrogazione dell'art. 204 cod. pen. e la conseguente eliminazione, dal nostro ordinamento penale, delle presunzioni di pericolosità sociale in materia di misure di sicurezza, in conformità alle ripetute pronunce della Corte costituzionale declaratorie dell'illegittimità costituzionale delle disposizioni concernenti l'applicazione obbligatoria di tali misure nei confronti dell'infermo di mente (sentenze n. 139 del 1982 e n. 249 del 1983) e del minore di età (sentenza n. 1 del 1971). Si deve pertanto ritenere che, attualmente, qualunque misura di sicurezza potrebbe essere disposta dal giudice della cognizione e dal magistrato di sorveglianza soltanto se vi sia stato un previo accertamento della pericolosità sociale dell'agente, senza alcuna possibilità di ricorrere a presunzioni, ancorché semplici. Il Collegio ovviamente non ignora l'esistenza di differenti orientamenti nella giurisprudenza della Corte di cassazione - secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso: l'applicazione di una misura di sicurezza sarebbe obbligatoria tour court (da ultimo: Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Aguì, Rv. 284980 - 02); opererebbe una presunzione semplice di pericolosità del soggetto (da ultimo: Sez. 1, n. 24950 del 22/02/2023, Abbruzzo, Rv. 284829 - 02; Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallone, Rv. 281999 - 01) -, opzioni interpretative che, però, per le ragioni che si sono dette, non ritiene di condividere. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata anche con riguardo alla conferma dell'applicazione allo Sc.Lu. delle misure di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni e del divieto di soggiorno nella Provincia di P, con rinvio ad altra Sezione della stessa Corte d'appello per un nuovo giudizio anche su tale punto. 3. Il ricorso di Ma.Vi., a firma dell'avv. Ma.Mo., è inammissibile perché il suo unico motivo non è consentito in quanto è del tutto aspecifico. Tale unico motivo (di cui al punto 6 della parte in fatto), consiste infatti: a) in una generica censura della sentenza impugnata in punto di affermazione di responsabilità ("la Corte d'appello pur dando conto delle proprie conclusioni e delle prove che le sorreggono, non esplicita chiaramente i criteri di valutazione che sulla base di quelle prove consentono di pervenire alle conclusioni alle quali è pervenuta", atteso che "nella impugnata sentenza in poche righe si dà atto della colpevolezza dell'odierno ricorrente con riferimento ai fatti allo stesso contestati senza che vi sia un percorso motivazionale a tal proposito"), senza che venga operato alcun effettivo confronto con il percorso motivazionale della stessa sentenza e senza che vengano a essa rivolte delle specifiche censure; b) nell'immotivata richiesta di esclusione dell'attribuita recidiva, anche in questo caso senza operare alcun confronto con le ragioni di tale attribuzione. 4. Il ricorso di Di.Pi., a firma dell'avv. DE.SP.. 4.1. Il primo motivo (punto 7.1 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per i reati di partecipazione a un'associazione mafiosa (capo 2 dell'imputazione; punto 7.1.1. della parte in fatto), estorsione (capo 11 dell'imputazione; punto 7.1.2. della parte in fatto) e traffico illecito di sostanze stupefacenti (capo 12 dell'imputazione; punto 7.1.3. della parte in fatto) è fondato limitatamente al reato di estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione mentre non è consentito con riguardo ai reati di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione e di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione. 4.1.1. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione all'associazione di tipo mafioso "Cosa Nostra", si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento della ritenuta partecipazione del Di.Pi. alla famiglia mafiosa di Co.. La Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provata tale partecipazione sulla scorta, anzitutto, delle due autonome dichiarazioni dei collaboratori di giustizia So.Sa. e Bi.Sa. i quali avevano riferito: il primo, che il Di.Pi. era a completa disposizione del suocero Sc.Lu., che accompagnava agli incontri con altri membri del sodalizio mafioso, essendo ben consapevole della natura di tali incontri del suocero; il secondo (il quale aveva un ruolo apicale nel mandamento di M), che il Di.Pi. era l'alter ego del suocero Sc.Lu. Tali due chiamate in correità - le quali non si potevano ritenere logicamente smentite per il solo fatto che altri collaboratori di giustizia non avevano fatto riferimento al Di.Pi. - erano state suffragate dal contenuto di alcune conversazioni intercettate e dalle risultanze di servizi di osservazione, controllo e pedinamento, elementi dai quali era risultato come il Di.Pi. collaborasse fattivamente e consapevolmente all'attività "mafiosa" del suocero, svolgendo il ruolo di filtro per gli incontri dello Sc.Lu. con vari altri sodali, alcuni anche in posizione di vertice, contribuendo all'organizzazione di riunioni dello Sc.Lu. con gli stessi sodali, accompagnando il suocero a tali riunioni delle quali, rimanendo all'esterno dei luoghi in cui esse si svolgevano, si doveva ritenere garantire la sicurezza. La Corte d'appello di Palermo valorizzava altresì l'elemento del rinvenimento dell'imputato, il 01/06/2016, nel possesso della somma di Euro 2.500,00, la quale, essendo ciò avvenuto immediatamente dopo lo svolgimento di una riunione (tra Te.Sa., Sc.Lu., Mi.Al. e De.Gi.) presso il magazzino dell'impresa "Ca.Ro.", veniva logicamente ritenuta essere ricollegabile all'attività di gioco che veniva svolta dalla stessa impresa. Infine, la Corte d'appello di Palermo valorizzava la commissione di reati scopo dell'associazione, tra cui, in particolare, quello di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione, il quale, alla luce del contenuto di alcune conversazioni intercettate (conversazione del 15/11/2017 tra Te.Sa. e Sc.Lu.; conversazione del 30/11/2017 tra l'imputato e Ba., membro della famiglia 'ndranghetista da cui il Di.Pi. e lo Sc.Lu. si rifornivano di sostanza stupefacente), era risultato essere svolto nell'interesse della famiglia mafiosa. A fronte di tale puntuale e dettagliata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento della ritenuta partecipazione del Di.Pi. alla famiglia mafiosa di Co. - attese le attività funzionali agli scopi del sodalizio criminoso e apprezzabili come un concreto ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento dello stesso che risultavano dai suddetti elementi -, le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella riproposizione, in questa sede, delle tesi che erano già state avanzate in sede di merito, e nella sollecitazione di una diversa valutazione del significato probatorio degli elementi di priva, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 4.1.2. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di estorsione, il motivo è, come si è anticipato, fondato. Nella specie, la sussistenza del reato di estorsione richiederebbe o che l'autore del furto dello scooter fosse stato costretto, mediante minaccia, a consegnare un mezzo di valore superiore a quello che aveva rubato (del che, tuttavia, non vi è traccia nella motivazione della sentenza impugnata), o che la minaccia fosse stata esercitata nei confronti del padre dell'autore del furto (la persona offesa An.Ni.), in quanto soggetto estraneo rispetto alla pretesa azionata. Ciò posto, il Collegio ritiene che, nella motivazione della sentenza impugnata, non siano chiare le modalità dell'intervento dell'An.Ni. nella vicenda, se, cioè, questi sia stato costretto con la minaccia a procurare un nuovo ciclomotore al Di.Pi. o se, invece - come lo stesso An.Ni. aveva riferito alla polizia giudiziaria (pag. 243 della sentenza impugnata) - egli fosse spontaneamente intervenuto nella vicenda rendendosi disponibile a restituire, per conto del figlio autore del furto, un bene equivalente a quello che lo stesso figlio aveva rubato. La motivazione della sentenza impugnata non appare chiarire adeguatamente tale decisivo aspetto della vicenda. In particolare, la Corte d'appello di Palermo non ha chiarito da quale specifica frase dell'intercettata conversazione del Di.Pi. del 26/05/2017 che è riportata a pag. 244 della sentenza impugnata abbia tratto il convincimento che l'An.Ni. fosse stato costretto con la minaccia a procurare un nuovo ciclomotore al Di.Pi. né perché la stessa frase si dovesse intendere come comprovante una tale minaccia, non potendosi ritenere sufficiente, allo scopo, la mera sottolineatura della "veemenza delle espressioni utilizzate dal Di.Pi.". La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al reato di cui al capo 11) dell'imputazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 4.1.3. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti, la Corte d'appello di Palermo l'ha fondata sugli elementi di prova costituiti dal contenuto di alcune intercettate conversazioni, combinato con gli esiti dei servizi di osservazione che erano stati effettuati dalla polizia giudiziaria (i quali avevano, tra l'altro, documentato i numerosi viaggi in Calabria che erano stati svolti dal Di.Pi., anche con il Lu.Pi.). In particolare, dal contenuto, tra gli altri: della conversazione del 02/02/2017 tra il coimputato Lu.Pi. e un appartenente alla nota famiglia calabrese di trafficanti di stupefacenti Ba., nella quale conversazione si faceva espresso riferimento alla natura e alla qualità della sostanza stupefacente (crack) della quale il Di.Pi. e il Lu.Pi. stavano trattando l'acquisto dai suddetti Ba.; della conversazione del 03/02/2017 tra il Di.Pi. e il Lu.Pi., confermativa del fatto che costoro stavano dialogando di sostanza stupefacente del tipo "pesante"; della conversazione del 08/04/2017, sempre tra il Di.Pi. e il Lu.Pi., nel corso della quale i due discorrevano dei prezzi dello stupefacente e della modalità di pagamento dello stesso. Da tali elementi, oltre che dal contenuto delle altre conversazioni che erano state valorizzate dal G.u.p. del Tribunale di Palermo (pagine da 249 a 265 della sentenza impugnata), la Corte d'appello di Palermo traeva la conclusione, che appare del tutto logica, che il Di.Pi., insieme con il Lu.Pi., aveva posto in essere un traffico illecito di sostanze stupefacenti con la collaborazione della menzionata famiglia calabrese dei Ba. Traffico che, tenuto conto dei riferimenti che Ba. aveva fatto ad autorizzazioni che il Di.Pi. avrebbe dovuto ottenere, dei riferimenti dello stesso Ba. a Sc.Lu. (ancorché non direttamente coinvolto nella vicenda e, perciò, assolto dall'imputazione dal G.u.p. del Tribunale di Palermo) e della riconosciuta appartenenza del Di.Pi. alla famiglia mafiosa di Br., si doveva ritenere realizzato con il coinvolgimento e l'approvazione della stessa famiglia mafiosa, con la conseguente integrazione, così logicamente argomentata, anche della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa. A fronte di tale motivazione, il motivo di ricorso si traduce nella prospettazione di un'interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate e, più in generale, del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova, senza che quelle invocate si possano ritenere delle effettive contraddizioni o delle manifeste illogicità della motivazione, con la conseguenza che il motivo appare in realtà tentare di introdurre una nuova valutazione delle prove, favorevole all'imputato, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 4.2. Il secondo motivo (punto 7.2 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è fondato. A fronte di uno specifico motivo di appello del Di.Pi. sul punto (il quarto motivo dell'atto di appello dell'imputato), la Corte d'appello di Palermo ha infatti del tutto omesso di motivare al riguardo, con la conseguente sussistenza del denunciato vizio di mancanza della motivazione. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata anche con riferimento alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio anche su tale punto. 4.3. Il terzo motivo (punto 7.3 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della confermata sussistenza delle circostanze aggravanti del reato di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso dell'essere l'associazione armata (punto 7.3.1. della parte in fatto) e dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati (punto 7.3.2 della parte in fatto), è manifestamente infondato con riguardo alla prima di tali circostanze aggravanti e non è fondato con riguardo alla seconda delle stesse circostanze aggravanti. 4.3.1. Quanto alla conferma della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata, come si è visto al punto 1.2, la Corte d'appello di Palermo ha appurato che non solo "Cosa Nostra", di cui la famiglia di Co. costituiva un'articolazione, ma anche tale famiglia, di cui il Di.Pi. faceva parte, disponeva di armi - così come, più in generale, il mandamento di Br. - come risultava dagli elementi di prova che si sono indicati sempre al punto 1.2. A fronte dei ricordati (al punto 1.2) principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione e degli effettuati non censurabili accertamenti in fatto, si deve reputare che del tutto correttamente la Corte d'appello di Palermo abbia ritenuto sia la disponibilità di armi in capo all'associazione sia la conoscenza o, comunque, l'ignoranza colpevole, da parte dei sodali, di tale disponibilità (e, in particolare, anche da parte del Di.Pi.), avendo, altresì, sempre correttamente escluso che potessero assumere alcun rilievo, in senso contrario, i fatti che non fossero state usate armi per la commissione di reati-fine (o che, in esito alle eseguite perquisizioni, non fossero state sequestrate delle armi). 4.3.2. Quanto alla conferma della sussistenza della circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati, come si è visto al punto 1.3, la Corte d'appello di Palermo ha valorizzato le dichiarazioni di So.Sa. e il contenuto di alcune intercettate conversazioni, segnatamente, la conversazione del 01/07/2016 tra il Te.Sa. e lo Sc.Lu. (pagine da 219 a 221 della sentenza impugnata) e l'ulteriore conversazione tra gli stessi Te.Sa. e Sc.Lu. e De.Gi. (pagine da 221 a 225 della sentenza impugnata), rilevando come da tali elementi di prova risultasse come il sodalizio criminale avesse sia investito nel settore delle slot machines del denaro non personale degli imputati ma proveniente dalle casse dello stesso sodalizio (e, perciò, proveniente dalle azioni criminose di esso), denaro che era stato impiegato per gestire, attraverso dei prestanome, delle attività nel settore suddetto, sia imposto ad altri esercizi commerciali di gestire le "macchinette" dell'associazione, così finendo per operare un'infiltrazione nel settore intesa al controllo del medesimo nel territorio di insediamento. Tale motivazione appare rispettosa dei ricordati (al punto 1.3) principi di diritto affermati dalla più recente (e più rigorosa) giurisprudenza della Corte di cassazione, oltre che priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae alle censure avanzate dal ricorrente nel suo ricorso, non potendo evidentemente assumere contrario rilievo il fatto che la circostanza aggravante in questione possa essere stata asseritamente esclusa nell'ambito di altri diversi procedimenti penali. 4.4. Il quarto motivo (punto 7.4 della parte in fatto) è manifestamente infondato. Come si è visto al punto 4.1.1, la Corte d'appello di Palermo ha compiutamente esposto gli elementi probatori dimostrativi delle attività funzionali agli scopi della famiglia mafiosa di Co. e apprezzabili come un concreto ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento di tale sodalizio criminoso che erano state poste in essere dal Di.Pi., traendone la conclusione, corretta in diritto e priva di vizi logici, della partecipazione dello stesso Di.Pi. alla suddetta famiglia mafiosa di Co.. A fronte di ciò, cioè una volta che la Corte d'appello di Palermo aveva compiutamente motivato, nei termini che si sono detti, la partecipazione del Di.Pi. all'associazione mafiosa, risultava evidentemente logicamente assorbita ogni questione relativa alla configurabilità di altre alternative ipotesi di reato, tra cui anche quella, prospettata in questa sede, del favoreggiamento personale. Quanto alla circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa ritenuta con riferimento al reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti, si è già detto al punto 4.1.3 della congruità e logicità della motivazione della sentenza impugnata al riguardo. La questione della sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso con riguardo al reato di estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione (pag. 247 della sentenza impugnata) è invece assorbita dall'accoglimento del motivo di ricorso relativo all'affermazione di responsabilità per tale reato. 5. Il ricorso di Ur.En., a firma dell'avv. DE.SP. 5.1. Il primo motivo (punto 8.1 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di assistenza continuativa agli associati di cui al capo 4) dell'imputazione, è in parte non consentito e in parte manifestamente infondato. Esso non è consentito là dove, con esso, si lamenta che la Corte d'appello di Palermo si sarebbe asseritamente limitata "a dare per certo e per scontato, in assenza di riscontri probatori certi, che l'Ur.En. fosse consapevole del fatto che la sua condotta potesse agevolare la consorteria mafiosa". Tale doglianza - la quale attiene all'elemento psicologico del reato, non essendo in contestazione la sussistenza dell'elemento materiale dello stesso, integrato dalla messa a disposizione dell'appartamento dell'imputato per le riunioni "mafiose" dei membri del mandamento di Br. - omette infatti del tutto di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla consapevolezza, da parte dell'imputato, di fornire assistenza, con la propria condotta, a dei soggetti di spicco della consorteria mafiosa (in particolare, tra gli altri, a Te.Sa. e a Sc.Lu.). Contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, la Corte d'appello di Palermo non ha affatto dato "per certa e per scontata" tale consapevolezza, ma l'ha, al contrario, motivata, traendola (riassuntivamente) dalle notevoli cautele che l'imputato adoperava nel mettere il proprio appartamento a disposizione dei sodali. Il motivo è quindi, sul punto, del tutto aspecifico e, perciò, non consentito. Lo stesso motivo è, per il resto - in particolare là dove, con esso, si deduce l'insussistenza della "coincidenza temporale dell'attività di assistenza prestata (...) con l'operatività dell'associazione" - manifestamente infondato, atteso che, nel 2017, quando l'Ur.En. pose in essere la condotta di assistenza agli associati a lui attribuita, l'associazione criminale mafiosa era, in tutta evidenza, operativa, come è risultato accertato nella stessa sentenza impugnata, la quale ha attribuito agli imputati il reato associazione di tipo mafioso che era stato loro contestato "fino al 2 luglio 2019". 5.2. Il secondo motivo (punto 8.2 della parte in fatto), con il quale si contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (punto 8.2.1 della parte in fatto) e l'eccessività della pena inflitta (punto 8.2.2 della parte in fatto), è fondato sotto il primo di tali due profili mentre non è consentito, attesa la sua genericità, sotto il secondo di essi. 5.2.1. Quanto al primo profilo, si deve rilevare che, a fronte di uno specifico motivo di appello dell'Ur.En. sul punto della richiesta della concessione delle circostanze attenuanti generiche (il quarto motivo dell'atto di appello dell'imputato), la Corte d'appello di Palermo ha del tutto omesso di motivare al riguardo, con la conseguente sussistenza del denunciato vizio di mancanza della motivazione. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 5.2.2. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve rilevare la genericità delle doglianze del ricorrente in ordine all'asserita "eccessività della pena inflitta" (che è stata determinata dalla Corte d'appello di Palermo in 3 anni di reclusione, ridotti a 2 anni di reclusione per la scelta del rito abbreviato). A sostegno dell'"eccessività" di tale inflitta pena e della necessità di determinare invece la stessa pena nella misura del minimo edittale, il ricorrente ha invocato ""la necessaria circoscrizione degli elementi caratterizzanti la condotta ascritta", "il contesto situazionale in cui va inserito l'occorso", "i rilievi afferenti la personalità", "il di lui ruolo", senza tuttavia minimamente specificare quali sarebbero i suddetti invocati "elementi caratterizzanti" la condotta, "contesto situazionale" in cui essa si inseriva, "rilievi afferenti la personalità" e suo "ruolo" e perché gli stessi avrebbero giustificato l'irrogazione di una pena nella misura del minimo edittale, con la conseguente assoluta genericità del motivo. Quanto, poi, alla scelta del rito abbreviato, essa comporta ex lege la diminuzione di un terzo della pena "base" determinata dal giudice ma non costituisce, evidentemente, un elemento suscettibile di incidere sulla determinazione di tale pena "base". 6. Il ricorso di Lu.Pi., a firma dell'avv. Vi.Gi.. 6.1. Il primo motivo (punto 9.1 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione, non è consentito. Come si è visto al punto 4.1.3 nell'esaminare la posizione del coimputato Di.Pi., la Corte d'appello di Palermo ha fondato la conferma dell'affermazione di responsabilità del Lu.Pi. per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti sugli elementi di prova costituiti dal contenuto di alcune intercettate conversazioni, combinato con gli esiti dei servizi di osservazione che erano stati effettuati dalla polizia giudiziaria (i quali avevano, tra l'altro, documentato i numerosi viaggi in Calabria che erano stati svolti dal Lu.Pi., anche con il Di.Pi.). In particolare, dal contenuto, tra gli altri: della conversazione del 02/02/2017 tra Lu.Pi. e un appartenente alla nota famiglia calabrese di trafficanti di stupefacenti Ba., nella quale conversazione si faceva espresso riferimento alla natura e alla qualità della sostanza stupefacente (crack) della quale il Lu.Pi. e il Di.Pi. stavano trattando l'acquisto dai suddetti Ba.; della conversazione del 03/02/2017 tra il Lu.Pi. e il Di.Pi., confermativa del fatto che costoro stavano dialogando di sostanza stupefacente del tipo "pesante"; della conversazione del 08/04/2017, sempre tra il Lu.Pi. e il Di.Pi., nel corso della quale i due discorrevano dei prezzi dello stupefacente e della modalità di pagamento dello stesso. Da tali elementi, oltre che dal contenuto delle altre conversazioni che erano state valorizzate dal G.u.p. del Tribunale di Palermo (pagine da 249 a 265 della sentenza impugnata), la Corte d'appello di Palermo traeva la conclusione, che appare del tutto logica, che il Lu.Pi., insieme con il Di.Pi., aveva posto in essere un traffico illecito di sostanze stupefacenti con la collaborazione della menzionata famiglia calabrese dei Ba. La stessa Corte d'appello ha altresì evidenziato come l'arresto del Lu.Pi. (il 5 ottobre 2017) si doveva ritenere avvenuto quando le consegne della sostanza stupefacente erano già state effettuate, come si evinceva, logicamente, dal fatto che i Ba. ne avevano rivendicato il pagamento. A fronte di tale motivazione, anche il motivo di ricorso del Lu.Pi. si traduce nella prospettazione di un'interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate e, più in generale, del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova, senza che quelle invocate si possano ritenere delle effettive contraddizioni o delle manifeste illogicità della motivazione, o travisamenti di decisivi elementi probatori, con la conseguenza che lo stesso motivo appare in realtà tentare di introdurre una nuova valutazione delle prove, favorevole all'imputato, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 6.2. Il secondo motivo (punto 9.2 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma dell'attribuzione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 416-bis 1 cod. pen. in relazione al reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell'imputazione, non è fondato. Come si è visto sempre al punto 4.1.3 nell'esaminare la posizione del coimputato Di.Pi., la Corte d'appello di Palermo ha fondato l'attribuzione della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa - non risultando, dalla motivazione della sentenza impugnata (pagg. 271-273 della stessa sentenza), l'attribuzione anche della circostanza aggravante del metodo mafioso - sugli elementi, i quali erano emersi dalle conversazioni intercettate, che: Ba.Pa. aveva fatto continui riferimenti ad autorizzazioni che il concorrente Di.Pi. avrebbe dovuto ottenere; lo stesso Ba.Pa. aveva fatto altresì riferimento a Sc.Lu. (ancorché non direttamente coinvolto nella vicenda); il concorrente Di.Pi. era stato riconosciuto appartenere alla famiglia mafiosa di Br.. Da tali elementi la Corte d'appello di Palermo aveva tratto il convincimento che il traffico illecito di stupefacenti si doveva ritenere realizzato con il coinvolgimento e l'approvazione della stessa famiglia mafiosa, con la conseguente integrazione - che appare così logicamente argomentata - della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa. Tale motivazione della conferma dell'attribuzione della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa appare priva di contraddizioni e di manifeste illogicità, sicché sottrae alle censure del ricorrente. 6.3. Il terzo motivo (punto 9.3 della parte in fatto), con il quale si contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (punto 9.3.1 della parte in fatto) e la conferma della pena che era stata inflitta dal G.u.p. del Tribunale di Palermo (punto 9.3.2 della parte in fatto), è fondato sotto il primo di tali due profili mentre non è consentito, attesa la sua genericità, sotto il secondo di essi. 6.3.1. Quanto al primo profilo, si deve rilevare che, a fronte di uno specifico motivo di appello del Lu.Pi. sul punto della richiesta della concessione delle circostanze attenuanti generiche (il terzo motivo dell'atto di appello dell'imputato; pagg. 15-17), la Corte d'appello di Palermo ha del tutto omesso di motivare al riguardo, con la conseguente sussistenza del denunciato vizio di mancanza della motivazione. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 6.3.2. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve rilevare la genericità delle doglianze che erano state avanzate dal ricorrente nel proprio atto di appello in ordine alla determinazione della misura della pena (che era stata determinata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, ed è stata confermata dalla Corte d'appello di Palermo, in 4 anni e 4 mesi di reclusione, così già ridotti per la scelta del rito abbreviato). A tale proposito, si deve premettere che, per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti cosiddette "pesanti", il comma 1 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 prevede una pena detentiva da 6 a 20 anni di reclusione, con la conseguenza che la pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione che è stata irrogata nella specie, così ridotta per la scelta del rito abbreviato, per il suddetto reato aggravato dall'agevolazione mafiosa risulta assai prossima al minimo edittale (la stessa pena, prima della riduzione per il rito abbreviato, era infatti di 6 anni e 6 mesi di reclusione). A fronte di ciò, nel proprio atto di appello (terzo motivo, di cui alle pagg. 15-17, con il quale l'imputato aveva lamentato anche la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche), il Lu.Pi., con riguardo alla pena e, in particolare, alla sua asserita "eccessività", si era limitato a rappresentare genericamente l'"assenza di una reale gravità del fatto contestato, sulla base dei criteri di cui all'art. 133 c.p.", senza indicare alcuna specifica caratteristica di tale fatto che, in quanto tale da escluderne la "reale gravità", avrebbe dovuto indurre a una riduzione della pena irrogata e alla sua determinazione nella misura del minimo edittale. A fronte dì tale mancanza di specificità del motivo di appello e, perciò, dell'inammissibilità di esso (ancorché non rilevata dalla Corte d'appello di Palermo), si deve escludere la sussistenza di un obbligo della stessa Corte d'appello di motivare in ordine al medesimo motivo, mentre le doglianze che sono state avanzate dal ricorrente in questa sede appaiono anch'esse, oltre che ormai inammissibili, attesa l'inammissibilità del corrispondente motivo di appello, del tutto generiche. 7. Il ricorso di Mi.Al., a firma dell'avv. DE.SP. 7.1. Il primo motivo (punto 10.1 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma dell'affermazione di responsabilità per i reati di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2 dell'imputazione (punto 10.1.1. della parte in fatto) e trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 15) dell'imputazione (punto 10.1.2. della parte in fatto), non è consentito. 7.1.1. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione all'associazione di tipo mafioso della famiglia di Co., si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento della ritenuta partecipazione di Mi.Al. alla suddetta famiglia mafiosa. La Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provata tale partecipazione sulla scorta, anzitutto, delle tre autonome dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Va.Pa., Ga.Vi. e Bi.Fi., i quali avevano riferito: il primo (Va.Pa.), che il Mi.Al. era soggetto specializzato nelle slot machines e in rapporto con Na.Br., reggente della famiglia mafiosa di Br., con cui, nell'ambito del procedimento cosiddetto "Zefiro", erano stati documentati degli incontri nel corso dei quali Mi.Al. aveva consegnato del denaro al Na.Br., circostanza che, ad avviso della Corte d'appello di Palermo, costituiva un significativo riscontro alle concordanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano indicato come il ruolo del Mi.Al. consistesse nel contributo da lui fornito nel settore, di interesse di "Cosa Nostra", delle slot machines; il secondo (Ga.Vi.), che Mi.Al. era uomo a disposizione della famiglia mafiosa di Co. ("era a disposizione, uomo di loro, di quel clan"), dichiarazione che, nonostante il collaboratore facesse riferimento a un periodo più risalente di quello in contestazione, era stata comunque logicamente ritenuta dalla Corte d'appello di Palermo come confermativa del ruolo che Mi.Al. aveva sempre avuto nell'ambito dell'associazione criminosa; il terzo (Bi.Fi.), di avere appreso da Te.Sa. che Mi.Al. era il soggetto che, per conto di "Cosa Nostra" di Co., si occupava del gioco. Tali tre chiamate in correità erano ritenute suffragate sia dalle risultanze di servizi di osservazione, controllo e pedinamento, le quali avevano attestato la partecipazione del Mi.Al. a diverse riunioni con altri sodali mafiosi, sia dall'accertato (sulla scorta del contenuto di alcune intercettate conversazioni relative alla vicenda) contributo che era stato dato dall'imputato alla costituzione di (...) Srl e alla fittizia intestazione di tale società a dei prestanome (di Te.Sa. e di Sc.Lu., oltre che dello stesso Mi.Al.), con ciò fornendo, il Mi.Al., un importante apporto alla realizzazione degli scopi della famiglia di Co., nelle persone dei suoi due menzionati esponenti di rilievo Te.Sa. e Sc.Lu. A fronte di tale puntuale e dettagliata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento della ritenuta partecipazione di Mi.Al. alla famiglia mafiosa di Co. - attese le attività funzionali agli scopi del sodalizio criminoso e apprezzabili come un concreto ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento dello stesso che risultavano dai suddetti elementi - le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella riproposizione, in questa sede, delle tesi che erano già state avanzate in sede di merito, e nella sollecitazione di una differente valutazione del significato probatorio da attribuire ai menzionati elementi di prova, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 7.1.2. La Corte d'appello di Palermo ha fondato l'affermazione di responsabilità di Mi.Al. per il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 15) dell'imputazione sugli elementi di prova costituiti dal contenuto di alcune intercettate conversazioni. In particolare, tra gli altri, dal contenuto della conversazione del 01/07/2016 tra Te.Sa. e Sc.Lu., dalla quale risultava come i capitali per la costituzione di (...) Srl fossero stati forniti dagli stessi te.Sa. e Sc.Lu., come costoro fossero i reale titolari di (...) Srl (di cui erano formali titolari Na.Gi. e La.Pa.), la quale veniva gestita, sempre per conto del Te.Sa. e dello Sc.Lu., da Mi.Al., il quale aveva seguito la costituzione della società sin dalla fase dell'affitto dell'immobile destinato a sede della stessa e teneva tutti i contatti con i fornitori e i gestori (conversazione del 06/10/2016 tra Mi.Al. e La.Pa.). Da ciò la conclusione, del tutto logica, della Corte d'appello di Palermo che Te.Sa., Sc.Lu. e Mi.Al. avevano, in concorso tra loro, fittiziamente attribuito a Na.Gi. e La.Pa. la titolarità di (...) Srl, la quale veniva gestita, per conto del Te.Sa. e dello Sc.Lu., da Mi.Al. La stessa Corte d'appello di Palermo motivava altresì come il Te.Sa. e lo Sc.Lu. avessero fatto ricorso a tale fittizia intestazione a persone insospettabili (Na.Gi. e La.Pa.) in quanto, essendo dei pregiudicati mafiosi, avevano il "timore di poter subire le "attenzioni" degli inquirenti", cioè il timore che potesse essere iniziato un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, che avevano, quindi, per mezzo delle suddette fittizie intestazioni, inteso eludere. Con la conseguente sussistenza, oltre che dell'elemento materiale, anche del dolo specifico del reato, del quale il Mi.Al., alla luce dei menzionati caratteri del suo contributo concorsuale, si doveva ritenere essere consapevole. A fronte di tale motivazione, il motivo di ricorso - nel quale, peraltro, si discetta per lo più di fatti relativi al capo 14) dell'imputazione, per il quale il ricorrente è stato assolto dalla Corte d'appello di Palermo - si traduce nella prospettazione di un'interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate e, più in generale, di una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova, senza realmente chiarire il perché la motivazione della sentenza impugnata si dovrebbe ritenere contraddittoria o manifestamente illogica e tentando, in realtà, di introdurre una nuova valutazione della prove, favorevole all'imputato, il che non è consentito fare in questa sede di legittimità. 7.2. Il secondo motivo (punto 10.2 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non è fondato. Posti i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di attenuanti generiche che si sono rammentati al punto 2.11., si deve rilevare che, nel caso di specie, la Corte d'appello di Palermo ha confermato il diniego della concessione delle suddette circostanze attenuanti ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l'elemento dell'elevata offensività della condotta che era stata ascritta all'imputato, così legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali anche quelli che erano stati dedotti dall'imputato in sede di appello e che sono richiamati nel suo ricorso. Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità ai quali si è fatto rinvio, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede. 7.3. Il terzo motivo (punto 10.3 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della confermata sussistenza delle circostanze aggravanti del reato di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso dell'essere l'associazione armata (punto 10.3.1. della parte in fatto) e dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati (punto 10.3.2. della parte in fatto), è manifestamente infondato con riguardo alla prima di tali circostanze aggravanti e non è fondato con riguardo alla seconda delle stesse circostanze aggravanti. Poiché il ricorrente sviluppa argomentazioni che coincidono con quelle che sono state sviluppate nel terzo motivo del ricorso di Di.Pi., per l'illustrazione delle ragioni delle indicate manifesta infondatezza e infondatezza del presente motivo si fa rinvio alla motivazione relativa al suddetto terzo motivo del ricorso di Di.Pi., di cui, rispettivamente, al punto 4.3.1. (con riguardo alla circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata), e al punto 4.3.2. (con riguardo alla circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati). 8. Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo (punto 3 della parte in fatto; ricorso che viene esaminato ora, in quanto attiene alla posizione dell'imputato Mi.Al., il cui ricorso è stato appena scrutinato), non è fondato sotto entrambi i profili in cui è articolato. Quanto al primo profilo (di cui alla lett. a del punto 3 della parte in fatto), si deve osservare che, ancorché la Corte d'appello di Palermo, nell'esaminare il reato di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione, abbia affermato che l'appello di Mi.Al. era "fondato limitatamente alla dosimetria della pena" e abbia fatto riferimento anche a responsabilità dello stesso Mi.Al. per i fatti di cui al capo 14) dell'imputazione, la stessa Corte d'appello, nell'esaminare specificamente proprio quest'ultimo reato, ha diffusamente motivato in ordine al fatto che Mi.Al. non lo aveva commesso e doveva, perciò, essere assolto (pagg. 326-327 della sentenza impugnata), sicché, diversamente da quanto ritenuto dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo (che ha trascurato di considerare le suddette pagg. 326-327 della sentenza impugnata), del tutto conseguentemente, nel dispositivo, la Corte d'appello di Palermo ha dichiarato l'assoluzione di Mi.Al. dal reato di cui al capo 14) dell'imputazione per non avere commesso il fatto. Quanto al secondo profilo del motivo (di cui alla lett. b del punto 3 della parte in fatto), esso si deve ritenere generico, atteso che, dal passo della motivazione della sentenza impugnata (tratto dalla pag. 476 di essa) che è stato citato alla pag. 4 del ricorso, si ricava soltanto che la Corte d'appello di Palermo ha legittimamente e insindacabilmente provveduto a ridurre la pena che era stata irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo in conseguenza dell'assoluzione del Mi.Al. dal reato di cui al capo 14) dell'imputazione della quale si è detto sopra. 9. Il ricorso di Mi.Pa., a firma dell'avv. DE.SP. 9.1. Il primo motivo (punto 11.1 della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per i reati di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2 dell'imputazione (punto 11.1.1. della parte in fatto) e dì estorsione di cui al capo 11 dell'imputazione (punto 11.1.2. della parte in fatto), è fondato limitatamente a quest'ultimo reato di estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione mentre non è consentito con riguardo al reato di partecipazione a un'associazione mafiosa di cui al capo 2) dell'imputazione. 9.1.1. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso, si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento della ritenuta partecipazione di Mi.Pa. alla famiglia mafiosa di Co.. La Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provata tale partecipazione sulla scorta, anzitutto, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bi.Fi., il quale aveva parlato di Mi.Pa. come dell'uomo ombra di Sc.Lu., che accompagnava agli appuntamenti con altri appartenenti al sodalizio criminoso. Tale chiamata in correità era ritenuta suffragata dalle risultanze di servizi di osservazione, dalle riprese delle telecamere di videosorveglianza e dal contenuto di alcune conversazioni intercettate; elementi dai quali era risultato come Mi.Pa. fosse l'uomo di fiducia di Sc.Lu., del cui ruolo all'interno della famiglia mafiosa di Co. era pienamente consapevole e per il quale si adoperava non solo accompagnandolo agli incontri con altri sodali ma anche concordando gli stessi incontri (anche con la collaborazione di Mi.Lo., portiere dello stabile di via (omissis), n. (omissis)). La suddetta consapevolezza veniva in particolare ritenuta comprovata alla luce: del linguaggio criptico che veniva utilizzato dal Mi.Pa. nelle conversazioni con lo Sc.Lu. e il Mi.Lo.; della consegna, da parte dell'imputato allo Sc.Lu., di un "pizzino" proveniente da Bi.Fi. (come era risultato dalle immagini del sistema di video-sorveglianza che era stato attivato nei pressi del menzionato stabile di via (omissis), n. (omissis) - le quali mostravano la consegna di un foglio scritto da parte del Bi.Sa. al Mi.Lo. e, poi, da parte del Mi.Lo. al Mi.Pa. - e dalla successiva telefonata del Mi.Pa. allo Sc.Lu.); della consegna, prima di un incontro tra sodali, da parte dello Sc.Lu. al Mi.Pa., del cellulare del primo, con l'evidente fine di evitare captazioni delle conversazioni che avrebbero avuto luogo nel corso dello stesso incontro. La Corte d'appello di Palermo valorizzava altresì logicamente (a ciò non ostando il fatto che il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti non fosse stato contestato al ricorrente) l'elemento della partecipazione di Mi.Pa. a uno dei viaggi in Calabria (quello del 01/12/2016) che vennero compiuti da Di.Pi. per acquistare sostanza stupefacente dalla famiglia 'ndranghetista dei Ba., nella piena consapevolezza, da parte del Mi.Pa., della finalità dello stesso viaggio, come risultava dal contenuto di un'intercettata conversazione del 30/11/2017 tra il Di.Pi. e Ba.Pa. A fronte di tale puntuale e dettagliata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento della ritenuta partecipazione di Mi.Pa. alla famiglia mafiosa di Co. - attese le attività funzionali agli scopi del sodalizio criminoso e apprezzabili come un concreto ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento dello stesso che risultavano dai suddetti elementi - le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella sollecitazione di una differente valutazione del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova sopra menzionati, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 9.1.2. Quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di estorsione, il motivo è, come si è anticipato, fondato. Ciò per le stesse ragioni che sono state esposte al punto 4.1.2. con riguardo all'accoglimento dell'analogo profilo di doglianza che era stato avanzato con il primo motivo del ricorso di Di.Pi., ragioni alle quali si può, perciò, fare rinvio. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al reato di cui al capo 11) dell'imputazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 9.2. Il secondo motivo (punto 11.2. della parte in fatto), con il quale si contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è fondato. A fronte di uno specifico motivo di appello di Mi.Pa. sul punto della richiesta della concessione delle circostanze attenuanti generiche (il terzo motivo dell'atto di appello dell'imputato), e considerato l'annullamento della sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 11) dell'imputazione, si deve ritenere necessario un nuovo giudizio della Corte d'appello di Palermo anche sul punto della concessione (o no) delle circostanze attenuanti generiche, il quale giudizio possa tenere conto, nel valutare il grado di offensività della condotta dell'imputato (pag. 477 della sentenza impugnata), anche degli esiti del nuovo giudizio in ordine al reato di cui al capo 11) dell'imputazione. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata anche limitatamente alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio anche su tale punto. 9.3. Il terzo motivo (punto 11.3. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della confermata sussistenza delle circostanze aggravanti del reato di partecipazione a un'associazione di tipo mafioso dell'essere l'associazione armata (punto 11.3.1. della parte in fatto) e dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati (punto 11.3.2. della parte in fatto), è manifestamente infondato con riguardo alla prima di tali circostanze aggravanti e non è fondato con riguardo alla seconda delle stesse circostanze aggravanti. Poiché il ricorrente sviluppa argomentazioni che coincidono con quelle che sono state sviluppate nel terzo motivo del ricorso di Di.Pi., per l'illustrazione delle ragioni delle indicate manifesta infondatezza e infondatezza del presente motivo si fa rinvio alla motivazione relativa al suddetto terzo motivo del ricorso di Di.Pi., di cui, rispettivamente, al punto 4.3.1. (con riguardo alla circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata), e al punto 4.3.2. (con riguardo alla circostanza aggravante dell'essere le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo finanziate con il prezzo, il prodotto e il profitto di reati). 10. Il ricorso di Mi.Lo., a firma dell'avv. EL.GA. 10.1. Il primo motivo (punto 12.1. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione dell'affermazione di responsabilità per il reato di concorso esterno in un'associazione di tipo mafioso di cui al capo 2) dell'imputazione, non è consentito. A tale proposito, si deve osservare come la Corte d'appello di Palermo abbia diffusamente motivato al riguardo, indicando puntualmente e dettagliatamente gli elementi probatori che ha posto a fondamento del ritenuto concorso esterno del Mi.Lo. nella famiglia mafiosa di Co.. La Corte d'appello di Palermo ha ritenuto provato tale concorso sulla base delle risultanze di servizi di osservazione, delle riprese delle telecamere di videosorveglianza e del contenuto di alcune conversazioni intercettate. Da tali elementi di prova era risultato come il Mi.Lo., che era il portiere dello stabile di via (omissis), n. (omissis), non si era limitato a svolgere tali mansioni, come era stato sostenuto dalla difesa dell'imputato, ma si era consapevolmente e sistematicamente (dal novembre 2015 al maggio 2018) adoperato per consentire il mantenimento di canali informativi tra i membri della famiglia mafiosa senza l'attivazione di contatti telefonici diretti tra i sodali, assicurando così la natura riservata dei loro incontri (che si svolgevano nel suddetto stabile di via (omissis), n. (omissis)) - in particolare, di numerosi incontri tra Te.Sa. e Sc.Lu. e tra quest'ultimo e Gi.An., Vi. e Bi.Fi. -, prestandosi anche, in un caso (come era risultato dalle immagini del sistema di videosorveglianza che era stato attivato nei pressi dello stabile di via (omissis), n. (omissis), le quali mostravano la consegna di un foglio scritto da parte di Bi.Fi. al Mi.Lo. e, poi, da parte del Mi.Lo. a Mi.Pa.), a fungere da tramite per la consegna di un "pizzino" logicamente ritenuto indirizzato dal Bi.Sa. allo Sc.Lu. Dai sopra menzionati elementi di prova era emerso, come è stato debitamente evidenziato dalla Corte d'appello di Palermo, che il compito di consentire il mantenimento dei canali informativi tra gli indicati membri della famiglia mafiosa - così recando un contributo al mantenimento e al rafforzamento della stessa famiglia nel suo insieme - era svolto dal Mi.Lo. facendo ricorso all'utilizzo, nelle proprie conversazioni, dì un concordato convenzionale linguaggio criptico, che faceva riferimento alla necessità di inviare ambulanze, a inesistenti malesseri o, addirittura, alla mai avvenuta morte della condomina sig.ra Fa., al pagamento di conti, a servizi cimiteriali. Il ricorso, da parte dell'imputato, a tali stratagemmi al fine di ottenere la presenza, presso lo stabile di via (omissis), n. (omissis), in particolare, di Sc.Lu., erano ritenuti dalla Corte d'appello di Palermo logicamente dimostrativi della piena consapevolezza, da parte del Mi.Lo., della caratura criminale dello stesso Sc.Lu., di Te.Sa. e degli altri partecipanti agli incontri, e del contributo che egli, con la propria condotta, stava dando alla realizzazione, sia pure parziale, del programma criminoso del sodalizio mafioso. A fronte di tale puntuale e dettagliata esposizione degli elementi probatori posti a fondamento del ritenuto concorso esterno del Mi.Lo. alla famiglia mafiosa di Co. - attesa l'attività funzionale agli scopi del sodalizio criminoso e apprezzabile come un concreto ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento dello stesso che risultavano dai suddetti elementi (pur senza essere il Mi.Lo. inserito stabilmente nella struttura organizzativa della famiglia mafiosa e pur essendo egli privo della cosiddetta affectio societatis) -, le censure del ricorrente appaiono inidonee a evidenziare effettive contraddizioni o manifeste illogicità, ma si traducono, nella sostanza, nella sollecitazione di una differente valutazione del significato probatorio da attribuire agli elementi di prova sopra menzionati, il che non è consentito fare in sede di legittimità. 10.2. Il secondo motivo (punto 12.2. della parte in fatto), il quale attiene alla mancata qualificazione del fatto di cui al capo 2) dell'imputazione come reato di assistenza agli associati di cui all'art. 418 cod. pen., non è fondato. La Corte d'appello di Palermo, con un accertamento in fatto che, in quanto esente da contraddizioni e da illogicità manifeste (come si è detto al punto 10.1.) non è censurabile in questa sede, ha riscontrato come l'imputato, con la propria condotta, avesse assicurato il mantenimento di canali informativi tra i membri della famiglia mafiosa in modo stabile e sistematico (dal novembre 2015 al maggio 2018), così non tanto prestando assistenza a taluno degli associati ma fornendo un concreto e consapevole contributo al sodalizio mafioso nel suo insieme. Alla luce di ciò, la qualificazione del fatto come concorso nel reato di associazione di tipo mafioso e non come mera assistenza agli associati si deve ritenere del tutto corretta. 10.3. Il terzo motivo (punto 12.3. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non è fondato. Posti i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di attenuanti generiche che si sono rammentati al punto 2.11., si deve rilevare che, nel caso di specie, la Corte d'appello di Palermo ha confermato il diniego della concessione delle suddette circostanze attenuanti ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l'elemento dell'elevata offensività della condotta che era stata ascritta all'imputato, così legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali anche quelli che erano stati dedotti dall'imputato in sede di appello e che sono richiamati nel suo ricorso, avendo, altresì, la stessa Corte d'appello correttamente escluso che si potessero ritenere elementi positivamente valutabili il mero stato di incensurato del Mi.Lo. e il fatto che egli si fosse sottoposto all'interrogatorio di garanzia (negando l'addebito). Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità ai quali si è fatto rinvio, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede. 1.4. Il quarto motivo (punto 12.4. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della determinazione della misura della pena, è fondato sotto entrambi i profili in cui è articolato. La Corte d'appello di Palermo, infatti: a) da un lato, ha completamente omesso di motivare, con riferimento ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen., in ordine alle ragioni che l'hanno indotta a determinare la pena irrogata al Mi.Lo. nella misura di dodici anni di reclusione; b) dall'altro lato, ha stabilito tale pena nella stessa misura che era stata irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo per il reato aggravato ai sensi del quarto comma dell'art. 416-bis cod. pen., senza considerare che, poiché tale circostanza aggravante era stata esclusa dalla stessa Corte d'appello (insieme con la circostanza aggravante di cui al sesto comma dell'art. 416-bis cod. pen.; pagg. 201-202 della sentenza impugnata), ciò imponeva la riduzione della pena che era stata inflitta in primo grado per il reato aggravato. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 1.5. Il quinto motivo (punto 12.5. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione delle statuizioni nei confronti delle parti civili "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane", "Associazione S.O.S. Impresa rete per la Legalità Sicilia", "Federazione Provinciale del Commercio, del Turismo, dei Servizi, della Professioni e delle Piccole e Medie Imprese di Palermo-Confcommercio Imprese per l'Italia Palermo", "Sicindustria-organizzazione territoriale del sistema Confindustria", "Centro Studi ed Iniziative Culturali La.Pi. ONLUS", "La Cooperativa sociale antiracket e antiusura Solidaria S.C.S. ONLUS", è fondato. Dagli atti di costituzione di tali parti civili, non risulta infatti che le stesse si siano costituite nei confronti del Mi.Lo. Si deve rilevare che nessuna contestazione è stata sollevata dal ricorrente con riguardo alle statuizioni nei confronti della parte civile "Associazione Nazionale per la Lotta contro le Illegalità e le Mafie Ca.An." La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata anche limitatamente alle statuizioni nei confronti di tutte le parti civili tranne che nei confronti di "Associazione Nazionale per la Lotta contro le Illegalità e le Mafie Ca.An.". 11. Il ricorso di Te.Ca., a firma dell'avv. Vi.Gi. 11.1. Il primo motivo (punto 13.1. della parte in fatto), il quale attiene alla contestazione della conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di estorsione di cui al capo 11) dell'imputazione, deve essere accolto. Ciò per le stesse ragioni che sono state esposte al punto 4.1.2. con riguardo all'accoglimento del profilo di doglianza che era stato avanzato con il primo motivo del ricorso di Di.Pi. in ordine alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il suddetto reato di estorsione, ragioni le quali, essendo esse relative alla sussistenza stessa del reato, prima ancora che all'individuazione dei soggetti che lo avrebbero commesso, risultano assorbenti rispetto alle doglianze che sono state avanzate dal Te.Sa. e alle quali si può, perciò, fare rinvio. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al reato di cui al capo 11) dell'imputazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per un nuovo giudizio su tale punto. 11.2. L'esame del secondo motivo (punto 13.2. della parte in fatto), del terzo motivo (punto 13.3. della parte in fatto) e del quarto motivo (punto 13.4. della parte in fatto) resta assorbito dall'accoglimento del primo motivo. 12. Dal rigetto dei ricorsi di Te.Sa. e di Mi.Al. consegue la condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di Ma.Vi. consegue la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende. Te.Sa., Ma.Vi., Mi.Al. e Mi.Lo. devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile "Associazione Nazionale per la Lotta contro le Illegalità e le Mafie Ca.An.", che si liquidano in complessivi Euro 4.563,00, oltre accessori di legge. Te.Sa. e Mi.Al. devono essere condannati altresì alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili "La Cooperativa sociale antiracket e antiusura Solidaria S.C.S. ONLUS", "Associazione S.O.S. Impresa rete per la Legalità Sicilia", "Confcommercio Imprese per l'Italia Palermo", "Sicindustria", "Centro Studi ed Iniziative Culturali La.Pi. ONLUS" e "F.A.I. Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane", che si liquidano, per ciascuna delle suddette parti civili, in complessivi Euro 4.563,00, oltre accessori di legge. La Corte d'appello di Palermo provvederà alle statuizioni relative alla liquidazione delle spese nei confronti delle parti civili da parte degli imputati rispetto ai quali non si è provveduto in questa sede. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ur.En. e Lu.Pi. limitatamente alle circostanze generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per nuovo giudizio sul punto; rigetta nel resto i ricorsi; annulla la sentenza impugnata nei confronti di Te.Ca. con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per nuovo giudizio; annulla la sentenza impugnata nei confronti di Di.Pi. e Mi.Pa. limitatamente al reato di cui al capo 11) e alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per nuovo giudizio sui predetti punti; rigetta nel resto i ricorsi; annulla la sentenza impugnata nei confronti di Mi.Lo. limitatamente al trattamento sanzionatorio e alle statuizioni nei confronti di tutte le parti civili tranne che nei confronti dell'Associazione Nazionale Lotta contro Illegalità e Mafie Ca.An. in persona del proprio rappresentante; rigetta nel resto il ricorso; annulla la sentenza impugnata nei confronti di Sc.Lu. limitatamente all'aumento di pena inflitta per la continuazione e alla misura di sicurezza, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo per nuovo giudizio su detti punti; rigetta nel resto il ricorso; rigetta i ricorsi di Te.Sa., Mi.Al. e del Procuratore Generale e condanna i soli Te.Sa. e Mi.Al. al pagamento delle spese processuali; dichiara inammissibile il ricorso di Ma.Vi. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna Te.Sa., Ma.Vi., Mi.Al. e Mi.Lo. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Associazione Nazionale Lotta contro Illegalità e Mafie Ca.An. in persona del proprio rappresentante, che liquida in complessivi euro 4.563,00 oltre accessori di legge; condanna Te.Sa. e Mi.Al. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Solidaria s.c.s. Onlus, S.O.S. Impresa Rete per la Legalità Sicilia, Confcommercio Imprese per l'Italia Palermo, Sicindustria in persona del presidente p.t. e l. r. p.t., Centro Studi e Iniziative Culturali La.Pi. Onlus in p. l. r. p.t., FAI - Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane, che liquida per ciascuna delle suddette parti civili in complessivi euro 4.563,00 oltre accessori di legge Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1129 del 2024, proposto dal Ministero dell'interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria - Ufficio Territoriale del Governo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...), contro la signora -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di titolare dell'-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avv. Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sezione di Reggio Calabria, 5 dicembre 2023, -OMISSIS-, che ha accolto il ricorso proposto dalla signora -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di titolare dell'-OMISSIS-, per l'annullamento dell'informazione interdittiva antimafia -OMISSIS- 2023, emessa dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della ditta -OMISSIS- ai sensi degli artt. 91 e 100, d.lgs. n. 159 del 2011. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Vista la memoria, con riproposizione, ex art. 101, comma 2, c.p.a., di motivi assorbiti in primo grado, depositata dalla signora -OMISSIS- in data 24 febbraio 2024; Vista la memoria depositata dalla signora -OMISSIS- in data 24 aprile 2024; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nella udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La signora -OMISSIS- esercita, -OMISSIS-, nel Comune -OMISSIS- (già sciolto per mafia ex art. 143 Tuel), l'attività -OMISSIS-, in qualità di -OMISSIS- di altre -OMISSIS- aventi sede legale nel nord Italia; opera altresì, sotto autonoma denominazione, nell'ambito dell'-OMISSIS- e servizi correlati, promuovendo i relativi prodotti -OMISSIS-. La -OMISSIS- -OMISSIS- di cui è titolare è stata destinataria dell'informazione interdittiva antimafia -OMISSIS- 2023, emessa dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della ditta ai sensi degli artt. 91 e 100, d.lgs. n. 159 del 2011. L'informativa è stata adottata in conseguenza dell'inquadramento della signora -OMISSIS- e del -OMISSIS- in un controindicato contesto familiare in cui rientrerebbero "soggetti con significativi pregiudizi penali, connessi anche a vicende legate alla criminalità organizzata, nonché appartenenti ad una consorteria criminale operante sul territorio", individuati nelle figure del -OMISSIS- e -OMISSIS- condannati o comunque annoveranti pregiudizi per reati di associazione di stampo mafioso. La Prefettura ha inoltre valorizzato il compromesso contesto socio-economico -OMISSIS- in cui opera l'-OMISSIS-, contrassegnato dalla presenza pervasiva della cosca di 'ndrangheta -OMISSIS-, notoriamente al centro delle più importanti operazioni condotte contro la criminalità organizzata e la circostanza che la certificazione antimafia provenisse dal Comune -OMISSIS-. 2. L'informazione interdittiva antimafia è stata impugnata dalla signora -OMISSIS- dinanzi al Tar Reggio Calabria che, con sentenza 5 dicembre 2023, -OMISSIS- ha accolto il ricorso sul rilievo che l'elemento parentale si pone, nello scenario tratteggiato dalla Prefettura, come dato indiziario "isolato" in quanto non corredato da ulteriori fattori inferenziali idonei a renderlo univocamente indicativo del pericolo di condizionamento mafioso a carico della ditta -OMISSIS- e della relativa attività di impresa. La Prefettura ha incentrato la diagnosi su un contesto familiare qualificato da vicende giudiziarie datate nel tempo che hanno colpito rispettivamente -OMISSIS- e -OMISSIS- di -OMISSIS-, il primo assolto dall'accusa di associazione mafiosa e -OMISSIS-, il secondo condannato -OMISSIS- per lo stesso titolo di reato, ma detenuto ormai da molti anni ed estraneo alla sfera dei rapporti personali e patrimoniali dell'interessata. La pretesa sintomaticità di siffatte vicende giudiziarie per un verso non risulta "attualizzata" dalla contestazione di specifiche circostanze sopravvenute da cui ragionevolmente inferire, in base al consueto canone probabilistico, che la -OMISSIS- possa essere, in qualche modo, condizionata dalla "famiglia", e, per altro verso, appare confutata dal trasparente svolgimento, da parte di quest'ultima, dell'attività -OMISSIS-. 3. Con appello notificato il 5 febbraio 2024 e depositato il 9 febbraio il Ministero dell'interno e la Prefettura di Reggio Calabria hanno impugnato la citata sentenza 5 dicembre 2023, -OMISSIS- deducendone l'erroneità sul rilievo che dal verbale di audizione -OMISSIS- 2022 è emerso che, contrariamente a quanto affermato dal Tar, gli elementi a supporto dell'informativa antimafia non fossero solo i rapporti parentali con la famiglia -OMISSIS- ma anche frequentazioni e cointeressenze economiche; il Tar ha, dunque, eliso il valore sintomatico dei dati fattuali posti a base dell'interdittiva, sminuendo la valenza che invece gli stessi assumono, nella connessione tra di essi, ai fini del riconoscimento del pericolo infiltrativo da parte della criminalità organizzata, alla luce del principio del "più probabile che non". 5. Si è costituita in giudizio la signora -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di titolare dell'-OMISSIS-, che con memoria depositata in data 24 febbraio 2024, oltre a difendere la correttezza della sentenza impugnata, ha riproposto, ex art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi assorbiti in primo grado. Con successiva memoria, depositata in data 24 aprile 2024, ha ribadito le proprie tesi difensive. 6. Con ordinanza -OMISSIS- marzo 2024 la Sezione ha accolto l'istanza del Ministero dell'interno e della Prefettura di Reggio Calabria di sospensione cautelare della sentenza del Tar Reggio Calabria 5 dicembre 2023, -OMISSIS-. 7. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Come esposto in narrativa il Ministero dell'interno e la Prefettura di Reggio Calabria - Ufficio Territoriale del Governo hanno impugnato la sentenza del Tar Reggio Calabria 5 dicembre 2023, -OMISSIS- che ha accolto il ricorso proposto dalla signora -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di titolare della omonima -OMISSIS- - esercente, nel Comune -OMISSIS-, attività -OMISSIS- - per l'annullamento dell'informazione interdittiva antimafia -OMISSIS- 2023, emessa dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti della ditta ai sensi degli artt. 91 e 100, d.lgs. n. 159 del 2011. 2. Deve preliminarmente essere respinta l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla appellata con la memoria depistata il 24 febbraio 2024 sul rilievo che i motivi di appello non sarebbero specificati. Da una attenta lettura dell'atto di appello emergono, infatti, evidenti le censure dedotte avverso la sentenza del Tar Reggio Calabria che avrebbe erroneamente ritenuto insufficienti gli indizi posti dalla Prefettura a base della informativa, tanto che su dette censure l'appellante si è ben difesa. 3. Parte appellata eccepisce altresì l'inammissibilità dell'appello per applicabilità del principio di non contestazione, alla luce della mancata difesa in primo grado, da parte dell'Amministrazione convenuta, sul ricorso e sui documenti. L'eccezione non è suscettibile di positiva valutazione. È ben vero, infatti, che il Ministero dell'interno e la Prefettura di Reggio Calabria in primo grado si sono limitate ad una costituzione meramente formale, depositando documenti ma alcuno scritto difensivo, ma tale circostanza non preclude poi di impugnare la sentenza del Tar che accoglie il ricorso, espletando in appello tutte quelle difese che, ove esperite anche dinanzi al Tar, avrebbero potuto forse portare un esito diverso del giudizio. Aggiungasi che, diversamente da quanto afferma la -OMISSIS-, l'appellante non si è limitato "ad un tentativo di distorcere e strumentalizzare, astraendole dal contesto, alcune affermazioni rese dall'interessata in sede di audizione nel procedimento, e quindi si risolve in una valutazione di un documento del procedimento", preclusa se svolta solo in appello. L'appellante ha infatti chiarito che non è vero che l'istruttoria è stata carente, essendo stata, di contro, "particolarmente approfondita e il provvedimento interdittivo ha dato pienamente conto di tutte le emergenze istruttorie raccolte"; ha aggiunto che il Tar "ha eliso il valore sintomatico dei dati fattuali posti a base dell'interdittiva, sminuendo la valenza che invece gli stessi assumono, nella connessione tra di essi, ai fini del riconoscimento del pericolo infiltrativo da parte della criminalità organizzata, alla luce del principio del più probabile che non" e che "nel caso de quo, è indiscutibile che dalle informazioni pervenute dalle FF.OO, dalle risultanze dei provvedimenti giurisdizionali emessi nei confronti dei componenti il nucleo familiare di riferimento, siano emersi elementi gravi, precisi e concordanti, che unitariamente valutati, delineano una evidente situazione di pericolo che osta al rilascio di una certificazione liberatoria". Pertanto, correttamente l'atto di appello apporta elementi atti a superare le argomentazioni che il giudice di primo grado ha posto a base dell'accoglimento del ricorso. 4. Al fine del decidere l'appello principale ed eventualmente i motivi riproposti ex art. 101, comma 2, c.p.a., assorbiti in primo grado, il Collegio ritiene necessario una ricostruzione in punto di fatto delle ragioni che hanno indotto la Prefettura ad adottare il provvedimento impugnato dinanzi al Tar. Titolare della -OMISSIS- -OMISSIS- è, come si è detto, la signora -OMISSIS- mentre -OMISSIS- -OMISSIS- è -OMISSIS- della medesima impresa. -OMISSIS- -OMISSIS- sono -OMISSIS- di -OMISSIS- che, oltre ad essere destinatario in data -OMISSIS- di divieto detenzione armi, munizioni ed esplosivi, annovera pregiudizi per associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, alla commissione di omicidi, all'accaparramento di appalti e associazione di tipo mafioso; per quest'ultimo reato è stato condannato dal Tribunale -OMISSIS- alla pena -OMISSIS- di reclusione e successivamente assolto con sentenza della locale Corte di Appello; è stato altresì stato condannato in data -OMISSIS- con sentenza della locale Corte d'Appello per favoreggiamento personale. -OMISSIS- -OMISSIS- sono, inoltre, -OMISSIS- di: 1) -OMISSIS- - ritenuto essere -OMISSIS- cosca di 'ndrangheta - già sorvegliato speciale di P.S. e libero vigilato; è stato condannato in data -OMISSIS- per associazione di tipo mafioso e detenuto per associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio, detenzione di armi e munizioni continuato in concorso ed altro; 2) -OMISSIS-, che annovera pregiudizi per associazione per delinquere di tipo mafioso, possesso ingiustificato di valori, falso e truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche; 3) -OMISSIS-, che annovera pregiudizi per i reati di associazione di tipo mafioso e di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Come ancora argomentato nel provvedimento interdittivo impugnato, la società opera nel Comune -OMISSIS-, già sciolto ex art. 143 Tuel per infiltrazioni della criminalità organizzata, in ragione dell'acquisizione di un quadro indiziario denotante la sussistenza di forme di condizionamento e permeabilità rispetto a contesti mafiosi; opera, dunque, in un contesto socio-economico che - come emerso da diverse Operazioni di polizia, tra cui -OMISSIS-, -OMISSIS-, nonché dalla "Relazione semestrale della DIA relativa al I semestre 2021" - si caratterizza per la pervasiva presenza della cosca di 'ndrangheta -OMISSIS-, che manifesta la propria ingerenza nei tradizionali settori produttivi locali e conserva la spiccata vocazione a proiettare anche all'estero i propri interessi criminali. 5. Ciò chiarito in punto di fatto, vale ricordare, questa volta in diritto, i principi elaborati dalla Sezione nella materia delle infiltrazioni. Premessa la natura cautelare e preventiva del provvedimento di interdittiva antimafia (Cons. Stato, ad. plen., 6 aprile 2018, n. 3), giova richiamare il principio, elaborato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui proprio quando dietro la singola realtà d'impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso (come appunto nel caso di specie), è statisticamente più facile che coloro i quali sono apparentemente al di fuori delle singole realtà aziendali possano curarne (o continuare a curarne) la gestione o, comunque, interferire in quest'ultima facendo leva sui più stretti congiunti. È altrettanto noto che proprio il nucleo familiare "allargato", ma unito nel curare gli "affari" di famiglia, è uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione legale nell'economia, tanto è vero che l'Adunanza Plenaria (6 aprile 2018, n. 3), riprendendo la giurisprudenza della Sezione, ha ribadito che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose - l'Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del'più probabile che non', che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regì a familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una "influenza reciproca" di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della "famiglia", sicché in una "famiglia" mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l'influenza del "capofamiglia" e dell'associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l'Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza - su un'area più o meno estesa - del controllo di una "famiglia" e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. La permeabilità dei clan mafiosi nella zona rende irrilevante, nella fattispecie di cui è causa, la circostanza che un peso determinante nella interdittiva abbiano avuto i rapporti di parentela - incontestati - con soggetti che, al momento dell'adozione dell'interdittiva, apparisse molto vicino ad ambienti della criminalità organizzata. La convergenza degli indizi in prevalenza su una tipologia (nella specie, i rapporti familiari) non può escludere che gli stessi siano da soli in grado di supportare l'interdittiva, poiché la struttura familiare-clanica si accompagna a plurime evidenze di interessi economici comuni e con una regia non immune da condizionamenti mafiosi. Nella specie, come chiarito sub 4, la circostanza che sussistano tali rapporti di parentela tra la titolare della ditta e -OMISSIS- (-OMISSIS- della titolare) con -OMISSIS- (-OMISSIS-) e -OMISSIS-, tutti vicini alla criminalità organizzata locale, in un contesto fortemente connotato dalla malavita organizzata tanto da essere il Comune -OMISSIS- (dove ha sede la ditta -OMISSIS-) sciolto per criminalità organizzata è sufficiente - come ha (contrariamente a quanto assume l'appellante) motivatamente chiarito il provvedimento prefettizio - a rendere "più probabile che non" il controllo, compiacente o soggiacente, della citata ditta con i sodalizi criminali. La stessa -OMISSIS- ha riconosciuto di avere ancora rapporti con i propri parenti, uno dei quali (-OMISSIS-, ritenuto -OMISSIS- -OMISSIS-) è anche suo cliente. É ben vero, dunque, che, come ha affermato dal giudice di primo grado, l'interdittiva si fonda essenzialmente sui rapporti di parentela ma gli stessi paiono, nel caso di specie, sufficienti. Ha chiarito la sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020 - di fatto confermando la giurisprudenza della Sezione (26 febbraio 2019, n. 1349) - che a supportare il provvedimento interdittivo sono sufficienti anche i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una "regia collettiva" dell'impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia "clanica". Il rapporto parentale, infatti, connotato da particolare intensità, è sufficiente a "colorare" il dato familiare posto a fondamento del provvedimento interdittivo impugnato in primo grado con i tratti qualificanti che, secondo la citata giurisprudenza della Sezione, devono concorrere per legittimare l'estrapolazione dallo stesso della valenza indiziaria necessaria alla dimostrazione, pur di taglio probabilistico, del pericolo di condizionamento mafioso nelle scelte e negli indirizzi dell'impresa attenzionata. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non" il pericolo di infiltrazione mafiosa. Ha aggiunto la Sezione (15 aprile 2024, n. 3391; 14 febbraio 2024, n. 1482) che lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 - ha riconosciuto quale elemento fondante l'informazione antimafia la sussistenza di "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate". Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell'impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. 6. Non indebolisce il quadro indiziario che supporta la conclusione del "più probabile che non" la circostanza che alcuni episodi a carico dei -OMISSIS- -OMISSIS- fossero datati nel tempo (ad es. alcune condanne del-OMISSIS- della appellante). La giurisprudenza della Sezione è ferma nell'affermare che l'interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall'analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712; id. 6 giugno 2022, n. 4616). Nella specie la non attualità di alcuni fatti posti a carico del -OMISSIS- -OMISSIS- non fa venire meno il quadro di opacità che connota la famiglia, aggravato dal contesto sociale in cui vive, id est un Comune sciolto per mafia con un clan locale potente. Data la premessa, consegue anche l'irrilevanza della circostanza di fatto che -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, sia stato assolto in giudizio -OMISSIS- restando la regia della famiglia -OMISSIS- in mano a-OMISSIS-. 7. Da quanto sopra esposto, e contrariamente a quanto assume il giudice di primo grado, gli elementi indiziari a carico della ditta -OMISSIS- sono tali da rendere "più probabile che non" la vicinanza della stessa - compiacente o soggiacente - alla criminalità organizzata locale. L'unico motivo dedotto con l'atto di appello è, dunque, fondato. 8. Occorre ora passare all'esame dei motivi riproposti, ex art. 101, comma 2, c.p.a., perchè assorbiti in primo grado, dalla appellata -OMISSIS-, con memoria depositata in data 24 febbraio 2024. Ad avviso di parte appellata l'informazione interdittiva è viziata per essere stata adottata in violazione dei termini procedimentali Il procedimento è stato definito dall'Autorità con interdittiva emessa -OMISSIS- 2023, ad oltre un anno di distanza dall'avvio. Chiarisce l'appellata che l'art. 92, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede un termine di definizione del procedimento, qualora non emerga la necessità di ulteriori approfondimenti, di 45 giorni dall'avvio. Il novellato art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 159 del 2011, per l'ipotesi di necessità di approfondimenti e connesso contraddittorio con il soggetto interessato dall'informativa, prevede un termine massimo, per la Prefettura, per definire la fase di contraddittorio, di 60 giorni dal ricevimento delle osservazioni. In altre parole, la novella del 2021 ha individuato espressamente una sospensione dei termini del procedimento durante la procedura di contraddittorio e un termine massimo per concludere la procedura di contraddittorio di 60 giorni, entrambi non previsti nella precedente disciplina procedimentale, evidentemente valorizzando l'interesse del destinatario del procedimento alla conclusione del procedimento in termini brevi e certi. Ad avviso della -OMISSIS- il provvedimento sarebbe, dunque, illegittimo perché adottato in violazione di tutti i termini di legge. Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione stante la natura ordinatoria di tali termini, il cui inutile decorso non fa perdere all'Amministrazione il relativo potere. E' noto che il carattere della perentorietà di un termine può essere attribuito a una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge, in quanto solo la legge può collegare in via generale al decorso del tempo il mutamento di una situazione giuridica, sia esso un potere dell'Amministrazione (perenzione) o un diritto o una facoltà del privato (decadenza); pertanto, in assenza di specifica disposizione che esplicitamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell'Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, esso va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio, sicché il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto (Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2019 n. 2289). Nello specifico, poi, il termine previsto dall'art. 92, comma 2, d.lgs. n. 159 cit. ha natura ordinatoria, giacché non è possibile prevedere ex ante ed in via generale la durata degli approfondimenti all'uopo eventualmente necessari (Tar Latina 16 gennaio 2024, n. 33). 8. Con un secondo motivo l'appellata afferma che l'informativa è illegittima per erronea applicazione dell'istituto del contraddittorio procedimentale, introdotto con il comma 2 bis dell'art. 92, d.lgs. n. 159 del 2011. Il motivo è privo di pregio atteso che la comunicazione di avvio del procedimento, indicando che sono i rapporti di parentela di -OMISSIS- con -OMISSIS- e -OMISSIS- a ritenere "più probabile che non" la vicinanza soggiacente o compiacente con la malavita organizzata, ha ben offerto alla signora -OMISSIS- la possibilità di offrire elementi a propria discolpa, come in effetti è stato, avendo l'appellata puntualmente controdedotto, anche se gli elementi offerti non sono stati ritenuti sufficienti a convincere l'Amministrazione a desistere. Né la -OMISSIS- può essere seguita allorché afferma che il provvedimento conclusivo del procedimento era stato arricchito di motivi non contenuti nella comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi invece di corredo motivazionale che sviluppa le ragioni comunicate alla appellata. 9. Con ulteriore motivo si afferma che la Prefettura non avrebbe considerato le osservazioni presentate nella fase partecipativa. Anche questo motivo è privo di pregio. L'Amministrazione non ha un onere di specifica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione di avvio del procedimento o dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, bastando che ne abbia dato conto ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso (Cons. Stato, sez. IV, 22 aprile 2024, n. 3638; id. 1 marzo 2024, n. 2011; id., sez. III, 3 luglio 2023, n. 6425). Nel caso di specie la Prefettura ha dato atto delle osservazioni pervenute e dell'audizione personale della signora -OMISSIS- resa dinanzi ad un rappresentante del Gruppo Interforze Antimafia e raccolta nel verbale -OMISSIS- 2022. Giova aggiungere, seguendo un costante orientamento della giurisprudenza del giudice di appello (sez. II, 12 aprile 2024, n. 3351) che l'omessa valutazione delle osservazioni presentate dai privati all'esito della notifica di un preavviso di rigetto determina l'illegittimità del provvedimento solo laddove si possa apprezzare che il loro esame sia stata totalmente omesso e che esse avrebbe potuto apportare elementi (anche di fatto) utili a determinare l'emanazione di un provvedimento definitivo di contenuto diverso, circostanza quest'ultima che - come sarà chiarito sub 10 - non si verifica nel caso di specie nel quale le difese rappresentate dalla signora -OMISSIS- non sono state tali da indebolire il quadro indiziario. 10. Con riferimento a tutti gli esaminati motivi con i quali sono dedotti vizi procedimentali relativi alla comunicazione di avvio del procedimento, il Collegio ritiene di dover ulteriormente precisare che nel caso di specie la comunicazione avrebbe potuto essere omessa, stante la consistenza degli elementi posti a base del provvedimento. È ben vero che l'art. 92, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (commi introdotti dall'art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021), ha procedimentalizzato l'iter di adozione della interdittiva scandendo i termini per la partecipazione del suo destinatario. La circostanza che lo stesso Legislatore abbia inteso procedimentalizzare la partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento interdittivo porta a ritenere le deroghe all'obbligo di dare comunicazione di inizio del procedimento circoscritte ai soli casi di effettivo e dimostrato carattere di urgenza nonché ad un quadro fattuale talmente chiaro da rendere siffatta comunicazione solo foriera di una celere definizione del procedimento. Tale seconda circostanza si è verificata nel caso di specie, in considerazione dei gravi indizi di pregnanza e contiguità agli ambienti della criminalità organizzata, come illustrati nel provvedimento prefettizio ed in questa sede confermati (v. sub 4 e 5), tali da rendere superflua la fase partecipativa risultando evidenti i presupposti per concludere che è "più probabile che non" il collegamento soggiacente alla criminalità organizzata (in particolar modo al clan -OMISSIS-). 11. Con l'ultimo motivo, riproposto in via gradata, si censura il provvedimento che esclude l'applicabilità delle misure di prevenzione collaborativa ex art. 94-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 ad una -OMISSIS-. Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione. Le misure amministrative di prevenzione collaborativa di cui all'art. 94-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 sono finalizzate - sulla falsariga di quelle che sostanziano lo strumento del controllo giudiziario ex art. 34-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 cit. - a riportare la gestione dell'impresa su binari di completo affrancamento dall'influenza della criminalità organizzata. A tal fine l'art. 94-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che l'autorità prefettizia, ove accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono da ritenersi riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, dispone con provvedimento motivato, all'impresa, l'adozione, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle misure di prevenzione collaborativa. Con la prevenzione collaborativa si struttura un nuovo modello collaborativo con il mondo produttivo che modula l'afflittività della misura preventiva antimafia in relazione all'effettivo grado di compromissione dell'impresa rispetto al contesto criminale. Tale provvedimento si pone come alternativa all'informazione antimafia interdittiva, ed è attivabile nei casi in cui l'influenza mafiosa abbia un'intensità tale da farla reputare esclusivamente occasionale. L'impresa raggiunta dal provvedimento, pur continuando ad operare nel proprio settore economico, preservando i propri contratti d'appalto, è tenuta ad adottare modelli aziendali orientati all'auto accreditamento della propria affidabilità imprenditoriale (self cleaning) e a fornire comunicazioni inerenti la propria vita economica e imprenditoriale che consentiranno ai componenti del Gruppo Interforze Antimafia per la provincia di Reggio Calabria di monitorare il suo comportamento operativo, escludendo in tal modo che possa essere oggetto di infiltrazione mafiosa. Nel caso all'esame del Collegio le ragioni sottese all'adozione dell'informazione interdittiva antimafia sono di tale consistenza da escludere la possibilità di ammettere la ditta alla prevenzione collaborativa, indipendentemente dal fatto che la stessa sia -OMISSIS-. Ne consegue che è irrilevante che il Collegio verifichi se tale misura si possa estendere o meno alla -OMISSIS- atteso che, nel caso concreto, la stessa non sarebbe stata applicabile. 12. Per le ragioni sopra esposte, respinti i motivi riproposti dalla signora -OMISSIS- ex art. 101 c.p.a., l'appello deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tar Reggio Calabria 5 dicembre 2023, -OMISSIS-, deve essere respinto il ricorso di primo grado. 12. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinti i motivi riproposti dalla appellata -OMISSIS- ex art. 101 c.p.a., lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza del Tar Reggio Calabria 5 dicembre 2023, -OMISSIS-, respinge il ricorso di primo grado. Condanna la signora -OMISSIS- alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio a favore di parte appellante, che liquida in euro tremila (Euro 3.000,00). Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Stefania Santoleri - Presidente FF Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Relatore Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Di.Er., nato ad A il omissis, Nu.El., nata ad A il omissis, Di.Mi., nato ad A il omissis, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 21/11/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; udito, per l'imputato, l'avv. Do.Ci., che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 21 novembre 2022, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari in data 2 ottobre 2019 con la quale, all'esito di giudizio abbreviato, Di.Er., Di.Mi. ed Nu.El. erano stati condannati, con la diminuente del rito: i primi due, alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione e, la terza, alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione, in quanto riconosciuti colpevoli: i primi due, dei delitti previsti dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 2, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, commesso in B il 14 aprile 2014, per avere, in concorso fra loro, Di.Er. quale amministratore dal 22 aprile al 25 novembre 2013 e Di.Mi. quale amministratore di fatto della fallita (...) Srl, tenuto i libri e le altre scritture contabili obbligatorie in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, con lo scopo di recare danno ai creditori, non redigendo il bilancio 2013 e omettendo, per lo stesso anno, di tenere il libro giornale e il libro degli inventari (capo B); tutti e tre, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, commesso in B il 14 aprile 2014, per avere, in concorso tra loro, distratto beni della società fallita, in quanto i due Di.Er., nella qualità indicata, e la Nu.El. (madre dei Di.Er.), quale amministratrice della Nu. Srl (la cui proprietà era riferibile al nucleo familiare Di.Er.), stipulato un contratto di compravendita con il quale la (...) Srl trasferiva alla Nu. Srl la proprietà, di fatto a titolo gratuito, di un fondo rustico in agro di A; con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità (capo C); soltanto i primi due, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, 219, comma 1 e 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, per avere, in concorso tra loro, distratto beni della (...) Srl realizzando una cessione di ramo d'azienda al prezzo irrisorio di 80.100,00 Euro, determinato indicando voci passive fittizie (1.339.501,00 Euro per debiti nei confronti della (...) Srl, 318.305,00 Euro per debiti nei confronti della (...), 910.755,16 Euro relativi al "Fondo per rischi e oneri futuri" e 441.657,36 Euro per "TFR"), con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, in B il 14 aprile 1014 (capo D), soltanto i primi due, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 3, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, per avere, nelle qualità indicate, sia prima che durante la procedura fallimentare, allo scopo di favorire Nu.Gi. e a danno degli altri creditori, eseguito il pagamento nei suoi confronti di 20.000 Euro, dovuti per retribuzioni non corrisposte, in Bari dal 14 aprile 2014 al 31 marzo 2015 (capo E). 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione Di.Er. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Mi.La., deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato al capo B) per non avere redatto (recte: approvato) il bilancio relativo all'esercizio 2013 e avere omesso di tenere il libro giornale e il libro inventari. Dopo avere premesso che la mancata approvazione del bilancio non integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quanto, di per sé, il bilancio non costituisce una scrittura contabile obbligatoria ex art. 2214 cod. civ. e la sua mancata approvazione non impedisce né ostacola, in alcun modo, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita, si osserva che Di.Er. era cessato dalla carica di amministratore nel novembre 2013, prima che si concludesse l'esercizio e che fosse possibile redigere il relativo bilancio. Sarebbe, dunque, erronea l'affermazione dei Giudici di merito secondo cui su Di.Er. "incombeva comunque l'onere della presentazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio". Quanto, poi, alla omessa tenuta del libro giornale e del libro inventari relativi all'esercizio 2013, non rinvenuti in sede di procedura concorsuale, si opina che la bancarotta documentale è reato proprio dell'amministratore, il quale non può rispondere della tenuta della contabilità nel periodo successivo alla dismissione della carica. Inoltre, non sarebbe stato accertato se il mancato rinvenimento delle scritture contabili fosse imputabile alla sottrazione o distruzione delle stesse da parte dell'imputato, non potendo esse argomentarsi unicamente dalla commissione dei fatti di bancarotta patrimoniale. Peraltro, sarebbe stato dimostrato che all'epoca in cui Di.Er. era amministratore della (...) Srl l'intera contabilità veniva regolarmente tenuta e aggiornata, secondo quanto dichiarato da De.Ma., dipendente amministrativa della (...) Srl sino all'inizio del 2014. In ogni caso, la documentazione acquisita dalla curatela fallimentare avrebbe consentito la puntuale ricostruzione del patrimonio, dei movimenti contabili e di tutte le posizioni di debito/credito. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo C) della rubrica, relativo alla cessione di un fondo rustico "a titolo gratuito" in favore della Nu. Srl con pagamento "fuori atto"; cessione che sarebbe avvenuta per impedire che un creditore come (...) Spa potesse ottenere il ristoro dei propri crediti, risultando "fittizia" (pag. 4). La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare che la condotta contestata sarebbe in concreto inoffensiva, atteso che il bene oggetto di trasferimento risultava gravato da un'ipoteca giudiziale anteriore al fallimento, opponibile alla massa dei creditori, sicché il trasferimento del fondo sarebbe stato comunque inidoneo a recare pregiudizio al ceto creditorio e al creditore ipotecario, che poteva opporre all'acquirente il preesistente privilegio trascritto sul bene venduto. Per tali ragioni, quand'anche il fondo fosse rimasto nella disponibilità della società fallita, su di esso si sarebbe integralmente soddisfatto il creditore munito di privilegio. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo D) della rubrica, concernente la cessione, in favore della (...) Srl, di un ramo d'azienda "al prezzo irrisorio di Euro 80.000,00", determinato "indicando voci passive fittizie". Premesso che mancherebbe agli atti qualsiasi valutazione del ramo d'azienda ceduto che possa consentire di verificare la congruità del prezzo, le sentenze di merito avrebbero ritenuto che l'amministratore abbia sottostimato il prezzo di vendita, indicando, nella situazione patrimoniale allegata all'atto di cessione, tra le passività asseritamente inesistenti, i seguenti importi: 1) somme da corrispondere ai dipendenti a titolo di TFR per 441.657,36 Euro; 2) debiti nei confronti della (...) Srl per 1.339.501,00 Euro; 3) debiti nei confronti della (...) per 318.305,00 Euro; 4) Fondo per rischi e oneri futuri per 910.755,16 Euro. Quanto alla posta relativa al TFR, il perito avrebbe effettivamente accertato che la (...) Srl aveva versato agli ex dipendenti della (...) Srl il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila Euro e, nel 2014, di altri 64 mila Euro. Sul punto, però, la sentenza di merito conterrebbe soltanto un riferimento al mancato perfezionamento del trasferimento dei dipendenti in capo alla (...), che sarebbe totalmente ininfluente rispetto all'assunzione del debito e alla sua corrispondenza al dato reale. Quanto alla posta debitoria nei confronti della (...) Srl, originata dalla sottoscrizione dei preliminari di compravendita di due suoli edificabili nel comune di P, il perito avrebbe contestato esclusivamente le modalità di rilevazione contabile, smentendo l'assunto del Giudice di primo grado, secondo cui l'iscrizione del debito non troverebbe alcuna giustificazione, non corrispondendo ad alcun effettivo debito di quest'ultima società verso la prima, in realtà attestato dai cennati preliminari di vendita. Nessun accertamento era stato richiesto al perito in ordine al debito nei confronti della (...), rimasto privo di qualsivoglia verifica e tuttavia richiamato dal Collegio di appello per affermare che attraverso la relativa posta sarebbe stato conferito al ramo d'azienda ceduto un valore inferiore a quello reale. In ogni caso, la circostanza che alla società fallita siano state notificate cartelle esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di Euro (come risulta dalle istanze di insinuazione al passivo acquisite all'esito dell'esame del curatore fallimentare) comporterebbe che le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente superiori agli elementi attivi trasferiti, che ammontavano, complessivamente, a 3.594.200,47 Euro, sicché la cessione non avrebbe recato alcun pregiudizio alla massa dei creditori. 2.4. Con il quarto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo E) della rubrica, relativo al pagamento preferenziale in favore di Nu.El., attuato con il versamento di 20.000 Euro per ridurre il debito che la (...) aveva nei suoi confronti per retribuzioni arretrate non pagate. La Corte territoriale non avrebbe considerato che il delitto de quo non sussiste, secondo la giurisprudenza di legittimità, quando il pagamento viene effettuato nella ragionevole convinzione di poter evitare il fallimento, sulla base delle condizioni in cui versava la società, in quanto la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevole e presumibile riequilibrio finanziario patrimoniale, è incompatibile con il delitto. La sentenza di appello avrebbe esaurito la valutazione sulla illiceità della condotta nella constatazione della anteriorità del pagamento: presupposto necessario, ma non sufficiente. In ogni caso, il reato sarebbe prescritto. 2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La valutazione, compiuta in modo complessivo e unitario per tutti gli imputati, non consentirebbe di apprezzare effettivamente e responsabilità di ciascun imputato e di considerare che l'odierno ricorrente aveva ricoperto la carica di amministratore della società fallita per un brevissimo periodo. 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche Di.Mi. e Nu.El. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Do.Ci., deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 216, comma 1, n. 2, cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attribuzione, in capo a Di.Mi., della qualità di amministratore di fatto della (...) Srl, fondata su affermazioni apodittiche, quali l'esistenza di rapporti di parentela con altri imputati ovvero lo svolgimento di attività pratiche negli uffici della società. In realtà, la nozione di scelta gestionale, che la Corte di cassazione richiama quale indice sintomatico dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, evocherebbe il fatto che i compiti svolti nell'interesse del a società devono ingenerare il convincimento negli estranei che il soggetto sia amministratore della società. La Corte di appello di Bari avrebbe omesso tale accertamento, come di confrontarsi con le censure svolte nei motivi di appello. 3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto contestato al capo B). Avendo Di.Mi. cessato la propria carica di amministratore unico della società in data 22 aprile 2013, egli non sarebbe stato tenuto all'approvazione del bilancio di esercizio 2013. Quanto, poi, alla omessa tenuta del libro giornale e del libro inventari relativi all'esercizio 2013, la Corte non avrebbe riscontrato che i libri contabili fossero stati sottratti o distrutti dagli imputati ovvero che questi fossero soggettivamente responsabili del loro mancato rinvenimento. In ogni caso, due mesi dopo l'avvicendamento delle cariche, sarebbe stato redatto un bilancio straordinario, allegato all'atto di cessione dell'azienda, che avrebbe consentito una pedissequa ricostruzione della attività di impresa nel 2013, con esclusione del dolo specifico richiesto dall'art. 216, tanto più che tutta la documentazione relativa all'attività gestionale era stata redatta e aggiornata almeno fino ai primi di febbraio 2014, come riferito da De.Ma., che avrebbe fatto riferimento anche alla collaborazione del dott. Ca., responsabile della registrazione delle fatture. 3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato al capo C). La condotta contestata sarebbe inoffensiva, atteso che il bene oggetto di trasferimento era gravato da un'ipoteca giudiziale anteriore al fallimento e, pertanto, opponibile alla massa dei creditori, sicché il trasferimento sarebbe stato inidoneo a esporre a pericolo il bene tutelato. 3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato al capo D), ribadendosi, a sostegno, le medesime argomentazioni svolte con il terzo motivo del ricorso di Di.Er., cui si rimanda, e censurandosi l'immotivata decisione della Corte di appello di non procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale al fine di affidare nuovo incarico peritale per valutare le nuove emergenze scaturite nel giudizio di appello all'esito dell'esame testimoniale del curatore fallimentare. 3.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 157 e 159 cod. pen. e carenza della motivazione in ordine alla mancata rilevazione della estinzione del reato per prescrizione, nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo E), relativo al pagamento preferenziale in favore di Nu.El. La responsabilità di Di.Er. sarebbe stata affermata a partire dal ruolo di amministratore di fatto della società, senza che nessun contributo causale sia stato attribuito all'imputato. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto sussistente il reato a partire dalla constatazione della anteriorità del pagamento, senza considerare che quando esso sia eseguito nell'ambito di un'operazione di riorganizzazione aziendale volta ad assicurare la continuità delle attività imprenditoriali, l'anteriorità non costituisce un indice univoco della natura preferenziale dello stesso. Sotto diverso profilo, la sentenza avrebbe omesso di considerare che il reato contestato al capo E) si era estinto per prescrizione alla data del 1° ottobre 2022 e, dunque, prima dell'emissione della sentenza di appello il 21 novembre 2022. 3.6. Con il sesto motivo, i ricorsi lamentano, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per i due ricorrenti. La valutazione compiuta in modo complessivo e unitario per tutti gli imputati non consentirebbe di apprezzarne effettivamente ruoli e responsabilità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Tutti i ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere respinti. 2. Preliminarmente, e per una migliore comprensibilità sia degli argomenti di ricorso, sia delle ragioni della decisione, va osservato che i Giudici di merito hanno ritenuto accertato che le società coinvolte nelle operazioni descritte nell'imputazione erano tutte riferibili alla famiglia Di.Er.: premesso che la Nu.El. era la madre dei due Di.Er. e che il socio principale della originaria società (...) Srl era il marito della donna e padre degli altri due imputati, anche i soci principali delle società Nu. Srl, la (...) Srl e la (...). Srl erano parenti dei tre odierni ricorrenti. Nella sentenza di primo grado sono ricostruiti i tentativi del curatore fallimentare di entrare in possesso degli ordinari libri e delle scritture contabili della società, che si arrestavano al 31 dicembre 2012, mentre la documentazione successiva non era mai stata consegnata, non essendo rilevante la consegna al curatore di un faldone di fatture emesse dalla fallita, che nulla ha a che vedere con i libri sociali e le altre scritture contabili obbligatorie. Quanto alla posizione di Di.Er., la sentenza di appello ha ritenuto che, essendo stato amministratore dall'aprile 2013 al 25 novembre 2013, egli sarebbe stato tenuto a presentare del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio, sicché egli non sarebbe esonerato dagli obblighi, avendo ricoperto il ruolo di amministratore proprio nel periodo in cui si erano concentrate le operazioni distrattive che avevano svuotato il patrimonio societario, contestate ai capi C), D) ed E). Quanto alla responsabilità penale del fratello Di.Mi., amministratore unico dal 2008 al 22 aprile 2013, data in cui aveva ceduto le funzioni al coimputato, la sentenza ha evidenziato che le operazioni che avevano portato al dissesto della (...) Srl erano avvenute sotto la regia dei 2 fratelli; fermo restando che egli aveva continuato a occuparsi attivamente, anche dopo le dimissioni della qualifica formale, della conduzione della società, provvedendo quotidianamente agli incassi, ai versamenti in banca e ai contatti con il commercialista, cui consegnava i registri Iva, fornendo appunti per la redazione delle prime note e la registrazione delle fatture (si vedano, sul punto, le testimonianze di Ca.Gi., De.Ma., Sa.Gi. e La.Do.). Quanto all'elemento soggettivo, è stato evidenziato che Di.Mi. era socio unico della società fallita, sicché aveva il potere di nominare gli amministratori - e di prendere le decisioni rilevanti in materia di modifica dell'oggetto sociale e dei diritti dei soci, dovendo quindi ritenersi che egli fosse consapevole di quanto avveniva nella società di famiglia, anche con riguardo alla tenuta dei libri e scritture contabili per l'anno 2013. In tale prospettiva, tenuto conto delle operazioni descritte ai capi successivi, si è ritenuto che la mancata tenuta delle scritture contabili fosse preordinata a non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio societario e arrecare danno ai creditori. Con riferimento al delitto contestato al capo C), le indagini della Guardia di finanza hanno fatto emergere che in data 11 giugno 2013 la Di.Er. Srl aveva venduto alla Nu. Srl un fondo rustico, con operazione ritenuta in frode dei creditori in quanto la (...) Spa, creditrice della prima società, aveva ottenuto nei confronti di essa un decreto ingiuntivo in data 28 giugno 2013 per il valore di 320.906,00 Euro sulla base del quale era stata costituita sul bene un'ipoteca il 10 luglio 2013. Inoltre, era stato indicato nell'atto che il pagamento del prezzo convenuto, di 495.000,00 Euro, era avvenuto addirittura il 4 luglio 2006, quando la ed. Legge Bersani sulla tracciabilità dei pagamenti non operava ancora, a favore di una società, la Nu. Srl, costituita due anni dopo e cioè il 5 febbraio 2008, non esistente al momento del pagamento "fuori atto"; pagamento mai attestato da alcun documento e contrario a ogni canone di buon governo societario, sì da far ritenere che l'operazione sia stata fittizia, distraendo risorse dalla disponibilità della società al fine di sottrarre il bene all'aggressione di tutti i creditori, anche quelli a favore dei quali non risultava iscritta l'ipoteca. Quanto alla sussistenza del dolo, tenuto conto della dichiarazione di fallimento intervenuta solo pochi mesi dopo, giova riportarsi alla motivazione della sentenza di primo grado. Il danno rilevante realizzato nei confronti della massa creditoria, tenuto conto delle somme di denaro in considerazione, e la commissione di più fatti di bancarotta, chiaramente interconnessi, ha indotto a ritenere configurabile anche l'aggravante contestato. Quanto a Nu.El., la sua responsabilità è stata affermata quale concorrente extranea nella bancarotta, avendo fornito un contributo causale idoneo alla realizzazione della condotta distrattiva, quale acquirente fittizia del bene e consapevole autrice della diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori. Con riferimento al delitto contestato al capo D), gli accertamenti della Guardia di Finanza e la relazione del perito, prof. De.Vi. è emersa la irragionevolezza del prezzo di cessione di un ramo d'azienda da parte della (...) Srl in favore della (...) s.r.L, anch'essa costituita da appartenenti alla famiglia Di.Er., realizzata, il 31 maggio 2013 e dunque a pochi giorni di distanza dall'operazione di cui al capo C), dietro il pagamento di 80.000,00 Euro, a fronte di un valore stimato dalla polizia giudiziaria in 3.594.200,47 Euro, artatamente ridotto attraverso l'iscrizione, nel bilancio di cessione, di voci di passivo infondate. Pertanto, valorizzando tali indici di fraudolenza sopra esposti, l'operazione è stata ritenuta distrattiva, considerato che, con la cessione, la (...) era diventata una scatola vuota e tenuto conto dei particolari legami familiari tra gli autori dell'operazione, delle circostanze di tempo della cessione, con la conseguente responsabilità di Di.Er., che rivestiva la carica di amministratore nel periodo in cui si erano verificati i fatti e le operazioni in questione e di Di.Mi., quale amministratore di fatto, avendo egli nominato come amministratore di diritto, da socio unico, suo fratello proprio prima che iniziassero le operazioni distrattive e avendo continuato a occuparsi attivamente, anche dopo le dismissioni della qualifica formale, della conduzione della società. Ricorrono senza dubbi anche gli estremi delle aggravanti del danno patrimoniale di rilevante gravità e della ed continuazione fallimentare prevista dall'art. 219 co. 2 n. 1, legge Fall. Con riferimento al capo E), le indagini hanno segnalato che, con atto notarile in data 4 luglio 2013, la (...) aveva ceduto alla (...) Srl un ramo di azienda per il corrispettivo di 20.000,00 Euro, da corrispondere con 8 cambiali all'ordine della (...) Srl da 2.500 Euro ciascuna, utilizzato per ridurre l'esposizione debitoria della (...), per retribuzioni non pagate, nei confronti del legale rappresentante della (...) Srl medesima, Nu.Gi., zio per parte di madre dei due Di.Er. Cessione effettuata poco tempo dopo le due precedenti operazioni descritte ai capi C) e D), sotto la direzione amministrativa legale di Di.Er., il quale aveva provveduto a girare a Nu.Gi. le cambiali ricevute come pagamento per la cessione del ramo di azienda, in una fase in cui Di.Er. era certamente consapevole dello stato di decozione della società amministrata, avendo egli personalmente concorso alla realizzazione del graduale depauperamento nei termini esaminati, con le condotte di cui ai capi C), D) ed E), a pochi giorni di distanza, l'una dall'altra. Un pagamento privilegiato che aveva violato il principio della par conditio creditorum, considerato che proprio alcuni dipendenti della società, rimasti privi di tutela, avevano dato avvio al procedimento. Quanto alla richiesta di integrazione della perizia, essa è stata respinta in quanto il quadro probatorio è apparso chiaro, sì da rendere non necessario approfondire ulteriori successive evenienze, essendo importante lo stato e le azioni realizzate nelle date accertate. 3. Tanto premesso, muovendo dal ricorso proposto nell'interesse di Nu.El. e Di.Mi., infondato è il primo motivo, con cui la difesa deduce la violazione dell'art. 216 legge fall, e il vizio di motivazione con riferimento all'attribuzione della qualità di amministratore di fatto a Di.Mi. 3.1. In argomento, va premesso che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 legge fall, varino individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497 - 01; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273 - 01; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 - 01). In particolare, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, si è affermato che la relativa nozione di, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società (Sez. 5, n. 4865 del 2.5/11/2021, dep. 2022, Capece, Rv. 282775 - 01); è il caso, ad esempio, dei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero di qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Sez, 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01). E il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 2514 del 4/12/2023, dep. 2024, Commodaro, Rv. 285881 - 01). 3.2. Tanto osservato, si è già evidenziato che le due sentenze di merito hanno posto in luce numerosi elementi di fatto che hanno fondato il riconoscimento, niente affatto illogico, che Di.Mi. abbia svolto un attivo ruolo gestorio, estrinsecatosi nell'assumere le scelte strategiche della fallita (come la nomina del fratello come amministratore, peraltro poco prima dell'inizio delle attività distrattive), nell'occuparsi degli incassi e dei versamenti in banca, di predisporre appunti manoscritti per la redazione delle prime note e la registrazione delle fatture, nonché nel tenere i rapporti con il commercialista, cui aveva consegnato i registri Iva e dal cui studio aveva ritirato la documentazione contabile, nel pattuire, in misura pari al 10% del fatturato, i compensi con il nuovo amministratore, La.Do., significativamente nominato soltanto dopo l'avvenuto trasferimento di tutto il patrimonio. A fronte di tale quadro, che ha fatto puntuale applicazione dei criteri che, come visto, la giurisprudenza di legittimità ha enucleato per il riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto, le affermazioni difensive si connotano in termini di insuperabile genericità, avendo il ricorso affermato che il requisito soggettivo richiamato dall'art. 216 sia stato interpretato erroneamente e in termini puramente formali, senza però chiarire in quali termini ciò sia avvenuto; che la sentenza impugnata abbia omesso di approfondire le censure rivolte, sul punto, nei motivi di appello, senza peraltro chiarire quali queste fossero; che la motivazione abbia valorizzato i rapporti di parentela con altri imputati ovvero le attività pratiche di svolte all'interno degli uffici della società (v. pag. 2 del relativo ricorso), senza dunque confrontarsi con la puntuale ricostruzione degli indici fattuali compiuta dai Giudici di merito. Ne consegue, dunque, l'inammissibilità del presente motivo. 4. Venendo, quindi, alle censure svolte, con riferimento al capo C), attraverso il secondo motivo del ricorso proposto da Di.Er. e il terzo motivo del ricorso presentato da Nu.El. e Di.Mi., deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle considerazioni difensive. 4.1. Va premesso che i due motivi di impugnazione presentano una sostanziale sovrapponibilità, in specie in relazione al profilo della dedotta inoffensività della condotta contestata, derivante dalla circostanza che il bene oggetto di trasferimento era gravato da un'ipoteca giudiziale anteriore al fallimento, sicché il trasferimento sarebbe stato inidoneo a esporre a pericolo il credito, tutelato da una garanzia reale; laddove, rispetto ai creditori non privilegiati, la presenza di tale garanzia avrebbe reso la loro posizione recessiva al momento del soddisfacimento della loro pretesa, di tal che la vendita non avrebbe recato un concreto pregiudizio alle loro ragioni, comunque destinate a soccombere. 4.2. Le considerazioni difensive non possono essere in alcun modo condivise. Va premesso, infatti, che come specificato dalle sentenze, l'ipoteca era stata costituita a garanzia del credito di 320.906,00 Euro ovvero di una somma inferiore al valore economico del bene, come determinabile in rapporto al prezzo convenuto all'atto della stipula della vendita, in data 11 giugno 2013, nella misura di 495.000,00 Euro. Ne consegue, pertanto, che in ogni caso, anche assumendo che l'ipoteca fosse stata validamente costituita, la vendita simulata di un cespite di valore economico maggiore al credito garantito avrebbe comunque sottratto ai creditori non assistiti da alcun previlegio un cespite sul quale, almeno in parte, soddisfarsi, con evidente pregiudizio per le loro posizioni creditorie. Quanto, poi, al diritto della (...) Spa garantito dall'ipoteca, la cessione del bene alla Nu. Srl era avvenuta, come detto, in data 11 giugno 2013 e, dunque, prima della costituzione del diritto reale, il 10 luglio 2013; sicché l'assunto secondo cui il creditore ipotecario avrebbe, comunque, potuto soddisfare la propria pretesa si palesa priva di fondamento. 4.3. Quanto, poi, alla responsabilità di Di.Mi. e di Nu.El., le sentenze hanno diffusamente spiegato, in maniera niente affatto illogica, come essa discendesse, quanto al primo, dal ruolo di amministratore di fatto dal medesimo svolto accanto al fratello, amministratore di diritto della fallita; e, quanto alla seconda, dalla sua veste di amministratrice della Nu. Srl, cessionaria dei beni oggetto della vendita. Anche sotto tale profilo, dunque, la motivazione dei due provvedimenti di merito resiste pienamente alle censure difensive. 5. Venendo, poi, al delitto contestato al capo D), le censure svolte, rispettivamente, con il terzo motivo del ricorso di Di.Er. e con il quarto motivo del ricorso di Nu.El. e Di.Mi., sono infondate. 5.1. Come già illustrato, le doglianze difensive sono dirette a dimostrare che il valore del ramo d'azienda ceduto alla (...) Srl non sarebbe stato artificiosamente eroso attraverso la indicazione di voci passive fittizie. In realtà, quanto alla posta relativa al TFR, il perito avrebbe effettivamente accertato che la (...) Srl aveva versato agli ex dipendenti della (...) Srl il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila Euro e, nel 2014, di altri 64 mila Euro; quanto alla posta debitoria nei confronti della (...) Srl, il debito troverebbe giustificazione nei preliminari di vendita; il debito nei confronti della (...) sarebbe rimasto privo di qualsivoglia verifica; la circostanza che alla società fallita siano state notificate cartelle esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di Euro comporterebbe che le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente superiori agli elementi attivi trasferiti. E si lamenta che la Corte di appello abbia immotivatamente deciso di non procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale al fine di affidare un nuovo incarico peritale per valutare le nuove emergenze scaturite all'esito dell'esame testimoniale del curatore fallimentare. 5.2. Come correttamente rilevato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, con tali motivi le difese, in realtà, riproducono, sostanzialmente, le doglianze già espresse nell'atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta. 5.2.1. Quanto alla posta relativa al TFR dovuto agli ex dipendenti della (...) Srl, la sentenza di appello ha evidenziato che il perito aveva accertato, dall'esame del libro unico del lavoro della Pe. Srl, che per 40 dipendenti su 46 formalmente ceduti, il rapporto di lavoro era, in realtà, proseguito alle dipendenze della società cedente, sicché è stato coerentemente osservato che non appariva giustificato il trasferimento alla cessionaria di un debito per TFR relativo a lavoratori dipendenti non effettivamente trasferiti. Sul punto, il ricorso si limita ad affermare, da un lato, che il mancato perfezionamento del trasferimento dei dipendenti sarebbe totalmente ininfluente rispetto all'assunzione del debito; e, dall'altro lato, del tutto contraddittoriamente, che il perito avrebbe accertato che la (...) Srl aveva versato agli ex dipendenti essi il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila Euro e, nel 2014, di altri 64 mila Euro. Tuttavia, in disparte la circostanza che quest'ultima considerazione è meramente labiale, contraddicendo, senza fornire alcuna dimostrazione dell'assunto, l'opposta affermazione contenuta in sentenza, non può non osservarsi come il ricorso non si confronti con la logica osservazione secondo cui sarebbe del tutto irragionevole che un soggetto economico si facesse carico dell'onere di corrispondere il TFR ai dipendenti formalmente in carico a un'altra società. 5.2.2. Quanto alla posta debitoria iscritta nei confronti della (...) Srl, l'affermazione difensiva secondo cui essa avrebbe trovato giustificazione giuridico-economica nella sottoscrizione dei preliminari di compravendita di due suoli edificabili nel comune di P, non si confronta con un duplice, decisivo, rilievo contenuto nella sentenza di secondo grado. La Corte territoriale, infatti, da un lato ha evidenziato che la voce relativa ai rapporti con la (...) era stata iscritta due volte tra i debiti nel bilancio di cessione; e, dall'altro lato, che essa non aveva alcuna giustificazione, riguardando il saldo finale di una compravendita il cui contratto definitivo non era mai stato stipulato. 5.2.3. Quanto, ancora, al debito nei confronti della (...), la sentenza di primo grado, la cui motivazione è destinata a integrarsi con quella del grado successivo, aveva osservato che la (...) aveva stipulato con tale società un contratto preliminare di vendita con il quale la seconda si impegnava a cedere due unità immobiliari al prezzo complessivo di circa 318.305,00 Euro, che al 31 maggio 2013 risultava quasi integralmente salsato, residuando soltanto un debito di 5.600,00 Euro. Dunque, l'osservazione difensiva secondo cui il debito non sarebbe stato oggetto di verifica appare per un verso aspecifica, non confrontandosi con l'accertamento riportato in primo grado; e, per altro verso, generica, non riportando il passaggio dell'atto di appello che avrebbe contenuto una censura della prima decisione e rispetto al quale la sentenza di appella avrebbe omesso di pronunciarsi. 5.2.4. Quanto, infine, alla circostanza che alla società fallita fossero state notificate cartelle esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di Euro e che, pertanto, le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente superiori agli elementi attivi trasferiti, anche in questo caso la doglianza è inammissibile, fondandosi su un presupposto fattuale estraneo alla traiettoria argomentativa sviluppata dalla sentenza impugnata nella sua motivazione. 6. Ancora, relativamente al delitto contestato al capo E), le censure svolte dai ricorsi, rispettivamente con il quarto (Di.Er.) e con il quinto motivo (Nu.El. e Di.Mi.), sono manifestamente infondate. 6.1. Sotto un primo profilo, le doglianze riguardano la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale che, in particolare la difesa di Di.Er., revoca in dubbio alla luce dell'orientamento secondo cui in tema di bancarotta preferenziale, l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia dell'attività sociale o imprenditoriale e il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 5/06/2018, M., Rv. 274188 - 01). L'imputato, infatti, si sostiene in ricorso, avrebbe agito con "la ragionevole convinzione (...) di evitare il fallimento". Sul punto, tuttavia, è appena il di osservare che tale asserzione non viene suffragata da circostanze concrete che possano sostenerla, avendo le sentenze a più riprese evidenziato come l'imputato fosse perfettamente consapevole della situazione di sostanziale decozione della società, in ragione delle quali si era determinato alle già evidenziate operazioni distrattive. Quanto, poi, all'affermazione secondo cui il credito di Nu.Gi. sarebbe stato privilegiato, deve osservarsi che altri dipendenti della società, ai quali si dovette la presentazione dell'istanza di fallimenti, erano titolari di crediti privilegiati, sicché la prevalenza accordata a uno di essi integrava, pacificamente, la fattispecie contestata, come ritenuto dalle due sentenze di merito. Pertanto, i rilievi difensivi in ordine all'affermata responsabilità degli imputati devono ritenersi inammissibili. 6.2. Sotto altro profilo, le doglianze investono la violazione degli artt. 129 cod. proc. pen., 157 e 159 cod. pen., atteso che la contestata bancarotta preferenziale si sarebbe prescritta. Sul punto va, infatti, osservato che il relativo termine di sei anni, aumentati di 1/4 per effetto dei vari eventi interruttivi ex art. 161, secondo comma, cod. pen., non risultava ancora spirato al momento della pronuncia, in data 21 novembre 2022, della sentenza di appello, tenuto conto della sospensione della prescrizione per complessivi 384 giorni (e in particolare della sospensione dichiarata dalla Corte territoriale dal 18 ottobre 2021 al 7 febbraio 2022 a seguito del rinvio disposto per legittimo impedimento del nuovo difensore di Di.Er.); e che, per effetto di tali sospensioni, il termine di prescrizione era stato spostato al 20 ottobre 2023. In proposito, la circostanza che il suddetto termine sia successivamente decorso non assume alcuna rilevanza, tenuto conto, da un lato, del principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compreso il caso della prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D., Rv. 217266 - 01) e, dall'altro lato, che in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966 - 01). Ne consegue che la declaratoria di inammissibilità dei motivi di ricorso relativi al capo E), impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. 7. Quanto, infine, al delitto di cui al capo B), le doglianze articolate, rispettivamente, con il primo e con il secondo motivo dei ricorsi proposti nell'interesse di Di.Er. e di Nu.El. e Di.Mi., sono infondate. 7.1. Muovendo dall'analisi del motivo di ricorso proposto nell'interesse di Di.Er., la difesa deduce il vizio di motivazione sostenendo che l'imputato, amministratore di diritto dal mese di aprile a quello di novembre del 2013, non potesse ritenersi formalmente onerato della presentazione del bilancio relativo al 2013, da redigersi entro 120 dalla chiusura dell'esercizio e, dunque, entro il mese di aprile del 2014. Tuttavia, in argomento, va osservato che in tema di bancarotta fraudolenta documentale, è onere dell'amministratore cessato, nei confronti del quale sia provata la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili relative al periodo in cui rivestiva l'incarico, dimostrare l'avvenuta consegna delle scritture contabili al nuovo amministratore subentrante (Sez. 5, n, 55740 del 25/09/2017, Del Papa, Rv. 271839 - 01). In proposito, proprio le dichiarazioni di De.Ma., richiamate dalla difesa, secondo cui sino ai primi di febbraio 2014, la prima nota, le fatture e la contabilità interna della (...) Srl era stata redatta e aggiornata costituiscono la conferma della responsabilità dell'imputato. Secondo le annotazioni della teste, la documentazione che costei aveva predisposto erano state consegnate ai Di.Mi. per la successiva consegna al commercialista Ca.. Pertanto, proprio accedendo alla tesi difensive, è stato dimostrato che la documentazione contabile, nella disponibilità di Di.Er., non erano poi state trasmesse al commercialista. Tale spiegazione, inoltre, è stata consolidata, sul piano logico, dalla stretta connessione tra le operazioni distrattive e l'esigenza di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio societario al fine di occultarle. 7.2. Quanto, poi, al fatto che sia stato comunque possibile, pur in assenza delle scritture obbligatorie, ricostruire la situazione contabile e patrimoniale, va evidenziato che, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il reato di bancarotta fraudolenta documentale sussiste anche quando la documentazione possa essere ricostruita aliunde. Ciò in quanto la necessità di acquisire i dati documentali presso terzi costituisce la riprova che i libri e le altre scritture contabili erano stati tenuti con modalità tali da rendere quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, Capasso, Rv. 279346 - 01; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, Ronchese, Rv. 262588 - 01). 8. Con il quinto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Di.Er. e con il sesto motivo dei ricorsi presentati nell'interesse di Di.Mi. e di Nu.El., le difese prospettano vizi di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e alla mancata rideterminazione del trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice. Le doglianze sono, però, generiche e, come tali, inammissibili. 8.1. Invero, la Corte territoriale ha richiamato, quanto alle scelte dosimetrica, la gravità dei fatti, il valore dei beni sottratti alla curatela e il grado di responsabilità conseguente alle posizioni rivestite da ciascuno degli imputati. Va, del resto, ricordato che in sede di concreta commisurazione della pena entro la cornice edittale prevista dalla norma incriminatrice, il giudice esercita, alla stregua di una valutazione globale degli indici di commisurazione di cui all'art. 133 cod. pen., un ampio potere discrezionale che si sottrae, in quanto riconducibile ad apprezzamento di merito, a qualunque sindacato da parte del giudice di legittimità. Quanto agli standard motivazionali che il giudice di merito è tenuto a osservare nell'ambito di tale apprezzamento, questa Corte ha avuto modo di porre in luce che l'applicazione di una pena base in misura pari o superiore alla media edittale richiede una specifica indicazione dei criteri soggettivi e oggettivi elencati dall'art. 133 cod. pen., valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153 - 01); la quale non è invece richiesta tutte le volte in cui la scelta del giudice risulti contenuta, come avvenuto nel caso in esame, in una fascia "medio bassa" rispetto al regime edittale della pena. 8.2. Quanto, poi, alle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha sottolineato l'assenza di comportamenti valutabili positivamente, non avendo gli odierni ricorsi nemmeno prospettato quali specifici elementi avrebbero dovuto essere valorizzati in sede di merito, donde l'inammissibilità della relativa censura. 9. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 12 gennaio 2024 Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Relatore Dott. MOROSINI Elisabetta Maria - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: Ca.Gi. nato a T (ITALIA) il (Omissis) Do.An. nato a T il (Omissis) Ca.Co. nato a T il (Omissis) Ca.An. nato a T il (Omissis) Ca.Pa. nato a T il (Omissis) Ca.Ru. nato a T il (Omissis). Ca.Ro. nato a T il (Omissis). avverso il decreto del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Alessandro Cimmino, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto in data 13/10/2023, la Corte di appello di Lecce - revocata limitatamente ad alcuni beni la confisca disposta in primo grado - ha, nel resto, confermato il decreto del 29/12/2021 con il quale il Tribunale di Taranto aveva disposto la confisca di una serie di beni (immobili, veicoli, quote societarie e relativi compendi aziendali, rapporti di conto corrente) intestati a Ca.Gi., ritenuto portatore di pericolosità qualificata, e ai terzi Do.An., Ca.Co., Ca.An., Ca.Pa., Ca.Ru. e Ca.Ro., 2. Avverso l'indicato decreto della Corte di appello di Lecce hanno proposto ricorso per cassazione (d'ora in poi, primo ricorso), con un unico atto e attraverso il difensore Avv. Ga.Vi., Ca.Gi., nonché An.Do., Ca.Co., Ca.An., Ca.Pa., Ca.Ru. e Ca.Ro., articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Denunciano i ricorrenti la mancata perimetrazione temporale del giudizio di pericolosità qualificata, in quanto la condanna di Ca.Gi. per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. riguarda un periodo fino al 1996, mentre il periodo di manifestazione della pericolosità qualificata è stato protratto fino al 2011 in assenza di ulteriori indici fattuali, in contrasto con le indicazioni rinvenibili nella giurisprudenza di legittimità e in quella costituzionale, tanto più che la Corte di appello ha omesso di valutare in concreto l'effettiva valenza economica delle condotte lucrogenetiche, sottoponendo a confisca beni acquisiti fino al 2011, ossia dagli otto ai quindici anni dopo la consumazione delle condotte lucrogenetiche, laddove la decisione impugnata appare incentrata in via esclusiva sull'incongruenza economica tra redditi percepiti e valore dei beni senza alcuna concreta valutazione delle condotte, delle circostanze temporali e del rilevante iato temporale tra i due momenti (locupletazione e investimenti). Il giudizio di prevenzione reale impone l'esatta individuazione della provvista illecita da cui far derivare il complesso delle acquisizioni patrimoniali riferibili al proposto, mentre il decreto impugnato non tiene conto che il proposto consegnava i proventi illeciti ad altra persona, che poi provvedeva alla distribuzione tra gli affiliati 2.2. La difesa aveva prodotto a fini probatori il decreto della stessa Corte di appello relativo al fratello del proposto Em.Ca., che, versando in una posizione del tutto analoga, ha visto revocare la misura di prevenzione nei suoi confronti, decreto che non è stato esaminato dal provvedimento impugnato. 2.3. In ordine al giudizio di sperequazione economica, il decreto impugnato riprende la relazione peritale, omettendo l'esame del decreto nei confronti di Em.Ca. e ricomprendendo erroneamente nel novero dei beni illecitamente acquisiti quelli risalenti agli anni successivi quando la condotta lucrogenetica era cessata da anni, laddove l'evasione non può costituire indice di pericolosità sociale, valendo solo a impedire che possa giustificare la sproporzione tra redditi dichiarati e il patrimonio. 2.4. Quanto al ricorso dei terzi interessati, del tutto infondato è il rilievo del decreto impugnato secondo cui gli acquisti effettuati nel periodo 1995 - 2011 rientrerebbero nel periodo di manifestazione della pericolosità qualificata, tanto più che An.Do. risultava titolare di redditi regolari certificati, così come Ca.Pa., e Ca.An. 3. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Lecce hanno proposto ricorso per cassazione (d'ora in poi, secondo ricorso), con un unico atto e attraverso il difensore Avv. Lu.Es., Ca.Gi., nonché An.Do. e Ca.An., articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell'art. 10, D. Igs. n. 159 del 2011, per motivazione apparente in ordine alla persistente pericolosità qualificata di Ca.Gi. e alla ritenuta correlazione temporale tra il periodo di manifestazione della pericolosità qualificata e l'accumulazione patrimoniale, nonché con riguardo alla ritenuta derivazione dei beni confiscati dall'attività illecita di cui alla sentenza del Tribunale di Taranto del 28/06/2002. Il decreto impugnato ha accertato una durata del periodo di pericolosità qualificata che va dal 1989 al dicembre 1996, operando un ingiustificato automatismo della pregressa esperienza delittuosa in assenza di elementi concreti e specifici dai quali desumere la persistenza della pericolosità stessa del proposto, tanto più che già all'epoca del processo Ca.Gi. manifestò la volontà di interrompere ogni pregresso collegamento con la criminalità organizzata, rendendo una piena confessione. Con ordinanza del 03/05/2012, sottoposto all'esame della Corte di appello, il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice dell'esecuzione, dichiarò inammissibile la richiesta di sequestro preventivo del P.M. e rigettò la richiesta di confisca di beni ricollegabIli al fratello del proposto Em.Ca.: da tale provvedimento si evince l'origine lecita del reddito di Em.Ca. derivante dall'attività svolta presso (...) Srl, con l'interruzione di ogni collegamento con la criminalità organizzata, il che esclude qualsiasi contaminazione del patrimonio di detta società dei due fratelli, appunto, con la criminalità organizzata. Dall'apparente motivazione relativa all'ordinanza del 03/05/2012 deriva la lesione del principio di preclusione e del più ampio principio del ne bis in idem, posto che detta ordinanza non fu impugnata. Inoltre, la Corte di appello di Lecce, con provvedimento 3/2022 (confermato dalla Corte di cassazione), ha accolto l'impugnazione di Em.Ca., revocando la misura di prevenzione nei suoi confronti, con valutazioni che sconfessano il decreto impugnato. Il proposto da gennaio 1997 ad agosto 2000 è stato sottoposto a un periodo di ininterrotta carcerazione, mentre non è mai stato sottoposto alla misura personale della sorveglianza speciale, non ricorrendo alcuna attualizzazione dell'indice di pericolosità rappresentato dalla pregressa appartenenza a un'associazione mafiosa. 3.2. Il secondo motivo denuncia motivazione apparente in ordine all'origine illecita del patrimonio del proposto. Pur dando atto che i proventi del sodalizio mafioso erano canalizzati verso la moglie del capoclan, il decreto impugnato mostra di ritenere che essi fossero trattenuti dal proposto o che ritornassero nella sua disponibilità, omettendo di dar conto di indici fattuali altamente dimostrativi che le acquisizioni patrimoniali immediatamente successive al periodo di cessazione della pericolosità qualificata siano diretta derivazione della provvista formatasi in tale periodo, risultando anzi che Ca.Gi. riceveva mensilmente l'equivalente di 750 Euro, non sussistendo neppure elementi nuovi in grado di smentire l'esclusione di contaminazioni criminali nella (...). Il riferimento alla relazione della Capitaneria di Porto non può essere considerato elemento nuovo, in quanto già presente nel fascicolo del procedimento relativo a Em.Ca. e alla (...), mentre, con riguardo alla consulenza (Omissis), non risulta da nessun elemento che per l'avvio dell'impresa sia stato necessario un investimento di 42.500 Euro, tanto più che occorre tener conto dell'ammortamento dell'investimento iniziale, laddove il valore del fabbricato ceduto in locazione risulta dalla documentazione riportata nell'informativa in atti, mentre il riferimento alle tavole ISTAT viola il D. Igs. n. 322 del 1989 nella parte in cui prescrive che tali dati possano essere utilizzati solo per scopi statistici, non essendo idonei a determinare la spesa effettiva di un nucleo familiare. 3.3. Il terzo motivo denuncia, quanto all'evasione fiscale, che la sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale ha escluso che il mero status di evasore fiscale sia sufficiente a giustificare la confisca, se non integri una fattispecie delittuosa. 3.4. Il quarto motivo denuncia violazione del diritto di difesa, non essendo stato consentito al difensore di fare chiarezza sull'origine del patrimonio del proposto, non consentendo l'esame del proprio consulente dopo l'esame dei periti. 3.5. Il quinto motivo denuncia motivazione apparente in ordine alla posizione dei terzi Do.An. e Ca.An., titolari di rediti propri certificati e attinte dalla confisca sono perché strette congiunte del proposto. 4. Il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Alessandro Cimmino ha concluso per il rigetto dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi devono essere accolti. 2. Come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, "la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche "misura temporale" del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia acquisitiva. Sennonché, mentre nell'ipotesi di pericolosità "generica" l'individuazione cronologica rappresenta (...) operazione tutt'altro che disagevole, in caso di pericolosità qualificata la relativa determinazione appare più complessa e problematica. Ed infatti, fermo restando il principio che la pericolosità (rectius l'ambito cronologico della sua esplicazione) è "misura" dell'ablazione, la proiezione temporale di tale qualità non sempre è circoscrivibile in un determinato arco temporale. Tuttavia, nell'ipotesi in cui la pericolosità investa, come accade ordinariamente, l'intero percorso esistenziale del proposto e ricorrano i requisiti di legge, è pienamente legittima l'apprensione di tutte le componenti patrimoniali ed utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso. Resta ovviamente salva - come per la pericolosità generica - la facoltà dell'interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali. Con l'imprescindibile corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, non deve rispondere, neppure in questo caso, ai rigorosi canoni probatori del giudizio petitorio, con il rischio di assurgere al rango di probatio diabolica, potendo - per quanto si è detto - anche affidarsi a mere allegazioni, ossia a riscontrabili prospettazioni di fatti e situazioni che rendano, ragionevolmente, ipotizzabile la legittima provenienza dei beni in contestazione. Invece, ove la fattispecie concreta consenta al giudice della prevenzione di determinare comunque - in forza di insindacabile apprezzamento di merito (in quanto congruamente giustificato) e sulla base di ogni utile indagine - il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale, saranno suscettibili di apprensione coattiva "soltanto" i beni ricadenti nell'anzidetto perimetro temporale" (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262604 - 5; conf. Sez. 6, n. 31634 del 17/05/2017, Lamberti, Rv. 270710); di qui, dunque, il principio di diritto in forza del quale la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche "misura temporale" del suo ambito applicativo, sicché, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880/15, Spinelli, cit.). La necessaria, puntuale collocazione dell'acquisto del bene nell'arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale del proposto e, dunque, nel "perimetro temporale" tracciato dal relativo accertamento richiede, tuttavia, una precisazione, suggerita dalla stessa sentenza Spinelli delle Sezioni unite, lì dove, proprio introducendo il tema della perimetrazione cronologica, ossia della correlazione temporale tra acquisto del bene e manifestazione della pericolosità sociale, identifica il "presupposto giustificativo della confisca di prevenzione" nella "ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da "patologia ontologica") ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame". Decisivo ai fini dell'integrazione del presupposto della confisca di prevenzione è il riferimento all'acquisto con "proventi di attività illecita": è dunque rispetto a detti proventi che deve essere accertata la riconducibilità nel "perimetro temporale" dell'accertata pericolosità del proposto. In altri termini, a venire in rilievo è la correlazione temporale tra pericolosità del proposto e accumulazione delle risorse economiche impiegate per l'acquisito, non necessariamente la data di quest'ultimo. Rileva dunque la Corte che, qualora, come nel caso di specie, i beni oggetto di (domanda di) confisca ricadano in parte nel periodo coincidente con quello di manifestazione della pericolosità e in parte siano successivi ad esso, il giudizio sui presupposti del provvedimento ablativo non possa essere svolto in termini unitari, dovendo necessariamente essere articolato, distinguendo tra gli uni e gli altri. In questa prospettiva, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che "in tanto possa sussistere un collegamento tra beni di illecita provenienza e condotta criminosa in quanto il relativo acquisto sia stato effettuato perdurante la condizione di associato a delinquere", posto che "ciò determinerebbe di fatto una sorta di "condono" per tutte le condotte di acquisizione che, pur effettuate attraverso la provvista creata mediante la condotta illecita, si siano poi estrinsecate, come momento perfezionativo, in una fase temporale successiva alla perdita di quella condizione soggettiva di pericolosità": di qui il principio di diritto secondo cui, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, anche nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della condotta permanente, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell'attività delittuosa (Sez. 2, n. 14165 del 13/03/2018, Alma, Rv. 272377). Principio di diritto, questo, che, nel riferimento all'epoca di acquisizione della provvista, ripropone, in buona sostanza, il rilievo della sentenza Spinelli in ordine alla riconducibilità dei "proventi di attività illecita" nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale. Rilievo, che, a sua volta, si salda al dato normativo che all'art. 24 D. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 (così come all'art. 20, in tema di sequestro) delinea l'oggetto del provvedimento ablativo nei beni risultanti "frutto" di attività illecite ovvero "reimpiego" di essi: nozione, quest'ultima, che chiama in causa un rapporto di derivazione dall'attività illecita, per così dire, "mediata", rapporto, del resto già messo da Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260247, lì dove ha sottolineato che la disciplina della confisca di prevenzione mira a sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego. Naturalmente, alla "fuoriuscita" dell'acquisto del bene dal "perimetro cronologico" segnato dall'accettata pericolosità sociale deve corrispondere un accertamento della riconducibilità dell'acquisto stesso al "reimpiego" dei proventi di attività illecite da svolgere secondo i canoni dimostrativi tipici delle misure di prevenzione, ma in termini particolarmente rigorosi, sicché, al riguardo, merita senz'altro adesione l'indicazione di Sez. 2, n. 14165 del 2018, Alma cit. nella prospettiva di un accertamento fondato su una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell'attività delittuosa. Le conclusioni fin qui raggiunte possono essere sintetizzate nel senso che, "in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, sono suscettibili di confisca - salva restando la possibilità per il proposto di dimostrare l'acquisto dei beni con risorse preesistenti all'inizio dell'attività illecita - i beni acquistati in detto periodo temporale, nonché i beni acquistati in periodo successivo a quello di cessazione della pericolosità sociale, purché l'acquisto risulti effettuato attraverso il reimpiego dei frutti dell'attività illecita, da accertare sulla base di una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell'attività illecita" (Sez. 5, n. 49479 del 13/11/2019, Caputo, Rv. 277909 - 01; conf. Sez. 5, n. 1543 del 23/11/2020, dep. 2021, Maratta, Rv. 280667 - 02). Nei termini indicati, la confisca di prevenzione ex art. 24, d. Igs. n. 159 del 2011 resta saldamente ancorata al presupposto della "correlazione temporale" delineato da Sez. U. Spinelli e non smarrisce i propri tratti distintivi rispetto alla confisca per equivalente di cui all'art. 25, D. Igs. n. 159 cit.: quest'ultima, invero, ha ad oggetto "soltanto i beni acquistati lecitamente e non anche quelli che costituiscono reimpiego del bene di provenienza illecita, i quali, pertanto, devono anch'essi essere ritenuti illeciti, come tali suscettibili di confisca diretta" (Sez. 1, n. 43243 del 27/03/2018, Rv. 274400), sicché la confisca per equivalente rimane svincolata dall'accertamento della derivazione dall'attività illecita del proposto sopra indicato. In questa prospettiva, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della pericolosità qualificata a condizione che ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale, dovendo la valenza degli elementi indiziari della provenienza illecita del patrimonio impiegato per l'acquisto essere tanto maggiore quanto più è ampio il lasso di tempo decorso dalla fine del periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale del soggetto (Sez. 6, n. 5778 del 16/05/2019, dep. 2020, Cammarata, Rv. 278328 - 01; conf. Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, Palmeri, Rv. 281990 - 01). 3. Il decreto impugnato ha dato atto, per un verso, che la condotta di partecipazione all'associazione mafiosa per la quale il proposto ha riportato condanna si è protratta dal 1989 fino al dicembre del 1996 e, per altro verso, che la "ragionevole correlazione temporale" tra la fase di illecito arricchimento e quella relativa agli acquisti include gli ulteriori beni acquisiti nell'arco temporale 2004 - 2011, esorbitanti dalle legittime risorse del proposto. La Corte distrettuale rileva che contestualmente alla partecipazione al sodalizio mafioso, il proposto, nel 1995, ha avviato l'attività imprenditoriale attraverso la costituzione della (...) Snc (poi, Srl) e acquistando, nello stesso anno, un locale deposito ristrutturato e adibito a sede dell'impresa. Sottolineato il ruolo di vertice rivestito da Ca.Gi. nell'associazione e la sua attività di "collettore" delle somme versate dalle vittime delle estorsioni, la Corte distrettuale rileva, sulla scorta della perizia tecnico-contabile espletata, che il meccanismo di accumulo patrimoniale è risultato del tutto sproporzionato anche rispetto all'attività del proposto di socio e amministratore di (...), sicché la provenienza delle risorse economiche impiegate nei vari acquisti e nell'avviamento delle attività imprenditoriali non risulta giustificata neppure sulla base degli utili conseguiti con la menzionata attività imprenditoriale ed è pertanto riconducibile a un arricchimento necessariamente conseguito in ragione dell'attività svolta in precedenza dal proposto come soggetto organico e di rilievo del sodalizio (particolarmente attivo "nel ramo delle estorsioni"), la cui esistenza è stata accertata con sentenza irrevocabile. Rileva la Corte distrettuale che, oltre alle acquisizioni patrimoniali collocate nel 1995-1996, numerosi altri acquisti o investimenti in attività economiche sono stati realizzati nel periodo dal 2004 al 2011, senza che il proposto abbia fornito la dimostrazione che tali impieghi fossero ascrivibili a proventi leciti esistenti prima del suo coinvolgimento nell'ambito dell'associazione di tipo mafioso, né ha fornito concreti elementi idonei a ricondurre le risorse economiche impiegate a fonti diverse rispetto all'accumulazione realizzata mediante la partecipazione all'organizzazione mafiosa; pertanto, rispetto ai numerosi incrementi patrimoniali compiuti anche ad una significativa distanza temporale dalla cessazione della manifestazione della pericolosità sociale qualificata, risulta dimostrata l'impossibilità di giustificare gli acquisti non solo con i redditi dichiarati, ma anche con la sua complessiva capacità reddituale. 4. Ciò premesso, i ricorsi devono essere accolti. Nei termini sinteticamente indicati, il decreto impugnato non ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati al Par. 2, princìpi espressamente richiamati, peraltro, nell'atto di appello (quinto motivo). L'apparato argomentativo del decreto impugnato si risolve, in buona sostanza, nell'articolazione del giudizio di sproporzione, che deve caratterizzare sempre il provvedimento applicativo della misura di prevenzione reale, ma in nessun modo dà conto, risultando al riguardo apparente, della necessità di distinguere tra beni acquistati durante e beni acquistati successivamente al periodo di manifestazione della pericolosità e, con riguardo ai secondi, di quella pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale necessaria in presenza di un rilevante iato temporale tra cessazione del periodo di pericolosità ed epoca dell'acquisto al fine di preservare la riconoscibilità del presupposto della "correlazione temporale". Necessità, quella dell'indicazione dei menzionati indici fattuali, tanto più stringente in presenza di alcune peculiarità della fattispecie in esame: l'intervallo temporale particolarmente significativo tra cessazione della manifestazione della pericolosità (1996) ed epoca degli acquisti (fino al 2011); L' esecuzione, nel corso di tale intervallo, di una pena detentiva, che, se protratta per almeno due anni, impone una nuova verifica della pericolosità sociale (art. 14, comma 2-ter, D. Igs. n. 159 del 2011); la certa disponibilità di redditi leciti (pur in misura ritenuta inferiore agli impieghi nel periodo considerato: pag. 17 del decreto impugnato). Pertanto, assorbite le ulteriori doglianze, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Lecce; come chiarito Sez. U, n. Ili del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, "la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto dì cui all'art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell'atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l'incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione" (conf. Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, Mastrolia, Rv, 281253). P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Lecce in diversa persona fisica. Così deciso il 11 Aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Rel. Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ra.Re. nato a B il (Omissis) avverso la sentenza del 07-04-2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOMASO EPIDENDIO che ha concluso chiedendo udito il difensore IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Brescia, riconosciuta la continuazione tra i reati oggetto della sentenza della corte di appello di Brescia del 23.6.2021, divenuta irrevocabile l'8.10.2021, e quelli oggetto della sentenza del tribunale di Brescia dell' 1. 12.2022, confermava l'affermazione di responsabiloità pronunciata dal suddetto tribunale nei confronti del Ra.Re. per i reati di furto aggravato ai sensi dell'art. 625, co. 1, n. 2), c.p., allo stesso contestati ai capi A) e B) dell'imputazione, aventi a oggetto denaro sottratto da due distributori automatici, scardinati con un piede di porco. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Ra.Re. lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla procedibilità dei reati in questione, sotto il particolare profilo della mancanza di legittimazione a proporre querela da parte della querelante Ta.Sa. 3. Con requisitoria scritta del 15.12.2023 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. Tomaso Epidendio chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte del 2.1.2024, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell'imputato insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Il ricorso va dichiarato inammissibile, perché sorretto da motivi manifestamente infondati. Al riguardo si osserva che il delitto di furto, aggravato dalla circostanza di cui all'art. 625, co. 1, n. 2) c.p., per essere stato commesso il fatto con violenza sulle cose, originariamente perseguibile d'ufficio, ora, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 624, co. 3, c.p., aggiunto dall'art. 2, co. 1, lett. i), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex. art. 6, D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, risulta perseguibile a querela di parte, rimanendo inalterata la perseguibilità d'ufficio solo "se la persona è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui all'art. 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis", circostanze non configurabili nel caso che ci occupa. Ciò posto il tema posto all'attenzione del Collegio attiene alla validità della querela proposta dalla signora Ta.Sa., ritenuta dalla corte territoriale legittimata a proporre l'istanza punitiva, essendosi dichiarata proprietaria, sia dell'autolavaggio, che dei distributori automatici di bevande posti al servizio dello stesso, oggetto dell'azione predatoria. Tale assunto è contestato dal ricorrente, sul presupposto che, come emerge dalla documentazione prodotta e allegata al ricorso, i menzionati distributori automatici non sono di proprietà della Ta.Sa., appartenendo alla ditta individuale del marito della querelante "Circuito Gi. di Du.Ma.", che commercia, per mezzo di distributori automatici, prodotti per la manutenzione e la profumazione di autoveicoli, nonché bibite, rispetto alla quale la Ta.Sa. è una semplice coadiuvante familiare. Si tratta di un rilievo manifestamente infondato. In quanto coadiuvante familiare della menzionata impresa "Circuito Gi. di Du.Ma.", come riconosciuto dallo stesso ricorrente, sulla base della visura storica rilasciata dalla camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di B , non è revocabile in dubbio che la Ta.Sa. svolgesse un'attività di ausilio nella gestione dell'impresa, al cui servizio erano destinati i distributori automatici contenenti le monete oggetto di furto. Infatti per coadiuvante o coadiutore familiare, ai sensi dell'art. 2, L. 22 luglio 1966, n. 613, deve intendersi, tra gli altri, il coniuge, che partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. In quanto tale, la Ta.Sa. non poteva non esercitare una relazione di fatto con i distributori automatici posti al servizio dell'impresa dove si svolgeva, con carattere di abitualità e prevalenza, la sua attività lavorativa, con la conseguenza di essere del tutto legittimata a proporre querela. Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, infatti, il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela (cfr. Sez. U, n. 40354 del 18-07-2013, Rv. 255975). 5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma l'11 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 475 del 2024, proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma.Ce., con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Gi.Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti La.Ca. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, L’A. Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, Lido Or.Mi. di Sc.An., rappresentati e difesi dall’Avvocato Da.Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Bl. s.p.a. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato An.St.Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; E.T.Ed. e Tu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Lido Za. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Su.Pl. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Is.Lo. e dall’Avvocato Fe.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Po. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ni.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Circolo Unione di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Al.Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, sia congiuntamente che disgiuntamente, dall’Avvocato Ma.Al.Sa., dall’Avvocato Gu.Al.Gi., dall’Avvocato An.Ca. e dall’Avvocato St.Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Pe.dello Jo. s.r.l., non costituita nel presente grado del giudizio; Lido Ce.Pi. Soc. Coop. a r.l., non costituito nel presente grado del giudizio; Bagno Ce. Società a r.l.s., non costituita nel presente grado del giudizio; Lido Fr. di Ti. Lu. & C. s.n. c., non costituita nel presente grado del giudizio; Associazione Pro Loco “Lu.St.”, non costituita nel presente grado del giudizio; Co.An., non costituito nel presente grado del giudizio; M2.Ra.Ma. s.p.a., non costituita nel presente grado del giudizio; Gi.Pi., non costituito nel presente grado del giudizio; Dm. di Ma.Gi. & C. s.n. c., non costituita nel presente grado del giudizio; Lg. s.r.l.s., non costituita nel presente grado del giudizio; R. Ma. di Ra.Ma. & Co. s.n. c. (Lido il Ga.), non costituito nel presente grado del giudizio; Vi.Gi. Quale Titolare della Ditta Individuale “Vi.Gi.”, non costituito nel presente grado del giudizio; Al.Ca.Bi. di Cl.Vi., non costituito nel presente grado del giudizio; Federazione Imprese Demaniali, non costituita nel presente grado del giudizio; Po.Gi. s.a.s. An.Os. di Ra.Ma. & C., non costituita nel presente grado del giudizio; Ri.Vi. subentrante nella Titolarità della Concessione Demaniale n. 02/2008 intestata a Vi.Gi., non costituito nel presente grado del giudizio; per la riforma della sentenza n. 1223 del 2 novembre 2023 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, resa tra le parti, che ha dichiarato improcedibile il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dall’Autorità, odierna appellante principale, per l’annullamento della deliberazione della Giunta Comunale del 24 dicembre 2020, n. 225, approvata dal Comune di Omissis, avente ad oggetto "Legge n. 145/2018 art. 1, commi 682 e 683 - D.L. n. 34/2020 conv. nella Legge n. 77/2020 art. 182, comma 2 e s.m.i. - Richieste di proroga concessioni demaniali marittime. Atto di indirizzo" e, per quanto occorrer possa, della bozza di comunicazione e del modello di istanza, entrambe allegate alla deliberazione medesima, che ne formano parte integrante nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente, ancorché non conosciuto. visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e di L’A. Soc. Coop. e di Lido Or.Mi. di Sc.Gi. e di Bl. s.p.a. unipersonale e di E.T.Ed. e Tu. s.r.l. e di Lido Za. s.r.l. e di Po. s.r.l. e di Su.Pl. s.r.l. e di Circolo Unione di Bari e di Lido Or.Mi. di Sc.An.; visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto dagli appellanti incidentali La.Ca. s.r.l., L’A. soc. coop. e Lido Or.Mi. di Sc.An. visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto da S.I.B. Sindacato Italiano Balneari; visti tutti gli atti della causa; relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante principale, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Avvocato Ma.Ce., per l’appellato Comune di Omissis l’Avvocato Gi.Mi., per l’interventore ad opponendum nonché appellante incidentale S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari l’Avvocato An.Ca., l’Avvocato Ba.Ra., l’Avvocato Ma.Al.Sa., l’Avvocato St.Fr., l’Avvocato Gu.Al.Gi., La.Ca. s.r.l., L’A. soc. coop. e Lido Or.Mi. di Sc.An., appellanti incidentali, l’Avvocato Da.Lo., per Bl. s.p.a. unipersonale l’Avvocato Ug.De.Lu. per delega dell’Avvocato An.St.Da. e per E.T. Ed.Tu. s.r.l., Lido Za. s.r.l. e Su.Pl. s.r.l. l’Avvocato Is.Lo. in proprio e per delega dell’Avvocato Fe.Ma.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Con la delibera di Giunta comunale del 24 dicembre 2020, n. 225, il Comune di Omissis, odierno appellato, ha deliberato, da una parte, di tenere conto "del complesso quadro normativo e giurisprudenziale formatosi intorno alla tematica della proroga/rinnovo delle concessioni demaniali esistenti nonché della facoltà di utilizzo introdotta dall’art. 182, comma 2, del D.L. 5 n. 34/2020, convertito nella legge n. 77/2020 e s.m.i.", dall’altra, e conseguentemente - "considerato che allo stato attuale non vi sono le condizioni ed i tempi necessari per avviare, dopo la scadenza del 31.12.2020, le procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione in concessione della aree demaniali di che trattasi" - di adottare apposito atto di indirizzo e, quindi, "di approvare l’allegata comunicazione da inviare a tutti i concessionari ed inerente alla ricognizione delle concessioni demaniali marittime attive e scadenti al 31.12.2020 finalizzata all’emissione del provvedimento amministrativo di prolungamento della durata delle concessioni demaniali marittime fino al 31.12.2020, ai sensi della legge n. 145/2018 art. 1 commi 682 e 683 e dell’art. 182, comma 2, del D.L. n. 34/2020 convertito con modificazioni nella legge n. 77/2020 e s.m.i. [...]". 1.1. Ritenendo che la suddetta delibera presentasse criticità concorrenziali e si ponesse in contrasto con gli articoli 49 e 56 del TFUE, nonché con le norme unionali in materia di affidamenti pubblici, l’Autorità odierna appellante, nell’adunanza del 16 febbraio 2021, ha deliberato di esprimere un parere motivato ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, relativamente al contenuto dell’atto in questione attraverso il quale ha ritenuto che il Comune di Omissis avrebbe dovuto disapplicare la normativa posta a fondamento della Delibera di Giunta Comunale n. 225/2020 per contrarietà della stessa ai principi e alla disciplina eurounitaria sopra richiamata. 1.2. Ciò in quanto, secondo l’Autorità, "le disposizioni relative alla proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative contenute in tale delibera integrano, infatti, specifiche violazioni dei principi concorrenziali nella misura in cui impediscono il confronto competitivo che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento dei servizi incidenti su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere". 1.3. Per tali ragioni, l’Autorità ha concluso che la delibera di Giunta comunale in questione si poneva in contrasto con gli articoli 49 e 56 del TFUE, essendo suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché con le disposizioni normative unionali in materia di affidamenti pubblici. 1.4. Nel parere veniva, altresì, indicato che, ai sensi dell’articolo 21-bis, comma 2, della l. n. 287 del 1990, il Comune avrebbe dovuto comunicare all’Autorità, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione del parere motivato, le iniziative adottate per rimuovere le violazioni della concorrenza sopra esposte. 1.5. In data 5 marzo 2021, il Comune di Omissis ha fatto pervenire le proprie osservazioni al parere, informando che "dopo adeguata istruttoria, [il Comune] adotterà i provvedimenti di proroga previsti dalla Legge 145/2018 e s.m.i. e secondo gli indirizzi impartiti dalla Giunta Comunale con i provvedimenti su riportati". 1.6. Preso atto del mancato adeguamento del Comune di Omissis al parere ricevuto e ritenendo non condivisibili le motivazioni dallo stesso addotte a giustificazione del proprio operato, nell’adunanza del 16 marzo 2021, l’Autorità ha deliberato di proporre ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (qui di seguito, per brevità, il Tribunale) nei confronti del Comune di Omissis, ai sensi dell’art. 21-bis, comma 2, della l. n. 287 del 1990, avverso la citata delibera di Giunta comunale del 24 dicembre 2020, n. 225. 1.7. A seguito di notifica e del successivo deposito, il ricorso è stato iscritto al R.G. n. 599/2021 avanti al Tribunale. Con la delibera di Giunta n. 19 del 17 febbraio 2021, adottata il giorno successivo all’adunanza dell’Autorità nella quale era stato deliberato l’invio del citato parere motivato, il Comune di Omissis, da un lato, ha “confermato” "quanto stabilito con la Deliberazione della Giunta Comunale n. 225 del 24.12.2020" (punto 3 del deliberato) e, dall’altro, ha disposto di "precisare/rettificare il punto 3 della Deliberazione della G.C. n. 225/2020, nel rispetto della normativa comunitaria, statale e regionale vigenti e senza compromettere il futuro sviluppo della fascia costiera del Comune di Omissis, stabilendo che la proroga [delle concessioni demaniali, n. d.r.] potrà essere concessa come per legge fino al 31.12.2033 e che comunque tutti i concessionari legittimi dovranno adeguare le strutture balneari oggetto di concessione, alle previsioni dello strumento comunale di pianificazione costiera 7 (Piano Comunale delle Coste) all’atto della sua definitiva approvazione ed entrata in vigore, senza alcuna pretesa di carattere economico nei confronti del Comune di Omissis". 2.1. La delibera in parola costituisce un ulteriore atto di impulso procedimentale (rispetto alla precedente delibera n. 225 del 2020) teso ad attuare le disposizioni normative di rango primario concernenti la proroga delle concessioni sino al 2033 (e, in particolare, i commi da 682 a 684 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, il comma 2 dell’art. 182 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, e il comma 1 dell’art. 100 del d.l. 14 agosto 2020, n. 104), nonché a “regolarizzare” la posizione di alcuni concessionari, proprio nell’ottica di tale proroga. 2.2. Con riferimento a quest’ultima delibera n. 19 del 2021, l’Autorità odierna appellante (nella predetta adunanza del 16 marzo 2021) ha ritenuto, coerentemente con il proprio precedente orientamento, di adottare un nuovo parere motivato che è stato comunicato al Comune secondo le formalità prescritte dall’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 il successivo 19 marzo, e con il quale veniva ribadito come la proroga delle concessioni, disposta e/o confermata dalla delibera predetta, si ponesse in contrasto diretto con il diritto europeo, e in specie con gli artt. 49 e 56 del T.F.U.E. e con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, il quale ultimo pone, da un lato, il principio della durata necessariamente limitata delle autorizzazioni (concessioni), dall’altro, un esplicito divieto di rinnovo delle medesime. 2.3. Ribadita la necessità di provvedere, considerato il descritto contrasto, alla disapplicazione della normativa statale di cui la citata seconda delibera comunale costituiva attuazione, il Comune è stato dall’Autorità invitato ad assumere le necessarie iniziative volte a rimuovere gli effetti anticoncorrenziali prodotti dalla delibera medesima. 2.4. Il termine indicato nel parere motivato è decorso senza che pervenisse alcun tipo di riscontro, sicché, ritenendo che permanessero le criticità concorrenziali di cui si è detto in precedenza, l’Autorità ha presentato un nuovo autonomo ricorso, a valere anche quale atto di motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 21-bis della L. n. 287 del 1990, con atto notificato il 7 giugno 2021. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti in resistenza il Comune di Omissis e diversi soggetti, titolari di concessioni demaniali marittime nel Comune di Omissis, e sono intervenute ad opponendum anche alcune associazioni esponenziali di interessi collettivi, come l’odierna appellante incidentale S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari. 3.1. Nelle more del giudizio, a seguito dei depositi documentali effettuati dalla controinteressata Po. s.r.l., l’Autorità è venuta a conoscenza della data e degli estremi dell’atto di proroga adottato dal Comune di Omissis e avente a oggetto l’estensione ex lege della durata della concessione demaniale marittima n. 06/2016 (intestata alla controinteressata Po. s.r.l.) al 31 dicembre 2033, ai sensi dell’art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018. 3.2. Avverso tale atto, pertanto, nella riunione del 30 settembre 2021, l’Autorità ha deliberato di proporre un nuovo ricorso per motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990. 3.3. Successivamente, a seguito di ulteriori e più recenti depositi documentali effettuati da altri controinteressati, costituitisi nel primo grado del giudizio, l’Autorità è venuta a conoscenza della data e degli estremi di altri atti di proroga adottati dal Comune di Omissis e aventi a oggetto l’estensione ex lege della durata delle concessioni demaniali marittime nn. 06/2007, 07/2012, 12/2012 e 04/2013 al 31 dicembre 2033, ai sensi dell’art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018. 3.4. Anche avverso i suddetti atti, pertanto, nella riunione del 15 marzo 2022, l’Autorità ha deliberato di proporre ricorso per motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, per contestarne la illegittimità in via derivata dalla illegittimità dei provvedimenti in precedenza impugnati. Con ordinanza collegiale n. 743/2022 dell’11 maggio 2022 il Tribunale ha disposto la sospensione del giudizio e la contestuale trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia UE in sede di rinvio pregiudiziale, formulando alcuni quesiti in ordine alla validità e alla interpretazione della Dir. 2006/123/CE. Con la sentenza 20 aprile 2023 in C-348/22, la Corte di Giustizia UE si è espressa sulle questioni sollevate dal Tribunale. Sinteticamente, per quanto qui interessa, la Corte di Giustizia ha rilevato che l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE si applica a tutte le concessioni demaniali, anche a quelle prive di interesse transfrontaliero certo; ha l’effetto diretto di obbligare gli Stati a svoLg.ere una procedura di selezione per affidare le nuove concessioni e di vietare conseguentemente i rinnovi automatici (o le proroghe) degli affidamenti in essere; obbliga tutti i giudici nazionali e le singole pubbliche amministrazioni nazionali e comunali a disapplicare eventuali disposizioni nazionali con esso incompatibili; con riferimento alla scarsità della risorsa, secondo il giudice europeo gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili a tale valutazione, che può essere svolta in base a un mero approccio generale e astratto valido per tutto il nazionale, o a un approccio caso per caso che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci. Successivamente alla pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia europea, il giudizio R.G. n. 599/2021 è stato riassunto avanti al primo giudice con atto di impulso della odierna appellante principale e, in esito all’udienza pubblica del 27 settembre 2023, è stato trattenuto in decisione. Il Tribunale, con la sentenza n. 1223 del 2 novembre 2023, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso proposto dall’Autorità, affermando in estrema sintesi: 1) che gli atti impugnati dall’Autorità risultano caducati e privi di efficacia già per effetto della normativa sopravvenuta (nella specie, la legge n. 118 del 2022 che ha abrogato tutte le norme di cui alla legge n. 145 del 2018 e ha disposto il nuovo termine di scadenza delle concessioni demaniali marittime in essere al 31 dicembre 2023, nonché la successiva legge n. 14 del 2023 che ha differito il predetto termine al 31 dicembre 2024) e che, comunque, risulta mutato il contesto giuridico e fattuale di riferimento; 2) di non condividere "l’ipotesi di cessazione dell’efficacia delle CDM alla data del 31 dicembre 2023, che si supporta alla specifica statuizione in tal senso contenuta nelle sentenze A.P. 17 e 18 del 2021 (punto n. 48 di AP 17-18/2021), temporalmente antecedenti sia rispetto alla sentenza della C.G.U.E. del 20 aprile 2023, sia rispetto alla normativa di cui alla L. 14/2023"; 3) che, pertanto, tutte le concessioni demaniali marittime in essere verranno a scadere alla data del 31 dicembre 2024; 4) che la fissazione del termine delle concessione demaniali marittime al 31 dicembre 2023 deriva dalla corrispondente statuizione contenuta nelle sentenze dell’Adunanza plenaria del 2021 (poi recepita e trasfusa nel testo originario della l. n. 118 del 2022), la quale costituisce "la logica conseguenza della pretermessione - nella motivazione delle AA.PP. 17 e 18/2021 - di un significativo step, quale quello relativo alla scarsità della risorsa, condizionato alla tempistica connessa all’attività istruttoria e connotato di ampia discrezionalità, step individuato come centrale e preliminare adempimento nella direttiva come interpretata dalla C.G.U.E. con la sentenza del 20/04/2023 [...] siffatta statuizione del termine di cessazione di efficacia al 31.12.2023, a prescindere da ogni altra considerazione, non può ritenersi pertanto prevalente sulla norma successiva, che peraltro risulta invece del tutto coerente con le precisazioni innovative contenute nella sentenza della CGUE e non integra quindi gli estremi di una mera ed ingiustificata proroga automatica, vietata dall’art. 12 par. 1 e 2 della direttiva". Avverso la sentenza ha proposto appello principale l’Autorità, assumendone l’erroneità per i quattro motivi che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma. 9.1. Si è costituita il 26 gennaio 2024 Bl. s.p.a., titolare del “To.Vi.”, villaggio turistico insistente in località Marina di Omissis (Taranto), per chiedere la reiezione dell’appello. 9.2. Si sono il 27 gennaio 2024 costituiti per opporsi all’appello principale La.Ca. s.r.l., L’A. soc. coop. e Lido Or.Mi. di Sc.An., che hanno proposto appello incidentale, di cui si dirà successivamente. 9.3. È intervenuto ad opponendum il 29 gennaio 2024 il S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari, già intervenuto ad opponendum in primo grado, per chiedere la reiezione dell’appello principale e, a sua volta, ha proposto appello incidentale. 9.4. Si è costituita il 29 gennaio 2024 Po. s.r.l per chiedere la reiezione dell’appello principale. 9.5. Si sono costituiti il 30 gennaio 2024 Lido Za., E.T.Ed. e Tu. s.r.l. e Su.Pl. s.r.l. sempre per chiedere la reiezione dell’appello principale. 9.6. Sempre il 30 gennaio 2024 è intervenuto ad opponendum Circolo Unione di Bari per chiedere la reiezione dell’appello principale. 9.7. Nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, sull’accordo dei difensori delle parti, ha rinviato la causa all’udienza pubblica del 26 marzo 2024. 9.8. Si è costituito il 31 gennaio 2024 il Comune di Omissis, appellato, per eccepire l’irricevibilità e, comunque, l’infondatezza dell’appello principale. 9.9. All’esito dell’udienza pubblica del 26 marzo 2024, con l’ordinanza n. 2889 del 27 marzo 2024 il Collegio, rilevato, anche in seguito all’eccezione rispettivamente formulata dal Comune di Omissis e da La.Ca. s.r.l. e gli altri concessionari con essa costituiti, che non risultano rispettati i termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., ancorché dimidiati, per la eventuale difesa delle altre parti in ordine alla proposizione degli appelli incidentali notificati il 14 febbraio 2024, ha fissato una nuova udienza per garantire il rispetto del diritto di difesa e rinviato la causa all’udienza del 7 maggio 2024. 9.10. Infine, nell’udienza del 7 maggio 2024, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione. L’appello principale dell’Autorità è fondato. In via preliminare, in relazione agli interventi svolti nel presente giudizio e ritenuti implicitamente ammissibili dal giudice di primo grado, l’Autorità appellante ha proposto un motivo di appello (IV motivo), deducendo l’inammissibilità degli interventi ad opponendum della Po.Gi. s.a.s. e del Circolo Unione di Bari. 11.1. Al riguardo, il Collegio, in applicazione del criterio della “ragione più liquida” e della fondatezza dell’appello dell’Autorità, ritiene di prescindere dall’esame di ogni eccezione, anche d’ufficio, sulle parti intervenienti e di assorbire il quarto motivo dell’appello dell’Autorità, potendo la controversia essere decisa, tenuto conto di tutte le difese svolte e senza estromettere alcuna parte dal giudizio, sulla base dei principi che verranno di seguito esposti e fermo restando che non si intende in questa sede affrontare né la questione della interpretazione particolarmente ampia dell’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, oltre che dei motivi inerenti alla giurisdizione, fornita dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 (v., sul punto, le condivisibili considerazioni di Cons. St., sez. VII, 19 febbraio 2024, n. 1653, in relazione anche alle ricadute applicative sull’art. 105 c.p.a.), né i profili relativi ai principi che regolano il processo amministrativo e che precludono la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris. 11.2. Sempre in via preliminare, ancora, l’appello principale dell’Autorità deve ritenersi procedibile, nonostante l’impugnativa in separato giudizio, da parte dell’Autorità stessa, della delibera n. 314 del 29 dicembre 2023, che ha deliberato "di prendere atto che le concessioni demaniali marittime rilasciate dal Comune di Omissis e tuttora vigenti, prorogate con diversi atti dirigenziali al 31/12/2033, hanno effettiva scadenza al 31/12/2024 come stabilito dalle norme Statali vigenti, fatte salve eventuali nuove disposizioni di legge stante la materia in continua evoluzione legislativa e regolamentare, e di incaricare il Responsabile del VII Settore - Servizio Demanio Marittimo della predisposizione del Bando - tipo per l’affidamento delle nuove concessioni". 11.3. L’interesse fatto valere dall’Autorità nel presente giudizio, infatti, è quello di ottenere l’annullamento delle delibere, impugnate in primo grado, che hanno prorogato le concessioni in forza di disposizioni normative contrastanti con il diritto unionale e che, prevedendo il prolungamento di queste concessioni fino al 2033, hanno prodotto effetti e in ogni caso potrebbero mantenere tutta l’attualità della lesione all’interesse pubblico, difeso dall’Autorità, anche in seguito all’eventuale annullamento, in altra sede, della nuova delibera di indirizzo di cui alla delibera n. 314 del 29 dicembre 2023, dato che il nuovo atto - al di là della questione della sua capacità di produrre effetti ancora una volta contrastanti con quelli del diritto europeo, come del resto tutti gli atti precedenti - è ben lontano dal potersi ritenersi consolidato proprio per la sua contestazione in sede giudiziale. 11.4. Al riguardo, infatti, si deve rammentare che, come questo Consiglio di Stato ha chiarito in analoga controversia (v., sul punto, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192), l’interesse sostanziale, a tutela del quale l’AGCM può ricorrere ai sensi dell’art. 21-bis della citata l. n. 287 del 1990, assume i connotati dell’interesse a un bene della vita, nella specie quello al corretto funzionamento del mercato, che trova tutela a livello unionale e costituzionale, e del quale l’AGCM, secondo la l. n. 287 del 1990, è, istituzionalmente, portatrice. 11.5. L’Autorità quindi, in base alla menzionata normativa, è preposta alla salvaguardia di un interesse che si soggettivizza in capo ad essa come posizione qualificata e differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato, circostanza, questa, idonea a fondare la legittimazione processuale di cui all’art. 21-bis citato. 11.6. La scelta del legislatore di attribuire all’Autorità un potere di agire a tutela di tale interesse costituisce un’opzione di stretto diritto positivo che, lungi dall’essere contraria al vigente quadro costituzionale, si inserisce, anzi, nell’ambito degli strumenti di garanzia di effettività del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa. 11.7. L’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 assegna all’Autorità una legittimazione straordinaria, che si inserisce in un sistema nel quale rileva il principio di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico (Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583, Cons. St., sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2294) del tutto coerente con i parametri costituzionali di cui agli artt. 103 e 113 Cost. 11.8. Ne segue che permane a tutt’oggi l’interesse dell’Autorità a far valere l’illegittimità delle due delibere, impugnate in primo grado (con il ricorso e con i primi motivi aggiunti), nella misura in cui esse, con un atto di indirizzo a valenza generale, prolungano la durata dei rapporti concessori fino al 2033 in applicazione di una disposizione - quella dell’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018 ora abrogato - palesemente illegittima e, come si vedrà, suscettibile di disapplicazione, ancorché abrogata dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2022. 11.9. Quest’effetto non può considerarsi esaurito, rendendo improcedibile l’appello, poiché tale proroga “generalizzata” originariamente prevista negli atti di indirizzo impugnati in primo grado, come quella del 29 dicembre 2023 ora impugnata in altro giudizio, è solo la conseguenza di previsioni legislative, via via succedutesi, che continuano sistematicamente e reiteratamente a violare le previsioni della Dir. 2006/123/CE e dell’art. 49 T.F.U.E., previsioni tutte, come ora si dirà, che devono essere disapplicate non solo dal giudice nazionale, ma anche dalle stesse pubbliche amministrazioni, in ragione di quanto ha chiarito da ultimo la Corte di Giustizia UE in C-348/22 (Comune di Omissis) proprio nel presente giudizio. 11.10. Alla luce di tali considerazioni, dunque, possono essere in sintesi respinte anche le eccezioni sollevate in via preliminare da Bl. s.p.a. unipersonale in quanto: a) la legittimazione dell’Autorità non viola, in nessun modo, la natura di giurisdizione soggettiva riconosciuta pacificamente alla giurisdizione amministrativa ed è pienamente compatibile con il vigente assetto costituzionale, anche ai sensi degli artt. 103 e 113 Cost.; b) la carenza di interesse dell’Autorità in riferimento al tratto di costa assegnato alla controinteressata in concessione non dipende dalla asserita - e mai dimostrata - assenza di interesse transfrontaliero di tale tratto, per le sue specifiche caratteristiche, ma solo dal fatto che anche la proroga di detta concessione, al pari delle altre, costituisce la mera applicazione di disposizioni normative contenute in leggi del tutto prive di effetto perché frontalmente contrastanti con il diritto dell’Unione; c) l’omessa notificazione del ricorso alla Regione Puglia e l’omessa impugnazione delle circolari regionali contenenti "Indicazioni operative ai Comuni costieri per l’applicazione ex lege della durata delle concessioni demaniali marittime vigenti" sono del tutto irrilevanti perché appare evidente, anche solo leggendo l’oggetto di tali circolari, come le stesse concretizzino mere indicazioni procedurali, prive di qualunque valore provvedimentale, riconducibili tutt’al più a meri ordini di servizio di carattere interno alle strutture destinatarie delle singole amministrazioni, ove esauriscono la loro efficacia, peraltro non vincolante e, in ogni caso, "le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici periferici ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione, con la conseguenza che una circolare amministrativa contra legem può essere disapplicata anche d’ufficio dal giudice investito dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione" (v., ex multis, Cons. St., sez. IV, 21 giugno 2010, n. 3877). Sussiste e permane dunque l’interesse dell’Autorità a fare valere l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, lesivi del diritto alla concorrenza, mentre può ritenersi l’improcedibilità, come si dirà, di tutte le singole proroghe via via adottate nei confronti dei singoli concessionari e impugnate in primo grado con i motivi aggiunti. Sempre in via preliminare deve essere respinta la richiesta di rimessione all’Adunanza plenaria formulata il 25 marzo 2024 dalla controinteressata Po. s.r.l. dopo l’annullamento della sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 da parte delle Sezioni Unite della Cassazione nella già citata sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 (peraltro solo per ragioni attinenti agli interventi delle associazioni esponenziali di interessi collettivi e della Regione Abruzzo), in quanto priva di fondamento perché, come pure ha rammentato la stessa Po. s.r.l., la coeva e gemella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria mantiene ad oggi per le ragioni che ora si diranno tutta la sua efficacia sul piano nomofilattico, nonostante la proposizione “postuma” di un ulteriore ricorso per cassazione anche contro tale sentenza da parte di molti concessionari - che non furono parti di quel giudizio - nel marzo di quest’anno. 13.1. L’art. 99 c.p.a. prevede due sole modalità di deferimento alla Adunanza plenaria: mediante ordinanza della sezione cui è assegnato il ricorso (comma 1) o con deferimento da parte del Presidente del Consiglio di Stato (comma 2) ed è pacifico che dopo i due interventi delle Sezioni unite non vi sia stato alcun deferimento del presente giudizio alla Adunanza plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99, comma 2, c.p.a., sicché solo questa Sezione può provvedere a un nuovo deferimento in presenza dei presupposti di cui al comma 1 dello stesso citato art. 99 ("se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali"). 13.2. E questi presupposti anche dopo l’annullamento (per ragioni che esulano dal merito dei principi allora affermati) della sentenza n. 18 del novembre 2021 non sussistono perché la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pacifica nell’affermare i principi di cui si dirà oltre senza che vi sia alcun contrasto tra sezioni o all’interno di questa sezione e, inoltre, né le sopravvenienze normative né la sentenza della Corte di Giustizia del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Omissis) hanno inciso sulla rilevante attualità di quei principi, a tutt’oggi validi, che devono condurre all’immediata disapplicazione delle proroghe in favore dei concessionari, anche laddove esse si fondino sulle illegittime e disapplicabili sopravvenienze normative di cui al d.l. n. 198 del 2022, conv. in l. n. 14 del 2023, e all’altrettanto immediata indizione delle gare. 13.3. La permanente efficacia della coeva sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria costituisce, quindi, solo uno degli elementi che confermano l’assenza dei presupposti per un deferimento della presente controversia all’Adunanza plenaria, al quale si aggiungono le numerose sentenze che proprio con riferimento alle sopravvenienze normative richiamate dalla Cassazione hanno in modo granitico confermato la necessità di disapplicare le varie proroghe e di procedere all’indizione delle gare, come verrà meglio precisato oltre (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2023, n. 3963). 13.4. Si tratta peraltro di sentenze che hanno tutte affrontato le modifiche normative sopravvenute rispetto alle decisioni dell’Adunanza plenaria e in relazione alle quali, oltre a non sussistere alcun vincolo derivante dal contenuto delle due sentenze dell’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., non si è formato alcun contrasto giurisprudenziale, essendo stata sempre seguita la tesi della disapplicazione delle proroghe anche sopravvenute. Egualmente, e in estrema sintesi, ritiene anche questo Collegio che non sussistano i presupposti per il rinvio della causa né alla Corte di Giustizia UE né alla Corte costituzionale. Quanto alla prima richiesta di rinvio per questione pregiudiziale formulata da S.I.B., nell’appello incidentale depositato il 28 febbraio 2024, si rileva che non sussistono i presupposti per un nuovo rinvio in quanto la questione della applicabilità della Dir. 2006/123/CE e della incompatibilità delle proroghe automatiche disposte dal legislatore nazionale è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte di Giustizia UE con più decisioni - non ultima proprio quella rimessa dal Tribunale in primo grado e pronunciata nel presente giudizio - che hanno indicato la corretta interpretazione del diritto dell’Unione senza che residuino ulteriori dubbi. 15.1. Infatti, la Corte di Giustizia UE, dapprima con la sentenza del 14 luglio 2016 (C-458/14 e C-67/15, Pr.) e, più di recente, con la sentenza del 20 aprile 2023 (C-348/22, Comune di Omissis) proprio nel presente giudizio ha già dissipato in maniera chiara ogni ulteriore dubbio o perplessità sull’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni demaniali marittime, senza che sia necessario, a fronte di una giurisprudenza europea ormai chiara, uniforme e puntuale, sollevare nuovamente ulteriori questioni interpretative, che sarebbero dilatorie prima ancor che superflue. 15.2. Chiarita dalla Corte di Giustizia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea sulle questioni che costituiscono l’oggetto del presente giudizio, spetta a questo Collegio, quale giudice nazionale, dare applicazione al diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, alla fattispecie in esame. Parimenti non sussistono i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE, pure invocato sotto ulteriori profili dall’appellante incidentale. 16.1. Va ricordato che la Corte di Giustizia ha in più occasioni chiarito che l’articolo 267 T.F.U.E. deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale di ultima istanza deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (v. Corte Giust. 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit e 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management). 16.2. In applicazione di tali principi si rileva, anzitutto, che la questione relativa agli indennizzi e, in particolare, alla compatibilità dell’art. 49 cod. nav. con l’ordinamento unionale non assume rilievo nel presente giudizio perché, proprio in relazione al presente giudizio con la già richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 aprile 2023, Comune di Omissis, in C-348/22, punto 83, ha chiarito che "la controversia di cui trattasi nel procedimento principale riguarda la proroga delle concessioni e non già la questione del diritto, in capo a un concessionario, di ottenere, alla scadenza della concessione, un qualsivoglia compenso per le opere inamovibili che esso abbia costruito sul terreno affidatogli in concessione". 16.3. In ogni caso questa stessa Sezione, con l’ordinanza n. 8010 del 15 settembre del 2022 (a cui ha fatto seguito, dopo i chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia UE, anche l’ordinanza 8184 del 6 settembre 2023), resa nel giudizio R.G. n. 8915 del 2021, ha già sollevato innanzi alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E., la questione pregiudiziale di interpretazione "se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo" e, conseguentemente, risulta incardinata presso la Corte di Giustizia UE la causa C-598/22, tuttora pendente (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3943, ord., ma v. anche, per analoga questione, Cons. St., sez. VII, 6 novembre 2023, n. 9570, ord. nonché, per la portata estensiva del principio relativo agli indennizzi, Cons. St., sez. VII, 17 gennaio 2024, n. 138, ord.). 16.4. Tale questione - si ripete - è del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio e quindi non è rilevante, con la conseguenza che nessun rilievo pregiudiziale potrà avere la sentenza della Corte di Giustizia UE, risultando in tal modo infondate anche le richieste di attendere tale decisione, eventualmente con un provvedimento di c.d. sospensione impropria. Quanto alla seconda richiesta di sollevare l’incidente di costituzionalità, sempre formulata dal S.I.B. nell’appello incidentale depositato il 28 febbraio 2024 ma anche dalle altre appellanti incidentali La.Ca. s.r.l., L’A. soc. coop. e Lido Or.Mi. di Sc.An., anzitutto, si deve qui osservare che l’interpretazione da questo Consiglio di Stato nella propria consolidata giurisprudenza consente un recepimento interno della Dir. 2006/123/CE non solo compatibile con principi fondamentali e irrinunciabili della Costituzione italiana quali il diritto di proprietà, l’impresa e il lavoro nelle imprese familiari, ma anzi costituzionalmente imposto dalla necessità di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma primo, Cost.). Né può essere invocata una tutela costituzionale del legittimo affidamento degli attuali concessionari, dato che, come ora si dirà, l’applicazione della Dir. 2006/123/CE e/o dell’art. 49 T.F.U.E. al settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative impone l’immediata apertura del mercato, laddove la risorsa risulti scarsa o laddove, quando pure la risorsa non sia scarsa, la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, e ogni esigenza correlata all’affidamento degli attuali concessionari non può certo giustificare proroghe automatiche o il rinvio delle procedure di gara, ma al massimo può essere valutata al momento di fissare le regole per la procedura di gara ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 12 della stessa Dir. 2006/123/CE (v. Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, nelle cause C-458/14 e C-67/15, Pr., par. 52-56). Nel merito, venendo proprio al caso in esame, l’appello dell’Autorità è fondato quanto ai primi tre motivi. Con il primo motivo (pp. 11-16 del ricorso), anzitutto, l’Autorità lamenta che essa aveva chiesto al primo giudice di annullare le determinazioni comunali impugnate, procedendo all’applicazione della norma europea dotata di efficacia diretta e alla speculare “in-applicazione” della norma interna contrastante, assicurando che l’ente comunale, nel prendere atto della scadenza delle concessioni demaniali (ovviamente di quelle che avevano beneficiato della predetta proroga legale), procedesse con l’esperimento immediato delle procedure di gara finalizzate ai nuovi affidamenti delle concessioni venute a scadenza. 20.1. Il primo giudice, anziché limitarsi a prendere atto dell’intervenuta caducazione, in forza della l. n. 118 del 2022, dei provvedimenti impugnati in primo grado e della conseguente scadenza al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali ivi contemplate (affermazione che avrebbe rimesso pienamente nella disponibilità del Comune di Omissis ogni determinazione conseguente, consentendogli anche di indire immediatamente le gare per l’affidamento delle concessioni scadute), avrebbe del tutto illegittimamente e ingiustamente ritenuto di precisare - con ciò, peraltro, modificando radicalmente gli effetti di mero rito che la pronuncia impugnata avrebbe dovuto assumere in coerenza con il suo dispositivo - che la nuova scadenza delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative è fissata al 31 dicembre 2024, alla luce dell’entrata in vigore della l. n. 14 del 2023, normativa che, tuttavia, disponendo (anch’essa), come deduce l’Autorità, la proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali marittime, non avrebbe potuto/dovuto essere applicata dal Tribunale. 20.2. Sarebbe innegabile, quindi, l’ingiustizia della sentenza gravata nella parte in cui ha disposto l’improcedibilità del ricorso promosso dall’Autorità odierna appellante principale e, al contempo, ha riconosciuto la conformità rispetto ai principi unionali della proroga al 31 dicembre 2024 disposta dal legislatore statale con la l. n. 14 del 2023, affermazione quest’ultima idonea a pregiudicare, al pari delle corrispondenti e abrogate disposizioni contenute della l. n. 145 del 2018, il “bene della vita” cui aspirava l’interesse fatto valere dall’AGCM con la proposizione del giudizio di primo grado e, cioè, la concorrenzialità del mercato delle concessioni demaniali marittime. 20.3. Di qui, sotto un primo profilo, la palese erroneità della pronuncia gravata di cui si chiede la riforma. 20.4. Con il secondo motivo (pp. 16-25 del ricorso) e il terzo motivo (pp. 25-28 del ricorso), ancora, l’Autorità appellante principale comunque contesta anche le motivazioni della sentenza impugnata laddove, nel dichiarare erroneamente l’improcedibilità dell’originario ricorso, ha ritenuto che l’applicazione della Dir. 2006/123/CE anche alla nuova proroga di cui alla l. n. 118 del 2022, come modificata dalla legge n. 14 del 2023, sarebbe soggetta alla previa valutazione, da parte dell’autorità nazionale, della scarsità della risorsa e, altresì, comunque, laddove non ha tenuto conto che, anche assumendo che la risorsa non sia scarsa, sarebbe comunque applicabile alla controversia l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento. 20.5. Per completezza espositiva l’Autorità appellante principale ha evidenziato che, successivamente alla pubblicazione della sentenza in questa sede impugnata, la Commissione europea, con il parere motivato del 16 novembre 2023, ha affermato - in estrema sintesi - che "mantenendo le proroghe indiscriminate ed ex lege delle autorizzazioni per l’utilizzo di proprietà demaniali marittime lacuali e fluviali per attività ricreative e turistiche, previste all’art. 3, paragrafo 2, della legge 118/2022, come modificato dalla Legge n. 14/2023, e dal combinato disposto dell’art. 4, comma 4-bis della legge n. 118/2022, inserito dalla Legge n. 14/2023, che fa “divieto agli Enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all’art. 3, comma 1, lett. a) e b)” fino all’adozione dei decreti legislativi di cui allo stesso art. 4 della legge 118/2022 e dell’art. 10- quater del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, inserito dalla Legge 14/2023... e tenendo conto del fatto che la delega al Governo per l’adozione di tali decreti legislativi... risulta scaduta e non è contemplata alcuna indicazione circa una eventuale nuova delega al Governo, la Repubblica italiana ha riprodotto le proroghe precedentemente previste dall’art. 1, paragrafo 18, del decreto-legge n. 194/2009, all’art. 24, comma 3-septies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, all’art. 1, commi 682 e 683 della Legge di bilancio e al decreto-legge n. 104/2020, nonché le previsioni dell’art. 182, paragrafo 2, del decreto-legge n. 34/2020... ed è dunque venuta meno agli obblighi imposti dall’art. 12 della Direttiva sui servizi e dell’art. 49 TFUE nonché dell’art. 4, paragrafo 3, TUE". I tre motivi sono tutti fondati. Si deve osservare anzitutto che, come questo Consiglio di Stato ha più volte affermato nella propria consolidata giurisprudenza (v., da ultimo, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200), i provvedimenti sopravvenuti determinano l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse qualora attuino un assetto di interessi inoppugnabile, ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio. 22.1. Questo Consiglio ha già precisato che l’inutilità di una pronuncia di merito sulla domanda articolata dalla parte può affermarsi solo all’esito di una indagine "condotta con il massimo rigore, onde evitare che la declaratoria in oggetto si risolva in un’ipotesi di denegata giustizia e quindi nella violazione di un diritto costituzionalmente garantito" (Cons. St., sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7076, ma v. anche Cons. St., sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7895). 22.2. In particolare, "la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse presuppone che, per eventi successivi alla instaurazione del giudizio, debba essere esclusa l’utilità dell’atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l’inutilità di una pronuncia di annullamento dell’atto impugnato" (C.G.A.R.S., sez. giurisd., 3 luglio 2020, n. 536). 22.3. Il primo giudice non ha evidentemente fatto buon governo di tali consolidati principi perché, nel dichiarare l’improcedibilità del ricorso, ha ritenuto impossibile che il peculiare interesse dell’Autorità all’annullamento degli atti venisse soddisfatto sulla base di atti sopravvenuti che, si badi, reiteravano lo stesso vizio che inficiava gli atti impugnati - la proroga illegittima del rapporto concessorio stabilita dal legislatore - e peraltro, dopo avere egli stesso dubitato dell’applicabilità della normativa unionale alla legislazione italiana sulle proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e avere sollevato la questione pregiudiziale avanti alla Corte UE, anche dopo la pronuncia della Corte, che ha affermato l’illegittimità delle proroghe generalizzate da parte del legislatore, ha omesso di disapplicare tanto la normativa applicabile ratione temporis quanto quella sopravvenuta sulla base di una lettura della sentenza della Corte non rispondente al suo contenuto e quindi non condivisibile. 22.4. La pronuncia di improcedibilità non è stata condotta con quel massimo rigore sull’attualità dell’interesse, richiesto dalla giurisprudenza, ma ledendo l’interesse concorrenziale fatto valere dall’Autorità che, lungi dall’essere ormai venuto meno, avrebbe dovuto invece condurre il Tribunale, soprattutto una volta intervenuta la sentenza della Corte UE del 20 aprile 2023 in C-348/22, ad annullare gli atti di indirizzo impugnati in primo grado anziché affermare, erroneamente, la prevalenza del diritto nazionale sul diritto dell’Unione per via della pretesa, ancora una volta, non applicabilità di quest’ultimo in ragione di una fuorviante lettura della sentenza della Corte europea. 22.5. L’improcedibilità del ricorso, dunque, costituisce in questo caso una pronuncia in rito solo apparente (falsa improcedibilità), che di fatto mortifica l’interesse azionato dall’Autorità in primo grado e disvela il contenuto reiettivo nel merito della pronuncia qui azionata, integrando una ipotesi di denegata giustizia (Cons. St., sez. VII, 10 agosto 2022, n. 1076). 22.6. Né si opponga che l’Autorità, nel non avere formalmente formulato in questa sede la propria domanda di annullamento, richiederebbe a questo giudice una pronuncia ultra petita, lamentando solo l’erroneità di tale pronuncia in rito e chiedendo di riformarne le motivazioni con la disapplicazione di una normativa sopravvenuta che non sarebbe nemmeno applicabile agli atti impugnati in prime cure, perché è proprio sulla base di tale ultima normativa sopravvenuta, erroneamente non disapplicata dal primo giudice, che si è pervenuti all’effetto perverso di dichiarare improcedibile il ricorso, frustrando l’interesse dell’Autorità che, diversamente, dovrebbe subire una pronuncia, apparentemente in rito, che le nega il bene della vita alla corretta applicazione del principio concorrenziale in questa materia per effetto, si badi, di una normativa nazionale che reitera il vizio già lamentato dall’Autorità, costretta in aeternum ad impugnare in ripetuti giudizi i nuovi atti applicativi della normativa illegittima sopravvenuta e sempre costretta, in un circolo vizioso, a subire poi all’esito del giudizio la declaratoria di improcedibilità. 22.7. L’accoglimento dell’appello principale non può che condurre dunque, similmente a quanto avvenuto già in altra pronuncia di questo Consiglio, all’annullamento degli atti gravati in prime cure, in quanto l’odierna appellante principale, come nel caso definito da tale pronuncia, aveva dedotto il contrasto dell’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018 con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE "e ciò era sufficiente a far sorgere il dovere del giudice di prime cure di pronunciare nel merito della prospettata questione di compatibilità della norma interna e della delibera comunale che ne ha fatto applicazione, col diritto unionale" (Cons. St., sez. VII, 1° marzo 2023, n. 2192). 22.8. La fondatezza dell’azione di annullamento proposta dalla Autorità rende irrilevante ogni questione su una azione di accertamento, non esercitabile per la prima volta in appello e che, di conseguenza, non viene esaminata. Nemmeno, del resto, sono condivisibili, in ciò dovendosi accogliere anche il secondo e il terzo motivo dell’appello principale, le ragioni per cui il primo giudice ha ritenuto non applicabile la Dir. 2006/123/CE e non ha considerato, comunque, la doverosa applicazione dell’art. 49 del T.F.U.E. 23.1. Diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, infatti, la Dir. 2006/123/CE ha effetti diretti, è self-executing ed è immediatamente applicabile, come aveva chiarito la Corte di Giustizia UE nella sentenza Pr. del 14 luglio 2016, in C-458/14 e in C-67/15 - e, sulla sua scia, la sentenza n. 17 del 2021 dell’Adunanza plenaria e le altre già menzionate sentenze del Consiglio di Stato - e come la stessa Corte ha riconfermato decisamente, laddove ve ne fosse stato bisogno (e non ve ne era), proprio nella sentenza Comune di Omissis del 20 aprile 2023, in C-348/22. 23.2. Questo Consiglio non può che ribadire, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 2021 e di tutta la menzionata giurisprudenza successiva, che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata (Cons. St, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679) - sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva. 23.3. La Corte di Giustizia nella sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Omissis) ha (ri)affermato che risulta dallo stesso tenore letterale dell’articolo 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svoLg.imento e completamento. 23.4. Quanto all’art. 12, paragrafo 2, di tale direttiva, esso dispone in particolare che un’autorizzazione, quale una concessione di occupazione del demanio marittimo, sia rilasciata per una durata limitata adeguata e non possa prevedere la procedura di rinnovo automatico. 23.5. Tale disposizione, ha precisato ancora la Corte di Giustizia UE nella citata sentenza, ha effetto diretto in quanto vieta, "in termini inequivocabili", agli Stati membri, senza che questi ultimi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto a una qualsivoglia condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un atto dell’Unione o degli Stati membri, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate di siffatte concessioni. 23.6. Dalla giurisprudenza della Corte risulta peraltro che un rinnovo automatico di queste ultime è escluso dai termini stessi dell’art. 12, paragrafo 2, della Dir. 2006/123/CE (v., in tal senso, la sentenza del 14 luglio 2016, Pr., nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 50). 23.7. L’art. 12, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva impone quindi agli Stati membri l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta loro di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività, in termini incondizionati e sufficientemente precisi. 23.8. Nel punto 71 della sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 ancora la Corte di Giustizia ha precisato, a chiare lettere, che "la circostanza che tale obbligo e tale divieto si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, le quali devono essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale, non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso a tale articolo 12, paragrafi 1 e 2". 23.9. Di conseguenza, ogni questione sulla scarsità delle risorse e sugli eventuali criteri fissati per accertare tale scarsità non può costituire ragione, come sostenuto da alcune parti del presente giudizio, per determinare la non applicabilità della Dir. 2006/123/CE nelle more della fissazione dei menzionati criteri. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, la valutazione dell’effetto diretto connesso all’obbligo e al divieto previsti dall’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE e l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie incombono ai giudici nazionali e alle autorità amministrative, comprese quelle comunali, senza che ciò possa essere condizionato o impedito da interventi del legislatore. 24.1. Devono, quindi, essere disapplicate perché contrastanti con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e comunque con l’art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell’Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e in particolare: a) le disposizioni di proroga previste in via generalizzata e automatica, e ormai abrogate dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2002 (art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020; art. 100, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020, conv. in l. n. 126 del 2020); b) le più recenti proroghe introdotte dagli articoli 10-quater, comma 3 e 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e dall’art. 1, comma 8, della stessa l. n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 4 della l. n. 118 del 2022. 24.2. Con riferimento a tali ultime disposizioni, che - unitamente agli artt. 3 e 4 della legge 5 agosto 2022 n. 118 - costituiscono le sopravvenienze legislative menzionate dalle citate decisioni delle Sezioni unite, si osserva che anche esse si pongono in palese contrasto con il diritto unionale, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2024, n. 3963; v. anche per l’analoga questione della applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, Cons. St., sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104). 24.3. Infatti, mentre l’originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022, nell’abrogare le precedenti e già disapplicate disposizioni di proroga, aveva previsto in via transitoria il termine del 31 dicembre 2023 con possibilità di differimento con atto motivato fino al 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva", le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 di conversione del d.l. n. 198 del 2022 hanno nuovamente stravolto il quadro normativo con nuove proroghe rese indeterminate da una serie di disposizioni palesemente contrastanti con i descritti principi dell’ordinamento dell’U.E. 24.4. La l. n. 14 del 2023, oltre a spostare in avanti di un anno i due termini sopraindicati (al 31 dicembre 2024 quello di efficacia delle concessioni e al 31 dicembre 2025 la possibilità di differimento), ha previsto che: a) "le concessioni e i rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 2022, n. 118, continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori" (art. 10-quater, comma 3, del d.l. n. 198 del 2022); b) "fino all’adozione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)" (comma 4-bis dell’art. 4 della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8 della l. n. 14 del 2023). 24.5. Il complesso delle disposizioni introdotte dalla l. n. 14 del 2023 determina una nuova proroga automatica e generalizzata delle concessioni balneari, non più funzionale alle (non più) imminenti gare (come previsto dalla originaria versione degli artt. 3 e 4 della l. n. 118 del 2022), ma anzi resa indeterminata e potenzialmente illimitata nella durata dal contestuale divieto di procedere all’emanazione dei bandi di gara posto fino all’adozione dei decreti legislativi di cui all’art. 4 della l. n. 118 del 2022 (adozione non più possibile perché la delega è scaduta il 27 febbraio 2023, solo qualche giorno dopo l’entrata in vigore della l. n. 14 del 2023). 24.6. Se a ciò si aggiunge che le concessioni mantengono efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori, il quadro che ne deriva è del mantenimento delle attuali concessioni balneari italiane senza termine in contrasto con i più volte richiamati principi dell’Unione, nella costante interpretazione datane dalla Corte di Giustizia. 24.7. Ciò impone al giudice nazionale e alle amministrazioni di disapplicare tali disposizioni nella loro interezza, costituita da tutte le modifiche apportate alla l. n. 118 del 2022 dalla l. n. 14 del 2023, comprese quelle di cui all’art. 10-quater, comma 3, e all’art. 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, che hanno spostato in avanti i termini previsti dalla originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022. Tale disapplicazione si impone prima e a prescindere dall’esame della questione della scarsità delle risorse, che verrà trattata nei paragrafi successivi, in quanto, anche qualora si dimostrasse che in alcuni casi specifici non vi sia scarsità di risorse naturali, le suddette disposizioni, essendo di natura generale e assoluta, paralizzano senza giustificazione alcuna l’applicazione della Dir. 2003/126/CE e precludono in assoluto lo svoLg.imento delle gare. Può ora essere affrontato il tema della scarsità delle risorse, sul quale tanto insistono sia il Comune di Omissis che gli appellanti incidentali. 26.1. La Corte di Giustizia UE nella già citata sentenza Pr. del 14 luglio 2016 ha affermato che "per quanto riguarda, più specificamente, la questione se dette concessioni debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali, spetta al giudice nazionale verificare se tale requisito sia soddisfatto" (punto 43) e con la anche più volte citata sentenza del 20 aprile 2023, Comune di Omissis, in C-348/22 ha rilevato che l’art. 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali e che "tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci" (punto 46). Tale più recente sentenza non si è posta in contraddizione o comunque non ha voluto superare i principi espressi nella precedente sentenza Pr., che anzi viene più volte richiamata a conferma del rapporto di continuità tra le due decisioni della Corte. Proprio nel caso Comune di Omissis, nel rispondere a uno specifico quesito posto dal giudice del rinvio, la Corte ha evidenziato che, nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali, il legislatore nazionale può preferire una valutazione generale e astratta valida sull’intero territorio nazionale oppure un approccio di tipo locale caso per caso o una combinazione dei due approcci che anche può risultare equilibrata, concludendo che l’approccio definito combinato, così come le altre due opzioni, non sono incompatibili con il diritto dell’Unione europea. In ogni caso, è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati (punto 48 della stessa sentenza), fermo restando che - come già detto - la valutazione sulla scarsità delle risorse in alcun modo può ritenersi pregiudiziale o comunque non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE. È evidente che la valutazione che ha ad oggetto la scarsità delle risorse naturali, per basarsi su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, postula una ricognizione del territorio costiero, o a livello nazionale o a livello locale (anche eventualmente nella combinazione dei due approcci, generale e caso per caso), che deve essere non solo quantitativa, ma anzitutto qualitativa, come ha già chiarito l’Adunanza plenaria e la più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, perché deve avere riguardo ad un concetto funzionale di scarsità e, cioè, ad un concetto che tiene conto della funzione economica della risorsa pubblica in questione, dovendo valutarsi, in concreto, la collocazione geografica, le caratteristiche morfologiche, il pregio ambientale e paesaggistico, il valore “commerciale”, il pregio di quella particolare tipologia di concessione in rapporto al bene pubblico (il tratto di costa) oggetto di sfruttamento economico e non tutto il tratto costiero in ipotesi balneabile come se fosse un unico eguale ed indifferenziato, non potendo ritenersi non discriminatorio un criterio che tratti e consideri e calcoli in modo eguale situazioni costiere estremamente diverse sul territorio nazionale. In questa prospettiva l’Autorità odierna appellante principale ha richiamato il parere motivato della Commissione europea del 16 novembre 2023, in cui è stato evidenziato che non possono essere prese in considerazione le risultanze, peraltro ancora parziali e incomplete, del Tavolo tecnico istituito dall’art. 10-quater del d.l. n. 198 del 2022 secondo cui, in sintesi, "la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili", perché: 1) non riflettono una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di ‘concessione balnearé, dato che prendono in considerazione, ad esempio, tutte le parti di costa rocciosa, dove è ben difficile, se non impossibile, insediare uno stabilimento balneare e, addirittura, inseriscono nel calcolo per la stima della percentuale "il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali"; 2) non tengono conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale. A prescindere da ogni considerazione sul valore (certamente in alcun modo vincolante) di quanto affermato dalla Commissione nel prodotto parere motivato, sulle successive interlocuzioni tra Governo e Commissione (del tutto estranee al presente giudizio) e sull’esito dei lavori del menzionato Tavolo tecnico, di cui si dirà oltre, si osserva che, sulla scorta di quanto già statuito da questo Consiglio di Stato, in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi - a conferma del carattere scarso della risorsa - coincide o consuma ampiamente la percentuale già assentita, come ad esempio, proprio nella Regione Puglia, come verrà illustrato oltre. Tale inequivocabile elemento non può essere superato offrendo in concessione aree necessariamente rientranti nelle percentuali di spiagge libere e sarebbe del resto in contrasto con i principi costituzionali di solidarietà economica e sociale e di tutela dell’ambiente e del paesaggio consumare in modo non proporzionato i già ormai limitati tratti di spiaggia libera, rendendo le coste italiane sempre più difficilmente accessibili in modo libero e gratuito anche ai soggetti meno abbienti. Va aggiunto che l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 ha previsto che il predetto Tavolo tecnico definisca i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera” e, al riguardo, tale elemento non può essere rilevante ai fini della valutazione della scarsità dato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, il capo III della Dir. 2006/123/CE - compreso, dunque, anche il suo articolo 12 - si applica anche a situazioni puramente nazionali, senza che sia necessaria una valutazione della rilevanza transfrontaliera come quella suggerita dalla disposizione in questione (Corte di Giustizia UE, 30 gennaio 2018, Visser Vastgoed Beleggingen, nelle C-360/15 e C-31/16, punti 98 e segg.; nonché la già citata sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22, Comune di Omissis, punto 40), avendo la Corte chiarito che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che "esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo", applicandosi le disposizioni del capo III della Dir. 2006/123/CE "non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro". In questa prospettiva, dunque, deve essere disapplicato anche l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2022, laddove, nel prevedere che "il tavolo tecnico di cui al comma 1, acquisiti i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali marittime, lacuali e fluviali, elaborati ai sensi all'articolo 2 della legge 5 agosto 2022, n. 118, definisce i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera", dispone che nella determinazione della scarsità della risorsa debba considerarsi la rilevanza economica transfontaliera della concessione, che non è un presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE ma semmai, laddove non si applichi l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, del solo art. 49 del T.F.U.E. In assenza di risultati, ancorché parziali e provvisori, che dimostrino in modo serio e attendibile, tanto a livello nazionale che a livello locale, che le concessioni non siano una risorsa scarsa, secondo i criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, indicati dalla Corte, e in forza di una valutazione che deve essere anzitutto necessariamente qualitativa della risorsa, questo Consiglio di Stato, a cui compete nell’ordinamento italiano il controllo giurisdizionale sulla valutazione della scarsità delle risorse (che devono "essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale": Corte di Giustizia UE, 20 aprile 2023, Comune di Omissis, in C-348/22, punto 71), non può che riaffermare, allo stato, la sicura scarsità della risorsa (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940 nonché Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 nonché Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., secondo cui "la risorsa materiale è scarsa"), dovendo concordarsi con quelle tesi secondo cui, ove all’operazione di mappatura fosse associata la finalità di eludere l’assoggettamento alle procedure competitive ad evidenza pubblica, si riesumerebbe un diritto di insistenza per gli attuali concessionari, non più esistente, come si dirà, nemmeno nell’ordinamento interno. D’altro canto, diversamente da quanto assumono il Comune di Omissis e gli appellanti incidentali, l’applicabilità dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE è piena, diretta, incondizionata e non è né può essere subordinata dal legislatore in nessun modo alla mappatura, in sede nazionale, della “scarsità” della risorsa o a qualsiasi riordino, pur atteso, dell’intera materia, pena il frontale contrasto di questa subordinazione con il diritto dell’Unione e la conseguente disapplicazione delle norme che ciò prevedano (come, ad esempio, il già citato divieto di bandire le gare fino all’entrata in vigore di tale riordino: art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8, lett. b), della l. n. 14 del 2023), dato che tale scarsità, in riferimento alle caratteristiche stesse delle concessioni, è evidente, per le ragioni già bene illustrate dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 17 del 2021 e dalle già richiamate ulteriori decisioni del Consiglio di Stato, e si presume finché dall’autorità amministrativa competente (a cominciare dai Comuni) non venga acclarato invece, sulla base di apposita istruttoria, e illustrato, con specifica motivazione, che il territorio costiero di interesse presenti una quantità di risorsa adeguata e sufficiente, nel rispetto dei fondamentali valori quali la tutela dell’ambiente e del paesaggio (v. Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70), all’obiettivo dello sfruttamento economico della costa per le finalità turistico-ricreative proprie di queste concessioni. Per tali ragioni risultano prive di fondamento le tesi che conferiscono natura pregiudiziale rispetto all’oggetto del presente giudizio e alla stessa indizione delle gare le conclusioni del Tavolo tecnico, le quali, oltre al già rilevato profilo di incompatibilità con il diritto dell’Unione, in alcun modo possono condizionare o sospendere l’effetto diretto dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE; per le medesime considerazioni non può essere accolta la richiesta istruttoria, formulata dagli appellanti incidentali, di acquisire l’esito dei lavori, anche parziali, del Tavolo tecnico. Nemmeno può ritenersi condivisibile l’assunto del Comune, secondo cui nella sostanza dalla relazione istruttoria depositata dal Comune di Omissis nell’ambito del giudizio di primo grado (nota prot. n. 25648 del 05 settembre 2023 e nota prot. n. 10948 dell’11 maggio 2020) risulterebbe che la risorsa non sia scarsa e come, più esattamente, nella fattispecie concreta, tenuto conto dei dati riportati negli elaborati del redatto Piano Comunale delle Coste, "i metri lineari di costa fronte mare, tutti accessibili, ammontano, complessivamente, a 5.145 ml (totale linea costa)" e "di detti 5.145 ml risultano oggetto di concessioni balneari marittime 1.492 ml., pari ad una percentuale del 29% del totale linea costa” (nota prot. n. 25648 cit.)". Questi dati, nel loro nudo e anonimo significato numerico, scontano anche essi le medesime criticità sopra evidenziate e, cioè, sia il fatto che nulla dicano, sul piano qualitativo, circa il tratto di bene costiero effettivamente destinabile agli stabilimenti balneari nel rispetto dell’ambiente marino e del paesaggio e, soprattutto, non considerano che, proprio nella Regione Puglia, con la legge regionale 23 giugno 2006, n. 17 (“Disciplina della tutela e dell’uso della costa”), la Regione, nell’attribuire ai Comuni l’esercizio di tutte le funzioni amministrative relative alla materia del demanio marittimo, ha stabilito le aree in cui il rilascio, il rinnovo e la variazione di concessione demaniale sono vietati (art. 16, comma 1) nonché ha predisposto che "allo scopo di garantire il corretto utilizzo delle aree demaniali marittime per le finalità turistico-ricreative, una quota non inferiore al 60 per cento del territorio demaniale marittimo di ogni singolo comune costiero è riservata a uso pubblico e alla libera balneazione" (art. 16, comma 4). In ogni caso, rileva ancora il Collegio, quando pure l’autorità amministrativa competente, sulla scorta di quanto appena precisato al § 30. e sotto il controllo dell’autorità giurisdizionale, ritenga non applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE che, come ha ricordato la Corte, già provvede a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel suo campo di applicazione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Pr., nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 61), deve comunque trovare applicazione l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento, laddove la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo. A tale riguardo, infatti, non può sottacersi che, qualora siffatta concessione riguardi in alcuni limitati e circoscritti casi una risorsa legittimamente ritenuta non scarsa ma presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione e una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del T.F.U.E. Per quanto riguarda, anzitutto, l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, occorre ricordare che, secondo la Corte, quest’ultimo deve essere valutato sulla base di tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Pr., nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 66). Ebbene, l’autorità amministrativa, quando pure ritenga che la risorsa naturale destinabile alla concessione per lo sfruttamento economico a fini turistico-ricreativi non sia scarsa, deve valutare comunque, per rispettare la libertà di stabilimento, se la singola concessione abbia o meno interesse transfrontaliero e, nel fare ciò, deve avere riguardo alle caratteristiche specifiche del singolo stabilimento che, anche solo per le sue caratteristiche (storiche, geografiche, ecc.), può esercitare una attrattiva per gli operatori economici stranieri, interessati a concorrere. Compete dunque alla singola autorità amministrativa un’attenta valutazione, anch’essa soggetta all’indefettibile controllo giurisdizionale, di questo interesse, che anche in questo caso non può essere solo quantitativa - in termini, qui, di sola importanza economica - ma deve essere anzitutto qualitativa, dato che le concessioni come quella in esame, come ha rilevato la Corte, in linea di principio "riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, di modo che le situazioni considerate nei procedimenti principali rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito dell’articolo 49 TFUE" (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Pr., nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 63, ma v. anche le considerazioni, espresse in termini generali, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 sulla "eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri" nonché, da ultimo, Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., resa in seguito ai chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia, con la quale è stato evidenziato che il mercato di riferimento "attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri"). Dalla consolidata giurisprudenza della Corte si traggono dunque i seguenti principi, che sono vincolanti non solo per ogni giudice nazionale - a cominciare dai giudici amministrativi, che non devono seguire eccentriche o arbitrarie interpretazioni delle norme in materia che hanno l’effetto di non applicare il diritto dell’Unione - ma anche per tutte le autorità amministrative, non ultime, in ragione della prossimità territoriale, quelle comunali: a) le pubbliche amministrazioni, al fine di assegnare le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, devono applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, costituendo la procedura competitiva, in questa materia, la regola, salvo che non risulti, sulla base di una adeguata istruttoria e alla luce di una esaustiva motivazione, che la risorsa naturale della costa destinabile a tale di tipo di concessioni non sia scarsa, secondo quanto sopra si è precisato in base ad un approccio che può essere anche combinato e deve, comunque, essere qualitativo (v. supra 30); b) anche quando non ritengano applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, esse devono comunque applicare l’art. 49 del T.F.U.E. e procedere all’indizione della gara, laddove la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, da presumersi finché non venga accertato che la concessione difetti di tale interesse, sulla scorta di una valutazione completa della singola concessione. Pertanto, l’obbligo di applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE o l’art. 49 del T.F.U.E. potrebbe in ipotesi ritenersi insussistente soltanto in assenza di entrambe tali imprescindibili condizioni: la scarsità della risorsa e l’interesse transfrontaliero della concessione, la cui valutazione è comunque soggetta al controllo del giudice, che ha già rilevato come sia in concreto difficilmente riscontrabile la contemporanea assenza delle due condizioni, tenuto anche conto dell’importanza e della potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale. In ogni caso e per completezza va precisato che i commi 1 e 3 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione - disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 che prorogano le scadenze di un ulteriore anno - prevedono, come meglio chiarito oltre, che la scadenza delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive, disposta al 31 dicembre 2023, possa essere differita fino al 31 dicembre 2024 solo "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva" e, dunque, presuppongono e impongono per tutte le concessioni scadute l’obbligo di assegnarle con gara in applicazione dei sovraesposti principi dell’Unione europea e dei principi del diritto nazionale di cui al successivo § 52 e senza quindi richiedere alle autorità amministrative alcuna ulteriore valutazione. Inoltre, secondo il successivo comma 2 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione (disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023), a parte le concessioni il cui titolo originario, assegnato o prorogato in base a procedura competitiva, non è ancora scaduto, l’altra sola eccezione era costituita dalle concessioni, "affidat[e] o rinnovat[e] mediante procedura selettiva con adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, con adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svoLg.imento e completamento", le quali "continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo e comunque fino al 31 dicembre 2023 se il termine previsto è anteriore a tale data". Per escludere la scadenza e il correlato obbligo di procedere con gara si doveva trattare, quindi, di concessioni affidate con una procedura selettiva che prevedeva la durata della concessione stessa, non rientrando in tale ipotesi il caso delle concessioni affidate con gara e alla scadenza del relativo termine di durata prorogate in modo automatico o comunque senza adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, senza adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svoLg.imento e completamento. Mentre il citato comma 2 resta efficace per la parte in cui stabilisce che le concessioni affidate con gara continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo, che ha formato oggetto della procedura selettiva, l’eccezione in parola ha ormai esaurito la propria efficacia con lo spirare del 31 dicembre 2023, dopo il quale torna a riprendere vigore la regola della necessaria procedura competitiva inderogabile (salvo quanto si dirà per la proroga tecnica proprio in funzione della gara), una volta scaduto il precedente titolo concessorio anche se assegnato o prorogato all’esito di precedente procedura selettiva, non solo in base al diritto europeo, ma anche secondo il diritto nazionale. Sempre per completezza va infatti sottolineato che non esiste, nemmeno nell’ordinamento interno, il c.d. diritto di insistenza, essendo le concessioni, comunque, provvedimenti per loro natura limitati nel tempo, soggetti a scadenza, e comunque non automaticamente rinnovabili in favore al concessionario uscente, ma da assegnarsi, anche secondo le norme nazionali, secondo procedura comparativa ispirata ai fondamentali principî di imparzialità, trasparenza e concorrenza, dando prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico (Cons. St., sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3377). Non è fuor di luogo ricordare infatti che, anche prescindendo dall’applicabilità del diritto europeo, la giurisprudenza costante di questo Consiglio aveva chiarito che il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, sicché il relativo diniego, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell’agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione e non implica alcun “diritto d’insistenza” allorché la pubblica amministrazione intenda procedere a un nuovo sistema d’affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Pertanto, in sede di rinnovo, il precedente concessionario va posto sullo stesso piano di qualsiasi altro soggetto richiedente lo stesso titolo, con possibilità di indizione di una gara al riguardo senza necessità di particolare motivazione con riferimento al diniego della richiesta di rinnovo (Cons. St., sez. V, 25 luglio 2014, n. 3960, Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6132; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3145). In conclusione, anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, previa disapplicazione delle disposizioni nazionali che hanno introdotto le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (richiamate al precedente § 24.1.) e precisato quanto sopra circa l’elemento della scarsità delle risorse naturali, la pretesa di alcune parti intervenienti di ottenere l’accertamento della spettanza della proroga della durata della concessione demaniale marittima fino al 2033 è priva di fondamento e non può essere invocata la normativa sopravvenuta per le ragioni sopra esposte. Si può ritenere compatibile con il diritto dell’Unione la sola proroga “tecnica” - funzionale allo svoLg.imento della gara - prevista dall’art. 3, commi 1 e 3, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche dei termini apportate dal d.l. n. 198 del 2022, laddove essa fissa come termine di efficacia delle concessioni il 31 dicembre 2023 e consente alle autorità amministrative competenti di prolungare la durata della concessione, con atto motivato, per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura competitiva e, comunque, non oltre il termine del 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa". 57.1. Affinché possano legittimamente giovarsi di tale proroga tecnica senza violare o eludere il diritto dell’Unione e la stessa legge n. 118/2022, però, le autorità amministrative competenti - e, in particolare, quelle comunali - devono avere già indetto la procedura selettiva o comunque avere deliberato di indirla in tempi brevissimi, emanando atti di indirizzo in tal senso e avviando senza indugio l’iter per la predisposizione dei bandi. 57.2. L’art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022 - lo si ricorda - consente infatti la proroga tecnica, testualmente, solo per il tempo strettamente necessario "alla conclusione della procedura", che deve essere stata avviata e può ritenersi avviata, secondo una interpretazione ispirata a ragionevolezza, in presenza quantomeno di un atto di indirizzo volto ad indire, finalmente, le gare, non essendo consentito comunque, sul piano logico prima ancor che cronologico, disporre una proroga tecnica finalizzata alla conclusione di una procedura di gara che nemmeno sia stata avviata, quantomeno a livello programmatico, pur di fronte a vicende contenziose o a difficoltà legate all’espletamento della procedura stessa, nell’assenza, ad oggi, di un più volte auspicato riordino sistematico dell’intera materia, dove confluiscono e trovano composizione, come ha ricordato la Corte costituzionale, molteplici e rilevanti interessi, pubblici e privati. 57.3. Tale soluzione consente di evitare le incertezze prospettate dalle parti in relazione all’imminente avvio della stagione balneare e richiede una decisione dell’ente competente in favore della indizione delle gare con conseguente possibilità di differimento del termine di scadenza delle concessioni con atto motivato, in virtù del quale fino alla data sopra indicata - il 31 dicembre 2024 - l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente, laddove prorogata alle condizioni appena chiarite, è comunque legittima anche in relazione all’art. 1161 cod. nav., come chiarisce lo stesso art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022. È compito - e ragion stessa d’essere - di questo Consiglio di Stato, quale giudice chiamato dalla Costituzione ad assicurare la tutela nei confronti della pubblica amministrazione (Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204), garantire, in relazione ai giudizi amministrativi, la piena attuazione, da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte (a cominciare da quelle comunali) nell’esercizio dei loro poteri, dei principi sin qui sanciti, che sono alla base sia del diritto europeo che dell’ordinamento costituzionale, non solo annullando gli atti illegittimi da queste poste in essere, ma anche disapplicando la normativa nazionale contrastante con il diritto dell’Unione, mentre compete al legislatore fissare le regole che presiedono allo svoLg.imento delle procedure competitive nel generale riordino della materia al crocevia, come di recente ha chiarito la stessa Corte costituzionale, di fondamentali valori e di molteplici "interessi [...], che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino" (Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70). Questa materia infatti non può essere sottratta all’applicazione dei principi e delle regole immediatamente applicabili nell’ordinamento interno fissate dal legislatore europeo nemmeno per il tempo necessario all’indizione delle gare e alla predisposizione delle relative regole, attinenti alla materia della concorrenza, da parte del legislatore nazionale (con conseguente disapplicazione, come detto, anche dell’art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, considerato, peraltro, che la delega è ormai scaduta), salva l’adozione nell’immediato, come detto, della c.d. proroga tecnica per la stagione balneare ormai avviata e, comunque, nei limiti sopra precisati. Stante la necessità non più procrastinabile di procedere alle gare, nell’attesa di questo riordino, non sono solo le singole previsioni delle leggi regionali a poter fornire un’utile cornice normativa, ma soccorrono certamente per una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni, al fine di indirizzare nell’esercizio delle rispettive competenze l’attività amministrativa delle Regioni e dei Comuni, i principi e i criteri della delega di cui all’art. 4, comma 2 della l. n. 118 del 2022, anche se poi essi non hanno trovato attuazione essendo la delega scaduta senza esercizio. Si deve infatti considerare che, allorché la legge di delega li abbia posti, i principi e i criteri della stessa entrano senz’altro a comporre il quadro dei referenti assiologici che permeano l’ordinamento vigente e concorrono pure essi a disciplinare direttamente la materia alla quale afferiscono, se il loro contenuto prescrittivo possegga i necessari requisiti, anche quando il Governo abbia infruttuosamente lasciato scadere la delega e fino a che, ovviamente, il legislatore non provveda direttamente ad abrogarli e/o a disciplinare diversamente la materia. Tali principi e criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori per una disciplina uniforme della concorrenza in questa materia - tra i quali, ad esempio, si possono qui ricordare l’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali (lett. c), l’individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni (lett. d), la considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre attività d’impresa o di tipo professionale del settore (lett. e), 5.2.), la definizione di criteri per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante (lett. i), ma v. anche Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Pr., nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 54, in riferimento all’art. 12, paragrafo 3, della Dir. 2006/123/CE - saranno presi in considerazione dai Comuni, in particolare, nella predisposizione dei bandi per l’affidamento delle concessioni "sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza" (art. 4, comma 2, lett. b), l. n. 118 del 2022). Dalle ragioni, sin qui esposte, discende l’accoglimento dell’appello principale nei tre primi motivi, mentre può assorbirsi il quarto motivo relativo all’intervento, in primo grado, di Po.Gi. s.a.s. e di Circolo Unione Bari (pp. 28-29 del ricorso), dato che l’odierna appellante principale è del tutto priva di interesse alla eventuale estromissione di tali parti, alla luce delle ragioni sin qui esposte. Sempre per le ragioni esposte, poi, devono essere respinti gli appelli incidentali proposti da La.Ca. s.r.l., L’A. soc. coop. e Lido Or.Mi. che da S.I.B. (tralasciando qui ogni eventuale rilievo circa la legittimazione dell’interveniente ad opponendum a proporre appello incidentale ai sensi dell’art. 102, comma 2, c.p.a.), non potendo trovare applicazione né la l. 145 del 2018, come pretendono i primi assumendo che l’abrogazione della l. n. 145 del 2018 da parte dell’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2022 sarebbe illegittima, con l’effetto già definito per analoga pretesa da questa Sezione (v. Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940) “paradossale” e ancor più contrario al diritto europeo, di far rivivere le illegittime previsioni della l. n. 145 del 2018, dato che non esiste alcun presunto legittimo affidamento dei concessionari sulla proroga della concessione al 2033, come ha chiarito la Corte di Giustizia nel negare qualsivoglia affidamento dei concessionari sulle proroghe dopo l’entrata in vigore quantomeno dell’art. 49 del T.F.U.E. se non dello stesso art. 12 della Dir. 2006/123/CE, né potendo ritenersi, come assume il secondo, che le proroghe del legislatore sarebbero soggette alla preventiva condizione della c.d. mappatura a livello nazionale, mentre esse, come detto, devono tutte immediatamente disapplicarsi, non potendo quindi essere individuato il termine del 31 dicembre 2025 come scadenza delle concessioni in ragione della disapplicazione delle modifiche alla l. n. 118 del 2022 introdotte dalla l. n. 14 del 2023. Facendo riferimento agli effetti verticali diretti inversi, gli appellanti incidentali lamentano che il c.d. “effetto diretto verticale” delle direttive è invero invocabile soltanto da parte degli amministrati nei confronti dello Stato inadempiente o erroneamente adempiente, ma non, all’inverso, da questo (o dai suoi organi/istituzioni) a danno dei singoli, che non hanno alcuna responsabilità di tale comportamento. 65.1. Ma, come ha correttamente eccepito l’Autorità, nel caso di specie è del tutto evidente che dell’attuazione dell’art. 12 della Dir. 2006/2003/CE devono ritenersi responsabili i soli organi e apparati titolari di potestà normativa in senso proprio e che l’Autorità appellante principale, appartenente - come noto - alle c.d. Autorità amministrative indipendenti che si caratterizzano specificamente per la sottrazione delle loro principali funzioni al circuito dell’indirizzo politico che si forma nei rapporti tra Parlamento e Governo, non può certo essere assimilata alla stregua di un organo riconducibile allo “Stato inadempiente”, essendo del tutto priva di qualunque potere decisorio in ordine alle concrete modalità di attuazione della direttiva in questione nell’ordinamento italiano. 65.2. Tra l’altro, anche se si volesse prescindere dall’applicabilità dell’art. 12 della più volte citata direttiva nel presente contenzioso, è indiscutibile l’applicazione diretta dell’art. 49 del T.F.U.E. - come del resto di tutto il diritto primario europeo laddove le relative disposizioni abbiano carattere incondizionato - in presenza di un interesse transfrontaliero, la cui assenza nel caso di specie nemmeno è stata allegata prima ancor che dimostrata dal Comune di Omissis o dagli appellanti incidentali (o da altri controinteressati nel presente giudizio), senza che a tale riguardo possa lamentarsi, dunque, l’applicazione di un effetto verticale diretto c.d. inverso, sicché non può negarsi che l’invocazione della libertà di stabilimento, fatta valere dall’Autorità, e la necessità di indire la gara possano (e anzi debbano) applicarsi anche ai soggetti le cui concessioni siano state illegittimamente prorogate dal legislatore. Entrambi gli appelli incidentali, dunque, devono essere respinti. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello principale dell’Autorità deve essere accolto in tutti e tre i citati motivi (assorbito, come detto, il quarto), con la conseguente riforma della sentenza impugnata, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto in primo grado e il primo ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado, mentre vanno respinti gli appelli incidentali. Devono dunque essere annullate, in accoglimento del ricorso e dei primi motivi aggiunti in primo grado, la deliberazione n. 225 del 24 dicembre 2020 e la delibera n. 19 del 17 febbraio 2021 della Giunta comunale di Omissis, che provvederà ad adeguarsi sul piano conformativo ai principi sopra chiariti, mentre va confermata l’improcedibilità degli altri motivi aggiunti, proposti in primo grado dall’Autorità contro i singoli atti di proroga e dichiarata dal primo giudice, ma per la sola e ben diversa considerazione che tali atti devono considerarsi privi di effetti, non solo perché atti costituenti la mera attuazione, appunto, di disposizioni nazionali direttamente disapplicabili anche dall’autorità amministrativa nazionale, prima ancora che dal giudice, ma anche perché resi tali dall’art. 3, comma 1, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria versione, disapplicate le modifiche introdotte con la l. n. 14 del 2023. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità delle questioni trattate, possono essere compensate tra le parti. 69.1. Il Comune di Omissis deve essere condannato a rimborsare in favore dell’Autorità il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado nonché dell’appello principale. 69.2. Rimane definitivamente a carico degli appellanti incidentali il contributo unificato richiesto per la proposizione dei rispettivi gravami. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello principale, proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e sugli appelli incidentali, rispettivamente proposti da S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari e da La.Ca. s.r.l., L’A. società cooperativa, Lido Or.Mi., accoglie il primo e respinge i secondi e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso e i primi motivi aggiunti proposti in primo grado dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e annulla la deliberazione n. 225 del 24 dicembre 2020 e la delibera n. 19 del 17 febbraio 2021 della Giunta comunale di Omissis, mentre conferma con diversa motivazione l’improcedibilità degli altri motivi aggiunti, proposti in primo grado dall’Autorità contro i singoli atti di proroga. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Condanna il Comune di Omissis a rimborsare in favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il contributo unificato versato per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado nonché per la proposizione dell’appello principale. Pone definitivamente a carico di S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello incidentale. Pone definitivamente a carico di La.Ca. s.r.l., L’A. società cooperativa, Lido Or.Mi. il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello incidentale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024, con l’intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Massimiliano Noccelli Roberto Chieppa

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 476 del 2024, proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma.Ce., con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Comune di Omissis, non costituito nel presente grado del giudizio; nei confronti Bl. s.p.a. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato An.St.Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; La.Co. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Gr. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambe rappresentati e difesi dall’Avvocato Ig.La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Il Panda s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, At. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Lu.Qu. e dall’Avvocato Pi.Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Li. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Al. di Se.Ve., La.Ba. di Gi.Lu., Lido La.Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, La.Ve. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Bo.Pi. Sp.Cl. Soc. Coop. a m.p., in persona del legale rappresentante pro tempore, Gi. di Pu. di Ma.Gr.Co. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, De. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, L’A. Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ch.Sa.Gi., Il.19. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Lido Pa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Si.An., Oi.s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Sp.Cl. di So.An., rappresentati e difesi dall’Avvocato Da.Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Se.Ve., non costituito nel presente grado del giudizio; Lido Au. di Ch.Sa., non costituito nel presente grado del giudizio; An.Pr. Quale Amministratore Giudiziario e Coadiutore della Anbsc di Reggio Calabria, non costituito nel presente grado del giudizio; An.Pr. quale amministratore giudiziario dell’impresa individuale Es.Co.Da., Lido La.Ma. di Es.Co.Da., non costituito nel presente grado del giudizio; Me.Ad., non costituito nel presente grado del giudizio; per la riforma della sentenza n. 1224 del 2 novembre 2023 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, resa tra le parti, che ha dichiarato improcedibile il ricorso, proposto dall’Autorità, odierna appellante principale, per l’annullamento della deliberazione della Giunta Comunale di Omissis del 17 dicembre 2020, n. 143, avente a oggetto "Legge 30 dicembre 2018 n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, art. 1, commi 682, 683, 684 in combinato disposto con la Legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 - Atto di indirizzo per l’applicazione dell’estensione ex lege della durata delle concessioni demaniali marittime vigenti" e, per quanto occorrer possa, delle comunicazioni e/o annotazioni in calce ai titoli concessori, comunque denominate, di data ed estremi allo stato incogniti, di estensione temporale delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative in essere nel territorio comunale, adottate dal Comune di Omissis in favore dei rispettivi titolari come individuati dall’ente nella comunicazione del 5 agosto 2021 nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente, ancorché non conosciuto. visti l’appello principale dell’Autorità e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio di Bl.s.p.a. unipersonale e di La.Co. Società Cooperativa e di Gr.s.r.l. e di Il Panda s.r.l. e di At. s.r.l. e di Li. s.r.l. e di Al. di Se.Ve. e di La.Ba. di Gi.Lu. e di Lido La.Co. s.r.l. e di La.Ve. Sas e di Bo.Pi. Sp.Cl. Soc Coop a m.p. e di Gi. di Pu. di Ma.Gr.Co. & C. s.a.s. e di De. s.r.l. e di L’A. Soc Coop e di Ch.Sa.Gi. e di Il.19. s.r.l. e di Lido Pa. s.r.l. e di Si.An. e di Oi.s.r.l. e di Sp.Cl. di So.An.; visto l’appello incidentale di Lisebeach s.r.l. e delle altre parti con essa costituite; visti tutti gli atti della causa; relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’Autorità, odierna appellante principale, l’Avvocato Ma.Ce., per Li. s.r.l. e gli altri appellanti incidentali l’Avvocato Da.Lo. e per Bl.s.p.a. unipersonale l’Avvocato Ug.De.Lu. per delega dell’Avvocato An.St.Da.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Con la deliberazione n. 143 del 17 dicembre 2020 della Giunta comunale, avente a oggetto "Legge 30 dicembre 2018 n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, art. 1, commi 682, 683, 684 n combinato disposto con la Legge 17 luglio 2020, n. 77 di conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 - Atto di indirizzo per l’applicazione dell’estensione ex lege della durata delle concessioni demaniali marittime vigenti", il Comune di Omissis, odierno appellato, ha stabilito, da una parte, di prendere atto "del dettato normativo di cui all’art. 1, commi 682, 683 e 684 della Legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e dell’art. 182 del decreto - legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, inerente l’estensione della durata/validità al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreativa in possesso dei concessionari dotati dei requisiti previsti dalla normativa vigente e delle circolari operative suddette emanate dalla Regione Puglia", e dall’altra, conseguentemente, "di fornire atto di indirizzo al competente Responsabile del Servizio volto, per le ragioni indicate in premessa, affinché predisponga i necessari procedimenti amministrativi ed ogni opportuna attività gestionale rispettosa di legge, finalizzati all’estensione del termine di durata delle concessioni demaniali marittime al 31.12.2033 [...]". A seguito di segnalazione pervenuta in data 21 aprile 2021, prot. n. 0038991, ritenendo che la suddetta delibera presentasse criticità concorrenziali e si ponesse in contrasto con gli articoli 49 e 56 del T.F.U.E., nonché con le norme unionali in materia di affidamenti pubblici, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, odierna appellante principale, nell’adunanza del 18 maggio 2021, ha deliberato di esprimere un parere motivato, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, relativamente al contenuto dell’atto in questione, trasmettendolo al Comune di Omissis in data 21 maggio 2021. 2.1. Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, pertanto, l’Autorità ha ritenuto che il Comune di Omissis avrebbe dovuto disapplicare la normativa posta a fondamento della delibera n. 143/2020 per contrarietà della stessa ai principi e alla disciplina eurounitaria sopra richiamata. 2.2. Ciò in quanto "le disposizioni relative alla proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative contenute nel provvedimento amministrativo in parola integrano (...) specifiche violazioni dei principi concorrenziali, nella misura in cui impediscono il confronto competitivo che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento di servizi incidenti su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere". 2.3. Per tali ragioni, l’Autorità ha concluso che la delibera del Comune di Omissis in questione si poneva in contrasto con gli articoli 49 e 56 del T.F.U.E., essendo suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché con le disposizioni normative unionali in materia di affidamenti pubblici. 2.4. Nel parere veniva, altresì, indicato che, ai sensi dell’articolo 21-bis, comma 2, della l. n. 287 del 1990, il Comune avrebbe dovuto comunicare all’Autorità, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione del parere motivato, le iniziative adottate per rimuovere le violazioni della concorrenza sopra esposte. 2.5. Nel termine assegnato, il Comune di Omissis non ha fatto pervenire le proprie osservazioni al parere all’Autorità- Preso atto del comportamento tenuto e, in particolare, del mancato adeguamento del Comune di Omissis al parere ricevuto, nell’adunanza del 27 luglio 2021, l’Autorità ha deliberato di proporre ricorso dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale) nei confronti del Comune di Omissis, ai sensi dell’art. 21-bis, comma 2, della l. n. 287 del 1990, avverso la citata deliberazione n. 143 del 17 dicembre 2020 della Giunta Comunale di Omissis. 3.1. L’impugnativa, per quanto potesse occorrere, è stata rivolta anche agli atti di formalizzazione della estensione temporale delle concessioni in essere al 31 dicembre 2020 (allo stato non conosciuti) adottati dal Comune di Omissis in dichiarata attuazione della delibera n. 143 del 2020 in favore dei concessionari indicati nella citata comunicazione del 5 agosto 2021. 3.2. A seguito di notifica e del successivo deposito il ricorso è stato iscritto al R.G. n. 1324/2021 avanti al Tribunale. 3.3. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti in resistenza il Comune di Omissis e diversi soggetti, titolari di concessioni demaniali marittime nel Comune. Con l’ordinanza collegiale n. 15 del 2 gennaio 2023 il Tribunale ha disposto la sospensione del giudizio sul ricorso in esame fino alla decisione della Corte di Giustizia UE sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale di cui all’ordinanza n. 743 dell’11 maggio 2022 del medesimo Tribunale, con la quale, in altro giudizio, erano stati trasmessi gli atti alla Corte di Giustizia UE in sede di rinvio pregiudiziale formulando alcuni quesiti in ordine alla validità e alla interpretazione della Direttiva 2006/123/CE. Con la sentenza 20 aprile 2023 in C-348/22, la Corte di Giustizia UE si è espressa sulle questioni sollevate dal Tribunale in altro giudizio. Sinteticamente, per quanto qui interessa, la Corte di Giustizia ha rilevato che l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE si applica a tutte le concessioni demaniali, anche a quelle prive di interesse transfrontaliero certo; ha l’effetto diretto di obbligare gli Stati a svolgere una procedura di selezione per affidare le nuove concessioni e di vietare conseguentemente i rinnovi automatici (o le proroghe) degli affidamenti in essere; obbliga tutti i giudici nazionali e le singole pubbliche amministrazioni nazionali e comunali a disapplicare eventuali disposizioni nazionali con esso incompatibili; con riferimento alla scarsità della risorsa, secondo il giudice europeo gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili a tale valutazione, che può essere svolta in base a un mero approccio generale e astratto valido per tutto il nazionale, o a un approccio caso per caso che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci. Successivamente alla pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia europea, il giudizio R.G. n. 1324/2021 è stato riassunto avanti al primo giudice con atto di impulso della odierna appellante principale e, in esito all’udienza pubblica del 27 settembre 2023, è stato trattenuto in decisione. Il Tribunale, con la sentenza n. 1224 del 2 novembre 2023, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso proposto dall’Autorità, affermando in estrema sintesi: 1) che gli atti impugnati dall’Autorità risultano caducati e privi di efficacia già per effetto della normativa sopravvenuta (nella specie, la legge n. 118 del 2022 che ha abrogato tutte le norme di cui alla legge n. 145 del 2018 e ha disposto il nuovo termine di scadenza delle concessioni demaniali marittime in essere al 31 dicembre 2023, nonché la successiva legge n. 14 del 2023 che ha differito il predetto termine al 31 dicembre 2024) e che, comunque, risulta mutato il contesto giuridico e fattuale di riferimento; 2) di non condividere "l’ipotesi di cessazione dell’efficacia delle CDM alla data del 31 dicembre 2023, che si supporta alla specifica statuizione in tal senso contenuta nelle sentenze A.P. 17 e 18 del 2021 (punto n. 48 di AP 17-18/2021), temporalmente antecedenti sia rispetto alla sentenza della C.G.U.E. del 20 aprile 2023, sia rispetto alla normativa di cui alla L. 14/2023"; 3) che, pertanto, tutte le concessioni demaniali marittime in essere verranno a scadere alla data del 31 dicembre 2024; 4) che la fissazione del termine delle concessione demaniali marittime al 31 dicembre 2023 deriva dalla corrispondente statuizione contenuta nelle sentenze dell’Adunanza plenaria del 2021 (poi recepita e trasfusa nel testo originario della l. n. 118 del 2022), la quale costituisce "la logica conseguenza della pretermessione - nella motivazione delle AA.PP. 17 e 18/2021 - di un significativo step, quale quello relativo alla scarsità della risorsa, condizionato alla tempistica connessa all’attività istruttoria e connotato di ampia discrezionalità, step individuato come centrale e preliminare adempimento nella direttiva come interpretata dalla C.G.U.E. con la sentenza del 20/04/2023 [...] siffatta statuizione del termine di cessazione di efficacia al 31.12.2023, a prescindere da ogni altra considerazione, non può ritenersi pertanto prevalente sulla norma successiva, che peraltro risulta invece del tutto coerente con le precisazioni innovative contenute nella sentenza della CGUE e non integra quindi gli estremi di una mera ed ingiustificata proroga automatica, vietata dall’art. 12 par. 1 e 2 della direttiva". Avverso la sentenza ha proposto appello principale l’Autorità, assumendone l’erroneità per i tre motivi che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma. 9.1. Per opporsi all’accoglimento dell’appello principale si sono costituiti il 22 gennaio 2024 le controinteressate Il Panda s.r.l. e At. s.r.l. 9.2. Si è costituita il 26 gennaio 2024 Bl.s.p.a. unipersonale per resistere all’appello principale, di cui ha eccepito l’inammissibilità. 9.3. Si sono costituite il 27 gennaio 2024 Li. s.r.l., Al. di Se.Ve., La.Ba. di Gi.Lu., Lido La.Co. s.r.l., La.Ve. s.a.s., Bo.Pi. Sp.Cl. Soc Coop a m.p., Gi. di Pu. di Ma.Gr.Co. & C. s.a.s., De. s.r.l., L’A. Soc Coop, Ch.Sa.Gi., Il.19. s.r.l., Lido Pa. s.r.l., Si.An., Oi.s.r.l. e Sp.Cl. di So.An., controinteressate, per chiedere la reiezione dell’appello principale e hanno proposto, altresì, appello incidentale, di cui pure si dirà meglio successivamente. 9.4. Nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, su richiesta dei difensori, ha abbinato la causa al merito per l’udienza del 26 marzo 2024. 9.5. Si è costituita il 6 febbraio 2024 Green Blu s.r.l., controinteressata, in resistenza sempre rispetto all’appello principale. 9.6. Si è costituita l’11 marzo 2024 La.Co. Società Cooperativa sempre per opporsi all’appello principale dell’Autorità. 9.7. Non si è costituito nel presente grado del giudizio il Comune di Omissis. 9.8. All’esito dell’udienza pubblica del 26 marzo 2024, con l’ordinanza n. 2890 del 27 marzo 2024 il Collegio, rilevato che non risultano rispettati i termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., ancorché dimidiati, per la eventuale difesa delle altre parti in ordine alla proposizione dell’appello incidentale notificato il 14 febbraio 2024, ha fissato una nuova udienza per garantire il rispetto del diritto di difesa e rinviato la causa all’udienza del 7 maggio 2024. 9.9. Infine, nell’udienza del 7 maggio 2024, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione. L’appello principale dell’Autorità è fondato. In via preliminare l’appello principale dell’Autorità deve ritenersi procedibile in quanto l’interesse fatto valere dall’Autorità nel presente giudizio è quello di ottenere l’annullamento della delibera, impugnata in primo grado, che ha prorogato le concessioni in forza di disposizioni normative contrastanti con il diritto unionale e che, prevedendo il prolungamento di queste concessioni fino al 2033, ha prodotto e potrebbe continuare a produrre effetti permanenti nel presente giudizio, indipendentemente da eventuali nuove delibere recanti atti di indirizzo generale che, attuando le nuove proroghe legislative sopravvenute, prolungassero nuovamente e ingiustificatamente la scadenza delle concessioni, atti che dovrebbero considerarsi anche essi privi di effetti - al pari delle singole proroghe - perché perpetuanti il vizioso meccanismo di proroga ex lege di anno in anno, di cui si dirà meglio (v., infra, § 24.1.). 11.1. Al riguardo, infatti, si deve rammentare che, come questo Consiglio di Stato ha chiarito in analoga controversia (v., sul punto, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192), l’interesse sostanziale, a tutela del quale l’Autorità può ricorrere ai sensi dell’art. 21-bis della citata l. n. 287 del 1990, assume i connotati dell’interesse a un bene della vita, nella specie quello al corretto funzionamento del mercato, che trova tutela a livello unionale e costituzionale, e del quale l’Autorità, secondo la l. n. 287 del 1990, è, istituzionalmente, portatrice. 11.2. L’Autorità quindi, in base alla menzionata normativa, è preposta alla salvaguardia di un interesse che si soggettivizza in capo ad essa come posizione qualificata e differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato, circostanza, questa, idonea a fondare la legittimazione processuale di cui all’art. 21-bis citato. 11.3. La scelta del legislatore di attribuire all’Autorità un potere di agire a tutela di tale interesse costituisce un’opzione di stretto diritto positivo che, lungi dall’essere contraria al vigente quadro costituzionale, si inserisce, anzi, nell’ambito degli strumenti di garanzia di effettività del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa. 11.4. L’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 assegna all’Autorità una legittimazione straordinaria, che si inserisce in un sistema nel quale rileva il principio di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico (Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583, Cons. St., sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2294) del tutto coerente con i parametri costituzionali di cui agli artt. 103 e 113 Cost. 11.5. Ne segue che permane a tutt’oggi l’interesse dell’Autorità a far valere l’illegittimità della delibera impugnata in primo grado, nella misura in cui essa, con un atto di indirizzo a valenza generale, prolunga la durata dei rapporti concessori fino al 2033 in applicazione di una disposizione - quella dell’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018 ora abrogato - palesemente illegittima e, come si vedrà, suscettibile di disapplicazione, ancorché abrogata dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2022. 11.6. Quest’effetto non può considerarsi esaurito, rendendo improcedibile l’appello, poiché tale proroga “generalizzata” originariamente prevista nell’atto di indirizzo impugnato in primo grado è solo la conseguenza di previsioni legislative, via via succedutesi, che continuano sistematicamente e reiteratamente a violare le previsioni della Dir. 2006/123/CE e dell’art. 49 T.F.U.E., previsioni tutte, come ora si dirà, che devono essere disapplicate non solo dal giudice nazionale, ma anche dalle stesse pubbliche amministrazioni, in ragione di quanto ha chiarito da ultimo la Corte di Giustizia UE in C-348/22 (Comune di Ginosa). 11.7. Alla luce di tali considerazioni, dunque, può essere in sintesi respinta anche l’eccezione sollevata in via preliminare da Bl.s.p.a. unipersonale in quanto la legittimazione dell’Autorità non viola, in nessun modo, la natura di giurisdizione soggettiva riconosciuta pacificamente alla giurisdizione amministrativa ed è pienamente compatibile con il vigente assetto costituzionale, anche ai sensi degli artt. 103 e 113 Cost. Sussiste e permane dunque l’interesse dell’Autorità a fare valere l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, lesivi del diritto alla concorrenza, non risultando invece impugnate in questo giudizio, al di là dell’intenzione di estendere l’impugnazione annunciata dall’Autorità nel ricorso di primo grado, tutte le singole proroghe via via adottate nei confronti dei singoli concessionari (come, ad esempio, quella prodotta dalla controinteressata Bl.s.p.a. unipersonale in primo grado). Sempre in via preliminare va ricordato che - dopo l’annullamento della sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria da parte delle Sezioni Unite - permane a tutt’oggi l’efficacia perdurante della sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria mantiene ad oggi per le ragioni che ora si diranno tutta la sua efficacia sul piano nomofilattico, nonostante la proposizione “postuma” di un ulteriore ricorso per cassazione anche contro tale sentenza da parte di molti concessionari - che non furono parti di quel giudizio - nel marzo di quest’anno. 13.1. L’art. 99 c.p.a. prevede due sole modalità di deferimento alla Adunanza plenaria: mediante ordinanza della sezione cui è assegnato il ricorso (comma 1) o con deferimento da parte del Presidente del Consiglio di Stato (comma 2) ed è pacifico che dopo i due interventi delle Sezioni unite non vi sia stato alcun deferimento nel presente giudizio alla Adunanza plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99, comma 2, c.p.a., sicché solo questa Sezione può provvedere a un nuovo deferimento in presenza dei presupposti di cui al comma 1 dello stesso citato art. 99 ("se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali"). 13.2. E questi presupposti anche dopo l’annullamento (per ragioni che esulano dal merito dei principi allora affermati) della sentenza n. 18 del novembre 2021 non sussistono perché la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pacifica nell’affermare i principi di cui si dirà oltre senza che vi sia alcun contrasto tra sezioni o all’interno di questa sezione e, inoltre, né le sopravvenienze normative né la sentenza della Corte di Giustizia del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Ginosa) hanno inciso sulla rilevante attualità di quei principi, a tutt’oggi validi, che devono condurre all’immediata disapplicazione delle proroghe in favore dei concessionari, anche laddove esse si fondino sulle illegittime e disapplicabili sopravvenienze normative di cui al d.l. n. 198 del 2022, conv. in l. n. 14 del 2023, e all’altrettanto immediata indizione delle gare. 13.3. La permanente efficacia della coeva sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria costituisce, quindi, solo uno degli elementi che confermano l’assenza dei presupposti per un deferimento della presente controversia all’Adunanza plenaria, al quale si aggiungono le numerose sentenze che proprio con riferimento alle sopravvenienze normative richiamate dalla Cassazione hanno in modo granitico confermato la necessità di disapplicare le varie proroghe e di procedere all’indizione delle gare, come verrà meglio precisato oltre (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2023, n. 3963). 13.4. Si tratta peraltro di sentenze che hanno tutte affrontato le modifiche normative sopravvenute rispetto alle decisioni dell’Adunanza plenaria e in relazione alle quali, oltre a non sussistere alcun vincolo derivante dal contenuto delle due sentenze dell’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., non si è formato alcun contrasto giurisprudenziale, essendo stata sempre seguita la tesi della disapplicazione delle proroghe anche sopravvenute. Egualmente, e in estrema sintesi, ritiene anche questo Collegio che non sussistano i presupposti per esercitare il proprio potere officioso di rinvio della causa né alla Corte di Giustizia UE né alla Corte costituzionale. Si rileva che non sussistono i presupposti per un nuovo rinvio in quanto la questione della applicabilità della Dir. 2006/123/CE e della incompatibilità delle proroghe automatiche disposte dal legislatore nazionale è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte di Giustizia UE con più decisioni - non ultima proprio quella rimessa dal Tribunale in primo grado e pronunciata nel presente giudizio - che hanno indicato la corretta interpretazione del diritto dell’Unione senza che residuino ulteriori dubbi. 15.1. Infatti, la Corte di Giustizia UE, dapprima con la sentenza del 14 luglio 2016 (C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa) e, più di recente, con la sentenza del 20 aprile 2023 (C-348/22, Comune di Ginosa) ha già dissipato in maniera chiara ogni ulteriore dubbio o perplessità sull’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni demaniali marittime, senza che sia necessario, a fronte di una giurisprudenza europea ormai chiara, uniforme e puntuale, sollevare nuovamente ulteriori questioni interpretative, che sarebbero dilatorie prima ancor che superflue. 15.2. Chiarita dalla Corte di Giustizia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea sulle questioni che costituiscono l’oggetto del presente giudizio, spetta a questo Collegio, quale giudice nazionale, dare applicazione al diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, alla fattispecie in esame. Parimenti non sussistono i presupposti per un rinvio pregiudiziale sotto ulteriori profili alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE. 16.1. Va ricordato che la Corte di Giustizia ha in più occasioni chiarito che l’articolo 267 T.F.U.E. deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale di ultima istanza deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (v. Corte Giust. 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit e 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management). 16.2. In applicazione di tali principi si rileva, anzitutto, che la questione relativa agli indennizzi e, in particolare, alla compatibilità dell’art. 49 cod. nav. con l’ordinamento unionale non assume rilievo nel presente giudizio perché, proprio in un contenzioso analogo nel quale era stata proposta dallo stesso giudice di primo grado la medesima questione, la già richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22, punto 83, ha chiarito che "la controversia di cui trattasi nel procedimento principale riguarda la proroga delle concessioni e non già la questione del diritto, in capo a un concessionario, di ottenere, alla scadenza della concessione, un qualsivoglia compenso per le opere inamovibili che esso abbia costruito sul terreno affidatogli in concessione". 16.3. In ogni caso questa stessa Sezione, con l’ordinanza n. 8010 del 15 settembre del 2022 (a cui ha fatto seguito, dopo i chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia UE, anche l’ordinanza 8184 del 6 settembre 2023), resa nel giudizio R.G. n. 8915 del 2021, ha già sollevato innanzi alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E., la questione pregiudiziale di interpretazione "se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo" e, conseguentemente, risulta incardinata presso la Corte di Giustizia UE la causa C-598/22, tuttora pendente (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3943, ord., ma v. anche, per analoga questione, Cons. St., sez. VII, 6 novembre 2023, n. 9570, ord. nonché, per la portata estensiva del principio relativo agli indennizzi, Cons. St., sez. VII, 17 gennaio 2024, n. 138, ord.). 16.4. Tale questione - si ripete - è del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio e quindi non è rilevante, con la conseguenza che nessun rilievo pregiudiziale potrà avere la sentenza della Corte di Giustizia UE, risultando in tal modo infondate anche le richieste di attendere tale decisione, eventualmente con un provvedimento di c.d. sospensione impropria. Quanto alla richiesta di sollevare l’incidente di costituzionalità, formulata invece dagli appellanti incidentali, si deve qui osservare che l’interpretazione da questo Consiglio di Stato nella propria consolidata giurisprudenza consente un recepimento interno della Dir. 2006/123/CE non solo compatibile con principi fondamentali e irrinunciabili della Costituzione italiana quali il diritto di proprietà, l’impresa e il lavoro nelle imprese familiari, ma anzi costituzionalmente imposto dalla necessità di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma primo, Cost.). Né può essere invocata una tutela costituzionale del legittimo affidamento degli attuali concessionari, dato che, come ora si dirà, l’applicazione della Dir. 2006/123/CE e/o dell’art. 49 T.F.U.E. al settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative impone l’immediata apertura del mercato, laddove la risorsa risulti scarsa o laddove, quando pure la risorsa non sia scarsa, la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, e ogni esigenza correlata all’affidamento degli attuali concessionari non può certo giustificare proroghe automatiche o il rinvio delle procedure di gara, ma al massimo può essere valutata al momento di fissare le regole per la procedura di gara ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 12 della stessa Dir. 2006/123/CE (v. Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, nelle cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, par. 52-56). Nel merito, venendo proprio al caso in esame, l’appello dell’Autorità è fondato in tutti e tre i motivi. Con il primo motivo (pp. 9-13 del ricorso), anzitutto, l’Autorità lamenta che essa aveva chiesto al primo giudice di annullare le determinazioni comunali impugnate, procedendo all’applicazione della norma europea dotata di efficacia diretta e alla speculare “in-applicazione” della norma interna contrastante, assicurando che l’ente comunale, nel prendere atto della scadenza delle concessioni demaniali (ovviamente di quelle che avevano beneficiato della predetta proroga legale), procedesse con l’esperimento immediato delle procedure di gara finalizzate ai nuovi affidamenti delle concessioni venute a scadenza. 20.1. Il primo giudice, anziché limitarsi a prendere atto dell’intervenuta caducazione, in forza della l. n. 118 del 2022, del provvedimento impugnato in primo grado e della conseguente scadenza al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali ivi contemplate (affermazione che avrebbe rimesso pienamente nella disponibilità del Comune ogni determinazione conseguente, consentendogli anche di indire immediatamente le gare per l’affidamento delle concessioni scadute), avrebbe del tutto illegittimamente e ingiustamente ritenuto di precisare - con ciò, peraltro, modificando radicalmente gli effetti di mero rito che la pronuncia impugnata avrebbe dovuto assumere in coerenza con il suo dispositivo - che la nuova scadenza delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative è fissata al 31 dicembre 2024, alla luce dell’entrata in vigore della l. n. 14 del 2023, normativa che, tuttavia, disponendo (anch’essa), come deduce l’Autorità, la proroga automatica e generalizzata delle concessioni demaniali marittime, non avrebbe potuto/dovuto essere applicata dal Tribunale. 20.2. Sarebbe innegabile, quindi, l’ingiustizia della sentenza gravata nella parte in cui ha disposto l’improcedibilità del ricorso promosso dall’Autorità odierna appellante principale e, al contempo, ha riconosciuto la conformità rispetto ai principi unionali della proroga al 31 dicembre 2024 disposta dal legislatore stAt.e con la l. n. 14 del 2023, affermazione quest’ultima idonea a pregiudicare, al pari delle corrispondenti e abrogate disposizioni contenute della l. n. 145 del 2018, il “bene della vita” cui aspirava l’interesse fatto valere dall’AGCM con la proposizione del giudizio di primo grado e, cioè, la concorrenzialità del mercato delle concessioni demaniali marittime. 20.3. Di qui, sotto un primo profilo, la palese erroneità della pronuncia gravata di cui si chiede la riforma. 20.4. Con il secondo motivo (pp. 14-23 del ricorso) e il terzo motivo (pp. 23-26 del ricorso), ancora, l’Autorità appellante principale comunque contesta anche le motivazioni della sentenza impugnata laddove, nel dichiarare erroneamente l’improcedibilità dell’originario ricorso, ha ritenuto che l’applicazione della Dir. 2006/123/CE anche alla nuova proroga di cui alla l. n. 118 del 2022 sarebbe soggetta alla previa valutazione, da parte dell’autorità nazionale, della scarsità della risorsa e, altresì, comunque, laddove non ha tenuto conto che, anche assumendo che la risorsa non sia scarsa, sarebbe comunque applicabile alla controversia l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento. 20.5. Per completezza espositiva l’Autorità appellante principale ha evidenziato che, successivamente alla pubblicazione della sentenza in questa sede impugnata, la Commissione europea, con il parere motivato del 16 novembre 2023, ha affermato - in estrema sintesi - che "mantenendo le proroghe indiscriminate ed ex lege delle autorizzazioni per l’utilizzo di proprietà demaniali marittime lacuali e fluviali per attività ricreative e turistiche, previste all’art. 3, paragrafo 2, della legge 118/2022, come modificato dalla Legge n. 14/2023, e dal combinato disposto dell’art. 4, comma 4-bis della legge n. 118/2022, inserito dalla Legge n. 14/2023, che fa “divieto agli Enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all’art. 3, comma 1, lett. a) e b)” fino all’adozione dei decreti legislativi di cui allo stesso art. 4 della legge 118/2022 e dell’art. 10- quater del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, inserito dalla Legge 14/2023... e tenendo conto del fatto che la delega al Governo per l’adozione di tali decreti legislativi... risulta scaduta e non è contemplata alcuna indicazione circa una eventuale nuova delega al Governo, la Repubblica italiana ha riprodotto le proroghe precedentemente previste dall’art. 1, paragrafo 18, del decreto-legge n. 194/2009, all’art. 24, comma 3-septies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, all’art. 1, commi 682 e 683 della Legge di bilancio e al decreto-legge n. 104/2020, nonché le previsioni dell’art. 182, paragrafo 2, del decreto-legge n. 34/2020... ed è dunque venuta meno agli obblighi imposti dall’art. 12 della Direttiva sui servizi e dell’art. 49 TFUE nonché dell’art. 4, paragrafo 3, TUE". I tre motivi sono tutti fondati. Si deve osservare anzitutto che, come questo Consiglio di Stato ha più volte affermato nella propria consolidata giurisprudenza (v., da ultimo, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200), i provvedimenti sopravvenuti determinano l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse qualora attuino un assetto di interessi inoppugnabile, ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio. 22.1. Questo Consiglio ha già precisato che l’inutilità di una pronuncia di merito sulla domanda articolata dalla parte può affermarsi solo all’esito di una indagine "condotta con il massimo rigore, onde evitare che la declaratoria in oggetto si risolva in un’ipotesi di denegata giustizia e quindi nella violazione di un diritto costituzionalmente garantito" (Cons. St., sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7076, ma v. anche Cons. St., sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7895). 22.2. In particolare, "la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse presuppone che, per eventi successivi alla instaurazione del giudizio, debba essere esclusa l’utilità dell’atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l’inutilità di una pronuncia di annullamento dell’atto impugnato" (C.G.A.R.S., sez. giurisd., 3 luglio 2020, n. 536). 22.3. Il primo giudice non ha evidentemente fatto buon governo di tali consolidati principi perché, nel dichiarare l’improcedibilità del ricorso, ha ritenuto impossibile che il peculiare interesse dell’Autorità all’annullamento degli atti venisse soddisfatto sulla base di atti sopravvenuti che, si badi, reiteravano lo stesso vizio che inficiava gli atti impugnati - la proroga illegittima del rapporto concessorio stabilita dal legislatore - e peraltro, dopo avere egli stesso dubitato dell’applicabilità della normativa unionale alla legislazione italiana sulle proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e avere sollevato la questione pregiudiziale avanti alla Corte UE, anche dopo la pronuncia della Corte, che ha affermato l’illegittimità delle proroghe generalizzate da parte del legislatore, ha omesso di disapplicare tanto la normativa applicabile ratione temporis quanto quella sopravvenuta sulla base di una lettura della sentenza della Corte non rispondente al suo contenuto e quindi non condivisibile. 22.4. La pronuncia di improcedibilità non è stata condotta con quel massimo rigore sull’attualità dell’interesse, richiesto dalla giurisprudenza, ma ledendo l’interesse concorrenziale fatto valere dall’Autorità che, lungi dall’essere ormai venuto meno, avrebbe dovuto invece condurre il Tribunale, soprattutto una volta intervenuta la sentenza della Corte UE del 20 aprile 2023 in C-348/22, ad annullare gli atti di indirizzo impugnati in primo grado anziché affermare, erroneamente, la prevalenza del diritto nazionale sul diritto dell’Unione per via della pretesa, ancora una volta, non applicabilità di quest’ultimo in ragione di una fuorviante lettura della sentenza della Corte europea. 22.5. L’improcedibilità del ricorso, dunque, costituisce in questo caso una pronuncia in rito solo apparente (falsa improcedibilità), che di fatto mortifica l’interesse azionato dall’Autorità in primo grado e disvela il contenuto reiettivo nel merito della pronuncia qui azionata, integrando una ipotesi di denegata giustizia (Cons. St., sez. VII, 10 agosto 2022, n. 1076). 22.6. Né si opponga che l’Autorità, nel non avere formalmente formulato in questa sede la propria domanda di annullamento, richiederebbe a questo giudice una pronuncia ultra petita, lamentando solo l’erroneità di tale pronuncia in rito e chiedendo di riformarne le motivazioni con la disapplicazione di una normativa sopravvenuta che non sarebbe nemmeno applicabile agli atti impugnati in prime cure, perché è proprio sulla base di tale ultima normativa sopravvenuta, erroneamente non disapplicata dal primo giudice, che si è pervenuti all’effetto perverso di dichiarare improcedibile il ricorso, frustrando l’interesse dell’Autorità che, diversamente, dovrebbe subire una pronuncia, apparentemente in rito, che le nega il bene della vita alla corretta applicazione del principio concorrenziale in questa materia per effetto, si badi, di una normativa nazionale che reitera il vizio già lamentato dall’Autorità, costretta in aeternum ad impugnare in ripetuti giudizi i nuovi atti applicativi della normativa illegittima sopravvenuta e sempre costretta, in un circolo vizioso, a subire poi all’esito del giudizio la declaratoria di improcedibilità. 22.7. L’accoglimento dell’appello principale non può che condurre dunque, similmente a quanto avvenuto già in altra pronuncia di questo Consiglio, all’annullamento degli atti gravati in prime cure, in quanto l’odierna appellante principale, come nel caso definito da tale pronuncia, aveva dedotto il contrasto dell’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018 con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE "e ciò era sufficiente a far sorgere il dovere del giudice di prime cure di pronunciare nel merito della prospettata questione di compatibilità della norma interna e della delibera comunale che ne ha fatto applicazione, col diritto unionale" (Cons. St., sez. VII, 1° marzo 2023, n. 2192). 22.8. La fondatezza dell’azione di annullamento proposta dalla Autorità rende irrilevante ogni questione su una azione di accertamento, non esercitabile per la prima volta in appello e che, di conseguenza, non viene esaminata. Nemmeno, del resto, sono condivisibili, in ciò dovendosi accogliere anche il secondo e il terzo motivo dell’appello principale, le ragioni per cui il primo giudice ha ritenuto non applicabile la Dir. 2006/123/CE e non ha considerato, comunque, la doverosa applicazione dell’art. 49 del T.F.U.E. 23.1. Diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, infatti, la Dir. 2006/123/CE ha effetti diretti, è self-executing ed è immediatamente applicabile, come aveva chiarito la Corte di Giustizia UE nella sentenza Promoimpresa del 14 luglio 2016, in C-458/14 e in C-67/15 - e, sulla sua scia, la sentenza n. 17 del 2021 dell’Adunanza plenaria e le altre già menzionate sentenze del Consiglio di Stato - e come la stessa Corte ha riconfermato decisamente, laddove ve ne fosse stato bisogno (e non ve ne era), proprio nella sentenza Comune di Ginosa del 20 aprile 2023, in C-348/22. 23.2. Questo Consiglio non può che ribadire, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 2021 e di tutta la menzionata giurisprudenza successiva, che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata (Cons. St, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679) - sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva. 23.3. La Corte di Giustizia nella sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Ginosa) ha (ri)affermato che risulta dallo stesso tenore letterale dell’articolo 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 23.4. Quanto all’art. 12, paragrafo 2, di tale direttiva, esso dispone in particolare che un’autorizzazione, quale una concessione di occupazione del demanio marittimo, sia rilasciata per una durata limitata adeguata e non possa prevedere la procedura di rinnovo automatico. 23.5. Tale disposizione, ha precisato ancora la Corte di Giustizia UE nella citata sentenza, ha effetto diretto in quanto vieta, "in termini inequivocabili", agli Stati membri, senza che questi ultimi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto a una qualsivoglia condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un atto dell’Unione o degli Stati membri, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate di siffatte concessioni. 23.6. Dalla giurisprudenza della Corte risulta peraltro che un rinnovo automatico di queste ultime è escluso dai termini stessi dell’art. 12, paragrafo 2, della Dir. 2006/123/CE (v., in tal senso, la sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 50). 23.7. L’art. 12, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva impone quindi agli Stati membri l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta loro di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività, in termini incondizionati e sufficientemente precisi. 23.8. Nel punto 71 della sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 ancora la Corte di Giustizia ha precisato, a chiare lettere, che "la circostanza che tale obbligo e tale divieto si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, le quali devono essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale, non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso a tale articolo 12, paragrafi 1 e 2". 23.9. Di conseguenza, ogni questione sulla scarsità delle risorse e sugli eventuali criteri fissati per accertare tale scarsità non può costituire ragione, come sostenuto da alcune parti del presente giudizio, per determinare la non applicabilità della Dir. 2006/123/CE nelle more della fissazione dei menzionati criteri. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, la valutazione dell’effetto diretto connesso all’obbligo e al divieto previsti dall’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE e l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie incombono ai giudici nazionali e alle autorità amministrative, comprese quelle comunali, senza che ciò possa essere condizionato o impedito da interventi del legislatore. 24.1. Devono, quindi, essere disapplicate perché contrastanti con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e comunque con l’art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell’Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e in particolare: a) le disposizioni di proroga previste in via generalizzata e automatica, e ormai abrogate dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2002 (art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020; art. 100, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020, conv. in l. n. 126 del 2020); b) le più recenti proroghe introdotte dagli articoli 10-quater, comma 3 e 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e dall’art. 1, comma 8, della stessa l. n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 4 della l. n. 118 del 2022. 24.2. Con riferimento a tali ultime disposizioni, che - unitamente agli artt. 3 e 4 della legge 5 agosto 2022 n. 118 - costituiscono le sopravvenienze legislative menzionate dalle citate decisioni delle Sezioni unite, si osserva che anche esse si pongono in palese contrasto con il diritto unionale, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2024, n. 3963; v. anche per l’analoga questione della applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, Cons. St., sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104). 24.3. Infatti, mentre l’originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022, nell’abrogare le precedenti e già disapplicate disposizioni di proroga, aveva previsto in via transitoria il termine del 31 dicembre 2023 con possibilità di differimento con atto motivato fino al 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva", le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 di conversione del d.l. n. 198 del 2022 hanno nuovamente stravolto il quadro normativo con nuove proroghe rese indeterminate da una serie di disposizioni palesemente contrastanti con i descritti principi dell’ordinamento dell’U.E. 24.4. La l. n. 14 del 2023, oltre a spostare in avanti di un anno i due termini sopraindicati (al 31 dicembre 2024 quello di efficacia delle concessioni e al 31 dicembre 2025 la possibilità di differimento), ha previsto che: a) "le concessioni e i rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 2022, n. 118, continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori" (art. 10-quater, comma 3, del d.l. n. 198 del 2022); b) "fino all’adozione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)" (comma 4-bis dell’art. 4 della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8 della l. n. 14 del 2023). 24.5. Il complesso delle disposizioni introdotte dalla l. n. 14 del 2023 determina una nuova proroga automatica e generalizzata delle concessioni balneari, non più funzionale alle (non più) imminenti gare (come previsto dalla originaria versione degli artt. 3 e 4 della l. n. 118 del 2022), ma anzi resa indeterminata e potenzialmente illimitata nella durata dal contestuale divieto di procedere all’emanazione dei bandi di gara posto fino all’adozione dei decreti legislativi di cui all’art. 4 della l. n. 118 del 2022 (adozione non più possibile perché la delega è scaduta il 27 febbraio 2023, solo qualche giorno dopo l’entrata in vigore della l. n. 14 del 2023). 24.6. Se a ciò si aggiunge che le concessioni mantengono efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori, il quadro che ne deriva è del mantenimento delle attuali concessioni balneari italiane senza termine in contrasto con i più volte richiamati principi dell’Unione, nella costante interpretazione datane dalla Corte di Giustizia. 24.7. Ciò impone al giudice nazionale e alle amministrazioni di disapplicare tali disposizioni nella loro interezza, costituita da tutte le modifiche apportate alla l. n. 118 del 2022 dalla l. n. 14 del 2023, comprese quelle di cui all’art. 10-quater, comma 3, e all’art. 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, che hanno spostato in avanti i termini previsti dalla originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022. Tale disapplicazione si impone prima e a prescindere dall’esame della questione della scarsità delle risorse, che verrà trattata nei paragrafi successivi, in quanto, anche qualora si dimostrasse che in alcuni casi specifici non vi sia scarsità di risorse naturali, le suddette disposizioni, essendo di natura generale e assoluta, paralizzano senza giustificazione alcuna l’applicazione della Dir. 2003/126/CE e precludono in assoluto lo svolgimento delle gare. Può ora essere affrontato il tema della scarsità delle risorse, sul quale tanto insistono le parti appellate. 26.1. La Corte di Giustizia UE nella già citata sentenza Promoimpresa del 14 luglio 2016 ha affermato che "per quanto riguarda, più specificamente, la questione se dette concessioni debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali, spetta al giudice nazionale verificare se tale requisito sia soddisfatto" (punto 43) e con la anche più volte citata sentenza del 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22 ha rilevato che l’art. 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali e che "tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci" (punto 46). Tale più recente sentenza non si è posta in contraddizione o comunque non ha voluto superare i principi espressi nella precedente sentenza Promoimpresa, che anzi viene più volte richiamata a conferma del rapporto di continuità tra le due decisioni della Corte. Proprio nel caso Comune di Ginosa, nel rispondere a uno specifico quesito posto dal giudice del rinvio, la Corte ha evidenziato che, nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali, il legislatore nazionale può preferire una valutazione generale e astratta valida sull’intero territorio nazionale oppure un approccio di tipo locale caso per caso o una combinazione dei due approcci che anche può risultare equilibrata, concludendo che l’approccio definito combinato, così come le altre due opzioni, non sono incompatibili con il diritto dell’Unione europea. In ogni caso, è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati (punto 48 della stessa sentenza), fermo restando che - come già detto - la valutazione sulla scarsità delle risorse in alcun modo può ritenersi pregiudiziale o comunque non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE. È evidente che la valutazione che ha ad oggetto la scarsità delle risorse naturali, per basarsi su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, postula una ricognizione del territorio costiero, o a livello nazionale o a livello locale (anche eventualmente nella combinazione dei due approcci, generale e caso per caso), che deve essere non solo quantitativa, ma anzitutto qualitativa, come ha già chiarito l’Adunanza plenaria e la più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, perché deve avere riguardo ad un concetto funzionale di scarsità e, cioè, ad un concetto che tiene conto della funzione economica della risorsa pubblica in questione, dovendo valutarsi, in concreto, la collocazione geografica, le caratteristiche morfologiche, il pregio ambientale e paesaggistico, il valore “commerciale”, il pregio di quella particolare tipologia di concessione in rapporto al bene pubblico (il tratto di costa) oggetto di sfruttamento economico e non tutto il tratto costiero in ipotesi balneabile come se fosse un unico eguale ed indifferenziato, non potendo ritenersi non discriminatorio un criterio che tratti e consideri e calcoli in modo eguale situazioni costiere estremamente diverse sul territorio nazionale. In questa prospettiva l’Autorità appellante ha richiamato il parere motivato della Commissione europea del 16 novembre 2023, in cui è stato evidenziato che non possono essere prese in considerazione le risultanze, peraltro ancora parziali e incomplete, del Tavolo tecnico istituito dall’art. 10-quater del d.l. n. 198 del 2022 secondo cui, in sintesi, "la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili", perché: 1) non riflettono una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di ‘concessione balnearé, dato che prendono in considerazione, ad esempio, tutte le parti di costa rocciosa, dove è ben difficile, se non impossibile, insediare uno stabilimento balneare e, addirittura, inseriscono nel calcolo per la stima della percentuale "il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali"; 2) non tengono conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale. A prescindere da ogni considerazione sul valore (certamente in alcun modo vincolante) di quanto affermato dalla Commissione nel prodotto parere motivato, sulle successive interlocuzioni tra Governo e Commissione (del tutto estranee al presente giudizio) e sull’esito dei lavori del menzionato Tavolo tecnico, di cui si dirà oltre, si osserva che, sulla scorta di quanto già statuito da questo Consiglio di Stato, in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi - a conferma del carattere scarso della risorsa - coincide o consuma ampiamente la percentuale già assentita, come ad esempio, proprio nella Regione Puglia, come verrà illustrato oltre. Tale inequivocabile elemento non può essere superato offrendo in concessione aree necessariamente rientranti nelle percentuali di spiagge libere e sarebbe del resto in contrasto con i principi costituzionali di solidarietà economica e sociale e di tutela dell’ambiente e del paesaggio consumare in modo non proporzionato i già ormai limitati tratti di spiaggia libera, rendendo le coste italiane sempre più difficilmente accessibili in modo libero e gratuito anche ai soggetti meno abbienti. Va aggiunto che l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 ha previsto che il predetto Tavolo tecnico definisca i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera” e, al riguardo, tale elemento non può essere rilevante ai fini della valutazione della scarsità dato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, il capo III della Dir. 2006/123/CE - compreso, dunque, anche il suo articolo 12 - si applica anche a situazioni puramente nazionali, senza che sia necessaria una valutazione della rilevanza transfrontaliera come quella suggerita dalla disposizione in questione (Corte di Giustizia UE, 30 gennaio 2018, Visser Vastgoed Beleggingen, nelle C-360/15 e C-31/16, punti 98 e segg.; nonché la già citata sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22, Comune di Ginosa, punto 40), avendo la Corte chiarito che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che "esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo", applicandosi le disposizioni del capo III della Dir. 2006/123/CE "non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro". In questa prospettiva, dunque, deve essere disapplicato anche l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2022, laddove, nel prevedere che "il tavolo tecnico di cui al comma 1, acquisiti i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali marittime, lacuali e fluviali, elaborati ai sensi all'articolo 2 della legge 5 agosto 2022, n. 118, definisce i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera", dispone che nella determinazione della scarsità della risorsa debba considerarsi la rilevanza economica transfontaliera della concessione, che non è un presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE ma semmai, laddove non si applichi l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, del solo art. 49 del T.F.U.E. In assenza di risultati, ancorché parziali e provvisori, che dimostrino in modo serio e attendibile, tanto a livello nazionale che a livello locale, che le concessioni non siano una risorsa scarsa, secondo i criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, indicati dalla Corte, e in forza di una valutazione che deve essere anzitutto necessariamente qualitativa della risorsa, questo Consiglio di Stato, a cui compete nell’ordinamento italiano il controllo giurisdizionale sulla valutazione della scarsità delle risorse (che devono "essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale": Corte di Giustizia UE, 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22, punto 71), non può che riaffermare, allo stato, la sicura scarsità della risorsa (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940 nonché Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 nonché Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., secondo cui "la risorsa materiale è scarsa"), dovendo concordarsi con quelle tesi secondo cui, ove all’operazione di mappatura fosse associata la finalità di eludere l’assoggettamento alle procedure competitive ad evidenza pubblica, si riesumerebbe un diritto di insistenza per gli attuali concessionari, non più esistente, come si dirà, nemmeno nell’ordinamento interno. D’altro canto, diversamente da quanto assumono le parti appellate, l’applicabilità dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE è piena, diretta, incondizionata e non è né può essere subordinata dal legislatore in nessun modo alla mappatura, in sede nazionale, della “scarsità” della risorsa o a qualsiasi riordino, pur atteso, dell’intera materia, pena il frontale contrasto di questa subordinazione con il diritto dell’Unione e la conseguente disapplicazione delle norme che ciò prevedano (come, ad esempio, il già citato divieto di bandire le gare fino all’entrata in vigore di tale riordino: art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8, lett. b), della l. n. 14 del 2023), dato che tale scarsità, in riferimento alle caratteristiche stesse delle concessioni, è evidente, per le ragioni già bene illustrate dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 17 del 2021 e dalle già richiamate ulteriori decisioni del Consiglio di Stato, e si presume finché dall’autorità amministrativa competente (a cominciare dai Comuni) non venga acclarato invece, sulla base di apposita istruttoria, e illustrato, con specifica motivazione, che il territorio costiero di interesse presenti una quantità di risorsa adeguata e sufficiente, nel rispetto dei fondamentali valori quali la tutela dell’ambiente e del paesaggio (v. Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70), all’obiettivo dello sfruttamento economico della costa per le finalità turistico-ricreative proprie di queste concessioni. Per tali ragioni risultano prive di fondamento le tesi che conferiscono natura pregiudiziale rispetto all’oggetto del presente giudizio e alla stessa indizione delle gare le conclusioni del Tavolo tecnico, le quali, oltre al già rilevato profilo di incompatibilità con il diritto dell’Unione, in alcun modo possono condizionare o sospendere l’effetto diretto dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE; per le medesime considerazioni non vi è alcuna esigenza di acquisire in va istruttoria l’esito dei lavori, anche parziali, del Tavolo tecnico. In ogni caso, rileva ancora il Collegio, quando pure l’autorità amministrativa competente, sulla scorta di quanto appena precisato al § 30. e sotto il controllo dell’autorità giurisdizionale, ritenga non applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE che, come ha ricordato la Corte, già provvede a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel suo campo di applicazione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 61), deve comunque trovare applicazione l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento, laddove la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo. A tale riguardo, infatti, non può sottacersi che, qualora siffatta concessione riguardi in alcuni limitati e circoscritti casi una risorsa legittimamente ritenuta non scarsa ma presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione e una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del T.F.U.E. Per quanto riguarda, anzitutto, l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, occorre ricordare che, secondo la Corte, quest’ultimo deve essere valutato sulla base di tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 66). Ebbene, l’autorità amministrativa, quando pure ritenga che la risorsa naturale destinabile alla concessione per lo sfruttamento economico a fini turistico-ricreativi non sia scarsa, deve valutare comunque, per rispettare la libertà di stabilimento, se la singola concessione abbia o meno interesse transfrontaliero e, nel fare ciò, deve avere riguardo alle caratteristiche specifiche del singolo stabilimento che, anche solo per le sue caratteristiche (storiche, geografiche, ecc.), può esercitare una attrattiva per gli operatori economici stranieri, interessati a concorrere. Compete dunque alla singola autorità amministrativa un’attenta valutazione, anch’essa soggetta all’indefettibile controllo giurisdizionale, di questo interesse, che anche in questo caso non può essere solo quantitativa - in termini, qui, di sola importanza economica - ma deve essere anzitutto qualitativa, dato che le concessioni come quella in esame, come ha rilevato la Corte, in linea di principio "riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, di modo che le situazioni considerate nei procedimenti principali rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito dell’articolo 49 TFUE" (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 63, ma v. anche le considerazioni, espresse in termini generali, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 sulla "eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri" nonché, da ultimo, Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., resa in seguito ai chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia, con la quale è stato evidenziato che il mercato di riferimento "attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri"). Dalla consolidata giurisprudenza della Corte si traggono dunque i seguenti principi, che sono vincolanti non solo per ogni giudice nazionale - a cominciare dai giudici amministrativi, che non devono seguire eccentriche o arbitrarie interpretazioni delle norme in materia che hanno l’effetto di non applicare il diritto dell’Unione - ma anche per tutte le autorità amministrative, non ultime, in ragione della prossimità territoriale, quelle comunali: a) le pubbliche amministrazioni, al fine di assegnare le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, devono applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, costituendo la procedura competitiva, in questa materia, la regola, salvo che non risulti, sulla base di una adeguata istruttoria e alla luce di una esaustiva motivazione, che la risorsa naturale della costa destinabile a tale di tipo di concessioni non sia scarsa, secondo quanto sopra si è precisato in base ad un approccio che può essere anche combinato e deve, comunque, essere qualitativo (v. supra 30); b) anche quando non ritengano applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, esse devono comunque applicare l’art. 49 del T.F.U.E. e procedere all’indizione della gara, laddove la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, da presumersi finché non venga accertato che la concessione difetti di tale interesse, sulla scorta di una valutazione completa della singola concessione. Pertanto, l’obbligo di applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE o l’art. 49 del T.F.U.E. potrebbe in ipotesi ritenersi insussistente soltanto in assenza di entrambe tali imprescindibili condizioni: la scarsità della risorsa e l’interesse transfrontaliero della concessione, la cui valutazione è comunque soggetta al controllo del giudice, che ha già rilevato come sia in concreto difficilmente riscontrabile la contemporanea assenza delle due condizioni, tenuto anche conto dell’importanza e della potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale. In ogni caso e per completezza va precisato che i commi 1 e 3 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione - disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 che prorogano le scadenze di un ulteriore anno - prevedono, come meglio chiarito oltre, che la scadenza delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive, disposta al 31 dicembre 2023, possa essere differita fino al 31 dicembre 2024 solo "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva" e, dunque, presuppongono e impongono per tutte le concessioni scadute l’obbligo di assegnarle con gara in applicazione dei sovraesposti principi dell’Unione europea e dei principi del diritto nazionale di cui al successivo § 50 e senza quindi richiedere alle autorità amministrative alcuna ulteriore valutazione. Inoltre, secondo il successivo comma 2 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione (disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023), a parte le concessioni il cui titolo originario, assegnato o prorogato in base a procedura competitiva, non è ancora scaduto, l’altra sola eccezione era costituita dalle concessioni, "affidat[e] o rinnovat[e] mediante procedura selettiva con adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, con adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento", le quali "continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo e comunque fino al 31 dicembre 2023 se il termine previsto è anteriore a tale data". Per escludere la scadenza e il correlato obbligo di procedere con gara si doveva trattare, quindi, di concessioni affidate con una procedura selettiva che prevedeva la durata della concessione stessa, non rientrando in tale ipotesi il caso delle concessioni affidate con gara e alla scadenza del relativo termine di durata prorogate in modo automatico o comunque senza adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, senza adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. Mentre il citato comma 2 resta efficace per la parte in cui stabilisce che le concessioni affidate con gara continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo, che ha formato oggetto della procedura selettiva, l’eccezione in parola ha ormai esaurito la propria efficacia con lo spirare del 31 dicembre 2023, dopo il quale torna a riprendere vigore la regola della necessaria procedura competitiva inderogabile (salvo quanto si dirà per la proroga tecnica proprio in funzione della gara), una volta scaduto il precedente titolo concessorio anche se assegnato o prorogato all’esito di precedente procedura selettiva, non solo in base al diritto europeo, ma anche secondo il diritto nazionale. Sempre per completezza va infatti sottolineato che non esiste, nemmeno nell’ordinamento interno, il c.d. diritto di insistenza, essendo le concessioni, comunque, provvedimenti per loro natura limitati nel tempo, soggetti a scadenza, e comunque non automaticamente rinnovabili in favore al concessionario uscente, ma da assegnarsi, anche secondo le norme nazionali, secondo procedura comparativa ispirata ai fondamentali principî di imparzialità, trasparenza e concorrenza, dando prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico (Cons. St., sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3377). Non è fuor di luogo ricordare infatti che, anche prescindendo dall’applicabilità del diritto europeo, la giurisprudenza costante di questo Consiglio aveva chiarito che il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, sicché il relativo diniego, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell’agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione e non implica alcun “diritto d’insistenza” allorché la pubblica amministrazione intenda procedere a un nuovo sistema d’affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Pertanto, in sede di rinnovo, il precedente concessionario va posto sullo stesso piano di qualsiasi altro soggetto richiedente lo stesso titolo, con possibilità di indizione di una gara al riguardo senza necessità di particolare motivazione con riferimento al diniego della richiesta di rinnovo (Cons. St., sez. V, 25 luglio 2014, n. 3960, Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6132; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3145). In conclusione, anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, previa disapplicazione delle disposizioni nazionali che hanno introdotto le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e precisato quanto sopra circa l’elemento della scarsità delle risorse naturali, la pretesa di alcune parti di ottenere l’accertamento della spettanza della proroga della durata della concessione demaniale marittima fino al 2033 è priva di fondamento e non può essere invocata la normativa sopravvenuta per le ragioni sopra esposte. Si può ritenere compatibile con il diritto dell’Unione la sola proroga “tecnica” - funzionale allo svolgimento della gara - prevista dall’art. 3, commi 1 e 3, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche dei termini apportate dal d.l. n. 198 del 2022, laddove essa fissa come termine di efficacia delle concessioni il 31 dicembre 2023 e consente alle autorità amministrative competenti di prolungare la durata della concessione, con atto motivato, per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura competitiva e, comunque, non oltre il termine del 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa". 55.1. Affinché possano legittimamente giovarsi di tale proroga tecnica senza violare o eludere il diritto dell’Unione e la stessa l. n. 118 del 2022, però, le autorità amministrative competenti - e, in particolare, quelle comunali - devono avere già indetto la procedura selettiva o comunque avere deliberato di indirla in tempi brevissimi, emanando atti di indirizzo in tal senso e avviando senza indugio l’iter per la predisposizione dei bandi. 55.2. L’art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022 - lo si ricorda - consente infatti la proroga tecnica, testualmente, solo per il tempo strettamente necessario "alla conclusione della procedura", che deve essere stata avviata e può ritenersi avviata, secondo una interpretazione ispirata a ragionevolezza, in presenza quantomeno di un atto di indirizzo volto ad indire, finalmente, le gare, non essendo consentito comunque, sul piano logico prima ancor che cronologico, disporre una proroga tecnica finalizzata alla conclusione di una procedura di gara che nemmeno sia stata avviata, quantomeno a livello programmatico, pur di fronte a vicende contenziose o a difficoltà legate all’espletamento della procedura stessa, nell’assenza, ad oggi, di un più volte auspicato riordino sistematico dell’intera materia, dove confluiscono e trovano composizione, come ha ricordato la Corte costituzionale, molteplici e rilevanti interessi, pubblici e privati. 55.3. Tale soluzione consente di evitare le incertezze prospettate dalle parti in relazione all’imminente avvio della stagione balneare e richiede una decisione dell’ente competente in favore della indizione delle gare con conseguente possibilità di differimento del termine di scadenza delle concessioni con atto motivato, in virtù del quale fino alla data sopra indicata - il 31 dicembre 2024 - l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente, laddove prorogata alle condizioni appena chiarite, è comunque legittima anche in relazione all’art. 1161 cod. nav., come chiarisce lo stesso art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022. È compito - e ragion stessa d’essere - di questo Consiglio di Stato, quale giudice chiamato dalla Costituzione ad assicurare la tutela nei confronti della pubblica amministrazione (Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204), garantire, in relazione ai giudizi amministrativi, la piena attuazione, da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte (a cominciare da quelle comunali) nell’esercizio dei loro poteri, dei principi sin qui sanciti, che sono alla base sia del diritto europeo che dell’ordinamento costituzionale, non solo annullando gli atti illegittimi da queste poste in essere, ma anche disapplicando la normativa nazionale contrastante con il diritto dell’Unione, mentre compete al legislatore fissare le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure competitive nel generale riordino della materia al crocevia, come di recente ha chiarito la stessa Corte costituzionale, di fondamentali valori e di molteplici "interessi [...], che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino" (Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70). Questa materia infatti non può essere sottratta all’applicazione dei principi e delle regole immediatamente applicabili nell’ordinamento interno fissate dal legislatore europeo nemmeno per il tempo necessario all’indizione delle gare e alla predisposizione delle relative regole, attinenti alla materia della concorrenza, da parte del legislatore nazionale (con conseguente disapplicazione, come detto, anche dell’art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, considerato, peraltro, che la delega è ormai scaduta), salva l’adozione nell’immediato, come detto, della c.d. proroga tecnica per la stagione balneare ormai avviata e, comunque, nei limiti sopra precisati. Stante la necessità non più procrastinabile di procedere alle gare, nell’attesa di questo riordino, non sono solo le singole previsioni delle leggi regionali a poter fornire un’utile cornice normativa, ma soccorrono certamente per una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni, al fine di indirizzare nell’esercizio delle rispettive competenze l’attività amministrativa delle Regioni e dei Comuni, i principi e i criteri della delega di cui all’art. 4, comma 2 della l. n. 118 del 2022, anche se poi essi non hanno trovato attuazione essendo la delega scaduta senza esercizio. Si deve infatti considerare che, allorché la legge di delega li abbia posti, i principi e i criteri della stessa entrano senz’altro a comporre il quadro dei referenti assiologici che permeano l’ordinamento vigente e concorrono pure essi a disciplinare direttamente la materia alla quale afferiscono, se il loro contenuto prescrittivo possegga i necessari requisiti, anche quando il Governo abbia infruttuosamente lasciato scadere la delega e fino a che, ovviamente, il legislatore non provveda direttamente ad abrogarli e/o a disciplinare diversamente la materia. Tali principi e criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori per una disciplina uniforme della concorrenza in questa materia - tra i quali, ad esempio, si possono qui ricordare l’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali (lett. c), l’individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni (lett. d), la considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre attività d’impresa o di tipo professionale del settore (lett. e), 5.2.), la definizione di criteri per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante (lett. i), ma v. anche Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 54, in riferimento all’art. 12, paragrafo 3, della Dir. 2006/123/CE - saranno presi in considerazione dai Comuni, in particolare, nella predisposizione dei bandi per l’affidamento delle concessioni "sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza" (art. 4, comma 2, lett. b), l. n. 118 del 2022). Dalle ragioni, sin qui esposte, discende l’accoglimento dell’appello principale in tutti e tre i suoi motivi, mentre deve essere respinto quello incidentale. Non può infatti trovare applicazione la l. n. 145 del 2018, come pretendono gli appellanti incidentali, assumendo che l’abrogazione della l. n. 145 del 2018 da parte dell’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2022 sarebbe illegittima, con l’effetto, peraltro, già definito per analoga pretesa da questa Sezione (v. Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940) “paradossale” e ancor più contrario al diritto europeo, di far rivivere le illegittime previsioni della l. n. 145 del 2018. Non sussiste infatti nessun presunto legittimo affidamento dei concessionari sulla proroga della concessione al 2033, come ha chiarito la Corte di Giustizia UE, né può ritenersi che l’applicazione del diritto europeo sarebbero soggetta alla preventiva condizione della c.d. mappatura a livello nazionale, mentre è vero al contrario che le disposizioni nazionali che prevedono le proroghe, come detto, devono tutte immediatamente disapplicarsi, non potendo quindi essere individuato il termine del 31 dicembre 2025 come scadenza delle concessioni in ragione della disapplicazione delle modifiche alla l. n. 118 del 2022 introdotte dalla l. n. 14 del 2023. Facendo riferimento agli effetti verticali diretti inversi, alcune parti e gli appellanti incidentali lamentano che il c.d. “effetto diretto verticale” delle direttive è invero invocabile soltanto da parte degli amministrati nei confronti dello Stato inadempiente o erroneamente adempiente, ma non, all’inverso, da questo (o dai suoi organi/istituzioni) a danno dei singoli, che non hanno alcuna responsabilità di tale comportamento. Ma, come ha correttamente eccepito l’Autorità, nel caso di specie è del tutto evidente che dell’attuazione dell’art. 12 della Dir. 2006/2003/CE devono ritenersi responsabili i soli organi e apparati titolari di potestà normativa in senso proprio e che l’Autorità appellante principale, appartenente - come noto - alle c.d. Autorità amministrative indipendenti che si caratterizzano specificamente per la sottrazione delle loro principali funzioni al circuito dell’indirizzo politico che si forma nei rapporti tra Parlamento e Governo, non può certo essere assimilata alla stregua di un organo riconducibile allo “Stato inadempiente”, essendo del tutto priva di qualunque potere decisorio in ordine alle concrete modalità di attuazione della direttiva in questione nell’ordinamento italiano. 65.1. Tra l’altro, anche se si volesse prescindere dall’applicabilità dell’art. 12 della più volte citata direttiva nel presente contenzioso, è indiscutibile l’applicazione diretta dell’art. 49 del T.F.U.E. - come del resto di tutto il diritto primario europeo laddove le relative disposizioni abbiano carattere incondizionato - in presenza di un interesse transfrontaliero, la cui assenza nel caso di specie nemmeno è stata allegata prima ancor che dimostrata dal Comune di Omissis, nemmeno costituito nel presente grado del giudizio, o dagli appellanti incidentali (o da altri controinteressati nel presente giudizio), senza che a tale riguardo possa lamentarsi, dunque, l’applicazione di un effetto verticale diretto c.d. inverso, sicché non può negarsi che l’invocazione della libertà di stabilimento, fatta valere dall’Autorità, e la necessità di indire la gara possano (e anzi debbano) applicarsi anche ai soggetti le cui concessioni siano state illegittimamente prorogate dal legislatore. L’appello incidentale, dunque, deve essere respinto. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello principale dell’Autorità deve essere accolto in tutti e tre i citati motivi con la conseguente riforma della sentenza impugnata, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto in primo grado, mentre va respinto l’appello incidentale. Deve dunque essere annullata, in accoglimento del ricorso proposto in primo grado, la deliberazione n. 143 del 17 dicembre 2020 del Comune di Omissis, che provvederà sul piano conformativo ad adeguarsi a tutti i principi sopra affermati. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità delle questioni trattate, possono essere compensate tra le parti. 69.1. Il Comune di Omissis, non costituito nel presente grado del giudizio, deve essere condannato a rimborsare in favore dell’Autorità il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado nonché dell’appello principale. 69.2. Rimane definitivamente a carico degli appellanti incidentali il contributo unificato richiesto per la proposizione del loro gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello principale, proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e su quello incidentale, proposto da Li. s.r.l. e da Al. di Se.Ve. e da La.Ba. di Gi.Lu. e da Lido La.Co. s.r.l. e da La.Ve. s.a.s. e da Bo.Pi. Sp.Cl. soc. coop. a m.p. e da Gi. di Pu. di Ma.Gr.Co. & C. s.a.s. e da De. s.r.l. e da L’A. Soc Coop e da Ch.Sa.Gi. e da Il.19. S.r.l. e da Lido Pa. s.r.l. e da Si.An. e di Oi.S.r.l. e da Sp.Cl. di So.An., accoglie il primo e respinge il secondo e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e annulla la deliberazione n. 143 del 17 dicembre 2020 della Giunta comunale di Omissis. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Condanna il Comune di Omissis a rimborsare in favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado e dell’appello principale. Pone definitivamente in solido a carico di Li. s.r.l. e di Al. di Se.Ve. e di La.Ba. di Gi.Lu. e di Lido La.Co. s.r.l. e di La.Ve. s.a.s. e di Bo.Pi. Sp.Cl. Soc. Coop. a m.p. e di Gi. di Pu. di Ma.Gr.Co. & C. s.a.s. e di De. s.r.l. e di L’A. Soc Coop e di Ch.Sa.Gi. e di Il.19. s.r.l. e di Lido Pa. s.r.l. e di Si.An. e di Oi.s.r.l. e di Sp.Cl. di So.An. il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello incidentale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024, con l’intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Massimiliano Noccelli Roberto Chieppa

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1975 del 2021, proposto dal Comune di Lecce, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato La.As. e dall’Avvocato Si.La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro An.Ca., rappresentato e difeso dall’Avvocato Fr.Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Federbalneari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Fe.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad adiuvandum rispetto all’appello proposto dal Comune di Lecce: Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato An.Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; ad opponendum rispetto all’appello proposto dal Comune di Lecce: Su. s.a.s. di Ro.Va.De.Be., in persona del legale rappresentante pro tempore, A&. s.r.l.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Su.Ce., Pe. s.a.s. di Bo.St. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Ma.Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Bo.Ga. e C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Vi.De.Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Cooperativa Ba.Se. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Di.De.Ca., dall’Avvocato Eu.Ga. e dall’Avvocato Ca.Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comitato Coordinamento Concessionari Demaniali Pertinenziali Italiani, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ba.Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari Confcommercio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato An.Ca., dall’Avvocato Ma.Al.Sa., dall’Avvocato St.Fr. e dall’Avvocato Ba.Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Il.Li. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gi.Lu.Ma., dall’Avvocato Fr.Co.Or. e dall’Avvocato Gi.St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ch.In. a r.l, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Fr.Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via (...); Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gi.Br., dall’Avvocato Vi.Ce.Ir., dall’Avvocato St.Va., dall’Avvocato Al.Fr. e dall’Avvocato Si.Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Gi.Br. in Roma, via (...); Asso.N.A.T. - Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Confindustria Nautica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocato Ma.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; CNA Balneatori Puglia e Lidi del Salento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Da.Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Al. e Va.Ra. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Colonia Marina Pa.So. di Ba.Si., Consorzio Nautica da diporto Rapallo, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ca. Consorzio, in persona del legale rappresentante pro tempore, Na.Sp. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Le.Do. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Li.Az. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Nautica Sa.Mi.di.Pa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ag.Mo.Li. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ar.Do.Pa. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ma.To., Bi.Mo. e De.Fe. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Va.Ma., Gi.Gn., La.Ma. s.n. c. di Gi.Sa. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Si. di Ni.An. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba. dei So. - Sa. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ar. di Pe.Pa. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ti. di Ge.Pa. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Pa. di Ca.Lo., Ke.Cu., Ba.Br. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Vi. di Ma. Fr. & C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ti. di Fe.Pa. e Ma. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.St. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.En. di Ba.To. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ma. S.a.s. di Si.Ma. e Gr.& C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Be. s.a.s. di La.An., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ni. s.a.s. di Ga.Si., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Mi. di Be.St. & Da. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Mi. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ge.Ba.Ma. s.n. c. di Bo., in persona del legale rappresentante pro tempore, Al.Be. s.a.s. di Ma.Gh., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Gi. di Bo.Ru. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.s.a.s. di Gh.Ma. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Sp. s.a.s. di Sa.G. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ba.Az. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Albergo Ce. di Re.Fr., Ba.Se. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ti.Be. di Ar.s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ci. s.n. c. di Fe.Ve., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Es. di Pe. e Ca.Fr. ed En. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ni. di Pa.Na. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Or. di Lu.Fr. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.La.Se. di Mi.Cl. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ca.El. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Mo.Pa. di Pa.Pi., Ar. s.a.s. di Be.An. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Consorzio Ormeggiatori Sa.Mi., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Cr.Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ma.Ba., Fe.Bo., Do.Ga., Ma.Pe., Gi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ca. del Go. di Fi.Do. & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, Na. S. An. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Li.La. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ba.Ed. s.a.s. di Ed.Pe., in persona del legale rappresentante pro tempore, Al.Fr. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Al.Ce., dall’Avvocato Ma.Ba. e dall’Avvocato Fr.Pa.Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Fr.Pa.Tr. in Roma, via (...); Sa.Ca., Ba.Ti. di Ca.Sa. & C. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, CNA Balneari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Ro.Ri. e dall’Avvocato Et.Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Assobalneari Italia - Associazione Imprenditori Turistici Balneari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Pi.Li., dall’Avvocato Ni.Ma. e dall’Avvocato Vi.Fa.Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Ni.Ma. in Bari, via (...). per la riforma della sentenza n. 73 del 15 gennaio 2021 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, resa tra le parti, che ha annullato il diniego di proroga di concessione demaniale per finalità turistico-ricreative, di cui alla delibera n. 342 dell’11 novembre 2020 del Comune di Lecce, emesso nei confronti dell’odierno appellato nonché ricorrente in prime cure, An.Ca.. visti il ricorso in appello e i relativi allegati; vista la sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 delle Sezioni Unite della Cassazione, che ha annullato la sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria, e vista l’ordinanza n. 786 del 9 gennaio 2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza n. 4072 del 23 maggio 2022; visti gli atti di costituzione in giudizio di An.Ca. e di Federbalneari e di Cooperativa Ba.Se. a r.l.; visti tutti gli atti della causa; relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per il Comune di Lecce, odierno appellante, l’Avvocato La.As. e l’Avvocato Si.La., per Federbalneari, interventrice ad opponendum, l’Avvocato Ug.De.Lu. in sostituzione dell’Avvocato Fe.Ma., per l’appellato An.Ca. l’Avvocato Fr.Ve., per Bo.Ga. e C. s.n. c., interventrice ad opponendum, l’Avvocato Vi.De.Mi., per CNA Balneatori Puglia e Lidi del Salento, interventrice ad opponendum, l’Avvocato Da.Lo., per la Cooperativa Ba.Se. a r.l., interventrice ad opponendum, l’Avvocato Gi.Co. per delega dell’Avvocato Di.De.Ca., per Asso.N.A.T. - Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici e per Confindustrina Nautica, interventrici ad opponendum, l’Avvocato Ni.D’I. per delega dell’Avvocato Ma.Ma., per S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari Confcommercio, interventore ad opponendum, l’Avvocato An.Ca., l’Avvocato Ma.Al.Sa. e l’Avvocato St.Fr. e l’Avvocato Ba.Ra., che rappresenta e difende anche il Comitato Coordinamento Concessionari Demaniali Pertinenziali Italiani, pure esso interventore ad opponendum, per la Regione Abruzzo, interventrice ad opponendum, l’Avvocato Vi.Ce.Ir., l’Avvocato St.Va. e l’Avvocato Si.Fe. e per Assobalneari Italia - Associazione Imprenditori Turistici Balneari, interventrice ad opponendum, l’Avvocato Ni.Ma.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento adottato dal Comune di Lecce, che nel 2020 ha denegato la proroga della concessione demaniale marittima fino al 2033 in forza dell’allora vigente art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018 richiesta dall’odierno appellato, An.Ca., titolare di detta concessione, il quale esercita l’attività di stabilimento balneare in Lecce, località Omissis. 1.1. In prossimità della scadenza del titolo concessorio alla data del 31 dicembre 2020, l’interessato ha infatti proposto una istanza al Comune di Lecce al fine di conseguire la proroga fino al 31 dicembre 2033 ai sensi del già richiamato art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018. 1.2. Con la delibera n. 342 dell’11 novembre 2020 della Giunta, il Comune di Lecce ha deliberato di esprimere diniego sull’istanza di proroga di cui alla l. n. 145 del 2018 e di rivolgere formale interpello al concessionario al fine di conoscere se lo stesso intendesse avvalersi della facoltà di prosecuzione dell’attività di cui all’art. 182 del d.l. n. 34 del 2020 convertito in l. n. 77 del 2020, con contestuale pagamento del canone per l’anno 2021 oppure, in via alternativa, di non avvalersi di tale facoltà e di accettare una proroga tecnica della concessione per la durata di anni tre. 1.3. In tale delibera, più precisamente, il Comune di Lecce ha previsto: che, nel caso di scelta per la prima opzione, la proroga annuale risulterebbe limitata al titolo concessorio, con l’esclusione pertanto degli aspetti edilizi, attesa la scadenza di quelli in essere alla data del 31 dicembre 2020, ponendosi a carico del concessionario l’obbligo di effettuare monitoraggio delle aree demaniali nei modi e nei tempi previsti dall’art. 17 delle NTA annesse al Piano comunale delle coste - di qui in avanti, per brevità, anche PCC - in via di approvazione. che, nel caso di scelta per la seconda opzione, la proroga tecnica triennale comporterebbe anche il rilascio del titolo edilizio per uguale periodo, il tutto subordinato tuttavia alla formale dichiarazione di rinuncia all’utilizzazione dell’area alla scadenza e fermo restando l’obbligo del monitoraggio dell’erosione dell’area demaniale. 1.4. Alla delibera citata hanno fatto seguito i provvedimenti dirigenziali con cui è stata respinta l’istanza di proroga e l’istanza di annullamento in autotutela della delibera medesima. L’interessato, non avendo espresso preferenza per alcuna delle due opzioni offerte dal Comune e ritenendo di avere diritto alla proroga della concessione fino al 2033 ai sensi della l. n. 145 del 2018, ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), impugnando la delibera di Giunta succitata nonché i provvedimenti dirigenziali conseguenti, chiedendone l’annullamento in una con la domanda di accertamento del diritto al conseguimento della proroga del titolo, deducendo i motivi di censura che, per la comunanza delle questioni proposte, possono sinteticamente rappresentarsi come segue: 1, 2 e 3: la violazione dell’art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018 e dell’art. 182, comma 2, della l. n. 77 del 2020 nonché l’eccesso di potere per erronea presupposizione in diritto, difetto di motivazione e di istruttoria; 4 e 5: la violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 90, la violazione dell’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 nonché la violazione dell’art. 49 del T.F.U.E. nonché la violazione del legittimo affidamento; 6: la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto vari profili, in particolare con riferimento alla mancata previsione di proroga anche dei titoli edilizi nel caso di scelta per l’opzione n. 1; 7: la violazione della l. n. 241 del 1990 per l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della stessa l. n. 241 del 1990. 2.1. Il ricorrente in prime cure ha chiesto, altresì, l’accertamento del diritto al rilascio della proroga nonché l’accertamento del diritto al mantenimento delle strutture di facile amovibilità. 2.2. Si è costituito nel primo grado del giudizio il Comune di Lecce contestando le avverse deduzioni e chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ovvero, in subordine, pervenirsi alla reiezione dello stesso. 2.3. La Federazione Imprese Balneari ha spiegato nel primo grado del giudizio atto di intervento ad adiuvandum, chiedendo l’accoglimento del ricorso, con vittoria delle spese di lite. 2.4. In sede di memoria conclusiva il Comune di Lecce ha eccepito, altresì, l’inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum. 2.5. Con il decreto presidenziale n. 819/2020 è stata accordata tutela cautelare monocratica alla parte ricorrente. 2.6. Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2021, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Presidente del Tribunale ha reso edotte le parti dell’intendimento del Collegio di definire il ricorso nel merito con sentenza ai sensi dell’art. 60 c.p.a. Infine, con la sentenza n. 73 del 15 gennaio 2021, il Tribunale ha accolto in parte il ricorso, dichiarandolo in parte inammissibile per alcuni limitati profili, non contestati in sede di appello, relativi al termine di validità del permesso di costruire e al mantenimento delle strutture amovibili. 3.1. Secondo il primo giudice, in sintesi, la delibera n. 342 dell’11 novembre 2020 sarebbe illegittima perché adottata in palese violazione della l. n. 145 del 2018 e cioè, a suo dire, l’unica normativa che possa applicarsi nella specie, attesa la prevalenza della legge nazionale sulla Dir. 2006/123/CE, che non sarebbe self-executing e pertanto non sarebbe suscettibile di diretta ed immediata applicazione per difetto dei presupposti, necessitando di apposita normativa nazionale attuativa e di riordino del settore e traducendosi in tal modo la c.d. disapplicazione in evidente mera violazione della legge (disapplicazione in senso assoluto). 3.2. Né potrebbe avere rilevanza in senso contrario la palese violazione da parte dello Stato Italiano degli obblighi derivanti dalla sua adesione al Trattato U.E., atteso che la fattispecie in esame attiene al rapporto Stato/cittadino, diverso e parallelo rispetto al rapporto Stato/Unione europea. 3.3. Dalle ragioni sin qui ricordate ad avviso del Tribunale discenderebbe l’illegittimità degli impugnati provvedimenti sia con riferimento al diniego della proroga ex lege sia con riferimento alla cd. proroga tecnica condizionata, dovendosi conseguentemente accertare e dichiarare il diritto della parte ricorrente di conseguire la proroga del titolo concessorio in essere per la durata prevista dalla l. n. 145 del 2018 e, cioè, fino al 31 dicembre 2033, atteso che il diritto alla proroga risulta direttamente sancito dall’art. 1, commi 682 ss., della stessa l. n. 145 del 2018. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Lecce, lamentandone l’erroneità per avere essa ritenuto, erroneamente, che la Dir. 2006/123/CE non fosse immediatamente applicabile, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma. 4.1. Si è costituito l’appellato An.Ca. per chiedere la reiezione dell’appello. 4.2. Con l’ordinanza n. 1980 del 15 aprile 2021 la V sezione di questo Consiglio di Stato ha respinto la domanda cautelare del Comune appellante. Con il successivo decreto n. 160 del 24 maggio 2021 il Presidente del Consiglio di Stato, nel ritenere che le questioni dibattute nel presente giudizio, come in quello analogo avente R.G. n. 311 del 2011 e pendente avanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, fossero della massima importanza, ai sensi dell’art. 99, comma 2, c.p.a., ha fissato l’udienza del 13 ottobre 2021 avanti alla Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato per la trattazione di questa causa e di quella appena indicata e ha statuito di deferire alla medesima Adunanza le seguenti questioni: 1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e, in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all’accertamento dell'efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva; 2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio; 3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall’art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, come modificato in sede di conversione dalla l. n. 77 del 2020, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, debbano intendersi quali "aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto" anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell'art. 1, commi 682 e seguenti, della l. n. 145 del 2018. 5.1. È successivamente intervenuto ad opponendum rispetto all’appello del Comune, con l’atto depositato il 26 agosto 2021, il Comitato Coordinamento Concessionari Demaniali Pertinenziali Italiani. 5.2. Sono altresì intervenuti ad opponendum sempre rispetto all’appello del Comune, con l’atto depositato il 2 settembre 2021, Su. s.a.s. di Ro.Va.De.Be., A&. s.r.l.s, Ceccovecchi Su.Ce. e Pe. S.a.s. di Bo.St. & C. 5.3. È intervenuto sempre ad opponendum, con l’atto depositato il 2 settembre 2021, il S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari. 5.4. È intervenuta sempre ad opponendum, con l’atto depositato il 7 settembre 2021, Il.Li. s.r.l. 5.5. È intervenuta sempre ad opponendum, con l’atto depositato il 10 settembre 2021, Ch.In. a r.l. 5.6. È intervenuta ancora ad opponendum, con l’atto depositato l’11 settembre 2021, la Regione Abruzzo. 5.7. È altresì intervenuta ad opponendum, con l’atto depositato il 13 settembre 2021, Asso.N.A.T. - Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici. 5.8. È intervenuta ad opponendum, con l’atto depositato il 13 settembre 2021, CNA Balneatori Puglia e Lidi del Salento. 5.9. Sono altresì intervenuti ad opponendum, con l’atto depositato il 17 settembre 2021, Al. e Va.Ra. s.r.l. e altri numerosi concessionari, titolari di stabilimenti balneari sulla costa ligure, meglio in epigrafe indicati. 5.10. È intervenuto ad adiuvandum rispetto all’appello del Comune di Lecce, con l’atto depositato il 28 settembre 2021, il Comune di Omissis. 5.11. È intervenuta ad opponendum rispetto all’appello del Comune di Lecce, con l’atto depositato il 18 ottobre 2021, la Cooperativa Ba.Se. a r.l. Con la successiva sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 - e con la coeva sentenza gemella n. 17 pronunciata nel citato giudizio avente R.G. n. 311 del 2011 e pendente avanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana - l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha affermato nel presente giudizio i seguenti principî di diritto: 1) le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, convertito in l. n. 77 del 2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 T.F.U.E. e con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione; 2) ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla pubblica amministrazione (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari e, comunque, vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata: la non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam si non essent, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla pubblica amministrazione o l’esistenza di un giudicato giacché, venendo in rilievo un rapporto di durata, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto; 3) al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedura di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E. 6.1. In ragione di tanto, e delle diffuse motivazioni che si leggono nella sentenza n. 18 (come in quella n. 17) del 2021, senza definire il giudizio nel merito ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., l’Adunanza plenaria: a) ha dichiarato inammissibili gli interventi, estromettendoli dal giudizio, del Sindacato italiano balneari (S.I.B.), dell’Associazione nazionale approdi e porti turistici, dell’Associazione CNA Balneatori Puglia e Lidi del Salento, del Comitato coordinamento concessionari demaniali pertinenziali italiani, della Regione Abruzzo, del Comune di Omissis, dei concessionari demaniali indicati in epigrafe nonché, in parziale riforma della sentenza appellata, della Federazione italiana imprese demaniali, intervenuta nel primo grado del giudizio ad adiuvandum rispetto al ricorso di An.Ca.; b) ha enunciato i principi di diritto di cui sopra, al § 6, appena menzionati; c) ha restituito gli atti alla V Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio. Con la successiva istanza di prelievo depositata il 30 novembre 2021 il Comune di Lecce ha chiesto la fissazione dell’udienza pubblica per la discussione dell’appello. 7.1. Essendo stata istituita nel frattempo la VII sezione giurisdizionale di questo Consiglio di Stato, alla quale è stata assegnata, tra le altre, anche la materia delle concessioni demaniali marittime, la causa è stata fissata per l’udienza del 19 aprile 2022 avanti al Collegio di questa Sezione. 7.2. È intervenuta ad opponendum, con l’atto depositato il 17 marzo 2022, Assobalneari Italia - Associazione Imprenditori Turistici Balneari, insieme con tutti gli altri concessionari meglio in epigrafe indicati. 7.3. Sono intervenute sempre ad opponendum, con l’atto depositato il 18 marzo 2022, CNA Balneari e della Soc. Ba.Ti. di Ca.Sa. & C. s.n. c. 7.4. È altresì intervenuta sempre ad opponendum, con l’atto depositato sempre il 18 marzo 2022, Confindustria Nautica. 7.5. È nuovamente intervenuto sempre ad opponendum, con l’atto depositato il 18 marzo 2022, S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari. 7.6. All’esito dell’udienza pubblica del 19 aprile 2022, con la sentenza n. 4072 del 23 maggio 2022 questa Sezione, dopo avere dichiarato inammissibili gli interventi di Assobalneari Italia - Associazione imprenditori turistici balneari e dagli operatori del settore con essa collettivamente costituitisi, di CNA Balneari e Ba.Ti. di Ca.Sa. & C. s.n. c. e di Cooperativa Ba.Se. a r.l., ha accolto l’appello proposto dal Comune di Lecce e, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto il ricorso proposto in primo grado da An.Ca.. 7.7. In sintesi, secondo tale sentenza, che ha fatto propri, e ha dato ad essi seguito nel definire il presente giudizio, i vincolanti principi affermati dall’Adunanza plenaria, il ricorrente in prime cure, nonché odierno appellato, An.Ca. non poteva beneficiare della proroga della propria concessione ai sensi dell’art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018, giudicata in sede nomofilattica contraria al diritto dell’Unione europea e dunque disapplicabile, anche dall’amministrazione concedente e, in questa linea, il diniego impugnato avanti al Tribunale, fondato proprio sulla prevalenza del diritto sovranazionale, è pertanto legittimo. 7.8. Il Collegio giudicante ha ritenuto anche di respingere le censure assorbite dal primo giudice e riproposte da An.Ca. ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., rilevando, in particolare, che il diritto di ottenere la proroga in base alla legislazione emergenziale e, in particolare, in base all’art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020, è anch’esso, al pari della normativa di cui alla l. n. 145 del 2018, contrastante con il diritto dell’Unione, che deve condurre alla disapplicazione anche di tutta la legislazione emergenziale medesima, come ha statuito sempre l’Adunanza plenaria. 7.9. Infine, con riguardo a quanto da ultimo dedotto dal concessionario e, cioè, sulla necessità di svolgere una valutazione "caso per caso" dell’interesse transfrontaliero della scarsità della risorsa naturale, la quale nello specifico caso del Comune di Lecce porterebbe ad una accertamento negativo, per l’ampiezza di superfici libere, la Sezione ha invece ribadito che l’Adunanza plenaria ha considerato che i due presupposti in questione sono integrati in relazione al patrimonio costiero nazionale nella sua interezza, come risulta chiaramente riportati passaggi motivazionali della sentenza resa in sede nomofilattica. Successivamente, a seguito di ricorso per cassazione proposto sia contro la sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria che contro la sentenza n. 4072 del 23 maggio 2022 di questa Sezione, le Sezioni Unite della Cassazione: a) con la sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 hanno dapprima accolto il primo motivo di ricorso proposto da S.I.B. e, in via incidentale adesiva, da Asso.N.A.T. e dalla Regione Abruzzo e hanno annullato la sentenza n. 18 del 2021 della medesima Adunanza plenaria per avere essa "omesso qualsiasi valutazione degli statuti delle associazioni ricorrenti (SIB e ASSONAT), i cui interventi sono stati globalmente dichiarati inammissibili, con conseguente loro estromissione dal giudizio, al pari degli interventi di altre associazioni ed enti eterogenei, anche istituzionali, come la Regione Abruzzo, non già all’esito di una verifica negativa in concreto delle condizioni di ammissibilità dei loro interventi (indicate dalla giurisprudenza amministrativa), ma come effetto di un aprioristico diniego di giustiziabilità dell’interesse collettivo proprio delle stesse associazioni ed enti"; b) con l’ordinanza n. 786 del 9 gennaio 2024 hanno poi annullato, conseguentemente, anche la sentenza n. 4072 del 23 maggio 2022 di questa Sezione, per avere estromesso dal giudizio Confindustria Nautica e la stessa Asso.N.A.T. Con l’atto depositato il 22 febbraio 2024 l’appellato An.Ca. ha provveduto a riassumere il giudizio dopo le due pronunce annullatorie della Cassazione, riproponendo altresì, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., le censure già articolate in primo grado e assorbite dal Tribunale. 9.1. Con l’atto depositato il 23 febbraio 2024 la Regione Abruzzo ha egualmente provveduto a riassumere il giudizio avanti a questa Sezione VII - e, ove occorra, anche avanti all’Adunanza plenaria - dopo l’annullamento disposto dalle Sezioni Unite. 9.2. Con l’atto depositato il 23 febbraio 2024 anche il S.I.B. - Sindacato Italiano Balneari ha provveduto a riassumere il giudizio in funzione di intervento opponendum, in particolare, avanti all’Adunanza plenaria dopo l’annullamento della sentenza n. 18 del 2021 della medesima Adunanza. 9.3. È intervenuta ad adiuvandum rispetto al ricorso proposto in primo grado da An.Ca., con l’atto depositato il 2 marzo 2024, Bo.Ga. e C. s.n. c. 9.4. Si è costituita il 25 marzo 2024 anche Federazione Imprese Balneari, per chiedere la reiezione dell’appello. 9.5. È intervenuta ad opponendum rispetto all’appello del Comune, con l’atto depositato il 6 maggio 2024, Cooperativa Ba.Se. a r.l. 9.6. È infine intervenuta ad opponendum sempre rispetto all’appello del Comune, con l’atto depositato il 7 maggio 2024, anche Assobalneari Italia - Associazione imprenditori turistici Balneari. 9.7. Le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 73 c.p.a. (e, in particolare, Asso.N.A.T. e Confindustria Nautica il 5 aprile 2024 e S.I.B. la memoria di replica il 16 aprile 2024). 9.8. Nell’udienza pubblica del 7 maggio 2024 il Collegio, dato atto dei depositi documentali effettuati dalla Regione Abruzzo e dal Comune di Lecce, riservandosi ogni provvedimento sull’ammissibilità e rilevanza di tali atti, sentiti tutti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione all’esito di ampia discussione orale. L’appello del Comune è fondato. In via preliminare, quanto alla procedibilità, è sufficiente rilevare che permane l’interesse del Comune di Lecce a ottenere l’annullamento della sentenza impugnata, che, oltre ad avere annullato atti del Comune, ha accertato il diritto del ricorrente a conseguire la proroga del titolo concessorio fino al 31 dicembre 2033. 11.1. Ancora in via preliminare, quanto all’ammissibilità degli interventi spiegati nel presente giudizio (e, in particolare, nella pregressa fase avanti all’Adunanza plenaria), questa Sezione, prendendo atto di quanto hanno statuito le Sezioni Unite con la citata sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 nonché con la citata ordinanza n. 786 del 9 gennaio 2024, deve disporre l’ammissibilità degli interventi di tutte le associazioni (S.I.B., Asso.N.A.T., Confindustria Nautica, ma anche CNA Balneari) o enti (la Regione Abruzzo, ad opponendum rispetto all’appello, ma anche, si deve qui aggiungere, e specularmente il Comune di Omissis, ad adiuvandum rispetto alle ragioni fatte valere dal Comune di Lecce appellante), portatori di interessi collettivi di rilievo rispetto alle questioni dibattute nel presente giudizio. 11.2. Le Sezioni Unite hanno infatti chiarito che l’estromissione di tali associazioni o enti portatori di interessi collettivi ha concretato "un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto", sicché questo Collegio, tenuto conto di quanto statuito con efficacia di giudicato dalle Sezioni Unite e avuto riguardo alle finalità statutarie di tutte tali associazioni o a quelle generali perseguite dagli enti (come ad esempio la Regione Abruzzo), non può che ammettere i relativi interventi nel presente giudizio, dove gli interventori hanno potuto esercitare, dopo l’annullamento delle Sezioni Unite, ampiamente le proprie facoltà difensive, depositare memorie e atti nonché interloquire, nel contraddittorio tra le parti, all’udienza pubblica del 7 maggio 2024. 11.3. Va infatti ricordato - come sopra si è visto (v. § 6.1.) - che l’Adunanza plenaria, dopo avere estromesso gli interventori e affermato i principî di diritto di cui si è detto, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a. ha restituito per il resto il giudizio alla Sezione, che era ed è stata nuovamente investita della questione. 11.4. Solo quanto all’intervento spiegato da Confindustria Nautica e da Asso.N.A.T., e con esclusivo riferimento alle concessioni per la nautica da diporto, ferme le finalità statutarie perseguite dalle interventrici e la loro non più qui discutibile legittimazione, sul piano soggettivo, ad intervenire, in ossequio al dictum delle Sezioni Unite nella sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023 e nell’ordinanza n. 786 del 9 maggio 2024, si deve rilevare che la richiesta, da queste formulata, di differenziare i principi di diritto affermabili in relazioni alla concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative rispetto a quelle portuali non può ritenersi ammissibile nel presente giudizio sul piano oggettivo, con riferimento alla causa petendi, non essendo consentito, nemmeno con l’intervento proposto ai sensi dell’art. 28 c.p.a., ampliare il thema decidendum, sul piano oggettivo, perché, comunque, per valutare l’interesse all’intervento l’indagine deve essere condotta dal giudice in astratto, in base alla effettiva causa petendi quale si desume dal complesso delle affermazioni del soggetto che agisce in giudizio, e non già in concreto all’esito del giudizio (Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596), sicché la pretesa dell’interventore di ottenere una pronuncia su una questione che non è oggetto nemmeno del giudizio non può essere ammessa nel presente giudizio. 11.5. In applicazione del criterio della “ragione più liquida” e della peculiarità del caso di specie, in cui le Sezioni unite hanno fornito una (qui vincolante) interpretazione particolarmente ampia dell’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, oltre che dei motivi inerenti la giurisdizione (v., sul punto, le condivisibili considerazioni di Cons. St., sez. VII, 19 febbraio 2024, n. 1653, in relazione anche alle ricadute applicative sull’art. 105 c.p.a.), si prescinde dall’esame di ogni ulteriore eccezione, anche d’ufficio, sulle parti intervenienti, potendo la controversia essere decisa, tenuto conto di tutte le difese svolte, sulla base dei principi che verranno di seguito esposti e fermo restando che non si intende in questa sede affrontare (e quindi mettere in discussione) i principi che regolano il processo amministrativo e che precludono la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris. Il Collegio deve ora scrutinare sempre in via preliminare le richieste di rimessione della causa all’Adunanza plenaria, alla Corte costituzionale e alla Corte di Giustizia UE formulate, in particolare, dall’interveniente S.I.B. e dalla Regione Abruzzo e, in via adesiva, anche dall’appellato An.Ca., come è emerso anche nel corso della discussione orale dei difensori svoltasi all’udienza pubblica del 7 maggio 2024. 12.1. Quanto alla rimessione della causa all’Adunanza plenaria, S.I.B. e la Regione Abruzzo insistono per la rimessione delle questioni all’Adunanza plenaria perché, esse sostengono, dopo la sentenza n. 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria, annullata dalle Sezioni Unite, vi sono state rilevanti sopravvenienze normative e, soprattutto, la sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Ginosa), che ha posto l’accento, ai fini, sulla scarsità della risorsa, e tali circostanze, in sintesi, non solo giustificherebbero, ma persino imporrebbero una rimeditazione dell’intera materia da parte dell’Adunanza plenaria, una volta ammessi gli interventi illegittimamente esclusi dalla stessa Adunanza e, successivamente, anche da questa Sezione con le due sentenze annullate dalla Cassazione. 12.2. Più in particolare, anche il S.I.B., nella memoria di replica depositata il 16 aprile 2024, ha sostenuto che il vulnus di giustizia rilevato dalla Corte di Cassazione debba essere rimediato dal medesimo supremo consesso - e, cioè, l’Adunanza plenaria - che ha delibato la pronuncia cassata, ripronunciandosi sulle questioni deferitegli con il decreto n. 160/2021 del Presidente del Consiglio di Stato alla luce dei contributi difensivi degli interventori ingiustamente pretermessi. 12.3. Va da sé, sostiene S.I.B., che qualora ciò non avvenisse, e l’odierno giudizio fosse direttamente deciso da questa Sezione, vi sarebbe un nuovo e ulteriore diniego di giustizia e/o di giurisdizione, in violazione di quanto statuito dalle Sezioni Unite, tanto più che l’Adunanza plenaria è stata a suo tempo investita delle questioni de quibus con la procedura straordinaria del decreto presidenziale di cui all’art. 99, comma 2, c.p.a., proprio per la loro particolare rilevanza economico-sociale, che rende insostituibile la pronuncia del supremo consesso amministrativo, tenendo conto dei contributi processuali di tutti gli interventori che esso, invece, aveva pregiudizialmente escluso, nella sede in cui sono enunciati principi nomofilattici vincolanti per le sezioni semplici. 12.4. Analoghe argomentazioni, anche per via dell’importanza delle questioni trattate nel presente giudizio, sono state ribadite da altre parti - e, in particolare, dalla difesa dell’appellato An.Ca. - in sede di discussione orale all’udienza pubblica del 7 maggio 2024. 12.5. La richiesta di rimessione all’Adunanza plenaria è tuttavia priva di fondamento non solo e non tanto perché, come pure hanno ricordato le stesse parti richiedenti, la coeva e gemella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria mantiene ad oggi per le ragioni che ora si diranno tutta la sua efficacia sul piano nomofilattico, nonostante la proposizione “postuma” di un ulteriore ricorso per cassazione anche contro tale sentenza da parte di molti concessionari - che non furono parti di quel giudizio - nel marzo di quest’anno, ma soprattutto perché la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32559 del 23 novembre 2023, ha statuito che l’arretramento della giurisdizione rispetto alla cognizione giurisdizionale debba comportare la giustiziabilità degli interessi collettivi rappresentati dagli interventori ingiustamente esclusi avanti al Consiglio di Stato e ha annullato la sentenza dell’Adunanza con rinvio della causa avanti a questo Consiglio, senza ulteriori precisazioni (che del resto non avrebbe potuto fare) in ordine alla composizione del Collegio giudicante (sezione semplice o Adunanza plenaria), affermando che - così, testualmente - "spetterà al Consiglio di Stato pronunciarsi nuovamente, anche alla luce delle sopravvenienze legislative, avendo il Parlamento e il Governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti". 12.6. La riprova che le Sezioni Unite non abbiano inteso (né avrebbero potuto) rimettere la causa direttamente avanti all’Adunanza plenaria - che non costituisce, del resto, un organo decidente separato e differenziato dal Consiglio di Stato, ma proprio l’espressione massima della collegialità del Consiglio stesso - sta proprio, del resto, nella successiva ordinanza n. 826 del 9 gennaio 2024 laddove le Sezioni Unite hanno cassato anche la sentenza n. 4072 del 2022 di questa Sezione, rinviando la causa sempre avanti a questo Consiglio di Stato, senza ulteriore specificazione. 12.7. È evidente che i due rinvii si riferiscono e non possono che riferirsi alla medesima causa e, cioè, a questa avente R.G. n. 1975 del 2021, che non può essere stata rimessa dalle Sezioni Unite che avanti alla Sezione competente a deciderla e, cioè, la Sezione VII di questo Consiglio di Stato, salvo che essa, investita del giudizio in seguito alla riassunzione, non ritenga che sussistano i presupposti per rimettere la questione all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., come era stato fatto a suo tempo dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto n. 160 del 24 maggio 2021 (v., supra, § 5). 12.8. L’art. 99 del codice del processo amministrativo prevede due sole modalità di deferimento alla Adunanza plenaria: mediante ordinanza della sezione cui è assegnato il ricorso (comma 1) o con deferimento da parte del Presidente del Consiglio di Stato (comma 2) ed è pacifico che dopo i due interventi delle Sezioni unite non vi sia stato alcun nuovo deferimento alla Adunanza plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99, comma 2, c.p.a., sicché solo questa Sezione può provvedere a un nuovo deferimento in presenza dei presupposti di cui al comma 1 dello stesso citato art. 99 ("se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali"). E questi presupposti anche dopo l’annullamento (per ragioni che esulano dal merito dei principi allora affermati) della sentenza n. 18 del novembre 2021 non sussistono perché la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pacifica nell’affermare i principi di cui si dirà oltre senza che vi sia alcun contrasto tra sezioni o all’interno di questa sezione e, inoltre, né le sopravvenienze normative né la sentenza della Corte di Giustizia del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Ginosa) hanno inciso sulla rilevante attualità di quei principi, a tutt’oggi validi, che devono condurre all’immediata disapplicazione delle proroghe in favore dei concessionari, anche laddove esse si fondino sulle illegittime e disapplicabili sopravvenienze normative di cui alla l. n. 118 del 2022 o di cui al d.l. n. 198 del 2022, conv. in l. n. 14 del 2023, e all’altrettanto immediata indizione delle gare. 13.1. La permanente efficacia della coeva sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza plenaria costituisce, quindi, solo uno degli elementi che confermano l’assenza dei presupposti per un deferimento della presente controversia all’Adunanza plenaria, al quale si aggiungono le numerose sentenze che proprio con riferimento alle sopravvenienze normative richiamate dalla Cassazione hanno in modo granitico confermato la necessità di disapplicare le varie proroghe e di procedere all’indizione delle gare, come verrà meglio precisato oltre (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2024, n. 3963). 13.2. Si tratta peraltro di sentenze che hanno tutte affrontato le modifiche normative sopravvenute rispetto alle decisioni dell’Adunanza plenaria e in relazione alle quali, oltre a non sussistere alcun vincolo derivante dal contenuto delle due sentenze dell’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., non si è formato alcun contrasto giurisprudenziale, essendo stata sempre seguita la tesi della disapplicazione delle proroghe anche sopravvenute. 13.3. Né si opponga che la mancata trattazione della causa avanti alla Plenaria lederebbe in ipotesi ancora una volta il diritto degli interventori a rappresentare gli interessi di cui sono enti esponenziali avanti all’organo della nomofilachia amministrativa perché non esiste e non è mai esistito - né mai esisterà - nel processo amministrativo uno specifico, e privilegiato o addirittura incondizionato e assoluto, interesse degli interventori ad adiuvandum a far valere gli interessi collettivi, di cui si fanno portatori, e a cooperare alla formazione della regola del giudizio, con il loro apporto processuale, avanti ad una sezione “semplice” del Consiglio di Stato anziché avanti all’Adunanza plenaria - quando pure esso sia asceso, per usare le parole delle Sezioni Unite, al "massimo grado" avanti all’Adunanza plenaria - e, dunque, per absurdum a vantare una posizione processuale e, di riflesso, anche sostanziale maggiore e ben più incidente di quella che possono vantare, e difendere in giudizio, le stesse parti adiuvate direttamente coinvolte dal giudizio. 13.4. Spetta al Collegio della Sezione giurisdizionale di questo Consiglio investito della potestas iudicandi anche dopo l’annullamento della sentenza dell’Adunanza plenaria - che non abbia definito il giudizio nel merito, secondo quanto prevede l’art. 99, comma 4, c.p.a., ma abbia “solo” esercitato il proprio potere di "di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente" - valutare se la questione debba essere nuovamente scrutinata dall’Adunanza plenaria per l’enunciazione di nuovi (o, in ipotesi, degli stessi) principi di diritto e gli interventori, anche laddove siano stati illegittimamente estromessi dall’Adunanza stessa, non possono pretendere di esautorare il Collegio giudicante dall’esercizio del proprio compito spettante anzitutto a detta Sezione competente ratione materiae anche nel valutare dei presupposti di cui all’art. 99 c.p.a. e di sostituirsi, finanche dopo l’annullamento della sentenza da parte delle Sezioni Unite, al preliminare vaglio di questa sulla sussistenza o, come in questo caso, sulla persistenza di tali presupposti che, lo si vedrà tra breve, non sussistono. 13.5. E dunque la posizione degli interventori nel rappresentare e difendere gli interessi collettivi di cui assumono essere portatori nel giudizio da cui sono stati estromessi - al di là di ogni dubbio o riserva, ormai irrilevanti e superati in questa sede di riassunzione ex art. 392 c.p.c., sull’assunto per il quale questa estromissione, come ritenuto dalle Sezioni Unite, sia un arretramento della giurisdizione e non, a rigore, un mero error in procedendo (v., sul punto, la già richiamata Cons. St., sez. VII, 19 febbraio 2024, n. 1653, in relazione anche alle ricadute applicative sull’art. 105 c.p.a.) - al fine di non subire gli effetti indiretti della pronuncia - o, comunque, nel rappresentare la complessità del reale avanti al giudice per fargli cogliere la complessità della vicenda e, in essa e con essa, delle situazioni sostanziali ad essa correlate - ben è tutelata anche dall’esercizio delle facoltà difensive, ampiamente esercitata, nel presente giudizio e, all’esito di questo, dalla pronuncia di questa Sezione, come di ogni altro organo giurisdizionale amministrativo, laddove non sussistano i presupposti per la pronuncia dell’Adunanza plenaria, senza che ciò - e, cioè, la decisione della Sezione “semplice” - possa costituire in nessun modo una deminutio tutelae per la parte interventrice. 13.6. D’altro canto, merita qui solo ricordare, le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno già riconosciuto che, sebbene il perimetro delle ipotesi tipiche che consentono il sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia stato, da tempo (Cass., S.U., n. 3008/1952), ampliato per annettervi anche l’ipotesi di illegittima composizione dell’organo giurisdizionale, ciò è consentito a condizione che il vizio di costituzione del collegio giudicante sia di particolare gravità, come nei casi di alterazione strutturale dell’organo giudicante, per vizi di numero o di qualità dei suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla legge, mentre, diversamente, si verte in tema di violazione di norme processuali, esorbitante dai limiti del sindacato delle Sezioni Unite. 13.7. A questo vizio "di particolare gravità", hanno in più occasioni sancito le Sezioni Unite in sede di ricorso per cassazione promosso contro le sentenze di questo Consiglio di Stato, "non è affatto riconducibile la pronuncia resa in difformità da quanto disposto dall’art. 99 c.p.a., comma 3 da collegio delle Sezioni semplici del Consiglio di Stato ritualmente costituito e quale organo della giurisdizione appartenente non solo al medesimo plesso giurisdizionale, ma anche allo stesso grado di giudizio di pertinenza dell’Adunanza plenaria", sicché "non si viene a configurare un’ipotesi di esorbitanza dai limiti della giurisdizione amministrativa, tantomeno sotto il profilo del vizio radicale di costituzione del giudice" (Cass., Sez. Un., 26 marzo 2021, n. 8569, ord., ma v. anche Cass., Sez. Un., 29 novembre 2018, n. 30869, ord. nonché, più dettagliatamente, Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2016, n. 24742). 13.8. Di qui la reiezione delle istanze di rimessione della causa nuovamente all’Adunanza plenaria, formulate da diversi interventori e dall’appellato An.Ca., dato che, come qui si ribadisce e si evince dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite appena richiamata, la fase di cognizione che si apre (e si chiude) avanti all’Adunanza plenaria non costituisce un separato giudizio né un incidente processuale avanti a un giudice diverso dal Consiglio di Stato medesimo, ma il momento di massima collegialità decisionale da parte del medesimo Consiglio in peculiari casi che spetta alle sezioni semplici vagliare ai sensi dell’art. 99 c.p.a. per evitare ogni abuso, anzitutto, della funzione nomofilattica, tanto più incisiva quanto meno inflazionata. Egualmente, e in estrema sintesi, ritiene anche questo Collegio che non sussistano i presupposti per il rinvio della causa né alla Corte costituzionale né alla Corte di Giustizia UE. 14.1. Quanto alla prima richiesta di sollevare l’incidente di costituzionalità, formulata dal S.I.B. nella memoria depositata il 18 marzo 2022 (p. 27) e ribadita nel proprio atto di riassunzione, anzitutto, si deve qui osservare che l’interpretazione da questo Consiglio di Stato nella propria consolidata giurisprudenza consente un recepimento interno della Dir. 2006/123/CE non solo compatibile con principi fondamentali e irrinunciabili della Costituzione italiana quali il diritto di proprietà, l’impresa e il lavoro nelle imprese familiari, ma anzi costituzionalmente imposto dalla necessità di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma primo, Cost.). 14.2. Né può essere invocata una tutela costituzionale del legittimo affidamento degli attuali concessionari, dato che, come ora si dirà, l’applicazione della Dir. 2006/123/CE e/o dell’art. 49 T.F.U.E. al settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative impone l’immediata apertura del mercato, laddove la risorsa risulti scarsa o laddove, quando pure la risorsa non sia scarsa, la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, e ogni esigenza correlata all’affidamento degli attuali concessionari non può certo giustificare proroghe automatiche o il rinvio delle procedure di gara, ma al massimo può essere valutata al momento di fissare le regole per la procedura di gara ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 12 della stessa Dir. 2006/123/CE (v. Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, nelle cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, par. 52-56). 14.3. Parimenti non sussistono i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E. in quanto va ricordato che la Corte di Giustizia ha in più occasioni chiarito che l’articolo 267 T.F.U.E. deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale di ultima istanza deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (v. Corte Giust. 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit e 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management). 14.4. In applicazione di tali principi si rileva, anzitutto, che la questione relativa agli indennizzi e, in particolare, alla compatibilità dell’art. 49 cod. nav. con l’ordinamento unionale non assume rilievo nel presente giudizio perché, proprio in un contenzioso analogo nel quale era stata proposta dal giudice nazionale la medesima questione, la già richiamata sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22, punto 83, ha chiarito che "la controversia di cui trattasi nel procedimento principale riguarda la proroga delle concessioni e non già la questione del diritto, in capo a un concessionario, di ottenere, alla scadenza della concessione, un qualsivoglia compenso per le opere inamovibili che esso abbia costruito sul terreno affidatogli in concessione". 14.5. In ogni caso questa stessa Sezione, con l’ordinanza n. 8010 del 15 settembre del 2022 (a cui ha fatto seguito, dopo i chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia UE, anche l’ordinanza 8184 del 6 settembre 2023), resa nel giudizio R.G. n. 8915 del 2021, ha già sollevato innanzi alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E., la questione pregiudiziale di interpretazione "se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo" e, conseguentemente, risulta incardinata presso la Corte di Giustizia UE la causa C-598/22, tuttora pendente (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3943, ord., ma v. anche, per analoga questione, Cons. St., sez. VII, 6 novembre 2023, n. 9570, ord. nonché, per la portata estensiva del principio relativo agli indennizzi, Cons. St., sez. VII, 17 gennaio 2024, n. 138, ord.). 14.6. Tale questione - si ripete - è del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio e quindi non è rilevante, con la conseguenza che nessun rilievo pregiudiziale potrà avere la sentenza della Corte di Giustizia UE, risultando in tal modo infondate anche le richieste di attendere tale decisione, eventualmente con un provvedimento di c.d. sospensione impropria. 14.7. Quanto alla seconda richiesta di rinvio per questione pregiudiziale formulata da S.I.B. (ma anche da altre parti intervenute, come ad esempio la Regione Abruzzo), si rileva che non sussistono i presupposti per un nuovo rinvio in quanto la questione della applicabilità della Dir. 2006/123/CE e della incompatibilità delle proroghe automatiche disposte dal legislatore nazionale è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte di Giustizia con più decisioni che hanno indicato la corretta interpretazione del diritto dell’Unione senza che residuino ulteriori dubbi. 14.8. Infatti, la Corte di Giustizia, dapprima con la sentenza del 14 luglio 2016 (C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa) e, più di recente, con la sentenza del 20 aprile 2023 (C-348/22, Comune di Ginosa) ha già dissipato in maniera chiara ogni ulteriore dubbio o perplessità sull’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni demaniali marittime, senza che sia necessario, a fronte di una giurisprudenza europea ormai chiara, uniforme e puntuale, sollevare nuovamente ulteriori questioni interpretative, che sarebbero dilatorie prima ancor che superflue. 14.9. Chiarita dalla Corte di Giustizia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea sulle questioni che costituiscono l’oggetto del presente giudizio, spetta a questo Collegio, quale giudice nazionale, dare applicazione al diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, alla fattispecie in esame. Nel merito l’appello del Comune è fondato. 15.1. Diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, infatti, la Dir. 2006/123/CE ha effetti diretti, è self-executing ed è immediatamente applicabile, come aveva chiarito la Corte di Giustizia UE nella sentenza Promoimpresa del 14 luglio 2016, in C-458/14 e in C-67/15 - e, sulla sua scia, la sentenza n. 17 del 2021 dell’Adunanza plenaria e le altre già menzionate sentenze del Consiglio di Stato - e come la stessa Corte ha riconfermato decisamente, laddove ve ne fosse stato bisogno (e non ve ne era), nella sentenza Comune di Ginosa del 20 aprile 2023, in C-348/22. 15.2. Questo Consiglio non può che ribadire, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 2021 e di tutta la menzionata giurisprudenza successiva (v., supra, § 13.1. nonché, infra, § 16.1.), che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata prima del 31 dicembre 2023 (Cons. St, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679: v. comunque, infra, § 20.4.) - sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva. 15.3. La Corte di Giustizia nella sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 (Comune di Ginosa) ha (ri)affermato che risulta dallo stesso tenore letterale dell’articolo 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 15.4. Quanto all’art. 12, paragrafo 2, di tale direttiva, esso dispone in particolare che un’autorizzazione, quale una concessione di occupazione del demanio marittimo, sia rilasciata per una durata limitata adeguata e non possa prevedere la procedura di rinnovo automatico. 15.5. Tale disposizione, ha precisato ancora la Corte di Giustizia UE nella citata sentenza, ha effetto diretto in quanto vieta, "in termini inequivocabili", agli Stati membri, senza che questi ultimi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto a una qualsivoglia condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un atto dell’Unione o degli Stati membri, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate di siffatte concessioni. 15.6. Dalla giurisprudenza della Corte risulta peraltro che un rinnovo automatico di queste ultime è escluso dai termini stessi dell’art. 12, paragrafo 2, della Dir. 2006/123/CE (v., in tal senso, la sentenza del 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 50). 15.7. L’art. 12, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva impone quindi agli Stati membri l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta loro di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività, in termini incondizionati e sufficientemente precisi. 15.8. Nel punto 71 della sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22 ancora la Corte di Giustizia ha precisato, a chiare lettere, che "la circostanza che tale obbligo e tale divieto si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, le quali devono essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale, non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso a tale articolo 12, paragrafi 1 e 2" e, di conseguenza, ogni questione sulla scarsità delle risorse e sugli eventuali criteri fissati per accertare tale scarsità non può costituire ragione, come sostenuto da alcune parti del presente giudizio, per determinare la non applicabilità della Dir. 2006/123/CE nelle more della fissazione dei menzionati criteri. 15.9. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, la valutazione dell’effetto diretto connesso all’obbligo e al divieto previsti dall’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE e l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie incombono ai giudici nazionali e alle autorità amministrative, comprese quelle comunali, senza che ciò possa essere condizionato o impedito da interventi del legislatore. Devono, quindi, essere disapplicate perché contrastanti con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e comunque con l’art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell’Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e in particolare: a) le disposizioni di proroga previste in via generalizzata e automatica, e ormai abrogate dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2002 (art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020; art. 100, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020, conv. in l. n. 126 del 2020); b) le più recenti proroghe introdotte dagli articoli 10-quater, comma 3 e 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e dall’art. 1, comma 8, della stessa l. n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 4 della l. n. 118 del 2022. 16.1. Con riferimento a tali ultime disposizioni, che - unitamente agli artt. 3 e 4 della legge 5 agosto 2022 n. 118 - costituiscono le sopravvenienze legislative menzionate dalle citate decisioni delle Sezioni unite, si osserva che anche esse si pongono in palese contrasto con il diritto unionale, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 1° marzo 2023, n. 2192, Cons. St., sez. VI, 28 agosto 2023, n. 7992, Cons. St., sez. VII, 3 novembre 2023, n. 9493 e, ancor più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11200, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 21 febbraio 2024, n. 119, Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 e Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, Cons. St., sez. VII, 2 maggio 2024, n. 3963; v. anche per l’analoga questione della applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE alle concessioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, Cons. St., sez. VII, 19 ottobre 2023, n. 9104). 16.2. Infatti, mentre l’originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022, nell’abrogare le precedenti e già disapplicate disposizioni di proroga, aveva previsto in via transitoria il termine del 31 dicembre 2023 con possibilità di differimento con atto motivato fino al 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva", le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 di conversione del d.l. n. 198 del 2022 hanno nuovamente stravolto il quadro normativo con nuove proroghe rese indeterminate da una serie di disposizioni palesemente contrastanti con i descritti principi dell’ordinamento dell’U.E. 16.3. La l. n. 14 del 2023, oltre a spostare in avanti di un anno i due termini sopraindicati (al 31 dicembre 2024 quello di efficacia delle concessioni e al 31 dicembre 2025 la possibilità di differimento), ha previsto che: a) "le concessioni e i rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 2022, n. 118, continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori" (art. 10-quater, comma 3, del d.l. n. 198 del 2022); b) "fino all’adozione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b)" (comma 4-bis dell’art. 4 della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8, della l. n. 14 del 2023). 16.4. Il complesso delle disposizioni introdotte dalla l. n. 14 del 2023 determina una nuova proroga automatica e generalizzata delle concessioni balneari, non più funzionale alle (non più) imminenti gare (come previsto dalla originaria versione degli artt. 3 e 4 della l. n. 118 del 2022), ma anzi resa indeterminata e potenzialmente illimitata nella durata dal contestuale divieto di procedere all’emanazione dei bandi di gara posto fino all’adozione dei decreti legislativi di cui all’art. 4 della l. n. 118 del 2022 (adozione non più possibile perché la delega è scaduta il 27 febbraio 2023, solo qualche giorno dopo l’entrata in vigore della l. n. 14 del 2023). 16.5. Se a ciò si aggiunge che le concessioni mantengono efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori, il quadro che ne deriva è del mantenimento delle attuali concessioni balneari italiane senza termine in contrasto con i più volte richiamati principi dell’Unione, nella costante interpretazione datane dalla Corte di Giustizia. 16.6. Ciò impone al giudice nazionale e alle amministrazioni di disapplicare tali disposizioni nella loro interezza, costituita da tutte le modifiche apportate alla l. n. 118 del 2022 dalla l. n. 14 del 2023, comprese quelle di cui all’art. 10-quater, comma 3, e all’art. 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, che hanno spostato in avanti i termini previsti dalla originaria versione dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022. 16.7. Tale disapplicazione si impone prima e a prescindere dall’esame della questione della scarsità delle risorse, che verrà trattata nei paragrafi successivi, in quanto, anche qualora si dimostrasse che in alcuni casi specifici non vi sia scarsità di risorse naturali, le suddette disposizioni, essendo di natura generale e assoluta, paralizzano senza giustificazione alcuna l’applicazione della Dir. 2003/126/CE e precludono in assoluto lo svolgimento delle gare. Può ora essere affrontato il tema della scarsità delle risorse, sul quale tanto insistono sia l’appellato An.Ca. che gli interventori. 17.1. La Corte di Giustizia UE nella già citata sentenza Promoimpresa del 14 luglio 2016 ha affermato che "per quanto riguarda, più specificamente, la questione se dette concessioni debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali, spetta al giudice nazionale verificare se tale requisito sia soddisfatto" (punto 43) e con la anche più volte citata sentenza del 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22 ha rilevato che l’art. 12, paragrafo 1, della Dir. 2006/123/CE conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali e che "tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci" (punto 46). 17.2. Tale più recente sentenza non si è posta in contraddizione o comunque non ha voluto superare i principi espressi nella precedente sentenza Promoimpresa, che anzi viene più volte richiamata a conferma del rapporto di continuità tra le due decisioni della Corte. 17.3. Nel caso Comune di Ginosa, nel rispondere a uno specifico quesito posto dal giudice del rinvio, la Corte ha evidenziato che, nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali, il legislatore nazionale può preferire una valutazione generale e astratta valida sull’intero territorio nazionale oppure un approccio di tipo locale caso per caso o una combinazione dei due approcci che anche può risultare equilibrata, concludendo che l’approccio definito combinato, così come le altre due opzioni, non sono incompatibili con il diritto dell’Unione europea. 17.4. In ogni caso, è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati (punto 48 della stessa sentenza), fermo restando che - come già detto - la valutazione sulla scarsità delle risorse in alcun modo può ritenersi pregiudiziale o comunque non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della Dir. 2006/123/CE. 17.5. È evidente che la valutazione che ha ad oggetto la scarsità delle risorse naturali, per basarsi su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, postula una ricognizione del territorio costiero, o a livello nazionale o a livello locale (anche eventualmente nella combinazione dei due approcci, generale e caso per caso), che deve essere non solo quantitativa, ma anzitutto qualitativa, come ha già chiarito l’Adunanza plenaria e la più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, perché deve avere riguardo ad un concetto funzionale di scarsità e, cioè, ad un concetto che tiene conto della funzione economica della risorsa pubblica in questione, dovendo valutarsi, in concreto, la collocazione geografica, le caratteristiche morfologiche, il pregio ambientale e paesaggistico, il valore “commerciale”, il pregio di quella particolare tipologia di concessione in rapporto al bene pubblico (il tratto di costa) oggetto di sfruttamento economico e non tutto il tratto costiero in ipotesi balneabile come se fosse un unico eguale ed indifferenziato, non potendo ritenersi non discriminatorio un criterio che tratti e consideri e calcoli in modo eguale situazioni costiere estremamente diverse sul territorio nazionale. 17.6. In questa prospettiva, il Comune di Lecce ha prodotto in giudizio, con l’all. 2 depositato il 25 marzo 2024, e richiamato il parere motivato della Commissione europea del 16 novembre 2023, in cui è stato evidenziato che non possono essere prese in considerazione le risultanze, peraltro ancora parziali e incomplete, del Tavolo tecnico istituito dall’art. 10-quater del d.l. n. 198 del 2022 secondo cui, in sintesi, "la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili", perché: 1) non riflettono una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di ‘concessione balnearé, dato che prendono in considerazione, ad esempio, tutte le parti di costa rocciosa, dove è ben difficile, se non impossibile, insediare uno stabilimento balneare e, addirittura, inseriscono nel calcolo per la stima della percentuale "il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali"; 2) non tengono conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale. 17.7. A prescindere da ogni considerazione sul valore (certamente in alcun modo vincolante) di quanto affermato dalla Commissione nel prodotto parere motivato, sulle successive interlocuzioni tra Governo e Commissione (del tutto estranee al presente giudizio) e sull’esito dei lavori del menzionato Tavolo tecnico, di cui si dirà oltre, si osserva che, sulla scorta di quanto già statuito da questo Consiglio di Stato, in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi - a conferma del carattere scarso della risorsa - coincide o consuma ampiamente la percentuale già assentita, come ad esempio, proprio nella Regione Puglia dove, con la legge regionale 23 giugno 2006, n. 17 (“Disciplina della tutela e dell’uso della costa”), la Regione, nell’attribuire ai Comuni l’esercizio di tutte le funzioni amministrative relative alla materia del demanio marittimo, ha stabilito le aree in cui il rilascio, il rinnovo e la variazione di concessione demaniale sono vietati (art. 16, comma 1) nonché ha predisposto che "allo scopo di garantire il corretto utilizzo delle aree demaniali marittime per le finalità turistico-ricreative, una quota non inferiore al 60 per cento del territorio demaniale marittimo di ogni singolo comune costiero è riservata a uso pubblico e alla libera balneazione" (art. 16, comma 4). 17.8. Tale inequivocabile elemento non può essere superato offrendo in concessione aree necessariamente rientranti nelle percentuali di spiagge libere e sarebbe del resto in contrasto con i principi costituzionali di solidarietà economica e sociale e di tutela dell’ambiente e del paesaggio consumare in modo non proporzionato i già ormai limitati tratti di spiaggia libera, rendendo le coste italiane sempre più difficilmente accessibili in modo libero e gratuito anche ai soggetti meno abbienti. Va aggiunto che l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 ha previsto che il predetto Tavolo tecnico definisca i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera” e, al riguardo, tale elemento non può essere rilevante ai fini della valutazione della scarsità dato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, il capo III della Dir. 2006/123/CE - compreso, dunque, anche il suo articolo 12 - si applica anche a situazioni puramente nazionali, senza che sia necessaria una valutazione della rilevanza transfrontaliera come quella suggerita dalla disposizione in questione (Corte di Giustizia UE, 30 gennaio 2018, Visser Vastgoed Beleggingen, nelle C-360/15 e C-31/16, punti 98 e segg.; nonché la già citata sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22, Comune di Ginosa, punto 40), avendo la Corte chiarito che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che "esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo", applicandosi le disposizioni del capo III della Dir. 2006/123/CE "non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro". 18.1. In questa prospettiva, dunque, deve essere disapplicato anche l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2022, laddove, nel prevedere che "il tavolo tecnico di cui al comma 1, acquisiti i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali marittime, lacuali e fluviali, elaborati ai sensi all'articolo 2 della legge 5 agosto 2022, n. 118, definisce i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera", dispone che nella determinazione della scarsità della risorsa debba considerarsi la rilevanza economica transfontaliera della concessione, che non è un presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE ma semmai, laddove non si applichi l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, del solo art. 49 del T.F.U.E. 18.2. In assenza di risultati, ancorché parziali e provvisori, che dimostrino in modo serio e attendibile, tanto a livello nazionale che a livello locale, che le concessioni non siano una risorsa scarsa, secondo i criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, indicati dalla Corte, e in forza di una valutazione che deve essere anzitutto necessariamente qualitativa della risorsa, questo Consiglio di Stato, a cui compete nell’ordinamento italiano il controllo giurisdizionale sulla valutazione della scarsità delle risorse (che devono "essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale": Corte di Giustizia UE, 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22, punto 71), non può che riaffermare, allo stato, la sicura scarsità della risorsa (v., da ultimo, Cons. St., sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940 nonché Cons. St., sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679 nonché Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., secondo cui "la risorsa materiale è scarsa"), dovendo concordarsi con quelle tesi secondo cui, ove all’operazione di mappatura fosse associata la finalità di eludere l’assoggettamento alle procedure competitive ad evidenza pubblica, si riesumerebbe un diritto di insistenza per gli attuali concessionari, non più esistente, come si dirà, nemmeno nell’ordinamento interno. 18.3. D’altro canto, diversamente da quanto assumono S.I.B. e la Regione Abruzzo, l’applicabilità dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE è piena, diretta, incondizionata e non è né può essere subordinata dal legislatore in nessun modo alla mappatura, in sede nazionale, della “scarsità” della risorsa o a qualsiasi riordino, pur atteso, dell’intera materia, pena il frontale contrasto di questa subordinazione con il diritto dell’Unione e la conseguente disapplicazione delle norme che ciò prevedano (come, ad esempio, il già citato divieto di bandire le gare fino all’entrata in vigore di tale riordino: art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, introdotto dall’art. 1, comma 8, lett. b), della l. n. 14 del 2023), dato che tale scarsità, in riferimento alle caratteristiche stesse delle concessioni, è evidente, per le ragioni già bene illustrate dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 17 del 2021 e dalle già richiamate ulteriori decisioni del Consiglio di Stato, e si presume finché dall’autorità amministrativa competente (a cominciare dai Comuni) non venga acclarato invece, sulla base di apposita istruttoria, e illustrato, con specifica motivazione, che il territorio costiero di interesse presenti una quantità di risorsa adeguata e sufficiente, nel rispetto dei fondamentali valori quali la tutela dell’ambiente e del paesaggio (v. Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70, su cui anche infra al § 26), all’obiettivo dello sfruttamento economico della costa per le finalità turistico-ricreative proprie di queste concessioni. 18.4. Per tali ragioni risultano prive di fondamento le tesi che conferiscono natura pregiudiziale rispetto all’oggetto del presente giudizio e alla stessa indizione delle gare le conclusioni del Tavolo tecnico, le quali, oltre al già rilevato profilo di incompatibilità con il diritto dell’Unione, in alcun modo possono condizionare o sospendere l’effetto diretto dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE. In ogni caso, rileva ancora il Collegio, quando pure l’autorità amministrativa competente, sulla scorta di quanto appena precisato al § 17.5. e sotto il controllo dell’autorità giurisdizionale, ritenga non applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE che, come ha ricordato la Corte, già provvede a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel suo campo di applicazione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 61), deve comunque trovare applicazione l’art. 49 del T.F.U.E. sulla libertà di stabilimento, laddove la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo. 19.1. A tale riguardo, infatti, non può sottacersi che, qualora siffatta concessione riguardi in alcuni limitati e circoscritti casi una risorsa legittimamente ritenuta non scarsa ma presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione e una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del T.F.U.E. 19.2. Per quanto riguarda, anzitutto, l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, occorre ricordare che, secondo la Corte, quest’ultimo deve essere valutato sulla base di tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 66). 19.3. Ebbene, l’autorità amministrativa, quando pure ritenga che la risorsa naturale destinabile alla concessione per lo sfruttamento economico a fini turistico-ricreativi non sia scarsa, deve valutare comunque, per rispettare la libertà di stabilimento, se la singola concessione abbia o meno interesse transfrontaliero e, nel fare ciò, deve avere riguardo alle caratteristiche specifiche del singolo stabilimento che, anche solo per le sue caratteristiche (storiche, geografiche, ecc.), può esercitare una attrattiva per gli operatori economici stranieri, interessati a concorrere. 19.4. Compete dunque alla singola autorità amministrativa un’attenta valutazione, anch’essa soggetta all’indefettibile controllo giurisdizionale, di questo interesse, che anche in questo caso non può essere solo quantitativa - in termini, qui, di sola importanza economica - ma deve essere anzitutto qualitativa, dato che le concessioni come quella in esame, come ha rilevato la Corte, in linea di principio "riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, di modo che le situazioni considerate nei procedimenti principali rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito dell’articolo 49 T.F.U.E." (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 63, ma v. anche le considerazioni, espresse in termini generali, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 sulla "eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri" nonché, da ultimo, Cons. St., sez. VII, 6 settembre 2023, n. 8184, ord., resa in seguito ai chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia, con la quale è stato evidenziato che il mercato di riferimento "attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri"). Dalla consolidata giurisprudenza della Corte si traggono dunque i seguenti principi, che sono vincolanti non solo per ogni giudice nazionale - a cominciare dai giudici amministrativi, che non devono seguire eccentriche o arbitrarie interpretazioni delle norme in materia che hanno l’effetto di non applicare il diritto dell’Unione - ma anche per tutte le autorità amministrative, non ultime, in ragione della prossimità territoriale, quelle comunali: a) le pubbliche amministrazioni, al fine di assegnare le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, devono applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, costituendo la procedura competitiva, in questa materia, la regola, salvo che non risulti, sulla base di una adeguata istruttoria e alla luce di una esaustiva motivazione, che la risorsa naturale della costa destinabile a tale di tipo di concessioni non sia scarsa, secondo quanto sopra si è precisato in base ad un approccio che può essere anche combinato e deve, comunque, essere qualitativo (v. supra 17.5.); b) anche quando non ritengano applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, esse devono comunque applicare l’art. 49 del T.F.U.E. e procedere all’indizione della gara, laddove la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, da presumersi finché non venga accertato che la concessione difetti di tale interesse, sulla scorta di una valutazione completa della singola concessione. 20.1. Pertanto, l’obbligo di applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE o l’art. 49 del T.F.U.E. potrebbe in ipotesi ritenersi insussistente soltanto in assenza di entrambe tali imprescindibili condizioni: la scarsità della risorsa e l’interesse transfrontaliero della concessione, la cui valutazione è comunque soggetta al controllo del giudice, che ha già rilevato come sia in concreto difficilmente riscontrabile la contemporanea assenza delle due condizioni, tenuto anche conto dell’importanza e della potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale. 20.2. Certamente tale assenza non ricorre nel caso di specie, relativo a una concessione demaniale marittima, in relazione alla quale l’appellante comune di Lecce ha efficacemente dedotto, senza essere adeguatamente contrastato sul punto, che si tratta di un tratto di arenile che per la sua collocazione strategica costituisce una delle parti del litorale leccese maggiormente fruibile e accessibile e assume una evidente rilevanza competitiva, risultando obiettivamente molto appetibile per gli operatori economici e quindi in grado di generare la domanda di una pluralità di concorrenti (v. memoria del comune di Lecce del 4 aprile 2024). 20.3. Tali elementi conducono a ritenere che nel caso oggetto del giudizio la risorsa sia oggettivamente scarsa, senza quindi neanche necessità di accertare l’interesse transfrontaliero certo, peraltro anche sussistente. 20.4. In ogni caso e per completezza va precisato che i commi 1 e 3 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione - disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023 che prorogano le scadenze di un ulteriore anno - prevedono, come meglio chiarito oltre, che la scadenza delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive, disposta al 31 dicembre 2023, possa essere differita fino al 31 dicembre 2024 solo "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva" (v., infra, § 25) e, dunque, presuppongono e impongono per tutte le concessioni scadute l’obbligo di assegnarle con gara in applicazione dei sovraesposti principi dell’Unione europea e dei principi del diritto nazionale di cui al successivo § 21 e senza quindi richiedere alle autorità amministrative alcuna ulteriore valutazione. 20.5. Inoltre, secondo il successivo comma 2 dell’art. 3 della l. n. 118 del 2022 nella originaria versione (disapplicate le modifiche apportate dalla l. n. 14 del 2023), a parte le concessioni il cui titolo originario, assegnato o prorogato in base a procedura competitiva, non è ancora scaduto, l’altra sola eccezione era costituita dalle concessioni, "affidat[e] o rinnovat[e] mediante procedura selettiva con adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, con adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento", le quali "continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo e comunque fino al 31 dicembre 2023 se il termine previsto è anteriore a tale data". 20.6. Per escludere la scadenza e il correlato obbligo di procedere con gara si doveva trattare, quindi, di concessioni affidate con una procedura selettiva che prevedeva la durata della concessione stessa, non rientrando in tale ipotesi il caso delle concessioni affidate con gara e alla scadenza del relativo termine di durata prorogate in modo automatico o comunque senza adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, senza adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 20.7. Mentre il citato comma 2 resta efficace per la parte in cui stabilisce che le concessioni affidate con gara continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo, che ha formato oggetto della procedura selettiva, l’eccezione in parola ha ormai esaurito la propria efficacia con lo spirare del 31 dicembre 2023, dopo il quale torna a riprendere vigore la regola della necessaria procedura competitiva inderogabile (salvo quanto si dirà per la proroga tecnica proprio in funzione della gara, v. infra, § 25. e ss.), una volta scaduto il precedente titolo concessorio anche se assegnato o prorogato all’esito di precedente procedura selettiva, non solo in base al diritto europeo, ma anche secondo il diritto nazionale. Sempre per completezza va infatti sottolineato che non esiste, nemmeno nell’ordinamento interno, il c.d. diritto di insistenza, essendo le concessioni, comunque, provvedimenti per loro natura limitati nel tempo, soggetti a scadenza, e comunque non automaticamente rinnovabili in favore al concessionario uscente, ma da assegnarsi, anche secondo le norme nazionali, secondo procedura comparativa ispirata ai fondamentali principî di imparzialità, trasparenza e concorrenza, dando prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico (Cons. St., sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3377). 21.1. Non è fuor di luogo ricordare infatti che, anche prescindendo dall’applicabilità del diritto europeo, la giurisprudenza costante di questo Consiglio aveva chiarito che il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, sicché il relativo diniego, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell’agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione e non implica alcun “diritto d’insistenza” allorché la pubblica amministrazione intenda procedere a un nuovo sistema d’affidamento mediante gara pubblica o comunque procedura comparativa. Pertanto, in sede di rinnovo, il precedente concessionario va posto sullo stesso piano di qualsiasi altro soggetto richiedente lo stesso titolo, senza necessità di particolare motivazione con riferimento al diniego della richiesta di rinnovo e alla indizione di una gara (Cons. St., sez. V, 25 luglio 2014, n. 3960, Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6132; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3145). In conclusione, anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone in ogni caso di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, previa disapplicazione delle disposizioni nazionali che hanno introdotto le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (richiamate ai precedenti § 16. e § 16.6.) e precisato quanto sopra circa l’elemento della scarsità delle risorse naturali, la pretesa del ricorrente di primo grado ad ottenere l’accertamento della spettanza della proroga della durata della concessione demaniale marittima fino al 2033 è priva di fondamento e non può essere invocata la normativa sopravvenuta per le ragioni sopra esposte. Si può ritenere compatibile con il diritto dell’Unione la sola proroga “tecnica” - funzionale allo svolgimento della gara - prevista dall’art. 3, commi 1 e 3, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche dei termini apportate dal d.l. n. 198 del 2022, laddove essa fissa come termine di efficacia delle concessioni il 31 dicembre 2023 e consente alle autorità amministrative competenti di prolungare la durata della concessione, con atto motivato, per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura competitiva e, comunque, non oltre il termine del 31 dicembre 2024 "in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa". 25.1. Affinché possano legittimamente giovarsi di tale proroga tecnica senza violare o eludere il diritto dell’Unione e la stessa l. n. 118 del 2022, però, le autorità amministrative competenti - e, in particolare, quelle comunali - devono avere già indetto la procedura selettiva o comunque avere deliberato di indirla in tempi brevissimi (come fatto, ad esempio, proprio della Giunta comunale di Lecce con la delibera n. 453 del 14 dicembre 2023, illustrata e oggetto di discussione all’udienza pubblica del 7 maggio 2024), emanando atti di indirizzo in tal senso e avviando senza indugio l’iter per la predisposizione dei bandi. 25.2. L’art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022 - lo si ricorda - consente infatti la proroga tecnica, testualmente, solo per il tempo strettamente necessario "alla conclusione della procedura", che deve essere stata avviata e può ritenersi avviata, secondo una interpretazione ispirata a ragionevolezza, in presenza quantomeno di un atto di indirizzo volto ad indire, finalmente, le gare, non essendo consentito comunque, sul piano logico prima ancor che cronologico, disporre una proroga tecnica finalizzata alla conclusione di una procedura di gara che nemmeno sia stata avviata, quantomeno a livello programmatico, pur di fronte a vicende contenziose o a difficoltà legate all’espletamento della procedura stessa, nell’assenza, ad oggi, di un più volte auspicato riordino sistematico dell’intera materia, dove confluiscono e trovano composizione, come ha ricordato la Corte costituzionale, molteplici e rilevanti interessi, pubblici e privati. 25.3. Tale soluzione consente di evitare le incertezze prospettate dalle parti in relazione all’imminente avvio della stagione balneare e richiede una decisione dell’ente competente in favore della indizione delle gare con conseguente possibilità di differimento del termine di scadenza delle concessioni con atto motivato, in virtù del quale fino alla data sopra indicata - il 31 dicembre 2024 - l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente, laddove prorogata alle condizioni appena chiarite, è comunque legittima anche in relazione all’art. 1161 cod. nav., come chiarisce lo stesso art. 3, comma 3, della l. n. 118 del 2022. È compito - e ragion stessa d’essere - di questo Consiglio di Stato, quale giudice chiamato dalla Costituzione ad assicurare la tutela nei confronti della pubblica amministrazione (Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204), garantire, in relazione ai giudizi amministrativi, la piena attuazione, da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte (a cominciare da quelle comunali) nell’esercizio dei loro poteri, dei principi sin qui sanciti, che sono alla base sia del diritto europeo che dell’ordinamento costituzionale, non solo annullando gli atti illegittimi da queste poste in essere, ma anche disapplicando la normativa nazionale contrastante con il diritto dell’Unione, mentre compete al legislatore fissare le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure competitive nel generale riordino della materia al crocevia, come di recente ha chiarito la stessa Corte costituzionale, di fondamentali valori e di molteplici "interessi [...], che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino" (Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70). Questa materia infatti non può essere sottratta all’applicazione dei principi e delle regole immediatamente applicabili nell’ordinamento interno fissate dal legislatore europeo nemmeno per il tempo necessario all’indizione delle gare e alla predisposizione delle relative regole, attinenti alla materia della concorrenza, da parte del legislatore nazionale (con conseguente disapplicazione, come detto, anche dell’art. 4, comma 4-bis, della l. n. 118 del 2022, considerato, peraltro, che la delega è ormai scaduta), salva l’adozione nell’immediato, come detto, della c.d. proroga tecnica per la stagione balneare ormai avviata e, comunque, nei limiti sopra precisati. Stante la necessità non più procrastinabile di procedere alle gare, nell’attesa di questo riordino, non sono solo le singole previsioni delle leggi regionali a poter fornire un’utile cornice normativa, ma soccorrono certamente per una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni, al fine di indirizzare nell’esercizio delle rispettive competenze l’attività amministrativa delle Regioni e dei Comuni, i principi e i criteri della delega di cui all’art. 4, comma 2 della l. n. 118 del 2022, anche se poi essi non hanno trovato attuazione essendo la delega scaduta senza esercizio. Si deve infatti considerare che, allorché la legge di delega li abbia posti, i principi e i criteri della stessa entrano senz’altro a comporre il quadro dei referenti assiologici che permeano l’ordinamento vigente e concorrono pure essi a disciplinare direttamente la materia alla quale afferiscono, se il loro contenuto prescrittivo possegga i necessari requisiti, anche quando il Governo abbia infruttuosamente lasciato scadere la delega e fino a che, ovviamente, il legislatore non provveda direttamente ad abrogarli e/o a disciplinare diversamente la materia. Tali principi e criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori per una disciplina uniforme della concorrenza in questa materia - tra i quali, ad esempio, si possono qui ricordare l’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali (lett. c), l’individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni (lett. d), la considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre attività d’impresa o di tipo professionale del settore (lett. e), 5.2.), la definizione di criteri per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante (lett. i), ma v. anche Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 54, in riferimento all’art. 12, paragrafo 3, della Dir. 2006/123/CE - saranno presi in considerazione dai Comuni, in particolare, nella predisposizione dei bandi per l’affidamento delle concessioni "sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza" (art. 4, comma 2, lett. b), l. n. 118 del 2022). Dalle ragioni sin qui esposte, senza indulgere ad ulteriori considerazioni contrarie al doveroso principio di sinteticità prescritto dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.), discende che debba essere accolto l’appello del Comune, in quanto finalizzato ad ottenere la riforma della sentenza impugnata che, erroneamente, ha negato la diretta, immediata, incondizionata applicabilità della Dir. 2006/123/CE e, altrettanto erroneamente, ha accertato il diritto del ricorrente a conseguire una durata della proroga addirittura sino al 2033 sulla scorta delle illegittime previsioni di cui all’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018, immediatamente disapplicabili dalla pubblica amministrazione, come nel caso di specie ha fatto correttamente il Comune di Lecce con il provvedimento impugnato in primo grado ed esente da qualsivoglia censura. Il ricorso proposto in primo grado da An.Ca., infatti, doveva e deve essere respinto, anche nei motivi assorbiti e qui riproposti dall’appellato ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. dato che, in sintesi, si può rilevare per ciascuno di essi quanto segue: a) il primo motivo riproposto (pp. 2-4 dell’atto di riassunzione) è palesemente infondato, perché la disapplicazione della proroga di cui all’art. 1, comma 682, della l. n. 145 del 2018 compete anzitutto, come ha chiarito la Corte di Giustizia UE nella più volte citata sentenza del 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C-348/22, alle autorità amministrative comunali e dunque legittimamente il Comune di Lecce ha disapplicato la medesima l. n. 145 del 2018; b) il secondo motivo riproposto (pp. 4-8 dell’atto di riassunzione) è pure esso infondato, dato che il provvedimento comunale muove dal presupposto, che non può da questo Consiglio non essere condiviso, per il quale le due proroghe - sia quella della l. n. 145 del 2018 che quella del d.l. n. 34 del 2020 - sono l’effetto di due leggi-provvedimento che - al di là della loro illegittimità - presuppongono comunque la sicura scadenza del titolo concessorio, mentre la c.d. proroga tecnica in vista della gara costituisce un provvedimento interinale finalizzato all’indizione della procedura selettiva per la scelta del nuovo concessionario, secondo quanto impone la corretta applicazione del diritto europeo nei termini sopra precisati; c) il terzo motivo riproposto (pp. 8-10 dell’atto di riassunzione) è anche esso infondato, in quanto le contestazioni mosse dall’appellato alle condizioni poste dal Comune alla “seconda opzione” della proroga tecnica (il termine di tre anni, l’obbligo di effettuare il monitoraggio, la rinuncia, alla scadenza, ad utilizzare ulteriormente l’area), invero, appaiono meramente ipotetiche dato che egli ha fatto valere l’interesse ad ottenere la proroga prevista ex lege ai sensi della l. n. 145 del 2018 e non già ad accettare l’altra opzione e, cioè, quella della proroga tecnica, a cui si riferiscono le condizioni imposte dal Comune, condizioni che, comunque, non appaiono illegittime perché non aggravano il concessionario in proroga “tecnica” di oneri sproporzionati e contrari alla legge; d) il quarto motivo riproposto (pp. 10-17 dell’atto di riassunzione) è anche esso infondato perché esso, nel negare l’applicabilità del diritto europeo, contesta sia la scarsità della risorsa che la sussistenza dell’interesse transfrontaliero, ma trascura - e si richiamano per sintesi sempre le osservazioni sopra svolte al § 20.2. - che la scarsità della risorsa non è un mero dato quantitativo, ma soprattutto qualitativo, come ha osservato anche la Commissione europea nel già richiamato motivato del novembre 2023, sicché il fatto che, in base al Piano Comunale Coste vi siano ulteriori aree concedibili non è in sé decisivo (a prescindere dal contestato esatto numero di queste), dovendo considerarsi la tipologia di coste effettivamente concedibili e analoghe, per caratteristiche, collocazione, ecc. a quella di cui è causa, e comunque, anche se per ipotesi si volesse ammettere che la risorsa non sia scarsa (con conseguente inapplicabilità dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE), l’altro fondamentale requisito per l’applicabilità dell’art. 49 del T.F.U.E. e, cioè, l’interesse transfrontaliero non può essere negato solo per la posizione geografica perché Lecce si trova lontana dai confini di altri Stati europei, come assume l’appellante, dovendosi commisurare tale interesse non solo alla situazione geografica, in sé non dirimente, ma anche ad altri fattori socio-economici, quali le caratteristiche salienti della concessione e la sua rilevanza economica, come del resto ha rilevato anche l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 seppure in riferimento all’intero “blocco” delle concessioni demaniali marittime di tipo turistico-ricreativo in Italia (le considerazioni svolte in precedenza supra, al § 20.2., dimostrano sia la scarsità della risorsa oggetto della richiesta di proroga sia l’interesse transfrontaliero certo e, dunque, escludono che si possa venire meno all’obbligo di indire una gara per l’assegnazione della concessione); e) il sesto motivo riproposto (pp. 17-18 dell’atto di riassunzione) è divenuto improcedibile per difetto di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., dato che il periodo emergenziale è ormai scaduto da tempo (30 giugno 2022) e, dunque, non è dato comprendere quale interesse sorregga ancora la censura, al di là del fatto che l’Adunanza plenaria, con la già citata sentenza n. 17 del 9 novembre 2021 e la successiva giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, hanno dichiarato illegittima, perché contrastante con il diritto unionale, ogni proroga, anche quella sancita in pendenza e per via dell’emergenza epidemiologica, e pertanto la censura, anche laddove ancora procedibile, sarebbe comunque infondata anche nel merito; f) il settimo motivo riproposto (pp. 18-19 dell’atto di riassunzione) è anche esso infondato perché il provvedimento di diniego della proroga, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, era ed è vincolato in ossequio alla primazia del diritto europeo e il motivo - anche tenendo in considerazione il terzo periodo della disposizione introdotto dal d.l. n. 76 del 2020 - si palesa evidentemente formalistico perché il ricorrente in prime cure non ha dimostrato quali elementi in sede procedimentale, ove tempestivamente rappresentati - in quel momento e non, si badi, successivamente, come quelli fatti valere nel presente giudizio - dopo la comunicazione di cui all’art. 10-bis di cui lamenta la mancanza, avrebbero potuto modificare l’esito del procedimento il cui esito, nel caso di specie, in nessun modo sarebbe potuto essere diverso da quello che, poi, in effetti è stato, con la conseguente reiezione dell’istanza. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, in seguito all’annullamento disposto dalle Sezioni Unite, questo Collegio, accoglie l’appello proposto dal Comune di Lecce e, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente il ricorso proposto in primo grado da An.Ca., anche nei motivi assorbiti e qui riproposti, confermando la piena legittimità della delibera n. 342 dell’11 novembre 2020 della Giunta comunale di Lecce. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità delle questioni trattate, possono essere interamente compensate tra tutte le parti. 34.1. Rimane definitivamente a carico di An.Ca. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado, mentre egli deve rimborsare al Comune di Lecce il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dal Comune di Lecce, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente, anche nei motivi assorbiti e qui riproposti, il ricorso proposto in primo grado da An.Ca.. Compensa interamente tra tutte le parti costituite e intervenute nel presente giudizio le spese del doppio grado del giudizio. Pone definitivamente a carico di An.Ca. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado. Condanna An.Ca. a rimborsare in favore del Comune di Lecce il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024, con l’intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Massimiliano Noccelli Roberto Chieppa

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1) Gr.Mo. nata a G il (omissis), 2) Li.Do. nata a G il (omissis), 3) Li.Gi. nato a G il (omissis), 4) Li.Ni. nato a G il (omissis), 5) Ra.Sa. nato a G il (omissis); avverso la sentenza del 02/05/2023 della Corte di Appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Emanuele Cersosimo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore dei ricorrenti Li.Do., Li.Gi. e Li.Ni., Avv. Da.Li., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito il difensore dei ricorrenti Li.Ni. e Ra.Sa., Avv. Gi.Ve., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito il difensore della ricorrente Gr.Mo., Avv. Fl.Si., che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Gr.Mo., Li.Do., Li.Gi., Li.Ni. e Ra.Sa. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 02 maggio 2023 con la quale la Corte di appello di Caltanisetta, ha confermato le condanne inflitte nei confronti dei ricorrenti dal Tribunale di Gela con sentenza emessa in data 02 febbraio 2022. 2. Li.Gi., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stato ritenuto colpevole dei reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione. 2.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. 309/90 nonché vizio di motivazione in ordine all'esistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La motivazione sarebbe carente in ordine alla sussistenza di una stabile struttura associativa ed al ruolo apicale rivestito dal padre Li.Ni.; le conversazioni intercettate avrebbero, infatti, ad oggetto argomenti di natura familiare che i membri della famiglia gli confidavano nella sua veste di capo della famiglia di sangue. La motivazione sarebbe carente anche in relazione alla dimostrazione della sussistenza di stabili canali di approvvigionamento: l'esiguo numero di viaggi effettuati da Li.Gi. e da Ra.Sa. a C, denoterebbe, infatti, che la piazza catanese non era un luogo in cui gli associati si approvvigionavano di stupefacenti in modo stabile e sistematico. A giudizio della difesa sarebbe assente anche il requisito dell'interscambiabilità dei ruoli tra gli affiliati; in particolare il ricorrente, a seguito del suo arresto, non sarebbe stato sostituito dal cognato Ra.Sa., il quale si sarebbe limitato a pagare il debito contratto dal ricorrente nei confronti di Cr.Sa., su incarico del suocero Li.Ni. La difesa ha evidenziato che gli imputati avrebbero rapporti tra loro in considerazione dell'appartenenza al medesimo nucleo familiare ovvero dei rapporti amicali nati in occasione dei colloqui in carcere con i parenti detenuti. La Corte di merito non avrebbe adeguatamente dimostrato l'elemento della continuità dei rapporti e le reciproche interessenze tra gli associati; i contatti con il detenuto Li.Ni. sarebbero, infatti, tutti fondati sul desiderio di avere contatti con il congiunto ristretto in carcere. La motivazione sarebbe carente in ordine al ruolo rivestito da Li.Gi. per la realizzazione degli scopi dell'associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, stante la mancanza di elementi logico-probatori idonei a provare un ruolo attivo del ricorrente. In particolare, lo scambio di battute intercorso tra Li.Ni. e Cr.Sa., nel corso dei colloqui in carcere, sarebbe inidoneo al raggiungimento di un accordo associativo; il primo acquisto di droga si sarebbe verificato otto giorni dopo tale colloquio ed a credito, circostanze che escluderebbero, ad opinione della difesa, che tale acquisto costituisca atto esecutivo di un generico pactum sceleris. Il ricorrente, anche a causa della sua dipendenza dalla cocaina, avrebbe manifestato con i suoi comportamenti, una evidente volontà di non aderire all'associazione di cui il padre sarebbe il promotore mentre Ra.Gi., sarebbe intervenuto solo per saldare il debito contratto dal ricorrente su mandato del suocero Li.Ni. e non per sostituirsi al ricorrente nell'associazione. La difesa ha evidenziato l'insussistenza di alcun riferimento al conteggio ed alla successiva suddivisione dei proventi da spaccio in occasione delle conversazioni intrattenute da Li.Gi. 2.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell'imputato in relazione al reato di cui al capo 2) della rubrica. La Corte territoriale non avrebbe superato con esaustivi elementi logici la tesi difensiva, sostenuta in entrambi i gradi di giudizio, secondo cui gli episodi del 5 e 6 gennaio 2016 non avrebbero riguardato la fornitura di sostanza stupefacente nella misura di ottanta grammi e per la somma di euro 4.700,00 bensì un prestito che Cr.Sa. fece a Li.Gi., nella convinzione che il giovane si fosse presentato dietro incarico del padre. Ad avviso della difesa, non sarebbe strana, come sostenuto dalla Corte, la circostanza secondo la quale il Cr.Sa., soggetto con precedenti per usura e per associazione mafiosa, avrebbe prestato dei soldi a Li.Ni. dal momento in cui è dato di esperienza che tra detenuti di una certa leva vengano ad istaurarsi rapporti fiduciari in ragione dell'affidabilità scaturente dal prestigio criminale. 2.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 D.P.R. 309/90 e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 20) 21) 22) e 23). La motivazione, fondata esclusivamente sul contenuto delle conversazioni intercettate in assenza di sequestri di droga, sarebbe carente quanto alla prova che le conversazioni telefoniche abbiano ad oggetto le sostanze stupefacenti nonché in ordine destinazione delle sostanze stupefacenti oggetto delle cessioni di cui al capo di imputazione, anche e soprattutto in considerazione del fatto che il ricorrente sarebbe un accanito assuntore di sostanze stupefacenti e della mancanza di elementi attestanti la natura consuetudinaria degli incontri. 2.4. Li.Gi., con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 629 comma 1 e 2 e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo 27). La Corte di merito avrebbe desunto la natura estorsiva dell'assunzione del ricorrente da parte della persona offesa dal fatto che tale assunzione sarebbe stata antieconomica e dal fatto che il Fe., nonostante il Li.Gi. non si sia mai recato sul luogo di lavoro, non lo abbia licenziato. Tale affermazione non terrebbe conto del contrasto tra le dichiarazioni della persona offesa e le altre emergenze probatorie. Peraltro, le condotte attribuite al ricorrente sarebbero prive dei requisiti della violenza e minaccia in considerazione del fatto che la stessa persona offesa avrebbe dichiarato di aver accettato "per timore" la proposta della madre di Li.Gi. senza precisare da cosa derivasse tale timore e riferendo di non conoscere il soggetto che aveva accompagnato la donna. I giudici di appello non avrebbero fornito elementi da cui desumere l'esistenza degli ulteriori elementi costitutivi del reato di estorsione (ingiusto profitto con altrui danno); in particolare l'eventuale ammissione alla misura alternativa del collocamento in comunità non sarebbe idonea a causare un danno alla persona offesa in quanto il Fe. non avrebbe corrisposto alcuna somma di denaro per l'attività lavorativa prestata dal ricorrente. Dall'esclusione da parte dei giudici di appello della circostanza aggravante di cui all'art. 7 L. 203/91 discenderebbe l'impossibilità di affermare che l'assunzione del ricorrente presso il proprio autolavaggio sia frutto di una scelta della persona offesa coartata dai comportamenti degli imputati, anche in considerazione che il ricorrente non avrebbe mai fatto alcuna allusione alla cosca del padre Li.Ni. per intimorire la persona offesa. 2.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 10 e 14 della L. 497/4 e vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo 29 della rubrica. La motivazione sarebbe fondata esclusivamente sul contenuto di intercettazione ambientali generiche, ambigue, prive di riscontri esterni e soprattutto in assenza del rinvenimento e sequestro del fucile di cui al capo di imputazione. L'intercettazione posta a fondamento della condanna non dimostrerebbe che la conversazione intercorsa tra il ricorrente e la fidanzata avesse ad oggetto un'arma da fuoco o un altro oggetto, né fornirebbe elementi da cui desumere l'identità del detentore dell'arma. 2.6. Il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 612 comma 2, in relazione all'art. 339 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei capi 30), 31), 32). La condanna in ordine a tali reati, asseritamente commessi in concorso con Ra.Sa., sarebbe fondata su elementi indiziari non gravi né univoci; i giudici del merito si sarebbero limitati ad individuare il movente della condotta criminosa nelle tensioni tra marito ed ex amante di Li.Do. sulla base delle conversazioni intercorse tra quest'ultima ed il Bo. e dell'esito della perizia balistica, senza valutare e confutare la tesi difensiva secondo cui le condotte rubricate sarebbe conseguente ad una rissa in cui era stato coinvolto il Bo. nei giorni precedenti, circostanza emersa nel corso di un colloquio intercorso in carcere tra il ricorrente e il padre. 2.7. Il ricorrente, con il settimo motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 62-bis e 133 cod. pen. e carenza di motivazione in ordine alla determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale ed al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti sulla contestata circostanza aggravante. La Corte avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle attenuanti e determinare una pena più lieve in considerazione della giovane età del ricorrente, dell'influenza nefasta del contesto familiare e della breve durata della condotta ascrittagli. 3. Li.Ni., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stato ritenuto colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. 3.1. Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza dell'ipotizzata associazione a delinquere con le medesime argomentazioni esposte nel primo motivo del ricorso proposto dal figlio Li.Gi. 3.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art 73 D.P.R. 309/90 e mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 2). La Corte di merito non avrebbe adeguatamente valutato e confutato la ricostruzione prospettata nell'atto di appello secondo cui il viaggio a C sarebbe stato giustificato dall'estinzione del debito contratto da Li.Gi. con il Cr.Sa., soggetto con precedenti per usura, e non per attività legate al narcotraffico. La motivazione sarebbe fondata su intercettazioni dal contenuto ambiguo e generico e, quindi, del tutto inidonee a dimostrare la sussistenza dei contestati reati. 3.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art 99 comma 4 cod. pen. e carenza di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva. I giudici del merito avrebbero riconosciuto la sussistenza dell'aggravante della recidiva reiterata basandosi unicamente sui precedenti penali del ricorrente, senza valutare in concreto la situazione personale del ricorrente e senza fornire adeguata motivazione delle ragioni poste a fondamento del riconoscimento della contestata recidiva. 3.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 62-bis e 133 cod. pen. La difesa lamenta l'eccessività della pena inflitta e la mancata concessione delle circostanze attenuanti: i giudici di appello avrebbero omesso di considerare che le condotte contestate al Li.Gi. sarebbero non attuali ed occasionali per via del lasso di tempo intercorso dalla precedente condanna riportata dal ricorrente. 4. Li.Do., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuta colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. La ricorrente, con l'unico motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 nonché motivazione manifestamente illogica in ordine alla penale responsabilità della ricorrente. La sentenza sarebbe priva di adeguata motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, la difesa ha sostenuto tale carenza con le medesime argomentazioni espresse nel ricorso proposto da Li.Gi. cui ci si riporta per evitare inutili ripetizioni. I giudici di appello non avrebbero tenuto in considerazione quanto affermato nell'atto di impugnazione in ordine all'indipendenza manifestata da Li.Gi. nei confronti del padre; all'assenza di espliciti riferimenti alla droga nelle conversazioni intercettate; alla mancata prova dell'acquisto di droga da parte di Li.Gi. ed al ruolo marginale rivestito dalla Li.Do. nelle vicende contestate. La lettura delle intercettazioni escluderebbe che la ricorrente abbia posto in essere condotte causalmente riconducibili all'attività associativa; la stessa avrebbe partecipato, in modo passivo e marginale, ai colloqui intercettati solo in virtù del vincolo familiare che la lega a Li.Ni.; la difesa ha rimarcato, inoltre, la mancanza di intercettazioni telefoniche relative all'utenza della ricorrente e la carenza di prova in ordine all'ipotizzato acquisto di droga effettuato dal Ra.Sa. e dal Cr.Sa. a C nei giorni 5 e 16 febbraio. 5. Ra.Sa., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stato ritenuto colpevole del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. 5.1. Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza dell'associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti. La Corte di merito non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all'esistenza del pactum sceleris a fondamento dell'ipotizzata associazione, non essendo sufficiente a dimostrare tale accordo il colloquio intercorso in carcere tra il Cr.Sa. e Li.Ni. La difesa considera manifestamente illogica la motivazione in considerazione del fatto che, dalla lettura delle intercettazioni, non emergerebbe alcun riferimento alla droga né alcun interesse del Ra.Sa. ad esser coinvolto nel narcotraffico, essendosi il ricorrente limitato ad estinguere il debito contratto d Li.Gi. 5.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 74 D.P.R. n. 309/90 e motivazione manifestamente illogica in ordine in ordine alla partecipazione del Ra.Sa. all'ipotizzato sodalizio dedito al narcotraffico. La motivazione non indica gli elementi da cui desumere che il ricorrente abbia aderito ad un programma delittuoso indeterminato volto alla commercializzazione di sostanze stupefacenti, anche in considerazione della mancanza assoluta di elementi indicativi dell'appartenenza al sodalizio quali la partecipazione agli utili del narcotraffico ovvero eventuali contatti con Li.Gi. in riferimento ad episodi di spaccio o acquisti di droga. 5.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 30) 31) 32) con le medesime argomentazioni esposte nel terzo motivo del ricorso proposto da Li.Gi. 5.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 D.P.R. n. 309/90 e motivazione apparente in ordine ai capi da 10 al 19. La Corte territoriale, con motivazione del tutto assertiva ed apparente, avrebbe ignorato le doglianze difensive e le ipotesi alternative prospettate in sede di appello (inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare un coinvolgimento del ricorrente nei singoli episodi di spaccio). 5.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di impugnazione, lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui ai capi 4 e 6. La motivazione sarebbe del tutto carente in ordine al presunto acquisto di droga a C e nella parte in cui non rileva l'illogicità del comportamento del ricorrente che avrebbe iniziato a spacciare lo stupefacente acquistato a C soltanto 3-4 giorni dopo il suo rientro a G. 6. Gr.Mo., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuta colpevole dei reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsione e ricettazione. 6.1. La ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 74 e 73 D.P.R. 309/90 nonché difetto di motivazione in ordine alla sua partecipazione all'ipotizzata associazione a delinquere. La Corte di merito avrebbe apoditticamente riconosciuto un ruolo attivo della Gr.Mo. negli affari illeciti organizzati e coordinati dal marito, limitandosi a ricondurre la posizione della ricorrente a quella rivestita dagli altri familiari. I giudici di appello avrebbero travisato le prove affermando che la ricorrente, unitamente alla figlia ed al genero, avrebbero dovuto ritirare un "carico" di droga a C, senza tenere conto del fatto che la Gr.Mo. si sarebbe recata a C solo per riappianare il debito contratto dal figlio nei confronti del Cr.Sa. La Corte territoriale avrebbe apoditticamente riconosciuto il concorso della ricorrente alle condotte di spaccio poste in essere dal figlio in adesione di uno specifico programma criminoso riferibile ad un limitato arco temporale. 6.2. La ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, lamenta violazione dell'art. 629 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di estorsione. La Corte di merito, con motivazione apodittica, avrebbe basato la condanna sull'intercettazione del colloquio intercorso tra Li.Ni. e Li.Gi. in cui il padre rimproverava il figlio e lo invitava a presentarsi a lavoro con diligenza e costanza, in assenza di alcun riferimento alla Gr.Mo. ed al non meglio identificato "zio P.". In relazione all'ingiusto profitto, individuato dalla Corte nell'ottenimento e mantenimento del beneficio della messa alla prova, la difesa ha sostenuto che tale condotta sarebbe tutt'al più un escamotage per evitare conseguenze detentive al figlio e non un vantaggio economico. Mancherebbe, in ultimo, il danno per la persona offesa in quanto il Fe. non avrebbe corrisposto alcuna somma di denaro quale corrispettivo, configurandosi nel caso di specie tutt'al più un danno nei confronti dell'amministrazione della giustizia. 7. Il difensore di Gr.Mo., in data 19 gennaio 2024 e 3 febbraio 2024, ha depositato motivi aggiunti con i quali ha insistito nei motivi di ricorso ed ha chiesto la mitigazione della pena in considerazione della lieve entità della fattispecie estorsiva contestata all'imputata desumibile dall'estemporaneità della condotta e dall'esiguità del danno patrimoniale e del correlato lucro. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili per le ragioni che seguono. 1. Conviene trattare, in esordio, alcuni aspetti rilevanti per la decisione della totalità dei ricorsi, fissando i princìpi di diritto che il Collegio intende applicare e, così, evitando inutili ripetizioni, che finirebbero per appesantire la motivazione. Quanto alle statuizioni oggetto degli odierni ricorsi, si è in presenza di una c.d. doppia conforme con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del primo giudice sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 38963 del 25/05/2023, Arcidiacono, non massimata). È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico - giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, Casamonica, non mass.). 2. Le doglianze dedotte dai ricorrenti sono aspecifiche in quanto reiterative di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, all'interpretazione del materiale probatorio ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio già formulate in sede di appello ed affrontate e disattese dalla Corte di merito in esito ad un adeguato scrutinio, trasfuso in una motivazione priva di aporie e illogicità manifeste. Tenuto conto della peculiare modalità di redazione dei ricorsi, che hanno sostanzialmente riprodotto il contenuto dei motivi di appello, si rende opportuna un ulteriore premessa: la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (in tal senso Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822-02; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 39563 dell'08/09/2023, Lo Presti, non massimata). Il motivo di ricorso in cassazione è, infatti, caratterizzato da una duplice specificità, dovendo contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 2, n.11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 - 01; da ultimo Sez. 2, n. 38707 del 22/06/2023, Rossi, non massimata). Risulta, pertanto, di chiara evidenza che se il ricorso si limita a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nel caso di specie, il percorso argomentativo dei giudici di appello non è validamente contrastato dalle critiche contenute nei ricorsi, le quali mirano ad una lettura alternativa delle risultanze istruttorie e non si confrontano compiutamente con le argomentazioni spese dalla sentenza impugnata con conseguente aspecificità delle doglianze. 3. Deve essere, inoltre, rimarcato che tutti i motivi di ricorso sono articolati esclusivamente in fatto e, quindi, proposti al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione dì nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Le doglianze sono, peraltro, improntate ad una valutazione delle prove del tutto parcellizzata, caratterizzata dall'analisi dei singoli elementi in maniera del tutto avulsa dal contesto, prescindendo dagli evidenti elementi di coerenza palesati e valorizzati nelle sentenze di merito. Occorre ribadire, in proposito, che il sindacato di legittimità non ha ad oggetto la revisione atomistica del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento, verifica che non può quindi estendersi alla valutazione dei singoli elementi di fatto acquisiti al processo, compito riservato alla competenza del giudice di merito. 3.1. Nel caso di specie, la Corte di merito non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto specificamente alle doglianze oggi riproposte con argomentazioni adeguate, logiche ed omogenee rispetto a quelle del primo giudice. I giudici di appello hanno, in particolare, rimarcato la specifica valenza probatoria della fonte captativa sottolineando la chiarezza, univocità e concordanza del contenuto delle conversazioni intercettate e la conseguente idoneità a dimostrare la sussistenza dei reati contestati ai singoli imputati. Le deliberazioni della Corte territoriale sono fondate su una interpretazione delle conversazioni intercettate conforme a consolidate massime di esperienza e fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Peraltro, le doglianze con cui viene eccepita l'inidoneità delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata a dimostrare la sussistenza dei reati contestati e la penale responsabilità dei singoli imputati sono generiche e meramente valutative; i ricorrenti si limitano, in modo apodittico, ad attribuire un minimale valore indiziario alle conversazioni intercettate e, di conseguenza, a chiedere a questa Corte un'inammissibile rivalutazione in fatto del compendio probatorio. 3.2. Va, in proposito, ribadito che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia qualora il decidente ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e tale difformità risulti decisiva ed incontestabile (vedi Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Napoleoni, Rv. 259516; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Maro, Rv. 272558 e da ultimo Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non massimata) così da rendere manifesta l'illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (vedi Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Andronio, Rv. 282337 - 01; da ultimo Sez. 1, n. 3019 del 27/09/2022, dep. 2023, Cremona, non massimata). La valutazione dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rilevi l'illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata (vedi Sez. 2, n. 6414 del 23/11/2022, dep. 2023, Pitasi, non massimata). Tutto ciò premesso, è possibile passare all'esame dei singoli motivi di ricorso degli imputati, partendo dai motivi comuni a più ricorrenti. 4. Il primo motivo di ricorso proposto da Li.Gi., il primo motivo di ricorso proposto da Li.Ni., l'unico motivo di ricorso proposto da Li.Do., il primo ed il secondo motivo proposto da Ra.Sa. nonché il primo motivo dedotto da Gr.Mo., da trattare congiuntamente in quanto condividono l'oggetto della doglianza, sono aspecifici e non consentiti. La motivazione ha dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di appello a ritenere dimostrata la sussistenza di un'associazione a delinquere dedita al narcotraffico di cui i ricorrenti erano partecipi, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove. 4.1. Deve essere, preliminarmente, ricordato che i reati associativi si distinguono dal concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 e segg. cod. pen. poiché l'accordo criminoso non associativo è circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati, si esaurisce dopo che questi sono stati commessi ed è caratterizzato dalla mancanza di una struttura organizzativa e dei mezzi necessari all'attuazione del programma comune (Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi, Rv. 211403-01; Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, Bronzellino, Rv. 284724 - 01). La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale va individuato nella necessaria finalizzazione dell'accordo associativo alla costituzione di una struttura (almeno tendenzialmente) permanente, nella quale i singoli associati divengono - ciascuno nell'ambito dei propri compiti, assunti od affidati - parti di un tutto, e si propongono di commettere una serie indeterminata di delitti (così, in motivazione, Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, Ciaramitaro, Rv. 256054; Sez. 3, n. 45421 del 01/07/2022, Aiello, non massimata). Non occorre, peraltro, che tale organizzazione sia complessa, articolata o dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l'esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (vedi Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583-01; Sez. 4, n. 38018 del 05/07/2023, Comito, non massimata). L'elemento "strutturale-organizzativo" assurge, così, ad elemento tipizzante della fattispecie associativa destinato a fornire materialità al fatto, in ossequio al principio di potenziale offensività del reato, sotto il profilo della idoneità e adeguatezza dell'azione a ledere in modo permanente il bene protetto. Sicché l'elemento organizzativo deve essere valutato non solo e non tanto nel suo aspetto statico, quanto nella sua dimensione dinamica, dimostrativa dell'esistenza di una affectio societatis destinata a perpetuarsi nel tempo e che sopravvive al singolo episodio criminoso. Tanto sta a significare, sotto un profilo ontologico, che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l'esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l'esistenza di quell'accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sé si concreta (Sez. 2, n. 16540 del 27/03/2013, Piacentini, Rv. 255491, in motivazione; Sez. 3, n. 38096 del 15/07/2022, Giglio, non massimata). Non occorre, peraltro, un patto espresso fra gli associati, potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetitività, dalla natura dei rapporti tra i loro autori, dalla ripartizione di compiti e ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di stupefacenti (Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, dep. 2013, Cecconi, Rv. 255312; Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, De Falco, Rv. 279589 -01). 4.2 Quanto ai profili probatori, il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati fine, e dell'indeterminatezza del programma criminoso dal susseguirsi ininterrotto, anche per un breve periodo di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540-01; Sez. 2, n. 38964 del 14/06/2023, D'Ippolito, non massimata), proprio perché attraverso essi si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670-01; Sez. 4, n. 38017 del 05/07/2023, Stefanizzi, non massimata). È, pertanto, consentito al giudice dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso gli stessi si manifesta in concreto l'operatività dell'associazione medesima, specie quando ricorrano elementi che dimostrino il tipo di criminalità, la struttura e le caratteristiche dei singoli reati, le modalità di esecuzione (Sez. U., n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218376; Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270370). La prova dello svolgimento di un'attività sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo temporale può essere raggiunta anche nel caso in cui risultino dimostrate soltanto alcune cessioni, monitorate attraverso servizi di intercettazione di conversazioni, quando le stesse, come nel caso di specie, siano collegate probatoriamente alle altre condotte contestate, non occorrendo riscontrare tutti i singoli episodi, specie quando tali fatti coinvolgano le medesime persone, si presentino omogenei e risultino avvinti tra loro da continuità cronologica (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Carrara, Rv. 263043-01; Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014, Caputo, Rv. 261146-01). 4.3. In applicazione dei principi esposti nei precedenti paragrafi, possono ritenersi ampiamente concludenti i plurimi e convergenti elementi da cui è stata desunta l'esistenza del sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti e, di conseguenza, è incensurabile la motivazione rassegnata sul punto. I giudici di appello hanno illustrato, con motivazione priva di aporie o contraddizioni, gli elementi logico-fattuali che sono stati ritenuti idonei a dimostrare la sussistenze di un tessuto organizzativo sufficiente per l'integrazione dell'associazione criminale tipizzata dal citato art. 74 nonché a comprovare l'esistenza di un unitario piano criminoso e la consapevolezza degli affiliati della dimensione collettiva dell'attività di spaccio, con motivazione sufficientemente articolata ed aderente alle risultanze istruttorie che non può esser rivalutata, in questa sede, non essendo i giudici di merito incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste (vedi pagg. da 10 a 12 della sentenza impugnata). Occorre ribadire, in proposito, che il sindacato di legittimità non ha ad oggetto la revisione atomistica del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento, verifica che non può quindi estendersi alla valutazione dei singoli elementi di fatto acquisiti al processo, compito riservato alla competenza del giudice di merito. 4.4. I giudici di merito hanno basato il rilievo dell'avvenuta costituzione di una vera e propria associazione criminosa su un quadro probatorio adeguatamente evocativo di una persistente attività di narcotraffico, ruotante sull'operato sinergico dei soggetti chiamati a rispondere della corrispondente partecipazione. La regolarità dei traffici di sostanza, la diversificazione dei canali di approvvigionamento, il carattere non estemporaneo degli acquisti e delle cessioni e un predefinito grado di distribuzione dei ruoli appaiono indici dimostrativi in sé eloquenti, che i motivi in scrutinio revocano in dubbio in termini solo generici o di pura e non consentita argomentazione controvalutativa. La sentenza impugnata ha derivato la partecipazione associativa non solo dal dato storico della reiterata consumazione di reati-fine in concorso, ma anche dall'esistenza di rapporti collaudati di collaborazione tra gli imputati, con studiata predeterminazione dei compiti di ciascuno, in maniera destinata a produrre effetti ben oltre il singolo episodio delittuoso. Nella organicità della relativa programmazione e nelle modalità di esecuzione, coinvolgente a vario titolo gli odierni ricorrenti, sono stati ragionevolmente colti i necessari segnali non solo di manifestazione dell'associazione ma anche di intraneità ad essa degli odierni ricorrenti. Le sentenze di merito espongono plurimi, significativi e convergenti elementi, logico-probatori a sostegno dell'intraneità dei ricorrenti all'associazione oggetto di scrutinio, desumibili dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari che, a differenza di quando sostenuto dalla difesa, appaiono idonee a dimostrare la stabile ed attiva adesione di Li.Gi., Li.Do., Gr.Mo. e Ra.Sa. all'attività del sodalizio dedito al narcotraffico capeggiato da Li.Ni. (vedi pagg. da 8 a 28 della sentenza impugnata). I giudici di merito non si sono fermati al solo dato storico-statico della consumazione dei singoli reati-fine, ma li hanno contestualizzati e analizzati nella loro proiezione dinamica quali espressione di un rapporto di collaborazione collaudato, stabile, duraturo, destinato a produrre effetti ben oltre i singoli episodi delittuosi, che dà linfa ad un programma potenzialmente indefinito di forniture e acquisti, in piena coerenza con la costante affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo cui la condotta di partecipazione all'associazione di cui all'art. 74 D.P.R., è a forma libera. Deve ribadirsi, in proposito, che la singola condotta di partecipazione può atteggiarsi, nella pratica, nel modo più diverso: il dato qualificante e decisivo, come per tutte le fattispecie associative, consiste nel contributo alla vita ed all'operatività del sodalizio, anche soltanto per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Ciccarelli, Rv. 276677; Sez. 3, n. 32705 del 06/04/2023, Nwococha, non massimata) o addirittura già ab origine prestabilita, dovendo l'indeterminatezza riguardare soltanto la serie dei delitti che s'intendono commettere e non la durata del pactum sceleris (Sez. 6, n. 38524 del 11/07/2018, P., Rv. 274099). 4.5. Il solido percorso argomentativo seguito dai giudici di appello non viene scalfito dalle doglianze difensive, essendosi i ricorrenti limitati a confutazioni di principio ed affermazioni apodittiche che di fatto ignorano gli elementi probatori valorizzati nella sentenza impugnata. I ricorrenti, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiedono a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a loro più gradite, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità dei motivi di ricorso. La complessiva ricostruzione del materiale probatorio esposta in motivazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata, pertanto, su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 5. Il secondo ed il terzo motivo proposti da Li.Gi., il secondo motivo proposto da Li.Ni. ed il quarto e quinto motivo proposti dal Ra.Sa., che possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto la sussistenza delle singole condotte violative dell'art. 73 D.P.R. 309/90, non sono consentiti in sede di legittimità. L'errore di impostazione nel quale cadono i ricorrenti è quello di far leva su elementi di prova negativi e cioè su considerazioni generiche ed astratte, abbandonando il piano dell'esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all'evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede. In particolare, quanto alle critiche difensive sulla ritenuta inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare la penale responsabilità dei singoli ricorrenti in relazione alle plurime violazioni dell'art. 73 D.P.R. 309/90, è sufficiente ribadire il già operato richiamo (par. 3.2) ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno rappresentato divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si sono limitati a obiettare circa l'efficacia dimostrativa della sussistenza dei reati contestati agli imputati, sicché devono ritenersi non consentite le censure sviluppate nei ricorsi inerenti all'interpretazione delle conversazioni intercettate, stante la mancanza prospettazione di alcun travisamento da parte dei giudici di merito. 6. Il quarto motivo dedotto da Li.Gi. ed il secondo motivo proposto da Gr.Mo., con cui i ricorrenti lamentano violazione ed applicazione dell'art. 629 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione di cui al capo 27), sono aspecifici. I giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi (le attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa suffragate dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni dei testi Pe., Di., Ta. e Mo.) idonei a dimostrare la penale responsabilità dei ricorrenti in ordine al reato di estorsione. La Corte territoriale ha sottolineato, in particolare, che la ricorrente Gr.Mo., in compagnia del non meglio identificato "zio P.", si è recata presso l'autolavaggio del Fe. per costringerlo, con toni minacciosi, ad assumere il figlio Li.Gi., con conseguente danno ingiusto per il Fe. dal momento in cui tale assunzione era sostanzialmente antieconomica per la piccola impresa gestita dalla persona offesa ed in considerazione del fatto che il Li.Gi. non si presentava in officina per svolgere i propri compiti, circostanze che i giudici di appello hanno ritenuto idonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 629 cod. pen. (vedi pagg. da 18 a 21 e pag. 27 della sentenza impugnata). Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 6.1. Le censure con cui le difese affermano l'insussistenza dell'elemento materiale del reato di estorsione sono destituite di fondamento. I giudici di appello hanno correttamente evidenziato come le conversazioni intercettate dimostrino che il Fe. nutriva timore nei confronti del Li.Gi. e della Gr.Mo. e che l'assunzione del ricorrente è stata presa esclusivamente a seguito delle intimidazioni subite dalla persona offesa, nonostante l'evidente svantaggio economico ricadente sul Fe. a seguito di tale assunzione (vedi pagg. 19 e 20 della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera (Sez. 2, n. 37526 del 16/06/2004, Giorgetti, Rv. 229727 - 01; da ultimo, Sez. 2, n. 33663 dell'11/07/2023 Badagliacca, non massimata). I giudici di appello hanno, inoltre, correttamente ritenuto sussistente l'elemento costitutivo dell'ingiusto profitto, dando seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui una pretesa contrattuale è contra ius ed integra il reato di estorsione contrattuale quando il soggetto attivo, pur avvalendosi di mezzi giuridici legittimi, li utilizzi per conseguire vantaggi estranei al rapporto giuridico controverso, perché non dovuti nell'an o nel quantum o perché finalizzati a scopi diversi o non consentiti rispetto a quelli per cui il diritto è riconosciuto o tutelato (vedi Sez. 2, n. 34242 del 11/07/2018, Del Zompo, Rv. 273542 - 01); da ultimo Sez. 2, n. 10201 del 13/02/2024, Palluotto, non massimata) e quindi per realizzare un profitto ingiusto con conseguente violazione dell'autonomia negoziale della vittima cui viene impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo ritenuto più opportuno (vedi Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, Mancuso, Rv. 269364 - 01; Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998 - 01). L'ingiustizia del profitto a cui era finalizzata la condotta degli imputati, pertanto, è stata correttamente individuata dai giudici di merito nell'uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi non consentiti, o comunque non conformi a giustizia. 6.2. Attraverso i motivi di impugnazione i ricorrenti invocano una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, che non può trovare ingresso in sede di legittimità a fronte di sentenze di merito congruamente e logicamente motivate. Peraltro, i ricorrenti non hanno rappresentato divergenze tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate ma si sono limitati a obiettare circa l'efficacia dimostrativa della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione ed a proporre interpretazioni alternative delle conversazioni intercettate, sicché devono ritenersi inammissibili le censure sviluppate nel ricorso inerenti alla presunta illogicità della motivazione, stante l'assenza di travisamento del contenuto delle intercettazioni da parte dei giudici di merito. I ricorsi, a fronte della ricostruzione e della valutazione adottata dai giudici di appello, non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati. La motivazione oggetto di ricorso contiene, in conclusione, una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti acquisiti e s'appalesa esente da errori nell'applicazione delle regole della logica come pure da contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio, sottraendosi pertanto a rilievi in questa sede. Le peculiarità del caso concreto sono state attentamente vagliate in sede di merito e la valutazione della complessiva "non lieve" portata della condotta estorsiva appare riconducibile ad una corretta interpretazione della normativa di riferimento in relazione ai dati fattuali processualmente emersi. 7. Il sesto motivo dedotto da Li.Gi. ed il terzo motivo proposto da Ra.Sa., con i quali i ricorrenti lamentano violazione ed erronea applicazione dell'art. 612 comma 2, in relazione all'art. 339 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei capi 30), 31), 32), sono aspecifici ed articolati esclusivamente in fatto e, quindi, proposti al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare come i ricorrenti abbiano commesso i reati di minaccia aggravata dall'uso di arma da sparo e di porto di fucile, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove (vedi pagg. 22, 23, e 29 della sentenza impugnata). I ricorrenti limitandosi ad affermare, in modo generico ed apodittico, la carenza ed irragionevolezza della motivazione, non si sono confrontati adeguatamente con le argomentazioni della Corte di merito con conseguente aspecificità dei motivi di ricorso. 8. Il quinto motivo di impugnazione con cui Li.Gi. lamenta l'inidoneità delle conversazioni intercettate a dimostrare la sussistenza del reato di cui al capo 29 della rubrica non è consentito in sede di legittimità. La semplice lettura dell'atto di impugnazione esclude, infatti, la presenza di travisamenti nelle operazioni di interpretazione e valutazione delle conversazioni intercettate, non emergendo in alcun modo quella palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco delle conversazioni captate e quello tratto dai giudici di merito (vedi pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata), soltanto in presenza della quale si può parlare di travisamento. Deve essere, in proposito, richiamato quanto in precedenza argomentato (par. 3.2.) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse. 9 Il settimo motivo del ricorso con cui Li.Gi. lamenta la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante, è aspecifico e non consentito in sede di legittimità. 9.1. La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla congruità della pena stante l'oggettiva gravità della condotta ed i precedenti specifici a carico del ricorrente (vedi pagg. 14 e 23 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi con conseguente difetto di specificità del ricorso. Deve esser, in proposito, ribadito il principio di diritto secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, nell'osservanza dei criteri stabiliti dagli artt. 133 e 133-bis cod. pen., è sufficiente che richiami la gravità del reato o la capacità a delinquere dell'imputato con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena, diversamente dal caso di specie, sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Ne discende che è inammissibile la censura che, come nel caso di specie, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 2, n. 43893 del 29/09/2022, Cagliozzi, non massimata), vizi non ravvisabili nel caso oggetto di scrutinio. 9.2. Anche il giudizio di equivalenza è fondato su motivazione esente da manifesta illogicità (in particolare i giudici di appello hanno rimarcato l'inesistenza di motivi idonei a giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche) e, pertanto, insindacabile in cassazione, dovendosi ribadire il principio affermato da questa Corte secondo cui il giudice di merito, nel motivare il giudizio di equivalenza, non è tenuto ad effettuare una analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati, costituendo il giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti, esercizio di un potere valutativo riservato alla discrezionalità del giudice di merito (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838- 02). La Corte territoriale, con argomentazioni coerenti con le risultanze processuali ed immuni da illogicità manifeste, ha ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo edittale in ragione della capacità a delinquere dell'imputato e della gravità dei fatti (vedi pag. 23 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente. Il Collegio intende ribadire, in proposito, il consolidato orientamento di questa Corte in materia di oneri motivazionali correlati alla definizione del trattamento sanzionatorio, secondo il quale la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l'obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, Haddi, non massimata). 10. Il terzo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente Li.Ni. lamenta violazione dell'art. 99 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine all'applicazione dell'aumento di pena a titolo di recidiva è manifestamente infondato. La Corte territoriale, anche in considerazione della genericità del motivo di appello, ha correttamente fatto richiamo alla motivazione con la quale il primo giudice ha ritenuto la sussistenza della contestata recidiva in considerazione della pericolosità ingravescente del ricorrente desumibile dai numerosi, gravi e specifici precedenti penali già a partire dal 1998 e dalla pervicacia a delinquere manifestata da Li.Ni., il quale non ha inteso minimamente attenuare né recedere dalla sua già manifesta propensione criminale e anzi, ha cercato di coinvolgere i suoi familiari nell'esecuzione dei delitti che egli, nella sua condizione restrittiva, non poteva mettere in esecuzione (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza oggetto di ricorso). 11. Il quarto motivo di ricorso proposto da Li.Ni. è aspecifico non risultando adeguatamente enunciati e argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego, l'intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dai numerosi precedenti penali e la mancanza di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena (vedi pag. 14 della sentenza impugnata). Deve esser, in proposito, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 -01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02). 12. All'inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, cosi equitativamente fissata. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma dì euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Cosi deciso in Roma, il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7062 del 2023, proposto da Ip. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9415719120, rappresentata e difesa dall'avvocato Cl. De Po., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Consip s.p.a. e ISTAT- Istituto Nazionale di Statistica, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Me. s.p.a., in proprio e quale mandataria del R.T.I. con mandanti Mg Re. S.r.l. e No. So. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; Ce. St. Az. a r.l. in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese con mandanti In. Co. s.p.a. e Em. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Co. Fe., St. Vi. e Da. Ca., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda, 21 giugno 2023, n. 10545, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip s.p.a., di ISTAT Istituto Nazionale di Statistica, di Me. s.p.a., di Mg Re. S.r.l., di No. So. S.r.l. e di Ce. St. Az. a r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2023 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati De Po., dello Stato Ad., Pe., Vi. e Ca.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Ip., terza classificata in graduatoria, ha impugnato dinanzi al T.a.r. del Lazio l'aggiudicazione disposta a favore del raggruppamento guidato dalla mandataria Ce. St. Az. a r.l. (nel prosieguo r.t.i. CS.) della procedura di gara europea aperta indetta, con bando pubblicato sulla GUUE del 3 ottobre 2022 e sulla GURI del successivo 5 ottobre, da Consip s.p.a. a socio unico (di seguito "Consip" o "stazione appaltante"), in qualità di centrale di committenza, per conto dell'Istituto Nazionale di Statistica (di seguito "Istat"), per "l'affidamento del Servizio di conduzione e gestione di interviste CAPI per la realizzazione di indagini continue e dei servizi connessi, strumentali ed opzionali per ISTAT, ed. 3", per un importo a base d'asta pari a Euro 34.291.650,00 (IVA esclusa) e da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 2. Avverso l'aggiudicazione e gli atti di gara impugnati (tra i quali il provvedimento di nomina della Commissione) Ip. ha proposto cinque motivi di gravame, con cui: - ha lamentato la mancata esclusione dell'offerta aggiudicataria perché in asserito contrasto con il capitolato tecnico ed ha comunque contestato la ragionevolezza dei punteggi assegnati per alcuni criteri di valutazione dell'offerta tecnica (specificamente i criteri n. 1, 11 e 15, 21, 19, 10 e 6); - ha dedotto la violazione dell'art. 77 d.lgs. 50/2016, nonché "eccesso di potere per travisamento dei presupposti in fatto e diritto, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità e contraddittorietà manifeste" e "violazione dei principi di buon andamento, trasparenza, imparzialità, ragionevolezza e proporzionalità " per l'illegittima composizione della Commissione, i cui componenti sarebbero privi di competenze tecniche per lo specifico settore oggetto di appalto (terzo motivo, che la ricorrente ha dichiarato logicamente prioritario, secondo la graduazione dei motivi operata,); - ha contestato la legittimità del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, che sarebbe stata superficiale e approssimativa. 2.1. La ricorrente ha poi contestato anche l'offerta del secondo graduato RTI Me., oltre che per censure analoghe a quelle già proposte nei confronti del raggruppamento aggiudicatario col primo motivo di ricorso, anche per altri aspetti afferenti alla privacy (criterio 21). Ha, inoltre, rimproverato alla Consip di non avere attivato la verifica di anomalia nei confronti del secondo classificato che avrebbe consentito di rilevare l'incongruità dei costi di manodopera e l'inattendibilità dell'offerta. 2.2. La ricorrente ha quindi domandato l'annullamento degli atti impugnati e il risarcimento dei danni in forma specifica, con subentro nel contratto previa declaratoria di inefficacia o, in subordine, per equivalente. 2.3. Nel giudizio di primo grado si costituivano in resistenza le amministrazioni intimate e il raggruppamento aggiudicatario CS., insistendo per il rigetto del gravame in quanto inammissibile e infondato. 2.4. Si costituiva altresì il r.t.i. Me., il quale concludeva per la reiezione del ricorso, quanto alle censure rivolte avverso la propria offerta, e per l'accoglimento delle censure afferenti alla posizione del RTI CS.. 3. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo, disposta l'estromissione dal giudizio dell'Istat per difetto di legittimazione passiva e respinta l'istanza istruttoria avanzata dalla ricorrente (avente ad oggetto la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di accesso alla gara in capo al r.t.i. aggiudicataria) in quanto relativa a questione che esulava dal thema decidendum per come delineato dai motivi di ricorso proposti, ha respinto tutte le doglianze, ritenendole infondate. 4. Di tale sentenza Ip. domanda la riforma, deducendone l'erroneità con il presente appello affidato a cinque motivi di impugnazione con cui ha sostanzialmente reiterato le doglianze formulate in primo grado, contestando le statuizioni di rigetto del Tribunale. 4.1. Si è costituita Consip insistendo per il rigetto dell'appello. 4.2. Si è costituita in resistenza Ce. St. Az. a r.l. nella qualità in atti, eccependo sotto vari profili l'inammissibilità del gravame ed esponendone l'infondatezza. 4.3. Si è costituita anche Me., chiedendo, come in primo grado, l'accoglimento dei motivi rivolti avverso l'offerta prima classificata e il rigetto delle doglianze formulate contro la propria offerta. 4.4. All'esito della camera di consiglio del 14 settembre 2023, sull'accordo delle parti il Collegio ha disposto l'abbinamento al merito dell'istanza cautelare. 4.5. All'udienza del 14 dicembre 2023, la causa è passata in decisione. DIRITTO 5. In via preliminare deve ribadirsi il difetto di legittimazione dell'ISTAT che, pur ritualmente evocato nel presente giudizio di appello, è stato già correttamente estromesso dal Tribunale in quanto estraneo alle determinazioni impugnate, che hanno ad oggetto un procedimento selettivo interamente gestito dalla Consip s.p.a., senza che siano state dedotte censure che, in qualche misura, possano interessare l'ente richiedente l'espletamento della commessa. 6. Prima di procedere all'esame delle censure, appare opportuno evidenziare, in linea generale, che, secondo la disciplina di gara, il servizio oggetto della procedura controversa consiste nella conduzione e gestione di un numero indicativo di 441.000 interviste complessive, da svolgersi sull'intero territorio nazionale a mezzo dell'attività di almeno 400 intervistatori secondo la tecnica "CAPI" (Computer Assisted Personal Interviewing) e in modalità "face to face" presso le cd. "famiglie campione", per la realizzazione di due tipologie di indagini continuative (con riferimento all'acquisizione dei dati relativi alle spese delle famiglie e alla forza lavoro), per le annualità 2024, 2025 e 2026, oltre a servizi connessi e strumentali (quali numeri verdi per l'assistenza, produzione e fornitura della reportistica degli indicatori e dei file microdati, help desk telefonico). 7. Tanto premesso l'appello ad avviso del Collegio è infondato. 8. Con il primo motivo l'appellante critica la sentenza nella parte in cui ha respinto il terzo motivo di ricorso concernente la violazione dell'art. 77 del D.Lgs. 50 del 2016 e del paragrafo 18 del disciplinare in quanto la Commissione non sarebbe composta da "esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto". 8.1. In particolare, l'appellante evidenzia che laddove, affinché sia concretamente soddisfatto il requisito della competenza dell'organo collegiale, è richiesta la prevalente, anche se non esclusiva, presenza di membri esperti nel settore oggetto dell'appalto - come chiarito dalla giurisprudenza- per converso nel caso in esame almeno due dei tre commissari sarebbero privi di competenze tecniche specifiche nella materia di cui trattasi e dotati soltanto di competenza tecnica generale in materia di pubbliche gare, ovvero di un'esperienza a carattere amministrativo che, a tutto voler concedere, sarebbe ammissibile solo in misura minoritaria. 8.2. La censura non è suscettibile di favorevole considerazione. 8.3. In primo luogo, si osserva che correttamente il primo giudice ha rilevato che la valutazione sulla competenza professionale dei componenti il seggio di gara è tesa ad apprezzare che la Commissione nominata per l'espletamento della procedura sia nel complesso munita di adeguate e specifiche competenze, idonee alla valutazione delle offerte tecniche ed economiche, in conformità a quanto prescritto dall'art. 77 del D.Lgs. 50/2016. 8.4. La giurisprudenza, nel respingere analoghe censure, ha infatti chiarito che: "(...) la competenza della Commissione va valutata nel suo complesso e non riguardo ai singoli componenti considerati, e i tre commissari designati...offrivano competenza ed esperienza in materia tecnico amministrativa, di organizzazione scolastica e di scienza dell'alimentazione (il commissario esterno), così da assicurare la selezione dell'offerta più rispondente alle esigenze della stazione appaltante in base alle caratteristiche individuate dalla legge di gara" (così testualmente Cons. Stato, V, 30 luglio 2020, 4855, che, in relazione a una gara per l'affidamento del servizio di refezione scolastica, ha ritenuto soddisfatto il requisito in questione e comprovata la competenza specifica del commissario nel settore oggetto dell'appalto "in quanto Dirigente scolastico,... provvisto di una concreta esperienza nel settore, quanto meno con riferimento ai profili organizzativi del servizio (...)"). 8.4. La giurisprudenza ha altresì precisato che la disposizione di cui all'art. 77 del D.Lgs. 50 del 2016 non imponga una perfetta e rigida corrispondenza tra competenze dei membri della commissione, anche cumulativamente considerate, e i diversi ambiti materiali che concorrono all'integrazione del complessivo oggetto del contratto (Cons. Stato, V, 23 febbraio 2023, n. 1898). Inoltre, la competenza ed esperienza richieste ai commissari deve essere riferita ad aree tematiche omogenee e non anche alle singole e specifiche attività oggetto dell'appalto (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 11 settembre 2019, n. 6135; id. 18 luglio 2019, n. 5058; 1 ottobre 2018, n. 5603). 8.4.1. Il requisito in questione (i.e. l'esperienza "nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto") deve, quindi, essere inteso in modo coerente con la poliedricità delle competenze spesso richieste in relazione alla complessiva prestazione da affidare, non solo tenendo conto, secondo un approccio formale e atomistico, delle professionalità tecnico settoriali implicate dagli specifici criteri di valutazione, la cui applicazione sia prevista dalla lex specialis, ma considerando, secondo un approccio di natura sistematica e contestualizzata, anche le professionalità occorrenti a valutare sia le esigenze dell'Amministrazione, alle quali quei criteri siano funzionalmente preordinati, sia i concreti aspetti gestionali e organizzativi sui quali gli stessi siano destinati ad incidere. 8.5. Alla luce dei riportati principi, acclarato che la competenza del singolo componente non presuppone necessariamente la corrispondenza, sul piano materiale, fra l'esperienza del commissario e l'oggetto principale del contratto, dovendo piuttosto ritenersi che sia l'eterogeneità delle competenze professionali dei singoli componenti a facilitare il lavoro della Commissione e la sua capacità di analisi delle proposte progettuali, di modo che le competenze, nel loro complesso analizzate, consentano la efficace valutazione delle offerte, non può invero dubitarsi che le professionalità prescelte soddisfino ampiamente il tenore delle aspettative e delle incombenze connesse alla valutazione dei progetti della gara in questione. 8.6. Infatti, nel caso in esame - come già in altre procedure di gara per servizi similari cui l'odierna appellante ha partecipato in talune risultando anche aggiudicataria (cfr. memoria Consip pag. 21) - tutti i tre componenti la Commissione giudicatrice sono in possesso del diploma di laurea e, inoltre, mentre due componenti hanno ricoperto importanti e rilevanti incarichi in seno all'Amministrazione e vantano una pluriennale esperienza nel settore della contrattualistica pubblica, essendo dipendenti di lungo corso della centrale nazionale di committenza (Consip), il terzo è dipendente di ISTAT, con alto grado di specializzazione nella materia oggetto dell'appalto per cui si controverte. 8.7. In particolare, dall'esame dei curricula dei tre componenti la Commissione in questione, si evince che: - il Presidente (con laurea in ingegneria) opera da lungo tempo all'interno dei ruoli della stazione appaltante e vanta una significativa, pluriennale esperienza nel settore della contrattualistica pubblica, avendo partecipato a numerose commissioni di gara, anche in materia di servizi e servizi integrati, avendo ricoperto nella centrale di committenza il ruolo di responsabile delle procedure di acquisto, curando anche la fase di monitoraggio dell'andamento delle convenzioni; - il secondo membro (con laurea in scienze politiche), analogamente, vanta una significativa e variegata esperienza quale componente di commissioni di gara della Consip nel settore degli appalti di servizi comprendenti, fra l'altro, quelle di "rilevazione telefonica Istat con sistema c.a.t.i.", omogenee al settore contrattuale di riferimento, oltre ad aver svolto attività di supporto a favore delle amministrazioni committenti di gare espletate da Consip, in tema di acquisizione di beni e servizi; - incontestata è la competenza del terzo membro (con laurea in scienze statistiche ed economiche) che è attualmente dipendente dell'Istat con significativa esperienza nel settore delle tecniche delle indagini statistiche (è stata, tra l'altro, responsabile di progetto e ricercatore in numerosissime indagini commissionate da Istat, come emerge dalle copiose evidenze curriculari riportate per esteso da Consip alle pagg. 25-33 della memoria difensiva). 8.8. Alla stregua delle evidenze sopra enucleate, correttamente il primo giudice ha ritenuto provata la piena competenza della commissione, in ossequio al dettato normativo e alla consolidata giurisprudenza. 8.8.1. Infatti, il requisito dell'esperienza, nello specifico settore oggetto del contratto, deve essere declinato in modo calibrato con la complessità delle competenze richieste per la complessiva prestazione e, dunque, avendo riguardo, non solo ad un criterio formale incentrato sulla singola professionalità, bensì in ragione di un approccio sistematico e contestualizzato. Così, a fronte di componenti con competenza nel settore "primario" - nel caso di specie, il terzo membro, esperta nel settore delle tecniche delle indagini statistiche cui si riferisce l'oggetto dell'appalto - ben possono esservene altri con competenze in settori "secondari" che interferiscono e intersecano il primo, ovvero muniti di competenza non soltanto di natura tecnica, ma amministrativa e gestionale (Consiglio di Stato, III, sent. 24 aprile 2019, n. 2638; Consiglio di Stato, III, 28 giugno 2019, n. 4458). 8.8.2. Nel caso in esame, i profili professionali dei commissari designati non risultano nell'insieme inappropriati, diversificandosi fra loro in funzione del carattere composito delle valutazioni da eseguire. Difatti, non è necessario che l'esperienza professionale di ciascun componente la commissione giudicatrice copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente, in modo da completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea, tenuto conto, altresì, che la competenza tecnica non deve essere necessariamente desunta da uno specifico titolo di studio, potendo viceversa risultare anche da incarichi svolti e attività espletate (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3721; Cons. Stato, V, 2019, 17 giugno 2019, n. 4050). 8.9. In conclusione, i titoli posseduti dai componenti della Commissione giudicatrice nonché le loro numerose esperienze pregresse in materia di appalti di servizi consentono di ritenerli adeguatamente qualificati per svolgere le valutazioni demandate nell'ambito dell'appalto in esame. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la sentenza per aver respinto il primo motivo di ricorso con cui si era lamentata la violazione e falsa applicazione della lex specialis con riferimento alle disposizioni sulle caratteristiche dell'offerta tecnica, la contraddittorietà e illogicità delle valutazioni operate dalla Commissione, l'erroneità e l'irragionevolezza dei punteggi attribuiti all'offerta aggiudicataria, la violazione dei chiarimenti resi dalla stessa stazione appaltante nonché dei principi di correttezza, parità di trattamento e non discriminazione. 9.1. In particolare, con tale articolato motivo, parte appellante è tornata a sostenere anzitutto che, a fronte di una previsione del Capitolato tecnico che richiedeva ai concorrenti di assicurare "pc dedicati, in numero pari alle risorse impiegate (...)" nonché dei chiarimenti della stazione appaltante che hanno confermato la natura vincolante del requisito tecnico in questione, l'offerta del r.t.i. CS. non avrebbe previsto l'utilizzo di PC dedicati per i soggetti intervistatori, avendo espressamente indicato che essi utilizzeranno per le rilevazioni "il proprio pc portatile", come dimostrerebbe, fra l'altro, la mancata indicazione dei costi per l'acquisto dei pc nelle giustificazioni fornite. 9.1.1. L'offerta del r.t.i. CS. avrebbe, quindi, meritato l'esclusione dalla procedura per carenza di un elemento essenziale o comunque un punteggio inferiore, ridotto dei 4 punti assegnati per il criterio inerente l'"efficacia delle soluzioni adottate dal fornitore per garantire la conservazione e la riservatezza delle informazioni e dei dati trattati". 9.2. Inoltre, l'appellante ha lamentato che la sentenza avrebbe erroneamente non ravvisato l'irragionevole esercizio della discrezionalità tecnica da parte della Commissione -trasmodata in giudizi contraddittori, illogici e arbitrari- in relazione ai seguenti profili. 9.3. In primo luogo, sarebbe incerto il numero di intervistatori dedicati all'esecuzione dell'appalto, avendo il RTI CS. individuato (a pag. 9 della Relazione tecnica) un team di 430 soggetti, quindi affermato in più parti della relazione che avrebbe "la disponibilità " di oltre 4.000 intervistatori, infine ridotto indebitamente in sede di giustificativi il numero degli intervistatori da 430 a 400, potendo da ciò desumersi che il fornitore (il quale avrebbe poi ciò nonostante dichiarato di voler ricorrere al subappalto per il 40 per cento) non sarebbe in grado di garantire neanche il numero minimo "di almeno 400 intervistatori" prescritto dal Capitolato tecnico. 9.3.1. In ogni caso, l'offerta del r.t.i. aggiudicatario non avrebbe meritato l'attribuzione di 4,8 punti con riferimento al criterio n. 1, relativo alla "Struttura organizzativa, procedure, strumenti e modalità di comunicazione" e di 1,3 punti con riferimento al criterio sub 15, avente ad oggetto "Metodologie e strumenti proposti per ottimizzare l'organizzazione degli intervistatori sul territorio". 9.4. In secondo luogo, i punteggi attribuiti dalla Commissione sarebbero illogici anche con riferimento al criterio n. 21, inerente agli strumenti e alle tecniche adottate dai concorrenti per la riduzione delle mancate risposte alle interviste da parte delle famiglie, e al criterio n. 19, che mira a valutare gli "Strumenti e modalità inerenti alla messa a disposizione di un sistema automatizzato per il riconoscimento anagrafico e visivo preventivo dell'intervistatore", per i quali il r.t.i. CS. ha ottenuto rispettivamente 3,2 punti e 2,8 punti benché la soluzione proposta (realizzazione di una mailing list attraverso cui fornire informazioni sulla rilevazione e invio alle famiglie del link contenente le generalità dell'intervistatore) sarebbe irrealizzabile, data la necessità di reperire un elevato numero di informazioni (le mail di 718.000 famiglie), non contenute negli elenchi forniti da Istat per l'avvio delle rilevazioni. 9.4.1. Inoltre, la soluzione proposta dall'aggiudicatario quanto al criterio 19 sarebbe carente dell'indicazione circa le modalità per l'elaborazione della mailing list dei contatti da intervistare e quanto ai profili inerenti la privacy. 9.5. Sarebbe, altresì, irragionevole il punteggio attribuito al criterio n. 10 (relativo alle soluzioni e strumenti messi a disposizione dell'intervistatore al fine di agevolare l'attività di acquisizione dei dati in formato digitale, c.d. diario elettronico), pari a 2,4 punti, posto che le tecnologie e i sistemi offerti da CS. (OCR- Optical Character Recognition, per l'acquisizione dei testi stampati e ICR- Intelligent Character Recognition, per l'acquisizione di testi in scrittura libera) necessitano di attività di scansione, da effettuare, tuttavia, con i mezzi personali degli intervistatori (come si desumerebbe dalla mancata indicazione in offerta della messa a disposizione di tali strumenti), con conseguenti criticità sotto il profilo del rispetto delle regole di privacy. 9.5.1. Inoltre, gli strumenti offerti risulterebbero inidonei, se non addirittura controproducenti, ai fini della conduzione di attività di indagine statistica, anche in ragione del possibile aumento delle percentuali di abbandono causato dal previsto utilizzo da parte delle famiglie del software di scansione mediante propri dispositivi personali. 9.6. Infine, erroneo sarebbe anche il punteggio attribuito al criterio n. 6 ("Strumenti, politiche di gestione delle risorse umane, forme di incentivazione e/o altri benefit volti a migliorare le condizioni di lavoro degli intervistatori") pari a 4,3333 punti, atteso che gli importi mediamente riconoscibili, pari a 270/euro all'anno pro capite per i bonus e 73,637 anno pro capite per il welfare a beneficio degli intervistatori, sono irrisori e, oltre tutto, soggetti (i bonus) alla variabile della performance e alle valutazioni dell'appaltatore. 9.7. Ai fini della prova di resistenza, l'appellante precisa che l'accoglimento delle doglianze e la rettifica dei punteggi che ne consegue porterebbe ad una modifica sostanziale del posizionamento in gara, in quanto, riparametrando i punteggi tecnici, il RTI CS. avrebbe ottenuto punti contro i 73,3 punti assegnati alla stessa appellante. 10. Anche tali censure non sono fondate. 10.1. In primo luogo, non può seguirsi il ragionamento dell'appellante laddove sostiene che l'offerta dell'aggiudicataria avrebbe violato le previsioni del capitolato che prevedono la necessità di eseguire il servizio con pc portatili dedicati, in dotazione agli intervistatori e messi a disposizione dal fornitore. L'appellante desume che l'espressione "proprio pc", contenuta alle pagg. 13 e 18 della relazione tecnica presentata dal RTI CS. (dove si afferma "l'intervistatore svolgerà l'intervista...acquisendo e registrando i dati e le informazioni sul proprio PC portatile") intenda significare che, in contrasto con la previsione vincolante recata dal paragrafo 6 del capitolato, il fornitore non ottemperi all'utilizzo di pc dedicati, ossia di portatili nell'esclusiva disponibilità giuridica del concorrente e assegnati agli intervistatori per eseguire la commessa (senza dunque consentire usi potenzialmente promiscui). In contrario, si osserva che l'espressione "pc propri" è stata estrapolata dalla relazione tecnica, mentre dal contesto si evince con adeguata chiarezza che i pc saranno dati in dotazione agli intervistatori per l'esecuzione del servizio, come richiesto dal capitolato. Il concorrente aggiudicatario ha, infatti, dichiarato nelle premesse alla Relazione Tecnica (pag. 1) che "i servizi e i prodotti offerti rispettano i requisiti minimi indicati nel Capitolato Tecnico": non vi è ragione di ritenere che ciò non valga per i pc portatili da mettere a disposizione degli intervistatori. Invero, nella stessa relazione è testualmente indicato che per le interviste sarà impiegato "il PC in dotazione", in modo da garantire la massima visuale degli intervistati e favorire la naturale conversazione "rendendo la situazione molto simile a quella di un'intervista domiciliare". Se ne illustrano anche le caratteristiche specificando, in particolare, che i PC forniti agli intervistatori possiedono le medesime caratteristiche tecniche e rispettano le più rigorose procedure di utilizzo e di sicurezza, in coerenza con gli standard internazionali (pagine 16 e 17 della relazione tecnica). Alla stregua di tali considerazioni non può dunque inferirsi dall'offerta del RTI CS. l'utilizzo di pc personali, di proprietà dell'intervistatore, anziché forniti in dotazione a questi ultimi e dedicati al servizio. Pertanto, correttamente il primo giudice ha concluso che in assenza di univoci e ulteriori indizi, l'aggettivo "proprio" si può agevolmente interpretare come sinonimo di "personale", ossia assegnato dal fornitore all'operatore e da questi governato e utilizzato, per il servizio, sotto la sua responsabilità, ritenendo quindi l'argomentazione proposta dalla ricorrente sfornita di adeguato supporto probatorio. 10.1.1. La tesi dell'appellante non è avvalorata neanche dalla mancata indicazione dei costi relativi ai pc nell'offerta e in sede di giustificazioni. Il fatto che il concorrente aggiudicatario non abbia esplicitato le singole voci di costo relativa ai pc portatili per gli intervistatori non consente di dedurre che tali dotazioni non siano state previste nell'offerta né che non si sia tenuto conto dei costi correlati alla messa a disposizione di tali strumenti. La legge di gara non richiedeva ai concorrenti alcuna obbligo di separata indicazione dei costi dei PC dedicati (né per vero richiedeva di dimostrarne il titolo di possesso o le modalità di acquisizione). Ad ogni modo, il r.t.a. CS. ha evidenziato, a titolo di spese generali, un importo rilevante (complessivamente pari ad euro 1.680.973), all'interno del quale ha espressamente ricompreso i costi per ammortamento - immobilizzazioni materiali e immateriali - in cui rientrano anche gli acquisiti di infrastrutture informatiche, ammortizzate in un orizzonte pluriennale. 10.1.2. Decadono quindi, giocoforza, anche le censure sulla corrispondente attribuzione del punteggio all'offerta tecnica e sulla mancata indicazione dei costi d'acquisto dei pc. 10.2. Miglior sorte non spetta alle ulteriori censure dirette alla rettifica del punteggio assegnato a varie voci (e criteri valutativi) dell'offerta tecnica. 10.3. Correttamente il primo giudice, con statuizioni immuni da censure e non scalfite dai rilievi dell'appellante, dopo aver rammentato che le valutazioni compiute dalla Commissione giudicatrice sono espressione di ampia discrezionalità tecnica, censurabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità, arbitrarietà o travisamento dei fatti, e senza possibilità di sindacato sostitutivo (cfr. Consiglio di Stato, V, 20 aprile 2023, n. 4019), ha ritenuto comunque insussistenti le denunziate illogicità in riferimento alle censure proposte. 10.4. Il criterio n. 1 mirava in effetti a valutare la struttura organizzativa complessivamente proposta per l'erogazione del servizio e non premiava, in modo specifico, il quantitativo di intervistatori utilizzati. In ogni caso, l'offerta aggiudicataria (cfr. pagg. 3-8 della relazione tecnica) individua in modo analitico le figure coinvolte nell'ambito del team dedicato al servizio e le metodologie di interazione per garantire un'efficace organizzazione complessiva. 10.4.1. Pertanto, i rilievi dell'appellante non scalfiscono il ragionamento del primo giudice né l'attendibilità del giudizio di valore espresso dalla Commissione. 10.5. Anche per il criterio n. 15 (concernente le metodologie per ottimizzare l'organizzazione degli intervistatori sul territorio), l'elemento quantitativo del numero di intervistatori non era l'unico fattore da considerare in sede di offerta. 10.5.1. Tanto chiarito al riguardo, vanno anzitutto confermate le statuizioni della sentenza che hanno rilevato come il numero di 430 intervistatori dedicati al servizio (che sarebbe stato indicato in offerta e poi ridotto dal r.t.i. CS. nelle giustificazioni) è stato impropriamente desunto dall'appellante dall'immagine "screenshot" del portale utilizzato per la raccolta dati, senza che il fornitore abbia dichiarato che tale sia il numero di intervistatori da utilizzare. In particolare, è stato dimostrato in giudizio che nella relazione tecnica (a pag. 9) all'interno della descrizione degli strumenti per il monitoraggio delle condizioni lavorative delle risorse impiegate nell'appalto è inserita una immagine esemplificativa di una maschera del portale dove viene indicato il numero di 430 partecipanti inclusi nel monitoraggio, inteso quindi come numero di risorse impiegate nella commessa e non dei soli intervistatori. 10.5.2. Anche l'asserita discrasia fra i 4.000 intervistatori a disposizione e i 400 utilizzati effettivamente nel servizio non sussiste. È evidente la differenza dei dati: il primo indica la rete di personale potenzialmente a disposizione (allo scopo di fare apprezzare la capillarità della rete e la facilità nell'assicurare l'erogazione del servizio), il secondo il numero effettivo di persone che sarà attivo sulla commessa (allo scopo, essenzialmente, di dare conto della struttura dei costi di commessa), corrispondente al numero minimo di intervistatori ("almeno 400") prescritto dal capitolato. Ciò si evince dalla lettura della relazione tecnica del r.t.i. aggiudicatario (pagg. 21-22) ove si precisa che il raggruppamento "può contare su una delle più estese e qualificate reti di intervistatori CAPI in Italia, circa 4.000 operatori distribuiti capillarmente su tutto il territorio nazionale e già impegnati in altre attività caratterizzate da forte dispersione territoriale". Tuttavia, tale affermazione non può essere intesa come un impegno a utilizzare quale personale dipendente per l'esecuzione del servizio un numero di intervistatori pari a 4.000. 10.5.3. Né è rilevante, in qualche misura, la possibilità di fare ricorso al subappalto, atteso che tale opzione (peraltro non vincolante in sede esecutiva per l'aggiudicatario) non intacca i livelli di servizio e gli standards offerti in gara. 10.6. Analoghe considerazioni valgono in ordine al criterio n. 11 (processi e metodi per la selezione delle figure professionali), per il quale non rileva l'elemento quantitativo del personale impiegato per le interviste, bensì la descrizione - conformemente compiuta dall'aggiudicatario- dei processi operativi applicati nella selezione del personale. 10.7. La valutazione della Commissione non appare irragionevole neanche con riferimento al criterio n. 21 in quanto la creazione della mailing list non appare irrealizzabile, sfruttando le capacità ricettiva delle famiglie dotate di adeguati strumenti informatici (es. chat-accesso ad internet), e al contempo non immeritevole di apprezzamento. 10.7.1. Al riguardo va chiarito che tra le metodologie e strategie impiegate sia per consentire il riconoscimento anagrafico e visivo preventivo dell'intervistatore che per garantire la riduzione delle mancate risposte alle famiglie il r.t.i. aggiudicatario ha dichiarato di voler provvedere al reperimento delle mail delle famiglie interessate per l'invio di informazioni sulle rilevazioni, inviando altresì alle medesime famiglie - all'avvio dell'indagine e parallelamente all'inoltro delle lettere informative da parte dell'ISTAT - un apposito link. 10.7.2. Si tratta, come puntualmente dedotto dalle appellate, di una ulteriore modalità di contatto, aggiuntiva e complementare rispetto ai canali tradizionali, da utilizzare nell'ipotesi in cui la famiglia oggetto dell'indagine fornisca, previo contatto telefonico, un recapito mail di un componente del nucleo familiare da intervistare. 10.7.3. Orbene, la commissione, rilevato che gli indirizzi e-mail degli intervistati non sono nella disponibilità del fornitore ad inizio attività, in quanto non inclusi tra i dati forniti dall'Istat, ha non illogicamente ritenuto che non sia impraticabile il reperimento di tali indirizzi, all'atto del primo contatto telefonico da parte dell'intervistatore, previsto dal capitolato tecnico (cfr. pag. 24 ove si evidenzia che ISTAT fornirà all'aggiudicatario il nominativo dell'intestatario della scheda anagrafica familiare con tutte le informazioni necessarie per stabilire un contatto, ivi compreso il numero telefonico) e, pertanto, senza ulteriori costi. 10.7.4. Analoghe considerazioni possono svolgersi per il criterio n. 19 (concernente gli strumenti e le modalità inerenti la messa a disposizione delle famiglie da intervistare e di Istat, prima della visita a domicilio, di un sistema automatizzato per il riconoscimento anagrafico e visivo preventivo dell'intervistatore) rispetto al quale l'offerta di CS. descrive in modo puntuale ed efficace le azioni e gli strumenti messi a disposizione per realizzare la finalità indicata dalla lex specialis (cfr. relazione tecnica pag. 28). 10.8. Sono corrette anche le statuizioni della sentenza che hanno ritenuto infondate le doglianze sul criterio 10. 10.8.1. In effetti, in alcun punto della relazione tecnica del r.t.i. aggiudicatario si evince che i dispositivi da utilizzare per lo svolgimento delle interviste siano personali degli intervistatori anziché forniti dal medesimo appaltatore, dovendosi presumere che gli strumenti di lavoro siano, come di regola, a carico dell'imprenditore, che ha il precipuo compito di approntare e organizzare l'attività lavorativa (cfr. art. 2082 c.c.). Sicché non può essere fondatamente invocato alcun rischio per la privacy e la sicurezza dei dati acquisiti, mentre è ragionevole ritenere che anche il rischio di errore possa essere comunque contenuto tramite lettore ottico, rispetto all'eventuale inserimento manuale dei dati, proprio in considerazione dell'enorme quantità di dati da digitare. 10.9.1. Correttamente la sentenza ha infine ritenuto che non colga nel segno neanche la censura relativa al criterio 6, rispetto al quale non è irragionevole la valutazione assegnata all'aggiudicatario, dal momento che la somma complessivamente appostata per tali coperture (515.000,00, pari al 2,7% del costo del personale) non è irrisoria, avendo peraltro nell'offerta CS. previsto misure diversificate meritevoli di apprezzamento (né, ad ogni modo, la lex specialis ne imponeva la relativa quantificazione). Gli importi pro capite indicati dall'appellante, inoltre, costituiscono delle medie aritmetiche, non essendo impossibile che, a date condizioni, l'importo erogato a chi ne abbia bisogno (o ne sia meritevole) possa ascendere. Come puntualmente osservato dal primo giudice, manca, infine, nell'analisi critica dell'appellante ogni accenno comparativo alle altre offerte (in primis, la propria). 11. In conclusione, nel caso in esame le valutazioni della Commissione di gara con riguardo all'offerta tecniche del raggruppamento aggiudicatario non presentano margini di illogicità, irragionevolezza o travisamento. 12. Con il terzo motivo l'appellante ripropone le doglianze riferite all'offerta del RTI Me., secondo in graduatoria, con le quali si è contestata l'erroneità dei punteggi attribuiti alle soluzioni tecniche migliorative adottate dall'offerente nell'ambito dei criteri 10, 19 e 21. 12.1. Anche tali censure non possono essere condivise, non meritando la sentenza le critiche appuntate. 12.2. In primo luogo, non è fondata la censura con cui si sostiene che il sistema proposto dal raggruppamento al fine di agevolare l'attività di acquisizione dei dati in formato digitale (sistema speech to text) fosse completamente inadeguato ad assolvere il compito al quale era preposto, in quanto incompatibile con la formula del diario elettronico, basata su elenchi o domande a risposta multipla, rispetto ai quali sarebbe dubbia la stessa possibilità di utilizzo del sistema o, quantomeno, i vantaggi (in termini di riduzione dei tempi di acquisizione e dei rischi di errore connessi alla digitazione delle informazioni acquisite) che deriverebbero dal suo utilizzo. 12.3. Al riguardo sono corrette le statuizioni della sentenza che hanno ritenuto tali affermazioni indimostrate, in quanto non supportate da dati tecnici oggettivi e verificabili, come tali inidonee a confutare l'efficacia della soluzione proposta dall'RTI aggiudicatario e, conseguentemente, la valutazione che ne ha dato la Commissione giudicatrice. 12.4. In particolare, si osserva che le funzionalità proposte dal r.t.i. Me. per l'acquisizione del diario delle famiglie intervistate, con la dichiarata finalità di ridurre i tempi di acquisizione e il rischio di errori di digitazione, costituirebbe una modalità alternativa che non esclude l'operatività con tastiera/mouse (in modo da combinare le funzionalità nell'immissione dati), rimettendo quindi agli intervistatori la facoltà di scelta sulla più idonea funzionalità da utilizzare. 12.5. La Commissione, quindi, correttamente operando, ha valutato come effettivamente migliorativa e quindi più che adeguata la soluzione proposta dal concorrente, formulando un giudizio che non esorbita dai canoni della ragionevolezza. 12.6. Vanno confermate anche le statuizioni della sentenza che hanno correttamente ritenuto non persuasive, oltre che generiche, le doglianze relative ai punteggio assegnati per il criterio n. 21 (diretto a valutare gli strumenti adottati dai concorrenti per la riduzione delle mancate risposte da parte delle famiglie) e 19 (inerente la "Descrizione degli strumenti e modalità inerenti la messa a disposizione delle famiglie da intervistare e di Istat, prima della visita a domicilio, di un sistema automatizzato (es: piattaforma, email, video chiamata...) che consenta il riconoscimento anagrafico e visivo preventivo dell'intervistatore, previo consenso dello stesso"). 12.7. Al riguardo, l'appellante è tornata a sostenere che i punteggi sarebbero stati erroneamente attribuiti in quanto la proposta presentata da Me. (che prevede l'invio delle lettere Istat alle famiglie corredate del link di accesso contenente i dati degli intervistatori) finirebbe per violare gli standards della privacy europea (per il rischio di divulgazione dei dati a terzi) e risulterebbe nei fatti anche fuorviante, in ragione della frequente alternanza degli intervistatori nel corso della rilevazione. 12.7.1. In contrario, si osserva che la proposta di Me. prevede che il link fornito alle famiglie consenta non solo l'accesso ai dati dell'intervistatore, ma sia funzionale all'effettuazione delle procedure di riconoscimento anagrafico e visivo preventivo dell'intervistatore, che il disciplinare, al criterio n. 19, espressamente richiedeva. Tra questi strumenti, a titolo esemplificativo, il criterio individua quello della piattaforma, chiarendo anche che, ove l'intervistatore presti il proprio consenso (presupposto necessario per la diffusione dei suoi dati), la messa a disposizione delle famiglie intervistate di una serie di suoi dati anagrafici oltre che della propria immagine è da ritenersi assolta nel pieno rispetto della normativa in materia di privacy. 12.8. È fugato dunque ogni dubbio su presunte violazioni della disciplina in materia di privacy così come pure sulla non percorribilità della soluzione proposta: per un verso, la diffusione dei dati anagrafici e dell'immagine dell'intervistatore saranno oggetto di una dichiarazione di consenso che sarà cura del fornitore acquisire dai propri dipendenti e collaboratori, per altro verso nelle lettere dell'ISTAT si è previsto di riportare un codice univoco attraverso il quale accedere a un'area riservata del portale nella quale si potranno reperire una serie di informazioni sulla rilevazione tra cui anche i dati anagrafici degli intervistatori. 12.9. La valutazione della Commissione sulla efficacia degli strumenti proposti, rispetto all'obiettivo del criterio, non è dunque illogica né irragionevole. 13. Con il quarto motivo l'appellante, deducendo "violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 50, 87, 95 e 97 del D.Lgs. n. 50/2016 in relazione alla violazione e falsa applicazione della lex specialis, quanto alla verifica dell'offerta anormalmente bassa presentata dal RTI CS.", contesta le statuizioni della sentenza che hanno respinto il quarto motivo del ricorso con cui si è censurato il grave difetto di istruttoria e di motivazione nonché l'irragionevolezza, illogicità ed erroneità nei presupposti che vizierebbero la valutazione dei giustificativi da parte di Consip. 13.1. Secondo l'appellante, la stazione appaltante avrebbe condotto la verifica di congruità dell'offerta economica in modo superficiale e frettoloso, anche in considerazione del ristretto arco temporale (tre ore) dedicato a tali valutazioni, durante il quale sarebbe stata affrontata anche un'ulteriore questione concernente la mandante del raggruppamento. 13.1.1. La Commissione non si sarebbe, quindi, avveduta che una corretta individuazione dei prezzi proposti, con particolare riferimento ai costi della manodopera (che nell'appalto in questione costituisce la voce di costo preponderante, stimata in Euro 23,6 milioni dalla stazione appaltante), avrebbe comportato probabilmente una esecuzione in perdita dell'appalto, non potendo tali costi essere coperti con l'utile dichiarato dal CS., pari alla cifra di euro 1.278.265,19. 13.1.2. In particolare, la verifica di anomalia condotta da Consip sarebbe carente in relazione ai seguenti profili: a) la stima dei tempi per lo svolgimento delle interviste, che sarebbero stati erroneamente calcolati dall'aggiudicatario, specialmente quanto ai tempi di contatto preliminari all'effettuazione dell'intervista (per il quale è stato conteggiato un solo contatto da cinque minuti per ogni famiglia da intervistare) e alle ulteriori attività di contorno (quali, ad esempio, i tempi e i costi di trasferta nel caso di contatti domiciliari); sarebbe stato anche erroneamente stimato il costo del lavoro relativo alla verifica intermedia obbligatoria; b) l'esiguità dei rimborsi chilometrici previsti per gli intervistatori (pari ad Euro 4,90 per intervista), nel quale non sarebbero stati in alcun modo contemplati costi ulteriori (quali quelli del parcheggio o del pedaggio autostrade), violando quanto previsto dall'art. 4 dell'Accordo Assirm che prescrive di riconoscere "adeguati rimborsi delle spese sostenute per lo svolgimento della prestazione" per gli intervistatori collaboratori; - l'inadeguata valutazione dei costi per la formazione, rispetto ai quali è stato previsto il solo rimborso delle spese, ma non il compenso destinato agli intervistatori per il tempo dedicato alla formazione; - la mancata valutazione del margine di utile per il subappaltatore al 40 per cento, costituente ulteriore sintomo dell'incongruità e dell'inaffidabilità dell'offerta (in quanto tale voce comporterebbe sia la riduzione della retribuzione degli intervistatori acquisiti in subappalto sia la riduzione del margine di utile indicato dal concorrente); - la mancata indicazione dei costi relativi ai PC nelle giustificazioni dell'offerta; - l'inadeguata valutazione dei costi per le varie forme di welfare e bonus per intervistatori previsti dall'offerta. 13.1.3. Secondo l'appellante, il giudizio di inattendibilità per tali voci, data la loro importanza e incidenza, renderebbe l'intera offerta economica implausibile, perché intrinsecamente insidiata da indici di inaffidabilità . In particolare, la corretta individuazione dei costi di commessa (con riguardo, principalmente, ai costi di manodopera) evidenzierebbe l'inadeguatezza del valore economico stimato dal r.t.i. CS., poiché porterebbe a un importo non calcolato in grado di erodere integralmente l'utile indicato. Sarebbero altresì violati i minimi retributivi previsti per gli intervistatori dall'Accordo ASSIRM. 13.2. Le riassunte censure non sono fondate. 13.3. Va anzitutto premesso che, come risulta dagli atti di causa, l'offerta di CS. non era risultata anormalmente bassa, ai sensi dell'art. 97, co.3 D.Lgs. n. 50/2016, e la Consip ha avviato il relativo subprocedimento (con nota del 28 novembre 2022), in applicazione della facoltà di cui al comma 6 del predetto art. 97, anche in ragione della necessità, ormai affermata dalla costante giurisprudenza, di sottoporre comunque a verifica di congruità l'offerta sotto il profilo dei costi di manodopera (rif. artt. 95, comma 10 e 97, comma 5, lett. d) del D.lgs. n. 50/2016). 13.3.1. In particolare, come risulta dall'offerta economica in atti, il r.t.i. CS. ha formulato un'offerta complessiva pari ad euro 24.013.900,00, indicando costi per la manodopera ammontanti complessivamente ad euro Euro 16.668.986,58, i costi diretti di commessa (pari a Euro 4.265.675,23) e gli oneri della sicurezza (Euro 120.000,00); ha inoltre previsto la voce per "costi generali" per Euro 1.680.973,00, mentre l'utile di commessa complessivo è pari ad Euro 1.278.265,19. 13.4. Sulla base di tale offerta economica, come detto non anomala ai sensi dell'art. 97 comma 3 del d.lgs. n. 50/2016, il Responsabile del procedimento ha quindi richiesto ai sensi dell'art. 97 comma 6 del citato decreto legislativo di fornire dettagliate giustificazioni che il r.t.i. CS. ha prodotto, allegando alla relazione il conto economico di commessa (che indica separatamente i vari costi per le interviste e reinterviste, per i servizi opzionali e per le risorse aggiuntive) e l'analisi dettagliata dei costi della manodopera secondo lo schema predisposto dalla stazione appaltante. 13.4.1. In esito alle giustificazioni fornite da CS. (nota del 12 dicembre 2022, recanti evidenza del conto economico di commessa), la commissione e il responsabile del procedimento, nella seduta del 15 dicembre 2022, hanno ritenuto adeguate le giustificazioni e congrua l'offerta, con una valutazione che correttamente è apparsa al Tribunale immune dai vizi censurati, alla stregua delle seguenti considerazioni. 13.5. In primo luogo, non sono dirimenti i rilievi dell'appellante sulla esiguità delle tempistiche dedicate all'esame dei giustificativi prodotti dall'RTI aggiudicatario (circa tre ore, come consta dal relativo verbale in atti), dovendo ritenersi che tale orario non è incongruo, alla luce della completezza delle informazioni fornite in rapporto a quelle richieste con la summenzionata nota del 28 novembre 2022, della possibilità di motivare la valutazione positiva per relationem mediante il richiamo alle evidenze palesate dall'operatore economico nelle giustificazioni e infine tenuto conto del fatto che in tale seduta neppure si è affrontata, come infondatamente sostiene parte appellante, l'ulteriore questione relativa alla comunicazione di una operazione societaria da parte della mandante Intellera; la Commissione si è limitata infatti a prenderne atto rimettendo l'esame al competente Ufficio che aveva già verificato la documentazione amministrativa del medesimo raggruppamento (come risulta dal verbale n. 5 del 15 dicembre 2022). 13.6. Nel merito della censurata sottostima di talune voci di costo, le doglianze non scalfiscono il corretto ragionamento del primo giudice. 13.7. Infatti, rilevato, in termini generali, che la verifica dell'anomalia ha carattere globale, non mirando alla verifica della correttezza della stima effettuata dall'operatore economica sulla specifica voce di costo, quanto all'attendibilità e alla sostenibilità dell'offerta nel suo complesso, con l'apprezzamento di un non trascurabile margine d'utile, l'appellante non ha dimostrato che l'offerta di CS. sia insostenibile. 13.7.1. Quanto ai costi della manodopera è stato in primo luogo rilevato che i costi espressi in sede di giustificativi sono coerenti con quelli espressi in sede di offerta economica (per quanto riguarda il numero degli intervistatori impiegati indicati in offerta e nei giustificativi si rinvia a quanto già evidenziato nella disamina del secondo motivo). È stato, inoltre, verificato il rispetto dei minimi salariali retributivi del CCNL applicato in relazione a ciascun livello di inquadramento, con la precisazione che "i costi espressi dal concorrente risultano superiori a quelli indicati nelle Tabelle ministeriali di riferimento". Quanto agli intervistatori inquadrati come collaboratori è stato verificato che il compenso corrisposto è in linea con la prassi di mercato e che vengono applicate le condizioni previste dall'Accordo Assirm, con una maggiorazione del 5,5%. Il conto economico prodotto ha altresì indicato tutte le voci previste dal fac- simile messo a disposizione della stazione appaltante, valorizzando altresì i costi relativi a risorse ed elementi aggiuntivi offerti dal concorrente. 13.7.2. In secondo luogo non sussiste la presunta sottostima dei costi di manodopera, derivante, nella prospettazione di parte appellante, dalla asserita sottostima delle tempistiche di evasione delle attività propedeutiche e accessorie a quelle dell'intervista. Importa, innanzitutto, evidenziare che la documentazione di gara non forniva alcuna prescrizione in merito a queste tempistiche, in particolare con riferimento a tutte le attività connesse allo svolgimento dell'intervista (quali, ad esempio, tempi di contatto e spostamento) ma soltanto, sulla base delle esperienze maturate, una stima della durata media delle interviste (distinguendola con riferimento all'indagine sulle spese delle famiglie e a quella sulla forza lavoro), lasciando così a ciascun concorrente di poter stimare le tempistiche delle altre attività connesse sulla base della propria organizzazione del servizio. Tanto è stato compiutamente rilevato dalla sentenza nel passaggio in cui si evidenzia che il Capitolato tecnico si è limitato a rappresentare la durata media delle interviste (prima e seconda), sia per l'indagine "Spese delle famiglie" (rif. par. 1.1.1.2) che per quelle inerenti a "Forza Lavoro" (rif. par.1.1.2.2.), lasciando ai concorrenti l'onere della pesatura dei costi derivanti dai tempi intermedi e dalle attività accessorie. In assenza di parametri oggettivi fissati dalla documentazione di gara, la Commissione ha di conseguenza correttamente riscontrato l'unico dato essenziale ai fini del giudizio di congruità dell'offerta, e cioè che l'aggiudicatario avesse dimostrato, attraverso il proprio conto economico di commessa, di aver preso in considerazione tutte le possibili voci di costo correlate all'esecuzione del servizio (stimando, dunque, anche le tempistiche delle attività connesse allo svolgimento delle interviste) e che le stime proposte dall'aggiudicatario medesimo a giustificazione dei propri costi, sulla base della propria peculiare organizzazione, fossero attendibili e non irragionevoli. Non può, pertanto, condividersi la prospettazione dell'appellante volta a sostenere l'incongruità del costo del lavoro indicato dall'aggiudicatario, sulla base delle proprie stime (alternative) delle tempistiche di svolgimento delle interviste. Infatti, come bene ritenuto dal primo giudice, Ip. non ha dimostrato che le tempistiche (medie) individuate dal RTI aggiudicatario siano inattendibili o irrealistiche, anche in ragione dell'esiguità dello scarto (es. 26 miniuti contro 30 o 25 minuti contro 30 per gli spostamenti, piuttosto che 5 minuti contro 12,5 per il tempo di contatto) e, più in generale, per la dipendenza di tali variabili dall'esperienza e dal know how dell'operatore economico, nonché dalla capacità degli intervistatori nella conduzione del dia. Ciò posto, non risulta in concreto alcuna sottostima dei tempi per lo svolgimento delle interviste né che il RTI aggiudicatario abbia omesso di considerare talune attività . Infatti, il r.t.i. CS., oltre ad aver quantificato tutti i costi per lo svolgimento delle interviste, ha finanche raddoppiato la durata media indicata dal capitolato (pag. 15 e 23, doc. n. 10) per tutte le interviste e reinterviste, prevedendo in aggiunta anche i singoli tempi di contatto nonché la durata degli spostamenti, coerentemente con quanto riportato nell'offerta tecnica e con l'articolazione territoriale della struttura organizzativa proposta. In particolare, a fronte di una durata media pari a 58 minuti complessivi stimata dal capitolato per le due interviste nell'ambito dell'indagine sulle spese delle famiglie (seppur variabile per una serie di fattori, primo fra tutti la dimensione del nucleo familiare), il CS. ha indicato quale tempo medio 120 minuti complessivi (si veda quanto indicato nell'allegato 8.1., doc. n. 6), mentre per le interviste nell'ambito dell'indagine forza lavoro a fronte di una durata media complessiva stimata dagli atti di gara in circa 50 minuti, il raggruppamento aggiudicatario ha calcolato quale tempo medio 60 minuti per la prima intervista e 50 per la reintervista (compresi i tempi di contatto e di spostamento). 13.7.3. Quanto al tempo per il controllo intermedio sulla compilazione del diario, a prescindere dalla circostanza che esso sia inserito nei tempi sopra indicati dal CS., si tratta comunque di un breve contatto dopo la prima intervista e a metà della compilazione del diario, anche telefonico, ove procedere alla verifica circa la compilazione del diario stesso. In conclusione non appaiono irragionevoli le valutazioni della Commissione la quale ha ritenuto che il tempo di contatto indicato dall'aggiudicatario, nei suoi giustificativi, pari a 5 minuti e ricomprendente sia il contatto iniziale che quelli intermedi, siano di tipo telefonico (opzione prevista da Capitolato) e quindi sufficienti per espletare tali attività . In ogni caso, anche a voler considerare la tempistica per i controlli intermedi non compresa nel tempo di contatto indicato dall'aggiudicatario e pari al minutaggio stimato dall'appellante per ogni intervista, come dimostrato dalle appellate, ciò non eroderebbe l'utile di commessa e l'offerta rimarrebbe comunque sostenibile. 13.8. Anche i rilievi sulla asserita incongruità di singole voci di costo non conducono a una valutazione di complessiva inattendibilità e implausibilità dell'offerta. 13.8.1. Quanto alla presunta esiguità dei rimborsi chilometrici previsti per gli intervistatori, si tratta di un riconoscimento aggiuntivo alla retribuzione prevista dal contratto Assirm che il concorrente aggiudicatario ha offerto a favore dei propri collaboratori. La Commissione non era, dunque, tenuta a valutarne la congruità . Ad ogni modo, non è dimostrato che i costi calcolati per i rimborsi chilometrici individuati dall'offerente, pari ad euro 4,80 per intervista, per un totale complessivo di oltre un milione di euro (si veda Conto economico allegato 8.1. interviste e reinterviste FL, in atti) non siano congrui in relazione all'articolazione territoriale degli intervistatori nonché considerando i mezzi di trasporto a disposizione degli stessi e tutti i benefit di cui essi sono dotati anche per raggiungere le famiglie da intervistare (al riguardo, l'aggiudicatario ha indicato nell'offerta tecnica un ventaglio di soluzioni per ridurre i costi di spostamento, quali convenzioni con provider di car sharing, convenzioni per l'utilizzo di soluzioni di micromobilità, contributi per l'abbonamento al trasporto pubblico, si veda pag. 10 della relazione tecnica, e inoltre, a copertura di eventuali eccedenze, tali costi sono stati previsti anche all'interno della voce "altri costi generali", come risulta dalle giustificazioni economiche prodotte. 13.8.2. Quanto ai costi di formazione, fermo restando che l'incidenza va rapportata, come già chiarito, a 400 intervistatori e non a 430, come erroneamente supposto dall'appellante, l'importo indicato nelle giustificazioni di CS. (euro 200.000,00 per 400 operatori, per un costo unitario di euro 500,00) non è incongruo, tenuto conto della possibilità di svolgimento della formazione anche da remoto (dunque senza costi per trasferimento, vitto e alloggio). Quanto poi alla mancata considerazione dei compensi previsti per le giornate di formazione, si tratta di argomentazione incentrata su una singola voce di costo che non vale di suo a rendere complessivamente insostenibile l'offerta. 13.8.3. Relativamente ai costi per l'acquisto dei pc portatili, si è già detto della relativa inclusione, come ammortamenti per l'intera durata contrattuale, all'interno della voce "costi generali". 13.8.4. Quanto alla mancata previsione di costi per remunerare il margine d'utile del subappaltatore, giova evidenziare che, salva l'ipotesi del cd. subappalto necessario, che nella fattispecie non ricorre, la previsione, nella dichiarazione d'offerta, della riserva di subappalto non costituisce, per l'operatore economico, alcun vincolo a darvi effettivamente seguito. In ogni caso, anche laddove tale opzione fosse successivamente esercitata, la voce relativa alle spese generali ovvero il margine d'utile possono fungere da fattore compensativo. Inoltre, non è dimostrato che il concreto esercizio della facoltà di subappalto debba implicare necessariamente un incremento dei costi a carico dell'appaltatore e non, invece, come prospettato dalle appellate, condizioni favorevoli che consentano un risparmio di spesa e una maggiore efficienza nell'esecuzione delle specifiche prestazioni da parte del subappalto che si traduce in maggiori margini di utili in favore dell'impresa appaltatrice. Si evidenzia, inoltre, che nel fac-simile Allegato 8 Schema giustificativi anomalia e costi della manodopera, fornito ai concorrenti unitamente alla documentazione di gara, alla voce subappalto è indicato quanto segue: "I costi relativi ad attività eventualmente affidate in subappalto, se previste al momento della presentazione dell'offerta e, in particolare, solo se tali costi vengano addotti a giustificazione della sostenibilità economica dell'offerta, dovranno essere descritti e circostanziati nella Dichiarazione relativa all'anomalia dell'offerta secondo le indicazioni fornite al successivo paragrafo 3". Nel caso di specie il concorrente aggiudicatario non ha addotto i costi dell'eventuale subappalto a giustificazione della sostenibilità della propria offerta economica (ad esempio non ha motivato un risparmio su alcune voci di spesa sulla base di eventuali condizioni di favore rinvenibili in un contratto con il subappaltatore) sicché, per espressa indicazione fornita dalla stazione appaltante, non vi era alcun obbligo di indicare in sede di giustificativi gli eventuali costi del subappalto. 13.8.5. Quanto ai costi per bonus e welfare, relativamente a quanto rileva ai fini della congruità dell'offerta, la lex specialis non prevedeva alcun vincolo di budget complessivo e, nel conto economico di commessa, CS. ha esposto l'importo complessivo per tali incombenze, importo ritenuto adeguato dalla Commissione la quale ha reputato non necessario per valutare la congruità dell'offerta conoscere la declinazione dei singoli importi per i vari incentivi elencati dal concorrente in offerta. 13.9. In conclusione, le valutazioni dell'amministrazione sulla congruità dell'offerta aggiudicataria non sono illogiche né irragionevoli, né viziate da inadeguatezza dell'istruttoria o carenza della motivazione. L'appellante conduce, infatti, un'analisi parcellizzata delle singole voci di costo, che oltre a essere inammissibile (non si dimostra la complessiva inattendibilità dell'offerta economica in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto ma si limita a ricercarne specifiche e singole inesattezze), è anche infondata perché le giustificazioni su quelle singole voci sono dettagliate e plausibili. 14. Con il quinto motivo l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 50, 87, 95, e 97 del d.lgs. n. 50/2016 in relazione all'offerta economica del r.t.i. Me., contestando le statuizioni della sentenza che hanno respinto il quinto motivo di ricorso con cui si è censurato l'operato della stazione appaltante per non avere attivato la verifica di anomalia anche nei riguardi del secondo classificato. 14.1. Anche tale motivo è infondato. 14.2. Correttamente il primo giudice ha ritenuto che, a fronte dell'insussistenza di una ipotesi di anomalia in senso tecnico, per cui la verifica è obbligatoria ex art. 97, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016, la scelta di non verificare il secondo graduato è ampiamente facoltativa e non sindacabile in sede giurisdizionale, salva la manifesta illogicità qui non ricorrente (v., in tal senso, Consiglio di Stato, 17 giugno 2022, n. 4968; Consiglio di Stato, 17 marzo 2022, n. 1936), anche in ragione del principio di non aggravamento del procedimento ex art. 1, comma 2, L.n. 241/90. Inoltre, in assenza di elementi specifici di chiara incongruità dell'offerta che potessero suggerire l'avvio del procedimento di verifica in via facoltativa ai sensi dell'art. 97, comma 6, ultimo periodo, D.Lgs. 50/2016, l'operato della stazione appaltante si palesa legittimo e immune da profili di manifesta illogicità e irragionevolezza (nello stesso senso, Cons. Stato, V, 30 maggio 2022, n. 4365; Cons. Stato, sez. III, 9 marzo 2022, n. 1698; V, 15 settembre 2021, n. 6297; III, 20 agosto 2021, n. 5967; Cons. giust. amm., 21 giugno 2021, n. 586; Cons. Stato, V, 2 ottobre 2020, n. 5782). 15. In conclusione, l'appello va respinto. 16. Sussistono giusti motivi, per la complessità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti in causa delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Dispone compensarsi tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere, Estensore Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 763 del 2024, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ca., Fi. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Ca. in Roma, via (...); contro il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (...); l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti dei signori -OMISSIS-, -OMISSIS- e della Camera di Commercio di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, del Ministero dell'Interno, dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, depositato in data 26 febbraio 2024; Vista la memoria della società appellante, depositata in data 26 febbraio 2024; Vista la memoria del Ministero dell'Interno, depositata in data 26 febbraio 2024; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Antonio Massimo Marra e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierna appellante, società -OMISSIS-, ha impugnato, con ricorso introduttivo, avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, il provvedimento prot. -OMISSIS- luglio 2021, emesso dal Prefetto della Provincia di Caserta, portante il rigetto della domanda d'iscrizione nell'elenco prefettizio dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. white list provinciale), per la categoria "autotrasporti per conto terzi", nonché ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale. Con un primo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 10 dicembre 2021, la stessa società ricorrente ha impugnato il provvedimento -OMISSIS- ottobre 2021, a mezzo del quale l'AGCM le ha revocato il rating di legalità , sul presupposto che il diniego d'iscrizione nell'elenco White List è "motivo ostativo al mantenimento del rating, ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), del Regolamento". 2. Con provvedimento prot. -OMISSIS- febbraio 2022, l'AGCM ha confermato la revoca del rating di legalità . Tale provvedimento di riesame è stato impugnato, dalla medesima società, con il secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato e depositato il 7 aprile 2022, a mezzo del quale ha riproposto - per illegittimità derivata - le censure formulate con il ricorso introduttivo e con il primo ricorso per motivi aggiunti. All'esito del riesame, la Prefettura di Caserta, con nota prot. -OMISSIS- maggio 2022, ha confermato il provvedimento interdittivo, impugnato dalla ricorrente con terzo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 1° luglio 2022 e depositato il successivo 11 luglio. 2.1. La ricorrente, nel dedurre l'illegittimità del provvedimento interdittivo per l'affermata inesistenza di un grave quadro indiziario a suo carico che ne comprovasse la ritenuta "contiguità compiacente", in relazione alla posizione del signor -OMISSIS- - subentrato al -OMISSIS- signor -OMISSIS-, nella qualità di -OMISSIS- - ha chiesto al Tribunale l'annullamento, previa sospensione, degli atti impugnati. 2.2. Costituitesi in primo grado le Amministrazioni intimate, che si sono opposte all'accoglimento del ricorso e della connessa domanda incidentale di sospensione, con l'ordinanza -OMISSIS- novembre 2021 il primo giudice ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini del riesame dell'impugnato provvedimento di diniego profettizio, in ragione della "sostanziale compressione del diritto alla partecipazione ed al contraddittorio procedimentale". 2.3. Infine, con la sentenza -OMISSIS- maggio 2023 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, nel dichiarare improcedibilità del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti, in quanto proposti avverso l'originario provvedimento di diniego di iscrizione nelle White List provinciali e l'originaria revoca del rating di legalità, ha respinto il secondo ed il terzo ricorso per motivi aggiunti - nonché l'intervento ad adiuvandum -, concludendo per la sussistenza di un grave quadro indiziario a carico del nominato signor -OMISSIS- perché ritenuto "permeabile all'influenza del clan -OMISSIS- ed esponenti di consorterie mafiose". Nello specifico, quanto: i. al provvedimento di conferma del diniego d'iscrizione della -OMISSIS-, il primo giudice, ha rigettato il primo e il secondo motivo di impugnazione, con i quali era stata eccepita, rispettivamente, la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, in quanto "l'Amministrazione, nel provvedimento finale di rigetto adottato -OMISSIS- 2022, non si sarebbe limitata a confermare quanto precedentemente statuito nella comunicazione dei motivi ostativi, ma ha fornito una dettagliata motivazione delle valutazioni effettuate e dell'illegittimità sostanziale del provvedimento di conferma del diniego d'iscrizione nelle White List"; ii. al provvedimento dell'AGCM, di conferma della revoca del Rating di legalità, il giudice di primo grado ha rigettato il terzo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti, ritenendo che "l'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa è disciplinata dagli stessi principi che regolano l'interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure tra loro assimilabili volte, nel loro complesso, alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento dell'amministrazione pubblica". 3. Avverso la sentenza ha proposto appello la società -OMISSIS- e, nell'affermare l'erroneità delle motivazioni espresse dal Tribunale, per difetto assoluto delle situazioni tipizzate dal legislatore per giustificare il pericolo d'infiltrazione mafiosa, anche alla luce del fatto che il signor -OMISSIS-, -OMISSIS- della -OMISSIS-, è incensurato né risulta essere stato mai coinvolto in processi penali. 3.1. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno, l'Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, l'Autorità Garante della Concorrenza e il Mercato, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per chiedere la reiezione dell'appello. 3.2. Nella pubblica udienza del 18 aprile 2024, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. 4. L'appello è infondato. 4.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che l'odierna appellante non abbia dimostrato la sussistenza di elementi sopravvenuti effettivamente in grado di neutralizzare il valore sintomatico degli elementi considerati dalla Prefettura di Caserta. 4.2. In particolare, ha aggiunto il primo giudice che il signor -OMISSIS-, -OMISSIS- della società appellante, risulta vicino a soggetti legati ad esponenti di spicco dei clan camorristici, come sarebbe stato confermato dagli esiti delle indagini info investigative e, segnatamente, dalle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia da cui risulta la vicinanza della appellante al clan -OMISSIS-. 4.3. L'appellante deduce che gli elementi indiziari alla base del diniego della Prefettura, oltre ad essere erronei in fatto, sarebbero privi di capacità dimostrativa del potenziale asservimento della società -OMISSIS- alla criminalità organizzata. 4.4. E così, deduce ancora la difesa dell'appellante, la circostanza che il signor -OMISSIS- è incensurato; senza essere mai stato, nel corso degli anni, coinvolto in processi penali; né, nella sua qualità di -OMISSIS-, sono mai stati accertati contatti o frequentazioni con soggetti controindicati o prossimi ai clan mafiosi. 5. La tesi dell'appellante non può essere condivisa. 6. I collegamenti dell'attività della società -OMISSIS- con ambienti riconducibili alla criminalità organizzata, come evidenziato dettagliatamente nel provvedimento prefettizio, non possono certo essere superati, come vorrebbe l'appellante, alla luce del decorso del tempo o al mutamento dell'assetto societario. 6.1. Ciò avrebbe avuto certamente una diversa rilevanza, laddove, come chiarisce la giurisprudenza consolidata, fossero state accompagnate circostanze implicanti una soluzione di continuità nella gestione societaria, nella specie mancante, essendo state allegate dalla ricorrente solo circostanze non persuasive. E, invero, la giurisprudenza (Cons. Stato sez. III, n. 4657/2015) ha chiarito che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce la persistenza di legami vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile. 6.2. É ben vero, come ha affermato parte appellante, che -OMISSIS- non è stato mai coinvolto in processi penali né sono stati accertati contatti o frequentazioni con soggetti controindicati vicini ai clan mafiosi tanto più che non sarebbero state riscontrate vicende anomale nella gestione dell'impresa; ma sia i dipendenti controindicati, impiegati nell'attività d'impresa, sia le su viste dichiarazioni dei pentiti, nonché i ratei allegatamente estorsivi versati illo tempore dal signor -OMISSIS- al clan camorristico -OMISSIS- sono stati, tuttavia, ritenuti dall'Amministrazione, con una valutazione prognostica non irragionevole, inidonei a escludere la perdurante attualità del pericolo di condizionamento. 6.3. D'altro canto dalla documentazione versata in atti (cfr. provvedimento -OMISSIS- del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione delle Misure di Prevenzione), emerge ancora dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che - nel riferire sul conto di -OMISSIS-, pregiudicato per reati ostativi antimafia e condannato dalla Corte di Appello di Napoli per la violazione dell'art. 416-bis, comma 1, c.p. - il signor -OMISSIS-, pur non essendo stato mai formalmente affiliato al clan -OMISSIS-, "era utilizzato quale tramite tra gli esponenti del clan e -OMISSIS-, avvalendosi della sua condizione di insospettabile". 6.4. Tutto ciò conferma la piena legittimità della sentenza gravata in linea con i principi affermati dalla ormai consolidata giurisprudenza della Sezione (tra le tant,e, 27 dicembre 2019, n. 8882; 5 settembre 2019, n. 6105; 20 febbraio 2019, n. 1182), che ha avuto modo di chiarire che l'informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell'Autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non" il pericolo di infiltrazione mafiosa. Analogamente questa Sezione (sent. n. 758 del 2019) ha chiarito che lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 - ha riconosciuto quale elemento fondante l'informazione antimafia la sussistenza di "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate". Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell'impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. 6.5. D'altro canto, il legislatore, nell'ancorare l'emissione del provvedimento interdittivo antimafia all'esistenza di "tentativi" di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, come ha precisato ancora la giurisprudenza, ad una "clausola generale aperta", che, tuttavia, non costituisce una "norma in bianco" né una delega all'arbitrio dell'autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi "tipizzati" (quelli dell'art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f), d.lgs. n. 159 del 2011), ma riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica. 6.6. E' stato sul punto chiarito che "l'annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l'ancoraggio dell'informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l'efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa". 6.7. Di contro, la pubblica amministrazione, nel rispetto dei principî di cui all'art. 97 della Cost. e quindi del "principio di legalità sostanziale", declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando "tipizzati" dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111). 6.8. Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull'esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l'esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l'autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. 6.9. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una "pena del sospetto" e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l'esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio. 6.10. La funzione di "frontiera avanzata" dell'informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). 6.11. D'altro canto, come è stato osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale poiché "il presupposto per l'applicazione di una misura di prevenzione è una "condizione" personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l'applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale" (Cass. pen., sez. II, 9 luglio 2018, n. 30974). 6.12. Il delicato bilanciamento raggiunto dall'interpretazione di questo Consiglio di Stato è stato confermato dalla Corte costituzionale con le recenti sentenze n. 24 del 27 febbraio 2019 e n. 195 del 24 luglio 2019. 6.13. In tale direzione la verifica della legittimità della documentazione antimafia deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del "più probabile che non", integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). 6.14. Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali - secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale - sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d'altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343). 6.15. Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica, sicché, in definitiva, l'interprete è sempre vincolato a sviluppare un'argomentazione rigorosa sul piano metodologico, "ancorché sia sufficiente accertare che l'ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale" (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483). 6.16. Nella prospettiva della prevenzione anticipatoria della difesa della legalità si colloca, dunque, il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta dalla giurisprudenza natura "cautelare e preventiva" (Cons. Stato, A.P., 6 aprile 2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa. 6.17. La Corte costituzionale ha quindi fatto riferimento alle situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale, individuate da questa Sezione. Tra queste: i provvedimenti "sfavorevoli" del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; i rapporti di parentela o di coniugio, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una "regia collettiva" dell'impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia "clanica"; le vicende anomale nella formale struttura dell'impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un "volto di legalità " idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi "benefici". Né la revoca del rating di legalità da parte dell'AGCM conduce, infine, a conclusioni diverse ed opposte, dovendosi ritenere che non solo tale provvedimento tutorio è stato adottato del tutto legittimamente in ragione della mancata iscrizione dell'impresa appellante alla White list, ma anche perché la società interessata ha omesso di comunicare alla Autorità indipendente il gravato atto prefettizio, in violazione dell'art. 7 del Regolamento. 7. I principi elaborati dalla Sezione e più volte ribaditi dalla Corte costituzionale conducono alla reiezione dell'odierno appello ed alla conferma della sentenza gravata. 8. In conclusione, per tutte le ragioni sin qui esposte, l'appello è infondato, con la conseguente conferma della sentenza impugnata e, con essa, dei provvedimenti di diniego di iscrizione alla c.d. white list e di revoca del rating di legalità, impugnato in prime cure. 9. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell'odierna appellante. 9.1. Rimane definitivamente a carico della società -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell'appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna la società -OMISSIS-. a rifondere in favore delle Amministrazioni costituite in giudizio le spese del presente grado del giudizio, che liquida nell'importo totale di Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge. Pone definitivamente a carico di -OMISSIS-. il contributo unificato richiesto per la proposizione dell'appello. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità oltre che della società appellante, dei signori -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Giulia Ferrari - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere, Estensore Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Relatore Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: Na.Sa., nato ad A il (omissis); avverso la sentenza emessa il 04/07/2023 dalla Corte d'Appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del Consigliere Vittorio Pazienza; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Domenico Seccia, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 04/07/2023, la Corte d'Appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza emessa con rito abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Brescia, in data 01/02/2023, con la quale Na.Sa. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritti in qualità di titolare dell'impresa individuale (...) DI Na.Sa. In particolare, la Corte d'Appello riteneva la condotta di cui all'art. 8 assorbita in quella di dichiarazione fraudolenta, riducendo conseguentemente il trattamento sanzionatorio e confermando nel resto. 2. Ricorre per cassazione il Na.Sa., a mezzo del proprio difensore, deducendo: 2.1. Vizio di motivazione con riferimento alle criticità segnalate dalla difesa nelle dichiarazioni di Fe.Gi., quanto ai rapporti avuti con il Na.Sa. Si segnala la contraddittorietà intrinseca della motivazione rispetto alle dichiarazioni effettivamente rese dal Fe.Gi. e alla documentazione contabile da lui esibita. Si lamenta inoltre l'omessa motivazione in ordine ai rilievi formulati in ordine alla mancata acquisizione "in originale" della fattura, all'inserimento nel registro IVA 2016 della fattura, all'utilizzo della fattura ai fini della sola dichiarazione IVA. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta nell'ipotesi di contraffazione materiale della fattura ad opera del soggetto utilizzatore. Si deduce la contraddittorietà della sentenza, dovendo la fattura avere i requisiti di cui all'art. 21 D.P.R. 633 del 1972, e la violazione di legge correlata alla necessità di ricondurre la fattispecie nell'alveo dell'art. 3 (anziché 2) D.Lgs. n. 74 del 2000, come affermato dalla dottrina maggioritaria. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'esclusione dell'art. 131-bis cod. pen. Si censura la sentenza per aver considerato negativamente le interlocuzioni con l'Agenzia delle Entrate, intervenute non al momento della commissione del reato, e per aver ritenuto "non assolutamente trascurabile" il profitto del reato, per quanto "non elevato". 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Si censura il silenzio della Corte territoriale sugli elementi positivamente valutabili (esiguità del profitto, sporadicità della condotta, carattere risalente dei precedenti, buon comportamento processuale). 2.5. Violazione di legge con riferimento alla mancata concessione di un termine per consentire al Na.Sa. una valutazione in ordine alla possibilità di sostituzione della pena detentiva, dopo l'avviso ex art. 545-bis cod. proc. pen. pronunciato dal G.i.p. dopo la sentenza. Si osserva che la nuova disposizione non prevede alcun termine decadenziale per la manifestazione del consenso, e che il termine doveva essere concesso per assicurare un adeguato contraddittorio. 3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per il carattere generico e reiterativo delle questioni prospettate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Per ciò che riguarda il primo ordine di censure, è opportuno prendere le mosse dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 -01). In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, le doglianze difensive non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni operate dalla Corte d'Appello (in piena sintonia con il primo giudice), e nella reiterata prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento in questa sede è evidentemente precluso. 2.2. D'altra parte, la Corte d'Appello ha diffusamente esposto le ragioni a sostegno della ritenuta attendibilità di quanto prospettato in sede di verifica da Fe.Gi. (che aveva escluso di aver mai emesso la fattura utilizzata dal Na.Sa.) e, per converso, della inconsistenza degli argomenti addotti da quest'ultimo per comprovare l'effettività dell'acquisto documentato dalla fattura, utilizzata per dedurre costi che in realtà solo apparentemente erano stati sostenuti. Si allude in particolare: alla mancanza di giustificazione patrimoniale e operativa per l'acquisto di un macchinario dispendioso come quello riportato in fattura (dell'importo di Euro 58.000); alla mancata indicazione, da parte del Na.Sa., delle successive sorti del macchinario asseritamente acquistato (eventuale rivendita a terzi, ecc.); alla mancata esibizione, nonostante plurimi inviti degli operanti, di riscontri documentali relativi al pagamento del macchinario (o al finanziamento dell'importo spettante al Fe.Gi.); alle intrinseche contraddizioni rilevabili nelle dichiarazioni del Na.Sa., sia quanto all'esistenza stessa della fattura in questione (della quale, in un primo tempo, aveva negato la ricezione), sia quanto all'esistenza di mastrini contabili, ecc. (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata). Si tratta di un percorso argomentativo del tutto immune da criticità qui rilevabili, che certamente non appare in alcun modo vulnerato dai rilievi difensivi concernenti il fatto che le verifiche fiscali avevano preso le mosse dalla posizione del Fe.Gi., ovvero il fatto che le dichiarazioni di quest'ultimo avevano dato atto a discrasie interpretative (peraltro risolte dalla Corte territoriale: cfr. pag. 14 della sentenza, in cui si evidenzia l'erroneità della lettura del registro IVA del Fe.Gi., nel quale, per l'anno di imposta 2016, era presente una fattura emessa nei confronti della AMIS Sas DI Na.Sa., ovvero di un soggetto giuridico diverso (pur se forse riconducibile anch'esso all'odierno ricorrente) dalla ditta individuale (...) DI Na.Sa. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte d'Appello ha condivisibilmente richiamato l'indirizzo interpretativo ormai del tutto consolidato, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui "in tema di frodi fiscali, è configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 del 2000, ogni qualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni realmente non effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale". (Sez. 3, n. 6360 del 25/10/2018, dep. 2019, Capobianco, Rv. 275698 - 01, la quale, in motivazione, ha escluso che il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell'art. 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo dopo la riforma di tale disposizione operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, abbia inciso sul rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l'utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l'impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità. In senso conforme, cfr. anche Sez. 3, n. 10916 del 12/11/2019, dep. 2020, Bracco, Rv. 279859 - 03). In tale cornice ermeneutica, pienamente condivisibile, deve ritenersi del tutto immune da censure la riconduzione nell'alveo dell'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 dell'ipotesi che qui rileva, concernente l'utilizzo, da parte del Na.Sa., della fattura materialmente falsa perché solo apparentemente emessa dal Fe.Gi. 4. Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza deve pervenirsi quanto al motivo concernente l'art. 131-bis cod. pen. Invero, la valorizzazione della condotta decettiva complessivamente tenuta (non solo in sede dichiarativa ma anche in quella si successiva verifica) appare del tutto coerente con la possibilità di apprezzare, ai fini specifici che qui rilevano, anche la condotta susseguente al reato. Altrettanto immune da censure risulta poi la valutazione circa il profitto conseguito, ritenuto "non elevato" ma al contempo assolutamente "non trascurabile". 5. Anche il motivo sulla mancata concessione delle attenuanti generiche non può trovare accoglimento. Invero, il rilievo assorbente conferito ai precedenti a carico (tra l'altro per bancarotta fraudolenta e violazione degli obblighi di assistenza familiare) appare in linea con l'indirizzo interpretativo secondo cui "in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli Rv. 271269 - 01, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto sufficiente il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). 6. Anche la residua censura appare priva di fondamento. La Corte d'Appello ha ritenuto corretta la valutazione del Tribunale in ordine all'impossibilità di concedere un rinvio per la eventuale manifestazione del consenso alla sostituzione della pena detentiva, essendo il differimento espressamente previsto, dall'art. 545-bis, qualora il giudice - dopo aver acquisito il consenso dell'imputato, "personalmente o a mezzo di procuratore speciale", alla sostituzione - si trovi nella impossibilità di decidere immediatamente. 7. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 28 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Relatore Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da Ac.Gi. nato a V l'(Omissis); Lo.Ni. nato a N (USA) il (Omissis); Gi.Fr. nato a V il (Omissis); Pa.An. nato a P il (Omissis); Ma.Ro. nato a P il (Omissis); Al.Gi. nato a S il (Omissis); avverso il decreto del 16 giugno 2023 della Corte d'appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lidia Giorgio, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi; RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto emesso il 6 aprile 2018, il Tribunale di Palermo, ritenendo sussistente tanto la pericolosità qualificata (per l'appartenenza all'associazione mafiosa "cosa nostra"), quanto quella generica (in relazione ai traffici illeciti nei quali risultava coinvolto), applicava a Ac.Gi. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro, con l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza per un periodo di uguale durata e, contestualmente, disponeva la confisca di una pluralità di beni, fra i quali, per quel che rileva in questa sede: - un appartamento, sito in V (PA), viale (Omissis), piano (Omissis), identificato al N.C.E.U. del Comune di V al foglio (Omissis), particella n. (Omissis), intestato a Ac.Gi. (proposto) per la quota di 26/100, a Lo.Ni. (moglie del proposto) per la quota di 26/100, a Mo.Em., per la quota di 6/100, a Ma.Ro., per la quota di 6/100, a Gi.Fr., per la quota di 12/100, a Al.Gi. per la quota di 12/100, e ad Pa.An. per la quota di 12/100; - il relativo posto auto pertinenziale, identificato catastalmente al foglio (Omissis), particella n. (Omissis), sub (Omissis), intestato alle medesime persone con le stesse quote di proprietà; - un magazzino, sito in V (PA), viale (Omissis), piano terra, identificato al N.C.E.U, del Comune di V al foglio (Omissis), particella n. (Omissis), sub (Omissis), intestato ad Ac.Gi. per la quota di 55/100, a Gi.Fr., per la quota di 15/100, a Al.Gi. per la quota di 15/100 e ad Pa.An. per la quota di 15/100. Con riguardo alla misura patrimoniale, in particolare, il Tribunale (dopo avere dato atto che, nella specie, sussistevano le condizioni per applicare la presunzione normativa di disponibilità in capo al proposto dei beni intestati in tutto o in parte ai componenti del suo nucleo familiare, in particolare alla moglie, alla figlia ed alla donna con cui aveva intrattenuto una relazione e da cui aveva avuto un altro figlio), riteneva che i redditi percepiti dall'Ac.Gi. comprendessero anche una quota di illecita provenienza (quantificata nella misura del 50%) in quanto remunerazione collegata a traffici delittuosi o allo svolgimento di attività imprenditoriali gestite con metodi illeciti o, comunque, apparentemente lecite ma inquinate dalla disponibilità del proposto a commettere illeciti e, quindi, frutto delle condotte attraverso le quali si era manifestata la pericolosità dell'Ac.Gi. Concludeva, quindi, nel senso che la sproporzione tra redditi dichiarati e gli investimenti effettuati, oltre che matematicamente sussistente fino al 2003, fosse da riconoscere anche in relazione a tutto il periodo successivo, in considerazione della necessità di escludere dal conteggio dei redditi dichiarati la predetta quota e della conseguente incapacità del proposto di fare fronte, con i residui redditi leciti e disponibili, agli ingenti impegni finanziari assunti dal 2003 in poi. Nell'esaminare, poi, le modalità di acquisto dei singoli beni, tutti entrati a fare parte del patrimonio in periodo di manifesta pericolosità, riteneva, in particolare, per quel che rileva in questa sede, che anche la Cooperativa Servizi Sociali fosse nell'esclusiva disponibilità dell'Ac.Gi. e da lui utilizzata per lo svolgimento della sua attività di illecita consulenza professionale e, in quanto tale, frutto di tale attività. Disponeva, quindi, la confisca della relativa quota di capitale sociale intestata al proposto e dell'intero compendio aziendale, all'interno del quale venivano ricompresi non solo i beni in proprietà della cooperativa, ma anche i beni mobili riconducibili alle altre società collegate e i beni immobili dalla stessa utilizzati (tra i quali, appunto, quelli indicati in precedenza), ancorché in parte intestati ad altri soggetti. 2. Investita delle impugnazioni formulate nell'interesse del proposto e dei terzi intestatari dei singoli immobili, la Corte d'appello confermava il giudizio di pericolosità qualificata (dal 1990 al 2012) e generica, ex art. 1 lett. b) D.Lgs. 159/2011 (fino all'attualità), ma riteneva, ai fini della valutazione di coerenza degli acquisiti effettuati, che la decurtazione del 50% dei redditi dall'anno 2003 in avanti (risultando fino a quell'anno, pacificamente acclarata e non contestata, la sproporzione tra flussi in entrata e flussi in uscita del nucleo familiare del proposto) fosse frutto di una scelta discrezionale del Tribunale, non supportata da sufficienti elementi di fatto. Ribadito il perimetro temporale di riferimento della pericolosità (dal 1990 all'attualità) e rideterminati i termini della valutazione di coerenza reddituale, la Corte, quindi: - revocava sia le confische disposte a carico dei beni acquistati dall'Ac.Gi. prima del 1990 (in quanto relative a beni estranei alla perimetrazione temporale), sia, in parte, per mancanza di sperequazione, quelle relative ai beni acquistati dopo il 2003, ove non provata la loro derivazione illecita; - confermava, però, sia le confische disposte in relazione a beni acquistati tra il 1990 e il 2003 (stante l'incontestata sperequazione tra entrate ed uscite), sia la confisca di alcune società (e del relativo compendio aziendale), operative nel perimetro cronologico di pericolosità sociale del proposto, ritenute a tutti gli effetti, "imprese mafiose". E, fra queste, in particolare, la Cooperativa Servizi e l'intero suo compendio aziendale, gestito dallo studio dell'Ac.Gi. tramite l'ausilio dei soci, formalmente gestori autonomi di una cooperativa di servizi ma, di fatto e nella sostanza, ritenuti suoi dipendenti e prestanome, attraverso i quali esercitava la sua attività di consulenza finanziaria in favore della famiglia mafiosa di V. All'interno del compendio aziendale gestito dalla Cooperativa (della quale si precisava che il proposto non aveva alcuna formale partecipazione e si correggeva, conseguentemente, il corrispondente errore materiale del decreto impugnato), venivano ricompresi anche gli immobili indicati in precedenza e oggetto del presente ricorso (un appartamento e il relativo posto auto pertinenziale e un magazzino, tutti ubicati nel fabbricato di viale (Omissis), del Comune di V), anche se acquisiti in perequazione (ma sempre nel perimetro cronologico di pericolosità sociale dell'Ac.Gi.), 3. Avverso il provvedimento emesso dalla Corte d'appello ricorrono per cassazione il proposto (Ac.Gi.), sua moglie (Lo.Ni.) e tutti gli altri comproprietari (Ma.Ro., Gi.Fr., Al.Gi., nella sua qualità di erede di Al.Gi., e Pa.An.) 3.1. Il ricorso proposto nell'interesse di Ac.Gi. (proposto) e di sua moglie, Lo.Ni., si compone di un unico motivo d'impugnazione (comune anche a tutti gli altri ricorrenti) a mezzo del quale si censura l'errore nel quale sarebbe incorsa, secondo la difesa, la Corte d'appello nel ricomprendere anche gli immobili (di proprietà aliena) all'interno del patrimonio aziendale dell'impresa mafiosa, essendo irrilevante, secondo la prospettazione difensiva, la circostanza per cui i predetti beni fossero sede dello studio professionale del proposto, dell'impresa mafiosa e di numerose altre imprese (mafiose e non), potendo rientrare all'interno del patrimonio aziendale il solo negozio giuridico in forza del quale il proposto (personalmente o attraverso le diverse imprese a lui riconducibili) ne aveva la disponibilità. Non potendo, quindi, tali beni essere ricompresi all'interno del patrimonio aziendale della Cooperativa (e, quindi, considerati frutto dell'impresa mafiosa), non potrebbero essere oggetto della misura ablatoria, in quanto acquistati successivamente al 2003 (tra il 2007 e il 2013), in un'epoca in cui, per esplicito riconoscimento dello stesso Collegio, non si registrava più alcuna sproporzione reddituale. 3.2. I ricorsi proposti nell'interesse degli altri comproprietari (Ma.Ro., Gi.Fr. e Pa.An., da un canto, e Al.Gi., nella sua qualità di erede di Al.Gi., dall'altro) si articolano, ciascuno, in un unico motivo di ricorso, a mezzo del quale, tuttavia, si formulano due distinte censure: la prima volta a contestare la possibilità di ricondurre i detti immobili all'interno del patrimonio aziendale delle imprese ritenute mafiose, in particolare della Cooperativa (motivo comune al ricorso formulato nell'interesse del proposto e di sua moglie); la seconda, con riferimento alla loro specifica posizione di terzi interessati, la fittizietà della loro intestazione, fondata, sostiene la difesa, su argomenti tutti privi di reale forza inferenziale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono tutti inammissibili in quanto, pur formalmente deducendo violazione di legge, si risolvono nella prospettazione di un vizio di motivazione, la cui censura, per come è noto, è in questa sede inammissibile. 2. Appare opportuno premettere che l'art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, nell'indicare i beni suscettibili di apprensione, distingue due ipotesi, tra loro alternative: i beni di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona, fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito; i beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. In questa seconda ipotesi, si sviluppa il concetto di impresa mafiosa, ossia quell'attività d'impresa esercitata in forma societaria e con strutture imprenditoriali composite, in cui è la stessa attività economica, nel suo complesso, gestita dal soggetto pericoloso, a costituire uri fattore patogeno ed inquinante del mercato per la permanente immissione di profitti illeciti, che si autoalimentano e si confondono con quelli leciti. In questi casi, tuttavia, non potendo essere confiscata "l'impresa" (rectius, l'attività imprenditoriale), oggetto del provvedimento ablatorio è tutto il patrimonio aziendale e l'insieme delle quote nella disponibilità del proposto, anche se formalmente intestate a terzi, purché ne sia dimostrato il relativo presupposto, ossia che la costituzione delle società ovvero l'acquisizione, anche in via di fatto, delle relative partecipazioni siano strumentali al perseguimento di attività illecite e non sia possibile distinguere, in termini di certezza e di rilevante prevalenza, l'attività imprenditoriale lecita da quella costituente reimpiego o occultamento di profitti illeciti (Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply soc. coop., Rv. 277225). In questi casi, il terzo titolare di una quota di partecipazione nella società, oggetto di confisca in quanto nella disponibilità del proposto, soggetto pericoloso generico, al fine di opporsi all'ablazione, deve dimostrare non tanto di avere avuto la capacità economica di acquistare tale quota, quanto di avere effettivamente esercitato i propri diritti di socio, ovvero, nel caso in cui abbia, altresì, ricoperto il ruolo di amministratore, di avere gestito in modo autonomo la società e di essere estraneo al complessivo illecito "programma" riferibile al proposto (ibidem). Ciò considerato, i ricorrenti non censurano il provvedimento impugnato, né quanto alla sussistenza della pericolosità, né quanto alla relativa perimetrazione cronologica, né, in ultimo, quanto alla natura "mafiosa" dell'attività imprenditoriale esercitata dal proposto, personalmente, a mezzo delle altre strutture societarie (fra le quali, appunto, la Cooperativa). I ricorrenti contestano esclusivamente la circostanza per cui all'interno del patrimonio aziendale delle predette società siano stati ricompresi anche beni (di proprietà aliena) dei quali la società aveva solo il godimento. L'assunto dal quale muove la prospettazione difensiva è corretto. L'azienda è il complesso dei beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio della sua attività economica (art. 2555 cod. civ.). Un'entità plurima nella sua composizione e, al contempo, unitaria nella sua funzione, in cui ciò che rileva non è la titolarità del bene, ma solo il suo collegamento funzionale rispetto allo svolgimento dell'attività economica. Cosicché non è necessario che tutti i beni siano in proprietà dell'imprenditore (circostanza, invero, alquanto rara), essendo sufficiente che di essi se ne abbia anche il solo godimento. E, in questi casi, all'interno del patrimonio aziendale rientrerà il godimento del bene, non già la sua titolarità. La Corte d'appello, però, non si è limitata a dar conto del diritto di godimento spettante alla cooperativa: ha ritenuto che la cooperativa fosse strumento esecutivo nelle mani dell'Ac.Gi. per le attività di consulenza e di domiciliazione svolte in favore della famiglia mafiosa di V e che l'Ac.Gi. avesse utilizzato i soci della Cooperativa Servizi Sociali (intestata a terzi) per eludere la normativa in tema di lavoro dipendente e la stessa società quale base logistica della sua attività, per mascherarne la struttura complessa, avvalendosi di immobili sostanzialmente nella sua integrale proprietà e disponibilità. E ha fondato tale circostanza su una pluralità di elementi logici e fattuali: - il legame che unisce tutti i soci al proposto: di parentela (la moglie, il cognato - Lo.An. - e il nipote - Pa.An.), sentimentale (Al.Gi., madre di un altro figlio dell'Ac.Gi., nato fuori dal matrimonio), di sodalizio mafioso (Mo.Em. e sua moglie Ma.Ro. erano soggetti vicini a Cosa Nostra) o lavorativo (Gi.Fr., sua storica segretaria); - l'entità delle singole quote (maggioritaria del proposto e largamente minoritaria degli altri); - il rapporto di dipendenza lavorativa di tutti i soci con lo studio professionale dell'Ac.Gi.; - la provenienza della provvista utilizzata per l'acquisto degli immobili, formalmente riconducibile a mutui ipotecari, del quale, tuttavia, gli altri soci hanno dimostrato di avere corrisposto solo l'acconto e non anche tutte le successive rate, pagate, invece, dalla stessa Cooperativa; - il fine ultimo di tale operazione, che è quello di rendere più difficile l'aggressione del patrimonio da parte dei creditori, in ragione del minor valore di un bene in comunione. In questi termini, quindi, le due censure sollevate dalla difesa si intersecano tra loro e si risolvono, in ultimo, nella valutazione della fittizietà dell'intestazione. Profilo rispetto al quale valgono le seguenti osservazioni: - con riferimento alle quote intestate al coniuge, si deve ritenere la sussistenza di una presunzione di "disponibilità" di tali beni da parte del prevenuto - senza necessità di specifici accertamenti - in assenza di elementi contrari (Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, Rv. 266142); - con riferimento alle altre posizioni, è sufficiente ribadire quanto lucidamente evidenziato nella nota sentenza delle Sezioni Unite De Angelis, (n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 270081) e, quindi, l'applicazione della disciplina generale sulla prova della disponibilità indiretta dei beni in capo al soggetto proposto. Concetto, quest'ultimo, riconducibile a tutte le situazioni nelle quali l'utilizzo dei beni, pur formalmente schermato attraverso l'interposizione di un terzo, ricade nella sfera degli interessi economici o comunque nella signoria di fatto del proposto, che ne risulti essere l'effettivo dominus, potendone determinare la destinazione o l'impiego (Sez. 2, n. 35628 del 23/06/2004, Palumbo, Rv. 229726; Sez. 2, n. 6977 del 2011, Battaglia, cit.; Sez. 5, n. 14287 del 23/01/2013, Savastano, non mass.). E nel novero delle situazioni concretamente rilevanti ai fini dell'individuazione del carattere puramente formale dell'intestazione possono farsi rientrare circostanze ed elementi indiziari più diversi: relazioni in ambito familiare; rapporti di tipo affettivo e sentimentale, lavorativo e di collaborazione; l'eventuale intromissione del proposto nella gestione del bene; l'incapacità del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarità, specie nell'ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all'acquisto del bene. Tutti elementi la cui valorizzazione all'interno del procedimento di prevenzione patrimoniale è ritenuta particolarmente opportuna (Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, D'Alessandro, Rv. 254282; Sez. 6, n. 18807 del 30/10/2012, dep. 2013, Martino, Rv. 255091; Sez. 5, n. 20743 del 07/05/2014, D'Agostino, non mass.), poiché essi, specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell'operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo. Ebbene, la Corte d'appello, per come si è detto in precedenza, ha ampiamente motivato in ordine a tutte tali ultime circostanze. E le censure sollevate dalla difesa, pur formalmente strutturate in termini di violazione di legge, finiscono con il riproporre le medesime questioni già oggetto di analitica confutazione da parte della Corte territoriale, limitandosi a contestare la concreta disponibilità degli immobili (in capo al proposto e alle società a lui stesso riconducibili). E, in quanto tali, sono indeducibili, non solo perché precluse dal limite di cui all'art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 (così come sostituito dall'art. 10, comma 3, D.Lgs. 159/2011), per cui, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, ma anche perché, alla luce di quanto evidenziato, sono tutte manifestamente infondate. 3. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 14 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 4370 del 2023, proposto da AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e ADER-Agenzia delle Entrate Riscossione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Pi. Za., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Al. e Mi. Dalla Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Al. in Verona, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 1635/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Pi. Za.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e udito per la parte appellante l'avvocato dello Stato Lo. Vi.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso del 2022 il signor Pi. Za., in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, ha chiesto al Tar per il Veneto l'annullamento: - della comunicazione ad oggetto "comunicazione di iscrizione ipotecaria", Documento n. 07720221460000006007, Fascicolo n. 2022/1431, intestata all'Agenzia delle Entrate - Riscossione competente per la provincia di Padova (PD), e ricevuta dal ricorrente a mezzo racc. a.r. il 1 luglio 2022, con allegato "Dettaglio delle somme da pagare" - (relativo: - alla cartella di pagamento n. 07720207150031965000 asseritamente notificata il 24 marzo 2015 di totali Euro 471.172,81 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2004/05, 2005/06, 2006/07, 2007/08; - alla cartella di pagamento 07720207180215018000, asseritamente notifica il 22 dicembre 2018 per totali Euro 242.064,02 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2000/01 e 2003/04; - alla cartella di pagamento n. 07720207280165249000 asseritamente notificata il 27 novembre 2008 per totali Euro 143.965,22 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2001/02 e 2002/03; - alle spese di procedura per un totale di Euro 2.634,04; e quindi con indicazione di "Totale dovuto alla data del 01/06/2022" pari ad Euro 859.838,09) - con la quale si avverte dell'avvenuta iscrizione ipotecaria ai sensi dell'art. 77 del d.p.r. n. 602/73 con "nota 12311/2083 del 30/05/2022" sui beni immobili di proprietà del ricorrente in Comune di (omissis) (VI) per un importo pari al doppio di quello risultante dal prospetto nella sezione "Dettaglio delle somme da pagare"; - di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto, comprese le cartelle di pagamento riportate nell'allegato "Dettaglio delle somme da pagare" alla comunicazione descritta sub 1 - già sopra indicate -, ed i relativi ruoli, nonché la Nota di iscrizione ipotecaria Registro Generale n. 12311 e Registro Particolare n. 2083 del 30 maggio 2022 presso l'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Vicenza - Territorio - Servizio di Pubblicità Immobiliare, nella parte in cui detti atti, anche se non conosciuti, incidono nella sfera giuridica dello stesso ricorrente. 2. Il signor Za., dopo aver precisato di esercitare da sempre l'attività di allevamento di mucche da latte, esponeva le seguenti circostanze in punto di fatto: - con atto di "Costituzione di Fondo Patrimoniale" del 20 settembre 2000, il ricorrente e sua moglie avevano costituito in fondo patrimoniale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 167 e segg. c.c., i beni immobili di proprietà dello stesso ricorrente, catastalmente distinti al Catasto del comune di (omissis), foglio (omissis), mapp. nn. (omissis), nonché al Catasto del comune di (omissis), foglio (omissis), mapp. nn. (omissis); - la costituzione del fondo patrimoniale pertanto opponibile ai terzi, essendo stata, oltre che trascritta (doc. 4), anche annotata nel registro degli atti di matrimonio; - in data 1° luglio 2022, il ricorrente ha ricevuto una serie di comunicazioni di iscrizione ipotecaria tra cui anche quella descritta in epigrafe ed impugnata con il presente ricorso relativa ai beni costituiti in fondo patrimoniale siti in Comune di (omissis), e comunque a cartelle mai notificate allo stesso ricorrente, asseritamente inerenti "prelievi latte" relativi alle annate dal 2000/01 al 2007/08. 3. A sostegno dell'impugnativa avverso i provvedimenti dianzi citati, venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. In via preliminare ed assorbente: illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 170 c.c. - Eccesso di potere per illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, violazione di procedimento tipizzato e carenza di motivazione. II. Illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 77, d.p.r. n. 602/73, dell'art. 7, l. n. 212/200 e dell'art. 3, l. n. 241/90 - Eccesso di potere per illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, violazione di procedimento tipizzato e carenza di motivazione. III. Illegittimità derivata per illegittimità degli atti presupposti. III.I In via preliminare ed assorbente: intervenuta prescrizione della pretesa creditoria - Conseguente nullità e/o comunque illegittimità delle iscrizioni ipotecarie eseguite dall'ADER - Eccesso di potere per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia. III.II - Nullità e/o comunque illegittimità, propria e derivata, degli atti impugnati, per nullità e/o comunque illegittimità comunitaria derivata dei provvedimenti di compensazione nazionale e di imputazione di prelievo (per tutti i periodi indicati nella comunicazione impugnata) per violazione e falsa applicazione dei Reg. (CEE) n. 3950/92, n. 536/93, n. 1256/1999, n. 1392/2001, n. 1788/2003, n. 595/2004, n. 1234/2007 e n. 72/2009 sia per effettuazione delle compensazioni nazionali in contrasto con la normativa UE sia per mancata verifica in concreto delle produzioni nazionali dichiarate - Eccezione di nullità degli atti presupposti siccome emanati sulla base di norme interne, attributive del potere, che debbono essere disapplicate per contrarietà al diritto comunitario - Mancata disapplicazione della normativa interna non conforme ai regolamenti comunitari - Violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 34, l. n. 119/03, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, degli artt. 1 e 3, l. n. 241/1990, degli artt. 2, 3, 11, 24 e 97 della Costituzione nonché dell'art. 4, comma 3, TUE (ex art. 10 TCE) - Eccesso di potere per violazione del principio di primazia del diritto UE, del principio di leale cooperazione di cui all'art. 4, comma 3, TUE (ex art. 10 TCE), dei principi unionali di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento, di proporzionalità, di non discriminazione e di effettività, nonché per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, carenza assoluta di motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità nonché dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa, del giusto procedimento, di partecipazione, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 11, 24 e 97 della Cost. - Violazione degli artt. 1, 6 e 13, CEDU. III.III - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, Reg. (CE) n. 536/93, dell'art. 7, Reg. (CE) n. 1392/01 e dell'art. 13, Reg. (CE) n. 595/03, dell'art. 21-bis, l. n. 241/1990, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, del d.m. n. 321 del 03.09.1999 (art. 1, 2 e 6), e successive modifiche ed integrazioni, degli artt. 12 e segg., d.p.r. n. 602/73, degli artt. 1 e 7, l. n. 212/2000, ancora degli artt. 1 e 3, l. n. 241/90, e degli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3-bis, l. n. 53/94, degli artt. 6-bis e 6-ter, d.lgs. n. 82/05, dell'art. 16-ter, l. n. 221/12, degli artt. 26 e 50, d.p.r. n. 602/73, dell'art. 60, d.p.r. n. 600/73 - Eccesso di potere per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico nonché dei principi di partecipazione, di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Mancata notifica e/o nullità della notifica degli atti presupposti - Mancanza di esigibilità delle somme iscritte a ruolo. III.IV. - Nullità e/o comunque illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 170 cc., degli artt. 1, 3, 21-bis e 21-septies, l. n. 241/90, dell'art. 10, comma 34, l. n. 119/2003, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, degli artt. 10, 12, 25, 49, 50 e 77, d.p.r. n. 602/73, degli art. 1, 3 e segg., l. n. 241/90, dell'art. 7, l. n. 212/00, dell'art. 1283 c.c., nonché dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, Reg. (CEE) n. 536/93, dell'art. 8, Reg. (CEE) n. 1392/2001 e dell'art. 15, Reg. (CEE) n. 595/2004 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsa rappresentazione della realtà, violazione di procedimento, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, carenza assoluta di motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità nonché dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa, del giusto procedimento, di partecipazione, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Nullità e/o annullabilità della comunicazione di iscrizione ipotecaria impugnata e degli atti presupposti per mancanza dei requisiti essenziali - Contestazione della procedura di iscrizione ipotecaria finalizzata al recupero dei prelievi - Contestazione dell'an e del quantum della pretesa indicata - Contestazione della pretesa di interessi, anche di mora. 3.1 Si chiedeva anche la condanna delle Amministrazioni convenute al pagamento di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente a seguito dell'invio delle comunicazioni impugnate, nella misura che sarà determinata e quantificata in corso di causa - con riserva di quantificazione - anche a seguito di espletanda CTU, o che comunque sarà determinata in via equitativa dal giudice per le voce di danno di non agevole o di impossibile quantificazione, anche ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 26 c.p.a.. 4. Le Amministrazioni resistenti, nonostante la regolarità della notifica, non si sono costituite nel giudizio di primo grado. 5. Con sentenza n. 1635/2022 il Tar per il Veneto ha accolto il ricorso, annullando per l'effetto l'atto impugnato. 5.1 Il Tar ha posto a sostegno della propria decisione le seguenti considerazioni: "- Rilevato che il ricorrente ha impugnato il provvedimento di iscrizione ipotecaria concernente le cartelle di pagamento per i prelievi di quote latte relative alla propria attività aziendale; - che le Amministrazioni resistenti, nonostante la regolarità della notifica, non si sono costituite in giudizio; - che, all'esito dell'udienza del 26 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione e viene decisa in forma semplificata sussistendone i presupposti; - che i terreni sottoposti ad iscrizione ipotecaria coincidono con i mappali oggetto di una convenzione matrimoniale sottoscritta nel 2000; - che la convenzione matrimoniale è trascritta a margine dell'atto di matrimonio ed è, quindi, opponibile a terzi (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2019, n. 12545); - che gli asseriti debiti in relazione ai quali è stata effettuata l'iscrizione ipotecaria non concernono debiti contratti per i bisogni della famiglia (Cass.civ., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983; id., sez. trib., 27 febbraio 2020, n. 5369); - che il ricorso, pertanto, è fondato per le ragioni di carattere assorbente sopraindicate e sviluppate nella prima censura dedotta e, conseguentemente, il provvedimento di iscrizione ipotecaria impugnato deve essere annullato". 6. Avverso la citata sentenza del Tar per il Veneto hanno proposto appello l'AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e l'Agenzia delle Entrate Riscossione ADER, per i motivi che saranno più avanti esaminati. 7. Si è costituito il signor Pi. Za., in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, chiedendo il rigetto dell'appello. 8. Con ordinanza n. 2456/2023 la Sezione ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della fissazione del merito a breve, rinviando per la trattazione del merito all'udienza del 16 novembre 2023. 9. In esito all'udienza del 16 novembre 2023 è stata emanata l'ordinanza n. 10134/2023 (pubblicata il 27 novembre 2024) con la quale si sono invitate le parti a prendere posizione su una questione considerabile dirimente per l'esito del giudizio. Tale questione riguardava la definizione degli ambiti di operatività del fondo patrimoniale per quanto rilevante in questa sede. Nel termine assegnato le parti hanno presentato memorie con le quali hanno preso posizione sulla questione prospettata nella citata ordinanza. 10. All'udienza del 4 aprile 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Parte appellante propone due motivi di appello: a) nullità dell'appellata pronuncia per essere stata emessa in forma semplificata in carenza dei dedicati presupposti di cui all'art. 60 c.p.c.; b) inopponibilità del fondo patrimoniale all'Agente per la riscossione in quanto nella fattispecie non si applica l'art. 170 c.c. e comunque, insussistenza della prova del fatto che i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza della circostanza. 1.1 L'appellato: a) eccepisce l'inammissibilità del ricorso in appello per cessata materia del contendere a seguito della cancellazione dell'iscrizione ipotecaria da parte dell'ADER; b) contesta il fondamento nel merito dei due motivi di appello; c) ripropone tutti gli altri motivi proposti in primo grado. 2. Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla difesa del signor Za.. In particolare la difesa di parte appellata sostiene che: - dopo pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata (28 novembre 2022), ed esattamente in data 7 dicembre 2022, l'ADER ha dato spontanea esecuzione alla sentenza di annullamento di primo grado, cancellando in via definitiva l'iscrizione ipotecaria annullata; - l'iscrizione di cui è causa non potrà più "rivivere" essendo stata definitivamente cancellata nemmeno in caso di accoglimento dell'appello, tutto incentrato sulla legittimità di tale iscrizione; - da ciò l'inammissibilità dell'appello (proposto in data 28 aprile 2023, ossia a distanza di mesi dall'avvenuta cancellazione dell'ipoteca di cui è causa) per cessata materia del contendere. 2.1 L'eccezione non può essere accolta. Come ribadito in udienza dalla difesa di parte appellante, AGEA ha cancellato l'ipoteca in diretta esecuzione della sentenza appellata, provvisoriamente esecutiva. L'esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell'Amministrazione soccombente non fa venir meno l'interesse della stessa all'appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo; secondo questo indirizzo - applicativo dell'effetto espansivo esterno della sentenza di riforma in appello previsto dall'art. 336,comma 2, c.p.c. - solo nel caso in cui emerga in modo esplicito la volontà dell'Amministrazione di accettare l'assetto di interessi conseguente alla sentenza di primo grado potrebbe ipotizzarsi un interesse contrario a quello palesato con la proposizione dell'appello (Cons. Stato, sez. V, 11/06/2019, n. 3911). Nella specie l'Amministrazione si è limitata a dare doverosamente esecuzione alla sentenza impugnata, ma non ha in alcun modo manifestato la volontà di accettare le statuizioni in essa contenute. Al contrario, appare palese la volontà di AGEA di coltivare l'appello. L'interesse alla decisione sull'appello persiste. 3. Il primo motivo di appello è rubricato: Violazione e falsa applicazione art. 60 c.p.a. - nullità della sentenza e comunque sua ingiustizia per avere il TAR deciso la causa, con pronuncia in forma semplificata, all'udienza dedicata all'esame della domanda di cautela, pur a fronte della mancata costituzione delle Amministrazioni resistenti AGEA, senza neppure tentare l'ordine di esibizione documentale. Parte appellante sostiene che: - la pronuncia appellata è nulla per essere stata emessa in forma semplificata in carenza dei dedicati presupposti di cui all'art. 60 c.p.c., in particolare dell'accertamento del requisito della completezza della istruttoria; - l'incompletezza dell'istruttoria è evidente in considerazione del fatto che le Agenzie resistenti non si sono costituite in giudizio; - il primo Giudice, in palese violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa delle Agenzie resistenti, ha ritenuto di poter definire il contenzioso con sentenza in forma semplificata, nonostante la notifica del ricorso nei confronti dell'ADER si fosse perfezionata in data 28/09/2022, ovvero solo 30 giorni prima dell'udienza camerale tenutasi il 26/10/22 e dunque, alla data dell'udienza cautelare, fosse ancora pendente il termine previsto dall'art. 46 c.p.a. per consentire alla stessa di "costituirsi, presentare memorie, fare istanze, indicare i mezzi di prova (..) e produrre documenti". 3.1 Il motivo è infondato. La possibilità della pronuncia di merito "immediata" in sede di decisione della domanda cautelare è prevista dalla normativa processuale come una variante propria della relativa fase, in chiave di accelerazione (e di semplificazione) del giudizio, le parti intimate ritualmente notificate sono perciò a conoscenza di tale possibilità, all'evidenza incoraggiata dal legislatore quantunque rimessa in concreto al prudente apprezzamento del Collegio, e quindi, se il giudizio cautelare è regolarmente tenuto secondo i termini di cui all'art. 55, comma 5, cod. proc. amm., possono (ovvero è loro interesse) costituirsi ed essere presenti nell'udienza camerale per ogni connesso adempimento, nonché per l'eventuale opposizione alla definizione immediata del giudizio, potendo in camera di consiglio prospettare tra l'altro l'incompletezza dell'istruttoria e la necessità di assumere mezzi di prova; depone in tal senso la previsione per cui il collegio pronuncia sull'istanza cautelare nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno "dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione" (art. 55, comma 5. citato) e può definire il giudizio in forma semplificata sentite le parti costituite "purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso " (art. 60, comma 1), venendo evidentemente ritenuta la completezza del contraddittorio con il perfezionamento dell'ultima notificazione e consentita perciò l'ipotesi della sentenza breve nella camera di consiglio convocata dal ventesimo giorno successivo (in motivazione, Cons. Stato, sez. VI, 04/06/2015, n. 2755). Il richiamo operato, da parte delle appellanti, alla pronuncia del Consiglio di Stato n. 1752/2022 non priva di fondamento la conclusione appena esposta perché nella specie il primo giudice ha deciso la controversia (non correttamente, come si dirà ) su un punto di diritto ritenuto dirimente: attraverso la costituzione in udienza dinanzi al TAR, nei termini prima indicati, parte appellante avrebbe potuto ben esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa su detto punto, anche attraverso (si ribadisce) la richiesta di mezzi istruttori utili ad una cognizione piena del rapporto, il che non è invece avvenuto. L'appellante non ha provato di essere stata privata, nella specie, delle necessarie garanzie procedimentali che è, viceversa, l'aspetto su cui si era appuntata la decisione n. 1752/2022. Per concludere sul punto, il giudizio dinanzi al TAR, per quanto svoltosi indubbiamente con molta, forse troppa, rapidità (data la novità delle questioni dedotte), non ha visto, non almeno sul piano "formale", la lesione del contraddittorio ai danni della originaria parte resistente. 4. Il secondo motivo di appello è rubricato: Violazione e falsa applicazione art. 170 c.c. - Erroneità della sentenza nella parte in cui dichiara l'illegittimità dell'iscrizione ipotecaria - richiesta di autorizzazione a produrre nuovi documenti in ragione dell'erroneità e ingiustizia della pronuncia resa in prime cure, e/o siccome indispensabili ai fini della decisione ex art. 104, co. 2, c.p.a. Le appellanti censurano la decisione nella parte in cui il Tar ha annullato il provvedimento impugnato affermando che: "gli asseriti debiti in relazione ai quali è stata effettuata l'iscrizione ipotecaria non concernono debiti contratti per i bisogni della famiglia (Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983; id., sez. trib., 27 febbraio 2020, n. 5369)". La difesa di AGEA e ADER sostiene che il fondo patrimoniale non è opponibile all'Agente per la riscossione in quanto nella fattispecie non si applica l'art. 170 cc e comunque, qualora ritenuto che tale disposizione sia applicabile alla fattispecie, non sussiste alcuna prova del fatto che i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza della circostanza. 4.1 Sotto un primo profilo si contesta l'applicabilità dell'art. 170 del codice civile, affermando che: - l'art. 170 c.c., in quanto norma speciale, deroga alla regola generale della garanzia patrimoniale generica, ed è insuscettibile di applicazione analogica; - l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 d.p.r. n. 602 del 1973 non è riconducibile all'ipotesi di ipoteca volontaria o giudiziale di cui all'art. 2808 e ss. c.c., in quanto nella prima mancano, rispettivamente, il consenso del debitore e la pronuncia del giudice; - inoltre, l'iscrizione ipotecaria, prevista dal richiamato articolo 77 del d.p.r. 602/73, non può essere considerata un atto dell'espropriazione forzata, dovendosi piuttosto considerarla un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria; - non esistono, pertanto, le premesse su cui si basa il ragionamento svolto dal primo giudice; - l'ipoteca, atto avente natura e finalità cautelare e non di esecuzione, deve ritenersi, legittimamente apposta in quanto l'art. 170 c.c., concerne ben altra fattispecie. 4.2 Sotto un secondo profilo si eccepisce l'insussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 del codice civile, sostenendo che: - l'art. 170 c.c. prevede la necessaria sussistenza di due presupposti per l'applicabilità del limite alla pignorabilità del bene: (i) che il debito sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; (ii) che detta circostanza fosse conosciuta dal creditore; - il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia; - sono ricompresi nei detti bisogni anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi; - non possono essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori i beni costituiti per bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione del tenore di vita familiare, così da ricomprendere anche i debiti derivanti dall'attività professionale o di impresa di uno dei coniugi qualora il fatto generatore dell'obbligazione sia stato il soddisfacimento di tali bisogni, da intendersi in senso ampio; - quanto alla prova dell'estraneità del fatto generatore del credito ai bisogni della famiglia, l'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., ed in particolare che il debito per cui si procede sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore sia a conoscenza di tale estraneità, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale; - è onere del contribuente fornire prova dell'estraneità delle obbligazioni a bisogni familiari poiché vi è presunzione che l'attività lavorativa in genere (inclusa quella imprenditoriale) è svolta per assolvere esigenze a carattere familiare; - il fondo patrimoniale non rappresenta un limite alla soddisfazione della pretesa sui beni che vi sono conferiti, salvo che il debitore dia prova che il fatto generatore dell'obbligazione sia stato posto in essere per esigenze e finalità sue proprie, estranee a quelle familiari, in quanto di carattere voluttuario o meramente speculativo. In mancanza di tale prova opera la presunzione di inerenza; - in ogni caso, quand'anche fosse stata dimostrata la natura voluttuaria o speculativa dell'operazione da cui sia sorto il debito, lo stesso debitore avrebbe dovuto provare anche che l'ente di esazione ne fosse a conoscenza; - la costituzione del fondo rappresenta, quindi, un vincolo prima di tutto per chi lo ha costituito (cfr. artt. 168 e 169 c.c.) e solo in via residuale, al fine di garantire l'effettività di tale cautela, per i creditori, nel limite in cui però sia data prova che questi ultimi avessero, tra l'altro, legale conoscenza del fondo (per l'avvenuta annotazione a margine dell'atto di matrimonio); - in mancanza delle suddette prove continua ad operare una presunzione iuris tantum di inerenza ai bisogni della famiglia, con piena efficacia del diritto dell'esponente di soddisfarsi su tutti i beni del patrimonio del debitore ex art 2740 c.c., ivi inclusi quelli conferiti nel fondo patrimoniale; - il privato - nel contestare la legittimità dell'iscrizione ipotecaria, perché avvenuta al di fuori delle condizioni legittimanti previste dall'art. 170 c.c. - aveva l'onere di allegare e dimostrare i fatti costitutivi dell'illegittimità dell'iscrizione. 4.3 La parte appellata ha contestato il fondamento del secondo motivo di appello sostenendo che: - la procedura di riscossione doveva necessariamente rispettare le condizioni previste dall'art. 170 c.c., ma così non è stato, come già accertato in primo grado; - agli atti del giudizio di primo grado era presente tutta la documentazione necessaria alla dimostrazione della regolare costituzione del fondo patrimoniale: da ciò la pacifica opponibilità del fondo patrimoniale ai terzi e quindi anche alle Amministrazioni appellanti; - il prelievo supplementare ha natura peculiare: non è un debito "ordinario" derivante da un'attività agricola o di impresa in genere, e neppure un tributo, ma piuttosto una restrizione dovuta a regole di politica dei mercati o di politica strutturale, equiparata ad una "irregolarità ", ed è quindi una misura patrimoniale imposta, di carattere restrittivo, al verificarsi di determinate condizioni, che non dipendono solo dai singoli produttori, ma anche dalle scelte effettuate dagli Stati membri, per consentire il riequilibrio del mercato agricolo in applicazione del regime comunitario delle quote latte; - una siffatta misura patrimoniale, quale è appunto il prelievo supplementare, non solo non può essere considerato un debito contratto per i bisogni essenziali di una famiglia per la propria vita ordinaria e quotidiana, ma neppure rientra tra i debiti, essenziali o voluttuari che siano, normalmente contratti da un'azienda agricola produttrice di latte e neppure tra quelli di natura tributaria, attenendo non tanto alla gestione imprenditoriale o societaria (dipendenti, rapporti con i fornitori, approvvigionamenti, scorte vive e scorte morte, tasse e imposte), ma derivando invece e soprattutto dall'applicazione data dallo stesso Stato italiano alla normativa comunitaria, ed particolare da una delle Amministrazioni appellanti, ossia da AGEA; - le stesse Amministrazioni appellanti erano certamente a conoscenza della particolare natura del credito in questione e dell'assoluta e manifesta estraneità dello stesso ai bisogni della famiglia; - tutti i presunti debiti posti a base dell'iscrizione ipotecaria di cui all'atto impugnato in primo grado, sono sorti in epoca successiva alla costituzione del fondo patrimoniale; - il credito portato dalle cartelle di pagamento poste a base dell'iscrizione ipotecaria, non è pertanto un credito derivante da un'obbligazione contratta per soddisfare i bisogni della famiglia e quindi i beni del signor Za. facenti parte del fondo patrimoniale non possono essere oggetto di iscrizione ipotecaria; - nella sentenza n. 1979/2023 il Consiglio di Stato ha statuito nel senso propugnato dalla difesa di parte appellata. 4.4 Con ordinanza n. 10134/2023 il Collegio, dopo (i) aver rilevato che tema centrale della presente controversia è il rapporto tra i debiti assunti per ragioni professionali o imprenditoriali e la soddisfazione dei bisogni della famiglia del debitore; e (ii) aver richiamato gli orientamenti più recenti in materia di fondo patrimoniale, ha chiesto alle parti di prendere posizione sui seguenti temi e fatti: "- individuazione della nozione di "bisogni della famiglia" e individuazione del rapporto di tale nozione con la nozione di "obbligazione contratta per i bisogni della famiglia"; - individuazione del criterio attraverso il quale identificare i crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale; - natura dei crediti inerenti i cosiddetti "prelievi di quote latte" e relativi interessi e loro astratta riconducibilità alla nozione di debiti contratti per i bisogni della famiglia; - ruolo del giudice, anche di quello amministrativo, nell'accertamento della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia; - riparto degli oneri probatori tra debitore e creditore in ordine ai presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c.; - operatività concreta dei temi citati nel caso di specie, dando contezza delle condizioni fattuali della parte debitrice". 4.5 Le parti hanno presentato memorie nelle quali hanno puntualizzato la loro posizione riguardo temi e fatti appena richiamati. 4.6 Il secondo motivo di appello è fondato. 4.7 Il Collegio non ignora quanto statuito dalla pronuncia di questa Sezione n. 1979/2023, ampiamente richiamata da parte appellata a sostegno della tesi della infondatezza del motivo di appello. Cionondimeno nel caso di specie non possono trovare applicazione le argomentazioni svolte in quella pronuncia. 4.8 In ordine al primo profilo del secondo motivo di appello con il quale si sostiene che l'art. 170 del codice civile non impedisce l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 d.p.r. n. 602 del 1973, giova richiamare Cassazione civile, sez. trib., 25/05/2016, n. 10794 secondo cui l'inserimento di beni in un fondo patrimoniale non osta all'iscrizione sugli stessi dell'ipoteca da parte dell'Agente per le riscossioni: ciò in quanto le preclusioni previste dall'art. 170 c.c. (che prevede il divieto di esecuzione sui beni del fondo tranne che per obbligazioni contratte per soddisfare i bisogni della famiglia) attengono solo all'esecuzione, rappresentando l'ipoteca iscritta dall'Agente per le riscossioni un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria. Di seguito le considerazioni della Suprema Corte: "Non ignora il Collegio che questa Corte, anche di recente (Sez. 3, n. 1652 del 29/01/2016; Sez. 5, n. 3600 del 24/02/2016; Sez. 6-5, Ord. n. 23876 del 23/11/2015), ha affermato l'applicabilità dell'art. 170 cod. civ. anche all'iscrizione ipotecaria d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 77 e lo ha fatto richiamando il precedente di Sez. 3, n. 5385 del 05/03/2013, il quale a sua volta richiama Sez. 5, n. 7880 del 18/05/2012. Entrambi i precedenti da ultimo citati però - e tralaticiamente anche quelli più recenti - argomentano sulla base della premessa che l'ipoteca ex art. 77 d.p.r. cit. abbia natura di atto funzionale all'esecuzione forzata (premessa essenziale al ragionamento, posto che l'art. 170 cod. civ., si riferisce espressamente, quale attività il cui compimento vieta sui beni del fondo e sui frutti di essi, alla "esecuzione"). Sez. 5, n. 2880 del 2012, in particolare, evoca al riguardo "il tradizionale criterio secondo cui nel concetto di atti di esecuzione rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione stricto sensu, ma tutti i possibili effetti dell'esecutività del titolo e, dunque, anche l'ipoteca iscritta sulla base dell'esecutività del titolo medesimo", con ciò dunque chiaramente postulando, sia pure alla stregua di tale lato criterio definitorio, la possibilità di definire l'iscrizione de qua quale "atto di esecuzione". Tale premessa non può più, però, essere tenuta ferma alla luce della ricostruzione dell'istituto operata, come noto, dalle Sezioni Unite di questa S.C. con sentenza n. 19667 del 18/09/2014. Come noto, infatti, tale pronuncia - richiamata e confermata in motivazione più di recente anche da Sez. U, ord. n. 15354 del 22/07/2015 - ha escluso che l'iscrizione ipotecaria prevista dal d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, possa essere considerata un atto dell'espropriazione forzata, dovendosi piuttosto essa essere considerata "un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria". Tale affermazione di principio, dalla quale non si vede ragione per discostarsi, non può non riverberarsi nella materia qui trattata, nella quale, venuta meno la premessa ricostruttiva fondata come detto sulla qualificazione dell'iscrizione ipotecaria d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 77 come "atto dell'esecuzione", viene meno anche l'applicabilità dell'art. 170 cod. civ., non sembrando superabile il dato testuale sopra già evidenziato, tanto più ove si consideri che, ponendo la norma una eccezione alla regola della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 cod. civ., la stessa è da ritenersi soggetta a interpretazione tassativa". 4.9 Al di là del precedente appena richiamato cui, a quanto consta al Collegio, la Suprema Corte non sembra avere dato in seguito particolare continuità, è dirimente rilevare come sia fondato il secondo profilo del secondo motivo di appello. 4.9.1. Sulla individuazione della nozione di "bisogni della famiglia" e sulla individuazione del rapporto di tale nozione con la nozione di "obbligazione contratta per i bisogni della famiglia". La disciplina del fondo patrimoniale e la ratio del vincolo di destinazione ruotano in gran parte intorno alla locuzione "bisogni della famiglia" contenuta negli artt. 167 e 170 c.c. Il fondo è funzionalmente conformato sullo scopo di soddisfare detti bisogni e costituisce una modalità di adempimento tanto dell'obbligo contributivo primario che di quelli di mantenimento. I bisogni della famiglia sono quelli legati a esigenze (attuali o future) della vita dei componenti della famiglia, siano esse comuni a tutti o siano esigenze individuali capaci di coinvolgere l'interesse della famiglia nel suo complesso. Esiste una esigenza di riconoscibilità sociale dei bisogni rilevanti, quindi di un ancoraggio oggettivo delle esigenze della persona all'interno della famiglia, commisurate anche nella loro estensione alle condizioni economiche di questa. La giurisprudenza tende peraltro ad ampliare la nozione di "bisogni della famiglia", così riequilibrando in favore della tutela dei creditori. Di recente Cassazione civile, sez. III, 08/02/2021, n. 2904, ha affermato: "Si è da questa Corte posto d'altro canto in rilievo che i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì (analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata l. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali) nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento e dall'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (v. Cass., 7/1/1984, n. 134). In altri termini, i bisogni della famiglia debbono essere intesi in senso lato, non limitatamente cioè alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma avendo più ampiamente riguardo a quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo, e al miglioramento del benessere (anche) economico della famiglia (cfr. Cass., 19/2/2013, n. 4011), concordato ed attuato dai coniugi (cfr. Cass., 23/8/2018, n. 20998: Cass.,19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385)". Ma l'estensione della nozione di "bisogni della famiglia" significa anche estendere le ipotesi di "aggredibilità " dei beni che compongono il fondo patrimoniale con il rischio di vanificarne la ratio. Sul punto significativo un passaggio di Cass. civile, sez. III, 15/03/2006, n. 5684: "È stato osservato che in questo modo si finisce con l'estendere i bisogni della famiglia alle attività attinenti alla vita lavorativa dei singoli componenti, legittimando l'espropriazione dei beni del patrimonio familiare per finalità contrarie alla "ratio" dell'istituto". Appare più appagante un approccio che non si limiti a dare rilevanza alla mera esistenza del fondo patrimoniale, ma affidi all'interprete il compito di esaminare le caratteristiche della situazione concreta, secondo un'indagine casistica, così da accertare ogni volta se il debito sorto nell'esercizio dell'impresa possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni della famiglia. Conviene richiamare un ulteriore passaggio della già citata sentenza della Cassazione n. 2904/2021: "Atteso che l'art. 170 c.c., disciplina l'efficacia sui beni del fondo patrimoniale di titoli che possono giustificare l'esecuzione su di essi (v. Cass.,5/3/2013, n. 5385), il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura - ex contractu" o "ex delitto - delle obbligazioni (v. Cass., 26/7/2005, n. 15603; Cass., 18/7/2003. n. 11230), ma nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (v. Cass.,8/7/2003, n. 11230: Cass., 31/5/2006. n. 12998. E, conformemente, da ultimo, Cass., 19/6/2018, n. 16176, Cfr. altresì Cass., 7/7/2009, n. 15862)..... Con particolare riferimento ai debiti derivanti dall'attività professionale o d'impresa del coniuge, anche se la circostanza che il debito sia sorto nell'ambito dell'impresa o dell'attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (v. Cass., 26/3/2014, n. 15886; Cass.,7/7/2009, n. 15862), risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività d'impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12998, ove si è sottolineato come la finalità di sopperire ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa). È pertanto necessario l'accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi (v. Cass.,24/2/2015, n. 3738), avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto. Va al riguardo per altro verso sottolineato che il vincolo di inespropriabilità ex art. 170 c.c., deve essere contemperato con l'esigenza di tutela dell'affidamento dei creditori. Atteso che la prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ove come nella specie venga proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest'ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 29/1/2016, n. 1652; Cass., 19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385; Cass., 7/2/2013, n. 2970; Cass., 15/3/2006, n. 5684). Poiché il vincolo de quo opera esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l'obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, si è sottolineato come tale consapevolezza debba sussistere al momento del perfezionamento dell'atto da cui deriva l'obbligazione. La prova dell'estraneità e della consapevolezza in argomento può essere peraltro fornita anche per presunzioni semplici (v. Cass., 17/1/2007, n. 966; e, conformemente, Cass.,8/8/2007, n. 17418. Con riferimento alla prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori quale condizione per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, cfr. Cass., 11/2/2005, n. 2748). È pertanto sufficiente provare che lo scopo dell'obbligazione apparisse al momento della relativa assunzione come estraneo ai bisogni della famiglia". Per debiti contratti nell'interesse della famiglia si devono intendere, oltre alle spese per le esigenze connesse al mé nage domestico-familiare secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia stessa, anche le spese afferenti le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le spese per esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. 4.9.2 Individuazione del criterio attraverso il quale identificare i crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale. Come affermato da Cass. Civile, sez. trib., 07/06/2021, n. 15741: "il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni (legale o contrattuale), ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia (Cass. n. 15862/2009). Il principio è stato nel tempo confermato e ulteriormente sviluppato da questa Corte, affermando che in tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c., anche per le obbligazioni tributarie, se strumentali ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità ai bisogni della famiglia (Cass. n. 23876/2015). Ed ancora, si è affermato che il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l'esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura dell'obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l'esercizio dell'attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall'attività professionale o d'impresa del coniuge, dovendosi accertare se l'obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. n. 3738/2015; Cass. n. 23876/2015; Cass. n. 25443/2017)". 4.9.3 Natura dei crediti inerenti i cosiddetti "prelievi di quote latte" e relativi interessi e loro astratta riconducibilità alla nozione di debiti contratti per i bisogni della famiglia. Non possono essere condivisi gli argomenti esposti da parte appellata circa la natura peculiare del prelievo supplementare e la sua non riconducibilità (per definizione) alla nozione di "debito contratto per i bisogni essenziali di una famiglia". Come già detto, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento potrà essere realizzato in via esecutiva sui beni del fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia. Non esiste, pertanto, un credito che, per definizione, non possa essere considerato contratto per i debiti della famiglia. La regola della piena responsabilità del fondo è applicabile ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con le esigenze familiari. Tale inerenza può sussistere anche con riferimento al prelievo supplementare: l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia. La circostanza che il debito sia sorto nell'ambito dell'impresa o dell'attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia. 4.9.4 Ruolo del giudice, anche di quello amministrativo, nell'accertamento della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia. Come si è già detto, è compito del giudice (nella specie: amministrativo, investito in questa "particolare materia" di giurisdizione esclusiva) accertare la relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto. 4.9.5 Riparto degli oneri probatori tra debitore e creditore in ordine ai presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c. Si è già avuto modo di affermare che grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest'ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Come ribadito da Cass. civile, Sezioni Unite, 08/06/2021, n. 15911 "(i)n tema di riscossione coattiva, l'iscrizione ipotecaria di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l'obbligazione tributaria (...) sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l'onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell'obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa". 4.9.6 L'adempimento degli oneri probatori nel caso concreto. Per dimostrare la non inerenza dei debiti per prelievi latte rispetto ai bisogni della famiglia, parte appellata allega le seguenti circostanze: (i) i coniugi Za., nel 2000, hanno costituto un fondo patrimoniale sui beni di loro proprietà ; (ii) il signor Za. è proprietario anche di altri beni in Sandrigo, che non fanno parte del fondo patrimoniale, e sui quali l'ADER ha iscritto ipoteca per gli stessi (pretesi) debiti per prelievi latte di cui è causa; (iii) i prelievi latte per i quali era stata iscritta ipoteca sui beni di (omissis) rientranti nel fondo patrimoniale, sono relativi alle annate dal 2000/01 al 2007/08 e quindi sono tutti successivi alla costituzione del fondo patrimoniale, avvenuta nel settembre 2000; (iv) tali pretesi debiti per prelievo latte, sono asseritamente portati da una serie di cartelle di pagamento di cui si contesta: la notifica, l'intervenuta prescrizione, l'illegittimità comunitaria della stessa, la mancata notifica dei titoli legittimanti l'iscrizione a ruolo e la mancanza dei requisiti essenziali (v) l'iscrizione ipotecaria di cui è causa, è già stata cancellata dall'ADER nel dicembre 2022; (vi) è velleitario pensare che il signor Za. possa oggi ancora possedere le dichiarazioni dei redditi o la documentazione bancaria degli anni cui si riferiscono i fatti: è quindi evidente che la prova della non inerenza dei (pretesi e sempre contestati) debiti per prelievi latte al soddisfacimento dei bisogni della famiglia non può che essere data per presunzioni semplici. Il signor Za. conclude sul punto affermando che: - nel caso di specie, si può sicuramente presumere la non inerenza dei (pretesi e sempre contestati) debiti per prelievi latte rispetto ai bisogni della famiglia; - si tratta infatti di (pretesi) debiti che non sono stati contratti per soddisfare direttamente ed immediatamente i bisogni della famiglia, ma nemmeno per le esigenze imprenditoriali del signor Za., derivando esclusivamente dalle normative europee dettate al fine riequilibrare il mercato comunitario del latte e dipendendo anche da situazioni (la produzione nazionale e le quote non utilizzate) correlate a situazione del tutto estranee all'attività del medesimo resistente; - le stesse Amministrazioni appellanti, una delle quali è proprio quella che ha calcolato e imputato il prelievo supplementare creditrici erano certamente a conoscenza della particolare natura del credito in questione e dell'assoluta e manifesta estraneità dello stesso ai bisogni della famiglia. Nessuna delle circostanze addotte è pertinente: (i) non rileva l'esistenza di altri beni; (ii) non rileva il momento del sorgere del credito; (iii) non rilevano i presunti vizi (omesse notifiche, etc.) che riguardano gli ulteriori motivi del ricorso in primo grado; (iv) non rileva l'intervenuta cancellazione dell'iscrizione ipotecaria; (v) non rileva la natura del debito, per le ragioni esposte. Alla luce dei principi sopra richiamati in tema di onere della prova, parte appellata non ha fornito neanche un principio di prova né dell'estraneità del credito in oggetto all'ambito dei "debiti contratti per bisogni della famiglia", né della consapevolezza da parte del creditore dell'estraneità o meno dell'obbligazione de qua ai bisogni della famiglia. Al contrario si tratta di un'obbligazione sorta in dipendenza dell'esercizio dell'attività d'impresa svolta dal coniuge Pi. Za., dai cui proventi (sino a prova contraria) l'intera famiglia trae il proprio sostentamento, come tale intendendosi il soddisfacimento delle primarie esigenze di vita dei componenti di detta famiglia. 5. Per le ragioni esposte deve essere accolto il secondo motivo di appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il primo motivo di ricorso in primo grado. Non di meno, avendo parte appellata riproposto ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. (da p. 17 in poi della memoria di costituzione) i restanti motivi del suo originario ricorso in primo grado, assorbiti dal TAR, tra i quali in particolare l'eccepita prescrizione della pretesa creditoria, deve essere dispone la prosecuzione del giudizio per la trattazione di tali censure, di non pronta ed immediata soluzione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) respinge l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposta da parte appellata; b) respinge il primo motivo di appello; c) accoglie il secondo motivo di appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il primo motivo di ricorso in primo grado. Fissa per la trattazione delle censure non esaminate dal Tar e riproposte dall'appellato l'udienza pubblica del 19 settembre 2024. Ordina che la presente sentenza non definitiva sia eseguita dall'autorità amministrativa. Spese al definitivo. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore

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