Sentenze recenti impresa familiare

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 846 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento, previa sospensione: 1) dell'informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina - Antimafia - prot. Interno n. -OMISSIS-del 08/02/2024 unitamente a tutti gli altri atti connessi, presupposti e/o conseguenziali, ivi compreso, il parere reso dal Gruppo Interforze; 2) delle richieste di informazione antimafia non conosciute perché non citate; 3) delle "informazioni rese dagli Organi di Polizia", non meglio specificate per data e numero di protocollo, come genericamente richiamate nella citata interdittiva; 4) del provvedimento - non conosciuto - di sospensione dall'erogazione dei contributi comunitari mediante apposizione di anomalia D12 di sospensione nel procedimento amministrativo telematico di AGEA; 5) di ogni altro atto presupposto, connesso o, comunque, conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo Messina, dell'A.G.E.A. e dell'Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ditta ricorrente è un'impresa agricola individuale con sede a -OMISSIS-il cui titolare è il sig. -OMISSIS-. Con comunicazione del 28 agosto 2023 la Prefettura di Messina comunicava che dall'istruttoria svolta era emerso il pericolo di infiltrazione della criminalità sulla base di diversi elementi riconducibili: a) alle vicende giudiziarie del titolare; b) alle vicende giudiziarie della coniuge convivente; c) ai rapporti di parentela con 4 diversi soggetti (fratello e 3 nipoti) a vario e diverso titolo coinvolti in procedimenti penali per criminalità organizzata; d) alle frequentazioni con soggetti controindicati; e) a specifiche cointeressenze economiche nell'ambito della famiglia. Con nota del 18 settembre 2024, l'interessato presentava le proprie osservazioni precisando che: - le segnalazioni a carico del titolare risalenti ad oltre 30 anni fa, analogamente a quelle più recenti per reati di truffa, non sono mai sfociate in procedimenti penali; - le condanne per il reato di favoreggiamento personale risalgono al 1993 e al 1997; - i rapporti parentali sarebbero insufficienti a supportare il rischio di infiltrazione e comunque l'amministrazione non avrebbe considerato che uno dei nipoti citati nel provvedimento (arrestato nell'ambito dell'operazione -OMISSIS-) sarebbe stato successivamente assolto; - le cointeressenze familiari sarebbero state determinate dal fatto che i terreni sono il cespite dell'eredità del padre defunto. Con provvedimento dell'8 febbraio 2024 il Prefetto di Messina riteneva le osservazioni inidonee ad incidere sui numerosi e convergenti elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria che valutati complessivamente evidenziavano l'esistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art 91 del Codice Antimafia. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, l'interessato ha chiesto l'annullamento della citata misura interdittiva per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 92 comma 2 bis del D.lgs. n. 159/2011 sotto il duplice profilo: a) della violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato; b) dell'omesso riscontro delle osservazioni difensive della parte ricorrente. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 94 bis del D.lgs. 159/2011, difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla mancata valutazione dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione collaborativa. 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost con riferimento alla libertà economica e alla imparzialità della P.A.; violazione dell'art. 84 del D.lgs. n. 159/2011; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento alle seguenti circostanze: - le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il titolare dell'impresa sono tutte collegate a reati di pascolo abusivo e non costituiscono "reati spia", né fattispecie di "maggiore allarme sociale"; - le condanne per favoreggiamento del titolare risalgono a 30 anni fa. 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85 e 91 del D.lgs. n. 159/2011 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione alla mancata esternazioni delle modalità con le quali i parenti indicati nel provvedimento sarebbero in grado di condizionare la gestione dell'impresa. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha puntualmente controdedotto ai motivi di ricorso; ha, inoltre, depositato gli atti dell'istruttoria tra cui le informazioni rese dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Partendo dalle contestazioni di ordine procedimentale va osservato che: - il termine di sessanta giorni di cui all'art. 92 comma 2 bis invocato dalla parte ricorrente si riferisce espressamente alla durata complessiva della fase (infra)procedimentale del contraddittorio e non al termine di definizione del procedimento che rimane regolato dalle disposizione dell'art. 92, comma 2° del D.lgs. n. 159/2011 (e che, peraltro, rimane sospeso durante la fase del contraddittorio tra le parti, cfr. in termini: Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2024, n. 2260; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 10 maggio 2024, n. 1749); - in ogni caso, in mancanza di una espressa qualificazione dei termini come "perentori", essi vanno intesi come termini sollecitatorio o ordinatori, sicché il loro eventuale superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. in termini, C.G.A. 5 giugno 2023, n. 388); - non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione dell'art. 92, comma 2bis per la ritenuta omessa valutazione delle memorie di parte ricorrente atteso che alle pag. 6 e segg. del provvedimento sono esternate le ragioni della ritenuta inidoneità delle osservazioni a modificare la valenza del quadro fattuale e indiziario. Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso. 3. Quanto alle censure mosse dal ricorrente circa la presunta insussistenza a carico dello stesso delle condizioni per l'adozione di un provvedimento interdittivo, il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 91 e 94 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione - per come disciplinato dal Codice Antimafia - si presenta come "binario", inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia la valutazione "atipica" di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. I presupposti per l'emanazione di un provvedimento interdittivo costituiscono, quindi, un cata aperto da cui l'Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all'apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all'art. 84, comma 4° del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei "concreti elementi" di cui all'art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011. 3.1 Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell'attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il "tentativo di infiltrazione" deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere raggiungere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate" richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali). 3.2 Venendo alla fattispecie oggetto di giudizio, gli elementi su cui il provvedimento interdittivo ha fondato la sua prognosi indiziaria sono costituiti: - da varie vicende giudiziarie del ricorrente e della coniuge convivente; - dalle frequentazioni, tutte recenti (v. pag. 5 del provvedimento), con soggetti pregiudicati; - dai rapporti di parentela con soggetti coinvolti a vario titolo in procedimenti penali per associazione di tipo mafioso (pagg. 2 e segg. del provvedimento) e dalle cointeressenze economiche con i membri della famiglia derivanti dai numerosi contratti di affitto indicati alle pagg. 5-6 del provvedimento. In particolare, il ricorrente è : 1) fratello di -OMISSIS-(attualmente detenuto, come riferito dallo stesso ricorrente), rimasto coinvolto nell'ambito nelle operazioni di polizia denominate -OMISSIS- (per il reato di associazione di tipo mafioso, riqualificato, con apposita Ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Palermo, nel reato di favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso) e -OMISSIS- (in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato; 2) zio di -OMISSIS- (figlio del fratello sopra indicato) socio amministratore insieme ad altro soggetto di impresa agricola operante nel medesimo territorio e già destinataria, nel 2018, di provvedimento interdittivo; 3) zio di -OMISSIS-, titolare di altra impresa destinataria, nel 2021, di interdittiva; 4) zio di -OMISSIS- (anch'egli figlio del fratello indicato sub 1) arrestato nel 2019 nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per i reati di concorso in associazione di tipo mafioso, concorso in truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori; 5) zio di -OMISSIS- (figlio di altro fratello del ricorrente): a) segnalato, tra l'altro, nel 2016 per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con esponenti del mandamento mafioso di -OMISSIS- e condannato, per tali reati, nel 2019 (sentenza del 2019 indicata nel provvedimento) alla pena di anni 6 di reclusione e 4.000,00 euro di multa; b) coinvolto, sempre nel 2016, nel procedimento penale convenzionalmente denominato -OMISSIS-per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis commi 1,3, 4, 5 e 6 c.p.), quale appartenente alla famiglia mafiosa inserita nel mandamento di -OMISSIS-, successivamente arrestato, nel 2018, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare e, infine, assolto nel 2019 "per non avere commesso il fatto"; di tale assoluzione da espressamente atto il provvedimento impugnato precisando che la circostanza non elide la contiguità ai contesti malavitosi comunque ritraibili dalle dinamiche relazioni emerse dall'ordinanza di custodia cautelare (pag. 7 del provvedimento); c) segnalato, nel 2018, e successivamente sottoposto, unitamente ad altri 3 familiari (-OMISSIS-), a misure cautelari nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- poiché responsabili, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l'organizzazione mafiosa e concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; - citato nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione denominata -OMISSIS-da cui emerge l'inserimento in un contesto criminale dedito principalmente alla commissione di estorsioni in danno di imprese edili. Risultano, infine, indicati 5 contratti di affitto di fondi rustici (uno risalente al 2015, gli altri molto più recenti) tra il ricorrente e altri fratelli in qualità di dante causa con controparti appartenenti alla medesima famiglia; tra questi soggetti figurano, tra gli altri, i soggetti indicati sub 1), 2), 3) e 4.c). 3.3 Ciò premesso il Collegio ritiene che i riferiti elementi, complessivamente valutati, danno vita ad un quadro indiziario sufficiente per ritenere correttamente formulato il giudizio del Prefetto circa l'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività economica ed imprenditoriale riconducibile alla ditta del ricorrente, ove si consideri la funzione di tutela sociale significativamente anticipatoria assegnata dal legislatore alle misure previste dalla normativa antimafia. Non si può disconoscere che un ruolo centrale nell'impianto motivazionale è costituito dai rapporti parentali che - come più volte affermato anche da questo TAR - da soli e astrattamente considerati non avrebbero potuto sostenere un'informazione interdittiva, dato che la pericolosità sociale non si trasferisce automaticamente da un parente all'altro essendo comunque necessario un concreto rischio che dalla parentela possa scaturire un pericolo di condizionamento. Invero, il solo legame parentale, nella sua mera esistenza, non si presta - in mancanza di ulteriori elementi idonei ad attribuirgli concreta rilevanza indiziaria nella prospettiva della valutazione antimafia - a fondare il pericolo di condizionamento, ciò in quanto il rapporto familiare, genericamente inteso, in quanto ontologicamente esistente in una dimensione non solo extra-criminale, ma anche extra-imprenditoriale, può alternativamente costituire, dal punto di vista della valutazione interdittiva, un elemento "inerte" o neutrale, in quanto privo di concreto significato ai fini preventivi e confinato esclusivamente nella sfera personale, ovvero un elemento "dinamico" e rilevante, in quanto idoneo ad innescare il flusso inferenziale che fa da sfondo alla ricostruzione indiziaria del pericolo di condizionamento. A determinare il passaggio "qualitativo" del vincolo parentale dall'una all'altra dimensione valutativa è la specifica caratterizzazione dello stesso, soprattutto in determinati contesti socio economici nella doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico" che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, con la conseguenza che il vincolo parentale unitamente al contesto ambientale e sociale nel quale opera l'impresa attinta da informativa possono rilevare quali elementi sintomatici accessori tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l'impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori (cfr. in termini, C.G.A. 6 novembre 2023, n. 762; 6 marzo 2023, n. 200; Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2022, n. 2167; 17 marzo 2022, n. 1935; 7 marzo 2022, n. 1622). Orbene, nel caso di specie, ciò che assume profonda valenza in chiave prognostica, non è solo il coinvolgimento dei familiari del ricorrente in vari procedimenti penali anche per reati associativi, risultando determinanti anche le cointeressenze economiche comprovate dall'affitto dei fondi rustici (alcuni dei quali con familiari già destinatari di interdittive) in uno specifico contesto socio economico e in un limitato ambito territoriale (caratterizzato da una pervasiva presenza del fenomeno mafioso espressione della regia clanico-familiare delle attività in agricoltura) ove il pericolo di contaminazione mafiosa assume connotazioni più pregnanti. 3.4 A ciò si aggiunga il fatto che altro elemento indiziario è costituito da una serie di recenti frequentazioni con soggetti fortemente controindicati con pregiudizi, tra gli altri, per sequestro di persona a scopo di estorsione, concorso in associazione di tipo mafioso, rapina e truffa aggravata. Anche i predetti elementi, esaminati nelle loro specifica consistenza e valutati nel contesto territoriale e sociale in cui opera l'impresa agricola sono idonei a sorreggere, in una logica di prevenzione, l'impianto dei due provvedimenti in termini di indici sintomatici dell'infiltrazione mafiosa. 3.5 Quindi, il Collegio - tenuto anche conto dei limiti di sindacato su un provvedimento assistito dalla lata discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto per parametri quali l'irragionevolezza, l'arbitrarietà, il travisamento del fatto, elementi questi che non connotano la fattispecie - ritiene che risultino persuasivamente ricostruiti i rapporti familiari connotati da cointeressenze economiche e gli ulteriori rapporti tra il ricorrente e soggetti pregiudicati per reati gravi che consentono appieno di ritenere soddisfatto il requisito del "più probabile che non" dato che non vi è stata un'automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l'apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell'impresa. 4. Gli elementi sopra richiamati, per le loro oggettive caratteristiche, la continuità nel tempo e per il loro significato in termini prognostici esprimono, inoltre, un pericolo di infiltrazione avente una natura e dimensione tale, anche in relazione alle caratteristiche del soggetto economico in questione, da non potere essere adeguatamente fronteggiate da strumenti diversi da quello interdittivo, sicché la scelta della Prefettura di ricorrere all'informativa interdittiva (in luogo delle misure di collaborazione preventiva) risulta formalmente coerente all'impianto motivazionale posto a fondamento dell'atto. 5. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza, nei rapporti tra la parte ricorrente e il Ministero dell'Interno - UTG di Enna, secondo la liquidazione operata in dispositivo tenendo anche conto dell'immediata definizione del giudizio in sede cautelare. Le spese sono, invece, compensate con le altre parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell'Interno - UTG di Enna che liquida nella somma complessiva di Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese con le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e delle generalità delle altre persone fisiche citate del provvedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Agnese Anna Barone - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto emesso l'1/4/2022 dalla Corte di appello di Catania; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Francesca Ceroni, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Catania, in parziale riforma del decreto emesso in primo grado, riqualificava la pericolosita' sociale nei confronti di (OMISSIS), escludendo quella qualificata e ritenendo sussistente la pericolosita' generica ai sensi dell'articolo 1, lett.b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011, annullando la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, in quanto il presupposto soggettivo doveva ritenersi venuto meno a partire dalla fine degli anni âEuroËœ90. Una volta perimetrato il periodo in cui si e' manifestata la pericolosita' sociale, individuando nel 1999 l'anno in cui questa e' venuta a scemare, e' stato disposto anche l'annullamento delle confische relative a beni acquistati in epoca successiva. 2. (OMISSIS) ha impugnato il decreto emesso dalla Corte di appello formulando due distinti ricorsi, peraltro presentati anche nell'interesse della moglie, (OMISSIS). 2.1. Con il ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS) si deduce: - violazione di legge in relazione alla preclusione di un secondo giudizio, in quanto il proposto era stato gia' attinto da una richiesta di misura di prevenzione personale, rigettata con decreto del Tribunale di Ragusa del 28 novembre 2003, divenuto definitivo nel 2009. Sottolinea il ricorrente che, in quel procedimento, i giudici avevano accertato la provenienza lecita delle risorse impiegate per l'acquisto dei beni attualmente oggetto di confisca, sicche' tale dato non potrebbe essere superato e rimesso in discussione sulla base delle generiche dichiarazioni rese dal collaborante 7Avila; violazione degli articoli 10 e 20 del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, in quanto la Corte di appello - pur circoscrivendo la pericolosita' generica agli anni 1980-90 - avrebbe sottoposto a confisca anche beni acquistati in epoca successiva, in tal modo applicando il principio della derivazione causale dei proventi illeciti ed estendendone le conseguenze ben oltre il periodo di pericolosita' accertato. 2.2. Con il ricorso a firma dell'avvocato Giuseppe Passarello sono stati formulati tre motivi di impugnazione, con i quali si deduce: violazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, posto che nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosita' qualificata ex articolo 4, comma 1, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, a fronte della quale la Corte di appello aveva riconosciuto la pericolosita' generica, senza consentire il preventivo contraddittorio, nonostante i presupposti in fatto delle due forme di pericolosita' siano del tutto autonomi e differenti tra di loro; violazione di legge in relazione al riconoscimento della pericolosita' generica in assenza degli indici specifici individuati dalla Corte costituzionale nella sentenza n 24 del 2019. In particolare, nel decreto impugnato si attribuisce genericamente al (OMISSIS) di aver conseguito proventi illeciti fino ai primi degli anni novanta, senza indicare le fonti di tale accertamento, ne' l'effettiva idoneita' dei reati a produrre redditi di importo idoneo a giustificare le successive acquisizioni (in particolare la costituzione dell'impresa individuale (OMISSIS) intervenuta nel 1999). Essendo stata riconosciuta la pericolosita' generica e non quella qualificata, infatti, non poteva addivenirsi alla confisca di beni venuti ad esistenza in epoca notevolmente distante dalla cessazione della pericolosita', in assenza della dimostrazione di un nesso di derivazione certo. Sarebbe stato erroneamente valorizzato il decreto del Tribunale di Ragusa, irrevocabile il 13 giugno 1991, con cui veniva applicata al (OMISSIS) la misura di prevenzione, in quanto ritenuto indiziato di partecipazione ad associazione mafiosa, omettendo di considerare che, con ordinanza del 30 gennaio 2014, la Corte di appello di Catania aveva riabilitato il predetto. Carente risulterebbe anche l'accertamento della correlazione temporale tra le presunte attivita' illecite e gli acquisti di beni compiuti dal (OMISSIS), soprattutto in considerazione del fatto che i reati dal predetto commessi si limiterebbero ad un arco temporale estremamente limitato. Tale carenza non potrebbe essere neppure colmata valorizzando le dichiarazioni dei collaboranti (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenute da un lato insufficienti a dimostrare l'appartenenza di (OMISSIS) a sodalizi criminali ma, per altro verso, idonee a fondare i presupposti per la misura di prevenzione reale; violazione di legge in relazione alla mera apparenza della motivazione resa con riguardo a specifici e dirimenti aspetti quali: mancata limitazione della confisca in ordine al valore del bene acquistato mediante finanziamento ritenuto di importo incompatibile con le capacita' economiche del prevenuto; omessa considerazione, nella valutazione della sproporzione tra redditi ed acquisti, del fatto che i figli del (OMISSIS) erano usciti dal nucleo familiare in epoca antecedente al 2007 (allorquando venne costituita la societa' (OMISSIS) srl); minima rilevanza della sproporzione reddituale relativa alla costituzione della ditta individuale (OMISSIS); mancanza assoluta di motivazione circa l'illegittimita' derivata dei beni, applicata nonostante sia stata riconosciuta la pericolosita' generica; omessa valutazione dell'ingente importo non versato al consorzio CONAI (pari ad oltre Euro750.000), equiparato ad un'ipotesi di evasione fiscale; calcolo del reddito disponibile sulla base di valori ISTAT meramente indicativi dei consumi medi. 3. Avverso tale decreto, hanno proposto ricorso i terzi ritenuti fittizi intestatari (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, sia pur con distinti ricorsi, si sono sostanzialmente riportati alle deduzioni sollevate da (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi proposti dai terzi interessati sono inammissibili, mentre quello avanzato da (OMISSIS) deve essere accolto. 2. Prendendo le mosse dai ricorsi dei terzi, ritenuti fittizi intestatari dei beni oggetto di sequestro, si rileva l'inammissibilita' dei motivi che non sono direttamente volti a sostenere l'effettiva titolarita' dei beni. Per consolidato orientamento di questa Corte, il terzo che rivendica l'effettiva titolarita' dei beni sottoposti a sequestro, puo' contestare esclusivamente la fittizieta' dell'intestazione, mentre non e' legittimato a dedurre l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto (Sez.6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, Hudorovic, Rv. 278454; Sez.5, n. 333 del 20/11/2020, dep.2021, Icardi, Rv. 280249). Peraltro, i motivi di ricorso formulati nell'interesse dei terzi si risolvono nella deduzione di vizi della motivazione e non in vizio di violazione di legge, costituente l'unico motivo per il quale e' ammissibile il ricorso in Cassazione nei giudizi di prevenzione. 3. Passando all'esame dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS), deve preliminarmente rilevarsi la manifesta infondatezza del motivo volto a sostenere la violazione del ne bis in idem, basato sul fatto che nei confronti del ricorrente era stata gia' richiesta l'applicazione di una misura di prevenzione personale e reale, rigettata con decreto del Tribunale di Ragusa del 28 novembre 2003, divenuto definitivo nel 2009. Invero, la nuova richiesta di misura di prevenzione oggetto del presente giudizio non si fonda sul medesimo materiale probatorio posto a fondamento di quella avanzata nel 2003, essendo nel frattempo state acquisite le dichiarazioni rese dai collaboranti (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno fornito elementi nuovi e non valutati in precedenza. Nel caso di specie, pertanto, opera il principio secondo cui il ne bis in idem e' applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosita' ai fini dell'applicazione della misura, precedentemente rigettata, a condizione che si acquisiscano nuovi elementi di fatto, che possono consistere in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti ovvero in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti gia' emessi (Sez.1, n. 47233 del 15/7/2016, Di Gioia, Rv. 268175; Sez.6, n. 53941 del 23/10/2018, Sabatelli, Rv.274585). 4. Risulta fondato ed assume valenza assorbente, il motivo con il quale e' stata dedotta la violazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, posto che nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosita' qualificata ex articolo 4, comma 1, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, a fronte della quale la Corte di appello ha riconosciuto la pericolosita' generica, senza consentire il preventivo contraddittorio. Occorre premettere che nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria di pericolosita' sociale diversa da quella indicata nella proposta. La diversa qualificazione della pericolosita', tuttavia, e' consentita a condizione che la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo (Sez.1, n. 8038 del 5/2/2019, Manauro, Rv. 274915; Sez.1, n. 32032 del 10/6/2013, De Angelis, Rv. 256451). E' stato ulteriormente precisato che l'autorita' giudiziaria puo' operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosita' del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta ad ogni giudice procedente, ma tale potere deve essere esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, in modo da escludere qualsivoglia violazione del contraddittorio (Sez.6, n. 43446, n. 15/6/2017, Cristodaro, Rv. 271220). 4.1. Nel caso di specie, il decreto adottato in primo grado si fondava sulla ritenuta appartenenza del (OMISSIS) ad un sodalizio mafioso, soluzione non condivisa dalla Corte di appello secondo cui non sussisterebbero i requisiti dell'appartenenza al sodalizio, dovendosi ritenere che il prevenuto avrebbe unicamente beneficiato dell'appoggio delle famiglie mafiose operanti a Gela, pur senza potersi individuare un rapporto di contiguita' con i predetti sodalizi. Esclusa, pertanto, la pericolosita' specifica, la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza della pericolosita' generica ex articolo 1 lettera b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011, richiamando sinteticamente i precedenti penali dalle quali il (OMISSIS) e' gravato. Nel compiere tale diversa qualificazione, la Corte di appello non ha sollecitato alcuna forma di contraddittorio in ordine al presupposto applicativo della misura e, in tal modo, ha di fatto impedito al proposto di formulare le piu' opportune difese in ordine alla sussistenza dei presupposti per addivenire alla confisca di prevenzione. I rapporti tra pericolosita' qualificata e generica, nella specie relativa ai soggetti che vivono abitualmente con i proventi di attivita' delittuose, si contraddistinguono per la sostanziale diversita' dei presupposti di ciascuna forma di pericolosita', con la conseguenza che non e' possibile ipotizzare una sorta di rapporto di continenza tra la pericolosita' qualificata e quella generica. A seguito della pronuncia resa da Corte Cost., sent. n. 24 del 2019, i contorni dell'ipotesi di pericolosita' generica disciplinata dall'arti, lett.b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011 sono stati compiutamente descritti, anche e soprattutto nell'ottica di valorizzare la tassativita' della previsione normativa. Si e' affermato, pertanto, che la pericolosita' generica configurabile nei confronti dei soggetti che "vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuosa" presuppone l'individuazione di "categorie di delitto" idonee a fondare il tipo di pericolosita' in esame. La verifica della pericolosita' passa attraverso l'accertamento di specifici elementi di fatto dai quali desumere che si tratti di: a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito (cosi' in motivazione Corte Cost., sent. n. 24 del 2019). 4.2. Orbene, la specificita' dei presupposti richiesti per ritenere sussistente la pericolosita' generica ex articolo 1, lett.b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011, determina anche l'esigenza di instaurare il contraddittorio su di essi. Il fatto che la proposta sia stata formulata ipotizzando l'appartenenza ad associazione di stampo mafioso, infatti, non presuppone necessariamente la commissione di delitti aventi le caratteristiche richieste nella richiamata pronuncia della Corte costituzionale, con la conseguenza che ove il giudice ritenga di modificare la qualificazione giuridica e sempre che le parti non abbiano, in concreto, avuto modo di interloquire anche sulla pericolosita' generica, si determina una lesione del diritto di difesa. A fronte della contestata appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso, il proposto sara' chiamato a difendersi deducendo essenzialmente elementi a sostegno della sua estraneita' rispetto all'associazione. Qualora, invece, la pericolosita' ritenuta e' quella ex articolo 1, lett.b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011, muta l'oggetto della difesa, che sara' tesa ad escludere i requisiti che sono stati delineati dalla Corte costituzionale e che, potenzialmente, sono del tutto autonomi e diversi rispetto ai presupposti richiesti dalla pericolosita' qualificata. 4.3. La specifica esigenza di garantire il contraddittorio sui diversi presupposti della pericolosita' generica emerge in maniera ancor piu' netta ove si consideri il connesso profilo relativo alla confisca di prevenzione. Occorre in primo luogo richiamare il consolidato principio in virtu' del quale la pericolosita' sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, e' anche "misura temporale" del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla pericolosita' generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si e' manifestata la pericolosita' sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosita' qualificata, il giudice dovra' accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosita' sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez.U, n. 4880 del 26/6/2014, dep.2015, Spinelli, Rv. 262605). Quanto detto comporta che, ove a fronte dell'iniziale contestazione di un'ipotesi di pericolosita' qualificata si pervenga al riconoscimento della pericolosita' generica, ne conseguono rilevanti conseguenze anche in ordine all'accertamento degli acquisti suscettibili di confisca. Se l'appartenenza ad un sodalizio mafioso e', di norma, considerata idonea a produrre profitti illeciti, nel caso di pericolosita' generica si richiede un piu' stringente raffronto tra "abituale commissione di delitti" ed accumulo di proventi illeciti, dovendosi accertare non solo lo svolgimento di attivita' criminose da parte del soggetto con riferimento al lasso temporale nel quale si e' verificato l'incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare, ma anche l'effettiva idoneita' delle condotte illecite di produrre un profitto congruo rispetto agli acquisti effettuati. La confisca di prevenzione, infatti, introduce una presunzione relativa di illecito acquisto dei beni, che vale in quanto si possa ragionevolmente ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attivita' criminose nelle quali il soggetto risultava essere impegnato all'epoca della loro acquisizione, ancorche' non sia necessario stabilirne la precisa derivazione causale da uno specifico delitto. Deve, pertanto, ritenersi che l'ablazione patrimoniale - con riguardo alla pericolosita' generica ex articolo 1, lett.b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011 - si giustifica se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantita' ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare (cosi' in motivazione, Corte Cost., sent. n. 24 del 2019). Anche recentemente, il principio e' stato applicato dalla giurisprudenza di legittimita', essendosi affermato che con riferimento alla pericolosita' generica di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, la necessita' di correlazione temporale tra pericolosita' sociale del proposto ed acquisto dei beni presuppone l'accertamento del compimento di attivita' delittuose capaci di produrre reddito e non gia' di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali (Sez.1, n. 27366 del 28/1/2021, Rv. 281620). Quanto detto comporta che, a fronte della ritenuta diversa qualificazione della pericolosita' del (OMISSIS), quest'ultimo doveva essere messo in condizione di difendersi espressamente sulla congruenza tra i profitti illeciti, di cui avrebbe beneficiato nel periodo di pericolosita' accertato, ed i beni oggetto di confisca, al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio su aspetti che si atteggiano in modo difforme a seconda che venga ritenuta la pericolosita' generica, piuttosto che quella specifica. 4.4. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, deve affermarsi il principio per cui nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della confisca ritenga sussistente la pericolosita' generica ex articolo 1, lettera b) in luogo di quella qualificata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera a), Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, a condizione che sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo in ordine alla abitualita' della commissione di delitti, idonei a produrre profitti tali da aver costituito il reddito esclusivo o, comunque, significativamente rilevante per il proposto, nonche' in merito alla perimetrazione temporale della pericolosita', alla riconducibilita' degli acquisti a tale periodo e alla commissione di reati fonte di profitti in quantita' ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare. 5. In conclusione, il decreto impugnato va annullato con rinvio nei confronti di (OMISSIS), al fine di consentire - nel giudizio di rinvio - il contraddittorio tra le parti in ordine alla ritenuta pericolosita' generica ex articolo 1, lettera b), Decreto Legislativo n. 159 del 2011 e la conseguente sussistenza dei presupposti per disporre la confisca, secondo le indicazioni fornite in motivazione. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania. Le) Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese 05r;) processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nato in (OMISSIS); (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), CUI (OMISSIS) nata in (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/06/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CUOMO LUIGI, che, riportandosi alla requisitoria depositata, ha concluso per l'annullamento con rinvio del capo della sentenza impugnata relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena nei confronti di (OMISSIS) e per l'inammissibilita' dei restanti ricorsi; udito il difensore presente, Avv. (OMISSIS), che, al termine del suo intervento, nell'interesse di (OMISSIS), ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 7.06.2022, la Corte d'appello di Brescia confermava, per quanto qui di interesse, la sentenza GUP/Tribunale di Brescia 14.10.2021, revocando ex articolo 168 c.p. il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso ad (OMISSIS) con la sentenza di primo grado (laddove la parziale riforma della sentenza 14.10.2021 del GUP/tribunale Brescia appellata da tutti gli imputati riguardava il solo (OMISSIS), non ricorrente in Cassazione, che in accoglimento della sua proposta di concordato in appello si vedeva ridotta la pena inflitta inflittagli). Diversamente, gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) sono stati condannati per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74) nonche' per gli altri reati satellite contestati ai capi c), per (OMISSIS), e) per (OMISSIS), g) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), h) per (OMISSIS) e (OMISSIS), i) per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), j) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), k) I) n) per (OMISSIS), m) o) per (OMISSIS) e (OMISSIS), p) q) per (OMISSIS). Infine, il ricorrente (OMISSIS) e' stato condannato solo per il delitto di cui al capo f), ed assolto dal delitto associativo con la formula "non aver commesso il fatto". 2. Contro la sentenza propongono separati ricorsi per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)4ENE IONELA (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo plurimi motivi, tutti di seguito sinteticamente illustrati. 3. Ricorrente (OMISSIS), otto identici motivi, affidati in due distinti ricorsi all'Avv. (OMISSIS) ed all'Avv. (OMISSIS). 3.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74. In estrema sintesi, atteso che al ricorrente sarebbe stato riconosciuto il ruolo di promotore, organizzatore e capo del sodalizio dedito al narcotraffico, richiamati i principi espressi dal Giudice di legittimita' sul confine tra associazione e concorso, la difesa ne rileva una errata applicazione. In particolare, dal combinato motivazionale delle pronunce di merito non sarebbe emersa la permanenza del vincolo associativo: quanto all'elemento organizzativo, gli elementi addotti dai giudici, di cui si richiamano ampi passaggi nel ricorso, non sarebbero sufficienti a individuare il quid pluris che si sostanzia nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito. A dimostrazione di quanto dedotto, la difesa ripercorre tutte le dichiarazioni utilizzate dai giudicanti per dimostrare la permanenza del vincolo associativo contestandone in concreto la potenzialita' dimostrativa della sussistenza e stabilita' dell'associazione. Ancora continua la difesa, rilevando come mancherebbe un vincolo stabile tale da desumere l'esistenza della dell'associazione finalizzata al traffico stupefacenti, infatti, le sentenze di merito non dimostrerebbero la volonta' dei contraenti di superare la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale. Sul punto, poi, la motivazione sarebbe contraddittoria laddove riconosce la sussistenza di una struttura piuttosto essenziale per poi ammettere l'inesistenza di continuativi stabili contatti tra i vari presunti sodali. Invero, affinche' si possa affermare l'esistenza del sodalizio criminoso, e' necessario che il numero di partecipanti superi i contatti bilaterali intercorrenti tra un medesimo soggetto del presunto gruppo con ciascun supposto sodale requisito che non sarebbe soddisfatto secondo gli argomenti spesi dai giudici di merito poiche' e' stata data per assodata la partecipazione di (OMISSIS) e di (OMISSIS) limitatamente ai soli ultimi due anni di vita della supposta associazione, esclusa la partecipazione di (OMISSIS) e dovendo escludere, secondo la difesa, l'apporto di (OMISSIS). Il numero degli associati verrebbe cosi' ridotto a soli due partecipanti, (OMISSIS) e (OMISSIS), legati in realta' da un legame di parentela e amicizia. Inoltre, l'insussistenza di una natura stabile e duratura emergerebbe dalla incompatibilita' delle tempistiche tra i fatti contestati e alcune vicende personali degli imputati. In particolare, per quanto riguarda (OMISSIS) dall'(OMISSIS) si sarebbe trovato all'estero e quindi vi sarebbe incompatibilita' temporale con le tempistiche indicati ai capi di imputazione A), C), G), 3), K), L), M), N), O); dall'(OMISSIS) sarebbe poi stato ai domiciliari e quindi vi sarebbe incompatibilita' con le condotte di cui ai capi A), I), L), O) e nel (OMISSIS) sarebbe invece stato in carcere e quindi l'incompatibilita' riguarderebbero i capi a A), J), K), L) e O). Sarebbe peraltro apodittica l'affermazione per cui l'attivita' della moglie del ricorrente fosse uno schermo dell'impresa criminosa del marito considerato che nessun accertamento per dimostrarne la fondatezza sarebbe stato svolto. Ne' sarebbe stato provato sia che le autovetture in uso agli associati costituiscano mezzi destinati alla realizzazione del programma criminoso sia che i contratti di locazione di tutti gli appartamenti nella disponibilita' di (OMISSIS) avrebbero costituito apporto logistico perche' intestati alla moglie, la quale in realta' avrebbe preso in affitto due case per rispondere ad un bisogno personale. Ad ogni modo, anche a voler ritenere sussistente l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nel biennio (OMISSIS), difetterebbe la ricorrenza degli elementi essenziali di carattere oggettivo e soggettivo, per quanto sopra dimostrato (immobili, autovetture, telefoni cellulari, assenza di prova dei canali di fornitura). Quanto ai reati fine, sostiene la difesa la mancanza di prove certe che possano dimostrare un collegamento con l'associazione trattandosi di reati-fine storicamente determinati di volta in volta che denoterebbero una mancanza di preventiva e preesistente struttura organizzativa idonea al quale il soggetto agente potesse fare affidamento per l'attuazione di un programma criminoso definito. Infine, quanto alla peculiarita' del ruolo attribuito a (OMISSIS) quale capo, promotore e organizzatore, la sua condotta avrebbe dovuto essere qualificata tuttalpiu' quale concorso in reati di spaccio secondo quanto emergerebbe dai dati fattuali. 3.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2 in punto di mancata riqualificazione della condotta apicale in quella di mero partecipe all'associazione. In sintesi, la difesa censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto il ruolo apicale al ricorrente incorrendo cosi' in error in judicando. Invero, gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione di "promotore, organizzatore e capo dell'associazione" andrebbero rinvenuti nelle sommarie informazioni testimoniali rese dagli utilizzatori della sostanza stupefacente, dichiarazioni che consisterebbero, secondo la difesa, in mere impressioni, illazioni personali generiche e astratte non connotate dei caratteri della chiarezza e decifrabilita' mancando, quindi, nel compendio probatorio prove certe circa l'effettiva gestione dei soldi da parte del ricorrente (OMISSIS), ne' tantomeno si potrebbe desumere la sussistenza del ruolo apicale in capo al medesimo dai lati caratteriali, sia pure sgarbati e burberi. Non vi sarebbe poi una prova certa e incontrovertibile sia che il ricorrente fosse in stabile contatto con gli altri sodali atteso che non emergerebbe dal compendio probatorio la certezza di un collegamento tra le tra le utenze l'attivita' di spaccio e che quindi costituiscano mezzi destinati alla realizzazione del programma criminoso. I giudici di merito, inoltre, non avrebbero rispettato i principi di legittimita' espressi affinche' ricorra e si possa affermare la qualita' di promotore, organizzatore in capo ad un soggetto non distinguendo tra la figura del capo e dell'organizzatore, che invece sarebbero tra loro ruoli distinti. Pertanto, non avrebbero posto in evidenza elementi oggettivi dai quali poter derivare persuasivi elementi di colpevolezza: non e' possibile attribuire al ricorrente la qualifica di capo-promotore non essendovi alcuna prova del suo impegno nel provocare adesioni e consensi e non emergendo in alcun modo che l' (OMISSIS) sia stato l'iniziatore dell'associazione, e nemmeno e' riconducibile alla sua figura ruolo di organizzatore non bastando a tal fine l'operativita' affermata nella sentenza impugnata. Quindi, alla luce di quanto rilevato, la condotta del ricorrente avrebbe potuto al piu' integrare il ruolo di mero partecipe all'associazione. 3.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 in punto di insussistenza della condotta di mero partecipe all'associazione. Premessa una ricognizione sul concetto di condotta di partecipazione e quindi di partecipe e richiamata copiosa giurisprudenza in materia, la difesa censura la sentenza impugnata laddove ha riconosciuto la partecipazione del ricorrente alla compagine associativa. Infatti, la condotta tenuta da (OMISSIS) non integra gli estremi della fattispecie di partecipe alla ritenuta associazione di narcotraffico per difetto degli elementi costituenti la figura giuridica contestata, tanto per l'elemento oggettivo che soggettivo che si esteriorizza nella c.d. affectio societatis. Con specifico riguardo a quest'ultima, non sarebbe configurabile atteso il preesistente legame familiare e amicale tra i soggetti ritenuti partecipi al vincolo associativo che escluderebbe la consapevolezza o una volontaria adesione alla una compagine associativa. Sulla base delle emergenze processuali a carico dell'imputato, tale elemento non risulta infatti comprovato e sarebbe sufficiente una analisi dei capi di imputazione per evincere la estraneita' dello stesso al contesto associativo in termini di contributo stabile e permanente. In ultimo, anche qualora sotto il profilo oggettivo possa ritenersi che il ricorrente abbia contribuito collateralmente allo sviluppo dell'associazione, il contributo fattivo dato dallo stesso si sintetizza in una condotta sostanzialmente egoistica volta al perseguimento di obiettivi e vantaggi personali non superando la soglia del rapporto sinallagmatico-contrattuale e non realizzando in concreto un legame partecipativo al progetto associativo. In altri termini, le prestazioni svolte a favore della ipotetica societa' sarebbero state prestazioni ad hoc prive del carattere di stabilita' e affidamento da parte dell'associazione considerata nella sua globalita'. 3.4. Deduce il ricorrente, con il quarto ed il quinto motivo di ricorso, meritevoli di congiunta trattazione attesa l'intima connessione dei profili di doglianza mossi, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. ed il correlato vizio di manifesta illogicita' della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In sintesi, richiamate le pronunce di merito, si contesta l'operato di entrambi i giudici, atteso che si tratta di doppia conforme, per non aver tenuto conto del comportamento processuale del ricorrente e della sua spontanea consegna per l'esecuzione della pena. Inoltre, la sentenza di primo grado sarebbe contraddittoria, contraddittorieta' a cui non avrebbe sopperito nemmeno il giudice del gravame, in ordine all'attivita' di compravendita di autovetture, intestata alla moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) perche' in alcuni tratti ritenuta assolutamente illecita, in altri punti, invece, lecita. Secondo la tesi della difesa, le circostanze attenuanti generiche dovevano essere riconosciute in considerazione dell'attivita' lecita lavorativa, dei precedenti penali e della spontanea consegna per l'esecuzione della pena. 3.5. Deduce il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 99 c.p. In estrema sintesi, i giudici di merito avrebbero violato la disposizione richiamata nonche' i principi in materia di recidiva reiterata specifica, facendo esclusivo riferimento ai certificati del casellario, da cui si annovererebbero solo due condotte lievi per violazione degli stupefacenti e il resto attiene a norme sull'immigrazione, e non operando un reale concreto accertamento dell'episodio criminoso, ne' verificato se la reiterazione dell'illecito sia sintomo di maggiore pericolosita' causando una disparita' di trattamento sanzionatorio che sia la giurisprudenza di legittimita' (Sez. Un., n. 20789 del 24.02.2011) sia la Corte Costituzionale (n. 185/2015) hanno condannato, onde evitare che il giudicante venga spogliato della discrezione ex articolo 133 c.p. Inoltre, nel caso di specie, mancherebbero i presupposti per l'applicazione della recidiva reiterata, in quanto le condotte oggetto di imputazione nel presente procedimento sarebbero state commesse in epoca antecedente (i singoli reati, alcuni nel (OMISSIS) altri nel (OMISSIS), il reato associativo nel (OMISSIS)) rispetto all'irrevocabilita' della sentenza, risalente al 21 febbraio 2021, relativa ai reati sui quali si fonderebbe la sussistenza della contestata recidiva. Nemmeno potrebbe ritenersi che una parte, ancorche' minima, del nuovo reato sia stato eseguito dopo l'irrevocabilita' della precedente condanna. 3.6. Deduce il ricorrente, con il settimo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 133 c.p. In particolare, il discostamento eccessivo dal minimo edittale non sarebbe in alcun modo giustificato dalla motivazione resa sul punto poiche' apodittica e pregiudizievole non essendo sufficiente il solo riferimento alla durata temporale dell'attivita' di spaccio e al guadagno pari ed oltre 300.000 Euro, in realta' mai provato con certezza. Di conseguenza, il giudice territoriale avrebbe violato l'obbligo motivazionale gravante su di lui ricorrendo a generiche formule di stile e adoperando formule laconiche e stereotipate. 3.7. Deduce il ricorrente, con l'ottavo e ultimo motivo di ricorso, il vizio di violazione della legge processuale, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3, nonche' il correlato vizio motivazionale quanto al diniego della Corte territoriale di disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In sintesi, richiamati i principi di legittimita' ai fini della deduzione del suddetto vizio dinanzi a questa Corte, la difesa contesta le ragioni per cui il giudice territoriale ha negato la rinnovazione istruttoria richiesta dall'imputato al fine di integrare la base cognitiva del giudizio abbreviato con la documentazione attestante l'attivita' lavorativa di (OMISSIS) e due ordinanze del Tribunale di Trento relative a fatti accaduti precedentemente alle condotte in esame e poi messe in continuazione in sentenza. Si rileva dapprima che, trattandosi di documenti riguardanti sia l'accertamento di responsabilita' sia i presupposti e condizioni di applicabilita' delle attenuanti, sarebbero potuti rientrare nel perimetro cartolare del giudizio abbreviato e, inoltre, si evidenzia la potenziale decisivita' della richiesta al fine di risolvere le lacune delle sentenze denunciate in precedenza con i motivi del presente ricorso. In particolare, i documenti attestanti la compravendita di vetture ulteriori ritrovati dall'imputato avrebbero potuto dimostrare l'operativita' dell'attivita' di vendita di auto usate di cui era titolare la moglie del ricorrente. La liceita' dell'attivita' imprenditoriale da cui sarebbe potuto discendere anche il riconoscimento delle attenuanti generiche. 4. Ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 4.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 e correlato vizio motivazionale. Con riferimento alla posizione dell'imputato (OMISSIS), la difesa lamenta l'illegittimita' della riconosciuta colpevolezza in ordine alla fattispecie associativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, in ragione dell'assenza di uno degli elementi costitutivi del reato associativo rappresentato dall'a ffectio societatis. Infatti, non puo' dirsi provata in capo all'imputato la consapevolezza di appartenere al sodalizio criminale, alla luce di plurimi elementi che i giudici di merito non hanno adeguatamente valorizzato. In particolare, l'estraneita' al sodalizio criminale verrebbe confermata dalla circostanza che l'imputato ha fatto rientro in Italia soltanto nel (OMISSIS), avendo vissuto in Germania per motivi lavorativi. Orbene, secondo le risultanze investigative l'associazione avrebbe operato per un arco temporale particolarmente esteso, e cioe' dal (OMISSIS) al (OMISSIS). Appare chiaro, allora, come l'associazione sopravvivesse prima dell'ingresso in Italia dell'imputato e abbia vissuto anche oltre il contributo di quest'ultimo. Peraltro, rilevante e' l'assenza di relazioni tra l'imputato e persone diverse da (OMISSIS), con il quale aveva avuto comunque incontri sporadici. Infine, non risulta provata la circostanza asserita dalla Corte per cui l'imputato avrebbe locato un'abitazione per adibirla a nuova sede logistica del sodalizio. Ancora, le dichiarazioni assunte in sede di sommarie informazioni testimoniali, citate della sentenza impugnata, sarebbero del tutto generiche e non consentirebbero ne' di individuare con esattezza i fornitori, ne' di circoscrivere le cessioni in archi temporali determinati. Alla luce di quanto premesso, pertanto, non puo' affermarsi alcun collegamento tra l'imputato e la compagine associativa, dovendosi considerare l'attivita' illecita posta dall'imputato assolutamente autonoma. 4.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. e correlato vizio motivazionale. In sostanza, con riferimento all'imputato (OMISSIS), la difesa denuncia la carenza motivazionale in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, in quanto i giudici di merito avrebbero impropriamente valutato solo elementi attinenti alla personalita' del reo senza considerare la gravita' del fatto, pur a fronte di un ridimensionamento dell'arco temporale di azione del prevenuto e del ruolo marginale dallo stesso ricoperto. Parimenti, quanto a (OMISSIS), la difesa rileva che la Corte non avrebbe tenuto conto dell'esclusione del reato associativo in capo all'imputato, circostanza rilevante ai fini della concessione delle invocate attenuanti, unitamente alla giovane eta' dello stesso e allo stato di incensuratezza. 4.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento all'articolo 133 c.p. e correlato vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte non avrebbe adeguato la pena alla reale gravita' dei fatti, cosi' violando l'articolo 133 c.p. Infatti, con riferimento all'imputato (OMISSIS), avrebbe erroneamente giustificato il consistente discostamento dalla pena base per il reato associativo e gli aumenti per la continuazione, reputando l'apporto dello stesso tutt'altro che modesto, in quanto avrebbe contribuito alla sopravvivenza del sodalizio proprio nelle fasi critiche con l'intestazione di un appartamento da mettere a disposizione degli affari dell'organizzazione e riattivando alcune utenze telefoniche sequestrate. Quanto a (OMISSIS), la difesa rileva che la Corte di Appello ha specificato il calcolo per gli aumenti per la continuazione, omesso dal giudice di prime cure, senza pero' motivare il discostamento dal minimo edittale. Al contrario, proprio in considerazione dell'assoluzione dell'imputato dal reato associativo, avrebbe dovuto comminare la pena nel minimo edittale. 5. Ricorso (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli articoli 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e articolo 597 c.p.p., per violazione del divieto di reformatio in peius con riferimento all'applicazione, per i reati satellite avvinti da continuazione, di una pena maggiore rispetto a quella irorgata dal primo giudice. In sostanza, la difesa rileva che la Corte Territoriale avrebbe erroneamente invocato il principio della prevalenza della parte decisionale della sentenza, rispetto alla sua motivazione, cosi' violando il divieto di "reformatio in peius" per il caso in cui sia solo l'imputato a proporre appello. Infatti, richiamando la giurisprudenza di legittimita', la ricorrente osserva che la prevalenza del dispositivo debba essere esclusa nel caso in cui vi sia la possibilita' di ricostruzione certa del procedimento seguito dal giudice per la determinazione della pena. Nel caso di specie, dalla motivazione si evince chiaramente che il giudice di prime cure aveva indicato in anni due di reclusione la pena base per il reato piu' grave ed in mesi due di reclusione l'aumento per ciascuno dei tre reati satellite, per un aumento totale di mesi sei, specificando, altresi', che la pena sulla quale veniva operata la riduzione di un terzo per il rito era quella di anni due mesi sei di reclusione. 5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge con riferimento agli articoli 62-bis, 81, cpv e 133 c.p. e correlato vizio motivazionale. In sostanza, la ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonche' del mancato accoglimento della richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio da parte dei giudici di merito. La difesa, infatti, osserva che i giudici di seconde cure avrebbero erroneamente omesso di valutare la circostanza che l'imputata si e' spontaneamente consegnata agli inquirenti non appena saputo dell'adozione a proprio carico dell'ordinanza custodiale, facendo rientro dalla Romania. 5.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli articolo 163 c.p., comma 1 e articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, nonche' L. n. 689 del 1981, articolo 57, comma 2, con riferimento all'articolo 459 c.p.p., per la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena in ragione del ritenuto superamento dei limiti stabiliti dall'articolo 163 c.p. a fronte della esecutivita' di decreto penale di condanna a pena pecuniaria, inflitta in sostituzione di pena detentiva. In sintesi, la difesa denuncia l'illegittimita' della revoca della sospensione condizionale della pena, in quanto con il decreto penale di condanna emesso dal GIP presso il Tribunale di Brescia il 13.7.2020 veniva irrogata una pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di mesi due di reclusione ex articolo 459 c.p.p. La ricorrente osserva che la pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva non costituisce valido titolo di revoca della pena sospesa. In tal senso, infatti, non risulta superato il limite stabilito dall'articolo 163 c.p. 6. Con requisitoria scritta del 14.03.2023, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto a questa Corte l'annullamento con rinvio del capo della sentenza relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena nei confronti di (OMISSIS), dichiarando nel resto inammissibili i ricorsi. Quanto alle separate impugnazioni di (OMISSIS), nel chiederne la declaratoria di inammissibilita', quanto al primo motivo, premessi i principi di diritto relativi alla configurabilita' dell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, di cui la Corte di appello di Brescia avrebbe fatto buon uso, la Procura Generale elenca le circostanze per cui non sarebbe possibile relegare il fenomeno a una semplice serie di concorsi di persone nei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73: a) la struttura organizzata dell'attivita' secondo ruoli ben definiti e un modus operandi collaudato, consistente nella ricezione da parte della figura apicale ( (OMISSIS)) degli ordini dei clienti su utenze sempre diverse, periodicamente comunicate dal primo ai secondi, seguita dalla distribuzione sul territorio della sostanza per mezzo di una vera e propria rete di spaccio gestita tramite i sodali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) incaricati di effettuare le consegne; b) la struttura gerarchica del gruppo che vedeva (OMISSIS) al vertice, quale figura di riferimento per tutti i sodali, con il compito di gestire e dirigere l'attivita' dei collaboratori, impartendo loro precise direttive circa il cliente a cui consegnare la droga, il luogo dell'incontro e il prezzo di vendita; c) la natura stabile e duratura del sodalizio, atteso che dalle dichiarazioni degli assuntori ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) Quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il PG ritiene il primo motivo manifestamente infondato, atteso che, come correttamente rilevato dai giudici di merito, la prova dell'affectio societatis di (OMISSIS) e' desumibile dai contatti con il vertice dell'associazione e dalle dichiarazioni degli acquirenti delle sostanze stupefacenti, dal rinvenimento in sede di perquisizione di un apprezzabile quantitativo di cocaina, di materiale per il confezionamento delle dosi, di rilevanti somme di denaro e di ben nove apparecchi di telefonia mobile, nonche' dalla stipulazione di un contratto di locazione di un immobile destinato a fungere da ulteriore base logistica per lo smercio della droga. Con riferimento al secondo motivo, con il quale i ricorrenti invocano le circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi la correttezza dell'iter argomentativo seguito dai giudici di merito. In particolare, con riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello ha posto in rilievo che l'imputato e' gravato da precedenti penali ed ha svolto un ruolo tutt'altro che modesto, mentre invece per (OMISSIS) e' stata stigmatizzata l'assenza di elementi positivi e la contiguita' con ambienti criminali di rilevante spessore, come del resto e' dimostrato dai contatti monitorati con (OMISSIS) e la capacita' di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti da cedere sul territorio di incidenza. Nulla deduce il PG invece sul terzo motivo. Quanto, infine, al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), il PG ritiene che il primo motivo e' manifestamente infondato in quanto la Corte di Appello ha correttamente applicato il principio, che deve essere qui confermato, secondo cui il divieto della "reformatio in peius" (articolo 597 c.p.p., comma 3) concerne il dispositivo e non la motivazione. Con riferimento al secondo motivo, con il quale sono invocate le circostanze attenuanti generiche, si rileva che la Corte di appello ha valutato in modo appropriato gli elementi negativi ritenuti ostativi alla mitigazione della pena, tra cui la gravita' dei fatti anche sotto il profilo delle modalita' esecutive, la particolare organizzazione delle condotte, i precedenti penali a carico e l'ostinato atteggiamento negatorio. Fondato, invece, e' ritenuto il terzo motivo, con il quale si eccepisce l'illegittima revoca della sospensione condizionale della pena, che riguardava una precedente condanna a pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva di mesi due di reclusione. Per costante insegnamento giurisprudenziale, la condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria non puo' costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. 7. In data 7.4.2022, l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse della ricorrente (OMISSIS) depositava memorie scritte insistendo per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso per le ragioni ivi illustrate. 8. Sono, infine, pervenute separate istanze di trattazione orale in data 28.02.2023 dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' dell'Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS). Quest'ultimo, in data 10.01.2023, ha fatto pervenire dal carcere, ove risultava a tale data detenuto, la revoca della sola nomina dell'Avv. (OMISSIS), con contestuale nomina dell'Avv. (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, trattati in presenza a seguito dell'accoglimento delle istanze di trattazione orale avanzate dalle predette difese, sono in parte fondati (quanto alla ricorrente (OMISSIS), nei limiti di cui si dira' oltre), mentre si espongono ad un giudizio di infondatezza (quanto al ricorrente (OMISSIS)) o di inammissibilita' (quanto ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS)). 2. Al fine di meglio chiarire le ragioni dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte e' utile, sia pur sinteticamente, soprattutto tenuto conto delle plurime censure di vizio motivazionale sollevate dalle difese dei ricorrenti, operare una breve ricognizione della vicenda processuale. 2.1. Il presente procedimento trae origine da un controllo effettuato in data (OMISSIS) dalla Polizia Locale di Rovato presso l'abitazione di (OMISSIS), sita in (OMISSIS). Presso l'abitazione veniva rinvenuto sul tavolo della cucina un involucro contenente mezzo grammo di cocaina, cinquanta bustine trasparenti di cellophane, Euro 615 in contanti ed un telefono cellulare associato all'utenza telefonica n. (OMISSIS). A seguito dell'acquisizione dei tabulati telefonici, venivano sentiti a sommarie informazioni testimoniali i contatti piu' frequenti, i quali riferivano di contattare la suddetta utenza per rifornirsi di sostanza stupefacente di tipo cocaina. Gli assuntori escussi a sommarie informazioni riferivano che i contatti per l'acquisto degli stupefacenti avvenivano tramite diverse utenze telefoniche, tra cui (OMISSIS) e (OMISSIS), ma anche attraverso le utenze (OMISSIS), (OMISSIS) (sequestrate a (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS) (sequestrate a (OMISSIS)), in quanto era abitudine degli indagati cambiare spesso il numero di telefono e comunicare loro, di volta in volta, il nuovo contatto. In particolare, l'utenza telefonica n. (OMISSIS) veniva sequestrata il (OMISSIS) presso l'appartamento sito in (OMISSIS), nell'ambito di una separata attivita' di indagine. In quell'occasione, veniva eseguita una perquisizione domiciliare presso l'abitazione, in uso a (OMISSIS). Al momento dell'accesso nell'immobile era presente (OMISSIS), il quale contattava telefonicamente (OMISSIS) per presenziare alla perquisizione. Quest'ultimo, arrivato poco dopo presso l'abitazione, rifiutava di sottoporsi a perquisizione personale, minacciando l'appuntato S. (OMISSIS), spingendolo energicamente ed afferrandolo per il bavero della divisa e stringendogli le mani al collo. La perquisizione dava esito positivo, atteso che all'interno dell'appartamento venivano rinvenuti 23 grammi di cocaina, materiale plastico destinato al confezionamento della droga, Euro 2.770,00 in contanti e ben nove telefoni cellulare, tra cui proprio quello associato all'utenza (OMISSIS). Dal traffico telefonico di quest'ultima emergevano frequenti contatti con l'utenza (OMISSIS) e con le utenze in uso a tutti gli assuntori gia' precedentemente escussi a sommarie informazioni. Peraltro, gli assuntori stessi precisavano che alle utenze telefoniche contattate rispondeva sempre (OMISSIS), ma che le consegne venivano effettuate anche da altri soggetti, che contestualmente riconoscevano in sede di individuazione fotografica, all'esito della consultazione di apposito album. In particolare, emergeva che le consegne venivano effettuate anche da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Tuttavia, (OMISSIS) veniva identificato quale capo del gruppo, in quanto appunto era lui a rispondere alle telefonate, a stabilire ora e luogo della consegna, a gestire i soldi e ad impartire gli ordini agli altri soggetti. 2.2. In data 14.10.2021, il GUP presso il Tribunale di Brescia, a seguito di rito abbreviato, dichiarava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) colpevoli dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articoli 74, 73, comma 5, loro rispettivamente ascritti e, ritenuta la continuazione condannava (OMISSIS) alla pena di anni due mesi undici giorni dieci di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni due di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni sei giorni venti di reclusione e, riconosciuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza GUP Tribunale di Trento del 28.5.2020, ritenuti piu' gravi gli odierni fatti e rideterminata la pena per i reati satellite, lo condanna alla pena complessiva di anni sette mesi due di reclusione. Dichiarava (OMISSIS) colpevole dei reati a lui ascritti al capo F dell'imputazione e, riconosciuta la continuazione interna, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa. Condannava gli imputati al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Applicava a (OMISSIS) la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Applicava a (OMISSIS) e (OMISSIS) la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato, a pena espiata. Pena sospesa per (OMISSIS) e (OMISSIS). Assolveva (OMISSIS) dal reato a lui ascritto al capo A dell'imputazione, per non aver commesso il fatto. 2.3. In data 7.6.2022, la Corte di Appello di Brescia, per quanto rileva in questa sede, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a (OMISSIS), confermando nel resto la sentenza impugnata. 3. Tanto premesso, seguendo l'ordine dell'illustrazione dei motivi di ricorso, puo' muoversi dall'esame di quelle proposti da (OMISSIS) che, come anticipato, pur essendo sviluppati in due separate impugnazioni, possono essere unitariamente trattati considerata la loro coincidenza, differenziandosi solo per la proposizione, il primo, da parte del solo Avv. L. (OMISSIS) e, il secondo, da parte di quest'ultimo difensore unitamente all'Avv. P. (OMISSIS), nelle more dell'udienza dinanzi a questa Corte revocata dal ricorrente detenuto. 3.1. Quanto al primo motivo, relativo al capo A) di imputazione, e' inammissibile. Giova premettere che le deduzioni difensive in esame, ancorche' rubricate come violazioni di legge, sollecitano una tipologia di vaglio precluso ai Giudici di legittimita' perche' si sostanziano in una ricostruzione alternativa dei fatti, come tale non valutabile in Corte di Cassazione poiche' resta esclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 5465 dell'11/02/2021, Rv. 280601 - 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747 - 01). Le censure, inoltre, esulano dal percorso di una ragionata censura del complessivo apparato motivazionale della sentenza impugnata, con la quale obiettivamente non si confrontano, risolvendosi in un'indistinta critica difettiva. Ed invero, la frammentazione del ragionamento, la moltiplicazione di rivoli argomentativi neutri o, comunque, non decisivi, la scomposizione indistinta di fatti e di piani di indagine non ancorata al ragionamento probatorio complessivo della sentenza impugnata, la valorizzazione di singoli elementi il cui significato viene scisso ed esaminato atomisticamente rispetto all'intero contesto, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Rv. 276748 - 01; Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Rv. 274471). Sul punto, occorre rievocare l'orientamento consolidatosi in sede di legittimita' secondo cui, nell'ambito del ricorso per Cassazione, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata. In tali evenienze, risulta evidente la carenza di una critica puntuale al provvedimento, nonche' di un confronto con le argomentazioni in virtu' delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, Rv. 281521 - 01). In tale prospettiva ermeneutica, il Giudice di legittimita' non puo' che limitarsi a rilevare il corretto operato dei precedenti giudicanti alla luce dei plurimi elementi probatori valorizzati in entrambi i gradi di merito da cui emerge il soddisfacimento del quid pluris, quale elemento differenziale tra il reato associativo e il concorso di persone, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Rv. 270396 - 01). 3.2. Proprio tale elemento organizzativo nella vicenda in esame emerge con palmare evidenza in considerazione: a) della struttura organizzata dell'attivita' secondo ruoli ben definiti e un modus operandi collaudato, consistente nella ricezione da parte della figura apicale ( (OMISSIS)) degli ordini dei clienti su utenze sempre diverse, periodicamente comunicate dal primo ai secondi, seguita dalla distribuzione sul territorio della sostanza per mezzo di una vera e propria rete di spaccio gestita tramite i sodali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) incaricati di effettuare le consegne (cio' che consente di superare agevolmente anche la censura relativa alla presunta inesistenza del sodalizio per il mancato raggiungimento della soglia numerica prevista dalla legge, essendo evidente la presenza, oltre che di (OMISSIS), della moglie (OMISSIS) e del (OMISSIS), anche, nel periodo precedente, della figura del (OMISSIS)); b) della struttura gerarchica del gruppo che vedeva (OMISSIS) al vertice, quale figura di riferimento per tutti i sodali, con il compito di gestire e dirigere l'attivita' dei collaboratori, impartendo loro precise direttive circa il cliente a cui consegnare la droga, il luogo dell'incontro e il prezzo di vendita; c) della natura stabile e duratura del sodalizio, atteso che dalle dichiarazioni degli assuntori ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 3.3. La difesa, riproponendo le medesime questioni dedotte con l'atto di appello, evidentemente non si e' confrontata con gli argomenti utilizzati dal giudice del gravame per contestare le censure prospettate. In maniera del tutto logica e condivisibile, la Corte territoriale ha avallato quanto concluso dal GUP in ordine alla sussistenza di una rudimentale ma stabile struttura organizzativa in grado di andare oltre la commissione dei singoli reati attesa la rilevante durata dell'attivita' di spaccio monitorata, le stereotipate modalita' di gestione della stessa, attraverso una raccolta unitaria degli ordini su una medesima utenza, periodicamente cambiata per depistare eventuali indagini e la consegna delle dosi da parte sempre dei medesimi soggetti che si alternavano in modo interscambiabile tra loro, secondo le indicazioni impartite proprio da (OMISSIS), il ricorso a una serie di basi logistiche per l'occultamento della provvista e la preparazione e il confezionamento della sostanza stupefacente. Infine, il superamento di situazioni difficili, quali l'arresto del (OMISSIS) e conseguente venir meno del suo appartamento come base logistica o la prosecuzione dell'attivita' di spaccio dopo gli arresti domiciliari dell'(OMISSIS), e' sintomatico della stabilita' del pactum sceleris (pag. 37 sentenza impugnata) 3.4. Da ultimo, quanto alla presunta incompatibilita' tra le vicende personali del ricorrente e le condotte contestategli, gia' il GUP ne aveva sottolineato l'"infondatezza perche' le tempistiche indicate appaiono perfettamente compatibili con il periodo di consumazione dei reati (l'associazione criminosa sino ad (OMISSIS); le cessioni dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e l'arresto risale all'autunno del (OMISSIS)). Inoltre, nel periodo di restrizione ai domiciliari, una delle acquirenti ( (OMISSIS)), ha dichiarato che l'(OMISSIS) dirigeva ugualmente l'attivita' dei sodali, contattando la clientela e dando disposizione operative sulle consegne (pag. 13 sentenza GUP). 3.5. Alla luce delle motivazioni riportate, il motivo dunque si palesa non solo generico ma anche manifestamente infondato, poiche' in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, puo' essere data anche mediante l'accertamento di "facta concludentia", quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per i rifornimenti della droga, le basi logistiche, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalita' esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Rv. 282610 - 01; Sez. 6, n. 9061 del 25/02/2013, Rv. 255312 - 01). 4. Ad analoghe conclusioni si giunge per il secondo e terzo motivo di ricorso che, attesa l'omogeneita' dei profili di doglianza esposti, possono essere oggetto di trattazione congiunta. 4.1. In diritto, va innanzitutto richiamato il consolidato orientamento di questa Corte - affermato anche con riguardo all'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti - secondo cui nel sodalizio criminoso riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l'iniziatore dell'associazione, coagulando attorno a se' le prime adesioni ed i consensi partecipativi, ma anche colui che, rispetto ad un gruppo gia' costituito, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessiva attivita' di gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, Rv. 284199 - 01; Sez. 6, n. 45168 del 29/10/2015, Rv. 265524-01). Quanto alla qualifica di organizzatore in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, va ribadito che essa spetta a chi assume poteri di gestione, quand'anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 - 02; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, Rv. 271707) e a chi coordina l'attivita' degli associati ed assicura la funzionalita' delle strutture del sodalizio, non essendo peraltro necessario che tale ruolo sia svolto con riferimento all'associazione nella sua interezza (Sez. 3, n. 40348 del 06/07/2016, Rv. 267761). 4.2. Cio' precisato, le doglianze relative all'attivita' di promozione e organizzazione contestata al ricorrente sono assolutamente generiche e nuovamente non si confrontano con la motivazione addotta nella sentenza impugnata (pag. 38) che ha confermato la posizione apicale del prevenuto evidenziando anche la sua parallela esperienza criminale in relazione ai fatti di cui alla sentenza del GUP del Tribunale di Trento al fine di dimostrarne la sua abilita'. A cio', devono essere aggiunte, al fine di un completo esame delle censure proposte - atteso che ricorre la c.d. doppia conforme (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 - 01) -, le evenienze processuali richiamate dal giudice di primo grado e condivise dalla Corte di Appello di Brescia per cui il copioso materiale raccolto (dichiarazioni dei clienti, contatti rivenuti nelle utenze telefoniche) dimostra che le dinamiche interne alla organizzazione bresciana vedevano il ricorrente ricoprire la posizione di leadership all'interno del gruppo (pag. 13 sentenza GUP). 4.3. Tanto basta a questa Corte per ritenere entrambe le censure proposte prive di pregio atteso che la doglianza relativa alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 in punto di insussistenza della condotta di mero partecipe (terzo motivo) e' in sostanziale contraddizione con la stessa richiesta svolta nel secondo motivo con cui il ricorrente si lamentava della mancata riqualificazione del fatto nel Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2. Una volta provato il ruolo apicale del ricorrente, il giudice di merito non aveva infatti ragione di motivare ne' di soffermarsi sull'astratta (e subordinata) censura di insussistenza della condotta di partecipazione all'associazione, in quanto il riconoscimento del ruolo apicale all'interno di quel sodalizio, escludeva in nuce che egli potesse rivestire la mera qualifica di partecipe. L'ipotesi delittuosa del semplice partecipante (contemplata dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 2) si distingue, infatti, dall'altra ipotesi, anch'essa contenuta nell'articolo 74, ma al comma 1, del promotore, del costitutore, dell'organizzatore, del dirigente o del finanziatore del sodalizio. Posto che il semplice partecipante svolge soltanto attivita' fungibili tipicamente esecutive, il ruolo apicale riconosciuto al ricorrente e' stato desunto dall'autonomia e discrezionalita' decisionale, la cui figura per come tratteggiata dagli atti processuali, esclude che lo stesso potesse qualificarsi come semplice partecipe. Delle due l'una, dunque: nel medesimo sodalizio o si e' partecipi o si assume un ruolo apicale, tertium non datur. Ed e' indubbio che l' (OMISSIS) rivestisse un ruolo apicale all'interno del predetto sodalizio, ne' peraltro essendo emersa nel corso della vita del sodalizio alcuna dismissione del ruolo apicale da parte del ricorrente per assumere quello di partecipe. 5. Parimenti inammissibili sono il quarto e quinto motivo di ricorso perche' manifestamente infondati e generici. 5.1. Invero, quanto alle circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime al proposito un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell'adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non puo' mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimita' dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante e' soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, (dep. 09/03/2016), Rv. 266460). 5.2. Alla luce dei richiamati principi, la sentenza impugnata non puo' essere in questa sede censurata. Infatti, con motivazione non manifestamente illogica la sentenza ha ritenuto che "non vi fossero elementi apprezzabili per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dei precedenti penali del prevenuto nonche' della gravita' dei fatti, relativamente alla sua dimensione soggettiva conseguente al ruolo di assoluto protagonista dell'attivita' illecita monitorata" (pag. 38 sentenza impugnata). Seppur sinteticamente, dunque, il giudice dell'appello ha condiviso il ragionamento del GUP che aveva, in particolare, posto l'accento sull'ampiezza dell'arco temporale in cui si sono svolte le attivita' del sodalizio ((OMISSIS)-(OMISSIS)), sulla struttura e organizzazione della compagine sociale, sulla dipendenza degli acquirenti, alcuni dei quali consumatori da anni e, quindi, in condizione di particolare vulnerabilita'. Ad ulteriore corredo, escludeva particolari condizioni di bisogno o comportamenti collaborativi (anche la spontanea consegna dei coniugi (OMISSIS) e' avvenuta ad una significativa distanza temporale dall'emissione e prima della misura cautelare e comunque dopo il deposito dei decreti di latitanza). Si tratta di motivazione assolutamente adeguata, tenendo conto del numero, della gravita' e delle modalita' esecutive dei diversi reati ritenuti nei confronti dei ricorrenti, in alcun modo scalfita dalla doglianza sulla mancata considerazione degli elementi, peraltro piuttosto generici, indicati in ricorso e comunque frutto di una valutazione di merito qui non altrimenti rivisitabile. 6. Il sesto motivo proposto in riferimento alla contestata e ritenuta recidiva aggravata e' invece infondato. 6.1. Sottolinea infatti il ricorrente che il precedente penale sulla cui base e' stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, si riferisce ad una sentenza di condanna passata in giudicato nel 2021, vale a dire in epoca successiva a quella cui si riferisce sia la condotta associativa oggetto del presente procedimento, contestata come commessa dal (OMISSIS) fino al mese di ottobre (OMISSIS). Anzi, sullo specifico versante dell'epoca di operativita' del sodalizio, la stessa sentenza impugnata ne circoscrive la durata, affermando che l'associazione in parola, facente capo ad (OMISSIS), avrebbe operato in (OMISSIS) e zone limitrofe, dal (OMISSIS) fino al mese di ottobre (OMISSIS). 6.2. Ai fini della configurabilita' della recidiva reiterata, e' necessario che il nuovo reato sia commesso dopo che le precedenti condanne siano divenute irrevocabili, in quanto l'autore del nuovo crimine deve essere in condizione di conoscere tutte le conseguenze penali che ne derivano e, quindi, anche quelle derivanti dal proprio "status" di recidivo reiterato (Sez. 3, n. 10219 del 15/01/2021, Rv. 281381 - 01; Sez. 3, n. 57983 del 25/09/2018, Rv. 274692 - 01). Ed invero, risultano a carico dell' (OMISSIS), non solo dall'atto di appello dell'Avv. (OMISSIS) ma anche dal provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Brescia in data 15.11.2021, esaminato da questa Corte tramite interrogazione telematica al database del DAP, che il ricorrente, oltre ai precedenti richiamati dal giudice di primo grado (sentenza 5 aprile 2018 Corte App. Brescia; sentenza 134/20 Trib. Trento; provvedimenti in effetti divenuti irrevocabili entrambi in epoca successiva sia al reato associativo ((OMISSIS)) sia ai singoli reati contestati nel giudizio che occupa ((OMISSIS)/(OMISSIS)), rispettivamente il (OMISSIS) e il (OMISSIS), quindi in epoca in cui le condotte erano gia' consumate, ragion per cui non sarebbe stata possibile l'applicazione della recidiva reiterata contestata perche' neanche una parte minima della condotta relativa al nuovo reato risulterebbe essere stata eseguita dopo la sentenza irrevocabile di condanna (Sez. 3, n. 7302 del 17/05/1994, Rv. 198204 01) - annovera ulteriori due precedenti penali, divenuti irrevocabili in data antecedente sia al reato associativo sia ai singoli reati contestati nel giudizio in esame. Si tratta, in particolare: 1) della sentenza 23.09.2008 del tribunale di Brescia, irrevocabile in data 24.10.2008, per analogo reato in materia di stupefacenti commesso in data (OMISSIS); 2) della sentenza 12.11.2009 del tribunale di Brescia, irrevocabile in data 27.04.2010, anche questa relativa ad analoga violazione della disciplina in materia di stupefacenti commessa in data (OMISSIS). 6.3. A tale dato inconfutabile, peraltro, va aggiunta l'assoluta aspecificita' della relativa doglianza mossa nell'atto di appello proposto in data 7.02.2022 dall'Avv. (OMISSIS), con cui veniva richiesta, in maniera evidentemente generica, l'esclusione della recidiva in quanto fondantesi su due condanne (ossia le "condotte lievi per violazione degli stupefacenti" in precedenza richiamate, attenendo il resto a violazione di norme sull'immigrazione), non rilevando per la difesa il riferimento alla "condanna di Trento" in quanto unita a quella oggetto del presente giudizio sotto il vincolo della continuazione, non potendo la stessa considerarsi come una diversa violazione, computabile ai fini della recidiva. Detta aspecificita' emerge all'evidenza, soprattutto, se rapportata non tanto alla motivazione della Corte territoriale sul punto, quanto alla motivazione della sentenza di primo grado (che, attesa la natura di doppia conforme sulla responsabilita' penale, ne consente l'integrazione reciproca: Sez. 3, n. 44418 del 4/11/2013, Rv. 257595), che, motivando seppur cumulativamente sulle condotte poste in essere dal ricorrente, dal (OMISSIS) e dall'Aliju, sottolineava come le stesse (includendovi dunque anche quella dell' (OMISSIS)), ne disvelassero la profonda pericolosita' sociale, trattandosi di soggetti che per anni si erano incessantemente dedicati all'attivita' di spaccio, sino ad arrivare a costituire e prendere parte ad un ente illecito destinato a commettere reati di cui all'articolo 73, comma 5 TU Stup., con i cui proventi gli stessi si mantenevano ed arricchivano, dovendosi per (OMISSIS) - si aggiunge in sentenza -, valutare la recidiva, conseguendone, quindi, per gli stessi anche l'applicazione della misura di sicurezza di cui all'articolo 86 TU Stup. Detta motivazione "implicita" soddisfa, dunque, le condizioni per giustificare l'applicazione della recidiva, essendo infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, puo' essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (tra le tante: Sez. 6, n. 20271 del 16/05/2016, Rv. 267130 - 01; Sez. 6, n. 14937 del 4/04/2018, Rv. 272803 - 01). 7. Quanto al settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione all'eccessivo trattamento sanzionatorio, occorre premettere, in diritto che, sebbene si ritenga adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorche' sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'articolo 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarita' del caso, e' sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (Sez. 3, n. 6877 del 14/02/2017, Rv. 269196 - 01), quanto piu' il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piu' ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall'articolo 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi percio' escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla "entita' del fatto" e alla "personalita' dell'imputato (Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Rv. 255825 - 01; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Rv. 241189 - 01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Rv. 258356 - 01). 7.1. Principi, quelli appena richiamati, che non sono stati disattesi nella stesura delle pronunce proprie dei precedenti gradi giudizio. Sul punto controverso, come in maniera del tutto condivisibile ha rilevato la Procura Generale, i giudici di merito hanno espresso un apprezzamento fattuale in ordine alla valenza negativa dei precedenti penali dell'imputato, ponendo in rilievo come le precedenti condanne e l'obiettiva gravita' dei fatti fossero rappresentative di maggiore pericolosita' sociale idonea a giustificare l'inasprimento del trattamento sanzionatorio. Il giudice di primo grado ha, invero, ritenuto congrua la pena come determinata tenuto conto della considerevole durata nel tempo della condotta, della diffusione - si e' detto capillare- sul territorio dei reati fine programmati ed eseguiti, della salda guida del gruppo, la cui attivita' perdurava per anni proprio grazie al cruciale apporto dell'imputato (pag. 20 sentenza GUP). Analogamente, la Corte di appello, anche ai fini della dosimetria della pena, ha individualizzato il trattamento sanzionatorio e adeguatamente formulato l'accertamento sulla concreta significativita' del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresi' riguardo ai parametri di cui all'articolo 133 c.p., sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo, giustificando il discostamento della pena base dal minimo edittale con "la rilevante durata temporale dell'attivita' di spaccio monitorata e con il rilevante guadagno che ha fruttato al sodalizio nel tempo oltre 300.000 Euro secondo i calcoli effettuati dalla polizia giudiziaria" (cfr. pag. 38 sentenza impugnata). 7.2. Si tratta, pertanto, di giudizio insindacabile in sede di legittimita'. Ne consegue che il motivo e' manifestamente infondato (quanto al dedotto vizio di mancanza di motivazione) e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge (quanto al sindacato dell'uso dei criteri di commisurazione della pena di cui all'articolo 133 c.p.) e, pertanto, va dichiarato inammissibile. 8. Infine, per cio' che concerne l'ultimo motivo di ricorso afferente alla violazione di legge in relazione all'articolo 603, comma 3, c.p.p. e correlato vizio di illogicita' della motivazione quanto al diniego della rinnovazione dibattimentale, occorre premettere che, trattandosi di giudizio abbreviato condizionato, trova applicazione il risalente e mai superato orientamento per cui, e' possibile, anche nell'ambito del rito abbreviato, entro certi limiti - e cioe' quando il giudice di appello lo ritiene assolutamente necessario ai fini della decisione - procedere all'assunzione, di ufficio, di nuove prove o alla riassunzione delle prove gia' acquisite agli atti. Quando si tratti, poi, di una produzione di documenti, potendosi applicare in grado di appello, anche in camera di consiglio, le disposizioni relative al giudizio di primo grado (cfr. articolo 598 c.p.p.), la detta produzione puo' essere ammessa prima dell'inizio della discussione e senza necessita' di ordinare, a mente dell'articolo 603, la rinnovazione parziale del dibattimento, in virtu' dello stesso potere concesso in primo grado nel giudizio abbreviato al giudice dell'udienza preliminare dall'articolo 421, comma 3, cui rinvia l'articolo 441 c.p.p., comma 1 (Sez. 6, n. 1944 del 17/02/1994, Rv. 197263 - 01). Peraltro, questa Corte e' ferma nel ritenere che la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere d'ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, puo' essere sindacata, in sede di legittimita', ex articolo 603 c.p.p., comma 3, soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicita' o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Rv. 271163 - 01; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Rv. 265323 - 01). Argomentando piu' in generale, ovvero prescindendo dalla configurabilita', o meno, dello specifico vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), un orientamento (Sez. 1, n. 35846 del 23/05/2012, Rv. 253729) ha ritenuto che, nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, le parti - ivi compreso il pubblico ministero, nonostante non abbia piu' il potere di dissenso sulla richiesta del rito speciale - non possano far valere un diritto alla rinnovazione dell'istruzione per l'assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, poiche' spetta in ogni caso al giudice, d'ufficio, la valutazione sulla assoluta necessita' o meno della loro acquisizione. 8.1. Ed e' proprio tale assoluta necessita' che e' stata prontamente smentita dalla Corte territoriale sulla considerazione per cui gia' gli atti di causa, ivi compresa la sentenza del GUP del Tribunale, consentivano di avere un'adeguata idea dei fatti e della loro proporzione, nonche' del ruolo assunto dell'imputato, come poi adeguatamente argomentato e dimostrato nella pronuncia letta nella sua globalita' non ravvisandovi, occorre ribadire, alcuna delle presunte lacune indicate dal ricorrente. E' quindi evidente che la difesa, attraverso la doglianza in esame, lungi da individuare manifeste illogicita' che giustificherebbero il sindacato di questa Corte, sollecita una rivalutazione di quanto oggetto di valutazione da parte del giudice del gravame attraverso una diversa lettura delle circostanze, prestando quindi le censure dell'ottavo e ultimo motivo di ricorso il fianco ad un giudizio di inammissibilita'. 9. Ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 9.1. Quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo motivo, concernente la partecipazione all'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, e' anzitutto affetto da genericita' per aspecificita', in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per cosi' dire "replicate" in questa sede di legittimita' senza alcun apprezzabile elemento di novita' critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita'. Ed invero, e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Il ricorrente, peraltro, propone doglianze sostanzialmente in fatto, che sollecitano, in realta', una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realta' dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Il controllo di legittimita', tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia' il rapporto tra prova e decisione; sicche' il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione poste a fondamento della decisione, non gia' nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e' estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. 9.2. In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), - ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente non corretta in merito al ruolo di partecipe del sodalizio criminale. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e' giudice della motivazione, non gia' della decisione, ed esclusa l'ammissibilita' di una rivalutazione del compendio probatorio, deve al contrario essere evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicita' (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta'. 9.3. Cio' posto, merita di essere ribadito che figura speciale di reato associativo e' quella regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74 la quale si distingue rispetto alla figura generale prevista all'articolo 416 c.p. per la tipicita' dei reati-scopo, i quali sono esclusivamente quelli riconducibili al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Perche' sia dimostrata la esistenza di tale tipologia di associazione e' necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: 1) vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; sul punto si e' precisato che non e' necessario che il vinculum assuma carattere di assoluta stabilita', essendo sufficiente che a priori non sia programmaticamente circoscritto alla perpetrazione di uno o piu' reati predeterminati; 2) l'indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p.; 3) l'esistenza di una organizzazione, di persone e di mezzi, anche minima, ma idonea ed adeguata alla realizzazione degli obbiettivi criminosi. Indefettibile, sul piano soggettivo, e' la permanente consapevolezza di ciascun associato di fare parte del sodalizio e di apportare un contributo apprezzabile, non episodico, ed idoneo a garantire la stabilita' dell'unione illecita (affectio societatis). L'elemento dirimente ai fini della distinzione di tale fattispecie da quella descritta dall'articolo 110 c.p. (eventualmente anche se applicato congiuntamente all'articolo 81 c.p.) e' individuato principalmente nel carattere dell'accordo criminoso, il quale nella seconda ipotesi si sostanzia in una collaborazione occasionale ed accidentale, diretta alla commissione di illeciti determinati, anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso, la cui realizzazione esaurisce l'accordo stesso, cessando ogni allarme sociale. Di converso, nel reato associativo i sodali mirano a commettere una serie indeterminata di reati, anche se eventualmente gia' ideati e preordinati (fatta eccezione per eventuali accordi presi di volta in volta), alla cui consumazione effettiva non e' subordinato il vincolo associativo. In merito alla condotta di partecipazione, essa e' pacificamente ritenuta "a forma libera", richiedendosi che il contributo, anche se non indispensabile, sia apprezzabile sul piano causale, concorrendo alla esistenza, conservazione e rafforzamento dell'associazione, qualunque sia il ruolo o il compito svolto nell'ambito del sodalizio (Cass., Sez. U., 30 ottobre 2002, n. 22327). E' partecipe, quindi, anche chi svolga un'attivita' di importanza secondaria sia al momento della costituzione/organizzazione che in occasione dell'esecuzione dei vari reati-scopo, potendosi anche limitare ad assicurare la propria disponibilita' (Cass., Sez. III, 25 gennaio 2012, n. 8024). Evidenziata e' stata la differenza tra la figura del partecipe e del concorrente esterno al sodalizio, in quanto la condotta del primo e' connotata dall'esistenza del pactum sceleris e dell'affectio societatis, risultando punibile a titolo di partecipazione e non ex articolo 110 c.p. anche colui il quale abbia aderito e prestato il proprio contributo ab origine per una fase temporalmente limitata (Cass., Sez. II, 29 novembre 2012, n. 47602). La consapevolezza dell'associato non puo' che essere provata attraverso comportamenti significativi, concretizzantisi in un'attiva e stabile partecipazione, mentre il semplice fornire, in diverse occasioni, il proprio contributo alla realizzazione di alcuni reati-fine del sodalizio non comporta, di per se' solo, l'appartenenza allo stesso a meno che non venga provato che la collaborazione era finalizzata anche al raggiungimento degli scopi dell'associazione. Interessante e' anche considerare come per la giurisprudenza, ai fini della configurabilita' del reato associativo, non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo invece sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone nella medesima posizione psicologia, ad una societa' criminosa (Cass., Sez., VI, 10 gennaio 2018, n. 18055; Cass., Sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 27433; Cass., Sez.VI, 16 febbraio 2012, n. 11733). 9.4. Orbene, risulta evidente che la Corte Territoriale con motivazione logica e puntuale, ha adeguatamente confutato tutte le doglianze difensive. In particolare, non ha ritenuto di condividere il primo profilo di censura con riferimento alla asserita incompatibilita' temporale tra l'addebito e la dedotta permanenza all'estero sino alla fine del (OMISSIS), in Germania, per ragioni lavorative. Sul punto, infatti, i giudici di appello richiamavano la motivazione resa dal GUP presso il Tribunale di Brescia, il quale sottolineava l'inaffidabilita' della documentazione prodotta per dimostrare una continuativa e significativa lontananza dall'Italia. Peraltro, come evidenziato dalla stessa Corte d'appello, tale assunto difensivo veniva sconfessato proprio dalle numerose "dichiarazioni dei destinatari delle cessioni di sostanza stupefacente, che giustappunto danno conto del coinvolgimento del (OMISSIS) sin dal (OMISSIS)" (pag. 39 sentenza di appello). A conferma della piena adesione alla societas sceleris vi era poi un ulteriore argomento, ossia la stipulazione da parte dell'imputato del contratto di locazione dell'abitazione di (OMISSIS), "funzionale ad aprire un'ulteriore e nuova base logistica per l'attivita' del sodalizio, posto che quella facente capo a (OMISSIS), ove gia' era stata effettuata una perquisizione in data (OMISSIS), non era piu' disponibile a seguito dell'arresto del predetto in data 28.9.2018" (pag. 39 sentenza di appello). Ulteriore e rilevante argomento a sostegno della ritenuta intraneita' dell'imputato alla compagine criminale si ravvisava nel fatto che nel corso della perquisizione effettuata in data (OMISSIS) presso l'abitazione del (OMISSIS), venivano rinvenuti ben nove telefoni cellulari dotati di relative SIM. Invero, "per non disperdere il patrimonio rappresentato dai contatti telefonici con la clientela e per evitare che gli acquirenti perdessero gli abituali rifornimenti per l'approvvigionamento, gia' all'indomani del sequestro, tanto il (OMISSIS), quanto l'(OMISSIS) riattivavano, sinergicamente, alcune delle nuove utenze individuate dalla P.G." (pag. 40 sentenza di appello). Ancora, si evidenziava come detta attivita' illecita fosse proseguita anche nel periodo in cui l'(OMISSIS) si trovava agli arresti domiciliari, a riprova della stabilita' e solidita' del sodalizio stesso. Infine, non puo' condividersi per la Corte di appello neppure l'ulteriore profilo di censura facente leva sull'assenza di contatti documentati tra il (OMISSIS) e gli altri sodali, se non con l'(OMISSIS). Ebbene, anche sotto tale profilo, la Corte Territoriale giustamente evidenziava che "il modus operandi del sodalizio era tale da non richiedere necessariamente una particolare interazione tra i singoli associati, posto che gli ordinativi della clientela di giornata venivano raccolti dall'(OMISSIS), che poi a seconda della disponibilita' del momento o della zona territoriale attribuiva il compito della consegna al singolo partecipe" (pag. 39 sentenza di appello). Invero, la sentenza impugnata si e' adeguata al costante indirizzo giurisprudenziale espresso sullo specifico punto in esame da questa Corte (sez. 6 n. 11733 del 16/2/2012, Rv. 252232), in base al quale per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta', ad una societa' criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale. Conclusivamente, le doglianze del ricorrente non hanno pregio anche perche' manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimita'. Al cospetto di tale apparato argomentativo, pertanto, il motivo si appalesa inammissibile. 9.5. Il secondo motivo, inerente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62-bis c.p., e' parimenti generico. Sul punto occorre richiamare il costante insegnamento di questa Corte, secondo il quale la concessione o meno delle attenuanti generiche costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalita' del giudice, sottratto al controllo di legittimita', tanto che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' essere sufficiente in tal senso (ex plurimis: Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163). Il loro diniego puo' ben essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62-bis, c.p., disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). Peraltro, gia' prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza; conf., Sez. 3, n. 2233 del 20/01/2022, Rv. 282693 - 01). 9.6. Tanto premesso, prive di pregio risultano le censure difensive in ordine alla mancata valutazione da parte dei giudici di merito di elementi che, a dire dei ricorrenti, sarebbero stati determinanti ai fini del riconoscimento delle invocate attenuanti. Al contrario, esaustiva e puntuale risulta la motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale si e' adeguatamente confrontata con i relativi motivi di doglianza. Invero, con particolare riferimento alla posizione di (OMISSIS), la Corte di Appello di Brescia, evidenziava come gli argomenti invocati dalla difesa, tra cui la giovane eta' dell'imputato all'epoca del fatto, nonche' la sua incensuratezza non sarebbero valorizzabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti. Di contro, infatti, rilevava che "il dato anagrafico non ha impedito al (OMISSIS), di essere contiguo ad ambiente criminali di certo spessore, per come dimostrano i contatti monitorati con (OMISSIS) e la capacita' di approvvigionamento di sostanza stupefacente da spacciare. Ne' certo appare apprezzabile sul punto che egli sia stato ritenuto estraneo al sodalizio criminale orchestrato dall'Ene". Peraltro, rilevava l'assenza di ulteriori elementi positivi al riconoscimento delle attenuanti, atteso che l'imputato non ha mai reso alcuna dichiarazione. Con riferimento, invece, alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello a sostegno del diniego evidenziava come l'imputato non fosse soggetto incensurato, ne' avesse mostrato segni di resipiscenza. 9.7. Infine, con riferimento all'ultimo profilo oggetto di ricorso, relativo alla determinazione complessiva della pena, deve rilevarsi che il ricorrente, omettendo di confrontarsi con la sentenza di appello, asserisce apoditticamente l'inadeguatezza del trattamento sanzionatorio, il quale a suo dire avrebbe dovuto essere contenuto entro i minimi edittali, senza prospettare alcun argomento a sostegno della doglianza difensiva. Sul punto preme evidenziare come secondo il costante insegnamento di questa Corte, la graduazione della pena rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142). Orbene nel caso di specie, la Corte di Appello di Brescia, con motivazione esente dai denunciati vizi, con riferimento alla posizione del (OMISSIS) ha adeguatamente valorizzato gli argomenti posti a sostegno del consistente discostamento dalla pena base per il reato associativo. Invero, cosi' si legge nella sentenza: "Per quanto la figura dell'appellante emerga solo nel (OMISSIS), inserendosi in un meccanismo criminale gia' rodato, non puo' non evidenziarsi come, oltre all'attivita' ordinaria di gestione del proprio ruolo di galoppino, egli abbia contribuito alla sopravvivenza del sodalizio proprio nelle fasi critiche, che hanno colpito l'associazione, provvedendo ad intestarsi un appartamento da mettere a disposizione degli affari del sodalizio in luogo della precedente, riattivando, in accordo con l'(OMISSIS), alcune delle utenze sequestrate dalla P.G. il 9.1.(OMISSIS) per non disperdere il "pacco" clienti rappresentato dalla rete di contatti telefonici e continuando a spacciare, secondo le direttive dell'(OMISSIS), anche dopo che questi era collocato agli arresti domiciliari" (pag. 41 sentenza di appello). Quanto agli aumenti per la continuazione, la Corte Territoriale riteneva gli stessi contenuti e proporzionati alla gravita' dei fatti contestati, confermando sostanzialmente le valutazioni operate dal giudice di prime cure. Parimenti, con riferimento alla posizione dell'imputato (OMISSIS), la sentenza impugnata rende conto dell'adeguatezza della pena irrogata, salvo la specificazione dell'entita' dell'aumento per i singoli reati satellite, omesso dal giudice di prime cure. Puntuale, pertanto, risulta la motivazione resa dalla Corte territoriale, la quale ha anche evidenziato che "non vi sarebbe ragione di addivenire ad una riduzione del trattamento che, quanto alla pena base, e' stato gia' determinato nel minimo edittale, cosi' come il contenuto aumento per continuazione appare del tutto proporzionato alla gravita' dei fatti desumibile dalla ripetitivita' degli episodi e dal coinvolgimento di un complice con posizione interscambiabile" (pag. 42 sentenza di appello). Conclusivamente, le doglianze del ricorrente non hanno pregio anche perche' manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel mero "dissenso" sulla ricostruzione operata dai giudici di merito. 10. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), tre motivi. 10.1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione del divieto di "reformatio in peius", per avere la Corte di appello di Brescia rettificato in aumento gli incrementi a titolo di continuazione per i reati satellite pur lasciando inalterato il trattamento sanzionatorio indicato nel dispositivo, invocando il principio di prevalenza della parte decisionale della sentenza rispetto alla sua motivazione. Giova premettere che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimita' il divieto di "reformatio in peius" concerne il dispositivo e non la motivazione, la quale puo' ben essere meno favorevole per l'imputato. Invero, il divieto de quo riguarda esclusivamente il dispositivo della sentenza ed il suo concreto contenuto afflittivo, ma non anche la motivazione, che puo' contenere una valutazione piu' grave della violazione commessa, sia in termini di fatto che di diritto (Sez. 4, Sentenza n. 3447 del 23/01/2008, Rv. 238738). E' legittima, pertanto, la decisione con la quale il giudice di appello critichi la decisione del giudice di primo grado, lasciando, tuttavia, inalterato il dispositivo (Sez. 5, n. 4011 del 1/02/2006, Rv. 233593; Sez. 3, n. 3070 del 23/01/2017, Rv. 268893 - 01). Tuttavia, deve segnalarsi anche il principio di diritto secondo il quale nel giudizio di appello instaurato a seguito di impugnazione del solo imputato, viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice che, dopo aver riqualificato in termini di minore gravita' il fatto sul quale e' commisurata la pena base, e pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore di quella inflitta in primo grado, applica per i reati satellite - gia' unificati per continuazione - un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata, in quanto la posizione di questi ultimi non muta nonostante la variazione della definizione giuridica data dalla violazione piu' grave (Sez. 5, n. 41188 del 3/10/2014, Rv. 261035 - 01). Invero, i reati "satellite" unificati conservano la loro autonomia indipendentemente dal reato cui - sotto l'aspetto sanzionatorio - accedono, per cui non muta la loro "posizione" se viene mutata, nel giudizio di appello, la qualificazione giuridica del reato su cui e' stata commisurata la pena base. Ne consegue che il giudice dell'appello, investito dell'impugnazione del solo imputato, non puo' - senza incorrere nel divieto di reformatio in peius - applicare, per i reati satellite, una pena maggiore rispetto al giudice della sentenza impugnata, giacche', in caso contrario, finirebbe per rivalutare, in danno dell'imputato, un fatto che - stante l'effetto devolutivo dell'appello - ha gia' ricevuto la sua definitiva qualificazione e la sua sanzione. Cio' premesso, deve rilevarsi che la questione dei rapporti tra dispositivo e motivazione ha dato luogo ad una copiosa elaborazione giurisprudenziale. In generale, si afferma che il contrasto tra dispositivo e motivazione si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo (cfr. Sez. 6, n 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375-01, Sez. 6, n 19851 del 13/04/2016, Mucci, Rv. 267177-01), salvo specificita' del caso di specie, quale ad esempio la presenza di un errore materiale nel dispositivo (v., tra le altre, Sez. 2, n. 13904 del 9/03/2016, Paliumbo, Rv. 266660-01; Sez. F, n. 47576 del 9/09/2014, Savini, Rv. 261402-01). In altre decisioni, peraltro, si osserva che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volonta' decisoria del giudice, non e' assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben puo' contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (cfr., per tutte: Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690-01, relativa ad una fattispecie in cui nel dispositivo era stata omessa la statuizione di concessione della sospensione condizionale della pena, i presupposti della quale, invece, erano stati riconosciuti in motivazione). Invero, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformita' al quale l'uno e l'altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l'applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volonta' decisoria del giudice; laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione e' meramente apparente, con la conseguenza che e' consentito fare riferimento a quest'ultima per determinare l'effettiva portata del dispositivo, individuare l'errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacche' essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volonta' del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (Cass. sez. F. n. 47576 del 18/11/2014, Rv. 261402). 10.2. Orbene, nel caso di specie a giudizio del Collegio e' applicabile il principio di diritto secondo cui "nell'ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore materiale relativo all'indicazione della pena nel dispositivo e dall'esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla sua determinazione, la motivazione prevale sul dispositivo, con conseguente possibilita' di rettificare l'errore secondo la procedura prevista dall'articolo 619 c.p.p. (Sez. 2, n. 35424 del 22/09/2022, Rv. 283516 - 01). Infatti, a ben vedere, il primo giudice ha rappresentato chiaramente il procedimento seguito ai fini della determinazione della pena, indicando dapprima la pena base pari ad anni due di reclusione (capo A), e quantificando gli aumenti a titolo di continuazione per i tre reati satellite (capi E, G ed I) in due mesi di reclusione ciascuno. Ha parimenti determinato la pena complessiva in anni due mesi sei di reclusione. L'iter argomentativo tracciato dal giudice suggerisce dunque che, effettivamente, la pena complessiva su cui operare la diminuente per il rito prescelto debba individuarsi nella pena indicata in motivazione, e cioe' anni due e mesi sei di reclusione. Cio' premesso, ne consegue che la pena finale indicata tanto in dispositivo quanto in motivazione debba ritenersi frutto di un errore di calcolo. Puo' quindi procedersi alla rettificazione del calcolo della pena, come consentito dall'articolo 619 c.p.p., comma 2, senza necessita' di disporre l'annullamento della sentenza sul punto, riducendo di un terzo la pena finale di anni 2 e mesi sei di reclusione, in quella di anni uno e mesi otto di reclusione. 10.3. Il secondo motivo e' affetto da genericita' per aspecificita', in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per cosi' dire "replicate" in questa sede di legittimita' senza alcun apprezzabile elemento di novita' critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita'. Ed invero, e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia' esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Lo stesso e', inoltre, da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale ha spiegato, con motivazione adeguata le ragioni per le quali ha ritenuto del tutto infondate le doglianze difensive. Orbene, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deve essere richiamata l'esegesi giurisprudenziale di questa Corte sul tema della discrezionalita' del giudice di merito nell'applicazione dell'articolo 62-bis c.p. in riferimento ai parametri indicati dall'articolo 133 c.p. Si osserva a tal fine che il giudizio scaturente dall'applicazione dell'articolo 62-bis c.p. ha come proprio fondamento quello di consentire una valutazione onnicomprensiva della fattispecie concreta cosi' da modellare il trattamento sanzionatorio alle peculiarita' del caso esaminato. In tale operazione il giudice gode di una certa discrezionalita' la quale viene a muoversi all'interno dei criteri indicati dall'articolo 133 c.p., con necessita' di porre attenzione sia agli elementi oggettivi del fatto che a quelli attinenti alla sfera soggettiva. Tuttavia, la giurisprudenza e' granitica circa la possibilita' per l'organo giudicante di negare legittimamente la concessione delle attenuanti generiche marcando un aspetto ritenuto connotato da una gravita' tale da non consentire una riduzione della pena in applicazione dell'articolo 62-bis c.p. (Cass., Sez. III, 9 marzo 2016, n. 9839), ammettendo inoltre la cosiddetta motivazione implicita (Cass., Sez. 6, 4 luglio 2003, n. 36382) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua", Cass.,Sez. 4, 23 aprile 2013, n. 23679; Sez. 6, n. 9120). Si afferma anche che la ratio della disposizione di cui all'articolo 62-bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo invece sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. La motivazione sul riconoscimento/diniego acquista infatti un valore centrale sulla questione in quanto, qualora essa si presenti congrua e non contraddittoria, non potra' essere oggetto di sindacato alcuno in sede di legittimita', escludendosi che il giudice debba motivare in merito a ciascun singolo criterio indicato nell'articolo 133 c.p. Si considera sufficiente, infatti, la dimostrazione di aver valutato le varie componenti, oggettive e soggettive, dal caso, indicando quelli decisivi ai fini della decisione sul punto (Cass., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 43627). 10.4. Tanto premesso, il motivo e' quindi inammissibile, atteso che la Corte di Appello ha motivato la propria decisione circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche facendo leva sulla particolarmente negativa personalita' dell'imputata, "per come desumibile dal suo atteggiamento negatorio circa il coinvolgimento nell'attivita' di spaccio in contestazione, per come clamorosamente smentito dalle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)" (pag. 36 sentenza di appello). Peraltro, i giudici di appello rilevavano che l'imputata non era incensurata, bensi' aveva riportato una condanna per falsita' materiale nel 2020. Priva di pregio, pertanto, e' la censura difensiva in ordine alla mancata valorizzazione da parte dei giudici di merito della consegna spontanea della ricorrente. 10.5. Quanto al trattamento sanzionatorio, si richiama integralmente quanto evidenziato in relazione al primo motivo di ricorso ribadendosi peraltro che, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno o piu' dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p., assolve adeguatamente l'obbligo motivazionale; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalita' e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 26/03/2008, Rv. 239754 - 01). Nel caso di specie, la Corte Territoriale ha ritenuto insussistenti elementi tali da mitigare "un trattamento sanzionatorio che appare gia' essere particolarmente contenuto, quanto al discostamento dalla pena base di cui al capo A), rispetto all'apporto concorsuale assicurato dalla donna alla stabilita' del sodalizio" (pag. 35 sentenza di appello). Infatti, il primo giudice aveva determinato la sanzione per il capo A) in misura ridotta rispetto agli altri partecipi, valorizzando il "ruolo subalterno (ella partecipava materialmente ad un numero limitato di cessioni di sostanza) ricoperto all'interno del sodalizio, motivato dalla volonta' di agevolare il compagno di vita; va poi tenuto conto che, seppure con consapevolezza e volonta' di realizzare il risultato delittuoso, ella svolgeva sostanzialmente il ruolo di "prestanome" rispetto ad attivita' schermo dell'impresa criminosa, saldamente gestita dal marito" (pag. 20 sentenza di primo grado). 10.6. Il terzo motivo e' fondato e, pertanto, merita di essere accolto. Invero, deve essere rilevato come i giudici di appello hanno disposto la revoca della sospensione condizionale della pena, in ragione di un decreto penale di condanna emesso dal GIP presso il Tribunale di Brescia il 13.7.2020 con il quale veniva irrogata una pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di mesi due di reclusione. Tuttavia, deve rilevarsi che secondo l'orientamento oramai prevalente in seno alla giurisprudenza di legittimita', la condanna a pena detentiva sostituita con pena pecuniaria non puo' costituire titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. A sostegno, si osserva che la L. n. 689 del 1981, articolo 57, comma 2, prevede che "per ogni effetto giuridico", la pena pecuniaria si considera sempre tale, "anche se sostitutiva della pena detentiva", sicche' deve concludersi che la revoca del beneficio non e' ammessa quando per un altro delitto commesso dall'imputato, venga inflitta la sola pena pecuniaria, pur se sostitutiva di quella detentiva (Sez. 1, n. 41216 del 5/11/2008, Rv. 242249 - 01; Sez. 5, n. 15785 del 20/04/2011, Rv. 250162 01). Applicando, pertanto, al caso di specie il richiamato principio di diritto, deve disporsi l'annullamento della revoca della sospensione condizionale della pena di cui alla sentenza della Corte di appello di Brescia, beneficio che deve quindi essere ripristinato. 11. Conclusivamente, il parziale accoglimento del ricorso proposto da (OMISSIS), preclude la condanna alle spese ed al pagamento alla Cassa delle ammende; il rigetto del ricorso di (OMISSIS), comporta ex articolo 616 c.p.p. la sola condanna al pagamento delle spese processuali; diversamente, i ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi. P.Q.M. Visto l'articolo 619 c.p.p., comma 2 rettifica la pena inflitta a (OMISSIS) in anni uno e mesi otto di reclusione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena, statuizione che ripristina e dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere Dott. MELE M.Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze in data 15/09/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariaemanuela Guerra, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 15/09/2022, il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha dichiarato inammissibile l'istanza di affidamento terapeutico ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 94 e ha rigettato l'istanza di affidamento in prova ai sensi dell'articolo 47 Ord. pen. proposte nell'interesse di (OMISSIS). 2. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, sottolineando che la decisione abbia erroneamente valorizzato il dato relativo all'assenza di un progetto riabilitativo e, in particolare, di un lavoro, laddove la difesa avrebbe in realta' depositato ben due contratti di lavoro, il primo a tempo indeterminato con l'impresa (OMISSIS) e il secondo, a chiamata, con la Solution Societa' Cooperativa. 3. In data (OMISSIS) e' pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale e' stata chiesta la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. L'odierna impugnazione, invero, non si e' in alcun modo confrontata con la puntuale motivazione articolata con il provvedimento impugnato, che ha incentrato la propria valutazione sugli esiti dell'indagine socio-familiare svolta dall'UEPE, da cui e' emersa l'assenza di una effettiva progettualita' risocializzante in capo a (OMISSIS). Quest'ultimo, infatti, attualmente non svolge alcuna attivita' lavorativa, non ha una stabile abitazione, ne' puo' contare su relazioni familiari che possano validamente sostenerlo, versando in una situazione fortemente condizionata da una condizione di dipendenza da sostanze stupefacenti e da alcol. Un complesso di elementi, quello teste' ricordato, che il Tribunale ha correttamente valorizzato per giustificare, in maniera niente affatto illogica, la mancata applicazione della misura alternativa richiesta e che il ricorso ha, invece, del tutto pretermesso, incentrando la propria critica, in maniera sostanzialmente aspecifica, sul solo profilo della effettiva disponibilita' di un'offerta lavorativa, peraltro prospettata soltanto nell'imminenza della decisione del Tribunale sulla concessione dell'affidamento. 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriel - rel. Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 29/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; udito il Procuratore generale, in persona del sostituto SILVIA SALVADORI, la quale si e' riportata alla memoria in atti, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di Roma, per (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), il quale ha depositato nomina ex articolo 102 c.p.p., illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'articolo 324, c.p.p., a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione di precedente provvedimento di rigetto dell'appello proposto da (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale Sherwood, avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del patrimonio della citata ditta individuale, in parziale accoglimento dell'appello, ha disposto il dissequestro e la restituzione dell'immobile ubicato in Polia di proprieta' di (OMISSIS), ma con diritto di usufrutto in capo a (OMISSIS), nonche' dei terreni ubicati in (OMISSIS) acquistati dal (OMISSIS) con atto del (OMISSIS) e rigettato nel resto l'appello. In particolare, il giudice rimettente, nel recepire le conclusioni del Procuratore generale, ha dato rilievo alla circostanza, dedotta dal ricorrente, che i beni sequestrati ai sensi dell'articolo 240 bis c.p. erano stati acquistati molti anni prima dell'epoca in cui risulta commesso il reato presupposto della misura (2016). Per tale ragione, ha ritenuto insussistente un ambito di ragionevolezza temporale tra il reato presupposto e l'acquisto del bene, rilevando come, su questo profilo, il provvedimento del tribunale del riesame non presentasse alcuna motivazione, con conseguente sussistenza del vizio di legittimita' dedotto (mancato confronto della motivazione con i rilievi svolti dalla difesa e assenza della motivazione sul punto, vizio che si sarebbe tradotto in una violazione di legge, unico deducibile con il ricorso avverso i provvedimenti di natura cautelare reale). Sul punto, peraltro, ha rilevato che, pur essendo vero che, in sede di riesame, avverso il decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, e fatti salvi i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio ed il quantum del profitto del reato indicato nella richiesta al Giudice per le indagini preliminari della pubblica accusa, il tribunale non ha il potere di compiere accertamenti diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalita', lo stesso e' pero' tenuto a valutare il contenuto dell'eventuale consulenza tecnica presentata dalla parte ricorrente. Pertanto, ha disposto il rinvio per nuovo giudizio in relazione all'evidenziato, necessario confronto e alle eventuali successive determinazioni. 2. La difesa del (OMISSIS), ha proposto ricorso, formulando una censura unica, con la quale ha dedotto violazione e erronea applicazione dell'articolo 240 bis, c.p., in relazione all'articolo 512 stesso codice e del TU sui redditi per omessa motivazione su alcuni punti ritenuti decisivi per la valutazione del requisito della sproporzione, vale a dire la perimetrazione temporale della confisca, in base al principio di ragionevolezza, avuto riguardo all'epoca di costituzione dell'azienda Sherwood (2010) e alla capacita' reddituale del (OMISSIS); all'utilizzo dei dati ISTAT e/o dell'indice di poverta' assoluta; infine sulla omessa valutazione delle allegazioni difensive per erroneita' dei calcoli effettuati dalla PG. In particolare, quanto al primo profilo, la difesa ha rilevato che, pur avendo il Tribunale ritenuto che l'azienda non fosse sottoponibile a confisca ai sensi dell'articolo 416 bis c.p., comma 7, ha pero' ritenuto che lo fosse ai sensi dell'articolo 240 bis, stesso codice, con motivazione del tutto apparente, poiche' non avrebbe considerato che la stessa ha ad oggetto sociale la coltivazione di terreni e va inquadrata come azienda agricola, sottoposta a regime fiscale agevolato, per la quale non e' necessario versare capitale sociale, dovendosi considerare anche i contributi AGEA e ARCEA e tutti i redditi esenti. La difesa da' poi atto che la PG, a fronte dei rilievi del proprio consulente (le cui conclusioni sorreggono le doglianze veicolate con il ricorso, stanti i ripetuti rinvii), aveva rimodulato le tabelle sperequative, riducendo la originaria sproporzione per Euro 700.00,00 a una pari a Euro 24.000,00. Quanto, invece, all'utilizzo dei parametri ISTAT, la difesa ne contesta la legittimita', atteso che il suo impiego e' stato giustificato con una clausola di stile, a fronte di giustificazioni da parte dell'interessato basate su dati reddituali. Il dato ISTAT, secondo la difesa, non e' riconducibile direttamente al destinatario della confisca o a una sua condotta e neppure e' conseguenza di una sua azione o omissione. Esso rappresenta solo un dato statistico non riferibile soggettivamente al destinatario dell'atto ablativo, finendo per attribuire al soggetto una spesa che pero' non e' conseguenza di un suo comportamento. Infine, con specifico riferimento alle allegazioni difensive, la difesa rileva che la disamina degli elementi contabili ricostruiti nella consulenza allegata farebbe emergere l'assenza di numerose voci di reddito, la PG avendo omesso di riportare il dato sperequativo dell'anno precedente all'anno successivo, errore che finirebbe con il riverberarsi sul calcolo finale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Deve premettersi che dalla valutazione della sussistenza di un ragionamento esplicativo da parte dei giudici territoriali devono escludersi i beni immobili oggetto di dissequestro, disposto in accoglimento del gravame, avuto riguardo al criterio indicato dal giudice rimettente (quello cioe' della ragionevolezza temporale tra gli acquisti e il fatto di reato). Oggetto della disamina pertanto e' la verifica della dedotta violazione di legge, sub specie assenza di motivazione, con riferimento ai residui beni per i quali l'appello e' stato rigettato ritenuta la sproporzione tra guadagni (come ricavati dai redditi dichiarati ai fini delle imposte) e patrimonio, in virtu' del maccanismo presuntivo, in base al quale l'illecita accumulazione puo' essere superata dall'interessato a mezzo di specifiche e verificate allegazioni che attestino la legittima provenienza dei beni e un loro acquisto con provviste proporzionate alla capacita' reddituale lecita, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato. Nel dettaglio, i giudici territoriali hanno valutato i singoli cespiti, per ognuno dando conto della prossimita' temporale degli acquisti rispetto al reato per il quale si procede a carico del (OMISSIS) (articolo 512 bis, c.p., aggravato dalla agevolazione mafiosa), precisando che, poiche' si tratta di beni di un'azienda intestata a soggetto diverso da quello gia' condannato in primo grado per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (il figlio, cioe', del ricorrente), ai fini della confisca di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 7, sarebbe stato necessario dimostrare gli elementi indiziari dai quali inferire che il (OMISSIS) padre, odierno ricorrente, fosse solo un prestanome del figlio e l'azienda agricola una articolazione aziendale della cosca (neppure nel procedimento a carico del figlio essendo stata disposta la confisca del compendio aziendale di che trattasi). Il Tribunale, premesso che non erano stati allegati a difesa elementi atti a disarticolare il fumus commissi delicti ormai consacrato nel rinvio a giudizio dell'imputato, punto sul quale peraltro non consta motivo di ricorso, ha ritenuto che i beni dell'azienda fossero confiscabili in relazione al reato di trasferimento di valori (in concorso con (OMISSIS) e con il figlio (OMISSIS), questi ultimi gia' condannati in abbreviato nel primo grado di giudizio anche per tale fattispecie criminosa), per il quale si procede in dibattimento nei confronti dell'odierno ricorrente, rilevando intanto la confusione dei patrimoni dell'imprenditore e della ditta individuale. Ha, poi, precisato che i beni di cui alla lettera b) del decreto di sequestro erano stati appresi obbligatoriamente siccome mezzo e profitto del reato, pertanto, in base al disposto di cui all'articolo 240, c.p., procedendo, poi, all'analisi della sproporzione ai sensi dell'articolo 240 bis, c.p., quanto ai restanti beni, alla stregua del principio di diritto posto dal giudice rimettente (ragionevolezza temporale degli acquisti rispetto al reato), ritenendo fondato l'appello solo per quei beni che erano entrati nel patrimonio familiare in epoca non sospetta e di cui sopra si e' detto. Nel compiere detta valutazione, ha ritenuto non congruenti i redditi dichiarati e le provviste legittime allegate rispetto al loro valore (terreni in (OMISSIS) con pagamenti anticipati negli anni immediatamente precedenti e un'autovettura Panda rispetto alla quale ha rilevato il difetto di allegazioni difensive atte a vincere la presunzione di sproporzione; lo stesso, quanto ai beni formalmente intestati al figlio (OMISSIS) e al libretto di risparmio intestato a (OMISSIS), rispetto ai primi risolutivamente rilevando il difetto di interesse da parte dell'odierno ricorrente). Quanto, poi, al requisito della sproporzione, il Tribunale ha ritenuto i rilievi difensivi insufficienti a disarticolare la relativa presunzione, anche considerati i proventi dei contributi ARCEA/AGEA per i finanziamenti alle imprese, indicati nella pag. 11 della consulenza di parte, ritenendo il persistere di una consistente sproporzione per gli anni 2014-2015-2016, quanto ai risparmi accumulati nel 2013 ritenendoli irrisori e insufficienti a giustificare gli acquisti effettuati in quel triennio. Quanto, poi, ai criteri adottati dalla Guardia di Finanza ai fini del calcolo di spesa, ha ritenuto corretto l'utilizzo dei dati ISTAT, relativi al valore della spesa media annua per nucleo familiare, in quanto criteri forfettari da rapportare al concreto mediante un confronto diretto con il tenore di vita del soggetto e della sua famiglia. Alla stregua di quei dati, ha dunque ritenuto che le operazioni economiche complessive, riconducibili a quel nucleo familiare (acquisto terreni e autovetture, costituzione di una ditta individuale con relativo compendio aziendale, titoli ordinari e rapporti bancari) fossero indicative di un tenore di vita incongruo, rivelatore piuttosto di una capacita' di effettuare investimenti e sostenere spese oltre il fabbisogno personale. 3. Le doglianze sono manifestamente infondate, risolvendosi in censure all'impianto motivazionale, certamente esistente e non apparente, rilevanti ai fini del vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), e, come tali, non deducibili in questa sede, stante la natura della misura cautelare di cui si tratta. Nella stessa sentenza di annullamento, peraltro, si era evidenziata l'assenza di un confronto con i rilievi difensivi e un vero e proprio silenzio motivazionale sugli stessi. Cio' che nella ordinanza impugnata non e' dato invece riscontrare. Parte ricorrente ha si' enunciato il vizio di violazione di legge, ma ha sostanzialmente censurato la motivazione del provvedimento impugnato e i criteri adottati per valutare la sproporzione degli acquisti. Il che rende il ricorso inammissibile gia' sotto tale, assorbente aspetto, dovendo ribadirsi in questa sede, come del resto gia' ricordato nella sentenza di annullamento, che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e' ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o âEuro˜âEuroËœin procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). Inoltre, va ribadita la non deducibilita' in cassazione dei vizi attinenti alla verifica in concreto dei presupposti di fatto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, conv. in L. n. 356 del 1992 (sez. 3 n. 20432 del 04/03/2009, Rv. 244074), principio che conserva validita' anche all'indomani della introduzione dell'articolo 240 bis. c.p.. Tale tipo di confisca, infatti, ha struttura e presupposti diversi da quella ordinaria, in quanto, mentre per quest'ultima assume rilievo la correlazione tra un determinato bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell'articolo citato. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi di tale articolo, e' necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l'astratta configurabilita', nel fatto attribuito all'indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per cio' che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attivita' economiche del soggetto, sia per cio' che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (sez. 6 n. 26832 del 24/3/2015, Simeoli, Rv. 263931; sez. 1 n. 19516 del 1/4/2010, Bari/ari, Rv. 247205). Inoltre, stante la non totale coincidenza tra la titolarita' formale dei beni sequestrati e la disponibilita' di essi in capo all'indagato, deve pure precisarsi che, in tema di confisca ai sensi dell'articolo 240 bis c.p., la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche per quelli intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarita' di tali soggetti e l'attivita' lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle ulteriori circostanze del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell'intestazione (sez. 2, n. 23937 del 20/5/2022, Mancini, Rv. 283177; sez. 5, n. 26041 del 26/5/2011, Papa, Rv. 250922, in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 192, articolo 12 sexies, conv. in L. n. 356 del 1992 con riferimento al fratello e altri componenti della famiglia dell'indagato, in cui la Corte ha ritenuto sussistente una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale in forza della quale e' sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un'attivita' tale da procurargli il bene per invertire l'onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l'acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo). Dall'accertata sproporzione tra guadagni e patrimonio, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta dunque una presunzione "iuris tantum" d'illecita accumulazione patrimoniale, che puo' essere superata dall'interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita e illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (sez. 2, n. 43387 del 8/10/2019, Novizio, Rv. 277997, in cui, in motivazione, la Corte ha sottolineato che l'imputato, in considerazione del principio della cd. "vicinanza della prova", puo' acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva). A cio' si aggiunga che, ai fini della confisca cd. "allargata" prevista dall'articolo 240 bis c.p., a nulla rileva il quantum ricavato dalla commissione dei cd. "reati spia", dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilita' diretta o indiretta dell'interessato, purche' dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata (sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, Aprovitola, Rv. 282687). 4. Fatta tale premessa in diritto, deve rilevarsi, quanto alle doglianze specificamente articolate, che le stesse si sono incentrate sostanzialmente su alcuni aspetti della valutazione condotta dalla Guardia di Finanza, inerenti alla natura dell'impresa, a regime fiscale agevolato, per la quale non e' necessario versare il capitale sociale, nonche' ai contributi esenti, senza pero' considerare il dato valutato dal Tribunale, vale a dire il compendio aziendale e la risposta data dai giudici del merito anche al rilievo sui contributi ARCEA/AGEA. Altro profilo, poi, ha riguardato l'impiego dei dati ISTAT, giustificato dal Tribunale alla stregua della sua natura del tutto forfettaria, da raffrontarsi con il caso concreto. Infine, ha rilevato un errore nella valutazione delle voci reddituali, in relazione al calcolo del dato sperequativo dell'anno precedente all'anno successivo. Trattasi, a ben vedere, di censure che attengono al ragionamento giustificativo dei giudici del merito, i quali hanno utilizzato i dati ISTAT quali come gli indicatori statistici che essi rappresentano e il cui valore indiziario e' stato gia' riconosciuto dlala giurisprudenza di legittimita' (sez. 2, n. 36833 del 28/9/2021, Caroppo, Rv. 282361; n. 25042 del 28/4/2022, Amandonico, rv. 283559), la stessa difesa avendo peraltro affermato in ricorso che la Guardia di Finanza aveva preso in carico i rilievi del perito di parte, addivenendo a un ricalcolo in melius delle tabelle di sperequazione. Peraltro, deve ritenersi priva di pregio la censura con al quale si e' dedotta l'omessa valutazione delle allegazioni difensive, con riferimento alla consulenza successiva alla rielaborazione dei dati da parte della Guardia di Finanza: la difesa, invero, si e' limitata ad asserire un mancato confronto rispetto ai dati elaborati a difesa con riguardo alla ricostruzione dei redditi, senza spiegarne la natura decisiva alla luce della limitata cognizione del giudice del riesame (sez. 3, n. 38850 del 4/12/2017, dep. 2018, Castiglia, Rv. 273812), a fronte di una risposta del Tribunale che ha affrontato apertamente il tema, con una motivazione rispetto alla quale sono indifferenti in questa sede eventuali incongruenze o criticita' che non si traducano in una apparenza della stessa. 5. Alla declaratoria d'inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, a norma dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI; che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza della Corte d'Appello di Brescia impugnata, in parziale riforma della decisione di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato condizionato all'esame del consulente contabile della fallita e del curatore fallimentare, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dell'ipotesi di bancarotta semplice contestata nei confronti di (OMISSIS), al punto 5 dell'unica imputazione, cosi' riqualificata dal giudice di primo grado, rideterminando la pena inflittagli in anni due e mesi due di reclusione per le residue condotte di bancarotta distrattiva indicate ai punti 6 e 7 (quelle ai punti da 1 a 4 erano state gia' oggetto di assoluzione in primo grado), in continuazione fallimentare con il reato di bancarotta fraudolenta documentale (contestato nell'ultima parte dell'imputazione unica); i giudici d'appello hanno ridotto, quindi, ad anni due la durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., revocando la sospensione condizionale gia' concessagli. L'imputato e' stato condannato in qualita' di titolare dell'omonima ditta individuale, operante nel settore immobiliare, dichiarata fallita dal Tribunale di Brescia il (OMISSIS). 2. Ha proposto ricorso avverso la citata sentenza (OMISSIS), tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro differenti motivi di censura. 2.1. Il primo argomento difensivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata avuto riguardo al punto 6 della contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con cui si e' ritenuto distrattivo il conferimento di 177.000 Euro nella societa' (OMISSIS) s.r.l., ignorando la logica di gruppo ("familiare") in cui e' stato effettuato - poiche' la beneficiaria era l'impresa immobiliare di riferimento della ditta fallita, di cui il ricorrente era socio di maggioranza (con il 70% delle quote) e che procurava commesse e lavoro alla fallita -, sicche' detto conferimento aveva natura di investimento e non era altro che una trasformazione del patrimonio personale da liquidita' a maggior valore della quota all'interno della societa' immobiliare. La logica di gruppo in cui si inscrivevano le diverse societa' facenti capo al ricorrente ed ai suoi figli non sarebbe smentita dall'autonomia giuridica di ciascuno degli enti rispetto all'altro, essendo unica la politica d'impresa. La logica di gruppo familiare si desume anche dalla stessa sentenza impugnata, che richiama la relazione del curatore. La Corte d'Appello, secondo la tesi difensiva, non avrebbe letto correttamente la disposizione dell'articolo 2740 c.c., rilevante perche' prevede la regola della confusione tra il patrimonio della ditta individuale e quello dell'imprenditore individuale, con conseguente garanzia dei debiti della ditta costituita da tutto il patrimonio presente e futuro del ricorrente. Inoltre, la motivazione della sentenza d'appello sarebbe contraddittoria, laddove reputa "prossimo" al fallimento il conferimento all'(OMISSIS) s.r.l., avvenuto circa due anni prima della sentenza con cui e' stato dichiarato lo stato di decozione, e, viceversa, "lontani" da esso alcuni pagamenti effettuati in compensazione, dei quali l'ultimo era datato (OMISSIS) e, dunque, di gran lunga piu' recente del conferimento "incriminato" risalente al (OMISSIS). Si denuncia, infine, la mancata riqualificazione dell'ipotesi di bancarotta fraudolenta in esame nella meno grave fattispecie prevista dalla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 2. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al punto 7 della contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, relativo alla distrazione di 346,17 Euro di saldo di cassa per essere la condotta in esame qualificabile come inoffensiva ai sensi dell'articolo 49 c.p., data âEuroËœesiguita' della somma non rinvenuta nel patrimonio della fallita, nonche' in considerazione dei versamenti effettuati personalmente dal ricorrente nel corso degli anni, nel complesso superiori alle somme tutte originariamente contestate come distratte (e poi decise con l'assoluzione gia' in primo grado). Il principio di offensivita' giocherebbe un ruolo essenziale in un reato di pericolo concreto quale e', secondo il ricorrente, quello di bancarotta fraudolenta distrattiva, con necessita' di verificare se sia stato effettivamente leso l'interesse patrimoniale dei creditori, oggetto di tutela della disposizione incriminatrice. Anche a prescindere dall'offensivita' della condotta, la difesa rileva come, in ogni caso, non sarebbe stata raggiunta la prova del dolo del reato, ancorche' generico e configurato dalla necessaria rappresentazione della pericolosita' della condotta distrattiva, da intendersi come rappresentazione del rischio, della probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa e' idonea a determinare: muovono a concludere in senso negativo, ancora una volta, l'esiguita' della somma-saldo di cassa "distratta" rispetto ai versamenti in eccesso effettuati a titolo personale dal ricorrente in favore della fallita, pari ad oltre 27.000 Euro. 2.3. La terza censura formulata denuncia vizio di motivazione apparente ovvero omessa, con riguardo all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per essere mancata la prova del necessario dolo specifico che dovrebbe sorreggere la condotta di tenuta delle scritture contabili in guisa da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, vale a dire il fine di recare pregiudizio ai creditori. Cio' perche', e' stato accertato nel giudizio di merito che l'imputato aveva incaricato un apposito professionista di tenere le scritture contabili della ditta individuale a lui facente capo. In ogni caso, al piu' potrebbe ipotizzarsi la sussistenza della diversa condotta di bancarotta semplice documentale, poiche' la provata delega a tenuta delle scritture contabili rende molto difficoltosa la prova di tale dolo. 2.4. Infine, un ultimo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, sotto due profili distinti. Quanto al giudizio di bilanciamento in equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante della continuazione fallimentare, confermato dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale avrebbe erroneamente valorizzato, in chiave negativa della richiesta di bilanciamento prevalente, un'ipotesi di bancarotta semplice, nonostante essa fosse stata dichiarata estinta per esito favorevole della messa alla prova di cui all'articolo 464-septies c.p. e nonostante, come noto, detta sentenza non sia idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell'accusa e sulla responsabilita' dell'imputato. Si contesta, sotto altro aspetto, che si sia proceduto a revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena: al momento della pronuncia impugnata, invero, non era ancora passata in giudicato la "sentenza successiva per fatti anteriormente commessi", da cui e' dipesa la revoca del beneficio, sicche' questa non poteva essere disposta. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Maria Emanuela Guerra ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. 3.1. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con note conclusive in vista dell'udienza, ribattendo alle argomentazioni del PG e chiedendo l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, avuto riguardo alla illegittimita' della revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre deve essere complessivamente rigettato nel resto. 2. Nei motivi dal primo al terzo, in verita', il ricorrente ripropone quasi fedelmente - ed ai limiti dell'inammissibilita', per la aspecificita' delle doglianze rispetto alle argomentazioni della sentenza impugnata - le censure di merito relative alla sussistenza dei presupposti per l'affermazione della sua responsabilita' in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale ascrittigli, all'esito dei giudizi di merito che avevano gia' portato a parziali assoluzioni da una quota delle condotte distrattive delle quali l'imputato era accusato. 2.1. Analizzando sinteticamente ciascuno dei motivi, viene in rilievo, anzitutto, quanto al primo, complessivamente infondato argomento eccepito dalla difesa - fondato sulla natura "neutra" e non distrattiva dell'operazione di versamento di 177.000 Euro dalla fallita alla societa' Voltino s.r.l., di cui l'imputato era socio al 70% (punto 6 del capo 1), in ragione della "confusione" tra il patrimonio della ditta individuale omonima fallita e quello suo personale - l'argomento logico-fattuale utilizzato dalla Corte d'Appello per superare l'analoga censura proposta con l'atto di appello. La sentenza impugnata ha evidenziato, quali "indicatori" della natura distrattiva dell'operazione: - che il conferimento di denaro dalla fallita al patrimonio della societa' (OMISSIS) s.r.l. e' avvenuto a meno di due anni dalla dichiarazione di fallimento, in un momento in cui la ditta individuale gia' si trovava in una situazione di dissesto economico irreversibile; - che il conferimento era privo di giustificazione economica e non ha determinato alcun vantaggio diretto per la fallita (ne' era stata pattuita la restituzione del denaro conferito). A fronte di tali indici di fraudolenza (cfr., per la loro rilevanza, Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763), la Corte d'Appello correttamente, nella sostanza, osserva come l'incremento del patrimonio dell'imputato, che corrisponderebbe - secondo la difesa - al conferimento della somma nella societa' (OMISSIS), a lui riferibile per il 70%, non sarebbe mai equivalente al valore sottratto alla fallita, poiche', anche a voler ritenere che vi sia la sostituzione della garanzia del patrimonio di questa con la garanzia del patrimonio personale dell'imprenditore individuale, l'incremento di quest'ultimo e' avvenuto in proporzione, per le quote di sua proprieta': il conferimento ha determinato, infatti, l'incremento di valore in percentuale delle quote non soltanto dell'imputato, ma anche delle ulteriori quote non di sua proprieta'. L'aumento del suo patrimonio personale, quindi, e' solo parziale, pro quota, inferiore al valore della corrispondente somma di danaro distratta dalle casse della fallita senza giustificazione e versata nella societa' a lui riferibile, ancorche' come azionista di maggioranza. La conclusione cui perviene la Corte d'Appello, secondo cui e' la stessa prospettazione difensiva a non consentire di escludere il carattere distrattivo del conferimento, e' quindi corretta sul piano logico. Senza contare, ad ulteriore smentita della tesi difensiva e del primo motivo di ricorso, che il ricorrente, a distanza di un anno dal conferimento nella (OMISSIS) s.r.l. della somma sottratta dalle casse della fallita, ha venduto le proprie quote di tale societa' al prezzo complessivo di Euro 7.000, macroscopicamente inferiore alla somma di 177.000 Euro proveniente dalla fallita, rendendo cosi' evidente la complessiva valenza depauperativa per quest'ultima dell'intera operazione economica compiuta, oltre che l'inutilita' e incoerenza, rispetto alla fattispecie concreta, del richiamo normativo alla regola di cui all'articolo 2740 c.c.. Peraltro, le risorse economiche della ditta individuale, una volta trasferite alla societa', perdono la loro destinazione a garanzia della fallita, concorrendo ad incrementare la garanze delle pretese (anche) di eventuali creditori dell'ente beneficiario, non rilevando, sotto questo profilo, la confusione tra patrimonio personale dell'imprenditore e quello della ditta fallita. Pertanto, puo' affermarsi che in tema di reati fallimentari, integra distrazione rilevante il conferimento di somme di danaro dalla ditta individuale fallita alla societa' di cui l'imprenditore individuale detenga una parte delle quote, poiche' tale conferimento determina l'incremento di valore in percentuale delle quote non soltanto dell'imputato, ma anche delle ulteriori quote non di sua proprieta', sicche', l'aumento del suo patrimonio personale e' solo parziale e comunque inferiore al valore della corrispondente somma di danaro sottratta dalle casse della fallita senza giustificazione, in un momento di dissesto gia' conclamato. 2.2. Sotto l'ulteriore profilo evocato dal primo motivo di ricorso, vale a dire la logica di gruppo in cui dovevano inscriversi le diverse societa' facenti capo al ricorrente ed ai suoi figli, si' da rendere il travaso di risorse giustificato nell'ottica dell'unitarieta' della politica d'impresa "di gruppo", non smentita dall'autonomia giuridica di ciascuno degli enti rispetto all'altro, il Collegio osserva come tale prospettazione confligga con i risultati dell'istruttoria dibattimentale, con i quali il ricorso non si confronta se non apparentemente, poiche' e' emerso che le diverse societa' dell'imputato e dei sAynct avevano alcun legame economico con la ditta individuale fallita, ne' compartecipazioni reciproche, ne' coordinamento o direzione di una societa' rispetto alle altre. L'unico elemento comune e' rappresentato dall'appartenenza al medesimo nucleo familiare dei soggetti che le gestivano, ma cio', evidentemente, non basta a ritenere sussistente un "gruppo societario", neppure come simulacro in nuce, ne' una logica "di gruppo". Peraltro, anche nelle dinamiche di gruppo d'impresa, integra distrazione rilevante il trasferimento di fondi alla capogruppo, ancorche' invocando l'attuazione di un sistema di tesoreria accentrata ("cash pooling"), atteso che nessun âEuro˜âEuroËœsistema", comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una societa' ad un'altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della societa' deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell'ente in sofferenza (Sez. 5, n. 22860 del 21/3/2019, Chiaro, Rv. 276634; vedi anche Sez.. 5, n. 39043 del 29/5/2019, Corradini, Rv. 276960, ancora con riguardo alla valenza sintomatica dell'assenza di contropartite al depauperamento della fallita, sebbene infragruppo). Piu' in generale, poi, si richiama il consolidato orientamento secondo cui, per escludere la natura distrattiva di un'operazione di trasferimento di somme da una societa' ad un'altra, non e' comunque sufficiente allegare la partecipazione della societa' depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo "gruppo", dovendo, invece, l'interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilita' di vantaggi compensativi, ex articolo 2634 c.c., per la societa' apparentemente danneggiata (ex multis, da ultimo, si veda Sez. 5, n. 47216 del 10/6/2019, Zanoni, Rv. 277545; v. anche Sez. 5, n. 37062 del 24/5/2022, Lavina, Rv. 283661). 2.3. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, invoca invece l'inoffensivita' del fatto ex articolo 49 c.p., data l'esiguita' della somma contestata come distratta al punto 7 dell'unico capo d'imputazione, dimenticando che" proprio per la dichiarata natura di reato di pericolo della bancarotta distrattiva, non risulta che apoditticamente affermato, nel ricorso, il mancato dispiegarsi del rischio del depauperamento del patrimonio sociale, sicuramente infranto, dal punto di vista della materialita' della concotta, dalla sottrazione di una somma non certo da potersi considerare irrisoria, pari a 346,17 Euro, tanto piu' alla luce della natura di ditta individuale della fallita e del contenuto di cassa che risulta, quanto a liquidita', dagli accertamenti di fatto del processo. Per tali ragioni, la prognosi postuma di concreta messa in pericolo del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, non e' esclusa dall'entita' della somma sottratta, che pure avrebbe potuto, in astratto, essere idonea a sostenere una parte dei debiti della fallita con i terzi. Al piu' si sarebbe potuta prospettare una dimensione di particolare tenuita' della condotta, che pero' e' preclusa dall'editto sanzionatorio previsto per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche dopo l'entrata in vigore della piu' favorevole disciplina dell'articolo 131-bis c.p. (ad opera del Decreto Legislativo n. 150 del 2022), calibrata su un limite minimo di pena (e non piu', come in precedenza, sul massimo) non superiore ai due anni, limite da cui il delitto di cui alla L. Fall., articolo 216, esorbita. Sulla base di analoghe considerazioni, relative all'assertivita' del presupposto logico-fattuale proposto dalla difesa, deve essere valutata l'infondatezza della deduzione di automatico rapporto tra l'asserita esiguita' della somma contestata come distratta e la mancanza di dolo del reato; dolo che, invece, proprio per la concreta pericolosita' della condotta, ancorche' di non particolare entita', e' configurabile nella sua forma generica data dalla consapevole, mera volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, Passarelli, Rv. 266805), senza necessita' di consapevolezza dello stato d'insolvenza e dello scopo di recare pregiudizio ai creditori, come invece sembra prospettare il ricorrente, sia pur ragionando in termini di rappresentazione del rischio, della probabilita' dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la condotta distrattiva e' idonea a determinare. Quanto alla valenza dei conferimenti a titolo personale in favore della fallita, al di la' della questione relativa al tempo in cui sono stati versati i complessivi 27.000 Euro (e quindi della denunciata contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata), i giudici di secondo grado hanno chiarito come sia provata l'assenza di correlazione tra tali versamenti e la cassa sociale (le somme sono state depositate direttamente sui conti correnti della ditta individuale, quindi erano comunque nella sua diretta disponibilita'),sicche' e' esclusa la possibilita' di ipotizzare qualsiasi compensazione tra le somme versate e quelle distratte, che, in ogni caso, per stessa ammissione del consulente contabile della fallita, corrispondevano ai prelievi contestati ai punti da 1 a 3 dell'imputazione, e non gia' al saldo di cassa mancante, la cui distrazione e' contestata al punto 7. Da tali ragioni deriva l'infondatezza anche del secondo argomento difensivo contenuto nel ricorso. 2.4. Manifestamente infondato e', invece, il terzo motivo di censura, attinente al dolo della bancarotta fraudolenta documentale contestata, ricostruita dalla Corte d'Appello, seguendo correttamente il paradigma normativo dettato dalla seconda parte della L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, che prevede una forma di dolo generico e non specifico per la bancarotta fraudolenta documentale da fraudolenta tenuta delle scritture contabili, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente. In tema di bancarotta fraudolenta documentale, infatti, si distinguono due fattispecie autonome: l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza e' necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilita' degli organi fallimentari,, anche sotto forma della loro omessa tenuta, e la fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838). Nel caso di specie, nei confronti del ricorrente e' stata accertata l'attribuibilita' di una serie di omissioni falsificatorie dei dati contabili; ed in particolare del libro degli inventari della fallita, in cui non era nemmeno indicata la partecipazione dell'imputato nella societa' (OMISSIS) s.r.l., cosi' determinando una tenuta artificiosa della scrittura, che, addirittura, la Corte d'Appello ritiene anche rivelatrice della volonta' specifica di pregiudicare i creditori (e quindi di un dolo specifico), rendendo piu' difficile la ricostruzione del dimensionamento del patrimonio da aggredire, in cui non veniva inserita proprio l'esistenza delle quote sociali della s.r.1, nel cui patrimonio erano confluite le risorse economiche della fallita oggetto della contestazione di cui al punto 6 dell'imputazione. Le ulteriori omissioni contabili riscontrate nel libro inventari, poi, indicate a pag. 9 della sentenza impugnata, hanno indotto ad una valutazione complessiva della condotta di reato di tale portata e pregnanza da escludere in radice la possibilita' di ritenere l'ipotesi non fraudolenta di cui alla L. Fall., articolo 217. Ne' vale il richiamo difensivo all'aver affidato il ricorrente la contabilita' ad un consulente esterno, circostanza che, oltre a non assumere valenza scriminante di per se', poiche' rimane fermo l'obbligo dell'amministratore di sovrintendere alla co-retta loro redazione, nel caso di specie risulta superato dalla circostanza di fatto - citata dalla Corte territoriale - secondo cui la contabilita' era stata redatta dai consulente giammai autonomamente ma sempre sulla base di una rielaborazione dei documenti fornitigli dall'imputato (si fa particolare riferimento ad una prima, importante nota, per la determinazione dei contenuti delle scritture aziendali, consegnata al consulente da un dipendente che l'aveva redatta sulla base delle indicazioni provenienti dal ricorrente). 3. L'ultimo motivo e' parzialmente fondato. 3.1. Sono manifestamente infondate ed aspecifiche le ragioni di ricorso relative al bilanciamento delle circostanze di segno opposto. Il ricorrente non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata se non parzialmente, dimenticando che, oltre al precedente penale per il reato di bancarotta semplice estinto per esito positivo della messa alla prova, la Corte territoriale, per confermare l'equivalenza tra aggravanti e attenuanti, ha valorizzato anche l'esistenza di una pregressa condanna per fatti attinenti all'esercizio dell'impresa: ed infatti risulta dal certificato del casellario giudiziale che l'imputato sia stato condannato anche per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali con sentenza del 13.10.2017, irrevocabile il 2.1.2018, precedente che la decisione d'appello ha ritenuto concorresse a determinare una valutazione di personalita' spregiudicata, tipica di chi agisce in violazione delle regole poste a presidio dell'attivita' economica. Inoltre, la sentenza impugnata ha anche ragionato di come il comportamento processuale del ricorrente e la considerazione di un solo precedente penale - con esclusione, dunque, della condanna che ha visto poi esito di positiva messa alla prova - non potessero portare ad un bilanciamento complessivamente piu' favorevole, pur avendo certamente concorso a determinare i giudici alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. Deve, pertanto, ribadirsi che e' inammissibile, per difetto di specificil:a', il motivo di appello con il quale si richieda la rivalutazione del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti, allorche' questo non si confronti con tutte le argomentazioni esposte dal giudice di primo grado a sostegno della propria conclusione (Sez. 2, n. 5253 del 15/1/2019, dep. 2020, C., Rv. 275522). 3.2. Il differente profilo dedotto con il punto 4.3. del ricorso e', invece, fondato. Il ricorrente ha riportato una condanna a tre mesi di reclusione e 300 Euro di multa, in relazione a reato di omesse ritenute previdenziali ed assistenziali, con sentenza divenuta irrevocabile il 2.1.2018 per fatti commessi dal 16.5.2010 al dicembre 2011 (secondo il certificato penale) e previsione di pena sospesa, revocata dalla Corte d'Appello con la decisione impugnata, sulla base dell'articolo 168 c.p., comma 1, n. 2, (risulta anche un'altra iscrizione nel casellario giudiziale per il reato di bancarotta semplice, estinta per esito positivo della messa alla prova). La norma citata prevede che, salva la disposizione dell'articolo 164 c.p., u.c. "la sospensione condizionale della pena e' revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato....2) riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedente sospesa, supera i limiti stabiliti dall'articolo 163 c.p. " La statuizione, cosi' come laconicamente motivata, attraverso il mero richiamo alla disposizione sopra detta, e' stata erroneamente disposta. Invero, la revoca di diritto della sospensione condizionale della pena implica che la condanna, per il delitto anteriormente commesso, sia divenuta irrevocabile dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha concesso il beneficio e prima della scadenza dei termini di durata dello stesso (Sez. 1, n. 47050 del 29/11/2017, dep. 2018, Szal, Rv. 274333). Il presupposto dell'anteriorita' del reato successivamente giudicato, in tema di revoca della sospensione condizionale della pena, va determinato con riferimento alla data in cui diviene irrevocabile la sentenza che concede il beneficio e non a quella di commissione del reato al quale essa si riferisce (ex multis, Sez. 1, n. 607 del 10/12/2015, dep. 2016, Loiero, Rv. 265724; Sez. 1, n. 35563 del 10/11/2020, Salamina, Rv. 280056). Per l'applicabilita' della norma dell'articolo 168, comma 1, n. 2, e', dunque, essenziale accertare le date di irrevocabilita' di entrambe le sentenze di condanna, giacche' la causa di revoca prevista dalla norma in esame e' rappresentata da una condanna ulteriore, ma per un reato commesso anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che concesse il beneficio, che intervenga nei termini stabiliti dall'articolo 163 c.p. per il compimento della prova sottesa alla sospensione condizionale, e cioe' da una condanna che deve divenire irrevocabile entro il termine del periodo di esperimento a partire dalla data di passaggio in giudicato della prima sentenza (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 608 del 8/3/1976, Rv. 133401 e la citata Sez. 1, n. 47050 del 2018). E' stato affermato, altresi', che il presupposto di legittimita' della revoca "automatica" della sospensione condizionale per "altra condanna" in relazione a un delitto anteriormente commesso e' che la pronuncia pregiudicante sia divenuta definitiva, dal momento che si tratta di rimuovere una situazione giuridica gia' stabilita con pronuncia irrevocabile (Sez. 2, n. 42367 del 21/10/2005, Rv. 232669). Nel caso del ricorrente, la revoca del beneficio, poiche' e' stata disposta prima che la sentenza di condanna per il delitto anteriormente commesso fosse divenuta definitiva (e si sottolinea che in passato si e' sostenuto, risolutivamente, che la revoca del beneficio della sospensione condizionale, concessa con un provvedimento divenuto irrevocabile, non puo' essere disposta mediante una sentenza che non possiede ancora tale carattere di irrevocabilita': Sez. 1, n. 45716 del 11/11/2008, Peruzzini, Rv. 242036), deve essere eliminata, poiche' i giudici di merito avrebbero potuto valutare solo la non meritevolezza della concessione ulteriore del beneficio, ma non procedere alla rimozione del beneficio gia' concesso perche' essa e' collegata ad una attivita' meramente ricognitiva della verifica dell'esistenza di un presupposto che "ope legis" comporta la revoca. Tale presupposto, nella specie, e' insussistente poiche' la irrevocabilita' della pronuncia pregiudicante interviene solo all'esito della decisione odierna del Collegio, e cioe' quando il termine di cinque anni di cui al combinato disposto dell'articolo 1613, comma 1, n. 2 e articolo 163 c.p. (relativamente alla condanna per delitto) e' gia' decorso (il 2.1.2023). 3.1. La Corte puo' procedere direttamente alla eliminazione della statuizione errata, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I, mentre I ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena, revoca che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 10/10/2022 del Tribunale del Riesame di Catania; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Grazia Rosa Anna Miccoli; lette le conclusioni del Procuratore Generale Dr. Perla Lori, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le note conclusive del difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), il quale ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza dell'8 gennaio 2015 il Tribunale di Catania, sezione riesame, ha applicato a (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, perche' ritenuto gravemente indiziato del reato di furto in abitazione, per essersi introdotto, insieme ad un complice non identificato, in un immobile in ristrutturazione ed essersi impossessato degli strumenti ed accessori presenti, appartenenti al titolare della ditta responsabile dei lavori edili in corso. La decisione e' conseguita all'appello del Pubblico Ministero avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ragusa che, inquadrando i fatti nella fattispecie prevista dall'articolo 624 c.p., aveva rigettato la richiesta di misura cautelare in ragione della piu' mite cornice edittale. 2. Avverso la suindicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, affidandolo ad un unico motivo, con il quale viene denunziata violazione della legge penale in riferimento alla qualificazione giuridica del reato. Il ricorrente si duole della riqualificazione del fatto contestato in furto in abitazione operata dal Tribunale, che ha ritenuto rientrante nella nozione di "privata dimora" anche un immobile in ristrutturazione. Nel caso in esame non e' stato fatto alcun riferimento fattuale all'esistenza di spazi all'interno del "cantiere" destinati all'espletamento della vita privata, anche connessa con l'attivita' lavorativa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. In primo luogo va rilevato che v'e' carenza di interesse. Il Tribunale, accogliendo l'appello del Pubblico Ministero finalizzato all'applicazione della misura cautelare in carcere, ha ritenuto sussistenti gravi indizi a carico del (OMISSIS) in relazione al furto di attrezzi per lavori edilizi (per un valore complessivo di Euro 1.500,00) commesso, con un complice, in un immobile destinato ad uso abitativo. Sebbene tale immobile fosse al momento del furto disabitato, perche' erano in corso dei lavori di ristrutturazione, il Tribunale, diversamente dal giudice per le indagini preliminari, ha ritenuto configurabile la fattispecie di cui all'articolo 624 bis c.p., qualificazione contestata dal ricorrente. Sennonche', va rilevato che tale riqualificazione non ha inciso sull'adottabilita' della misura cautelare, ai sensi dell'articolo 280 c.p.p., sicche' le doglianze del ricorrente risultano prive di interesse (si veda, in materia, Sez. 5, n. 7468 del 28/11/2013 -dep. 17/02/2014- Rv. 258984). Peraltro, il Tribunale ha applicato la custodia in carcere facendo riferimento anche al danno di non lieve entita' per la persona offesa e ha motivato in maniera articolata sulla sussistenza delle esigenze cautelari (pag. 4 della ordinanza impugnata), con una prognosi che prescinde dalla qualificazione giuridica del reato, dovendo inoltre rilevarsi che negli atti v'e' la querela, sicche', anche nell'ipotesi di configurabilita' della fattispecie meno grave di furto di cui all'articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., n. 2, deve ritenersi sussistente la condizione di procedibilita'. 3. Il motivo di ricorso e' inoltre manifestamente infondato. Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 31345 del 23/3/2017, D'Amico, Rv. 270076, hanno stabilito che, ai fini della configurabilita' del reato previsto dall'articolo 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico ne' accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attivita' lavorativa o professionale. Le Sezioni Unite, dunque, hanno delimitato il campo applicativo della previsione dell'articolo 624 bis c.p. includendovi i luoghi che siano stati adibiti "in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell'abitazione)", nonche' i luoghi che, ancorche' non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell'abitazione. Sono stati, cosi', evidenziati tre elementi necessari ai fini della sussistenza dell'ipotesi di reato prevista dall'articolo 624 bis c.p.: a) l'utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attivita' professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilita' e non da mera occasionalita'; c) la non accessibilita' del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. Nelle pronunzie successive di questa Corte si e' affrontato il problema della configurabilita' del reato in relazione ad edifici che versino in condizioni di cattivo stato di manutenzione, per l'impossibilita' o la mancanza di volonta' dei proprietari di occuparsene. Sul tema, si e' espressa Sez. 4, n. 1782 del 18/12/2018, dep. 2019, Meloni, Rv. 275073, che ha ritenuto integri la nozione di privata dimora, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite, anche l'immobile che, seppure non abitato ed in cattivo stato di manutenzione, tuttavia non sia abbandonato, facendo leva soprattutto sul carattere di stabilita' del rapporto che leghi il luogo fisico con la vita privata del titolare del diritto e sul fatto che la dimora abbia una concreta connotazione che la riconduca alla personalita' del titolare. Nel caso in esame, sintomo di tale connotazione e' certamente la circostanza che il proprietario stesse procedendo alla manutenzione dell'abitazione mediante la ristrutturazione effettuata dall'impresa che nell'immobile deteneva gli arnesi oggetto del furto. E', quindi, indubbio l'interesse al legame stabile del proprietario con l'abitazione e la rivendicazione del corrispondente elemento di fattispecie costituito dallo ius excludendi alios. Insomma, il fatto che un'abitazione sia consegnata ad una ditta edile, per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione, non ne muta la natura di luogo destinato a privata dimora, non aperto al pubblico e non accessibile a terzi senza il consenso del titolare (si vedano nello stesso senso, Sez. 4, n. 27678 del 23/06/2022, Rv. 283421; Sez. 5, 11 giugno 2020, n. 17954; Sez. 2, sentenza n. 39098 del 2017, che ha affermato che l'aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, in relazione all'articolo 624 bis, sussiste anche nel caso in cui l'agente si introduca in una abitazione - quand'anche non utilizzata dai titolari - in cui siano in corso lavori di ristrutturazione). 4. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Vanno effettuati gli adempimenti di cui all'articolo 28 reg. esec. c.p.p.. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 28 reg. esec. c.p.p.. Motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MAGRO Maria B. - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25-10-2022 del Tribunale di Perugia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Orsi Luigi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia dei ricorrenti, che, anche quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento dei ricorsi, riportandosi ai motivi nuovi e alla memoria depositata. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 23 settembre 2022, il G.I.P. del Tribunale di Perugia disponeva l'applicazione, nei confronti di (OMISSIS), della custodia cautelare in carcere e, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), della misura dell'obbligo di presentazione alla P.G., relativamente ai reati di trasferimento fraudolento di valori (capi A, F, M, N e O), autoriciclaggio (capo B), falso (capo C, contestato al solo (OMISSIS)), emissione di fatture per operazioni inesistenti (capi Re G), dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (capo I, contestato a (OMISSIS) e (OMISSIS)), e violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno (capo P, contestato al solo (OMISSIS)). Con ordinanza del 25 ottobre 2022, il Tribunale del Riesame di Perugia, in parziale accoglimento delle richieste di riesame proposte nell'interesse degli indagati, annullava l'ordinanza del G.I.P. limitatamente al capo B della imputazione provvisoria e, in ordine ai restanti capi, confermava le misure coercitive applicate a (OMISSIS) e a (OMISSIS), mentre, quanto a (OMISSIS), la misura di massimo rigore veniva sostituita con gli arresti domiciliari, da eseguirsi in (OMISSIS). 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale umbro, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tramite il loro comune difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa contesta il rigetto dell'eccezione di nullita' dell'ordinanza custodiate per il difetto del requisito dell'autonoma valutazione, non avendo il Tribunale del Riesame considerato come dal confronto per tabulas tra la richiesta del P.M. e il provvedimento genetico emerga chiaramente che i relativi contenuti risultano del tutto sovrapponibili, non avendo il G.I.P. compiuto considerazioni adeguatamente critiche rispetto alle affermazioni della Procura. Con il secondo motivo, e' stato censurato il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo A, avente ad oggetto il delitto di cui all'articolo 512 bis c.p., osservandosi che il Tribunale ha del tutto omesso l'analisi degli elementi rappresentati dalla difesa all'udienza del 25 ottobre 2022, non essendosi in particolare tenuto conto del fatto che risulta priva di rilevanza indiziarla la presunta finalita' elusiva delle misure di prevenzione patrimoniale, posto che (OMISSIS), nel procedimento "(OMISSIS)", e' risultato destinatario di una semplice misura cautelare reale, non essendosi altresi' considerato che il sequestro preventivo era stato esteso anche ai familiari e ai prossimi congiunti di (OMISSIS), compresi (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui la presunta finalita' elusiva sarebbe stata illogicamente perseguita mediante il coinvolgimento di persone gia' destinatarie del medesimo titolo cautelare reale. Parimenti indimostrati sarebbero inoltre la configurabilita' dell'intestazione fittizia al momento della costituzione della (OMISSIS), e il fatto che le risorse finanziarie impiegate provenissero da (OMISSIS), il quale e' rimasto estraneo alla costituzione della predetta societa', svolgendo poi un ruolo tecnico, derivante dalla sua pregressa esperienza, quale dipendente della societa', senza che vi sia mai stata alcuna ingerenza nella gestione della compagine societaria. Con il terzo motivo, oggetto di doglianza e' il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari, sotto il profilo dell'errata applicazione degli articolo 274 c.p.p., lettera C) e articolo 275 c.p.p. e del vizio di motivazione, osservandosi che il percorso argomentativo sul punto si e' rivelato del tutto carente, non potendosi ritenere pertinente, ai fini della valutazione sulla concretezza e attualita' del pericolo di recidiva, il richiamo al procedimento "(OMISSIS)", risalente peraltro al (OMISSIS). 2.1. In data 4 gennaio 2023, i difensori dei ricorrenti hanno fatto pervenire tre motivi nuovi: con il primo, si censura l'omessa valutazione della memoria difensiva e delle allegazioni ivi richiamate, rispetto al giudizio sulla gravita' indiziaria riferita al reato di cui all'articolo 512 bis c.p.: si evidenzia, in particolare, che le ragioni sottostanti all'intestazione delle quote si radicano nel fallimento dichiarato delle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), a seguito del sequestro disposto dal G.I.P, essendo dovuti gli avvicendamenti dell'amministrazione a problemi di natura familiare scaturiti a seguito del diniego di iscrizione nella white list emesso dalla Prefettura di Perugia. Le conversazioni poste a fondamento dell'ordinanza impugnata non solo sono state palesemente travisate, ma si pongono come preziosi elementi a discarico, desumendosi dalle stesse una gestione familiare delle imprese del tutto priva di finalita' elusive. Con il secondo motivo nuovo, si contesta la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza rispetto ai capi D, G e I, osservandosi che, al di la' dell'ispezione dell'Inps, per la quale la GGC si e' costituita per contestare la sanzione amministrativa elevata in relazione alla somministrazione di manodopera, non e' mai stata avviata un'ispezione della Guardia di Finanza, seguita da un processo verbale di constatazione, volta a contestare, dal punto di vista oggettivo, la veridicita' delle fatture incriminate; peraltro, dalla disamina degli estratti conto della (OMISSIS) emerge la regolarita' di ogni singola operazione in entrata e in uscita. Si sottolinea inoltre la carenza di prova rispetto al dolo, risultando al contrario dimostrata l'inesistenza di vantaggi personali di cui avrebbe beneficiato l'emittente, dovendosi considerare che la (OMISSIS) non e' una cartiera. La difesa evidenzia inoltre che nel caso di specie si pone un problema di ne bis in idem sostanziale, richiamando, tra le altre, la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo "Grande Stevens", secondo cui l'articolo 4 del Protocollo 7 della Convenzione deve essere inteso come espressivo del divieto di perseguire una persona per un secondo reato, quando questo scaturisce dai medesimi fatti. Il terzo motivo nuovo e' dedicato al giudizio di gravita' indiziaria concernente il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, (capo P), rilevandosi al riguardo che non e' configurabile il reato di violazione degli obblighi relativi alla sorveglianza speciale, la cui esecuzione doveva essere sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell'attualita' e della persistenza della pericolosita' del destinatario della misura da parte del giudice, a cio' aggiungendosi che l'abitualita' che caratterizza la fattispecie non coincide con una frequentazione occasionale o episodica, ma richiede una ripetitivita' che dia conto di un modus comportamentale, occorrendo pertanto plurimi e stabili contatti e frequentazioni, non riconducibili a due, con soggetti pregiudicati. 2.2. In data 13 gennaio 2023, e' pervenuta memoria difensiva nell'interesse dei ricorrenti, con cui, a integrazione del secondo motivo nuovo, e' stata ribadita l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza rispetto ai capi D, G e I, censurandosi la qualificazione come fittizio del contratto di appalto concluso tra la committente (OMISSIS) e la (OMISSIS) riconducibile ai (OMISSIS) e a (OMISSIS), con conseguente asserita inesistenza delle operazioni sottese. Si precisa al riguardo che, viceversa, nella vicenda in esame, l'appalto doveva essere ritenuto valido, non ravvisandosi i presupposti ne' della somministrazione di manodopera, ne' del distacco del personale, venendo in rilievo un appalto endo-aziendale, con attivita' svolte all'interno dei locali della committente, risultando le prestazioni legate al contratto di appalto chiaramente identificate. Proprio la natura di appalto endo-aziendale varrebbe poi a giustificare l'utilizzo dei mezzi e delle attrezzature della committente, considerando anche la Circolare n. 5/2011 del Ministero del Lavoro legittimo l'appalto in cui risulta marginale l'apporto di attrezzature e capitale rispetto a quello della prestazione lavorativa. La (OMISSIS) s.r.l. era da considerare dunque impresa in senso tecnico, essendo dotata di mezzi e dipendenti propri, assumendo su di se' il rischio di impresa, fatturando prestazioni di servizio che in alcun modo possono essere considerate meri rimborsi di somme anticipate a titolo di stipendi e contributi, per cui non vi erano nel caso di specie i requisiti per ipotizzare la falsita' delle fatture emesse. L'appaltatore che ha emesso le fatture di prestazioni ha infatti regolarmente presentato le dichiarazioni Iva annuali relative al periodo contestato (anni (OMISSIS)), indicando in esse correttamente l'Iva da versare, avendo quindi la committente lecitamente detratto l'Iva sulle fatture ricevute. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili perche' manifestamente infondati. 1. Iniziando dal primo motivo, deve ritenersi che, come sostenuto nell'ordinanza impugnata, il G.I.P. abbia compiuto, nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, una sua valutazione critica rispetto alla richiesta del P.M. Al riguardo occorre innanzitutto premettere che, secondo la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017, Rv. 269648 e Sez. 2, n. 5497 del 29/01/2016, Rv. 266336), in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la previsione di "autonoma valutazione" delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all'articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera c), dalla L. n. 47 del 2015, impone al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non implica, invece, la necessita' di una riscrittura "originale" degli elementi o circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura. E' stato in tal senso precisato (Sez. 2, n. 13838 del 16/12/2016, dep. 2017, Rv. 269970) che l'obbligo di "autonoma valutazione" e' osservato anche quando il giudice riporti, pure in maniera pedissequa, atti del fascicolo per come riferiti o riassunti nella richiesta del P.M. (come ad esempio il contenuto delle dichiarazioni rese, gli esiti dei tabulati telefonici, delle intercettazioni e delle operazioni di appostamento e controllo), riguardando tali elementi esclusivamente i profili espositivi del fatto, purche' il giudice tragga dagli atti di indagine e dai mezzi di ricerca della prova le proprie valutazioni che esplicitino il concreto esame della fattispecie oggetto della richiesta di misura cautelare; cio' che conta, in definitiva, e' che il giudice dia conto, nella motivazione della sua decisione cautelare, del proprio esame critico dei elementi investigativi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l'applicazione della misura. 1.1. Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che l'eccezione difensiva sia stata legittimamente disattesa dai giudici dell'impugnazione cautelare. E invero nel caso di specie, come sottolineato in modo pertinente dal Tribunale del Riesame (pag. 7 dell'ordinanza impugnata), "il G.I.P., pur avendo trascritto, ai fini della ricostruzione dei fatti e delle articolate emergenze investigative, alcune parti del contenuto di informative di P.G. gia' riportate nella richiesta cautelare (seguendo peraltro un diverso ordine ricostruttivo rispetto alla richiesta stessa), ha dato conto di una propria valutazione critica dei presupposti delle esigenze cautelari e della gravita' indiziaria, confrontandosi con gli elementi di accusa e svolgendo considerazioni autonome in piu' parti del provvedimento, pervenendo infine a una graduazione delle misure cautelari, rispetto alle richieste (parzialmente disattese), dando conto di conoscenza degli atti e di un effettivo vaglio delle singole posizioni. Nell'affrontare il profilo delle esigenze cautelari, poi, il giudice non ha in alcun modo ricalcato le considerazioni, ben piu' sintetiche, del Pubblico Ministero, e ha ritenuto sussistente, in termini di concretezza e attualita', il solo pericolo di reiterazione criminosa, ex articolo 274 c.p.p., lettera c), a fronte della prospettazione, da parte dell'accusa, di ulteriori pericula libertatis (articolo 274 c.p.p., lettera a e b), dando conto di una valutazione individualizzata, condotta anche alla luce delle specifiche caratteristiche degli addebiti elevati nei confronti di ciascun indagato, ripercorsi sinteticamente, a dimostrazione di un effettivo vaglio critico degli elementi di accusa". Con tali argomentazioni, tutt'altro che illogiche, il ricorso non si confronta, per cui la doglianza articolata nel primo motivo non puo' essere ritenuta ammissibile. 2. Passando al secondo motivo, avente ad oggetto il giudizio sulla gravita' indiziarla rispetto al delitto ex articolo 512 bis c.p. (capo A della provvisoria imputazione), occorre evidenziare che la relativa valutazione operata dal Tribunale non presenta vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. Deve a tal proposito richiamarsi innanzitutto il costante orientamento di questa Corte (ex multis cfr. Sez. 5, n. 36079 del 05/06/(OMISSIS), Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non e' omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell'adozione della misura e' infatti sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare "un giudizio di qualificata probabilita' sulla responsabilita' dell'indagato" in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, ed e' per questa ragione che l'articolo 273 c.p.p., comma 1 bis richiama l'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2 medesimo articolo, il quale oltre alla gravita', richiede la precisione e concordanza degli indizi. Quanto ai limiti del sindacato di legittimita', deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460) che, in tema di misure cautelari personali, allorche' sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita' e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicita' deve rimanere quindi "all'interno" del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l'ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne' alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, in cio' rientrando anche l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui e' stata chiesta l'applicazione della misura, nonche' al tribunale del riesame. Il controllo di legittimita' e' percio' circoscritto al solo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, ovvero: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza di illogicita' evidenti, risultanti cioe' prima facie dal testo dell'atto impugnato. 2.1. Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, occorre dunque ribadire che il giudizio sulla gravita' indiziaria formulato sia dal G.I.P. che dal Tribunale del Riesame non presenta alcuna incoerenza argomentativa. E invero i giudici cautelari hanno innanzitutto operato un'adeguata ricostruzione della vicenda storica, richiamando le conversazioni intercettate e gli accertamenti investigativi svolti dal G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Perugia, da cui e' emerso che (OMISSIS), gia' destinatario della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza e gia' coinvolto in altro procedimento (3906/2012 RGNR DDA) avente ad oggetto il reato ex articolo 416 bis c.p., riguardante una presunta diramazione nel territorio umbro della cosca di âEuroËœndrangheta (OMISSIS) di Ciro' Marina, gestiva di fatto la societa' (OMISSIS) s.r.l. con sede in (OMISSIS), di cui risultava formalmente dipendente. Il capitale sociale di tale societa' era attribuito al figlio (OMISSIS) e al genero (OMISSIS), mentre l'altro figlio (OMISSIS) assumeva nel 2020, da aprile a ottobre, la veste di amministratore della societa'; in realta', e' emerso che era (OMISSIS) a dirigere l'impiego dei lavoratori nei cantieri, a organizzare i turni, a contattare i fornitori d'opera per il completamento di alcuni lavori, a interessarsi in prima persona delle pratiche amministrative e a tenere i rapporti con la societa' (OMISSIS), cui la (OMISSIS) forniva lavoratori, ricevendo corrispettivi a fronte dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti, quantomeno dal punto di vista giuridico, in quanto afferenti a somministrazione fraudolenta di manodopera, circostanza quest'ultima peraltro penalmente rilevante ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 avendo questa Corte affermato il principio (cfr. Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Rv. 282985) secondo cui integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini Iva l'utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti da fatture emesse da una societa' che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realta' effettuato attivita' di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversita' tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura. Il Tribunale del Riesame, nel delineare il ruolo dei tre indagati, ha richiamato le conversazioni intercettate comprovanti non solo i contatti tra (OMISSIS) e il commercialista (OMISSIS), finalizzati a gestire gli avvicendamenti nei ruoli operativi della societa' funzionali a mascherare all'esterno la reale gestione della persona giuridica (cfr. progr. 4476 RIT 601/2019, progr. 521, RIT 601/2019 e progr. 3663 RIT 601/2019), ma anche gli ulteriori dialoghi (cfr. progr. 6704 RIT 187/2020, progr. 28419 RIT 556/2019 e progr. 28408 RIT 556/2019) da cui si evince il diretto, risoluto e costante interessamento di (OMISSIS) alle principali dinamiche operative della gestione societaria. In tal senso, l'atteggiamento dei coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato di completa sudditanza e di assenza di autonomia rispetto alle direttive di (OMISSIS), padre del primo e suocero del secondo. Dai dialoghi intercettati, riportati e commentati criticamente dal Tribunale, senza che al riguardano si palesino profili di travisamento del significato probatorio degli atti, e' stato desunto altresi' il chiaro intento di (OMISSIS) di porre i beni e le utilita' a lui riconducibili al riparo da iniziative ablatorie, cio' nella piena consapevolezza dell'indagato della pendenza del procedimento penale a suo carico e della conseguente necessita' di non potersi esporre personalmente. Grazie alla complicita' dei suoi stretti familiari, l'agire del ricorrente e' stato dunque ispirato, gia' poco tempo dopo la costituzione della societa', dalla finalita' di celare all'esterno la signoria di fatto sulla (OMISSIS), cio' nel contesto di una complessiva condivisione di intenti, atteso che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano rimasti coinvolti come destinatari indiretti del sequestro preventivo funzionale alla confisca allargata, che era stato disposto nell'ambito del richiamato procedimento avviato dalla DDA di Perugia (n. 3906/2012 RGNR). 2.2. In definitiva, almeno per quanto riguarda la valutazione indiziaria tipica della fase cautelare e fatti salvi ovviamente gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento penale, deve ribadirsi che il giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza rispetto ai fatti oggetto della provvisoria imputazione di cui al capo A non presta il fianco alle censure difensive, che invero sollecitano sostanzialmente una lettura alternativa (e parziale) delle fonti dimostrative disponibili, che non puo' trovare ingresso in sede di legittimita', posto che, come detto, il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, e' ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884). Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze in punto di gravita' indiziaria. 3. Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al terzo motivo, avente ad oggetto il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari. In proposito il Tribunale del Riesame ha ragionevolmente ritenuto configurabile, rispetto a ciascun indagato, il pericolo di reiterazione dei reati, valorizzando, quanto a (OMISSIS) e a (OMISSIS), destinatari dell'obbligo di presentazione alla P.G., "la continuita' con la quale, nel tempo, gli stessi hanno consapevolmente aderito alle iniziative illecite del rispettivo padre e suocero, rendendosi disponibili a sempre nuovi assetti e ruoli" (pag. 31 dell'ordinanza impugnata), mentre, in ordine alla posizione di (OMISSIS), nei cui confronti la custodia cautelare in carcere e' stata sostituita con gli arresti domiciliari in ragione delle condizioni di salute dell'indagato, e' stata rimarcata la specifica propensione delinquenziale del medesimo nel mascherare le proprie disponibilita' economiche, tramite trasferimenti fittizi reiterati, e nel piegare l'attivita' dell'impresa di cui era reale dominus a operazioni illecite, a tal fine entrando in rapporti di affari con soggetti pregiudicati, cio' pur essendo peraltro il ricorrente destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, misura le cui prescrizioni sono state quindi violate. A cio' e' stato aggiunto il richiamo, non certo improprio nell'ottica della valutazione cautelare, che (OMISSIS) risulta coinvolto in altro procedimento penale pendente in fase dibattimentale, nell'ambito del quale e' stato a suo tempo sottoposto alla custodia in carcere, misura rivelatasi evidentemente priva di effetti dissuasivi, stante la successiva commissione dei fatti per cui si procede. Orbene, anche in tal caso, a fronte di un apparato argomentativo non manifestamente illogico, non vi e' spazio per l'accoglimento delle obiezioni difensive, formulate invero in termini assertivi e non adeguatamente specifici. 4. L'inammissibilita' dei tre motivi del ricorso principale preclude l'esame dei motivi nuovi, dovendosi al riguardo ribadire l'affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Rv. 277850 e Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 275158), secondo cui l'inammissibilita' dei motivi originari del ricorso per cassazione non puo' essere sanata dalla proposizione dei successivi motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione, essendosi altresi' precisato (cfr. Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Rv. 266295) che il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non e' derogato nell'ambito del ricorso per cassazione contro provvedimenti "de libertate", e l'unica diversita' rispetto alla ordinaria disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non e' quello di quindici giorni prima dell'udienza, ma e' spostato all'inizio della discussione. A cio' resta solo da aggiungere che, in ogni caso, i motivi nuovi o prospettano, rispetto al capo A, questioni di merito gia' affrontate in maniera non illogica nella ordinanza impugnata, o contengono censure riferite a fattispecie (i capi D, F, G, I, M, N, O e P) estranee alle censure del ricorso principale, il che vale a corroborare il giudizio di inammissibilita' dei motivi nuovi, avendo questa Corte piu' volte precisato (cfr. Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Rv. 272821 e Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Rv. 268980) che i motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilita', i capi o i punti della decisione impugnata investiti dall'atto di impugnazione originario. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere dichiarati quindi inammissibili, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma di Euro 3.000, determinata equitativamente, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 01/02/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; lette le conclusioni scritte ex articolo 611 c.p.p., del PG in persona del Sostituto PG Passafiume Sabrina che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato e dell'Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero dell'Economia e delle Finanze che ha chiesta dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Trieste, con ordinanza dell'1/ 2/ 2022, rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex articolo 314 c.p.p. dall'odierno ricorrente, (OMISSIS), subita dal 16/6/2017 al 4/7/2017 in regime di custodia cautelare in carcere, in quanto indagato per il reato di corruzione propria in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS) (articolo 81 c.p. comma 2, articoli 110, 319 e 321 c.p.), consistito da parte del (OMISSIS), nel corso di una verifica fiscale nei confronti della societa' (OMISSIS) S.p.a., di cui lo (OMISSIS) era legale rappresentante, nel mettersi a disposizione del verificato e nel far concludere la verifica con rilievi minimali e con una conduzione mite, a fronte della assunzione in (OMISSIS) spa del figlio del (OMISSIS) e in alcune cene in ristoranti di lusso. Il reato sarebbe stato poi riqualificato in sede di avviso di conclusioni delle indagini con riferimento agli articoli 110 e 319 quater c.p. (capo a) e articolo 110 c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3 (capo b). In data 4/7/2017 il Tribunale del riesame annullava l'ordinanza applicativa della misura cautelare disponendo la remissione in liberta' del (OMISSIS). Con sentenza del 20/12/2018 il Tribunale di Venezia si dichiarava incompetente in favore del Tribunale di Udine. Trasmessi gli atti alla Procura della Repubblica di Udine, a seguito di ulteriori indagini, il PM chiedeva l'archiviazione del procedimento relativo al (OMISSIS), in ragione della insufficienza degli elementi indiziari acquisiti per sostenere l'accusa in giudizio. Il Gip di Udine, con decreto del 12/9/2020, accoglieva la richiesta e disponeva l'archiviazione del procedimento. 2. Sulla base di tale pronuncia, il (OMISSIS) avanzava richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione subita, evidenziando come l'ingiusta detenzione gli aveva cagionato non solo una restrizione della liberta' per 18 giorni, ma pregiudizi alla carriera (essendo egli un ufficiale della Guardia di Finanza, all'epoca dei fatti con posizione di comando operativo), alla serenita' del suo nucleo familiare ed al patrimonio familiare, essendo stato costretto di trasferirsi in Sardegna, a Cagliari, in localita' molto distante da quella di provenienza, senza alcun recupero delle spese sostenute per il trasferimento e con perdita dei maggiori guadagni che era in procinto di godere nel corso dell'originario percorso professionale. Il giudice della riparazione, come in precedenza ricordato, rigettava la richiesta. 3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge per l'erronea estensione del requisito di non aver dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave, previsto per l'ipotesi di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 1, all'ipotesi di cui al comma 2, essendo stato negato l'indennizzo per una presunta colpa, nonostante l'accertata insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilita' della misura. Il ricorrente, dopo aver riportato un ampio tratto della motivazione dell'impugnato provvedimento, ripercorre la vicenda giudiziaria evidenziandone i tratti salienti. In particolare, pone l'accento sul fatto che il tribunale del riesame ha ritenuto non sorretta da gravita' indiziaria l'originaria imputazione di corruzione, sulla scorta degli stessi elementi valutati dal GIP che aveva emesso la misura; mentre le ulteriori e diverse imputazioni di induzione indebita e collusione tra militari venivano archiviate perche' insussistenti. Ci si duole che i giudici della riparazione non abbiano tenuto in considerazione tali esiti processuali. Nell'ampia ed esaustiva ricostruzione dei fatti, che riporta testualmente l'ordinanza del tribunale del riesame, si sottolinea l'insussistenza ab origine dei presupposti per l'emissione della misura, poi confermata dal decreto di archiviazione. Il tribunale del riesame affermava l'assoluta mancanza di prova che il (OMISSIS) avesse percepito qualche utile cosi' come che lo stesso avesse compiuto atti contrari al proprio dovere. Si rileva che a seguito dell'ordinanza del riesame la Procura di Venezia modificava le imputazioni elevando due contestazioni diverse rispetto a quella di corruzione ritenuta insussistente in sede di riesame. Le due imputazioni erano: a. induzione indebita, che sarebbe consistita nell'assicurare all'imprenditore (OMISSIS) che non sarebbero stati svolti approfondimenti su un appunto informativo relativo ad un'operazione sospetta del 2013. Cio' in cambio dell'assunzione del figlio del collega (OMISSIS) e di qualche cena di lusso che per il (OMISSIS) in realta' era soltanto una; b. collusione L. n. 1383 del 1941, ex articolo 3, consistita nel non aver messo a disposizione dei militari verificatori l'appunto informativo di cui sopra, al fine di frodare la finanza. Il ricorrente, rilevato che il procedimento era stato trasferito alla Procura di Udine a seguito della sentenza di incompetenza territoriale resa dal Tribunale di Venezia, riporta gli esiti delle indagini e gli elementi emersi evidenziando che nessuna irregolarita' veniva rilevata nella verifica fiscale condotta nei confronti della (OMISSIS). Smentisce, quindi, le valutazioni rese dai giudici della riparazione su un presunto atteggiamento soft del (OMISSIS) nella conduzione della verifica, che definisce mere illazioni. Si lamenta che la Corte triestina non solo abbia omesso di considerare l'accertata, in sede di riesame, insussistenza originaria dei presupposti per l'emissione della misura, ma ha aggiunto l'ulteriore elemento di una parziale ammissione del (OMISSIS) in sede di interrogatorio, rendendo inverosimile l'ordinanza di annullamento del riesame. Inoltre, ci si duole, che il giudice della riparazione abbia valutato in maniera non aderente alle risultanze processuali elementi irrilevanti ai fini della riparazione come il presunto mancato approfondimento dell'appunto informativo. Questo elemento riguarderebbe esclusivamente le imputazioni elevate dopo l'annullamento della misura e la valutazione di insussistenza dell'originaria imputazione. Si contesta, poi, l'affermazione che il Gip abbia ritenuto non chiaro tale aspetto in quanto, dalle indagini svolte dalla Procura di Udine, e' emerso che l'appunto informativo fu messo a disposizione della pattuglia e valutato nella verifica. Del resto, si ricorda, che il PM, nella richiesta di archiviazione, dava atto che la tesi accusatoria fondata sulla sottrazione dell'appunto informativo era stata confutata. In relazione agli elementi relativi al contenuto delle telefonate riportate nell'ordinanza cautelare e ai rapporti con il (OMISSIS), il ricorrente evidenzia, che gli stessi sono stati valutati in sede di riesame giungendo a conclusioni opposte rispetto al Gip e ritenendo insussistenti i presupposti per l'emissione della misura. Pertanto, si ritiene, che gli stessi non potevano essere considerati ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione. Si richiama sul punto la sentenza a Sezioni Unite n. 32383 del 27/5/2010, nonche' diversi precedenti di questa Corte che affermano la rilevanza della condotta sinergica dell'indagato soltanto nel caso in cui la valutazione dell'insussistenza delle condizioni di applicabilita' della misura sia avvenuta sulla base di elementi diversi da quelli esaminati dal giudice della cautela, ma non nel caso in cui sia avvenuta sulla base degli stessi elementi. Con un secondo motivo si deducono violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento di elementi di prova in relazione alla sussistenza di una presunta colpa grave basata su un'erronea valutazione degli elementi di prova. Ci si duole che la Corte triestina abbia ritenuto provate una serie di circostanze, mentre in realta' le indagini della Procura avevano avuto esito opposto, determinando l'archiviazione del procedimento. Cio' in particolare, laddove il giudice della riparazione ha ritenuto che: a. il (OMISSIS) si sarebbe adeguato alle richieste del (OMISSIS) attivandosi per affrettare la verifica con un esito favorevole per la (OMISSIS); b. la verifica sarebbe stata particolarmente soft; c. il (OMISSIS) era a conoscenza dell'obiettivo del (OMISSIS) di far assumere il figlio come ammesso nell'interrogatorio di garanzia; d. la condotta del (OMISSIS) avrebbe favorito la consumazione del reato di corruzione da parte del (OMISSIS), ponendosi in rapporto di causalita' con l'adozione della misura; e. in sede di verifica non veniva approfondito il contenuto dell'appunto informativo oggetto delle nuove imputazioni contestate in sede di cognizione; f. permaneva il sospetto che il (OMISSIS) avesse occultato l'appunto informativo ai verificatori. In realta', dall'esito del procedimento sarebbe emerso: a. che non vi era alcun profilo di criticita' o irregolarita' nello svolgimento della verifica e non vi era stata alcuna ingerenza del (OMISSIS) per il suo buon esito; b. che dall'esame delle intercettazioni il (OMISSIS) non era a conoscenza delle intenzioni del (OMISSIS) sull'assunzione del proprio figlio e la circostanza non e' mai stata riferita nell'interrogatorio; c. che il (OMISSIS) non poneva in essere alcuna corruzione, tanto che e' stato poi contestato il solo reato di induzione indebita, archiviato per quanto riguarda il ricorrente; e. che il contenuto dell'appunto informatico fu approfondito dai verificatori e che lo stesso appunto non fu mai occultato. Di conseguenza, i giudici della riparazione avrebbero evidentemente travisato gli elementi di prova ignorando il contenuto dell'ordinanza di annullamento del riesame e del decreto di archiviazione. Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio ex articolo 623 c.p.p.. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 15/9/2022 ha rassegnato ex articolo 611 c.p.p. le proprie conclusioni scritte come riportato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Va premesso che e' principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimita' deve intendersi limitata alla sola legittimita' del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruita' e logicita' della motivazione, e non puo' investire naturalmente il merito. Cio' ai sensi del combinato disposto di cui all'articolo 646 c.p.p., secondo capoverso, da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell'articolo 315 c.p.p., comma 3. Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non puo' trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiche' una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalita', non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l'articolo 646 c.p.p., comma 3 (al quale rinvia l'articolo 315 c.p.p., ultimo comma) stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall'articolo 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte). 3. Il proposto ricorso, al primo motivo, si palesa infondato in quanto fa questione di c.d. ingiustizia formale della subita detenzione (articolo 314 c.p.p., comma 2), mentre, come si evince dall'istanza di riparazione per ingiusta detenzione del 24/8/2021 a firma degli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) con quella si era fatta unicamente questione di ingiustizia sostanziale (articolo 314 c.p.p., comma 1). Lo si evince chiaramente dalle pagg. 4-5 dell'istanza, ove i difensori ricorrenti si soffermano sull'asserita assenza di colpa, anche lieve, in capo al (OMISSIS) e richiamano a sostegno delle proprie tesi sentenze di questa Corte di legittimita' (Sez. 4 n. 10793/2016 e Sez. 3 n. 45593/2017) tutte afferenti a casi di c.d. ingiustizia sostanziale. Questa Corte di legittimita' ha gia' in passato chiarito -e va qui ribadito- che nel procedimento di riparazione per l'ingiusta detenzione, che e' una procedura attinente interessi economici e pecuniari di natura civilistica inserita per ragioni di sedes materiae e di opportunita' nel codice di procedura penale, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l'azione esperita, non e' consentito, ne' alla parte, nel difetto di consenso o d'acquiescenza dell'altra, ne' al giudice d'ufficio, modificare la "causa petendi", senza che il controinteressato sia stato posto in grado di interloquire al riguardo. Sicche', quando l'attore abbia posto a fondamento della richiesta la fattispecie legale di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 1, il giudice non puo' accogliere la domanda sulla base di altra "causa petendi", quale l'ipotesi di illegittima detenzione, di cui al comma 2 della predetta disposizione di legge (cosi' Sez. 4, n. 1514 dei 17/12/1992, dep. 1993, Malentacchi. Rv. 194083). 4. Ricondotte le doglianze al devoluto al giudice della riparazione, ovvero ad un'ipotesi di ingiustizia c.d. sostanziale ex articolo 314 c.p.p., comma 1, va evidenziato -e da qui l'infondatezza anche del secondo motivo di ricorso- che il giudice della riparazione motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto. L'articolo 314 c.p., com'e' noto, prevede al comma 1 che "chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave". In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, ultima parte); l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004). In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'"id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria a tutela della comunita', ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637), Poiche' inoltre, la nozione di colpa e' data dall'articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto l'articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'Autorita' Giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia e' stato affermato che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034). Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664). E, ancora, piu' recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo puo' anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta' personale potra' considerarsi "ingiusta", in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche', altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la "ratio" solidaristica che e' alla base dell'istituto (cosi' Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui e' stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni "travisanti", aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni). 5. Nel provvedimento impugnato si ricorda come dagli atti risulti che l'odierno ricorrente era stato incaricato, negli ultimi mesi del 2015, di procedere ad una verifica fiscale presso la (OMISSIS) spa, di cui era legale rappresentante (OMISSIS). Questi, iniziata la verifica, si era rivolto ad un suo buon conoscente, il tenente colonnello (OMISSIS), in forza presso la Guardia di Finanza di Venezia, per evitare che la indagine tributaria potesse pregiudicare l'impresa. Il (OMISSIS), a sua volta, era buon conoscente del (OMISSIS), avendo lavorato con lo stesso presso la Guardia di Finanza di Gorizia sin dall'anno 1998, ed avendo mantenuto negli anni rapporti di amicizia e di frequentazione, pur non assidua, anche in virtu' del comune profilo professionale. Una serie di intercettazioni telefoniche,- (riportate analiticamente nella ordinanza applicativa della misura, che per sul punto il giudice della riparazione integralmente richiama), avevano consentito agli inquirenti di accertare che (OMISSIS), in piu' occasioni, aveva telefonato ai (OMISSIS) rappresentandogli come fosse interessato alla verifica alla (OMISSIS) spa, il cui responsabile era un suo buon amico; che desiderava che non si esagerasse nel corso della verifica; che il suo interlocutore nel parlare con il responsabile doveva dire una frase in modo da far capire che conosceva il (OMISSIS) e metterlo in tal modo in tranquillita'; che (OMISSIS) doveva fare tutto quello che (OMISSIS) gli aveva chiesto, in quanto lui aveva un interesse particolare per quella impresa. Di fronte a tali richieste, come il giudice della riparazione ricorda emergere dagli atti, (OMISSIS) non si opponeva, non riferiva il fatto ai suoi superiori, si adeguava alle richieste del (OMISSIS), procurando che la verifica terminasse in un tempo molto ristretto, (non piu' di 30 giorni), con un esito molto favorevole alla (OMISSIS) spa, la quale si vedeva contestato un maggior imponibile di soli 7.000 Euro, con una imposta maggiore di Euro 350. Significativo viene ritenuto il fatto che nel corso dei colloqui telefonici con lo (OMISSIS) il (OMISSIS) lo rassicurava sul fatto che i suoi conoscenti, (che (OMISSIS) chiamava con l'appellativo di "architetti"), gli avevano rassicurato che le operazioni di verifica sarebbero state molto rapide e che gli esiti non sarebbero stati pesanti per la (OMISSIS) spa, circostanze puntualmente verificatesi. La natura indebita dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge per la Corte triestina anche dal fatto che il primo, nel rivolgersi al (OMISSIS), usava sempre farsi criptiche, alludendo alla verifica ed alla importanza che (OMISSIS) operasse secondo le sue indicazioni, con giri di parole e con impiego di termini allusivi e mai diretti. L'esito della attivita' in esame, secondo l'interpretazione che il giudice della riparazione da' degli esiti delle indagini, era una verifica fiscale -particolarmente soft per la (OMISSIS) spa, ripagata con l'assunzione del figlio del (OMISSIS) presso la societa' verificata con rapporto di lavoro dipendente a partire dalla data del 1.2.2016, precedente di pochi giorni al completamento della verifica, avvenuto in data 6.2.2016". 6. Orbene, e' vero che, dalla richiesta di archiviazione del PM di Udine e dal successivo decreto del GIP di Udine si e' ritenuto che: "...la notizia di reato in ordine all'ipotesi di cui all'articolo 319-quater c.p. non ha trovato riscontro. L'oggetto dell'indebita prestazione illecita e' stato individuato nell'assunzione del figlio di (OMISSIS) presso la ditta verificata, in cambio di un piu' benevolo trattamento da parte dei verificatori. Non e' emersa prova che (OMISSIS) fosse al corrente di tale richiesta del (OMISSIS) e delle trattative illecite incorse con la verificata. Sono emersi elementi generici di sospetto, forse una non particolare solerzia nello spronare l'attivita' di verifica rispetto ad altre verifiche, ma si tratta di meri sospetti e sensazioni di difficile valutazione in sede penale. Le intercettazioni d'altro canto non hanno fornito risconti in ordine a una qualche collusione tra (OMISSIS) e (OMISSIS). D'altro canto, non risulta che (OMISSIS) abbia beneficiato di vantaggi tali da giustificare la commissione di un cosi' grave reato (si parla di una cena offerta dal titolare della ditta verificata). Il quadro offerto pertanto non consente di sostenere l'accusa in giudizio". E, ancora, che: "Quanto al reato di cui all'articolo 110 c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3, va premesso che deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario in forza del dettato dell'articolo 13 c.p., comma 2, procedendosi per connessione con il piu' grave reato di cui all'articolo 319-quater c.p. Non e' sostenibile l'accusa in giudizio in ordine a detto capo in quanto dalle dichiarazioni rese dal M.C. (OMISSIS) (...) e dal Cap. (OMISSIS) (f. 589) e' emerso che, pur in circostanze non del tutto chiare, i documenti che originariamente si ipotizzava fossero stati occultati, erano stati prodotti e inseriti nel fascicolo". Tuttavia, non occorre confondere il piano della responsabilita' penale (esclusa, altrimenti non vi sarebbero stati in radice i presupposti per la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione) con quello della sussistenza di comportamenti colposi individuali in capo al richiedente l'indennizzo ed ostativi al riconoscimento dello stesso. Va ricordato, in proposito, che vi e' totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione, atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Cio' perche' e' prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che puo' essere ritenuta insufficiente e condurre all'assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell'imputato, l'adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice. E' pacifico (cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418) che, in sede di giudizio di riparazione ex articolo 314 c.p.p. ed al fine della valutazione dell'an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l'ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine e' necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall'istante sia prima che dopo la perdita della liberta' personale e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. Un. 32383/2010), onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall'esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell'autorita' procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita' come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis). A tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione (cfr. questa Sez. 4, n. 45418/2010). 7. Orbene, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto -e che si sottrae, pertanto, alle proposte censure di legittimita'- la Corte triestina evidenzia che il (OMISSIS) ha tenuto, poco prima del suo arresto una condotta se non altro gravemente connivente con la condotta illecita del (OMISSIS), che favoriva la consumazione del reato di corruzione da parte di quest'ultimo e che si pone, per cio' solo, in rapporto di causalita' con l'applicazione in capo al ricorrente della misura cautelare per la quale si procede. Ininfluente, ai fini del diniego, pare la circostanza, contestata dal ricorrente e, come visto, ritenuta dal giudice della riparazione, che la verifica fiscale sia stata oltremodo veloce e soft. Circostanza in ogni caso dirimente nell'escludere il diritto alla riparazione e' stato logicamente ritenuto che la condotta del (OMISSIS) era anche deontologicamente non corretta, in quanto, di fronte alla indebita ingerenza del collega ed amico, non opponeva la riservatezza dell'attivita' funzionale a lui demandata, rispetto alla quale (OMISSIS) non aveva nulla a che vedere, non invitava l'interlocutore a desistere dalle sue ingerenze, ne' denunciava il fatto ai superiori, ma si manifestava collaborativo con il (OMISSIS), fornendogli informazioni sulla durata della verifica e sui suoi esiti, in modo che questi potesse a sua volta informare il verificato ed ottenere, in tal modo, dallo stesso l'assunzione del figlio. L'ordinanza impugnata, pertanto, opera un buon governo della condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimita' secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, per la valutazione della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per la custodia cautelare sofferta, il giudice di merito puo' valorizzare anche scorretti comportamenti deontologici, quando questi, uniti ad altri elementi, configurino una situazione obiettiva idonea ad evocare, secondo un canone di normalita', una fattispecie di reato (vedasi sul punto Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016 dep. 2017, Farina, Rv. 269034 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto integrativa della colpa grave la condotta dell'imputato, pubblico amministratore, che, avendo ricevuto denaro e regalie da imprenditori locali per finalita' politiche al di fuori dei canali istituzionali, aveva generato una situazione di ambigua commistione tra amministrazione locale ed imprenditoria; conf. Sez. 4, n. 52871 del 15/11/2016, Tavelli, Rv. 268685, nella quale la Corte ha ritenuto integrativa della colpa grave la condotta dell'imputato, Ispettore della Polizia di Stato, in servizio presso un Centro di Identificazione ed Espulsione, il quale - violando le disposizioni regolatrici dell'attivita' della Polizia di Stato - aveva intrattenuto rapporti sessuali con persone che, essendo trattenute nella predetta struttura, si trovavano in una posizione di soggezione nei suoi confronti). Peraltro, costituisce ius receptum anche il principio che, pur ritenuti non sufficienti gli elementi acquisiti per pervenire al suo rinvio a giudizio, mancando la prova della partecipazione attiva all'agire delittuoso, possa integrare la colpa grave un comportamento quantomeno di connivenza, del tutto adeguato ad indurre il giudice per le indagini preliminari a ritenere sussistente a sua carico il presupposto della gravita' indiziaria necessario per l'emissione della misura della custodia cautelare (cfr. ex multis (Sez. 4, n. 8993 del 15/1/2003, Lushay, Rv. 223688). 8. Al rigetto del ricorse consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Viceversa, ritiene il Collegio, conformemente ai dictum di Sez. Un., n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 (vedasi in motivazione pagg. 22 e ss., con un principio affermato per la parte civile nel giudizio di legittimita', ma che, mutatis mutandis, trova applicazione anche in un caso come quello che ci occupa; vedasi anche Sez. Un., n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264) che, tenuto conto della genericita' delle argomentazioni svolte nella depositata memoria, priva del minimo riferimento specifico alla vicenda in esame, non debba conseguire anche la condanna alla rifusione delle spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/02/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere D'ANDREA ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi. udito il difensore: E' presente come sostituto processuale con delega orale dell'avvocato (OMISSIS) del foro di BENEVENTO in difesa di: (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS). Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 febbraio 2022 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Benevento del 6 luglio 2021, con cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in esito a giudizio abbreviato, erano stati condannati, ritenuta la continuazione e la riduzione prevista per il rito, alla pena, rispettivamente, di: anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa ( (OMISSIS)); anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa ( (OMISSIS)); anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa, con pena sospesa ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). Gli imputati erano stati, altresi', condannati alle pene accessorie ed al pagamento delle spese processuali, venendo, inoltre, ordinata la confisca dei rifiuti in sequestro ed il loro smaltimento a spese dei prevenuti. 1.1. I quattro imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto di cui agli articoli 110 e 81 c.p., articolo 603-bis c.p., commi 1 e 4, n. 1, loro contestato al capo A, per avere, in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualita' di titolari e gestori di fatto di un'attivita' familiare di impresa di lavorazione di tessuti - ditta individuale formalmente intestata a (OMISSIS) -, all'interno di locali adibiti ad opificio, utilizzato, assunto e impiegato manodopera, sottoponendo i lavoratori - oltre le dieci unita', prevalentemente di nazionalita' bangladese, nigeriana, rumena, ucraina e georgiana - a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, in particolare retribuendoli con 20 Euro giornalieri, in modo palesemente difforme dai contratti collettivi e comunque sproporzionato rispetto alla quantita' di lavoro prestato, e sottoponendoli a condizioni lavorative e alloggiative degradanti, in un contesto di plurime violenze e minacce, nonche' in violazione della normativa dettata in materia di sicurezza e di igiene. I soli (OMISSIS) e (OMISSIS), quindi, sono stati ritenuti responsabili anche dei reati di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 256, comma 2, per avere, in concorso tra loro e nella qualita' di titolari e gestori di fatto della suddetta impresa di lavorazione di tessuti, abbandonato e depositato in modo incontrollato diversi rifiuti pericolosi all'interno ed in prossimita' dei locali con annesso opificio (capo B); articoli 81 e 110 c.p.; Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 22, commi 12 e 12-bis, per avere, in concorso tra loro e nella indicata qualita', occupato alle proprie dipendenze lavoratori stranieri di nazionalita' marocchina, georgiana e ucraina privi del permesso di soggiorno (capo C). 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con quattro differenti atti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. (OMISSIS) ha dedotto due motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito violazione di legge ed assenza, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione in relazione all'articolo 603-bis c.p., oltre a travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni rese dalle persone offese. Il ricorrente lamenta l'illogicita' della modalita' con cui i giudici di merito hanno ritenuto comprovata la responsabilita' dell'imputato in ordine al contestato delitto di sfruttamento del lavoro, in quanto fondata sulle sole dichiarazioni di uno sparuto numero di lavoratori impiegati, dei quali non e' stata adeguatamente vagliata l'attendibilita', comunque mai riferendo condotte vessatorie o umilianti poste in essere dall'imputato, senza acquisire il supporto di alcun riscontro estrinseco, non evincibile ne' dalle propalazioni degli altri lavoratori escussi, ne' dalle testimonianze dagli altri collaboratori occasionali ascoltati, nonche', invero, dai dialoghi oggetto di captazione intercettiva. Risulterebbe, poi, illogico che dai contenuti di tali dichiarazioni non si fosse compreso come l'imputato ricoprisse solo un ruolo di mera subordinazione rispetto al padre (OMISSIS), unico ed effettivo titolare dell'impresa di lavorazione di tessuti. Con la seconda censura (OMISSIS) ha eccepito difetto di motivazione in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., in materia di determinazione della pena. A dire del ricorrente, la Corte di appello avrebbe utilizzato mere clausole di stile per giustificare la congruita' e l'adeguatezza dell'eccessiva pena inflittagli, senza esplicare gli specifici criteri seguiti per determinare l'applicazione di una cosi' elevata sanzione. Essa sarebbe ingiusta ed illegittima, in quanto palesemente sproporzionata rispetto alle condotte a lui concretamente riferibili, senza un'adeguata modulazione della sua posizione rispetto a quella del padre (OMISSIS), nonche' in carenza di un'idonea rappresentazione delle ragioni del mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena. 2.2. (OMISSIS) ha eccepito, in seno al proprio ricorso, un unico motivo di doglianza, con cui ha lamentato erronea applicazione o violazione di legge, nonche' difetto sostanziale di motivazione, in relazione all'articolo 133 c.p.. Lamenta il ricorrente l'eccessivita' della sanzione inflittagli, a suo dire determinata senza lo svolgimento di un adeguato percorso logico motivazionale. Una congrua valutazione dei parametri di cui all'articolo 133 c.p. avrebbe dovuto condurre, infatti, all'applicazione di una ben piu' mite pena. 2.3. (OMISSIS) e (OMISSIS), infine, hanno dedotto, nei loro rispettivi ricorsi, doglianze quasi del tutto coincidenti con quelle del fratello (OMISSIS) - al quale atto viene, pertanto, viene fatto integrale rinvio. Entrambe hanno, in particolare, evidenziato, con la prima doglianza, come le dichiarazioni accusatorie rese nei loro confronti provenissero solo da una ( (OMISSIS) avverso (OMISSIS)) o due ( (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS)) delle testimoni escusse, e come, pertanto, la loro responsabilita' fosse stata fondata in palese assenza di adeguati riscontri estrinseci, non evincibili ne' dalle propalazioni dei numerosi altri lavoratori escussi, ne' dagli altri elementi probatori presenti in atti. Risulterebbe, comunque, illogico che da tali emergenze non fosse stato acclarato come le due imputate non ricoprissero alcun ruolo decisionale all'interno dell'azienda familiare - ma caso mai fossero solo impiegate in essa essendo del tutto episodici, nonche' posti in essere in mera sostituzione del padre (OMISSIS) o del fratello (OMISSIS), le sparute condotte da cui, invece, i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto configurata la loro compartecipazione nella gestione dell'impresa. Entrambe hanno poi lamentato, con la seconda censura, l'illegittimita' della pena inflittagli, in quanto eccessiva ed applicata in carenza di indicazione dei criteri motivazionali seguiti, oltre che sproporzionata rispetto alle condotte loro riferibili e a quelle degli altri due imputati. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili. 2. L'esame della impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede proposte siano sostanzialmente coincidenti con quelle dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non puo' che ribadirsi quanto gia', piu' volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimita', per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838-01). 3. In ogni modo, a prescindere dalla decisivita' della superiore argomentazione, il Collegio rileva come la prima censura eccepita da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con cui e' stata lamentato l'effettuato riconoscimento della loro responsabilita' in ordine al contestato delitto di sfruttamento del lavoro sulle sole dichiarazioni di uno sparuto numero di lavoratori impiegati (addirittura solo di una testimone per (OMISSIS) e di due nei confronti di (OMISSIS)), di cui non sarebbe stata congruamente vagliata la relativa attendibilita', senza acquisire il supporto di adeguati riscontri estrinseci e senza valorizzare il loro esclusivo ruolo di dipendenti del padre (OMISSIS) - unico ed effettivo titolare dell'impresa di lavorazione di tessuti - nella sostanza riguardi la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove acquisite, e cioe' questioni non passibili di valutazione in questa sede. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi', tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01). Esula, quindi, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01). Sono precluse al giudice di legittimita', pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601- 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E', conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimita' la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento. 4. Ebbene, nel caso di specie puo' senz'altro ritenersi che la Corte territoriale, dando adeguato riscontro a quanto dedotto con il motivo di ricorso introduttivo da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalita' maggiormente plausibile in cui la vicenda e' da ritenersi si sia svolta. In modo logico e congruo, infatti, la Corte di merito ha diffusamente esplicato come la tesi difensiva prospettata da parte degli imputati sia risultata del tutto smentita dalla presenza di plurimi elementi probatori, in particolar modo costituiti dalle convergenti propalazioni rese dai lavoratori stranieri impiegati nell'azienda familiare, che hanno comprovato l'avvenuta consumazione da parte dei prevenuti della condotta delittuosa loro concorsualmente ascritta. Cosi', con riferimento a (OMISSIS), titolare formale dell'attivita' produttiva, le risultanze probatorie hanno consentito di accertare come costui fosse costantemente presente all'interno dell'opificio, spesso accompagnando il padre a prelevare al mattino i lavoratori dai loro alloggi per condurli sul posto di lavoro, altresi' pagando i loro stipendi e, perfino, profferendo alcune parole irriguardose e offensive nei loro riguardi. Rispetto a (OMISSIS), invece, e' risultato comprovato come costei avesse in una circostanza esplicato alla lavoratrice (OMISSIS) le mansioni che era tenuta a svolgere, impartendole ordini e direttive, nonche' manifestando nei suoi confronti un atteggiamento offensivo ed ingiurioso. Anche tale imputata si era personalmente occupata del trasporto degli stranieri dai loro alloggi al posto di lavoro, spesso pagando i loro stipendi e talora manifestando nervosismo e profferendo offese nei loro confronti. Pure con riguardo a (OMISSIS) il compendio probatorio ha consentito ai giudici di merito di accertare la partecipazione dell'imputata all'attivita' imprenditoriale familiare, in quanto quotidianamente presente nell'opificio, con compiti di sorveglianza degli operai, annotazione degli orari di lavoro e pagamento dei compensi, in entita' inferiore rispetto a quanto originariamente pattuito, ricevendo direttive dal padre in ordine all'organizzazione del trasporto dei lavoratori. Per la Corte di appello, quindi, tutti e tre gli imputati, in quanto pienamente inseriti nella gestione dell'azienda familiare, avrebbero avuto assoluta consapevolezza delle precarie condizioni abitative e di lavoro sofferte dagli operai, da loro illecitamente sfruttate. In ragione della motivazione cosi' sinteticamente rappresentata, allora, non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che le censure mosse da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) circa l'erroneita' della ricostruzione dei fatti, delle dichiarazioni testimoniali acquisite e della mancata considerazione di alcuni decisivi elementi di valutazione si appalesano, nella sostanza, come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicita' della motivazione resa, appare del tutto infondato. 5. Del pari prive di ogni fondamento sono, poi, le doglianze eccepite da parte dei ricorrenti in ordine al trattamento sanzionatorio subito (seconda censura di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), unico motivo di ricorso dedotto da (OMISSIS)), di cui ne e' stata lamentata l'eccessiva entita', in quanto sproporzionata rispetto alle condotte loro effettivamente ascritte, oltre alla carente indicazione dei criteri motivazionali seguiti, altresi' lamentandosi l'omesso ingiustificato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 5.1. Ebbene, con riferimento a tale ultimo aspetto, il Collegio rileva come sia del tutto adeguata e logica la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto l'insussistenza di elementi idonei a consentire il riconoscimento in favore degli imputati del beneficio ex articolo 62-bis c.p., considerata la gravita' delle condotte da costoro perpetrate, poste in essere approfittando, per motivi di lucro, dello stato di grave disagio socio-economico sofferto da parte degli stranieri occupati nel ciclo di lavorazione presso la loro azienda. Trattasi di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01). D'altro canto - in particolare dopo la modifica dell'articolo 62-bis c.p. disposta dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 - e' assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex articolo 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (cosi', tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381-01). In altri termini, l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241-01). 5.2. Del pari priva di ogni fondamento e' la doglianza relativa alla dedotta eccessiva entita' della pena inflitta, in quanto sollevata in termini generici e aspecifici, e, comunque, in palese contrasto con la logicita' e adeguatezza con cui la Corte di merito, diversamente da quanto eccepito da parte dei ricorrenti, ha rappresentato le ragioni per le quali ha ritenuto la congruita' della sanzione applicata, osservando come essa si conformi alla concreta gravita' dei fatti loro contestati, nonche' alla personalita' altamente trasgressiva palesata da parte dei prevenuti che, per come evidenziato dai giudici di appello, hanno proseguito nella loro condotta delittuosa pur dopo l'intervenuto sequestro di un capannone, trasferendo lo svolgimento della loro attivita' produttiva in un altro luogo, cosi' perseverando nell'illecito utilizzo di manodopera straniera in condizioni degradanti e di sfruttamento. Nel caso di (OMISSIS), inoltre, risulta giudizialmente comprovato, a conferma della sua negativa personalita', come il prevenuto avesse posto in essere violenze e minacce nei confronti dei lavoratori, anche ripetutamente chiedendo prestazioni sessuali alle sue dipendenti. L'indicata motivazione prevede, pertanto, un indubbio e adeguato riferimento alla norma dell'articolo 133 c.p., dei cui parametri e' evidente che il giudice di secondo grado abbia correttamente tenuto conto ai fini dell'effettuazione della sua valutazione. Si tratta, dunque, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il dictum della sentenza, non puo' in questa sede essere in alcun modo censurata. 5.3. Da ultimo, e' manifestamente infondata anche la censura con cui (OMISSIS) ha dedotto carenza motivazionale in ordine al mancato riconoscimento in suo favore della sospensione condizionale della pena. L'impugnata sentenza, infatti, ha conferito adeguato rilievo, ai fini della non concedibilita' dell'invocato beneficio, alla negativa personalita' dell'imputato, come evincibile dalla circostanza di aver trasferito altrove lo svolgimento dell'attivita' lavorativa a seguito dell'intervenuto sequestro di un loro opificio, cosi' inducendo ad una negativa prognosi circa la futura sua reiterazione di ulteriori condotte criminose. D'altro canto, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilita' del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (Sez. 5, n. 17953 del 17/02/2020, Filipache, Rv. 279206-02; Sez. 4, n. 48013 del 12/07/2018, M., Rv. 273995-01), desumendo essi anche dalle modalita' di svolgimento del fatto. A tale parametro interpretativo si e' attenuta la Corte territoriale nel rigettare, con motivazione congrua e logica, percio' non sindacabile sotto il profilo del merito, l'indicata censura sollevata da (OMISSIS), che deve, conseguentemente, essere considerata manifestamente infondata. 6. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPOZZI Angelo - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA nei confronti di (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 22/06/2022 visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Gallucci; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile; letta la memoria scritta depositata dal difensore dell'imputato, Avvocato (OMISSIS), che contestato le deduzioni del PG insistendo per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 22 giugno 2022 ha parzialmente riformato - per quanto attiene la pena inflitta, ridotta a mesi nove di reclusione - quella di primo grado del Tribunale di Monza che ha condannato (OMISSIS) in relazione al reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articoli 81 c.p. e 12 sexies in relazione all'articolo 570 c.p. - ora articolo 570 bis c.p. - per non avere versato, in tutto o in parte, le somme poste a suo carico, a titolo di assegno divorzile e per il mantenimento dei figli, oltre ai 3/4 delle spese straordinarie, dal Tribunale civile di Monza con sentenza del 2008 (querela dell'aprile 2014, in permanenza). 2. Avverso la sentenza di appello ricorre, a mezzo del proprio difensore, l'imputato deducendo tre motivi. Con il primo motivo si censura la condanna in relazione all'omessa considerazione che il mancato versamento - parziale - delle somme contestate e' dipeso dall'incolpevole stato di indigenza in cui si trovava l'imputato che, fin quando ha potuto, ha sempre ottemperato totalmente e poi ha comunque cercato, nei limite delle sue possibilita', di adempiere. Con il secondo motivo si deduce che la Corte milanese non ha tenuto conto che dall'istruttoria e' emersa l'assenza del necessario elemento psicologico del dolo, come peraltro dimostrato dalla circostanza che per fatti analoghi, e di poco precedenti a quelli oggetto della condanna, (OMISSIS) e' stato assolto dal Tribunale di Monza proprio per la carenza dell'elemento psicologico di fattispecie (si allega la pronuncia in questione). Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena - negata in modo illogico sulla base della presunzione di recidivanza non fondata su elementi obiettivi - e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anch'esse denegate facendo ricorso a clausole di stile. 3. Il giudizio di cassazione si e' svolto a trattazione scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato, in quanto non si confronta con le adeguate motivazioni della sentenza impugnata che si saldano con quelle, conformi, della pronuncia del Tribunale. 1.1 Invero, nel caso di specie si e' di fronte alla c.d. "doppia conforme" situazione che ricorre, appunto, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). 1.2. Va ancora rilevato che questa Sezione ha avuto modo di precisare che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicche' debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935). 1.3. Infine, e' opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 - dep. 2021, F., Rv. 280601). 2. Tutto cio' premesso, rileva la Corte, in riferimento ai primi due motivi di ricorso, che dalla sentenza impugnata emerge con chiarezza che l'omesso versamento di quanto dovuto - peraltro protratto per un lunghissimo periodo di tempo - non e' dovuto a fatto incolpevole. Sul punto, la Corte territoriale da' atto che (OMISSIS) ha certamente subito una drastica riduzione delle proprie entrate - a causa del fallimento della propria florida impresa - ma rileva che dall'istruttoria e' emerso che il predetto si e' fatto licenziare da un impiego che aveva ottenuto per mancato rispetto degli obblighi lavorativi e che circolava alla guida di macchine di lusso mantenendo un elevato tenore di via, al contempo negando il necessario per i figli). 2.1. In merito alla dedotta circostanza che l'imputato ha - sia pur parzialmente - comunque provveduto nei limiti delle proprie possibilita' a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei figli minori, va ribadito che "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3, oggi trasfuso nella fattispecie di cui all'articolo 570-bis c.p., e' integrato non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicche' l'inadempimento costituisce di per se' oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza" (Sez. 6, n. 4677 del 19/01/2021, M., Rv. 280396 - 01), risultando dunque chiaramente sussistenti gli estremi materiali del reato. 2.2. Per quanto concerne poi l'elemento psicologico, il ricorrente si e' richiamato al piu' recente orientamento giurisprudenziale di questa Sezione secondo cui "l'impossibilita' assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'articolo 570-bis c.p., che esclude il dolo, non puo' essere assimilata alla indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilita' di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza (In motivazione la Corte ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarita' del caso concreto, e, in particolare, dell'entita' delle prestazioni imposte, delle disponibilita' reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all'occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessita' per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento)" (Sez. 6, n. 32576 del 15/06/2022, F., Rv. 283616). 2.3. Nella specie, la sentenza impugnata (pag. 5) rileva, da un lato, che l'incapacita' economica dell'appellante non puo' essere ricondotta alla perdita del lavoro, che risulta tutt'altro che incolpevole; dall'altro lato, che l'assegno di mantenimento non e' stato pagato regolarmente ne' in epoca precedente al licenziamento dell'imputato, ne' in epoca successiva alla riduzione da parte del giudice civile; concludendo che l'imputato, "omettendo scientemente di versare quanto dovuto, attuava dolosamente una violazione penalmente sanzionata". Conclusione ineccepibile anche alla luce del principio affermato dalla sentenza sopra riportata. 2.4. In riferimento, poi, alla dedotta rilevanza della pronuncia assolutoria per fatti analoghi a quelli oggetto della sentenza impugnata, giustamente il Procuratore generale presso questa Corte nelle sue conclusioni scritte ha evidenziato, oltre alla circostanza che non vi e' prova che la sentenza in questione sia divenuta irrevocabile, che in quel caso il mancato versamento aveva ad oggetto un ridottissimo periodo (dal 1 gennaio al 9 febbraio del 2012), peraltro di oltre due anni precedente alla contestazione, in un contesto, invece, caratterizzato da puntuali e completi versamenti di quanto dovuto. 3. Anche il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata argomenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, oltre che per la durata e sistematicita' dell'inadempimento, anche in ragione di una precedente condanna per il delitto di rapina a mesi undici di reclusione in ordine alla quale (OMISSIS) aveva ottenuto la sospensione condizionale. La negazione delle attenuanti generiche si e' basata sulla mancanza di elementi positivamente valutabili, peraltro neppure dedotti dalla difesa. Motivazione, sotto entrambi gli aspetti, certamente non illogica e quindi insindacabile in questa sede. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non emergendo alcun profilo da cui dedurre l'assenza di colpa nella proposizione del ricorso. - alla sanzione, ritenuta congrua, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. Infine, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del d.lg. n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 05/02/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALIFFI FRANCESCO; lette le conclusioni del PG Dott.ssa LORI PERLA che ha chiesto il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto indicato nel preambolo, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento, in data 21marzo 2018, con cui il Tribunale aveva disposto l'aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, applicata, con decreto del 3 aprile 2009, nei confronti di (OMISSIS) per la durata di anni quattro, prorogandola di un ulteriore anno ed aveva altresi' disposto la confisca di societa', beni immobili, mobili e rapporti finanziari intestati, oltre che al proposto, al coniuge, (OMISSIS), e alle figlie, (OMISSIS) e (OMISSIS). A fondamento dell'aggravamento evidenzia l'acquisizione, in epoca successiva all'emissione del provvedimento genetico, di ulteriori fatti sintomatici della pericolosita' sociale di (OMISSIS), sussunta nella categoria di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 4, lettera a), fino all'attualita'. In particolare, ha ritenuto rilevanti: il lungo periodo di latitanza, l'applicazione di misure coercitive per reati aggravati ai sensi del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 7 e le condanne per reati della stessa natura, fondate, tra l'altro, sulle convergenti dichiarazioni di piu' collaboratori di giustizia. Con riferimento alle statuizioni ablative dei beni, tutti ritenuti nella disponibilita', diretta o indiretta, (OMISSIS), in risposta ai motivi di appello, la Corte di appello ha formulato le seguenti considerazioni. - La confisca della " (OMISSIS) S.r.l." non risultava preclusa dalla definitivita' del decreto del 3 aprile 2009, con cui era stata rigettata analoga proposta patrimoniale sul presupposto che la societa' fosse sorta in data 5 luglio 2006 e che la sua costituzione avesse comportato una spesa limitata ad Euro 10.000,00, pari al capitale sociale. Erano, infatti, emersi elementi nuovi ed ulteriori sia dal procedimento scaturito dall'operazione cosiddetta "(OMISSIS)", definito dalla sentenza del Tribunale di Reggio Calabria del 30 settembre 2016, confermata sul punto nel giudizio di appello, sia dagli accertamenti patrimoniali espletati dalla Guardia di Finanza. In particolare, l'accertata permanenza di (OMISSIS) al vertice dell'omonima cosca di âEuroËœndrangheta anche in epoca successiva al 2009 aveva reso possibile sia formulare un giudizio di "pericolosita' esistenziale" del proposto sia includere la societa' confiscata nel novero delle "imprese di proprieta' del mafioso" per essere nella piena disponibilita' di "un soggetto che ha sempre operato nel medesimo settore merceologico, con le modalita' tipiche dell'agire mafioso". - La somma di Euro 148.906,65 - saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), in essere presso (OMISSIS), agenzia n. (OMISSIS), intestato a (OMISSIS) - non poteva essere ricondotta al prezzo ricevuto dalla (OMISSIS) per la vendita di beni immobili - a lei pervenuti a seguito di atti di liberalita' dei propri genitori - effettuata nel 2005, perche' il citato conto corrente era stato acceso in epoca molto successiva, esattamente il 26 marzo 2013, circa otto anni dopo che la (OMISSIS) aveva incassato il corrispettivo della compravendita immobiliare. - Le unita' immobiliari site in via (OMISSIS), censite in catasto al foglio (OMISSIS) e l'autovettura Audi S3 targata (OMISSIS) erano state acquistate da (OMISSIS), alla luce della relazione del Dott. (OMISSIS) e degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, con liquidita' incongrue rispetto a quelle di lecita provenienza non potendosi considerare tali le somme erogate in suo favore dall'impresa mafiosa " (OMISSIS) s.r.l.": - Non e' stata dimostrata la provenienza lecita della somma di Euro 24.789,24 - saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), in essere presso (OMISSIS), agenzia n. (OMISSIS), intestato a (OMISSIS), figlia convivente del proposto - atteso il tempo trascorso (circa dodici anni) tra i versamenti nel conto e la data in cui la madre dell'intestataria ha beneficiato degli introiti leciti asseritamente trasferiti alla figlia. 2. Ricorrono, con un unico atto a firma dei difensori nonche' procuratori speciali avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), il proposto (OMISSIS) nonche' i terzi interessati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo (OMISSIS) deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1 e 4. Lamenta che la Corte di appello abbia limitato il giudizio di pericolosita' sociale al periodo che va dal 30 luglio 2009 al maggio 2011 senza cimentarsi, come sollecitato dalla difesa, sul tema dell'attualita' della suddetta pericolosita' con la specifica indicazione di elementi sintomatici della sua protrazione fino alla data di emissione del decreto emesso dal Tribunale in esito al primo grado del giudizio. Secondo il ricorrente, non rileva il dato che giudice della prevenzione era chiamato a pronunciarsi su una richiesta di aggravamento della misura personale posto che la giurisprudenza di legittimita', anche quella citata a sostegno della Corte distrettuale, impone comunque la valutazione di fatti nuovi che attualizzino la pericolosita' gia' oggetto del pregresso accertamento. 2.2. Con il secondo motivo, (OMISSIS) deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione dell'articolo 649 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Evidenzia che il decreto impugnato ha ritenuto di sovvertire il giudicato formatosi a seguito del rigetto, con il provvedimento del 3 aprile 2009, della proposta di confisca del medesimo bene ritenendo erroneamente applicabile il consolidato principio in forza del qualche nel giudizio di prevenzione il giudicato opera rebus sic stantibus. Nel caso di specie difetta la sopravvenienza di "nuovi elementi di fatto". Infatti, sono tali, alla luce della giurisprudenza di legittimita', solo quelli che incidono specificamente sull'oggetto della valutazione gia' espressa. La Corte di appello ha, invece, considerato rilevante al fine di sovvertire la statuizione irrevocabile di rigetto della confisca, espressamente fondata sulla liceita' dell'acquisto dei beni, il carattere "esistenziale" della pericolosita' del proposto, peraltro desumendolo da un giudizio fondato su un delimitato periodo storico che va dal 30 luglio 2009 al maggio 2011. Ne' a tale errore di diritto puo' sopperirsi valorizzando la natura mafiosa dell'impresa confiscata sol perche' non oggetto della precedente delibazione. Difettano, comunque, elementi fattuali idonei a retrodatare la pericolosita' del bene all'epoca, l'anno 1969, in cui e' stata costituita l'impresa. 2.3. Con il terzo ed il quarto motivo e' dedotta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 con riferimento sia alla confisca dell'impresa " (OMISSIS) s.r.l." sia alla confisca della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS). Ritengono i ricorrenti che il decreto impugnato sia incappato in un errore di diritto nella misura in cui ha considerato mafiosa la societa' confiscata solo sulla base della ricostruzione storica delle vicende aziendali ed in assenza della prova dell'impiego di metodi mafiosi nell'esercizio dell'attivita' imprenditoriale. E' stata, per di piu', ignorata la tesi difensiva secondo cui la famiglia (OMISSIS) aveva strumentalizzato altre imprese per l'imposizione di forniture di carne. Aggiungono che e' affetta da errore di diritto anche la confisca della somma di Euro 148.906,65. La Corte ha considerato irrilevante l'allegazione relativa alla congruita' dei redditi percepiti dalla (OMISSIS), pretendendo la tracciabilita' delle somme anziche' la dimostrazione della sussistenza della provvista, peraltro considerata di lecita provenienza anche nel precedente decreto. In ogni caso, il conto corrente e' stato acceso in un periodo successivo alla accertata pericolosita' del proposto. 2.4. Con il quinto motivo, formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Secondo la (OMISSIS), erroneamente non sono stati presi in considerazione i redditi elargiti in suo favore dalla " (OMISSIS) s.r.l." perche' pacificamente destinati a compensare la sua lavorativa lecita. Quanto ai redditi percepiti in epoca antecedente al 2010, non e' decisiva l'argomentazione che tali somme dovevano essere destinate all'esigenze di vita quotidiana posto che la (OMISSIS), all'epoca, viveva con il suo nucleo familiare. Per i redditi percepiti in epoca piu' recente e' stato violato il principio in forza del quale il terzo interessato non ha un onere di giustificazione di carattere reddituale anche perche' nei suoi confronti non era nemmeno operativa la presunzione semplice di derivazione illecita dei redditi dal proposto in ragione del rapporto di parentela aveva costituito un suo nucleo familiare autonomo dal padre. 2.5. Con il sesto motivo, formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Secondo la ricorrente il decreto impugnato non ha ritenuto rilevante la giustificazione sulla provenienza della somma di denaro depositata nel conto corrente pretendendo l'assolvimento di un onere di tracciamento e non accontentandosi dell'allegazione sulla capienza delle disponibilita' economiche del soggetto, (OMISSIS), che aveva effettuato l'elargizione in suo favore 3. Con memoria tempestivamente depositata, a firma dell'avv. (OMISSIS) la difesa dei ricorrenti, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, ha ribadito la fondatezza delle censure sviluppate nell'atto di impugnazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va, in premessa, ricordato che ai sensi della L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, L. n. 575 del 1965, articolo 3-ter, comma 2, il cui testo e' oggi trasfuso rispettivamente nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3, e nell'articolo 27, comma 2, avverso il decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali "e' ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato e del suo difensore". Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, questa formula fa escludere che il ricorrente possa dedurre il vizio di motivazione previsto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). In subiecta materia, pertanto, con il ricorso per cassazione e' possibile denunciare, oltre alla "mancanza assoluta" della motivazione, soltanto un difetto di coerenza, di completezza o di logicita' della stessa, tale da farla di fatto ritenere "apparente" e inidonea a rappresentare le ragioni della decisione in violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 2. Non puo' essere, invece, proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365). 2. Tanto posto ritiene il Collegio che i ricorsi siano fondati nei termini chiariti nel prosieguo. 2.1. Il primo motivo, relativo all'aggravamento della misura personale nei confronti di (OMISSIS), non e' consentito nella parte in cui censura l'apparato motivazionale, mentre e' privo di pregio laddove denunzia violazione di legge. La Corte territoriale si e' conformata all'orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui, nell'ipotesi di aggravamento della misura di prevenzione personale, non si deve procedere "ex novo" al giudizio di pericolosita', risultando quest'ultima gia' definitivamente accertata in sede applicativa della misura, bensi' dovendo concentrarsi la valutazione sui "fatti nuovi" indicati a sostegno dell'accresciuta pericolosita' (Sez. 5, n. 16790 del 19/02/2018, R., Rv. 272866 01). Non rilevano in senso contrario i principi affermati dalle Sezioni unite nella sentenza n. 111 del 30/11/2017, ric. Gattuso, secondo cui, ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione, nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, e' necessario accertare il requisito della "attualita'" della pericolosita' del proposto in quanto enunciati con riferimento al momento applicativo della misura di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Nel peculiare caso di "aggravamento", ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 11, di una misura di prevenzione personale disposta nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a), anche se rimasta sospesa per effetto di periodi di detenzione, non occorre rivalutare la permanente validita' nel caso concreto della presunzione semplice relativa alla stabilita' del vincolo associativo, gia' definitivamente accertata in sede applicativa. Il giudice della prevenzione deve, invece, come nelle altre ipotesi di pericolosita', qualificata o generica, procedere ad un "aggiornamento" del giudizio di pericolosita', prendendo in esame ulteriori elementi, che possono consistere in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti ovvero in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti gia' emessi, che comportino un giudizio di maggiore gravita' della pericolosita' stessa e di inadeguatezza delle misure precedentemente adottate (Sez. 1, n. 47233 del 15/07/2016, Di Gioia Rv. 268175 - 01; Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, Galdieri, Rv. 245176). E' sufficiente anche la commissione anche di un unico reato, dopo l'applicazione della misura, a condizione che si tratti di un fatto che si connoti per una gravita' tale da ledere di per se' l'ordine e la sicurezza pubblica (Sez. 6, n. 52204 del 03/10/2018, D'Agnillo, Rv. 274291 - 01). Nella prospettiva imposta dai delineati principi, la Corte territoriale ha evidenziato che, dopo l'applicazione della misura di cui e' stato chiesto l'aggravamento, sono stati acquisti ulteriori elementi probatori - gia' posti a fondamento dell'affermazione della responsabilita' penale per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. ed alcuni reati fine sia in primo che in secondo grado, tra cui le convergenti dichiarazioni di piu' collaboratori di giustizia, opportunamente richiamate per saggiarne la consistenza - ampiamente dimostrativi della protrazione della partecipazione all'omonima cosca, con il medesimo ruolo apicale, di (OMISSIS) - gia' gravato da due condanne irrevocabili per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. con riferimento agli anni precedenti - anche per il periodo dal 30 luglio 2009 sino al maggio 2011, oltre alla consumazione da parte del proposto di una pluralita' di reati fine nell'interesse del sodalizio. La Corte ha, quindi, desunto l'attualita' della pericolosita' di (OMISSIS) alla persistenza nel tempo, per piu' decenni, delle sue scelte criminali, peraltro rimaste ferme nonostante periodi di detenzione, ed al mantenimento, per un periodo di tempo altrettanto lungo, di un ruolo di vertice nel sodalizio senza mai realizzare condotte sintomatiche di un allontanamento dal contesto associativo o comunque significative di una inversione di rotta nello stile di vita. Si tratta di motivazione, tutt'altro che apparente, ma completa ed esauriente attesa l'ampiezza delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per rispondere ai rilievi difensivi anche con riguardo al profilo dell'attualita' della pericolosita'. 2.2. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, relativi alla posizione di (OMISSIS) in relazione alla confisca dell'impresa " (OMISSIS) s.r.l." e della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste. Non sussiste la dedotta violazione del giudicato formatosi a seguito dell'irrevocabilita' del provvedimento, in data 3 aprile 2009, di rigetto della proposta di confisca dei beni formalmente intestati alla (OMISSIS). In sede di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali - pur avendo il provvedimento di merito che definisce il grado di giudizio, pacificamente, natura di sentenza, in quanto incidente su diritti soggettivi con aspirazione di definitivita' (Sez. Un. 600 del 29.10.2009, dep. 2010, gia' citata) - la tradizionale nozione di "giudicato" subisce degli adattamenti correlati al particolare oggetto del giudizio, rappresentato dalla ricostruzione della "condizione" di pericolosita' del proposto (con aderenza alle classificazioni tipizzate a tal fine dal legislatore) e dall'analisi dei profili patrimoniali correlati a tale primario accertamento. Trattandosi di una valutazione composita dell'agire di un soggetto - e non della verifica compiuta della singola condotta - si ritiene, a partire da Sez. Un. 18 del 1996, ric. Simonelli, che in sede di prevenzione la preclusione derivante dal giudicato opera sempre' rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosita' ove sopravvengono nuovi elementi indiziari - non precedentemente noti - che comportino una valutazione di maggior gravita' della pericolosita' stessa e un giudizio di inadeguatezza delle misure in precedenza adottate. In puntuale applicazione dei ricordati principi, la Corte di appello ha valorizzato alla stregua di elementi nuovi le emergenze probatorie del procedimento definito in secondo grado dalla Corte di Appello con la sentenza in data 20 settembre 2019. Al riguardo, ha osservato che la accertata permanenza di (OMISSIS) al vertice dell'omonima cosca di ndrangheta anche in epoca successiva al 2009, giustifica il superamento del precedente accertamento del 2009 sotto un duplice profilo: da una parte, consente di formulare un giudizio di maggiore pericolosita' sociale, estesa - tenuto conto anche delle condanne per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. del 9 febbraio 2001 e del dicembre 2013 - all'intero percorso esistenziale del proposto (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli Rv. 262605 - 01; Sez. 2, n. 40778 del 02/11/2021, Fasciani, Rv. 282195 - 01), dall'altro, consente di qualificare come "impresa mafiosa" tutte le attivita' imprenditoriali riconducibili a (OMISSIS), nel settore del commercio di carni, inclusa la " (OMISSIS) s.r.l.", impresa che, come risulta dagli accertamenti patrimoniali espletati dalla Guardia di Finanza, pur essendo stata formalmente costituita solo nel 1996 (con un capitale sociale di Euro 10.000, ritenuto con il decreto del 3 aprile 2009 compatibile con le risorse di cui la (OMISSIS) aveva la disponibilita') ha continuato a svolgere la medesima attivita' imprenditoriale di commercio di carni gia' esercitata, nella medesima sede di via (OMISSIS), dai (OMISSIS) sin dal 1969. D'altra parte, che " (OMISSIS) s.r.l." abbia sempre fatto parte della holding di imprese utilizzate da (OMISSIS) per operare, anche nell'interesse della cosca di appartenenza, con metodo mafioso nel settore del commercio al dettaglio di carni mediante l'imposizione di forniture con minacce e intimidazioni ai dettaglianti e' circostanza non solo non affrontata con il citato decreto del 3 aprile 2009 ma che la Corte di appello, in conformita' alle valutazioni del Tribunale, ha desunto sia dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel procedimento definito con la sentenza del 9 febbraio 2001 sia dalle dichiarazioni rese dall'imprenditrice (OMISSIS) (che gestiva esercizi commerciali nella zona di competenza dei (OMISSIS)), richiamate nella sentenza emessa dal Tribunale in data 30 settembre 2016. Sulla base degli esaminati nuovi elementi fattuali l'affermazione del provvedimento impugnato che "tutte le imprese riconducibili a (OMISSIS), senza alcuna esclusione, siano nate e siano rimaste sul mercato sino all'attualita' con modalita' mafiose" o quanto meno "sfruttando il potere mafioso della cosca (OMISSIS) per sbaragliare la concorrenza, per imporsi sul mercato, per procurarsi clienti, con totale alterazione delle regole della libera concorrenza, finendo per operare nella zona di competenza in posizione sostanzialmente monopolistica" non puo' essere definita apodittica o del tutto disancorata dalla piattaforma probatoria ma, a tutto concedere, illogica, vizio quest'ultimo non censurabile in questa sede. Sul piano giuridico, il ragionamento della Corte e' ineccepibile: laddove un'impresa, come " (OMISSIS) s.r.l.", venga utilizzata come strumento di realizzazione sul territorio degli interessi economici del sodalizio criminale, e' pienamente legittima la confisca dell'azienda e del suo patrimonio, a prescindere dalla eventuale origine formalmente lecita dei beni stessi, trattandosi di un'attivita' strutturalmente inquinata dagli interessi e dall'intimidazione mafiosa (Sez. 5, n. 32688 del 31/01/2018, Rv 275225), attivita' che, se successiva alla costituzione di essa, non permette piu' di differenziare i beni di genesi lecita da quelli di origine illecita, contribuendo ad una espansione e a un consolidamento della societa', con ruolo di primazia che, in difetto, non si sarebbe ravvisato. In conclusione, la " (OMISSIS) S.r.l." - la cui sostanziale riconducibilita' al proposto (OMISSIS) non e' mai stata contestata e' suscettibile di ablazione sia come incremento patrimoniale del nucleo familiare verificatosi durante la pericolosita' esistenziale di (OMISSIS) sia come impresa mafiosa. 2.2.1. Il discorso giustificativo a sostegno della confisca della somma di Euro 148.906,65, saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) non e' ne' apparente ne' frutto di errore di diritto. La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 comma 1, prevede la confisca dei beni "riferibili" al soggetto pericoloso, anche se formalmente intestati a terzi. La condizione del titolare, in tesi di accusa solo "formale" del bene, e' oggetto di particolare protezione da parte dell'ordinamento, nel senso che al fine di pervenire alla ablazione patrimoniale (con sacrificio del diritto di proprieta', qualificato come apparente) spetta alla parte pubblica l'onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacita' reddituale del soggetto nonche' della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre e' riconosciuta al proposto la facolta' di offrire prova contraria (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606 - 01). Il titolare formale puo', quindi, limitarsi ad allegare circostanze di fatto che appaiano tese a convalidare la "coincidenza" tra l'intestazione formale e l'impiego di risorse proprie o comunque "diverse" da quelle provenienti dal soggetto pericoloso (dunque la "realta'" dell'acquisto). Peculiare e' la posizione in cui versa il terzo, come la (OMISSIS), legato da rapporti di coniugio e convivenza con il proposto. In applicazione della massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell'ambito dell'unita' familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2, ha previsto specifiche presunzioni relative di fittizia intestazione di beni in capo al proposto di beni formalmente intestati a familiari. In ogni caso, e' pacifico che tale tipo di relazioni qualificate tra terzo e proposto costituisce sempre circostanza di fatto significativa li' dove il familiare risulti sprovvisto di effettiva capacita' economica (da ultimo Sez. 6, n. 14600 del 16/02/2021, Rv. 281611 - 01). Il familiare del proposto puo' sempre giustificare la disponibilita' esclusiva del bene del quale e' chiesta la confisca o la proporzione tra tale bene e le sue attivita' economiche allegando la provenienza lecita delle risorse finanziarie. Nel caso specifico della somma di Euro 148.906,65, l'allegazione della (OMISSIS) - ossia la derivazione del denaro dalla vendita di beni immobili a lei pervenuti a seguito di atti di liberalita' dei propri genitori - e' stata valutata, con motivazione esaustiva, non idonea allo scopo. La Corte territoriale ha osservato che, a prescindere dall'assenza di documentazione attestante il versamento alla (OMISSIS) delle somme sborsate dagli acquirenti degli immobili di sua proprieta' nel 2005, il rilevantissimo arco temporale di otto anni trascorso tra l'introito e l'apertura del conto corrente a lei intestato (il 26 marzo 2013) dove si trovava depositata la somma di denaro al momento del sequestro, in assenza di altre produzioni atte a colmare il vuoto conoscitivo, costituisce un ostacolo insuperabile per considerare il prezzo delle vendite immobiliari quale provvista utilizzata per i versamenti nel conto corrente. 2.3. Il quarto motivo, relativo alla valutazione delle somme elargite dalla " (OMISSIS) s.r.l." in favore di (OMISSIS) - oltre ad essere formulato in termini estremamente generici che impediscono di comprendere l'effettiva rilevanza della denunciata omissione di calcolo nel giudizio di proporzionalita' e adeguatezza delle risorse riconducibili alla sola (OMISSIS) rispetto a quelle impiegate per l'acquisto dei beni di cui e' stata disposta la confisca - non si confronta con il nucleo centrale del percorso argomentativo seguito dal provvedimento impugnato che, sulla scorta degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza e delle relazioni degli amministratori giudiziari, ha giustificatamente escluso il versamento di somme dalla " (OMISSIS) s.r.l." (OMISSIS) a titolo di retribuzione correlata alla sua attivita' di lavoratrice dipendente prevendendo alla diversa conclusione che tali somme costituivano, quasi integralmente, redditi di impresa. Al riguardo, la Corte di appello ha osservato che sin dalla costituzione di " (OMISSIS) s.r.l." la macelleria era stata gestita come un'impresa familiare (in cui erano coinvolti, formalmente quali dipendenti, i figli del proposto (OMISSIS) e (OMISSIS)) e che, per quanto la carica di qualita' di amministratore unico della societa' risultava attribuita a (OMISSIS), l'attivita' imprenditoriale di fatto era stata sempre esercitata da (OMISSIS), solo formalmente assunta come banconista. 2.4. Il quinto motivo, relativo alla confisca della somma di denaro di Euro 24.789,24, costituente il saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) intestato a (OMISSIS), oltre a riproporre le argomentazioni giuridiche erronee gia' esaminate a proposto della confisca della somma di Euro 148.906,65 operata ai danni di (OMISSIS) (vedi par. 2.2.1.), contiene la denunzia di vizi motivazionali non sindacabili in questa sede. Nell'escludere la fondatezza della prospettazione difensiva, fondata sulla consulenza tecnica del Dott. (OMISSIS), secondo cui la giacenza del conto corrente derivava da elargizioni operate in favore di (OMISSIS) da parte della madre (OMISSIS) nel gennaio 2016 con provviste provenienti da donazioni risalenti agli anni 2004 e 2005, la Corte di appello ha, tutt'altro che illogicamente, osservato che i versamenti nel conto corrente, in assenza di documentazione bancaria a supporto ed in considerazione del tempo trascorso (circa dodici anni), non potevano in alcun modo essere considerati il reimpiego degli introiti leciti. 3. Al rigetto consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica di Caltanissetta; nel procedimento nei confronti di (OMISSIS), nato a (OMISSIS); Avverso l'ordinanza del 02/02/2023 del Tribunale del riesame di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Andrea Nocera; letta la requisitoria del Sostituto procuratore generale presso questa Corte di cassazione, Luigi Orsi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza, in accoglimento del ricorso; Lette le memorie difensive presentate dal difensore di fiducia di (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 2 febbraio 2023, il Tribunale di Caltanissetta in sede di riesame cautelare, rigettava l'appello del pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Caltanissetta avverso il provvedimento del Gip del Tribunale di Caltanissetta del 22.12.2022 con la quale veniva rigettata la richiesta di applicazione di misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui all' articolo 110, articolo 603-bis c.p., commi 1, 2, 3 e 4. La contestazione per la quale e' stata formulata richiesta di applicazione della misura cautelare personale nei confronti del (OMISSIS), ha ad oggetto il reato di concorso, in qualita' di titolare e legale rappresentante della omonima ditta individuale operante nel settore della coltivazione di alberi da frutta, nel reato di illecita intermediazione e sfruttamento di lavoratori extracomunitari, con regolari permessi di soggiorno, reclutati da una consorteria criminale organizzata facente capo a (OMISSIS), per essere destinati al lavoro nelle campagne limitrofe a fronte di paghe irrisorie e con orari stremanti, approfittando delle loro condizioni di indigenza, presso aziende agricole del nisseno e dell'agrigentino i cui titolari trattavano direttamente con l'organizzazione criminale il compenso da corrispondere ai lavoratori. 1.1. La condotta concorsuale del (OMISSIS), nel reato contestato si sarebbe sostanziata nell'aver assunto o comunque utilizzato o impiegato la manodopera straniera reclutata attraverso l'attivita' di intermediazione illecita operata dai sodali dell'organizzazione criminale nei fondi di proprieta' e disponibilita', sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittamento del loro stato di bisogno. In particolare, al (OMISSIS), (ed al fratello con il quale gestiva l'attivita' imprenditoriale) veniva contestata la condotta di aver corrisposto ai lavoratori impiegati, per 8 ore di lavoro al giorno, senza pausa (se non una per il pranzo) e spesso senza riposo settimanale un salario di circa 40 Euro giornalieri, da cui veniva decurtata una parte per la intermediazione illecita, in misura inferiore a quello minimo fissato dai contratti collettivi nazionali o territoriali, nel non aver fornito ai lavoratori i dispositivi di protezione individuale, nel non averli formati e informati dei rischi in cui incorrevano nello svolgimento dell'attivita' lavorativa, nell'averli fatti lavorare in precarie condizioni igienico-sanitarie e minacciati, per il tramite degli intermediari, in caso di prestazioni lavorative non soddisfacenti, di non corrispondere loro il compenso o di perdita di future occasioni di impiego. Posto che, come ricostruito dal pubblico ministero, attraverso le dichiarazioni rese da (OMISSIS), fratello dell'imputato, nella gestione dell'impresa familiare era costui che si occupa del reclutamento della manodopera, il compendio indiziario a suo carico si fonderebbe sulla attivita' di intercettazione di conversazioni e sui servizi di geo-localizzazione e controllo, che dimostrerebbero l'impiego dei lavoratori stranieri nell'attivita' di coltivazione. 1.2. Il Tribunale di Caltanissetta, condividendo le valutazioni del Gip, ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all'articolo 603-bis c.p. in assenza di prova delle necessarie condizioni dello sfruttamento e di approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori. In particolare, ha valutato insufficiente il contenuto delle conversazioni captate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alle condizioni economiche di impiego dei lavoratori ed al versamento del prezzo per l'intermediazione distratto dalla paga giornaliera concordata. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Caltanissetta propone ricorso il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, con due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, dopo avere ricostruito il compendio probatorio posto a base della richiesta cautelare, riportando le conversazioni captate relative a (OMISSIS), il pubblico ministero ricorrente deduce la mancanza o illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato, deducendo che il Tribunale si sarebbe limitato a condividere le valutazioni del diniego di applicazione della misura cautelare espresse dal Gip (che originariamente l'aveva erroneamente disposta nei confronti di (OMISSIS)), in ordine alla carenza di prova circa lo sfruttamento della manodopera illecitamente impiegato e la consapevolezza della "trattenuta" da parte degli intermediari sulla paga corrisposta ai lavoratori, "senza addurre alcuna argomentazione a sostegno". 2.2. Con il secondo motivo deduce, ancora, il vizio della contraddittorieta' della motivazione in relazione alla omessa valutazione della continuita' della attivita' di intermediazione svolta dal gruppo facente capo al (OMISSIS), in favore del (OMISSIS), comprovata dai colloqui telefonici intercorsi tra giugno e settembre del 2020 e dalle dichiarazioni rese da alcuni operai che avevano lavorato presso la ditta dei fratelli (OMISSIS). 2.3. Il Procuratore della Repubblica deduce, infine, la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 c.p.p., lettera c), ovvero il pericolo concreto e attuale che l'indagato, se lasciato in liberta' e comunque non sottoposto a limitazioni o controlli possa commettere delitti della stessa specie. CONSIDERATO IN DIRITTO 2. Occorre premettere che, in tema ci' misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimita', in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito (ex plurimis, Sez. 2, n. 27866 del - 17/06/2019. Mazzelli Marco, Rv. 276976 - 01). Il controllo di logicita', peraltro, deve rimanere "all'interno" del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l'ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne' alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e' stata chiesta l'applicazione della misura, nonche' al tribunale del riesame. Il controllo di legittimita' e', percio', circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimita': 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza di illogicita' evidenti, risultanti cioe' prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruita' delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. 3. Giova, inoltre, evidenziare che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 603-bis c.p., la mera condizione di irregolarita' amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non puo' di per se' costituire elemento valevole da solo ad integrare la fattispecie, caratterizzata, al contrario, dallo "sfruttamento" del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio. (Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961 - 01, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' del "caporale" e del datore di lavoro, essendo lo sfruttamento evincibile dalla penosa situazione personale e abitativa degli extracomunitari, dalla durata oraria della prestazione, svolta senza dotazioni di sicurezza e corsi di formazione e senza fruizione del riposo settimanale, nonche' dall'entita' della retribuzione, decurtata sensibilmente per spese affrontate dal datore di lavoro; Sez. 4, n. 49781 del 9/10/2019, Kuts Olena, Rv. 277424 - 01). 4. Nella ricostruzione del quadro indiziario relativo al concorso dell'imprenditore nel reato di sfruttamento di manodopera offerto dal Procuratore della Repubblica difetta l'emergenza di tale necessaria condizione di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, nei termini sopra descritti, risolvendosi la condotta ascritta al (OMISSIS), nella mera utilizzazione per l'attivita' della sua azienda di manodopera reclutata dal Bonou, senza provvedervi attraverso canali istituzionali. 4.1 La carenza dell'elemento strutturale dello sfruttamento delle condizioni dei lavoratori e' stata rilevata dal Tribunale del riesame e posta a fondamento del rigetto dell'appello del pubblico ministero. Con motivazione congrua ed immune da vizi logici, il Tribunale ha ritenuto che il semplice ricorso all'utilizzazione di manodopera illecitamente reclutata "non e' una condotta sussumibile nel reato di cui all'articolo 603 c.p. ne' integra altra fattispecie penale", non essendo piu' prevista dalla legge come reato la mera somministrazione di manodopera. Inoltre, quanto alle condizioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori impiegati, il Tribunale ha valutato insufficiente il compendio intercettivo che vede coinvolto quale interlocutore il (OMISSIS). Dal contenuto dei dialoghi e delle richieste rivolte dall'imprenditore al (OMISSIS), non emergerebbe la prova, secondo i giudici della cautela, "dell'eventuale ritorno di tali somme di denaro all'impresa agricola gestita dai (OMISSIS), ma addirittura mancano elementi indiziari da cui poteri desumere che (OMISSIS), fosse financo a conoscenza della "cresta" operata dal mediatore". In particolare, nei colloqui telefonici analizzati, sinteticamente riportati nell'ordinanza, emerge la semplice preoccupazione del (OMISSIS), circa i controlli di polizia fatti presso la propria azienda agricola e la richiesta di ricercare la documentazione attestante i pagamenti delle giornate espletate dai braccianti agricoli avviati (progr. 58 del 25 giugno 2020), mentre nelle successive conversazioni del 14 settembre 2020 e del 28 settembre 2020 le richieste del LO VULLO riguarda il semplice impiego di manodopera senza riferimenti alle condizioni di lavoro tali da far emergere il loro sfruttamento. 5. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/02/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo udito il difensore. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 4.2.2022 la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), che le aveva dichiarate colpevoli dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale per sottrazione/omessa tenuta delle scritture contabili. 2.Ricorrono per cassazione entrambe le imputate, tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, disp. att. c.p.p., comma 1. 3.11 ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), deduce quattro motivi. 3.1. Col primo motivo deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. In particolare, nel caso di specie non e' integrato il reato di bancarotta documentale in quanto manca il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, non evincibile se solo si considera il circoscritto lasso di tempo in cui l'imputata ha rivestito il ruolo di socia accomandataria. L'elemento soggettivo del reato di bancarotta distrattiva va colto nella consapevole volonta' di imprimere al patrimonio sociale una diversa destinazione rispetto alle finalita' dell'impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. Diversamente, dalla documentazione acquisita non emergono elementi per attribuire alla ricorrente nel breve periodo - dal (OMISSIS) - in cui ha ricoperto la carica di socio accomandatario un concorso morale e materiale nella produzione dell'evento dannoso e nella consumazione del reato contestato, potendosi a lei riferire al piu' una condotta negligente ed imprudente, avendo di fatto ella continuato ad essere unicamente socia senza gestire concretamente la societa'. Quanto all'elemento oggettivo della bancarotta distrattiva di merci per il valore complessivo di Euro 133.400,00, esso e' stato tratto sulla base di un documento indicato come rendiconto al 31.12.2010, privo di sottoscrizione e di data, comunque non idoneo a dimostrare la distrazione ne' che la essa sia avvenuto in danno dei creditori e a vantaggio dell'imputata che si dichiara invece non possidente. 3.2.Col secondo motivo deduce l'erronea applicazione di legge lamentando la erronea qualificazione del fatto, che andava ricondotto al piu' all'ipotesi della bancarotta semplice. 3.3.Col terzo motivo deduce la nullita' della sentenza impugnata emessa in violazione degli articoli 133 e 62-bis c.p.. 3.4.Col quarto motivo deduce l'erronea applicazione di legge in relazione all'articolo 133 c.p., lamentando l'eccessivita' della pena, determinata nella misura inflitta senza indicazione dell'iter logico-giuridico seguito. 4.11 ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deduce quattro motivi. 4.1.CoI primo motivo deduce la erronea applicazione di legge con riferimento ad entrambi l'reati ravvisati. Innanzitutto, si evidenzia che l'imputata, appartenendo al nucleo familiare impegnato nell'attivita' non ha apportato alcun contributo materiale e morale nella produzione dell'evento dannoso e nella consumazione del reato contestato; nel caso di specie e' al piu' ravvisabile un comportamento negligente, non intenzionale della ricorrente. Peraltro, la sentenza impugnata e' carente anche nell'individuazione degli elementi di fatto che deporrebbero per l'attribuzione alla (OMISSIS), della qualifica di amministratrice di fatto, laddove ella era solo una componente del nucleo familiare operante nell'attivita', quale madre di (OMISSIS), e mera socia accomandante. Quanto alla bancarotta distrattiva, i beni sottratti sono stati desunti da un rendiconto al (OMISSIS) che non puo' costituire prova documentale in quanto atto non sottoscritto ne' alla stregua di esso si puo' affermare che i beni che si assumono distratti siano stati effettivamente nella disponibilita' della societa' ne' si capisce se le cifre indicate si riferiscano ai prezzo di costo o al valore di mercato. In ogni caso difetta l'elemento soggettivo ossia la volonta' di sottrarre i beni. 4.2.Col secondo motivo deduce che la condotta ascritta a titolo di bancarotta fraudolenta documentale avrebbe dovuto essere riqualificata come bancarotta semplice. 4.3.Col terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonostante il comportamento ampiamente collaborativo avuto dall'imputata col curatore. 4.4.Col quarto motivo lamenta che l'eccessivita' della pena, a fronte della tenuita' del fatto e della scarsa pericolosita' dell'imputata, non sia stata oggetto di adeguata giustificazione. 5. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno cosi' concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; i difensori delle imputate hanno insistito nell'accoglimento dei rispettivi ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi sono, nei loro, complesso inammissibili per manifesta infondatezza. Non ricorrono i vizi della motivazione e le violazioni di legge denunciati. Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicita' di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilita' di apprezzamento e valutazione (v. per tutte, Cass., Sez. IV, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimita'; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espresse dai ricorrenti - in termini analoghi in entrambi i ricorsi - benche' prospettati come vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell'orbita delle censure di merito, sicche', consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono, per altro verso, inammissibili - anche - ai termini dell'articolo 606 c.p.p., comma 3. In altri termini i motivi sono indeducibili nella presente sede perche' oltre che portati esclusivamente sulla valutazione del compendio probatorio, non gia' evidenziando effettive illogicita' o contraddittorieta' dei discorso giustificativo, ma semplicemente invocandone uno di segno diverso quanto a qualificazione del fatto e a valutazione dell'elemento soggettivo, si fondano su censure costituenti mera reiterazione di quelle svolte in appello e qui pedissequamente riproposte senza un effettivo confronto con la sentenza impugnata che ha gia' fornito risposte esaurienti rispetto ad esse. Essi verranno quindi trattati congiuntamente, salvo ad effettuare le specificazioni necessarie relative a ciascuna posizione. 1.1. Quanto al primo e al secondo motivo svolti nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS), va innanzitutto evidenziato che e' pacifico che la sottrazione (o occultamento) delle scritture contabili, per la cu sussistenza e' necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilita' degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisca una fattispecie autonoma (alternativa), in seno alla L. Fall., articolo 216, comma 1, lettera b), rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili, effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi; e che la fattispecie ascritta nel caso di specie e' quella della sottrazione delle scritture contabili che richiede lo "scopo di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori", che si traduce nel profilo soggettivo del dolo specifico richiesto ai' fini dell'integrazione del reato. Altrettando pacifico e' che ai fini dell'integrazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sia sufficiente, invece, il dolo generico. Cio' posto, si osserva che nella sentenza impugnata sono stati riportati gli elementi da cui si e' desunta la sussistenza sia dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo dei reati ravvisati. Si e' dato innanzitutto atto che l'imputata (OMISSIS), unitamente alla madre (OMISSIS), con la quale gestiva - per stessa ammissione delle imputate al curatore - il punto vendita della societa' in accomandita semplice, (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS), occupandosi entrambe degli adempimenti contabili, dei rapporti con le banche e coi fornitori e di quant'altro concernente la vita aziendale - di cui la (OMISSIS), era soda accomandataria dal (OMISSIS), subentrata alla sorella (OMISSIS), a sua volta subentrata al padre, e la (OMISSIS), la soda accomandante/amministratrice di fatto e, dal (OMISSIS), liquidatrice - non hanno consegnato le scritture contabili in un contesto in cui e' stata accertata la distrazione, in epoca in cui era oramai prevedibile il fallimento, di pressoche' tutti i cespiti aziendali della societa', otre che un significativo passivo. La Corte di appello ha ritenuto accertato che le imputate, nelle rispettive qualita', abbiano concorso nella distrazione di merci riportate nell'inventario al 31 dicembre 2010 per un significativo valore, di cui non si aveva traccia dopo la dichiarazione di fallimento e della cui destinazione nessuno delle due imputate aveva fornito indicazioni; laddove le contestazioni difensive riproposte nella presente sede relativamente ai caratteri formali del documento hanno gia' ricevuto risposta esauriente nelle conformi pronunce di merito, avendo lo stesso tribunale - con ragionamento adeguato e logico ripreso dalla corte di merito - spiegato come quell'atto, contenente l'inventario delle rimanenze, fosse stato prodotto dalla stessa liquidatrice in sede fallimentare unitamente agli altri, pochi, documenti prodotti; a fronte di tale circostanza e' stata quindi ritenuto del tutto generico l'assunto che sulla base di tale documento non potesse essere desunta l'esistenza dei beni per il solo fatto che esso non risultasse sottoscritto; ne' d'altronde nella presente sede si e' obbiettato alcunche' di specifico al riguardo. Rimane dunque da precisare che a fronte di tale ricostruzione a nulla valgono le critiche sulla ricorrenza dell'elemento soggettivo dal momento che l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e' costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non e' necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, ne' lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volonta' di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266805 - 01); non necessita quindi il fine di recare pregiudizio ai creditori ne' quello di conseguire un profitto sicche' del tutto inconferente e' la circostanza rappresentata circa l'impossidenza della (OMISSIS). Quanto alla bancarotta documentale, si rileva che l'intervenuta sottrazione dell'intero impianto contabile e' stato posto in relazione al mancato reperimento dei cespiti della societa' e all'entita' del passivo, che hanno indotto i giudici di merito a ritenere che la mancata consegna delle scritture contabili fosse stata funzionale ad occultare rilevanti passivita' e a disporre in modo incontrollato e incontrollabile del beni societari sottraendoli ai creditori che non hanno infatti potuto rivalersi sugli stessi; e che le imputate abbiano agito con tale intento lo si ricava dalla circostanza che le predette certamente a conoscenza dell'entita' dei debiti maturati dalla societa' si siano disfatte di merci per un valore di 133.400 Euro proprio per evitare che fossero aggredite dai creditori in caso di fallimento a quell'epoca prevedibile, Sulla base di tali considerazioni si e' quindi, correttamente, esclusa la riconducibilita' della condotta alla bancarotta semplice documentale. 2.3. In ordine al diniego delle attenuanti generiche, la Corte di appello, richiamando l'indirizzo giurisprudenziale consolidato sul tema, ha escluso che tale riconoscimento costituisca un diritto per l'imputato, non essendo di per se' rilevante il mero stato di incensuratezza (per la (OMISSIS)), dovendo piuttosto emergere elementi positivi di valutazione; a fronte di tale argomento nulla di specifico viene contro-dedotto nei ricorsi che si limitano a fare riferimento alla tenuita' del fatto e al comportamento delle imputate; laddove peraltro in sede di appello i motivi sul punto erano stati espressi in via del tutto generica. Le circostanze attenuanti generiche hanno, invero, lo scopo di estendere le possibilita' di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entita' del reato e della capacita' a delinquere del reo, sicche' il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2, Sentenza n. 9299 del 07/11/2018 Ud. (dep. 04/03/2019) Rv. 275640 - 01), elementi di segno positivo che devono peraltro essere diversi dall'incensuratezza, non piu' sufficiente, dopo la modifica disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, articolo 62-bis, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, ai fini della concessione dell'attenuante in parola; elementi positivi ulteriori evidentemente non riscontrati nel caso di specie. Parimenti sufficientemente motivata e' la determinazione della pena, della quale la Corte di appello ha sottolineato la prossimita' al minimo edittale (anni tre e mesi sei di reclusione) e quindi la sua adeguatezza rispetto alla fattispecie concreta, contraddistinta dalla pluralita' dei fatti criminosi. La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p.. Anzi, non e' neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta - come nel caso di specie - in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004, Rv. 230278 - 01). Sicche' il terzo e il quarto motivo sono oltre che affetti da genericita' intrinseca risolvendosi le deduzioni svolte in mere asserzioni generiche che nella sostanza si limitano ad affermazioni senza agganci specifici alla situazione concreta delle imputate, sono anche manifestamente infondati, avendo dedotto anche vizi evidentemente insussistente. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - rel. Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CURAMI Micaela S. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/04/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. BIANCHI MICHELE; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GUERRA MARIAEMANUELA, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 29 novembre 2018 la Corte di appello di Torino aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli di reati fallimentari rispettivamente ascritti, condannandoli, ciascuno, alla pena di anni quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali e della incapacita' all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per anni dieci. Con sentenza in data 8 marzo 2021 la Corte di cassazione, sezione quinta, ha annullato la indicata sentenza di appello "limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari", disponendo il rinvio per nuovo giudizio sul punto. Con sentenza in data 6 aprile 2022 la Corte di appello di Torino, quale giudice del rinvio, ha, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ridotto la durata delle pene accessorie fallimentari ad anni tre. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di (OMISSIS)e (OMISSIS), chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. Entrambi i ricorsi, con il primo motivo, hanno prospettato la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 216 L. Fall., nella parte in cui prevede che le pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di imprese commerciali e della incapacita' all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa riguardino qualsiasi attivita', compresa quella di piccolo imprenditore. La norma, nei termini indicati, determina disparita' sociale, lede il diritto al lavoro e di liberta' di impresa. Con il secondo motivo i ricorsi denunciano la violazione degli articoli 132 e 133 c.p. in relazione alla determinazione della durata delle pene accessorie. In ragione delle emergenze processuali, dell'incensuratezza e dell'ineccepibile comportamento processuale degli imputati la durata delle pene accessorie doveva essere piu' mite. Infine, con il terzo motivo i ricorsi denunciano difetto di motivazione della determinazione della durata delle pene accessorie, avendo la sentenza impugnata, da una parte, non considerato i parametri positivi costituiti dall'incensuratezza e dall'ineccepibile comportamento processuale dei ricorrenti e, dall'altra, valutato nella stessa maniera posizioni tra loro differenti. 3. Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO Va dichiarata l'inammissibilita' dei ricorsi per le ragioni di seguito indicate. 1. La questione di legittimita' costituzionale prospettata dalle difese con il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondata. Viene denunciato il contrasto con gli articoli 3, 4, 41 Cost. della norma di cui all'articolo 216 legge fallimentare nella parte in cui prevede pene accessorie che precludono al condannato l'esercizio dell'attivita' di impresa anche con riferimento alla cosi' detta piccola impresa e all'impresa artigiana. La censura, dunque, riguarderebbe il contenuto della pena accessoria, sotto il profilo della sua estensione anche alle attivita' di impresa minori. Si deve rilevare che il tema era stato dedotto nel giudizio costituzionale definito con la sentenza n. 222/2018, sia con l'ordinanza di rimessione ("...La disciplina legislativa censurata violerebbe, d'altra parte, anche l'articolo 4 Cost., risolvendosi in una "ingiustificata, indiscriminata incidenza sulla possibilita' dell'interessato di esercitare il suo diritto al lavoro, non soltanto come fonte di sostentamento ma anche come strumento di sviluppo della sua personalita'"; e susciterebbe dubbi di conformita' a Costituzione anche con riferimento all'articolo 117 Cost., in relazione agli articoli 8 CEDU e 1 Prot. add. CEDU, alla luce della giurisprudenza di Strasburgo, secondo la quale "le limitazioni derivanti dall'applicazione della pena accessoria devono considerarsi quali ingerenze nel godimento del diritto al rispetto della vita privata e, come tali, non soltanto devono essere previste dalla legge e debbono perseguire uno scopo legittimo, ma devono essere proporzionate rispetto a detto scopo, comportando la violazione del divieto di discriminazione nel godimento del diritto al rispetto della vita familiare oltre che una ingerenza nel godimento del diritto di proprieta'" (e' richiamata la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, terza sezione, del 23 marzo 2006, Vitiel/o c. Italia)", sia dall'intervento di una delle parti costituite (" b) l'inusitata ampiezza delle limitazioni che discendono dall'operare della pena accessoria, che - incidendo in senso fortemente limitativo sulla possibilita' dell'interessato di esercitare il suo diritto al lavoro - importerebbe una "drastica e non proporzionata compressione del diritto di iniziativa economica esercitabile anche attraverso l'attivita' di impresa");) il tema non e' stato direttamente esaminato, ma solo in relazione al tema della durata delle pene accessorie, che era il profilo investito del dubbio di legittimita' costituzionale. La questione attiene QI contenuto sanzionatorio delle pene accessorie in parola e quindi, un profilo rimesso alla discrezionalita' delle scelte del legislatore, scrutinabile solo sotto il profilo della ragionevolezza della comparazione compiuta tra interessi di rilievo costituzionale. Nella specie, l'evidente compressione di liberta' riconosciute dalla Costituzione e' connaturata al concetto di pena ed e' funzionale all'esigenza di prevenzione speciale, collegata alla repressione dei reati commessi nell'esercizio dell'attivita' di impresa. Ne segue, dunque, che le pene accessorie in parola risultano frutto di una ragionevole ed incensurabile determinazione del legislatore, che, a fronte del fenomeno della criminalita' di impresa, ha ritenuto di predisporre una risposta sanzionatoria idonea a tutelare la societa' dal pericolo di recidiva specifica. Scelta che, anche grazie all'eliminazione della durata fissa della pena accessoria, va commisurata nella durata e quindi non determina un irragionevole sacrificio di liberta' riconosciute dalla Costituzione. La questione di legittimita' costituzionale dedotta dalle difese risulta, dunque, manifestamente infondata. 2. Con i motivi secondo e terzo i ricorsi propongono censura motivazionale in relazione alla determinazione, in anni tre, della durata delle pene accessorie operata dal giudice del rinvio. A fronte della motivazione della sentenza impugnata - che ha considerato "l'apporto causale da ciascuno offerto, l'entita' del danno cagionato,... l'incensuratezza" - i motivi deducono che dovevano essere considerati le emergenze processuali, l'incensuratezza e l'ineccepibile comportamento processuale degli imputati. Si tratta di argomentazione funzionale a sottoporre al collegio argomenti per una diversa valutazione del merito, al di la' dei limiti del sindacato motivazionale consentito nel giudizio di legittimita'. Le difese, infatti, da una parte, non propongono alcuna censura diretta alla struttura della motivazione del provvedimento impugnato e, dall'altra, valorizzano dati quali il comportamento processuale e l'incensuratezza nella prospettiva di una nuova valutazione di merito. L'ulteriore rilievo relativo ad una equiparazione di posizioni differenti e' generico, in quanto non viene precisato ne' la posizione in comparazione ne' in quali termini la dedotta equiparazione renderebbe manifestamente illogica la motivazione del giudizio formulato nei confronti dei ricorrenti. 3. Va, dunque, dichiarata l'inammissibilita' dei ricorsi, con conseguente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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