Sentenze recenti inadempimento contrattuale

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  • 1 REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto Trasporto spedizione GIACOMO TRAVAGLINO Presidente ENRICO SCODITTI Consigliere - Rel. LINA RUBINO Consigliere PAOLO SPAZIANI Consigliere Cron. R.G.N. 4745/2020 GIOVANNI FANTICINIConsigliere Ud.3/5/2024 PU Cron. R.G.N. 2304/2022 Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 2304/2022 R.G. proposto da: AEROFLOT RUSSIAN AIRLINES, elettivamente domiciliato in Roma Giunio Bazzoni n. 3, presso lo studio dell’avvocato DELLA MARRA TATIANA (DLLTTN65L52A326W) che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro LANZA SALVATORE -intimato- 2 avverso SENTENZA di TRIBUNALE CATANIA n. 4561/2021 depositata il 09/11/2021. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 maggio 2024 dal consigliere ENRICO SCODITTI Fatti di causa 1. Salvatore Lanza convenne in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Catania Aeroflot Russian Airlines s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno perché in data 28 aprile 2019, munito del biglietto aereo Pechino – Mosca - Milano, a causa del ritardo di un’ora nella prima tratta, aveva perso la connessione con il volo per Milano, con conseguente riprotezione su volo successivo ed arrivo con ritardo prolungato (di circa nove ore) alla destinazione finale. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il giudice adito accolse la domanda, con condanna al pagamento della somma di Euro 600,00, a titolo di compensazione pecuniaria, ed Euro 100,00, a titolo di danno morale per l’omessa assistenza. 3. Avverso detta sentenza propose appello la convenuta. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. 4. Con sentenza di data 9 novembre 2011 il Tribunale di Catania, in parziale accoglimento dell’appello, condannò l’appellante al pagamento del solo importo di Euro 600,00. Osservò il Tribunale, premessa l’inapplicabilità sia della Convenzione di Montreal del 1999, mai ratificata dalla Federazione Russa, che del Regolamento Ce n. 261/04, non facendo parte la detta Federazione dell’UE, che trovava applicazione la Convenzione di Varsavia del 1929 (e successive integrazioni), la quale prevedeva la responsabilità del vettore per il caso del ritardo, ma non prevedeva alcuna quantificazione al pari della compensazione economica pecuniaria di cui al Regolamento Ce n. 261/04, e che pertanto, 3 mancando specificazioni nella Convenzione circa il ritardo rilevante, poteva farsi riferimento alla giurisprudenza unionale sul Regolamento, il quale prevedeva una compensazione pecuniaria – una sorta di penale legale analoga a quella di fonte convenzionale - e l’eventuale risarcimento supplementare (art. 12). Aggiunse che, sulla base di quest’ultimo quadro di riferimento, ricorreva l’inadempimento contrattuale rilevante ai sensi anche della Convenzione di Varsavia e che, stante l’inadempimento imputabile, doveva essere riconosciuto il diritto di ottenere la compensazione pecuniaria nella misura liquidata dal Giudice di Pace, anche in applicazione analogica dell’art. 7 del Regolamento Ce n. 261 del 2004, mentre non spettava l’ulteriore risarcimento, in assenza della prova di danni ulteriori, anche di natura morale, rispetto a quelli coperti dalla compensazione pecuniaria e risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c.. 5. Ha proposto ricorso per cassazione Aeroflot Russian Airlines s.p.a. sulla base di quattro motivi. E’ stata depositata memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 7 regolamento CE 261/04, 1223 cod. civ., 19 convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, 12 prel., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il Tribunale ha erroneamente applicato l’art. 7 del regolamento CE fuori dei casi contemplati dall’art. 3 del medesimo regolamento, in luogo dell’art. 1223 c.c., applicabile in base all’art. 19 convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, né, in presenza di altra disposizione applicabile, può farsi applicazione del regolamento CE. 2. Con il secondo motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il Tribunale, riconoscendo il diritto alla compensazione pecuniaria anche in applicazione analogica dell’art. 7 4 del Regolamento Ce n. 261 del 2004, senza esplicitare il significato di “anche”, non ha applicato l’art. 1223, poiché il danno risarcito risulta estraneo ai concetti di danno emergente e lucro cessante. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., 115 e 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che nella decisione impugnata vi è soltanto il riferimento all’inadempimento, ma non anche al danno che ne sarebbe derivato, con violazione delle norme sull’onere della prova, e che la motivazione è pertanto assolutamente carente. 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 2002, 1678, 1681 e 1341 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di valutare l’art. 10 delle condizioni generali di contratto, che prevede quanto segue: «il vettore farà tutto il possibile per portare a termine il trasporto del passeggero e dei suoi bagagli in tempi ragionevoli. Le tempistiche indicate negli orari e altri documenti non sono garantite e non fanno parte del presente documento». 5. I primi tre motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati. Il Collegio, condividendone integralmente la motivazione, dà continuità a Cass. n. 9474 del 2021 (cui sono conformi Cass. n. 27051 del 2021 e n. 34776 del 2023), la quale, in una fattispecie perfettamente sovrapponibile alla presente, anche per ciò che concerneva la motivazione della decisione impugnata, ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di trasporto aereo internazionale, gli artt. 5 e 7 del Regolamento CE n. 261 del 2004, nel prevedere a favore dei passeggeri un ristoro indennitario per il caso di cancellazione del volo (nonché, secondo la giurisprudenza europea, per il caso di ritardo superiore a tre ore), indipendentemente dall'esistenza di un effettivo pregiudizio, configurano una disciplina speciale che si applica, ai sensi dell'art. 3, par. 1, del regolamento medesimo, ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro e a quelli in 5 partenza da un aeroporto situato in un paese terzo con destinazione in un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro, se il vettore aereo operativo è un vettore dell'Unione; pertanto, la suddetta disciplina non è analogicamente estensibile oltre i predetti casi, al di fuori dei quali resta applicabile il principio generale di cui agli artt.1223 e 2697 c.c., secondo cui il debitore inadempiente risponde (solo) dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, mentre il creditore è onerato della prova tanto delle conseguenze dannose quanto del loro collegamento causale con la condotta del debitore, secondo il nesso di cd. causalità giuridica. (nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, in accoglimento della domanda risarcitoria di due passeggeri, aveva ritenuto analogicamente applicabile la disciplina euro-unitaria in un caso in cui il vettore aereo, responsabile del ritardo, proveniva da un paese non facente parte dell'Unione europea). 6. L’accoglimento dei primi tre motivi determina l’assorbimento del quarto motivo. 7. Poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Il giudice del merito ha accertato che non spetta ulteriore risarcimento, in assenza della prova di danni ulteriori, anche di natura morale, rispetto alla compensazione pecuniaria e risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c.. Poiché il ristoro indennitario non spetta, per quanto sopra osservato, resta il giudizio di fatto di inesistenza di danni risarcibili, a parte la detta compensazione. Consegue a tale accertamento il rigetto della domanda. 8. Il consolidarsi della giurisprudenza determinante nel corso dei vari gradi processuali costituisce ragione di compensazione delle spese, sia per i gradi di merito che per il giudizio di legittimità. P. Q. M. Accoglie i primi tre motivi del ricorso, con assorbimento dell’ultimo motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo la 6 causa nel merito, rigetta domanda, disponendo la compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il giorno 3 maggio 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Giacomo Travaglino

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 1013 del 2020, proposto da As. S.p.A. in proprio e nella qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese con la Di Vi. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. Ca. e Gr. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fe. Ca. in Roma, via (...); contro Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. St. e Ma. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Sa. De. in Roma, p.zza (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sezione Prima, 24 ottobre 2019, n. 795, n. 795, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cip Sassari Consorzio Industriale Provinciale di Sassari; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, la società As. S.p.a. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per la Sardegna 24 ottobre 2019, n. 795, che ha respinto il suo ricorso per l'accertamento dell'inadempimento, da parte del Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, di un contratto relativo all'esecuzione di lavori, con la conseguente risoluzione dello stesso e la condanna del Consorzio al risarcimento del danno da inadempimento o, in via subordinata, a titolo di responsabilità precontrattuale. 1.1. Come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, il Consorzio (già Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Sassari - Porto Torres - Alghero) aveva indetto un appalto concorso per la progettazione e costruzione delle infrastrutture relative alla zona di (omissis). Nella lettera di invito si prevedeva che l'importo dei lavori a "forfait globale chiuso" non potesse superare £ 150.000.000.000 (IVA esclusa) e si specificava che "Le opere in oggetto sono prive di finanziamento che verrà richiesto con la presentazione del progetto prescelto nel presente appalto concorso", per cui "soltanto dopo la concessione del finanziamento e il rilascio della concessione edilizia il progetto sarà impegnativo per il Consorzio". 1.2. Con delibera n. 3398 del 22 giugno 1989 era stata adottata l'aggiudicazione provvisoria in favore del raggruppamento temporaneo di imprese con mandataria Di. S.p.a. (odierna As. S.p.a.), specificando espressamente che l'aggiudicazione sarebbe diventata definitiva "solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere", le quali sarebbero state divise in stralci da affidare con successivi contratti, in base ai finanziamenti progressivamente ricevuti. Il che si verificò regolarmente almeno fino alla nota del 2 maggio 2006, prot. n. 1550/5/06, con la quale il Consorzio comunicava al raggruppamento As. la propria volontà di ritirarsi dall'appalto concorso "per contrasto con norme imperative inderogabili e, comunque, per non inidoneità a garantire il corretto perseguimento dell'interesse pubblico attuale". 1.3. Avverso la determinazione del Consorzio, il raggruppamento dapprima si rivolse al giudice ordinario e, successivamente (a seguito della sentenza della Corte di Appello di Cagliari, sezione staccata di Sassari, 26 ottobre 2012, n. 319, che - in riforma della sentenza del tribunale ordinario di Sassari - declino la giurisdizione in favore del giudice amministrativo; e a seguito, anche, della pronuncia della Corte di cassazione, SS.UU. civili, 4 luglio 2017, n. 21199, che ha dichiarato inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto da As.) ha radicato il giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, che ha rigettato integralmente le domande risarcitorie proposte dal R.T.I. As.. 1.4. Il primo giudice - trattenuta la giurisdizione in base alla considerazione che l'oggetto del contendere riguardasse il mancato affidamento al RTI As. dei lavori successivi al quarto stralcio, cioè un profilo relativo alla fase prodromica all'instaurazione del relativo rapporto contrattuale - ha ritenuto infondate tutte le domande della ricorrente sull'essenziale assunto che la lettera di invito, così come le corrispondenti clausole dei contratti relativi ai primi quattro stralci di lavori, e prima ancora la deliberazione del 22 giugno 1989, n. 338 (in cui si precisava che l'aggiudicazione definitiva sarebbe intervenuta solo con il perfezionarsi dei singoli finanziamenti), erano chiare nel considerare "non immediatamente impegnativo" per il Consorzio, rispetto ai singoli lavori in progetto, l'originario rapporto di appalto concorso; e pertanto - come già osservato - non si è mai perfezionato un rapporto contrattuale per la generalità dei progetti facenti parte dell'appalto concorso. Anche la domanda avente ad oggetto la responsabilità precontrattuale è stata rigettata, sia per la genericità della sua formulazione, sia perché - in ragione della loro qualificazione professionale - non sussisterebbe un affidamento incolpevole delle imprese ricorrenti. 2. La società As., rimasta soccombente, ha proposto appello sostanzialmente reiterando i motivi del ricorso di primo grado, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 3. Nella resistenza del Consorzio Provinciale di Sassari, all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Con il primo motivo, l'appellante censura la sentenza in quanto il primo giudice avrebbe errato non solo a non rimettere la questione di giurisdizione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sollevando conflitto negativo di giurisdizione ai sensi dell'art. 11 c.p.a., ma anche ad affermare che la controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva amministrativa. Ribadisce che la vicenda non riguarda la fase prodromica all'instaurazione del relativo rapporto contrattuale, come erroneamente asserito nella sentenza, ma attiene alla fase di esecuzione del contratto posto che la procedura di appalto-concorso indetta dal Consorzio si è conclusa con l'aggiudicazione definitiva della intera progettazione ed esecuzione dei lavori, con la sola condizione che l'esecuzione fosse subordinata alla acquisizione dei finanziamenti. 4.1. Il motivo è infondato. 4.. Come meglio emergerà nel corso dell'esame delle domande risarcitorie, l'appalto concorso indetto con bando dell'8 aprile 1989 e contestuale lettera di invito, si è concluso con la sola aggiudicazione provvisoria, sulla scorta di quanto previsto dalla lex specialis la quale espressamente precisava che "Le opere in oggetto sono prive di finanziamento che verrà richiesto con la presentazione del progetto prescelto nel presente appalto concorso"; soltanto "dopo la concessione del finanziamento e il rilascio della concessine edilizia il progetto sarà impegnativo per il Consorzio". La deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio, n. 383 del 22 giugno 1989 (che ha approvato la conclusione dei lavori della commissione esaminatrice nominata per la valutazione delle offerte), ha correttamente dato atto delle conseguenze derivanti dalle predette norme di gara, dichiarando l'associazione temporanea di imprese con mandataria la Di. (divenuta As. S.p.a.) "aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso", che "diventerà definitiva solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto prescelto". 4.3. Pertanto la controversia instaurata dalla As. ha per oggetto la fase dell'affidamento di un contratto di appalto di lavori (parte del più ampio progetto di lavori), che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lettera e), n. 1, del codice del processo amministrativo. 5. Con il secondo motivo, l'appellante censura la sentenza anche nella parte in cui ha rigettato la domanda di accertamento dell'inadempimento e della conseguente responsabilità contrattuale del Consorzio industriale e risarcimento del danno, sostenendo la inesistenza di un vincolo contrattuale tra le parti. Reitera gli argomenti con i quali ha sostenuto che dall'aggiudicazione dell'appalto concorso discendeva l'affidamento di tutta l'opera oggetto della gara. In particolare, la procedura indetta ed aggiudicata dal Consorzio riguardava la progettazione e la realizzazione dell'intera opera, ferma restando la circostanza che la fase esecutiva sarebbe proseguita per stralci dopo il recepimento dei necessari finanziamenti. La stessa lettera di invito precisava inoltre che l'aggiudicataria "dovrà consentire al Consorzio di utilizzare come cosa propria il progetto per sottoporlo all'Ente finanziatore". Dunque, la lettera di invito non indicava solo che l'opera era priva di finanziamento e che si sarebbe proceduto per stralci, ma anche che oggetto dell'affidamento era costituito dalla progettazione e che il progetto presentato dal vincitore sarebbe stato utilizzato dal CONSORZIO "come cosa propria" per ottenere i finanziamenti necessari all'attività esecutiva. 5.1. In tale prospettiva chiede la corresponsione anche dello specifico compenso per il progetto divenuto di proprietà del Consorzio, che non sarebbe stato interamente pagato (pagamento che era previsto in occasione dell'affidamento dei diversi stralci). 5.2. Sotto altro profilo, l'appellante richiama anche l'art. 33 del Capitolato speciale di appalto (sul deferimento alla competenza arbitrale per le controversie che dovessero sorgere fra la Direzione dei Lavori e l'Appaltatore), osservando come il fatto che il Consorzio si sia sempre difeso, tra l'altro, richiamando la competenza arbitrale prevista dal richiamato art. 33 del capitolato speciale di appalto, presuppone il perfezionamento del vinculum iuris e quindi si controverta in materia di diritti soggettivi (art. 12 del Codice del processo amministrativo), posto che il collegio arbitrale non potrebbe essere chiamato a definire controversie che attengono a interessi legittimi. In tal modo il Consorzio avrebbe mostrato di essere consapevole della definitività dell'intero affidamento e, dunque, del vinculum iuris tra le parti. 5.3. Col terzo motivo, in via subordinata l'appellante impugna la sentenza anche nella parte in cui ha respinto la domanda di condanna del Consorzio alla stipula del contratto, ai sensi dell'art. 2932 del codice civile, che troverebbe la sua base giuridica nella clausola dei contratti stralcio (articolo 5) successivi alla iniziale aggiudicazione dell'appalto concorso, che contempla l'espresso impegno a completare la realizzazione dei restanti lotti, concretizzando l'obbligo a contrarre in capo alla stazione appaltante, condizionato al mero ottenimento dei finanziamenti regionali. Il Consorzio sarebbe venuto meno anche all'obbligo di esecuzione in buona fede (art. 1375 c.c.), omettendo di chiedere i finanziamenti necessari, il che giustifica la domanda di esecuzione in forma specifica, per ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non stipulato. L'appellante, peraltro, precisa che con la sentenza ex art. 2932 il giudice dovrebbe, per un verso, accertare l'esistenza del contratto e, per altro verso, successivamente, dichiararlo risolto per inadempimento imputabile al Consorzio, condannando quest'ultimo al risarcimento dei danni da inadempimento subiti dalla società appellante. In alternativa, il giudice potrebbe limitarsi a disporre direttamente il risarcimento per equivalente, per l'impossibilità della realizzazione dell'opera per fatto e colpa del Consorzio. 5.4. In via ulteriormente subordinata, l'appellante ritiene che il primo giudice abbia errato nel rigettare la domanda per l'accertamento della responsabilità precontrattuale del Consorzio, ai sensi dell'art. 1337 del codice civile, i cui principi di correttezza e di buona fede sarebbero stati palesemente violati dall'amministrazione appaltante. 6. Le diverse questioni sollevate con gli articolati motivi sopra esposti si prestano a una trattazione unitaria, considerato che le conseguenze tratte dall'appellante prendono le mosse dall'unico assunto secondo cui dal bando di gara e dalla lettera di invito, o - anche - dai tre contratti stralcio stipulati, sorgesse il vincolo contrattuale definitivo o quantomeno quel vincolo preliminare idoneo a costituire l'obbligo del Consorzio (coercibile ex art. 2932 c.c.) a concludere il contratto definitivo. 6.1. I motivi sono infondati. 6.2. Quanto alla inesistenza di un rapporto contrattuale discendente direttamente dal bando di gara e dalla lettera di invito all'appalto concorso, è sufficiente richiamare le condivisibili argomentazioni spese dal primo giudice, il quale ha correttamente rilevato come le norme di gara escludevano chiaramente ogni impegno contrattuale dell'amministrazione, se non a seguito della acquisizione dei finanziamenti per l'esecuzione dei lavori dei singoli lotti e della stipula dei relativi contratti di appalto (eventualità che si è puntualmente verificata per i tre stralci affidati al raggruppamento As.). 6.3. Conseguenza che era facilmente evincibile anche dalla piana lettura della deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio, n. 383 del 22 giugno 1989 (che ha approvato la conclusione dei lavori della commissione esaminatrice nominata per la valutazione delle offerte), che ha dichiarato l'associazione temporanea di imprese con mandataria la Di. (divenuta As. S.p.a.) "aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso", precisando che detta aggiudicazione "diventerà definitiva solo dopo l'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto prescelto". 6.4. Oltre alle argomentazioni di cui in sentenza, milita a favore della inesistenza di un vincolo contrattuale anche la previsione contenuta nella lettera di invito (su cui si sofferma insistentemente l'appellante) secondo cui l'impresa risultata aggiudicataria avrebbe dovuto "consentire al Consorzio di utilizzare come cosa propria il progetto per sottoporlo all'Ente finanziatore". Al contrario di quanto sostenuto dall'appellante, appare evidente che una clausola del genere non sarebbe stata necessaria in caso di aggiudicazione definitiva, che implica - nel caso di gara di appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori - l'acquisizione (a titolo di proprietà ) della progettazione, oltre che delle opere realizzate in appalto. Anche nel testo del primo contratto stralcio (testo ripreso anche nei successivi contratti stralcio), stipulato sulla base della delibera del Consorzio n. 4485 del 20 marzo 1992 (ove si precisava che "la realizzazione dei lavori relativi all'intero progetto dovrà essere affidata all'aggiudicataria Associazione Temporanea sopra citata, previa aggiudicazione dei singoli futuri stralci quando verranno ammessi a finanziamento") si ribadisce che l'associazione di imprese è (solo) aggiudicataria provvisoria dell'appalto concorso, essendo l'aggiudicazione definitiva (e quindi il contratto) subordinata "all'avvenuto finanziamento delle opere comprese nel progetto". 6.5. Si osservi, inoltre, che ogni contratto stralcio stipulato è stato preceduto dalla deliberazione del Comitato direttivo del Consorzio che, preso atto del finanziamento acquisito, ha disposto l'aggiudicazione definitiva al raggruppamento As.. 6.5. Ne deriva, inoltre, che, per via della suddivisione in stralci successivi, anche gli oneri di progettazione venivano compensati nell'ambito del contratto esecutivo (ciò trova conferma anche nella clausola sopra citata in base alla quale il progetto scaturito dall'appalto concorso non diventa per ciò solo di proprietà del Consorzio ma questo può utilizzarlo - con l'espresso consenso dell'impresa - solo per le domande di finanziamento; pertanto non spetta il compenso per l'attività di progettazione preteso dall'appellante). 6.6. Ne deriva come conseguenza che è infondata la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento imputabile al Consorzio. 7. Anche la domanda di esecuzione in forma specifica è infondata, per le medesime ragioni: ossia per l'assenza di una base giuridica dalla quale desumere un obbligo del Consorzio di addivenire alla stipula del contratto definitivo. Anche il riferimento alla violazione degli obblighi di buona fede nell'esecuzione del contratto appare genericamente dedotto, emergendo dalla documentazione in atti l'attività svolta dal Consorzio per reperire i vari finanziamenti regionali necessari. 8. In tale contesto, va esclusa anche la responsabilità del Consorzio a titolo precontrattuale, non riscontrandosi un affidamento incolpevole tutelabile in capo all'appellante, anche in considerazione della elevata qualificazione professionale delle imprese coinvolte, come già rilevato dal primo giudice. 9. In conclusione, l'appello va integralmente respinto. 10. La disciplina delle spese giudiziali segue la regola della soccombenza, nei termini di cui al dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna l'appellante al pagamento delle spese giudiziali del presente grado in favore del Consorzio Industriale Provinciale di Sassari, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo, ha pronunciato, dopo discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile n. 7918/2023 R.G. promossa da F_M. ((...)) ((...)); - ATTORE contro GS (..) (..); - CONVENUTA Oggetto: obbligazioni. CONCLUSIONI Per l'attore opponente: "NEL MERITO: - REVOCARE il decreto opposto perché infondato in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; - DICHIARARE la non esigibilità del credito ex adverso azionato con il monitorio opposto, in quanto, per i motivi esposti in narrativa, inesistente e pertanto non dovuto; - CONDANNARE la convenuta - opposta al risarcimento del danno ex Art. 96 C.P.C. per il tenuto contegno profondamente lesivo dei principi di buona fede contrattuale che devono animare le parti nonché per l'evidente abuso in mala fede e con colpa grave dello strumento processuale; - Con vittoria di spese e compensi di lite dei quali i difensori si dichiarano distrattari. IN VIA ISTRUTTORIA: Previa remissione della causa in istruttoria, chiede ammettersi prova per testi sui capitoli tutti, nessuno escluso, di cui alla narrativa dell'atto di citazione in opposizione da ritenersi qui integralmente riportati in forma positiva - espunti giudizi e valutazioni -preceduti dalla locuzione "vero che". Chiede, inoltre, chiedersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova: 1) "vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"; 2) "vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."; 3) "vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n.5 di parte opponente"; 4) "vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro". Si indicano come testi i signori: - B. F., Bologna; - D. Gherardi, Bologna; - F. M., Bologna" Per la convenuta opposta: "Il patrocinio dell'opposta G., facendo seguito alle deduzioni già all'udienza del l'08.5.24 precisa le conclusioni come in memoria di replica istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. ed in comparsa di costituzione, segnalando che è emersa in sede istruttoria la percezione da parte G. di Euro 3.925,70 - a seguito della vendita forzata dell'abitazione familiare di proprietà di controparte F. nella procedura r.g.e. Trib. Bo. 754/17- che va decurtata dalla sorte indicata nelle conclusioni della comparsa di costituzione di parte G., sorte pretesa che, pertanto, da Euro 40.000 originari è ora pari ad Euro 36.074,30. Peraltro, si segnala che alcuna attività di esecuzione si è compiuta in ragione del decreto ingiuntivo opposto che è immediatamente esecutivo. Inoltre, si evidenzia che proceduralmente ed ai fini dell'accoglimento delle domande di parte opposta Sig.ra G., si ritiene - e si conclude - che il decreto opposto da controparte vada revocato da sentenza che accolga le richieste di parte opposta Sig.ra G. recante solo l'importo di Euro 36.074,30 - invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Si richiamano la conclusioni di cui alla comparsa di risposta: "Per l'ingiungente G. (oggi convenuta) si rassegnano, pertanto, le seguenti conclusioni: - rigettare ogni avversa difesa ed istanza, anche con conferma dell'ingiunzione opposta da controparte, subordinatamente con condanna dell'opponente F. (attore nella presente fase di causa) di corrispondere a parte opposta G. (ingiungente nella monizione per cui è il presente giudizio) Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria); - in ogni caso: con ogni più ampia riserva, vinte le spese di lite e con richiesta di liquidazione dell'attività per gratuito patrocinio nella misura ritenuta di legge dal Giudice in favore dell'Avv. P. M. patrocinatore di parte G., nonché con condanna di controparte per responsabilità aggravata, anche per le affermazioni palesemente contraddittorie e la rilettura degli atti non conforme al contenuto degli stessi con rimessione a giustizia circa la relativa misura". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamati atti e documenti di causa, noti alle parti; rilevato che l'attore non ha fornito prova scritta a sostegno dell'opposizione; esaminate le conclusioni finali in epigrafe trascritte; si osserva quanto segue. 2. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 esecutivo ex art. 642 c.p.c. (emesso, su ricorso depositato il 1 dicembre 2022 che non risulta preceduto la richiesta stragiudiziale, per la somma capitale di euro 40.000,00 oltre accessori) proposta da M. F. con citazione notificata via PEC il 30 maggio 2023 all'ex coniuge S. G. (costituitasi il 27 luglio 2023), va respinta per infondatezza dei motivi dedotti dall'opponente, benché il decreto opposto vada revocato come richiesto, da ultimo, dalla stessa convenuta, avendo essa dato atto, esaurita l'istruttoria, che il debito era inferiore a quello oggetto di ricorso (si richiamano in proposito le conclusioni finali della convenuta). 2.1. La domanda monitoria proposta dall'odierna convenuta si fonda sulla scrittura privata 8 giugno 2020, recante riconoscimento di debito da parte dell'odierno attore e nella quale si legge: "(...) PREMESSO IN FATTO - che nell'ambito della separazione consensuale omologata il 7 luglio 2017 tra i coniugi F. e G. gli stessi pattuivano che: - la figlia della coppia, B., sarebbe stata collocata presso la madre nella casa familiare di X, Via ...4; - il sig. F. avrebbe versato un mantenimento per la figlia di Euro 300 mensili; - Nell'ipotesi di trasferimento a Bologna di moglie e figlia il F., alla data del trasferimento dalla casa coniugale si obbliga a trasferire l'usufrutto a S. G. per una durata non inferiore a 5 anni (clausola 11a verb. Sep), con diritto della Signora G. di locare l'appartamento a terzi (clausola 11c verb. Sep) e, a decorrere dal percepimento dei canoni di locazione il F. avrebbe cessato di corrisponderle l'importo di Euro 300,00 mensili, o a versare la differenza tra il canone percepito e l'importo di Euro 300,00 qualora l'importo del canone percepito fosse stato inferiore (clausola 11c verb. Sep); - in esecuzione dei predetti accordi raggiunti in sede di separazione, F. cedeva gratuitamente e trasferiva a S. G. l'usufrutto vitalizio sulla casa familiare per la durata di anni 8 in data 8 agosto 2017; - successivamente il sig. F. subiva il pignoramento immobiliare n. 754/2017 promosso da Intesa San Paolo Group per mancato pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare. Nell'ambito della procedura l'immobile è stato venduto mediante asta giudiziaria ed attualmente è fissata udienza, al 26.6.20, per la precisazione del credito e distribuzione delle somme; - a partire dal 2018 il sig. F., assieme alla figlia B. , si trasferiva nella casa locata dalla nonna paterna, in Via ... , provvedendo dunque lo stesso al mantenimento diretto della figlia, presso di lui collocata; - la signora G., nel mese di novembre/dicembre 2019 sporgeva denuncia ai danni del sig. F. per mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della figlia B. e notificava al sig. F. atto di precetto per il pagamento, a titolo di mantenimento, della somma di Euro 10.709,38 che non veniva opposto; - successivamente la signora G. interveniva nel pignoramento immobiliare per la predetta somma privilegiata, oltre che alla somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto. Tutto ciò premesso - il signor F. si impegna a non opporsi alla precisazione del credito della moglie; - il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200; - il sig. F. si impegna a versare alla moglie, entro il giorno 5 di ogni mese sul di lei conto corrente, a partire dal corrente mese di giugno - qualora egli non l'abbia già fatto - la somma di Euro 300 mensili a titolo di mantenimento in favore della stessa sino a che la moglie non avrà reperito una attività lavorativa che le consenta l'autosufficienza; - la signora G. si impegna a ritirare immediatamente la querela presentata ai danni del sig. F., rinunciando sin da ora a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale nei confronti del marito per le circostanze denunciate". 2.2. Come pacifico in atti e riscontrato dai documenti acquisiti: a) in attuazione dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale (verbale 7 giugno 2017) omologata con decreto 7 luglio 2017, con atto redatto dal notaio P. M. data 3 agosto 2017 denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" l'attore aveva costituito in favore della convenuta "a titolo gratuito" l'usufrutto per la durata di (almeno) otto anni sull'immobile in X già adibito a casa familiare ("(...) F. M., in esecuzione dei predetti accordi in sede di separazione, cede e trasferisce a titolo gratuito a G. S. che accetta ed acquista l'usufrutto per la durata di anni 8 (otto) da oggi o se successivo a detto termine fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della figlia minore F. B., della porzione di villetta trifamiliare (...)"): l'immobile era gravato da ipoteca iscritta il 17 novembre 2003 a garanzia di mutuo concesso all'attore da un istituto bancario di originari euro 120.000 (come si legge nell'atto notarile 3 agosto 2017, "F. M. dichiara che sull'immobile in oggetto grava l'ipoteca (...) che la parte acquirente dichiara di tollerare, ben sapendo che, ai sensi e alle condizioni di cui agli artt. 2858 c.c. e seguenti, in caso di mancato pagamento del debito garantito la Banca può promuovere esecuzione forzata sul bene acquistato col presente atto"); b) nel novembre 2017 su iniziativa del creditore ipotecario l'immobile in X già adibito a casa familiare, e sul quale era stato costituito l'usufrutto in favore di S. G., è stato colpito da pignoramento (doc. 9 di parte convenuta): come riportato anche nella scrittura privata 8 giugno 2020, nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. contro M. F. è intervenuta anche l'odierna convenuta sia quale creditrice di somme a titolo di concorso nel mantenimento della figlia (per tale credito al debitore era stato notificato precetto non opposto) sia quale titolare di diritto di usufrutto sull'immobile pignorato (art. 2812 c.c.; v. anche la proposta di piano di riparto 15 giugno 2020 elaborata dall'esperto contabile ausiliario del giudice dell'esecuzione, doc. 6 di parte attrice); c) la prima udienza per l'autorizzazione alla vendita nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. si è tenuta l'11 marzo 2019; la scrittura privata 8 giugno 2020 è stata sottoscritta dalle parti dopo la vendita forzata dell'immobile pignorato (il decreto di trasferimento era stato il 12 marzo 2020) e prima dell'udienza 26 giugno 2020 fissata per la precisazione dei crediti e la distribuzione del ricavato; con ordinanza 2 luglio 2020 il giudice dell'esecuzione ha dichiarato esaurita l'esecuzione immobiliare e ha ordina il pagamento delle somme come da progetto di distribuzione 15 giugno 2020, progetto che, per quanto qui rileva, prevedeva, una volta soddisfatti i crediti in prededuzione ed il credito assistito da ipoteca, l'attribuzione a S. G. della residua somma di euro 3.925,70 a parziale compensazione della perdita dell'usufrutto il cui valore era stato quantificato nel progetto di distribuzione in euro 72.000,00. Dalla lettura degli atti qui richiamati appare evidente che l'obbligazione assunta dall'attore verso la convenuta con la scrittura privata 8 giugno 2020 era volta a compensare la perdita economica subita da S. F. a seguito dell'estinzione dell'usufrutto costituito in suo favore solo pochi mesi prima del pignoramento (art. 2812, comma 2, c.c.). L'accordo documentato dalla scrittura privata ha natura transattiva in quanto, come si legge nelle premesse del testo, la convenuta era già intervenuta nell'esecuzione immobiliare affermandosi creditrice della "somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto". Più che eloquente il passaggio in cui si afferma che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200", mentre l'inadempimento dell'attore ha determinato la decadenza dal beneficio del termine (in tal senso v. il ricorso per decreto ingiuntivo). 3. A sostegno dell'opposizione l'attore deduce la simulazione assoluta dell'accordo di cui alla scrittura privata 8 giugno 2020 perché "attesta un debito totalmente inesistente"; solleva eccezione di inadempimento adombrando una risoluzione per inadempimento della conventa: deduce la nullità dell'accordo sotto vari profili (illiceità della causa; frode alla legge; illiceità del motivo). 4. Così come proposta dall'attore, la prova per testi non può essere accolta, considerati le questioni controverse ed il fondamento della domanda monitoria: il capitolo 1 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"); il capitolo 2 è generico e inammissibile nella parte in cui contrasta col tenore dell'accordo 8 giugno 2020 ("vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."); il cap. 3 è irrilevante e inammissibile nella parte in cui si pone in collegamento col capitolo precedente ("vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n. 5 di parte opponente"); il cap. 4 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro"). 5. Non vi è alcuna prova (l'attore non l'ha fornita, art. 1417 c.c.) dell'accordo simulatorio sottostante alla scrittura privata 8 giugno 2020 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e che, invero, richiama, ponendosi con essi in relazione, i patti conclusi in sede di separazione consensuale, l'atto attuativo 3 agosto 2017, le vicende relative all'esecuzione forzata sull'immobile già adibito a casa familiare. L'eccezione di simulazione assoluta è infondata. Da un lato, manca la prova dell'accordo simulatorio; dall'altro, sono pacifici i fatti posti a fondamento del credito della convenuta (in sintesi, l'estinzione del diritto di usufrutto per effetto dell'espropriazione immobiliare subita dall'attore, art. 2812 c.c.) il cui ammontare è stato definito dalla parti in via transattiva nella misura di euro 40.000,00. 6. L'opponente non ha provato fatti idonei a giustificare la risoluzione dell'accordo consacrato nella scrittura privata 8 giugno 2020: da un lato, non vi è alcun immediato nesso di corrispettività tra l'obbligazione assunta da M. F., previo riconoscimento del proprio debito nella misura di euro 40.000,00 "a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa (G., n.d.r.) patito", e l'impegno di S. G. a ritirare la querela presentata (pare a fine 2019) nei confronti dell'allora marito, essendo oltretutto pacifico che l'inadempimento di M. F. rispetto alle obbligazioni verso l'istituto bancario e la espropriazione immobiliare n. 754/17 R.G.E. hanno determinato l'estinzione del diritto di usufrutto, inopponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. I, 27 marzo 1993, n. n. 3722), che era stato costituito in favore di S. G. per la durata di otto anni con l'atto pubblico 3 agosto 2017 a ministero notaio P. M. denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" (in altri termini, in sede di separazione consensuale, come da verbale 7 giugno 2017 omologato il 7 luglio 2017, M. F. aveva assunto una obbligazione attuata con l'atto pubblico 3 agosto 2017 ma di fatto il suo inadempimento verso l'istituto di credito, poi pignorante in forza di credito garantito da ipoteca iscritta nel 2003, ha precluso all'avente diritto S. G. la possibilità di godere dell'immobile in X già casa familiare); dall'altro, è pacifico che S. G., in conformità all'impegno assunto con la scrittura 8 giugno 2020, non si è costituita parte civile nel processo penale contro M. F., processo (n. 5530/20 R.G.N.R. - n. 1662/22 R.G. dibattimento) definito con sentenza di assoluzione sul presupposto che l'inadempimento di obbligazioni civili non integra di per sé gli estremi del reato di cui all'art. 570-bis c.p. (già art. 12-sex/'es, l. n. 898/1970) in relazione all'art. 570 c.p. (la sentenza Trib. Bologna, 27 febbraio - 28 marzo 2023 n. 965 è irrilevante in questa sede, tanto più che l'oggetto della presente causa non riguarda l'omesso versamento dell'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il mantenimento della figlia come da accordi di separazione), mentre non vi è ragione di contestare all'odierna convenuta l'omessa rimessione di querela (le premesse della scrittura privata 8 giugno 2020 fanno riferimento ad una denuncia, la sentenza penale n. 965/2023 parla sia di querela presentata l'8 gennaio 2020 che di denuncia querela) perché condotta del tutto ininfluente rispetto all'esercizio dell'azione penale quando, come nel caso di specie, si verta in ipotesi di reato procedibile d'ufficio (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio - 24 febbraio 2020, n. 7277). 7. La questione relativa al contributo al mantenimento della figlia (nata il 7 maggio 2000, dunque ormai maggiorenne al tempo della scrittura 8 giugno 2020) non ha alcuna attinenza con l'obbligazione dedotta in giudizio, sorretta da una causa del tutto autonoma e meritevole di tutela, inerente al mancato godimento da parte della convenuta del diritto che l'attore le aveva riconosciuto in sede di separazione consensuale e volta appunto alla compensazione di quel mancato godimento mediante il pagamento di una somma di denaro (concordato nella misura di euro 40.000,00) di cui M. F. si è dichiarato debitore (v. supra; v. anche il verbale dell'udienza 2 marzo 2023 nel giudizio divorzile 14033/2022 R.G.). 8. Non vi è alcuna nullità dell'accordo sottostante l'impegno assunto da M. F. con la predetta scrittura 8 giugno 2020, accordo che trae origine dall'avventa estinzione del diritto di usufrutto alla costituzione del quale l'attore si era impegnato già in sede di separazione consensuale. 9. In conclusione, l'opposizione, così come proposta dall'attore, è infondata. 10. In comparsa di costituzione la convenuta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o in subordine la condanna dell'attore al pagamento della somma di "Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria)". Nelle conclusioni finali la convenuta ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'attore al pagamento di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione. Nell'esecuzione immobiliare n. 754/17 R.G.E., a seguito della vendita forzata (il decreto di trasferimento è stato emesso il 12 marzo 2020) e dell'approvazione del piano di riparto con ordinanza 7 luglio 2020 del giudice dell'esecuzione, la convenuta aveva ricevuto una somma di denaro (euro 3.925,70) a parziale soddisfacimento del credito da essa vantato in relazione all'estinzione del diritto di usufrutto. Come si legge nelle conclusioni finali, la convenuta chiede la revoca del decreto ingiuntivo con sentenza che condanni l'attore a pagare "solo l'importo di Euro 36.074,30 -invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Ne conseguono, da un lato, la revoca del decreto ingiuntivo limitatamente ai capi relativi all'ingiunzione di pagare "la somma di Euro 40.000,00" (capo 1) e "gli interessi come da domanda" (capo 2) (nel ricorso era chiesto il pagamento della "somma complessiva di Euro 40.000 oltre agli interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione sino al saldo effettivo"), e non anche la condanna alle spese pronunciata in favore dell'erario (la ricorrente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato), capo rispetto al quale l'odierna convenuta non ha potere dispositivo; dall'altro, attese le conclusioni finali (che quanto agli accessori richiamano le conclusioni di cui alla comparsa di risposta), la condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo. 11. Non vi sono i presupposti per la condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c., come invece richiesto dalla convenuta in comparsa di risposta. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell'erario (artt. 133, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115: "Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"), in quanto la convenuta è ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v., fra le altre, Cass., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 777). P.Q.M. Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta: - rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 proposta da F. M. contro G. S.; - revoca il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858; - condanna F. M. a pagare a G. S. la somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo; - rigetta la domanda di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta da G. S. contro F. M.; - liquida le spese processuali a carico di F. M. in euro 3.809,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, oltra CPA e IVA come per legge. Bologna, 15 maggio 2024.

  • 1 REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto Trasporto spedizione GIACOMO TRAVAGLINO Presidente ENRICO SCODITTI Consigliere - Rel. LINA RUBINO Consigliere PAOLO SPAZIANI Consigliere Cron. R.G.N. 4745/2020 GIOVANNI FANTICINIConsigliere Ud.3/5/2024 PU Cron. R.G.N.38394/2019 Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 38394/2019 R.G. proposto da: AEROFLOT RUSSIAN AIRLINES, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIULIO BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato DELLA MARRA TATIANA (DLLTTN65L52A326W) che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro DI CARLO FRANCESCO -intimato- 2 avverso SENTENZA di TRIBUNALE PESCARA n. 1650/2019 depositata il 08/11/2019. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 maggio 2024 dal consigliere ENRICO SCODITTI Fatti di causa 1. Francesco Di Carlo convenne in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Pescara Aeroflot Russian Airlines s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno, nella misura di Euro 600,00, per lo «stato di rabbia, frustrazione, stress psico-fisico ed impotenza» cagionato dal ritardo di cinque ore del volo che da Mosca lo aveva condotto a Roma. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il giudice adito accolse parzialmente la domanda, condannando la convenuta al pagamento di euro 200,00. 3. Avverso detta sentenza propose appello Aeroflot Russian Airlines s.p.a.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. 4. Con sentenza di data 8 novembre 2019 il Tribunale di Pescara rigettò l’appello. Osservò il Tribunale, per quanto qui rileva, che, in base alla Convenzione di Montreal del 1999, «il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Tuttavia il vettore non è responsabile per i danni da ritardo se dimostri che egli stesso e i propri dipendenti e incaricati hanno adottato tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno oppure che era loro impossibile adottarle» (art. 19) e che «nel trasporto di persone, in caso di danno da ritardo, così come specificato all’articolo 19, la responsabilità del vettore è limitata alla somma di 4150 diritti speciali di prelievo per passeggero». Aggiunse quanto segue: «un ritardo aereo – peraltro prolungato come può essere quello 3 di cinque ore patito dall’odierno appellato – è sicuramente fonte di disagio che va necessariamente compensato in via pecuniaria. D’altronde, la Convenzione di Montreal è chiara nello statuire che in caso di ritardo, la responsabilità del vettore è limitata a 4150 DSP. Ciò significa che la responsabilità del vettore, in caso di ritardo, è in re ipsa, non abbisognando essa di alcuna prova specifica». Osservò infine che congrua era l’entità del risarcimento nella misura di Euro 200,00, «in considerazione della durata del ritardo e della gravità del disagio». 5. Ha proposto ricorso per cassazione Aeroflot Russian Airlines s.p.a. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. E’ stata depositata memoria di parte. Con ordinanza interlocutoria la causa è stata rimessa alla pubblica udienza. Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. E’ stata depositata ulteriore memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2059 e 2697 cod. civ., 113, comma 2, cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che l’inadempimento contrattuale non può dare luogo a danni non patrimoniali se non nel caso di lesione di diritti fondamentali indisponibili e che l’art. 1226 presuppone l’accertamento dell’esistenza di un danno, che non può ritenersi in re ipsa. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione 132 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la “necessarietà” del compenso per il disagio arrecato dal ritardo aereo costituisce affermazione apodittica, priva di valenza esplicativa ai fini della distinzione dall’evento ritardo dalla sua eventuale conseguenza dannosa. 4 3. Il primo motivo è fondato. Va premesso che non è oggetto di impugnativa l’applicazione alla fattispecie in esame, da parte del giudice del merito, della Convenzione di Montreal del 1999. Il giudice del merito, affermando che il ritardo aereo è sicuramente una fonte di disagio risarcibile, quale forma di responsabilità risarcitoria esistente in re ipsa, e richiamando il parametro del disagio in sede di apprezzamento della congruità della somma liquidata, ha commesso tre errori di diritto. In primo luogo, il giudice del merito ha confuso evento di danno e danno conseguenza. Il ritardo aereo non è un danno conseguenza risarcibile, è l’evento di danno, corrispondente all’inadempimento della compagnia aerea, rispetto al quale, secondo il nesso di causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., deve valutarsi la sussistenza di una conseguenza pregiudizievole, suscettibile di risarcimento. L’accertamento del ritardo aereo non è ancora quindi l’accertamento del danno risarcibile. Una volta accertato l’inadempimento, deve apprezzarsi se sussista un pregiudizio risarcibile. In secondo luogo, il danno risarcibile è stato riconosciuto come in re ipsa, il che vuol dire pretermetterela necessaria distinzione fra danno evento e danno conseguenza, appena richiamata. Riconoscere l’esistenza di un danno in re ipsa significa, infatti, affermare che l’evento di danno di per sé è meritevole di risarcimento, senza apprezzare se quell’evento abbia prodotto conseguenze pregiudizievoli, e dunque ignorando il nesso di causalità giuridica. In terzo luogo, stimando risarcibile il mero disagio, il giudice del merito ha violato il principio di diritto secondo cui il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dei diritti inviolabili della persona è risarcibile a condizione che l'interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell'interesse sia grave (nel senso che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale), che il danno non sia futile (e, cioè, non consista in 5 meri disagi o fastidi) e che, infine, vi sia specifica allegazione del pregiudizio, non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa (Cass. n. 33276 del 2023, la quale ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, nel riconoscere a un passeggero la compensazione pecuniaria di cui al Regolamento CE n. 261 del 2004, gli aveva negato il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'impossibilità di partecipare alle esequie del padre, a causa della cancellazione del volo). Questa Corte ha pur dato rilievo alla circostanza del gravissimo ritardo. Si è, infatti, affermato che in caso di viaggio ferroviario con gravissimo ritardo e in pessime condizioni, spetta al passeggero il risarcimento, per inadempimento contrattuale, dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione - purché seria, grave e tale da non tradursi in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e generiche insoddisfazioni - delle libertà costituzionali di autodeterminazione e di movimento, senza che la specifica previsione normativa di un indennizzo correlato alla cancellazione o all'interruzione o al ritardo del servizio ferroviario valga di per sé ad escludere la risarcibilità di ulteriori pregiudizi subiti dal viaggiatore (Cass. n. 28244 del 2023, la quale. ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto il danno non patrimoniale subito dalla passeggera del treno regionale Roma Termini-Cassino, sia per il ritardo di quasi 24 ore nell'arrivo a destinazione, sia per l'omissione di ogni adeguata assistenza ai viaggiatori). Ma, come si evince da tale principio di diritto, il danno non patrimoniale risarcibile non può essere ravvisato nel mero disagio, come ha invece fatto il giudice del merito. Più in generale, deve darsi continuità all’indirizzo di questa Corte, secondo cui, ai sensi della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 in materia di trasporto aereo internazionale, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 12 del 2004, ove il vettore aereo internazionale si renda responsabile del ritardo nella consegna al passeggero del 6 proprio bagaglio (art. 19 della Convenzione), la limitazione della responsabilità risarcitoria dello stesso vettore, fissata dall'art. 22, n. 2, della Convenzione nella misura di mille diritti speciali di prelievo per passeggero, opera in riferimento al danno di qualsiasi natura patito dal passeggero medesimo e, dunque, non solo nella sua componente meramente patrimoniale, ma anche in quella non patrimoniale, da risarcire, ove trovi applicazione il diritto interno, ai sensi dell'art. 2059 c.c., quale conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati (Cass. n. 14667 del 2015; n. 4996 del 2019). Come in particolare affermato da Cass. n. 14667 del 2015, va salvaguardato «il principio della necessaria sussistenza, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c., (ove, come nella specie, non venga in rilievo un'ipotesi di reato, né, in particolare, una specifica fattispecie risarcitoria tipizzata ex lege), di una lesione di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati, il quale, a sua volta, si innesta sul paradigma strutturale dell'illecito aquiliano, i cui elementi costitutivi, in base all’art. 2043 c.c., (e alle altre norme che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), "consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue" (c.d. "danno- conseguenza"; cfr., tra le altre, la citata Cass., sez. un., n. 26972 del 2008)». In dottrina si è criticamente osservato che tale indirizzo interpretativo non considera che la fattispecie tipizzata risarcitoria ex lege è presente (da cui la non necessità di attingere alla fonte costituzionale) ed è l’art. 22 della Convenzione di Montreal che, secondo la Corte di giustizia (Corte giust. 6 maggio 2010, C-63/09 ed altre), contempla non solo il danno patrimoniale, ma anche il «danno morale». Di contro, va obiettato che l’art. 22 («nel trasporto di 7 persone, in caso di danno da ritardo, così come specificato all’articolo 19, la responsabilità del vettore è limitata alla somma di 4150 diritti speciali di prelievo per passeggero») fissa esclusivamente il limite della responsabilità risarcitoria. Tale limite, per la Corte di giustizia, sussiste anche per il danno morale, il che presuppone che, secondo il giudice euro-unitario, sia riconoscibile anche il danno morale ma, dato che l’art. 22 non indica gli elementi costitutivi della relativa fattispecie, limitandosi a presupporne l’esistenza nell’ordinamento, inevitabilmente deve farsi capo ai diritti nazionali, cui deve intendersi la disposizione convenzionale rinvii, per l’identificazione delle condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale. 4. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo. 5. Poiché non sono necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Il fatto accertato dal giudice del merito è quello del mero disagio. Per quanto sopra osservato, non corrisponde al mero disagio un danno risarcibile, per cui la domanda va rigettata. 6. Il consolidarsi della giurisprudenza determinante nel corso dei vari gradi processuali costituisce ragione di compensazione delle spese, sia per i gradi di merito che per il giudizio di legittimità. P. Q. M. Accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda, disponendo la compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il giorno 3 maggio 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Giacomo Travaglino 8

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MARINI Luigi - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Dott. MAGRO M.Betarice - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/12/2021 del TRIBUNALE di CASTROVILLARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA BEATRICE MAGRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DOMENICO SECCIA; che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 06/12/2021, il Tribunale di Castrovillari ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS), nella qualita' di Sindaco del Comune di Trebisacce, (OMISSIS), in qualita' di rappresentante dell'omonima ditta gestore del depuratore dal (OMISSIS), (OMISSIS), in qualita' di responsabile della gestione del predetto impianto da 31/07/2013 in poi, (OMISSIS), in qualita' di responsabile dell'Area Tecnica del Comune che aveva assunto la competenza sul servizio predetto, in ordine ai reati di cui al Decreto Legge n. 152 del 2006 articolo 256 e del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 142, relativamente al deposito ed abbandono incontrollato di rifiuti costituiti dai fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue provenienti dalla pubblica fognatura ad opera dell'impianto di depurazione, perche' estinti per intervenuta prescrizione. 2. (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata deducendo violazione di legge e Wiizio della motivazione in ordine alla declaratoria di non punibilita' di cui all'articolo 129, comma 1, capoverso, c.p.p.. In particolare, il ricorrente ritiene che non sia stata correttamente motivata dal giudice di merito la mancata assoluzione per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256 e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 142. Il ricorrente rappresenta che il servizio di gestione dell'impianto di depurazione era stato affidato a ditta esterna specializzata dal Comune e pertanto non ne aveva alcuna gestione diretta. Dal contratto di appalto con allegato capitolato d'oneri si evince che la raccolta allo smaltimento e il conferimento in discarica, nel rispetto della normativa di riferimento, dei fanghi e dei materiali di risulta derivanti dai trattamenti di depurazione sono posti a carico dell'appaltatore (articolo 22. F capitolato d'oneri). Evidenzia che il Comune ha azionato un procedimento civile avverso la ditta gestrice dell'impianto per inadempimento contrattuale e per violazione del citato articolo 22 del capitolato. Inoltre, il Comune di Trebisacce ha affidato a soggetto esterno la delega per quanto riguarda le materie dell'ambiente, gestione dei rifiuti, impianto di depurazione e rete fognaria, con atto scritto del 2012 e nominato, fin dal 2008, come responsabile del servizio ambiente, tale (OMISSIS), affidando a questi i compiti inerenti alla controllo e gestione dell'impianto di depurazione. Dall'istruttoria dibattimentale, in particolare dalla deposizione del teste (OMISSIS), emergono elementi evidenti a discarico del ricorrente, in quanto gia' dal settembre 2013 gli scarichi erano stati regolarizzati. Da tutti i sudtgi atti processuali emerge in modo evidente che il sindaco, pur essendo titolare una posizione di garanzia in ordine al controllo sulla gestione dei rifiuti e dell'attivita' di smaltimento, soprattutto in situazioni contingibili ed urgenti, ha diligentemente adempiuto ai suoi doveri, posto che non si erano evidenziate situazioni di urgenza o emergenza. Pertanto, non puo' essere mosso alcun rimprovero ne' a titolo di dolo ne' a titolo di colpa, non essendosi verificata alcuna situazione di colpevole inerzia da parte del sindaco, ne' vi e' prova che vi fossero elementi di sospetto, non gravando sul sindaco compiti di gestione specifici concernenti l'omissione di controllo. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato. Costituisce ius receptum il principio secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Ud. (dep. 15/09/2009), Tettamanti, Rv. 244274). Pertanto, si e' stabilito che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014 Ud., Culicchia, Rv. 259445). Si ricorda, inoltre che, in tema di rifiuti, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'ordinamento degli enti locali (Decreto Legislativo n. 267 del 2000 e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindacoit sia il compito di programmazione dell'attivita' di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti, sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attivita' autorizzate (Sez.3, n. 19882 del 11/03/2009 Ud. (dep. 11/05/2009) Rv. 243717). La distinzione operata dall'articolo 107 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti, non esclude, in materia di rifiuti, il dovere di attivazione del sindaco allorche' gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrita' dell'ambiente (Sez, 3, n. 37544 del 27/06/2013 Ud. (dep. 13/09/2013) Rv. 256638). 1.1. Nel caso in disamina, il ricorrente ha richiamato le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, tra cui il contratto di capitolato d'appalto, l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo contro la dotta appaltatrice, la delega esterna conferita a (OMISSIS), la dichiarazione del teste (OMISSIS), senza tuttavia allegare la suddetta documentazione al ricorso per cassazione, disattendendo quindi all'onere di allegazione. In ogni caso, si osserva che le doglianze articolate dal ricorrente imporrebbero una valutazione di merito in ordine alla sussistenza della configurazione del reato sotto il profilo soggettivo, del dolo o della colpa, trattandosi di contravvenzioni, onde verificare se nessun rimprovero, neppure a titolo di colpa, potesse essere mosso al Sindaco del Comune di Trebisacce, pur essendo egli titolare di una posizione di garanzia. Non, quindi, e' possibile, in questa sede, fare applicazione del disposto dell'articolo 129 cpv. c.p.p., comportando la valutazione afferente all'emergere, in termini di evidenza, di una delle situazioni ivi previste un apprezzamento di fatto precluso al giudice di legittimita'. Condivisibilmente, pertanto, il giudice di merito ha constatato che non emergono in modo immediato elementi inerenti all'insussistenza del fatto o riguardo all'innocenza dell'imputato tali da poter pronunciare sentenza di assoluzione. D'altro canto, in presenza dello spirare dei termini utili a dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione e in difetto della rinunzia della relativa causa di estinzione, il giudice ha pronunciato sentenza di non doversi procedere. 3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibole, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila, determinata secondo equita', in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M - Consigliere Dott. PERROTTI M. - Consigliere Dott. RECCHIONE S - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/03/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. COCOMELLO ASSUNTA, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; L'Avv. (OMISSIS), in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) chiede il rigetto dei ricorsi deposita conclusioni scritte e nota spese; l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), e l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) chiedono l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1.Ai ricorrenti veniva contestata la "promozione di" (attribuita a (OMISSIS)) e la "partecipazione a" (riconosciuta a (OMISSIS) e (OMISSIS)) una associazione funzionale alla consumazione di un numero indeterminato di truffe verso istituti bancari e persone private, all'esercizio di attivita' di promozione di strumenti finanziari senza autorizzazione, nonche' al rilascio, senza essere iscritti nell'apposito albo, di garanzie finanziarie. Veniva contestato ai ricorrenti di presentarsi quali rappresentanti della societa' di diritto inglese " (OMISSIS)", con succursale operativa a (OMISSIS) e con stabile rappresentanza a (OMISSIS), nonche' con altre sedi operative in localita' italiane ed estere e di avere effettuato, in assenza delle autorizzazioni di legge, attivita' di promozione di servizi finanziari diretti a creare le garanzie per l'accesso al credito bancario di clienti che versavano in gravi situazione economiche, attraverso la predisposizione di un articolato meccanismo, che prevedeva il rilascio di obbligazioni ed il loro impiego in societa' che avrebbero dovuto garantire il credito, ma che, invece, servivano solo ad incamerare fraudolentemente l'anticipo versato dai clienti. La Corte d'appello di Milano: (a) confermava la condanna dei tre ricorrenti per il reato associativo, escludendo l'aggravante della transnazionalita' e rilevando il mancato decorso del termine di prescrizione, (b) dichiarava la prescrizione di tutte le truffe contestate a (OMISSIS) e (OMISSIS), ad eccezione di quelle descritte ai capi 15) e 19), in relazione alle quali confermava la condanna di (OMISSIS), (c) confermava la condanna per le truffe contestate a (OMISSIS), tenuto conto che, a causa del riconoscimento della recidiva, le stesse non risultavano prescritte; (d) assolveva i ricorrenti dalle condotte inizialmente ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7, ritenendo che i fatti contestati non sussistessero; (e) assolveva i ricorrenti dai reati previsti dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 contestati ai capi 4) e 18). 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. violazione di legge: la sentenza sarebbe stata emessa prima della decisione sulla l'istanza di rimessione, che sarebbe stata 6 depositata il 7 marzo 2022, con violazione del diritto di difesa; 2.2. violazione di legge (articolo 266 c.p.p. e ss.) e vizio di motivazione: la procedura di acquisizione delle intercettazioni sarebbe viziata; si deduceva che i supporti prodotti dal pubblico ministero in data 23 gennaio 2018 non proverrebbero da Torino luogo dell'ascolto - e, dunque, non sarebbero autentici, mentre i CD depositati dal consulente sarebbero solo copie; anche in questo caso sarebbe stato leso il diritto di difesa; 2.3. omessa motivazione: la difesa aveva impugnato tutti i provvedimenti relativi alla utilizzabilita' delle intercettazioni, ma la Corte di appello avrebbe omesso di motivare. 2.4. Violazione di legge (articolo 495 c.p.p.) in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento in seguito al mutamento del collegio: la sentenza sarebbe contraddittoria ed illogica, dato che avrebbe legittimato la compressione del diritto della difesa ad ottenere nuove prove in seguito al mutamento del giudice. 2.5. Violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) per mancata rinnovazione del dibattimento in appello: il rigetto della richiesta difensiva sarebbe illegittimo. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma dell'affermazione di responsabilita': si contestava integralmente la capacita' dimostrativa delle prove raccolte e si ribadivano le numerose violazioni del diritto di difesa gia' denunciate nel corso del processo. Si deduceva che la motivazione sarebbe illegittima in quanto avrebbe una struttura per relationem, e non avrebbe tenuto in considerazione le allegazioni difensive; nello specifico si contestava la mancata acquisizione di quattro faldoni di documenti allegati dalla difesa. 2.7. Violazione di legge (521 c.p.p.): sarebbe stato leso il diritto di difesa attraverso un mutamento della qualificazione giuridica della condotta da "abusivismo finanziario" ad "abusiva mediazione creditizia"; le doglianze proposte al riguardo non sarebbero state esaminate dalla Corte di appello; 2.8. Violazione di legge (416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita' per l'associazione a delinquere, in quanto non sarebbero sussistenti, ne' indicati, gli elementi costitutivi programma criminoso, ne' quelli dimostrativi del pactum sceleris e dell'elemento soggettivo; 2.9. violazione di legge (articolo 178 c.p.p. e ss.): si deduceva che il pubblico ministero non avrebbe osteso tempestivamente gli atti e che sarebbe stato impedito alla difesa di opporsi al loro deposito in udienza; 2.10. violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva la carenza di motivazione in ordine ai motivi di appello che deducevano la mancanza di registrazioni-audio delle udienze e le discrasie tra le trascrizioni ed i verbali di udienza; si deduceva altresi' che mancherebbero le trascrizioni integrali e che i verbali di udienza sarebbero omissivi; 2.11. violazione di legge (articolo 133 c.p.) in ordine al trattamento sanzionatorio, che sarebbe stato inflitto riconoscendo illegittimamente l'aggravante del danno ingente e della recidiva. 2.12. Violazione di legge (articolo 538 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili. 2.13. Le ragioni del ricorso venivano ribadite con motivi aggiunti, con i quali si invocava anche la astensione di tutti i componenti del collegio. 3. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 157 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al calcolo del termine di prescrizione: si contestava la decisione della Corte di appello, che aveva considerato conclusa l'attivita' associativa quando era stata eseguita l'ordinanza che applicava le misure cautelari, ovvero il 15 ottobre 2015, laddove il termine della condotta avrebbe dovuto essere individuato nel (OMISSIS), quando veniva captata l'ultima intercettazione rilevante. 3.2. Violazione di legge (articolo 416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita', che non avrebbe tenuto conto del ruolo marginale di (OMISSIS), che avrebbe fornito un contributo occasionale e marginale al progetto criminoso, non essendo mai intervenuto nella fase ideativa delle truffe, ne' in quella della consumazione delle stesse; si rimarcava, infatti, che le vittime avevano riferito di non avere mai trattato direttamente con lo stesso. Si deduceva, inoltre, (a) che il ricorrente non avrebbe mai partecipato alle riunioni durante le quali erano state organizzate le truffe e che avrebbe limitato il proprio apporto all'attivita' esterna di supporto nell'apertura delle societa' di diritto anglosassone; (b) che era emerso che i correi non nutrivano alcuna fiducia nel ricorrente; (c) che lo stesso aveva messo in dubbio la legalita' dell'operazione; (d) che non sarebbe stato effettuato nessuno pagamento a (OMISSIS) da parte delle vittime. Da ultimo si deduceva che mancherebbe ogni valutazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, il cui riconoscimento sarebbe contraddetto dal contenuto della telefonata in cui (OMISSIS) aveva messo in dubbio la legalita' delle operazioni. In conclusione: si deduceva che il ricorrente aveva avuto un ruolo marginale e che le condotte emerse sarebbero inidonee ad integrare, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie associativa. 4. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 4.1. vizio di motivazione: la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione illogica e contraddittoria, in quanto, non essendo stati incriminate le persone che avrebbero svolto la decisiva funzione di "mediatore" nella consumazione delle truffe, il progetto associativo verrebbe meno; a cio' si aggiungeva che, da quanto emerso dalle intercettazioni, il ricorrente avrebbe ritenuto corretta l'operazione. Si deduceva (a) che tutti i clienti erano imprenditori, sicche' gli stessi sarebbero stati consapevoli del rischio che si assumevano; (b) che la liceita' delle operazioni si evincerebbe, tra l'altro, dalla perizia di Pietrangeli e dalla produzione di articoli specializzati che dimostrerebbero che la (OMISSIS) avrebbe accettato i titoli (OMISSIS) emessi nel (OMISSIS), contrariamente a quanto aveva riferito il Cap. (OMISSIS); (c) che il luogo ove era avvenuta la contrattazione non avrebbe potuto essere considerato idoneo ad indurre in errore, considerato che si trattava di un ufficio ordinario e non lussuoso; (d) che l'operazione non sarebbe andata a buon fine perche' i clienti non sarebbero stati nelle condizioni di ottenere finanziamenti dalle banche a causa dei loro pessimi rating e dell'assenza di un valido business -plan; (e) che il fatto che ricorrente fosse stato presente in occasione di alcuni incontri con i clienti non implicherebbe un suo ruolo attivo nell'associazione. 4.2.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al calcolo del termine di prescrizione: la data di cessazione del presunto sodalizio non poteva che essere quella o dell'ultima condotta contestata ((OMISSIS)); inoltre sarebbero state erroneamente calcolate le sospensioni; in particolare si deduceva che i sessantaquattro giorni di sospensione calcolati dalla Corte territoriale in relazione all'emergenza pandemica non avrebbero potuto essere considerati, in ragione del fatto che il termine per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado era scaduto il 5 febbraio 2020 e che il ritardo del deposito, dopo la scadenza del massimo termine di legge, non avrebbe potuto incidere negativamente sugli imputati. 4.3. Omessa motivazione in ordine le doglianze proposte con l'atto d'appello in relazione alle truffe: si ribadiva che (OMISSIS) non avrebbe percepito alcun compenso e che non vi sarebbero gli elementi per riconoscere la sua responsabilita' in ordine alle truffe contestate ai capi 15) e 19), dato che le operazioni non erano state concluse a causa della grave situazione economica in cui versavano i clienti; 4.4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 61 c.p., n. 7: non sarebbe stato provato che le parti civili avessero subito una grave perdita economica; si ribadiva che le vittime non avevano la possibilita' di ottenere finanziamenti e che le stesse, aderendo alla proposta, sarebbero state consapevoli del rischio. Infine, si deduceva che il danno sarebbe stato calcolato senza fare riferimento ad ogni singola posizione ed in modo generico; 4.5. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prescrizione per i capi 15) e 19) in relazione ai quali la prescrizione sarebbe decorsa prima della sentenza di appello; 4.6. violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: non sarebbero stati indicati i parametri alla base della determinazione della pena base, ne' le ragioni poste a sostegno della quantificazione degli aumenti per la continuazione. 4.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili: mancherebbe la motivazione in ordine al danno, che non poteva essere addebitato a chi, come (OMISSIS), non aveva incassato nulla. Per quanto riguardava il danno non patrimoniale, si sosteneva che anche questo non avrebbe potuto essere riconosciuto, non essendo stata fornita la prova del danno presupposto ovvero quello patrimoniale. Si allegava che, in relazione alle singole posizioni delle persone offese, (OMISSIS) avrebbe avuto una condotta marginale, inidonea produrre i danni che gli sarebbero stati addebitati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 1.1.Il primo motivo di ricorso e' inammissibile in quanto generico: si contesta la mancata considerazione di un'istanza di rimessione che non e' stata allegata, ne' precisata nel contenuto. Si ribadisce, sul punto, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591, comma 1, lettera c) codice di rito comporta la inammissibilita' dell'impugnazione in caso di genericita' dei relativi motivi. Per escludere tale patologia e' necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, Rv. 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Falcioni, Rv. 241477; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, Sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822). 1.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto ripropongono, in modo reiterativo, questioni gia' ampiamente trattate dalla sentenza di appello, senza identificare vizi logici manifesti decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della sentenza impugnata, ne' allegare travisamenti decisivi della prova. Si ribadisce che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Bourtatour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 dell'11/03/2009, Arnone Rv. 243838; Sez. 6 n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507). Nel caso in esame la Corte d'appello, valutando le questioni proposte da (OMISSIS) in relazione alle intercettazioni, rilevava (a) che la mancata iniziale acquisizione dei supporti digitali al fascicolo del dibattimento era dovuto ad un errore del perito che si era occupato della trascrizione nel 2016, il quale aveva omesso di depositare i supporti utilizzati per la trascrizione; (b) tale omissione risultava essere stata sanata dal deposito effettuato dal pubblico ministero, su impulso della difesa, il 23 gennaio 2018: la Procura di Milano aveva infatti depositato i supporti informatici trasmessi dal Procuratore della Repubblica di Torino, all'esito di una nuova perizia estrattiva realizzata sui server in cui erano conservate le registrazioni; (c) dei supporti acquisiti veniva effettuata copia autentica dal perito nominato dal Tribunale. Con motivazione ineccepibile, la Corte di appello riteneva che non era possibile dubitare della conformita' agli originali di tale copia, tenuto conto che l'attivita' di estrazione e duplicazione era stata effettuata in fasi distinte da due pubblici ufficiali; a cio' si aggiungeva che la difesa non aveva addotto alcun elemento idoneo a dimostrare la falsita' del materiale raccolto (pagg. 51 e ss. della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione coerente con le emergenze processuali, priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 1.3.Sono manifestamente infondate anche le censure rivolte nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento (motivi quarto e quinto): si censurava sia la mancata rinnovazione chiesta ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., sia la contrazione della rinnovazione delle prove testimoniali all'esito del mutamento del collegio. 1.3.1. In materia di rinnovazione del dibattimento in appello il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" sia da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez, 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame la Corte d'appello, con motivazione esente da ogni censura, rilevava che le richieste di rinnovazione proposte ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. non erano accoglibili in quanto le prove delle quali si chiedeva la assunzione non risultavano assolutamente necessarie per la decisione, ma anzi si connotavano per il loro carattere "esplorativo" (pagg. 57 e 58 della sentenza impugnata). 1.3.2. Con riguardo alle censure relative alla contrazione delle prove ammesse rispetto a quelle richieste all'esito del mutamento del collegio, si riafferma che l'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle gia' assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli articoli 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluita' della rinnovazione stessa (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754 - 02). In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte d'appello riteneva legittima l'ordinanza del Tribunale che, il 20 giugno 2019, autorizzava l'esame di venti testimoni a fronte della richiesta di escussione di cinquanta persone - in ragione del fatto che tre testimoni erano stati esaminati dal collegio in nuova composizione mentre venti erano comuni alle altre difese. La Corte di appello ha rilevato l'ampio spazio assegnato al ricorrente per esercitare i suoi diritti di difesa e la correttezza delle valutazioni in ordine alla superfluita' delle prove escluse: anche in questo caso non si registra alcuna lesione delle prerogative difensive. 1.4. Il sesto motivo di ricorso e' inammissibile in quanto si profila generico (si richiama la giurisprudenza citata al §.1.1.), oltre che reiterativo delle doglianze proposte con la prima impugnazione. Lo stesso si risolve, peraltro, nella richiesta di integrale della rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. 1.4.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). Tenuto conto che parte rilevante del compendio probatorio posto a sostegno della conferma della responsabilita' risulta composto da intercettazione, il collegio ribadisce che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimita' se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioe' che in sede di legittimita' e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione "diversa" da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 - dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 - dep. 2014, Napoleoni e altri, Rv. 259516). La valutazione della credibilita' dei contenuti delle conversazioni captate e', infatti, un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacita' dimostrativa della prova, sicche' la sua critica e' ammessa in sede di legittimita' solo ove emerga una illogicita' manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata. 1.4.2. Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello effettuava una analitica valutazione delle doglianze difensive, offrendo una risposta specifica alle stesse. La Corte di appello confermava le valutazioni del Tribunale in ordine all'articolato meccanismo truffaldino posto in essere da (OMISSIS) e dai suoi sodali, fondandosi sugli elementi introdotti nel processo dalle persone offese, dai testimoni, dagli investigatori e dai periti, elementi che trovavano definitiva ed inconfutabile conferma nel contenuto delle intercettazioni (pagg. 72 e ss. della sentenza impugnata). Con riguardo, nello specifico, alla deduzione relativa alla mancata acquisizione di quattro torni di documenti, il collegio ritiene che la motivazione della sentenza impugnata, con la quale e' stata confermata la legittimita' della decisione del Tribunale - che non aveva ammesso la produzione - non si presta ad alcuna censura; al riguardo, appare decisivo il fatto che non risultava essere stato chiarito quale fosse la rilevanza degli stessi, il che impediva alla Corte di appello di verificarne decisivita' in ordine all'accertamento della responsabilita' (pag. 63 della sentenza impugnata). 1.5. Non supera la soglia di ammissibilita' il settimo motivo, con il quale si deduce una lesione del diritto di difesa correlata al mutamento della qualificazione giuridica della condotta ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 e riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, si tratta di una riqualificazione ininfluente in relazione alle condanne per il reato associativo e le truffe, dato che concerne reati per i quali vi e' stata assoluzione perche' "il fatto non sussiste"; tale riqualificazione, invero, non ha alcuna incidenza sui reati in relazione ai quali vi e' stata la conferma dell'accertamento di responsabilita', tenuto conto che vi e' stato un accurato vaglio sia in ordine alla sussistenza della condotta associativa, che di quella fraudolenta agita in danno degli imprenditori in difficolta' finanziarie; tale vaglio resiste alle doglianze difensive, e prescinde alla riqualificazione delle condotte per le quali vi e' stata assoluzione. 1.6. L'ottavo motivo, che contesta radicalmente la conferma della responsabilita' in ordine al reato associativo, non e' consentito. Anche in questo caso la doglianza si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove e non individua vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della decisione di conferma (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). Secondo la Corte d'appello le concordi dichiarazioni testimoniali e le intercettazioni avevano dimostrato con certezza la serialita' della condotta incriminata: le vittime erano imprenditori in gravi difficolta' economiche, ai quali - a causa delle difficolta' finanziarie in cui versavano - era precluso l'accesso al credito; questi venivano contattati da un mediatore o da un consulente e, una volta presentati a (OMISSIS) e (OMISSIS), ricevevano la prima spiegazione del meccanismo attraverso il quale avrebbero potuto accedere ai finanziamenti bancari. Le persone offese, quindi, sottoscrivevano a (OMISSIS) - e talvolta in (OMISSIS) - un contratto di mandato irrevocabile dal contenuto "fumoso", al quale era legato un cronoprogramma articolato e versavano un primo acconto, funzionale all'avvio della pratica; successivamente le vittime venivano invitate in (OMISSIS) per formalizzare la costituzione della Ltd inglese o per aprire il conto corrente della societa' estera; seguivano talora ulteriori operazioni, nella maggior parte dei casi non comprese dagli imprenditori-vittime, che avevano solo l'obiettivo di ottenere l'accesso ai finanziamenti bancari, fine ultimo dell'operazione. Invero, nonostante il versamento dell'acconto la procedura si concludeva, di solito, con il recesso della (OMISSIS), causato, secondo la versione di comodo offerta alle vittime, dall'inadempimento delle stesse o dal mutamento di normative non meglio precisate. A cio' si aggiungeva che al recesso non faceva mai seguito la restituzione agli offesi delle somme versate (la condotta emergeva con chiarezza dalla telefonata intercettata al progr. n. 9619 del 24 Febbraio 2014). Emergeva, altresi', la precisa ripartizione dei ruoli all'interno dell'associazione: (OMISSIS) era il promotore del sodalizio, ovvero l'uomo a cui si rivolgevano i mediatori, le vittime, e gli associati (OMISSIS) e (OMISSIS); egli era anche il direttore delle sedi di (OMISSIS), nonche' il punto di riferimento delle strutture operative in Italia e all'estero all'interno delle quali, pero', non rivestiva alcuna carica formale. (OMISSIS) informava i clienti dell'esito delle pratiche operava sui conti correnti situati in (OMISSIS) sui quali pervenivano gli accrediti delle somme di denaro erogate dai clienti a titolo di acconto per le prestazioni concordate: le intercettazioni delle numerosissime conversazioni intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) accreditavano inconfutabilmente il suo ruolo gestore nelle trattative con i clienti. Il compendio probatorio tratteggiato indicava univocamente la responsabilita' del ricorrente, sia per la sussistenza del consorzio, che per la identificazione del ruolo di promotore di (OMISSIS) (pagg. 69 e ss. della sentenza impugnata). 1.7. Sono manifestamente infondati il nono ed il decimo motivo, con i quali il ricorrente ripropone le eccezioni processuali, risolte con ordinanze endoprocessuali, la cui legittimita' era stata confermata da entrambe le sentenze di merito. Nel dettaglio: (a) la Corte d'appello rilevava che il sistema "ordinario" di documentazione dell'attivita' d'udienza e' quello della verbalizzazione stenotipica, derogabile solo in presenza di emergenze eccezionali, che non erano state ritenute sussistenti nel caso di specie, sicche' la richiesta di audio-registrazione integrale delle udienze appariva del tutto ingiustificata; (b) la Corte di appello rilevava inoltre che non sussistevano riscontri oggettivi - non indicati neanche con il ricorso per Cassazione - all'asserito difetto di coincidenza tra le trascrizioni ed i verbali di udienza. Infine, non supera la soglia di ammissibilita' la deduzione circa la "mancata ostensione" degli atti da parte dell'accusa, tenuto conto che la stessa non risulta circostanziata e non rivela la decisivita' del presunto vizio. 1.8. L'undicesimo motivo che contesta il trattamento sanzionatorio non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di un nuovo esercizio della discrezionalita' in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio. 1.8.1.La Corte rilevava - con motivazione che si sottrae ad ogni censura - che non erano emersi elementi di positiva valutazione idonea a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche e che (a) la gravita' degli addebiti a carico di (OMISSIS), (b) la peculiare pericolosita' e professionalita' nell'agire criminoso dimostrate dallo stesso nell'organizzare e promuovere il sodalizio, (c) i plurimi e specifici precedenti vantati, (d) il comportamento processuale privo di segnali di resipiscenza ostavano all'invocato ridimensionamento della pena (pag. 109 della sentenza impugnata). 1.8.2. Veniva ampiamente giustificato anche il riconoscimento dell'aggravante del danno ingente: la Corte di appello riteneva che, per ritenere sussistente l'aggravante, non rilevava solo il materiale esborso delle somme versate dalle vittime, ma altresi' la grave perdita economica subita in conseguenza del fallimento dell'operazione, che si configurava come una sorta di "salvavita" per le imprese decotte, nella quale erano state investite le ultime risorse disponibili. Si tratta di una motivazione coerente con l'ampia discrezionalita' riconosciuta al giudice di merito nella valutazione della gravito' del danno, che deve essere valutato in relazione a tutti i pregiudizi subiti in concreto dalle vittime. 1.8.3. Si rileva, a margine, che il mutamento del regime di procedibilita' del reato di truffa (sempre procedibile a querela con l'entrata in vigore della c.d. "riforma Cartabia") non rileva tenuto conto dell'inammissibilita' del ricorso (Sez. U, Sentenza n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 - 01). 1.9. Le contestazioni in ordine alle statuizioni civili (undicesimo motivo) non superano la soglia di ammissibilita'. Il collegio riafferma che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e' impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 261536; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990 - dep.1191, Capelli, Rv. 186722-01). A cio' si aggiunge che, nel caso in esame, la Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva che non si rilevavano i presupposti per una revoca, ovvero mitigazione, delle provvisionali, a fronte di un fumus pacificamente accertato del danno patito dalle parti civili e della modesta entita' della provvisionale riconosciuta (pag. 108 della sentenza impugnata). La motivazione contestata non si presta ad alcuna censura in questa sede. 1.10. L'inammissibilita' del ricorso principale si estende ai motivi aggiunti. Si ribadisce, infatti, che rinammissibilita' del motivo originario si estende ai motivi nuovi dato che in materia di impugnazioni, l'indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell'articolo 581 c.p.p., lettera c), costituisce di per se' motivo di inammissibilita' del proposto gravame, anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli gia' dedotti, vengano depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., comma 4, (tra le altre: Sez. 6, n. 471414 del 30/10/2008, Arruzzoli, Rv. 242129). 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.il primo motivo che invoca la retrodatazione della data di consumazione del reato associativo non supera la soglia di ammissibilita' perche' richiede una valutazione della capacita' dimostrativa delle prove esclusa dalla competenza del giudice di legittimita' (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1). In relazione ad analoga doglianza avanzata con la prima impugnazione la Corte ha offerto una motivazione ineccepibile, rilevando che la data dell'esecuzione della custodia cautelare indicava il termine dell'attivita' associativa, considerato che non vi erano prove indicative della ulteriore prosecuzione della stessa. L'invocata retrodatazione, alla data dell'ultima intercettazione, non poteva essere presa in considerazione, dato che il termine delle attivita' investigative non indicava il termine dell'attivita' criminosa. Il termine dell'attivita' associativa veniva invece fatto risalire all'arresto di tutti i sodali, evento sicuramente idoneo ad interrompere l'azione del consorzio. 2.2. Anche il secondo motivo - che contesta la conferma della responsabilita' di (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione - non e' consentito, in quanto ripropone le doglianze gia' avanzate con l'atto d'appello, superate dalla sentenza impugnata con motivazione priva di fratture logiche ed aderente alle emergenze processuali. La Corte di appello, ribadendo il percorso logico argomentativo segnato dal Tribunale, rilevava come (OMISSIS) fosse il trait d'union del gruppo con l'estero, tenuto conto che lo stesso ricopriva la carica di amministratore unico delle agenzie (OMISSIS), (OMISSIS) s.r.l., facenti parte del "Corporate Group" di (OMISSIS) e costituiva oltre cinquanta societa' aventi il medesimo dominio di posta elettronica. Da numerose conversazioni intercettate era emerso che (OMISSIS), oltre ad essere uno dei collaboratori piu' stretti di (OMISSIS), era anche un dipendente della New Limited - come risultava chiaramente dal contenuto della conversazione registrata al progr. n. 2261 del 22 marzo 2014 - ed era il referente dell'associazione per l'apertura delle filiali estere. Dal compendio probatorio raccolto era emerso con chiarezza che (OMISSIS) eseguiva le direttive di (OMISSIS), si occupava della costituzione delle societa' inglesi e curava che le stesse avessero una veste formale credibile, idonea a trarre in inganno i clienti. Tale condotta era supportata - nella valutazione ineccepibile della Corte territoriale dalla piena consapevolezza dell'agire criminoso: che (OMISSIS) fosse consapevole del suo ruolo nell'organizzazione emergeva, infatti, con chiarezza dal contenuto delle intercettazioni registrate ai progr. n 10865 del 6 marzo 2014 e n. 2661 del 22 marzo 2014. Segnatamente, dalla conversazione del 22 marzo 2014 emergeva chiaramente la tensione progettuale ed organizzativa dei sodali, che intendevano approntare nuove tecnologie idonee a comunicare in tempo reale lo stato delle pratiche ed aprire altre filiali all'estero. Si tratta di prove che, nella persuasiva valutazione effettuata dai giudici di merito, confermavano l'indeterminatezza del programma criminoso e la vitalita' dell'associazione (pag. 86 della sentenza impugnata). Nonostante tale corposo compendio probatorio, la difesa insisteva nel proporre una lettura sminuente del ruolo di (OMISSIS), che tuttavia non trovava alcuna conferma nelle emergenze processuali. Contrariamente a quanto dedotto, con motivazione priva di vizi logici e coerente con le prove raccolte, la Corte di merito ribadiva che il ricorrente aveva avuto un ruolo decisivo nell'ambito dell'associazione, considerato che si occupava delle societa' di diritto inglese, anche se non aveva alcun contatto diretto con i clienti (il che giustificava il fatto che le vittime non avessero fatto riferimento a (OMISSIS)). La motivazione, sul punto, non si presta dunque ad alcuna censura in questa sede. 3.Infine: e' inammissibile anche il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente contestava radicalmente la legittimita' della conferma di responsabilita' sia per il reato associativo, che per le due truffe non prescritte (descritte ai capi 15) e 19) non raggiungono la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove e ripropongono doglianze gia' avanzate con la prima impugnazione e disattese dalla Corte territoriale, con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). La Corte di appello, con motivazione puntuale e priva di fratture logiche, rilevava che le testimonianze delle persone offese avevano attestato la costante presenza di (OMISSIS) agli incontri con (OMISSIS), sia in Italia, che Svizzera; segnatamente: (OMISSIS) si coordinava con (OMISSIS) per la costituzione delle societa' inglesi e svolgeva l'attivita' di referente e procuratore di BHC Investment per la fornitura di titoli storici; le testimonianze raccolte (significative quella di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) trovavano conferma nelle intercettazioni, che manifestavano in modo assolutamente inequivoco l'impegno di (OMISSIS) per l'attuazione delle truffe gestite dal sodalizio (pagg. 84 e 85 della sentenza impugnata). La Corte d'appello confermava, inoltre, la responsabilita' per le truffe, rilevando come le testimonianze delle persone offese risultassero - anche in questo caso - confermate da documenti ed intercettazioni: tale completo compendio probatorio consentiva di ricostruire analiticamente lo schema delle azioni fraudolente in danno di imprenditori in crisi di liquidita' e di svelare il "ferrato connubio (OMISSIS)- (OMISSIS)", che forniva all'esterno una parvenza di affidabilita' e garanzia di buon esito delle operazioni proposte. Contrariamente a quanto dedotto, sia con l'atto di appello, che con il reiterativo ricorso per cassazione, risultava impossibile ricondurre le condotte emerse ad una lecita pratica contrattuale (pag. 89 della sentenza impugnata). Si tratta di motivazione persuasiva, coerente con le prove raccolte e priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 3.2.Il secondo motivo di ricorso, che invoca la retrodatazione del termine di consumazione del reato associativo, cui conseguirebbe l'estinzione del reato per il decorso del termine di prescrizione, e' sovrapponibile a quello proposto da (OMISSIS); si rinvia, sul punto, a quanto gia' esposto sub § 3.1.. 3.3. Il quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Il ricorrente contesta la valutazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante correlata alla causazione di un danno ingente, ribadendo che le parti civili avevano interesse ad ottenere i finanziamenti, tenuto conto che le stesse versavano in una situazione che gli impediva l'accesso al credito, sicche' le stesse erano ben consapevoli del rischio che correvano e lo avevano accettato. Si tratta di una doglianza che e' gia' stata valutata dalla Corte territoriale con motivazione ineccepibile, che non si presta ad alcuna censura in questa sede. Gia' con l'atto d'appello (OMISSIS) si era doluto della mancata specificazione delle situazioni economiche di ciascuna persona offesa ed aveva invocato la disapplicazione dell'aggravante. La Corte di merito aveva invece rilevato che il danno patrimoniale correlato alla truffa contrattuale non puo' ritenersi integrato solo dalla perdita economica subita dal contraente-vittima, ma anche dalla mancata acquisizione di un utile; nel caso in esame, doveva pertanto essere considerato non solo il valore economico del contratto, ma anche alla grave perdita economica subita dagli offesi in conseguenza del fallimento dell'operazione che aveva deviato le ultime risorse a disposizione delle vittime verso la proposta truffaldina: gli offesi avevano cosi' perduto la possibilita' di tentare altre strade per procurarsi la liquidita' necessaria per garantire la sopravvivenza delle loro attivita' (sul punto le testimonianze delle vittime risultavano confermate dalla documentazione prodotta dalle parti civili e dal pubblico ministero pag. 91 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione che, come gia' rilevato in occasione dell'esame del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), esprime in modo puntuale le ragioni della sussistenza dell'aggravante in coerenza con l'ampia discrezionalita' esercitabile per effettuare tale valutazione e della rilevanza di tutti i pregiudizi patiti dalle vittime. 3.4.Con l'ultimo motivo di ricorso si invocava la prescrizione per i capi 15) e 16) ritenendo deducendo che il termine sarebbe decorso prima della sentenza di appello. Si tratta di doglianza manifestamente infondata in quanto dall'analisi degli atti risultano centosessanta giorni di sospensione della prescrizione (come rilevato a pag. 89 della sentenza impugnata), sicche', alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado, i termini di prescrizione non risultavano decorsi. Il collegio ritiene che, contrariamente a quanto dedotto, sia legittimo anche il calcolo dei sessantaquattro giorni di sospensione dovuti all'emergenza pandemica. Invero, a fronte del fatto che il dispositivo della sentenza di primo grado e' stato letto il 7 novembre 2019, poiche' la sentenza e' stata depositata il 7 aprile 2020, dunque oltre il novantesimo giorno dalla decisione, il 9 marzo 2020 - giorno in cui entrava in vigore la disciplina speciale - era pendente il termine per l'impugnazione che, nel caso di specie, decorreva dalla notifica alle parti del deposito della sentenza. Lo slittamento del dies a quo del termine per impugnare, nel caso di deposito fuori termine e' previsto dall'articolo 582 c.p.p., comma 2 lettera c): si tratta di uno slittamento che non e' arbitrario, ma stabilito ex lege. Pertanto tale termine, come tutti quelli che decorrevano nel periodo "8 marzo- 11 maggio 2020", deve considerarsi legittimamente prolungato, con correlata sospensione dei termini di prescrizione, nel pieno rispetto delle disposizioni eccezionali introdotte in relazione all'emergenza pandemica. 4.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sia (OMISSIS), che (OMISSIS) (non si condanna (OMISSIS), dato che tale imputato con il ricorso non ha impugnato le statuizioni civili); tali spese, tenuto conto dei parametri vigenti si liquidano in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida per ciascuno in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere Dott. CATENA Rossell - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CATENA ROSSELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, si associa alle richieste del Proc. Gen. e conclude per l'inammissibilita' dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, per quanto di rilievo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Napoli in data 17/11/2020 - con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 591 c.p., commi 1 e 3, il primo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' di riferimento della struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", il secondo quale figlio di (OMISSIS), che era stata affidata alla predetta struttura dal 08/06/2016, luogo ritenuto non idoneo in riferimento alle condizioni di salute della predetta, poi deceduta in data 28/06/2016 - rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in anni tre di reclusione e la pena inflitta al (OMISSIS) in anni due mesi sei di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. 2. (OMISSIS) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il (OMISSIS), legale rappresentante della societa' cui afferiva la struttura residenziale per anziani, non aveva alcuna relazione di custodia, ne' diretta ne' indiretta, con la (OMISSIS), posto che egli rivestiva unicamente un ruolo di gestione ed amministrazione della societa', non avendo, quindi, svolto alcun ruolo di sorveglianza diretta e/o indiretta della anziana ricoverata; cio' rileva anche alla luce della struttura del reato, di pericolo concreto per la vita o l'incolumita', che deve derivare dalla condotta di abbandono, rispetto alla quale non tutte le relazioni di custodia possono essere considerate rilevanti, ma solo quelle che si estrinsecano in una posizione di sorveglianza diretta ed immediata nei confronti del soggetto incapace; nel caso di specie, all'assistenza dell'anziana era preposta la coimputata (OMISSIS), persona del tutto qualificata, mentre il (OMISSIS) si recava saltuariamente presso la struttura, in ragione del suo ruolo; da cio' discende, anche alla luce delle giurisprudenza di legittimita', la insussistenza dell'abbandono, in riferimento al ricorrente, che aveva comunque predisposto l'affidamento dell'ospite della struttura a persone capaci e abili, come riconosciuto dalla sentenza impugnata; anche in riferimento alla "teoria della garanzia" seguita dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, e' stato evidenziato come vengano in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente, non avendo la sentenza impugnata specificato in quali termini sarebbe stato violato l'obbligo di custodia gravante sul (OMISSIS), il quale si era limitato ad accettare il ricovero della (OMISSIS) su richiesta del figlio della stessa, avendo egli predisposto le misure necessarie, ossia una struttura idonea e personale qualificato, misure altresi' idonee come dimostrato dalla carenza di precedenti vicende, indicative di una insufficienza e/o inadeguatezza del contesto di accoglienza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, escluso, a ben vedere, proprio dalle motivazioni della sentenza impugnata che, al piu', configura, a carico dell'imputato, la colpa cosciente, posto che il dolo richiesto dall'articolo 591 c.p. implica l'accertamento della conoscenza, da parte dell'agente, delle specifiche condizioni del soggetto passivo, unitamente alla coscienza e volonta' di abbandonarlo e, alla luce delle relazione di cura e custodia, la previsione e la volonta' del pericolo per la vita e l'incolumita' del soggetto passivo; in sostanza, la sentenza formula nei confronti dell'imputato un giudizio di rimprovero per la ritenuta inadeguatezza della struttura, facendo discendere da tale presunta condizione la sussistenza dell'elemento psicologico, il che richiama i casi in cui la condotta sia connotata da spiccata irragionevolezza, disinteresse o altro atteggiamento consimile, con evidente integrazione della colpa cosciente, restando irrilevante il profilo del fine di lucro che avrebbe potuto spingere il (OMISSIS) a sottodimensionare l'organizzazione della struttura. In sostanza, il giudizio di inadeguatezza della struttura si risolve nel rimprovero al (OMISSIS) di aver mal governato i rischi connessi alla sua funzione, proprio in riferimento ai criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nel caso ThyssenKrupp, in quanto la coscienza e volonta' della condizione di abbandono deve essere esclusa, essendo stato provato che il (OMISSIS) aveva comunque adibito alla cura degli anziani un'infermiera professionista, laddove nella struttura vi erano anche altre persone adibite alle ulteriori incombenze, venivano svolte visite da parte dei medici della ASL, la struttura era dotata di letti e di sedie a rotelle adeguati agli ospiti, ne' mai, negli anni precedenti, all'interno della struttura si erano verificati eventi critici, per cui, al piu', il (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato gravemente negligente; quanto alle condizioni della (OMISSIS), pur dando per scontato che il (OMISSIS) ne fosse consapevole, le stesse non richiedevano cure mediche specialistiche di particolare impegno, ma solo un trattamento farmacologico, per il quale le condizioni assistenziali predisposte dal (OMISSIS) appaiono del tutto confliggenti con la coscienza e volonta' dell'abbandono; sotto altro aspetto, infine, anche l'applicazione degli elementi indicatori citati dalla sentenza ThyssenKrupp, in riferimento al dolo eventuale, escludono tale elemento soggettivo nel caso in esame, posto che non si e' in presenza di una totale carenza della struttura, ma solo di un'inadeguatezza della stessa, ne' la sentenza di merito indica, in riferimento alla posizione del (OMISSIS), l'esito di un eventuale giudizio controfattuale, secondo la cosi' detta formula di Frank, non essendo stati indicati gli elementi indicatori del dolo eventuale; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, la posizione del ricorrente, opportunamente valutata in funzione dei criteri della pericolosita' del fatto e del contenuto dell'obbligo violato, non puo' che condurre ad escludere tale elemento materiale, atteso che la stessa sentenza evidenzia come, nel caso in esame, la struttura di accoglienza fosse idonea sotto molteplici aspetti (igienico-sanitario, strutturale, assistenziale, medico) e, cio' nonostante, la stessa sentenza ha ritenuto "ragionevolmente inidonea" la detta struttura. Sotto il profilo della pericolosita' del fatto, quindi, le condizioni positivamente individuate dalla stessa sentenza, unitamente all'assenza di pregressi episodi avversi, dimostrano l'inconfigurabilita' del pericolo concreto, mentre, quanto al contenuto dell'obbligo violato, non puo' che ribadirsi come il (OMISSIS) non fosse tenuto a provvedere, in via diretta, all'assistenza e cura degli ospiti, bensi' al solo obbligo di custodia, evidentemente adempiuto; cio' emerge ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza di legittimita' circa la concretezza della condizione di pericolo, laddove la sentenza impugnata ha introdotto un concetto di relativizzazione dello stato di abbandono che riconduce il reato alla struttura del pericolo presunto; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, considerate le argomentazioni e le circostanze esposte con il precedente motivo di ricorso, posto che non sono stati neanche illustrati i criteri logici alla stregua dei quali, pur in presenza delle premesse richiamate, si potesse giungere alla conclusione di sussistenza di una condizione di abbandono; 2.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto della illogicita' del ragionamento seguito dalla Corte di merito, le cui affermazioni risultano meramente assertive, oltre che derivanti da applicazione di massime di esperienza generiche e non afferenti al caso di specie: in riferimento all'organizzazione dei mezzi e del personale, infatti, la sentenza impugnata ha operato una valutazione condizionata dal decesso della (OMISSIS), con evidente sillogismo valutativo non sorretto da adeguato criterio logico, non essendo sorretto da elementi ulteriori; a ben vedere, quindi, la Corte di merito conclude per la inidoneita' della struttura in base alla circostanza che l'unica infermiera non fosse "ragionevolmente" in condizione di prendersi cura, contemporaneamente ed adeguatamente, di ben sei ospiti in gravi condizioni, attraverso una massima di esperienza ne' verificata ne' verificabile, sprovvista di verosimiglianza, meramente ipotetica e, quindi, espressione di un giudizio arbitrario, posto che alla valutazione meramente ipotetica formulata potrebbe essere opposta una valutazione meramente ipotetica di segno opposto, ossia che l'unica infermiera fosse in grado di assistere tutti gli ospiti della struttura, dato che ella era risultata persona dedita e capace, come affermato nella stessa sentenza impugnata. La motivazione della Corte territoriale, inoltre, e' connotata da una evidente circolarita' del ragionamento probatorio, posto che si assume come il decesso della (OMISSIS) avrebbe provato la inadeguatezza della struttura, laddove tale condizione avrebbe dovuto essere oggetto dell'accertamento; la valutazione della Corte di merito, inoltre, risulta frutto di valutazione ex post, in base all'evento verificatosi, senza considerare la radicale carenza di ulteriori elementi, quali precedenti eventi avversi; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 40 c.p., articolo 41 c.p., comma 2, articolo 591 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta di abbandono e l'evento, con particolare riferimento alla persona del (OMISSIS), cio' per la specifica causa del decesso della (OMISSIS), individuato dalla Corte di merito in una condizione di forte disidratazione, intervenuta in un arco minimo di due giorni, a far data dal ricovero della paziente presso la struttura "(OMISSIS)"; cio', evidentemente, esclude che la concausa del decesso possa essere ascritta al (OMISSIS), a cui non puo' essere attribuita ne' l'omissione rilevante ne' la prevedibilita' e, quindi, l'evitabilita' dell'evento, posto che risulta indimostrato che il ricorrente potesse sapere o prevedere che alla (OMISSIS) non fosse stata, inopinatamente, somministrata acqua per circa due giorni, anche alla luce dell'operazione elementare e quotidiana della somministrazione di acqua, per cui, attesa la prevedibilita' logica, da parte dell'amministratore della struttura, che l'infermiera (OMISSIS) somministrasse l'acqua con regolarita' agli ospiti, alcuna cautela avrebbe potuto essere adottata dal (OMISSIS) ai fini della evitabilita' dell'evento ovvero della omissione della condotta; cio' senza considerare che tale omissione si sarebbe verificata nell'arco di un tempo minimo di due giorni dal ricovero della (OMISSIS) presso la "(OMISSIS)", arco temporale che ben avrebbe potuto sfuggire anche alla vigilanza del (OMISSIS), che, per le funzioni svolte, certamente non si recava presso la struttura quotidianamente; in altri termini, la decisione adottata risulta assunta in violazione dei parametri normativi di cui agli articoli 40 e 41 c.p. ed in virtu' di una responsabilita' di mera posizione, senza contare che cio' e' avvalorato anche dal fatto che alla (OMISSIS) e' stata ascritta una condotta consistita nel non essersi tempestivamente attivata per provvedere al rapido deterioramento delle condizioni della (OMISSIS), il che dimostra ancor piu' manifestamente come il (OMISSIS) non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi per impedire l'evento; 2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta di abbandono e l'evento morte, certamente non ascrivibile al (OMISSIS) a titolo di colpa, posto che la condizione di disidratazione e' stata individuata come mera concausa del decesso, a fronte delle condizioni complessivamente scadute della (OMISSIS), ampiamente descritte in sentenza; cio' nonostante la Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se nell'anamnesi remota della (OMISSIS) fossero presenti sintomi di insufficienza renale cronica, il che sarebbe stato indispensabile per la verifica della genesi dell'insufficienza renale acuta intervenuta, cosi' come nessuna incidenza e' stata data al "marasma senile" pur diagnosticato; complessivamente, quindi, il determinismo causale della morte e' stato individuato nella sola disidratazione della paziente, senza alcuna valutazione delle pregresse e specifiche patologie della stessa, nonostante la consulente della difesa della coimputata (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), avesse fatto riferimento alle analisi svolte all'atto del ricovero della (OMISSIS) presso l'ospedale (OMISSIS); cio' emerge di palmare evidenza laddove la sentenza impugnata assume che da almeno quarantotto ore la (OMISSIS) non fosse idratata, salvo poi riconoscere la validita' delle dichiarazioni dibattimentali della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver somministrato acqua alla paziente la sera precedente il ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; 2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla rideterminazione della pena inflitta al (OMISSIS), illogicamente quantificata in relazione alla coimputata (OMISSIS), anch'essa socia della " (OMISSIS) s.r.l.", essendo del tutto assertivo e privo di giustificazione logica la differente gravita' delle condotte a causa di una posizione di maggiore debolezza della (OMISSIS), del tutto indimostrata, alla luce degli accordi intervenuti tra i due soci. 3. (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 110 e 591 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito ritenuto sussistente l'elemento psicologico del dolo eventuale del reato di abbandono di incapaci, attribuendo a titolo di responsabilita' oggettiva l'evento morte, attraverso l'elaborazione della categoria della "inidoneita' oggettiva" della struttura, svincolata dai parametri formali della normativa regionale, laddove tutti i dati emersi dall'istruttoria dibattimentale escludono che "(OMISSIS)" fosse manchevole dal punto di vista strutturale ed organizzativo, con conseguente irrilevanza della mancanza di autorizzazioni; in tal senso vanno considerate le deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), assistenti sociali, nonche' dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), che periodicamente si recavano nella struttura, le cui deposizioni sono riportate per stralci in ricorso ed integralmente allegate allo stesso; la circostanza che detti soggetti, dotati di specifiche competenze, non avessero mai rilevato alcunche', anche in costanza del ricovero della (OMISSIS), dimostra l'insussistenza di qualsiasi pericolo per l'incolumita' della predetta, che, quindi, il (OMISSIS) non avrebbe potuto rappresentarsi. La difesa, inoltre, deduce il travisamento della prova testimoniale della Dott.ssa (OMISSIS), assistente sociale che effettuo' la visita ispettiva all'esito del decesso della (OMISSIS), individuando l'idoneita' della stessa ad accogliere pazienti non autosufficienti. Quanto alla (OMISSIS), madre della (OMISSIS), la stessa si recava ad aiutare la figlia per tutta la giornata, diversamente da come rilevato in sentenza, spesso trattenendosi anche per la notte, per cui la (OMISSIS) non era la sola persona presente nella struttura, circostanza da cui, erroneamente, e' stata desunta la consapevolezza del (OMISSIS) di mettere in pericolo la propria madre. Peraltro, emerge dal "Catalogo dei sevizi residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari", di cui al Regolamento di attuazione della legge regionale 11/2007, che il servizio nelle strutture per persone non autosufficienti prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno. La motivazione della Corte di merito risulta, quindi, carente sotto l'aspetto della dimostrazione dell'inidoneita' organizzativa in concreto, il che incide viepiu' sulla sussistenza dell'elemento psicologico del (OMISSIS), essendo, in ogni caso, indimostrato che egli fosse a conoscenza della presenza della sola (OMISSIS) quale soggetto deputato all'assistenza alle ospiti della struttura; peraltro, il perito prof. (OMISSIS) ha indicato la (OMISSIS) come autonoma o semiautonoma, anche alla luce del livello di assistenza fornitole in precedenza dalla badante, a dimostrazione della compatibilita' tra le condizioni della predetta ed il modulo organizzativo della struttura, non esistendo alcuna documentazione formale che attesti la non autosufficienza della (OMISSIS); in ogni caso, il meccanismo di cui all'articolo 507 c.p.p., attraverso il quale si e' pervenuti all'incarico al prof. (OMISSIS), esclude che si possa prescindere dalle sue conclusioni. Anche la circostanza del licenziamento della badante, (OMISSIS), e' stata valutata senza considerare la documentazione INPS, dimostrativa del fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro si fosse verificato solo dopo il decesso della (OMISSIS), essendo stata la predetta (OMISSIS) semplicemente allontanata dall'appartamento, in precedenza, per il pericolo derivante dalle condizioni dell'immobile, che necessitava di urgenti lavori; ancora, e' stato evidenziato come dal testimoniale, con particolare riferimento alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva svolto l'ispezione della struttura dopo il decesso della (OMISSIS), era emerso come, tra la documentazione sanitaria inviata dal (OMISSIS), era presente anche un'attestazione risalente, relativa alla (OMISSIS), che altro non e' se non la cartella clinica del (OMISSIS) del 2008, da cui emergevano le specifiche condizioni della (OMISSIS), a dimostrazione del fatto che effettivamente il (OMISSIS) ebbe a consegnare al (OMISSIS) la documentazione sanitaria relativa alla madre all'atto del ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; che, poi, il (OMISSIS) conoscesse le condizioni della paziente, affetta da Alzheimer, e' dimostrato da quanto dallo stesso affermato nel corso del suo esame, essendogli stata tale notizia fornita dal (OMISSIS) anche verbalmente, cio' a dimostrazione della perfetta consapevolezza, da parte dei soci della struttura, delle condizioni della (OMISSIS) al momento del ricovero, senza che fosse stata evidenziata alcuna incompatibilita' da parte degli stessi, nonostante la precisa sussistenza di obblighi in tal senso, da parte del responsabile della struttura, come indicato anche dal perito (OMISSIS); il tutto a dimostrazione della radicale insussistenza di elementi a sostegno dell'elemento psicologico del reato, su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione, nonostante le sollecitazioni difensive, ivi inclusa la mancata opposizione al trasferimento della (OMISSIS) da parte del Giudice tutelare e del fratello del (OMISSIS), nonostante le comunicazioni ricevute. Quanto all'elemento soggettivo, nonostante una memoria difensiva sul punto - il cui contenuto viene illustrato in ricorso in relazione alla linearita' della condotta del (OMISSIS), alla luce delle indicate emergenze dibattimentali - la sentenza non ha affatto affrontato il discrimine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, alla luce dell'insegnamento della Cassazione nel caso ThyssenKrupp, i cui criteri valutativi la difesa illustra in riferimento alla specifica vicenda, al fine di dimostrare come appaia evidente che il (OMISSIS) non avrebbe mai collocato la madre presso la "(OMISSIS)" se fosse stato certo della verificazione della messa in pericolo della stessa; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito del tutto travisato i dati probatori in riferimento al nesso di causalita', avendo ritenuto errata la diagnosi definitiva di marasma senile, individuata dai medici dell'ospedale (OMISSIS), quanto al decesso della (OMISSIS); la difesa ricostruisce le iniziali emergenze investigative, illustrando come il (OMISSIS) avesse, sin dall'inizio, confutato la tesi dell'abbandono della propria madre presso la struttura, essendo egli immediatamente intervenuto appena saputo delle sue condizioni, ed essendosi recato dapprima alla "(OMISSIS)" e quindi all'ospedale (OMISSIS), senza alcun indugio, come poi ampiamente dimostrato dall'istruttoria dibattimentale illustrata in ricorso; cio' dimostra come i sanitari del (OMISSIS) fossero pienamente a conoscenza delle condizioni della (OMISSIS), anche in quanto riferite dal figlio, per cui mai la loro diagnosi avrebbe potuto essere frutto di fretta e di mancata conoscenza di dati specifici. In ogni caso, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la causa della morte e' stata ravvisata unicamente nell'avere la (OMISSIS) omesso di somministrare acqua alla (OMISSIS), salvo poi, pochi righi dopo, aver escluso che la mancata somministrazione di acqua potesse rappresentare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento letale, in tal modo incorrendo in una palese contraddittorieta'. Seppure si considera la disidratazione l'unica causa del decesso, trattandosi di causa sopravvenuta, non si comprende come potrebbe sussistere il nesso di causalita' con la condotta ascritta al (OMISSIS), trattandosi, tra l'altro, di un evento del tutto non prevedibile o, almeno, sulla cui prevedibilita' la sentenza impugnata e' rimasta del tutto silente; le prove acquisite escludono di ritenere la (OMISSIS) una persona poco attenta alle esigenze delle ospiti della struttura, per cui non si comprende come il (OMISSIS) avrebbe potuto prevedere la dimenticanza della (OMISSIS), risultando, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita', la condotta a lui contestata priva di qualsivoglia incidenza sulla produzione dell'evento letale, cio' a prescindere dalla mancata indagine su altre cause della morte, come indicato nei motivi di appello; 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 47 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito erroneamente escluso che la condotta del ricorrente fosse scriminata per essere egli incorso in errore incolpevole sulla legge extra-penale e, segnatamente, in riferimento alle norme di cui al Regolamento n. 4 del 7 aprile 2014 della Regione Campania e del Catalogo dei servizio residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari di cui al regolamento di attuazione della legge regionale n. 11 del 2017, nonche' della delibera della Giunta regionale n. 107 del 2014, pur avendo la Corte territoriale riconosciuto la condivisibilita' dell'impostazione difensiva; cio' nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'addebito a carico del (OMISSIS) non fosse quello di aver collocato la madre in una struttura priva delle prescritte autorizzazioni, ma in una struttura oggettivamente inidonea, al di la' dei requisiti formali, introducendo l'inedita categoria della "inidoneita' oggettiva", peraltro senza chiarire cosa cio' significasse nel caso in esame, dato che e' stata esclusa qualsiasi condizione di degrado della struttura; in realta', l'unico elemento e' costituito dalla circostanza che la (OMISSIS) fosse l'unico soggetto preposto alla cura delle anziane ospiti della struttura, circostanza non solo non vera, ma soprattutto non nota al (OMISSIS), non essendo stata in alcun modo dimostrata tale sua consapevolezza, essendo, al contrario, emerse dal dibattimento circostanze di segno opposto; in ogni caso, se la carenza di personale fosse stato il vulnus della struttura, cio' integrerebbe una carenza normativa che consentirebbe l'applicazione dell'articolo 47 c.p., comma 3; infine, non va dimenticato che la normativa regionale richiamata, nella parte dedicata alle comunita' di persone non autosufficienti, preveda l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici assistiti durante il giorno e di un solo operatore ogni sedici assistiti durante il turno notturno, il che rende evidente come la presenza della sola (OMISSIS) non fosse affatto al di fuori della regola di settore; peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato come il (OMISSIS) ignorasse i precetti normativi in tema di autonomia e semiautonomia e la disciplina di settore in tema di autorizzazione delle strutture di accoglienza di tali soggetti, essendo, quindi, evidente l'errore scusabile sulla norma extra-penale, come dimostrato dalle stesse deposizioni del prof. (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS) sul punto; 3.4 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento alla L. n. 24 del 2017, articolo 15, articolo 507 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), avendo la difesa avuto modo con i motivi di appello di rappresentare come, nel caso di specie, la richiamata disposizione del 2017 imponesse la nomina di un collegio peritale e non di un solo perito, circostanza su cui il fugace passaggio motivazionale della sentenza contrasta con quanto affermato dall'ordinanza n. 12593 della Terza Sezione Civile della Cassazione, con conseguente nullita' della perizia, apparendo evidente dalla stessa formulazione del quesito come, nel caso in esame, si versasse proprio in un caso di responsabilita' sanitaria; tanto premesso, il meccanismo di conferimento dell'incarico, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., rende evidente l'indispensabilita' dell'apporto del perito, sicche' la nullita' della perizia non puo' che coinvolgere l'accertamento nel suo complesso; 3.5 mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento al quarto motivo di gravame, in quanto la difesa aveva, nella propria lista testi, indicato coloro i quali avrebbero deposto sui lavori da effettuarsi all'interno dell'appartamento della (OMISSIS), che ne avevano reso indispensabile il trasferimento altrove; a tali testi la difesa aveva rinunciato, all'udienza del 19/02/2019, su invito del Presidente del Collegio di primo grado, ritenendo la circostanza gia' sufficientemente provata; alla luce delle motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, la difesa aveva, quindi, richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per produrre documentazione pertinente alla dimostrazione della indicata circostanza, richiedendo, altresi', l'esame dei testi; l'ordinanza di rigetto da parte della Corte di merito si basa sulla circostanza che la rinuncia difensiva non sarebbe stata motivata dalle ragioni indicate dalla difesa medesima, alla luce del verbale stenotipico dell'udienza del 07/05/2019, avendo, quindi, la Corte territoriale erroneamente individuato l'udienza di primo grado alla luce della quale avrebbero dovuto essere verificate le deduzioni difensive; cio' senza contare che la Corte di merito, del tutto contraddittoriamente, ha motivato la carenza di prove circa l'indifferibilita' e l'urgenza dei lavori da eseguirsi nell'appartamento abitato dalla (OMISSIS), da cio' desumendo la non temporaneita' di tale trasferimento, ulteriore elemento su cui risulta fondato il convincimento che il (OMISSIS) volesse definitivamente liberarsi della presenza dell'anziana madre. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la vicenda processuale e' stata originata dal decesso presso l'ospedale (OMISSIS), in data (OMISSIS), della (OMISSIS) (OMISSIS), che dal precedente (OMISSIS) era alloggiata presso la struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", di cui era legale rappresentante (OMISSIS); la (OMISSIS), affetta da sindrome di Alzheimer ed incapace di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, aveva sino al trasferimento, vissuto presso la sua abitazione, dove era assistita da una badante rumena, (OMISSIS), ed era, quindi, stata collocata presso la struttura per anziani su iniziativa del figlio, (OMISSIS). Presso la "(OMISSIS)" l'anziana era stata affidata alle cure di (OMISSIS), infermiera e socia della struttura; in data (OMISSIS) proprio la (OMISSIS) aveva effettuato una segnalazione al 118, a seguito della quale l'anziana donna era stata trasportata dapprima presso la clinica (OMISSIS), e da qui trasferita subito dopo all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Appare opportuno premettere, altresi', che la sentenza impugnata ha ricordato come, nel caso in esame, non ci si trovasse in presenza di una situazione, non infrequente nella casistica giudiziaria, di un'anziana lasciata in totale balia di se' stessa, in condizioni igieniche o sanitarie pessime, se non addirittura sottoposta a maltrattamenti; al contrario, la struttura coinvolta, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era accogliente, connotata da livelli assistenziali ed igienici del tutto adeguati, le ospiti erano circondate da un clima conviviale ed affettuoso, grazie proprio all'attivita' di (OMISSIS). Tale struttura, tuttavia, era risultata priva delle necessarie autorizzazioni, essendo stato accertato che il (OMISSIS), nel 2014, aveva richiesto l'autorizzazione ad operare come "Gruppo appartamento" - ossia, secondo la normativa regionale di riferimento, come servizio residenziale per soggetti autonomi e semiautonomi che non necessitano di assistenza sanitaria continuativa ed optano per una forma di convivenza -, laddove le ospiti della struttura erano tutte non autonome, tanto e' vero che, dopo le verifiche disposte da parte delle competenti autorita' nel gennaio 2017, era intervenuta un'ordinanza sindacale con cui si disponeva l'immediata cessazione dell'attivita'. La sentenza impugnata, pur dando atto delle soddisfacenti condizioni igieniche ed assistenziali della struttura, ha, tuttavia, individuato un contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della struttura, in quanto (OMISSIS), pur vivendo nell'appartamento, era preposta da sola all'assistenza delle ospiti, non essendo presente nessun altro dipendente, tranne la madre, (OMISSIS), che era stata puericultrice prima del pensionamento, la quale saltuariamente collaborava con la figlia nelle pulizie della struttura e nella cucina, senza prestare alcuna assistenza alle anziane ospiti. La Corte di merito ha quindi ritenuto che, sebbene la (OMISSIS) avesse esperienza nell'assistenza agli invalidi e fosse indubbiamente animata da spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, non potesse garantire da sola un adeguato livello assistenziale alla (OMISSIS) ed alle altre cinque anziane non autosufficienti. Quanto alla causa della morte della (OMISSIS), la Corte di merito ha individuato un arresto cardiaco da insufficienza renale acuta, conseguente a sindrome da disidratazione e sofferenza multiorgano terminale in soggetto affetto da morbo di Alzheimer e vasculopatia cerebrale; proprio il forte stato di disidratazione da cui l'anziana era risultata affetta, avevano indotto i sanitari della clinica "(OMISSIS)", dove ella era stata condotta, a trasferirla dopo poche ore all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Secondo la sentenza impugnata, tale grave stato di disidratazione era insorto nel periodo minimo di quarantotto ore trascorso presso la "(OMISSIS)", dove, evidentemente, la (OMISSIS) non era stata adeguatamente e sufficientemente idratata, cio' in conseguenza della deficitaria organizzazione della struttura stessa, ossia dell'affannoso e pesante contesto in cui operava la (OMISSIS) che, pressata dalle continue esigenze anche delle altre pazienti, in una situazione climatica caratterizzata da elevate temperature, aveva omesso di dare da bere all'anziana con la dovuta frequenza. Cio' era stato, peraltro, ammesso dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva ricordato di aver dato da bere alla (OMISSIS) la sera precedente, ma non anche la mattina in cui, poi, le condizioni della donna si erano aggravate, al punto da richieder l'intervento del 118. Cio' premesso, e rilevato che (OMISSIS) risulta condannata con pronuncia irrevocabile, non avendo formulato ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame, vanno esaminate le posizioni degli attuali ricorrenti. Per (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto che egli avesse consapevolmente accettato di accogliere presso la struttura, di cui era socio e legale rappresentante, la (OMISSIS), madre di un suo amico, essendo conscio delle condizioni di non autosufficienza dell'anziana e del modulo organizzativo non adeguato della "(OMISSIS)", laddove (OMISSIS), figlio della persona offesa, aveva sradicato la madre dalla casa in cui viveva, recidendo drasticamente il legame con la badante che l'aveva accudita per anni, per collocarla in una struttura della cui inidoneita', alla luce delle indicate circostanze, egli era ben consapevole. 2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione della vicenda, occorre anzitutto sottolineare come non vi e' dubbio che i beni giuridici protetti dalla disposizione di cui all'articolo 591 c.p. siano la vita e l'incolumita' individuale, e che scopo dell'incriminazione sia quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per eta' o per altre cause individuate dal legislatore siano esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi e' tenuto ad averne cura. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che ai fini della configurabilita' del reato in esame, la condotta di "abbandono" e' integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (tra le piu' recenti: Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481). In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumita' personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumita' personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volonta' sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali volontarie o dell'omicidio. Puo', quindi, convenirsi sul fatto che l'essenza del delitto consista nell'abbandono del minore o del soggetto altrimenti incapace, caratterizzato dalla volonta' di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico, essendo, quindi, necessario che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un tale obbligo. Il concetto di "abbandono", quindi, presuppone il cessare di una relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo. Tale precisazione appare necessaria, in quanto la condotta di abbandono non ha, nel diritto penale, la stessa valenza che essa riveste nel linguaggio comune, in cui implica un distacco, una separazione materiale tra due soggetti, mentre la condotta penalmente rilevante non e' integrata da ogni distacco: il concetto di abbandono implica, come evidenziato dalla dottrina, un giudizio di valore, "una valutazione della condotta con cui ci si distacca, anzi una valutazione che investe il fine e la pericolosita' della condotta". La giurisprudenza di legittimita', non a caso, ha concentrato la propria attenzione sulla pericolosita' che deve connotare la semplice separazione materiale, per cui l'abbandono penalmente rilevante e' quello pericoloso, idoneo, cioe', a porre il minore o l'incapace in una situazione di pericolo per la sua incolumita'. Pertanto, il pericolo, pur se non richiamato espressamente dalla norma, deve essere considerato requisito della fattispecie senza che, invece, sia richiesta la sussistenza di alcun particolare malanimo da parte del soggetto agente (tra le altre, Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv. 273479; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T. e altro, Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305; Sez. 5, n. 337 del 24/10/1980, dep. 22/01/1981, Saccone, Rv. 147371; Sez. 5, n. 12941 del 04/07/1978, Silecchia, Rv. 140268; Sez. 5, n. 8180 del 05/04/1974, Giannini, Rv. 128371). Tale opzione ermeneutica, peraltro, non solo trova fondamento nella previsione di aggravamenti di pena in caso di morte o di lesione della vittima, ma, richiedendo la pericolosita' della condotta, ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 591 c.p., consente di orientare la fattispecie in coerenza con il principio di offensivita'. Ne consegue, pertanto, che il dolo debba avere ad oggetto, oltre che l'eta' minore o lo stato di incapacita' del soggetto passivo e l'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde alla volonta' libera e cosciente non solo di abbandonare la persona incapace di provvedere a se' stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresi' nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilita' di danno per la vita o per l'incolumita' della persona abbandonata. Ovviamente la declinazione dell'elemento soggettivo puo' essere inquadrata anche nel dolo eventuale, quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). 3. Nel caso di (OMISSIS), quindi, il dovere di custodia di cui egli era titolare, scaturente dal suo ruolo di socio e legale rappresentate della struttura e dall'avervi accolto l'anziana, deve essere specificamente considerato, in relazione alla condotta a lui ascritta. Senza alcun dubbio, nel caso in esame, tale dovere aveva fonte contrattuale, in coerenza con quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Sez. 5, n. 18448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126, che, in motivazione ha specificato: "Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'eta' ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive. Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potra' sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilita' del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, puo' anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex articolo 591 c.p. possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, con la possibilita' di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 25527, Conzatti; Cass., Sez. 4, 5 aprile 2013, n. 50606, Manca)."). Cio' che, per la verita', la sentenza impugnata non ha chiarito in maniera adeguata ed esaustiva e' l'individuazione del contenuto del dovere di custodia in capo al (OMISSIS), non risultando affatto chiarito quale norma cautelare specifica riferita alla posizione di garanzia rivestita - egli abbia violato, ed in quali termini da tale violazione sia derivata una condizione di abbandono dell'anziana. Tale questione appare di rilievo decisivo, posto che nella presente sede non si discute della responsabilita' civile, ma della responsabilita' penale per un delitto punto a titolo di dolo. In ambito civile, infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito come il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonche' nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, con conseguente, autonoma e diretta responsabilita' della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (Sez. U, n. 9556 del 01/07/2002, Rv. 555494; in tal senso anche Sez. 3, n. 13066 del 14/07/2004, Rv. 574562, in cui si e' chiarito come il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che puo' essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura, obblighi di vario tipo, come individuati dalle Sezioni Unite). In altri termini, la responsabilita' della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e puo' conseguire, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonche', ai sensi dell'articolo 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal personale sanitario, quale ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione effettuata e l'organizzazione aziendale. Inoltre, va ricordato che, del tutto pacificamente, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilita' civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralita' di cause, i criteri che si applicano sono quelli della "probabilita' prevalente" e del "piu' probabile che non", sicche' il giudice di merito e' tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, quindi analizzare le rimanenti ipotesi ritenute piu' probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo cosi' la veste di probabilita' prevalente (tra le piu' recenti: Cass. civ., Sez. 3, n. 25884 del 02/09/2022, Rv. 665948; Sez. 1, ordinanza n. 18584 del 30/06/2021, Rv. 661816). In sede penale, invece, si tratta di accertare la sussistenza di un reato e l'individuazione del suo autore, il che - ed appare veramente superfluo sottolinearlo - involge un accertamento che si fonda sul raggiungimento di una prova che consenta una condanna al di la' di ogni ragionevole dubbio. Nel caso in esame non vi e' dubbio che la sentenza impugnata abbia pacificamente dato atto delle soddisfacenti condizioni della struttura (pag. 15 della motivazione), alla luce del testimoniale, affermando, pero', che "l'abbandono in contestazione non inerisce alla trascuratezza igienica dei locali ne' si ipotizzano contestualmente ad esso maltrattamenti di alcun tipo. Del garbo e della disponibilita' nei confronti delle ospiti palesato dalla (OMISSIS) non vi e' motivo di dubitare ma tale atteggiamento non vale ad escludere il complessivo contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della casa...", consistente nel fatto che la (OMISSIS) fosse l'unica persona a prendersi cura della sei anziane ricoverate, onere lavorativo gravosissimo, svolto senza alcuna interruzione. In sostanza, la Corte di merito ha posto a carico del (OMISSIS) la violazione di un obbligo di protezione di natura contrattuale, concretatosi nel mancato rispetto di una massima di esperienza, ossia quella secondo la quale l'assistenza fornita dalla sola (OMISSIS), nonostante la sua indiscussa professionalita', fosse insufficiente ed inadeguata. Quindi, al (OMISSIS) sarebbe ascrivibile non solo una condotta attiva - consistita nell'aver aderito alla richiesta di ricovero dell'anziana presso una struttura che egli sapeva carente - ma anche una condotta omissiva - consistente nel non aver posto rimedio a tali carenze. Specularmente, al figlio della anziana, (OMISSIS), sarebbe ascrivibile una condotta attiva - consistita nell'aver trasferito la madre in detta struttura, sottraendola al contesto cui ella era abituata - ed una condotta omissiva consistita nel non essersi preventivamente accertato delle condizioni assistenziali della struttura stessa. Anche a carico del (OMISSIS), quindi, la responsabilita' discenderebbe dalla violazione di un obbligo di assistenza e di cura discendente dal rapporto di filiazione, riconducibile, in concreto, alla medesima massima di esperienza applicata anche in riferimento al (OMISSIS). Cosi' inquadrata la questione che costituisce lo snodo centrale della contestazione, su tale aspetto occorre ricordare come, metodologicamente, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata se non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo', tuttavia, avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, P.G. c. Romano Eric, Rv. 281385). Trattasi di un approdo ermeneutico risalente e consolidato, che trova, tra le altre, un autorevole precedente in Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, P.G. in proc. Abbate ed altri, Rv. 228401, secondo cui "Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica), od anche una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'." (in senso conforme: Sez. 4, n. 8825 del 27/05/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, Grilli ed altri, Rv. 186149; Sez. 1, n. 9242 del 04/02/1988, Barbella, Rv. 179165). Il citato orientamento, quindi, non solo ascrive le massime di esperienza alle regulae juris che preesistono al giudizio, ma consente di differenziare tra massima di esperienza e mera congettura: nel primo caso il dato e' stato gia', o viene comunque, sottoposto a verifica empirica - il che consente il ricorso alla formula dell'id quod plerumque accidit -, mentre nel secondo caso tale verifica non vi e' stata, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilita', sicche' la congettura rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Tale impostazione, ovviamente, deve essere inquadrata nella struttura del giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale, che non puo' mai essere di probabilita', ma di certezza. Nella vicenda in esame risulta del tutto pacifico che fino al momento del decesso della (OMISSIS) nessuna situazione critica si fosse verificata in relazione alle modalita' di assistenza alle altre anziane ricoverate, le cui condizioni di accudimento, al contrario, risultavano del tutto adeguate al loro rispettivo stato di salute, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale che, sul punto, ha escusso non solo i familiari delle altre ospiti, ma anche i medici e le assistenti sociali, non dipendenti della struttura, che ivi si recavano ad effettuare i controlli. Da cio' deriva un primo errore metodologico da parte della Corte di merito, consistente nell'aver ritenuto l'inadeguatezza della struttura unicamente sulla base dell'evento verificatosi, con evidente valutazione ex post, laddove, al contrario, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata ex ante. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe dovuto evidenziare specifiche circostanze, preesistenti all'aggravarsi delle condizioni della (OMISSIS), in se' idonee a delineare, con giudizio ex ante, carenze strutturali e/o assistenziali note al (OMISSIS) o, comunque, rientranti nella sua sfera di controllo e valutabili alla luce di una o piu' verificate massime di esperienza. In particolare, sarebbe stato necessario che la valutazione delle risultanze processuali fosse stata svolta in base ad un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze autonome da esso e valevole per nuovi casi. Cio' a maggior ragione se - come dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle disposizioni normative vigenti presso la Regione Campania in tema di strutture assistenziali per persone non autosufficienti - il servizio presso tali strutture prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno, risultando, quindi, evidente, come, in base ai criteri elaborati nello specifico settore, sulla scorta delle esperienze maturate, un'infermiera professionale ben poteva adeguatamente assistere sei persone anziane non autosufficienti, pur non disponendo, durante l'arco temporale di riferimento, di un assiduo aiuto. In tal senso, quindi, appare evidente come la Corte di merito abbia operato una confusione rilevante, in termini di inquadramento normativo e di conseguente svolgimento argomentativo, tra la nozione di massima di esperienza e quella di congettura, omettendo di chiarire sulla scorta di quale inferenza epistemologica si fosse pervenuti alla individuazione della massima di esperienza applicata nella specie. Perche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame il valore di prova, e', quindi, necessario che si possa escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, laddove, in caso contrario, il dato rappresenta solo un criterio di plausibile valutazione, ma non un elemento di prova autosufficiente, risultando necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile; cio' in quanto il concetto di "probabilita' logica" esprime il concetto secondo cui la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilita' della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Cassandro, Rv. 237145; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala e altri, Rv. 230873; Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995 Layne ed altri, Rv. 201152). Non si comprende, quindi, sulla scorta di quale criterio di inferenza scientifica la sentenza impugnata abbia considerato massima di esperienza l'affermazione secondo cui una sola infermiera, di indiscusse capacita' professionali, non possa adeguatamente occuparsi, anche da sola e continuativamente, di un numero limitato di pazienti non autosufficienti e non richiedenti cure mediche specifiche e/o specialistiche, posto che sino al momento del decesso della (OMISSIS) non si era emersa alcuna problematica riferibile a tale modulo assistenziale. Sotto tale aspetto, infatti, non puo' non considerarsi come la (OMISSIS) fosse stata assistita, anche presso la propria abitazione, da una sola persona, (OMISSIS), che, peraltro, non aveva competenze specifiche. Presso la "(OMISSIS)", inoltre, non risultano emerse condizioni di degrado fisico cui era stata sottoposta la (OMISSIS), che, invece, era stata adeguatamente assistita in riferimento alle sue specifiche condizioni, fino al momento in cui si era verificata la mancata somministrazione di sufficienti liquidi, vicenda cronologicamente limitata ad un arco temporale di quarantotto ore precedenti al ricovero. In tal senso, quindi, si palesa anche il vizio di illogicita' della motivazione sotteso al ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, che, alla luce della emergenze probatorie evidenziate - con particolare riferimento sia alla mancanza di fatti pregressi che avessero evidenziato una inidoneita' e/o una carenza della scelta assistenziale praticata, sia quanto alla coerenza del modulo adottato ai parametri della normativa regionale di settore - non ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. La concreta condotta di abbandono di cui e' stata ritenuta responsabile (OMISSIS), in altri termini, non implica alcun automatismo in termini di disfunzioni organizzative ascrivibili al (OMISSIS) e, tantomeno, al (OMISSIS). In tal senso, infatti, la sentenza impugnata confonde, palesemente, il dato rappresentato dalla carenza di autorizzazione amministrativa della struttura, nonche' quello relativo alla situazione di non autosufficienza della (OMISSIS), con il diverso piano inerente alla indimostrata carenza strutturale ed organizzativa su cui avrebbe dovuto fondarsi la condotta consapevole e volontaria di abbandono penalmente rilevante. Cio', peraltro, senza porsi minimamente il dubbio un possibile inquadramento della vicenda in un'ottica colposa. 4. A tali considerazioni, inoltre, va aggiunto il rilievo concernente la totale carenza - non a caso - di un'adeguata motivazione circa l'indagine concernente il nesso di causalita' tra le condotte ascritte agli imputati e l'abbandono verificatosi, oltre che in relazione all'elemento soggettivo del reato, ossia al dolo. Prima ancora di analizzare le cause del decesso dell'anziana, la sentenza avrebbe dovuto chiaramente individuare la condotta di abbandono, causalmente rilevante, ascrivibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), senza alcuna sovrapposizione della posizione di costoro con il profilo concernente la condotta di (OMISSIS). Nell'ottica di un delitto punibile a titolo di dolo, quale la fattispecie di cui all'articolo 591 c.p., l'evento deve essere preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. La condizione di abbandono, quindi, prima ancora dell'evento morte, non puo' costituire un accadimento accidentale, ma una conseguenza che dipende dal consapevole attivarsi od omettere. Si deve, quindi, ribadire come il dolo del delitto in esame e' generico, potendo assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). Nel delitto doloso cio' che va specificamente valorizzato e' l'aspetto della volonta', il che consente di ricomprendere in tale cornice ricostruttiva anche le situazioni in cui l'evento, senza essere intenzionalmente perseguito, venga posto in correlazione causale con la propria azione e, proprio per questa ragione, voluto - come conseguenza nel momento stesso in cui l'agente decide di porla in essere, conscio del risultato che ne puo' derivare. In tal modo appare possibile consentire, anche in riferimento al dolo eventuale, di cogliere in esso un atteggiamento psichico assimilabile a quello propriamente volontaristico. Inoltre, posto che la rilevanza penale della condotta attiva o omissiva discende dal costituire una condizione necessaria nella sequenza degli antecedenti che hanno determinato la produzione del risultato, senza la quale l'evento del reato non si sarebbe verificato, la sentenza impugnata appare manifestamente carente anche in relazione all'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati, dato che, seppure la massima di esperienza utilizzata fosse condivisibile - cosa che non e' -, cio' non avrebbe comunque consentito di dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice di merito deve verificare la validita' della regola in riferimento al caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, in modo che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta degli imputati sia stata condizione necessaria dell'abbandono con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica. L'insufficienza, la contraddittorieta' o l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta, rispetto ad altri fattori interagenti, comportano, in definitiva, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa, in quanto lo standard probatorio richiesto in riferimento alla sussistenza del nesso causale non segue un regime differente rispetto agli altri elementi costitutivi del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare il caso di richiamare quanto gia' affermato da questa Corte in tema di differenza tra il reato di maltrattamento e quello di abbandono di incapaci, laddove e' stato ricordato come le reiterate e gravi carenze di cure ed assistenza a persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se' il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilita' e' necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 6, n. 12866 del 25/01/2018, M., Rv. 27273). Nell'esaminare tale specifica vicenda appare evidente, peraltro, come la Corte di merito abbia del tutto pretermesso di valutare il possibile inquadramento delle condotte in fattispecie colpose. Quanto al (OMISSIS), la motivazione della sentenza impugnata - e ancor piu' di quella di primo grado - appaiono evidentemente incentrate sulla negativa valutazione della condotta del predetto, che "non ebbe alcuna remora non solo a sradicare l'anziana dall'ambiente in cui viveva da sempre, ma a recidere drasticamente il suo consolidato rapporto con la badante che da tanti anni l'accudiva, non premurandosi neanche di avvertire quest'ultima che da un momento all'altro avrebbe perso il lavoro, facendole trovare al ritorno dalla spesa sinanche rimossi il letto ed il materasso su cui la madre dormiva e imponendole la pronta restituzione delle chiavi di casa. Neanche si premuro' di assicurare, per attutire il distacco che andava operando, che almeno per qualche giorno la (OMISSIS) continuasse ad incontrare la signora, tacendole sinanche l'indirizzo della casa di riposo ove veniva trasportata, alla quale la donna riusci' ad arrivare solo tramite le indicazioni telefoniche del figlio di (OMISSIS) per venirne poi praticamente cacciata visto che l'imputato aveva disposto che non fossero consentite visite di soggetti diversi dai parenti." Appare appena il caso di ricordare come ogni valutazione concernente la condotta umana da punto di vista etico non spetta ne' a questa Corte ne' ai giudici di merito che, al di la' delle affermazioni pur effettuate (pag. 26 della sentenza impugnata), non sembrano aver non solo adeguatamente affrontato le problematiche giuridiche sin qui esposte, ma non hanno neanche ritenuto di dare spazio alle argomentazioni difensive. In tal senso del tutto immotivato appare il diniego di acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa del (OMISSIS); seppure, infatti, non appare illogico il rigetto, da parte della Corte territoriale, di rinnovare l'esame dei testi a cui la difesa aveva rinunciato in primo grado, del tutto privo di ogni aggancio motivazionale appare il diniego di acquisire la documentazione avente ad oggetto i lavori da eseguire all'interno dell'appartamento della (OMISSIS). Premesso, infatti, che trattasi di documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. senza alcuna limitazione, la Corte di merito sicuramente avrebbe potuto approfondire la sussistenza di circostanze alla stregua delle quali considerare l'elemento soggettivo dell'imputato, salva, in concreto, ogni valutazione della irrilevanza della documentazione acquisita. Ed infatti, la decisione di (OMISSIS) di sistemare la madre presso una struttura, per quanto possa apparire umanamente non condivisibile o, addirittura riprovevole, alla luce delle condizioni di assistenza di cui godeva la (OMISSIS) presso la propria abitazione, non consente automaticamente di configurare a fattispecie di abbandono di incapaci, posto che nessun rilievo e' stato dato, ad esempio, all'eventuale aggravamento delle condizioni di salute della (OMISSIS) come conseguenza del trasferimento, circostanza che non appare affatto approfondita dall'istruttoria dibattimentale; ne', per la verita', appare presa in considerazione la possibilita' che il (OMISSIS) abbia agito in maniera imprudente o superficiale. In realta', dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, le sentenze di merito avrebbero dovuto individuare la condizione di abbandono specificamente verificatasi, ancor prima di approfondire la causa del decesso della (OMISSIS), posto che tale evento era, in ipotesi, scaturito dall'abbandono. Una volta individuata, con giudizio ex ante, la condizione di abbandono, sarebbe stato necessario verificare se ed in che misura la stessa fosse causalmente collegata alle condotte - attive e/o omissive - ascritte al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), nelle loro rispettive posizioni di garanzia scaturenti dagli obblighi di custodia di cui erano titolari, passando, poi, a scandagliare in maniera adeguata la sussistenza dell'elemento soggettivo anche sotto l'aspetto di un rimprovero da inquadrare nella categoria della colpa. Al contrario, la Corte di merito, sulla base di un percorso metodologico del tutto carente ed illogico - basato su una indimostrata massima di esperienza - ha asserito la sussistenza di non meglio specificate violazioni di doveri di custodia, senza approfondire, se non attraverso affermazioni apodittiche, l'elemento soggettivo del delitto di abbandono di incapaci e la sussistenza del nesso di causalita' tra le condotte ascritte ad (OMISSIS) ed a (OMISSIS) e la verificazione della condizione di abbandono. In tal senso, quindi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che, nella piena liberta' della valutazione delle risultanze processuali, si atterra', nondimeno, ai principi di diritto sin qui illustrati. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna Mar - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), n. a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza in data 8/6/2022; Dato atto che si e' proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, e Decreto Legge n. 198 del 2022, articolo 8; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Cons. Dott. Anna Maria De Santis; letta la requisitoria del Sost. Proc.Gen. Dott. Senatore Vincenzo, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni rassegnate dal difensore della parte civile (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), corredata da nota spese; letta la memoria difensiva a firma dell'Avv. (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1.Con l'impugnata sentenza la Corte di Appello di Potenza confermava la decisione del Gup del locale Tribunale che aveva riconosciuto l'imputato colpevole di piu' episodi di truffa, ricettazione di titoli di credito, estorsione e spendita di banconote contraffatte, condannandolo, con il vincolo della continuazione ed effettuata la diminuzione per la scelta del rito, alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, Avv. (OMISSIS), il quale ha dedotto: 2.1 l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di estorsione aggravata e di truffa di cui al capo 1) dell'imputazione. Il difensore sostiene che nel caso in esame non sono ravvisabili gli estremi della truffa contrattuale in quanto nessun artifizio o raggiro e' stato posto in essere dall'imputato al fine di indurre la p.o. alla stipula dell'atto negoziale. Infatti, lo (OMISSIS) riceveva a fronte della autovettura ceduta un assegno bancario, rimasto impagato perche' privo di provvista, evenienza da sola insufficiente all'integrazione del delitto ex articolo 640 c.p. Quanto alla contestata estorsione, il difensore sostiene che la ricostruzione della p.o. circa l'esibizione di una pistola da parte dell'imputato al fine di indurlo ad accettare l'assegno bancario poi risultato privo di fondi sia inattendibile, tenuto conto del ritardo con cui ebbe a denunziare i fatti e delle sollecitazioni per ottenere il pagamento; 2.2 il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di ricettazione di cui al capo 1.2) della rubrica. Il difensore lamenta che la Corte territoriale ha confermato la responsabilita' del prevenuto per il delitto ex articolo 648 c.p. trascurando che l'illecito non puo' ritenersi integrato in difetto del reato presupposto poiche' l'assegno originariamente ritenuto rubato risultava iscritto alla banca dati CAI esclusivamente perche' privo di provvista. Infatti, all'esito delle indagini svolte al riguardo dai c.c., il titolo veniva dissequestrato; 2.3 il travisamento della prova e la contraddittorieta' della motivazione nonche' la violazione dell'articolo 192 c.p.p. in relazione alla sussistenza del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. Il difensore assume che la Corte territoriale ha confermato la responsabilita' del ricorrente sulla base delle sole dichiarazioni della p.o. (OMISSIS) e in assenza di elementi di conferma circa il fatto che l'imputato fosse dedito allo spaccio di stupefacenti; 2.4 la mancanza di motivazione con riguardo alla sussistenza dei reati ex articoli 640 e 629 c.p. ascritti ai capi 2) e 2.2) della rubrica. Il difensore lamenta che la sentenza impugnata ha confermato la penale responsabilita' del ricorrente per gli addebiti in esame senza argomentare in ordine all'attendibilita' della versione dei fatti fornita dalla p.o. (OMISSIS), nonostante le incongruenze e le contraddizioni segnalate in sede di gravame; 2.5 la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto ex articolo 455 c.p. di cui al capo 2.1) in difetto dei presupposti e correlato vizio della motivazione. La difesa assume che la responsabilita' del prevenuto poggia esclusivamente sulle dichiarazioni del (OMISSIS) senza che risulti acquisito in atti alcun elemento attestante il possesso di banconote false da parte del ricorrente e senza alcun affidabile accertamento circa la falsita' delle banconote asseritamente ricevute dalla p.o.; 2.6 la violazione di legge con riguardo alla sussistenza del delitto di estorsione aggravata ascritta al capo 3.1) dell'imputazione. Secondo il difensore le intercettazioni telefoniche intercorse tra le pp.00. Giallorenzo e Pace e l'imputato non giustificano la riconduzione del fatto nell'alveo dell'estorsione in quanto alle minacce non ha fatto seguito la coartazione delle vittime, che hanno rinunziato a richiedere quanto di loro spettanza solo una volta resisi conto della patita truffa; 2.7 la violazione di legge in relazione ai reati di truffa ascritti ai capi 4), 5), 6), 7), 8), 9), 11) per difetto degli artifizi e raggiri e rilevanza meramente civilistica delle condotte. Il difensore assume che, poiche' in tutte le fattispecie di truffa contestate gli artifizi e raggiri sarebbero consistiti nell'utilizzo di strumenti di pagamento non negoziabili quali assegni di provenienza illecita ovvero cambiali poi rivelatesi insolute, non e' nella specie ravvisabile la contestata fattispecie ex articolo 640 c.p. in quanto il mancato pagamento e' evento successivo alla formazione del contratto e come tale insuscettibile di incidere sulla volonta' della p.o. di addivenire all'accordo negoziale. In difetto di prova sulla volonta' truffaldina del debitore il mancato pagamento doveva essere qualificato come mero inadempimento di rilevanza esclusivamente civilistica; 2.8 il vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, avendo la Corte di merito reso al riguardo una motivazione meramente apparente, limitandosi a condividere le considerazioni del primo giudice, senza considerare l'assenza di precedenti specifici e il corretto comportamento processuale del prevenuto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il primo motivo e' inammissibile per genericita' ed aspecificita' delle censure proposte. Il primo giudice, a pag. 3, ha evidenziato che il consenso prestato dalla p.o. (OMISSIS) alla vendita dell'autovettura Clio al prevenuto "non e' causalmente riconducibile al raggiro quanto piuttosto alla minaccia esercitata sul venditore e consistita prima nel dichiarare di essere indagato per omicidio e poi nel mostrare una pistola custodita nel marsupio, specificando di girare armato; il consenso all'accettazione dell'assegno in pagamento e' stato, cioe' estorto e non indotto". Pertanto i rilievi in punto di asserita insussistenza della fattispecie di truffa sono del tutto eccentrici rispetto alla pronunzia, che ha ritenuto l'assorbimento della condotta in quella di estorsione ascritta sub. 1.3). Le doglianze relative alla fattispecie estorsiva sono assertive nella deduzione relativa all'inattendibilita' della ricostruzione dell'episodio effettuata dalla p.o., non constando ne' risultando devolute circostanze idonee a revocare in dubbio la congruenza della narrazione dello (OMISSIS). 1.1 Il secondo motivo e' fondato. Invero, a fronte delle affermazioni contenute nella denunzia dello (OMISSIS) circa la provenienza furtiva dell'assegno ottenuto in pagamento dal ricorrente, accertata mediante accesso al sito CAI, la difesa ha prodotto copia della nota in data 3/10/2017 dei c.c. del Comando Provinciale di Potenza, dalla quale risulta che il titolo esibito dal denunziante risultava inserito nella banca dati CAI perche' portato all'incasso in assenza di fondi. A fronte dei cennati, contraddittori, esiti non puo' ritenersi provata con il necessario grado di affidabilita' la provenienza furtiva dell'assegno, presupposto della configurabilita' della contestata ricettazione, sicche' la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo 1.2) della rubrica con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per nuovo giudizio sul punto. 1.2 Il terzo motivo che revoca in dubbio la sussistenza della fattispecie ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 ha carattere reiterativo ed e' connotato da intrinseca genericita'. Infatti, non risulta condivisibile l'assunto che vorrebbe insufficienti ai fini della prova della responsabilita' del prevenuto le dichiarazioni della p.o. (OMISSIS), avendo gia' il primo giudice evidenziato -in assenza di qualsivoglia elemento atto a revocare in dubbio l'attendibilita' del dichiarante- che, tenuto conto delle circostanze e modalita' del fatto (in particolare l'evocazione da parte del ricorrente della propria caratura criminale, la manifestata disponibilita' di banconote false, l'esibizione della pistola) l'offerta di stupefacente si palesava seria e credibile. 2. Destituite di fondamento s'appalesano le doglianze svolte nel quarto motivo in ordine ai delitti di truffa ed estorsione in danno di (OMISSIS) ascritti ai capi 2) e 2.2) della rubrica. La difesa nell'atto di appello aveva appuntato i propri rilievi sull'attendibilita' della p.o., segnalando circostanze che, a suo dire, ne minavano la credibilita'. La Corte di merito ha disatteso il gravame con motivazione congrua, spiegando le ragioni delle apparenti, e comunque non decisive, discrasie con le quali il ricorrente non si confronta criticamente, lamentando il vizio della motivazione in relazione alla sussistenza degli illeciti in assenza della doverosa e puntuale devoluzione in proposito. 2.1 Inammissibili per genericita' s'appalesano anche le censure di cui al quinto motivo, concernenti la sussistenza della fattispecie ex articolo 455 c.p. Il ricorrente reitera la censura del tutto indeterminata di cui all'atto d'appello, punto B.2, sull'assunto che le dichiarazioni della p.o. non costituirebbero prova idonea ai fini del giudizio di responsabilita'. Il primo giudice (pag. 4 e segg.) ha ricostruito in dettaglio la vicenda sulla scorta della denunzia/querela della p.o. e delle dichiarazioni rese in fase investigativa, rimarcando che il prevenuto pago' l'acquisito di tre telefoni cellulari versando al (OMISSIS) la somma di Euro mille in banconote da 50 e 20 Euro, la cui falsita' fu verificata attraverso un'apposita apparecchiatura in dotazione di un amico tabaccaio. Alle contestazioni mosse dal venditore il (OMISSIS) chiese la retrocessione delle banconote false, impegnandosi alla consegna del prezzo non appena effettuato il prelievo presso la propria banca, senza successivamente darvi corso. La ricostruzione della p.o. posta a base del giudizio di responsabilita' per la spendita di banconote false si fonda sulla ritenuta attendibilita' del dichiarante, non contrastata da elementi di segno contrario, e trova un significativo elemento di corroborazione nella pressoche' coeva vicenda in danno di (OMISSIS), cui pure l'imputato offri' a saldo del prezzo dell'autovettura ceduta banconote false di recentissima fattura, che furono rifiutate dal destinatario. 3. Con riguardo al sesto motivo che concerne l'estorsione in danno di (OMISSIS) ascritta al capo 3.1) deve previamente rilevarsi che il primo giudice (pag. 8) ha escluso l'aggravante delle piu' persone riunite e ha con puntualita' argomentato la sussistenza degli estremi del delitto ex 629 c.p. in quanto il prevenuto, dopo essersi approvvigionato di importanti partite di legna da ardere, prontamente rivendute a terzi, senza saldare il fornitore, faceva reiterato ricorso a minacce per indurre il creditore a rinunziare al dovuto. L'asserita impossibilita' di configurare la fattispecie per difetto dell'elemento costrittivo e' priva di fondamento sol che si consideri, come evidenziato dal primo giudice a pag. 8, che il Giallorenzo, dipendente dei fratelli (OMISSIS), il quale aveva direttamente effettuato le forniture, in sede di denunzia querela ha espressamente precisato di aver desistito dalle richieste di pagamento "temendo per la mia incolumita'". 4. Con il settimo motivo il difensore ha cumulativamente censurato la ritenuta sussistenza delle fattispecie di truffa sull'assunto dell'inesistenza degli artifizi e raggiri. La censura e' affetta da radicale genericita' ed aspecificita'. La difesa, infatti, reitera rilievi disattesi gia' in primo grado con motivazione esaustiva che da' conto della ricorrenza degli estremi costitutivi dei singoli illeciti. Quanto al capo 4 -truffa in danno di (OMISSIS)- il Gup a pag. 11 ha chiarito che la messa in scena del ricorrente si era articolata in piu' passaggi consistiti nel "presentarsi utilizzando quale credenziale la conoscenza di clienti affidabili del venditore, acquistare con assegni in gran parte non negoziabili ed in sequenza ravvicinata diverse merci, alcune pagandole con mezzi genuini per ottenere la fiducia del venditore, ottenere la consegna immediata delle merci per poi non completarne il pagamento". Aggiungeva che l'imputato per garantire la propria solvibilita' aveva inviato alla p.o. fotografie di assegni sottoscritti da pretesi debitori e, a dimostrazione del dolo, evidenziava l'immediata rivendita dell'autovettura acquistata con siffatte modalita' ovvero il trasbordo della merce congegnata in occasione della cessione di stufe e pellets, delle quali il venditore aveva richiesto il pagamento alla consegna, elementi tutti convergenti nell'attestazione di una pianificazione fraudolenta delle condotte, esorbitante il rilievo meramente civilistico postulato dalla difesa. 4.1 Analogamente con riguardo al capo 5 il Gup ha analiticamente ricostruito (pag. 13) la vicenda truffaldina in danno di (OMISSIS) che, creditore dell'imputato per circa 30mila Euro a fronte di forniture eseguite in suo favore, era stato dal (OMISSIS) coinvolto in fittizie operazioni immobiliari e acquisti in sede di aste giudiziarie, millantando conoscenze, falsificando documentazione e lucrando consistenti somme di danaro all'imprenditore. Oggetto di scrupoloso scrutinio risultano anche gli addebiti di cui al capo 6 (truffa in danno di (OMISSIS)), capo 7 (truffa in danno di (OMISSIS)), capo 8 (truffa in danno di (OMISSIS)), capo 9 (truffa in danno di (OMISSIS)), capo 11 (truffa in danno di (OMISSIS)). Inoltre, il primo giudice, a pag. 25, ha richiamato i principi declinati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di artifizi e raggiri, segnalando come nella specie il prevenuto si e' presentato alle vittime come contraente solvibile, vantando ingenti crediti verso terzi, l'impegno in iniziative commerciali e immobiliari assai rilevanti, fornendo rassicurazioni circa il pagamento dei titoli consegnati, che venivano dal medesimo rastrellati da terzi, come reso evidente dagli esiti della perquisizione domiciliare e dalle successive attivita' investigative nei confronti dei titolari dei conti da cui risultavano tratti i titoli in bianco rinvenuti. La Corte territoriale dal canto suo ha evaso con adeguata motivazione le censure difensive (pag. 14/15), convalidando le valutazioni gia' espresse dal primo giudice, con le quali il difensore non si rapporta criticamente in termini puntuali. 5. Inammissibile per manifesta infondatezza s'appalesa anche il conclusivo motivo che concerne il diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale motivatamente condiviso l'apprezzamento del primo giudice secondo cui la serialita' delle condotte illecite e la significativa capacita' a delinquere manifestata dal ricorrente costituiscono elementi ostativi all'invocata mitigazione sanzionatoria. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo 1.2) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Salerno. Le residue doglianze devono essere, invece, dichiarate inammissibili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di ricettazione di cui al capo 1.2 con rinvio alla Corte di Appello Salerno per nuovo giudizio sul suddetto capo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 3.167,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. ARIOLLI Giovanni - rel. Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Ariolli; letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale Giulio Romano, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso; letta la nota di conclusioni del (OMISSIS), dell'Avv. (OMISSIS), quale difensore e procuratore speciale della societa' Zoppis a r.I., il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, con richiesta di condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio; letta la memoria del (OMISSIS), dell'Avv. (OMISSIS) Cesare, quale difensore dell'imputato, il quale, nel replicare alle conclusioni del Pubblico ministero, ha insistito per l'accoglimento del ricorso, anche sotto il profilo del riconoscimento del fatto di lieve entita' ex articolo 131-bis c.p.. Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e del successivo Decreto Legge n. 198 del 2022, articolo 8. RITENUTO IN FATTO (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 13/09/2022, con cui e' stata confermata la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che ha condannato l'imputato alla pena di giustizia, in ordine al delitto di cui all'articolo 641 c.p., nonche' al risarcimento del danno cagionato alla parte civile societa' (OMISSIS) a r.l. Al riguardo deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli elementi oggettivi e soggettivi del reato (dissimulazione dello stato di insolvenza e proposito di non adempiere). In particolare, la modalita' di pagamento dell'obbligazione con assegni postdatati erano state concordate tra le parti in ragione dell'inizio dell'attivita' intrapresa dall'imputato (un bar), appena costituita, i cui incassi avrebbero consentito di far fronte al debito contratto, per come documentato al momento di contrarre l'obbligazione. Si trattava, pertanto, di un inadempimento di carattere civilistico. La Corte di merito aveva confuso lo stato di insolvenza con la carenza di liquidita', nota al creditore. Ne' il reato in esame poteva essere integrato da un'insolvenza sopravvenuta. Nessun rilievo poteva riconoscersi al fatto che le firme apposte sugli assegni fossero difformi dallo specimen depositato in banca, in quanto i testi esaminati avevano riferito che l'imputato era solito firmare gli assegni con tale modalita', ferma restando la possibilita' che i titoli fossero stati firmati da altri soci. L'intento dell'imputato di adempiere aveva trovato conferma nelle testimonianze assunte; 2. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'eccessivita' della pena inflitta, stante l'applicazione della reclusione e non della multa e lo scostamento dal minimo edittale. Le argomentazioni addotte dalla Corte di merito a giustificazione del trattamento sanzionatorio erano meramente riproduttive delle modalita' della condotta sanzionata. Il danno arrecato era di poco superiore ai quattromila Euro, a fronte dell'assenza di precedenti penali, di un leale comportamento processuale, della tenuita' del danno (la merce era stata in parte restituita) e di una parziale offerta risarcitoria; 3. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento del danno morale, determinato nella misura complessiva di Euro cinquemila sulla scorta di un generico riferimento a canoni di equita'. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso ripropone il tema della corretta qualificazione giuridica del fatto che la Corte di merito, con corretti argomenti giuridici, ha correttamente escluso doversi ricondurre ad un mero inadempimento civilistico. In particolare, il giudice del merito ha evidenziato una serie di elementi di fatto, tanto coevi all'instaurarsi dell'obbligazione che successivi con cui il ricorrente omette di confrontarsi, che danno ragionevolmente conto di come l'obbligazione fosse stata contratta dall'imputato in costanza di uno stato di insolvenza e col proposito di non adempierla: cosi', nell'ambito degli elementi dimostrativi dello stato di insolvenza, rileva non solo la circostanza della mancanza di fondi per coprire gli assegni emessi, ma l'assenza ab origine di un patrimonio - che vale anche quale garanzia generale a tutela del creditore per l'adempimento dell'obbligazione - in grado di onorare gli impegni contrattuali, unitamente all'omissione dei versamenti contributivi ai dipendenti, tanto che si precisa come l'attivita' fosse cessata repentinamente a breve distanza dall'apertura; altrettanto, con riguardo al proposito di non adempiere l'obbligazione, puo' farsi riferimento non solo all'emissione di tre assegni non pagati ed al fatto che due di questi non vennero accettati dalla banca per non conformita' della firma ed uno insoluto per mancanza di fondi, ma anche alla denunzia di smarrimento del blocchetto degli assegni quale escamotage per impedirne il protesto e alla successiva irreperibilita' dell'imputato alle forniture non pagate. Di conseguenza, gli assunti difensivi, tra cui quello che la persona offesa avrebbe consentito una dilazione di pagamento, ovvero che l'imputato fosse solito firmare gli assegni con sigla, non assumono alcun decisivo rilievo nell'ambito della ricostruzione in senso penalmente illecito asseverata dai giudici di merito, in quanto non solo si pongono a fondamento di un'alternativa motivatamente esclusa, ma, soprattutto, non elidono la tenuta logica della motivazione che ha ricondotto unitariamente la vicenda ad un illecito ordito volto ad adottare una modalita' idonea a ritardare, in ogni caso, il pagamento, in linea con la tendenza generale di posticipare quelli relativi ad altre forniture, nell'ambito del quale l'affidamento iniziale riposto dalla societa' fornitrice, lungi dal costituire un elemento di favor, finisce, invece, per essere sfruttato dall'imputato per ottenere dilazioni e posticipazioni, gia' nell'ottica di non onorare gli assegni e omettere i pagamenti piu' cospicui. Tanto che il caso in esame si pone al confine con la truffa, posto che, in tema di truffa contrattuale, sebbene il pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura non costituisce, di norma, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo, tale modus puo' concorrere a integrare l'elemento materiale del reato qualora sia accompagnato da un malizioso comportamento dell'agente, nonche' da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sul regolare pagamento dei titoli (Sez. 2, n. 23299 del 12/04/2022, Guercilena, Rv. 283410 - 01). 2. Manifestamente infondato e' il motivo dedotto in ordine al trattamento sanzionatorio, risultando la determinazione della pena specificamente motivata, anche con riguardo alle ragioni che hanno propeso per l'applicazione della sanzione detentiva in luogo di quella pecuniaria, essendosi richiamata l'entita' non modesta del fatto, espressione idonea a supportare il giudizio di maggior disvalore posto a fondamento della scelta punitiva appartenente alla discrezionalita' del giudice del merito. 3. Manifestamente infondato e' anche il terzo motivo quanto alla liquidazione del danno morale; posto che l'importo complessivo e' appena superiore all'entita' degli assegni non pagati, del tutto sufficiente e' il riferimento al canone della equita' per supportare l'operata determinazione. In tema di risarcimento del danno, la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non puo' che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli e' stato determinato l'ammontare del risarcimento (in senso conforme, ex multis, v. Sez. 2, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229 - 01). 4. Manifestamente infondato e' anche l'ultimo motivo, introdotto con la memoria difensiva, con cui il ricorrente invoca l'applicazione della speciale causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p. sulla scorta delle modifiche apportate all'istituto - successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione - dal Decreto Legislativo n. 150 del 2022 che, ai fini della valutazione della particolare tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del comportamento, attribuisce rilievo anche alla condotta susseguente al reato. Sebbene la questione debba ritenersi proponibile per la prima volta in questa sede in ragione della natura sostanziale dell'istituto (in termini, Sez. 4, n. 9466 del 15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133 - 01), dalla lettura delle sentenze di merito emerge non solo come il danno arrecato non sia affatto esiguo, ma soprattutto che il rilievo che dovrebbe attribuirsi alla condotta susseguente al reato si fondi su un'offerta risarcitoria circoscritta alla sola meta' del credito complessivo e da attuarsi con modalita' dilazionate, in assenza dell'indicazione di idonee garanzie. Con la conseguenza che la modifica normativa ampliativa dell'istituto non giova al ricorrente in ragione degli elementi ostativi gia' apprezzati dal giudice del merito. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa per le ammende, cosi' determinata in ragione dei profili di inammissibilita' rilevati (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186). 6. Va, infine, rigettata la richiesta avanzata dal patrono della parte civile societa' (OMISSIS) a r.l. di condanna dell'imputato alle spese di assistenza e difesa sostenute nel grado, essendosi questi limitato nelle note di conclusioni a chiedere il rigetto e/o l'inammissibilita' del ricorso. Al riguardo, sebbene vada riconosciuto alla parte civile, in difetto di richiesta di trattazione orale, il diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali, occorre pero' che abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attivita' diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960 - 03). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta la richiesta di rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) s.r.l.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 6/5/2022 dalla Corte di appello di Lecce; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile; letta la memoria depositata dall'avvocato (OMISSIS), il quale conclude per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna di (OMISSIS) per il reato di frode nelle pubbliche forniture, riconoscendo il beneficio della non menzione. La condanna veniva emessa sul presupposto che (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' aggiudicatrice del servizio di refezione scolastica presso il Comune di Corsano, aveva impiegato, nella preparazione dei pasti, alimenti diversi da quelli espressamente indicati nel capitolato d'appalto. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente propone tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge processuale, sostenendo che la sentenza di primo grado e' nulla, in conseguenza dell'omessa lettura del dispositivo al termine dell'udienza tenutasi in camera di consiglio, dinanzi al giudice dell'udienza preliminare che aveva celebrato il rito abbreviato. Il ricorrente giunge a tale conclusione evidenziando come il verbale di udienza non sarebbe stato riempito con l'indicazione dell'orario nel quale il giudice si ritirava per la decisione e del successivo orario in cui avrebbe dato lettura del dispositivo. Gli spazi deputati all'inserimento di tali indicazioni contenuti nel modello di verbale di udienza, infatti, risultavano lasciati in bianco. 2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione dell'articolo 356 c.p. e articolo 97 Cost., nonche' vizio di motivazione, avendo la Corte di appello ritenuto la responsabilita' dell'imputato sulla base di una condotta omissiva, consistita nel mancato controllo sulla correttezza degli acquisti eseguiti dalla persona cui il ricorrente aveva conferito apposita delega. L'avvenuto riconoscimento di una condotta di "omesso controllo" non poteva, tuttavia, fondare la condanna per il reato di frode nelle pubbliche forniture che, integrando una fattispecie di pura condotta e non di evento, non puo' essere realizzato in forma omissiva. Sotto un diverso profilo, si censura la sentenza nella parte in cui non si e' considerato che l'impiego di prodotti congelati" anziche' freschi, aveva garantito la somministrazione di alimenti maggiormente controllati e comportanti, peraltro, una maggiore onerosita'. L'utilizzo di carni congelate era, peraltro, reso necessario dalle limitazioni alla macellazione derivanti dalle restrizioni imposte a seguito della cosiddetta "influenza aviaria". Infine, si sottolinea che gli alimenti impiegati erano tutti regolarmente annotati e dichiarati, come accertato in occasione dei due controlli eseguiti dai NAS, il che escluderebbe il requisito costitutivo del reato di cui all'articolo 356 c.p., richiedente una qualche modalita' fraudolenta, non essendo sufficiente il mero inadempimento contrattuale che, al piu', potrebbe integrare il reato di cui all'articolo 355 c.p.. 2.3. Con il terzo motivo, deduce la violazione dell'articolo 131-bis c.p., applicabile previa derubricazione del reato nell'ipotesi di cui all'articolo 355 c.p.. 3. Il ricorso e' stato trattato in forma cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito indicati. 2. Manifestamente infondata e' l'eccepita nullita' della sentenza di primo grado, derivante dalla ritenuta omessa lettura del dispositivo, all'esito dell'udienza nella quale era stato celebrato il rito abbreviato. Sul punto vanno integralmente condivise le considerazioni svolte dalla Corte di appello, secondo cui il verbale di udienza da' pienamente conto dello svolgimento della discussione, del fatto che il giudice si sia ritirato in camera di consiglio e della successiva lettura del dispositivo. Il semplice fatto che sia stata omessa l'indicazione degli orari, essendo stati lasciati in bianco gli spazi a cio' dedicati nel verbale, non consente di desumerne che la lettura del dispositivo sia stata omessa. In buona sostanza, nel caso di specie si e' verificata una mera incompletezza del verbale su elementi del tutto secondari (orario in cui il giudice e' rientrato in aula per la lettura), la cui omissione non e' idonea a dar luogo ad alcuna nullita'. Ne' e' corretto il richiamo compiuto dalla difesa al principio affermato da Sez.U, n. 12822 del 21/1/2010, Marcarino, Rv. 246269, secondo cui la sentenza pronunciata in appello all'esito di giudizio abbreviato deve essere pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza camerale dopo la deliberazione, e non mediante deposito in cancelleria. In tale pronuncia, infatti, si e' espressamente chiarito che ove pure il giudice abbia omesso di dare lettura del dispositivo, la sentenza non e' abnorme o nulla, verificandosi una mera irregolarita', che produce pero' effetti giuridici, impedendo il decorso dei termini per l'impugnazione. Nel caso di specie, non solo la Corte di appello ha correttamente escluso l'omessa lettura del dispositivo al termine dell'udienza, ma in ogni caso il ricorso in cassazione e' stato tempestivamente depositato, sicche' la parte non puo' dedurre alcuna lesione del diritto di difesa. 3. Il secondo motivo di ricorso propone una molteplicita' di questioni, nell'ambito delle quali e' necessario soffermarsi su quelle aventi portata dirimente. Il ricorrente censura la qualificazione della condotta in termini di frode nelle pubbliche forniture, sottolineando come non vi sia stato alcun tentativo di occultare l'utilizzo di alimenti diversi da quelli previsti nel capitolato d'appalto. Tutti gli ingredienti impiegati nella preparazione dei pasti erano annotati nell'apposito registro, tant'e' che i NAS hanno agevolmente riscontrato la provenienza e la natura degli stessi. A fronte di tale contesto, sarebbe del tutto errato qualificare il fatto ai sensi dell'articolo 356 c.p., dovendosi escludere che qualsivoglia difformita' tra la prestazione pattuita e quella eseguita dia luogo ad un'ipotesi di frode. 3.1. L'esame del motivo presuppone il sintetico richiamo al fatto, per come contestato ed accertato nelle sentenze di merito. L'imputazione ha ad oggetto l'impiego di alimenti congelati anziche' freschi, di prodotti non provenienti da agricoltura biologica, ovvero di alimenti non prodotti sul territorio (a Km "0") bensi' in altre zone. Le violazioni venivano accertate in occasione di due controlli eseguiti rispettivamente in data 25 gennaio e 8 marzo 2016, senza che - per quanto risultante dalla sentenza - tali violazioni abbiano dato luogo all'attivazione di rimedi amministrativi, volti a sanzionare l'inadempimento contrattuale. 3.2. Fatta tale premessa, e' possibile procedere alla verifica della riconducibilita' di tali condotte nell'ambito della fattispecie incriminatrice contestata, tenendo conto dei principi giurisprudenziali elaborati in materia. La giurisprudenza piu' recente e' orientata nel senso di ritenere che ai fini della configurabilita' del delitto di frode nelle pubbliche forniture, non e' sufficiente il semplice inadempimento doloso del contratto, richiedendo la norma incriminatrice una condotta qualificabile in termini di malafede contrattuale, consistente nel porre in essere un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Scz.6, n. 45105 del 28/10/2021, Calderone, Rv. 282267; Sez. 6, n. 29374 del 14/9/2020, Sale, Rv. 279679; Sez.6, n. 9081 del 23/11/2017, dep.2018, Aviano, Rv. 272384; Sez.6, n. 5317 del 10/1/2011, Incatasciato, Rv. 249448; Sez.6, n. 11144 del 25/2/2010, Semeraro, Rv. 246544). Si tratta di un'impostazione condivisibile, in quanto maggiormente rispettosa del dato normativo atteso che la norma incriminatrice, nel far espresso riferimento alla nozione di "frode", richiama un concetto âEuroËœulteriore e diverso rispetto a quello di mero inadempimento. Inoltre, e' proprio il fatto di richiedere una condotta ingannevole che giustifica il trattamento sanzionatorio deteriore rispetto alla meno grave condotta di inadempimento nelle pubbliche forniture. Sulla base di tali argomenti, si ritiene che l'indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato sia preferibile rispetto a quello, divenuto minoritario, secondo cui integra il delitto di frode in pubbliche forniture la condotta dolosa di colui che consegna cose in tutto od in parte difformi dalle caratteristiche convenute senza che occorra necessariamente la dazione di aliud pro a/io in senso civilistico (Sez.6, n. 28301 dell'8/4/2016, Dolce, Rv. 267828; Sez.6, n. 6905 del 25/10/2016, dep.2017, Milesi, Rv. 269370; Sez. 6, n. 27992 del 20/5/2014, Peratello, Rv. 262538; Sez. 6, n. 1823 del 17/11/1999, dep. 2000, Berardini, Rv. 217331; Sez. 6, n. 5102 del 25/3/1998, Minervini, Rv. 213672). 3.2. La Corte di appello, pur dando atto dell'esistenza dell'orientamento giurisprudenziale favorevole a valorizzare l'elemento della "frode", ha ritenuto ugualmente sussistente il reato, desumendo la malafede contrattuale dal fatto che il ricorrente avrebbe tenuto un "malizioso silenzio" in merito all'impiego di alimenti difformi da quelli previsti. Inoltre, e' stato valorizzato il fatto che il ricorrente aveva indicato, nell'offerta tecnica, che si sarebbe rifornito di prodotti da alcune ditte locali dalle quali, invece, non avrebbe effettuato acquisti, sottolineando anche che l'imputato avrebbe continuato a non fornire i prodotti pattuiti nonostante i ripetuti controlli da parte della ASL e dei NAS. Si tratta di circostanze che, invero, non aggiungono elementi fattuali dirimenti, risolvendosi nella dimostrazione dell'inadempimento contrattuale in relazione alla tipologia di alimenti da fornire, ma che di per se' non consentono di individuare quel quid pluris che, in base alla prevalente giurisprudenza, deve contraddistinguere il reato di frode nelle pubbliche forniture. Le argomentazioni sopra richiamate sono errate in punto di diritto, nella misura in cui si qualifica il mero silenzio quale condotta "ingannevole", in tal modo omettendo di considerare che la giurisprudenza, in base ai principi sopra richiamati, richiede un quid pluris, occorrendo un espediente idoneo a far apparire la corretta esecuzione del contratto. Nel caso in esame, la sentenza non indica alcun elemento concreto dal quale desumere che l'imputato abbia posto in essere un qualche tipo di condotta idonea a indurre in errore l'ente in ordine al regolare adempimento. Ma vi e' di piu'. Come correttamente evidenziato dalla difesa, l'imputato non solo non ha compiuto atti ingannevoli, ma ha espressamente dichiarato l'utilizzo di alimenti non conformi a quelli previsti dal capitolato d'appalto, tant'e' che in occasione dei due controlli eseguiti dai NAS, gli operanti rilevavano agevolmente che alcuni dei prodotti impiegati nella preparazione dei cibi - fedelmente annotati nel registro contenente l'indicazione degli alimenti utilizzati - erano difformi da quelli previsti in contratto. In definitiva, quindi, l'accertamento in punto di fatto compiuto dai giudici di merito fornisce un dato inequivocabile a sostegno dell'insussistenza di condotte ascrivibili a quella nozione di "malafede contrattuale" che, sulla base dell'orientamento cui si ritiene di aderire, costituisce l'elemento costitutivo del reato di cui all'articolo 356 c.p., dovendosi escludere che l'elemento ingannatorio possa consistere nel mero silenzio serbato in ordine all'inadempimento. 4. Esclusa la sussistenza del reato di frode nelle pubbliche forniture, rimane da verificare la possibilita' di ricondurre la condotta accertata nell'alveo del meno grave reato di cui all'articolo 355 c.p.. Premesso che e' stato accertato, in punto di fatto, che l'inadempimento contrattuale e' consistito nella fornitura di alimenti diversi da quelli previsti, si pone l'ulteriore necessita' di verificare l'incidenza che l'inesatto adempimento ha provocato rispetto allo svolgimento del servizio pubblico. La norma penale, infatti, non punisce l'inadempimento tout court considerato, posto che se cosi' fosse si trasformerebbe l'illecito contrattuale in illecito penale, mentre la risposta sanzionatoria prevista dall'articolo 355 c.p. presuppone una offensivita' ulteriore rispetto a quella - di rilievo meramente civilistico - derivante dall'inadempimento delle obbligazioni assunte da uno dei contraenti. L'articolo 355 c.p., infatti, costruisce la fattispecie incriminatrice richiedendo che l'inadempimento debba essere di gravita' tale da far mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio. La violazione contrattuale, pertanto, deve essere idonea a cagionare la compromissione del servizio pubblico, dovendosi ritenere che l'offensivita' che giustifica la sanzione penale travalica l'illecito contrattuale e presuppone una lesione della finalita' pubblicistica in vista della quale il contratto e' stato stipulato. Applicando tale principio, la giurisprudenza ha ritenuto che, per la consumazione del reato di inadempimento in pubbliche forniture, non e' sufficiente il mero inesatto assolvimento delle obbligazioni assunte, essendo richiesto un inadempimento contrattuale che determini il venir meno di beni necessari per lo svolgimento di un pubblico servizio (Sez.6, n. 23819 del 27/2/2013, Parlato, Rv. 256126). Per beni "necessari" devono considerarsi quelli in mancanza dei quali il servizio pubblico non puo' essere svolto o, quanto meno, risente di un apprezzabile compromissione rispetto alle finalita' perseguite. Nel caso di specie il servizio pubblico non ha risentito in alcun modo delle difformita' nella fornitura di beni di tipologia diversa da quella prevista, non essendo emerso che gli alimenti impiegati non fossero comunque di buona qualita' e idonei alla preparazione dei pasti. Il servizio di refezione scolastica, pertanto, e' stato prestato regolarmente, senza che siano emerse problematiche di alcun genere, con la conseguenza che - ferma restando la responsabilita' sul piano contrattuale - la condotta dell'imputato non e' assurta a quel grado di gravita' necessario per arrecare una qualche forma di compromissione del pubblico servizio, il che esclude la configurabilita' del reato di cui all'articolo 355 c.p.. 5. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza deve essere annullata senza rinvio perche' il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. ANDRONIO A. M. - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 8) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20) (OMISSIS), nato in (OMISSIS); 21) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/11/2021 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; uditi i difensori, avv.ti: (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS), e in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS); (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS); (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21 novembre 2019 il Gup del Tribunale di Lecce ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati meglio specificati ai seguenti capi di imputazione: A) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, perche' si associavano allo scopo di commettere piu' delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e, in particolare, disponendo di due principali canali di approvvigionamento, vendevano, distribuivano, trasportavano, acquistavano e ricevevano consistenti quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marjuana; 1) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in esecuzione del programma dell'associazione, rifornivano di droga (OMISSIS) e (OMISSIS), che si servivano di (OMISSIS) per il trasporto da Brindisi nel basso Salento, dove la droga veniva destinata all'attivita' di distribuzione e spaccio; 2) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' - con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso - (OMISSIS), da solo ovvero in concorso con (OMISSIS), cedeva consistenti quantitativi di hashish a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 3) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno due occasioni, vendevano quantitativi di eroina a tale (OMISSIS), che li riceveva per il successivo spaccio; 4) (OMISSIS), articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno cinque occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 6) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con tale (OMISSIS), ovvero con condotte indipendenti, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in almeno undici occasioni, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a tale (OMISSIS), il quale le riceveva per il successivo spaccio; 8) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS) 5 chilogrammi di marijuana che facevano trasportare da (OMISSIS) nel basso Salento per la successiva attivita' di distribuzione e spaccio; 9) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevevano da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) considerevoli quantitativi di cocaina che trasportavano nel Salento e successivamente rivendevano a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', dopo avere (OMISSIS) e (OMISSIS) ricevuto dai fornitori di (OMISSIS) 5 chilogrammi di cocaina dal valore di Euro 170.000,00, provvedevano a saldare il debito con rate di Euro 15.000,00 - anche per il tramite di (OMISSIS) - che (OMISSIS) ritirava e consegnava ai sodali di (OMISSIS), in esecuzione del programma criminoso; 11) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) e (OMISSIS) trasportavano in Collemeto e successivamente vendevano a (OMISSIS) 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish, acquistati dai fornitori di (OMISSIS); 12) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, detenevano a fini di spaccio consistenti quantitativi di cocaina e marijuana e in parte li rivendevano a tale (OMISSIS) detta " (OMISSIS)", che li acquistava per il successivo spaccio; 13) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, cedeva in piu' occasioni quantitativi consistenti di marijuana a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio e corrispondeva il prezzo mediante pagamenti rateali posticipati; 14) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, in piu' occasioni vendevano quantitativi di marijuana a tali (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 15) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano svariati quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a tale (OMISSIS) che li riceveva per il successivo spaccio; 16) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 17) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS) il quale li acquistava per il successivo spaccio; 18) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di hashish e marijuana a tale (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 19) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina, marijuana e hashish a (OMISSIS) e (OMISSIS) che li acquistavano per il successivo spaccio; 20) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano a terzi quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di vario genere, tutti destinati al successivo spaccio; 21) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi imprecisati ma consistenti di marijuana e cocaina ad (OMISSIS), il quale li acquistava per il successivo spaccio; 22) (OMISSIS), articoli 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 80, comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva svariate dosi di cocaina a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con l'aggravante di essersi avvalso del minore (OMISSIS) per la consegna dello stupefacente al fratello maggiorenne (OMISSIS); 23) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a (OMISSIS) e (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 24) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva consistenti quantita' di stupefacente a tale (OMISSIS), che li riceveva per la successiva attivita' di spaccio; 25) (OMISSIS), articoli 81 e 629 c.p., perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante ripetute minacce, costringeva (OMISSIS) a consegnargli la somma di Euro 600,00, quale debito probabilmente derivante da pregresse forniture di sostanze stupefacenti, procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno; 26) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana a tale (OMISSIS); 27) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di marijuana e di hashish a tale (OMISSIS); 28) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendevano quantitativi di cocaina a tale (OMISSIS); 29) (OMISSIS), articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 1, 4 e 7, perche' illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico una pistola marca CZ semi automatica modello 75-SPO1 calibro 9x21, acquistata al prezzo di Euro 1.500,00; 37) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, il primo per avere fornito l'auto per il trasporto e gli altri due per avere fornito diversi quantitativi di eroina ad altri soggetti ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); 40) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 41) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche' i primi due, in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vedevano o comunque cedevano imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina a (OMISSIS) e a tale (OMISSIS), che li ricevevano per la successiva attivita' di spaccio; 42) (OMISSIS), (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso tra loro, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, (OMISSIS) vedeva o comunque cedeva imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina, fornita dal (OMISSIS), a (OMISSIS), (OMISSIS) e altri; 43) (OMISSIS), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, perche', in concorso con altri, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e in esecuzione del programma criminoso, vendeva o comunque cedeva dosi di eroina a (OMISSIS) e ad altri soggetti non meglio identificati. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 10 novembre 2021, ha parzialmente riformato il provvedimento di primo grado. All'esito del secondo grado di giudizio - per quanto qui rileva - sono state irrogate le seguenti pene: (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), 1 anno e 10 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 6 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 8 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 4 anni e 10 mesi di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 5 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 2 anni e 8 mesi di reclusione ed Euro 16.000,00 di multa; (OMISSIS), 6 anni e 4 mesi di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 8 mesi di reclusione; (OMISSIS), un anno di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; (OMISSIS), 18 anni di reclusione; (OMISSIS), 3 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 4 anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa; (OMISSIS), 7 anni di reclusione; (OMISSIS), 7 anni e 4 mesi di reclusione. 2. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). Piu' nel dettaglio, si afferma che l'ipotesi accusatoria ruota intorno alle fonti di prova acquisite durante le indagini della polizia giudiziaria, concretizzatesi in intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonche' in mirati servizi di osservazione e controllo, comunque ritenute inidonee a fondare l'affermazione di responsabilita' penale, con specifico riferimento alla condotta partecipativa nell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, contestata al ricorrente, ma frutto dell'appiattimento alla sentenza emessa, all'esito del primo grado di giudizio, dal Gup del Tribunale di Lecce, il quale, senza svolgere una seria valutazione dell'effettiva sussistenza dell'elemento della consapevole adesione al gruppo organizzato, si sarebbe limitato ad una mera trasfusione del contenuto dell'ordinanza del 18 dicembre 2018 emessa in sede di riesame. Cosi', la Corte di appello avrebbe ritenuto di non convalidare la tesi difensiva secondo la quale (OMISSIS) non era nient'altro che un libero spacciatore al dettaglio che, in mancanza di ogni collegamento con soggetti diversi da (OMISSIS), nel 2016 aveva individuato in questi unicamente un nuovo canale di approvvigionamento, ignorando che lo stesso fosse inserito in un contesto associativo. Difetterebbe, conseguentemente, il necessario requisito della cosciente volonta' di partecipare, insieme ad almeno altre due persone aventi la medesima consapevolezza, ad una societa' criminosa strutturata, mentre si farebbe riferimento soltanto ai singoli episodi di acquisto da parte di (OMISSIS), contestati al capo 21) dell'imputazione, in relazione ai quali risulterebbe necessaria una diversa ricostruzione. Infatti, (OMISSIS) sarebbe stato solito avvalersi del supporto materiale e strumentale dei suoi accoliti (OMISSIS) e (OMISSIS), che, su richiesta del primo, si attivavano di volta in volta per il recupero dello stupefacente dai luoghi in cui questo era custodito per consegnarlo successivamente proprio al (OMISSIS) che a sua volta procedeva alla dazione all' (OMISSIS): quindi l' (OMISSIS) non avrebbe potuto avvedersi della partecipazione alla transazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui il rapporto tra lui e il (OMISSIS) si sarebbe ridotto a mere prestazioni sinallagmatiche, seppure illecite ma, non accompagnate dalla consapevole volonta' di acquistare stabilmente da un'associazione integrante i requisiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Tutto questo sarebbe confermato anche: dai contatti telefonici per l'organizzazione degli incontri finalizzati all'approvvigionamento di droga limitati solo a (OMISSIS) e (OMISSIS), dal fatto che separatamente (OMISSIS) contattava (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla circostanza che (OMISSIS) avrebbe conosciuto personalmente (OMISSIS) solo durante la detenzione in carcere a seguito dell'arresto e da quella ulteriore che (OMISSIS) avrebbe confessato di avere conoscenza di taluni coindagati, tra i quali non avrebbe annoverato (OMISSIS); costui, inoltre, sarebbe soggetto attivo nella commercializzazione di sostanza drogante gia' in un periodo ampiamente precedente alle forniture di (OMISSIS). Piu' specificatamente, l'esistenza di rapporti commerciali illeciti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dai quali si sarebbe dovuta ricavare la consapevolezza del primo di far parte dell'associazione criminale in cui era stabilmente inserito il secondo, sarebbe stata giustificata dalla compresenza degli stessi in due incontri finalizzati alla compravendita di sostanza stupefacente, avvenuti rispettivamente il 26 luglio 2016 e il 23 agosto 2016. Tale congettura pero' sarebbe contraddetta dall'interrogatorio dello stesso (OMISSIS), riscontrato dal servizio di osservazione dei carabinieri, il quale avrebbe riferito di essersi trovato fisicamente nello stesso luogo dell' (OMISSIS) solo in occasione dell'episodio del 23 agosto 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano incontrati per concordare la fornitura di stupefacente; con cio' troverebbe smentita l'affermazione secondo cui (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano avuto contatti in due distinte occasioni, quando, al contrario, l'episodio sarebbe unico e si identificherebbe in quello del 23 agosto 2016. Una volta venuto meno l'episodio del 26 luglio 2016, l'affermazione dell'esistenza del rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe erronea, perche' lo stesso (OMISSIS), nel corso del suo interrogatorio avente natura confessoria, avrebbe affermato che, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) si accordavano per una partita di marijuana, lui era rimasto in disparte a fumare e che soltanto in carcere, dopo l'arresto, aveva conosciuto l'odierno ricorrente. Conseguentemente, il collegio giudicante avrebbe apoditticamente affermato l'esistenza del rapporto di conoscenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ricavando la prova della condotta partecipativa addebitata all' (OMISSIS) stesso, ma omettendo il vaglio critico delle contrarie dichiarazioni del (OMISSIS) e del contesto circostanziale del contatto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale costui sarebbe rimasto estraneo. In relazione, poi, al diverso episodio del 30 agosto 2016, esso non sarebbe stato considerato in sentenza, pur essendo l'episodio piu' rilevante, in quanto paradigmatico dello schema organizzativo adottato da (OMISSIS) per le cessioni ad (OMISSIS), incompatibile con l'esistenza di una struttura complessa dedita alla commercializzazione di stupefacente; il modus operandi infatti sarebbe stato il seguente: (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero accordati per un appuntamento, (OMISSIS) si sarebbe mosso circa un'ora prima verso il deposito per recuperare lo stupefacente e successivamente, alle 14:22, lo avrebbe occultato in un posto concordato informandone (OMISSIS), intorno alle 15:45 (OMISSIS) e (OMISSIS) si sarebbero incontrati, (OMISSIS) avrebbe ceduto la sostanza che aveva recuperato poco prima nel luogo in cui era stata depositata da (OMISSIS). Con riferimento, invece, al diverso episodio del 14 agosto 2016, mancherebbe l'esame di elementi, tra cui la geolocalizzazione dei soggetti, indispensabili a dimostrare come (OMISSIS) non avesse ricevuto lo stupefacente da (OMISSIS) ma piuttosto direttamente da (OMISSIS): infatti, la polizia giudiziaria avrebbe attestato la presenza, nel medesimo luogo, di (OMISSIS) e (OMISSIS); allo squillo di (OMISSIS) delle 20:11, con il quale questi preannunciava il suo arrivo, corrispondeva la comparsa sul luogo dell'incontro, dopo appena tre minuti, di (OMISSIS) che giungeva a bordo della sua autovettura in compagnia di (OMISSIS). Sarebbe illogica la conclusione dei giudici di merito che, malgrado lo strettissimo lasso di tempo che precede l'arrivo del (OMISSIS), avrebbero ritenuto che (OMISSIS) avesse gia' consegnato lo stupefacente a (OMISSIS), per converso non spiegando la ragione che giustificherebbe il sopraggiungere all'incontro anche di (OMISSIS) quando la consegna era gia' stata eseguita da (OMISSIS); mancherebbe inoltre ogni risposta alla contestazione in ordine al perche' (OMISSIS), gia' intervenuto sul luogo dell'incontro, avrebbe dovuto, 20 minuti piu' tardi, farsi dare dal (OMISSIS) una conferma dell'avvenuta cessione che era avvenuta sotto la sua diretta percezione. Secondo la ricostruzione della difesa, e' piu' probabile che la sequenza incriminata dei messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) abbia ad oggetto cessioni che, successivamente all'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) poteva avere effettuato a favore di soggetti diversi e ulteriori, rientrando tale impostazione operativa nel consueto schema organizzativo elaborato da (OMISSIS). Resterebbe quindi indimostrata la consapevolezza di (OMISSIS) di relazionarsi con una stabile associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ne' questa potrebbe essere tratta dalla forma colloquiale "arriviamo" utilizzata da (OMISSIS) nella conversazione con il suo collaboratore, perche' sarebbe stato allora in compagnia della fidanzata (OMISSIS). Quanto, invece, all'episodio del 20 agosto 2016, l'incontro sarebbe stato caratterizzato dal cambiamento in corso del luogo dell'appuntamento; tuttavia, di tale variazione, concordata tra (OMISSIS) e (OMISSIS), non vi sarebbe traccia nelle comunicazioni intercorse tra quest'ultimo e (OMISSIS). Sarebbe quindi inspiegato come sia potuto accadere che (OMISSIS), in assenza di comunicazioni con (OMISSIS) il quale si accordava soltanto con (OMISSIS) circa il cambiamento dell'orario e del luogo di incontro, abbia poi incontrato (OMISSIS), se non applicando il solito schema, in virtu' del quale: (OMISSIS) si serviva di (OMISSIS) unicamente per recuperare lo stupefacente nel suo nascondiglio; reperita la sostanza, (OMISSIS) accompagnava (OMISSIS), nel luogo e nell'ora dell'incontro fissati, noti solo a (OMISSIS). Infine, con riferimento all'episodio del 31 agosto 2016, la Corte di appello assume che l' (OMISSIS) ha ricevuto l'approvvigionamento di stupefacente presso l'ospedale di (OMISSIS) direttamente da (OMISSIS) a cio' incaricato da (OMISSIS), tuttavia non sarebbe stato adeguatamente considerato il fatto che, dopo l'incontro, (OMISSIS) sarebbe stato controllato dai carabinieri che, avendolo perquisito, avrebbero constatato l'assenza di sostanza stupefacente. A cio' si aggiunga che nel testo della sentenza impugnata emergerebbe il travisamento del riferimento alla ripetuta consapevolezza dell' (OMISSIS) circa l'agire organizzato di (OMISSIS): la trascrizione di alcuni messaggi incompleti rispetto al testo complessivo sarebbe posta in modo da sostenere che (OMISSIS) avesse conoscenza della struttura organizzata nella quale si muovevano (OMISSIS) e altri; invece un piu' ampio stralcio della conversazione dimostrerebbe che in realta' la famiglia alla quale si riferiva Petracca non poteva essere il gruppo, asseritamente organizzato, del (OMISSIS). 2.2. Con una seconda doglianza, si censurano la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4. Il ricorrente sostiene di avere impugnato l'intero capo A) dell'imputazione per difetto del necessario requisito soggettivo della consapevolezza dell'adesione al gruppo criminale; dunque, se il tema devoluto alla competenza della Corte di appello era quello della consapevole partecipazione alla consorteria criminale, allora lo scrutinio si sarebbe dovuto estendere alla consorteria concretamente configurata, che fosse o meno armata, alla stregua della regola logica che pretende l'assorbimento del meno nel piu'. L'imputato non avrebbe avuto e non avrebbe potuto avere cognizione dell'esistenza dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quindi non avrebbe potuto avere consapevolezza del fatto che taluno degli appartenenti alla stessa avesse anche disponibilita' di armi. Quindi, conformemente al disposto normativo di cui agli articoli 597 e 581 c.p.p., la devoluzione alla competenza del giudice superiore di un capo della sentenza non puo' che imporre l'automatica devoluzione allo stesso anche di tutti i punti che con il capo abbiano diretta ed essenziale connessione; nel caso di specie era d'obbligo che la decisione circa il reato associativo non si esimesse da una valutazione, sulla base degli elementi probatori gia' esistenti, anche della ascrivibilita' al singolo partecipe proprio dell'aggravante della disponibilita' di armi. Le stesse considerazioni varrebbero anche per la contestata aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Infatti, il compendio probatorio esistente consentirebbe di affermare che (OMISSIS) aveva avuto coscienza del solo (OMISSIS), o al massimo, qualora non dovessero accogliersi le argomentazioni difensive, di solo due soggetti ulteriori, (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' da escludersi che l' (OMISSIS) fosse consapevole che l'associazione avesse un numero di adepti pari o superiore a dieci. 2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione. Il silenzio serbato da (OMISSIS) al cospetto del padre nulla direbbe sulla natura del debito, potendo esistere tra padre e figlio motivi diversi per i quali volere che il padre non ne fosse messo a conoscenza; allo stesso modo la mancanza di un titolo da azionare non consentirebbe l'automatica deduzione che lo (OMISSIS) avesse accumulato un debito per la fornitura di stupefacente non pagato. A titolo esemplificativo, la somma di Euro 600,00 pretesa da (OMISSIS), in mancanza di concreti elementi di segno negativo, potrebbe essere stata oggetto di un prestito di denaro non accompagnato da una pattuizione in forma scritta astrattamente azionabile in giudizio. Eppure la Corte territoriale avrebbe ritenuto implausibile l'esistenza di un debito di natura lecita e non sarebbe stata in grado di confutare una serie di elementi diversi, a fronte di una lunga articolata indagine preliminare protrattasi per l'intero arco temporale di contestazione del reato associativo, da aprile 2016 a maggio 2017: non sarebbe stato documentato nessun episodio di cessione di droga dall' (OMISSIS) allo (OMISSIS); un soggetto che accumula un debito di Euro 600,00 sarebbe certamente un assuntore abituale, pertanto sarebbe dovuta esistere una traccia dei rapporti di approvvigionamento almeno fino a luglio 2016, quando (OMISSIS) avrebbe avanzato la prima pretesa restitutoria a (OMISSIS); quest'ultimo si sarebbe riconosciuto effettivamente debitore nei confronti di (OMISSIS); ne' la persona offesa ne' sua madre, (OMISSIS), avrebbero ricollegato il debito all'acquisto di droga. Inoltre, erroneamente si sarebbe affermato in sentenza che le minacce perpetrate da (OMISSIS) fossero rivolte alla madre di (OMISSIS); sarebbe emerso piuttosto un atteggiamento clemente dell'odierno ricorrente nei confronti del suo debitore, proprio in ragione della richiesta alla (OMISSIS) la quale avrebbe pure chiarito che nel momento del pagamento sarebbero cessate le richieste e le pressioni, dunque nessun male ingiusto sarebbe stato mai perpetrato nei confronti di un soggetto terzo rispetto al rapporto sinallagmatico tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Quindi, non essendo emersa la prova della natura illecita del debito, ne' della direzione delle minacce nei confronti di una persona diversa dal debitore, il fatto storico dovrebbe essere riqualificato ai sensi dell'articolo 390 c.p. non potendosi escludere che la volonta' di (OMISSIS) fosse diretta ad ottenere un bene che gli spettava, dovendo comunque essere prosciolto da questo per difetto della querela della persona offesa. 2.4. Con una quarta doglianza, si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p.. Con riferimento al primo, si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che la valutazione della Corte si sarebbe incentrata sulla ritenuta mancanza di elementi positivi che ne avrebbero giustificato la concessione, non avendo dato conto, invece, dei motivi ostativi. Quanto al secondo, si ritiene che sia eccessivo l'aumento della pena a titolo di continuazione, anche in ragione del fatto che si sarebbe giustificata la misura applicata per essere l'associazione formata da piu' di dieci persone; aggravante da escludersi visto quanto gia' indicato nel secondo motivo di ricorso. 3. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 3.1. In primo luogo, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 192 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Nelle conversazioni captate tra il ricorrente e (OMISSIS), non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di stupefacenti, che pertanto dovrebbe considerarsi esclusivamente ipotizzata dai giudici di merito. A sostegno della tesi difensiva, deporrebbero le due perquisizioni personali e domiciliari subite dall'indagato, entrambe con esito negativo. Il mero scambio di telefonate tra il ricorrente e il (OMISSIS) non sarebbe sufficiente a dimostrare che vi sia stata una reale cessione di stupefacenti, ne' ad identificarne l'effettivo tipo di stupefacente. Se anche si volesse astrattamente ipotizzare l'acquisto di stupefacenti da parte del (OMISSIS), questo sarebbe avvenuto esclusivamente per uso personale, essendo l'imputato tossicodipendente. La difesa richiede, solo in via subordinata, che i fatti vengano ricondotti ai casi di cessione ricompresi nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 alla luce della carenza di elementi univoci ed obiettivi dai quali possa determinarsi con certezza la qualita' e la quantita' della sostanza stupefacente. 3.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. La sanzione irrogata all'imputato sarebbe eccessiva, tenuto conto della marginalita' delle condotte poste in essere dallo stesso. I giudici di merito avrebbero erroneamente applicato l'aumento di pena derivante dalla recidiva senza prendere in adeguata considerazione la lontananza nel tempo dei precedenti; ovvero avrebbero dovuto adeguare la pena al concreto disvalore del fatto e alla personalita' del reo, riconoscendo allo stesso le circostanze attenuanti generiche, da reputarsi equivalenti rispetto alla contestata recidiva. 4. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 4.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e articolo 179 c.p.p., comma 1, per errato esercizio dell'azione penale. Ad avviso della difesa, nel caso di specie, sebbene la contestazione riguardi un reato istantaneo, nel capo d'imputazione non c'e' alcuna indicazione di episodi specifici, tanto che il reato istantaneo sembrerebbe trasformarsi in reato permanente. Ne deriva - secondo la difesa - che, se manca l'enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato, l'atto di esercizio dell'azione penale non e' idoneo ad instaurare il contraddittorio. Il compendio probatorio raccolto, infatti, puo' essere utilizzato esclusivamente per verificare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria, mai invece per definire il perimetro della regiudicanda. 4.2. Con un secondo motivo di ricorso, si denunciano il travisamento del fatto, e della prova, nonche' la contraddittorieta' della motivazione. La difesa rileva preliminarmente come gli argomenti utilizzati a fondamento della condanna di (OMISSIS) traggano origine esclusivamente dalle conversazioni captate nei giorni 5, 8, 9, 10 e 12 ottobre 2016, nell'ambito di una piu' ampia operazione di polizia giudiziaria. Ebbene, nonostante la presunta partecipazione dell'imputato sembri circoscriversi all'interno di un arco temporale assai ridotto (solo una settimana a fronte di un'attivita' d'indagine particolarmente complessa) sia il giudice di primo grado che il giudice d'appello ne traggono conclusioni erronee. Le intercettazioni dimostrano - secondo la prospettazione difensiva - appena due episodi nei quali, peraltro, la cessione non e' stata superiore a 10 grammi, a quanto, cioe', necessario per un consumo personale giornaliero. Inoltre, laddove si volesse ammettere che nelle conversazioni intercettate si parli di droga, vi sarebbe mancanza di ulteriori riscontri. Infatti, ove oggetto della conversazione sia solo l'appuntamento tra l'imputato e l'interlocutore, si e' in una fase anticipata e preliminare delle trattative e, di conseguenza, non sussistono elementi di prova sufficienti per ritenere consumato il reato di cessione. Le trascrizioni delle intercettazioni attesterebbero quindi, secondo la difesa, unicamente la circostanza che (OMISSIS) - tossicodipendente - fosse alla ricerca di sostanza stupefacente per uso personale e non per la cessione a terzi. 4.3. Si lamenta, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e in relazione alla circostanza di cui all'articolo 62 c.p., n. 4). Piu' precisamente, secondo la difesa, non puo' in alcun modo affermarsi che l'odierno ricorrente ha posto in essere con frequenza un approvvigionamento di sostanze stupefacenti, in quanto, da una lettura logica e coerente delle stesse intercettazioni, emerge chiaramente un coinvolgimento di quest'ultimo di scarso rilievo, oltre che un dato minimale di sostanza stupefacente, al limite della dose giornaliera. 4.4. Infine, si denunciano la violazione di legge e vizi della motivazione in relazione all'applicazione della recidiva. Sostiene la difesa che, sebbene l'imputato sia gravato da cinque precedenti condanne, peraltro neppure recenti, la Corte distrettuale non opera il reale e concreto accertamento dell'episodio delittuoso, ne' verifica se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di maggiore pericolosita'. Mancherebbe, quindi, qualunque verifica circa la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali ed il reato per cui e' stata emessa la condanna. 5. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), che ne ha chiesto l'annullamento. 5.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione degli articoli 192 c.p.p. e della disposizione incriminatrice, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata riqualificazione del fatto, di cui al capo di imputazione 37), nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con sentenza di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, con si e' stata riconosciuta la sussistenza di un gruppo associativo, le cui condotte sono riconducibili all'interno delle fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 74, comma 6, (sentenza n. 558 del 2019, RGNR 1477/2016), mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, non tenendo in considerazione l'insegnamento della Corte di cassazione sul punto (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020). 5.2. Con un secondo motivo, si contesta la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio. La difesa lamenta che i giudici di merito avrebbero omesso qualsiasi considerazione in ordine al comportamento post delictum, il quale, se valorizzato, avrebbe dovuto condurre all'applicazione di una pena entro il minimo edittale, o comunque a un ridimensionamento dell'aumento previsto ai sensi dell'articolo 81 c.p., per i capi di imputazione 40), 41) e 42). 6. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 6.1. Con una prima doglianza, si denunciano la violazione di legge, con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata al capo A) della rubrica, per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' la manifesta illogicita' della motivazione. La Corte di Appello di Lecce avrebbe erroneamente evitato di escludere la suddetta aggravante per l'imputato, tenuto conto che questi non aveva proposto la relativa doglianza. Tale affermazione e' censurabile, a parere della difesa, poiche' l'esclusione dell'aggravante costituisce un dato oggettivo, essendo ineludibile conseguenza del fatto che solo due dei partecipi avevano a disposizione una pistola e che mai detta arma era stata usata per le finalita' associative. Non vi sarebbe alcun elemento di prova idoneo a dimostrare la consapevolezza da parte de (OMISSIS) dell'esistenza di un'associazione a delinquere dedita al traffico di droga, e cio' in quanto egli aveva rapporti solo ed esclusivamente con (OMISSIS). La dedotta inconsapevolezza circa l'esistenza dell'associazione comporterebbe logicamente la sua inconsapevolezza in merito al possesso di armi da parte di taluni sodali. Il gravame riguardante l'esistenza dell'associazione avrebbe dovuto intendersi logicamente esteso anche all'aggravante del carattere armato dell'associazione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente desunto dal solo numero degli episodi di spaccio contestati al (OMISSIS) la consapevolezza, da parte dello stesso, dell'esistenza dell'associazione, prescindendo dalla valutazione dell'effettiva conoscenza da parte dell'imputato degli altri correi. 6.2. Si denuncia, poi, la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p., con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti quale conseguenza dell'omessa applicazione dei parametri stabiliti dall'articolo 133 c.p. La sentenza impugnata avrebbe respinto il gravame, ritenendo generosa la concessione del beneficio delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado. Tale valutazione prescinderebbe da una attenta disamina dei dati processuali, dai quali emergerebbe una personalita' dell'imputato meritevole di considerazione positiva, alla luce dei parametri indicati dall'articolo 133 c.p.. La personalita' del reo, incensurato e immediatamente disponibile ad assumersi le sue responsabilita', indicando agli inquirenti i dati a sua conoscenza, oltre che l'atteggiamento collaborativo tenuto nel corso del giudizio, avrebbero dovuto determinare una diversa valutazione, in melius, da parte della Corte. 7. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 7.1. Con un primo motivo di impugnazione, si denunciano il vizio di motivazione e il travisamento della prova. La Corte di appello sarebbe stata invitata ad ascoltare il contenuto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 e, in particolare, il passaggio compreso tra i minuti 02:36 e 02:38 da cui emergerebbe che l'appellativo diminutivo " (OMISSIS)" non comparirebbe assolutamente nel corpo dell'espressione proferita da (OMISSIS); ragione per la quale non sarebbe stato possibile operare l'ipotizzato accostamento "tuo figlio (OMISSIS)", supportante il teorema accusatorio. Eppure, il giudice di secondo grado non avrebbe fornito adeguata motivazione, reputando veritiero il contenuto di una trascrizione operata dall'organo di polizia giudiziaria, senza porsi il problema che vi potesse essere un errore; cio' posto, neppure il rito prescelto, ossia quello abbreviato, avrebbe legittimato il mancato accoglimento della specifica richiesta di ascolto formulata dalla difesa senza spiegarne le ragioni. Un ulteriore vizio di motivazione sarebbe rinvenibile laddove non si da' risposta alle censure con cui si contesta che (OMISSIS) potesse essere individuato come figlio di (OMISSIS) sulla base di quanto riportato nelle annotazioni di polizia giudiziaria del 10 agosto 2017, essendo questo dato privo di qualsivoglia fondamento fattuale, considerato che sarebbe stato attestato unicamente un generico riferimento a voci correnti, che rimarrebbe quindi assolutamente incontrollabile, oltre che inutilizzabile a norma dell'articolo 203 c.p.p., comma 1-bis. 7.2. Con una seconda doglianza, ci si duole del vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo; in tale dialogo non vi sarebbe alcun riferimento specifico ai diminutivi sopra richiamati a differenza di quanto erroneamente affermato dalla Corte di appello. Inoltre, non sarebbe dato sapere sulla base di quale pregressa conoscenza gli investigatori siano giunti a ritenere che la voce intercettata nella progressiva n. 1946 del 10 agosto 2016 appartenga proprio a (OMISSIS). Infine, la circostanza per cui l'incontro sarebbe avvenuto nello stesso luogo di un precedente appuntamento intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non potrebbe essere ritenuta di per se' pregnante al fine di supportare l'assunto accusatorio secondo cui (OMISSIS) avrebbe coadiuvato (OMISSIS) negli affari illeciti; a parte l'irrilevanza di tale dato fattuale ai fini dell'individuazione della persona di (OMISSIS), l'iter argomentativo della sentenza conterrebbe un'evidente salto logico concretizzatosi nell'avere ritenuto che lo stesso fosse uno degli utilizzatori dell'utenza (OMISSIS), sulla quale risultavano essere captati diversi messaggi aventi ad oggetto incontri per presunte forniture e/o pagamenti di sostanza stupefacente: la Corte non sarebbe stata in grado di evidenziare alcun dato obiettivo per legare tale utenza telefonica al ricorrente quale suo effettivo utilizzatore. 7.3. In terzo luogo, si censura un ulteriore travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato, come risulterebbe dal certificato storico di residenza, in grado di attestare che questo aveva risieduto, a far data dal 4 ottobre 2011, in strada della (OMISSIS), e che precedentemente a tale data risiedeva in piazza (OMISSIS); ed invero, l'unica persona che sarebbe indicata come residente alla via (OMISSIS) sarebbe (OMISSIS), figlio di (OMISSIS); soltanto quest'ultimo, proprio in quanto padre, avrebbe potuto avere la disponibilita' dell'immobile di proprieta' del figlio, come attestato nella nota del 3 dicembre 2018. Da quanto sopra discenderebbe un'importante conclusione: non si potrebbe affermare che (OMISSIS), nella giornata del 27 ottobre 2016, si era recato a (OMISSIS) ove risultava domiciliare (OMISSIS), poiche' si tratterebbe di una circostanza fattuale non corrispondente al vero. Infine, nessun concorso nel reato di cui al capo 1) della rubrica potrebbe ritenersi concretamente consumato; mancherebbe, infatti, la prova di una condotta attiva in termini concorsuali che consenta di ritenere (OMISSIS) uno dei richiamati fornitori brindisini. Non a caso, il Gip in sede cautelare avrebbe rilevato l'assenza della necessaria gravita' indiziaria, evidenziando come i riferimenti operati da parte di terzi a (OMISSIS) potevano considerarsi come semplici sospetti e, non essendo sufficienti i riferimenti indiretti contenuti nelle conversazioni. 7.4. Con memoria depositata il 5 gennaio 2023 il ricorrente insiste ulteriormente nell'accoglimento del ricorso, riproponendo gli stessi motivi gia' dedotti con l'atto introduttivo di giudizio. 8. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche (OMISSIS). 8.1. Con una prima censura, si denuncia la violazione degli articoli 12 preleggi, articoli 3, 24, 101, 102 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 416 c.p.p., comma 2, nonche' il connesso vizio di motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installativi "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo avere ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e avere ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. La sentenza impugnata mostrerebbe una lacuna motivazionale sul punto, non rispondendo alla specifica doglianza mossa in sede di appello, con cui si e' evidenziato che l'imputato, non ottenendo immediata risposta alla questione preliminare sollevata dinanzi al Gup, si troverebbe in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p., che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari e conoscere l'esito delle stesse, prima di scegliere il rito da adottare. Per la difesa, l'articolo 190 c.p.p. dispone anche che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti ed e' una norma che si applica a tutte le fasi del procedimento, anche nell'udienza preliminare, per cui il Gup avrebbe dovuto provvedere senza ritardo con ordinanza. In ordine all'acquisizione al fascicolo di atti non trasmessi con la richiesta di rinvio a giudizio (note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni), la sentenza della Corte di appello e' - per la difesa - illogica, in quanto erroneamente afferma che quegli atti gia' facevano parte del fascicolo. La ricorrente se ne duole in quanto ha accettato, con la richiesta di rito abbreviato, l'utilizzazione degli atti presenti nel fascicolo trasmesso a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2, che impone al Pubblico Ministero la trasmissione al Gup di tutti gli atti di indagine e tale obbligo comporta che gli atti non trasmessi non possono essere utilizzati (Sez. 4, n. 33221 del 2020); pertanto, la questione preliminare avrebbe dovuto essere decisa sulla base del solo fascicolo posto a disposizione del giudice a norma dell'articolo 416 c.p.p., comma 2. 8.2. Si lamenta, in secondo luogo, la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in ordine al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, relativamente al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione dell'imputata. I giudici di merito avrebbero fondato il proprio convincimento su una motivazione contraddittoria, che si limita ad elencare acriticamente e genericamente alcuni elementi, senza procedere ad una disamina approfondita dell'intero compendio probatorio acquisito, da cui non si perviene alla certezza della sussistenza degli elementi richiesti per la configurabilita' del reato associativo, individuati dalla giurisprudenza di legittimita'. Infatti, la Corte di appello avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in ordine all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza, non considerando che due isolati episodi di cessione di sostanza stupefacente, avvenuti nell'arco di un mese, non possono giustificare l'ipotizzata continuita' di approvvigionamento dai fornitori di (OMISSIS). Si afferma anche l'esistenza di un ulteriore canale di approvvigionamento, quello brindisino, rappresentato da (OMISSIS) e (OMISSIS), a cui e' contestato il solo capo 1) dell'imputazione. Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe illogica, in quanto si riconosce che i predetti soggetti hanno approvvigionato un sodalizio operante per un tempo superiore ad un anno, ma si sono accertate cessioni verificatesi nell'arco di soli tre mesi (dal 10 luglio al 27 ottobre 2016). Inoltre, sulla base di quanto sostenuto dagli inquirenti, le forniture si sarebbero interrotte a causa del debito contratto e non soddisfatto: circostanza che dimostra come nessuna affectio societatis legasse (OMISSIS) e (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS). Sempre secondo la prospettazione difensiva, la Corte di appello omette qualsiasi motivazione in ordine all'assenza di prova di un pactum sceleris, non rinvenendosi sufficienti elementi dimostrativi dell'esistenza di una stabile organizzazione: infatti, non risultano captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei proventi dell'attivita' di narcotraffico. In riferimento alla partecipazione di (OMISSIS), non sarebbe ravvisabile a suo carico alcun elemento caratterizzante la figura delittuosa associativa, in quanto risulta coinvolta in una sola, atomizzata ed estemporanea, intercettazione ambientale, relativa a un rifornimento di sostanza stupefacente, non essendo sufficiente neanche il riferimento ai capi 8), 9) e 10) di imputazione. In ogni caso, la sentenza risulterebbe essere carente in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, che e' rappresentato dalla coscienza e volonta' dell'associato di far parte dell'associazione: infatti, la sola partecipazione ad alcune sporadiche ed atomistiche, oltre che individuali, forniture di sostanza stupefacente non assume sufficiente rilevanza sul punto. 8.3. Con una terza doglianza, la ricorrente censura la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine alla mancata qualificazione dell'associazione come fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente. 8.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) dell'imputazione. Secondo la ricostruzione difensiva, i giudici di merito si sarebbero limitati a riportare il contenuto delle intercettazioni senza apportare alcun apporto critico, nonostante il significato equivoco delle stesse, dato che le locuzioni intercettate non faceva alcun esplicito riferimento al tipo e alla quantita' della droga. Pertanto, avrebbero riportato pedissequamente il contenuto della richiesta dell'emissione di custodia cautelare, fornendo una motivazione solo apparente sul punto, poiche' vi e' una tale carenza indiziaria, da non potere ritenere fondata l'ipotesi accusatoria formulata. 8.5. Si censura, infine, la violazione dell'articolo 133 c.p. e articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., lettera e), n. 2), nonche' la mancanza e illogicita' della motivazione, rispetto al trattamento sanzionatorio. Piu' nel dettaglio, si evidenzia che gli aumenti per la continuazione irrogati per i capi 8), 9) e 11) a (OMISSIS) sono pari a un mese e quindici giorni di reclusione ciascuno, mentre per i medesimi capi e' stato inflitto all'imputata un aumento di sei mesi ciascuno. La Corte di appello avrebbe reso una motivazione illogica sul punto, in quanto ha affermato che gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori nell'intento di calmierare una pena gia' molto elevata; inoltre, non avrebbe proceduto alla determinazione dei singoli aumenti per i reati satellite. 9. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno proposto un unico atto di ricorso. 9.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74; la mancata applicazione dell'articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto nonche' la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. Secondo la difesa, la natura stabile del contributo di entrambi i ricorrenti e' stata affermata solo congetturalmente, nonche' in contraddizione con la complessiva incolpazione, in quanto, a fronte di ben 43 capi di imputazione, a (OMISSIS) e' contestato solo il capo 9 e a (OMISSIS) l'8 e il 9. La Corte d'appello, poi, non avrebbe neppure tenuto in considerazione il dato cronologico dei delitti di cessione indicati nel predetto capo 9, verificatisi nell'arco di soli 29 giorni, rispetto ad un'associazione operante per tre anni e sette mesi. In secondo luogo, la difesa evidenzia come la motivazione appaia apodittica, posto che si asserisce genericamente che le consegne di droga effettuate sarebbero di quantita' rilevanti, senza tuttavia indicare in cosa sarebbero consistiti i quantitativi interessati, in mancanza di sequestri a carico degli imputati. Analogamente, si evidenzia come la sentenza impugnata non contenga alcuna motivazione in merito alle modalita' dell'azione. Inoltre, la Corte territoriale, seppure afferma la necessita' di individuare ai fini della configurabilita' del reato associativo la coscienza e la volonta' di far parte dell'associazione, in concreto, non indica alcunche' rispetto all'elemento psicologico; mancherebbe, poi, secondo la difesa, un'adeguata motivazione sulla natura stabile del contributo dei partecipi. Non sarebbe rilevante, a tal fine, la corresponsione di somme settimanali alle mogli dei ricorrenti. 9.2. Con un secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e articolo 73 del D.P.R.; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione dell'articolo 192 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. La difesa asserisce che, tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di appello, non emerge alcuna circostanza denotante il concorso di (OMISSIS) negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, con conseguente violazione dell'articolo 110 c.p. e omessa motivazione rispetto al punto specificatamente devoluto. Ne discende che l'unico delitto a cui avrebbe partecipato l'imputato sarebbe quello del 6 agosto 2016, decisamente inidoneo ad integrare la natura stabile del contributo alla associazione. Inoltre, rispetto alle cessioni del 12 luglio 2016 del 30 luglio 2016, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo e il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a qualificare il fatto nell'ambito del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5. Quanto all'episodio del 6 agosto, l'interpretazione data dalla Corte d'appello all'intercettazione sarebbe comunque dubbia, essendo basata su un'arbitraria interpretazione della locuzione "ieri notte" usata da uno dei conversanti. 9.3. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, riferiti al solo (OMISSIS), si lamentano: la violazione dell'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; la mancata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5; la mancata applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2; la violazione degli articoli 192 e 533 c.p.p.; l'omessa motivazione rispetto al devoluto; la carenza e manifesta illogicita' della motivazione. A fronte di un esito negativo del controllo del ricorrente in data 24 luglio 2016 da parte degli inquirenti, a fronte di una generica captazione avvenuta tra terzi ritenuta apoditticamente chiara, a fronte dell'assenza dell'osservazione della consegna con i presunti compratori, non e' dato comprendere secondo la difesa la reale motivazione a sostegno del concorso del ricorrente. Infatti, il fatto che (OMISSIS) ritenga di aver scampato un pericolo avendo corso il rischio di essere fermato dagli inquirenti, nulla indica rispetto alla asserita consegna dello stupefacente, da parte del ricorrente, atteso che ogni progetto concorsuale puo' andare incontro a modifiche. Manifestamente illogica, poi, sarebbe la motivazione, laddove ritiene normale che "nella circostanza questi non venisse trovato in possesso di nulla", visto che, laddove avesse consegnato lo stupefacente, avrebbe dovuto possedere la contropartita in denaro. Inoltre l'unicita' dell'indizio a carico dell'imputato, proveniente da un dato captato ove quest'ultimo non e' interlocutore, non avrebbe dovuto consentire l'affermazione della penale responsabilita', con conseguente violazione degli articoli 192 e 530 c.p.p.. Infine, anche in questo caso, l'impossibilita' di individuare con la dovuta certezza sia la sostanza stupefacente sia il quantitativo che il principio attivo avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a riqualificare il fatto nella fattispecie di lieve entita'. Con riferimento al capo 9, mancherebbe la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto delle condotte materiali ascritte all'imputato, quanto al fatto del 30 luglio 2016. 10. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto per cassazione, chiedendone l'annullamento. 10.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la nullita' della sentenza per violazione dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), e articolo 192 c.p.p., comma 2, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione. Secondo la ricostruzione difensiva, la Corte di appello non avrebbe raggiunto la prova in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) al consesso criminale, in quanto ha omesso di considerare la estrema ristrettezza dell'arco temporale (circa un mese, dal 12 luglio 2017 al 11 agosto 2016), in cui il gruppo di (OMISSIS) avrebbe rifornito di sostanza stupefacente la consorteria: cio' comporterebbe l'assenza di un rapporto di collaborazione stabile e continuativo ai fini del perseguimento degli scopi illeciti della consorteria, con la coscienza e la volonta', di far parte dell'organizzazione. La Corte di appello non spiegherebbe le ragioni per cui ha ritenuto attendibile il contenuto delle propalazioni di (OMISSIS), a fronte di plurimi indicatori di segno contrario, che evidenzierebbero che il trio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) era un'entita' diversa e separata rispetto all'organizzazione sottostante al (OMISSIS) (come dalla conversazione del 12/07/2016 di (OMISSIS) e dal dato investigativo che mostra che quest'ultimo ha descritto ai propri sodali nomi, ruoli e guadagni dei personaggi baresi, mentre nulla sapevano del trio di (OMISSIS)). Anche le dichiarazioni di (OMISSIS), ritenute dal Gup un infallibile strumento per decifrare il compendio indiziario, avrebbero dovuto essere oggetto di un'ulteriore analisi in sede di appello, in quanto egli non si sofferma a descrivere modalita', tempi e consistenza degli approvvigionamenti ne' il funzionamento della cellula terlizzese. Inoltre, si lamenta che i giudici di merito hanno omesso la valutazione dell'elemento soggettivo richiesto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74: non si e' valutato il tema introdotto dalla difesa, per cui (OMISSIS) risulterebbe essere inserito stabilmente in un organismo associativo dedito al traffico di droga operativo nel territorio barese (procedimento penale n. 16093/2016 R.G.N. R. per fatti commessi dal 2012); per cui risulterebbe paradossale ritenere sussistente la medesima condotta delittuosa evocativa della contestuale partecipazione a due distinti organigrammi associativi operanti contestualmente nel settore degli stupefacenti. Secondo la difesa, nella sentenza impugnata non vi e' traccia dell'esame di dati investigativi e del loro rapporto in un quadro organico, che dia esaustiva risposta alle eccezioni formulate. L'irragionevolezza dell'iter motivazionale emerge dal richiamo agli elementi di prova desumibili dalle intercettazioni, da cui si evince che (OMISSIS), ove pure fosse in un rapporto di affari con (OMISSIS), non puo' avere condiviso con quest'ultimo interessi associativi, avendo una propria autonomia e una propria presunta struttura associativa; ma la Corte di appello avrebbe omesso tale valutazione e anche l'accertamento dell'esistenza di un vincolo stabile e continuativo tra fornitore e acquirente, che si sostituisca alla mera relazione negoziale. 10.2. Con la seconda doglianza, si contestano la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al capo 9) dell'imputazione. La difesa si duole del fatto che la Corte di appello si sia avvalsa delle medesime asserzioni del Gup, che non vengono sottoposte ad un autonomo filtro critico, non risultando sufficiente il mero riferimento al contenuto della sola conversazione del 18 luglio 2016. Infatti, non vi sarebbe stata alcuna valorizzazione delle contestazioni difensive, che avevano evidenziato che: manca la prova che (OMISSIS) fosse presente all'incontro del 12 luglio 2016, che, secondo gli inquirenti, era finalizzato alla cessione di droga; il costante monitoraggio, effettuato dagli inquirenti, dell'operazione di cessione del 30 luglio 2016 consente di affermare che (OMISSIS) non ha partecipato fisicamente alle fasi prodromiche, deliberative ed esecutive della stessa, in quanto non risulta mai direttamente intercettato o semplicemente evocato dai partecipi quale dominus o complice di quell'operazione; egli non e' ne' intercettato ne' evocato dai loquenti nel corso delle intercettazioni del 6 agosto 2016, per cui non si e' incontrato con i protagonisti della vicenda de qua. 10.3. Con un terzo motivo, si censura la violazione dell'articolo 125 c.p.p., articolo 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., lettera e), e articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione. In merito all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello, pur aderendo alle conclusioni diagnostiche, avrebbe trascurato di soffermarsi sull'aspetto legato alla sfera cognitiva dell'imputato, per la quale e' emerso un QI totale classificabile in termini di ritardo mentale lieve, nonche' di valutare opportunamente e con sufficiente rigore le considerazioni mediche in ordine alla capacita' di autodeterminarsi. Infatti, sul versante della componente volitiva si coglie una spiccata incongruenza dell'apprezzamento giurisdizionale: il dato storico-clinico, la sussistenza di una patologia psichiatrica di rilevanza clinica, il dato psicometrico e l'incongruita' del comportamento, usato nel corso delle condotte che gli sono contestate, in unione con la personalita' dell'imputato e la cronica e prolungata dipendenza dell'uso di sostanze stupefacenti non possono ragionevolmente condurre a un giudizio di mera limitazione della capacita' di controllare gli impulsi. Pertanto, la condizione di forte malessere psicologico del ricorrente avrebbe dovuto indurre il giudicante a valutare ogni considerazione clinica, presente nella perizia, evitando di estrapolare quanto affermato nella parte finale della perizia. La Corte di appello si sarebbe basata su valutazioni discendenti da un esame condotto a distanza di molti anni rispetto al tempus commissi delicti, senza considerare che nel 2015 (momento storico maggiormente contiguo a quello di perpetrazione dei reati contestati ai capi A e 9 di imputazione) (OMISSIS) era stato ritenuto totalmente incapace di intendere e volere in un diverso procedimento. Secondo il ricorrente, in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti, la Corte distrettuale omette l'esame della doglianza presentata con l'atto di appello, non valutando le considerazioni svolte in ordine alla personalita' del ricorrente, incapace di autoregolare le proprie azioni e di comprenderne le conseguenze negative. La difesa contesta, inoltre, l'illegittimita' della tecnica redazionale adoperata nella sentenza di primo grado, riverberatasi sull'iter motivazionale della decisione di appello, inidonea ad esternare il percorso logico che deve supportare il giudizio di apprezzamento della sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 62-bis c.p.. In ordine al calcolo della pena, mancherebbe la motivazione sull'aumento apportato per la continuazione esterna, in quanto sarebbe stato piu' opportuno procedere alla riduzione di pena prevista dal vizio parziale di mente prima di effettuare l'aumento per la continuazione. 11. Avverso la sentenza ha proposto ricorso anche (OMISSIS), tramite il difensore. 11.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione di legge in ordine alla ritenuta utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Si lamenta, in primo luogo, la violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. da parte dei decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip, in quanto difettano dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore; in secondo luogo, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazioni e' stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 2001, articolo 13, che ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede: 1) lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata, 2) la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. In ordine al primo aspetto e' necessaria la presenza di un'organizzazione stabile: aspetto che non attiene al capo di imputazione 19), contestato al ricorrente, visto che di quest'ultimo non vi e' alcuna intercettazione, ne' egli risulta interessato in una evidente attivita' delittuosa sulla base di intercettazioni tra altri. La difesa afferma che negli atti processuali non vi e' alcuna prova di responsabilita' dell'imputato, tale da rendere utilizzabili le intercettazioni contro lo stesso. 11.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita' per il capo 19, poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione. Piu' nel dettaglio, la difesa sostiene l'insussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, sull'assunto che, da una lettura degli atti di giudizio, nessun riscontro oggettivo vi e' mai stato, da parte della polizia giudiziaria, in ordine a una presunta attivita' illecita che coinvolga (OMISSIS): infatti, non vi e' alcun elemento esterno che lasci ritenere che egli, unitamente a terze persone, abbia posto in essere una qualsivoglia azione di detenzione di sostanza stupefacente. 11.3. Con un terzo motivo, si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di minore gravita' di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La difesa lamenta che l'impugnata sentenza non avrebbe fornito alcuna motivazione sul punto: avrebbe dovuto rilevare che la quantita' di cocaina e di marijuana detenuta era da ripartirsi tra due soggetti, per cui si sarebbe potuto trattare di una piccola scorta per uso personale. In senso convergente, depongono - per la difesa - anche le modalita', le circostanze ed i mezzi dell'azione delittuosa, trattandosi di un'attivita' di spaccio limitata e realizzata senza la predisposizione di mezzi specifici. 12. La sentenza e' stata impugnata anche da (OMISSIS), tramite il difensore. 12.1. Con una prima doglianza, si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Non vi sarebbe alcuna prova idonea ad affermare con certezza che l'imputato abbia acquistato ovvero ricevuto ai fini di spaccio stupefacente e che lo abbia successivamente ceduto a terzi. Nelle conversazioni telefoniche captate sull'utenza del ricorrente non si farebbe mai esplicito riferimento alla cessione di sostanze stupefacenti e, ad ulteriore prova dell'estraneita' dell'imputato, concorrerebbero anche le perquisizioni effettuate al medesimo, tutte con esito negativo. La semplice circostanza che talvolta le conversazioni intercettate facciano riferimento a incontri con altri soggetti non sarebbe idonea a dimostrare che l'imputato abbia effettivamente ceduto dello stupefacente, se non in marginali occasioni, nelle quali avrebbe ceduto ad occasionali tossicodipendenti singole dosi, al solo fine di ricavare quanto necessario per far fronte al proprio fabbisogno di stupefacenti, essendo il (OMISSIS) tossicodipendente a sua volta. Con riguardo alle condotte contestate di cui al capo 37, ovvero la cessione di 520 grammi di eroina al (OMISSIS), non potrebbe ritenersi che tale sostanza sia stata ceduta dall'imputato: sia perche' non emergerebbe la prova inconfutabile della provenienza di detta sostanza, giacche' il sequestro e il conseguente arresto del (OMISSIS) sono avvenuti dopo che, per oltre trenta minuti, gli operatori di polizia giudiziaria sono stati costretti a interrompere il pedinamento a causa dell'elevato traffico; sia perche', anche volendo ipotizzare che la suddetta cessione sia avvenuta secondo le modalita' cristallizzate nel primo grado di giudizio, il soggetto cedente non sarebbe stato identificato e, in ogni caso, non sarebbe identificabile con (OMISSIS). 12.2. Con un secondo motivo di ricorso, si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' la manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato. Dinanzi all'attribuzione di responsabilita' dell'imputato per tutti i capi contestati, comunque si sarebbero dovuti ritenere i fatti di lieve entita', soprattutto alla luce del riconoscimento di tale ipotesi minore ad altri presunti correi, condannati anche per il reato associativo. La Corte di appello avrebbe illogicamente differenziato la condotta del ricorrente rispetto ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), e sarebbe caduta in contraddizione in ordine ai rapporti dell'imputato con il coimputato (OMISSIS), con particolare riferimento all'episodio del capo di imputazione 37). Il ricorrente sarebbe un mero strumento subordinato al coimputato (OMISSIS), poiche' era quest'ultimo ad avere i contatti e a dover dare conto dei pagamenti al fornitore. Dall'analisi delle captazioni telefoniche si desumerebbe esclusivamente un ruolo di mediatore del ricorrente tra i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello avrebbe, infine, fallacemente analizzato l'atto di impugnazione, ove si sarebbe fatto esplicito riferimento ad una rideterminazione della pena e ad un contenimento della stessa, oltre che degli aumenti ex articolo 81 c.p., nei minimi edittali. I giudici territoriali avrebbero rilevato esclusivamente la richiesta di contenimento nel minimo edittale degli aumenti ex articolo 81 c.p., senza valutare la generale richiesta di contenimento nel minimo edittale della pena. Alla luce di quanto esposto, e dunque del supposto ruolo marginale rivestito dal ricorrente, appare illogico il non aver applicato una riduzione della pena-base, ai sensi dell'articolo 133 c.p.. 13. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. Con un primo e unico motivo di ricorso si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 74, comma 6, oltre al vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al medesimo articolo 73, comma 5. Piu' nel dettaglio, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avevano definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti, previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, mentre, analizzando la posizione di (OMISSIS), avrebbe erroneamente valutato le medesime circostanze in modo evidentemente opposto, dando vita ad un palese conflitto di giudicati. 14. La sentenza e' stata impugnata, mediante il difensore, anche da (OMISSIS). 14.1. In primo luogo, si censurano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione con riferimento all'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato. Innanzitutto, sottolinea la difesa, l'apporto che avrebbe fornito l'imputato alla consorteria sarebbe di soli 24 giorni e precisamente dal 12 luglio al 6 agosto 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile del 2016 al maggio 2017. In secondo luogo la difesa - prendendo le mosse dalle considerazioni svolte nella sentenza impugnata, ove si sostiene che il prevenuto avrebbe svolto il ruolo di "corriere" in alcune circostanze ben individuate - sostiene che il contributo dell'imputato fosse privo dei caratteri della stabilita', tanto da risultare occasionale. Del resto, gli stessi esiti delle captazioni valorizzati dall'estensore darebbero contezza di un apporto del prevenuto certamente non sistematico ma occasionale. Per la difesa, dalle stesse intercettazioni ambientali emerge chiaramente che in data 30 luglio 2016 l'imputato non conosceva ne' il (OMISSIS) ne' il (OMISSIS); nonostante lo specifico motivo d'appello, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto. A cio' si aggiunga che neanche (OMISSIS), uno dei principali collaboratori del (OMISSIS), ha dichiarato di aver mai conosciuto (OMISSIS), se non in stato di detenzione dopo l'esecuzione dell'ordinanza custodiale. 14.2. In secondo luogo, si lamentano la violazione di legge nonche' la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione con riferimento ai capi 1) e 9) della rubrica e in relazione alla corretta valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4. Piu' precisamente, con riferimento al capo 9), la piattaforma probatoria in atti risulterebbe obiettivamente incerta e l'estensore incorrerebbe in un chiaro deficit di logicita' con conseguente scorretta valutazione della prova. In relazione, poi, al capo 1) della rubrica - e, quindi, con riferimento all'episodio del trasporto del 21 luglio 2016 - la sentenza sottovaluta le censure contenute nei motivi di appello e mostra certezza in ordine al solo trasporto di marijuana e hashish. 14.3. Con un terzo motivo, si lamentano la violazione di legge e la mancanza o manifesta logicita' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, nonche' la necessaria riduzione degli aumenti combinati ex articolo 81 c.p.. Secondo la prospettazione difensiva, la pena inflitta all'imputato appare illogica ed eccessivamente severa, posto che la Corte d'appello ha omesso di considerare a suo favore lo status di totale incensuratezza, l'obiettivo brevissimo contributo associativo contestato, lo svolgimento di ininterrotta attivita' lavorativa. 15. Avverso la sentenza (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 15.1. Con una prima doglianza, si censurano l'assenza di motivazione e la violazione di legge in ordine al reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, oltre alla violazione di legge in ordine all'aggravante del numero degli associati. La difesa, dopo aver riportato nel ricorso i vari capi di imputazione a carico dell'imputato, giunge alla conclusione secondo cui (OMISSIS), come confermerebbero le intercettazioni, ha commerciato ingenti quantita' di stupefacenti in proprio, poiche' il suo fine era quello di guadagnare quanto piu' possibile per se'. Il giudice di appello avrebbe erroneamente desunto il vincolo associativo dal mero contatto del ricorrente con gli spacciatori al minuto o con correi, senza calcolare che, commerciando il (OMISSIS) ingenti quantita' di stupefacenti, era inevitabile il contatto con soggetti interessati all'acquisto del medesimo, e che solo per tale circostanza non sarebbe configurabile il vincolo associativo. Risulterebbe inoltre pacifico che l'imputato avesse contatti esclusivamente con i correi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). L'associazione a delinquere non potrebbe configurarsi con il solo dolo eventuale e non vi sarebbe la prova della conoscenza da parte del (OMISSIS) della rete sottostante ai pochi soggetti ai quali vendeva lo stupefacente. In tale quadro, anche se si dovesse riconoscere l'associazione a delinquere nei confronti del ricorrente, non potrebbe essere applicata l'aggravante del numero, avendo l'imputato contatti esclusivamente con (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); la difesa ritiene, comunque, che non vi sia la prova della piramide gerarchica e dello scambio di soldi dal vertice ai sottoposti. 15.2. In secondo luogo, si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74. Il giudice del gravame avrebbe correttamente rilevato come l'arma da fuoco venisse rintracciata nel possesso del ricorrente solo in sede di perquisizione e che mai gli inquirenti avessero avuto idea che (OMISSIS) ne avesse la disponibilita'. 15.3. Con una terza censura, si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni acquisite nel corso del procedimento. I decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista dalle norme in vigore: in particolare il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13. 15.4. Con un quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena, sul rilievo che il giudice di primo grado avrebbe potuto riconoscere le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, in base al fatto che si tratterebbe pur sempre di un caso di "droga parlata" e di "associazione a delinquere parlata". 16. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS), il quale, con un unico motivo di ricorso, denuncia la violazione della legge penale. Secondo il difensore, la vicenda (capo 16 dell'imputazione) riguarda un caso di "droga parlata", in quanto non vi e' la prova che le 10 dosi oggetto dell'imputazione fossero effettivamente cocaina e non e' comunque dato conoscere il grado di purezza della stessa, oltre che la percentuale di principio attivo. Inoltre la Corte territoriale avrebbe violato, secondo la difesa, l'articolo 530 c.p.p., comma 2, non avendo tenuto conto che i redditi dell'imputato e il fatto che si lamentasse individualmente della qualita' dello stupefacente integrano un ragionevole dubbio. 17. La sentenza e' stata impugnata, tramite il difensore, anche da (OMISSIS). 17.1. Con un primo motivo di ricorso, si lamentano: la violazione dell'articolo 12 preleggi; la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p.; la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2; la mancanza e illogicita' della motivazione. All'udienza preliminare il ricorrente lamentava la violazione dell'articolo 268 c.p.p., comma 3, e articolo 271 c.p.p., comma 1, dal momento che nei decreti autorizzativi di attivita' di intercettazione telefonica il Pubblico Ministero aveva disposto "che le operazioni siano compiute per mezzo degli impianti installati in questa Procura della Repubblica", mentre, da ogni verbale di inizio intercettazione risultava che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di Tricase a mezzo degli impianti ivi installati". Il Gup si riservava di decidere sull'eccezione all'esito dell'udienza preliminare e, dando seguito al processo, recepiva le istanze di rito abbreviato formulate dagli imputati, rinviando ad altra udienza per la trattazione. Dal canto suo, il Pubblico Ministero alla successiva udienza, quando, dunque, il rito abbreviato "secco" era gia' stato instaurato, chiedeva ed otteneva il deposito di 41 note redatte dal funzionario responsabile del Centro Intercettazioni dalle quali si evinceva che la registrazione era avvenuta tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si era verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Con l'atto di appello, la difesa rilevava la nullita' dell'ordinanza relativa all'eccezione preliminare attinente all'utilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche ed ambientali nonche' la nullita' della sentenza. La Corte territoriale secondo la difesa, nel rispondere alle doglianze difensive, avrebbe erroneamente valorizzato l'orientamento processuale secondo cui non vi e' alcuna norma processuale che imponga al Gup di trattare le questioni preliminari in un particolare momento, ben potendo egli decidere sulle stesse all'esito dell'udienza. L'imputato infatti, sollevata al Gup una questione preliminare, non ottenendo immediata risposta, si trova in una situazione di irragionevole disparita' rispetto all'imputato citato a giudizio ai sensi dell'articolo 550 c.p.p. che, invece, ha l'opportunita' di sollevare questioni preliminari, conoscere l'esito delle stesse e poi adottare le scelte del rito. In definitiva, secondo il difensore, si finirebbe per riservare maggiore garanzia ai reati di minore gravita'. Si sarebbe quindi dovuto applicare l'articolo 190 c.p.p., il quale in materia di prove dispone che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza, escludendo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti. Non si considererebbe, poi, che la questione preliminare riguarda la composizione del fascicolo da utilizzare per la decisione. Non vi e' motivo, secondo la difesa, per ritenere che la fattispecie non sia regolamentata dal codice, visto che e' una disciplina generale applicabile al caso di specie esiste; ne' vi e' motivo per ritenere che la disciplina generale esistente debba essere disapplicata. Con riferimento, poi, alle 41 note acquisite quando il rito abbreviato era gia' instaurato, la difesa sostiene che quei documenti facevano forse parte delle indagini, ma che e' del tutto erroneo sostenere che gia' facevano parte del fascicolo: se quegli atti avessero fatto gia' parte del fascicolo trasmesso, non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiederne l'acquisizione. La difesa prosegue svolgendo considerazioni analoghe a quelle della coimputata (OMISSIS). 17.2. Con un secondo motivo, si lamentano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Piu' precisamente, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte d'appello sarebbe giuridicamente viziata nella parte in cui ha ravvisato, non solo la sussistenza di un sodalizio criminale riconducibile alla fattispecie delittuosa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, ma anche e soprattutto la partecipazione del (OMISSIS) quale promotore, organizzatore, dirigente e finanziatore, fondando il proprio convincimento su un'errata valutazione del compendio probatorio acquisito al processo. La Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi valutazione in merito all'assenza dei requisiti di stabilita' e permanenza i quali, sul piano del programma associativo, postulano un'attivita' delittuosa aperta e indeterminata, proiettata oltre la commissione di singoli determinati reati e che, dovrebbe perdurare anche dopo la consumazione di questi ultimi. Si osserva, in particolare, che l'odierno ricorrente, ritenuto addirittura figura apicale direttiva, risulta essere coinvolto solo in alcune intercettazioni e solo in un arco temporale molto ristretto, ossia tra maggio e settembre 2016, allorquando, invece, l'attivita' captativa investigativa si sarebbe protratta anche successivamente e alla quale, tuttavia, il ricorrente rimaneva sostanzialmente estraneo. Al contrario, e' notorio che il capo di un'associazione debba avere contatti diuturni e relazioni con gli adepti e poiche', nella specie, anche tale dato probatorio risulta assente, la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l'imputato. Risulta infatti smentita dagli elementi probatori sia l'asserita partecipazione del ricorrente al sodalizio che il suo ruolo di capo. La difesa, infatti, osserva come non siano stati captati dialoghi aventi ad oggetto la regolamentazione dei supposti proventi derivanti dall'attivita' di narcotraffico. Pertanto, le modalita' attuative degli episodi delittuosi riferiti ai reati-fine e desunte dalle intercettazioni telefoniche, potrebbero apparire sintomatiche, al piu', di un accordo limitato ad un numero contenuto di episodi di cessione. Del resto, le asserite condotte tenute dal ricorrente sono caratterizzate da un agire assolutamente autonomo ed indipendente, orientato unicamente a realizzare un proprio personale interesse economico e non certamente un fine comune associativo. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la contabilita' cui si fa riferimento nelle intercettazioni non e' affatto riconducibile ad una cassa comune del gruppo criminale, quanto piuttosto alla persona del (OMISSIS). In aggiunta, evidenzia la difesa, il giudice di appello avrebbe omesso di confutare le manifeste incongruenze rilevate in merito alla contraddittorieta' della sentenza di primo grado, nella parte in cui sono stati assolti per il reato associativo i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e non anche (OMISSIS) e (OMISSIS), visto che lo (OMISSIS), secondo la prospettazione accusatoria iniziale, era il ragazzo utilizzato dallo (OMISSIS) per cedere o ritirare la sostanza stupefacente e lo affiancava e coadiuvava nell'attivita' di spaccio, mentre il (OMISSIS) sarebbe stato un uomo di fiducia di (OMISSIS) ed assieme a lui rappresentava il c.d "canale brindisino", dal quale si sarebbe rifornito in maniera stabile il (OMISSIS). Infine, secondo la difesa, la sentenza resa dalla Corte territoriale risulta carente con riferimento alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non potendo assumere rilevanza l'uso di un linguaggio criptico, la diffidenza nell'uso del telefono o le cautele adottate, in mancanza di un chiaro consapevole coinvolgimento nell'ambito di un gruppo criminale. 17.3. Con un terzo motivo di ricorso, si censurano: la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione; l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale; la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 530 c.p.p., comma 2, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. Piu' precisamente, la difesa evidenzia che dal contenuto delle molteplici intercettazioni non emerge con assoluta certezza un'attivita' di spaccio di ingenti volumi. 17.4. In quarto luogo, si denunciano: la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 3 e 4; la violazione dell'articolo 648 c.p., L. n. 895 del 1967, articoli 2, 4 e 7; vizi della motivazione. Piu' precisamente, il ricorrente evidenzia come, mentre al capo A) si contesta un sodalizio operativo per oltre un anno, ai capi 1), 8) e 9) si ipotizzano forniture verificatesi in appena tre mesi e, cio' nonostante, si afferma che vi sia stato uno stabile e duraturo apporto al sodalizio da parte dei fornitori baresi e brindisini. Se il sodalizio fosse stato composto anche dai fornitori, questi avrebbero avuto un ruolo per tutto o quanto meno larga parte del periodo di attivita'. Con riferimento invece alla contestazione in materia di armi, la difesa evidenzia come da nessuna delle conversazioni intercettate si possa risalire all'esatto modello dell'arma presuntivamente detenuta dall'imputato. Se, come contestato, quest'ultimo avesse avuto la disponibilita' di una pistola gia' dal 7 luglio 2016 "con permanenza", non avrebbe di certo manifestato al suo interlocutore la necessita' di procurarsi un'arma. Peraltro, secondo il difensore, la motivazione appare contraddittoria laddove la Corte territoriale ha esplicitamente ammesso che nei dialoghi intercettati non venivano mai menzionate le armi ed anzi emergeva che il (OMISSIS) era molto accorto affinche' lo (OMISSIS), che si accompagnava a lui, non venisse a sapere che aveva portato con se' una pistola. 17.5. Si lamentano, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. Si rileva, in particolare, la totale mancanza di prova dell'acquisto di 400 g di eroina indicato in contestazione, in relazione al quale non poteva persino dirsi che venditore ed acquirente avessero mai trovato un accordo. Il (OMISSIS), quindi, non poteva essere sanzionato per essersi rifornito di quel quantitativo di eroina, dal momento che non e' rinvenibile in atti alcuna prova di cio'. Nel caso di specie, si sarebbe verificato un travisamento della prova, avendo i giudici di merito fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o e' incontestabilmente diversa dal reale. 17.6. Con un sesto motivo di doglianza, si denunciano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e vizi della motivazione. In particolare, facendo il capo 11) riferimento a specifiche quantita' e qualita' di sostanza stupefacente, la prova dell'avvenuta detenzione e/o cessione non poteva ricavarsi da locuzioni impiegate dai coimputati intercettati, non contenenti alcun riferimento esplicito al tipo e alla qualita' di droga oggetto di commercio. Piu' precisamente, la difesa non comprende per quale motivo la frase "non riesco a cacciarti in un pacco lino... a questo prezzo non ci riesco a cacciarteli" sia idonea a dimostrare definitivamente l'avvenuta cessione di 250 grammi di cocaina e 22 grammi di hashish. 17.7. Infine, si lamentano la violazione dell'articolo 133 c.p., articolo 533 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 2) e vizi della motivazione. Piu' precisamente, secondo la difesa, la Corte di appello da un lato riconosce che la motivazione in punto di aumenti per la continuazione era carente, ma dall'altro, non pone alcun rimedio sul punto, limitandosi a condividere l'operato del Gup. L'appellante, infatti, non chiedeva soltanto una seconda valutazione del trattamento sanzionatorio, ma esprimeva specifiche osservazioni su determinate anomalie dello stesso, chiedendo la riduzione della pena o quantomeno la giustificazione di quella inflitta, anche alla luce del principio secondo cui il giudice deve calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati-satellite. 18. Avverso la sentenza anche (OMISSIS), tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 18.1. Con un primo motivo, si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale. In primis la denunciata inutilizzabilita' discenderebbe dalla violazione dell'articolo 266 c.p.p., e s.s. in quanto tutti i decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni emessi dal Gip difetterebbero dell'adeguata motivazione prevista e voluta dalle norme di legge; in secundis, il primo decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione sarebbe stato emesso dal Gip in assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13 che, ai fini dell'autorizzazione de qua, richiede lo svolgimento di indagini relative ad un delitto di criminalita' organizzata e la sussistenza di sufficienti indizi in ordine a quest'ultimo. Infatti, sarebbe stata necessaria l'effettiva costituzione e l'operativita' di un'organizzazione stabile, posta in essere da tre o piu' persone, allo scopo di commettere piu' delitti tra quelli previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 70, commi 4, 6 e 10, ma tale condizione non riguarderebbe il capo d'imputazione 19) contestato. Infine, dallo stato degli atti processuali al momento delle richieste del Pubblico Ministero di autorizzazione delle intercettazioni, non sarebbe emerso alcun elemento rilevatore, pur in via ipotetica, di un gruppo delinquenziale organizzato; in tutti gli atti processuali, infatti, mancherebbe qualsiasi indizio in capo al ricorrente tale da giustificare l'utilizzabilita' delle intercettazioni contro lo stesso, in quanto questo non avrebbe mai fatto parte di alcuna compagine associativa. 18.2. Si censura, poi, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice, posto che, da un'attenta analisi degli atti del giudizio e in particolare delle annotazioni di polizia giudiziaria, non vi sarebbe mai stato alcun riscontro oggettivo esterno della presunta attivita' di spaccio di cui al capo 19). 18.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata ipotesi lieve. Nel caso di specie, infatti, la quantita' di cocaina, pari a 100 grammi, e di marijuana, pari a 150 grammi, detenuta da (OMISSIS) e (OMISSIS), si sarebbe dovuta ripartire tra due soggetti; quindi, si tratterebbe di un quantitativo non particolarmente significativo perche' non lontano da quello massimo detenibile. Peraltro, sarebbe verosimile che il ricorrente avesse una piccola scorta per uso personale, e per di piu' dagli atti processuali si potrebbe desumere come la contestata condotta di cessione, mai provata, se esistente sarebbe certamente marginale rispetto al consumo personale da parte dell'imputato che svolgerebbe normale attivita' lavorativa, come dimostrato dalla circostanza che il (OMISSIS) aveva importanti debiti nei confronti di (OMISSIS); in senso convergente deporrebbero poi le modalita', le circostanze e i mezzi dell'azione delittuosa, che non desterebbe alcun allarme sociale trattandosi di un'attivita' di spaccio assolutamente modesta e limitata, realizzata senza predisposizione di mezzi specifici e soprattutto in assenza di comprovati traffici persistenti. 19. Avverso la sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto, con un unico atto, ricorsi per Cassazione, chiedendone l'annullamento. 19.1. Con un primo e un secondo motivo di ricorso, si lamentano la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., articolo 125 c.p.p., comma 1, articolo 190 c.p.p., comma 1, e articolo 178 c.p.p., nonche' la violazione degli articoli 24, 101 e 102 Cost. e articolo 416 c.p.p., comma 2, e la mancanza ed illogicita' della motivazione. La difesa lamenta che - pur tempestivamente investito della questione preliminare relativa all'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, in quanto i decreti autorizzativi consentivano il compimento delle operazioni per mezzo degli impianti installati "in questa Procura della Repubblica", mentre risultava dai verbali di inizio intercettazione che le operazioni erano state compiute "presso la sala d'ascolto della Compagnia Carabinieri di (OMISSIS) a mezzo degli impianti ivi installati" - il Gup decideva su tale questione in sentenza: quindi, dopo aver ammesso gli imputati al rito abbreviato secco e aver ammesso l'acquisizione documentale richiesta dal Pubblico Ministero, relativamente a 41 note redatte dal funzionario responsabile, dalle quali si evincerebbe che la registrazione avveniva tramite server ubicati nella citta' di Lecce e che presso la stazione dei Carabinieri di Tricase si sarebbe verificato il solo ascolto delle conversazioni intercettate. Si sviluppano, sul punto, argomentazioni analoghe a quelle dei coimputati. 19.2. Con un terzo motivo di ricorso, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile. Piu' nel dettaglio, la difesa lamenta che la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe insufficiente e in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', perche' sarebbe ritenuta idonea a integrare la connivenza una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza. Esaminando le intercettazioni telefoniche e lo stesso verbale di osservazione, emergerebbe una condotta del predetto ricorrente qualificabile come assistenza inerte e senza iniziative: infatti, il suo ruolo sarebbe stato quello di esecutore privo di autonomia decisionale. 19.3. Con una quarta doglianza, si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS). Secondo la ricostruzione difensiva, la motivazione risulterebbe contraddittoria e apparente rispetto alle risultanze investigative da cui emergerebbe che la responsabilita' del (OMISSIS) e' circoscrivibile a quella di un mero intermediario, come dimostrano le intercettazioni che attestano che il predetto imputato avrebbe restituito la cocaina dopo averla acquistata dai fornitori di (OMISSIS) e avrebbe discusso in ordine al pagamento della sostanza stupefacente. 19.4. Si lamenta, poi, il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello non avrebbe sopperito all'omessa indicazione da parte del Gup degli elementi individualizzanti dai quali ritenere gli imputati non meritevoli della concessione di predetto beneficio. Piu' nel dettaglio, la motivazione sulla concedibilita' delle attenuanti generiche non sarebbe dovuta ruotare esclusivamente sui precedenti penali degli imputati ma avrebbe dovuto considerare anche il comportamento processuale collaborativo ed improntato alla definizione del processo. Inoltre, in ordine alla posizione processuale del (OMISSIS), avrebbe dovuto tener conto anche del ruolo marginale da esso ricoperto nella commissione del fatto. 20. Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 20.1. Con un primo motivo, si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) dell'imputazione. La difesa lamenta che - dal confronto tra i dati probatori, valorizzati nella sentenza impugnata in ordine alla condotta di partecipazione contestata, e la riconducibilita' degli stessi al ricorrente - emerge la carenza strutturale di una condotta di partecipazione dello stesso al sodalizio contestato, in particolare in termini di stabilita', organicita' e dolo di partecipazione: nel caso di specie, l'ipotizzato apporto fornito dal ricorrente sarebbe stato limitato nel tempo, ossia dal 5 aprile 2016 al 27 ottobre 2016, a fronte di un arco temporale che avrebbe visto operare l'associazione de qua dall'aprile 2016 al maggio 2017, con permanenza. La Corte di appello avrebbe fondato il proprio iter motivazionale sulla base di un contributo del ricorrente, definito ampio ed articolato, in quanto si e' ritenuto che si occupasse del procacciamento delle schede telefoniche da utilizzare, nonostante il rifornitore delle stesse fosse un soggetto terzo, (OMISSIS), a cui (OMISSIS) richiedeva, in modo autonomo, venti schede. Infatti, dai messaggi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dalle intercettazioni ambientali, si evidenzia l'inesistenza di qualsivoglia vincolo di carattere stabile tra l'imputato e il sodalizio contestato. Inoltre, emergerebbe l'assoluta mancanza di coinvolgimento del ricorrente nei rapporti con il canale barese di approvvigionamento dello stupefacente, nonche' in relazione all'attivita' di reperimento dei luoghi per l'occultamento dello stupefacente e della relativa custodia, in quanto il ricorrente risulterebbe assolutamente assente: infatti, i giudici di merito sarebbero pervenuti a un convincimento della partecipazione dello stesso solo in virtu' dei rapporti con il canale brindisino e della contestazione dei reati-fine, mancando qualsiasi dato probatorio sul punto, cosi' rendendo viziata la motivazione resa. Dalla stessa motivazione della Corte di appello emergerebbero ulteriori elementi che delineano il contributo del ricorrente come privo dei caratteri necessari di stabilita', permanenza del vincolo e organicita': in sentenza si afferma che (OMISSIS) e' stato correttamente ritenuto solo un semplice partecipe dell'organizzazione, nonostante la mancanza di coinvolgimento dello stesso nella gran parte dei reati-scopo attribuibili al sodalizio; l'esclusione dell'aggravante soggettiva della disponibilita' di armi. 20.2. Con un secondo motivo, si lamentano la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6), sia in ordine alla corretta valutazione della prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. La Corte di appello avrebbe omesso, in ordine ai fatti contestati al capo 1) di imputazione, qualsivoglia valutazione in merito alla penale responsabilita' dell'imputato, sebbene le argomentazioni difensive avessero evidenziato un quadro probatorio connotato da una obiettiva incertezza sull'apporto concorsuale fornito. Infatti, vi sarebbe stata l'omessa valutazione di un dato incontrovertibile: rispetto all'unica transazione, oggetto di contestazione al predetto capo, realizzatasi in data 21 luglio 2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), i contributi offerti da (OMISSIS) sono individuabili solo in date successive, per cui sono del tutto estranei alla tipicita' delineata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1. Parimenti illogica e' - per il ricorrente - la motivazione della sentenza impugnata in relazione al capo 2) della rubrica, che ha omesso la riqualificazione del fatto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, visto che le ipotesi di cessione ivi contestate riguarderebbero sostanza stupefacente del tipo hashish. In ordine al capo 3) dell'imputazione, la motivazione della sentenza impugnata escluderebbe la configurabilita' dell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nonostante si tratti di modiche quantita' di sostanza stupefacente cedute, omettendo qualsiasi valutazione in merito alla totale estraneita' di (OMISSIS) nell'episodio di cessione contestato ed avvenuto alla sola presenza di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In ordine fatti contestati al capo 4) di imputazione, la Corte di appello incorrerebbe in una motivazione illogica e scarna a fronte di una reiterata consegna di quantitativi di eroina, compatibili con la fattispecie di lieve entita': occorre evidenziare come, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il carattere reiterato di una condotta di cessione non e' di per se' sufficiente a precludere la configurabilita' della fattispecie di cui all'articolo 73, comma 5, citato. In al capo 6) dell'imputazione, la motivazione addotta dai giudici di merito sembrerebbe del tutto sconnessa rispetto al predetto insegnamento della giurisprudenza di legittimita', per cui la reiterazione delle consegne non e' ostativa alla riqualificazione di cui all'articolo 73, comma 5. Inoltre, si ometterebbe di considerare che per i medesimi fatti (OMISSIS) e' stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi predetta. 20.3. Con una terza doglianza, si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, anche in virtu' dell'esclusione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui alla doglianza precedente. Non si sarebbero valutati lo status di totale incensuratezza del ricorrente, il brevissimo contributo associativo contestato e lo svolgimento di un'ininterrotta attivita' lavorativa. 21. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione. 21.1. Il primo, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' articolato in tre motivi. 21.1.1. Innanzitutto, si denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui non sarebbe stata fornita un'adeguata risposta alle censure sollevate con l'atto di appello. Piu' precisamente, l'imputato sarebbe stato condannato essendo stato riconosciuto il suo ruolo di fornitore brindisino nell'arco temporale, assai limitato, compreso tra il 19 luglio 2016 e il 27 ottobre 2016, senza che sia stata lui contestata alcuna specifica condotta partecipativi; dunque sarebbe stata applicata la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone, a fortiori ove si consideri che nei confronti del secondo fornitore brindisino, (OMISSIS), la soluzione adottata sarebbe stata quella di ritenerlo responsabile solo di una fattispecie continuata di violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, con esclusione di quella associativa, pur fondandosi l'accusa mossa nei confronti di entrambi sugli stessi identici risultati probatori, consistenti negli esiti degli accertamenti della polizia giudiziaria, mancando invece qualsiasi sequestro di sostanze stupefacenti, denaro o altro. Tale contraddittorieta', denunciata con l'atto di appello, non avrebbe ricevuto adeguata risposta ne' nella motivazione della sentenza di secondo grado ne', a monte, in quella di primo, infatti non si sarebbe spiegato come si sia attribuito l'uso di una certa utenza telefonica a (OMISSIS), cosi' come lo scambio di comunicazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS), si siano ricondotti i riferimenti al figlio nelle conversazioni del 19 luglio 2016 - intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) - sempre al (OMISSIS), si sia sostenuta la responsabilita' di quest'ultimo quale correo nei fatti di reato di cui al capo 1) che altro non rappresenterebbero che la contestata condotta di partecipazione al sodalizio dedito al traffico di droga di cui al capo A), ma si sia proceduto ad assolvere (OMISSIS) e a condannare il (OMISSIS) che verserebbe in identica posizione processuale. Tra le altre circostanze, dedotte con l'atto di appello e rispetto alle quali sarebbe stata omessa ogni valutazione nella motivazione della sentenza impugnata si annoverano ancora: le presunte condotte illecite del ricorrente si limiterebbero a quanto emerge nelle intercettazioni del 19 luglio 2016, visto che gli ulteriori risultati probatori sarebbero riferiti alla posizione di (OMISSIS); l'imputato sarebbe stato assente dall'Italia dall'inizio sino alla meta' dell'ottobre 2016, da qui l'indisponibilita' da parte di costui del cellulare in questione; la riferibilita' della somma di Euro 10.000,00 consegnata a (OMISSIS) all'inizio dell'incontro del 19 luglio 2016, non per la fornitura di droga ma per altre situazioni commerciali in essere con tale (OMISSIS); i messaggi in partenza dall'utenza non sarebbero mai stati scritti in prima persona plurale ma in prima persona singolare; i messaggi in entrata sarebbero tutti indirizzati ad una singola persona; l'incontro del 10 ottobre 2016 sarebbe stato fissato presso l'abitazione di un fornitore; gli inquirenti avrebbero affermato che l'utenza sarebbe stata utilizzata da chi ha venduto l'auto a (OMISSIS), che non sarebbe (OMISSIS) ma (OMISSIS), atteso che in un messaggio il (OMISSIS) aveva fissato un incontro per i conti e per l'auto, come si darebbe atto nelle sentenze di primo e secondo grado; i colloqui captati dagli inquirenti non avrebbero permesso di lumeggiare la figura del ricorrente come quella di un partecipe che dava un contributo indispensabile di natura stabile e permanente alla vita del sodalizio in cui lo stesso si era consapevolmente, sistematicamente e con permanenza inserito, risolvendosi il tutto nell'unico episodio contestato del 19 luglio 2016. Da quanto precede deriverebbe anche la violazione dell'articolo 533 c.p.p., ovvero della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 21.1.2. Con una seconda censura, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73, 74, articoli 125, 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), articolo 533 c.p.p. e articolo 110 c.p., oltre che il vizio di motivazione nella misura in cui e' stata ritenuta provata la penale responsabilita' del ricorrente anche con riferimento ai singoli episodi delittuosi di cui al capo 1), omettendo, per converso, di fornire adeguata spiegazione alle specifiche doglianze formulate nell'atto di appello. Piu' specificatamente, le conversazioni intercettate illustrerebbero una realta' differente, poiche', pur parlandosi in esse di droga, della stessa non sarebbe stata acquisita alcuna prova a carico del ricorrente. L'unica prova a suo carico discenderebbe dal contenuto della conversazione intercettata il 19 luglio 2016; quanto invece all'incontro del 10 agosto 2016 in Brindisi tra i brindisini e il (OMISSIS), esso riguarderebbe la vendita dell'auto di (OMISSIS) a (OMISSIS) e non la cessione di droga; il viaggio di (OMISSIS) e (OMISSIS) del 23 agosto a Brindisi nulla apporterebbe alla versione accusatoria, atteso che i predetti non sarebbero stati sottoposti a perquisizioni e giammai sarebbe stata rinvenuta sostanza stupefacente nella loro disponibilita'; la circostanza, poi, che (OMISSIS) abbia festeggiato il suo compleanno il (OMISSIS) dimostrerebbe la sua assenza dal territorio italiano. In altri termini, mancherebbe la prova del tipo di sostanza effettivamente ceduta, dell'efficacia drogante dello stupefacente non essendo stato operato alcun sequestro; inoltre, mancherebbero intercettazioni telefoniche dal contenuto sufficientemente esplicito. La ricostruzione difensiva sarebbe avvalorata dall'allegazione di documenti - che la difesa sostiene di aver effettuato - ad un foglio citato nell'atto di appello, con cui si sarebbe dimostrato che la somma di Euro 10.000,00, come indicato da (OMISSIS) nell'interrogatorio di garanzia, sarebbe stata attinente alla vendita di gioielli ed argenteria dal ricorrente a (OMISSIS). Anche per quanto concerne il capo 1) dell'imputazione, in assenza di qualsiasi prova certa circa l'avvenuto scambio di droga o denaro tra (OMISSIS) e l'odierno ricorrente, si sarebbe violato il principio del ragionevole dubbio. 21.1.3. In terzo luogo, si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p., per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Infatti, tanto in primo quanto in secondo grado, si sarebbe omesso di considerare che le quantita' di stupefacente, nel caso di specie, sarebbero asserite e non dimostrate, mancando il sequestro della sostanza stupefacente di cui si conversa nelle intercettazioni, che avrebbe permesso di verificare qualita', quantita' e percentuale di principio attivo; inoltre non si sarebbe adeguatamente considerato che il ricorrente avrebbe avuto scarse operativita' e fattualita', nonche' certamente una posizione non di rilievo nella presente vicenda, circoscritta a limitati e sporadici episodi ai margini dell'ipotizzato gruppo criminale. Inoltre, al termine della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021, sarebbe stata prodotta documentazione medica relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, accompagnata da una nota. Seppure dal verbale non risulti un formale provvedimento di acquisizione della documentazione, la stessa dovrebbe ritenersi sostanzialmente avvenuta, in primo luogo perche' la documentazione non e' stata restituita alla difesa e, in secondo luogo, in considerazione del fatto che della produzione si da' atto al foglio 16 della gravata sentenza. Dunque, il giudice di secondo grado sarebbe stato tenuto ad esaminare i documenti indicati in quanto indubbiamente rilevanti ai fini della determinazione e della quantificazione della sanzione, bilanciando la pena rispetto alla sofferenza e alla depressione, quali sintomi di consapevolezza dei propri errori, manifestati dal ricorrente, attraverso l'unico strumento possibile, ossia le circostanze attenuanti generiche. 21.2. Il secondo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' affidato a quattro motivi. 21.2.1. Con una prima censura, si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Quanto a questo secondo elemento, il giudice di secondo grado si sarebbe espresso in termini totalmente generici, limitandosi a citare soltanto alcuni passaggi delle intercettazioni e omettendo di confrontarsi con altri che viceversa darebbero atto del ruolo marginale svolto dal (OMISSIS): infatti, i riferimenti effettuati dagli interlocutori non sarebbero al ricorrente ma al figlio, identificato in sentenza con (OMISSIS), e proprio da questi discenderebbe che il rapporto contrattuale non fosse tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ma tra quest'ultimo e il (OMISSIS); tale profilo, secondo la Corte di appello, sarebbe giustificato dalla circostanza che tra i due vi fosse piena interscambiabilita' di ruoli, omettendo pero' di considerare che (OMISSIS) sia stato assolto dal reato associativo a differenza di quanto avvenuto per (OMISSIS). Ad ogni buon conto, la motivazione risulterebbe altresi' contraddittoria e carente sempre con riferimento alla ricorrenza dei due elementi della continuita' dei rapporti e della consapevolezza di essi, in quanto il giudice di secondo grado avrebbe omesso di confrontarsi con ulteriori circostanze emergenti in atti: mancherebbe la prova diretta della consegna della sostanza stupefacente oggetto delle intercettazioni del 19 luglio 2016; secondo la Corte di appello la stessa discenderebbe dal fatto che nell'intercettazione si farebbe riferimento al dato che il trasporto sarebbe avvenuto con una moto e che due giorni dopo, il 21 luglio 2016, in un'intercettazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo comunicava che la moto era tornata, ma rispetto alla presunta consegna della sostanza la Corte ometterebbe di misurarsi con l'assenza di qualsivoglia contatto tra i presunti fornitori brindisini e il (OMISSIS); vi sarebbe un'evidente discrasia nella tempistica tra l'attivita' dell'associazione e il contributo offerto dal (OMISSIS), a fronte di un'associazione che opererebbe sul territorio dal maggio 2016 al maggio 2017, il rapporti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si registrerebbero soltanto da luglio ad ottobre 2016, tale circostanza andrebbe ad elidere in radice la parte motivazionale della sentenza laddove i giudici parlerebbero di fisso canale di approvvigionamento; sarebbe stata omessa la circostanza che il (OMISSIS) non sarebbe risultato intestatario di alcuna utenza dedicata, contrariamente al (OMISSIS), correo assolto dal reato associativo. Quindi il ricorrente non si sarebbe inserito all'interno dell'associazione dedita al traffico di stupefacenti ma, tuttalpiu', potrebbe essere chiamato a rispondere di singole condotte di cessione. 21.2.2. Si lamenta, poi, la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione, nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale, con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione, fondata esclusivamente sulla base dei risultati di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Infatti, le conversazioni captate ed utilizzate avrebbero un contenuto tutt'altro che esplicito ma piuttosto ambiguo ed indefinibile, pertanto non sarebbero in grado di giustificare l'affermazione di responsabilita' penale, a fortiori alla luce delle deduzioni difensive. In particolare si sostiene che: nei messaggi che si sarebbero scambiati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riguardo al debito del secondo, si fa esplicito riferimento, quale causa del debito, alla vendita di un' autovettura; il (OMISSIS) ha agito in piena autonomia; l'unico incontro accertato tramite il servizio di osservazione, controllo e pedinamento delle forze di polizia e' quello del 27 ottobre 2016, quando (OMISSIS) si e' recato presso l'abitazione di (OMISSIS); sugli altri incontri non vi sono invece accertamenti; la frase "la moto e' tornata" pronunciata da (OMISSIS) a (OMISSIS) nell'intercettazione n. 733 del 21 luglio 2016 e' estrapolata da una lunga conversazione in cui i due parlano di tale (OMISSIS) e di schede telefoniche e non si fa riferimento all'eventuale fornitura di sostanza da parte del (OMISSIS); nessun contatto e' stato captato tra (OMISSIS) o (OMISSIS) e la persona che avrebbe trasportato la sostanza ( (OMISSIS)), per la consegna della medesima. 21.2.3. In terzo luogo, ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in mancanza di un accertamento sulla sostanza oggetto di scambio e, quindi, sulla natura, sulla qualita', sulla quantita' e sul numero di dosi estraibili. 21.2.4. Con una quarta censura, si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. laddove e' stata negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche omettendo di valutare tutti quegli elementi rilevanti per una commisurazione adeguata dalla pena al caso concreto, senza rilevare che i precedenti dell'imputato sarebbero molto risalenti e omettendo di valutare altri aspetti della personalita' e della vita del (OMISSIS) emersi nel corso del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va premesso che la quasi totalita' delle censure - all'esame delle quali si procedera' con riferimento alle posizioni dei singoli imputati - sono inammissibili perche' dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per se' dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioe', da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilita' degli enunciati. 1.1. Deve ricordarsi, in punto di diritto, che la rilevabilita' del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorieta' o manifesta illogicita' o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non puo' rientrare fra i compiti del giudice della legittimita' la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), (ex plurimis, Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019); b) per il disposto dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere "interno" all'atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perche' in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non e' ammissibile nel giudizio di legittimita': di qui discende, inoltre, che e' onere della parte indicare il punto della decisione che e' connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorieta' della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, si' che l'accoglimento dell'una esclude l'altra e viceversa (ex plurimis, Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Rv. 270071); c) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialita', nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 28058902). 1.1.1. Inoltre, in tema di impugnazione, il requisito della specificita' dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l'onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o piu' punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l'onere - sanzionato a pena di a-specificita', e quindi di inammissibilita', del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimita' la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificita' del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non puo' ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011). 1.1.2. Parimenti, e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 - 04). 1.2. Tali principi trovano applicazione anche in relazione al sindacato sui vizi della motivazione relativa alla determinazione della pena e alla valutazione delle circostanze. 1.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243). 1.2.2. Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). 1.2.3. In terzo luogo, va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo' tenere conto piu' volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del ne bis in idem (ex plurimis, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 - 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011). 1.3. Nell'approcciarsi alla disamina che seguira', deve infine richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non e' consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, ne' procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma e' necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la - astratta - relativa ambiguita' di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato "al di la' di ogni ragionevole dubbio" e cioe', con un alto grado di credibilita' razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalita' umana (ex multis, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605 - 02; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321). 1.3.1. A questo proposito, occorre ulteriormente rilevare - basandosi tutti i ricorsi, in misura piu' o meno estesa, su una richiesta di nuova valutazione delle risultanze probatorie - che l'interpretazione e la valutazione del contenuto di queste costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita', se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Con specifico riferimento all'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito e' libero di ritenere che l'espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorche' non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui e' utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l'uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650). Inoltre, deve ricordarsi che, nell'attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. E tale iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza mentre e' possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020). 1.3.2. Con particolare riferimento al caso di conversazioni intercorse tra l'imputato e altri soggetti intranei alla medesima associazione, inconsapevoli della captazione in corso, le stesse non sono assimilabili a dichiarazioni "de relato", soggette a verifica di attendibilita' della fonte primaria, ma hanno valore di prova diretta, in quanto i loro contenuti sono frutto di un patrimonio condiviso, derivante dalla circolazione, all'interno del sodalizio, di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati (ex plurimis, Sez. 2, n. 49082 del 17/04/2018, Rv. 274808). E va esclusa la necessita' di riscontri ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, nel caso di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'indagato, fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearita' logica (ex plurimis, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). Infine, va rilevato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (ex plurimis, Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714). 2. Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente al ricorso proposto da (OMISSIS), il quale e' inammissibile. 2.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame. 2.1.1. Piu' dettagliatamente, la Corte di appello rende conto di come gli esiti delle indagini abbiano fornito l'inconfutabile prova della partecipazione del ricorrente all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, facendo emergere i rapporti istaurati da questo anche con (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che la consapevolezza che il (OMISSIS) fosse al vertice di un sodalizio dedito al traffico di droga. Infatti, in data 14 agosto 2016 egli aveva preso appuntamento per una fornitura con il (OMISSIS) a cui, ad un certo punto, comunicava un ritardo, del quale il (OMISSIS) informava conseguentemente (OMISSIS). I movimenti di quest'ultimo sono stati monitorati attraverso il Gps e cio' ha consentito di rilevare che, all'ordine impartito da (OMISSIS), (OMISSIS) partiva da via Bottego per giungere, percorrendo strade secondarie, nel solito luogo di incontro utilizzato da (OMISSIS) ed (OMISSIS), ove peraltro anche il (OMISSIS) giungeva unitamente alla sua fidanzata (OMISSIS) tre minuti dopo avere ricevuto lo squillo di (OMISSIS) che preannunciava il suo arrivo e che veniva localizzato in (OMISSIS) nel medesimo orario e nel medesimo luogo in cui si trovavano (OMISSIS) prima e (OMISSIS) poi. I successivi messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno dato conferma del buon esito della cessione; e' stato ritenuto evidente, quindi, che nella circostanza (OMISSIS) ebbe a ricevere la droga da (OMISSIS), nessun'altra spiegazione potendosi dare alla richiesta del (OMISSIS); a cio' e' stato aggiunto che il tutto avveniva sotto la supervisione proprio del (OMISSIS) e della (OMISSIS). D'altro canto, se alla cessione avesse dovuto provvedere il solo (OMISSIS) non vi sarebbe stata necessita' alcuna che sul luogo dell'appuntamento giungesse anche il (OMISSIS). Inoltre, l'intercettazione degli sms e la localizzazione del Gps della vettura del (OMISSIS) hanno provato come era sempre lui a consegnare la droga il 20 agosto 2016 all' (OMISSIS) nei pressi dell'ospedale di (OMISSIS) ove questo si era recato ad accompagnare la moglie che era in stato di gravidanza. Quanto, invece, all'episodio del 23 agosto 2016, il contestuale servizio di osservazione condotto unitamente al monitoraggio degli sms sui telefoni in uso al (OMISSIS) e diretti all' (OMISSIS) ha permesso di riscontrare come (OMISSIS) e (OMISSIS), a bordo dell'auto in uso a quest'ultimo, giungevano nelle vicinanze degli impianti sportivi presenti nella zona industriale di (OMISSIS) ove era stato fissato l'appuntamento con (OMISSIS) per la consegna della fornitura; i due dialogavano con questo fuori dalle rispettive autovetture per circa 40 minuti e successivamente ripartivano. Anche il 31 agosto 2016, dopo avere concordato l'incontro per una fornitura di droga, (OMISSIS) incaricava (OMISSIS) di recarsi all'appuntamento con (OMISSIS); (OMISSIS), come sempre, un'ora prima dell'appuntamento con (OMISSIS) si recava in via (OMISSIS) per prelevare lo stupefacente che temporaneamente portava con se' presso la propria abitazione di via (OMISSIS), dalla quale ripartiva subito dopo la conversazione telefonica avuta con (OMISSIS) alle 14:33 circa, alle successive 14:41 raggiungeva via (OMISSIS) e, davanti all'ingresso dell'ospedale di (OMISSIS), incontrava (OMISSIS). Dunque, del tutto correttamente, la Corte di appello, differentemente da quanto ipotizzato dalla difesa, ne ha dedotto che il ricorrente riceveva la propria fornitura da (OMISSIS) con una certa sistematicita', dopo avere preso accordi con il (OMISSIS); egli quindi ben sapeva che quest'ultimo poteva disporre della collaborazione del secondo, ossia non puo' negarsi che l' (OMISSIS) fosse ben consapevole di muoversi all'interno di un contesto associativo. Uno scambio di messaggi intercorso fra lui e (OMISSIS) prova come tale consapevolezza vi fosse anche in chi acquistava la droga dal ricorrente medesimo; in essi, infatti, Petracca, utilizzando un linguaggio criptico che faceva riferimento ad una fantomatica ragazza, in realta' intendeva consolidare i traffici commerciali che aveva gia' con (OMISSIS) e, per il suo tramite, con l'intera organizzazione guidata da (OMISSIS). Dopo aver ribadito la sua attenzione alla puntualita' nei pagamenti e garantito il rispetto di ogni obbligo legato all'illecita attivita', dimostrava la sua vicinanza ad (OMISSIS) e ai suoi sodali richiedendo forniture piu' consistenti di narcotico; (OMISSIS), dal canto suo, accettava la proposta stabilendo un incontro per la giornata successiva. Proprio il riferimento alla famiglia, in maniera perfettamente logica, e' stato ritenuto idoneo dal giudice di secondo grado a provare la consapevolezza anche dei clienti dell' (OMISSIS) che questi si muovesse all'interno di un contesto associativo del quale voleva fare parte. 2.2. La seconda doglianza - con cui si contesta la violazione degli articoli 581 e 597 c.p.p. nonche' la mancata esclusione dell'aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 4, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario puntualizzare che la Corte di appello non ha escluso in radice, per tutti i sodali e quindi sul versante oggettivo, il carattere armato dell'associazione, ma si e' limitata, in accoglimento dei motivi di appello proposti da alcuni partecipi, con cui si intendeva far valere la mancata conoscenza della detenzione di armi quindi il carattere armato dell'associazione, a non applicare, solo nei loro confronti, la contestata aggravante con conseguente rideterminazione della pena. Quanto invece alla posizione di (OMISSIS), e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione in ordine alla consapevolezza del carattere armato dell'associazione, non potendosi ritenere questa implicita nel generico motivo formulato in ordine alla semplice consapevolezza della partecipazione all'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proposizione per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze. A ritenere altrimenti, infatti, il giudice di legittimita' potrebbe disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata, contraddittoria o manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Riconoscendo la possibilita' di estendere il suo sindacato anche a vizi della motivazione non dedotti in appello, invero, il giudice di legittimita' sarebbe anche indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice di merito di secondo grado; dall'altro canto, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). Nel caso di specie, il ricorrente, per sua stessa affermazione, si e' limitato a contestare esclusivamente la sussistenza della consapevolezza della partecipazione all'associazione e non, specificatamente, l'ulteriore consapevolezza del carattere armato dell'associazione stessa; correttamente dunque il giudice di secondo grado non si e' pronunciato su tale secondo profilo e, conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione a monte in assenza di una specifica contestazione. Analoghe conclusioni devono trarsi con riferimento all'applicazione dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Essa non e' stata oggetto di specifico motivo in sede di appello; quindi, deve ritenersi assente qualsiasi onere di motivazione sul punto in capo al giudice di secondo grado, il quale, comunque, operando una puntuale ricostruzione dei fatti e richiamando le numerose intercettazioni ambientali e telefoniche ove compare anche il ricorrente, non ha mancato di rilevare come risulti infondata la doglianza - formulata da altri ricorrenti - relativa al numero di partecipanti superiore a dieci, tale essendo indubbiamente risultato il numero dei sodali. 2.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si deduce la violazione dell'articolo 629 c.p. con riferimento al capo 25) dell'imputazione, difettando la prova degli elementi costitutivi del reato di estorsione - e' inammissibile perche' diretto, con argomentazioni in parte generiche, ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 2.1., da intendersi come richiamate. La Corte di appello ha infatti dato conto in modo chiaro e coerente di come il reato in esame riguardi la richiesta inoltrata, con violenza e minaccia, a (OMISSIS) e alla sua famiglia, di una somma di denaro pari a Euro 600,00, quale compenso per le forniture di droga effettuate dall' (OMISSIS). Logicamente e' stato ritenuto che la natura illecita del debito derivi dalla lettura congiunta di diversi elementi: in primis lo (OMISSIS) si preoccupava del fatto che il padre non venisse a sapere nulla del debito, segno che questo non aveva origini lecite; in secondo luogo, se fosse stato di natura lecita, l' (OMISSIS) avrebbe avuto un qualsivoglia titolo per azionarlo e riceverne soddisfacimento; in terzo luogo non sono emersi rapporti di altro genere - ne' la difesa li ha addotti in appello - che costituiscano una valida alternativa lettura delle emergenze investigative; la minaccia, poi, era assolutamente idonea a coartare la volonta' dello (OMISSIS) e della madre alla luce dell'insistenza, della prospettazione di attentare anche all'incolumita' fisica della persona offesa, dei pregressi rapporti fra i due, allorquando, in analoga situazione, lo (OMISSIS) era stato malmenato dall'imputato. Circostanza, quest'ultima, che e' stata dedotta dalle dichiarazioni della madre, (OMISSIS), ma anche dall'arrendevolezza dello (OMISSIS). che, nel corso di una delle conversazioni, al fine di tranquillizzare il suo creditore, dichiarava di essere pronto a prendere anche degli schiaffi. Considerata la natura illecita del debito e tenuto conto che le minacce venivano rivolte anche ad un soggetto terzo estraneo al rapporto debitorio, ossia la madre dello (OMISSIS), correttamente si e' ritenuto che il fatto non potesse essere ascritto alla fattispecie di cui all'articolo 393 c.p., come preteso dalla difesa. In punto di diritto, infatti, deve ricordarsi che e' configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalita' costrittiva dell'agente, volta non gia' a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacita' volitive; b) l'estraneita' al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l'esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (ex plurimis, Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Rv. 272017; Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267123; Sez. 2, n. 44657 del 08/10/2015, Rv. 265316). Nel caso di specie la Corte di appello, perfettamente in linea con la richiamata giurisprudenza, ha evidenziato come non potesse dirsi che l' (OMISSIS) avesse un titolo e men che meno che potesse eventualmente azionarlo nei confronti della madre dello (OMISSIS) cui egli si era rivolto per il soddisfacimento della sua pretesa, specificando ancora che ove l'origine fosse stata lecita, l'aver tentato il soddisfacimento con minaccia nei confronti della madre, terza estranea rispetto al rapporto debitorio che non aveva assunto alcuna garanzia ne' scritta ne' di fatto per il debito del figlio, integra comunque l'ipotesi estorsiva; e' stato infatti escluso che la (OMISSIS) avesse mai assunto volontariamente la posizione di garante, mentre la sua condotta era chiaramente diretta ad evitare che il figlio subisse le conseguenze, in termini di incolumita' fisica, derivanti dal suo inadempimento. Se ella ad un certo punto ammetteva che avrebbe provveduto personalmente all'estinzione, cio' avveniva solo a seguito delle minacce subite per far tacitare i propositi criminosi dell' (OMISSIS) che gia' in passato aveva malmenato il figlio; giammai quindi questa partecipo' alla genesi del rapporto obbligatorio e in nessuna occasione assunse la posizione debitoria del figlio. In considerazione di quanto sopra, anche ove la natura del credito fosse stata lecita, la condotta assunta nei suoi confronti, terza estranea al rapporto obbligatorio, correttamente e' stata ritenuta elemento costitutivo del reato di estorsione. 2.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si censura la violazione degli articoli 62-bis e 81 c.p. - e' parimenti inammissibile. Quanto al primo, la Corte territoriale ha riconosciuto l'assenza di elementi positivi che potessero giustificare la concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche, aggiungendo che il ricorrente non ha mai assunto un atteggiamento collaborativo o anche solo ammissivo e non ha mai provveduto a risarcire il danno; per contro e' stato evidenziato come sussistessero elementi di segno contrario, che hanno correttamente indotto al rigetto della richiesta delle attenuanti generiche: il certificato del casellario giudiziale e' stato ritenuto particolarmente illuminante circa la personalita' negativa dell' (OMISSIS), avendo egli riportato diverse condanne, di cui tre per il medesimo titolo di reato. Quanto invece agli aumenti di pena a titolo di continuazione, e' stato considerato che in primo grado il giudice, a fronte della gravita' del reato estorsivo le cui modalita' sono risultate particolarmente invasive e dolorose avendo interessato anche la madre della vittima, si e' limitato ad indicare un aumento pari a soli 6 mesi di reclusione e che per ciascuno degli episodi di spaccio la stessa e' stata contenuta in 3 mesi di reclusione; conseguentemente la pena irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa, anche tenendo conto del fatto che e' stato omesso qualsivoglia aumento per la contestata aggravante dall'essere l'associazione formata da piu' di dieci persone. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo di doglianza, con il quale si denunciano - la violazione di legge con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e all'articolo 192 c.p.p., comma 2, ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La difesa si e' limitata a sottoporre una serie di aspetti esclusivamente valutativi della vicenda in esame, e pertanto preclusi al sindacato di questa Suprema Corte. In ogni caso, deve essere considerata logica e coerente la valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte di appello, da cui emerge come la droga acquistata dall'imputato non potesse essere utilizzata dallo stesso per il mero consumo personale, attraverso il richiamo puntuale a conversazioni telefoniche captate, nelle quali il (OMISSIS), rivolgendosi al ricorrente, faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura, invitando l'interlocutore al controllo della quantita' della sostanza ricevuta. Da un'ulteriore intercettazione si desume con certezza che l'imputato possedesse nella sua abitazione un quantitativo di stupefacente superiore a quello necessario per soddisfare il suo fabbisogno personale, tanto che, ove la polizia giudiziaria fosse stata assistita, nella sua attivita' di perquisizione dell'abitazione del (OMISSIS), da unita' cinofile, lo stesso si sarebbe trovato in seri problemi con la giustizia; paura che non si sarebbe manifestata ove lo stesso avesse posseduto stupefacenti per il solo consumo personale. 3.2. La seconda censura - riferita alla pretesa violazione degli articoli 62-bis, 99 e 133 c.p., e al vizio di motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. La quantificazione della pena operata dalla Corte territoriale deve considerarsi adeguata, tenuto conto della gravita' delle condotte contestate all'imputato e del corretto riconoscimento della recidiva. Infatti - posto che il giudice e' tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualita' e al grado di offensivita' dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneita' esistente tra loro, all'eventuale occasionalita' della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali - nel caso in esame il solo elemento della lontananza nel tempo delle condanne non e' sufficiente, poiche' concorrono, e risultano prevalenti, il numero elevato delle condanne per crimini in materia di sostanze stupefacenti, ben sette, e la mai dismessa capacita' criminale dell'imputato quale emerge dagli atti di causa, che rendono neutro il mero dato temporale ed inducono ad escludere le circostanze attenuanti generiche. 4. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. 4.1. Il primo motivo - con cui si lamenta, in sostanza, la vaghezza dell'imputazione - e' manifestamente infondato. A differenza di quanto dedotto dalla difesa dell'imputato - e come ben evidenziato dalla Corte distrettuale - nel capo 40 e' specificatamente indicato ogni elemento costitutivo del reato ascritto in concorso. E' infatti richiamata la condotta illecita ("ricevevano per il successivo spaccio"), sono puntualizzate le modalita' ("ricevevano da (OMISSIS) e (OMISSIS)"), e' specificata la tipologia di droga consegnata ("imprecisati ma consistenti quantitativi di eroina"), sono fissati il luogo di commissione del reato ("in (OMISSIS)") e il periodo temporale ("dal 5 ottobre 2016 al 4 marzo 2017"). 4.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano il travisamento del fatto, il travisamento della prova e la contraddittorieta' della motivazione - deve anch'esso essere dichiarato inammissibile. La Corte territoriale infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - quale si limita a riproporre in cassazione una doglianza gia' motivatamente disattesa - ha coerentemente motivato in punto di responsabilita' degli imputati. Si e' accertato, in particolare, come dalle stesse dichiarazioni del (OMISSIS) fosse emerso che costui talvolta prendeva 10 grammi di droga per assumerne 5 e venderne 5. Dalle indagini poi evidenziano i giudici d'appello - erano emerse le modalita' di distribuzione della sostanza stupefacente, la cui prova della destinazione allo spaccio e' facilmente evincibile dalla frequenza degli incontri cui seguivano consegne di forniture, assolutamente incompatibili con il mero uso personale (pagg. 20-21 della sentenza). 4.3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso - relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 4, e all'applicazione della recidiva - sono parimenti inammissibili. Infatti, come rilevato dalla Corte d'appello, il fatto ascritto all'imputato non puo' essere ritenuto di modesta rilevanza, alla luce della frequenza degli approvvigionamenti e delle quantita' smerciate. Inoltre, come sottolineato nella sentenza impugnata, non e' presente alcun elemento positivo di giudizio che giustifichi una mitigazione del trattamento sanzionatorio. L'imputato, infatti, non ha mai assunto un atteggiamento resipiscente e la parziale ammissione dei fatti offerta da quest'ultimo acquista valore neutro a fronte della chiarezza delle emergenze investigative e della sua negativa personalita', desumibile dal certificato del casellario. 5. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo di ricorso - con cui ci si duole della mancata riqualificazione del fatto di cui al capo di imputazione 37) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sul rilievo che i coimputati che hanno definito il procedimento con patteggiamento hanno visto riconosciuta tale ipotesi - e' inammissibile. La giurisprudenza di legittimita' ha affermato che in tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico puo' essere ascritto ad un imputato ai sensi dell'articolo 73, comma 1, e ad un altro a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenti per ciascun correo. Ad esempio, si e' applicato tale principio a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione della ipotesi di lieve entita' per il venditore della sostanza perche', a differenza del compratore, aveva contatti stabili e continuativi con i grandi canali di approvvigionamento (Sez. 3, n. 16598 del 20/02/2020, Rv. 278945; Sez. 6, n. 2157 del 09/11/2018, dep. 2019, Rv. 274961). Un orientamento difforme ha sostenuto che in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico non puo' essere qualificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1 o 4, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell'ambito dell'articolo 73, comma 5, nei confronti di altri, stante l'unicita' del reato nel quale si concorre, che non puo', quindi, atteggiarsi in modo diverso rispetto ai singoli concorrenti (Sez. 4, n. 30233 del 07/07/2021, Rv. 281836; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 - 02). La predette pronunce non hanno pero' trovato seguito, in quanto la giurisprudenza di legittimita' successiva ha ribadito che il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta, deve essere valutato tenendo conto della quantita' di stupefacente trattato, nonche' dei mezzi, delle modalita' e delle circostanze dell'azione, per cui non si puo' affermare che vi sia unicita' del reato, stante i caratteri differenti che assume per ciascun correo (Sez. 3, n. 20234 del 04/04/2022, Rv. 283203). Nel caso di specie, la Corte di appello ha evidenziato che deve escludersi che il fatto possa essere ritenuto di lieve entita' alla luce del ruolo di primo ordine svolto da (OMISSIS): egli, infatti, oltre ad essere stato colui che si era portato direttamente dal fornitore per l'acquisto della droga, era anche colui che aveva provveduto alla consegna al (OMISSIS), garantendosi che quest'ultimo lasciasse il luogo convenuto in sicurezza. A queste considerazioni, i giudici di merito mostrano come assumano rilevanza sia la quantita' di droga sequestrata, oltre mezzo chilo, sia la sua posizione di supremazia rispetto a (OMISSIS). 5.2. Il secondo motivo di ricorso - con si deduce la violazione degli articoli 81 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio - e' inammissibile. La Corte d'appello ha ben evidenziato che, dato il ruolo del ricorrente e data la quantita' di droga smerciata, si doveva erogare una pena superiore al limite al minimo edittale, seppur inferiore a quella applicata in primo grado. In ordine agli aumenti di pena per i reati posti in continuazione, a fronte della personalita' dell'imputato, particolarmente attivo nel rifornimento, nell'approvvigionamento e nella distribuzione della sostanza stupefacente, e della quantita' di merce smerciata, si e' correttamente ritenuto congruo un aumento pari a 6 mesi di reclusione, in quanto la pena conseguentemente irrogata e' stata ritenuta congrua ed equa. A fronte di tale motivazione, le ragioni del ricorso appaiono meramente riproduttive di doglianze gia' disattese in secondo grado e comunque fondate sul generico richiamo ad un atteggiamento positivo dell'imputato post delictum, in realta' inesistente. 6. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. La prima doglianza - con la quale si denunciano il vizio di legge con riferimento alla mancata riduzione della pena nei confronti di (OMISSIS) quale partecipe dell'associazione a delinquere contestata sub capo A) della rubrica per effetto della ritenuta insussistenza dell'aggravante speciale relativa al "carattere armato dell'associazione", nonche' l'illogicita' della motivazione - e' inammissibile. Essendo tale motivo di ricorso sostanzialmente sovrapponibile a quanto dedotto dal coimputato (OMISSIS), puo' farsi rinvio alle considerazioni gia' svolte sub 2.2. 6.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si denuncia la mancata applicazione dell'articolo 62-bis c.p. con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti - e' inammissibile. Si tratta, anche in questo caso, della mera riproduzione di una censura di appello, gia' generosamente considerata dei giudici di secondo grado, i quali hanno rivisitato in diminuzione il trattamento sanzionatorio valutando lo stato di incensuratezza e l'atteggiamento parzialmente collaborativo dell'imputato, ma anche richiamando la ripetitivita' della condotta e il carattere parziale dell'ammissione degli addebiti; mentre la difesa non adduce elementi ulteriori rispetto a quelli che furono oggetto di gravame. 7. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 7.1. Il primo motivo - con cui si deduce il vizio di motivazione e l'avvenuto travisamento della prova in considerazione del mancato riascolto dell'intercettazione ambientale n. 578 del 19 luglio 2016 ore 21:22 - e' inammissibile, perche' generico. Il ricorrente, infatti, non contesta la parte della motivazione del gravato provvedimento in cui vengono riassunti i motivi di appello e dai quali non emerge la richiesta di nuovo ascolto della citata intercettazione ne' tantomeno indica, in modo specifico e puntuale, quando tale richiesta sia stata effettuata e con quale provvedimento la Corte di appello gli abbia risposto rigettandola. Cio' posto, appare opportuno ricordare che l'intercettazione e' una prova precostituita, che non si forma in dibattimento e viene semplicemente rimessa, in un momento successivo, al giudice di merito per le sue determinazioni. Nel caso di specie, per di piu', la Corte di appello ha anche dato prova di conoscere il contenuto della suddetta intercettazione, avendola utilizzata per la stesura dell'impianto motivazionale. Tutto cio' premesso, rilevata la genericita' del motivo di ricorso proposto, anche per la mancata indicazione del preteso contenuto dell'intercettazione travisata, deve comunque ribadirsi il principio di diritto secondo il quale l'interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche costituisce valutazione di merito. E l'iter argomentativo e' certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile, conformemente ai principi gia' illustrati sub. 1.3.1. e 1.3.2. Conclusivamente, la Corte, in modo assolutamente logico, ha affermato che le indagini esperite in fase preliminare hanno portato gli inquirenti ad acquisire un dato: il (OMISSIS), nel contesto criminale in cui maturavano i fatti, era indicato come figlio del (OMISSIS), pur essendone il nipote, e a lui era associato l'appellativo " (OMISSIS)". 7.2. La seconda censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione con specifico riferimento al passaggio in cui si assume che la riferibilita' del diminutivo "figlio" o " (OMISSIS)" alla persona dell'imputato possa essere desunta da un dialogo intrattenuto da (OMISSIS) con un altro uomo - e' inammissibile; valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.3.1., 1.3.2., da intendersi come richiamate. Piu' nel dettaglio, la Corte ha evidenziato come il dato che la persona indicata quale figlio di (OMISSIS) o con l'appellativo " (OMISSIS)" fosse certamente l'imputato potesse desumersi da altri elementi, quale, ad esempio, il fatto che il 10 agosto 2016 (OMISSIS), a bordo del veicolo Volkswagen Golf, si era recato a (OMISSIS), proprio nel medesimo punto in cui il 19 luglio 2016 si era incontrato con (OMISSIS); questa volta pero', dopo essere sceso dal mezzo, (OMISSIS) si era avvicinato momentaneamente allo stesso mentre era intento a dialogare con un altro uomo la cui voce veniva riconosciuta, senza alcun dubbio, dal personale dei carabinieri di Brindisi in quella di (OMISSIS), precedentemente intestatario dell'autovettura utilizzata dal (OMISSIS) e sottoposta ad intercettazione. Due, quindi, erano gli elementi che portavano con certezza all'odierno imputato: il riconoscimento della voce e la pregressa intestazione dell'autovettura del (OMISSIS) a suo nome. Inoltre, dai messaggi inviati da (OMISSIS) a (OMISSIS) si e' rilevato che fra i due vi fossero in corso due tipi di transazioni economiche: la prima riguardava la vendita dell'auto da quest'ultimo al primo e la seconda il pagamento di forniture di droga; proprio l'elemento della precedente intestazione dell'auto condotta dal (OMISSIS) in capo al (OMISSIS) ha consentito la corretta conclusioni dei giudici di merito, perche' egli era certamente l'utilizzatore dell'utenza (OMISSIS) sulla quale venivano captati diversi messaggi inviati dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS) contenenti richieste di incontri per forniture ed accordi per pagamenti. Ne ha fornito riscontro lo scambio di messaggi in data 14 ottobre 2016, con cui il (OMISSIS) chiedeva di pazientare ancora qualche giorno garantendo comunque la consegna di Euro 2.000,00 per l'autovettura ed Euro 5.000,00 o 6.000,00 per le pregresse forniture: nei giorni successivi si accertava che presso l'abitazione di (OMISSIS) avveniva il pagamento di una fornitura da parte del (OMISSIS) che si serviva, allo scopo, dello (OMISSIS). Il mirato servizio di osservazione, controllo e pedinamento consentiva quindi ai carabinieri di accertare che (OMISSIS), a bordo della sua autovettura Fiat Punto, all'orario pattuito, si recava a (OMISSIS) ove, dai successivi accertamenti, risultava domiciliare (OMISSIS). Con specifico riferimento, poi, al riconoscimento della voce da parte degli operanti - a fronte dello scetticismo palesato dal ricorrente, il quale non ha comunque contestando che egli fosse il reale dialogante - va evidenziata la coerenza della conclusione dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui e' piu' che plausibile che gli appartenenti alla polizia giudiziaria, costantemente impegnati sul fronte della repressione del traffico di stupefacenti e pertanto perfettamente in grado di riconoscere il timbro della voce di soggetti a loro noti, avessero compreso a chi appartenesse quella voce. La Corte ha correttamente ritenuto che proprio quegli elementi dei quali la difesa adduce l'irrilevanza provano inconfutabilmente il ruolo del (OMISSIS) e la sua vicinanza al (OMISSIS); infatti, questo ha effettuato l'incontro con il suo acquirente esattamente nello stesso luogo in cui precedentemente era avvenuto con (OMISSIS): la circostanza, lungi dall'essere una mera causalita', e' stata correttamente ritenuta, al contrario, il segno dell'ascrivibilita' del fatto al medesimo contesto. 7.3. La terza doglianza - con cui si censura il travisamento della prova nella misura in cui la Corte avrebbe omesso di considerare che la via (OMISSIS) non sarebbe mai stata il luogo ne' di residenza ne' di domicilio dell'imputato - e' infondato. E' infatti sufficientemente dimostrato che l'odierno ricorrente non fosse residente alla via (OMISSIS), tanto che la Corte, in motivazione, si e' limitata a riconoscere che lo stesso abbia domiciliato nel luogo in occasione dell'incontro con lo (OMISSIS) al fine di ricevere, per il suo tramite, il denaro dovuto dal (OMISSIS) per la cessione dello stupefacente e la vendita dell'autovettura, senza mai giungere ad affermare che l'imputato fosse li' residente. In tale quadro, e' privo di pregio e' il tentativo di contestare il dato fattuale appreso dalla polizia giudiziaria in sede di indagini con un dato formale, quale il certificato storico di residenza, che di per se' potrebbe essere in astratto inidoneo a destituire di fondamento tale ricostruzione ma la cui valenza concreta gia' stata motivatamente esclusa dalla Corte di appello, anche per la mancata indicazione da parte della difesa di un luogo alternativo di reale domicilio. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Il primo motivo - riferito alla violazione del diritto di difesa conseguente all'acquisizione delle note del funzionario responsabile del centro di intercettazioni relative allo svolgimento delle operazioni, che avrebbe negativamente influito sulla scelta del rito e avrebbe introdotto nel procedimento atti inutilizzabili - e' manifestamente infondato. Come rilevato correttamente dalla Corte di appello, solo le eccezioni di cui all'articolo 491 c.p.p. impongono al giudice la decisione immediata; mentre sede di udienza preliminare, il giudice puo' scegliere di valutare la fondatezza di altre eccezioni - fra le quali quella della inutilizzabilita' delle disposte intercettazioni - in esito alla discussione. Nel caso in esame la difesa, dopo aver sollevato la eccezione concernente la utilizzabilita' delle intercettazioni disposte nell'ambito del presente procedimento, ha poi optato per il rito abbreviato, cosi' accollandosi il rischio che la decisione si fondasse anche sul loro contenuto. La possibilita' di postergare la decisione in esito alla discussione non ha procurato nessuna lesione del diritto di difesa, atteso che, ove la eccezione fosse stata ritenuta fondata, il giudice avrebbe deciso senza tenere conto del contenuto di quelle intercettazioni, cosi' compiendo un'operazione favorevole agli imputati. In caso contrario, le avrebbe utilizzate, ma il contenuto di quegli atti di indagine era gia' noto agli appellanti, facendo parte del fascicolo delle indagini. Dunque, l'imputato non ha subito, ne' avrebbe potuto subire, alcun pregiudizio (e questa probabilmente e' la ragione sottesa alla scelta legislativa di consentire la decisione delle eccezioni unitamente al merito), visto che l'opzione di essere giudicati allo stato degli atti comporta l'accettazione del rischio della loro integrale utilizzazione. In ordine all'eccezione relativa all'acquisizione delle 41 schede redatte dal funzionario responsabile del centro intercettazioni, non si tratta di schede acquisite in epoca successiva dal giudice di prime cure, ma di atti facente parti delle indagini preliminari e in particolare di quelle esperite a mezzo di intercettazioni telefoniche, che gia' facevano parte del fascicolo e la cui utilizzabilita' totale deriva dal rito prescelto; ne' la loro mancata iniziale trasmissione influisce sulla loro utilizzabilita'. I giudici di merito hanno offerto ampia e articolata giustificazione della infondatezza della eccezione, precisando correttamente che la condizione necessaria per l'utilizzabilita' delle intercettazioni e' che la registrazione - che consiste nell'immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell'operatore telefonico - sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria" (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2008, n. 36359). Tutte le attivita' di intercettazione eseguite nel procedimento in oggetto sono state disposte con altrettanti decreti ex articolo 267 c.p.p., con i quali si e' ordinato che le operazioni di intercettazione fossero compiute per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica ed eseguite, per quelle telefoniche, con le modalita' tecniche concordate con gli operatori di telecomunicazioni. La funzione di raccordo con gli operatori di telecomunicazioni, determinante per il pieno controllo del pubblico ministero sulle attivita' di intercettazione/registrazione e per garantire e dare conto - anche successivamente - del rispetto della disposizione ex articolo 268 c.p.p., viene svolta dal Centro di Intercettazione delle Telecomunicazioni, unita' organizzativa alla quale, con i decreti dispositivi del pubblico ministero, per ciascun bersaglio e' stato demandato il compito di provvedere agli adempimenti tecnici ed amministrativi di competenza, necessari per il tempestivo avvio dell'attivita' di intercettazione disposta. Cosi', nel procedimento in questione, il funzionario responsabile ha provveduto alla redazione delle note con le quali sono stati comunicati di volta in volta agli operatori di telecomunicazioni coinvolti, oltre ai parametri necessari per l'individuazione dell'apparecchio radiomobile da intercettare e ai parametri delle risorse di rete cui trasmettere i dati captati. 8.2. La seconda doglianza - riferita al capo A) di imputazione, in merito alla sussistenza di un sodalizio criminale e alla partecipazione ad esso dell'imputata e' inammissibile, in quanto ripropone una valutazione alternativa dei fatti gia' disattesa in primo e secondo grado. I giudici di merito hanno rilevato che il contributo della (OMISSIS) in favore del sodalizio capeggiato dal compagno si palesava chiaramente in occasione dell'episodio di cui al capo 8). In tale circostanza, ella era con (OMISSIS) sia nella fase del sopralluogo per la individuazione del posto in cui operare lo scambio, cercando, insieme a lui, la presenza di eventuali telecamere, sia nella fase finale in cui accompagnava, facendo da staffetta, il sodale, incaricato del trasporto da (OMISSIS). Inoltre, condivideva con (OMISSIS) valutazioni in ordine alle operazioni di acquisto dai fornitori di (OMISSIS) e strategie di scelta degli approvvigionamenti. Il compagno, infatti, riferiva alla (OMISSIS) ogni problematica afferente alle consegne di droga e questa a sua volta era sempre pronta a suggerimenti e considerazioni, come nel caso in cui i fornitori di (OMISSIS) non sembravano in grado di soddisfare la ulteriore richiesta di droga del (OMISSIS). L'imputata aveva un ruolo fondamentale anche in occasione del rifornimento del 29 luglio 2016, allorquando (OMISSIS) e (OMISSIS) dovevano incontrarsi per lo scambio droga-denaro. Temendo di essere controllati ( (OMISSIS) perche' aveva visto auto della polizia in giro, (OMISSIS) perche' temeva che fossero state installate delle microspie all'interno della sua macchina) la fissazione dell'appuntamento avveniva attraverso le apparecchiature telefoniche delle rispettive compagne. Ulteriormente, non e' trascurabile che il (OMISSIS) in almeno due occasioni (capo 9) sceglieva il punto in cui si trovava la abitazione della (OMISSIS) per effettuare le operazioni relative agli scambi o agli incontri con il (OMISSIS) che, poi da li', partiva con la moto per il Salento. A cio', la Corte di appello aggiunge la circostanza secondo cui a lei sarebbe spettata, come alle mogli di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), una corresponsione mensile da parte dell'associazione. 8.3. Il terzo motivo - con cui si censura la mancata qualificazione dell'associazione nella fattispecie di lieve entita', non emergendo dalle intercettazioni un'attivita' di spaccio di ingenti volumi di sostanza stupefacente - e' inammissibile, sia perche' formulato in modo non specifico, sia perche' afferente a un profilo che non era stato devoluto nel giudizio di appello, come emerge dal riassunto delle doglianze proposte, che la difesa non ha contestato. 8.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche' il vizio di motivazione, relativamente al capo 11) di imputazione - e' inammissibile, perche' riproduttiva di un rilievo gia' motivatamente disatteso in secondo grado. La Corte di appello evidenzia come si debba escludere che le quantita' di sostanza stupefacente consegnate al (OMISSIS) fossero esigue: elemento che risulta chiaro dall'ordine effettuato, da cui si evince che si trattasse di 250 grammi di cocaina e di 22 grammi di hashish. Di conseguenza, la fattispecie correttamente non e' stata ricondotta al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. In ordine alla partecipazione della (OMISSIS), questa e' confermata dall'attivita' della polizia giudiziaria, che nel pomeriggio del 5 ottobre 2016, aveva predisposto un apposito servizio di osservazione, attraverso il quale e' stata documentata la fase in cui il (OMISSIS) e la ricorrente si recavano in Collemeto per l'illecita cessione a favore di (OMISSIS); e la ricostruzione era stata confermata da un dialogo intercettato. 8.5. La quinta doglianza - sul trattamento sanzionatorio, con riferimento alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. La gradazione della pena si fonda anche sulle modalita' dell'azione, che possono comportare una diversa quantificazione della sanzione, in relazione al ruolo svolto dal singolo correo. In ogni caso, la Corte di appello ha logicamente dato conto della ragione per la quale gli aumenti per (OMISSIS) sono stati inferiori, ovvero per l'unico obiettivo di calmierare una pena per lui gia' molto elevata e non perche' le sue condotte fossero meno gravi di quelle poste in essere dalla (OMISSIS). 9. I ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) sono solo parzialmente fondati. 9.1. Il primo motivo di doglianza - con cui si contesta la natura stabile del contributo dei ricorrenti - deve essere dichiarato inammissibile. Come rilevato nella sentenza impugnata, all'esito delle indagini investigative sono emersi plurimi elementi atti a dimostrare non solo la sussistenza di un sodalizio criminoso dedito al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche la partecipazione a quest'ultimo da parte degli odierni imputati. Rispetto a tale sodalizio - evidenzia la Corte territoriale - il (OMISSIS) e il (OMISSIS) si ponevano come fornitori stabili, consegnando ripetutamente al (OMISSIS) e agli altri sodali cospicui quantitativi di droga. L'accordo criminoso, peraltro, prevedeva che le mogli percepissero una sorta di indennita' di Euro 250,00 settimanali, che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale svolto. Inoltre, evidenzia la Corte d'appello, dalle stesse intercettazioni emergono con chiarezza non solo la prova dell'avvenuta fornitura, ma anche le modalita' e il quantitativo delle sostanze oggetto di spaccio. Piu' in particolare, la sentenza evidenzia la rilevanza dell'incontro del 24 luglio 2016, nel quale era maturato lo stabile rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagg. 40-41 della sentenza), oltre alla presenza di contatti con altri soggetti, al di fuori di (OMISSIS), ad esempio (OMISSIS). Il ruolo di fornitore stabile in capo a (OMISSIS), come tale partecipe dell'associazione, e' ben delineato alle pagg. 46-48 della sentenza impugnata, nelle quali si descrive il suo rapporto con (OMISSIS), che emerge dalle dinamiche degli incontri e dall'entita' del denaro consegnato, e si evidenzia l'irrilevanza della mancata conoscenza diretta da parte di (OMISSIS), spiegabile con l'estraneita' di quest'ultimo rispetto al "canale di (OMISSIS)". 9.2. Il secondo motivo di ricorso, riferito al solo (OMISSIS), con cui si lamenta, tra l'altro, l'impossibilita' di configurare il suo concorso negli episodi del 12 e del 30 luglio 2016 (capo 9 dell'imputazione), e' parzialmente fondato. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata non contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per tali due episodi, che non vengono analizzati ne' descritti compiutamente. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Quanto all'episodio del 6 agosto 2016 - anch'esso oggetto di doglianza - la sentenza di secondo grado risulta, invece, pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove descrive analiticamente il ruolo dell'imputato, i contatti con (OMISSIS), le modalita' di consegna del denaro e degli stupefacenti, la cui natura e' chiaramente desumibile dall'elevata entita' del corrispettivo (pagg. 4648 della sentenza di appello; pagg. 98-99 della sentenza di primo grado). Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 e del 30 luglio 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 9.3. Il terzo e il quarto motivo di censura - riferiti alla posizione di (OMISSIS) devono anch'essi essere dichiarati parzialmente fondati. Con riferimento all'incontro del 24 luglio 2016, la Corte territoriale ha evidenziato tanto il particolare contesto in cui questo era maturato quanto lo stabile rapporto che (OMISSIS) aveva allacciato con altri due imputati, cui (OMISSIS) risultava inscindibilmente legato per comunanza di interessi, e cioe' (OMISSIS) e (OMISSIS). Come rilevato nella sentenza impugnata, infatti, dalle indagini e dalle intercettazioni e' emersa la sussistenza di un legame forte fra i tre, che (OMISSIS) indica come soci di uno stesso sodalizio. Piu' precisamente, in occasione del controllo dei carabinieri subito da (OMISSIS) il 24 luglio 2016, dopo l'incontro con (OMISSIS), questi, commentando l'accaduto in auto con (OMISSIS), faceva intendere che fra i tre vi fosse piena interscambiabilita', tanto che i militari procedevano al controllo dell'uno o degli altri a seconda di quando questi fossero presenti sul territorio. Conseguentemente diventa logico desumere, come rilevato dai giudici d'appello, che anche ove l'organizzazione per la transazione di droga con (OMISSIS) fosse intervenuta per la prima volta il 24 luglio 2016, cio' non implica che nelle circostanze precedenti il (OMISSIS) non avesse partecipato alle forniture di narcotico rivestendo altro ruolo. In quel frangente, infatti, gli era stato assegnato il compito di provvedere alla materiale consegna della droga, compito in precedenza svolto, per lo piu', dal (OMISSIS). A fronte di tale ricostruzione, che si pone in linea con quella della sentenza di primo grado, la prospettazione difensiva appare diretta, inammissibilmente, a sminuire il contenuto della richiamata intercettazione. Con riferimento al capo 9, la difesa deduce la mancanza la motivazione quanto agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, mentre non vi sarebbe un'indicazione della prova a supporto, quanto al fatto del 30 luglio 2016. A fronte di una specifica censura proposta con l'atto di appello, la sentenza impugnata contiene una motivazione riferibile in modo specifico alla responsabilita' penale per l'episodio del 30 luglio 2016 (sinteticamente descritto alla pag. 44), dove si specifica che il monitoraggio delle conversazioni della mattina successiva prova che (OMISSIS) era andato a (OMISSIS) dove, grazie all'ausilio di (OMISSIS), che aveva fatto da staffetta, aveva trasportato il narcotico a Collemeto, dove lo aspettava (OMISSIS), mentre (OMISSIS) aveva seguito l'operazione. Tale ricostruzione conferma la ben piu' analitica descrizione dei fatti e del compendio probatorio, rappresentato essenzialmente da intercettazioni, operata dal giudice di primo grado (alle pagine 93 e ss.). Deve invece rilevarsi che gli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, pur essendo oggetto di impugnazione, non vengono analizzati ne' descritti compiutamente dalla Corte d'appello. Ne' puo' supplire sul punto la sentenza di primo grado (pagg. 87 e ss.), la quale si concentra sull'accertamento e la descrizione dell'apporto causale di altri soggetti. Ne deriva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e del 6 agosto 2016, di cui al capo 9 dell'imputazione, con rigetto nel resto del suo ricorso. 10. Il ricorso di (OMISSIS) e' solo parzialmente fondato. 10.1. Il primo motivo di doglianza - sostanzialmente riferito alla partecipazione del ricorrente all'ipotizzata associazione criminale - e' inammissibile. Quanto all'appartenenza dell'imputato a due sodalizi distinti ed operanti su territori distinti, deve rilevarsi che, in linea generale, la struttura dell'associazione per delinquere non e', di per se', incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a piu' sodalizi criminosi: infatti, un soggetto puo' aderire al progetto criminoso di una associazione e, nel medesimo contesto temporale, fare propri anche i propositi criminosi di altro sodalizio. Cio' premesso, la Corte di appello ha ritenuto, sulla base di quanto rilevato anche in ordine a (OMISSIS) e (OMISSIS), che la funzione di (OMISSIS) di fornitore stabile (seppur non in via esclusiva) del gruppo capeggiato dal (OMISSIS) e' elemento che prova il suo inserimento nella compagine associativa, con cui condivideva il fine di profitto ed a cui era legato per stabilita' di ruolo. L'accordo criminoso prevedeva, peraltro, che sua moglie ( (OMISSIS)) percepisse la stessa indennita' di 250,00 Euro settimanali - che diventavano 500,00 solo per la moglie di (OMISSIS) in ragione del ruolo apicale - che prendevano le altre donne, di cui si ha contezza attraverso una conversazione del (OMISSIS) che lo confidava il 12 luglio 2016, e che lo sapeva con certezza poiche' anche la sua fidanzata era stata ammessa al beneficio: tale circostanza e' fortemente sintomatica della comune appartenenza al medesimo centro di interessi, con ruoli diversificati. Stando a quanto dichiarato da (OMISSIS) nel corso di una conversazione captata in ambientale all'interno della sua vettura in occasione di un rifornimento del 24 luglio 2016, era proprio (OMISSIS) che ordinariamente si occupava di organizzare gli incontri con lui e questi si fidava ormai ciecamente della sua persona, perche' gli lasciava spazio di intervento; tanto che, dovendosi incontrare con (OMISSIS), e non con (OMISSIS), egli palesava una leggera preoccupazione per il cambio di correo con cui interfacciarsi, che poteva comportare modifiche nella organizzazione. Pertanto, risulta evidente la continuita' e la frequenza dei rapporti con (OMISSIS) che agiva nella piena consapevolezza che (OMISSIS) fosse un centro di interessi a cui far riferimento nel caso di rifornimento di droga in (OMISSIS). Significativa, sul punto, e' anche l'intercettazione ambientale del 18 luglio 2016, riferita al prezzo praticato. Ne' tale conclusione e' inficiata dal mancato riferimento di (OMISSIS) al gruppo di (OMISSIS), perche' egli ben poteva non essere a conoscenza diretta di tale canale di rifornimento. 10.2. La seconda censura, riferita alla responsabilita' penale per il capo 9) dell'imputazione e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione delle intercettazioni, senza compiutamente evidenziare i profili di manifesta illogicita' dell'interpretazione che i giudici di merito ne hanno fatto. Anche a prescindere da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che, sulla base del compendio istruttorio, la Corte di appello ha evidenziato che l'imputato partecipava ad un incontro, voluto dal (OMISSIS) e finalizzato a parlare della cattiva qualita' dello stupefacente, tenutosi il 12 luglio 2016 presso il ristorante (OMISSIS). Egli era presente, come risulta dal fatto che, subito dopo l'appuntamento, (OMISSIS) aggiornava il sodale (OMISSIS) degli esiti dell'incontro, riferendogli che il (OMISSIS) era molto infuriato per l'arresto di (OMISSIS). E' centrale, sul punto, la conversazione intercettata del 18 luglio 2016, la cui pregnanza e' tale da rendere irrilevanti le considerazioni difensive circa la pretesa estraneita' dell'imputato alle fasi prodromiche e la pretesa assenza dello stesso all'incontro preparatorio del 12 luglio 2016. 10.3. Il terzo motivo - con cui si censura, in particolare, la violazione degli articoli 89, 62-bis c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 132 e 133 c.p., nonche' il connesso vizio di motivazione - e' parzialmente fondato. In ordine all'attenuante del vizio parziale di mente, la Corte di appello correttamente ha fatto applicazione dei principi, per cui la dichiarazione di vizio di mente in un procedimento penale non comporta alcuna conseguenza su procedimenti contestuali o successivi, neppure nel caso in cui i fatti oggetto di procedimento siano da considerarsi temporalmente sovrapponibili. In ogni caso, acquisiti gli esiti dell'accertamento peritale, la Corte d'appello ha ritenuto prevalente l'attenuante del vizio parziale di mente sull'aggravante del numero dei partecipanti all'associazione e ha corrispondentemente diminuito la pena. Invece, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che era stato oggetto di specifico motivo di appello, deve rilevarsi che la sentenza impugnata non da' una motivazione. Quanto, poi, all'aumento di pena per la continuazione, questo era stato in primo grado di un anno di reclusione, laddove si era tenuto conto erroneamente di due reati satellite anziche' di uno solo, ed e' stato di sei mesi in secondo grado, pur essendo diminuita la pena base, e senza che sia stata fornita una motivazione sul punto della sua quantificazione. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente all'omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento per la continuazione; il ricorso deve essere nel resto rigettato. 11. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 11.1. Il primo motivo - con cui si lamenta la violazione della legge penale in ordine alla utilizzabilita' delle intercettazioni poste a fondamento della sentenza impugnata - e' inammissibile, in quanto generico, potendosi richiamare sul punto quanto osservato sub. 8.1. A cio' deve aggiungersi che la Corte di appello, evidenzia correttamente che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato: e' sufficiente che siano stati acquisiti elementi che inducono a ritenere in corso un'attivita' illecita per un reato per il quale il legislatore consente il ricorso a tale strumento di ricerca della prova. Nel caso in esame, era certamente sufficiente il materiale probatorio, gia' acquisito dagli organi inquirenti ed offerto al Gip, per la sussistenza di indizi di reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, e di associazione finalizzata a tale illecita attivita'. 11.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilita', poiche' fondato su dichiarazioni inerenti alle intercettazioni, nonche' il connesso vizio di motivazione - e' inammissibile, in quanto richiede una rivalutazione dell'interpretazione delle conversazioni captate non ammissibile in sede di legittimita'. Puo' comunque rilevarsi che la Corte di appello evidenzia come (OMISSIS) nel corso di una conversazione, ignorando di essere sottoposto a intercettazione, dichiarava di essere creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto credito per le intermediazioni di (OMISSIS). Inoltre, si rileva che il 12 luglio 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) erano giunti presso un'abitazione di (OMISSIS), dove l'avevano incontrato in quanto il predetto ricorrente prelevava droga per venderla per conto del (OMISSIS). Ulteriormente, i giudici di merito evidenziano come il quantitativo di droga, pari a 100 gr di cocaina, che (OMISSIS) aveva fatto ad annotare in corrispondenza del nome dell'imputato, non era compatibile con un uso meramente personale, come anche emergeva dalle conversazioni intercettate il 12 agosto 2016. 11.3. Il terzo motivo - con cui si denuncia la violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile, perche' e' diretto a sovrapporre alla motivazione della sentenza una rivalutazione arbitraria del quadro istruttorio. Come evidenziato dalla Corte d'appello, depongono in senso contrario alla prospettazione difensiva le quantita' acquistate per la successiva vendita e la ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS), che depongono per la elevata frequenza dei contatti: infatti, le indagini provavano che le condotte ascritte agli imputati consistevano in ripetuti prelievi di droga destinati al successivo smercio, inseriti in un contesto criminale capace di gestire rilevanti forniture e movimenti di denaro. 12. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 12.1. La prima doglianza - essenzialmente riferita alla motivazione circa la prova della responsabilita' penale - e' inammissibile. In punto di diritto, occorre fare quanto gia' osservato sub 1.3.1., 1.3.2. circa la valutazione del contenuto di conversazioni intercettate. A fronte di una prospettazione difensiva basata su una mera lettura alternativa del quadro istruttorio, la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, perche' delinea un ampio quadro indiziario dal quale risulta dimostrato che l'imputato, pur evitando di fare esplicito riferimento nelle conversazioni captate alle sostanze stupefacenti, intendesse comunque riferirsi ad attivita' concernenti le medesime. Il ricorrente, infatti, in una telefonata captata il 4.11.2016, rivolgendosi a (OMISSIS), faceva esplicito riferimento all'attivita' di pesatura dello stupefacente, invitando il suo interlocutore al controllo della sua quantita'. In una ulteriore conversazione, captata il 7.11.2016, sempre fra (OMISSIS) e (OMISSIS), si desume chiaramente l'avvenuta cessione da parte del ricorrente al coimputato di ingenti quantita' di stupefacenti, che, come confermato dagli interlocutori, non e' stata ritrovata a seguito di perquisizione domiciliare, solo per il mancato utilizzo da parte dei militari delle unita' cinofile. Ad ulteriore prova dell'esercizio, da parte del ricorrente, di un'attivita' di spaccio professionale, vanno richiamate due conversazioni intercettate il giorno 1.11.2016, ove il (OMISSIS) viene piu' volte sollecitato, dal coimputato (OMISSIS), ad intervenire per rifornire diversi acquirenti che erano in attesa di ricevere stupefacenti. Con specifico riguardo alla contestazione di cui al capo 37), deve richiamarsi il ragionamento operato dalla Corte territoriale, che risulta logicamente argomentato, con il quale si spiega che, sebbene il soggetto che ha concretamente ceduto la sostanza stupefacente al (OMISSIS) nel parcheggio dell'Eurospin di Lecce non sia identificabile nel (OMISSIS), e' provato che si tratti di un soggetto che era in collegamento con quest'ultimo. Ne e' prova il fatto che, lo stesso (OMISSIS), giunto sul luogo dell'appuntamento, contattasse il ricorrente per informarlo del suo arrivo con la richiesta di farlo presente a chi doveva incontrarlo, perche' si recasse quanto prima sul luogo convenuto. Anche in una precedente occasione i fatti si erano svolti nella stessa maniera; precisamente il 10.09.2016, quando (OMISSIS) aveva dato direttive ad un terzo soggetto che si era recato presso il parcheggio di un supermercato, dove aveva incontrato il (OMISSIS). 12.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si censurano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e articolo 133 c.p., nonche' l'illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - e' inammissibile. Nella coerente conforme valutazione dei giudici di primo e secondo grado, risulta pacificamente dimostrato che (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), occupava una posizione sovraordinata rispetto a quella dei suoi originari coimputati, essendo il loro fornitore e dando prova di disporre di maggiori quantitativi di stupefacenti; giustificandosi, pertanto, il differente trattamento sanzionatorio fra i coimputati. Va ribadito inoltre che, in materia di sostanze stupefacenti, e' legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita' qualora la singola cessione di una quantita' modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex plurimis, Cass. Sez.4, n. 40720 del 2017, Rv. 270767; Cass. Sez. 3 n. 6871 del 2016, Rv.269149). Il principio trova applicazione nel caso in esame, in cui le cessioni non risultano isolate ne' aventi ad oggetto modiche quantita' di stupefacenti, ma anzi la Corte territoriale ha delineato un quadro altamente professionale e sistematico delle attivita' di spaccio di ingenti quantita' di stupefacenti poste in essere dall'imputato; pertanto non vi e' alcun elemento positivo dal quale desumere l'applicabilita' dell'ipotesi di lieve entita' prevista dal comma 5 richiamati. Manifestamente infondata risulta, poi, la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, perche' - al contrario di quanto asserito dalla difesa - la motivazione della sentenza riguarda evidentemente sia la pena-base sia gli aumenti per la continuazione, essendo ancorata alla gravita' dei singoli fatti e alla negativa personalita' del soggetto, a fronte di un trattamento sanzionatorio complessivamente modesto. 13. Anche il ricorso proposto da (OMISSIS) - riferito alla mancata riqualificazione del fatto nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Infatti, richiamati principi gia' affermati sub 5.1., non puo' non rilevarsi come la contestazione appaia assolutamente generica, limitandosi, la difesa, a rievocare, senza alcuna ulteriore precisazione, la sentenza con cui asseritamente, per il medesimo capo di imputazione, gli altri correi avrebbero definito la propria posizione processuale con applicazione della pena su concorde richiesta delle parti previa riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, senza indicarne il numero o preoccuparsi di allegarla al ricorso per cassazione. Tuttavia, anche a prescindere dalla totale genericita' del motivo di ricorso de quo, la Corte di appello, con motivazione perfettamente logica, ha chiarito che, in considerazione della gravita' del fatto, deducibile dalla circostanza che il soggetto si e' reso responsabile del trasporto di ben 520 grammi di cocaina, e delle modalita' della condotta che evidenziavano professionalita' e destrezza, non era possibile ravvisare i presupposti per l'applicazione dell'ipotesi minore. 14. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 14.1. Il primo motivo di ricorso - con cui si lamentano la violazione di legge e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato - e' inammissibile. La difesa, infatti, non si confronta con la motivazione fornita nella sentenza impugnata, limitandosi a reiterare censure gia' avanzate in appello e rigettate dalla Corte territoriale. Come rilevato nella sentenza censurata, infatti, gli elementi di prova acquisiti con le indagini preliminari e - in particolare - con le intercettazioni vanno in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dalla difesa. La Corte di appello, infatti, rileva come sia emerso non soltanto che il (OMISSIS) si occupo' del trasporto della droga in alcune circostanze ben individuate, ma che cio' aveva fatto con sistematica regolarita' numerose altre volte, seppur non individuate nella data precisa. Inoltre, che (OMISSIS) potesse contare sul contributo di (OMISSIS) quale corriere che utilizzava un mezzo a due ruote era chiaro anche ai sodali di (OMISSIS), come emerso dall'intercettazione di una conversazione intercorsa il 18 luglio 2016. In tale quadro, del tutto prive di riscontro e, comunque, irrilevanti risultano le affermazioni difensive secondo cui l'imputato non conosceva (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La ricostruzione della sentenza d'appello trova, del resto, ampia conferma in quella di primo grado (pagg. 238-239), con la quale si salda sul piano logico. 14.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla responsabilita' penale per i capi 1) e 9) della rubrica e alla mancata riqualificazione della contestazione mossa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4 - e' parimenti inammissibile. Anche in questo caso, la difesa si limita a reiterare censure apodittiche volte ad ottenere una rivalutazione dei fatti preclusa allo scrutinio di questa Corte. La Corte d'appello, del resto, ha correttamente rilevato come, diversamente da quanto ipotizzato dalla difesa, (OMISSIS) fosse coinvolto nella transazione di droga, essendogli stato affidato il solito compito di trasportarla con la sua moto. L'attivita' di trasporto era, del resto, svolta regolarmente (pagg. 71 e 72 della sentenza impugnata). Quanto alla tipologia di droga trasportata, deve rilevarsi come la censura difensiva, peraltro limitata al capo 1) dell'imputazione, attinge un profilo - quello della configurabilita' del solo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, - che non era stato specificamente sottoposto alla Corte d'appello. 14.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si denunciano la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione nonche' l'entita' degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p. - e' inammissibile. La Corte d'appello infatti, nell'accogliere il motivo di impugnazione sull'aggravante del carattere armato dell'associazione, ha gia' ricalibrato il trattamento sanzionatorio, riconoscendo alle circostanze attenuanti generiche la prevalenza sulla residua aggravante (relativa al numero di persone che forma l'associazione) e modulando di conseguenza la diminuzione della pena. Quanto agli aumenti per la continuazione, i giudici d'appello hanno logicamente affermato che, alla luce della gravita' dei reati commessi, in considerazione delle quantita' di narcotico trasportate, gli stessi non potevano essere ridotti. 15. Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. 15.1. La prima doglianza - con la quale si censurano la ritenuta responsabilita' per il reato associativo e la configurabilita' dell'aggravante del numero degli associati maggiore di dieci unita' - e' inammissibile. La censura relativa alla mancata configurazione della fattispecie associativa deve considerarsi formulata in modo non specifico e, comunque, meramente ripetitiva di una doglianza puntualmente smentita dalla Corte di appello di Lecce, che con motivazione logicamente argomentata ha sottolineato come l'imputato garantisse le fonti di approvvigionamento di cocaina provenienti da spacciatori residenti presso il territorio di (OMISSIS); circostanza ampiamente dimostrata dallo stesso (OMISSIS) nella conversazione telefonica captata del 06/10/2016, ove questi raccomanda a un sodale di non tardare nel pagamento degli stupefacenti per non creargli problemi con il gruppo dei fornitori di (OMISSIS). Inoltre, a differenza di quanto dedotto con il ricorso, numerosi sono gli elementi che consentono di ritenere certo che l'imputato avesse piena consapevolezza di agire in un contesto associativo. E gli conosceva perfettamente la provenienza dello stupefacente acquistato per il tramite di (OMISSIS) e l'identita' dei suoi fornitori, era pienamente consapevole della procedura seguita da (OMISSIS) per far pervenire la droga presso di lui e sapeva dell'esistenza di altri soggetti, in numero certamente superiore a dieci, legati dal medesimo interesse illecito e dei ruoli loro assegnati. Il ricorrente prendeva parte alle scelte riguardanti il sodalizio, e cio' risulta dimostrato - tra l'altro dall'intercettazione ambientale del 18.07.2016, ove rassicurava un suo sodale in merito alla possibilita' di fornirgli una nuova utenza ed un nuovo telefono cellulare con tutti i contatti rilevanti, per continuare la comune attivita' di spaccio. 15.2. Il secondo motivo di ricorso - con il quale si lamentano l'assenza e la contraddittorieta' della motivazione in ordine all'aggravante della presenza di armi in favore dell'associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 - e' inammissibile per genericita'. La difesa spende mere affermazioni, che non sono in grado di contrastare il dato, pacifico secondo i giudici di primo e secondo grado, rappresentato dal fatto che l'arma era detenuta proprio dall'imputato, il quale svolgeva la sua attivita' nell'ambito dell'associazione di cui sopra. 15.3. La terza censura - con la quale si denuncia la violazione di legge con riferimento alla supposta inutilizzabilita' di tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite nel corso del procedimento - e' inammissibile. In punto di diritto deve ricordarsi che, in materia di intercettazioni, cosi' come i decreti, con i quali il Giudice per le indagini preliminari autorizza l'effettuazione di intercettazioni di comunicazioni telefoniche o ambientali, debbono contenere adeguata motivazione, allo stesso modo, il motivo con il quale l'imputato - ovvero il suo difensore - censuri la mancata trasmissione di tali decreti o di quelli di proroga deve essere accompagnato dall'indicazione delle attivita' processuali che si assumono viziate ovvero degli atti inerenti a tali attivita'. In tal senso, in sede di impugnazione, deve considerarsi generica la semplice deduzione di inutilizzabilita' di intercettazioni per mancanza dei relativi decreti autorizzativi, senza specificare a quali decreti ci si riferisca, siano essi di autorizzazione, di proroga o di convalida. In tal modo, si impedisce al giudice, chiamato ad esaminare la censura, di prendere compiuta conoscenza della stessa e di verificare - di conseguenza - il rispetto delle norme dettate in materia (ex plurimis, Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 24/04/2018, Rv. 273007; Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Rv. 265535; Sez. 1, n. 25577 del 09/05/2003, Rv. 225005; Sez. 5, n. 13791 del 27/02/2002, Rv. 221182; Sez. 5, n. 133 del 13/01/2000, Rv. 215491). Nel caso di specie, il ricorrente si limita a contestare, in via del tutto generica, il vizio di motivazione dei decreti di autorizzazione e proroga delle operazioni di intercettazione ambientali e telefoniche, nonche' l'assenza delle condizioni legittimanti di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, senza provvedere, pero', a soddisfare il requisito della specificita' dei riferimenti a tali decreti mediante il richiamo o l'allegazione dei medesimi, precludendo, cosi', qualsiasi possibilita' di effettuare un esame piu' approfondito. Cio' posto, si rileva che comunque gia' la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione sul punto, chiarendo che il presupposto legittimante le intercettazioni e' la sussistenza di indizi di reato. 15.4. La quarta doglianza - con la quale si lamenta la violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena - e' inammissibile. La doglianza e' assolutamente generica, essendo priva di riferimenti ai dati istruttori, che vengono arbitrariamente sminuiti come se le risultanze delle intercettazioni costituissero una prova di minore efficacia. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., da intendersi come richiamate. 16. Il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. La difesa si limita a generiche asserzioni che non tengono conto della motivazione della sentenza impugnata, da cui emergono: la prova del reato contestato (capo 16), la valutazione della gravita' dello stesso, la tipologia dello stupefacente in relazione al prezzo, la personalita' dell'imputato, anche con riferimento alla sua situazione economica. In particolare, non viene contrastata l'affermazione confessoria resa dallo stesso soggetto (riportata alle pagg. 82-83 della sentenza). 17. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato. 17.1 Il primo motivo di doglianza e' inammissibile. In proposito valgono le considerazioni gia' effettuate per la posizione di (OMISSIS) al punto 8.1. 17.2. Il secondo motivo di ricorso - riferito alla ritenuta sussistenza della fattispecie associativa e alla responsabilita' apicale dell'imputato nel suo ambito e' inammissibile, perche' diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi gia' adeguatamente presi in considerazione dai giudici di merito. Essi, infatti, hanno piu' volte evidenziato l'ampio riscontro probatorio, emerso dalle indagini e in particolare dalle intercettazioni, all'ipotesi accusatoria secondo cui il (OMISSIS) era al vertice dell'associazione dedita al traffico di droga nel basso Salento. Quest'ultimo, infatti, era colui che teneva i contatti con i fornitori baresi, con i fornitori brindisini e con i distributori della zona. Il ricorrente, inoltre, dava indicazioni ed impartiva ordini sulle operazioni da compiere, assoldava nuovi adepti e teneva la contabilita'. Infine, si era procurato il possesso di un'arma da utilizzare per il recupero dei crediti nei confronti di acquirenti poco puntuali nei pagamenti o, comunque, morosi ed era il soggetto sul quale gravava il "rischio di impresa", in caso di ritardi nei pagamenti dei suoi pusher, dovendo tenere i rapporti economici con i fornitori. Del resto, egli e' coinvolto in tutte le intercettazioni piu' rilevanti e costantemente indicato quale referente dai coimputati, avendo conversazioni concernenti tutti i profili relativi all'organizzazione del gruppo, ivi compresa la contabilita', e ai reati scopo. Ne' l'assoluzione di alcuni coimputati dal reato associativo puo' coinvolgere la sua posizione, trattandosi di soggetti che avevano evidentemente svolto ruoli minori, che si ponevano al margine dell'attivita' criminale. Ed e' qui superfluo ripercorre gli analitici riferimenti delle sentenze di primo e secondo grado ai molteplici e convergenti elementi di prova a carico, in mancanza di puntuali censure difensive in proposito. 17.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta il mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, - deve essere parimenti dichiarato inammissibile. Invero, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, che non sottopone a critica specifici passaggi motivazionali, la Corte d'appello e il giudice di primo grado hanno piu' volte evidenziato l'ingente quantitativo delle sostanze oggetto dell'attivita' di spaccio, oltre all'entita' dei corrispettivi e alla consistenza numerica e organizzativa del gruppo. 17.4. Il quarto motivo di ricorso - sostanzialmente riferito alle circostanze aggravanti del numero degli associati e della disponibilita' dell'arma - e' infondato. Come ben evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, il computo del numero degli associati deve essere fatto tenendo conto dello stabile apporto al sodalizio da parte dei gruppi di fornitori e, nell'ambito di una relazione caratterizzata da stabilita' nel tempo e da sostanziale comunanza di interessi; elementi che emergono con chiarezza dal quadro istruttorio. Quanto all'arma, essa era utilizzata dal capo dell'associazione per il recupero dei crediti nei confronti di soggetti poco puntuali nei pagamenti, nell'evidente interesse dell'associazione stessa. Dalla stessa prospettazione difensiva emerge che l'arma alla quale l'imputazione si riferisce corrisponde ad un modello effettivamente esistente, mentre le affermazioni del ricorrente riferite alla necessita' espressa a un interlocutore di procurarsi una pistola non appaiono logicamente preclusive dell'accettata detenzione di tale arma, ben potendosi riferire ad una dotazione ulteriore. Quanto poi alla mancata conoscenza della detenzione e dell'uso dell'arma da parte di alcuni coimputati, la stessa e' stata tenuta in considerazione con riferimento alle posizioni di questi, per le quali e' stata esclusa soggettivamente la configurabilita' dell'aggravante del reato associativo. 17.5. Il quinto motivo di ricorso e' infondato. Esso e' riferito all'acquisto di g 400 eroina di cui al capo 1) dell'imputazione, sul rilievo della pretesa mancanza di prova di un effettivo accordo tra venditore e acquirente, i quali si sarebbero accordati solo su sostanze stupefacenti di altro tipo. La motivazione sul punto puo' essere rinvenuta, secondo il principio della reciproca integrazione fra la sentenza di secondo grado e quella di primo grado, alla pag. 44 di quest'ultima, dove e' riportata una conversazione univocamente riferibile a tale acquisto; mentre la prova dell'effettiva verificazione della cessione dell'eroina risulta dalla locuzione "la moto e' tornata", evidentemente riferito alla consegna, la cui interpretazione, in quanto non manifestamente illogica, e' insindacabile in sede di legittimita', anche sotto il profilo del travisamento della prova. 17.6. Il sesto motivo - con cui si lamentano la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e la mancanza ed illogicita' della motivazione in relazione al capo 11) dell'imputazione - e' infondato. Deve farsi riferimento, oltre che alla pag. 37 della sentenza di appello, anche alla motivazione della sentenza di primo grado (pagg. 115 116), la quale legittimamente interpreta una conversazione - riportata anche alla pag. 34 del ricorso - come idonea a dimostrare l'avvenuta cessione di 250 g di cocaina e 22 g di hashish, visto il suo esplicito richiamo ai quantitativi. 17.7. Il settimo motivo di ricorso - relativo all'entita' degli aumenti di pena per la continuazione - e' inammissibile. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte d'appello ha motivato sugli aumenti per la continuazione, laddove ha evidenziato che essi non sono suscettibili di riduzione, poiche' gia' contenuti dal giudice di primo grado in misura esigua rispetto alla notevole gravita' dei fatti riconosciuti, apparendo semmai sproporzionati per difetto ed essendo comunque determinati in modo differenziato per ciascun reato. 18. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' inammissibile. 18.1. Il primo motivo - con cui si censura l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a fondamento della declaratoria di responsabilita' penale - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 15.3., in relazione ad una censura analoga. 18.2. La seconda doglianza - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in considerazione della mancata integrazione della relativa fattispecie incriminatrice (per il capo 19) - e' parimenti inammissibile. Nel reiterare censure che attengono sostanzialmente al merito, il ricorrente non considera che il giudice di secondo grado ha dato conto dei numerosi elementi emersi nel corso delle indagini, tra cui assume rilievo una conversazione ambientale intercorsa nel pomeriggio del 16 luglio 2016, all'interno dell'autovettura monitorata, fra (OMISSIS) e la fidanzata (OMISSIS): essa prova come questi fosse creditore della somma di Euro 15.000,00 da parte di un soggetto che aveva avuto tale prestito grazie all'intermediazione del (OMISSIS) ma che alla fine era risultato debitore tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS); in quella circostanza il (OMISSIS) ipotizzava di poter fare ricorso all'intermediazione tanto del (OMISSIS) quanto del (OMISSIS), che riteneva corresponsabili per il recupero della somma stessa, in quanto l'ignoto debitore aveva potuto accumulare debiti anche nei loro confronti, dato che questi avevano concorso nell'attivita' di vendita dello stupefacente. Dunque, in maniera perfettamente logica, si e' ritenuto che non vi fosse motivo di dubitare della veridicita' delle propalazioni di (OMISSIS) che, parlando liberamente e ignorando di essere sottoposto ad intercettazione, non aveva motivo di dire cose non vere. In tal senso, correttamente, si e' ritenuto estremamente rilevante - soprattutto in considerazione della quantita' e dei prezzi incompatibili con un uso meramente personale - anche quanto emergeva dalle conversazioni intercettate sempre all'interno della vettura del (OMISSIS) il 12 agosto 2016 allorquando era stato concordato un incontro con (OMISSIS) di cui era a conoscenza anche (OMISSIS): alle 14:39 a bordo dell'autovettura del (OMISSIS) questi faceva riferimento alla promessa del (OMISSIS) di consegnare la somma di Euro 3.000,00, relativa a pregresse forniture di stupefacente; il (OMISSIS), proprio nel consegnare al (OMISSIS) Euro 1.300,00, spiegava che quella era la somma nella sua disponibilita', aggiungendo che aveva provato a chiamare (OMISSIS) per recuperare l'ulteriore somma mancante senza riuscirvi; il (OMISSIS) quindi faceva il resoconto del debito, da cui emergeva l'originaria fornitura di Euro 4.800,00, per la quale avevano gia' corrisposto Euro 1.800,00, oltre ad un'ulteriore somma di Euro 600,00 per l'ultima fornitura; (OMISSIS), dal canto suo, ribadiva che il debito, considerando l'ultima cessione di 150 grammi di stupefacente, ammontava ad Euro 3.600,00. Da quanto precede la Corte ha tratto logicamente la conclusione che la prova dei fatti ascritti all'imputato fosse effettivamente costituita da intercettazioni ambientali, le quali, per la chiarezza dei dialoghi e la specificita' dei contenuti, con precise indicazioni in ordine alla tipologia di doga trattata - bianca o fumo - e di conteggi relativi alle forniture effettuate dal (OMISSIS) in suo favore, non necessitavano di ulteriori riscontri esterni. 18.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, nella misura in cui non ha trovato applicazione la richiamata fattispecie minore - e' parimenti inammissibile. Sul punto, nella motivazione dell'impugnato provvedimento, si legge che l'inapplicabilita' dell'ipotesi meno grave e' diretta conseguenza dalle quantita' acquistate per la successiva vendita, la cui attribuzione non puo' essere effettuata in misura pari alla meta' per ciascuno in ragione della riconosciuta ipotesi concorsuale, e della ripetitivita' delle condotte, testimoniata dai conteggi effettuati dal (OMISSIS) che depongono per l'elevata frequenza dei contatti. In particolare, e' stato evidenziato come le indagini provassero che le condotte ascritte all'imputato si sono realizzate in un arco temporale di quasi tre mesi, cosi' da escludere che potesse trattarsi di un unico reato, e sono consistite in ripetuti prelievi di droga destinata al successivo smercio. Conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, proprio tale ripetitivita' di condotte poste alla base del riconosciuto vincolo della continuazione induce a valutare in modo non atomistico mezzi, modalita' e circostanze di commissione dei singoli reati ai fini del riconoscimento della lieve entita' del fatto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, comma 5, e consente di valorizzare le peculiarita' delle singole condotte, la comunanza di elementi significativi e le loro eventuali reciproche correlazioni, al fine di ricostruire una cornice complessiva in concreto idonea ad escludere un giudizio di lieve entita' rispetto ai fatti contestati (ex multis, Sez. 3, n. 13115 del 06/05/2020, Rv. 279657; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 278615; Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076). 19. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili. 19.1. Il primo e il secondo motivo sono inammissibili; si richiama sul punto quanto rilevato sub 8.1. 19.2. Il terzo motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, con riferimento alla posizione processuale di (OMISSIS), della connivenza non punibile - e' inammissibile. La distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex articolo 110 c.p., e' invece richiesto un consapevole contributo che puo' manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Rv. 280244; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Rv. 264454). Nel caso di specie - praticamente a quanto asserito dalla difesa - la Corte d'appello delinea logicamente le ragioni per cui non e' ravvisabile tale condotta meramente connivente: (OMISSIS) svolgeva una partecipazione attiva, essendo stato incaricato da (OMISSIS) di andare dal (OMISSIS) a fare le sue veci. Ulteriormente, all'appuntamento presso i fornitori di (OMISSIS), svoltosi in data 10 ottobre 2016, era proprio il predetto ricorrente a recarsi unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' riscontrandosi ancora la sua compartecipazione al reato, espressione di una consonanza di interessi, come emerge anche da conversazioni intercettate (pag. 97 della sentenza). 19.3. Il quarto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla posizione processuale di (OMISSIS) - e' inammissibile. La Corte di appello dettagliatamente evidenzia il ruolo svolto da (OMISSIS), che unitamente a (OMISSIS), acquistava sostanza stupefacente dai fornitori di (OMISSIS), per il tramite di (OMISSIS): infatti, (OMISSIS), non condividendo la scelta di cambiare accordi gia' presi, chiedeva di incontrare personalmente i fornitori. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, egli non era un mero intermediario, essendo coinvolto nel proprio interesse nei negozi illeciti. 19.4. Il quinto motivo - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche - e' inammissibile. La Corte di appello ha evidenziato che non e' emerso alcun elemento positivo che legittimi tale riconoscimento; ne' la difesa ne prospetta la sussistenza con il ricorso per cassazione, al di la' di un generico riferimento ad una non meglio precisata volonta' di definire il processo. Inoltre, la condotta di entrambi gli imputati appare connotata da rilevante gravita' alla luce dei quantitativi di droga movimentati e le risultanze del certificato del casellario esaltano una personalita' negativa, specialmente per (OMISSIS), gravato da piu' condanne, due delle quali per lo stesso titolo di reato, ma anche per (OMISSIS) che e' stato condannato per un reato in materia di sostanze stupefacenti, seppure nel 1994. 20. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato. 20.1. Il primo motivo - con cui si denunciano la violazione dell'articolo 192 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, nonche' il connesso vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio contestato al capo A) di imputazione - e' inammissibile. La Corte di appello evidenzia che gli esiti delle indagini provano che il ricorrente, a prescindere da chi avesse materialmente procurato le schede telefoniche, concorreva con (OMISSIS) alla loro detenzione e alla loro distribuzione, che erano attivita' fortemente sintomatiche dell'esistenza del sodalizio e del ruolo ricoperto da (OMISSIS). Inoltre, la partecipazione del ricorrente alla compagine associativa e' provata dalla stabile dedizione al traffico unitamente al (OMISSIS), secondo quanto ammesso da quest'ultimo nel corso di una conversazione intercettata. Pur dovendosi ribadire l'esclusione di qualsivoglia ruolo dirigenziale, l'imputato era pienamente inserito nel sodalizio, coadiuvando (OMISSIS) tanto nell'organizzazione del gruppo (distribuendo ai solidali e ai pusher schede telefoniche dedicate ed occupandosi dello spaccio con consegna di droga), quanto nella condivisione degli acquisti da Brindisi, mentre egli non si occupava dei rapporti con il gruppo barese e non aveva diretta conoscenza del carattere armato dell'associazione. 20.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione di legge nonche' il vizio di motivazione, con riferimento ai capi 1), 2), 3), 4) e 6) di imputazione sia in ordine alla valutazione della prova, sia in ordine alla mancata riqualificazione delle contestazioni mosse al capo 2) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, e ai capi 3), 4) e 6) della rubrica nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' infondato. La Corte d'appello, in ordine ai reati fine, ha motivato puntualmente, evidenziando la responsabilita' dell'imputato per tutti gli episodi delittuosi di cui ai capi 1), 2), 3) 4) e 6) dell'imputazione. Le quantita' di droga smerciate ed espressamente indicate nei capi 1) e 2) escludono di ritenere il fatto di lieve entita': le partite ordinate al (OMISSIS) e quelle ricevute insieme con (OMISSIS) per la successiva vendita sono pari ad almeno mezzo chilo, per cui sono evidentemente incompatibili con il concetto di lieve entita'. Quanto al capo 2), l'esame della configurabilita' della fattispecie del richiamato articolo 73, comma 4, richiesto dalla difesa con il ricorso per cassazione, sarebbe precluso dalla circostanza che una tale censura non era stata proposta in appello; e cio', a prescindere dal fatto che tale fattispecie e' quella gia' emerge dalla formulazione dell'imputazione, riferita ad hashish, per la quale e' effettivamente intervenuta condanna. Al capo 3 della rubrica, si addebita all'imputato di avere ceduto eroina a (OMISSIS). Un messaggio intercettato il 25 maggio 2016 faceva riferimento ad un acquirente di stupefacente, debitore di Euro 600,00 per pregresse forniture, che aveva bisogno di un quantitativo pari a 20 e che aveva proposto un rapporto commerciale costante ("20 ogni due giorni"), facendo anche riferimento al costo: (OMISSIS) dava conferma a tale accordo, incontrandosi e poi informando anche (OMISSIS). E non si puo' ritenere configurabile la fattispecie minore prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, trattandosi di piu' cessioni, che sono manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condona essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (ex multis, Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, dep. 12/01/2022, Rv. 282704; Sez. 3, n. 14017 del 20/02/2018, Rv. 272706). Le medesime considerazioni valgono per il capo 4), che concerne la reiterata consegna di sostanza del tipo eroina a (OMISSIS) in quantitativi da 10 a 40 grammi: secondo quanto dichiarato dallo stesso (OMISSIS), gli acquisti avvenivano ogni tre giorni per un corrispettivo in denaro di Euro 200,00 o 400,00, per quantitativi pari a 10 o 20 grammi. D'altro canto, le indagini effettuate dagli operanti consentivano di evidenziare diversi incontri tra i due (almeno cinque) e, considerato che in almeno una circostanza la quantita' di droga era pari a 40 g, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che il fatto - inserito in una rete di spaccio ampia e organizzata - non possa essere ritenuto di lieve entita'. Il reato di cui al capo 6) riguarda la cessione di droga a (OMISSIS), che poi la destinava a terzi in almeno 11 occasioni, in una delle quali il quantitativo era pari a 20 grammi e nelle altre era imprecisato. La reiterazione delle consegne e, dunque, del reato esclude di ritenere il fatto di lieve entita', sulla base delle osservazioni gia' svolte. Ne' puo' essere presa in considerazione in senso contrario la circostanza che (OMISSIS) sia stato destinatario di una riqualificazione dei fatti nell'ipotesi di minore gravita', perche' quelli addebitati a quest'ultimo sono solo due ed egli ha un ruolo complessivamente piu' marginale. 20.3. La terza doglianza - con cui si lamenta la violazione di legge, nonche' il vizio di motivazione, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. nella loro massima estensione, nonche' in relazione alla necessaria riduzione degli aumenti combinati ai sensi dell'articolo 81 c.p. e della corretta qualificazione giuridica delle contestazioni mosse ai capi 2), 3), 4) e 6) dell'imputazione nei termini di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 5, - e' inammissibile, in quanto attinente al merito della valutazione della Corte d'appello. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, deve rilevarsi che le stesse sono gia' state riconosciute con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, tenuto conto della gravita' dei fatti e della personalita' del reo. Quanto agli aumenti per la continuazione, gli stessi appaiono assai contenuti gia' nella sentenza di primo grado; mentre la riqualificazione dei fatti richiesta dalla difesa deve essere esclusa, in forza di quanto osservato sub 20.2. 21. I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono entrambi inammissibili. 21.1. Il primo ricorso, a firma dell'avv. (OMISSIS), e' inammissibile. 21.1.1. La prima censura - con cui si lamenta l'applicazione della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in luogo del concorso di persone nel reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 - e' inammissibile perche' diretta ad ottenere una rivalutazione di elementi presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 1.1. e ss., e 2.1. da intendersi come richiamate. Preliminarmente occorre rilevare che, per giurisprudenza di legittimita' consolidata, integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilita' a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitori e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volonta' di far parte dell'associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (ex plurimis, Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, Rv. 279249; Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013, Rv. 257798; Sez. 2, n. 6261 del 23/01/2013, Rv. 254498). Perfettamente in linea con il richiamato principio di diritto, la Corte rende conto di come le indagini abbiano consegnato un quadro chiaro dei rapporti fra il (OMISSIS), il suo gruppo e (OMISSIS) affiancato, nella sua attivita', da (OMISSIS), con il quale, peraltro, esisteva anche un rapporto affettivo, tanto da essere conosciuti nell'ambiente come "padre" e "figlio". Cio' che e' emerso in modo inconfutabile sono la continuita' e la frequenza dei contatti legati ai traffici di droga: le conversazioni captate, infatti, disvelano come siano stati ripetuti i viaggi fino a Brindisi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per chiudere trattative relative all'acquisto di forniture di droga, del tipo leggera ma anche di cocaina. Particolare importanza, sul punto, hanno rivestito le conversazioni del 19 luglio 2016, nel corso delle quali (OMISSIS), dopo avere riferito ad un suo interlocutore che il duo (OMISSIS) - (OMISSIS) organizzava viaggi con gli scafi fino all'Albania, con impressionante regolarita' ed in forma massiccia, per prelevare droga leggera, parte della quale era destinata a loro, come concordato con lo (OMISSIS), passava agli accordi per le forniture con lo stesso (OMISSIS). Emergeva chiaramente come i due fossero in costante rapporto per gli approvvigionamenti anche attraverso lo (OMISSIS) e come il (OMISSIS) poteva fare stabile riferimento nel (OMISSIS) e, per suo tramite, anche al (OMISSIS) per forniture di ogni tipo di droga. Peraltro, si e' anche chiarito come non rispondesse al vero quanto addotto dalla difesa secondo cui gli accordi venivano presi con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) era confinato ad un mero ruolo marginale, quasi di semplice spettatore dei traffici del "figlio"; interpretando correttamente i dialoghi, la Corte di merito ha appurato che, al contrario, gli affari procedevano sempre con il ricorrente che ne era il dominus, tanto che nei casi in cui la trattativa aveva avuto inizio con il (OMISSIS) egli veniva posto al corrente dei termini e delle condizioni. Proprio l'essere identificato quale stabile fornitore per il gruppo, che faceva riferimento alla sua perenne disponibilita', nella piena consapevolezza di agire in un contesto associativo in cui si perseguiva l'identico interesse economico corrispondente alla vendita di droga e' stato correttamente ritenuto, dal giudice di secondo grado, presupposto necessario e sufficiente per qualificare il (OMISSIS) come parte integrante del sodalizio criminoso. 21.1.2. La seconda censura - riferita alla penale responsabilita' del ricorrente per il capo 1) di imputazione - e' parimenti inammissibile. Nell'impugnato provvedimento, infatti - in risposta alle doglianze formulate con l'atto d'appello e pedissequamente riproposte con il ricorso per cassazione, il cui unico fine e' quello di proporre un'alternativa ricostruzione dei fatti insindacabile in questa sede, come gia' chiarito sub 2.1. - si delineano gli specifici episodi di cui le conversazioni intercettate forniscono prova inconfutabile: in un'occasione (OMISSIS) procedeva alla consegna di Euro 10.000,00 a favore del fornitore con il quale si innescava una trattativa riguardante una nuova fornitura di stupefacente alla quale avrebbe partecipato anche (OMISSIS); ripetuti, infatti, erano i riferimenti a quest'ultimo e al fatto che la trattativa che lo vedeva coinvolto riguardava la fornitura di stupefacente di ogni tipo; (OMISSIS), a tal fine, dapprima contrattava l'acquisto di marijuana che il fornitore era pronto a consegnare in un quantitativo pari a un chilogrammo e mezzo, accettando la proposta e facendo riferimento ad un terzo soggetto indicato quale figlio del fornitore, nonche' a (OMISSIS) con cui doveva concordare l'acquisto. Chiari erano i riferimenti a forniture pregresse, alla qualita' della droga acquistata prima, ad un prezzo praticato per quella precedente e per quella in corso di acquisto; la confidenza fra i due era tale che (OMISSIS), avanzando un'ulteriore richiesta di mezzo chilogrammo di eroina, indicata come "nera", che era intenzionato ad acquistare sempre insieme a (OMISSIS), chiedeva a (OMISSIS) di mettere da parte quella appena concordata cosi' da prelevarla unitamente alla "nera": l'intento era evidentemente quello di ammortizzare i costi del trasporto effettuandone uno soltanto. Nel proseguo (OMISSIS) faceva un'ulteriore richiesta di una fornitura di hashish e la conversazione si concludeva con un accordo preciso concernente la fornitura di tre chilogrammi di hashish e tre chilogrammi e mezzo di marijuana, con riserva di comunicare l'eventuale acquisto di un pacco di eroina dal peso di circa 400 grammi; poi effettivamente acquistato. E' stato ritenuto evidente quindi, come gia' ampiamente illustrato con riferimento al motivo che precede, che (OMISSIS) fosse un punto di riferimento stabile e fisso per il rifornimento di ogni tipo di droga e che, in molte occasioni, era sostituito dal figlio (OMISSIS), alle sue dirette dipendenze, tanto che il (OMISSIS) riferiva a lui dell'eventuale insoddisfazione per la droga acquistata con il tramite dell'altro. Le intercettazioni hanno documentato che il 27 luglio 2016 (OMISSIS) consegnava a (OMISSIS), previ accordi anche con (OMISSIS), tre chilogrammi di hashish, tre chilogrammi e mezzo di marijuana e 400 grammi di eroina che (OMISSIS) trasportava da Brindisi a bordo di una moto, secondo gli accordi presi due giorni prima, e che nei giorni 8, 10 e 27 ottobre 2016 (OMISSIS) e (OMISSIS) si portavano in Brindisi per il pagamento diluito nel tempo del debito contratto per quella consistente cessione. Il giudice di secondo grado ha anche chiarito come non colga nel segno la difesa nella parte in cui contesta l'assenza di prova con riferimento sia alla consegna di droga, il cui acquisto era stato concordato il 19 luglio 2016, sia all'identita' del soggetto che vi provvide: la prova della consegna della droga puo' dedursi dalla congiunta lettura di diverse circostanze, tra cui il fatto che, nel corso della trattativa, il (OMISSIS) aveva dichiarato al (OMISSIS) che al trasporto avrebbe provveduto attraverso l'utilizzo di una moto; il 20 luglio 2016 si documentavano scambi di appuntamenti fra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), colui che si occupava proprio del trasporto a mezzo del suo motociclo; il 21 luglio 2016 (OMISSIS) informava il (OMISSIS) che la moto era tornata, facendo chiaro riferimento ad un viaggio compiuto da tale mezzo di trasporto. D'altro canto, le conversazioni dei mesi successivi provano che piu' volte (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano recati a Brindisi per saldare un debito diluito nel tempo, che nessun'altra origine poteva avere se non tale fornitura, ne' vale ad escludere il ruolo del (OMISSIS) il non avere accertato il fatto se alla materiale consegna della droga provvide egli stesso o il (OMISSIS). A fronte di tale quadro probatorio, del tutto logicamente la Corte ha ritenuto che nessuna rilevanza assuma la circostanza, addotta dalla difesa, secondo cui il (OMISSIS) non avrebbe mai fatto dichiarazioni relative alla posizione del (OMISSIS), posto che questi non era affatto addetto ai rapporti con i fornitori, sicche' era normale che nulla sapesse sulla loro identita'. 21.1.3. Il terzo motivo - con cui si censura la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' inammissibile. La Corte, con motivazione perfettamente adeguata, ha dato conto del mancato concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo leva sull'assenza di profili positivamente valutabili, stante il fatto che l'imputato non ha mai assunto una condotta resipiscente e collaborativa, per converso valorizzando la sussistenza di elementi negativi rappresentati dai numerosissimi precedenti per reati contro il patrimonio, ma anche per associazione mafiosa, evasione, falso e violazione delle leggi doganali, nonche' dalla gravita' della condotta desumibile dai quantitativi di droga ceduti al (OMISSIS). Irrilevante, inoltre, risulta la censura in ordine alla documentazione medica asseritamente depositata all'udienza del 13 luglio 2021, relativa alle condizioni psico-fisiche del ricorrente, della quale, come indicato da quest'ultimo, non risulterebbe un formale provvedimento di acquisizione nel verbale, non potendo ritenersi la stessa sostanzialmente avvenuta semplicemente perche' non restituita alla difesa o in considerazione del generico riferimento al deposito di documentazione, senza alcuna specificazione del suo contenuto, al foglio 16 della gravata sentenza. Si tratta, del resto, di documentazione che la difesa afferma di avere depositato dopo la chiusura della discussione, all'udienza del 13 luglio 2021; con la conseguenza che la Corte d'appello non aveva comunque l'onere di prendere in considerazione. 21.2. Il secondo ricorso, riportante la firma dell'avv. (OMISSIS), e' parimenti inammissibile. 21.2.1. La prima censura - con cui si lamenta il vizio di motivazione in ordine sia alla configurazione della condotta materiale che dell'elemento soggettivo con riferimento alla condanna per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.1. da intendersi come richiamate. 21.2.2. Il secondo motivo - con cui si lamenta la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 530 c.p.p., comma 2, oltre al vizio di motivazione nella parte in cui sarebbero stati violati i criteri e i principi concernenti la valutazione della prova per l'affermazione della responsabilita' penale con specifico riferimento ai fatti di cui al capo 1) dell'imputazione - e' inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.2. da intendersi come richiamate. 21.2.3. La terza doglianza - con cui ci si duole della violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, e del conseguente vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la qualificazione giuridica del capo 1) nell'ipotesi lieve di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, - e' inammissibile. Preliminarmente e' necessario rilevare come manchi nell'atto di appello la specifica contestazione de qua, che risulta proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione; conseguentemente, non puo' non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in sede di legittimita', mancando qualsiasi onere di motivazione in capo al giudice di secondo grado in assenza di una specifica doglianza. Invero, in linea generale, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proponibilita' per la prima volta in sede di legittimita' di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a profili richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello, sia pur collegati, come e' ovvio, all'inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all'essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). E cio', a prescindere dal fatto che la censura risulta comunque inammissibile, perche' diretta ad ottenere una rivalutazione del compendio istruttorio, a fronte di fatti la cui significativa gravita' e' stata ampiamente descritta nelle sentenze di primo e secondo grado. 21.2.4. La quarta censura - con cui si contesta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. - e' parimenti inammissibile. Valgono sul punto le considerazioni gia' svolte sub 21.1.3. da intendersi come richiamate. 22. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce: con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016, di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati nel resto. Devono essere rigettati i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi restanti. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 6 agosto 2016 di cui al capo 9 di imputazione; con riferimento a (OMISSIS), limitatamente agli episodi del 12 luglio e 30 luglio 2016, di cui al capo 9 di imputazione; e nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa statuizione sulle circostanze attenuanti generiche e all'aumento di pena per la continuazione, e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi dei restanti ricorrenti, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI Enrico V. S. - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/05/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROSARIA GIORDANO; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. GARGIULIO RAFFAELE, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano rideterminava la pena nei confronti del ricorrente, confermando nel resto le statuizioni della decisione di primo grado. Il (OMISSIS) e' stato condannato, in qualita' di amministratore di fatto della societa' (OMISSIS) s.r.l., fallita in data (OMISSIS), per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, nonche' di bancarotta c.d. impropria. 2. Avverso la richiamata sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante i difensori di fiducia, avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), articolando nove motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullita' della sentenza, in relazione a tutti i capi di imputazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), nella parte in cui aveva ritenuto integrati i presupposti per l'attribuzione allo stesso del ruolo di amministratore di fatto della societa' fallita, omettendo di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive spiegate, in proposito, con l'atto di appello. In particolare, lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente confermato in parte qua la decisione di primo grado fondandosi sulle dichiarazioni, lacunose e imprecise, del teste (OMISSIS), commercialista della societa', che aveva dichiarato di aver ricevuto da lui l'incarico di tenere la contabilita' dell'impresa poi fallita, e sull'intestazione di una carta di credito sul conto della societa'. Secondo la prospettazione del (OMISSIS) il conferimento di un incarico isolato non sarebbe espressivo ex se del ruolo di amministratore di fatto della societa' ne' a tal fine potrebbe aver rilievo l'intestazione della carta di credito poiche' essa non aveva determinato alcuna passivita' sul conto intestato alla societa'. 2.2. Mediante il secondo motivo di ricorso, l'imputato deduce la nullita' della sentenza impugnata, quanto al capo A.2 dell'imputazione, relativo alla bancarotta fraudolenta documentale, per motivazione assolutamente apodittica e contraddittoria, anche rispetto alle specifiche deduzioni difensive. Assume il ricorrente che, per un verso, la decisione della Corte territoriale avrebbe ritenuto integrata la condotta contestata per essere stata prima del fallimento la contabilita' aziendale stata consegnata dal (OMISSIS) a un incaricato della societa', cio' che ne avrebbe attestato poi la distruzione o occultamento, senza neppure individuare il soggetto che aveva ricevuto detta documentazione. Per altro verso, la sentenza avrebbe evidenziato che lo stesso (OMISSIS) avrebbe consegnato tutta la documentazione contabile, invece, al curatore della societa' fallita concludendo poi, contraddittoriamente, per una sostanziale omessa conservazione della relativa documentazione. 2.3. Il ricorrente denuncia, inoltre, con il terzo motivo, nullita' della sentenza impugnata, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), laddove, quanto alla ricostruzione dei fatti contestati, non ha assunto la prova decisiva per l'inattendibilita' del teste (OMISSIS) della dichiarazione dell'ordine dei commercialisti di Milano in data (OMISSIS) attestante che lo stesso non era iscritto al relativo ordine pure essendosi qualificato, in sede di assunzione della testimonianza, quale commercialista della societa' fallita e del gruppo del quale faceva parte. 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, quanto al capo Al dell'imputazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla L.Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1, manifesta illogicita' della motivazione ed errata applicazione della legge penale, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto distrattivo il suo utilizzo della carta di credito della societa' senza verificare se il conto della stessa fosse passivo e senza aver ridotto, in subordine, l'ammontare della distrazione all'importo di Euro 5.742,30. 2.5. Il (OMISSIS), mediante il quinto motivo di ricorso, censura la sentenza impugnata, rispetto al capo A.3 dell'imputazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla L.Fall., articolo 223, comma, n. 2, per manifesta contraddittorieta' della motivazione ed errata applicazione della legge penale per aver ritenuto che l'omesso versamento di imposte e contributi previdenziali avesse cagionato il dissesto societario, senza considerare che nella nozione di operazioni dolose ai sensi della predetta norma incriminatrice possono essere annoverate solo quelle che determinano un diminuzione dell'asse attivo. 2.6. Con gli ulteriori motivi il ricorrente deduce vizi della sentenza nella determinazione del trattamento sanzionatorio. In particolare con il sesto motivo assume carenza assoluta e contraddittorieta' della motivazione della decisione per avere, senza alcuna argomentazione specifica, pur escludendo l'applicazione della recidiva, ritenuta l'aggravante L.Fall., ex articolo 219, comma 2, n. 1, in difetto dei relativi presupposti, comminato una pena principale di quattro anni di reclusione. Mediante il settimo motivo l'imputato deduce nullita' della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione agli articolo 133 c.p. e L.Fall., articolo 216, u.c., per assoluta carenza della motivazione nella parte in cui ha individuato il reato piu' grave e dunque nella motivazione del conseguente aumento di pena. Con l'ottavo motivo il (OMISSIS) lamenta, poi, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), errata applicazione dell'articolo 62-bis c.p. quanto all'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche fondato, illegittimamente, solo sulla mancata collaborazione prestata da esso ricorrente. Il ricorrente deduce, infine, con il nono e ultimo motivo, nullita' della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione agli articoli 37, 133 c.p. e L.Fall., articolo 216, u.c., avendo del tutto apoditticamente, senza alcuna autonoma motivazione sul punto, determinato la durata delle pene accessorie non in base ai criteri dell'articolo 133 c.p. ma avendo riguardo alla durata di quelle principali. 3. I difensori dell'imputato, ai quale pure sono state ritualmente comunicata la data di fissazione della trattazione del processo e le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, non hanno fatto pervenire alcuna memoria scritta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso non e' fondato. La sentenza oggetto di ricorso, nel ritenere - confermando la decisione di primo grado - il (OMISSIS) amministratore di fatto della societa' fallita ha correttamente applicato i principi affermati da questa Corte nell'individuare la portata dell'articolo 2639 c.c. e degli indici che disvelano la posizione del soggetto il quale, pur formalmente privo di cariche nell'ambito della societa', ha in concreto gestito ovvero partecipato alla gestione della stessa. Occorre premettere, ai fini di un inquadramento generale della questione, che la societa' fallita era partecipata dal gruppo (OMISSIS) s.r.l., appartenente al ricorrente, per una quota pari all'80% del capitale sociale (almeno sino alla data dell'11 maggio 2010, quando dette quote sono state cedute a (OMISSIS)). E' vero che la titolarita' della carica di amministratore della societa' capogruppo non implica di per se' la qualifica di amministratore di fatto delle societa' controllate, tuttavia cio' si realizza quando l'esercizio dei poteri di direzione e coordinamento si sostanzi in atti specificamente gestori di fasi o settori dell'attivita' di queste, limitandone l'autonomia e riducendo gli amministratori a meri esecutori materiali delle direttive impartite (Sez. 5 n. 36865 del 27/10/2020, Rv. 280107 - 01). Orbene, come ha piu' volte affermato la giurisprudenza di questa Corte, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione. Tuttavia "significativita'" e "continuita'" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. In particolare, la posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, si traduce, nell'ambito processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della societa', risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti - in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. L'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che e' insindacabile in sede di legittimita', se sostenuto da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14 aprile 2003, n. 22413, Rv. 224948; Sez. 1, 12 maggio 2006, n. 18464, Rv. 234254). La sentenza impugnata non e' affetta da alcun manifesto vizio di illogicita' sindacabile in sede di legittimita' laddove ha ritenuto indici sintomatici della qualita' di amministratore di fatto rivestita dal (OMISSIS) nella societa' fallita le seguenti circostanze: era intestatario di una carta di credito appoggiata sul conto della predetta societa', carta con la quale avrebbe potuto compiere anche, dunque, attivita' propriamente di gestione, come il pagamento di fornitori e dipendenti; aveva conferito l'incarico, di grande rilievo per la vita della societa', di gestione della contabilita' della stessa al teste (OMISSIS) (secondo quanto dal medesimo riferito). 2. Il secondo motivo non e' fondato. Sotto un primo aspetto, nelle due sentenze di merito, in parte qua integranti una doppia conforme, non si rinviene la denunciata contraddittorieta' poiche' sebbene il (OMISSIS) avesse consegnato la documentazione a propria disposizione, questa si riduceva al solo Modello Unico 2010 ai fini IRAP, sicche' la contabilita' e' risultata omessa o distrutta. Quanto all'elemento soggettivo, occorre rilevare, poi, che, sebbene la pronuncia impugnata abbia erroneamente fatto riferimento alla sufficienza del dolo generico per fondare la responsabilita' per il fatto contestato ai fini dell'integrazione della quale e' in realta' richiesto il dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori, detto errore non ha avuto alcuna incidenza causale sulla decisione, che in quanto confermativa di quella di primo grado si salda peraltro con essa ai fini dell'apprezzamento complessivo della motivazione. Innanzi tutto, va evidenziato che il (OMISSIS) con l'atto di appello, nel contestare radicalmente la condotta di bancarotta fraudolenta documentale ritenuta integrata dalla sentenza del Tribunale, non ha formulato, neppure in via subordinata, un motivo in ordine all'insussistenza del dolo specifico. Su quest'ultimo aspetto, del resto, la decisione di primo grado ha fornito, a pag. 9, una congrua motivazione in ordine al raggiungimento della prova di tale necessario elemento soggettivo del reato rilevando che lo scopo di arrecare un pregiudizio ai creditori sociali e' illuminato dalla scorretta gestione della societa', dacche' l'occultamento o l'omessa tenuta della contabilita' erano finalizzate a non consentire una ricostruzione del patrimonio della fallita cosi' impedendo soddisfazione dei crediti nei confronti della stessa. 3. Il terzo motivo e' manifestamente infondato, poiche' la circostanza che il (OMISSIS) non sia iscritto all'Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Milano di per se' non esclude che lo stesso sia iscritto ad un altro ordine professionale con conseguente non decisivita' dell'adempimento istruttorio richiesto dalla difesa del ricorrente ai fini della valutazione sull'attendibilita' del teste. 4. Il quarto motivo non e' fondato, dovendosi ritenere integrata bancarotta fraudolenta per distrazione ogni qual volta i beni sociali vengano distratti dalle finalita' di gestione della stessa, senza che, come assume la difesa del (OMISSIS), possa spiegare rilevanza la circostanza che il conto sul quale insisteva la carta di credito della societa' fallita intestata al medesimo fosse rimasto in attivo. Integra dunque bancarotta fraudolenta distrattiva il prelievo di somme dai conti dell'impresa fallita per finalita' estranee all'attivita' della stessa anche se in forza di detto prelievo non si sia determinata una passivita' del conto, trattandosi di una condotta che riduce la possibilita' dei creditori di soddisfarsi in caso di insolvenza incidendo negativamente sulle poste attive. 5. Il quinto motivo e' manifestamente infondato. Invero, nella giurisprudenza di legittimita' e' stato piu' volte affermato il principio per il quale, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui alla L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedelta' ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa e postulano una modalita' di pregiudizio patrimoniale discendente non gia' direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi' da un fatto di maggiore complessita' strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita' di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684-01). In particolare, le operazioni dolose di cui alla L.Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, possono consistere - come e' avvenuto nella fattispecie in esame, nella quale addirittura l'80% del passivo era costituito da crediti erariali e previdenziali - nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della societa', da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (ex plurimis, Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337-01). 6. Gli ulteriori motivi, che attengono alla dosimetria sanzionatoria, suscettibili di esame unitario, sono manifestamente infondati. In primo luogo, la Corte territoriale ha ritenuto correttamente integrata la c.d. aggravante L.Fall., ex articolo 219, comma 2, n. 1, in presenza di piu' fatti di bancarotta commessi dal ricorrente nell'ambito del medesimo fallimento (cfr., ex aliis, Sez. 5, n. 21036 del 17/04/2013, Rv. 255146 - 01). La pena e' stata inoltre determinata, entro la cornice edittale prevista, facendo riferimento agli indici di cui all'articolo 133 c.p. pur non essendo stata espressamente richiamata tale disposizione normativa, cio' che non assume rilievo nel giudizio di legittimita'. Va ricordato, infatti, che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e' insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu', se prossima al minimo, anche qualora il giudice si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita' e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197 - 01). L'esclusione della possibilita' di concedere le circostanze attenuanti generiche tenuto dell'accertata responsabilita' in capo al (OMISSIS) sia per la bancarotta fraudolenta documentale che per quella distrattiva, costituita dalla sottrazione indebita di risorse societarie utilizzando la carta di credito della fallita per acquistare beni o altre utilita' per finalita' squisitamente personali, in un periodo nel quale la societa' era gia' in avanzato stato di decozione, al punto da essere posta in liquidazione il mese successivo. Inoltre, specie ai fini dell'omessa concessione delle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha posto in rilievo che alcuna condotta collaborativa e' stata posta in essere dall'imputato ne' che sono emersi elementi positivi da valutare a tale fine. Occorre in proposito ricordare che, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purche' la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimita' della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato (ex aliis, Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, 2022, Rv. 282693 01; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Rv. 256172 - 01). Infine, quanto alle pene accessorie, contrariamente a quanto dedotto dall'imputato, la Corte territoriale non si e' limitata a determinarne la durata avendo riguardo a quella della pena principale, fornendo una specifica motivazione anche sotto tale profilo, nella quale e' stata a tal fine posta in rilievo l'entita' del dissesto cagionato e la notevole esposizione nei confronti dell'Erario dello Stato. 7. Il ricorso deve in definitiva essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/03/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore Generale FELICETTA MARINELLI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito l'AVV. (OMISSIS), sostituta processuale degli AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), che si e' riportata ai motivi di ricorso insistendo per il suo accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.1 sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per l'annullamento della sentenza del 07/03/2022 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza del 20/07/2021 del Tribunale di Messina da loro impugnata, ha concesso alla (OMISSIS) il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la condanna alla pena principale, rispettivamente, di un anno e sei mesi di reclusione, irrogata alla prima, di due anni e sei mesi, irrogata al secondo, per il reato di cui agli articoli 110 c.p., 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, oltre pene accessorie e confisca dei beni per un valore corrispondente al profitto del reato. 2. (OMISSIS) deduce con unico motivo l'omessa valutazione e il travisamento di emergenze processuali che, se prese in considerazione, avrebbero condotto ad una diversa conclusione. I Giudici di merito, lamenta, non hanno minimamente valutato quel che appariva evidente dall'esame delle risultanze processuali: la possibilita' che l'imputata fosse ignara della posizione ricoperta all'interno della societa' da lei rappresentata, che si trattasse di una mera, inconsapevole prestanome priva di qualsiasi potere direttivo, non avendo mai svolto alcun tipo di attivita' lavorativa, tantomeno gestionale all'interno dell'azienda al punto da risultare sconosciuta persino ai dipendenti (che invece conoscevano soltanto il (OMISSIS) come unico e solo gestore della societa' che impartiva ordini e direttive, erogava gli stipendi, faceva colloqui di lavoro). La mera imputazione causale del fatto non e' sufficiente, afferma, perche' non assolve all'onere di provare il dolo specifico del reato omissivo. Le argomentazioni della Corte di appello volte a dimostrate la piena e consapevole partecipazione della ricorrente al programma elusivo del (OMISSIS) non sono sufficienti a sanare i non pochi dubbi del contrario. 3. (OMISSIS) propone sei motivi. 3.1.Con il primo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 546, comma 3, c.p.p. in quanto la sentenza impugnata contiene molteplici errori: a) nell'intestazione e' scritto che si tratta di sentenza contestualmente motivata laddove nel dispositivo e' scritto il contrario; b) le generalita' del ricorrente sono riportate in modo errato (nato il "(OMISSIS)"); c) nelle conclusioni si fa rinvio al verbale di udienza dal quale risulta che l'Avv. (OMISSIS) si sarebbe riportato ai motivi di appello, laddove detto difensore era assente e sostituito dall'Avv. (OMISSIS); d) gli estremi della sentenza appellata sono riportati in maniera errata due volte (e ogni volta in modo diverso) generando una confusione sulla sentenza eventualmente da eseguire che si riverbera sulla completezza ed esattezza del dispositivo stesso. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111 Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p. in relazione all'omesso esame di argomenti difensivi ed elementi di prova nuovi allegati all'appello ed ai motivi aggiunti del tutto negletti o in relazione ai quali e' stata fornita una motivazione illogica o contraddittoria. Si tratta - afferma - di elementi dai quali si ricavava con assoluta certezza il coinvolgimento nell'acquisto delle quote societarie e il compimento di atti di gestione occulta da parte di un terzo soggetto rimasto nell'ombra nel corso delle indagini. Cio' che si contesta e' la pedissequa ripetizione della motivazione della sentenza di primo grado senza alcuna valutazione degli argomenti difensivi, quando non travisati. Questi gli argomenti difensivi dedotti in appello: i) tutti i dipendenti della "(OMISSIS) S.a.s." avevano affermato, in primo grado, di aver sempre ricevuto ordini e direttive dal ricorrente ma con l'appello era stato sollecitato l'approfondimento di questo argomento perche' il (OMISSIS), pur avendo ceduto le quote della (OMISSIS) il (OMISSIS), si era comunque impegnato ad assorbire i dipendenti nelle proprie societa', (OMISSIS) o (OMISSIS), come poi effettivamente avvenuto, sicche' non e' dato comprendere se i dipendenti, quando erano stati sentiti, si fossero riferiti all'epoca in cui il ricorrente era ancora amministratore di diritto o a quella di "transizione" dalla (OMISSIS) alle due predette societa' o ancora al periodo in cui erano stati assunti da queste ultime. La Corte di appello non solo non risponde ma travisa la visura storica della (OMISSIS) da cui risulta che nel 1 e 2 trimestre del 2012 i dipendenti erano tre, uno nel terzo, nessuno nel quarto; ii) dopo la cessione delle quote la (OMISSIS) era entrata in una fase di stallo, onde non si comprende quale interesse avrebbe mai potuto avere il ricorrente, ma anche tale argomento e' rimasto senza risposta; iii) la legale rappresentanza della societa' era stata ceduta a (OMISSIS) il (OMISSIS); questi l'avrebbe a sua volta ceduta alla (OMISSIS) il (OMISSIS) allorquando i ruoli si sarebbero invertiti: (OMISSIS) socio accomandante, (OMISSIS) socio accomandatario. Poiche' i testimoni hanno affermato di aver lavorato fino a settembre 2011, il periodo di amministrazione di fatto dovrebbe essere circoscritto da giugno a settembre 2011 (falsa l'affermazione del (OMISSIS) di aver lavorato fino al giugno 2013). Orbene, afferma, questa finestra temporale non coincide con il "tempus commissi delicti" posto che il reato e' contestato come consumato il (OMISSIS) e le dichiarazioni IVA omesse sono quelle che avrebbero dovuto essere presentate tra il 1 febbraio ed il 1 ottobre 2012, ma che in questo periodo egli abbia posto in essere atti gestori non v'e' prova alcuna, ma nemmeno questo argomento ha trovato ingresso nella motivazione della sentenza impugnata; iv) non era possibile enucleare dalle testimonianze dei dipendenti i concreti e tipici atti gestori dell'impresa asseritamente da lui posti in essere, non essendo mai state chiarite le ragioni per le quali essi si fossero "sempre" rivolti a lui, tanto piu' se si considera che i dipendenti disimpegnavano le loro prestazioni da remoto e non in sede, senza dunque avere occasioni di incontro con il loro datore di lavoro; anche questo argomento e' stato negletto; v) era stato dimostrato che le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) (che avevano assorbito i dipendenti della (OMISSIS)) erano state costituite l'una nel 1999, l'altra nel 2007 e cio' a confutazione dell'argomento accusatorio (fatto proprio dal primo Giudice) della costituzione "ad hoc" di societa' con cui continuare a svolgere le medesime attivita' di quelle cedute al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari; di questo argomento difensivo non v'e' traccia nella sentenza impugnata; vi) il ricorrente non aveva mai preso parte alle operazioni di verifica/ accertamento cui, invece, aveva partecipato la (OMISSIS), nella sua qualita' di L.R., che pero' mai lo aveva chiamato in causa; e anche di questo argomento non v'e' traccia nella motivazione della sentenza impugnata (benche' all'imputato sia stata comminata una pena addirittura superiore a quella della legale rappresentante); vii) dagli atti di un separato procedimento penale, definito con sentenza di proscioglimento per remissione di querela del 24/06/2016 del Tribunale di Palmi, era emerso che la rappresentanza legale e la materiale gestione della societa' erano riconducibili a nuovi e diversi soggetti a seguito della cessione delle quote; tale conclusione si basava sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) (che aveva tirato in ballo tal (OMISSIS) ed aveva persino riferito di non conoscere il ricorrente), dal (OMISSIS) (che aveva riferito che l'acquisto delle quote gli era stato proposto dalla (OMISSIS) e da un certo (OMISSIS) dietro promessa di un compenso mai erogato e negatogli con minaccia, e di aver partecipato all'atto notarile in pieno possesso delle proprie facolta', cosa negata in questo procedimento ove aveva affermato di essere stato indotto a bere e di aver partecipato all'atto in stato di incoscienza), dal notaio intervenuto all'atto (che aveva confermato la presenza dello (OMISSIS) e del ruolo che questi aveva avuto nella pratica della cessione delle quote); tali esiti probatori si ponevano in insanabile contrasto con quanto affermato dal primo Giudice, in relazione alla ricostruzione della vicenda della cessione delle quote e alla malleabilita' del (OMISSIS) che, afferma il ricorrente, non si era mai presentato in dibattimento; di tutti questi dati, del fatto che lo (OMISSIS) gestisse il conto e la contabilita' della (OMISSIS), che avesse offerto denaro alla (OMISSIS) perche' non si recasse a deporre alla GdF, non vi e' alcun cenno, nemmeno grafico, nella sentenza impugnata. 3.3.Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e degli articoli 42, cpv., e 43 c.p., sotto il profilo della insussistenza del dolo specifico di evasione, nonche' l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lettera e, 125, comma 3, c.p.p., sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione in ordine agli argomenti difensivi devoluti in appello a sostegno della mancanza del dolo il cui accertamento era stato trascurato in primo grado pur in presenza di elementi che lo escludevano (il divario temporale tra la data di cessazione della carica e la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione IVA; il trasferimento delle scritture contabili dopo la cessione delle quote). A fronte di questi argomenti, afferma, la sentenza impugnata non spende una sola parola. 3.4.Con il quarto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p. in quanto la motivazione della sentenza impugnata omette ogni valutazione su fondamentali temi ed argomenti di prova dedotti con l'atto di appello. Le questioni devolute, osserva, erroneamente o maldestramente sintetizzate dalla Corte di appello, non riguardavano, per esempio, la liceita' della cessione delle quote, ma il compimento di atti di gestione nel periodo di maturazione del termine per la presentazione della dichiarazione omessa. Incredibile, inoltre, che gli argomenti difensivi circa l'interesse delle parti a cedere e ad acquisire le quote vengano disattesi in base ad opinioni professionali di persone mai sentite in dibattimento le cui dichiarazioni non si sono volute acquisire nemmeno ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. La Corte di appello, continua, ha trascurato l'interesse degli acquirenti anche solo a riscuotere i crediti vantati dalla (OMISSIS) nei confronti degli enti pubblici (non necessariamente a proseguirne l'attivita'; congetturale la contraria opinione della Corte) nonche' il fatto che tutti i dipendenti transitarono ad altre societa' del gruppo (il che prova che tempi di licenziamento e transito erano stati pattuiti), e comunque ha volontariamente omesso di approfondire i termini degli accordi negoziali (che contraddittoriamente afferma non provati) rigettando la richiesta di assumere la testimonianza proprio delle persone che avevano partecipato alla compravendita delle azioni. La mancata esplicitazione degli accordi sottesi alla cessione delle quote - prosegue - cozza, sul piano logico, con la affermazione che, non trattandosi di cessione di azienda, i rapporti attivi e passivi facenti capo alla societa' avrebbero comunque potuto proseguire senza soluzione di continuita' (e dunque, si domanda il ricorrente, quali accordi sarebbe stato necessario esplicitare-). In ogni caso, aggiunge, dall'esame delle mail allegate ai motivi nuovi (e travisate) emergeva che: a) la ripartizione delle passivita' era stata stabilita in base ad un criterio cronologico, secondo la data di maturazione del debito (se prima o dopo la cessione); b) vi era una chiara contrapposizione tra la vecchia e la nuova proprieta' che, peraltro, reclamava la contabilita' per poter gestire effettivamente la societa'. Non e' inoltre chiara la rilevanza della mancata produzione dei contratti stipulati dalla (OMISSIS) con gli enti pubblici esistenti alla data del 2011 (ma che la Corte di appello ritiene inesistenti). In ogni caso, il fatto che attraverso il cd. "spesometro" non fossero state rinvenute fatture emesse nel 2011 si spiega con il fatto che tale strumento di accertamento era stato introdotto a partire dalle fatture emesse dal 01/01/2012; il che - argomenta comporta due conseguenze: a) la ricerca effettuata nulla avrebbe potuto dire in relazione alle fatture emesse nel 2011; b) la ricerca non era idonea a dimostrare l'esistenza o meno di contratti in relazione ai quali poteva anche mancare l'emissione della fattura. Ma poi, prosegue il ricorrente, se davvero i contratti fossero fittizi, quale interesse egli avrebbe avuto a gestire in maniera occulta una scatola vuota e quali direttive, allora, egli avrebbe mai potuto impartire a dipendenti che nulla avevano da fare e che sarebbero transitati alle dipendenze di altre sue societa'- A questa domanda, afferma, la Corte di appello non ha fornito risposta. Peraltro, ribadisce, a fronte della prova dei fatti meglio indicati con il secondo motivo, la Corte di appello concentra il proprio sforzo motivazionale sull'allegazione o meno, all'atto di cessione, di accordi commerciali, sul rinvenimento o meno dei contratti di fornitura dei software. Riprendendo un argomento gia' introdotto con il secondo motivo, ribadisce la genericita' e fallacia dell'argomento (peraltro non approfondito) secondo il quale egli avrebbe continuato a dare direttive a tre dipendenti della (OMISSIS) dopo la cessione delle quote e fino a tutto il 2012 (a riprova, secondo la Corte di appello, della eterogestione della societa') e lamenta, pero': a) la confusione concettuale tra prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di (OMISSIS) e direttive impartite dal ricorrente dopo la cessione delle quote; b) l'insufficienza del dato, perche' dare generiche indicazioni (il cui contenuto e' ignoto) ai dipendenti di una societa' non equivale ad affermare la gestione della societa' stessa, tanto piu', aggiunge, alla luce degli elementi allegati con i motivi aggiunti sulla effettiva gestione della (OMISSIS) da parte di altre persone; c) il travisamento della visura camerale dalla quale risulta che i tre dipendenti in questione non avevano lavorato per la (OMISSIS) per tutto il 2012. Tutto questo a fronte della prova, fornita da atti giudiziari, della eterodirezione della (OMISSIS) ad opera di altre persone e non del ricorrente. Contraddittorio, infine, censurare le lacune difensive che, afferma, avrebbero potuto essere colmate rinnovando l'istruttoria mediante l'esame di quei testi (il commercialista, Dott. (OMISSIS)) che avrebbero potuto chiarire, per esempio, i rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (secondo la Corte di appello lasciati in ombra) e spiegare le ragioni commerciali che presiedono alla apertura di diverse societa', alla loro chiusura, al trasferimento dei dipendenti, o di quelli ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) che avrebbero potuto chiarire i rapporti con (OMISSIS) (oltre quelli gia' documentati dalle mail sopra indicate). In conclusione, la carenza di motivazione della sentenza impugnata appare con tutta evidenza laddove la corte di appello nulla dice in ordine agli argomenti difensivi ed agli elementi di prova addotti dalla difesa in relazione agli atti gestori compiuti dallo (OMISSIS), neppure al fine di confutarli, neppure al fine di spiegare perche' l'apertura di un conto corrente a nome della societa' e la gestione dello stesso da parte di un soggetto estraneo alla nuova compagine sociale, la richiesta ed il ritiro da parte dello stesso della documentazione contabile della societa', non vengono considerati atti di gestione. 3.5.Con il quinto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 603, comma 2, c.p.p., nonche' il vizio di motivazione illogica o contraddittoria in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento per l'assunzione di prove decisive scoperte dopo il giudizio di primo grado che avevano ad oggetto gli argomenti difensivi gia' oggetto dei precedenti motivi. Illogicita' della motivazione che deriva proprio dal fatto che le prove richieste avrebbero potuto escludere quella opacita' della vicenda che la Corte di appello ha contraddittoriamente denunciato. 3.6.Con il sesto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111 Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p., in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena. 4.Gli argomenti oggetto del punto vii) del secondo motivo sono stati ulteriormente illustrati con una articolata memoria del 24/10/2022. 5.Con ulteriore memoria del 30/11/2022, il (OMISSIS) ha replicato alla richiesta di PG di rigetto di entrambi i ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorsi sono infondati. 2.1 ricorrenti rispondono del reato loro ascritto perche', in concorso fra loro, (OMISSIS) nella qualita' di legale rappresentante della societa' "(OMISSIS) S.a.s. di (OMISSIS) e C." dal mese di ottobre 2011, (OMISSIS) quale amministratore di fatto ed effettivo gestore della societa' alla data di commissione del reato, al fine di evadere l'imposta sui redditi e sul valore aggiunto, non presentavano, pur essendovi obbligati, in relazione all'anno di imposta 2011, la relativa dichiarazione, realizzando un'evasione di IVA pari ad Euro 91.576,00. In particolare, (OMISSIS) non aveva impedito, pur avendo l'obbligo giuridico di evitarlo in virtu' del disposto dell'articolo 2932 c.c., il verificarsi dell'evento e (OMISSIS), nella gia' indicata qualita' di soggetto attivo del reato ed effettivo gestore della societa', non aveva presentato la predetta dichiarazione, realizzando cosi' i predetti, in concorso fra loro, l'evasione di imposta. 2.1.Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che: i) nel maggio dell'anno 2015 era stata avviata una verifica fiscale nei confronti della (OMISSIS) che non aveva presentato la dichiarazione IVA relativa all'anno di imposta 2011; ii) all'indirizzo corrispondente alla sede operativa della societa' non era stata rinvenuta alcuna attivita' commerciale; iii) legale rappresentante dal (OMISSIS) era (OMISSIS); iv) (OMISSIS) (indicato dal Tribunale come il vero dominus) era stato socio accomandatario fino al (OMISSIS); v) con atto notarile in pari data, registrato il (OMISSIS), l'imputato aveva interamente ceduto, tramite procuratore speciale, a (OMISSIS) la sua quota di partecipazione; l'altro socio aveva ceduto la propria quota a (OMISSIS); (OMISSIS) era divenuto socio accomandatario; vi) con atto notarile del (OMISSIS), registrato il (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano scambiati le cariche: la prima aveva assunto quella di socio accomandatario, il secondo quella di socio accomandante; vii) la testimone (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) fino al mese di settembre del 2011, aveva dichiarato di non aver mai conosciuto (OMISSIS), di aver avuto rapporti lavorativi esclusivamente con (OMISSIS), su invito del quale aveva rassegnato le dimissioni (per "passare" ad "(OMISSIS) Srl" senza pero' mai cambiare ufficio), che questi sistematicamente chiudeva un'azienda per aprirne un'altra presso la quale riassumeva gli stessi dipendenti proseguendo di fatto l'attivita' commerciale senza soluzione di continuita', di essere sempre stata retribuita dall'imputato (il quale nel momento in cui aveva ceduto l'azienda si era impegnata a pagarla in nero nel periodo compreso nel passaggio da una societa' all'altra); viii) il testimone (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) fino al mese di maggio 2012, aveva riferito le medesime circostanze (di essere stato alle dipendenze di varie ditte, tutte riconducibili all'imputato, di essere stato assunto da questi, da lui conosciuto come l'unico "titolare" della societa', che i "passaggi da una societa' all'altra" venivano imposti da (OMISSIS) o dal personale dell'amministrazione che gli facevano a tal fine firmare le dimissioni per il passaggio da una societa' all'altra; ix) circostanze analoghe erano state riferite dai testimoni (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dall'inizio dell'anno (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)); x) tutti costoro avevano riferito che il legale rappresentante della societa' era (OMISSIS), loro unico interlocutore dal quale ricevevano ordini e direttive, e nessuno di loro aveva mai conosciuto l'imputata, ne' sapeva che costei fosse subentrata al primo nella legale rappresentanza della societa'; xi) (OMISSIS) (testimone della difesa) aveva riferito di non essere mai stato a conoscenza dell'esistenza della societa' e di aver conosciuto l'imputata solo perche' vicina di casa della zia (il testimone non era stato sentito nel contraddittorio tra le parti; le relative dichiarazioni rese alla PG erano state acquisite dal Tribunale in considerazione delle sue precarie condizioni di salute mentale accertate da una relazione psichiatrica del 2020 trasmessa dall'amministratore di sostegno; il testimone risultava seguito dal Centro Psicosociale della (OMISSIS) dal 2014; da questa circostanza il Tribunale ha desunto che all'epoca dell'acquisto delle quote dall'imputato il testimone fosse un soggetto facilmente manipolabile, una vera e propria "testa di legno" alla quale trasferire la "scatola vuota" della (OMISSIS), considerazione non smentita, secondo il Tribunale, dalla testimonianza del notaio rogante sul rilievo che la mera "lettura dell'atto ad un soggetto dal precario equilibrio mentale non costituisce garanzia della piena consapevolezza da parte del cessionario dell'importanza del valore dell'atto stipulato", pag. 6 della sentenza); xii) gli altri testimoni della difesa ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), tutti lavoratori dipendenti (OMISSIS), avevano indicato nell'imputato il legale rappresentante della societa' pur dopo il trasferimento delle quote a (OMISSIS), confermando di aver continuato a lavorare per l'imputato nel passaggio ad altra societa'; xiii) (OMISSIS), consulente tributario della (OMISSIS), aveva riferito di aver consegnato i libri contabili al nuovo titolare (ma la circostanza e' stata ritenuta dal Tribunale irrilevante "nella misura in cui era il (OMISSIS) a continuare di fatto l'attivita' imprenditoriale, come chiaramente confermato da tutti dipendenti"; pag. 7). 2.2.Sulla base di questi elementi di fatto, il Tribunale ha ritenuto la penale responsabilita' di entrambi gli imputati osservando, quanto a (OMISSIS), che l'imputata si era prestata ad acquisire la titolarita' formale della societa' assumendo la veste di socio illimitatamente responsabile in corrispondenza della scadenza dei termini per il pagamento delle imposte cosi' dando prova della consapevolezza della finalita' evasiva del correi; la donna, inoltre, non aveva posto in essere alcun atto di gestione, "limitandosi solo a coinvolgere il "malleabile" (OMISSIS) nell'operazione di trasferimento delle quote" (pag. 7). 3.In appello, (OMISSIS) aveva protestato la propria innocenza deducendo d'esser stata vittima di una truffa ordita ai suoi danni da persone che, approfittando del suo stato di bisogno, con la promessa di un lavoro a tempo indeterminato (che lei credeva di aver accettato davanti al notaio), le avevano invece fatto sottoscrivere dei documenti con i quali le erano state intestate, a sua insaputa, diverse societa' (tra le quali anche un autosalone per autovetture di lusso). La mancanza di consapevolezza del ruolo assunto determina l'assenza del dolo specifico di evasione, non desumibile, affermava, dalla sola assunzione (formale) della carica in prossimita' della scadenza del termine per il pagamento delle imposte. 4. (OMISSIS) aveva lamentato che il primo Giudice aveva attribuito penale rilevanza a condotte che si collocavano al di fuori del tempus commissi delicti e non aveva adeguatamente scandagliato l'elemento soggettivo del reato. Aveva a tal fine ricostruito le vicende societarie di (OMISSIS) allegando quanto segue: i) la societa' era stata costituita il 19/12/2003 da (OMISSIS) e (OMISSIS) come s.n.c.; ii) successivamente era stata rilevata da lui (per il 10%) e dalla (OMISSIS) Srl di (OMISSIS) (90%) e trasformata in s.a.s.; iii) egli aveva conservato la legale rappresentanza della societa' fino al (OMISSIS) allorquando aveva ceduto la propria quota a (OMISSIS) (che aveva contestualmente assunto la legale rappresentanza) e a (OMISSIS); iv) il (OMISSIS) i ruoli si erano invertiti: (OMISSIS) aveva assunto la qualifica di socio accomandatario, (OMISSIS) quella di accomandante; v) secondo gli accordi stipulati dalle parti al momento della cessione, la (OMISSIS), societa' facente parte di una holding riconducibile all'appellante e costituita molti anni prima, avrebbe gradualmente assorbito i dipendenti di (OMISSIS). Aveva aggiunto che i testimoni avevano riferito di essersi "sempre" relazionati con lui, ma questo generico riferimento temporale non e' mai stato adeguatamente scandagliato, non comprendendosi se riguardasse anche il periodo di transizione dalla cessione di (OMISSIS) all'assorbimento da parte di (OMISSIS) o si riferisse, piuttosto, al periodo in cui l'imputato era stato amministratore di diritto della (OMISSIS), tanto piu' che alcuni dipendenti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri) prestavano la loro opera da remoto. Ragionevole ipotizzare, quindi, che i dipendenti destinati ad essere assorbiti dalla (OMISSIS) non avessero avuto alcun contatto con il nuovo amministratore della societa' che stavano per lasciare. Aveva inoltre aggiunto che il numero dei dipendenti della (OMISSIS) era passato da 13 unita' nel secondo trimestre 2011 a zero, dovendosi cosi' ritenere che la societa' fosse entrata in una fase di stallo dell'attivita' d'impresa con mancanza di interesse ad amministrare di fatto la societa' stessa. Aveva altresi' aggiunto che i testimoni sentiti avevano riferito di aver lavorato per la (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS) sicche', ove mai si dovesse ritenere l'effettiva assunzione del ruolo di amministratore di fatto, esso resterebbe circoscritto al periodo che va dal mese di giugno 2011 al mese di settembre dello stesso anno, laddove il reato e' contestato come commesso il (OMISSIS) e l'arco temporale durante il quale la dichiarazione Iva per l'anno di imposta 2011 doveva essere presentata andava dal 1 febbraio 2012 al 1 ottobre 2012. Affermava, infine, la mancanza di prova di un qualsiasi atto gestorio da parte sua. L'appellante aveva introdotto l'ulteriore argomento difensivo relativo alla regia occulta dell'intera operazione di cessione delle quote a (OMISSIS) e (OMISSIS) e a contestare, in particolare, la conclusione del primo Giudice circa la "malleabilita'" del primo al quale trasferire la scatola vuota della (OMISSIS). In particolare aveva dedotto che: i) il notaio che aveva rogato l'atto di trasferimento delle quote a (OMISSIS) e (OMISSIS), sentito in dibattimento, aveva escluso che alcuno dei comparenti versasse in stato di ebbrezza alcolica o non fosse comunque consapevole dell'atto che gli era stato chiesto di rogare; ii) il (OMISSIS) era in cura per le patologie mentali dalle quali era affetto dal 2014, ma i fatti risalgono al 2011; quando il testimone era stato sentito nel 2016, la PG non aveva riscontrato alcun deficit cognitivo che potesse compromettere la sua deposizione; iii) evidente, dunque, la inverosimiglianza delle dichiarazioni di questi che aveva riferito che (OMISSIS) e un certo (OMISSIS) lo avevano indotto a bere e che, versando in stato di ebrezza, non ricordava nulla, dichiarando persino di non essere neppure a conoscenza dell'esistenza della (OMISSIS), quando qualche mese dopo si era recato nuovamente dal notaio per effettuare l'ulteriore modifica dell'assetto societario; iv) la stessa PG aveva il sospetto delle regia occulta di (OMISSIS) (persona ben nota alla Forze dell'Orine e alla GdF di (OMISSIS)) avendone chiesto contezza a molte delle persone informate dei fatti sentite nel corso delle indagini; v)il nome di questi era stato introdotto proprio dalla (OMISSIS) che aveva riferito alla PG di essere stata "reclutata" proprio dall'uomo il quale le aveva promesso un lavoro sicuro (la stessa all'epoca lavorava presso un bar) unitamente al (OMISSIS) che lei gia' conosceva e di esseri recata con lui dal notaio; vi) (OMISSIS), all'epoca dipendente della (OMISSIS), aveva scambiato delle mail con (OMISSIS) che nel mese di novembre 2011 le aveva aveva chiesto la consegna di documenti contabili della (OMISSIS) (codici INPS e INAIL, UNICO 2008 E 2009, UNICO 2011 e libri contabili); vii) non era chiaro a chi fossero stati consegnati i libri contabili della (OMISSIS) che il consulente tributario aveva affermato esser stati trasferiti agli acquirenti; viii) le societa' dell'appellante erano state costituite nel 2007 ((OMISSIS), presso la quale era stata assunta la testimone (OMISSIS)) e, prima ancora, nel 1999 (la (OMISSIS), che aveva "assorbito" gli altri dipendenti della (OMISSIS)), cio' che smentiva l'assunto del primo Giudice secondo il quale l'imputato aveva creato societa' "ad hoc" a fini elusivi. L'appellante aveva infine lamentato il mancato accertamento del dolo specifico di evasione che doveva essere escluso in base a precise emergenze processuali: 1) la sua carica di amministratore non era stata ceduta in prossimita' della scadenza degli adempimenti tributari (cessione delle quote il (OMISSIS); scadenza termini per la presentazione della dichiarazione IVA dal 1 febbraio 2012 al 1 gennaio 2013); 2) egli non era in possesso delle scritture contabili (secondo quanto affermato dal (OMISSIS)); 3) (OMISSIS) non lo aveva mai indicato come possibile responsabile o corresponsabile delle condotte che le venivano contestate dalla GdF (ne' lui era mai stato coinvolto negli accertamenti fiscali). In conclusione: 1) egli non aveva alcun interesse economico alla cessione fittizia delle proprie quote (il 10%), laddove tale cessione aveva comportato per lui una considerevole perdita economica, avendo la (OMISSIS) emesso nei confronti della (OMISSIS) una fattura di oltre un milione di Euro (n. 510 del 27/12/2011) per inadempienze contrattuali di (OMISSIS) in relazione al contratto stipulato tra le due societa' il 2 gennaio 2008; 2) nessuno dei dipendenti (OMISSIS) aveva piu' sentito parlare di lui dopo la cessione delle quote; 3) (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati reticenti (il secondo anche falso) lasciando intendere l'intenzione di coprire qualcuno rimasto estraneo al processo ma del quale la sentenza di primo grado non aveva fatto menzione. Con motivi aggiunti aveva dedotto le medesime questioni poste con il secondo motivo di odierno ricorso illustrate al § 3.2, punto vii), del ritenuto in fatto. 5.Nel confermare la condanna degli imputati, la Corte di appello, quanto a (OMISSIS) cosi' ha motivato: 5.1.I'imputato non ha mai chiarito i reali accordi commerciali tra gli acquirenti delle quote sociali e i cedenti, accordi assenti negli atti di cessione eppure necessari per regolamentare la prosecuzione dei contratti in essere con gli enti pubblici e la titolarita' dei crediti da essi derivanti; 5.2.nemmeno i debiti con l'erario erano stati specificamente disciplinati perche' dalle mail allegate ai motivi aggiunti si era solo concordato che una parte di tali passivita' gravasse sulla vecchia gestione, altra sulla nuova e cio' senza alcuna coerenza con il tipo di negozio posto in essere (una cessione di quote, non di azienda) che comportava la continuita' e la prosecuzione dei rapporti giuridici in capo alla medesima societa'; 5.3.per garantire la prosecuzione dell'attivita' (vendita ad enti pubblici di licenze di sofware gestionali con inevitabile somministrazione dei servizi per il loro sviluppo e l'assistenza), si sarebbero dovuti individuare i dipendenti che avrebbero continuato ad operare con (OMISSIS), visto che ne era stato concordato il trasferimento ad altra societa' e dovevano essere pattuiti licenziamenti e dimissioni; 5.4.avrebbero inoltre dovuto essere rinvenuti i contratti con gli enti pubblici menzionati nei motivi aggiunti che, ove esistenti, avrebbero dovuto essere registrati e sarebbero stati certamente rinvenuti dalla GdF, laddove, invece, non solo non e' stato rinvenuto alcun contratto ma non risultano nemmeno emesse fatture nei confronti di enti pubblici da parte della societa'; 5.5.incomprensibile, inoltre, la ragione per la quale (OMISSIS) continuasse a impartire direttive nei confronti di dipendenti della (OMISSIS) tre dei quali ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) avevano continuato a lavorare per tutto il 2012 senza nemmeno informarli che lavoravano per un nuovo amministratore e per una nuova societa'; 5.6.questo fatto contrasta la tesi difensiva dell'eterodirezione della societa' da parte di (OMISSIS); 5.7.principale cliente della (OMISSIS) per l'anno 2011, prima della cessione delle quote, era stata la (OMISSIS) nei cui confronti erano state emesse due fatture, una di Euro 160.000,00 del 28/02/2011, l'altra di Euro 240.000,00 del 31/05/2011 (giorno successivo alla cessione delle quote e prima della registrazione dell'atto); 5.8.non erano state emesse fatture nei confronti di (OMISSIS) nel periodo successivo mentre quest'ultima aveva emesso nei confronti di (OMISSIS) due fatture, una del 27/12/2011 dell'importo di Euro 1.046.400,00 per parziale inadempimento di un contratto "per non conformita' rilevate nelle procedure da voi sviluppate", l'altra del 31/12/2011 dell'importo di Euro 42.350,00 per servizi sistemici anno 2010; 5.9.dunque, non solo non sono state rinvenute fatture e contratti attestanti i rapporti di (OMISSIS) con enti pubblici ma e' risultato che il suo unico cliente era una societa' dell'imputato e che questi aveva continuato a dare direttive al personale dipendente di (OMISSIS) benche' quest'ultima si fosse resa inadempiente alle obbligazioni derivanti da un contratto di cui nulla si sa; 5.10.rapporti opachi non chiariti e che possono essere spiegati solo con l'effettiva gestione della (OMISSIS) ad opera dell'imputato il quale, peraltro, non aveva nemmeno mai chiarito i suoi rapporti con (OMISSIS), tanto piu' che i dipendenti della societa' non avevano mai indicato quest'ultimo come loro datore di lavoro, ne' autore di atti gestori. Quanto a (OMISSIS), la Corte di appello ha osservato che: 5.11.l'imputata aveva accettato di fungere da prestanome di (OMISSIS) dietro la promessa di (OMISSIS) di un lavoro o di una qualche altra utilita'; 5.12.non ha alcuna rilevanza che la donna ignorasse chi era il vero "dominus", essendo indifferente che avesse ritenuto di agire nell'interesse di (OMISSIS) e che gli avesse consentito di gestire on line i conti correnti della societa'; 5.13.non e' credibile che avesse creduto alla inoperativita' della societa' perche', invece, era stata piu' volte contattata dall'istituto di credito presso il quale il conto era acceso per problemi di solvibilita' che si erano creati a seguito dell'utilizzo del conto evidentemente da parte di terzi; 5.14.se fosse stata in buona fede l'imputata avrebbe chiuso immediatamente il conto, laddove si era preoccupata di quanto stava accadendo solo dopo essere stata chiamata dalla GdF; 5.15.il fatto che avesse lasciato campo libero alla gestione di (OMISSIS) (o a chi per lui), benche' fossero emerse delle passivita' sul conto corrente che lei stessa aveva acceso, e che non fossero state mantenute le promesse fatte per accettare la carica, lascia intendere che la donna avesse rapporti molto stretti con (OMISSIS) e fosse al corrente della sua attivita' illecita alla quale non si era affatto opposta. 6.Prima di esaminare i ricorsi e' necessario ricordare che la violazione degli articoli 192 e 546 c.p.p., non puo' costituire specifico motivo di ricorso (trattandosi di norme processuali la cui inosservanza non e' stabilita a pena di nullita') e che oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo senza la "mediazione" di elementi ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" del comma 1 dell'articolo 606 c.p.p.). La frattura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato in base alle prove poste a base della decisione e quello ricostruibile in base alle stesse ovvero ad altre prove comunque assunte nel corso del giudizio puo' viziare il provvedimento solo se tale frattura e' il frutto di un errore di natura percettiva e non valutativa della prova. La prova, cioe', deve essere travisata. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Piu' semplicemente, il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Al di fuori di questi specifici casi, non e' consentito alla Corte di cassazione prendere conoscenza del contenuto delle prove assunte nel corso del giudizio di merito. 6.1.E, dunque: a) l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01) b) l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 7.11 ricorso di (OMISSIS). 7.1.11 primo motivo e' manifestamente infondato. 7.2.In primo luogo, la sentenza non riporta le generalita' dell'imputato in modo errato, non potendosi ritenere tale l'indicazione "(OMISSIS)" da cui si evince chiaramente che il ricorrente e' effettivamente nato il (OMISSIS). 7.3.In ogni caso, stante il chiaro disposto dell'articolo 546, u.c., c.p.p., l'incertezza sulla data di nascita dell'imputato, riportata nell'intestazione della sentenza, non comporta nullita', quando e' comunque possibile, come nel caso di specie, l'esatta identificazione del soggetto al quale la sentenza medesima si riferisce (Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252403 - 01; Sez. 5, n 535 del 21/02/1995, Spataro, Rv. 201047 - 01). 7.4.Per lo stesso motivo, non sono causa di nullita' della sentenza: (i) l'indicazione errata, nell'intestazione, della redazione contestuale della motivazione, sia perche' si tratta di indicazione non prescritta dall'articolo 546 c.p.p. (della lettura immediata della motivazione si deve, semmai, dare atto a verbale ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 545 e 136 c.p.p.), sia perche' nel dispositivo della sentenza impugnata e' indicato il termine per la redazione della motivazione che la Corte di appello si e' assegnata ai sensi dell'articolo 544, comma 3, c.p.p.; (ii) l'omessa o errata indicazione nell'intestazione delle conclusioni delle parti (Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2019, Arnaboldi, Rv. 277876 - 01; Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252404 - 01; Sez. 3, n. 19077 del 24/03/2009, Aberham, Rv. 243764 - 01), non essendo la sentenza documento fidefacente in tal senso (fanno fede le conclusioni trascritte a verbale); (iii) l'errata indicazione, nella intestazione, della sentenza impugnata che, peraltro, nel caso di specie non genera alcuna incertezza sul provvedimento parzialmente riformato siccome correttamente indicato nel dispositivo e nel corpo della motivazione. 7.5.11 secondo, il quarto ed il quinto motivo sono infondati. 7.6.Essi muovono da un presupposto comune: la Corte di appello avrebbe potuto decidere in modo diverso sol che avesse valorizzato gli elementi e gli argomenti di prova devoluti in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. Entrambi lamentano l'ingiustificato rigetto della lettura alternativa degli elementi di prova utilizzati dal primo Giudice in senso accusatorio i quali si prestavano ad una diversa interpretazione vieppiu' alla luce dei nuovi apporti probatori offerti in secondo grado. 7.7.1 rilievi non colgono nel segno. 7.8.Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo il quale, in tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma e' necessaria una significativa e continua attivita' gestoria, svolta cioe' in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009 - 01); cio' sul rilievo che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dal articolo 2639 c.c. postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, "significativita'" e "continuita'" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 - 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 - 01; Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, Sidoli, Rv. 224948 - 01). E' stato al riguardo precisato che, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore "di fatto", e' necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101 01; Sez. 5, n. 35346 del 2013, cit.). 7.9.Le ragioni della doppia pronuncia di condanna sono, nel caso di specie, chiare e si fondano su un dato ritenuto logicamente incontrovertibile: il rapporto del ricorrente con i dipendenti della (OMISSIS). In disparte le vicende societarie che avevano riguardato la fase della cessione delle quote, le testimonianze dei dipendenti avevano introdotto nel processo un'informazione probatoria ritenuta dirimente: nessuno di essi aveva mai conosciuto o aveva avuto rapporti con (OMISSIS), mentre tutti quelli sentiti avevano riferito di non conoscere la legale rappresentante, (OMISSIS), laddove l'imputato aveva continuato a dar loro disposizioni senza nemmeno informarli delle modifiche degli assetti societari. Di tali prove testimoniali, richiamate anche dalla Corte di appello, il ricorrente non ha mai dedotto il travisamento, ne' in appello, ne' in questa sede. Sicche' l'informazione probatoria resta e le conclusioni che si basano su di essa non sono manifestamente illogiche, ne' si prestano ad una lettura alternativa. 7.10.Nessuno degli argomenti difensivi e' in tal senso persuasivo: (i) il fatto che il ricorrente, in assenza di specifici accordi scritti che la Corte di appello ha affermato non esistere, potesse disporre a suo piacimento del rapporto di lavoro del personale alle dipendenze di (OMISSIS) sollecitandone in qualche caso persino le dimissioni in vista della riassunzione presso altra societa' a lui riconducibile (la testimone (OMISSIS) aveva addirittura riferito di non aver mai cambiato ufficio) dimostra la piena signoria dell'imputato sulla societa' stessa della quale poteva disporre come voleva; (ii) la circostanza che (OMISSIS) fosse entrata in fase di stallo non le aveva impedito di svolgere attivita' di impresa che aveva determinato un consistente debito IVA; (iii) che il ricorrente avesse gestito il personale fino al (OMISSIS) e' circostanza introdotta da testimonianze delle quali non e' stato dedotto il travisamento nemmeno in appello e che non puo' piu' essere messa in discussione in questa sede; (iv) la gestione del rapporto di lavoro e' tipico atto gestorio e certamente da esso puo' desumersi valido argomento di prova se, come nel caso di specie, risulta che nessuno dei dipendenti conoscesse (o avesse mai conosciuto) il legale rappresentante della (OMISSIS); (v) la precostituzione di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla acquisizione di (OMISSIS) e' argomento che comunque non toglie sostanza all'informazione probatoria privilegiata in sede di merito; (vi) che il ricorrente non avesse preso parte alle operazioni di verifica e' circostanza coerente non il fatto che alla GdF egli non risultava essere il legale rappresentante della societa'; (vii) le vicende relative alla acquisizione e ai trasferimenti delle quote societarie non rilevano, come detto, ai fini della prova della effettiva gestione societaria e di certo non sono in contraddizione logica con la persistente gestione del personale da parte dell'imputato il quale, anche nell'odierno ricorso, omette di spiegare la natura decisiva di tale tema che continua a lamentare non essere stato adeguatamente esplorato, non apparendo tale la richiesta della contabilita' da parte dello (OMISSIS) e la gestione del conto della societa' che, al piu', possono prefigurare una cogestione di fatto (non esclusiva) della societa' stessa. (viii) peraltro, in termini generali, alla luce dei principi sopra indicati (§ 7.8), la tenuta della contabilita' non costituisce, di per se', atto gestorio dell'ente. Quando questa Corte ha ritenuto non irragionevole desumere l'amministrazione di fatto dall'attivita' manipolatoria (e, non dunque dalla semplice tenuta) dei bilanci e della contabilita', ha precisato che l'imputato, in quel caso, aveva prestato determinate garanzie personali alle banche, mostrando cosi' un concreto e diretto interesse nella conduzione della societa' e del concreto esercizio di un ruolo gestorio, confermato peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori (Sez. 3, n. 22413 del 2003, cit.). 7.11.Va infine ribadito che l'omesso esercizio dei poteri istruttori di cui all'articolo 603, comma 3, c.p.p., puo' essere sindacato, in fase di legittimita', qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577 - 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Rv. 258236; Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062; Sez. 2, n. 35987 del 17/06/2010, Rv. 248181; Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Rv. 213923; Sez. 6, n. 7519 del 05/06/1998, Rv. 211265; Sez. 1, n. 3622 del 11/01/1995, Rv. 201493; Sez. 1, n. 6911 del 29/04/1992, Rv. 190555). 7.12.Le considerazioni che precedono militano a favore della infondatezza anche del terzo motivo poiche' le allegazioni in fatto a sostegno della mancanza di dolo sono state ritenute insussistenti dalla Corte di appello (la gestione del personale fino al (OMISSIS)) e non erano comunque decisive (la dedotta tenuta della contabilita' ad opera di altri e il mancato coinvolgimento nella verifica fiscale). 7.13.Il sesto motivo e' inammissibile perche' generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimita'. 7.14.Il Tribunale aveva applicato al ricorrente la pena di due anni di reclusione, pari al medio edittale della pena all'epoca prevista per il reato di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, giustificando la maggiore severita' del trattamento sanzionatorio rispetto a quello riservato a (OMISSIS) sul rilievo che l'imputato era il vero dominus dell'intera operazione delittuosa "tramite la quale (aveva realizzato) un ingente risparmio di spesa, continuando la sua attivita' imprenditoriale, con la totale evasione delle imposte dovute all'Erario". Aveva inoltre negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo dell'assenza di elementi positivi di valutazione in tal senso. 7.15.In appello l'imputato aveva lamentato la disparita' di trattamento a fronte di un fatto identico non costituendo l'amministrazione di fatto una sorta di aggravante. Aveva inoltre chiesto l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, negate con motivazione illogica ed ingiusta. 7.16.La Corte di appello ha condiviso il ragionamento del primo Giudice in ordine alla diversita' dei ruoli disimpegnati dagli imputati ed ha negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo che nemmeno l'atto di appello aveva indicato specifici elementi a sostegno della attenuazione della pena (l'appello, insomma, era generico sul punto). 7.17.Come costantemente insegnato dalla Corte di cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino, Rv. 282839 - 01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020 - 01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880 - 01). 7.18.L'identita' del reato commesso in concorso con altra persona non costituisce, dunque, argomento persuasivo perche' prescinde completamente dal fatto che, a fronte dell'identita' del fatto, sta la diversita' delle persone che ne sono autrici e che rendono fisiologicamente diversa la misura del rimprovero. Sicche' non e' irragionevole, tantomeno paradossale la diversificazione dei ruoli e degli interessi che, anche solo sul piano del motivi a delinquere, giustifica la diversita' della sanzione. 7.19.Quanto alle circostanze attenuanti generiche, va ribadito che il loro diniego puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge n. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). 7.20.Peraltro, gia' prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza). 7.21.Ne consegue che l'obbligo di motivazione non sussiste tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori di una possibile attenuazione della pena (sulla necessita' della specificita' della richiesta, oltre le pronunce gia' citate, anche Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, Bagli, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, Trocarico, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dell'imputato o in caso, come quello di specie, di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460). 7.22.La affermazione della Corte di appello della mancata allegazione di specifici elementi di valutazione ai fini della attenuazione della pena (affermazione non contraddetta dal ricorrente) rende insindacabile la decisione presa sul punto. 8.Il ricorso di (OMISSIS). 8.1.Il ricorso e' infondato. 8.2.Quanto al dedotto travisamento degli elementi di prova che, a dire della ricorrente, provano l'inconsapevolezza della qualifica assunta e' sufficiente evidenziare che: a) in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente non allega i verbali delle prove a suo dire travisati ne' spiega se tale travisamento era stato dedotto in appello; b) la ricorrente neglige completamente gli argomenti addotti dalla Corte di appello a sostegno della piena consapevolezza del ruolo di legale rappresentante della (OMISSIS) formalmente assunto (cosi' come sintetizzati ai §§ 5.11-5.14 che precedono). 8.3.Quanto alla responsabilita' oggettiva e soggettiva della ricorrente, la Corte osserva quanto segue. 8.4.Il delitto di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000 e' reato omissivo proprio, istantaneo ed unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione (Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Costa, Rv. 251328; Sez. 3, n. 22045 del 21/04/2010, Perrone, Rv. 247636). Si tratta, inoltre, di delitto che puo' essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 22 luglio 1998, n. 322, cit.), e' obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa. Autore materiale dell'omissione puo' essere anche il soggetto incaricato della trasmissione (articolo 3, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998) o, in ipotesi, anche l'incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento, ma si tratta di ipotesi residuali. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilita' di commettere il reato, la sussistenza dell'obbligo della dichiarazione ed il fine di evasione restringono la platea dei possibili destinatari del precetto ad una cerchia ristretta e ben definita di soggetti. 8.5.Trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l'obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilita' di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volonta' dell'omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva. 8.6.La giurisprudenza della Corte di cassazione insegna che l'amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilita' penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850; cfr., altresi', Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225). 8.7.Trattandosi, pero', di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell'ente la sua responsabilita' omissiva non deriva dall'applicazione dell'articolo 40 cpv. c.p. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensi' dalla violazione dell'obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000. 8.8.Il reato in questione, inoltre, si consuma nel momento in cui scade il termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione, momento nel quale deve sussistere il dolo specifico di evasione il quale, a sua volta, presuppone la consapevolezza dell'ammontare delle imposte evase e non dichiarate, non richiedendo affatto la norma anche la coincidenza tra il soggetto gravato dell'obbligo dichiarativo e quello che ha posto in essere le operazioni imponibili. E' allora appena il caso di evidenziare che la ricorrente non ha mai affermato di essere inconsapevole dell'entita' delle imposte evase. 8.9.Non v'e' dubbio che il fine di evasione qualifica la condotta sul piano penale; ove venga accertata un'imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l'indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l'offesa degli interessi erariali e che giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Ma tale indagine non assorbe quella relativa all'accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell'obbligo dichiarativo violato e dell'entita' dell'imposta non dichiarata. Un'operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volonta' di non dichiarare al Fisco l'imposta dovuta, con l'ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli articoli 1, comma 2, e 5, comma 4, Decreto Legislativo n. 18 dicembre 1997, n. 441 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, gia' prevista dall'abrogato articolo 1, comma 1, Decreto Legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha gia' affermato non essere in continuita' normativa con l'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000 anche e proprio per la necessita' del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374). 8.10.Il reato e' illecito di modo; il dolo di evasione e' volonta' di evasione dell'imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l'accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli articoli 2 e 3, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il "dolo di omissione" non solo non puo' essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ma nemmeno puo' essere confuso con il dolo di evasione. La volonta' omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell'obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta. 8.11.Il dolo di evasione esprime l'autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L'inviolabilita' della liberta' personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura piu' grave tra l'atteggiamento antidoveroso dell'autore del fatto illecito, l'ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilita' della liberta' personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. E' proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceita' del fine e del mezzo. 8.12.La ricorrente postula l'insussistenza del dolo specifico quale conseguenza della inconsapevolezza della assunzione della carica ma il rilievo e', come detto, infondato. 8.13.Che la ricorrente fosse una mera (consapevole) "testa di legno" e' argomento che costituisce argomento di prova utilmente valutabile ai fini del dolo specifico di evasione posto che la deliberata scelta di abdicare ai propri doveri di amministratore in favore di gestori occulti dell'impresa puo' essere valutata, insieme con altri elementi, quale prova della consapevolezza di accedere ad un progetto illecito fatto proprio mediante la condotta omissiva. L'amministratore interposto non viola un dovere di vigilanza; egli semplicemente e puramente viola un dovere ricadente su di lui nella piena consapevolezza delle conseguenze e del fine della propria omissione antidoverosa. 8.14.Nel caso di specie, tale consapevolezza e' tratta dai Giudici di merito da elementi di fatto non validamente contraddetti in questa sede. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02-10-2020 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ZUNICA Fabio; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DALL'OLIO Marco, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni rassegnate dall'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia dell'imputato, il quale ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19 giugno 2018, il Tribunale di Pesaro condannava (OMISSIS) alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, a lui contestato (capo A) perche', quale Presidente del C.d.A. dal 15 gennaio 2009 della societa' " (OMISSIS) s.p.a.", ometteva di versare l'iva dovuta, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta 2012, per un ammontare di Euro 325.434; in (OMISSIS). L'imputato veniva invece assolto, perche' il fatto non sussiste, dalla contestazione (capo B) riferita al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis. Con sentenza del 2 ottobre 2020, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata sia dall'imputato che dal Procuratore generale presso la Corte territoriale, disponeva la confisca, diretta o per equivalente, nei confronti dell'imputato fino all'importo di Euro 210.041,28, confermando nel resto la decisione di primo grado. 2. Avverso la sentenza del Corte di appello marchigiana, (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi. Con il primo, la difesa deduce il vizio di motivazione, il travisamento della prova e l'omesso esame dei motivi di appello, non essendosi la sentenza impugnata confrontata con le prove offerte, da cui risulta che il ricorrente, nonostante il fallimento, si e' privato delle uniche risorse di cui disponeva, per cui dovevano essere riconosciute la forza maggiore e la mancanza del dolo. Con il secondo motivo, viene censurata la mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, non avendo i giudici di appello considerato, in violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 53, che il debito erariale era stato nelle more pagato per 115.392,72 Euro e che era stata concessa la sospensione condizionale della pena, per cui doveva ritenersi contraddittoria la motivazione circa la mancanza di un "adeguato coefficiente di capacita' dissuasiva". Con il terzo motivo, la difesa lamenta la violazione degli articolo 45, 54 c.p. e del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis rimarcando l'assenza di illiceita' della condotta di (OMISSIS), il quale ha assicurato ai dipendenti il loro sostentamento, fino alla data del fallimento, per cui doveva ritenersi carente l'elemento soggettivo del reato. Con il quarto motivo, viene contestata la mancata considerazione di elementi decisivi al fine di confermare l'esistenza di un'effettiva impossibilita' di superare una crisi non imputabile al ricorrente, essendo state ignorate le prove, sia orali che documentali, da cui emerge che l'imprenditore, pur con le sue limitatissime disponibilita', ha sempre provveduto al pagamento delle retribuzioni, essendo pertanto impossibilitato all'adempimento delle obbligazioni tributarie. Con il quinto motivo, la difesa si duole dell'omesso esame dei documenti acquisiti in ordine all'impegno assunto dall'imputato per sostenere l'azienda, dell'omessa valutazione di documentazione del 27 settembre 2020 e il travisamento delle testimonianze rese il 27 marzo e il 19 giugno 2018. In tal modo, la Corte di appello avrebbe ignorato l'impegno assunto da (OMISSIS) per sostenere l'azienda, anche rinunciando ai compensi e alle proprie risorse funzionali di cui poteva disporre e degli unici beni di cui disponeva per finanziare la societa'. Con il sesto motivo, oggetto di doglianza e' la statuizione sulla confisca, osservando la difesa che non sono sottoponibili alla misura ablatoria i beni meramente futuri, non essendo la confisca per equivalente suscettibile di proiezione sul futuro, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimita' (il riferimento, tra le altre, e' a Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, Rv. 256164). In subordine, si chiede che la questione sia rimessa alle Sezioni Unite. 2.1. Con motivi aggiunti pervenuti l'8 marzo 2022, la difesa ha ribadito la manifesta fondatezza del secondo motivo relativo alla mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, avendo la Corte territoriale fatto ricorso a considerazioni generiche, senza rapportarsi al caso concreto, riguardante un imputato incensurato che ha ridotto il debito fiscale da 325.434 Euro a 115.392,72 Euro, tanto e' vero che e' stato ritenuto meritevole della sospensione condizionale della pena. 2.2. Con memorie pervenute l'11 marzo 2022, il 29 novembre 2022 e il 9 gennaio 2023, l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia (OMISSIS), ha insistito nell'accoglimento del ricorso, sviluppandone ulteriormente le argomentazioni. 3. L'iniziale udienza fissata dinanzi a questa Corte il 29 marzo 2022 veniva differita in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione se l'articolo 578 bis c.p.p. fosse o meno applicabile anche alla confisca per reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore del medesimo articolo 578 bis c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO E' fondato unicamente il secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento imporrebbe l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ma, avuto riguardo al tempus commisi delicti, la pronuncia gravata deve essere annullata senza rinvio, essendo il residuo reato di cui al capo A estinto per prescrizione, con conseguente revoca della disposta confisca. 1. Premesso che il primo, il terzo, il quarto e il quinto motivo sono suscettibili di essere trattati unitariamente, perche' tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve ritenersi che la conferma da parte della Corte di appello dell'affermazione della responsabilita' penale dell'imputato operata dal primo giudice in ordine al reato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 10 ter non presenta vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. Occorre in primo luogo evidenziare che non e' in discussione la componente oggettiva del fatto contestato, essendo pacifico che (OMISSIS), quale legale rappresentante della societa' " (OMISSIS) s.p.a.", ha omesso di versare l'iva dovuta, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta 2012, per un ammontare di Euro 325.434. Il tema controverso riguarda piuttosto l'asserita scusabilita' della condotta omissiva che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe dipesa da circostanze indipendenti dalla volonta' dell'imputato, il quale, nonostante la grave crisi di liquidita', avrebbe posto in essere una serie di iniziative mirate a garantire la continuita' aziendale, provvedendo anche a pagamenti parziali del debito erariale. La questione e' stata gia' adeguatamente affrontata dalla Corte di appello, che nel richiamare e nello sviluppare le pertinenti considerazioni gia' espresse dal Tribunale, si e' posta in sintonia con la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263128 e Sez. 3, n. 20266 dell'8/4/2014, Rv. 259190), secondo cui l'imputato puo' invocare l'assoluta impossibilita' di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilita' penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilita' a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto della impossibilita' di fronteggiare la crisi di liquidita' tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto, occorrendo in definitiva la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidita', quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta' e a lui non imputabili, essendosi altresi' precisato (cfr. Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909) che, in tema di reati tributari, l'omesso versamento dell'iva dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 ter, atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore e' riconducibile all'ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi. 1.1. Alla luce di tale premessa, devono escludersi le lacune argomentative dedotte dalla difesa, avendo i giudici di merito escluso la configurabilita' di una situazione di effettiva impossibilita' rispetto al mancato versamento dell'Iva, non risultando adeguatamente comprovato il compimento da parte dell'imputato di iniziative idonee a consentire l'assolvimento degli oneri fiscali, essendosi rimarcata, da un lato, l'assenza di un contributo dichiarativo di (OMISSIS) in grado di spiegare, nel contraddittorio, cause e sviluppo della crisi finanziaria della sua impresa, e dall'altro, l'inidoneita' delle fonti dimostrative veicolate dalla difesa a comprovare una condizione di oggettiva inesigibilita' della prestazione erariale, non potendosi sottacere che il fallimento della societa' e' stato dichiarato solo nel 2018, cioe' 5 anni dopo i fatti di causa, e cio' senza considerare che, come sottolineato anche dal Tribunale, all'epoca della scadenza del "termine lungo" per il versamento dell'Iva, erano comunque disponibili i fondi necessari per adempiere il pagamento dell'Iva, fondi che sono stati impiegati per esigenze differenti, come quella di pagare i dipendenti, esigenza questa senz'altro meritevole di apprezzamento sul piano sanzionatorio (all'imputato sono state riconosciute le attenuanti generiche e la sospensione condizionali della pena), ma non idonee in quanto tali a escludere la rilevanza penale dell'omesso versamento dell'Iva, per un importo (in tal caso non poco) superiore alla soglia di punibilita'. Ne consegue che non vi e' spazio per l'accoglimento delle censure in punto di responsabilita'. 3. Passando al sesto motivo, se ne deve rimarcare anche in tal caso l'infondatezza, avendo la Corte di appello legittimamente disposto, richiamando in tal senso la L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, articolo 322 bis c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, la confisca del profitto del reato di omesso versamento dell'iva dovuta, costituito nel caso di specie dalla differenza tra l'importo dell'iva non versata (Euro 325.434) e quello corrisposto a seguito della rateizzazione (Euro 115.392,72), fissando la somma corrispondente in Euro 210.041,28. Correttamente e' stata ritenuta non decisiva dai giudici di secondo grado l'assenza di un precedente sequestro della somma oggetto di confisca, cio' in coerenza con l'affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Rv. 259661), secondo cui, in tema di confisca per equivalente, il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, puo' emettere il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessita' della individuazione specifica dei beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell'esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare. Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva riguardante la confisca. 4. Meritevole di accoglimento e' invece il secondo motivo: deve rilevarsi al riguardo che, nel rigettare la richiesta di conversione della pena detentiva, la Corte di appello ha escluso la sussistenza dei relativi presupposti "non rinvenendosi negli effetti dell'invocata conversione un adeguato coefficiente di capacita' dissuasiva, componente necessaria della finalita' risocializzante della pena sostitutiva". Orbene, tale motivazione risulta oggettivamente incongrua, non essendo state illustrate le ragioni che, in concreto, avrebbero giustificato il diniego della richiesta difensive, risultando assertive e generiche le considerazioni espresse sul punto nella sentenza impugnata, e tanto anche in considerazione del fatto che almeno una parte del debito erariale era stata corrisposta, per cui non era neanche formulabile, in termini ragionevolmente plausibili, una prognosi di inadempimento dell'onere economico da fissare a carico del condannato. Sul punto si ravvisa quindi un profilo di illegittimita' della sentenza impugnata, dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 46432 del 21/09/2018, Rv. 273932), secondo cui incorre nel vizio di motivazione e nella violazione della L. n. 689 del 1981, articoli 53 e 58 il giudice di secondo grado che, investito di motivi di appello con i quali si chiede la conversione della pena detentiva breve in pena pecuniaria ex articolo 53 della stessa legge, non fornisca adeguata motivazione. in merito alla mancata conversione. L'accoglimento del secondo motivo imporrebbe l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale competente, ma deve prendersi atto che, nelle more, e' maturata la prescrizione dei residuo reato di cui al capo A, commesso il 28 dicembre 2013. Non applicandosi al delitto Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 10 ter, il regime di cui all'articolo 17 comma 1 bis del medesimo decreto, la prescrizione massima si computa in 7 anni e 6 mesi, cui vanno aggiunti i 94 giorni di sospensione maturati nel giudizio di primo grado, con la conseguenza che il termine finale di prescrizione risulta maturato il 2 novembre 2022. 4. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio, per essere il residuo reato di cui al capo A estinto per prescrizione. Alla declaratoria di estinzione del reato deve far seguito la revoca della confisca del profitto del reato disposta dalla Corte di appello ex articolo 322 ter c.p. in accoglimento del ricorso del Procuratore generale di Ancona, risalendo i fatti per cui si e' proceduto al 2013, dunque a epoca antecedente all'introduzione dell'articolo 578 bis c.p.p., secondo cui, quando e' stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dall'articolo 240 bis c.p., comma 1 e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'articolo 322 ter c.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato. Al riguardo deve infatti applicarsi il principio di diritto elaborato di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Rv. 284209), secondo cui la disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p., introdotta dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, e' inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Revoca la confisca disposta dalla predetta sentenza.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/03/2022 della Corte d'appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato generale (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito, per il ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 1 marzo 2022, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, per quanto di interesse in questa sede, ha: -) confermato nei confronti di (OMISSIS), la dichiarazione di non doversi procedere per estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, e L. n. 689 del 1981, articolo 4, comma 1, fino al 10 luglio 2009 (capo B); -) dichiarato nei confronti del medesimo (OMISSIS), di non doversi procedere per estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, e L. n. 689 del 1981, articolo 4, comma 1, per i fatti successivi al 10 luglio 2009 (ancora capo B), in riforma della sentenza di condanna in primo grado; -) confermato nei confronti di (OMISSIS), la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui all'articolo 323 c.p. (capo G). Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito: -) (OMISSIS), avrebbe commesso fatti sussumibili nella fattispecie di finanziamento illecito per aver percepito la somma di 800.000,00 Euro, versata in piu' rate, corrisposte tra il (OMISSIS), allorche' egli era membro del Parlamento in carica, mediante erogazioni formalmente effettuate in favore della " (OMISSIS) s.p.a.", di cui era l'effettivo dominus, sulla base di contratti simulati e privi di causa, con fondi provenienti dal patrimonio delle societa' " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l." e " (OMISSIS) s.r.l.", in difetto di deliberazione dell'organo societario e di regolare iscrizione dei contributi nel bilancio delle societa' concedenti; -) (OMISSIS), avrebbe commesso fatti sussumibili nella fattispecie di abuso d'ufficio per avere, nella qualita' di presidente della Giunta regionale della Sardegna, concorso a deliberare la nomina di (OMISSIS), alla carica di direttore generale dell'ARPA Sardegna, senza alcuna effettiva valutazione di merito comparativa, in violazione, in particolare, dell'articolo 10 della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, prevedente, per tale nomina, l'adozione di una procedura ad evidenza pubblica. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto a firma degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), e (OMISSIS), con atto a firma dell'avvocato - (OMISSIS). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' articolato in due motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia erronea applicazione della legge penale, in riferimento alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., avuto riguardo alla mancata assoluzione dell'imputato perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. Si deduce, in primo luogo, che la Corte di appello ha applicato illegittimamente la disposizione di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, in quanto, per la configurabilita' di tale reato, i finanziamenti debbono essere devoluti a partiti politici o a loro articolazioni politico-organizzative, mentre la " (OMISSIS) s.p.a.", soggetto beneficiario dei contributi, non e' assimilabile ad un'organizzazione politica, e pertanto l'eventuale estensione della portata applicativa di tale previsione incriminatrice darebbe vita ad un'analogia in malam partem, vietata nell'ordinamento penalistico. Si rileva, inoltre, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto il finanziamento effettuato a favore della " (OMISSIS) s.p.a." produttivo di un ingiusto vantaggio patrimoniale per il ricorrente, nella sua qualita' di socio e dominus dell'impresa, in quanto il medesimo, dalla sua partecipazione alla indicata societa', ha ricavato solo debiti che lo hanno costretto a rilasciare la sua fideiussione per compensare le perdite societarie. Si deduce, in secondo luogo, che la Corte di appello ha fatto un'applicazione errata anche della norma di cui alla L. n. 659 del 1981, articolo 4, il cui comma 6, letto in combinato disposto con dalla L. n. 689 del 1981, articolo 32, rende evidente che il contributo erogato al singolo parlamentare non integra un fatto previsto dalla legge come reato, ma solo un illecito amministrativo. Si osserva, inoltre, che, secondo la stessa sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe beneficiato della somma ricevuta in qualita' di socio e dominus della " (OMISSIS) s.p.a.", non, quindi, quale membro della Camera dei deputati. 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avuto riguardo alla omessa motivazione circa la consapevolezza, da parte dell'attuale ricorrente, della provenienza del contributo da societa' e del difetto delle necessarie deliberazioni degli organi sociali di queste ultime. Si deduce che la sentenza impugnata in motivazione si e' concentrata esclusivamente sulla destinazione del contributo economico contestato, omettendo di confrontarsi con le censure formulate con l'atto di appello, le quali rilevavano l'assenza di prova circa la conoscenza da parte del ricorrente delle modalita' con cui il denaro sarebbe stato procurato alla " (OMISSIS) s.p.a.". Si aggiunge che la sentenza impugnata ha anche omesso di motivare in merito al motivo di gravame evidenziante il difetto di conoscenza, da parte dei titolari delle societa' le quali avevano erogato le somme pervenute alla " (OMISSIS) s.p.a.", sulla destinazione delle stesse in favore di (OMISSIS) o di enti a questo collegati. Si richiamano, in particolare, le deposizioni di due testimoni a dibattimento, dalle quali si evince che i titolari delle societa' da cui provenivano le somme ritenute costituire l'oggetto del finanziamento illecito, avevano erogato in favore di (OMISSIS), 7.250.000,00 Euro nella convinzione che tale somma fosse destinata ad un progetto eolico da sviluppare in Sardegna, senza immaginare che una parte di quel denaro sarebbe stata destinata alla " (OMISSIS) s.p.a.". 4. Il ricorso di (OMISSIS), e' articolato in tre motivi. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avuto riguardo alla affermazione di sussistenza del fatto ascritto all'attuale ricorrente. Si deduce che illegittimamente la Corte di appello ha omesso di rispondere al motivo di gravame con cui erano stati evidenziati la mancata violazione da parte dell'imputato dell'articolo 10 legge Regione Sardegna n. 6 del 2006, nonche' il rigoroso rispetto della disciplina normativa che regolava il procedimento di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna. Si segnala che questo procedimento, come gia' rappresentato con l'atto di appello, era costituito da: -) una prima fase, ad evidenza pubblica, gestita da una commissione composta da dirigenti e funzionari pubblici con il compito di esaminare i titoli dei candidati al fine di formare un elenco di soggetti in possesso dei requisiti per essere scelti dalla Giunta regionale per lo specifico incarico di direttore generale; -) una seconda fase nella quale la Giunta Regionale procedeva alla "scelta" del soggetto ritenuto piu' idoneo tra i candidati inseriti nell'elenco. Si sottolinea che il vocabolo "scelto", impiegato dall'articolo 10, comma 2, legge reg. Sardegna n. 6 del 2006 esclude il dovere di individuare il nominando sulla base di "criteri oggettivi"; l'unico vincolo attiene alla necessita' di selezionare il nominando tra le persone incluse nell'elenco formato dalla commissione tecnica. Si precisa che la persona "scelta", l'ingegnere (OMISSIS), era in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge, avendo anche ricoperto l'incarico di direttore dell'ARPA in sede provinciale, e che avverso la nomina non e' stata proposta alcuna impugnazione. Si aggiunge che una conferma della natura fiduciaria della scelta relativa al direttore generale dell'ARPA Sardegna e' inferibile dalla previsione della conferma o revoca della persona preposta a tale incarico entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, a norma del combinato disposto dell'articolo 10, comma 8, legge reg. Sardegna n. 6 del 2006 e 28, comma 9, legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli articoli 323 c.p. e 192 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio. Si deduce che difettano sia la prova concernente l'elemento dell'ingiustizia dell'evento o del vantaggio, sia la prova del dolo intenzionale. In particolare, si osserva che l'ingiustizia del vantaggio del reato di abuso d'ufficio non si identifica nell'ingiustizia della condotta (si citano Sez. 6, n. 10133 del 17/02/2015, Scassellati, Rv. 262800-01, e Sez. 6, n. 17676 del 18/03/2016, Florio, Rv. 267171-01), e che, nella specie, la persona nominata, l'ingegner (OMISSIS), era persona altamente qualificata. 4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all' articolo 2, comma 2, e articolo 323 c.p., a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo al mancato rispetto della disciplina in tema di successione nel tempo di leggi penali. Si deduce che, a seguito della modifica introdotta dall'articolo 23 Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, e' stato ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalita' (si cita Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296-01). Si rileva che la norma della legge regionale che si assume violata e' stata frutto di numerose interpretazioni, anche da parte della stessa Corte di appello di Roma, ed e' pertanto da considerare fonte di una disciplina su cui residuano margini di discrezionalita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono nel complesso infondati per le ragioni di seguito precisate. 2. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato con riferimento alle censure formulate nel primo motivo ed inammissibile relativamente alle censure esposte nel secondo motivo. 3. Complessivamente infondate sono le censure enunciate nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la configurabilita' del reato di ricezione di finanziamenti illeciti, deducendo che la L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, sanziona penalmente solo le erogazioni devolute a partiti politici o a loro articolazioni politico-organizzative, mentre della L. 18 novembre 1981, n. 659, articolo 4, relativo alle erogazioni alle persone fisiche, tipizza un mero illecito amministrativo, e che inoltre, il ricorrente, in concreto, non ha ricevuto vantaggi dal versamento, o comunque li ha ricevuti come dominus di una societa' privata. 4. Il primo ordine dei rilievi formulati nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), in sostanza, si fonda sull'assunto secondo cui le erogazioni dei soggetti di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, tra cui, come nella specie, le societa' private, in favore delle persone fisiche indicate della legge n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, costituiscono mero illecito amministrativo, perche' vietate dal solo articolo 4 della L. n. 659 del 1981, depenalizzato a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 32. 4.1. Puo' essere utile, per maggiore chiarezza, riportare i dati normativi. La L. n. 195 del 1974, articolo 7, nel testo vigente, dispone: "Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di societa' con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di societa' controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Sono vietati altresi' i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di societa' non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dallo organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle societa' di cui al comma 2, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della societa' stessa, e' punito, per cio' solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge". La L. n. 659 del 1981, articolo 4, nel testo vigente, statuisce: "I divieti previsti dalla L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici. Nel caso di contributi erogati a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari in violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, dei divieti previsti dall'articolo 7 della L. 2 maggio 1974, n. 195, l'importo del contributo statale di cui all'articolo 3 della stessa legge e' decurtato in misura pari al doppio delle somme illegittimamente percepite. Nel caso di erogazione di finanziamenti o contributi ai soggetti indicati nella L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, e nel comma 1 del presente articolo, per un importo che nell'anno superi i cinque milioni di lire, sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, il soggetto che li eroga ed il soggetto che li riceve sono tenuti a farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzato con raccomandata con avviso di ricevimento. La disposizione non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari. Nell'ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera l'obbligo della dichiarazione e' posto a carico del solo soggetto che li percepisce. L'obbligo di cui al terzo e comma 4 deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento. Nel caso di contributi o finanziamenti erogati dallo stesso soggetto, che soltanto nella loro somma annuale superino l'ammontare predetto, l'obbligo deve essere adempiuto entro il mese di marzo dell'anno successivo. Chiunque non adempie gli obblighi di cui al terzo, quarto e comma 5 ovvero dichiara somme o valori inferiori al vero e' punito con la multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e con la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici prevista dall'articolo 28 c.p., comma 3. 4.2. Nell'esaminare il significato e i rapporti tra le due disposizioni, la giurisprudenza, gia' da lungo tempo, ha chiarito che la sanzione amministrativa prevista dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, in relazione alla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 32, comma 1, la quale punisce l'inadempimento dell'obbligo, da parte del soggetto che eroga il finanziamento e del soggetto che li riceve, di farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzata con raccomandata con avviso di ricevimento, non vale a rendere inoperante il disposto dalla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 3. A fondamento di questa conclusione, si e' segnalato che, mentre della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, si riferisce esclusivamente a contributi erogati dalle societa' di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 2, (oltre che da altre figure soggettive) regolarmente deliberati ed iscritti in bilancio e in cui manchi soltanto la dichiarazione congiunta (in caso contrario, la previsione normativa farebbe carico all'erogante ed al percipiente di un obbligo di denuncia di un fatto costituente reato), la norma della Legge del 1974 riguarda proprio la violazione di quei precetti posti a tutela della trasparenza e che giustifica un regime esclusivo per le societa', rispetto alle quali soltanto hanno motivo di porsi sia la delibera assembleare sia l'iscrizione in bilancio (cosi', segnatamente, Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, Armanini, Rv. 199994-01, nonche' Sez. 6, n. 9354 del 19/09/1997, Paolucci, Rv. 210302-01, ma anche, in motivazione, Sez. 5, n. 10041 del 13/06/1998, Altissimo, massimata per altro, nonche', di recente, Sez. 5, 25251 del 12/02/2021, Corona, non massimata). E la configurabilita' del reato di cui al combinato disposto della L. n. 195 del 1974, articolo 7 e della L. n. 659 del 1981, articolo 4, con riferimento ai finanziamenti o contributi erogati alle persone fisiche indicate dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, da parte degli enti e societa' di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 1 e 2, non risulta essere mai stata messa in discussione dalla successiva giurisprudenza fino alle pronunce piu' recenti. Si pensi, ad esempio, alle decisioni riguardanti somme versate al candidato alla carica di sindaco di un Comune (Sez. 6, n. 16781 del 21/10/2021), ovvero al membro del Parlamento e segretario di un partito politico (Sez. 6, n. 37624 del 14/06/2019, Naro, Rv. 277199-01), ovvero al consigliere provinciale candidato al Parlamento nazionale (Sez. 3, n. 38009 del 11/06/2013, Vindimian, Rv. 256854-01). 4.3. Gli approdi della giurisprudenza in argomento risultano, ad avviso del Collegio, condivisibili. 4.3.1. Innanzitutto, non sembra configurabile un rapporto di specialita' tra le due fattispecie, quella di cui al combinato disposto della L. n. 195 del 1974 articolo 7 e della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e quella di cui alla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, perche' i fatti da esse previsti appaiono diversi nella loro conformazione strutturale. In effetti, come ripetutamente osservato in giurisprudenza, il criterio di specialita' ex articolo 15, c.p., richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (cfr., per tutte, Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864-01, nonche', di recente, Sez. 3, n. 3241 del 11/10/2022, dep. 2023, C., in corso di massimazione, la quale ha precisato che sussiste relazione di continenza tra due norme solo nel caso in cui sia possibile sostenere, a seguito del raffronto tra norme stesse, che per realizzare la fattispecie astratta prevista da una delle due previsioni evocate dal fatto sia sempre necessario passare per la realizzazione della fattispecie prevista dall'altra, l'una contenendo l'altra, con in piu' un elemento specializzante). Ora, il fatto contemplato dal combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7, ha ad oggetto i finanziamenti erogati da organi della pubblica amministrazione, da enti pubblici, da societa' con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di societa' controllate da queste ultime, ovvero da societa' diverse da quelle appena indicate le quali non ne abbiano deliberato la corresponsione con delibera dell'organo sociale competente o non li abbiano regolarmente iscritti in bilancio, sia a partiti politici, loro organizzazioni politico-organizzative e gruppi parlamentari, sia, "anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici". Il fatto contemplato dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, invece, ha ad oggetto la violazione degli obblighi concernenti la presentazione di una dichiarazione congiunta del soggetto erogante e del soggetto ricevente da depositare o indirizzare alla Presidenza della Camera dei deputati, da adempiere "entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento", e in relazione a qualunque erogazione, "per un importo che nell'anno superi i cinque milioni di lire", da chiunque effettuata, anche se proveniente da una persona fisica o da una societa' la quale la abbia regolarmente deliberata e ne abbia dato conto in bilancio. 4.3.2. Sotto altro profilo, poi, viene in rilievo un ulteriore argomento di natura sistematica. Invero, come gia' osservato dalla giurisprudenza, l'obbligo di dichiarazione congiunta a carico del soggetto erogante e del soggetto ricevente i finanziamenti alla Presidenza della Camera puo' riguardare solo contributi diversi da quelli previsti della L. n. 195 del 1974, articolo 7, perche', in caso contrario, si risolverebbe in un dovere di auto-denuncia. 4.3.3. Puo' quindi concludersi, per quanto di specifico interesse in questa sede, che le condotte di erogazione e di ricezione di finanziamenti e contributi in qualsiasi forma o modo corrisposti da societa' senza partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o non controllate da queste ultime, "anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici", costituiscono reato punito con le sanzioni previste dalla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 3, quando gli indicati finanziamenti o contributi non sono stati deliberati dall'organo sociale competente o non sono stati regolarmente iscritti in bilancio. 5. Posto che le erogazioni dei soggetti di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, effettuate, "anche indirettamente", ai membri del Parlamento nazionale costituiscono illecito penale, pure il secondo ordine di rilievi formulati nel primo motivo del ricorso di Densi (OMISSIS), concernente l'omessa ricezione di vantaggi da parte del ricorrente, o comunque la loro ricezione nella qualita' di dominus di una societa' privata, e non di membro del Parlamento, risulta infondato. 5.1. La sentenza impugnata osserva che, pur volendo riconoscere che la somma di denaro erogata da societa' private sia rimasta nella disponibilita' delle casse sociali della " (OMISSIS) s.p.a.", questa somma ha comunque aumentato il patrimonio sociale di tale impresa e ha determinato un vantaggio patrimoniale anche in favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della precisata societa', oltre che fideiussore personale per la stessa. Per completezza, la vicenda, come descritta dalla Corte d'appello, e' la seguente: -) con contratto preliminare stipulato in data 8 settembre 2004, (OMISSIS) ed altro soggetto si erano impegnati a cedere alla " (OMISSIS) s.p.a." la loro quota in "NTE s.r.l.", pari al 20 % del capitale di questa seconda impresa, oltre ad altre quote che si impegnavano ad acquistare da altri soci, e ricevevano in cambio dalla " (OMISSIS) s.p.a." la somma pattuita di 800.000,00 Euro; -) successivamente, e per cinque anni, (OMISSIS) e l'altro promittente venditore non avevano ottemperato all'obbligo di cedere le quote, ma mai nessuna azione era stata intrapresa dalla " (OMISSIS) s.p.a." per ottenere l'adempimento o la restituzione delle somme versate; -) in data 5 giugno 2009, la " (OMISSIS) s.p.a." aveva stipulato una scrittura privata con cui cedeva ad altri soggetti la propria posizione contrattuale relativa al contratto preliminare dell'otto settembre 2004, e in esecuzione di tale contratto del 5 giugno 2009, aveva ricevuto la somma di Euro 800.000,00 in piu' rate con versamenti effettuati su un conto corrente della " (OMISSIS) s.p.a." acceso presso il (OMISSIS) di cui era presidente e dominus (OMISSIS); -) la somma di Euro 800.000,00 pervenuta alla " (OMISSIS) s.p.a." in esecuzione del contratto del 5 giugno 2009 proveniva, per il tramite di (OMISSIS), dalle societa' " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l." e " (OMISSIS) s.r.l.", in difetto di deliberazione dell'organo societario e di regolare iscrizione dei contributi nel bilancio delle societa' concedenti. 5.2. L'affermazione della Corte d'appello, secondo cui l'erogazione di finanziamenti per l'importo di 800.000,00 Euro alla " (OMISSIS) s.p.a.", cosi' da aumentarne il patrimonio sociale, ha determinato un vantaggio patrimoniale anche in favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della societa', oltre che fideiussore personale per la stessa, integra gli estremi della fattispecie di cui al combinato disposto della articolo 4, comma 1, L. n. 659 del 1981 e dell'articolo 7 L. n. 195 del 1974, e' corretta. Secondo quanto precisato dalla L. n. 659 del 1981articolo 4, comma 1, la fattispecie di reato prevista dal combinato disposto tra essa e l'articolo 7 cit. riguarda i finanziamenti e i contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale (...)". E l'indicazione secondo cui il versamento dell'importo di 800.000,00 Euro alla " (OMISSIS) s.p.a." deve ritenersi diretta anche a favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della societa', oltre che fideiussore personale per la stessa, equivale esattamente ad affermare che l'operazione costituisce erogazione di contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente," ad un membro del Parlamento nazionale. Ne' tale valutazione e' contestabile in questa sede sotto il profilo della ricostruzione del fatto, anche laddove si afferma che il versamento delle somme indicate ha costituito una erogazione anche in favore di (OMISSIS), in quanto il reato e' ormai estinto per prescrizione, come gia' dichiarato in parte dal Tribunale, e per la parte residua dalla Corte d'appello, e non essendo pendenti questioni concernenti l'azione civile o la confisca. Invero, secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). 5.3. Ancora, non e' risolutivo il rilievo secondo cui l'attuale ricorrente avrebbe beneficiato dell'erogazione non quale membro del Parlamento, ma quale socio e dominus della " (OMISSIS) s.p.a.". In proposito, infatti, risulta dirimente osservare che la fattispecie di cui al combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7, non attribuisce rilievo alle ragioni per le quali vengono erogate le somme, ma alla sola qualita' soggettiva del ricevente, senza prevedere alcuna connessione funzionale tra la dazione e tale qualita'. L'articolo 4, primo comma, cit., infatti, precisa, con formula estremamente ampia, che il divieto concerne i finanziamenti e i contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale (...)". Questa soluzione ermeneutica, inoltre, appare pienamente coerente con l'interesse tutelato dalla fattispecie. In particolare, relativamente all'ipotesi di erogazioni non deliberate dall'organo sociale competente o non regolarmente iscritte in bilancio, come nel caso di specie, si e' piu' volte rilevato in giurisprudenza che, "(c)on la fattispecie di finanziamento societario occulto, il legislatore ha (...) inteso tutelare la trasparenza delle fonti di finanziamento dei partiti politici a garanzia di un corretto esercizio del potere sovrano di concorrere a determinare la politica nazionale; la ratio della fattispecie e', dunque, ravvisabile nell'interesse dei cittadini a conoscere i reali rapporti tra i detentori del potere economico e i partiti o i singoli membri del Parlamento" (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 11835 del 08/02/2022, Carrai, massimata per altro, e Sez. 2, n. 14791 del 21/03/2000, Martelli, Rv. 224139-01). Ora, se il divieto penalmente sanzionato e' diretto a tutelare l'interesse dei cittadini a conoscere i reali rapporti tra i detentori del potere economico e anche i singoli membri del Parlamento, l'esigenza in questione risulta immutata indipendentemente dalla causale dell'erogazione: cio' che conta e' che la dazione e' stata occultata, e che, quindi, non e' stata resa conoscibile l'esistenza del rapporto economico tra il singolo membro del Parlamento e colui che gli corrisponde i finanziamenti o i contributi. 6. Le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) contestano l'omesso esame delle censure formulate nell'atto di appello con riguardo al difetto di prova in ordine alla consapevolezza sia dell'attuale ricorrente circa la provenienza del denaro da societa' private le quali avevano effettuato le erogazioni in violazione degli obblighi previsti dal combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7 sia dei titolari delle societa' di erogare contributi ad un membro del Parlamento nazionale. Secondo quanto espressamente puntualizzato dalla Corte d'appello, "non puo' ritenersi provata la mancanza della consapevolezza in capo all'imputato (OMISSIS), della provenienza del denaro secondo i meccanismi sopra descritti, atteso che dalle risultanze istruttorie acquisite e' emerso che il (OMISSIS) avesse sempre comunicato con i suoi interlocutori e fosse sempre stato tenuto al corrente dei passaggi formali e delle operazioni compiute". La ricostruzione fattuale appena indicata non puo' essere censurata in questa sede, attesa l'intervenuta estinzione del reato per cui si procede per prescrizione, Invero, come gia' osservato in precedenza, al § 5.2, secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). Deve inoltre aggiungersi che, ai fini della configurabilita' della fattispecie contestata nei confronti del "ricevente", e' irrilevante accertare la consapevolezza dei titolari delle societa' di erogare contributi ad un membro del Parlamento nazionale, perche', come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza, la struttura del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, non richiede la concorrente consapevolezza dell'erogatore e del percettore dell'illiceita' del finanziamento, attese all'autonomia della responsabilita' dei soggetti (cfr., in proposito: Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271282-01; Sez. 3, n. 2378 del 21/06/1996, Vizzini, Rv. 205805-01; Sez. 3, n. 5611 del 17/04/1996, Albanese, Rv. 20547201; Sez. 6, n. 5531 del 27/03/1996, Spisani, Rv. 205011-01; Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, Armanini, Rv. 199995-01). 7. Il ricorso di (OMISSIS), e' infondato con riferimento alle censure formulate in tutti e tre i motivi del ricorso. 8. Infondate sono le censure enunciate nel primo e nel terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), da esaminare congiuntamente, perche' tra loro strettamente connesse, le quali contestano la configurabilita' del reato di abuso di ufficio, anche in applicazione della nuova disciplina della fattispecie di cui al articolo 323 c.p., recata dal Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, deducendo che la condotta, costituita dall'adozione dell'atto di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna, non integra una violazione di legge puntuale, o comunque e' stata espressione di esercizio di discrezionalita' amministrativa, in quanto si trattava di una scelta rimessa ad una insindacabile valutazione della Giunta regionale, in ragione di quanto previsto, in particolare, dagli articoli 10 legge reg. Sardegna n. 6 del 2000, e 28 legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 8.1. Occorre premettere che, come osserva il ricorrente, le censure relative alla configurabilita' di una fattispecie sussumibile nel tipo previsto dall'articolo 323 c.p. debbono essere valutate alla luce della formulazione della disposizione appena indicata come risultante per effetto della riforma recata dall'articolo 23 Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76. Invero, la nuova disciplina e' sicuramente piu' favorevole all'imputato, perche' fissa in termini piu' specifici e "ristretti" la condotta penalmente rilevante, ed e' quindi applicabile a norma dell'articolo 2 c.p., comma 4. Infatti, mentre la precedente formulazione dell'articolo 323 c.p. sanzionava il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che agiva "in violazione di norme di legge o di regolamento", o di doveri di astensione, il 13 nuovo testo punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che agisce "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'", o di doveri di astensione. E in questo senso e' orientata in modo ormai consolidato la giurisprudenza di legittimita'. Costituisce infatti principio ripetutamente ribadito quello secondo cui, in tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando l'abolitio criminis delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalita', sicche' deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'articolo 97, comma 3, Cost. (cosi', tra le tante, Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359-01, e Sez. 6, n. 23794 del 07/04/2022, Graziani, Rv. 283285-01). 8.2. Cio' posto, deve valutarsi se l'adozione dell'atto di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna, in difetto di qualunque valutazione comparativa tra i titoli dei vari aspiranti, e percio' in ritenuta violazione della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2, sia qualificabile come atto compiuto "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'". 8.2.1. Innanzitutto, deve premettersi che il significato del sintagma "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" e' riferibile anche alle leggi regionali. Invero, le leggi regionali sono atti aventi forza di legge, come emerge anche da numerose disposizioni della Costituzione. In particolare, l'articolo 117 Cost., al comma 1, prevede esplicitamente che le Regioni esercitano anch'esse, come lo Stato, la potesta' legislativa, statuendo: "La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Inoltre, le leggi delle Regioni, esattamente come quelle dello Stato, sono sottoposte al sindacato di legittimita' costituzionale della Corte costituzionale, secondo quanto si evince testualmente dall'articolo 134 Cost. 8.2.2. Occorre, in secondo luogo, esaminare il tema, specificamente posto nel ricorso, se la locuzione "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" escluda dall'area della rilevanza penale, gia' sotto il profilo oggettivo, anche le determinazioni dei pubblici agenti in ordine all'interpretazione del dato normativo. Secondo una decisione di legittimita', le cui conclusioni sono condivise dal Collegio, l'interpretazione di una locuzione normativa, quando attiene all'individuazione dei presupposti per l'esercizio di un potere discrezionale, e non invece all'esercizio in concreto di tale potere, esula dall'area della discrezionalita' amministrativa, con la conseguenza che, quando il potere amministrativo deve ritenersi esercitato in difetto dei presupposti di legge, e' configurabile il reato di abuso d'ufficio anche nella formulazione vigente a seguito della modifica recata dal Decreto Legge n. 76 del 2000 (cosi' Sez. F., n. 42640 del 17/08/2021, Amato, Rv. 282268-01). A fondamento di questo principio, si e' osservato, in particolare che, "la discrezionalita' inerisce all'an, al quid, al quomodo e non e' riferibile alla statica sussistenza dei presupposti per l'esercizio di un potere legalmente dato, sui quali fondare poi la relativa valutazione: non puo' invocarsi l'esercizio di un potere discrezionale di cui in radice non sussistano i presupposti, dovendosi in casi siffatti parlare piuttosto di violazione di una specifica regola di esclusione, cioe' di una regola iuris, avente ad oggetto il divieto dell'esercizio del potere, quand'anche connotato da un contenuto discrezionale". Si e' poi precisato: "In definitiva puo' ritenersi che l'attribuzione di un potere di azione discenda comunque da una regola specifica, dotata di un contenuto precettivo di cui puo' ipotizzarsi la violazione, e che al di fuori di cio' possa rilevare solo una regola di condotta rispetto alla quale possa staticamente contemplarsi quella contraria inosservante, senza necessita' di valutare gli interessi sottesi e il risultato dell'azione amministrativa, a meno che quest'ultimo sia specificamente predeterminato. Non viene in rilievo in tale quadro il diverso tema della formulazione della regola, in quanto se del caso suscettibile di un'interpretazione non univoca. In casi siffatti la regola va comunque individuata alla luce dell'interpretazione, tanto piu' se consolidata e tale da assicurare un canone di condotta affidabile e generalmente condiviso. Va del resto sottolineato come perfino nella materia penale la Corte costituzionale abbia segnalato che "l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti âEuroËœelastici', non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice - avuto riguardo alle finalita' perseguite dall'incriminazione ed al piu' ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato: quando cioe' quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo" (principio ribadito da ultimo da Corte Cost. n. 141 del 2019). Ne' puo' sottacersi che una regola complessa, pur formulata in termini generali, puo' contenere elementi specificamente selettivi, idonei a delimitarne il campo d'azione ed a porre dunque una cogente regola di esclusione, con riguardo ad una gamma di ipotesi, come quando vengano utilizzati aggettivi destinati a descrivere e restringere una nozione di carattere generale, come quella di necessita'" (cosi', testualmente, Sez. F, n. 42640 del 2021, cit., § 2.2 del Considerato in Diritto). 8.2.3. Cio' posto, va valutato se, nella specie, si sia verificata una "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" nei termini precisati, in particolare, nel § 8.2. In punto di fatto, l'assenza di valutazione comparativa tra gli aspiranti all'incarico non e' in discussione. La sentenza di primo grado, anzi, puntualizza che l'atto di nomina ha selezionato il prescelto, a fronte di quarantotto manifestazioni di disponibilita', con le seguenti parole: "Il Dott. (OMISSIS), possiede il profilo idoneo per ricoprire l'incarico di Direttore generale, come desumibile dal curriculum allegato". La sentenza impugnata ritiene che vi sia stata violazione di legge perche' la legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10 prevede una procedura ad evidenza pubblica. Precisamente, della legge reg. articolo 10, comma 2, citata dispone: "Il direttore generale e' scelto, con procedura ad evidenza pubblica, tra i dirigenti dell'Amministrazione o degli enti regionali di cui alla legge regionale n. 31 del 1998, articolo 28 comma 2, o tra soggetti esterni di cui all'articolo 29 della medesima legge, in possesso di comprovata professionalita' ed esperienza acquisita nella direzione di sistemi organizzativi complessi di medie e grandi dimensioni per almeno cinque anni nei dieci anni precedenti, il cui rapporto di lavoro non sia stato risolto per demerito o altro fatto imputabile al soggetto medesimo". La soluzione, ad avviso del Collegio, e' correttamente motivata, e consente di ritenere che, nella vicenda in esame, sia ipotizzabile anche una "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'". Invero, il riferimento normativo alla effettuazione della scelta sulla base di "procedura ad evidenza pubblica" esige indefettibilmente lo svolgimento di una procedura comparativa tra gli aspiranti, e, quindi, l'indicazione delle ragioni per le quali il selezionato viene preferito rispetto agli altri candidati. In questo senso, del resto e' orientata la giurisprudenza civile di legittimita', la quale richiede che, per il conferimento di un incarico pubblico dirigenziale, anche apicale e fiduciario, da parte della Pubblica Amministrazione, e' sempre necessario comparare le posizioni dei vari candidati ed esternare le ragioni giustificatrici delle scelte (cosi', ad esempio, Sez. L civ., n. 29206 del 07/10/2022, Rv. 665861-01, con riferimento alla nomina del Segretario generale di un Consiglio regionale, nonche' Sez. L civ., n. 6485 del 09/03/2021, Rv. 60630-01, e Sez. L civ., n. 18972 del 24/09/2015, Rv. 637045-01, relative a nomine di dirigenti pubblici, rispettivamente, regionali e statali). Ne' questa conclusione e' inficiata dal rilievo per cui il direttore generale dell'ARPA Sardegna e' soggetto a conferma o revoca entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, a norma del combinato disposto della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10, comma 8, e legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 articolo 28, comma 9. La previsione della possibilita' di conferma o revoca dell'incarico del direttore generale dell'ARPA Sardegna entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, infatti, evidenzia il rapporto fiduciario tra il primo e la seconda, e puo' certamente incidere sull'esercizio delle determinazioni discrezionali di quest'ultima, ma non implica addirittura l'eliminazione del dovere di procedere ad una valutazione comparativa tra i diversi aspiranti. Del resto, se la possibilita' di revoca o conferma dell'incarico di cui alla legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, articolo 28, comma 9, implicasse l'eliminazione del dovere di procedere a valutazioni comparative tra gli aspiranti, si perverrebbe a privare di qualunque significato la previsione di cui alla legge reg. n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2, tra l'altro successiva all'altra, laddove richiede lo svolgimento di "procedura ad evidenza pubblica". 8.2.4. In conclusione, quindi, puo' ritenersi che il fatto indicato nell'imputazione e' sussumibile nel tipo previsto dall'articolo 323 c.p., anche nella formulazione successiva all'entrata in vigore del Decreto Legge n. 76 del 2000, con riferimento al profilo oggettivo della condotta. Invero, risulta corretto affermare che l'attuale ricorrente, sotto il profilo oggettivo, ha agito in "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'", perche' il medesimo, secondo quanto evidenziato dalle sentenze di merito, ha determinato e concorso ad adottare la nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna in difetto dello svolgimento di una procedura comparativa tra gli aspiranti, e, quindi, dell'indicazione delle ragioni per le quali il selezionato e' stato preferito rispetto agli altri candidati, in puntuale contrasto con quanto stabilito dalla legge reg. n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2. 9. Infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la configurabilita' del reato di abuso di ufficio, deducendo che nella specie difettano sia l'elemento dell'ingiustizia del danno o del vantaggio, non potendo comunque lo stesso identificarsi nell'ingiustizia della condotta, sia la prova del dolo intenzionale. 9.1. Con riferimento al primo profilo, si rileva, almeno prima facie, ed in linea generale, che la nomina di un candidato ad un ufficio pubblico comportante remunerazione, con ingiustificata pretermissione degli altri aspiranti, puo' implicare un ingiusto vantaggio patrimoniale per il primo ed un ingiusto danno per i secondi. E in questo senso si sono espressi concordemente i giudici di merito, formulando una valutazione che, relativamente al profilo della ricostruzione dei fatti, non e' sindacabile in questa sede, in quanto il reato e' ormai estinto per prescrizione, come gia' rilevato in primo grado, e non essendo pendenti questioni concernenti l'azione civile o la confisca. Va infatti ricordato, come gia' ripetutamente evidenziato in precedenza, ai §§ 5.2 e 6, che secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). 9.2. Relativamente al secondo profilo, poi, occorre osservare che il giudizio in ordine alla sussistenza del dolo specifico costituisce fondamentalmente l'esito di una valutazione degli elementi di prova, e che, nella specie, la sentenza impugnata ha rilevato come l'attuale ricorrente ha provveduto alla nomina di (OMISSIS), alla carica di direttore generale dell'ARPA Sardegna a seguito di insistenti e ripetute sollecitazioni dell'onorevole (OMISSIS). Anche a questo proposito, quindi, occorre dare applicazione al principio piu' volte richiamato, da ultimo al § 9.1, in forza del quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. 10. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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