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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/10/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ESPOSITO; lette le conclusioni del PG FERDINANDO LIGNOLA che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola dell'11 maggio 2021, con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati alla pena complessiva di mesi quattro di reclusione ciascuno, con pena sospesa per la sola (OMISSIS), e al risarcimento dei danni in favore della parte civile (OMISSIS), in relazione ai reati di cui all'articolo 113 c.p., articolo 590 c.p., commi 1 e 3, articolo 583 c.p., comma 1, n. 1, (capo A), articolo 110 c.p., Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 163, 36, 37, 64, 68 e 18 (capi B, C, D ed E) (per avere, in cooperazione tra loro, (OMISSIS) in qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. e formale datore di lavoro, (OMISSIS) in qualita' di datore di lavoro di fatto, cagionato lesioni personali gravi alla dipendente (OMISSIS) per colpa consistita nella violazione di norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro e, segnatamente per avere: per aver omesso di disporre nel capannone adibito a carico e scarico di merci un'adeguata segnaletica orizzontale e verticale idonea ad evitare situazioni di rischio per i lavoratori e, in particolare, atta a differenziare i percorsi pedonali da quelli destinati a passaggio dei carrelli e ad indicare l'obbligo di velocita' a passo d'uomo per la circolazione dei carrelli nell'opificio nonche' per aver fornito ai lavoratori addetti alle operazioni di carico e scarico merci un carrello elevatore elettrico privo di dispositivi atti a limitarne la velocita', in violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 163, commi 1, 2 e 3; per aver omesso di effettuare la prevista informazione e formazione dei lavoratori, in violazione dell'articolo 81 c.p., comma 2, e Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 36 e 37 in relazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 55, comma 5, lettera c); omesso di assicurare che i luoghi di lavoro fossero conformi ai requisiti di cui all'allegato IV Decreto Legislativo n. 82 del 2008, lasciando le vie di transito ingombrate da materiali che ostacolano la circolazione in violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 64; con cio' omettendo le specifiche cautele volte ad evitare che la (OMISSIS), dopo essersi recata al distributore automatico di bevande che si trovava all'interno del capannone, privo di segnaletica orizzontale e verticale atta ad evitare situazioni di rischio, mentre (OMISSIS), a sua volta, stava sopraggiungendo in retromarcia e a velocita' sostenuta alla guida di un carrello elevatore, senza essere stato formato adeguatamente sull'uso della macchina e disponendo di uno spazio di manovra limitato dalla presenza di materiali che ingombravano il percorso, venisse investita dalla ruota posteriore destra del carrello, subendo lo schiacciamento di entrambi i piedi e riportando cosi' una frattura scomposta della falange ungueale al I, al II, ai III e al IV dito del piede sinistro ed al I, al II e al III dito del piede destro, che comportava un'incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni ed un'inabilita' assoluta al lavoro per un periodo della durata di otto mesi). 2. Gli imputati, a mezzo del proprio difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione. 2.1. Violazione dell'articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione, per omessa indicazione del criterio valutativo ed acquisitivo utilizzato in ordine alla prova dichiarativa della parte civile. Si deduce che emergevano delle diversita' tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e dei due dipendenti, testi oculari, i quali avevano riferito che la donna, udito il segnale acustico del veicolo in retromarcia, si era fermata ma sbadatamente era stata investita sulle falangi di entrambi i piedi. La Corte territoriale non ha indicato riscontri alle dichiarazioni rese dalla persona offesa ne' ha stigmatizzato il disvalore della prova contraria. 2.2. Violazione dell'articolo 41 c.p. e vizio di motivazione in ordine alla verificazione dell'evento quale diretta conseguenza di contravvenzioni non contestate. Si osserva che la Corte di merito non ha verificato la reale correlazione tra le contravvenzioni contestate in tema di sicurezza sul lavoro nonche' le circostanze di tempo e di luogo, che avrebbero potuto dimostrare l'interruzione del nesso causale. Le violazioni contestate all'azienda non avevano avuto rilevanza rispetto alla verificazione dell'evento, tanto piu' che quelle utilizzate dalla Corte distrettuale a sostegno della conferma della pronunzia di condanna erano state superate nella sentenza di primo grado. La condotta del (OMISSIS), conducente del carrello, non era riconducibile alla mancata formazione, per cui l'evento verificatosi non poteva essere considerato dipendente da quest'ultimo. Egli, infatti, era in possesso di adeguata formazione ed informazione nonche' di patente specifica. Nella sentenza impugnata non e' svolto nessun accertamento sulla natura abnorme o eccentrica della condotta della (OMISSIS). Inoltre, la Corte territoriale, ignorando le risultanze processuali, ha ritenuto che l'assenza di un documento attestante la divisione oraria giustificasse la non arbitrarieta' del comportamento della persona offesa. 2.3. Violazione dell'articolo 583 c.p., comma 1, n. 1, e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante per mancata dimostrazione della durata della malattia. Si rileva che la certificazione Inail prodotta a fondamento della pretesa risarcitoria consistesse solo in un'attestazione di natura previdenziale e non medica. Pertanto, l'ente che aveva emesso tale documento non aveva verificato lo stato fisico reale del lavoratore. Per effetto dell'insussistenza della circostanza aggravante si sarebbe dovuta emettere pronunzia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. 2.4. Violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento dell'intervenuta prescrizione delle contravvenzioni di cui ai capi B), C), D) ed E). Si deduce che erroneamente era stata riconosciuta la permanenza delle condotte criminose contestate, mentre le norme in questione cessavano di avere rilevanza nel momento della cessazione del rischio. L'eliminazione del rischio non si ottiene solo con l'adempimento dell'obbligo derivante dalla legge ma anche nel caso in cui venga meno la posizione di garanzia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, va rilevato che la Corte distrettuale si e' attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, secondo la quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilita' soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituitasi parte civile (circostanza verificatasi nel caso di specie), accertando l'assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettivita', senza la necessita', pero', del reperimento di riscontri esterni, stabilita dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, per il dichiarante coinvolto nel fatto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730). Questa Corte ha anche statuito che "la valutazione della credibilita' della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo' essere rivalutata in sede di legittimita', salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575) "o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilita'" (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609). Con motivazione puntuale ed immune dai vizi, la sentenza impugnata ha condiviso la valutazione del Tribunale sull'attendibilita' della persona offesa (OMISSIS), avendo ritenuto coerente e precisa la narrazione in ordine alle modalita' di svolgimento dell'incidente. Peraltro, la Corte di merito ha sottolineato che le sue dichiarazioni avevano trovato riscontro negli accertamenti eseguiti dagli ispettori del lavoro e dal personale dell'ASL, riguardanti: a) la presenza di plurime ceste ingombranti all'interno del capannone, di voluminosita' tale da lasciare solo piccoli corridoi liberi per il passaggio; b) la mancanza di strisce di colore giallo delimitanti i percorsi da seguire, di segnaletica orizzontale che consentisse gli spostamenti in sicurezza, senza essere colpiti da carrelli elevatori, di segnaletica e di segnaletica verticale che indicasse le parti non accessibili a piedi; c) la mancata redazione di un documento di valutazione dei rischi; d) il mancato svolgimento dall'anno 2012 di corsi di formazione da parte del carrellista (OMISSIS), per sua stessa ammissione, omissione che evidentemente aveva contribuito ad indurlo a percorrere i corridoi ad alta velocita' col carrello elevatore, anche a retromarcia e nonostante la presenza di pile di abiti nelle ceste, che ostacolavano la visione del percorso; e) la mancanza di fasce orarie prestabilite per i dipendenti per recarsi alla macchinetta distributrice delle bevande, per cui non potevano essere mossi rimproveri alla (OMISSIS), recatasi a prendere un caffe' prima dell'inizio del turno delle ore 8.30, seguendo l'unico percorso possibile in ragione della presenza dei suindicati ingombri; f) la mancata previsione obbligatoria di dispositivi antinfortunistici (scarpe da lavoro). Con riferimento al nesso causale, con l'esposizione delle suindicate violazioni al d. lgs. n. 81 del 2008, la Corte territoriale ha spiegato, in modo lineare ed esauriente, che, in caso di predisposizione delle necessarie segnaletiche, di adeguata formazione del carrellista e di dotazione di calzature adeguate alla (OMISSIS), l'evento lesivo non si sarebbe verificato. L'infortunio costituiva proprio la concretizzazione del rischio, che dette disposizioni intendevano prevenire. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, ne' l'adempimento di tali obblighi e' surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603, in tema di riconoscimento della responsabilita' del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto uso di un macchinario dovuto all'omessa adeguata formazione sui rischi del suo funzionamento; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042). Al riguardo, la difesa degli imputati riproduce la tesi contraria, gia' formulata nell'atto di appello, senza replicare all'articolato apparato argomentativo sopra sinteticamente riportato e prospetta genericamente una diversa modalita' di svolgimento dei fatti, senza fornire elementi a sostegno della propria ricostruzione alternativa; la difesa, peraltro, non allega e non richiama specificamente le dichiarazioni testimoniali asseritamente a suo favore e i documenti comprovanti il suo assunto, in violazione del principio di autosufficienza. La sentenza impugnata, infatti, non si e' limitata ad illustrare il tema dell'omessa formazione del (OMISSIS) e della sua incidenza nel determinismo causale, ma ha affrontato tutte le violazioni alla normativa sulla sicurezza nel luogo di lavoro. Quanto al tema dell'abnormita' della condotta della persona offesa, questa Corte ha affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perche' la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalita' tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, e' necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914, in fattispecie in cui la Corte ha escluso l'abnormita' della condotta del lavoratore, deceduto per essere rimasto intrappolato nella bobina di una macchina per la lavorazione di tessuti, priva di dispositivi di protezione atti a eliminare il rischio di trascinamento e intrappolamento, ritenendo priva di rilievo nell'eziologia dell'evento l'assunzione da parte del lavoratore di farmaci a base di benzodiazepine, idonei a produrre depressione del sistema nervoso centrale; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, del). 2019, Musso, Rv. 275017, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilita' del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziche' utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603). Pertanto, perche' possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilita' del garante, e' necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, cosi' che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potra' essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, in fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato). Questa Corte ha altresi' precisato che non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalita' tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313, fattispecie di amputazione di una falange ungueale subita dal dipendente di un panificio che aveva introdotto la mano negli ingranaggi privi di protezione di una macchina "spezzatrice", in cui la Corte ha ritenuto irrilevante accertare se il lavoratore avesse inteso separare un pezzo di pasta dall'altro o invece eliminare delle sbavature del prodotto). In linea con tali principi, la Corte partenopea ha coerentemente escluso l'abnormita' della condotta della (OMISSIS), in quanto essa non poteva derivare dalla simmetria tra le fratture alle dita dei piedi, per cui la donna era ferma, in quanto gli ingombri non consentivano di posizionarsi aldila' della corsia percorsa dai macchinari. I ricorrenti non si confrontano con la risposta fornita nella sentenza impugnata all'analoga censura da loro prospettata con l'atto di appello. Ne' specificano in cosa consisterebbe la presunta condotta abnorme della (OMISSIS). 3. In ordine al terzo motivo di ricorso, va ricordato che, in terna di reato di lesioni aggravate dalla durata della malattia, e' sufficiente la contestazione nel capo d'imputazione della tipologia delle lesioni, laddove risulti acquisita agli atti del processo la documentazione relativa alla durata della malattia (Sez. 4, n. 22782 del 06/02/2018, Montuori, Rv. 273396, relativa a fattispecie relativa alla contestazione nel capo d'imputazione di lesioni "allo stato non ancora qualificate e quantificate", definite in termini di "malattia insanabile"; Sez. 1, n. 8561 del 11/02/2015, De Luca, Rv. 262882). In adesione a tale principio, per stabilire la durata della malattia, si e' attribuito logicamente rilievo alla certificazione Inail. La difesa non ha apportato elementi utili per confutare tale assunto. 4. In relazione al quarto motivo di ricorso, va richiamata la natura permanente delle contravvenzioni contestate. Le regole di prudenza e le norme di prevenzione, infatti, vincolano permanente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilita' in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi ovvero quando presso tali luoghi le opere siano terminate o da terminare o momentaneamente sospese per dare corso al altre fasi del processo produttivo; le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalita', confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di essa, ove siano residuate situazioni di pericolo per i lavoratori passati ad altre incompe-tenze ma, comunque, sottoposti al rischio derivante dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa. Tanto premesso sulla materia de quo, la Corte di merito ha illustrato in modo esauriente le ragioni per le quali le contravvenzioni di cui ai capi B), C), D) ed E) dovevano essere considerate reati permanenti, con condotta tuttora perdurante, e conseguentemente non prescritte, sottolineando altresi': a) l'inottemperanza alle prescrizioni impartite dalla ASL NA 3 (vedi verbale di verifica e di adempimento sottoscritto dagli ispettori in data 4 agosto 2016); b) l'irrilevanza dei licenziamenti della (OMISSIS) e di altri due dipendenti all'indomani dell'infortunio, in quanto tutti non risultanti adeguatamente formati ed informati; c) l'ininfluenza dello spostamento della sede lavorativa da parte della (OMISSIS) s.r.l.. Le censure difensive al riguardo sono del tutto aspecifiche. 5. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a ((OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L.; avverso la sentenza del 21/06/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di L'Aquila ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 10/2/2021 dal Tribunale di Chieti nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), concedendo agli imputati il beneficio della non menzione e confermando - nel resto - la sentenza di primo grado con la quale gli stessi erano stati condannati alla pena di mesi quattro di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuante generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, con beneficio della sospensione condizionale, condannandoli altresi' (in solido con il responsabile civile (OMISSIS) s.n.c.) al risarcimento del danno nei confronti della parte civile INAIL, da liquidarsi in separato giudizio, in relazione al reato previsto dall'articolo 590 c.p.. Era contestato agli imputati - nella loro qualita' di soci amministratori della (OMISSIS) s.n.c. - di avere cagionato colposamente ad (OMISSIS), dipendente della stessa societa', lesioni personali di durata superiore ai quaranta giorni, consistenti in trauma vertebro-midollare con frattura; colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonche' nella violazione delle norme antinfortunistiche che impongono la solidita' e stabilita' delle opere e strutture presenti sul luogo di lavoro e che prevedono che i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio siano in condizioni tali da rendere sicuro il transito e il movimento delle persone - in relazione all'articolo 63, comma 1, in combinato con l'articolo 64, comma 1, del Testo Unico emesso con Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - avendo realizzato al di sopra del piano uffici dell'azienda un soppalco adibito a magazzino senza effettuare un preventivo calcolo dei carichi che lo stesso avrebbe dovuto e potuto sopportare, utilizzando materiale non idoneo, presso il quale il lavoratore aveva fatto accesso e da cui, a causa dello sfondamento del piano di calpestio, era precipitato al suolo riportando le suddette lesioni. La Corte territoriale, nel condividere le argomentazioni del Giudice di primo grado, ha ricostruito il fatto sulla base della allegata documentazione fotografica e delle dichiarazioni della persona offesa, oltre che del teste (OMISSIS), tecnico della prevenzione presso la ASL di (OMISSIS) che aveva effettuato un sopralluogo nell'immediatezza del fatto. Ha quindi rilevato che la dinamica dell'incidente doveva ritenersi del tutto pacifica, essendosi l'infortunio verificato mentre il (OMISSIS), era intento a prelevare del materiale posto sul solaio di copertura della zona uffici(previa richiesta formulata dalla collega (OMISSIS) e poi ribadita da (OMISSIS), (padre degli imputati)2 dove si era arrampicato tramite uno scaffale e dal quale soppalco, perdendo l'equilibrio, era caduto al suolo. La Corte ha rilevato che la testimonianza della persona offesa doveva ritenersi direttamente riscontrata da quella del collega lezzi; che il teste (OMISSIS), aveva altresi' riferito di non aver riscontrato la presenza di alcun cartello di divieto di arrampicarsi sugli scaffali e che comunque la presenza di materiale sul soppalco riscontrata dalle fotografie in atti - doveva ritenersi idonea a dimostrare che il medesimo era utilizzato e che i responsabili della societa' avrebbero dovuto prevedere che qualche dipendente potesse ivi arrampicarsi e stazionare; circostanze di fatto sulla base delle quali la Corte ha escluso qualsiasi comportamento abnorme da parte del lavoratore, avendo anzi lo stesso ottemperato a un preciso ordine fornito dalla sede della societa' sita in (OMISSIS); ha quindi ritenuto che sussistesse l'elemento rappresentato dalla piena prevedibilita' dell'evento e quella della susseguente evitabilita' attraverso l'adozione di specifiche cautele ovvero sgombrando il soppalco dal materiale o comunque allestendo un deposito sopraelevato realizzato a regola d'arte e con la preventiva valutazione dei rischi; per l'effetto, ha quindi confermato il giudizio di penale responsabilita' degli imputati oltre alle conseguenti statuizioni civili. 2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato separati ricorsi per cassazione, tramite i propri difensori, gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e il responsabile civile (OMISSIS) s.n.c., dal coincidente tenore argomentativo. Hanno premesso il contenuto delle prove delle quali si deduceva l'inesistenza, l'omessa assunzione o valutazione; in particolare, hanno contestato: la circostanza che il soppalco sarebbe stato realizzato dagli imputati e che lo stesso fosse destinato a piano di calpestio e la circostanza che ivi fossero allocati pezzi di ricambio di autovettura poco richiesti sul mercato e che per accedervi fossero necessari mezzi di fortuna. Hanno dedotto che le dichiarazioni del (OMISSIS) non erano state effettivamente confermate da quelle del (OMISSIS), da ritenersi a propria volta contraddittorie e smentite da quelle rese dai testi escussi su istanza della difesa, non tenute in adeguato conto dai giudici di merito; e che da nessuna testimonianza sarebbe emerso che il (OMISSIS), avrebbe dovuto chiedere il pezzo richiesto dalla sede di (OMISSIS) proprio nella suddetta allocazione, elemento idoneo a comprovare la sussistenza di un comportamento abnorme da parte del lavoratore. Operata tale premessa in punto di fatto hanno quindi articolato i ~4 motivi di impugnazione. Con il primo motivo hanno dedotto il travisamento della prova e la contraddittorieta' della motivazione, nonche' la violazione dei canoni di valutazione della prova imposti dall'articolo 192 c.p.p., in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione: al fatto che sul piano di copertura vi fossero pezzi di ricambio destinati alla vendita; al fatto chetessendo il materiale accatasto destinato allo smaltimento vi potesse essere una motivazione per i dipendenti di salire sul piano medesimo; al fatto che l'iniziativa del (OMISSIS), non fosse stata imprevedibile e abnorme; all'errata interpretazione delle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) in riferimento all'affermazione di avere visto altri collleghi salire sopra il soppalco; al fatto che il comportamento del lavoratore potesse costituire un'evenienza prevedibile per i datori di lavoro; al fatto che i legali rappresentanti della (OMISSIS) non avessero rispettato le regole di prudenza generica; al fatto che la rinnovazione probatoria avente a oggetto la nuova escussione del teste (OMISSIS) non dovesse ritenersi necessaria. Con il secondo motivo hanno dedotto la mancanza, contraddittorieta' e illogicita' manifesta della motivazione in ordine al non operato vaglio applicativo della regola di giudizio dell'oltrikkergionevole dubbio, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), hanno argomentato che i dati probatori esaminati dai giudici di merito avrebbero dovuto condurre gli stessi a ritenere sussistente un ragionevole dubbio sull'effettiva ricostruzione del fatto, con specifico riferimento al dato rappresentato dall'abnormita' del comportamento tenuto dalla persona offesa anche per effetto della mancata adeguata considerazione delle dichiarazioni rese dai testi escussi su istanza delle difese. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi. La parte civile ha fatto pervenire conclusioni scritte nella quale ha chiesto di confermare le statuizioni contenute nella sentenza impugnata in punto di risarcimento del danno. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi vanno rigettati. 2. Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimita', ai fini della valutazione della congruita' della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformita', tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617). 3. Nel merito i tre ricorsi, contenenti censure reciprocamente coincidenti, possono essere congiuntamente esaminati; cosi' come i due motivi ivi articolati possono pure essere esaminati in via congiunta, atteso che il secondo dei quali si risolve in un'invocazione della violazione del principio contenuto nell'articolo 533 c.p.p., comma 1, in diretta conseguenza delle censure articolate nel primo motivo. 4. Va rilevato in via pregiudiziale e in riferimento ad argomentazione contenuta nel primo motivo di impugnazione - riproponente sul punto la specifica richiesta gia' rivolta al giudice di appello - che va rigettata la censura inerente alla mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con specifico riferimento all'omessa rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS). Sul punto, va difatti rilevato che - in tema di ricorso per cassazione - puo' essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, PR, Rv. 261799; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577). Nel caso di specie, quindi, la richiesta si fonda sulla dedotta contraddittorieta' delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), rispetto a quelle della persona offesa, in relazione alla quale la Corte d'appello - con valutazione logica e immune da censure - ha invece dato atto della coincidenza dei rispettivi nuclei centrali delle testimonianze. 5. Cio' posto, i ricorsi ripropongono in modo pedissequo argomenti gia' prospettatrgii atti di appello, ai quali la Co(te territoriale ha dato adeguate risposte e con le quali i ricorrenti hanno, di fatto, omesso di confrontarsi criticamente limitandosi a dedurre una presunta carenza o illogicita' della motivazione. In particolare, le deduzioni contenute nei motivi di ricorso mirano - per la loro gran parte - a sollecitare una rivalutazione nello stretto merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sedAkgittimita'r essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, P.v. 234559; sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601). Ed infatti, e' stato piu' volte ribadito che la Corte di cassazione non puo' sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 de'l 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099), restando esclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716). Ulteriormente, rispetto al dedotto vizio di travisamento della prova, va ricordato che il vizio medesimo puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso - come quello di specie - di cosiddetta "doppia conforme ", nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155). 6. In particolare, in relazione alle specifiche deduzioni illustrate nel primo motivo di impugnazione, le argomentazioni fatto ivi illustrate appaiono unicamente tese a sollecitare una rivalutazione dei dati fattuali operati dalle due sentenze di merito e da questi esaminati con motivazione intrinsecamente coerente e immune dai dedotti vizi di illogicita' e di travisamento delle prove. Ci si riferisce, nello specifico: a) alla circostanza relativa alla realizzazione del soppalco, in ordine alla quale la sentenza di primo grado ha dato analiticamente atto di come sia stato lo stesso imputato (OMISSIS), in sede di dichiarazioni spontanee, ad affermare di averlo realizzato nell'anno 2014 insieme al cognato (OMISSIS); elemento, lo stesso, da ritenersi peraltro privo di qualsiasi potenziale incidenza causale sul sinistro, dal momento che indipendentemente dal momento di realizzazione della struttura e dai loro autori - i datori di lavoro avrebbero comunque dovuto predisporre misure idonee a evitare i pericoli connessi all'utilizzazione della struttura medesima da parte dei lavoratori; b) all'elemento relativo alla effettiva destinazione alla vendita del materiale apposto sul soppalco e al fatto che, per arrampicarsi sulla struttura, fosse necessario utilizzare scale portatili oppure arrampicarsi sugli scaffali adiacenti ovvero utilizzare mezzi di fortuna; si tratta di circostanze di fatto analiticamente esaminate dai giudici di primo e secondo grado sulla base del complesso delle testimonianze acquisite e in riferimento alle quali la relativa deduzione difensiva ha l'unico scopo di sollecitare una non consentita rivisitazione nel merito; c) all'interpretazione delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) in ordine all'effettiva utilizzazione del soppalco da parte di altri lavoratori; trattandosi, anche in questo caso, di deduzione finalizzata a una diversa valutazione del materiale istruttorio e la cui rilevanza e' stata comunque smentita in sede di pronunce di merito, nelle quali e' stato specificamente dato atto di come la stessa presenza di materiale sul tavolato - indipendentemente dalla frequenza della relativa utilizzazione da parte del personale - mostrasse comunque che la struttura era utilizzabile e che i responsabili della societa' avrebbero dovuto prevedere che qualche dipendente potesse ivi arrampicarsi e stazionare al fine di prelevare dei pezzi di ricambio (pag.7 della sentenza di appello); a tale proposito, va altresi' incidentalmente rilevato che in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve comunque vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv..278608; Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174); d) all'elemento fattuale relativo alla mancata apposizione di cartelli di divieto, attestata dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), (tecnico della prevenzione presso la ASL di Chieti); in ordine alla quale, come dato atto nelle sentenze di merito, la necessita' dell'apposizione medesima era insita nella possibilita' di accesso alla struttura da parte dei lavoratori. 7. Nell'ambito del primo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno altresi' sollecitato una nuova valutazione in punto di dedotta abnormita' del comportamento del lavoratore; che, a propria volta, sarebbe stata concretizzata in quanto la persona offesa avrebbe, di sola propria iniziativa, ricercato il pezzo che gli era stato richiesto da parte della sede di (OMISSIS) - non nel magazzino - ma presso il soppalco, avendo quindi deciso il lavoratore di sola propria iniziativa di arrampicarsi sulla relativa struttura. Anche tale specifica censura - e sulla base delle considerazioni sopra espresse - deve considerarsi infondata, in quanto tendente a sollecitare questa Corte a operare una rivalutazione del materiale istruttorio in senso difforme rispetto a quanto operato da parte delle sentenze di merito. Le quali hanno specificamente dato atto di come - sulla base delle dichiarazioni della persona offesa - il materiale che gli era stato chiesto di prelevare da parte della sede di (OMISSIS) (ovvero un paraurti per una Autobianchi A112) era stato specificamente collocato proprio al di sopra del suddetto soppalco; nonche' di come (pagg.6 e 7 della sentenza di appello), il (OMISSIS), fosse salito al di sopra della struttura in quanto non aveva trovato il pezzo richiesto all'interno del magazzino (e tanto sulla base del contenuto della testimonianza del collega lezzi). Elementi di fatto che, a propria volta, portano a escludere in radice la sussistenza di un profilo di colpa esclusiva in capo al lavoratore e rammentando - sotto tale aspetto - che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, e' esonerato da responsabilita' solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, solo al di fuori di ogni prevedibilita' per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237). 8. La valutazione di complessiva infondatezza di tutti i profili di censura prospettati nel primo motivo di impugnazione rende conseguentemente infondate anche quelle contenute nel secondo motivo; con le quali, come detto sopra, e' stata dedotta la violazione del principio dettato nell'articolo 533 c.p.p., comma 1, in via direttamente consequenziale rispetto ai profili di doglianza prospettati nel primo motivo. 9. Alla declaratoria d'infondatezza segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Gli imputati e la responsabile civile vanno altresi' condannati alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione, in solido, delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile INAIL, che liquida in Euro tremila, oltre accessori, come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. RICCI Anna L. - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/12/2022 del TRIB. RIESAME di BOLZANO; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG Dr. LUCA TAMPIERI che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Bolzano in funzione di giudice del riesame, ha rigettato il ricorso promosso nell'interesse di (OMISSIS) avverso il decreto del P.M. di convalida del sequestro della somma di Euro 25.995,00, disposto dalla polizia giudiziaria in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73. 1.1.La vicenda processuale trae origine da una perquisizione di iniziativa effettuata dalla polizia giudiziaria presso l'abitazione di (OMISSIS), dopo che era stato fermato un uomo ( (OMISSIS)), appena uscito da detta abitazione, e trovato in possesso di un involucro contenente sostanza stupefacente del tipo cocaina. All'interno dell'appartamento, ove si trovavano (OMISSIS) e la moglie, erano stati rinvenuti: - dentro ad un mobile, cinque involucri trasparenti, identici a quello poco prima sequestrato, contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina per un peso lordo di 25,6 grammi e un bilancino di precisione - dentro ad una cassaforte in camera da letto 25.000 Euro in contanti suddivisivi in banconote di vario taglio e sempre nella medesima camera l'ulteriore somma sempre in contanti di 995,00 Euro. La polizia giudiziaria, in esito alla perquisizione, aveva proceduto al sequestro di quanto rinvenuto e il sequestro era stato convalidato dal Pubblico Ministero con proprio decreto in data 24 gennaio 2017, nel quale era indicato che "quanto oggetto di sequestro e' corpo del reato o cosa pertinente al reato". 1.2. Il Tribunale ha rigettato il ricorso, rilevando che il decreto di convalida del Pubblico Ministero rimandava per relationem al verbale di perquisizione e sequestro redatto dalla polizia giudiziaria, allegato al decreto "per costituirne parte integrale e sostanziale" e contenente l'indicazione del titolo di reato, nonche' una esaustiva descrizione degli elementi di fatto da cui si desumeva la natura di corpo del reato del denaro e la sua derivazione dal delitto in contestazione. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, a mezzo di proprio difensore, denunciando violazione di legge e/o apparenza di motivazione per omessa indicazione delle ragioni per le quali il denaro doveva considerarsi corpo del reato e della concreta finalita' probatoria perseguita. Il ricorrente richiama il principio per cui il decreto di sequestro al pari di quello di convalida deve contenere specifica motivazione sulla finalita' probatoria perseguita anche ove abbia ad oggetto il corpo del reato, nonche' il consolidato orientamento per cui il denaro puo' essere oggetto di sequestro probatorio a condizione che sia stata data idonea motivazione non solo della sussistenza del nesso di derivazione o di pertinenza della somma sequestrata e il reato, ma anche delle specifiche esigenze probatorie in relazioni alle quali e' necessario sottoporre a vincolo il denaro rinvenuto. Il Tribunale del Riesame, nel rigettare l'impugnazione, aveva incentrato la motivazione sul fatto che il rinvenimento della droga, del bilancino e del denaro inducevano a ritenere che presso l'abitazione si svolgessero condotte di spaccio. In tal modo, tuttavia, i giudici non avevano spiegato quali fossero le finalita' probatorie che il vincolo doveva salvaguardare e, soprattutto, non avevano tenuto conto che (OMISSIS) aveva subito un gravissimo infortunio sul lavoro (a seguito del quale era stato risarcito dall'Inail e riscuoteva una pensione mensile) e aveva venduto un appartamento dell'importo di 155.000 Euro, onde doveva ritenersi provata la provenienza lecita del denaro custodito in cassaforte. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Luca Tampieri, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente, in data 21 aprile 2023, ha depositato una memoria con cui ha rappresentato che, nelle more della pendenza del ricorso per Cassazione, a (OMISSIS) era stato notificato l'avviso di chiusura delle indagini preliminari con cui gli era stato contestato il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; il difensore ha anche rappresentato che dopo la pronuncia del Tribunale del Riesame, il Pubblico Ministero aveva richiesto al Giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo della somma di Euro 25.995,00, gia' sottoposta a sequestro probatorio, e il Giudice aveva accolto la richiesta solo con riferimento alla somma di Euro 500,00, provento del reato di cessione della sostanza stupefacente a (OMISSIS), confermando cosi' (sulla base del fascicolo che compendiava tutte le risultanze delle indagini ormai concluse) la valutazione espressa nel ricorso, per cui in relazione alla ulteriore somma di denaro reperita all'interno dell'appartamento non esisteva alcun possibile collegamento con il reato per cui si procedeva. Fra l'altro il Pubblico Ministero non aveva effettuato alcuna delle indagini tecniche indicate dal Tribunale del Riesame, ad integrazione della motivazione del decreto di convalida del sequestro, come idonee a supportare la finalita' probatoria, a dimostrazione ulteriore della pretestuosita' di tale motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Si deve premettere che avverso il provvedimento impugnato, il ricorso per cassazione e' esperibile nei ristretti limiti indicati dall'articolo 325 c.p.p., a tenore del quale "Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322 bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge". In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicita' della motivazione, separatamente previste dall'articolo 606, lettera e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lettera b) o dalla inosservanza di norme processuali (lettera c) (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto puo' essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'articolo 325 c.p.p., comma 1 citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicita' manifesta, che puo' denunciarsi in sede di legittimita' soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (ex multis: Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916). 2. Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato che le circostanze del fatto (detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina in quantitativo venti volte superiore alla soglia corrispodnente al quantitavo massimo detenibile in mg per uso personale indicato nelle tabelle del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990; la disponibilita' del bilancino atto alla pesatura; la pregressa cessione di 5 gr. facenti parte della medesima partita a soggetto bloccato dalla polizia giudiziaria immediatatamente prima della perquisizione; rinvenimento di una consistente somma di denaro in contanti) deponevano per la messa in atto da parte dell'indagato di condotte di spaccio all'interno dell'alloggio, in un contesto verosimilmente di criminalita' organizzata, e ha specificato che il sequestro del denaro era finalizzato alle indagini tecniche sulle banconote quali la verifica dei numeri di serie, l'accertamento della originalita', la presenza di annotazioni manoscritte. I giudici hanno anche ritenuto che l'assunto per cui la somma rinvenuta sarebbe stato il provento della cessione di un immobile, era smentito dalle modalita' di suddivisione e occultamento della somma in contanti, incompatibili con la provenienza lecita del denaro, anche a fronte dell'assenza di una traccia bancaria volta a documentare il prelievo di un importo cosi' elevato. 3. Il provvedimento impugnato deve essere censurato. A fronte della impugnazione del decreto di convalida del sequestro del tutto mancante della motivazione richiesta dall'articolo 355 c.p.p., i giudici non avrebbero potuto sopperire a tale difetto di motivazione attraverso l'autonoma individuazione di specifiche finalita' attinenti alle indagini, ovvero attraverso l'esercizio di un potere tipico dell'organo inquirente. Si deve muovere dalla premessa, affermata reiteratamente da questa Corte di legittimita' a Sezioni Unite, secondo cui, in ragione dei limiti dettati all'intervento penale sul terreno delle liberta' fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell'individuo, il decreto di sequestro probatorio - cosi' come il decreto di convalida - anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalita' perseguita per l'accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226711; in conformita', tra le altre, Sez. 6, n. 11817 del 26/01/2017,Berardinelli, Rv. 269664; Sez. 2, n. 44416 del 16/09/2016, Di Vito, Rv. 268724; Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, dep. 2017, Bernardi, Rv. 268736; Sez. 3, n. 45034 del 24/09/2015, Zarrillo, Rv. 265391). Quanto all'onere motivazionale da parte del pubblico ministero, si e' chiarito che il decreto di sequestro probatorio anche del corpo del reato (e nella specie di denaro) deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione, sia in ordine al nesso di pertinenzialita' tra il denaro stesso ed il reato siccome contestato, sia in ordine all'esigenza probatoria giustificativa dell'apposizione del vincolo cautelare (sez. 2 n. 33943 del 15/03/2017, Carone, Rv. 270520). Al mancato assolvimento dell'onere di motivazione non puo', peraltro, sopperire il Tribunale del Riesame, trattandosi di prerogativa esclusiva del pubblico ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull'esercizio dell'azione penale. Qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell'accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l'applicazione della misura e abbia persistito nell'inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest'ultimo non e' legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalita' del sequestro, cosi' integrando il titolo cautelare mediante un'arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell'organo dell'accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse (Sez. 2, n. 39187 del 17/09/2021, Cristofori, Rv. 282200; Sez. 2, n. 49536 del 22/11/2019, Vallese, Rv. 277989; Sez. 4, n. 54827 del 19/09/2017, Giganti, Rv. 271579; sez. 3 n. 30993 del 05/04/2016, Casalborri, Rv. 267329 nella quale si afferma la possibilita' di integrazione da parte del giudice del riesame n sede di conferma del provvedimento con la specificazione delle esigenze probatorie che ne stanno a fondamento, sempre che le stesse siano state indicate, seppure in maniera generica, nel provvedimento impugnato). 5.Come visto nel caso di specie, il decreto di sequestro della polizia giudiziaria, con cui era stato appreso il denaro nella disponibilita' del ricorrente, non recava alcuna indicazione in ordine alla finalita' probatoria: detto decreto richiamava per relationem il contenuto del verbale di perquisizione e sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria nel quale era indicato il titolo del reato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73) e la descrizone di quanto rinvenuto nell'appartameneto del ricorrente. Il Tribunale del Riesame, in replica alla censura per cui non erano state indicate le ragioni idonee a giustificare in concreto l'applicazione della misura, ha provveduto ad integrare la motivazione, individuando autonomamente alcuni possibili accertamenti da effettuare che avrebbero giustificato il permanere del vincolo. In tal modo, tuttavia, come evidenziato supra, i giudici hanno esercitato una inammissibile funzione di supplenza rispetto all'esercizio di un potere, quale quello di individuare percorsi di indagine, che spetta esclusivamnte all'organo dell'accusa. La fondatezza di tale assunto e' resa ancora piu' evidente, nella vicenda in esame, dallo sviluppo dell'iter processuale di cui il ricorrente ha dato conto con la memoria in atti. Invero il Pubblico Ministero, nell'avviso di chiusura delle indagini notificato all'imputato, ha contestato il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 in relazione alla illecita detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nell'abitazione e alla cessione di una dose e non anche a pregresse cessioni di cui la somma di denaro, secondo la iniziale impostazione, avrebbe rappresentato il provento e, peraltro, non ha neppure effettuato quelle indagini che, secondo il Tribunale, avrebbero giustificato l'apposizione del vincolo. 6.Ne consegue l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza del Tribunale del Riesame e del decreto di convalida di sequestro del Pubblico Ministero limitatatamente alle somme di denaro cadute in sequestro, con conseguente restituzione di dette somme all'avente diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di convalida del sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano il 9.12.2022, limitatamente alle somme di denaro cadute in sequestro, disponendone la restituzione all'avente diritto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/02/2022 della CORTE APPELLO di TRENTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA; lette le conclusioni del P.G.. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 2.2.2022 la Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza in data 8.3.2021 aveva ritenuto (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commi 3 e 5 in relazione all'articolo 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 nonche' delle violazioni del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera d), f); articolo 77, comma 4, lettera h), articolo 28, comma 2, lettera a), b) e d) (come descritte nel capo di imputazione) e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione oltre al risarcimento del danno causato alla costituita parte civile (OMISSIS) da liquidarsi nella competente sede civile concedendo altresi' una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 65.000,00. 2. Il fatto come ricostruito nelle sentenze di merito e' il seguente: in data (OMISSIS), (OMISSIS), dipendente con la qualifica di operaio specializzato "tuttofare" del settore edile della societa' (OMISSIS) s.r.l., durante la realizzazione di un muretto in calcestruzzo, mentre cercava di tagliare una radice sporgente colpendola con il bordo tagliente della pala, veniva colpito all'occhio sinistro, non protetto da occhiali di sicurezza o da altro schermo, da una scheggia metallica. L'incidente comportava la rimozione chirurgica del cristallino e la sostituzione con uno artificiale ed un trapianto corneale non riuscito per rigetto con conseguente inabilita' al lavoro per 553 giorni e menomazione dell'integrita' psico-fisica riconosciuta dall'Inail in misura del 25%. Il giudice di primo grado, alla luce delle risultanze istruttorie, ha ritenuto l'imputato responsabile di aver cagionato in qualita' di Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l. e quindi di datore di lavoro a (OMISSIS) le lesioni personali gravi (malattia ed incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni per piu' di 40 giorni ed indebolimento permanente della vista), per colpa specifica consistente nelle plurime violazioni indicate nel capo di imputazione. Dall'istruttoria espletata era emerso che lo (OMISSIS) utilizzava un badile per colpire di taglio le radici da cui probabilmente era partita una scheggia metallica. Il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire dispositivi di sicurezza ed avvertire il lavoratore del rischio di essere colpito ma non risulta che alla persona offesa siano stati consegnati occhiali e dalla documentazione fornita dall'azienda e' risultato che dal 2012 al 2014 erano stati consegnati ai dipendenti solo tre paia di occhiali. Inoltre era emerso che l'operazione effettuata dalla persona offesa con il badile non era prevista dal DVR ne' dal POS, mancando qualunque valutazione del rischio specifico della proiezione di schegge. Inoltre lo (OMISSIS), nonostante svolgesse mansioni ad alto rischio, aveva partecipato solo a due corsi di formazione della durata di quattro ore. Con riguardo alla violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera d), era emerso che la persona offesa non indossasse gli occhiali al momento dell'incidente e che i lavoratori fossero liberi di decidere se dotarsi e quando utilizzare i dispositivi di sicurezza. Quanto alla consegna degli occhiali allo (OMISSIS) da parte della societa', non risulta che la persona offesa li abbia mai ricevuti, salvo quanto attestato da una ricevuta in un momento in cui lo stesso non risultava ancora assunto dalla societa'. Quanto alla violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera f), era emerso l'assenza di un preposto e di un caposquadra che vigilasse sul corretto uso dei dispositivi di protezione e di specifiche disposizioni da seguire e che nessun dipendente fosse mai stato sanzionato o richiamato per il mancato uso di occhiali. La sentenza di primo grado veniva integralmente confermata dalla sentenza di appello. 2. Avverso detta pronuncia l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Con il primo deduce ex articolo 606 c.p.p., lettera c) e d) la violazione dell'articolo 586 c.p.p. e articolo 603 c.p.p., comma 1 per omessa ammissione di prove decisive ai fini dell'accoglimento di una eccezione di natura processuale. Sostiene che la Corte d'appello ha erroneamente rigettato la richiesta di acquisizione ritenuta decisiva ex articolo 603 c.p.p. dei documenti prodotti con l'atto d'appello (referto medico ai sensi dell'articolo 365 c.p.p. datato 20.2.2015 della Direzione provinciale di Trento dell'INAIL; sommarie informazioni testimoniali datate 27 maggio 2015 assunte dai Carabinieri di Segonzano; nota di trasmissione di dette S.I.T. all'Unita' Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro" dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari; modello di comunicazione per denunce di infortuni sul lavoro da archiviare datato 24.6.2015; proposta di archiviazione della notizia di reato del 15.7.2015 redatta dalla Sezione di Polizia giudiziaria alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento) e funzionali alla dimostrazione della fondatezza dell'eccezione di improcedibilita' o litispendenza, dopo aver ritenuto infondata detta eccezione. Con il secondo motivo deduce ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) l'improcedibilita' dell'azione penale per preclusione da precedente provvedimento di archiviazione o per litispendenza. Argomenta che l'eccezione e' stata proposta in appello ed illegittimamente rigettata, atteso che per il reato per cui si procede erano gia' state avviate indagini e che in data 15 luglio 2015 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento aveva emesso provvedimento de plano di archiviazione. Nella specie, pertanto, il procedimento e' tuttora pendente non avendo il provvedimento di archiviazione esplicato alcun effetto. Con il terzo motivo di ricorso ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'inosservanza del criterio di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti anche rispetto all'omessa valutazione di decorsi causali autonomi incidenti/sorpassanti (articolo 606 c.p.p., lettera b)). Assume che non e' stata valutata l'incidenza del ritardo diagnostico intervenuto in occasione dell'accesso al Pronto Soccorso da parte della persona offesa ed il fatto che la menomazione dell'organo della vista dipende proprio dalla non immediata estrazione del corpo estraneo dall'occhio, omissione da ricondurre alla condotta dei sanitari, che la sera del sinistro si sono limitati a comunicare l'assenza dello specialista ed a rimandare a casa il paziente. Pertanto, la concretizzazione del rischio di gravita' tale da comportare la sussunzione del contegno omissivo nell'ipotesi di cui all'articolo 590 c.p., comma 3 e' stata imputata in maniera oggettiva all'odierno imputato non ravvisandosi gli estremi della prevedibilita'. Con il quarto motivo deduce ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) la mancanza o la grave insufficienza della motivazione su una richiesta espressamente avanzata dalla difesa rispetto alla istanza di revoca della provvisionale concessa al cui pagamento veniva subordinata la sospensione condizionale della pena, con rimando di ogni questione al giudice civile. Si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato sia la concessione della provvisionale che la scelta di subordinare la sospensione condizionale della pena al suo pagamento, tenendo conto altresi' del diritto dell'imputato di proclamarsi innocente e di non attivarsi per il risarcimento del danno nonche' del fatto che l'unico legittimato a tal fine, a seguito della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.r.l., e' il curatore. Assume che la parte civile aveva gia' percepito Euro 204.000 dall'Inail ed Euro 78.000,00 dal fallimento della societa' (OMISSIS) s.r.l. in sede di primo riparto. 4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso ripropongono analoghe doglianze gia' proposta in appello, cui la Corte territoriale ha risposto con motivazione logica e diffusa. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). A prescindere da tale rilievo preliminare, esaminando il primo motivo, lo stesso e' manifestamente infondato. Va premesso che l'acquisizione di una prova documentale nel giudizio di appello, pur non implicando la necessita' di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti. Nella specie l'acquisizione dei documenti prodotti con l'atto d'appello era funzionale a supportare l'eccezione processuale di improcedibilita' dell'azione penale, gia' sollevata dalla difesa in primo grado. Ebbene, la Corte territoriale, una volta disattesa l'eccezione di improcedibilita' dell'azione penale per preclusione da precedente provvedimento di archiviazione, atteso che il provvedimento di archiviazione de plano adottato dal Pubblico ministero non ha rilievo ai fini della preclusione ex articolo 414 c.p.p., ha correttamente rigettato la richiesta ex articolo 603 c.p.p. dato che la documentazione difensiva nulla dimostra in ordine all'asserita iscrizione della notizia di reato della quale peraltro vi e' prova contraria in atti. 2. Manifestamente infondato e' anche il secondo motivo. Va premesso che ricorre la litispendenza in caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio (o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria) di piu' procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona; una volta esercitata l'azione penale nell'ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell'esercizio del potere di promuovere l'azione, assumendo, in assenza di un'espressa disposizione normativa, diretto rilievo il principio di "consumazione" del potere medesimo, correlato a quello di "preclusione", del quale costituisce espressione il divieto di "bis in idem" dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell'ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l'archiviazione (ovvero, nel caso in cui l'azione penale sia gia' stata esercitata, ne va dichiarata l'improcedibilita' con sentenza)(Sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008, Rv. 240783). Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che nel caso di specie ricorra detta ipotesi non venendo in rilievo due procedimenti pendenti dinanzi ad un giudice, ma una mera archiviazione de plano da parte del Pubblico ministero di notizia non costituente notizia di reato seguita poi dall'instaurazione di un procedimento penale. 3. Il terzo motivo di ricorso e' inammissibile in quanto generico. Ed invero, come correttamente rilevato dalla Corte d'appello, la tesi difensiva che sembra ipotizzare una condotta colposa della vittima o di terzi soggetti successivamente all'infortunio con conseguente efficienza causale rispetto all'indebolimento permanente dell'organo, non trova alcun appiglio nell'istruttoria espletata. Ritiene, poi, il Collegio di aderire al principio secondo cui l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorche' di elevata gravita', non puo' ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'infortunio e la successiva morte della vittima (o l'aggravamento delle lesioni) posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalita', occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale (cfr. Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017 Ud. - dep. 23/05/2017 - Rv. 269976). In altri termini, la morte della vittima e' addebitabile al comportamento dell'agente, perche' questi, provocando le originarie lesioni, ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale (v. Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Rv. 276238; Sez. 4, n. 41943 del 04/10/2006, Rv. 235537). 4. Il quarto motivo di ricorso e' del pari inammissibile. Ed invero la censura, ripropone sotto l'egida del vizio motivatorio, analogo motivo di appello e si concreta essenzialmente nella contestazione del quantum della provvisionale concessa, dolendosi del fatto che il giudice non avrebbe tenuto conto delle somme gia' corrisposte allo (OMISSIS) sia dall'Inail che dal fallimento della societa' (OMISSIS). Contrariamente all'assunto difensivo, gia' il giudice di primo grado e successivamente la Corte d'appello, dandone espressa contezza nella motivazione, nel disporre il pagamento della provvisionale hanno tenuto conto delle somme corrisposte da terzi, ritenendo altresi' di subordinare la sospensione condizionale al pagamento della provvisionale, considerato che l'imputato non risulta aver versato alcun risarcimento alla persona offesa ne' aver posto in essere alcuna condotta riparatoria, pur a distanza di anni dalla verificazione del fatto per cui e' processo. Alla luce del chiaro tenore della sentenza impugnata sul punto, la censura si risolve quindi nella mera contestazione del quantum riconosciuto a titolo di provvisionale, di talche' va fatta applicazione del principio secondo cui non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (da ultimo Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019 Ud. (dep. 05/11/2019) Rv. 277773). 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 ((cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BRUNO Mariarosaria - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/04/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA; lette le conclusioni del P.G.. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 1.4.2022 la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Cassino in data 25.3.2019 che aveva ritenuto (OMISSIS) colpevole di tutti i reati a lei ascritti (capo a): reato di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3; capo b): reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 1, comma 5, lettera c) e d), Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 159, comma 1; Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 18, comma 1, lettera a) d) e g); articolo 36, commi 1 e 2 e articolo 37, comma 1, articolo 96, comma 1, lettera g)) condannandola alla pena di mesi quattro di reclusione con pena sospesa, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della predetta in ordine ai reati di cui al capo b) per essere gli stessi estinti per prescrizione ed ha rideterminato la pena in mesi tre di reclusione confermando la sentenza nel resto. 2. Il fatto, come ricostruito dalle sentenze di merito, attiene al sinistro occorso in data (OMISSIS) allorche' (OMISSIS), padre dell'odierna imputata, mentre era intento a raggiungere il lastrico solare dell'edificio sito in (OMISSIS), cadeva dalla scala poggiata al muro del tetto del suddetto immobile, oggetto di ristrutturazione da parte della societa' della quale era amministratrice unica la figlia, provocandogli lesioni personali da cui derivava una malattia per un tempo superiore a quaranta giorni. Sulla base delle testimonianze di (OMISSIS), funzionario della Ausl di (OMISSIS) e di (OMISSIS) nonche' dei documenti allegati agli atti (segnatamente il certificato di iscrizione della " (OMISSIS) s.r.l." alla Camera di Commercio di Frosinone, rilasciato l'1.8.2014 e la certificazione di regolarita' contributiva Inps-Inail della medesima) i giudici di merito hanno ritenuto l'odierna imputata responsabile, nella qualita' di amministratore unico della societa' (OMISSIS) e datore di lavoro di (OMISSIS), di non aver impedito al predetto lavoratore di utilizzare una scala in alluminio semplice da appoggio in assenza di altro lavoratore che ne garantisse la stabilita'. 3. Avverso la sentenza d'appello l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione articolato in due motivi. Con il primo motivo deduce ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) la mancata assunzione delle prove testimoniali della difesa ed ex articolo 606 c.p.p., lettera e) il vizio motivazionale. Deduce che il Tribunale dopo aver ammesso la prova testimoniale non ha poi proceduto alla relativa escussione senza revocarne l'ammissione se non implicitamente con l'invito alle parti a concludere e la Corte d'appello non ha provveduto al rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, pur ritualmente richiesta. Aggiungeva che le prove richieste erano rilevanti e tendevano a dimostrare la condotta abnorme del lavoratore. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all'articolo 27 Cost. ed all'articolo 42 c.p. nonche' ex articolo 606 c.p.p., lettera e) - il difetto di motivazione. Assume che i giudici di merito si sono adagiati sulla posizione di garanzia dell'amministratore e sulle clausole di equivalenza di cui all'articolo 40 cpv c.p. trascurando ogni scrutinio in merito alla sua effettiva potesta' gestionale ed alla possibilita' di evitare o impedire la condotta del (OMISSIS). 4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Va premesso che il giudice che, senza aver assunto le testimonianze a discarico ammesse, invita le parti alla discussione, esercita implicitamente il potere di revoca dell'ammissione della prova e non ha un obbligo di motivazione esplicita in sentenza dei motivi della revoca se, dal contesto delle argomentazioni, e' possibile evincere che le ragioni del convincimento prescindono dalle prove ammesse e non assunte. (In motivazione, la Corte ha anche precisato che la revoca implicita non integra la violazione del dovere di sentire le parti, ex articolo 495 c.p.p., comma 4, in quanto l'invito a formulare le conclusioni costituisce una modalita' scelta del giudice per provocare il contraddittorio in ordine allo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale)(Sez. 5, n. 9687 del 02/12/2014 Rv. 263184). Nella specie la Corte territoriale, rispondendo ad analoga censura sollevata con l'atto d'appello, ha pertanto correttamente ritenuto che il giudice di primo grado revocando l'ammissione dei testi della difesa gia' ammessi in ragione del fatto che le loro dichiarazioni sarebbero state superflue in quanto gia' dimostrata la titolarita' di diritto dell'impresa in capo alla (OMISSIS), ha legittimamente esercitato il potere che il legislatore gli ha conferito. Per le medesime ragioni non vi erano i presupposti per disporre la rinnovazione dell'istruttoria in appello, tenuto conto peraltro che nel giudizio di secondo grado il criterio di scelta circa l'ammissione di nuove prove in appello e' diverso e piu' stringente rispetto a quello che deve seguire il giudice di primo grado atteso che l'articolo 603 c.p.p., comma 1, prevede che la rinnovazione dell'istruttoria sia da svolgersi solo se la Corte "ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti". 2. Il secondo motivo e' del pari manifestamente infondato. Giova premettere che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la previsione del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 299, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilita' del datore di lavoro, che di tali poteri e' investito ex lege e che, nelle societa' di capitali, si identifica nella totalita' dei componenti del consiglio di amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione che, in assenza di delega di poteri, aveva riconosciuto la qualifica di datore di lavoro al presidente del consiglio di amministrazione di una societa' di capitali, nonostante si occupasse della prevenzione un altro componente del consiglio di amministrazione).(Sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021 Rv. 282568). Ebbene, facendo buon governo di tale principio la sentenza impugnata ha concluso che all'imputata sia da attribuirsi la qualifica di datore di lavoro, in quanto la stessa era amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., come comprovato dalla documentazione versata in atti Pertanto, anche ove provata, l'esistenza di un titolare di fatto, non avrebbero comunque potuta esonerarla da responsabilita'. 3. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angel - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ESPOSITO ALDO; lette le conclusioni del PG ORSI LUIGI che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio; udito il difensore. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 2 dicembre 2019, con cui (OMISSIS) era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre di reclusione in relazione al reato di cui agli articoli 113 e 590 commi primo e terzo, con riferimento all'articolo 583 c.p., perche', in qualita' di amministratore unico della (OMISSIS), esercente l'attivita' di organizzazione e gestione di servizi di magazzinaggio e logistica per conto terzi, nel caso di specie operante come appaltatrice della (OMISSIS) s.r.l. (ditta di deposito merci per conto terzi) nonche' datore di lavoro, ometteva per colpa di menzionare all'interno del "Documento di valutazione dei rischi" la valutazione del rischio derivante da eventuali allontanamenti dei mezzi di trasporto dalla banchina/ribalta durante le operazioni di carico e scarico delle merci e le misure di sicurezza atte ad evitare la suddetta eventualita', cagionando di conseguenza al lavoratore (OMISSIS), all'epoca dipendente con qualifica di operaio addetto al carico e scarico merci, lesioni personali gravi del tipo frattura bimalleolare alla caviglia sinistra, tali da determinare l'incapacita' dello stesso ad attendere alle proprie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni. Il (OMISSIS), nell'eseguire l'operazione di carico della merce sull'autocarro posizionato nello stabilimento della (OMISSIS), era investito dal muletto elettrico, da lui stesso guidato e che, procedendo in retromarcia, si impennava nel punto in cui la ribalta si appoggia sul piano di carico del camion, ove si era creato un dislivello dovuto all'avanzamento involontario dell'autocarro, il quale - privo di cunei di fermo apposti dinnanzi alle ruote o di altre misure idonee ad impedirne ogni movimento, e per l'effetto congiunto determinato dalla variazione del peso di carico - subiva uno scivolamento in avanti, determinandone l'allontanamento dal luogo di carico; il mulet-to, per tale motivo impennatosi, finiva per cadere sulla caviglia sinistra del (OMISSIS), causandone la frattura. Il (OMISSIS) e l' (OMISSIS) (originario coimputato non ricorrente) sono stati condannati sulla base dei seguenti elementi: a) le testimonianze rese dal (OMISSIS), dai suoi colleghi di lavoro, (OMISSIS), dal magazziniere (OMISSIS) (teste citato dalla difesa), da (OMISSIS) e dal tecnico di (OMISSIS) (OMISSIS); b) le dichiarazioni rese in sede di esame dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS); c) la documentazione prodotta dalle parti. 2. Il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione. 2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni del soggetto passivo del reato. Si deduce che la persona offesa si era anche costituita parte civile, per cui i giudici di merito avrebbero dovuto svolgere un controllo di attendibilita' piu' rigoroso rispetto a quello generico previsto per gli altri testimoni. Come riferito dal (OMISSIS), al momento del fatto non erano presenti testi oculari se non il sedicente conducente del camion di proprieta' dell' (OMISSIS), di nazionalita' marocchina, che non era mai stato individuato. Immediatamente dopo i fatti - in mancanza di filtri da parte di altri soggetti - il (OMISSIS) si recava al P.S. per le cure del caso e dichiarava ai medici che l'infortunio si era verificato a causa della caduta sulla caviglia del piede di un collo (vedi certificato di P.S. allegato agli atti). I testimoni sentiti (OMISSIS), (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS) in dibattimento confermavano di non aver presenziato ai fatti. La denuncia di sinistro all'INAIL conteneva l'indicazione di frattura della caviglia al lavoratore per la caduta dall'alto di un collo. Tale dinamica dell'infortunio era stata dichiarata nell'immediatezza dei fatti, senza filtri di altri soggetti e quindi piu' sincera. In seguito, il (OMISSIS) cambiava la propria versione dei fatti e dichiarava all'ATS (e poi in dibattimento) che, in occasione dell'infortunio, lo spostamento del camion da scaricare aveva determinato la sua caduta dal transpallet. La contraddittorieta' tra le diverse dichiarazioni avrebbe dovuto condurre ad un giudizio di inattendibilita' del (OMISSIS). Non costituivano validi riscontri probatori le testimonianze rese dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), assenti ai fatti, che riferivano la dinamica de relato; la Corte di merito ha considerato dirimente che i predetti avessero riferito di aver appreso gia' nel pomeriggio dell'infortunio da colleghi imprecisati che il (OMISSIS) avrebbe subito l'infortunio in tarda mattinata, cadendo da un traspallet. Non si comprendeva quali colleghi avrebbero loro riferito le modalita' di svolgimento dei fatti perche', come confermato dal (OMISSIS), nessuno era presente tranne un sedicente conducente di camion, di nazionalita' marocchina, mai individuato; l'unico soggetto che poteva aver riferito della caduta dal traspallet era il (OMISSIS) stesso il quale, dopo essersi recato al P.S. e aver dichiarato in modo genuino gli eventi (caduta di un collo sul piede), successivamente si era fatto consigliare "cambiando la versione dei fatti", diffondendo la falsa versione in azienda, probabilmente per telefono, della sua caduta dal traspallet. La Corte di appello ha ritenuto acclarato che il (OMISSIS) avesse subito l'infortunio cadendo dal traspallet, senza porsi la problematica della fonte di provenienza della notizia (il (OMISSIS) stesso). Evidentemente, il (OMISSIS) aveva riportato tale versione agli altri colleghi fra i quali il (OMISSIS) e il (OMISSIS), per cui le loro dichiarazioni de relato erano inattendibili. Tale incongruenza deponeva per la contraddittorieta' del (OMISSIS) e per l'assenza di riscontri alle sue dichiarazioni. La difficolta' psico-fisica derivante dalla sofferenza per una lesione subita puo' condizionare il ricordo di alcuni particolari, ma non puo' comportare una ricostruzione dei fatti completamente diversa. La dinamica degli eventi era quella descritta nel referto di P.S. e riportata nella denuncia all'INAIL (caduta di collo sul piede) che non poteva che comportare l'assoluzione dell'imputato. 2.2. Vizio di motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena. Si osserva che la motivazione appariva contraddittoria e illogica, essendo emersa una condotta successiva all'infortunio corretta ed adeguata da parte del datore di lavoro, favorevole all'infortunato. Il (OMISSIS) riferiva quanto segue: a) aveva ricevuto idoneo risarcimento dall'INAIL e dal datore di lavoro con riferimento all'indennita' temporanea; b) l'INAIL avevo riscontrato l'invalidita' permanente nella misura del 9%; c) l'INAIL non aveva ancora liquidato il danno; d) nel giugno 2016, si era sottoposto a visita medica di chiusura dell'infortunio presso l'INAIL e, stante la sua l'inidoneita', il datore di lavoro era stato obbligato a licenziarlo per giustificato motivo oggettivo; e) aveva impugnato il licenziamento e aveva raggiunto un accordo transattivo, contenente la previsione della corresponsione della somma di Euro diecimila dal datore di lavoro, in cambio di un complicato reintegro per ragioni di inidoneita' fisica. L'imputato si era comportato correttamente, a tutela del lavoratore; egli aveva risposto con puntualita' alle domande formulate; ribadiva di non aver presenziato ai fatti, ma di aver appreso dell'accaduto dal (OMISSIS), responsabile della sicurezza. Nella sentenza impugnata si e' erroneamente affermato che l'imputato non si era dichiarato preventivamente disponibile ad adempiere agli obblighi di cui all'articolo 165 c.p., comma 1. L'entita' delle somme corrisposte al lavoratore dimostrava il contrario. 2.3. Violazione di legge con riferimento al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena. Si rileva che, pur in presenza di chiari elementi che deponevano per la dovero-sita' della concessione dei benefici di legge e in assenza di validi elementi di segno contrario, la Corte territoriale ha rigettato la richiesta. Il giudizio prognostico avrebbe dovuto riguardare tutti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p.. Il precedente penale concerneva un reato di natura colposa, commesso durante l'espletamento dell'attivita' di trasportatore. Non e' stata considerata la figura imprenditoriale dell'imputato, ben inserito nel tessuto sociale, nei cui confronti una misura restrittiva della propria liberta' potrebbe incidere in modo estremamente negativo sull'attivita' svolta. Non si e' preso atto dell'indennizzo conseguito alla pratica INAIL e del versamento di Euro diecimila in favore del lavoratore, per dare a lui ristoro (non dovuto) a seguito di un inevitabile licenziamento intervenuto per oggettive ragioni di inidoneita' fisica, accertate in sede INAIL. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta la ritenuta attendibilita' della persona offesa (OMISSIS) (poi costituitasi parte civile), e' manifestamente infondato. Va ricordato che, in base alla consolidata giurisprudenza di legittimita' in tema di valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilita' soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituitasi parte civile (circostanza verificatasi nel caso di specie), accertando l'assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettivita', senza la necessita', pero', del reperimento di riscontri esterni, stabilita dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, per il dichiarante coinvolto nel fatto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730). Questa Corte ha anche statuito che "la valutazione della credibilita' della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo' essere rivalutata in sede di legittimita', salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammaro-ta, Rv. 262575) "o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilita'" (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609). Con motivazione puntuale ed immune dai vizi, la sentenza impugnata ha condiviso la valutazione del Tribunale sull'attendibilita' di (OMISSIS), soggetto passivo del reato, avendo ritenuto coerente e precisa la narrazione in ordine alla dinamica dell'infortunio. Il (OMISSIS) aveva dichiarato in dibattimento - che, mentre a bordo del transpallet indietreggiava in retromarcia all'interno del camion, non essendovi spazio a sufficienza per girare il carrello elevatore verso l'uscita, arrivato al limite della ribalta questa si abbassava di colpo, determinando il ribaltamento dello stesso transpallet, che nella caduta lo colpiva alla caviglia; egli chiariva che la caduta del transpallet era stata causata dallo spostamento in avanti del camion, a sua volta determinata dalla mancanza dei cunei per bloccarne le ruote. La Corte territoriale ha evidenziato che il (OMISSIS) aveva fornito una spiegazione plausibile in ordine alla discrasia tra il contenuto della denuncia infortunio inoltrata all'INAIL, compilata dal datore di lavoro e riproduttiva delle indicazioni iniziali da lui fornite in Pronto Soccorso, e le sue dichiarazioni rese in dibattimento: egli, infatti, nel corso del suo esame precisava che in ospedale non gli erano state poste domande specifiche e che si era limitato a dire di essere stato urtato al piede da "un collo", senza descrivere in dettaglio la causa del ribaltamento del muletto; nella sentenza impugnata si e' logicamente sottolineato che tale divergenza era scaturita dalle condizioni di sofferenza del (OMISSIS) derivanti in quel momento dal dolore per la grave frattura riportata, per cui si e' conseguentemente escluso che egli avesse artatamente costruito una diversa versione della vicenda nei giorni successivi al fatto. La Corte di merito ha poi specificato che anche gli altri operai (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano concordemente riferito che il camion si era spostato in avanti per effetto dei movimenti del muletto. Al riguardo, la difesa del (OMISSIS) evidenzia che tali testimonianze erano solo de relato, perche' tali due testi non si trovavano sul luogo dell'incidente, dove invece era presente il solo autista di nazionalita' marocchina. In proposito, va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio di appello le dichiarazioni de relato sono utilizzabili, senza che cio' determini violazione dell'articolo 195 c.p.p., comma 1, qualora nel giudizio di primo grado la difesa non abbia richiesto l'audizione del teste diretto, per implicito rinunciando ad avvalersi del diritto a procedere al suo esame (Sez. 6, n. 12982 del 20/02/2020, L., Rv. 279259; Sez. 5, n. 28595 del 07/04/2017, Antonini, Rv. 270870). Deve escludersi, pertanto, che la Corte milanese sia incorsa in una violazione di legge, non risultando dai verbali di udienza che il ricorrente si fosse avvalso della correlata facolta' di chiederne l'audizione nel dibattimento di primo grado; per cui l'omessa richiesta di audizione legittimava l'utilizzazione delle dichiarazioni de relato. 2. Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso - da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione logica, riguardando entrambi la dedotta illogicita' o contraddittorieta' motivazionale circa il diniego della sospensione condizionale della pena, sono manifestamente infondati. Va premesso che, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilita' del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Di Domenico, Rv. 263534), ivi compresi i precedenti giudiziari (Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206). A tale parametro interpretativo si e' attenuta la Corte milanese nel rigettare, con motivazione congrua e logica, percio' non sindacabile sotto il profilo del merito, le censure sollevate coi motivi indicati. La Corte distrettuale, infatti, ha correttamente ritenuto ostativi alla concessione del beneficio il precedente penale specifico con conseguente condanna alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione e il comportamento processuale caratterizzato da dichiarazioni a tratti reticenti e contraddittorie. Il ricorrente non si e' adeguatamente confrontato con l'apparato argomentativo della sentenza impugnata. 3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. MAGRO Baetrice - Consigliere Dott. AMOROSO M.Cristi - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale di Frosinone del 28/10/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Cristina Amoroso; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Gianluigi Pratola che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il tribunale di Frosinone, ha emesso in data 20.10.2022 ordinanza con la quale, nel rigettare l'istanza di riesame presentata nell'interesse di (OMISSIS), ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cassino in data 13.10. 2022 con il quale era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente delle somme e dei beni nella disponibilita' della persona indagata fino a concorrenza dell'importo complessivo di Euro 3.325.918,17 per i delitti di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 81 c.p., articolo 10 quater, comma, 2 perche' perche' nella sua qualita' di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. con luogo di esercizio in (OMISSIS), e destinato alla fabbricazione di carta e cartone, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso utilizzava nelle dichiarazioni relative agli anni dal 2017 al 2021 crediti inesistenti (INAIL INPS) in compensazione ai debiti tributari maturati ai sensi del Decreto Legislativo 9 luglio 1997 n. 241, articolo 17 del per un importo complessivo pari a Euro 3.325.918,47. 2. Avverso il provvedimento l'imputato, tramite difensore, ha presentato ricorso per cassazione articolato nei seguenti motivi. 3. Nel primo motivo di ricorso lamenta il vizio di violazione di legge contestando la competenza territoriale del tribunale di Cassino ritenendo, invece, che avrebbe dovuto essere considerato competente l'ufficio di Roma che per primo aveva provveduto ad iscrivere la notizia di reato che ha dato origine al procedimento. 4. A sostegno dell'impostazione difensiva si evidenzia che il ricorrente, come dedotto gia' in sede di riesame, aveva inviato, in data 28/02/2022, alla Procura di Roma una comunicazione via Pec riferita al preesistente procedimento enale n. 34118/2021 e collegata alla attivita' del Nucleo di Polizia economica finanziaria ed in particolare al processo erbale di contestazione emesso nei confronti della societa' HPS srl con sede legale in Roma, e sede operativa in Broccostella (FR). 5. Tale comunicazione, ad avviso del ricorrente sarebbe indicativa della originaria pendenza dei fatti per i quali e' causa presso la Procura della Repubblica di Roma, da ritenersi proprio a causa di tale primigenia iscrizione competente per il procedimento. 6. Si aggiunge che il reato riferito alla compensazione illecita e' stato posto in essere da altre societa' la cui sede legale e' Roma e che comunque in ogni caso la competenza si radicherebbe presso i giudici della capitale atteso che la compensazione/ pagamento viene effettuato dall'agenzia delle entrate con sede a Roma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' manifestamente infondato sebbene per ragioni differenti da quelle poste a sostegno della decisione impugnata. 2.Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, nel caso di specie non puo' trovare applicazione la disposizione prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000,articolo 18 iusta la quale il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale - dettata, nel comma 2 della disposizione, soltanto "per i delitti previsti dal capo I del titolo II" - ma deve farsi applicazione della generale previsione, contenuta nel comma 1 della disposizione, secondo cui "se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non puo' essere determinata a norma dell'articolo 8 c.p.p. e' competente il giudice del luogo di accertamento del reato". 3.Ed invero, il disposto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, comma 2, non puo' trovare applicazione poiche' al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, e' contenuto nel capo H (e non gia' nel capo I) del titolo secondo del provvedimento legislativo e, diversamente da quanto opina il ricorrente, non e' un mero reato dichiarativo perche' si consuma nel momento e nel luogo in cui e' omesso il versamento di imposte dovute per un importo superiore a Euro 50.000. Come gia' si e' avuto modo di precisare in relazione agli analoghi delitti di omesso versamento di IVA o di ritenute certificate di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10-ter e 10-bis, del la competenza per territorio va dunque individuata in base al disposto di cui a(comma 1 dell'articolo 18 del citato decreto. Secondo un orientamento di questa Corte, in tali casi il luogo in cui si verifica l'omissione del versamento del tributo ex articolo 8 c.p.p. deve ritenersi coincidente con il luogo ove si trova la sede effettiva dell'azienda, nel senso di centro della attivita' amministrativa e direttiva dell'impresa (Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Santacroce, Rv. 260110; Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016, dep. 2017, Mosetter, Rv. 269983); secondo un diverso indirizzo, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione siccome l'adempimento dell'obbligazione tributaria puo' essere effettuato anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va invece applicato il criterio sussidiario del luogo "dell'accertamento del reato" indicato dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, comma 1, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'articolo 9 c.p.p. (Sez. 3, n. 17060 del 10/01/2019, Lupo, Rv. 275942; Sez. 1, n. 44274 del 24/09/2014, Tirabasso, Rv. 260801) da individuarsi nella sede dell'Ufficio Giudiziario in cui e' stata compiuta una effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica e la circostanza della mera iscrizione della notizia di reato priva del conseguente accertamento. 4.Facendo applicazione delle coordinate ermeneutiche enunciate non v'e' dubbio che le attivita' che hanno condotto all'accertamento del delitto contestato cono state poste in essere dalla Procura di Cassino, circostanza che, alla luce d quanto illustrato priva di qualunque fondatezza il motivo proposto. Per queste ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/03/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore Generale FELICETTA MARINELLI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito l'AVV. (OMISSIS), sostituta processuale degli AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), che si e' riportata ai motivi di ricorso insistendo per il suo accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.1 sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per l'annullamento della sentenza del 07/03/2022 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza del 20/07/2021 del Tribunale di Messina da loro impugnata, ha concesso alla (OMISSIS) il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la condanna alla pena principale, rispettivamente, di un anno e sei mesi di reclusione, irrogata alla prima, di due anni e sei mesi, irrogata al secondo, per il reato di cui agli articoli 110 c.p., 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, oltre pene accessorie e confisca dei beni per un valore corrispondente al profitto del reato. 2. (OMISSIS) deduce con unico motivo l'omessa valutazione e il travisamento di emergenze processuali che, se prese in considerazione, avrebbero condotto ad una diversa conclusione. I Giudici di merito, lamenta, non hanno minimamente valutato quel che appariva evidente dall'esame delle risultanze processuali: la possibilita' che l'imputata fosse ignara della posizione ricoperta all'interno della societa' da lei rappresentata, che si trattasse di una mera, inconsapevole prestanome priva di qualsiasi potere direttivo, non avendo mai svolto alcun tipo di attivita' lavorativa, tantomeno gestionale all'interno dell'azienda al punto da risultare sconosciuta persino ai dipendenti (che invece conoscevano soltanto il (OMISSIS) come unico e solo gestore della societa' che impartiva ordini e direttive, erogava gli stipendi, faceva colloqui di lavoro). La mera imputazione causale del fatto non e' sufficiente, afferma, perche' non assolve all'onere di provare il dolo specifico del reato omissivo. Le argomentazioni della Corte di appello volte a dimostrate la piena e consapevole partecipazione della ricorrente al programma elusivo del (OMISSIS) non sono sufficienti a sanare i non pochi dubbi del contrario. 3. (OMISSIS) propone sei motivi. 3.1.Con il primo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 546, comma 3, c.p.p. in quanto la sentenza impugnata contiene molteplici errori: a) nell'intestazione e' scritto che si tratta di sentenza contestualmente motivata laddove nel dispositivo e' scritto il contrario; b) le generalita' del ricorrente sono riportate in modo errato (nato il "(OMISSIS)"); c) nelle conclusioni si fa rinvio al verbale di udienza dal quale risulta che l'Avv. (OMISSIS) si sarebbe riportato ai motivi di appello, laddove detto difensore era assente e sostituito dall'Avv. (OMISSIS); d) gli estremi della sentenza appellata sono riportati in maniera errata due volte (e ogni volta in modo diverso) generando una confusione sulla sentenza eventualmente da eseguire che si riverbera sulla completezza ed esattezza del dispositivo stesso. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111 Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p. in relazione all'omesso esame di argomenti difensivi ed elementi di prova nuovi allegati all'appello ed ai motivi aggiunti del tutto negletti o in relazione ai quali e' stata fornita una motivazione illogica o contraddittoria. Si tratta - afferma - di elementi dai quali si ricavava con assoluta certezza il coinvolgimento nell'acquisto delle quote societarie e il compimento di atti di gestione occulta da parte di un terzo soggetto rimasto nell'ombra nel corso delle indagini. Cio' che si contesta e' la pedissequa ripetizione della motivazione della sentenza di primo grado senza alcuna valutazione degli argomenti difensivi, quando non travisati. Questi gli argomenti difensivi dedotti in appello: i) tutti i dipendenti della "(OMISSIS) S.a.s." avevano affermato, in primo grado, di aver sempre ricevuto ordini e direttive dal ricorrente ma con l'appello era stato sollecitato l'approfondimento di questo argomento perche' il (OMISSIS), pur avendo ceduto le quote della (OMISSIS) il (OMISSIS), si era comunque impegnato ad assorbire i dipendenti nelle proprie societa', (OMISSIS) o (OMISSIS), come poi effettivamente avvenuto, sicche' non e' dato comprendere se i dipendenti, quando erano stati sentiti, si fossero riferiti all'epoca in cui il ricorrente era ancora amministratore di diritto o a quella di "transizione" dalla (OMISSIS) alle due predette societa' o ancora al periodo in cui erano stati assunti da queste ultime. La Corte di appello non solo non risponde ma travisa la visura storica della (OMISSIS) da cui risulta che nel 1 e 2 trimestre del 2012 i dipendenti erano tre, uno nel terzo, nessuno nel quarto; ii) dopo la cessione delle quote la (OMISSIS) era entrata in una fase di stallo, onde non si comprende quale interesse avrebbe mai potuto avere il ricorrente, ma anche tale argomento e' rimasto senza risposta; iii) la legale rappresentanza della societa' era stata ceduta a (OMISSIS) il (OMISSIS); questi l'avrebbe a sua volta ceduta alla (OMISSIS) il (OMISSIS) allorquando i ruoli si sarebbero invertiti: (OMISSIS) socio accomandante, (OMISSIS) socio accomandatario. Poiche' i testimoni hanno affermato di aver lavorato fino a settembre 2011, il periodo di amministrazione di fatto dovrebbe essere circoscritto da giugno a settembre 2011 (falsa l'affermazione del (OMISSIS) di aver lavorato fino al giugno 2013). Orbene, afferma, questa finestra temporale non coincide con il "tempus commissi delicti" posto che il reato e' contestato come consumato il (OMISSIS) e le dichiarazioni IVA omesse sono quelle che avrebbero dovuto essere presentate tra il 1 febbraio ed il 1 ottobre 2012, ma che in questo periodo egli abbia posto in essere atti gestori non v'e' prova alcuna, ma nemmeno questo argomento ha trovato ingresso nella motivazione della sentenza impugnata; iv) non era possibile enucleare dalle testimonianze dei dipendenti i concreti e tipici atti gestori dell'impresa asseritamente da lui posti in essere, non essendo mai state chiarite le ragioni per le quali essi si fossero "sempre" rivolti a lui, tanto piu' se si considera che i dipendenti disimpegnavano le loro prestazioni da remoto e non in sede, senza dunque avere occasioni di incontro con il loro datore di lavoro; anche questo argomento e' stato negletto; v) era stato dimostrato che le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) (che avevano assorbito i dipendenti della (OMISSIS)) erano state costituite l'una nel 1999, l'altra nel 2007 e cio' a confutazione dell'argomento accusatorio (fatto proprio dal primo Giudice) della costituzione "ad hoc" di societa' con cui continuare a svolgere le medesime attivita' di quelle cedute al fine di sottrarsi agli adempimenti tributari; di questo argomento difensivo non v'e' traccia nella sentenza impugnata; vi) il ricorrente non aveva mai preso parte alle operazioni di verifica/ accertamento cui, invece, aveva partecipato la (OMISSIS), nella sua qualita' di L.R., che pero' mai lo aveva chiamato in causa; e anche di questo argomento non v'e' traccia nella motivazione della sentenza impugnata (benche' all'imputato sia stata comminata una pena addirittura superiore a quella della legale rappresentante); vii) dagli atti di un separato procedimento penale, definito con sentenza di proscioglimento per remissione di querela del 24/06/2016 del Tribunale di Palmi, era emerso che la rappresentanza legale e la materiale gestione della societa' erano riconducibili a nuovi e diversi soggetti a seguito della cessione delle quote; tale conclusione si basava sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) (che aveva tirato in ballo tal (OMISSIS) ed aveva persino riferito di non conoscere il ricorrente), dal (OMISSIS) (che aveva riferito che l'acquisto delle quote gli era stato proposto dalla (OMISSIS) e da un certo (OMISSIS) dietro promessa di un compenso mai erogato e negatogli con minaccia, e di aver partecipato all'atto notarile in pieno possesso delle proprie facolta', cosa negata in questo procedimento ove aveva affermato di essere stato indotto a bere e di aver partecipato all'atto in stato di incoscienza), dal notaio intervenuto all'atto (che aveva confermato la presenza dello (OMISSIS) e del ruolo che questi aveva avuto nella pratica della cessione delle quote); tali esiti probatori si ponevano in insanabile contrasto con quanto affermato dal primo Giudice, in relazione alla ricostruzione della vicenda della cessione delle quote e alla malleabilita' del (OMISSIS) che, afferma il ricorrente, non si era mai presentato in dibattimento; di tutti questi dati, del fatto che lo (OMISSIS) gestisse il conto e la contabilita' della (OMISSIS), che avesse offerto denaro alla (OMISSIS) perche' non si recasse a deporre alla GdF, non vi e' alcun cenno, nemmeno grafico, nella sentenza impugnata. 3.3.Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e degli articoli 42, cpv., e 43 c.p., sotto il profilo della insussistenza del dolo specifico di evasione, nonche' l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lettera e, 125, comma 3, c.p.p., sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione in ordine agli argomenti difensivi devoluti in appello a sostegno della mancanza del dolo il cui accertamento era stato trascurato in primo grado pur in presenza di elementi che lo escludevano (il divario temporale tra la data di cessazione della carica e la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione IVA; il trasferimento delle scritture contabili dopo la cessione delle quote). A fronte di questi argomenti, afferma, la sentenza impugnata non spende una sola parola. 3.4.Con il quarto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111, comma 6, Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p. in quanto la motivazione della sentenza impugnata omette ogni valutazione su fondamentali temi ed argomenti di prova dedotti con l'atto di appello. Le questioni devolute, osserva, erroneamente o maldestramente sintetizzate dalla Corte di appello, non riguardavano, per esempio, la liceita' della cessione delle quote, ma il compimento di atti di gestione nel periodo di maturazione del termine per la presentazione della dichiarazione omessa. Incredibile, inoltre, che gli argomenti difensivi circa l'interesse delle parti a cedere e ad acquisire le quote vengano disattesi in base ad opinioni professionali di persone mai sentite in dibattimento le cui dichiarazioni non si sono volute acquisire nemmeno ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. La Corte di appello, continua, ha trascurato l'interesse degli acquirenti anche solo a riscuotere i crediti vantati dalla (OMISSIS) nei confronti degli enti pubblici (non necessariamente a proseguirne l'attivita'; congetturale la contraria opinione della Corte) nonche' il fatto che tutti i dipendenti transitarono ad altre societa' del gruppo (il che prova che tempi di licenziamento e transito erano stati pattuiti), e comunque ha volontariamente omesso di approfondire i termini degli accordi negoziali (che contraddittoriamente afferma non provati) rigettando la richiesta di assumere la testimonianza proprio delle persone che avevano partecipato alla compravendita delle azioni. La mancata esplicitazione degli accordi sottesi alla cessione delle quote - prosegue - cozza, sul piano logico, con la affermazione che, non trattandosi di cessione di azienda, i rapporti attivi e passivi facenti capo alla societa' avrebbero comunque potuto proseguire senza soluzione di continuita' (e dunque, si domanda il ricorrente, quali accordi sarebbe stato necessario esplicitare-). In ogni caso, aggiunge, dall'esame delle mail allegate ai motivi nuovi (e travisate) emergeva che: a) la ripartizione delle passivita' era stata stabilita in base ad un criterio cronologico, secondo la data di maturazione del debito (se prima o dopo la cessione); b) vi era una chiara contrapposizione tra la vecchia e la nuova proprieta' che, peraltro, reclamava la contabilita' per poter gestire effettivamente la societa'. Non e' inoltre chiara la rilevanza della mancata produzione dei contratti stipulati dalla (OMISSIS) con gli enti pubblici esistenti alla data del 2011 (ma che la Corte di appello ritiene inesistenti). In ogni caso, il fatto che attraverso il cd. "spesometro" non fossero state rinvenute fatture emesse nel 2011 si spiega con il fatto che tale strumento di accertamento era stato introdotto a partire dalle fatture emesse dal 01/01/2012; il che - argomenta comporta due conseguenze: a) la ricerca effettuata nulla avrebbe potuto dire in relazione alle fatture emesse nel 2011; b) la ricerca non era idonea a dimostrare l'esistenza o meno di contratti in relazione ai quali poteva anche mancare l'emissione della fattura. Ma poi, prosegue il ricorrente, se davvero i contratti fossero fittizi, quale interesse egli avrebbe avuto a gestire in maniera occulta una scatola vuota e quali direttive, allora, egli avrebbe mai potuto impartire a dipendenti che nulla avevano da fare e che sarebbero transitati alle dipendenze di altre sue societa'- A questa domanda, afferma, la Corte di appello non ha fornito risposta. Peraltro, ribadisce, a fronte della prova dei fatti meglio indicati con il secondo motivo, la Corte di appello concentra il proprio sforzo motivazionale sull'allegazione o meno, all'atto di cessione, di accordi commerciali, sul rinvenimento o meno dei contratti di fornitura dei software. Riprendendo un argomento gia' introdotto con il secondo motivo, ribadisce la genericita' e fallacia dell'argomento (peraltro non approfondito) secondo il quale egli avrebbe continuato a dare direttive a tre dipendenti della (OMISSIS) dopo la cessione delle quote e fino a tutto il 2012 (a riprova, secondo la Corte di appello, della eterogestione della societa') e lamenta, pero': a) la confusione concettuale tra prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di (OMISSIS) e direttive impartite dal ricorrente dopo la cessione delle quote; b) l'insufficienza del dato, perche' dare generiche indicazioni (il cui contenuto e' ignoto) ai dipendenti di una societa' non equivale ad affermare la gestione della societa' stessa, tanto piu', aggiunge, alla luce degli elementi allegati con i motivi aggiunti sulla effettiva gestione della (OMISSIS) da parte di altre persone; c) il travisamento della visura camerale dalla quale risulta che i tre dipendenti in questione non avevano lavorato per la (OMISSIS) per tutto il 2012. Tutto questo a fronte della prova, fornita da atti giudiziari, della eterodirezione della (OMISSIS) ad opera di altre persone e non del ricorrente. Contraddittorio, infine, censurare le lacune difensive che, afferma, avrebbero potuto essere colmate rinnovando l'istruttoria mediante l'esame di quei testi (il commercialista, Dott. (OMISSIS)) che avrebbero potuto chiarire, per esempio, i rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (secondo la Corte di appello lasciati in ombra) e spiegare le ragioni commerciali che presiedono alla apertura di diverse societa', alla loro chiusura, al trasferimento dei dipendenti, o di quelli ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) che avrebbero potuto chiarire i rapporti con (OMISSIS) (oltre quelli gia' documentati dalle mail sopra indicate). In conclusione, la carenza di motivazione della sentenza impugnata appare con tutta evidenza laddove la corte di appello nulla dice in ordine agli argomenti difensivi ed agli elementi di prova addotti dalla difesa in relazione agli atti gestori compiuti dallo (OMISSIS), neppure al fine di confutarli, neppure al fine di spiegare perche' l'apertura di un conto corrente a nome della societa' e la gestione dello stesso da parte di un soggetto estraneo alla nuova compagine sociale, la richiesta ed il ritiro da parte dello stesso della documentazione contabile della societa', non vengono considerati atti di gestione. 3.5.Con il quinto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 603, comma 2, c.p.p., nonche' il vizio di motivazione illogica o contraddittoria in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento per l'assunzione di prove decisive scoperte dopo il giudizio di primo grado che avevano ad oggetto gli argomenti difensivi gia' oggetto dei precedenti motivi. Illogicita' della motivazione che deriva proprio dal fatto che le prove richieste avrebbero potuto escludere quella opacita' della vicenda che la Corte di appello ha contraddittoriamente denunciato. 3.6.Con il sesto motivo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 111 Cost., 546, comma 1, lettera e), 125, comma 3, c.p.p., in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena. 4.Gli argomenti oggetto del punto vii) del secondo motivo sono stati ulteriormente illustrati con una articolata memoria del 24/10/2022. 5.Con ulteriore memoria del 30/11/2022, il (OMISSIS) ha replicato alla richiesta di PG di rigetto di entrambi i ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorsi sono infondati. 2.1 ricorrenti rispondono del reato loro ascritto perche', in concorso fra loro, (OMISSIS) nella qualita' di legale rappresentante della societa' "(OMISSIS) S.a.s. di (OMISSIS) e C." dal mese di ottobre 2011, (OMISSIS) quale amministratore di fatto ed effettivo gestore della societa' alla data di commissione del reato, al fine di evadere l'imposta sui redditi e sul valore aggiunto, non presentavano, pur essendovi obbligati, in relazione all'anno di imposta 2011, la relativa dichiarazione, realizzando un'evasione di IVA pari ad Euro 91.576,00. In particolare, (OMISSIS) non aveva impedito, pur avendo l'obbligo giuridico di evitarlo in virtu' del disposto dell'articolo 2932 c.c., il verificarsi dell'evento e (OMISSIS), nella gia' indicata qualita' di soggetto attivo del reato ed effettivo gestore della societa', non aveva presentato la predetta dichiarazione, realizzando cosi' i predetti, in concorso fra loro, l'evasione di imposta. 2.1.Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che: i) nel maggio dell'anno 2015 era stata avviata una verifica fiscale nei confronti della (OMISSIS) che non aveva presentato la dichiarazione IVA relativa all'anno di imposta 2011; ii) all'indirizzo corrispondente alla sede operativa della societa' non era stata rinvenuta alcuna attivita' commerciale; iii) legale rappresentante dal (OMISSIS) era (OMISSIS); iv) (OMISSIS) (indicato dal Tribunale come il vero dominus) era stato socio accomandatario fino al (OMISSIS); v) con atto notarile in pari data, registrato il (OMISSIS), l'imputato aveva interamente ceduto, tramite procuratore speciale, a (OMISSIS) la sua quota di partecipazione; l'altro socio aveva ceduto la propria quota a (OMISSIS); (OMISSIS) era divenuto socio accomandatario; vi) con atto notarile del (OMISSIS), registrato il (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano scambiati le cariche: la prima aveva assunto quella di socio accomandatario, il secondo quella di socio accomandante; vii) la testimone (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) fino al mese di settembre del 2011, aveva dichiarato di non aver mai conosciuto (OMISSIS), di aver avuto rapporti lavorativi esclusivamente con (OMISSIS), su invito del quale aveva rassegnato le dimissioni (per "passare" ad "(OMISSIS) Srl" senza pero' mai cambiare ufficio), che questi sistematicamente chiudeva un'azienda per aprirne un'altra presso la quale riassumeva gli stessi dipendenti proseguendo di fatto l'attivita' commerciale senza soluzione di continuita', di essere sempre stata retribuita dall'imputato (il quale nel momento in cui aveva ceduto l'azienda si era impegnata a pagarla in nero nel periodo compreso nel passaggio da una societa' all'altra); viii) il testimone (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) fino al mese di maggio 2012, aveva riferito le medesime circostanze (di essere stato alle dipendenze di varie ditte, tutte riconducibili all'imputato, di essere stato assunto da questi, da lui conosciuto come l'unico "titolare" della societa', che i "passaggi da una societa' all'altra" venivano imposti da (OMISSIS) o dal personale dell'amministrazione che gli facevano a tal fine firmare le dimissioni per il passaggio da una societa' all'altra; ix) circostanze analoghe erano state riferite dai testimoni (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dall'inizio dell'anno (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) dal (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)), (OMISSIS) (dipendente (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS)); x) tutti costoro avevano riferito che il legale rappresentante della societa' era (OMISSIS), loro unico interlocutore dal quale ricevevano ordini e direttive, e nessuno di loro aveva mai conosciuto l'imputata, ne' sapeva che costei fosse subentrata al primo nella legale rappresentanza della societa'; xi) (OMISSIS) (testimone della difesa) aveva riferito di non essere mai stato a conoscenza dell'esistenza della societa' e di aver conosciuto l'imputata solo perche' vicina di casa della zia (il testimone non era stato sentito nel contraddittorio tra le parti; le relative dichiarazioni rese alla PG erano state acquisite dal Tribunale in considerazione delle sue precarie condizioni di salute mentale accertate da una relazione psichiatrica del 2020 trasmessa dall'amministratore di sostegno; il testimone risultava seguito dal Centro Psicosociale della (OMISSIS) dal 2014; da questa circostanza il Tribunale ha desunto che all'epoca dell'acquisto delle quote dall'imputato il testimone fosse un soggetto facilmente manipolabile, una vera e propria "testa di legno" alla quale trasferire la "scatola vuota" della (OMISSIS), considerazione non smentita, secondo il Tribunale, dalla testimonianza del notaio rogante sul rilievo che la mera "lettura dell'atto ad un soggetto dal precario equilibrio mentale non costituisce garanzia della piena consapevolezza da parte del cessionario dell'importanza del valore dell'atto stipulato", pag. 6 della sentenza); xii) gli altri testimoni della difesa ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), tutti lavoratori dipendenti (OMISSIS), avevano indicato nell'imputato il legale rappresentante della societa' pur dopo il trasferimento delle quote a (OMISSIS), confermando di aver continuato a lavorare per l'imputato nel passaggio ad altra societa'; xiii) (OMISSIS), consulente tributario della (OMISSIS), aveva riferito di aver consegnato i libri contabili al nuovo titolare (ma la circostanza e' stata ritenuta dal Tribunale irrilevante "nella misura in cui era il (OMISSIS) a continuare di fatto l'attivita' imprenditoriale, come chiaramente confermato da tutti dipendenti"; pag. 7). 2.2.Sulla base di questi elementi di fatto, il Tribunale ha ritenuto la penale responsabilita' di entrambi gli imputati osservando, quanto a (OMISSIS), che l'imputata si era prestata ad acquisire la titolarita' formale della societa' assumendo la veste di socio illimitatamente responsabile in corrispondenza della scadenza dei termini per il pagamento delle imposte cosi' dando prova della consapevolezza della finalita' evasiva del correi; la donna, inoltre, non aveva posto in essere alcun atto di gestione, "limitandosi solo a coinvolgere il "malleabile" (OMISSIS) nell'operazione di trasferimento delle quote" (pag. 7). 3.In appello, (OMISSIS) aveva protestato la propria innocenza deducendo d'esser stata vittima di una truffa ordita ai suoi danni da persone che, approfittando del suo stato di bisogno, con la promessa di un lavoro a tempo indeterminato (che lei credeva di aver accettato davanti al notaio), le avevano invece fatto sottoscrivere dei documenti con i quali le erano state intestate, a sua insaputa, diverse societa' (tra le quali anche un autosalone per autovetture di lusso). La mancanza di consapevolezza del ruolo assunto determina l'assenza del dolo specifico di evasione, non desumibile, affermava, dalla sola assunzione (formale) della carica in prossimita' della scadenza del termine per il pagamento delle imposte. 4. (OMISSIS) aveva lamentato che il primo Giudice aveva attribuito penale rilevanza a condotte che si collocavano al di fuori del tempus commissi delicti e non aveva adeguatamente scandagliato l'elemento soggettivo del reato. Aveva a tal fine ricostruito le vicende societarie di (OMISSIS) allegando quanto segue: i) la societa' era stata costituita il 19/12/2003 da (OMISSIS) e (OMISSIS) come s.n.c.; ii) successivamente era stata rilevata da lui (per il 10%) e dalla (OMISSIS) Srl di (OMISSIS) (90%) e trasformata in s.a.s.; iii) egli aveva conservato la legale rappresentanza della societa' fino al (OMISSIS) allorquando aveva ceduto la propria quota a (OMISSIS) (che aveva contestualmente assunto la legale rappresentanza) e a (OMISSIS); iv) il (OMISSIS) i ruoli si erano invertiti: (OMISSIS) aveva assunto la qualifica di socio accomandatario, (OMISSIS) quella di accomandante; v) secondo gli accordi stipulati dalle parti al momento della cessione, la (OMISSIS), societa' facente parte di una holding riconducibile all'appellante e costituita molti anni prima, avrebbe gradualmente assorbito i dipendenti di (OMISSIS). Aveva aggiunto che i testimoni avevano riferito di essersi "sempre" relazionati con lui, ma questo generico riferimento temporale non e' mai stato adeguatamente scandagliato, non comprendendosi se riguardasse anche il periodo di transizione dalla cessione di (OMISSIS) all'assorbimento da parte di (OMISSIS) o si riferisse, piuttosto, al periodo in cui l'imputato era stato amministratore di diritto della (OMISSIS), tanto piu' che alcuni dipendenti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri) prestavano la loro opera da remoto. Ragionevole ipotizzare, quindi, che i dipendenti destinati ad essere assorbiti dalla (OMISSIS) non avessero avuto alcun contatto con il nuovo amministratore della societa' che stavano per lasciare. Aveva inoltre aggiunto che il numero dei dipendenti della (OMISSIS) era passato da 13 unita' nel secondo trimestre 2011 a zero, dovendosi cosi' ritenere che la societa' fosse entrata in una fase di stallo dell'attivita' d'impresa con mancanza di interesse ad amministrare di fatto la societa' stessa. Aveva altresi' aggiunto che i testimoni sentiti avevano riferito di aver lavorato per la (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS) sicche', ove mai si dovesse ritenere l'effettiva assunzione del ruolo di amministratore di fatto, esso resterebbe circoscritto al periodo che va dal mese di giugno 2011 al mese di settembre dello stesso anno, laddove il reato e' contestato come commesso il (OMISSIS) e l'arco temporale durante il quale la dichiarazione Iva per l'anno di imposta 2011 doveva essere presentata andava dal 1 febbraio 2012 al 1 ottobre 2012. Affermava, infine, la mancanza di prova di un qualsiasi atto gestorio da parte sua. L'appellante aveva introdotto l'ulteriore argomento difensivo relativo alla regia occulta dell'intera operazione di cessione delle quote a (OMISSIS) e (OMISSIS) e a contestare, in particolare, la conclusione del primo Giudice circa la "malleabilita'" del primo al quale trasferire la scatola vuota della (OMISSIS). In particolare aveva dedotto che: i) il notaio che aveva rogato l'atto di trasferimento delle quote a (OMISSIS) e (OMISSIS), sentito in dibattimento, aveva escluso che alcuno dei comparenti versasse in stato di ebbrezza alcolica o non fosse comunque consapevole dell'atto che gli era stato chiesto di rogare; ii) il (OMISSIS) era in cura per le patologie mentali dalle quali era affetto dal 2014, ma i fatti risalgono al 2011; quando il testimone era stato sentito nel 2016, la PG non aveva riscontrato alcun deficit cognitivo che potesse compromettere la sua deposizione; iii) evidente, dunque, la inverosimiglianza delle dichiarazioni di questi che aveva riferito che (OMISSIS) e un certo (OMISSIS) lo avevano indotto a bere e che, versando in stato di ebrezza, non ricordava nulla, dichiarando persino di non essere neppure a conoscenza dell'esistenza della (OMISSIS), quando qualche mese dopo si era recato nuovamente dal notaio per effettuare l'ulteriore modifica dell'assetto societario; iv) la stessa PG aveva il sospetto delle regia occulta di (OMISSIS) (persona ben nota alla Forze dell'Orine e alla GdF di (OMISSIS)) avendone chiesto contezza a molte delle persone informate dei fatti sentite nel corso delle indagini; v)il nome di questi era stato introdotto proprio dalla (OMISSIS) che aveva riferito alla PG di essere stata "reclutata" proprio dall'uomo il quale le aveva promesso un lavoro sicuro (la stessa all'epoca lavorava presso un bar) unitamente al (OMISSIS) che lei gia' conosceva e di esseri recata con lui dal notaio; vi) (OMISSIS), all'epoca dipendente della (OMISSIS), aveva scambiato delle mail con (OMISSIS) che nel mese di novembre 2011 le aveva aveva chiesto la consegna di documenti contabili della (OMISSIS) (codici INPS e INAIL, UNICO 2008 E 2009, UNICO 2011 e libri contabili); vii) non era chiaro a chi fossero stati consegnati i libri contabili della (OMISSIS) che il consulente tributario aveva affermato esser stati trasferiti agli acquirenti; viii) le societa' dell'appellante erano state costituite nel 2007 ((OMISSIS), presso la quale era stata assunta la testimone (OMISSIS)) e, prima ancora, nel 1999 (la (OMISSIS), che aveva "assorbito" gli altri dipendenti della (OMISSIS)), cio' che smentiva l'assunto del primo Giudice secondo il quale l'imputato aveva creato societa' "ad hoc" a fini elusivi. L'appellante aveva infine lamentato il mancato accertamento del dolo specifico di evasione che doveva essere escluso in base a precise emergenze processuali: 1) la sua carica di amministratore non era stata ceduta in prossimita' della scadenza degli adempimenti tributari (cessione delle quote il (OMISSIS); scadenza termini per la presentazione della dichiarazione IVA dal 1 febbraio 2012 al 1 gennaio 2013); 2) egli non era in possesso delle scritture contabili (secondo quanto affermato dal (OMISSIS)); 3) (OMISSIS) non lo aveva mai indicato come possibile responsabile o corresponsabile delle condotte che le venivano contestate dalla GdF (ne' lui era mai stato coinvolto negli accertamenti fiscali). In conclusione: 1) egli non aveva alcun interesse economico alla cessione fittizia delle proprie quote (il 10%), laddove tale cessione aveva comportato per lui una considerevole perdita economica, avendo la (OMISSIS) emesso nei confronti della (OMISSIS) una fattura di oltre un milione di Euro (n. 510 del 27/12/2011) per inadempienze contrattuali di (OMISSIS) in relazione al contratto stipulato tra le due societa' il 2 gennaio 2008; 2) nessuno dei dipendenti (OMISSIS) aveva piu' sentito parlare di lui dopo la cessione delle quote; 3) (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati reticenti (il secondo anche falso) lasciando intendere l'intenzione di coprire qualcuno rimasto estraneo al processo ma del quale la sentenza di primo grado non aveva fatto menzione. Con motivi aggiunti aveva dedotto le medesime questioni poste con il secondo motivo di odierno ricorso illustrate al § 3.2, punto vii), del ritenuto in fatto. 5.Nel confermare la condanna degli imputati, la Corte di appello, quanto a (OMISSIS) cosi' ha motivato: 5.1.I'imputato non ha mai chiarito i reali accordi commerciali tra gli acquirenti delle quote sociali e i cedenti, accordi assenti negli atti di cessione eppure necessari per regolamentare la prosecuzione dei contratti in essere con gli enti pubblici e la titolarita' dei crediti da essi derivanti; 5.2.nemmeno i debiti con l'erario erano stati specificamente disciplinati perche' dalle mail allegate ai motivi aggiunti si era solo concordato che una parte di tali passivita' gravasse sulla vecchia gestione, altra sulla nuova e cio' senza alcuna coerenza con il tipo di negozio posto in essere (una cessione di quote, non di azienda) che comportava la continuita' e la prosecuzione dei rapporti giuridici in capo alla medesima societa'; 5.3.per garantire la prosecuzione dell'attivita' (vendita ad enti pubblici di licenze di sofware gestionali con inevitabile somministrazione dei servizi per il loro sviluppo e l'assistenza), si sarebbero dovuti individuare i dipendenti che avrebbero continuato ad operare con (OMISSIS), visto che ne era stato concordato il trasferimento ad altra societa' e dovevano essere pattuiti licenziamenti e dimissioni; 5.4.avrebbero inoltre dovuto essere rinvenuti i contratti con gli enti pubblici menzionati nei motivi aggiunti che, ove esistenti, avrebbero dovuto essere registrati e sarebbero stati certamente rinvenuti dalla GdF, laddove, invece, non solo non e' stato rinvenuto alcun contratto ma non risultano nemmeno emesse fatture nei confronti di enti pubblici da parte della societa'; 5.5.incomprensibile, inoltre, la ragione per la quale (OMISSIS) continuasse a impartire direttive nei confronti di dipendenti della (OMISSIS) tre dei quali ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) avevano continuato a lavorare per tutto il 2012 senza nemmeno informarli che lavoravano per un nuovo amministratore e per una nuova societa'; 5.6.questo fatto contrasta la tesi difensiva dell'eterodirezione della societa' da parte di (OMISSIS); 5.7.principale cliente della (OMISSIS) per l'anno 2011, prima della cessione delle quote, era stata la (OMISSIS) nei cui confronti erano state emesse due fatture, una di Euro 160.000,00 del 28/02/2011, l'altra di Euro 240.000,00 del 31/05/2011 (giorno successivo alla cessione delle quote e prima della registrazione dell'atto); 5.8.non erano state emesse fatture nei confronti di (OMISSIS) nel periodo successivo mentre quest'ultima aveva emesso nei confronti di (OMISSIS) due fatture, una del 27/12/2011 dell'importo di Euro 1.046.400,00 per parziale inadempimento di un contratto "per non conformita' rilevate nelle procedure da voi sviluppate", l'altra del 31/12/2011 dell'importo di Euro 42.350,00 per servizi sistemici anno 2010; 5.9.dunque, non solo non sono state rinvenute fatture e contratti attestanti i rapporti di (OMISSIS) con enti pubblici ma e' risultato che il suo unico cliente era una societa' dell'imputato e che questi aveva continuato a dare direttive al personale dipendente di (OMISSIS) benche' quest'ultima si fosse resa inadempiente alle obbligazioni derivanti da un contratto di cui nulla si sa; 5.10.rapporti opachi non chiariti e che possono essere spiegati solo con l'effettiva gestione della (OMISSIS) ad opera dell'imputato il quale, peraltro, non aveva nemmeno mai chiarito i suoi rapporti con (OMISSIS), tanto piu' che i dipendenti della societa' non avevano mai indicato quest'ultimo come loro datore di lavoro, ne' autore di atti gestori. Quanto a (OMISSIS), la Corte di appello ha osservato che: 5.11.l'imputata aveva accettato di fungere da prestanome di (OMISSIS) dietro la promessa di (OMISSIS) di un lavoro o di una qualche altra utilita'; 5.12.non ha alcuna rilevanza che la donna ignorasse chi era il vero "dominus", essendo indifferente che avesse ritenuto di agire nell'interesse di (OMISSIS) e che gli avesse consentito di gestire on line i conti correnti della societa'; 5.13.non e' credibile che avesse creduto alla inoperativita' della societa' perche', invece, era stata piu' volte contattata dall'istituto di credito presso il quale il conto era acceso per problemi di solvibilita' che si erano creati a seguito dell'utilizzo del conto evidentemente da parte di terzi; 5.14.se fosse stata in buona fede l'imputata avrebbe chiuso immediatamente il conto, laddove si era preoccupata di quanto stava accadendo solo dopo essere stata chiamata dalla GdF; 5.15.il fatto che avesse lasciato campo libero alla gestione di (OMISSIS) (o a chi per lui), benche' fossero emerse delle passivita' sul conto corrente che lei stessa aveva acceso, e che non fossero state mantenute le promesse fatte per accettare la carica, lascia intendere che la donna avesse rapporti molto stretti con (OMISSIS) e fosse al corrente della sua attivita' illecita alla quale non si era affatto opposta. 6.Prima di esaminare i ricorsi e' necessario ricordare che la violazione degli articoli 192 e 546 c.p.p., non puo' costituire specifico motivo di ricorso (trattandosi di norme processuali la cui inosservanza non e' stabilita a pena di nullita') e che oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo senza la "mediazione" di elementi ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" del comma 1 dell'articolo 606 c.p.p.). La frattura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato in base alle prove poste a base della decisione e quello ricostruibile in base alle stesse ovvero ad altre prove comunque assunte nel corso del giudizio puo' viziare il provvedimento solo se tale frattura e' il frutto di un errore di natura percettiva e non valutativa della prova. La prova, cioe', deve essere travisata. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). Piu' semplicemente, il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Al di fuori di questi specifici casi, non e' consentito alla Corte di cassazione prendere conoscenza del contenuto delle prove assunte nel corso del giudizio di merito. 6.1.E, dunque: a) l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01) b) l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 7.11 ricorso di (OMISSIS). 7.1.11 primo motivo e' manifestamente infondato. 7.2.In primo luogo, la sentenza non riporta le generalita' dell'imputato in modo errato, non potendosi ritenere tale l'indicazione "(OMISSIS)" da cui si evince chiaramente che il ricorrente e' effettivamente nato il (OMISSIS). 7.3.In ogni caso, stante il chiaro disposto dell'articolo 546, u.c., c.p.p., l'incertezza sulla data di nascita dell'imputato, riportata nell'intestazione della sentenza, non comporta nullita', quando e' comunque possibile, come nel caso di specie, l'esatta identificazione del soggetto al quale la sentenza medesima si riferisce (Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252403 - 01; Sez. 5, n 535 del 21/02/1995, Spataro, Rv. 201047 - 01). 7.4.Per lo stesso motivo, non sono causa di nullita' della sentenza: (i) l'indicazione errata, nell'intestazione, della redazione contestuale della motivazione, sia perche' si tratta di indicazione non prescritta dall'articolo 546 c.p.p. (della lettura immediata della motivazione si deve, semmai, dare atto a verbale ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 545 e 136 c.p.p.), sia perche' nel dispositivo della sentenza impugnata e' indicato il termine per la redazione della motivazione che la Corte di appello si e' assegnata ai sensi dell'articolo 544, comma 3, c.p.p.; (ii) l'omessa o errata indicazione nell'intestazione delle conclusioni delle parti (Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2019, Arnaboldi, Rv. 277876 - 01; Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011, dep. 2012, Borella, Rv. 252404 - 01; Sez. 3, n. 19077 del 24/03/2009, Aberham, Rv. 243764 - 01), non essendo la sentenza documento fidefacente in tal senso (fanno fede le conclusioni trascritte a verbale); (iii) l'errata indicazione, nella intestazione, della sentenza impugnata che, peraltro, nel caso di specie non genera alcuna incertezza sul provvedimento parzialmente riformato siccome correttamente indicato nel dispositivo e nel corpo della motivazione. 7.5.11 secondo, il quarto ed il quinto motivo sono infondati. 7.6.Essi muovono da un presupposto comune: la Corte di appello avrebbe potuto decidere in modo diverso sol che avesse valorizzato gli elementi e gli argomenti di prova devoluti in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. Entrambi lamentano l'ingiustificato rigetto della lettura alternativa degli elementi di prova utilizzati dal primo Giudice in senso accusatorio i quali si prestavano ad una diversa interpretazione vieppiu' alla luce dei nuovi apporti probatori offerti in secondo grado. 7.7.1 rilievi non colgono nel segno. 7.8.Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo il quale, in tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma e' necessaria una significativa e continua attivita' gestoria, svolta cioe' in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009 - 01); cio' sul rilievo che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dal articolo 2639 c.c. postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, "significativita'" e "continuita'" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attivita' gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 - 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 - 01; Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, Sidoli, Rv. 224948 - 01). E' stato al riguardo precisato che, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore "di fatto", e' necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101 01; Sez. 5, n. 35346 del 2013, cit.). 7.9.Le ragioni della doppia pronuncia di condanna sono, nel caso di specie, chiare e si fondano su un dato ritenuto logicamente incontrovertibile: il rapporto del ricorrente con i dipendenti della (OMISSIS). In disparte le vicende societarie che avevano riguardato la fase della cessione delle quote, le testimonianze dei dipendenti avevano introdotto nel processo un'informazione probatoria ritenuta dirimente: nessuno di essi aveva mai conosciuto o aveva avuto rapporti con (OMISSIS), mentre tutti quelli sentiti avevano riferito di non conoscere la legale rappresentante, (OMISSIS), laddove l'imputato aveva continuato a dar loro disposizioni senza nemmeno informarli delle modifiche degli assetti societari. Di tali prove testimoniali, richiamate anche dalla Corte di appello, il ricorrente non ha mai dedotto il travisamento, ne' in appello, ne' in questa sede. Sicche' l'informazione probatoria resta e le conclusioni che si basano su di essa non sono manifestamente illogiche, ne' si prestano ad una lettura alternativa. 7.10.Nessuno degli argomenti difensivi e' in tal senso persuasivo: (i) il fatto che il ricorrente, in assenza di specifici accordi scritti che la Corte di appello ha affermato non esistere, potesse disporre a suo piacimento del rapporto di lavoro del personale alle dipendenze di (OMISSIS) sollecitandone in qualche caso persino le dimissioni in vista della riassunzione presso altra societa' a lui riconducibile (la testimone (OMISSIS) aveva addirittura riferito di non aver mai cambiato ufficio) dimostra la piena signoria dell'imputato sulla societa' stessa della quale poteva disporre come voleva; (ii) la circostanza che (OMISSIS) fosse entrata in fase di stallo non le aveva impedito di svolgere attivita' di impresa che aveva determinato un consistente debito IVA; (iii) che il ricorrente avesse gestito il personale fino al (OMISSIS) e' circostanza introdotta da testimonianze delle quali non e' stato dedotto il travisamento nemmeno in appello e che non puo' piu' essere messa in discussione in questa sede; (iv) la gestione del rapporto di lavoro e' tipico atto gestorio e certamente da esso puo' desumersi valido argomento di prova se, come nel caso di specie, risulta che nessuno dei dipendenti conoscesse (o avesse mai conosciuto) il legale rappresentante della (OMISSIS); (v) la precostituzione di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla acquisizione di (OMISSIS) e' argomento che comunque non toglie sostanza all'informazione probatoria privilegiata in sede di merito; (vi) che il ricorrente non avesse preso parte alle operazioni di verifica e' circostanza coerente non il fatto che alla GdF egli non risultava essere il legale rappresentante della societa'; (vii) le vicende relative alla acquisizione e ai trasferimenti delle quote societarie non rilevano, come detto, ai fini della prova della effettiva gestione societaria e di certo non sono in contraddizione logica con la persistente gestione del personale da parte dell'imputato il quale, anche nell'odierno ricorso, omette di spiegare la natura decisiva di tale tema che continua a lamentare non essere stato adeguatamente esplorato, non apparendo tale la richiesta della contabilita' da parte dello (OMISSIS) e la gestione del conto della societa' che, al piu', possono prefigurare una cogestione di fatto (non esclusiva) della societa' stessa. (viii) peraltro, in termini generali, alla luce dei principi sopra indicati (§ 7.8), la tenuta della contabilita' non costituisce, di per se', atto gestorio dell'ente. Quando questa Corte ha ritenuto non irragionevole desumere l'amministrazione di fatto dall'attivita' manipolatoria (e, non dunque dalla semplice tenuta) dei bilanci e della contabilita', ha precisato che l'imputato, in quel caso, aveva prestato determinate garanzie personali alle banche, mostrando cosi' un concreto e diretto interesse nella conduzione della societa' e del concreto esercizio di un ruolo gestorio, confermato peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori (Sez. 3, n. 22413 del 2003, cit.). 7.11.Va infine ribadito che l'omesso esercizio dei poteri istruttori di cui all'articolo 603, comma 3, c.p.p., puo' essere sindacato, in fase di legittimita', qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577 - 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Rv. 258236; Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062; Sez. 2, n. 35987 del 17/06/2010, Rv. 248181; Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Rv. 213923; Sez. 6, n. 7519 del 05/06/1998, Rv. 211265; Sez. 1, n. 3622 del 11/01/1995, Rv. 201493; Sez. 1, n. 6911 del 29/04/1992, Rv. 190555). 7.12.Le considerazioni che precedono militano a favore della infondatezza anche del terzo motivo poiche' le allegazioni in fatto a sostegno della mancanza di dolo sono state ritenute insussistenti dalla Corte di appello (la gestione del personale fino al (OMISSIS)) e non erano comunque decisive (la dedotta tenuta della contabilita' ad opera di altri e il mancato coinvolgimento nella verifica fiscale). 7.13.Il sesto motivo e' inammissibile perche' generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimita'. 7.14.Il Tribunale aveva applicato al ricorrente la pena di due anni di reclusione, pari al medio edittale della pena all'epoca prevista per il reato di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, giustificando la maggiore severita' del trattamento sanzionatorio rispetto a quello riservato a (OMISSIS) sul rilievo che l'imputato era il vero dominus dell'intera operazione delittuosa "tramite la quale (aveva realizzato) un ingente risparmio di spesa, continuando la sua attivita' imprenditoriale, con la totale evasione delle imposte dovute all'Erario". Aveva inoltre negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo dell'assenza di elementi positivi di valutazione in tal senso. 7.15.In appello l'imputato aveva lamentato la disparita' di trattamento a fronte di un fatto identico non costituendo l'amministrazione di fatto una sorta di aggravante. Aveva inoltre chiesto l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, negate con motivazione illogica ed ingiusta. 7.16.La Corte di appello ha condiviso il ragionamento del primo Giudice in ordine alla diversita' dei ruoli disimpegnati dagli imputati ed ha negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo che nemmeno l'atto di appello aveva indicato specifici elementi a sostegno della attenuazione della pena (l'appello, insomma, era generico sul punto). 7.17.Come costantemente insegnato dalla Corte di cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino, Rv. 282839 - 01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020 - 01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880 - 01). 7.18.L'identita' del reato commesso in concorso con altra persona non costituisce, dunque, argomento persuasivo perche' prescinde completamente dal fatto che, a fronte dell'identita' del fatto, sta la diversita' delle persone che ne sono autrici e che rendono fisiologicamente diversa la misura del rimprovero. Sicche' non e' irragionevole, tantomeno paradossale la diversificazione dei ruoli e degli interessi che, anche solo sul piano del motivi a delinquere, giustifica la diversita' della sanzione. 7.19.Quanto alle circostanze attenuanti generiche, va ribadito che il loro diniego puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge n. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). 7.20.Peraltro, gia' prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza). 7.21.Ne consegue che l'obbligo di motivazione non sussiste tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori di una possibile attenuazione della pena (sulla necessita' della specificita' della richiesta, oltre le pronunce gia' citate, anche Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, Bagli, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, Trocarico, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dell'imputato o in caso, come quello di specie, di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460). 7.22.La affermazione della Corte di appello della mancata allegazione di specifici elementi di valutazione ai fini della attenuazione della pena (affermazione non contraddetta dal ricorrente) rende insindacabile la decisione presa sul punto. 8.Il ricorso di (OMISSIS). 8.1.Il ricorso e' infondato. 8.2.Quanto al dedotto travisamento degli elementi di prova che, a dire della ricorrente, provano l'inconsapevolezza della qualifica assunta e' sufficiente evidenziare che: a) in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente non allega i verbali delle prove a suo dire travisati ne' spiega se tale travisamento era stato dedotto in appello; b) la ricorrente neglige completamente gli argomenti addotti dalla Corte di appello a sostegno della piena consapevolezza del ruolo di legale rappresentante della (OMISSIS) formalmente assunto (cosi' come sintetizzati ai §§ 5.11-5.14 che precedono). 8.3.Quanto alla responsabilita' oggettiva e soggettiva della ricorrente, la Corte osserva quanto segue. 8.4.Il delitto di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000 e' reato omissivo proprio, istantaneo ed unisussistente che si consuma il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione (Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Costa, Rv. 251328; Sez. 3, n. 22045 del 21/04/2010, Perrone, Rv. 247636). Si tratta, inoltre, di delitto che puo' essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 22 luglio 1998, n. 322, cit.), e' obbligato alla presentazione della dichiarazione stessa. Autore materiale dell'omissione puo' essere anche il soggetto incaricato della trasmissione (articolo 3, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998) o, in ipotesi, anche l'incaricato del materiale recapito o della spedizione del documento, ma si tratta di ipotesi residuali. Per quanto la norma attribuisca a chiunque la possibilita' di commettere il reato, la sussistenza dell'obbligo della dichiarazione ed il fine di evasione restringono la platea dei possibili destinatari del precetto ad una cerchia ristretta e ben definita di soggetti. 8.5.Trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l'obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilita' di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volonta' dell'omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva. 8.6.La giurisprudenza della Corte di cassazione insegna che l'amministratore di diritto risponde del reato tributario punito a titolo di dolo specifico quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilita' penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850; cfr., altresi', Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225). 8.7.Trattandosi, pero', di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell'ente la sua responsabilita' omissiva non deriva dall'applicazione dell'articolo 40 cpv. c.p. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensi' dalla violazione dell'obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000. 8.8.Il reato in questione, inoltre, si consuma nel momento in cui scade il termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione, momento nel quale deve sussistere il dolo specifico di evasione il quale, a sua volta, presuppone la consapevolezza dell'ammontare delle imposte evase e non dichiarate, non richiedendo affatto la norma anche la coincidenza tra il soggetto gravato dell'obbligo dichiarativo e quello che ha posto in essere le operazioni imponibili. E' allora appena il caso di evidenziare che la ricorrente non ha mai affermato di essere inconsapevole dell'entita' delle imposte evase. 8.9.Non v'e' dubbio che il fine di evasione qualifica la condotta sul piano penale; ove venga accertata un'imposta effettivamente dovuta superiore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o componenti positive di reddito inferiori a quelle effettive o elementi passivi fittizi, l'indagine non avrebbe verificato altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l'offesa degli interessi erariali e che giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Ma tale indagine non assorbe quella relativa all'accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta. Altrimenti si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice consapevolezza dell'obbligo dichiarativo violato e dell'entita' dell'imposta non dichiarata. Un'operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volonta' di non dichiarare al Fisco l'imposta dovuta, con l'ulteriore inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli articoli 1, comma 2, e 5, comma 4, Decreto Legislativo n. 18 dicembre 1997, n. 441 e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, gia' prevista dall'abrogato articolo 1, comma 1, Decreto Legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha gia' affermato non essere in continuita' normativa con l'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000 anche e proprio per la necessita' del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374). 8.10.Il reato e' illecito di modo; il dolo di evasione e' volonta' di evasione dell'imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l'accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui agli articoli 2 e 3, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il "dolo di omissione" non solo non puo' essere ritenuto sufficiente a integrare, sul piano soggettivo, il reato di cui all'articolo 5, Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ma nemmeno puo' essere confuso con il dolo di evasione. La volonta' omissiva prova la consapevolezza della sussistenza dell'obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta. 8.11.Il dolo di evasione esprime l'autentico disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive ad un grado non ulteriormente tollerabile del medesimo bene tutelato anche a livello amministrativo. L'inviolabilita' della liberta' personale costituisce il metro di misura della rilevanza penale di condotte che potrebbero essere sanzionate in altro modo. Al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura piu' grave tra l'atteggiamento antidoveroso dell'autore del fatto illecito, l'ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilita' della liberta' personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. E' proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceita' del fine e del mezzo. 8.12.La ricorrente postula l'insussistenza del dolo specifico quale conseguenza della inconsapevolezza della assunzione della carica ma il rilievo e', come detto, infondato. 8.13.Che la ricorrente fosse una mera (consapevole) "testa di legno" e' argomento che costituisce argomento di prova utilmente valutabile ai fini del dolo specifico di evasione posto che la deliberata scelta di abdicare ai propri doveri di amministratore in favore di gestori occulti dell'impresa puo' essere valutata, insieme con altri elementi, quale prova della consapevolezza di accedere ad un progetto illecito fatto proprio mediante la condotta omissiva. L'amministratore interposto non viola un dovere di vigilanza; egli semplicemente e puramente viola un dovere ricadente su di lui nella piena consapevolezza delle conseguenze e del fine della propria omissione antidoverosa. 8.14.Nel caso di specie, tale consapevolezza e' tratta dai Giudici di merito da elementi di fatto non validamente contraddetti in questa sede. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - rel. Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 25/02/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MICCICHE' LOREDANA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore; Per la parte civile (OMISSIS) e' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di TREVISO che associandosi alle conclusione del Procuratore Generale, chiede di confermare la sentenza impugnata come da conclusioni e nota spese depositate in udienza. E' presente per l'avvocato (OMISSIS) del foro di UDINE, difensore di (OMISSIS), il sostituto processuale avvocato (OMISSIS) del foro di Roma, come da nomina a sostituto processuale ex articolo 102 c.p.p. depositata in udienza che riportandosi ai motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza resa in data 25 febbraio 2022, confermava la sentenza del Tribunale di Treviso che dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato di cui all'articolo 590 bis c.p.p., comma 1, ai danni del pedone (OMISSIS), e lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione, oltre alla sospensione della patente per tre mesi, nonche' al risarcimento del danno ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva a favore della persona offesa, costituitasi parte civile. All'imputato era stata contestata una colpa generica e la violazione dell'articolo 141 C.d.S. poiche', alla guida dell'autoarticolato tipo Daimier con semirimorchio, percorrendo l'autostrada A4 in direzione Venezia - Trieste, nonostante la segnalazione di presenza di lavori in corso tramite portali luminosi, senza regolare la velocita' in relazione alle caratteristiche della strada, aveva investito il (OMISSIS) che, regolarmente munito di abbigliamento anti infortunistico di colore arancione, stava operando il posizionamento del cantiere stradale sulla corsia di emergenza, cagionandogli lesioni personali consistite in plurime gravi fratture e trauma cranico. La Corte territoriale, nel respingere i motivi di gravame, riteneva esaustiva la motivazione della sentenza di prime cure in ordine alle modalita' del sinistro, su cui si soffermava ancora rispondendo alle osservazioni mosse dall'appellante; confermava la statuizione del primo giudice in ordine alle sanzioni accessorie e alla condanna provvisionale in favore della parte civile costituita. 2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, per sette distinti motivi. 2.1. Con un primo motivo deduce inosservanza di norme processuali, in particolare il difetto di correlazione tra sentenza e accusa contestata per essere stati ritenuti elementi di colpa specifica non enunciati nel capo di incolpazione. La Corte territoriale aveva individuato la violazione dell'articolo 148 C.d.S., mai contestato all'imputato, nemmeno sotto il profilo dell'individuazione del nucleo fattuale riconducibile alla regola cautelare violata. 2.2. Con un secondo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro in quanto, senza fornire adeguata motivazione, i giudici di merito avevano aderito alla tesi ricostruttiva del consulente di parte, scartando le conclusioni cui erano pervenuti gli agenti della Polizia stradale intervenuti sul luogo del sinistro. 2.3. Con un terzo motivo deduce violazione di legge in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto la penale responsabilita' dell'imputato in dispregio della regola dell'"aldila' di ogni ragionevole dubbio". La sentenza non aveva adottato il metodo dialettico volto a superare la fondatezza delle doglianze formulate dall'appellante, limitandosi ad affermare che la sentenza di primo grado era conforme alla relazione prodotta dal consulente della parte civile. 2.4. Con il quarto motivo lamenta la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 590 c.p., n. 7, apoditticamente escludendo la sussistenza di una colpa concorrente della persona offesa nell'accadimento del sinistro. 2.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in ordine al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena. La motivazione offerta dalla Corte non aveva tenuto conto delle pur enunciate condizioni soggettive dell'imputato ed aveva illogicamente valutato, in senso sfavorevole, tre condanne con decreto penale, risalenti nel tempo e riguardanti omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali. 2.7. Con il sesto motivo deduce violazione della legge processuale, in quanto erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto ammissibile la produzione documentale della parte civile depositata all'atto della costituzione nel giudizio abbreviato, consistente nella consulenza medico legale di parte. 2.8. Con l'ultimo motivo, lamenta il ricorrente difetto assoluto di motivazione. La Corte d'Appello aveva respinto la richiesta di revoca della condanna provvisionale, pur avendo acquisito la documentazione prodotta, attinente a due offerte reali provenienti dalla societa' assicuratrice nonche' alla liquidazione, in favore del danneggiato, della rendita Inail da infortunio. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. 4. In data 27 aprile 2023 il difensore del ricorrente ha depositato memoria difensiva ed ha allegato documentazione, nella quale ha illustrato argomentazioni volte a confutare le conclusioni del Procuratore generale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 2. Con il primo motivo si contesta inosservanza di norme processuali, in particolare il difetto di correlazione tra sentenza e accusa contestata per essere stati ritenuti elementi di colpa specifica non enunciati nel capo di incolpazione. La Corte territoriale aveva individuato la violazione dell'articolo 148 C.d.S., mai contestato all'imputato, nemmeno sotto il profilo dell'individuazione del nucleo fattuale riconducibile alla regola cautelare violata. La giurisprudenza di legittimita' ha ripetutamente chiarito che "in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa" (Sez. 4, n. 35943/2014, Rv. 260161-01). Non si e' dunque verificata alcuna violazione del diritto di difesa, sia in quanto il reato contestato nel capo di imputazione non veniva modificato negli elementi essenziali, sia perche' l'imputato ha avuto la possibilita' di esercitare correttamente le sue prerogative difensive nei giudizi di merito, in ordine a tutti i profili di colpa emersi a suo carico, attinenti agli aspetti materiali della condotta posta in essere e regolarmente contestata nel capo di imputazione. 2. Il secondo motivo, in cui si lamenta vizio di motivazione per erronea decisiva valutazione della consulenza tecnica di parte ricostruttiva della dinamica del sinistro, e' infondato. Al riguardo, va innanzi tutto ricordato il consolidato principio secondo cui il giudice di legittimita', ai fini della valutazione della congruita' della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016 Rv. 266617 - 01; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Rv. 209145 - 01). Orbene, il giudizio della Corte di Appello ha ripercorso i lineari passaggi motivazionali della sentenza di prime cure, basata sulla chiara ed esaustiva testimonianza resa dal testimone oculare (OMISSIS). I giudici di merito danno atto che il teste, il quale seguiva con la propria auto il mezzo pesante condotto dall'imputato, ha dichiarato senza alcuna imprecisione o incertezza di aver visto il mezzo pesante affiancare un furgone adibito alla segnaletica stradale fermo sulla corsia di emergenza con le luci accese; di aver notato che il mezzo effettuava una brusca sterzata a sinistra e poi a destra per rimettersi in carreggiata; di aver contemporaneamente visto il corpo di un uomo, vestito con giubbotto fluorescente, volare sulla destra rovinando al suolo. La motivazione delle sentenze di merito evidenzia come dette dichiarazioni fossero state confermate dai rilievi della Polizia Stradale, secondo cui il furgone adibito ai lavori di segnaletica, presso il quale si trovava la persona offesa, era munito di luci ordinarie e di apposite luci di segnalazione ed era dunque ampiamente visibile. La Corte di Appello ha ribadito che detto compendio probatorio era completo ed esauriente, aggiungendo soltanto che la consulenza di parte corroborava dette risultanze, confermando in pieno il ragionamento coerente e logico del primo giudice, che ha ritenuto del tutto congetturali le osservazioni degli agenti verbalizzanti. In particolare, i predetti agenti hanno dedotto la probabile circostanza per cui il (OMISSIS) si sarebbe sporto oltre la corsia di emergenza dal fatto che il furgone, presso cui quest'ultimo era intento a scaricare, non era stato urtato dal mezzo pesante condotto dall'imputato. Sul punto, con ragionamento immune da vizi di illogicita', nel giudizio di merito si e' evidenziato come l'impatto con il (OMISSIS), avvenuto vicino al furgone, non avrebbe necessariamente implicato anche l'urto del furgone medesimo, e che pertanto l'impatto ben sarebbe potuto avvenire all'interno della corsia di emergenza ove il furgone era posizionato. Le sentenze di merito, per affermare il giudizio di colpevolezza, si sono dunque coerentemente basate sulle risultanze istruttorie sopra evidenziate, richiamate ed analizzate in modo logico e puntuale. 3. Con il terzo motivo, si deduce violazione di legge in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto la penale responsabilita' dell'imputato in dispregio della regola dell'"aldila' di ogni ragionevole dubbio". La sentenza non aveva adottato il metodo dialettico volto a superare la fondatezza delle doglianze formulate dall'appellante in ordine all'affermazione di responsabilita', alla quale la Corte territoriale era pervenuta senza valutare la ricostruzione alternativa operata dall'imputato in ordine alla dinamica del sinistro. Il motivo e' privo di pregio. Va rimarcato che il principio secondo cui la condanna puo' essere pronunciata solo se l'imputato risulti colpevole "oltre ogni ragionevole dubbio", non puo' essere utilizzato, nel giudizio di legittimita', per valorizzare e rendere decisiva una ricostruzione alternativa del fatto emersa in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale differente prospettazione sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice, il quale abbia individuato gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta posti a base della condanna, in modo da far risultare la non razionalita' del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale. (Sez. 1, n. 53512 del 17 luglio 2014, Rv.261600; Sez. 4, n. 22257 del 25 marzo 2014, Rv. 259204). Cio' posto, si e' gia' osservato che all'esito dell'istruttoria - ripercorsa in maniera dettagliata ed esaustiva nelle sentenze di merito - si e' pervenuti ad una ricostruzione in fatto ampia ed accurata, non sindacabile in sede di legittimita', perche' sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici, che ha tenuto conto dei rilievi dell'odierno ricorrente, disattendendoli con ragionata valutazione. 4 Anche il quarto motivo di ricorso - che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 590-bis c.p., comma 7, e' infondato. Le valutazioni espresse in motivazione dalla Corte di merito danno conto in maniera adeguata della mancata ricorrenza dei presupposti dell'invocata attenuante, mettendo in rilievo come dagli atti non emerga alcuna circostanza idonea a far ritenere che la persona offesa abbia concorso a cagionare il sinistro, non certo automaticamente deducibile dall'unico fatto, piu sopra evidenziato, dell'assenza di tracce di impatto sul furgone e sul mezzo condotto dall'imputato, elemento dal quale si vorrebbe far discendere la circostanza che la persona offesa si fosse sporta sulla corsia di percorrenza. Sul punto, le motivazioni delle sentenze di merito chiariscono che la dinamica del sinistro, lucidamente descritta dal teste oculare, deponeva per la certa inosservanza, da parte dell'imputato, delle regole cautelari di cui agli articoli 141 e 148 C.d.S., in quanto, avvistato il furgone degli operai addetti ai lavori stradali, regolarmente illuminato, e gli operai, che indossavano il giubbotto di sicurezza, il predetto imputato avrebbe dovuto tenere una adeguata distanza laterale e moderare la velocita': dette cautele all'evidenza, non erano state tenute, anzi, l'improvvisa manovra di "scarto" a sinistra dimostra proprio che la manovra di emergenza per evitare l'impatto era stata del tutto tardiva. 4. E' infondato il quinto motivo di ricorso, che denuncia violazione dell'articolo 164 c.p., nonche' mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale del pena. La Corte territoriale ha osservato che l'imputato non era meritevole dei doppi benefici in quanto aveva riportato altra condanna, condizionalmente sospesa, pertanto aveva gia' usufruito del beneficio, ed era gravato da precedenti penali. L'argomentazione della sentenza impugnata e' in linea sia con le previsioni di cui all'articolo 164 c.p., u.c., (secondo cui la sospensione condizionale della pena puo' essere concessa solo una volta) sia con la lettura che questa Corte di legittimita' ha offerto in ordine alla previsione di cui alla seconda parte della predetta norma, a mente della quale " tuttavia il giudice, nell'infliggere una nuova condanna, puo' disporre la sospensione condizionale qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti di cui all'articolo 163". Sul punto, invero, si e' precisato che l'astratta applicabilita' della menzionata disposizione, che certamente introduce una deroga al principio generale di inapplicabilita' della sospensione condizionale ai recidivi, non impone al giudice di specificare i motivi per cui ritiene di non concederla, essendo evidente, in tal caso, l'implicito giudizio negativo circa la successiva astensione dalla commissione di nuovi reati (sez. 5, n. 30410 del 26 maggio 2011, Albanito, Rv 250583). Ed e' agevole rilevare che detto giudizio e' stato comunque compiuto dalla Corte territoriale la quale, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, ha fatto riferimento alla scarsa efficacia deterrente espletata dalla precedente condanna e ha formulato una prognosi negativa in ordine alla personalita' dell'imputato, ritenendolo immeritevole di usufruire ancora del beneficio. 6. Con il sesto motivo, il ricorrente si duole della inutilizzabilita' della consulenza tecnica medico - legale depositata dalla parte civile unitamente all'atto di costituzione. La parte civile aveva invece accettato il rito abbreviato, cosi' precludendosi la possibilita' di accedere alla produzione di mezzi di prova. Orbene, pur dovendosi precisare che - come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte - la parte civile non aveva il potere di formulare richieste probatorie nel giudizio abbreviato, potendo nominare propri consulenti tecnici solo allorquando il giudice abbia d'ufficio disposto perizia (Sez. 4, n. 42117 del 27/10/2021 Rv. 282103), va comunque rilevato che il motivo, ove accolto, inciderebbe esclusivamente sulla determinazione e quantificazione della condanna provvisionale pronunciata dai giudici di merito, basata sulla determinazione del grado di invalidita' temporanea e permanente causata alla persona offesa dal sinistro per cui e' processo. In proposito, va richiamato il costante orientamento di legittimita', secondo cui non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27 gennaio 2015, Rv. 263486; Sez. 5, n. 32899 del 25 maggio 2011, Mapelli ed altri, Rv. 250934). Tale statuizione, infatti, e' inoppugnabile in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento in sede civile (Sez. 2, n. 49016 del 6 novembre 2014, Patricola ed altro, Rv. 261054; Sez. 6, n. 50746 del 14 ottobre 2014, Rv. 261536). 7. Le considerazioni esposte conducono al rigetto del settimo ed ultimo motivo di ricorso, avente ad oggetto l'omesso esame di documentazione relativa alla quantificazione della provvisionale che, come detto, costituisce statuizione inoppugnabile. 8. Il ricorso va dunque rigettato. Segue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese nei confronti della parte civile costituita. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) (OMISSIS); Avverso la sentenza del 20/06/2022 della Corte d'appello di Milano; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Orsi che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi; udito per gli imputati l'Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20 giugno 2022, la Corte d'appello di Milano, pronunciandosi nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte di Questa Corte, con sentenza n. 32956 del 2021, ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza, emessa in data 7 marzo 2018, con la quale gli imputata erano stati condannati, alla pena di Euro 300,00 di multa, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti alle contestate aggravanti, in ordine al reato di cui agli articoli 110, 590, comma 1, 2 e 3, c.p. in relazione agli obblighi del datore di lavoro di cui all'articolo 71, comma 1, Decreto Legislativo n. 81 del 2008, perche', in qualita' di legali rappresentanti della (OMISSIS) s.r.l. e datori di lavoro della persona offesa, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano al lavoratore (OMISSIS), lesioni personali consistite in ferite lacero contuse della mano destra, da cui derivava una malattia con incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo pari a 56 giorni. 1.1. L'ambito devoluto alla Corte d'appello di Milano, a seguito di annullamento con rinvio pronunciato da Questa Corte, con sentenza del 7 aprile 2021, riguardava esclusivamente la questione inerente all'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'articolo 131-bis c.p., rispetto alla quale i giudici di legittimita' constatavano l'omessa valutazione, da parte dei giudici del merito, di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, attraverso un'analisi congiunta delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo. Per tali ragioni la sentenza rescindente aveva annullato parzialmente la sentenza impugnata e rinviato per nuovo esame limitatamente alla applicabilita' dell'articolo 131 bis c.p.. La Corte d'appello di Milano, in qualita' di giudice del rinvio, ha escluso la causa di non punibilita' ex articolo 131 bis c.p. ritenendo che il fatto non potesse qualificarsi di particolare tenuita' in ragione dell'elevata pericolosita' della condotta e dell'elevato grado di colpevolezza, desunto dalla consapevole disapplicazione delle misure di sicurezza da parte dei datori di lavoro, sostituite con altre modalita' operative volte a ridurre i tempi di lavorazione, e dell'entita' delle lesioni procurate al lavoratore, ritenendo irrilevanti ai fini dell'applicazione del 131-bis c.p. le condotte degli imputati susseguenti al reato. 2. Avverso tale sentenza, gli imputati ricorrono per cassazione, per il tramite dell'Avv. (OMISSIS), chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.: 2.1. Il ricorso e' affidato a due motivi aventi ad oggetto la violazione di cui all'articolo 606, comma 1, lettera e) e b), c.p.p. in relazione ai presupposti di applicazione dell'articolo 131-bis c.p.. Con il primo motivo di ricorso, la difesa censura, anzitutto, la contraddittorieta' del provvedimento impugnato con le precedenti sentenze di merito laddove quest'ultime hanno irrogato una pena - 300 Euro di multa vicinissima al minimo edittale, indice di un fatto dal valore offensivo particolarmente esiguo, dunque, logicamente incompatibile con l'elevato grado di colpevolezza attribuito dal giudice del rinvio alla condotta degli imputati. Inoltre, la difesa lamenta l'illogicita' della motivazione laddove il giudice d'appello avrebbe ritenuto che il numero limitato dei lavoratori adibiti alla curvatura a sezione quadrata non attenuerebbe in alcun modo l'offesa al bene giuridico protetto, ma sarebbe, anzi, prova di un elevato grado di colpevolezza. Sul punto, la difesa evidenzia, tra l'altro, che le misure di sicurezza automatiche erano state sostituite con altre misure antinfortunistiche codificate dall'azienda, che, sebbene insufficienti ad evitare l'infortunio, non sono paragonabili alla totale assenza di misure di sicurezza. A sostegno di tale conclusione, il ricorrente richiama una pronuncia di Questa Corte (Sez. 4, n. 17163 del 24/01/2017) dove, ai fini dell'applicazione dell'articolo 131-bis c.p., in un caso del tutto analogo, veniva valorizzata proprio la presenza di misure antinfortunistiche, sostitutive di altri presidi automatici, quale indice di un minore grado di colpevolezza. Quanto all'entita' del danno, la difesa censura l'elusione dell'obbligo motivazionale da parte del giudice del rinvio laddove avrebbep, escluso l'applicabilita' della causa di non punibilita' in esame in ragione della gravita' delle lesioni procurate al lavoratore, atteso che nell'ambito degli infortuni sul lavoro le lesioni non possono che essere (quantomeno) gravi; con la precisazione che la gravita' delle lesioni non e' incompatibile con l'affermazione della tenuita' dell'offesa, altrimenti non si potrebbe mai applicare la causa di cui all'articolo 131-bis c.p. nei casi di infortuni sul lavoro. In definitiva, il giudice del rinvio, lungi dall'effettuare una valutazione in concreto di tutte le peculiarita' della fattispecie, si sarebbe limitato ad affermare, con un sillogismo regressivo, che "il danno e' grave ai fini dell'articolo 131-bis c.p. perche' le lesioni sono gravi". 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si censura l'errata applicazione dell'articolo 131-bis c.p. con argomentazioni in parte analoghe a quelle sopra esposte. Si evidenzia, ancora una voltai come il medesimo fattore che ha indotto il giudice del rinvio a riconoscere nella condotta degli imputati un elevato grado di colpevolezza, cioe' la sostituzione delle misure di sicurezza doverose con altre misure antinfortunistiche, e' stato valutato in senso diametralmente opposto dai giudici di legittimita' nella sentenza della Quarta Sezione, sopra citata. Sull'entita' del danno si insiste sulla necessita' di un'analisi della fattispecie in concreto, non risultando sufficiente l'affermazione della gravita' delle lesioni che, come tali, non escludono l'applicabilita' del 131-bis c.p. e, dunque, l'esiguita' del danno. A sostegno di tale conclusione i ricorrenti citano alcuni casi in cui e' stata riconosciuta la causa di non punibilita' in esame a fronte di lesioni permanenti o comunque caratterizzate da una durata della malattia molto piu' lunga (Sez. 4, n. 17163 del 24/01/2017). La difesa sottolinea, altresi', la necessita' di effettuare una valutazione complessiva e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, in conformita' alla giurisprudenza di legittimita' che ha individuato una serie di elementi in presenza dei quali puo' ritenersi applicabile l'esimente in questione, quali l'assenza di precedenti penali, l'avvenuto risarcimento del danno, la non eccessivita' della pena irrogata (Sez. 4, n. 6566 del 17/10/2019), elementi che sarebbero ampiamente ravvisabili nel caso di specie, pretermessi nel provvedimento impugnato. Infine, il giudice del rinvio incorrerebbe in una errata applicazione dell'articolo 131-bis c.p. laddove avrebbe ritenuto irrilevante la condotta post factum ai fini dell'applicazione della causa di non punibilita' in esame. Sul punto, si richiama una recente sentenza della Sezioni Unite (Sez. Un., n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv 283064) che ritiene ormai superato l'orientamento secondo cui e' irrilevante la condotta susseguente al reato, a fronte della direttiva di segno opposto contenuta all'interno della legge delega n. 134 del 2021, che puo' considerarsi gia' diritto vigente. Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha omesso di valutare la condotta successiva all'infortunio, rilevante sotto molteplici profili, specificamente dedotti dalla difesa: dall'adeguamento della macchina curvatubi alle prescrizioni impartite dall'ASL, all'installazione di un ulteriore presidio di sicurezza "laser scanner", fino al risarcimento del danno effettuato dall'azienda, in aggiunta a quello gia' erogato dall'INAIL. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. I ricorsi sono infondati e non meritano di essere accolti, per le ragioni che seguono. 5. Quanto al primo motivo di ricorso, la motivazione del provvedimento impugnato (cfr. par. 1.1.) risulta immune dal denunciato vizio di contraddittorieta' e illogicita'. Sul punto, occorre considerare, anzitutto, che l'irrogazione di una pena vicina al minimo edittale non risulta incompatibile con l'esclusione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p. (Sez. 3, n. 17184 del 14/10/2015, Coppo, Rv. 266754 - 01). Tale istituto, che trova il proprio fondamento giustificativo nel principio di proporzione, si applica, invero, a quei fatti di reato che, seppur tipici antigiuridici e colpevoli, rimangono al di sotto della soglia della meritevolezza della pena, denotando, dunque, una gravita' in concreto inferiore alla pena minima prevista dal legislatore per quella determinata fattispecie. Pertanto, il giudice ben puo' comminare una pena molto vicina al minimo edittale e, ciononostante, non ritenere sussistenti i requisiti per l'applicazione dell'esimente di cui all'articolo 131-bis c.p., e segnatamente, la modesta gravita' del reato, individuando, all'interno della cornice edittale prevista dal legislatore, una pena comunque proporzionata alla gravita' in concreto del fatto di reato, oggetto del giudizio. Sotto altro profilo, nessuna manifesta illogicita' e' predicabile con riguardo all'esclusione della predisposizione di misure antinfortunistiche alternative e all'individuazione di un numero limitato di lavoratori adibiti alla peculiare lavorazione della curvatura a sezione quadrata quale elemento di valutazione favorevole per il riconoscimento della speciale tenuita' del fatto. Occorre, infatti, considerare che il giudice territoriale ha preso in considerazione tali elementi nella valutazione complessiva del fatto, ritenendoli, tuttavia, non valutabili favorevolmente ai fini dell'applicabilita' dell'esimente de qua, con un ragionamento che non puo' dirsi illogico. Nel provvedimento impugnato si evidenzia, infatti, come la sostituzione dei presidi automatici con altro tipo di misure fosse volta a ridurre i tempi di lavorazione; come gli imputati fossero consapevoli della maggiore pericolosita' derivante da tale sostituzione, predisponendo la formazione soltanto per tre dipendenti su dieci; come tali misure fossero evidentemente risultate inidonee a garantire la sicurezza e l'incolumita' dei lavoratori a fronte delle lesioni cagionate. Al contrario, evidenzia il giudice territoriale, come tale circostanza fosse altamente significativa dell'elevato grado di colpevolezza (cfr. pag. 4). In tale contesto non e' pertinente il richiamo al precedente di Questa corte citato dalla difesa (Sez. 4, n. 17163 del 24/01/2017), in quanto l'elemento in discussione, ovvero la sostituzione con altre misure di sicurezza, era, in quel caso, valutato unitamente ad altri elementi di quel caso concreto ai fini del riconoscimento della causa di non punibilita'. Come e' stato opportunamente affermato nella sentenza Tushaj, pronunciata a Sezioni Unite, nel giudizio sulla tenuita' del fatto si richiede "una equilibrata considerazione di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta", in quanto "non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica. E' la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore" (Sez. Un., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, pag. 8), sicche' ogni caso presenta sue peculiarita' che il giudice del merito e' tenuto a valutare nel complessivo giudizio di particolare tenuita' ai sensi dell'articolo 131 bis c.p.. Sotto altro profilo, quanto all'entita' del danno, la Corte territoriale non si e' limitata ad affermarne tautologicamente la gravita' in ragione della gravita' delle lesioni, ma ha valutato in concreto l'entita' delle lesioni derivate al dipendente infortunato, pari a due mesi di malattia, ritenendola espressiva della pericolosita' delle condizioni lavorative consapevolmente predisposte dagli imputati (pag. 4 sentenza della Corte di appello di Milano). 6. Il secondo motivo di ricorso e' parimenti infondato, in parte per le medesime ragioni di cui sopra, in parte per ragioni diverse. Piu' in particolare, risulta infondata la doglianza difensiva relativa alla violazione dell'articolo 131-bis c.p., laddove il giudice di appello avrebbe mancato di considerare, ai fini dell'applicazione dell'esimente in parola, la condotta susseguente al reato. Anzitutto merita ricordare come la norma in esame sia stata recentemente novellata dalla c.d. riforma Cartabia, la quale, con la legge delega n. 134 del 2021, aveva individuato, tra i principi e i criteri direttivi cui avrebbe dovuto attenersi il governo nell'attuazione della delega, la necessita' di attribuire rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuita' dell'offesa. Indicazione prontamente recepita dalla giurisprudenza di Questa corte con una pronuncia a Sezioni Unite del 27 gennaio 2022 (Sez. Un., n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv 283064), prima ancora che venisse adottato il decreto legislativo attuativo n. 150 del 2022, entrato in vigore lo scorso 30 dicembre, con cui sono state formalmente inserite, al comma 1 dell'articolo 131-bis, c.p., le parole "anche in considerazione della condotta susseguente al reato". Hanno chiarito, le Sezioni Unite Ubaldi, che la valorizzazione da parte del legislatore di tale specifico criterio di delega, - ora espressamente introdotto dal Decreto Legge n. 150 del 2022 -, comporta, infatti, la necessita' di superare l'indirizzo al riguardo seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, includendo, nel catalogo degli indicatori dianzi richiamati, anche il profilo di valutazione inerente alla "condotta susseguente al reato". Non di meno, come osservato dai giudici nella loro massima espressione, entro tale prospettiva, dunque, le condotte successive al reato ben possono "integrare nel caso concreto un elemento suscettibile di essere preso in considerazione nell'ambito del giudizio di particolare tenuita' dell'offesa, rilevando ai fini dell'apprezzamento della entita' del danno, ovvero come possibile spia dell'intensita' dell'elemento soggettivo". Ora, a seguito della modifica legislativa, la condotta susseguente al reato, in uno con i criteri di cui all'articolo 133 comma 1 c.p., rientra nell'ambito di valutazione del giudice per stabilire se, per le modalita' della condotta e l'esiguita' del danno o del pericolo, l'offesa risulta di particolare tenuita'. Come gia' chiarito dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, la condotta susseguente il reato e' elemento di considerazione nell'ambito della complessiva valutazione dei requisiti per l'applicazione della causa di non punibilita' nel caso concreto " rilevando ai fini dell'apprezzamento della entita' del danno, ovvero come possibile spia dell'intensita' dell'elemento soggettivo". Ebbene, nel caso di specie, il giudice di appello, a pagina 4 del provvedimento impugnato, dimostra di aver gia' preso in considerazione il comportamento tenuto successivamente dagli imputati e, segnatamente, il fatto di aver apportato le modifiche tecniche alla macchina, in conformita' alle prescrizioni della ASL, e di aver predisposto un sistema di sicurezza aggiuntivo denominato laser scanner, giudicando, tuttavia, tali fatti come "neutri" ai fini del riconoscimento della causa di non punibilita' in quanto inidonei ad incidere favorevolmente - sul grado di offensivita' dell'illecito. Per di piu', con riguardo al sistema di sicurezza aggiuntivo, il giudice segnala un passaggio della relazione dell'Ing. Roxas in cui emerge chiaramente tale inidoneita', laddove si afferma che, in ogni caso, l'attrezzaggio del macchinario si sarebbe dovuto effettuare disattivando temporaneamente il laser scanner, in assenza, dunque, di ulteriori garanzie di sicurezza. La gravita' dell'offesa e l'elevata pericolosita' delle condizioni di lavoro consapevolmente non e' scalfita, secondo i giudici del merito, dalla condotta susseguente di messa a norma del macchinario. Si tratta di valutazioni di merito, che gia' comprende la âEuroËœcondotta susseguente al reato' di cui al novellato articolo 131 bis c.p., che, in quanto non manifestamente illogiche ne' contraddittorie sono insindacabili in sede di legittimita'. Oltretutto, rileva, il Collegio, che l'adeguamento del macchinario alle prescrizioni ASL e' un comportamento post delicto imposto per la prosecuzione dell'attivita' lavorativa, dunque non significativo ai fini di valutazione della particolare tenuita' dell'offesa. Non risulta dalla sentenza impugnata che i ricorrenti avessero devoluto, quale elemento di valutazione ai fini del riconoscimento della causa di non punibilita', il risarcimento del danno, ne' la sentenza rescindente ha dato rilievo a tale circostanza per il successivo giudizio di rinvio, ne' infine, tale circostanza e' stata oggetto di allegazione con il ricorso per cassazione. 7. Va, infine, ricordato che nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, il giudice di rinvio non puo' dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, Rv. 265434 - 01; Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, Rv. 267590 - 01) e, allo stesso modo, non puo' essere dichiarata dalla Corte di cassazione che rigetta il ricorso. 8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Ange - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS), nato il (OMISSIS); nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS) SPA; inoltre: PARTE CIVILE INAIL; (OMISSIS) SE; (OMISSIS) SPA; (OMISSIS) LTD; avverso a sentenza del 23/06/2022 del TRIBUNALE di BOLZANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI LUCA; Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' ricorso; udito il difensore; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di MILANO in difesa di (OMISSIS), che insiste per la conferma della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23/6/2022 il Tribunale di Bolzano ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) per essere il reato loro ascritto estinto per esito positivo della messa alla prova ai sensi dell'articolo 531 c.p.p. e articolo 464 septies c.p.p., comma 1. Gli imputati erano chiamati a rispondere del reato di lesioni colpose commesse con violazione delle norme antinfortunistiche in danno di (OMISSIS). Il Tribunale precisa, in motivazione, che e' stata acquisita la comunicazione proveniente dagli uffici competenti dell'esito positivo dello svolgimento dei lavori di pubblica utilita' a cui erano stati ammessi gli imputati. In relazione alla questione risarcitoria, ha rilevato come i difensori degli imputati avessero documentato una seria offerta risarcitoria nei riguardi della parte civile. Ha quindi ritenuto che, sebbene le parte offesa non avesse accettato l'offerta, la stessa potesse egualmente essere valutata ai fini della estinzione del reato. Insorge la parte civile costituita, (OMISSIS), proponendo, a mezzo del difensore, ricorso per cassazione avverso la sentenza sopra indicata. La difesa articola i seguenti motivi di ricorso. 1) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con particolare riferimento agli articoli 168-bis, 168-ter e 168-quater c.p., articoli 164-septies, 464-bis, 657-bis c.p.p. in relazione alla disciplina della prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, nonche', ove possibile al risarcimento del danno dallo stesso cagionato; violazione dell'articolo 1209 c.c., e segg. con particolare riferimento ai requisiti per la validita' ed efficacia dell'offerta risarcitoria. L'offerta degli imputati: datata 11/4/2022, formulata con pec (acquisita al fascicolo processuale all'udienza del 28 aprile 2022), si e' sostanziata in una proposta transattiva, proveniente da una rappresentante delle compagnie assicurative, nella quale si legge: "(...) tale offerta viene effettuata senza che cio' possa essere inteso come riconoscimento di responsabilita' in capo agli assicurati e/o Assicurazioni ed a saldo e stralcio di ogni altra e qualsivoglia pretesa del Sig. (OMISSIS) e dei suoi eredi ed aventi causa; pertanto con l'accettazione e la corresponsione della suddetta somma, il signor (OMISSIS) non avra' quindi piu' nulla a che pretendere a qualsiasi titolo, ragione o causa dalle suindicate compagnie e dai rispettivi assicurati per i fatti i di cui all'evento occorso il 20 agosto 2014 e rinuncera' alla costituzione di parte civile nel procedimento penale in corso. Si precisa che in caso di accettazione verranno emessi dalle citate compagnie tre distinti atti di quietanza secondo la ripartizione risultante dagli accordi gia' intercorsi tra le compagnie stesse". La parte civile ha ritenuto di non accedere a tale transazione, reputandola insufficiente e rappresentando alla controparte che l'offerta e l'accettazione poteva avvenire solo in acconto e senza rinuncia alcuna della parte residua. In ragione di tanto nulla veniva versato o anche solo offerto banco judicis dalle societa' assicuratrici o dagli imputati. Acquisita l'ultima offerta, il giudice valutava sufficiente la stessa, a mente dell'articolo 464-bis c.p.p., comma 5, e dichiarava con la sentenza oggetto di gravame l'esito positivo della messa alla prova. Non si contesta la quantificazione del danno da parte delle assicurazioni degli imputati e la valutazione discrezionale proveniente dal giudice in ordine al suo carattere satisfattorio. Si contesta invece l'assenza di una concreta attivita' riparatoria e di risarcimento del danno. L'offerta, posta in essere soltanto dalle assicurazioni, si e' sostanziata in una proposta transattiva c.d. "a saldo e stralcio". Si tratta di un atto propedeutico e funzionale a porre in essere una transazione novativa che determina la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio il quale si sostituisce a quello precedente, generando nuove ed autonome situazioni giuridiche tra e parti. La parte civile non ha inteso aderire a tale proposta di nuovo negozio giuridico. In termini generali, la giurisprudenza di legittimita', nel soffermarsi sul concetto di risarcimento del danno in ambito penale, ribadisce come a valutazione dell'integralita' del risarcimento non sia rimessa alle parti, riflettendosi sulla pena e comportando un positivo giudizio di resipiscenza dell'autore; pertanto; il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, puo' prescindere dal fatto che il danneggiato si sia ritenuto soddisfatto (si veda Sez. 4 del 15/9/2021, n. 40546 n. m.). L'offerta, per essere valutata e posta a base della decisione, deve essere definitiva e non revocabile, il che implica che debba necessariamente essere. avanzata nelle forme dell'offerta reale. Gli imputati, dopo il rifiuto, non si sono curati di effettuare un'offerta reale. 2) Carenza assoluta di motivazione in ordine alla ritualita' dell'offerta risarcitoria. Il giudice di prime cure limita il suo scrutinio circa il risarcimento del danno al solo profilo quantitativo, non oggetto di contestazione in questa sede. Ha trascurato di considerare come l'offerta non rosse stata effettuata in forma rituale, richiamando in modo inconferente l'articolo 464-bis c.p.p., comma 5. Per ogni valutazione circa il risarcimento del danno e' necessario che l'imputato abbia messo a disposizione la somma di danaro mediante offerta reale. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. La difesa del ricorrente ha fatto pervenire memoria difensiva, nella quale, anche in replica alle conclusioni del Procuratore Generale, richiamandosi ai motivi di ricorso, ha insistito nel richiedere l'annullamento della sentenza impugnata. La difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato memoria difensiva nella quale ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Ha posto in evidenza come risulti carente l'interesse a ricorrere della parte civile, ben potendo adire il giudice civile per ottenere il risarcimento. Del tutto legittimamente il giudice ha dichiarato l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova sulla base dell'avvenuto risarcimento dell'INAIL, della seria proposta risarcitoria proveniente dalle assicurazioni, dello svolgimento del lavoro di pubblica utilita' e del rispetto delle prescrizioni contenute nel programma di trattamento da parte degli imputati. il risarcimento dal danno differenziale, rispetto al quale e' intervenuto il rifiuto della parte civile, richiede per la sua determinazione un procedimento complesso, procedimento a cui non si e' dato corso nell'ambito del giudizio. Secondo orientamento della Corte di legittimita', il risarcimento del danno, diviene condizione imprescindibile dell'ammissione al beneficio della messa alla prova soltanto ove sia determinabile. Nel caso in esame esso e' rimasto indeterminato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. La Corte di appello, previo esito positivo della messa alla prova, ha dichiarato l'estinzione del reato di lesioni colpose contestato agli imputati. Ricorre per cassazione la parte civile, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. Si deduce non tanto l'inidoneita' della offerta risarcitoria sotto il profilo del quantum proposto, valutato congruo dal giudice di merito, ma la mancanza di una effettiva offerta risarcitoria, essendo stata essa effettuata in modo irrituale, in forme diverse dall'offerta reale. Il ricorso appare inammissibile per carenza d'interesse ad impugnare della parte civile. Con l'entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, il legislatore ha introdotto la sospensione del procedimento con messa alla prova per i reati commessi da imputati maggiorenni. Si tratta di un istituto processuale diretto ad offrire all'imputato un trattamento personalizzato che ne faciliti i recupero ed eviti il danno derivante non solo dalla detenzione in carcere ma anche dalle conseguenze, di carattere sociale, che discendono da una decisione di condanna. La collocazione delle disposizioni di cui all'articolo 464-bis c.p., e segg. nel libro 6 (sui procedimenti speciali), dopo il titolo 5, nell'ambito del nuovo titolo 5 bis, porta a ritenere che la sospensione del procedimento con messa alla prova per gli adulti costituisca un procedimento speciale, che si aggiunge al giudizio abbreviato, all'applicazione della pena su richiesta delle parti, al giudizio direttissimo; al giudizio immediato ed al procedimento per decreto. La disciplina ha introdotto una nuova causa di estinzione del reato, prevedendo una ipotesi di definizione anticipata del procedimento. Nel caso in esame cio' che viene in considerazione sono i rapporti fra la sospensione del procedimento con messa alla prova ed il risarcimento del danno e, piu' in generale, la posizione della parte offesa. L'articolo 168-bis c.p., comma 2, vincola la messa alla prova alla prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato nonche', ove possibile, al risarcimento del danno. L'avere subordinato la concessione della messa alla prova all'impegno risarcitorio dell'imputato e l'avere previsto la revoca o la declaratoria di esito negativo in caso di suo inadempimento - si vedano gli articoli 464-quinquies, 464 septies, 464-octies c.p.p., induce a ritenere che il risarcimento della vittima, ove possibile, sia presupposto imprescindibile di tale istituto, non in via alternativa ma congiunta rispetto alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 13235 del 02/03/2016 Rv. 266322: "E' legittimo il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova contenente solo una generica dichiarazione dell'imputato di voler risarcire il danno, essendo egli tenuto a comprovare, con idonee allegazioni, il suo intento di porre in essere condotte riparative"). Deve ritenersi, in conformita' all'orientamento formatosi sul punto, che, ove le prescrizioni imposte dal giudice ai sensi dell'articolo 464-quinquies c.p.p., non rispondano alle pretese della parte offesa, essa avra' modo di tutelare queste ultime in sede civile. In tal senso si e' espressa Sez. 2, n. 18265 del 16/01/2015, Capardoni, Rv. 2637910, che ha colto significative assonanze, del tutto condivisibili, tra l'istituto di cui discute e la disciplina che regola il giudizio innanzi al Giudice di Pace; si legge, infatti, in motivazione: "e' stato affermato che, seppur per la diversa ipotesi di estinzione del reato ai sensi del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 35, non sussiste alcun interesse per la parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili, a sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per intervenuta condotta riparatoria in quanto tale pronuncia, limitandosi ad accertare la congruita' del risarcimento offerto ai soli fini dell'estinzione del reato, non riveste autorita' di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile (cosi' Sez. 5, 6 giugno 2008, n. 27392, Di Rienzo non massimata sul punto). Il principio e' stato ribadito in successivi arresti di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 33277 del 28/03/2017, Zlatkov, Rv. 270533 - 01: "In tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, e' illegittimo il capo della sentenza che, dichiarando l'estinzione del reato ai sensi dell'articolo 464-septies c.p.p., condanni l'imputato al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, atteso che il risarcimento della vittima, unitamente alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, costituisce un presupposto imprescindibile dell'istituto; pie consegue che, qualora le prescrizioni imposte dal giudice ai sensi dell'articolo 464-quinquies c.p.p. non rispondano alle pretese della parte civile, quest'ultima potra' tutelarsi nell'ambito di un autonomo giudizio civile, senza subire alcun effetto pregiudizievole dalla sentenza di proscioglimento che, non essendo fondata su elementi di prova, non e' idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell'accusa e sulla responsabilita'"). Appare quindi evidente che, ove il danno venga interamente risarcito, la parte offesa, gia' costituita parte civile, non avra' pretese da avanzare; in caso contrario, l'eventuale risarcimento parziale o, in ipotesi, l'assenza di un totale risarcimento, non potra' rivestire autorita' di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produrra', pertanto, alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile. Tale conclusione trova piena rispondenza nella scansione processuale: giudice decide sulla richiesta con ordinanza pronunciata in udienza, sentite le parti nonche' la persona offesa, il cui parere, pero', non e' vincolante. Ai sensi dell'articolo 464-quater c.p.p., comma 2, l'ordinanza e ricorribile autonomamente per cessazione, anche dalla persona offesa, ma solo se essa non e' stata sentita o non ha avuto avviso e, in ogni caso, l'impugnazione proposta non sospende il procedimento. La valutazione da parte del giudice non si basa su elementi di prova e non e' idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell'accusa e sulla responsabilita' (Sez. 2, n. 53648 del 05/10/2016 Rv. 268635) sicche' la decisione assunta, nell'ipotesi di esito positivo della mesa alla prova, non potra' avere alcuna incidenza sull'eventuale giudizio civile instaurato per il risarcimento del danno. Qualora la valutazione del giudice circa l'entita' del risarcimento non collimi con le pretese della parte civile, un'eventuale diversa richiesta o aspettativa da parte di quest'ultima non determinano la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, ne' impediscono la pronuncia della sentenza di cui all'articolo 464-septies c.p.p., rimanendo impregiudicato il diritto della parte offesa di adire il giudice civile per l'ottenimento delle sue pretese. Cio' e' accaduto nel presente caso. Il giudice di merito ha ritenuto che le compagnie assicuratrici avessero indirizzato alla persona offesa una seria proposta risarcitoria basata sulle risultanze della visita medica collegiale, tenuto conto delle somme gia' percepite dall'infortunato dall'INAIL. La parte civile, in ragione del pacifico orientamento interpretativo espresso da questa Corte, insoddisfatta della proposta proveniente dalle compagnie assicuratrici, rimanendo impregiudicate le sue ragioni, potra' far valere le sue pretese in altra sede. 3. Quanto al secondo motivo di ricorso, non risulta dalla lettura degli atti allegati al ricorso che la difesa abbia prospettato al giudice procedente la specifica questione riguardante l'irritualita' della offerta, pertanto e' destituita di fondamento la doglianza riguardante l'omessa pronuncia della sentenza impugnata sul punto. Dalla stessa documentazione prodotta dalla difesa di parte civile si evince come la questione non abbia mai assunto carattere di centralita' nella trattativa: era, invero, intendimento della parte civile accedere ad un diverso accordo transattivo con le compagnie assicuratrici, con accettazione della somma proposta, pari ad Euro 55.000,00, solo a titolo di acconto sulla maggior somma pretesa (cfr. copia mail del 22/12/2021). Del tutto irrilevante e' che il risarcimento non sia stato effettuato nelle forme dell'offerta reale, ma con una proposta di transazione. La stessa, infatti, ove fosse stata accettata, avrebbe comportato l'obbligo della parte proponente di corrispondere la somma offerta. Deve osservarsi come le norme che disciplinano l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova non richiamino l'offerta reale, espressamente citata, invece, in caso di estinzione del reato per condotte riparatorie (articolo 162-ter c.p.). Si deve tenere sufficiente in tale ambito anche una offerta transattiva, prodromica alla effettiva corresponsione della somma accettata a titolo di risarcimento. 4. Consegue alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', a norma dell'articolo 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/01/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DAWAN DANIELA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MANUALI VALENTINA; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di entrambi i ricorsi; udito il difensore; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA che deposita nomina a sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS) del foro di ROMA difensore della parte civile (OMISSIS) unitamente alle conclusioni scritte e alla nota spese alle quali si riporta chiedendo il rigetto dei ricorsi; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che chiede l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21/01/2022, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di cui all'articolo 40 c.p., articolo 590 c.p., commi 1, 2, 3, in relazione all'articolo 583 c.p., comma 1, per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili nei confronti della parte civile, (OMISSIS). 2. Avverso la prefata sentenza ricorrono i prevenuti, a mezzo del medesimo difensore e con un unico atto, con cui sollevano i seguenti motivi: 2.1. Vizio di motivazione rispetto al motivo di gravame in cui si era sostenuto che (OMISSIS) ed (OMISSIS), con la qualifica di operai, sono stati erroneamente ritenuti responsabili in materia di sicurezza del lavoro (Decreto Legislativo n. 626 del 1994) e, di conseguenza, erroneamente ritenuti responsabili ex articolo 2043 c.c. in ordine al risarcimento del danno alla costituita parte civile. In caso di infortunio sul lavoro, si verte in ambito di responsabilita' contrattuale proprio in relazione al contratto di lavoro: non si riesce, quindi, a comprendere come da un rapporto di lavoro possa scaturire una responsabilita' extracontrattuale ai sensi dell'articolo 2043 c.c.. Per essere risarcibile, peraltro, il danno deve avere una misura determinata o determinabile, mentre, nel caso in esame, l'Inail di (OMISSIS) ha attestato che il danno subito dalla parte civile non era indennizzabile data l'esiguita' dello stesso. Si menzionano i soggetti che all'epoca dei fatti erano incaricati di rispettare le norme sulla sicurezza del lavoro. Ne' si comprende a che titolo venga richiesto il risarcimento del danno, atteso che la stessa persona offesa, diversamente da quanto affermera' in seguito, ha dichiarato, nell'immediatezza del fatto, di aver tolto lei stessa la protezione. Gli imputati non possono essere considerati responsabili civilmente, tanto che lo stesso c.c.n.l. per gli operai di gruppo B - ai quali predetti appartenevano - non prevedeva alcuna copertura assicurativa per danni verso terzi, previste invece per i quadri di gruppo A e per gli altri dirigenti sovraordinati. 2.2. Vizio di motivazione rispetto allo specifico motivo di gravame con cui si chiedeva l'assoluzione degli imputati per l'omessa considerazione di prove inequivocabili, nonche' dotate del requisito della decisivita', che dimostrano essere infondata l'accusa nei loro confronti. Ben dieci testimoni hanno confermato la qualifica di operai degli imputati. Essi hanno altresi' affermato che (OMISSIS) non ha mai fatto parte della legatoria ove si e' verificato l'infortunio, a cui non aveva peraltro accesso. Si riportano passi delle loro deposizioni. 3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. 4. In data 09/01/23 e' pervenuta memoria dell'avv. (OMISSIS), difensore degli imputati. Il 27/01/3 sono pervenute memoria, conclusioni e nota spese del difensore della parte civile, avv. (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Va preliminarmente rilevato che i ricorsi, laddove involgono la responsabilita' penale dei ricorrenti - sul piano, peraltro, di una diversa valutazione in punto di fatto del materiale probatorio acquisito (cosi' in particolare, il secondo motivo) - non superano il vaglio di ammissibilita', perche' trascurano di considerare che la sentenza impugnata ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il procedimento nel merito puo' derivare solo dall'evidenza dell'innocenza degli imputati, cosi' come richiesta dall'articolo 129 c.p.p., comma 2, evidenza che il Giudice di appello ha escluso e che i ricorsi degli imputati non hanno dimostrato, giacche' non contengono deduzioni sulla mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2. Va ricordato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili, in sede di legittimita', vizi della motivazione della sentenza impugnata, dal momento che il rinvio, da un lato determinerebbe comunque l'obbligo per il giudice di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento. 3. Tanto premesso e con riguardo alle statuizioni civili, si osserva che il primo motivo e' manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalla sentenza n. 182/2021 della Corte Costituzionale ed e' pervenuta alle proprie conclusioni sul danno risarcibile sulla base di una motivazione diffusa e congrua. Spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale degli imputati in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, la Corte territoriale ha dato atto di provvedere, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., sull'impugnazione ai soli effetti civili, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilita' degli imputati per il reato estinto. All'uopo, ha esattamente ritenuto integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano di cui all'articolo 2043 c.c., secondo l'insegnamento della stessa Corte Costituzionale nella pronuncia, pure richiamata dai ricorrenti. Invero, il giudice dell'impugnazione e' chiamato a valutare gli effetti giuridici del fatto per cui e' processo, chiedendosi, non gia' se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'articolo 2043 c.c., e cioe' se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. L'illecito civile, derivante da un fattispecie penale (articolo 185 c.p.), pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, risponde tuttavia a diverse finalita' e richiama un distinto regime probatorio. L'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui all'articolo 185 c.p.. La natura civilistica dell'accertamento richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale dell'impugnazione, differenziato dall'(ormai precluso) accertamento della responsabilita' penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito. Il giudice, in particolare, non accerta la causalita' penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'"alto grado di probabilita' logica" (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del "piu' probabile che non" o della "probabilita' prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare piu' probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso e' la giurisprudenza a partire dalle Sezioni Unite civili, con le sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584). L'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non e' revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (articolo 573 c.p.p.). La Corte Costituzionale, nella menzionata sentenza, afferma che l'applicazione dello statuto della prova penale e' piena e concerne sia i mezzi di prova (sara' cosi' ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'articolo 246 c.p.c.), sia le modalita' di assunzione della prova (le prove costituende saranno cosi' assunte per cross examination ex articolo 499 c.p.p. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento della responsabilita' penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato, potra' - o talora dovra' (cfr. Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini Claudio) - procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili (articolo 603 c.p.p., comma 3-bis). 2.1. In conformita' a queste premesse, la sentenza impugnata ha affermato che l'ipotesi fattuale contestata al capo E) dell'imputazione deve senz'altro ritenersi piu' probabile di ogni altra ipotesi, in particolare della contraria ipotesi sostenuta nell'atto di appello, ove si contestava la sussistenza in capo agli appellanti di ogni dovere e/o obbligo. La Corte territoriale ha infatti ricordato come, all'esito delle testimonianze raccolte e della documentazione acquisita, "non possano non essere ricondotte ai predetti appellanti quelle posizioni di garanzia individuate dal legislatore in materia di sicurezza sul lavoro e precisamente quella di (OMISSIS) quale dirigente team leader B1 del reparto legatoria, e quella di (OMISSIS), quale preposto team leader B 2 del suddetto reparto...". Ha altresi' ricordato che la persona offesa era addetta, in assenza di una preventiva ed adeguata informazione ed istruzione sul corretto utilizzo della stessa, ad una macchina cucitrice che si trovava nel reparto di cui (OMISSIS) era il dirigente dell'area allestimento, mentre (OMISSIS) era il preposto al controllo dell'attivita' lavorativa dell'operaia, e che entrambi consentivano all'infortunata l'utilizzo di una cucitrice priva dello schermo proteggi mani. Ha, infine, sostenuto che se fosse stata fornita una corretta informazione sui rischi di una macchina utilizzata per lavori straordinari, se si fosse mantenuto lo schermo salva mani e se si fosse controllata la presenza del suddetto strumento di protezione da parte della lavoratrice, quest'ultima non avrebbe subito la tranciatura della prima falange del quarto dito della mano destra, con lesioni di durata superiore ai giorni 40. E, dunque, continua la Corte di appello la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrita' fisica della lavoratrice in ossequio agli articoli 2087 e 2049 c.c., "hanno certamente generato nei confronti della stessa un danno risarcibile ex articolo 2043 c.c.", la cui liquidazione e' stata rimessa dal primo giudice al Tribunale civile. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS) in questo giudizio di legittimita', che sono liquidati in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (OMISSIS) in questo giudizio di legittimita' che liquida in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CANANZI F. - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/03/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. EPIDENDIO TOMASO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni depositate dall'avvocato (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, con le quali anche in replica a quelle della Procura generale, ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa a seguito di annullamento con rinvio - disposto da questa Corte di cassazione, Prima sezione penale, il 14 settembre 2021 con sentenza n. 806/2021 - confermava la sentenza del Tribunale di Velletri, che aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS) per il delitto di tentato omicidio commesso in danno di (OMISSIS). In particolare la Corte di legittimita' aveva annullato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Roma solo in relazione all'iniziativa risarcitoria, assunta dal (OMISSIS) con la consegna di due assegni per un complessivo valore di 35 mila Euro e alla esibizione di una scrittura privata indicata come atto di transazione, rilevando come la Corte di merito nel primo giudizio avesse omesso una adeguata motivazione quanto alla richiesta di riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno ex articolo 62 c.p., comma 1, n. 6). La Corte di appello, investita del giudizio rescissorio, ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri. 3. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 4. Il motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello, dopo avere escluso l'integralita' del risarcimento, ha pero' omesso di confrontarsi con la dichiarazione liberatoria della persona offesa. Per altro la Corte di appello ha richiamato le tabelle Inail per la invalidita' permanente riferita a infortuni sul lavoro e malattie professionali, non adeguata al caso in esame, come anche non rapportata all'anno 2008, come pure arbitraria risulterebbe la determinazione di Euro 70 al giorno, senza indicare quale sia la fonte. Infine, rispetto alla stima operata dalla Corte di appello, non e' stato tenuto in conto che lo stesso (OMISSIS) era indagato per il delitto di rissa, per cui anche ai fini della valutazione della integralita' del risarcimento del danno avrebbe dovuto trovare applicazione l'articolo 1227 c.c., per il concorso del fatto colposo del creditore. 5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge n. 127 del 2020, articolo 23, comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, ritenendo non arbitraria la valutazione della Corte territoriale, ne' tanto meno censurabile per altre ragioni la sentenza impugnata, data la differenza quantitativa fra quanto stimato dal Giudice del merito e quanto reso disponibile dall'imputato. 6. Il difensore del ricorrente ha con le conclusioni insistito per l'applicazione al caso di specie dell'articolo 1227 c.c., contestando le argomentazioni della Procura generale. 7. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 2021, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va premesso che ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 e' necessario che il colpevole abbia provveduto, prima del giudizio, alla riparazione del danno mediante il risarcimento totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro parziale (Sez.2, n. 9535 del 11/02/2022, Cortiglia, Rv. 282793 - 01). La Corte di appello, quanto alla tempestivita' rilevava che con la sentenza rescindente era gia' stata ritenuta la sussistenza di tale presupposto. Diversamente riteneva che il versamento di 35mila Euro fosse ben lontano dalla valutazione del danno a risarcirsi stimato in oltre 82mila Euro. E bene, la Corte territoriale con la pronuncia impugnata si pone in sintonia con il principio per cui l'accordo transattivo, che venga ritenuto satisfattivo dalla parte privata, non vincola il giudice in merito al riconoscimento della invocata circostanza attenuante invocata. A tal proposito l'orientamento consolidato di questa Corte di legittimita' rileva come ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, la quietanza integralmente liberatoria rilasciata dalla parte offesa non e' "ex se" vincolante, essendo rimesso al sindacato del giudice l'apprezzamento dell'avvenuto ravvedimento del reo e della neutralizzazione della sua pericolosita' sociale, che l'integrale risarcimento del danno implica (Sez. 5, n. 116 del 08/10/2021, dep. 2022, Maier, Rv. 282424 01; Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368 - 02; Sez. 5, n. 44100 del 24/09/2019, Fukuta, Rv. 278315 - 01). Nello stesso senso e' stato affermato in modo condivisibile che la circostanza attenuante del risarcimento del danno, presupponendo che la riparazione del danno cagionato sia integrale, non sia configurabile a fronte di una transazione intervenuta tra le parti, il cui oggetto risarcitorio e' caratterizzato in se' dalla non integralita' (Sez. 3, n. 25326 del 19/02/2019, Perani, Rv. 276276 - 01). D'altro canto, il giudice puo' disattendere ogni atto negoziale, pur ritenuto satisfattivo dalla persona offesa, fornendo adeguata motivazione, senza che, peraltro, sia necessario procedere alla specifica quantificazione del danno astrattamente risarcibile mediante l'esame delle singole voci che lo compongono, allorche' l'accordo transattivo, a sua volta, non le contempli in modo analitico, ma si limiti ad indicare la somma complessivamente corrisposta a titolo di risarcimento (Sez. 3, n. 33795 del 21/04/2021, L., Rv. 281881 - 01): e nel caso in esame l'atto transattivo non reca alcun riferimento al criterio di valutazione del danno e alla conseguente determinazione del quantum debeatur. E dunque, manifestamente infondata e' la censura che la Corte territoriale non abbia tenuto in conto la scrittura transattiva, escludendone la decisivita' ai fini dell'accertamento della integralita' del risarcimento. La Corte di appello valuta la non integralita' del risarcimento con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, anzi procedendo a una delibazione puntuale e richiamando criteri che fungono da parametro per identificare la quantificazione del risarcimento dovuto: la motivazione e' immune da vizi logici e da contraddizioni, come tale non sindacabile in questa sede. A tal riguardo deve inoltre condividersi quanto osservato dal Procuratore generale, che ha evidenziato come la "distanza" di oltre 50mila Euro fra quanto attribuito in risarcimento dell'imputato e quanto spettante alla parte offesa, esclude che diversi criteri di calcolo, per altro non proposti dal ricorrente in modo puntuale, o il ricorso alla attenuazione ai sensi dell'articolo 1227 c.c., possa ridurre di tale misura il risarcimento spettante, rendendo integrale quello pari a 35 mila Euro. 3. Ne consegue la inammissibilita' del ricorso. 4. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/10/2022 del GIUDICE DI PACE di CASTROVILLARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO; che ha concluso chiedendo; Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria depositata in atti e conclude per l'inammissibilita' dei ricorso. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 21.10.2022 il Giudice di Pace di Castrovillari ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui all'articolo 582 c.p. condannandolo alla pena di Euro 500 di multa. 2.Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1.Col primo motivo deduce vizi di motivazione, con annessi travisamento probatorio e mancata valutazione delle prove a discarico. Si lamenta la mancata valutazione di dati che si assumono rilevanti: innanzitutto il certificato ospedaliero attestante la lesione subita (ferite escoriate ed agitazione psicomotoria) anche dall'imputato che da' atto che egli ebbe a imputarla ad aggressione fisica incompatibile con la posizione passiva della persona offesa descritta dal giudice; il provvedimento di irrogazione di sanzione disciplinare emesso in relazione al fatto di causa nei confronti della persona offesa (OMISSIS), (la vicenda si e' verificata presso il plesso di istituto scolastico tra due dipendenti); il certificato del casellario giudiziale dell'imputato (che attesta la sua incensuratezza); la volonta' conciliativa dell'imputato e il rifiuto del querelante; i preesistenti e plurimi interessi economici del querelante; le investigazioni difensive sull'indennita' Inail; il tentativo di costituzione di parte civile per duplicare il risarcimento. Si lamenta altresi' il travisamento positivo della prova riguardo: alle informazioni rese dall'imputato in sede di esame; alle lesioni riportate nel certificato medico che non corrispondono alle azioni aggressive descritte dalla persona offesa ben piu' violente rispetto alle conseguenze riscontrate. 2.2.Col secondo motivo deduce vizi di motivazione in relazione alla ritenuta attendibilita' dei testi di accusa (il querelante e il teste (OMISSIS)), che neppure convergono con riferimento alla fase preliminare della discussione insorta tra le parti. 2.3.Col terzo motivo deduce la violazione di norme di legge, segnatamente dell'articolo 533 c.p.p. in relazione all'articolo 582 c.p., per essere stata affermata la responsabilita' dell'imputato a fronte di ragionevole dubbio, nonche' vizi di motivazione in ordine al mancato confronto tra l'accusa e l'alibi fornito dall'imputato circa la difesa che ha dovuto porre in essere, riscontrata da diversi accadimenti (in particolare dai graffi riscontrati sulla persona dell'imputato confermati anche dal teste di accusa). 2.4.Col quarto motivo deduce la violazione dell'articolo 530, comma 3, del codice di rito e dell'articolo 52 c.p., per il dubbio esistente sulla ricorrenza della legittima difesa, nonche' vizio di motivazione. 2.5.Col quinto motivo deduce la violazione dell'articolo 55 c.p. e vizi di motivazione. La reazione maggiore del ricorrente alla aggressione iniziale della persona offesa (consistita in aggressione e minacce) poteva essere quanto meno sussunta in una condotta eccedente il proposito difensivo dell'imputato. 2.6.Col sesto motivo deduce la violazione dell'articolo 62 c.p., n. 2, e vizi di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della provocazione. Le azioni del querelante sono di indubbia antigiuridicita' e si pongono causalmente come presupposto della reazione dell'imputato. 2.7. Col settimo motivo deduce la violazione dell'articolo 34 D.lgs. 274/2000 e carenza di motivazione per avere la sentenza impugnata omesso di considerare la ricorrenza della fattispecie della particolare tenuita' del fatto di cui alla disposizione indicata, invocata in considerazione delle punizioni disciplinari di entrambe le parti e delle conseguenze minimali delle reciproche condotte lesive. 2.8. Con l'ottavo motivo deduce la violazione dell'articolo 133 c.p.p. e dell'articolo 582 c.p. e vizi di motivazione lamentando l'eccessivita' della pena inflitta a fronte delle diverse circostante emerse, alcune indicative della scarsa offensivita' del fatto (occasionalita' della condotta), altre dell'atteggiamento avuto di contro dalla persona offesa. 3.Con la memoria pervenuta in atti il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, previa ulteriore esplicazione del primo motivo e del settimo motivo di ricorso. I travisamenti della prova dedotti col primo motivo hanno ad oggetto risultanze aventi tutte il requisito della decisivita', in quanto, valutate le informazioni non considerate (i travisamenti negativi) ovvero espunte le informazioni rilevanti utilizzate ma non risultanti dai mezzi di prova (i travisamenti positivi), le controprove sono idonee a sovvertire l'esito del iudizio. Con riferimento al settimo motivo di ricorso per cassazione si ribadisce che del fatto particolarmente tenue ricorrono manifestamente tutti i presupposti (danno reciprocamente procurato dal querelante e dall'imputato certamente esiguo; danno peraltro risarcito in sede INAIL al querelante, e relativo tentativo di ottenere una ripetizione ingiusta del pagamento del medesimo danno con la costituzione di parte civile ritenuta inammissibile; evento occasionale in quanto l'imputato non e' aduso a comportamenti simili, per come risulta dal casellario e dalla mite sanzione disciplinare irrogatagli; rapporti tra i due conflittuali solo in occasione dell'evento per cui e' processo). CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso e' inammissibile. Il ricorso - che concerne un episodio, di certo non trascurabile, di lesioni giudicate guaribili in sette giorni (piu' dieci), intervenuto all'interno di un istituto scolastico per il quale il giudice di pace ha irrogato, in modo assolutamente equilibrato, la sanzione di Euro 500 di multa, e' inammissibile sia perche' manca di confrontarsi adeguatamente con la sentenza impugnata, sia perche' deduce aspetti non decisivi. 1.1.II primo motivo che lamenta, da un lato, la mancata valutazione di dati, e, dall'altro il travisamento di altri e' inconferente ai fini che si prospettano, non essendosi esplicitata la pregnanza specifica dei rilievi mossi - che verra' solo in un certo qual modo indicata nei motivi successivi in cui si esplicitano i singoli vizi riscontati -; anche nella memoria, da ultimo pervenuta, parimenti non si svolge un effettiva verifica della tenuta della motivazione al netto dei travisamenti denunciati. Il motivo e' aspecifico nella sua impostazione, oltre che rispetto alla motivazione impugnata che si' fonda su determinati punti fermi delle risultanze istruttorie a fronte dei quali gli aspetti che si assumono trascurati o travisati non sono stati evidentemente ritenuti decisivi (cosi' per la certificazione medica dell'imputato frutto della presunta reazione difensiva della vittima; per la sanzione disciplinare irrogata anche della vittima; per l'incensuratezza dell'imputato; per la volonta' conciliativa dell'imputato e il rifiuto del querelante; per i preesistenti e plurimi interessi economici del querelante; per il tentativo di costituzione di parte civile per duplicare il risarcimento); trattasi all'evidenza di circostanze che non sono di per se' in grado di scalfire una decisione che si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate da deposizione testimoniale di soggetto terzo, non interessato, e da referto medico; laddove, peraltro, quanto al presunto rifiuto della vittima di conciliarsi con l'imputato, dai verbali di causa emerge unicamente che vi fu un rinvio del procedimento su richiesta della difesa per eventuale bonario componimento, a cui faceva seguito il tentativo di costituzione in giudizio della persona offesa che veniva pero' dichiarato inammissibile dal giudice per essere stata la persona offesa gia' risarcita dall'Inali; circostanze che in alcun modo sono di per se' idonee ad incrinare la ricostruzione della vicenda, ne' la stessa attendibilita' della persona offesa in mancanza di un collegamento diretto tra esse e le dichiarazioni dalla medesima rese; dichiarazioni che peraltro vertono su un fatto non contestato nella sua verificazione, ma piuttosto con riferimento a determinate circostanze che ne accompagnarono la realizzazione. Il giudice di merito ha invero fondato la credibilita' della persona offesa sui riscontri desunti, in particolare, dalle dichiarazioni di (OMISSIS), oltre che dal certificato medico in atti, sicche' i comportamenti assunti dalla persona offesa in sede processuale e le finalita' di tipo economico che avrebbe avuto di mira si risolvono in circostanze che in quanto non direttamente involgenti il fatto - il cui accertamento e' stato giustamente ritenuto graniticamente acclarato da plurimi e convergenti risultanze probatorie non rivenienti solo dalle dichiarazioni della persona offesa - si appalesano di contorno e non decisive ai fini prospettati. Anche l'assunta negazione del provvedimento disciplinare non pare assumere particolare rilievo in un contesto in cui un teste - si ribadisce - oculare ha affermato che la vittima e' stata aggredita proprio con le modalita' descritte dalla vittima stessa - calci e pugni - proseguiti anche quanto essa giaceva a terra. Il motivo, in ogni caso, attraverso i vizi dedotti tende piuttosto ad una rivalutazione probatoria non ammissibile nella presente sede di legittimita'. 1.2. Cosi' il secondo motivo che, nel lamentare il vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova per essersi ritenuti credibili i testimoni nonostante le loro contraddizioni e non l'imputato, mira in realta' anch'esso ad una rivalutazione del fatto, oltre che probatoria, facendo peraltro leva su aspetti che non sono stati evidentemente ritenuti determinati nella dinamica complessiva della ricostruzione che, come gia' spiegato rispondendo al primo motivo, si basa su emergenze probatorie specifiche e convergenti. Nel solco della giurisprudenza delle Sezioni Unite (cfr. ie motivazioni di Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe', Rv. 249651) deve, infatti, osservarsi che il motivo che pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito e' inammissibile perche' diretto ad ottenere dalla Corte di legittimita' un giudizio di fatto che e' estraneo ai suoi compiti. Le deduzioni articolate nel ricorso, non solo non rilevano alcuna necessaria âEuroËœmacroscopica evidenza', essendo, piuttosto, dirette a proporre una diversa interpretazione/valutazione/valorizzazione delle dichiarazioni rese dall'imputato, ma non offrono neppure un decisivo contributo chiarificatore, disarticolante rispetto alle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito - i quali hanno ben evidenziato come la condotta nel complesso tenuta dall'imputato sia stata, in buona sostanza, caratterizzata da una marcata volonta' di reagire violentemente alle dimostranze della persona offesa. 1.3. Quanto al terzo, al quarto e ai quinto motivo si osserva che non si puo' affermare che l'imputato abbia fornito un alibi idoneo ad escludere che, dinanzi alle parole della vittima, egli lo abbia aggredito, come ha riferito il teste, con pugni al volto e calci nel sedere. Se per alibi sembra doversi intendere la legittima difesa, correttamente il giudice ha escluso che l'imputato abbia reagito in modo proporzionato ad una presunta aggressione verbale, tenuto conto che egli continuo' a picchiare la vittima anche dopo che essa giaceva, inerme, a terra; ebbene, rispetto a tale ricostruzione il ricorso contrappone unicamente delle escoriazioni giudicate guaribili in giorni tre laddove quelle subite dalla persona offesa sono state valutate - secondo quanto si riporta nella stessa imputazione - in giorni sette piu' altri dieci. Sicche' in ogni caso rimane del tutto sproporzionata - secondo l'impostazione del giudice di merito - la reazione dell'imputato che avrebbe potuto - e dovuto - evitare il contatto fisico trasmodato invece in un'aggressione violenta. Premesso che, in ogni caso, l'ammettere o l'escludere l'esistenza della legittima difesa o dell'eccesso colposo costituisce un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimita', quando gli elementi di prova, accertati e valutati dal giudice di merito siano posti in esatta relazione con la norma di diritto (Sez. 5, n. 8583 del 10/04/1981 - dep. 06/10/1981, Luppino, Rv. 15034001), come nel caso di specie, di talche' non sussiste neppure il vizio denunciato sotto il profilo della violazione di legge, va da se' che, se non e' giuridicamente prospettabile l'esimente della legittima difesa, non e', concettualmente, ipotizzabile neppure l'eccesso colposo. Come e' ovvio, l'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicche', per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione "ex ante", e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'articolo 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 - dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poiche' il presupposto su cui si fondano sia l'esimente della legittima difesa che l'eccesso colposo e' costituito dall'esigenza di rimuovere il pericolo di un'aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, l'eccesso colposo si distingue per un'erronea valutazione del pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v'e' spazio ovviamente - per l'inesistenza di una offesa dalla quale difendersi - per la configurazione di un eccesso colposo, sicche' non vi e' neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l'eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata (Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 - dep. 21/01/2009, Olari e altri, Rv. 24234; Sez. 1, n. 740 del 04/12/1997 - dep. 21/01/1998, Mendicino ed altro, Rv. 20945201). 1.4. Quanto al sesto motivo che lamenta il mancato riconoscimento della attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n, 2, a fronte della frase che sarebbe stata pronunciata dalla persona offesa - "se ci fossimo trovati fuori ti avrei fatto una faccia cosi'" - non considera che la circostanza attenuante della provocazione, sebbene non richieda i requisiti di adeguatezza e proporzionalita', non e' configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d'ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira (Sez. 5, n. 8945 del 19/01/2022 Rv. 282823 - 01). 1.7. Il settimo motivo che lamenta l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, per non essersi esclusa la punibilita' del fatto e' manifestamente infondato. Ed invero, in tema di procedimento davanti al giudice di pace, la causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto non puo' essere dichiarata d'ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa -- mancante nel caso di specie - richiedendosi ai fini del "decisum" di improcedibilita' la mancata opposizione dell'imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa; ne deriva che la doglianza relativa all'improcedibilita' per particolare tenuita' del fatto non e' proponibile per la prima volta in sede di legittimita' (cfr. tra tante, Sez. 1, n. 49171 dei 28/09/2016, Rv. 268458 - 01). In ogni caso la motivazione - che nel descrivere la vicenda complessiva evidenzia come essa si sia svolta presso un istituto scolastico e come la condotta dell'imputato foriera di lesione con svariati giorni di guarigione sia stata contrassegnata da pugni e calci proseguiti anche quando la persona offesa giaceva oramai a terra - non lascia spazio alla fattispecie della particolare tenuita' del fatto. 1.8. L'ultimo ed ottavo motivo sul trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato, avendo il giudice ritenuto equa la pena base di Euro 750,00 di multa, prossima alla pena minima edittale - ridotta per le attenuanti generiche ad Euro 500; laddove gli elementi di cui fa cenno il ricorso - di la' della loro pregnanza - non sono stati evidentemente ritenuti decisivi ai fini di una quantificazione della pena in termini ancora piu' ridotti rispetto a quella irrogata. E' al riguardo solo il caso di rammentare che nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'articolo 125 c.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come " pena congrua", " pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravita' del reato o alla personalita' del reo (cfr. tra tante, Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Rv. 237402 - 01). 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - rel. Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/12/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIORGIO POSCIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CASELLA GIUSEPPINA; Il PG conclude per l'inammissibilita' del ricorso per (OMISSIS) ed il rigetto dei ricorsi per (OMISSIS) e (OMISSIS); uditi i difensori: L'avv. (OMISSIS), conclude insistendo per l'accoglimento del ricorso; L'avv. (OMISSIS), conclude riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino decidendo sugli appelli proposti avverso quella emessa dal Tribunale di Novara in data 25 ottobre 2016 ha, per quanto di interesse in questa sede, tra l'altro: i) confermato il giudizio di penale responsabilita' di (OMISSIS) in ordine ai reati ascrittigli ai capi D), per il quale il primo giudice aveva riqualificato il fatto nella violazione degli articoli 56 e 319-quater c.p., G) e G1), relativi ai reati di falso ideologico e di favoreggiamento della immigrazione clandestina, ed ha rideterminato nei suoi confronti la pena in complessivi anni sette e mesi tre di reclusione ed Euro 78.000, di multa; ii) ha confermato il giudizio di penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) rispetto al reato loro ascritto al capo G1), confermando, per il primo, la pena di anni due, mesi otto e giorni venti di reclusione ed Euro 52.000, 00 di multa e, per la seconda,la pena di anni tre di reclusione ed Euro 54.000,00 di multa. 1.1. Le imputazioni, rispetto alle quali la Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilita' per i tre soggetti sopra indicati, erano relative ai seguenti fatti: capo D): reato di cui agli articoli 110, 56, 319-quater (come riqualificato dal Tribunale di Novara), 99 c.p., perche' l' (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) (per il quale e' stata dichiarata l'intervenuta prescrizione da parte della Corte di appello) - dopo che (OMISSIS) aveva ottenuto il trasferimento dell'immobile di cui al capo C) - (OMISSIS), con abuso della sua qualita' di sindaco del Comune di (OMISSIS), chiedendo a (OMISSIS) di cedere alla societa' (OMISSIS) s.c. a r.l. (amministrata di fatto da (OMISSIS) e (OMISSIS)) la sua quota delle parti comuni tra il suo immobile e quello confinante di proprieta' di detta societa', di chiudere una finestra prospiciente sull'immobile confinante, di cedere alla societa' una limitata porzione di terreno e di versare all' (OMISSIS) la somma di Euro 30.000,00, accompagnando tale richiesta dalla prospettiva di bloccare le denunce di abuso edilizio che (OMISSIS) stava per depositare presso il Comune di (OMISSIS), relative alle opere edili in corso di realizzazione sull'immobile di cui al capo B); nonche' (OMISSIS) ed il tecnico comunale geom. (OMISSIS) con abuso dei loro poteri, sospendendo illegittimannente, d'accordo tra loro, il permesso di costruire gia' rilasciato e cio' la sera stessa in cui (OMISSIS) aveva rigettato le richieste del Sindaco, compivano atti idonei a costringere quest'ultimo alla dazione di Euro 30.000,00 e delle altre utilita' richieste. Evento non verificatosi per l'opposizione di (OMISSIS); (OMISSIS) essendo il mandante della condotta tenuta da (OMISSIS). Con la recidiva reiterata per (OMISSIS). In (OMISSIS), dal (OMISSIS) al (OMISSIS); capo G): reato di cui agli articoli 81 cpv, 110, 112, commi 1 e 2, 48, 479, 99 c.p. perche' l' (OMISSIS) (assieme ad altri soggetti tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) ed (E ALTRI OMISSIS) capo G1): reato di cui agli articoli 110, 99 c.p. Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3 e comma 3- bis, lettera a) e c-bis), perche' (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (assieme agli indagati indicati al capo G), in concorso tra loro, al fine di trarre illecito profitto dalla condizione di illegalita' degli stranieri fornendo, dietro compenso in denaro, pari ad almeno Euro 3.000,00, ai cittadini extracomunitari di cui al capo G), documenti attestanti l'assunzione presso la (OMISSIS) s.c. a r.l. ed altra documentazione volta a comprovare l'esistenza di un rapporto di lavoro e di un alloggio effettivi, che veniva utilizzata dai suddetti per ottenere il rilascio del nulla osta al lavoro subordinato presso tale impresa, documentazione ideologicamente falsa, compivano atti diretti a procurare l'ingresso degli extracomunitari di cui al capo precedente nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, trattandosi di atti prodotti o da produrre alle Ambasciate Italiane all'estero, per il rilascio del visto di ingresso per il lavoro subordinato; (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) agendo, previo accordo tra loro, formando materialmente l'istanza ed inviandola al S.U.I., ricevendo il soldi da (OMISSIS) e (OMISSIS); questi ultimi operando quali intermediari tra i quattro coindagati e gli extracomunitari intenzionati ad entrare in Italia. Con le aggravanti del riguardare il fatto., l'ingresso di cinque persone e dell'avere commesso il fatto in sei persona in concorso tra loro. Con la recidiva reiterata per (OMISSIS), quella quinquennale per (OMISSIS); in (OMISSIS) fino alla fine di (OMISSIS). 1.2. In particolare, la Corte di appello nel respingere, rispetto al capo D), il gravame dell' (OMISSIS) ha osservato che la condotta di tentata indebita induzione a fare dare o promettere da parte del (OMISSIS) denaro - avvenuto dopo che quest'ultimo si era aggiudicato ad un'asta giudiziaria un lotto del complesso (OMISSIS) sito nel Comune di (OMISSIS), circostanza sgradita all' (OMISSIS) che intendeva rientrare in possesso dell'intero immobile sottoposto a procedura esecutiva - era risultata acclarata dagli elementi di prova evidenziati nella sentenza di primo grado, tra cui il rapporto intercorrente tra l'imputato e (OMISSIS) (Sindaco di (OMISSIS)) che agiva nell'interesse del primo nell'ambito delle istituzioni locali, il contenuto della conversazione tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) presso il cantiere dell'immobile oggetto dell'aggiudicazione e le varie illegittime richieste (indicate nel capo di imputazione) avanzate all'aggiudicatario. La Corte territoriale ha pure escluso la configurabilita' del reato di cui all'articolo 322 c.p., comma 4, non essendosi trattato di una semplice sollecitazione, ma piuttosto della prospettazione da parte del (OMISSIS) di una denuncia per violazioni urbanistiche (per evitare la quale il (OMISSIS) avrebbe dovuto pagare una somma di denaro, cedere dei beni e chiudere una finestra), con l'indebito esercizio di una pressione da parte del pubblico ufficiale rispetto al cittadino costituente abuso della qualita' pubblica. 1.3. Quanto poi al reato sub G) - rispetto al quale il Tribunale aveva dichiarato la prescrizione per il (OMISSIS) e la (OMISSIS) - e quello sub G1), la Corte distrettuale ha ritenuto i fatti non contestabili in forza di quanto emerso dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), esaminato nella udienza del 17 novembre 2015 tenutasi avanti il primo giudice, e dalle conversazioni telefoniche intercettate a conferma della inesistenza dei rapporti di lavoro per i quali erano state presentate le richieste di assunzione dagli imputati in cambio di denaro ed al solo fine di fare ottenere il permesso di soggiorno ai cittadini extracomunitari sopra indicati. 2. Avverso la predetta sentenza (OMISSIS), per mezzo dell'avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. Egli denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui al capo G1) della rubrica, stante la sua inconsapevolezza della natura fittizia delle assunzioni dei lavoratori extra comunitari da parte della societa' da lui solo formalmente amministrata, ma in realta' gestita dall' (OMISSIS) e dalla (OMISSIS). 3. Anche (OMISSIS) e (OMISSIS), per mezzo dell'avv. (OMISSIS), propongono ricorsi per cassazione che affidano a quattro motivi. 3.1. Con il primo sollevano - con riferimento al capo G1) - questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3-bis, lettera a) e c-bis, ed osservano che le relative condotte non giustificano una cornice edittale drasticamente piu' severa rispetto a quella prevista per la fattispecie base, analogamente alle altre condotte previste dalla lettera c-bis del comma 3-bis (attuale lettera d), rispetto alle quali vi e' stato l'intervento ablativo della Corte costituzionale con la sentenza n. 63/2022. 3.2. Con il secondo motivo denunciano, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla erronea applicazione degli articoli 48 e 479 c.p. e del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12; in particolare, deducono che la Corte territoriale avrebbe confermato il giudizio di responsabilita' nonostante l'assenza di elementi incontrovertibili circa la sussistenza dei reati sub G) e G1) e senza motivare in modo adeguato. 3.3. Con il terzo motivo l' (OMISSIS) deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 110, 322, comma 4, e 319-quater c.p.; egli, in sostanza, lamenta la mancata risposta alle doglianze contenute con l'appello rispetto alla insussistenza del suo concorso nel reato commesso dal (OMISSIS) e rispetto alla qualificazione del fatto come violazione dell'articolo 322 c.p., comma 4. 3.4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio loro inflitto dal Tribunale, confermato dalla Corte territoriale senza alcuna argomentazione sul punto. 3.5. Nell'interesse dell' (OMISSIS) e della (OMISSIS) sono stati depositati motivi nuovi dall'avv. (OMISSIS), con i quali sono state ulteriormente argomentate e sviluppate le censure contenute nei loro ricorsi. 4. Infine, nel corso della discussione, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. 2. Anzitutto, poiche' nel caso in esame si e' in presenza di una âEuroËœdoppia conforme', va ricordato il condivisibile principio in base al quale il travisamento della prova, per assumere rilievo nella sede di legittimita', deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui e' pervenuto il giudice di merito. Invero, il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione in ipotesi di doppia conforme sia nel caso in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia in quello in cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (Cass. Sez. V, 13/02/2017, Cadore, Rv. 269906), mentre in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti (Cass., Sez. II, 09/01/2018, L. e altro, Rv.272018). 3. Cio' posto, con riferimento al ricorso proposto da (OMISSIS), si rileva che la Corte distrettuale ha ritenuto provato, con motivazione adeguata e non contraddittoria, che i fatti di cui al capo di imputazione G1) rientrano nella fattispecie incriminatrice, considerato che era stato lui a sottoscrivere le richieste di assunzione nella sua qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) s.c. a r.l., uno dei contratti di assunzione, e che l'alloggio dei lavoratori era stato indicato presso la sede sociale, ma che, in realta', tali contratti erano falsi e diretti ad ottenere, in modo illegale, il permesso di soggiorno per i cittadini extracomunitari indicati nel capo di imputazione. 3.1. Deve, quindi, ribadirsi che le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione e' tesa - in tutta evidenza - ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione e' preclusa in sede di legittimita'. E' costante, infatti, l'insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell'atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimita' "nuove" attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e cio' anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv 252178). Cosi' come va ribadito che l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24.11.1999 rv 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074). Al contrario, la Corte territoriale ha evidenziato che la societa' (OMISSIS) era una societa'-schermo - costituita da (OMISSIS) al solo scopo di partecipare alle procedure di vendita del complesso (OMISSIS), di sua proprieta', che era stato pignorato e messo all'asta - amministrata dal (OMISSIS) e poi dal (OMISSIS), che erano soltanto dei prestanomi; inoltre, per nessuno dei soggetti assunti era stata aperta una posizione previdenziale e le perquisizioni effettuate presso la sede sociale avevano evidenziato l'assenza di ogni strumentazione per lo svolgimento dell'attivita' aziendale e nessuna traccia dei lavoratori che avrebbero dovuto risiedere presso la medesima sede. 3.2.Inoltre, la Corte di appello ha coerentemente osservato che la circostanza che negli anni dal (OMISSIS) risultassero dipendenti della societa' presso la banca dati INAIL, cosi' come che vi fossero fatture emesse dal (OMISSIS), non consentiva di giungere ad una diversa conclusione, in assenza di elementi a conferma della veridicita' della richieste di assunzione e dei contratti di lavoro oggetto di imputazione; analogamente, e' stato escluso - in modo non manifestamente illogico - che la denuncia di furto e la concessione in locazione dell'immobile (ove era la sede sociale ad un terzo, potessero costituire prova dell'effettiva presenza dei lavoratori extracomunitari, dimostrando al contrario che l'immobile era nella disposizione di un soggetto distinto rispetto ai lavoratori formalmente assunti. Orbene, a fronte di tali dati - del tutto inequivoci - la tesi difensiva circa la mancanza di prove sulla partecipazione dell'imputato ai fatti appare irragionevole e non assume alcuna forza logica antagonista. Il dubbio, infatti, per determinare l'ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, e' solo quello "ragionevole" e cioe' quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. I n. 3282 del 2012 emessa il 17.11.2011, nonche', in termini generali, Sez. I n. 31546 del 21.5.2008, Rv. 240763). In sostanza il (OMISSIS), oltre a non confrontarsi in modo specifico con il ragionamento svolto dalla Corte di appello, pretende di mettere in dubbio tale ricostruzione con una prospettazione alternativa che appare, piu' che altro, esplorativa e congetturale, sostenendo in modo apodittico che egli non era a conoscenza della natura fittizia delle richieste di assunzione, nonostante fosse il legale rappresentante della societa' e le avesse sottoscritte unitamente ad uno dei contratti di lavoro. 4. Con riferimento ai ricorsi proposti dall' (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) essi risultano solo parzialmente fondati per le ragioni di seguito indicate. 4.1. Anzitutto, e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti. Incidentalmente, ma con argomentazioni qui pienamente condivise, sul punto si e' soffermata la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della stessa norma censurata nella parte in cui prevede l'aggravamento della pena per chi abbia utilizzato servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. In particolare, la Corte ha rilevato come le ipotesi aggravate di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, "si ricollegano chiaramente, nella prospettiva del legislatore, alla dimensione plurioffensiva delle ipotesi ivi contemplate, il cui orizzonte di tutela trascende di gran lunga quello dell'ordinata gestione dei flussi migratori" e che ha ad oggetto anche le stesse persone trasportate che versano in stato di bisogno. In particolare, in tal senso vanno lette le previsioni dell'articolo 12 cit., comma 3, lettera b) e c), e le aggravanti, ivi previste, dall'essere stata la persona trasportata esposta rispettivamente a un pericolo per la propria vita o incolumita', e a trattamenti inumani o degradanti. Il medesimo riferimento e' stato compiuto all'aggravante di cui al comma 3- bis, lettera a), avente ad oggetto il fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione ovvero allo sfruttamento sessuale o lavorativo. La Corte ha altresi' evidenziato come "una dimensione plurioffensiva, seppure in diversa direzione, e' caratteristica anche di altre ipotesi aggravate previste dall'articolo 12 t.u. immigrazione. Le fattispecie aggravate di cui al comma 3, lettera a) (fatto riguardante l'ingresso o la permanenza illegale di cinque o piu' persone), lettera e) (disponibilita' di armi o materie esplodenti da parte degli autori del fatto), nonche' lettera d) all'inciso iniziale (fatto commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro) appaiono tutte evocare, secondo le verosimili intenzioni del legislatore, scenari di coinvolgimento di organizzazioni criminali attive nel traffico internazionale di migranti: ipotesi rispetto alle quali la decisione quadro 2002/946/GAI richiede, ancora, allo Stato membro di adottare pene privative della liberta' non inferiori, nel massimo, a otto anni (supra, punto 3.7.2.)". -0, Si tratta del passaggio argomentativo che precede la soluzione della questione di legittimita' dell'aggravante prevista per avere usato servizi internazionali di trasporto o documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. Con riferimento alla prima delle aggravanti e' stata esclusa qualsiasi ratio giustificatrice, mentre con riferimento alla seconda e' stata negata l'esistenza di una ratio riferita all'entita' particolarmente elevata dell'aumento di pena. In particolare, e' stata esclusa la possibilita' di individuare la giustificazione dell'incremento della sanzione nei collegamenti con organizzazioni internazionali (che, invece, giustificano il maggior rigore sanzionatorio sulla base delle fonti normative sovranazionali). E' stato segnalato come "il Protocollo di Palermo ha unicamente di mira il fenomeno del traffico internazionale di migranti, gestito per lo piu' da grandi organizzazioni criminali che ricavano ingenti profitti da tale attivita'; mentre il "Facilitators Package" dell'Unione Europea mira si' a colpire entrambi i fenomeni (rispetto all'obiettivo del controllo dei flussi migratori all'interno, in particolare, dell'area Schengen), ma calibra i propri obblighi di incriminazione e di punizione in maniera distinta per le due tipologie di condotte, riservando l'obbligo di adottare severe sanzioni privative della liberta' soltanto a quelle riconducibili al traffico internazionale di migranti". A fondamento della decisione, quindi, e' stata posta l'impossibilita' di collocare le aggravanti per le quali e' stata resa la pronuncia di dichiarazione di incostituzionalita' nel contesto del traffico internazionale di migranti. Deve, quindi, al contrario, affermarsi la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della previsione della circostanza aggravante che, al contrario, trova la propria ragione nel coinvolgimento di organizzazioni criminali, quale, appunto, quella dell'essere stato commesso il fatto da tre o piu' persone o avere riguardato l'ingresso illegale di cinque o piu' persone. 4.2. Quanto poi alle censure contenute nel secondo motivo dei ricorsi e relative alla responsabilita' per i reati di cui ai capi G) e G1) - rispetto ai quali la (OMISSIS) risponde solo del secondo, essendo stata dichiarata nei suoi confronti la prescrizione per il primo - esse sono inammissibili. Al riguardo deve richiamarsi quanto sopra indicato al paragrafo n. 3 rispetto alla ipotesi di c.d. doppia conforme ed alle relative conseguente in tema di travisamento della prova. Inoltre, i ricorrenti sollecitano questa Corte a realizzare, pur a fronte di motivazione specifica e non illogica contenuta nelle decisioni di merito, una non consentita rivalutazione della incidenza dei dati dimostrativi. 4.3. La Corte di appello ha infatti evidenziato, che l'ammissione dello stesso (OMISSIS) di avere ricevuto denaro per le richieste di assunzioni (sia pure a titolo di rimborso spese), le captazioni telefoniche e le dichiarazioni rese in dibattimento (udienza del 17 novembre 2015) da (OMISSIS), il quale aveva confermato di avere intrattenuto rapporti con entrambi gli imputati per le assunzioni e che l' (OMISSIS) aveva preteso 4.000,00 Euro per ogni pratica, hanno consentito di apprezzare in modo univoco la piena consapevolezza, da parte di entrambi i ricorrenti, della illiceita' delle domande di assunzione, realizzate al solo scopo di consentire - sulla base di falsita' ideologica - il rilascio del visto temporaneo di ingresso, con marcata e comune finalita' di profitto e la violazione della normativa in materia di immigrazione. Inoltre, come gia' osservato con riferimento al ricorso del (OMISSIS), la Corte territoriale ha osservato che la societa' (OMISSIS) era una societa'-schermo - costituita da (OMISSIS) al solo scopo di partecipare alle procedure di vendita del complesso (OMISSIS), di sua proprieta', che era stato pignorato e messo all'asta - amministrata dal (OMISSIS) e poi dal (OMISSIS) che erano soltanto dei prestanomi; a cio' deve aggiungersi che per nessuno dei soggetti assunti era stata aperta una posizione previdenziale e che, come gia' visto, le perquisizioni effettuate presso la sede sociale avevano evidenziato l'assenza di ogni strumentazione per lo svolgimento dell'attivita' aziendale e nessuna traccia dei lavoratori formalmente assunti. 4.4. La Corte distrettuale ha poi coerentemente osservato che la circostanza che negli anni dal (OMISSIS) risultassero dipendenti della societa', presso la banca dati INAIL, cosi' come vi fossero fatture emesse dal (OMISSIS), non consentiva di giungere ad una diversa conclusione, in assenza di elementi a conferma della veridicita' delle richieste di assunzione e dei contratti di lavoro oggetto di imputazione. 4.5. Tali elementi, complessivamente valutati, sono stati quindi ritenuti, in modo non illogico, indicativi di tale piena consapevolezza e, trattandosi in parte di contenuti di captazioni, non risulta possibile realizzare nella presente sede una lettura diversa e alternativa. Per costante orientamento interpretativo (di recente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26.2.2015, Rv 263715) e' infatti possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice del merito solo in presenza del travisamento della prova (indicazione del contenuto in modo difforme da quello reale) o in presenza di una manifesta illogicita' e irragionevolezza della motivazione espressa sul punto (tra le molte Sez. gi n. 35181 del 22.5.2013 Rv 257784; Sez. VI, n. 11189 del 8.3.2012, Rv 252190). 4.6. Analogo ragionamento vale per il terzo motivo dei ricorsi relativo al reato di cui capo D) e quindi riguardante soltanto l' (OMISSIS). Invero, anche con tale motivo il ricorrente - sebbene si verta in tema di doppia conforme con le relative conseguente in tema di travisamento della prova- chiede sostanzialmente a questa Corte realizzare, pur a fronte della motivazione congrua e non illogica contenuta nella decisione impugnata, una inammissibile nuova valutazione degli elementi di merito. Infatti, la Corte di appello - con ragionamento adeguato e non contraddittorio - ha convenuto con la diversa qualificazione del fatto operata dal Tribunale che aveva ritenuto configurabile nella fattispecie l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 319-quater c.p. ed ha considerato dimostrata la condotta sulla base del copioso materiale probatorio; in particolare, ha evidenziato che l' (OMISSIS) (il quale con l'appello aveva sostenuto di avere istigato il sindaco (OMISSIS) soltanto a sollecitare il (OMISSIS) a dare una somma) non si era limitato a chiedere del denaro, ma aveva prospettato una denuncia per illecito urbanistico ed aveva chiesto anche la cessione di una quota del bene posto al confine, nonche' la chiusura di una finestra. Pertanto, in modo coerente, e' stata esclusa la configurabilita' dell'ipotesi di cui all'articolo 322 c.p., comma 4 non essendosi trattato di una semplice sollecitazione, ma bensi' di una pressione esercitata da un pubblico ufficiale con la prospettazione della denuncia per reato edilizio. Appare, quindi, legittima l'esclusione dell'ipotesi di cui all'articolo 322 c.p., comma 4 operata dalla Corte di appello, considerato che la condotta di sollecitazione di cui al reato di istigazione alla corruzione, si distingue sia da quella di costrizione, cui fa riferimento il novellato l'articolo 317 c.p., che da quella di induzione, caratterizzante la nuova ipotesi delittuosa di cui all'articolo 319-quater c.p., in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente al privato senza esercitare pressioni, risolvendosi nella prospettazione di un mero scambio di "favori", connotato dall'assenza di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta che, invece, e' avvenuta nel caso in esame con la prospettazione della denuncia per abuso edilizio (Sezione 6, Sentenza n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020 Rv. 279555 - 12). 4.7. Risulta, invece, fondato l'ultimo motivo' dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) poiche', a fronte di specifici motivi di gravame riguardanti la richiesta di riduzione della pena, di esclusione della recidiva e di rivisitazione degli aumenti di pena per la continuazione (dei quali viene dato espressamente atto a pag.12 della sentenza di appello), la Corte territoriale ha totalmente omesso di esaminare tali aspetti incorrendo, in tal modo, nel lamentato vizio di motivazione. 5. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio per (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio per nuovo esame a diversa sezione della Corte di appello di Torino; i ricorsi dei predetti ricorrenti vanno respinti per il resto. Il ricorso di (OMISSIS), infine, deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento, in forza del disposto dell'articolo 616 c.p.p., delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) nel resto.

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