Sentenze recenti indennità di accompagnamento

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 688 del 2023, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali genitori responsabili di -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Ac. Or. ed Em. Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ni., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della nota del Direttore del Distretto Sanitario Tirreno dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza del -OMISSIS-, prot. gen. n. -OMISSIS-, con la quale è stato comunicato che "nell'ASP di Cosenza opera il Centro Polifunzionale Anmi SISS, accreditato con il Sistema Sanitario Regionale, che si avvale di un servizio residenziale (ricovero) e semiresidenziale per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico, al quale gli utenti possono rivolgersi"; - di ogni altro atto presupposto, attuativo e integrativo connesso o consequenziale alla suindicata nota; per la conseguente condanna dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza a: a) riconoscere il diritto del minore -OMISSIS- a ricevere, sino al compimento della maggiore età, l'erogazione diretta (presso una struttura sanitaria ubicata ad una distanza non superiore a km (omissis) dalla residenza del minore) o indiretta del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia ABA, per almeno trentasei (36) ore a settimana, o, comunque, per la diversa durata ritenuta necessaria per garantire il diritto alla salute del minore in relazione alle problematiche (disturbi dello spettro autistico) da cui è affetto; b) farsi carico dell'erogazione, diretta o indiretta, in favore del minore -OMISSIS- del trattamento in questione; c) rimborsare tutte le spese sinora sostenute da -OMISSIS- e -OMISSIS- per garantire al minore il trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia ABA ammontanti, a oggi, ad Euro 5.241,00, e di tutte le future spese che i coniugi dovranno sostenere per continuare la predetta terapia. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 il dott. Francesco Tallaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il minore -OMISSIS- soffre di "disturbo dello spettro dell'autismo associato a disabilità intellettiva lieve, disturbo del linguaggio, disturbo della coordinazione motoria", così come diagnosticato dalla Fondazione St. Ma. Me. Onlus - Presidio Ospedaliero Ma. delle Gr. di Ma.. Gli è stata riconosciuta la condizione di portatore di handicap grave e gli viene erogata l'indennità di accompagnamento. 2. - A partire dall'anno 2020, il minore ha intrapreso, con benefici significativi, un percorso di trattamento con il c.d. metodo ABA presso la struttura gestita dall'Associazione Da. Lu. Società Cooperativa a r.l. Gli elevati costi del trattamento non hanno consentito alla famiglia di acquistare prestazioni per più di tre ore a settimana, benché il personale specializzato abbiano suggerito un numero di almeno 25 o addirittura 36 ore di intervento. 3. - Con nota del 2 febbraio 2023, dunque, i genitori del minore, -OMISSIS- e -OMISSIS-, per il ministero dei loro difensori, hanno dunque invitato all'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza: "1. a riconoscere e garantire il diritto del minore (...) a ricevere sino al compimento della maggiore età, l'erogazione diretta (presso una struttura sanitaria ubicata ad una distanza non superiore a Km (omissis) dalla residenza del minore, posto che la grave forma di autismo da cui la bimba è affetta, risulta, di fatto, del tutto incompatibile con trasferimenti quasi quotidiani di altra portata e assolutamente controproducente per la sua salute) o indiretta del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia ABA, per almeno 36 ore a settimana; 2. a farsi carico dell'erogazione, diretta (nei termini indicati al punto che precede) o indiretta, in favore del minore (...) del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia ABA, per almeno 36 ore a settimana, sino al compimento della maggiore età ; 3. a rimborsare tutte le spese sinora sostenute (...) per garantire al minore (...) il trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia ABA ammontanti, a oggi, ad Euro 5.241,00, e di tutte le future spese che i coniugi dovranno sostenere per continuare la predetta terapia". 4. - Il Direttore del Distretto Sanitario Tirreno dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza ha dato risposta con la nota del -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-, con cui ha informato che "le prestazioni di riabilitazione sanitaria (per il recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali) sono erogate dall'ASP attraverso i propri servizi. L'accesso alle strutture di riabilitazione avviene attraverso il Pua e la valutazione dell'UVM. Quando non è possibile fornite direttamente tali servizi l'Azienda vi provvede attraverso contratti con strutture private autorizzate ed accreditate dalle regioni. Si precisa, inoltre, che nel rispetto della libera scelta del luogo di cura nell'ambito delle strutture pubbliche e private con sede su tutto il territorio nazionale, dette strutture devono essere necessariamente autorizzate ed accreditate con il Sistema Sanitario Nazionale. Si comunica che nell'ASP di Cosenza opera il Centro Polifunzionale Anmi Siss, accreditato con il sistema sanitario Regionale, che si avvale di un servizio residenziale (ricovero) e semi-residenziale, per il trattamento dei disturbi dello Spettro Autistico, al quale gli utenti possono rivolgersi". 5. - -OMISSIS- e -OMISSIS- si sono quindi rivolti a questo Tribunale Amministrativo Regionale, impugnando la nota e chiedendo la condanna dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza alla somministrazione in favore del minore, in maniera diretta o indiretta, del trattamento con terapia ABA, nonché alla rifusione, in favore dei genitori responsabili, delle spese sopportate sino ad ora. Essi fondano la loro pretesa sull'art. 32 Cost., sull'art. 1 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, sull'art. 7, comma 1, lett. b) d.lgs. 18 giugno 1999, n. 229, sugli artt. 2 e 3, l. 18 agosto 2015, n. 134. 6. - L'amministrazione intimata si è costituita, resistendo all'avversa pretesa che è stata descritta come generica e non fondata su serie indicazioni terapeutiche. 7. - Il ricorso è stato trattato all'udienza pubblica del 25 settembre 2024. 8. - Pregiudizialmente, va osservato che, alla luce dell'orientamento più recente della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. Un., 20 gennaio 2022, n. 1781), la giurisdizione relativa alla richiesta di una specifica prestazione sanitaria a carico del Servizio Sanitario Nazionale o Regionale appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici di cui all'art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a., là dove è richiesta l'intermediazione di un provvedimento amministrativo, da rinvenirsi anche nell'omissione provvedimentale dell'amministrazione sulla specifica richiesta di erogazione da parte dell'interessato. 9. - Quanto al fondo del ricorso, la giurisprudenza (anche quella di questo Tribunale: cfr. TAR Calabria - Catanzaro, Sez. II, 18 marzo 2024, n. 424) ha riconosciuto che il metodo ABA rientra certamente tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) a norma dell'articolo 60 del d.P.C.M. 12 gennaio 2017 e delle conseguenti Linee di indirizzo dell'Istituto superiore di sanità, da ultimo approvate in Conferenza unificata in data 10 maggio 2018, in attuazione della legge 18 agosto 2015, n. 134. Deve essere perciò garantito l'effettivo trattamento, dovendosi ritenere che tali prestazioni, anche attraverso l'erogazione indiretta e, dunque, strumentale, debbano concorrere a realizzare quella "prestazione di risultato" rappresentata dal visto riconoscimento del trattamento ABA nei LEA. (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 ottobre 2023, n. 8708). 10. - Questo Tribunale ha inoltre affermato che, in tema di assistenza sanitaria, le prestazioni necessarie ed urgenti, anche se effettuate in strutture non convenzionate e senza la previa autorizzazione della ASL, sono a carico del servizio sanitario in quanto, dovendo essere salvaguardata la salute in maniera effettiva, il relativo onere non può essere fatto gravare sul paziente, che ha, quindi, direttamente diritto al rimborso della spesa sostenuta (Cass. Civ., Sez. III, 12 luglio 2023, n. 1993). Tale principio è stato senz'altro applicato con riferimento all'erogazione di assistenza con il metodo ABA. 11. - Nondimeno, non spetta al paziente (o a chi ne ha la responsabilità ), né all'Autorità giurisdizionale individuare e prescrivere le terapie necessarie. È piuttosto obbligo della competente Azienda Sanitaria Provinciale, previa necessaria attività diagnostica, determinare quali siano gli interventi terapeutici necessari per il paziente, prescrivendo e poi aggiornando il trattamento riabilitativo individuale per disturbo dello spettro autistico, in relazione alle attuali condizioni del paziente e sulla base Linee Guida elaborate dall'Istituto Superiore di Sanità . 12. - In altri termini, come già notato (cfr. TAR Calabria - Catanzaro, Sez. II, ord. 12 luglio 2024, n. 408), l'accesso ai percorsi di assistenza garantiti dai LEA, con onere a carico del sistema sanitario, non è oggetto di un diritto soggettivo perfetto, ma presuppone una verifica che rientra nella discrezionalità tecnica dell'amministrazione circa la scelta della metodologia più adeguata e la consistenza delle prestazioni per singolo paziente. Ovviamente, il piano terapeutico predisposto potrà, comunque, essere sottoposto al sindacato giurisdizionale attraverso autonoma impugnativa, così come potrà essere contrastata ai sensi dell'art. 117 c.p.a. l'eventuale inerzia dell'amministrazione. Tuttavia, l'effettiva erogabilità della prestazione, pur astrattamente prevista nei LEA, a carico del sistema sanitario, è sempre subordinata ad una valutazione tecnico-discrezionale in ordine alle condizioni clinico-diagnostiche dell'eventuale beneficiario, che spetta all'amministrazione sanitaria, anche sulla base della certificazione eventualmente allegata dai ricorrenti. 13. - Nel caso di specie, non è stato allegato, né tampoco dimostrato che gli odierni ricorrenti si siano rivolti alle competenti strutture dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza per ottenere le necessarie terapie per il figlio minore. Addirittura, nemmeno è documentata una prescrizione medica relativa al trattamento con la c.d. metodologia ABA. D'altra parte, la nota dell'Azienda oggetto di impugnativa non nega al minore la somministrazione del trattamento con metodo ABA, né le impone di essere preso in carico presso una struttura difficilmente raggiungibile. Solo, essa fornisce le indicazioni sulle modalità di presa in carico dell'assistito, e cioè "l'accesso alle strutture di riabilitazione avviene attraverso il Pua (Punto Unico di Accesso, NDR) e la valutazione dell'UVM (Unità di Valutazione Multidiscipilnare)". 14. - Tali essendo i termini fattuali della controversia, il ricorso non può trovare accoglimento. I ricorrenti, al fine di soddisfare l'interesse fondamentale del loro figlio minore ad ottenere la terapia più adeguata alla sua condizione personale, dovranno quindi rivolgersi secondo le modalità indicate all'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza. 15. - D'altra parte, anche sul piano processuale, non essendovi mai stata una valutazione delle cure necessarie da parte delle competenti Autorità mediche, e non essendovi dunque mai stato esercizio dei poteri amministrativi, sia pure di discrezionalità tecnica, a questo Tribunale è precluso di sostituirsi all'amministrazione (art. 34, comma 2 c.p.a.). 16. - Anche la domanda di "rimborso" delle spese sopportate deve essere rigettata, non essendovi, allo stato, una condotta illecita dell'amministrazione, alla quale non risulta che le parti ricorrente si siano adeguatamente rivolte. 17. - Le spese di lite possono essere compensate in considerazione della peculiarità della controversia. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui agli articoli 6, paragrafo 1, lettera f), e 9, paragrafi 2 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, all'articolo 52, commi 1, 2 e 5, e all'articolo 2-septies, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Ivo Correale - Presidente Francesco Tallaro - Consigliere, Estensore Giampaolo De Piazzi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2621 del 2024, proposto da Ma. Pi. Ma., rappresentata e difesa dall'avvocato Mi. Pe., con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Regione Campania, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via (...); per l'ottemperanza della sentenza n. 498, resa il 6.2.2023 nel proc.to Rg. 392/2022 dalla Corte di Appello di Napoli, sezione lavoro, passata in giudicato, che ha dichiarato il diritto della ricorrente al contributo, ex art. 9 della l. 13/1989, determinato in Euro 7691,15, ed ha onerato il Comune di (omissis) dei connessi e conseguenti adempimenti e per la condanna ex art. 112 c.p.a. della PA a corrispondere gli interessi maturati dopo il passaggio in giudicato. E, in subordine, ove mai il decisum risulti ineseguibile, per la condanna della PA al risarcimento danni per equivalente nella misura del contributo non corrisposto, oltre rivalutazione ed interessi come per legge nonché per la nullità e/o l'annullamento, previa sospensiva e/o l'adozione di ogni idonea misura cautelare quatenus opus della nota prot. 9930 del 9.4.2024 del Comune di (omissis), con cui, a seguito di atto di diffida e messa in mora del 20.2.2024, è stata declinata ogni volontà di provvedere nei sensi stabiliti dal giudicato, in quanto si tratterebbe di un credito antecedente il 31.12.2020, data dalla quale l'Ente locale ha dichiarato il dissesto finanziario con delibera C.S. n. 10 del 19.7.2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Regione Campania; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 luglio 2024 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ricorrente deduce di essere invalida civile, con ridotte capacità motorie permanenti ex art. 3 l. 104/1992 e art. 8, comma 3, l. 449/1997, tale dichiarata dall'ASL Napoli 3 con decreto dell'11.7.2007, divenuta titolare, per l'aggravarsi della disabilità, di indennità di accompagnamento e della condizione di handicap connotata da gravità ex art. 3, comma 3, l. 104/1992, giusta decreto del Tribunale di Napoli Nord del 16.10.2022, reso nel proc.to Rg. 13439/20, con decorrenza dal 14.2.2022. Onde superare i limiti dovuti a tale condizione di invalidità la ricorrente faceva realizzare ed installare, anticipandone la cospicua spesa, a ditta un ascensore nel proprio stabile giusta DIA del 19.6.2012, autorizzazione del Genio Civile di Napoli n. 2190/AS/13 in data 11.9.2013 e successiva CIL del 19.9.2013, sostenendo la spesa di Euro 38.823,00. In data 17.11.2015 la ricorrente depositava al Comune di (omissis) istanza di contributo ex l. 13/1989. L'Ente effettuava valutazione di ammissibilità della domanda giusta nota prot. 4789 del 18.2.2016 del Responsabile del VII Settore, senza tuttavia mai procede-re a determinare il contributo, né a richiedere i fondi alla Regione Campania e né, infine, ad effettuare tutti i conseguenti adempimenti previsti dalla l. 13/1989 per liquidare e corrispondere l'importo spettante. Pertanto, con ricorso dell'8.6.2018, la deducente adiva il Tribunale di Napoli Nord per sentir condannare il Comune alla corresponsione del contributo. Il Tribunale, con sentenza n. 5752 del 17.12.2021, respingeva il ricorso. Con sentenza n. 498 del 6.2.2023, la Corte d'Appello di Napoli, riformava la pronuncia e determinava il contributo, ex art. 9 l. 13/1989, in Euro 7.691,15. La Corte così statuiva: "l'appellante ha sostenuto una spesa di Euro 38.823,00 e avrà pertanto diritto ad Euro 2.500,00 a copertura totale della spesa corrispondente; al 25% dell'importo di Euro 13.000,00, che corrisponde a £ . 25.000.000, pari ad Euro 3.250,00; al 5% della somma di Euro 38.823,00, pari ad Euro 1.941,15. Quindi, nel complesso, secondo i calcoli svolti dal medesimo Comune che si ritiene di condividere per la loro correttezza e perché non analiticamente contestati dall'appellante, alla sig. Marzocchella spetta un contributo di Euro. 7.691,15. Trattandosi di fondi non nelle immediate disponibilità del Comune, non si dispone in questa sede la condanna al pagamento della somma indicata ma si dichiara tuttavia il Comune obbligato, in forza del riconoscimento del diritto contenuto nella presente pronuncia, ad inserire il credito dell'appellante tra quelli "finanziabili". Il Comune appellato è, dunque, onerato all'esecuzione della procedura prevista dalla legge 13/89, come innanzi richiamata, per l'ottenimento dei fondi e a porre in essere, pur nella particolarità delle circostanze descritte, tutti gli adempimenti connessi al conseguimento di tale obiettivo.". La sentenza, passata in giudicato il 7.8.2023, è stata notificata, in copia conforme, al Comune a fini esecutivi il 16.10.2023. Tuttavia, la decisione non è stata adempiuta, nonostante l'ulteriore diffida inviata in data 20.2.2024 a dare esecuzione al giudicato. In riscontro a quest'ultimo atto, con nota prot. 9930 del 9.4.2024 del Funzionario Avvocato, l'Ente ha declinato la richiesta, invocando la competenza dell'OSL ex art. 252 del TUEL, in quanto si tratterebbe di un credito antecedente il 31.12.2020, data dalla quale il Comune ha dichiarato il dissesto finanziario con delibera del C.S. n. 10 del 19.7.2021. Con il ricorso in trattazione la ricorrente ha agito nei confronti del Comune di (omissis), della Regione Campania e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti perché sia dichiarata nulla la nota del 9.4.2024 per violazione del giudicato, ovvero che essa sia annullata perché illegittima e affinchè sia ordinato alle Amministrazioni intimate, in solido tra di esse o ciascuna per quanto di ragione e competenza, di ottemperare il giudicato, nei sensi stabiliti dal G.O., assegnando un termine congruo ed, in caso di perdurante inerzia, nominarsi un Commissario ad acta, affinchè, ai sensi degli artt. 114 e ss. c.p.a., ponga in essere in luogo delle Amministrazioni competenti ogni attività disposta dalla Corte d'Appello per la corresponsione del contributo ex l. 13/1989 oltre gli interessi dal 6.2.2023 e quelli successivi fino allo effettivo soddisfo. In via subordinata ha chiesto condannarsi il Comune al risarcimento danni ai sensi e per gli effetti dell'art. 112, 3 comma, c.p.a. nella misura del contributo ex l. 13/1989 determinato dal giudicato in Euro 7.691,15, oltre interessi e rivalutazione o in quella maggiore o minor misura ritenuta di giustizia ai sensi dell'art. 1226 c.c. La ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: 1. nullità per elusione della sentenza n. 428/2023, violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., violazione degli artt. 252 e 254 del TUEL, violazione degli artt. 31 c.p.a. e 21 septies della legge 241/1990, esclusione del giudicato dalla gestione liquidatoria. Il debito sarebbe imputabile allo Stato e alle Regioni e non ai Comuni, chiamati in qualità di delegati ex lege degli enti di livello superiore alla gestione delle sole attività di raccolta delle istanze, di istruttoria e di determinazione dei fondi da richiedere per la loro copertura. Quindi la gestione commissariale del Comune non osterebbe all'ammissibilità dell'azione d'ottemperanza. 2. violazione della sentenza n. 428/2023 e degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., violazione degli artt. 252 e 254 del TUEL, violazione degli artt. 31 c.p.a. e 21 septies della legge 241/1990, incompetenza della gestione liquidatoria. La competenza della gestione liquidatoria non è configurabile, poiché il credito, che dipende dall'espletamento del procedimento di cui alla legge 13/89, non è ancora sorto, sicchè non può dirsi materializzato il momento genetico dell'obbligazione. Si è costituito il Ministero delle Infrastrutture, chiedendo l'estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. Si è costituita la Regione Campania, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Nel merito, ha evidenziato che il Comune di (omissis) non avrebbe adempiuto agli incombenti previsti dall'art. 10, comma 4, L. 13/1989 e questo ha impedito l'erogazione del contributo. Il Comune di (omissis), pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio. All'udienza del 11 luglio 2024 la causa è stata rinviata per integrare la documentazione a corredo del ricorso. All'udienza del 25 luglio 2024, depositata la documentazione richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione. La ricorrente deduce di essere invalida civile, con ridotte capacità motorie permanenti ex art. 3 l. 104/1992 e art. 8, comma 3, l. 449/1997, tale dichiarata dall'ASL Napoli 3 con decreto dell'11.7.2007, divenuta titolare, per l'aggravarsi della disabilità, di indennità di accompagnamento e della condizione di handicap connotata da gravità ex art. 3, comma 3, l. 104/1992, giusta decreto del Tribunale di Napoli Nord del 16.10.2022, reso nel proc.to Rg. 13439/20, con decorrenza dal 14.2.2022. Onde superare i limiti dovuti a tale condizione di invalidità la ricorrente faceva realizzare ed installare, anticipandone la cospicua spesa, a ditta un ascensore nel proprio stabile giusta DIA del 19.6.2012, autorizzazione del Genio Civile di Napoli n. 2190/AS/13 in data 11.9.2013 e successiva CIL del 19.9.2013, sostenendo la spesa di Euro 38.823,00. In data 17.11.2015 la ricorrente depositava al Comune di (omissis) istanza di contributo ex l. 13/1989. L'Ente effettuava valutazione di ammissibilità della domanda giusta nota prot. 4789 del 18.2.2016 del Responsabile del VII Settore, senza tuttavia mai procede-re a determinare il contributo, né a richiedere i fondi alla Regione Campania e né, infine, ad effettuare tutti i conseguenti adempimenti previsti dalla l. 13/1989 per liquidare e corrispondere l'importo spettante. Pertanto, con ricorso dell'8.6.2018, la deducente adiva il Tribunale di Napoli Nord per sentir condannare il Comune alla corresponsione del contributo. Il Tribunale, con sentenza n. 5752 del 17.12.2021, respingeva il ricorso. Con sentenza n. 498 del 6.2.2023, la Corte d'Appello di Napoli, riformava la pronuncia e determinava il contributo, ex art. 9 l. 13/1989, in Euro 7.691,15. La Corte così statuiva: "l'appellante ha sostenuto una spesa di Euro 38.823,00 e avrà pertanto diritto ad Euro 2.500,00 a copertura totale della spesa corrispondente; al 25% dell'importo di Euro 13.000,00, che corrisponde a £ . 25.000.000, pari ad Euro 3.250,00; al 5% della somma di Euro 38.823,00, pari ad Euro 1.941,15. Quindi, nel complesso, secondo i calcoli svolti dal medesimo Comune che si ritiene di condividere per la loro correttezza e perché non analiticamente contestati dall'appellante, alla sig. Marzocchella spetta un contributo di Euro. 7.691,15. Trattandosi di fondi non nelle immediate disponibilità del Comune, non si dispone in questa sede la condanna al pagamento della somma indicata ma si dichiara tuttavia il Comune obbligato, in forza del riconoscimento del diritto contenuto nella presente pronuncia, ad inserire il credito dell'appellante tra quelli "finanziabili". Il Comune appellato è, dunque, onerato all'esecuzione della procedura prevista dalla legge 13/89, come innanzi richiamata, per l'ottenimento dei fondi e a porre in essere, pur nella particolarità delle circostanze descritte, tutti gli adempimenti connessi al conseguimento di tale obiettivo.". La sentenza, passata in giudicato il 7.8.2023, è stata notificata, in copia conforme, al Comune a fini esecutivi il 16.10.2023. Tuttavia, la decisione non è stata adempiuta, nonostante l'ulteriore diffida inviata in data 20.2.2024 a dare esecuzione al giudicato. In riscontro a quest'ultimo atto, con nota prot. 9930 del 9.4.2024 del Funzionario Avvocato, l'Ente ha declinato la richiesta, invocando la competenza dell'OSL ex art. 252 del TUEL, in quanto si tratterebbe di un credito antecedente il 31.12.2020, data dalla quale il Comune ha dichiarato il dissesto finanziario con delibera del C.S. n. 10 del 19.7.2021. Con il ricorso in trattazione la ricorrente ha agito nei confronti del Comune di (omissis), della Regione Campania e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti perché sia dichiarata nulla la nota del 9.4.2024 per violazione del giudicato, ovvero che essa sia annullata perché illegittima e affinchè sia ordinato alle Amministrazioni intimate, in solido tra di esse o ciascuna per quanto di ragione e competenza, di ottemperare il giudicato, nei sensi stabiliti dal G.O., assegnando un termine congruo ed, in caso di perdurante inerzia, nominarsi un Commissario ad acta, affinchè, ai sensi degli artt. 114 e ss. c.p.a., ponga in essere in luogo delle Amministrazioni competenti ogni attività disposta dalla Corte d'Appello per la corresponsione del contributo ex l. 13/1989 oltre gli interessi dal 6.2.2023 e quelli successivi fino allo effettivo soddisfo. In via subordinata ha chiesto condannarsi il Comune al risarcimento danni ai sensi e per gli effetti dell'art. 112, 3 comma, c.p.a. nella misura del contributo ex l. 13/1989 determinato dal giudicato in Euro 7.691,15, oltre interessi e rivalutazione o in quella maggiore o minor misura ritenuta di giustizia ai sensi dell'art. 1226 c.c. La ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: 1. nullità per elusione della sentenza n. 428/2023, violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., violazione degli artt. 252 e 254 del TUEL, violazione degli artt. 31 c.p.a. e 21 septies della legge 241/1990, esclusione del giudicato dalla gestione liquidatoria. Il debito sarebbe imputabile allo Stato e alle Regioni e non ai Comuni, chiamati in qualità di delegati ex lege degli enti di livello superiore alla gestione delle sole attività di raccolta delle istanze, di istruttoria e di determinazione dei fondi da richiedere per la loro copertura. Quindi la gestione commissariale del Comune non osterebbe all'ammissibilità dell'azione d'ottemperanza. 2. violazione della sentenza n. 428/2023 e degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., violazione degli artt. 252 e 254 del TUEL, violazione degli artt. 31 c.p.a. e 21 septies della legge 241/1990, incompetenza della gestione liquidatoria. La competenza della gestione liquidatoria non è configurabile, poiché il credito, che dipende dall'espletamento del procedimento di cui alla legge 13/89, non è ancora sorto, sicchè non può dirsi materializzato il momento genetico dell'obbligazione. Si è costituito il Ministero delle Infrastrutture, chiedendo l'estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. Si è costituita la Regione Campania, che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Nel merito, ha evidenziato che il Comune di (omissis) non avrebbe adempiuto agli incombenti previsti dall'art. 10, comma 4, L. 13/1989 e questo ha impedito l'erogazione del contributo. Il Comune di (omissis), pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio. All'udienza del 11 luglio 2024 la causa è stata rinviata per integrare la documentazione a corredo del ricorso. All'udienza del 25 luglio 2024, depositata la documentazione richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Al fine di dirimere le questioni pregiudiziali e poi il merito del ricorso, va, anzitutto, richiamato il comando giudiziale della cui ottemperanza si discute. Nella sentenza in epigrafe, passata in giudicato, la Corte d'appello ha così disposto: "dichiara il diritto dell'appellante al contributo di cui all'art. 9 L. 13/89 pari a Euro 7691,15 onerando il Comune dei connessi adempimenti". Nella motivazione, il Giudice d'appello ha specificato gli incombenti di cui il Comune è onerato, affermando che "Trattandosi di fondi non nelle immediate disponibilità del Comune, non si dispone in questa sede la condanna al pagamento della somma indicata a si dichiara tuttavia il Comune obbligato, in forza del riconoscimento del diritto contenuto nella presente pronuncia, ad inserire il credito dell'appellante tra quelli "finanziabili". Il Comune appellato è, dunque, onerato all'esecuzione della procedura prevista dalla legge 13/89, come innanzi richiamata, per l'ottenimento dei fondi e a porre in essere, pur nella particolarità delle circostanze descritte, tutti gli adempimenti connessi al conseguimento di tale obiettivo". 2. Sulla scorta del dictum giudiziale va, dunque, anzitutto dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione Campania e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nei confronti dei quali nessun obbligo discende dal giudicato. Per consolidato principio, infatti, "non hanno legittimazione passiva nel giudizio di ottemperanza le pubbliche amministrazioni estranee al provvedimento giurisdizionale di cui si chiede l'ottemperanza, se la sentenza della quale si chiede l'esecuzione non è stata pronunciata anche nei confronti di esse" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 15 marzo 2021, n. 3117). 3. Quanto al contenuto della nota impugnata, esso non può essere condiviso. La Corte d'Appello di Napoli ha condannato il Comune di (omissis) "ad inserire il credito dell'appellante tra quelli "finanziabili" e ha dichiarato l'onere a suo carico di provvedere "all'esecuzione della procedura prevista dalla legge 13/89, come innanzi richiamata, per l'ottenimento dei fondi e a porre in essere, pur nella particolarità delle circostanze descritte, tutti gli adempimenti connessi al conseguimento di tale obiettivo". L'obbligo discendente dal giudicato non ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, ma un facere. Esso, pertanto, esula dall'ambito di applicazione della causa di inammissibilità delle azioni esecutive previste dall'art. 248 TUEL, come affermato da condivisa giurisprudenza ("il comma 4 del predetto articolo 243-bis stabilisce che "le procedure esecutive intraprese nei confronti dell'ente sono sospese dalla data di deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale di cui all'articolo 243-quater, commi 1 e 3"; non si tratta, nella fattispecie in esame, "di un'azione esecutiva avente per oggetto immediato e diretto il pagamento di somme di denaro, ma il cui oggetto immediato [è ] un facere e non un dare, vale a dire l'opzione tra restituzione e acquisizione del fondo, e solo in via mediata, eventuale e consequenziale, il pagamento di una somma di denaro"; si ricade, dunque, "in una ipotesi in cui secondo un orientamento pacifico il dissesto [così come l'approvazione del piano di riequilibrio] dell'ente locale non inibisce il giudizio di ottemperanza, che può proseguire fino all'adempimento dell'obbligo di facere, per poi paralizzarsi quanto agli obblighi di dare, ove questi ultimi da eventuali divengano attuali" (C.G.A.R.S., sentenza n. 590 del 2018; in termini, T.A.R. Abruzzo, sezione prima, sentenza n. 406 del 2022)" (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 25/09/2023, n. 5184). La nota impugnata, dunque, è nulla, ponendosi in contrasto con il giudicato. 4. Sussistono, altresì, le condizioni per l'accoglimento del ricorso. In tema di prova dell'inadempimento dell'Amministrazione trova applicazione il generale principio secondo cui il creditore che agisca per l'adempimento ha l'onere di provare soltanto il titolo della pretesa azionata, potendo limitarsi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte contrattuale. Spetta, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo del diritto ex adverso azionato. Nel caso di specie, la pretesa di parte ricorrente creditoria azionata in executivis è cristallizzata nella sentenza in epigrafe, passata in giudicato come da attestazione del 19.7.2024. Il Comune resistente, costituitosi in giudizio, non ha provato di aver provveduto a porre in essere gli adempimenti indicati in sentenza, per cui la decisione può essere adottata sulla scorta delle sole allegazioni di parte ricorrente. 5. Non può essere accolta, invece, la domanda di ordinare al Comune il pagamento degli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennizzo, non essendo tale statuizione contenuta nel giudicato rimasto inottemperato, la quale ha espressamente escluso la condanna del Comune al pagamento degli accessori. 6. Deve, altresì, procedersi sin d'ora alla nomina, quale commissario ad acta in caso di ulteriore inottemperanza, il Prefetto di Napoli, con facoltà di delega ad altro dirigente o funzionario dell'ufficio, il quale, entro l'ulteriore termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'inottemperanza (a cura di parte ricorrente), darà corso agli adempimenti indicati nell'ottemperanda sentenza compiendo tutti gli atti necessari, a carico e spese dell'Amministrazione inadempiente. 7. Il regolamento delle spese della presente lite segue la soccombenza, venendo poste a carico del Comune di (omissis), e si liquidano come da dispositivo, in considerazione della linearità della controversia. Le spese possono essere compensate con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con la Regione Campania. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Seconda, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, dichiara nulla la nota indicata in epigrafe e ordina al Comune di (omissis) di provvedere a porre in essere gli adempimenti necessari all'esecuzione della sentenza in epigrafe entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione, se anteriore della presente sentenza. Per il caso di ulteriore inottemperanza nomina sin d'ora commissario ad acta il Prefetto di Napoli, con facoltà di delega ad altro dirigente o funzionario dell'ufficio, il quale, entro l'ulteriore termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'inottemperanza (a cura di parte ricorrente), darà corso agli adempimenti indicati nell'ottemperanda sentenza compiendo tutti gli atti necessari, a carico e spese dell'Amministrazione inadempiente. Dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Regione Campania. Condanna il Comune di (omissis) al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.500,00 oltre accessori di legge, se dovuti. Compensa le spese con le altre Amministrazioni resistenti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Corciulo - Presidente Daria Valletta - Primo Referendario Mariagiovanna Amorizzo - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BERRINO Umberto - Presidente Dott. GARRÌ Fabrizia - Consigliere Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere Dott. BUFFA Francesco - Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14507-2023 proposto da: I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MA.MA., PA.CI., CL.PU.; - ricorrente - contro Gi.Va.; - intimato - avverso la sentenza n. 232/2023 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il 01/02/2023 R.G.N. 2062/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2024 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROBERTO MUCCI, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato MA.MA.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con sentenza del 1.2.23 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l'opposizione Inps e riconosciuto il diritto all'indennità di accompagnamento dal 1.10.21 in favore dell'assistito in epigrafe, ritenendo applicabile il termine di cui all'art. 34 del decreto Legge 18 del 20 piuttosto che l'art.83 ed escludendo che fosse maturata la decadenza. Ricorre l'Inps con un motivo, è rimasta intimata la controparte. RAGIONI DELLA DECISIONE. Il motivo deduce violazione dell'articolo 42 decreto Legge 269 del 2003 convertito in legge 326 del 2003, 83 comma 2 decreto Legge 18 del 20 convertito in Legge 27 del 20, 36 decreto Legge 23 del 2000 convertito in Legge 40 del 20, per avere erroneamente escluso la corte territoriale la decadenza semestrale (essendo inapplicabile l'articolo 34 ad un procedimento amministrativo definito). Il ricorso è infondato. Questa Corte ha già affermato (Sez. L - , Sentenza n. 744 del 09/01/2024, Rv. 669767 - 01) che nelle controversie concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, il decorso del termine semestrale previsto, a pena di decadenza, per la proposizione della domanda dall'art. 42, comma 3, secondo periodo, del D.L. n. 269 del 2003, conv. con modif. nella L. n. 326 del 2003, è sospeso di diritto dal 23 febbraio 2020 al primo giugno 2020, trovando in proposito applicazione la speciale disciplina dettata dall'art. 34 del D.L. n. 18 del 2020, conv. con modif. nella L. n. 27 del 2020, e non già quella dettata dall'art. 83, comma 2, del medesimo D.L. Nulla per spese, essendo la parte vittoriosa rimasta intimata. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso oggi in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7 del 2024, proposto da Associazione La Ca. di Sa. Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Autonoma Valle D'Aosta / Vallé e D'Aoste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Pa., Ri. Ja., Ma. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Ri. Ja. in Aosta, piazza (...); per l'annullamento - della delibera della Giunta Regionale della Valle d'Aosta del 18.12.203 n. 1524 avente ad oggetto "l'approvazione dei criteri e delle modalità per l'erogazione dei contributi di cui al capo IV (interventi economici a favore di soggetti non autosufficienti) ai sensi della L.R. 23/2010, revoca delle DGR 866/2014, 76/2015, 1311/2016 e 484/2022", nella parte relativa all'Allegato C - Misura di cui all'art. 21 bis (contributi a favore di persone con disabilità gravissima o affette da sclerosi laterale amiotrofica SLA), con specifico riferimento agli artt. 3, comma 1 lett. a) e d), nonché ad ogni altro articolo dell'allegato C ove non è stata prevista una graduatoria da stilarsi utilizzando il criterio delle risultanze economiche dell'indicatore ISEE; - del riscontro della Regione Autonoma della Valle d'Aosta recante data 31.01.2024 all'accesso atti della ricorrente; - di ogni atto ad esso connesso, presupposto, antecedente, collegato e/o conseguente del procedimento oggetto di impugnativa e di ogni modifica avvenuta in seguito all'adozione dei quivi impugnati provvedimenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Valle D'Aosta / Vallé e D'Aoste; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2024 la dott.ssa Jessica Bonetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO L'Associazione la Casa di Sabbia ha agito in giudizio per l'annullamento della Delibera della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 1524 del 18.12.203, avente ad oggetto "approvazione dei criteri e delle modalità per l'erogazione dei contributi di cui al capo IV (interventi economici a favore di soggetti non 1 autosufficienti) ai sensi della L.R. 23/2010, revoca delle DGR 866/2014, 76/2015, 1311/2016 e 484/2022", nella parte relativa all'Allegato C, misura di cui all'art. 21 bis (contributi a favore di persone con disabilità gravissima o affette da sclerosi laterale amiotrofica SLA), con specifico riferimento all'art. 3, comma 1 lett. a) e d) e ogni altro articolo dell'allegato C, dove non è stata prevista una graduatoria da stilarsi utilizzando il criterio delle risultanze economiche dell'indicatore ISEE. In fatto ha allegato di essere un'Associazione senza scopo di lucro, costituita in data 19.10.2017, con atto registrato ad Aosta il 31.10.2017 n. 4003 S1T, repertorio n. 20955 e raccolta n. 13308, per operare nei settori della tutela dei diritti civili e dell'assistenza sociale e socio-sanitaria, con iscrizione nell'elenco delle Associazioni di cui all'art. 4 della Legge n. 67 dell'1 marzo 2006 (Misure per la tutela giurisdizionale delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), e conseguente legittimazione ad agire in giudizio avverso gli atti ed i comportamenti discriminatori, diretti e indiretti, in pregiudizio delle persone con disabilità . Nell'odierno giudizio l'Associazione ricorrente contesta in sintesi alla Regione Valle D'Aosta le modalità con le quali quest'ultima ha disciplinato l'erogazione dei contributi a favore di persone con disabilità gravissima o affette da sindrome laterale amiotrofica SLA, ai sensi dell'art 21bis della L.R. n. 23/2010, secondo cui: "1. La Regione, tramite la competente struttura, al fine di rimuovere l'esclusione sociale e favorire l'autonomia e la permanenza presso il proprio domicilio a persone in condizione di disabilità gravissima, ivi comprese le persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), eroga contributi a copertura delle spese derivanti dall'assunzione diretta di uno o più assistenti personali o un contributo mensile se a farsi carico dell'assistenza è un caregiver familiare. 2. I contributi di cui al presente articolo sono concessi a favore di: a) persone, di età fino a sessantacinque anni, con disabilità gravissima, ossia riconducibile ai parametri definiti dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016 (Riparto delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per le non autosufficienze, per l'anno 2016), residenti nel territorio regionale, che necessitano di assistenza vigile e continuativa nonché di sostegno intensivo, differenziato sulla base dell'intensità del sostegno necessario, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psico-fisiche; b) ultrasessantacinquenni residenti nel territorio regionale affetti da sclerosi laterale amiotrofica, da gravi forme di demenza o da morbo di Alzheimer, di cui alle scale illustrate negli allegati al d.m. 26 settembre 2016 o comunque già in possesso dei requisiti di cui alla lettera a) antecedentemente al compimento del sessantacinquesimo anno di età e per i quali la disabilità non sia determinata da naturale invecchiamento o da patologie legate all'invecchiamento. 3. La Giunta regionale disciplina, con propria deliberazione, le modalità attuative dei contributi previsti dal presente articolo. A tal fine, per l'individuazione della figura del caregiver familiare, la Giunta regionale fa riferimento alla definizione di cui all'articolo 1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). 4. I contributi di cui al presente articolo non sono cumulabili fra loro o con qualsiasi altro intervento pubblico concesso per le medesime finalità ". In particolare, la ricorrente ha articolato le seguenti doglianze. "I MOTIVO. ILLEGITTIMITA' DI TUTTI GLI ATTI IMPUGNATI - PER VIOLAZIONE DI LEGGE: Violazione del D.I. 26 settembre 2016, artt. 3, 32, 38, 53 e 97 della Costituzione; Violazione dell'art. 2, comma 1, d.P.C.M. n. 159 del 2013 e dell'art. 117 Cost. ? Violazione dell'art. 3, comma 1 del D.lgs. 109/1998; Violazione dell'art. 1 Legge 06/11/2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione); Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116; Violazione dei principi di trasparenza, ragionevolezza e buon andamento - eccesso di potere per falsità dei presupposti - illogicità e contradditorietà ". Ad avviso dell'Associazione, l'allegato C alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 1524 del 2023, relativo alla misura di cui all'art. 21bis della L.R. n. 23 del 2010 (contributi a favore di persone con disabilità gravissima o affette da sclerosi laterale amiotrofica SLA), sarebbe illegittimo laddove non prevede che l'erogazione del contributo, in caso di insufficienza dei fondi a soddisfare tutte le domande pervenute, avvenga mediante graduatoria da stilarsi secondo il criterio delle risultanze economiche dell'indicatore ISEE, facendo infatti l'art. 9 riferimento al solo criterio cronologico, stabilendo: "A) Valutazione delle domande 1. Le domande, compresi i rinnovi, sono istruite in ordine cronologico determinato dalla data certificabile di presentazione delle stesse o dalla data certificabile dell'ultimo documento utile alla valutazione. 2. La concessione dei contributi è effettuata nei limiti dello stanziamento di bilancio e delle relative risorse. Qualora le risorse non siano sufficienti a soddisfare le richieste, le domande saranno ritenute ammissibili e rimarranno in graduatoria. In caso di successiva assegnazione dei fondi le stesse verranno valutate in ordine cronologico di presentazione". Peraltro, lamenta la ricorrente, ancorché si ritenesse legittimo l'utilizzo del criterio cronologico di presentazione delle domande per la formazione della graduatoria, l'allegato C alla Delibera impugnata sarebbe comunque illegittimo, per contrasto con la Legge n. 190 del 6 novembre 2012 (c.d. legge anticorruzione) e la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, laddove stabilisce "Le domande, compresi i rinnovi, sono istruite in ordine cronologico determinato dalla data certificabile di presentazione delle stesse o dalla data certificabile dell'ultimo documento utile alla valutazione", in quanto ad avviso dell'Associazione il riferimento ivi contenuto alla "data certificabile dell'ultimo documento utile alla valutazione" potrebbe consentire agli Uffici competenti di formulare richieste di integrazione documentale inutili, al solo fine di fare retrocedere la data di presentazione di talune domande, così da favorire illegittimamente alcuni soggetti a danno di altri. "II MOTIVO. ILLEGITTIMITA' DI TUTTI GLI ATTI IMPUGNATI PER: violazione art. 3 Cost., Convenzione ONU diritti disabili; Violazione dell'art. 1, comma 1264 e 1265, della L. 296/2006, D.I 26 settembre 2016 e Piano Nazionale non autosufficienze, e eccesso di potere.; Violazione dell'art. 1 comma 272 della legge n. 228/2012; Violazione della L.r. 23/2010 art. 21 bis; Violazione dell'art. 3 l. 241/1990 difetto di motivazione; Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, illogicità, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione, ingiustizia grave e manifesta, sviamento". In secondo luogo, secondo la ricorrente, l'allegato C alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 1524 del 2023, sarebbe illegittimo laddove prevede all'art. 3 punto d), tra i requisiti per accedere al contributo, l'"attestazione ISEE per prestazioni socio-sanitarie, ristretto qualora il beneficiario ne abbia diritto, o del nucleo anagrafico del beneficiario in corso di validità e di valore pari o inferiore a 70.000 euro e a 90.000 euro per i minori e le persone affette da SLA". Tale norma, ad avviso dell'Associazione, introdurrebbe infatti una discriminazione ingiustificata per l'accesso al contributo, fissando la soglia del requisito ISEE in euro 90.000,00 per le persone affette da SLA, e invece in euro 70.000,00 per le persone affette da altra disabilità gravissima, senza fornire alcuna adeguata motivazione al riguardo. "III MOTIVO. ILLEGITTIMITA' DI TUTTI GLI ATTI IMPUGNATI PER: Violazione dell'art. 3 comma 3 del D.I. 26 settembre 2016; Violazione di legge 118/1977; L.R. 11/99; art. 1, comma 1264, della L. 296/2006; D.I. 26 settembre 2016; Piano Nazionale non autosufficienze". In terzo luogo, l'art. 3 dell'allegato C alla Deliberazione impugnata sarebbe secondo la ricorrente illegittimo anche laddove statuisce: "Per accedere al contributo, la persona con disabilità residente nel territorio regionale deve essere in possesso di: a. certificato di invalidità rilasciato da una Commissione preposta all'accertamento dell'invalidità stessa (civile, del lavoro, di servizio, di guerra, ecc.), dal quale risulti che il richiedente è in condizione di disabilità gravissima, quindi gravemente dipendente a livello funzionale, e/o affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA). La persona con disabilità deve essere titolare dell'indennità di accompagnamento o di certificato equipollente". In particolare, ad avviso dell'Associazione, richiedere la produzione di tale certificato determinerebbe l'esclusione illegittima dal contributo di tutti i soggetti indicati dall'art. 3, comma 3, lett. i) del D.I.26.09.2016 ("i) ogni altra persona in condizione di dipendenza vitale che necessiti di assistenza continuativa e monitoraggio nelle 24 ore, sette giorni su sette, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psicofisiche"), atteso che attualmente le Commissioni operanti nella Regione Valle d'Aosta non sono incaricate di valutare la presenza di disabilità gravissima di cui al Decreto Interministeriale 26 settembre 2016. Sulla base dei motivi di impugnazione appena riassunti la ricorrente ha concluso chiedendo l'annullamento della Delibera impugnata, nei limiti dell'interesse fatto valere in giudizio, con vittoria di spese. La Regione Valle d'Aosta si è costituita in giudizio rilevando innanzitutto in fatto, per quanto di interesse in questa sede, che la Delibera della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 1524 del 2023 qui impugnata, in ordine al profilo censurato nel primo motivo di ricorso, ha mantenuto una formulazione sostanzialmente analoga a quella contenuta nella previgente Deliberazione della Giunta Regionale n. 484 del 2022, in quanto tale disciplina non aveva determinato alcun problema nell'erogazione dei contributi in esame. Anche l'articolo 3, comma 3 della D.G.R. n. 484 del 2022 prevedeva infatti l'accesso alle misure secondo l'ordine cronologico, senza necessità di redigere una graduatoria dei richiedenti basata sull'ISEE, in quanto tutte le domande di contributo regolarmente presentate dagli aventi diritto sono sempre state soddisfatte, sicché la Regione non ha avvertito la necessità di modificare tale disciplina neppure in sede di adozione della Delibera n. 1524 del 2023. Analogamente, la Regione ha allegato che anche la parte di tale ultima Delibera oggetto del terzo motivo di ricorso, riproduce la disciplina previgente (D.G.R. n. 484 del 2022 e n. 322 del 2018), che richiedeva infatti (vedi art. 3 comma 1, lett. a) della D.G.R. n. 484 del 2022) la presentazione di "copia del certificato di invalidità, relativo all'ultima seduta di accertamento, rilasciato da una Commissione preposta all'accertamento dell'invalidità civile, dal quale risulti che il richiedente è in condizione di disabilità gravissima, quindi gravemente dipendente a livello funzionale, e/o affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA)", senza avere mai creato criticità, neppure per i soggetti rientranti nella previsione di cui all'articolo 3, comma 3, lett i) del D.I. 26 settembre 2016, sempre infatti regolarmente ammessi al contributo. Quanto alla parte della Delibera n. 1524 del 2024 oggetto del secondo motivo di ricorso, la Regione ha invece evidenziato di avere introdotto una novità rispetto alla disciplina previgente, stabilendo delle soglie ISEE per l'accesso ai contributi, stante la necessità per il legislatore regionale di adeguarsi alle prescrizioni di cui al Fondo Nazionale Non Autosufficienza 2022-2024 adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 ottobre 2022, che al punto 6.1 dispone: "Gli interventi previsti dal presente piano, in un quadro più generale di valutazione multidimensionale del bisogno e di progettazione personalizzata, sono condizionati all'ISEE secondo quanto previsto dalla programmazione regionale. Nel caso di interventi forniti a persone in condizioni di gravissima disabilità le soglie di accesso non possono essere inferiori a 50 mila euro, accresciuti a 65 mila in caso di beneficiari minorenni, dove l'ISEE da utilizzare è quello per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria"). Premesso in fatto quanto appena riportato, la Regione ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità per carenza di un interesse concreto ed attuale del ricorso, e comunque l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. All'udienza del 12 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. All'esito del giudizio, ad avviso del Collegio, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile per carenza di interesse e in parte infondato. Invero, con la prima doglianza articolata, l'Associazione ricorrente ha contestato alla Regione di non avere previsto nell'allegato C alla Deliberazione della Giunta regionale n. 1524 del 2023, un criterio di priorità legato all'ISEE, in forza del quale stilare una graduatoria tra i richiedenti da utilizzare in caso di incapienza dei fondi disponibili a soddisfare tutte le domande pervenute. Tuttavia, come allegato dalla Regione in giudizio, la scelta contestata dalla ricorrente, in linea con quanto disposto in precedenza dall'articolo 3, comma 3 della D.G.R. n. 484 del 2022, non ha determinato né in passato né con riferimento all'annualità in corso, alcun danno alle categorie rappresentate dalla ricorrente, avendo infatti l'Amministrazione sempre soddisfatto tutte le domande depositate dagli aventi diritto, con conseguente ritenuta inutilità di introdurre un criterio di priorità basato sull'ISEE per stilare una graduatoria al riguardo, che avrebbe solamente aggravato il procedimento, determinando un allungamento dell'istruttoria, in contrasto con le esigenze di pronto soddisfacimento delle richieste di contributo. Inoltre, per quanto attiene alle annualità future, sempre sotto il profilo della carenza di un interesse concreto ed attuale all'annullamento della Delibera con riferimento al profilo in esame, la Regione ha evidenziato che la crescente consistenza del Fondo approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 ottobre 2022, volto al soddisfacimento delle richieste di contributo in esame (per la Regione Valle d'Aosta pari a euro 1.968.000 per l'anno 2022 di iscrizione al bilancio 2023, euro 2.002.000 per l'anno 2023 di iscrizione al bilancio 2024, e euro 2.122.000 per l'anno 2024 di iscrizione al bilancio 2025), consentirà di far fronte anche per l'annualità 2025 alla totalità delle richieste pervenute, ben potendo peraltro in ogni caso la Regione, laddove le risorse nazionali dovessero risultare in futuro insufficienti, decidere di intervenire anche con risorse proprie, ovvero inserendo apposite "finestre" temporali per la presentazione delle domande, dando la priorità in favore dei soggetti con capacità economica inferiore, così da valorizzare l'ISEE come richiesto dalla ricorrente, ma solo in caso di effettiva, concreta ed attuale incapienza delle risorse. Sulla base di tali rilievi, va affermata, quindi, ad avviso del Collegio, la carenza di interesse sulla censura in esame. Né può essere accolto il diverso profilo contestato dalla ricorrente, sempre nell'ambito del primo motivo di ricorso, concernente l'asserita illegittimità del riferimento contenuto nell'art. 12 lettera A) punto 1 dell'allegato C, al fine di stabilire l'ordine cronologico delle domande di contributo, alla "data certificabile di presentazione delle stesse o dalla data certificabile dell'ultimo documento utile alla valutazione", in quanto ad avviso dell'Associazione vi sarebbe il rischio che gli Uffici chiedano agli interessati documenti integrativi non necessari, al solo fine di far retrocedere la data di presentazione di alcune domande, per favorire illegittimamente alcuni soggetti a danno di altri. Invero, osserva il Collegio, tale rischio risulta concretamente insussistente, stante il chiaro tenore dell'art. 5 dell'allegato C in esame, che elenca specificamente la documentazione da produrre con la domanda di contributo, così circoscrivendo gli atti passibili di richiesta di integrazione documentale ex art. 12 lettera A) numero 1, rilevanti anche ai fini dell'individuazione della data di presentazione della domanda. Il secondo motivo di ricorso, inerente la previsione di soglie ISEE diverse per l'ammissibilità della domanda di contributo tra persone affette da SLA (euro 90.000,00) e persone affette da altra disabilità gravissima (euro 70.000,00), risulta invece inammissibile o infondato, a seconda della lettura data alla doglianza in esame. Invero, innanzitutto va evidenziato che la previsione di una soglia ISEE per l'accesso al contributo è stata inserita dalla disciplina statale con l'approvazione del Fondo Nazionale Non Autosufficienza 2022- 2024 punto 6.1., che così recita: "Gli interventi previsti dal presente piano, in un quadro più generale di valutazione multidimensionale del bisogno e di progettazione personalizzata, sono condizionati all'ISEE secondo quanto previsto dalla programmazione regionale. Nel caso di interventi forniti a persone in condizioni di gravissima disabilità le soglie di accesso non possono 14 essere inferiori a 50 mila euro, accresciuti a 65 mila in caso di beneficiari minorenni, dove l'ISEE da utilizzare è quello per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria". Sulla base di tale disposizione nazionale, quindi, anche la Regione Valle d'Aosta ha dovuto prevedere una soglia ISEE alla quale subordinare il riconoscimento del contributo, e nel farlo avrebbe potuto stabilire per tutti i richiedenti, siano essi affetti da gravissima disabilità o SLA, la soglia di euro 50.000,00 prevista dalla disciplina statale, anziché scegliere di ampliare la platea dei beneficiari innalzando le soglie ISEE ad euro 70.000,00 ed euro 90.000,00. Pertanto, l'eventuale accoglimento del motivo in esame, facendo venire meno le predette soglie regionali, avrebbe come conseguenza il fatto che la Regione, nell'esercitare nuovamente il proprio potere discrezionale in materia, potrebbe decidere di riportare per tutti i richiedenti il limite ISEE al parametro nazionale di euro 50.000,00, così cagionando un danno ai soggetti rappresentati dalla ricorrente, i quali perderebbero il diritto al contributo se aventi un ISEE maggiore di euro 50.000,00, benché inferiore ad euro 90.000,00 o ad euro 70.000,00, rispettivamente per soggetti affetti da SLA e da disabilità gravissima. Del pari, laddove per riportare omogeneità tra essi e i soggetti affetti da disabilità gravissima, la Regione decidesse, una volta annullata la Delibera impugnata sul punto, di approvare una nuova Delibera portando la soglia ISEE per i soggetti affetti da SLA ad euro 70.000,00, come previsto per i soggetti affetti da disabilità gravissima, questi ultimi non otterrebbero alcun vantaggio, rimanendo per essi ferma la soglia attuale di euro 70.000,00, mentre i soggetti affetti da SLA subirebbero una danno, vedendo abbassata la loro soglia ad euro 70.000,00, con conseguente perdita in molti casi del contributo oggi invece riconosciuto. Pertanto, la doglianza in esame va dichiarata inammissibile per carenza di interesse, se letta nei termini appena esposti. La stessa censura va invece respinta nel merito, se intesa come volta all'innalzamento della soglia ISEE a euro 90.000,00 anche per i soggetti affetti da disabilità gravissima, atteso che la determinazione delle soglie in questione rientra nell'ampia discrezionalità della Regione, alla quale il Giudice Amministrativo non può certo sostituirsi imponendo all'Amministrazione lo specifico contenuto delle scelte da adottare. Peraltro, nel caso in esame, l'Amministrazione ha dato atto in giudizio delle ragioni di massima poste alla base della differenziazione di soglia stabilita (legate alle particolari esigenze dei soggetti affetti da SLA, di norma in condizione di dipendenza vitale con necessità di terapie salvavita basate sull'utilizzo continuativo di apparecchiature specifiche e pertanto di un'assistenza costante e puntuale nell'arco delle ventiquattro ore fornita da più assistenti personali), senza che sia pertanto ravvisabile alcun profilo di palese irragionevolezza o manifesta ingiustizia, a maggior ragione tenuto conto, come sopra evidenziato, che la Regione, pur potendo limitarsi a far propria la più restrittiva soglia nazionale, ha innalzato le soglie ISEE per entrambe le categorie, così da ampliare di molto la platea dei beneficiari. Infine, non suffragata da un concreto ed attuale interesse ad agire, prima ancora che infondata nel merito, risulta la terza doglianza contenuta in ricorso, avente ad oggetto l'articolo 3, comma 1, lett. a) della Delibera impugnata, laddove si richiede ai beneficiari, tra i requisiti per accedere al contributo, il possesso di un "certificato di invalidità rilasciato da una Commissione preposta all'accertamento dell'invalidità stessa (civile, del lavoro, di servizio, di guerra, ecc.) dal quale risulti che il richiedente è in condizione di disabilità gravissima". Invero, la Regione ha dimostrato in giudizio come non corrisponda al vero quanto affermato dall'Associazione secondo cui pretendere dai richiedenti la documentazione citata comporterebbe l'illegittima esclusione dal contributo dei soggetti indicati dall'articolo 3, comma 3, lett. i), del Decreto Interministeriale 26 settembre 2016 ("i) ogni altra persona in condizione di dipendenza vitale che necessiti di assistenza continuativa e monitoraggio nelle 24 ore, sette giorni su sette, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psicofisiche"), in quanto attualmente le Commissioni operanti nella Regione Valle d'Aosta non sarebbero incaricate di valutare la presenza di disabilità gravissima di cui al predetto Decreto Interministeriale. L'allegato C alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 1524 del 2023, all'articolo 3 richiamato dalla ricorrente, disciplina infatti i requisiti di accesso alla misura facendo riferimento al "certificato di invalidità rilasciato da una Commissione preposta all'accertamento dell'invalidità stessa (civile, del lavoro, di servizio, di guerra, ecc.), dal quale risulti che il richiedente è in condizione di disabilità gravissima, quindi gravemente dipendente a livello funzionale, e/o affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA)", ma è l'art. 5 a dettare la documentazione da allegare alla domanda, richiedendo alla lettera a) la sola "copia del certificato di invalidità relativo all'ultima seduta di accertamento rilasciato da una Commissione preposta all'accertamento dell'invalidità stessa (civile, del lavoro, di servizio, di guerra, ecc.)", senza alcuna specificazione, e la Regione ha dato atto nelle proprie difese che la valutazione delle patologie dei soggetti affetti da disabilità gravissima viene concretamente effettuata dall'ufficio istruttore per tutte le forme di disabilità gravissima, compresa quelle di cui alla lett. i), sicché non risulta ravvisabile alcuna effettiva esclusione di tali ultimi beneficiari. E di tale ultima circostanza, che dimostra l'insussistenza di un concreto ed attuale interesse all'accoglimento della doglianza in esame, la Regione ha fornito prova allegando che tra gli utenti attualmente beneficiari dei contributi ci sono persone in condizioni di dipendenza vitale di cui alla lett. i) in possesso del certificato di invalidità con accompagnamento e certificazione di handicap grave di cui alla legge n. 104/1992, mentre nella propria memoria di replica la stessa Associazione non ha messo in dubbio la necessità per la Regione di valutare la gravità delle condizioni di ogni richiedente ai fini della differenziazione del contributo. Pertanto, conclusivamente, stanti tutte le argomentazioni esposte, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile per carenza di interesse e in parte respinto. Le spese di lite possono tuttavia essere compensate per la complessità e novità della fattispecie esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - dichiara il ricorso in parte inammissibile ed in parte lo respinge; - compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Silvia La Guardia - Presidente Jessica Bonetto - Consigliere, Estensore Lorenzo Maria Lico - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1648 del 2024, proposto da -OMISSIS- in proprio e nella qualità di amministratrice di sostegno di Ca. An., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Tr., Fe. Ra. e Ve. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fi. Be., Gi. Si., Si. Ve. e Pa. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della Regione Lombardia, dell'Agenzia di Tutela della Salute di Brescia, già Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Brescia, e de -OMISSIS- in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO I fatti cui inerisce la controversia possono essere illustrati nei termini seguenti, non costituendo oggetto di specifiche contestazioni ad opera della difesa avversaria. Il sig. -OMISSIS- (di seguito soltanto -OMISSIS-) è persona in condizione di disabilità intellettiva grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104, in quanto affetto da "disabilità intellettiva grave associata ad un disturbo psicotico cronico con marcati disturbi del comportamento ed aggressività " e, a cagione delle sue condizioni, è stato inserito l'11 dicembre 2009 nel Centro Diurni per Disabili (CDD) e presso la -OMISSIS-, gestiti dalla cooperativa-OMISSIS- in regime di regolare accreditamento. Il quadro economico relativo agli oneri connessi alla fruizione da parte di -OMISSIS- predetti servizi è dipinto in modo chiaro nella nota dell'ASL Brescia prot. n. -OMISSIS-del 13 giugno 2011 (cfr. all. 7 del ricorso di primo grado), dalla quale si evince il seguente prospetto di sintesi: - Euro 2.446,69 costo totale per la C.S.S. e per il C.D.D.; - Euro 300 versati dalla famiglia; - Euro 611,52 versati dal Comune; - Euro 214,85 derivanti dalla quota di solidarietà . Il tutto per un disavanzo mensile di Euro 1.320,05. Con istanza 24 gennaio 2012, l'amministratrice di sostegno e sorella di -OMISSIS-chiedeva al Comune di -OMISSIS- (BS) di provvedere alla presa in carico del disabile mediante predisposizione urgente di un progetto individuale ai sensi dell'art. 14 l. n. 328/2000, atteso che il ricovero del medesimo presso le strutture suindicate aveva "comportato un evidente beneficio" per il suddetto ed il "recupero di un suo sostanziale equilibrio", sollecitando altresì il Comune a confermare l'impegno già preso e ad adoperarsi nella ricerca di soluzioni atte a "colmare il disavanzo ancora sussistente". Con la nota prot. n. -OMISSIS-del 9 febbraio 2012, il Comune di -OMISSIS- comunicava la deliberazione -OMISSIS-del 31 gennaio 2012, con la quale la Giunta comunale aveva autorizzato l'erogazione di un contributo economico mensile di Euro 250 a favore di -OMISSIS-quale sostegno per la retta di frequenza presso la Cooperativa sociale-OMISSIS- per il periodo gennaio - dicembre 2012. Avverso la suddetta deliberazione -OMISSIS-in proprio e quale amministratrice di sostegno di -OMISSIS-proponeva dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, il ricorso n. 469/2012. Con successivi motivi aggiunti, l'impugnazione veniva estesa alla deliberazione n. -OMISSIS-del 23 luglio 2010, con la quale il Consiglio comunale di -OMISSIS- aveva approvato il Piano socio-assistenziale per gli anni 2010-2011, nonché alla deliberazione n. 21 del 23 luglio 2010, con la quale il medesimo organo aveva approvato il Regolamento dei servizi sociali. Con la sentenza n. -OMISSIS-, il T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, si pronunciava sul ricorso e sui motivi aggiunti, accogliendo il primo motivo di ricorso principale, con assorbimento degli altri. Premesso che la domanda proposta da-OMISSIS-"non si limita, sin dall'oggetto, a richiedere un qualche soccorso economico, ma si avvale di un ben preciso istituto giuridico, e chiede, come detto in narrativa, sia predisposto un complessivo progetto assistenziale, ai sensi dell'art. 14 l. 328/200, domandando oltretutto che le si indichi un responsabile di procedimento al quale fornire il proprio apporto partecipativo", rilevava il T.A.R. che il provvedimento impugnato, "senza specifico contraddittorio procedimentale", "si limita ad accordare un certo contributo in danaro, affermando fra l'altro (v. doc. 9 ricorrenti cit. p. 2 terzo paragrafo) che solo a ciò fosse volta l'istanza della sig. -OMISSIS-in modo all'evidenza inesatto: il provvedimento stesso omette ogni ulteriore motivazione, e quindi non consente di ricostruire in base a quali ragioni il contributo accordato, nella misura riconosciuta, sia bastevole alle necessità dell'interessato". Affermava quindi il T.A.R. che dall'accoglimento del motivo suindicato "discende che l'amministrazione dovrà rinnovare la propria attività, e dare una compiuta risposta all'istanza della sig. C.", precisando che "nel far ciò, l'amministrazione stessa dovrà attenersi ai criteri già evidenziati da questo Giudice, in particolare nelle sentenze sez. I 11 aprile 2001 n° 240, sez. II 2 aprile 2008 n° 350, sez. II 24 giugno 2011 n° 932 e sez. II 21 ottobre 2011 n° 1453, cui si rinvia, salve le precisazioni di cui subito", non senza aggiungere che "una nuova decisione secondo corretti criteri assorbe qualsiasi ulteriore controversia sui criteri, non precisati, di cui al provvedimento impugnato". Precisava il T.A.R. che, "in primo luogo, l'amministrazione non potrà prescindere da una corretta e completa istruttoria, la quale, con la collaborazione già offerta dagli interessati, da un lato ricostruisca le necessità del soggetto disabile, ne determini il costo e accerti se a fronte di esso possano essere ottenuti contributi maggiori di quelli già versati da altri enti. In proposito dovrà essere tenuta presente l'effettiva natura, sanitaria o socio assistenziale, delle spese da sostenere; il Comune poi dovrà anche tener conto dell'onere ad esso spettante, di attivarsi presso altri Enti, in particolare presso la Regione, per ottenere eventuali rimborsi di spettanza". Affermava altresì il T.A.R. che "l'istruttoria dovrà appurare, nell'ordine di che appresso, la situazione economica del disabile e dei suoi congiunti. In primo luogo, dovrà infatti essere valutata la situazione economica del disabile come nucleo familiare a sé stante, e solo in seconda battuta, ovvero in caso di insufficienza delle risorse di questi, si dovrà tener presente la situazione dei congiunti, tenendo presente che al disabile deve (essere) garantita una disponibilità adeguata di danaro proprio per le minute necessità di vita quotidiana, in sé non cospicue, ma nel loro complesso imprescindibili al decoro della persona. L'apporto richiesto ai congiunti dovrà poi essere determinato in termini di proporzionalità e adeguatezza, e ciò significa prima di tutto che ai congiunti non deve essere richiesto un apporto tale da impedire a loro e ai familiari un'esistenza libera e dignitosa". Stabiliva poi il T.A.R. che "nel rinnovare la propria attività il Comune dovrà prescindere dalle disposizioni del proprio piano e del regolamento impugnati con i motivi aggiunti, per il semplice rilievo della loro non pertinenza al caso di specie. Come si rileva, ancora una volta a lettura, il Piano socio assistenziale comunale (doc. 13 Comune. p. 17 dal ventiquattresimo rigo) in tema di CDD e CSA, ovvero per i servizi per cui è causa, fissa il contributo dovuto dagli assistiti nella misura di cui al regolamento, ma quest'ultima fonte è muta in proposito". Infine, il T.A.R. statuiva l'inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per difetto di interesse, atteso che "le norme del piano socio assistenziale e del regolamento comunale non sono in astratto applicabili alla fattispecie, né lo sono state in concreto, perché il provvedimento puntuale impugnato in via principale non ne fa in alcun modo richiamo". Con il proposto ricorso di ottemperanza (R.G. n. -OMISSIS-), la ricorrente -OMISSIS-nelle suindicate qualità, lamentava in primo luogo che il Comune di -OMISSIS-, disattendendo il giudicato formatosi in relazione alla sentenza suindicata, aveva del tutto pretermesso qualsivoglia accertamento in merito all'effettiva natura, sanitaria o socio assistenziale, delle spese da sostenere, omettendo altresì di attivarsi presso altri Enti, in particolare presso la Regione, per ottenere eventuali rimborsi di spettanza. Essa deduceva altresì che, sino al 2016, era altresì stata omessa qualsivoglia valutazione anche in relazione alla situazione economica del disabile e dei suoi congiunti e che, solo a seguito dell'entrata in vigore nel nuovo ISEE di cui al DPCM n. 159/2013, che all'art. 6 escludeva definitivamente il coinvolgimento di fratelli e genitori dalla compartecipazione al costo di servizi sociosanitari, con nota del 2 novembre 2016, n. 5976, il Comune di -OMISSIS- aveva stabilito di ripartire l'onere dei servizi, per l'intero 2016, tra il Comune stesso, che si impegnava a farsi carico di Euro 12.641,17 per la CSS ed Euro 4.440,00 per il CDD, ed il solo-OMISSIS-che avrebbe dovuto sostenere l'onere di Euro 14.009.33 per la CSS ed Euro 3.224,41 per il CDD. Esponeva altresì la ricorrente che l'anno successivo, con nota sindacale del -OMISSIS-gennaio 2017, prot. n. -OMISSIS-, l'Amministrazione comunale aveva comunicato, per l'anno 2017, che con delibera n. 1 del 19 gennaio 2017 la Giunta aveva deciso la riduzione della percentuale della quota di integrazione a carico di -OMISSIS-dal 55% al 48% per il servizio CSS e che con delibera n. 2 del 19 febbraio 2017 aveva autorizzato e quantificato il pagamento della quota a carico del Comune di -OMISSIS- relativa alla retta del CDD, nella misura di Euro 370,00 mensili per i mesi di febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, settembre, ottobre, novembre ed Euro 341,30 per i mesi di gennaio ed agosto, senza però che le somme stanziate per il 2016 venissero versate alla Cooperativa-OMISSIS-, la quale aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della sola ricorrente. Ciò premesso in punto di fatto, la proposta domanda di ottemperanza poggiava sulle seguenti deduzioni in diritto. Quanto alla verifica della natura del servizio e al corretto riparto tra sanità e assistenza, costituente uno dei profili conformativi imposti dal T.A.R. alla successiva attività comunale ed al quale l'Amministrazione non aveva dato attuazione, deduceva la ricorrente che il servizio Comunità Socio Sanitaria per Disabili (CSS), istituito in forza della DGR del 23 luglio 2004, n. VII/18333, era definito come "Comunità Alloggio socioassistenziale autorizzata al funzionamento che, essendo disponibile anche all'accoglienza di persone adulte con grave disabilità prive di sostegno familiare ed essendo stata scelta dall'utente come sua dimora abituale, sia accreditata al sistema sociosanitario regionale". Premesso che -OMISSIS-apparteneva alle classi (1 e 2 delle complessive 5) di maggiore fragilità, deduceva la ricorrente che il contributo regionale era via via aumentato in forza di altrettante delibere regionali, al pari della quota richiesta all'utente, arrivata nel 2017 al 78,92% dell'ammontare complessivo, senza tuttavia rispecchiare il criterio di riparto definito dall'art. 3-septies d.lvo n. 502/1992 e dai D.P.C.M. 14 febbraio 2001, 29 novembre 2001 e 12 gennaio 2017 quale livello essenziale delle prestazioni sanitarie, per cui il costo di tale tipologia di prestazioni avrebbe dovuto gravare interamente sul SSN ovvero, a seconda dei diversi pronunciamenti giurisdizionali intervenuti in subiecta materia, nella misura del 70 o del 40%: ebbene, lamentava la ricorrente che il Comune intimato, pur avendo accertato l'insufficienza dell'intervento sanitario (finanche inferiore al 25%), non ne aveva tratto le dovute conseguenze come richiesto dalla sentenza ottemperanda, laddove, anche alla luce della richiamata sentenza n. 1453/2011, era precisato che era "quantomeno necessario fare in modo che il peso sulle famiglie non ecceda la soglia del 30%", anche assumendo il Comune a suo carico, in via provvisoria, l'ammontare della quota di spettanza del SSR, salva azione di rimborso nei confronti della Regione, come affermato da Consiglio di Stato, Sez. III, 10.6.2021 n. 4481. Concludeva sul punto la ricorrente affermando che il Comune di -OMISSIS- avrebbe dovuto, "in primo luogo, accertare, ora per allora, a far data dalla domanda, in base all'importo della retta del servizio CSS, l'ammontare della quota di spettanza del SSR, assumendone a proprio carico, in via provvisoria, i relativi importi e restituendo ai ricorrenti quanto, in questi anni indebitamente loro addossato". Analoghe considerazioni svolgeva la ricorrente relativamente al servizio CDD, ovvero Centro Diurno per persone con Disabilità, il quale costituiva un'unità d'offerta semiresidenziale per disabili gravi istituita con DGR del 23 luglio 2004, n. 7/18334, quale evoluzione dei Centri Socioeducativi (CSE) di cui all'art. 77 l.r. n. 1/1986. Premesso che anche relativamente ad esso -OMISSIS-apparteneva alla classe (1) di maggiore fragilità, e che anche rispetto ad esso il contributo sanitario era progressivamente aumentato, al pari della quota richiesta all'utente (arrivata nel 2017 al 37,04 % dell'ammontare complessivo), deduceva la ricorrente che la sentenza ottemperanda, anche mediante il rinvio alla sentenza 21 ottobre 2011, n. 1453, aveva stabilito che il criterio di riparto fissato dai DD.P.C.M. citati preveda il 70% a carico del FSR ed il 30% a carico di Comune e utente. Pertanto, anche in relazione al predetto servizio, la ricorrente affermava l'obbligo del Comune di "accertare, ora per allora, a far data dalla domanda, in base all'importo della retta del servizio CDD, l'ammontare della quota di spettanza del SSR nella misura del 70%, assumendone a proprio carico, in via provvisoria. gli importi eccedenti tale percentuale e restituendo ai ricorrenti quanto, in questi anni indebitamente loro addossato". In linea con i rilievi in precedenza svolti, la ricorrente lamentava che il Comune di -OMISSIS- non aveva provveduto ad esercitare alcuna azione di recupero nei confronti della Regione e/o dell'ASL, oggi ATS Brescia, per ottenere quanto di spettanza, paventando il pericolo che l'incedere della prescrizione riducesse la quota in concreto recuperabile dal Comune. Con il successivo motivo di ricorso, la ricorrente, premesso che la sentenza ottemperanda richiedeva all'Amministrazione di rinnovare la propria attività, dando compiuta risposta all'istanza della stessa, anche in relazione alla sostenibilità della compartecipazione, e che l'ISEE di -OMISSIS-era pari ad Euro 0,00, disponendo egli solo di pensione di invalidità ed indennità di accompagnamento per Euro 757,99 mensili, deduceva che se nel 2016 l'Amministrazione aveva comunque riconosciuto la necessità di lasciare nella disponibilità del disabile una somma non inferiore ad Euro 100 mensili, analoga valutazione andava effettuata anche in relazione agli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, per complessivi Euro 4.800, in relazione ai quali (recte, agli anni 2012, 2013 e 2014) comunque il Comune, ai fini della determinazione della compartecipazione al costo, avrebbe dovuto attenersi ai principi sanciti con le sentenze nn. 350/2008, 932/2011 e 1453/2011, richiamate da quella oggetto di ottemperanza. Con la successiva censura, la ricorrente deduceva che, anche al fine di appurare, in via subordinata e residuale, la situazione economica dei congiunti della persona disabile, il Comune avrebbe dovuto conformarsi a criteri di proporzionalità e adeguatezza, ispirandosi ai principi sanciti dalle sentenze innanzi menzionate, cui faceva rinvio quella ottemperanda, tra cui la fissazione di una soglia di capacità contributiva ad almeno Euro 30.000. Ebbene, premesso che la sentenza oggetto di ottemperanza aveva accertato che l'ISEE dell'intero nucleo familiare anagrafico in cui era inserito -OMISSIS-era pari ad Euro 20,761,23 e che esso comprendeva, oltre alla sorella-OMISSIS- anche il convivente di costei - non legato ad -OMISSIS-dunque da alcun vincolo di parentela o affinità - e la figlia minore degli stessi, deduceva la ricorrente che il Comune nella propria istruttoria avrebbe dovuto tener presente che le predette risorse economiche, ampiamente inferiori alla soglia di Euro 30.000, dovevano garantire una vita libera e dignitosa all'intero nucleo, la cui composizione negli anni successivi si era peraltro modificata a seguito della nascita di un'altra figlia e del decesso del convivente della ricorrente. Con il successivo profilo di doglianza, la ricorrente premetteva che il 2 gennaio 2015 era entrata in vigore la nuova disciplina ISEE di cui al DPCM n. 159/2013 e che da tale data la situazione economica del richiedente doveva essere calcolata con riferimento al nucleo familiare di appartenenza - ovvero quello ristretto costituito, nel caso dei servizi socio-sanitari, per le persone con disabilità maggiorenni senza coniuge e senza figli, come-OMISSIS-dal solo assistito - come rapporto tra l'Indicatore della situazione economica (ISE) e il parametro della scala di equivalenza corrispondente alla specifica composizione del nucleo familiare. Ciò premesso, ella lamentava che nessun provvedimento era però stato assunto dal Comune in relazione alla presa in carico per il 2015, mentre per il 2016, con nota del 2 novembre 2016, n. 5976, il Comune di -OMISSIS- aveva stabilito di ripartire l'onere dei servizi, per l'intero 2016, tra il Comune stesso, che si impegnava a farsi carico di Euro 12.641,17 per la CSS ed Euro 4.440,00 per il CDD, ed il solo-OMISSIS-che avrebbe dovuto sostenere l'onere di Euro 14.009.33 per la CSS ed Euro 3.224,41 per il CDD, senza che tuttavia le somme stanziate per il 2016 venissero versate né alla Cooperativa né, tantomeno, alla ricorrente. Infine, questa chiedeva che le somme da rimborsare alla stessa e ad -OMISSIS-fossero integrate da rivalutazione monetaria ed interessi. Il Comune di -OMISSIS- si costituiva in giudizio per evidenziare, in primo luogo, che la mancata ottemperanza della sentenza del T.A.R., attraverso la predisposizione di un progetto individualizzato di assistenza, era dipesa dal rifiuto della ricorrente di ottemperare alle plurime richieste di invio della documentazione necessaria alla valutazione della situazione economica dell'assistito e dei suoi congiunti. Evidenziava il Comune intimato che analoga inerzia era imputabile anche agli Enti (Regione Lombardia, INPDAP, Guardia di Finanza) cui la richiesta documentale era stata rivolta. Deduceva ancora il Comune che solo in data 16 giugno 2016 la ricorrente si era limitata a depositare l'I.S.E.E. del disabile che, sebbene insufficiente al fine di consentire al Comune di svolgere l'istruttoria richiesta dal T.A.R., consentiva quantomeno ad esso di procedere, dal 2016 ad oggi, all'erogazione delle somme previste dalle relative deliberazioni comunali per i vari servizi di cui il disabile usufruiva (come da comunicazione alla ricorrente del 2 novembre 2016, prot. n. 5976), sebbene il disabile non usufruisse più da tempo dei servizi CSS e CDD, risultando da anni collocato in Residenza Sanitaria per Disabili - RSD, con la conseguente maggiorazione dell'onere anche a carico del Comune, che tuttavia si era reso disponibile alla prosecuzione della prestazione assistenziale alle medesime condizioni precedenti (70% a carico dell'assistito e 30% a carico del Comune, mentre la restante e preponderante parte - pari a circa il 60% dei 91 euro giornalieri - facevano carico al S.S.N. ed erano corrisposti dalla Regione). Alle deduzioni difensive comunali la ricorrente replicava con successiva memoria. Con l'ordinanza n. -OMISSIS-, il T.A.R. ordinava al Comune di -OMISSIS-: - di "istituire un tavolo di lavoro per gli adempimenti previsti dall'art. 14 L. 328/2000..."; - di "redigere una bozza di progetto individuale riferito al signor -OMISSIS-, alla luce dell'esito del predetto tavolo di lavoro, nella quale si dia conto: (i) delle prestazioni di carattere sanitario ritenute dall'ATS di Brescia necessarie per la forma di disabilità del signor -OMISSIS-, quantificandone il costo da porre del Fondo sanitario regionale; (ii) delle residue prestazioni di carattere assistenziale necessitanti al medesimo signor C. quantificandone il costo a carico dell'amministrazione comunale e l'eventuale quota di compartecipazione del diretto interessato; (iii) dei criteri applicati ai fini della quantificazione dei costi dei predetti servizi e della misura della compartecipazione di tutti i soggetti, pubblici e privati, onerati"; - di "depositare in giudizio una relazione del responsabile del procedimento sullo svolgimento e sull'esito di tale verifica istruttoria, allegando la pertinente documentazione e riferendo se la parte ricorrente abbia manifestato il proprio assenso alla soluzione individuata, ovvero, in caso contrario, evidenziando gli eventuali motivi di dissenso". La relazione depositata in data -OMISSIS-ottobre 2023, a firma del Responsabile del Servizio Amministrativo/Finanziario del Comune di -OMISSIS-, nel dare conto dell'attività espletata in esecuzione della predetta ordinanza, evidenziava, con riferimento al ricovero di -OMISSIS-- a decorrere dal 24 gennaio 2023 - presso la Fondazione Istituto Ospedaliero di So., che: - era stato istituito il tavolo tecnico come disposto con la predetta ordinanza; - la quota a carico del SSR, relativa alle prestazioni sanitarie, era pari ad Euro 128,60, associata alla classe SIDI I; - la residua retta giornaliera, per le prestazioni socio-assistenziali, era pari ad Euro 91, suddivisa al 70% a carico dell'utente e al 30% a carico del Comune; - la retta complessiva giornaliera era pertanto pari ad Euro 219,60; - le quota in valore percentuale erano le seguenti: 58,57% per la quota sanitaria; 41,43% per la quota utente, di cui il 70% a carico dell'utente (Euro 63,70) e la restante parte pari al 30% (Euro 27,30) a carico del Comune, come da delibera di Giunta n. 4 del 17 gennaio 2023; - come comunicato dalla ATS con nota prot. n. -OMISSIS-/2023 del 17 agosto 2023, la tariffa a carico del SSR, pari ad Euro 128,60, corrispondeva a quanto previsto dalla DGR n. IX/6991 del 22 settembre 2022; - in data 12 settembre 2023 l'assistente sociale aveva consegnato al Comune la bozza di progetto individuale di A.; - nel precedente istituto in cui era collocato il disabile, Fondazione Re. Onlus, la quota a carico del Comune e della famiglia era pari ad Euro 68, imputata sempre per il 70% alla famiglia e per il 30% al Comune; - vista la situazione patrimoniale e reddituale del disabile e della famiglia, così come risultante dalla documentazione trasmessa in data 14 luglio 2023, ed il carico gravante sul Comune ai fini dell'assistenza a n. 40 utenti, il Comune aveva proposto la prosecuzione della compartecipazione alla quota assistenziale prevista dalla delibera n. 40 del 17 gennaio 2023 (70% a carico del disabile e della famiglia, 30% a carico del Comune); - il difensore della ricorrente, in data 18 ottobre 2023, aveva risposto negativamente alla bozza di progetto ad esso recapitata. Quindi, con la sentenza n. 843 del 15 novembre 2023, il T.A.R. si pronunciava in via definitiva sul ricorso di ottemperanza. Il T.A.R. dichiarava preliminarmente l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della domanda intesa ad ottenere la predisposizione del progetto ex art. 14 l. n. 328/2000, avendo rilevato che "la nuova attività istruttoria espletata dall'amministrazione comunale su sollecitazione di questo Tribunale...che ha visto il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, istituzionali e privati... ha condotto, conclusivamente, alla redazione di un progetto individuale riferito ad -OMISSIS- ai sensi dell'art. 14 L. 328/2000". In particolare, evidenziava il T.A.R. che "ai fini della predisposizione di tale progetto, è stata valutata dai servizi sociali comunali la situazione socio-familiare del disabile, le necessità di cura e di assistenza di quest'ultimo e l'adeguatezza dei servizi attualmente fruiti dal medesimo - per scelta della sua amministratrice di sostegno - presso la Fondazione Istituto Ospedaliero di So. Onlus; sono stati accertati i costi complessivi della degenza del disabile presso detta struttura e la quota di contribuzione attualmente erogata dall'ATS Valpadana, in misura percentuale pari al 58,72% dell'intero; ATS ha altresì chiarito i fondamenti normativi della misura del proprio intervento, allegando anche supporti giurisprudenziali a conferma della correttezza e completezza della propria contribuzione economica; la restante quota assistenziale è stata ripartita, nel progetto individuale, tra Comune e disabile sulla base dei criteri oggettivi stabiliti annualmente dalla giunta comunale, che prevedono misure di contribuzione differenziata del cittadino alla spesa mensile della RDS da un minimo del 55% ad un massimo del 100% sulla base di quattro distinte fasce ISEE: nel caso di specie, in relazione allo specifico scaglione in cui si colloca l'ISEE di -OMISSIS-, è stata stabilita una ripartizione della quota assistenziale nella misura del 70% a carico di quest'ultimo e del 30% a carico del Comune". Osservava altresì il T.A.R. che al fine di "far valere l'asserita illegittimità della nuova determinazione comunale", "la parte ricorrente dovrebbe introdurre apposita domanda impugnatoria, o con ricorso autonomo ovvero proponendo eventualmente motivi aggiunti nel ricorso R.G. 324/2023 già introdotto dinanzi a questo TAR per contestare la legittimità dei provvedimenti comunali con cui è stata stabilita, in relazione all'annualità 2023, la misura della ripartizione tra Comune e disabile della quota assistenziale presso la RDS di So., negli stessi termini economici successivamente confermati con il progetto individuale elaborato dall'amministrazione nel corso del presente giudizio di ottemperanza". Quanto al secondo capo di domanda - con il quale "la parte ricorrente...chiede in sostanza la condanna dell'amministrazione comunale a risarcirla dei maggiori oneri indebitamente sostenuti dal disabile e dalla sua famiglia nel corso del decennio appena trascorso a causa dell'asserita inerzia del Comune nel dare esecuzione al giudicato di questo TAR" - riteneva il T.A.R. che "esso sia stato proposto irritualmente sotto forma di "domanda di ottemperanza", mentre invece costituisce, più propriamente, una domanda di risarcimento del danno proposta ai sensi dell'art. 112 comma 3 c.p.a., nella parte in cui prevede che "può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, (...) azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione". "Anche a voler convertire d'ufficio la domanda di ottemperanza in domanda risarcitoria ex art. 112 comma 3 c.p.a.", aggiungeva il T.A.R., "va osservato che la natura risarcitoria della domanda proposta implica l'applicazione dei principi della responsabilità da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., con particolare riferimento all'onere, posto a carico della parte deducente, di provare la sussistenza dell'elemento soggettivo della condotta (dolo o colpa), dell'elemento oggettivo (il danno ingiusto) e del nesso di causalità tra l'uno e l'altro". Ebbene, evidenziava il T.A.R. che "la domanda risarcitoria proposta dalla parte ricorrente" era "rimasta sfornita di supporto probatorio in relazione a ciascuno di tali presupposti", atteso che: - "non è contestato - e comunque è stato sufficientemente documentato in giudizio - che fino al 2016 il Comune si sia trovato nell'impossibilità di dare ottemperanza alla sentenza di questo TAR a causa del rifiuto dell'amministratrice di sostegno di consegnare al competente ufficio comunale la documentazione reddituale del disabile e dei suoi stretti congiunti; in relazione al periodo successivo dal 2016 al 2022, grazie alla documentazione reddituale finalmente prodotta dall'amministratrice di sostegno alla luce della nuova normativa ISEE - che escludeva i familiari non conviventi dal nucleo familiare del disabile ai fini della valutazione della capacità reddituale - il Comune ha potuto provvedere alla determinazione del contributo di propria competenza sulla retta delle strutture socio assistenziali scelte dall'amministratrice di sostegno; e tale determinazione, condotta sulla base dei criteri stabiliti dalla giunta comunale, non risulta essere mai stata contestata dall'interessata, quanto meno fino alla decisione di quest'ultima di trasferire il proprio fratello, a far data dal gennaio 2023, nella struttura più costosa di So., allorché le entrate reddituali del fratello non hanno più consentito di coprire per intero la quota di contribuzione posta a carico dello stesso, esponendo la sua famiglia al rischio di una contribuzione integrativa"; - "in tale contesto, il Collegio non ravvisa la prova di un fatto ingiusto imputabile a colpa dell'amministrazione comunale, né tantomeno quella di un danno ingiusto sofferto dal disabile e dalla sua famiglia, posto che l'intera prospettazione di parte ricorrente si fonda, in definitiva, su basi meramente ipotetiche, congetturali ed esplorative, ossia sul presupposto che se il Comune avesse ottemperato tempestivamente alla sentenza di questo TAR, avrebbe sicuramente impedito alla famiglia del disabile di cedere un immobile di proprietà (laddove la cessione è avvenuta, in realtà, prima dell'istanza ex art. 14 L. 328/2000 di-OMISSIS- C.), e, successivamente, di sopportare oneri economici certamente superiori rispetto a quelli che sarebbero stati determinati dal Comune coinvolgendo nella contribuzione anche l'Autorità sanitaria per la quota di propria competenza: tutte circostanze ipotetiche e indimostrate, che la parte ricorrente pretenderebbe di far accertare da questo giudice, ora per allora, in assenza del benché minimo principio di prova e sulla base di richieste di carattere palesemente esplorativo". La sentenza suindicata costituisce oggetto dell'appello avverso la stessa proposto dalla originaria parte ricorrente ed al cui accoglimento si oppone il Comune di -OMISSIS-. La parte appellante contesta in primo luogo la decisione del T.A.R. di dichiarare improcedibile il capo di domanda, estrapolato dal complessivo contenuto petitorio del ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza, inteso all'adozione da parte dell'Amministrazione appellata del "progetto individuale" di cui all'art. 14 l. 8 novembre 2000, n. 328, a favore di-OMISSIS-come richiesto con istanza della sua amministratrice di sostegno del 24 gennaio 2012. Premesso che il T.A.R., come si è visto, ha ritenuto che il suddetto obbligo provvedimentale fosse stato assolto dal Comune di -OMISSIS- nell'ambito dell'attività ottemperativa dell'ordinanza collegiale propulsiva n. 503 del 7 giugno 2023, essendo stato formalizzato mediante la "bozza progetto individuale" del 12 settembre 2023 (cfr. all. n. 10 della produzione comunale del -OMISSIS-ottobre 2023), con la conseguenza che eventuali contestazioni in ordine al suo contenuto avrebbero dovuto essere mosse dalla parte ricorrente mediante la sua autonoma impugnazione, deduce in senso contrario la parte appellante che il suddetto documento non è satisfattivo della suddetta istanza, limitandosi a prevedere, similmente alla nota prot. n. -OMISSIS-del 9 febbraio 2012, oggetto del precedente giudizio di merito, l'erogazione di un mero contributo economico mensile, senza assumere i contenuti tipici di cui al citato art. 14 l. n. 328/2000. La parte appellante quindi, richiamata la sentenza di questa Sezione 10 gennaio 2021, n. 316, secondo cui "il progetto ex art. 14 L. 328/2000 costituisce il documento generale in cui vengono coordinati gli eventuali e diversi progetti e programmi specifici relativi a tutti gli ambiti della vita della persona con disabilità : sebbene nel caso di ricovero permanente presso una struttura residenziale la parte più significativa della presa in carico attiene alle attività ivi svolte, ciò però non può comportare la mancata predisposizione del progetto individuale ex art. 14 cit., o la sua sostituzione con il PAI). In particolare l'art. 14 L. 328/2000 richiede specifici approfondimenti di specifica competenza del Comune e non dell'ente gestore della struttura residenziale, quali l'individuazione di tutte le risorse che possono confluire sul progetto, a cominciare da quelle del SSN", evidenzia che il T.A.R. ha erroneamente ritenuto sufficiente che il Comune potesse limitarsi a dare atto della documentazione trasmessa dalla Fondazione So. e dall'ATS, senza valutarne le conseguenze in merito al rispetto dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (tenuto conto che nella documentazione acquisita trova conferma che la quota a carico del SSR è pari ad Euro 128,60, ovvero solo al 58,57% sul totale di Euro 219,60, in contrasto con gli artt. 3-septies d.lvo n. 502/1992 e con i D.P.C.M. 14 febbraio 2001, 29 novembre 2001 e 12 gennaio 2017, in tema di livelli essenziali delle prestazioni - LEA che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 117, comma 2, lett. m) Cost.). Lamenta altresì la parte appellante che la sentenza ottemperanda stabiliva che, in relazione all'eventuale quota del servizio non coperta dal contributo del SSN, l'istruttoria comunale appurasse la situazione economica del disabile e dei suoi congiunti, ovvero, nell'ordine, in primo luogo la situazione economica del disabile come nucleo familiare a sé stante, quindi, in caso di insufficienza delle risorse di questi, la situazione dei congiunti, mentre l'Amministrazione aveva del tutto ignorato la documentazione trasmessa dall'appellante in merito alle spese extra retta e, quanto all'apporto richiesto ai congiunti, da determinare secondo la sentenza in termini di proporzionalità e adeguatezza, non aveva nemmeno indicato quali congiunti, a che titolo e in che proporzione dovessero sobbarcarsi la differenza. La censura non è meritevole di accoglimento. Occorre premettere che la sentenza n. -OMISSIS- si limita a porre in evidenza la condotta omissiva comunale in relazione all'obbligo di adozione del "progetto individuale" di cui all'art. 14 l. n. 328/2000, non potendo lo stesso ritenersi assolto mediante la mera determinazione di un contributo economico a favore del disabile. Ebbene, la parte ricorrente sostiene che il documento suindicato non rappresenterebbe un idoneo "progetto individuale" ai sensi della disposizione citata, di cui ripete pedissequamente il contenuto, senza tuttavia indicare sotto quali specifici profili esso si discosterebbe dalla relativa fattispecie tipica, ma limitandosi ad evocare i principi affermati da questa Sezione con la sentenza n. 316/2021. La pronuncia menzionata, tuttavia, si è occupata di un caso in cui si discuteva della stessa necessità di redigere un apposito "progetto individuale", con i contenuti stabiliti dall'art. 14 l. n. 328/2000, laddove l'utente fosse ricoverato presso una struttura residenziale (si legge infatti nella sentenza: "sebbene nel caso di ricovero permanente presso una struttura residenziale la parte più significativa della presa in carico attiene alle attività ivi svolte, ciò però non può comportare la mancata predisposizione del progetto individuale ex art. 14 cit., o la sua sostituzione con il PAI"): nella fattispecie in esame, per contro, l'Amministrazione ha proceduto alla redazione del "progetto individuale" ex art. 14 l. n. 328/2000, con la conseguente non riferibilità alla stessa di un precedente giurisprudenziale che, come quello innanzi richiamato (e come la stessa sentenza oggetto di ottemperanza), evidenziava il comportamento radicalmente omissivo dell'Amministrazione interessata. Né a diverse conclusioni può pervenirsi alla luce delle successive memorie di parte ricorrente, ed in particolare di quella del 25 maggio 2024, con la quale si individuano i seguenti contenuti necessari del progetto, lamentandone l'assenza nel citato documento comunale: 1) la valutazione globale del bisogno (attraverso la valutazione diagnostico-funzionale o il Profilo di funzionamento); 2) l'individuazione degli interventi da mettere in campo per dare una risposta coordinata, concreta e globale a tali bisogni; 3) l'individuazione delle risorse che possono finanziare gli interventi (il cd. budget di progetto). Deve invero rilevarsi che i suddetti requisiti sono presenti, nel loro contenuto essenziale, nel progetto elaborato dal Comune di -OMISSIS-, il quale indica, tra l'altro: 1) che -OMISSIS-"manifesta evidenti compromissioni delle funzioni intellettive superiori (critica, autocritica, giudizio, progettazione, programmazione di compiti, ragionamenti in astratto). Sono conservate le competenze cognitive di base (orientamenti, riconoscimenti, procedure, memorie ed attenzione)"; 2) i "bisogni evidenziati" e gli "obiettivi", nonché gli "interventi" da mettere in campo; 3) la "sostenibilità economica" del progetto, attraverso la "compartecipazione alle spese della retta da parte dell'ente comunale", secondo i criteri meglio indicati nella relazione dell'11 ottobre 2023 e sui quali si dirà infra. Del resto, la parte appellante non svolge alcuna osservazione di carattere critico in ordine alla idoneità, al fine di realizzare i bisogni di-OMISSIS-dell'intervento all'uopo individuato e rappresentato - peraltro, come emerge dagli atti, previa scelta degli stessi familiari - dal suo collocamento presso la Fondazione Istituto Ospedaliero di So. né del relativo Programma di intervento, prodotto dalla Fondazione ed allegato sub 4) alla citata relazione. Né può sottacersi che il progetto individuale non può che prendere in considerazione la situazione dell'assistito - quanto, da un lato, alla sua specifica condizione di disabilità ed ai conseguenti bisogni assistenziali che alla stessa si correlano, dall'altro lato, al setting assistenziale appropriato ed alle risorse economiche con le quali farvi fronte - quale si presenta, nella sua intrinseca evolutività, al momento in cui il documento viene redatto: ne consegue che esso non si presta ad offrire adeguata risposta alle istanze della ricorrente intese alla definizione della corretta quota di compartecipazione dell'assistito e dei suoi familiari relativamente agli anni pregressi, in relazione ai quali si svolgeranno nel prosieguo separate considerazioni. Quanto invece alla situazione di bisogno attuale ed agli interventi appropriati al fine di farvi fronte, presa in considerazione dal predetto "progetto individuale", non può non osservarsi che, per quanto attiene alla ripartizione del carico assistenziale tra quota sanitaria e quota socio-assistenziale (costituente, ad avviso della appellante, un ulteriore profilo in ordine al quale il Comune non avrebbe posto in essere l'attività istruttoria ad esso prescritta dal T.A.R. con la sentenza oggetto di ottemperanza), dalla relazione del Comune di -OMISSIS- prot. n. 0005-OMISSIS-/2023 dell'11 ottobre 2023 (all. n. 13 della suddetta produzione comunale) si evince che, come chiarito con la nota dell'ATS in data 17 agosto 2023, prot. n. -OMISSIS-/2023, la tariffa a carico del SSR di Euro 128,60 corrisponde a quanto previsto dalla DGR IX/6991 del 22 settembre 2022 per la classe di fragilità (Classe SIDI 1) attribuita ad-OMISSIS-chiarendosi con la successiva nota dell'ATS prot. n. 0090699/23 del 14 settembre 2023 che "la tariffa, prevista dalla DGR IX/6991 del 22.09.2022 (già trasmessa con nota prot. 00-OMISSIS- del 17/08 u.s.), è calcolata in ragione del costo medio regionale di produzione del servizio secondo i requisiti di accreditamento definiti per le singole tipologie di unità d'offerta e non con riguardo ai costi delle singole strutture. La correttezza di tale sistema è stata di recente confermata dal Tribunale di Brescia con sentenza n. 1615 del 28/06/2023...". Si legge inoltre nella medesima Relazione che la suddetta quota sanitaria corrisponde al 58,57% della retta complessiva, mentre la restante quota viene ripartita tra il Comune e l'utente nella rispettiva misura del 30 e del 70%, come stabilito con deliberazione di Giunta n. 4 del 17 gennaio 2023. Ciò premesso, e chiarito che l'adeguatezza dell'attività istruttoria comunale deve essere commisurata allo standard fissato con il giudicato oggetto di ottemperanza, il quale richiedeva che, in primo luogo, il Comune di -OMISSIS-, dopo aver ricostruito le necessità del soggetto disabile, ne determinasse il costo e accertasse "se a fronte di esso possano essere ottenuti contributi maggiori di quelli già versati da altri enti", altresì chiarendo che "in proposito dovrà essere tenuta presente l'effettiva natura, sanitaria o socio assistenziale, delle spese da sostenere" e che "il Comune poi dovrà anche tener conto dell'onere ad esso spettante, di attivarsi presso altri Enti, in particolare presso la Regione, per ottenere eventuali rimborsi di spettanza", deve osservarsi che il Comune di -OMISSIS- ha dato atto che la tariffa relativa alla quota sanitaria del trattamento assistenziale di -OMISSIS-è prevista dalla DGR IX/6991 del 22 settembre 2022 e che, come chiarito dalla ATS, essa è "calcolata in ragione del costo medio regionale di produzione del servizio secondo i requisiti di accreditamento definiti per le singole tipologie di unità d'offerta e non con riguardo ai costi delle singole strutture", altresì richiamando, a supporto di tale conclusione, la sentenza del Tribunale di Brescia n. 1615 del 28 giugno 2023. Deve quindi ritenersi che il Comune di -OMISSIS- abbia esaurientemente assolto ai suoi doveri istruttori quanto al riparto del costo della prestazione tra quota sanitaria, di competenza del SSN, e quella socio-assistenziale, di competenza di Comuni/utenti, facendo riferimento alla determinazione della prima ad opera di apposito deliberato regionale, senza che la parte ricorrente svolgesse alcuna censura - ammessa la sua proponibilità nell'ambito del presente giudizio di ottemperanza - avverso il suddetto criterio ed i provvedimenti sui quali esso si basa. Né potrebbe sostenersi, da questo punto di vista, che il Comune si sia limitato a porre in essere una mera attività ricognitiva, senza compiere alcuna valutazione, richiesta dalla sentenza oggetto di ottemperanza, in ordine alla conformità del suddetto criterio alla effettiva natura della prestazione ed ai parametri normativi di riparto del relativo costo consacrati dai DD.P.C.M. approvativi dei L.E.A.. Premesso che le eventuali carenze motivazionali e/o valutative del provvedimento comunale possono essere integrate dal Collegio nell'esercizio della giurisdizione di merito che ad esso compete quale Giudice dell'ottemperanza, deve osservarsi, quanto alla natura della prestazione, che essa si evince chiaramente dalla descrizione dei "bisogni evidenziati" contenuta nel menzionato Progetto individuale, dal quale emerge che essi afferiscono essenzialmente all'area socio-assistenziale (essendo indicati come "Bisogni residenziali", "Bisogni Assistenziali: supervisione durante il pasto, affiancamento per l'igiene totale, parziale, cura della persona e vestizione, gestione del denaro, nelle abilità di base del vivere quotidiano", "Gestione dell'aggressività auto ed eterodiretta; predilige rapporto 1:1", "Supporto per i bisogni primari di vita (alimentazione, gestione della routine, dell'ambiente di vita)", "Sviluppare autodeterminazione"). Ebbene, come chiarito dalla stessa giurisprudenza citata dalla parte ricorrente, al fine di verificare se un determinato trattamento assistenziale sia caratterizzato da un elevato grado di integrazione sanitaria, tale da giustificare l'integrale assunzione dei relativi costi da parte del SSN per effetto dell'assorbimento delle prestazioni di carattere socio-assistenziali da parte di quelle di tipo sanitario, in ragione del rapporto di inscindibilità che lega le prime alle seconde, occorre accertare se sia stato elaborato uno specifico programma terapeutico: infatti, ciò che connota la prestazione sanitaria integrata inscindibile da quella socio assistenziale non è la situazione di limitata autonomia del soggetto destinatario, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale, ma l'individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socio - assistenziale (cfr., di recente, Cassazione civile, Sez. III, 27 luglio 2021, n. 21528). Ebbene, l'assenza di tali caratteristiche nel trattamento di cui fruisce -OMISSIS-consente senz'altro di escludere che esso sia qualificabile, nella sua interezza, come di natura sanitaria, ai fini dell'integrale addossamento del relativo costo al SSN. Quanto invece al riparto del corso della prestazione de qua tra quota sanitaria e quota socio-assistenziale, deve richiamarsi quanto affermato da questa Sezione con la sentenza n. 5684 del 12 agosto 2019, nel senso che "il criterio di finanziamento, in mancanza di ulteriori e più perspicui elementi, deve essere determinato nella percentuale del 40% a carico del SSN e 60% a carico dei Comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell'utente, come da tabella allegata al D.P.C.M. 14/02/2001 (cfr. punto 2 sotto la voce disabili). Segnatamente, alla stregua della richiamata normativa, il costo dell'assistenza in strutture semiresidenziali e residenziali per disabili gravi, in strutture accreditate sulla base di standard regionali (RSA per Disabili, Centri Diurni per Disabili) dovrebbe essere posto per il 70 % a carico del SSN e per il 30 % a carico dei Comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell'utente prevista dalla disciplina regionale e comunale, mentre, nel caso di assistenza ai disabili gravi privi del sostegno familiare nei servizi di residenza permanente (Comunità Socio Sanitarie), il 40 % del costo dovrebbe essere a carico del SSN e il 60 % dei Comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell'utente prevista dalla disciplina regionale e comunale". Il principio è stato ripreso, proprio con riferimento al trattamento erogato da una RSD, dalla sentenza di questa Sezione n. 316 dell'11 gennaio 2021, con la quale è stato affermato che sussiste "l'obbligo del Comune di prendere in carico il disabile e di accertarsi della corretta ripartizione delle spese a carico del SSR (nella misura del 40%) e di quelle a carico del Comune e/o del disabile (nella misura del 60%)". Consegue da tali rilievi che il riparto della prestazione tra quota sanitaria e quota assistenziale, tale da porre a carico del SSN una percentuale pari al 58,57% della spesa complessiva, è ampiamente conforme al criterio suindicato. Quanto invece al riparto della quota socio-assistenziale della prestazione tra Comune ed utente (ed eventualmente i suoi familiari), deve in primo luogo rilevarsi che non potrebbe imputarsi al Comune di -OMISSIS- di non aver adeguatamente considerato la necessità di garantire ad -OMISSIS-una disponibilità reddituale funzionale al soddisfacimento delle sue esigenze personali, ove si consideri, da un lato, che la citata sentenza n. 5684/2019 ha riconosciuto la congruità della somma di Euro 100 accordata per le spese personali, in mancanza di un "appiglio probatorio idoneo a comprovare, anche in termini di elevata verosimiglianza, l'affermata insufficienza della somma stanziata ad assicurare i bisogni ordinari della vita quotidiana dell'assistito", dall'altro lato, che, come chiarito dalla Fondazione titolare della RSD ove è ospitato-OMISSIS-la sua amministratrice di sostegno ha appunto concordato un importo di Euro 100 mensili per le spese personali del disabile. Allo stesso modo, per quanto concerne l'imputazione della spesa relativa alla quota di carattere socio-assistenziale tra il Comune di -OMISSIS- e l'utente e/o i suoi congiunti, deve in primo luogo osservarsi che il giudicato della cui attuazione si tratta non priva il Comune del potere di adottare atti intesi a disciplinare, secondo i parametri normativi attualmente vigenti e con valenza erga omnes, i criteri di riparto, ferma restando la necessità di verificare la coerenza degli stessi, con riferimento alla situazione del ricorrente, con le specifiche prescrizioni poste dalla sentenza oggetto di ottemperanza. Nella specie, il Comune appellato ha posto a fondamento della determinazione contestata la delibera di Giunta n. 4 del 17 gennaio 2023, la quale reca i criteri ed i parametri per il calcolo della compartecipazione degli utenti in base all'ISEE, oltre alle risultanze della ricognizione della "situazione patrimoniale e reddituale del disabile e della famiglia" ed al "carico ad oggi gravante sull'ufficio Servizi Sociali del Comune per circa Euro 195.000,00 annui necessari per seguire n. 40 assistiti con varie disabilità e problematiche con redditi familiari e personali nemmeno lontanamente paragonabili col nucleo C.". Ebbene, nessuna specifica censura è stata formulata dalla parte ricorrente al fine di dimostrare l'incoerenza dei criteri suindicati rispetto all'esigenza di garantire la sostenibilità economica della prestazione da parte del disabile e dei suoi familiari, secondo i criteri fissati con la sentenza oggetto di ottemperanza, compreso quello inteso ad attribuire rilievo prioritario alle risorse economiche dell'assistito, con il temperamento rappresentato dall'esigenza di garantire allo stesso "una disponibilità adeguata di danaro proprio per le minute necessità di vita quotidiana, in sé non cospicue, ma nel loro complesso imprescindibili al decoro della persona", e solo in via subordinata a quelle dei congiunti, salvaguardando la possibilità per gli stessi di condurre "un'esistenza libera e dignitosa". In particolare, nessuna specifica deduzione viene formulata dalla parte ricorrente al fine di dimostrare che l'onere economico della retta posto a carico di -OMISSIS-e della sua famiglia, con particolare riguardo alla sorella-OMISSIS-, sulla base dei criteri fissati con la citata delibera giuntale, non è conforme ai criteri - di prioritaria considerazione della situazione economica di -OMISSIS-e di rispetto del diritto dei familiari a condurre un'"esistenza libera e dignitosa" - dettati con la sentenza oggetto di ottemperanza. In conclusione, l'appello deve essere respinto per quanto concerne la contestata idoneità dell'attività posta in essere dal Comune ad assolvere all'obbligo ex iudicato di redigere il Progetto individuale ex art. 14 l. n. 328/2000 e di ripartire i costi della prestazione assistenziale per il periodo successivo alla sua predisposizione secondo le indicazioni recate dalla sentenza oggetto di ottemperanza. Quanto invece al periodo pregresso, in relazione al quale, per quanto si è detto, si pone solo una questione di adeguatezza e proporzionalità della compartecipazione dell'utente e della sua famiglia al pagamento della retta nelle strutture nelle quali -OMISSIS-era ospitato (prima di fare ingresso nella RSD gestita dalla Fondazione "Istituto Ospedaliero So."), non essendo in discussione l'appropriatezza del setting assistenziale di cui in precedenza beneficiava presso altre strutture residenziali, ritiene la Sezione che la riqualificazione operata dal T.A.R. della domanda di ottemperanza come domanda risarcitoria ex art. 112, comma 3, c.p.a., secondo cui "può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza...azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato...", non sia conforme al contenuto della domanda proposta, intesa all'esercizio da parte dell'Amministrazione - in ossequio alle modalità istruttorie dettate con la sentenza oggetto del ricorso di ottemperanza - del suo potere di determinazione della misura di compartecipazione dell'assistito e dei suoi familiari al pagamento della retta per le prestazioni fruite da -OMISSIS-presso la C.S.S. ed il C.D.D. gestiti dalla cooperativa-OMISSIS-. Il T.A.R., invero, ha valorizzato esclusivamente la finalità perseguita dalla parte ricorrente attraverso l'esercizio del suindicato potere comunale - ovvero quella di ottenere il rimborso delle somme eventualmente versate alla struttura socio-sanitaria in eccesso rispetto alla corretta quota di compartecipazione - trascurando che la sua realizzazione non poteva che transitare attraverso il previo esercizio da parte del Comune di -OMISSIS- delle sue prerogative, nel rispetto della regula iuris scaturente dal giudicato. Né potrebbe sostenersi l'impossibilità di dare completa esecuzione al giudicato, ben potendo la stessa avere luogo anche per il periodo pregresso e con decorrenza dalla data (24 gennaio 2012) di presentazione dell'istanza intesa a sollecitare l'esercizio da parte del Comune del suo potere di determinare correttamente la quota di spettanza dell'assistito e di individuare le risorse necessarie alla copertura del "disavanzo". Allo stesso modo, non può condividersi quanto sostenuto dal Comune, nel senso che l'esecuzione del giudicato sarebbe stata impedita dal mancato riscontro della parte ricorrente alle richieste di produzione documentale da esso a più riprese indirizzatele. Alla legittima pretesa comunale di svolgere l'istruttoria prescritta dal T.A.R. in modo unitario (e quindi sia per quanto concerne il riparto della spesa tra quota sanitaria e quota socio-assistenziale, sia in relazione alla determinazione della quota di compartecipazione alla spesa dell'assistito) si contrappone, infatti, quella non meno plausibile della parte ricorrente di assolvere ai suoi oneri collaborativi solo dopo che il Comune avesse individuato il corretto criterio di riparto tra quota sanitaria e socio-assistenziale della prestazione complessiva, non potendo escludersi, almeno nella prospettazione attorea (non ritenuta a priori infondata dal T.A.R., ma rimessa appunto al prescritto approfondimento comunale), che l'intero carico economico della stessa dovesse imputarsi al SSN. Deve tuttavia osservarsi che la suddetta attività di determinazione deve ritenersi omessa con esclusivo riferimento agli anni 2012-2015, dal momento che è la stessa parte appellante a dichiarare (pag. 9 del ricorso introduttivo) che "quanto alla definizione di un onere sostenibile per l'utente sulla base dell'ISEE, il Comune ha provveduto a definirlo solo a partire dal 2016, sulla base della nuova disciplina di cui al DPCM 159/2013 (comunque entrata in vigore il 2.1.2015), senza però provvedere ai corrispondenti versamenti, iniziati solo con la compartecipazione definita per il 2017": ciò con riferimento alla nota comunale prot. n. 5976 del 2 novembre 2016. Né l'inadempimento al giudicato da parte del Comune, relativamente al suddetto periodo, potrebbe essere sostenuto sulla scorta del mancato pagamento da parte dello stesso della quota di sua spettanza, esulando dalla sentenza oggetto di ottemperanza ogni statuizione di condanna, sulla quale fondare la pretesa della ricorrente al conseguimento di somme (anche a titolo di rimborso di quelle da essa corrisposte alla struttura residenziale dove -OMISSIS-era ospitato). Permane invece l'inattuazione del giudicato per quanto concerne il periodo 2012-2015 (non assumendo rilievo le annualità precedenti alla presentazione dell'istanza della ricorrente, il cui esito provvedimentale negativo è all'origine del giudizio di merito), in relazione al quale nessuna effettiva iniziativa risulta posta in essere dal Comune di -OMISSIS-, atteso che, come si è visto, l'attività istruttoria e provvedimentale traente origine dalla sentenza oggetto di ottemperanza è stata da esso espletata, in esecuzione dell'ordinanza interlocutoria del T.A.R. n. -OMISSIS- (con la quale il giudice di primo grado si è riservato ogni valutazione relativamente al periodo pregresso), limitatamente all'attualità ed in vista della predisposizione del progetto individuale ex art. 14 l. n. 328/2000. Peraltro, anche con riferimento al suddetto periodo, il riparto tra quota sanitaria e quota socio-assistenziale delle prestazioni erogate a favore di -OMISSIS-può essere determinato direttamente dal Collegio, nella misura del 40% a carico del SSR e del 60% a carico del Comune e/o del disabile, nel solco di quanto stabilito (proprio con riferimento ad una prestazione assistenziale erogata presso una C.S.S.) con la citata sentenza di questa Sezione n. 5684/2019. Relativamente al suddetto periodo deve quindi ordinarsi al medesimo Comune, entro novanta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, di procedere, nei sensi stabiliti con la sentenza oggetto di ottemperanza e sulla scorta di una esaustiva istruttoria, previa acquisizione della pertinente documentazione presso la parte ricorrente e gli Enti pubblici che dovessero averne la disponibilità, sulla falsariga di quanto disposto con la citata ordinanza: - ad accertare la conformità del concorso dato dal SSN al pagamento delle prestazioni residenziali e semi-residenziali erogate a favore di -OMISSIS-al suindicato criterio di riparto; - ad "attivarsi presso altri Enti, in particolare presso la Regione, per ottenere eventuali rimborsi di spettanza"; - ad "appurare, nell'ordine di che appresso, la situazione economica del disabile e dei suoi congiunti" e quindi a valutare, in primo luogo, "la situazione economica del disabile come nucleo familiare a sé stante, e solo in seconda battuta, ovvero in caso di insufficienza delle risorse di questi", quella "dei congiunti, tenendo presente che al disabile deve (essere) garantita una disponibilità adeguata di danaro proprio per le minute necessità di vita quotidiana, in sé non cospicue, ma nel loro complesso imprescindibili al decoro della persona"; - a determinare "l'apporto richiesto ai congiunti...in termini di proporzionalità e adeguatezza", non potendo essere richiesto agli stessi "un apporto tale da impedire a loro e ai familiari un'esistenza libera e dignitosa". Deve precisarsi che la suddetta attività - istruttoria, valutativa e decisionale - dovrà essere condotta in coerenza con le disposizioni sopravvenute alla sentenza ottemperanda, ed in base al periodo di rispettiva applicabilità temporale, in tema di definizione dei criteri - con particolare riguardo alla individuazione dei soggetti tenuti a concorrere alla spesa socio-assistenziale e degli strumenti (in primis l'ISEE) all'uopo utilizzabili - di riparto degli oneri economici della prestazione tra assistito e suoi familiari. Né può omettersi di precisare che, come statuito con la sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 240 dell'11 aprile 2001, richiamata dalla sentenza oggetto di ottemperanza, laddove il concorso regionale risulti insufficiente rispetto alla quota sanitaria della complessiva prestazione, "ciò non significa che la sola richiesta di finanziamento implichi l'ottenimento dello stesso e, quindi, l'accoglimento delle richieste della ricorrente; sarà, infatti, la Regione a valutare se ricorrono le condizioni per l'erogazione dei contributi straordinari necessari per gli interventi di cui si tratta. Resta ferma, tuttavia, la considerazione circa l'illegittimità del comportamento del Comune che non si è attivato, nei termini previsti dalla normativa di settore e nell'à mbito dei principi generali di tutela delle persone handicappate, al fine di predisporre le misure più opportune per risolvere le difficoltà rappresentate dalla ricorrente". Quanto invece al riparto della quota socio-assistenziale tra il Comune e l'assistito (ovvero, in subordine, i suoi familiari), deve richiamarsi quanto affermato con la sentenza del medesimo T.A.R. n. 932 del 24 giugno 2011, ugualmente citata dalla sentenza oggetto di ottemperanza, nel senso che è legittima la "valutazione della posizione di soggetti diversi dall'assistito" e l'individuazione dell'I.S.E.E. "come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate, considerando a tal fine la condizione economica del richiedente in relazione ad elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare cui egli appartiene", mentre la fissazione di "limiti generalizzati, oltre i quali è esclusa a priori ogni contribuzione del Comune, a prescindere dalla specifica situazione familiare...viola, a parere del Collegio, i principi di proporzionalità ed adeguatezza più sopra richiamati, rendendo illegittimo, per ciò stesso, il provvedimento regolamentare, nonché la sua applicazione in concreto alla fattispecie in esame, in relazione alla quale non risulta esservi stata alcuna concreta valutazione della particolare situazione familiare e della capacità reddituale del nucleo". Da questo punto di vista, deve quindi ribadirsi che non può riconoscersi rilievo assorbente di ogni altro accertamento e/o valutazione comunale, nei sensi prescritti con la sentenza da ottemperare, alle (eventuali) delibere comunali che, per il periodo di interesse, abbiano stabilito i criteri per il riparto della spesa socio-assistenziale tra Comune ed assistito e/o i suoi familiari, cui potrà farsi riferimento, ai fini delle conclusive determinazioni comunali (o, in subordine, commissariali), solo laddove gli esiti della loro applicazione siano conformi ai principi affermati con la sentenza suindicata. Meritevole di menzione, ai fini attuativi del giudicato, è altresì la sentenza del medesimo T.A.R. bresciano n. 1453 del 21 ottobre 2011, anch'essa richiamata dalla sentenza oggetto di ottemperanza, laddove afferma che "se, come normalmente accade, la situazione economica del disabile grave è minima o insignificante, l'esame può essere spostato sulla situazione economica dei familiari (i genitori e successivamente i congiunti che assumono la posizione di familiare di riferimento nei confronti del gestore della struttura socio-sanitaria). L'ISEE del nucleo familiare serve appunto a verificare in quale misura i benefici assistenziali possano essere destinati al pagamento delle rette. Se risulta evidente che la privazione anche di una piccola parte di tali provvidenze può risultare destabilizzante dovrà essere garantita una franchigia totale, diversamente l'importo della retta dovrà essere proporzionato alla capacità economica riscontrata". Va altresì precisato che, discutendosi dell'eventuale accertamento della sussistenza di un diritto di rimborso in capo alla parte ricorrente, non vi è ragione per imporre al Comune di -OMISSIS- di anticipare alla stessa il pagamento di somme che dovessero risultare dovute da parte del SSN, nelle more del loro effettivo conseguimento, ciò tanto più in quanto, come già evidenziato, manca nella sentenza ottemperanda alcuna statuizione di condanna, anche solo di carattere generico. Quanto alla pretesa avente ad oggetto il pagamento della rivalutazione e degli interessi, deve ugualmente ritenersi che la stessa non possa essere accolta, non essendo ravvisabile nella sentenza ottemperanda alcun dispositivo di condanna al pagamento di somme, da integrare eventualmente con i suddetti accessori. In caso di inerzia del Comune di -OMISSIS-, provvederà in via sostitutiva il Prefetto di Brescia, o suo delegato, anche avvalendosi di specifiche professionalità che dovesse ritenere necessarie al fine di dare compiuta esecuzione, nei sensi innanzi chiariti, alla sentenza oggetto di ottemperanza, attingendole preferibilmente all'interno della Prefettura ovvero presso altri Enti pubblici. L'esito della controversia giustifica infine la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio di ottemperanza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 1648/2024, lo accoglie in parte e per l'effetto ordina al Comune di -OMISSIS- di dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. -OMISSIS-, nei sensi indicati in motivazione e relativamente al periodo 2012/2015, entro 90 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza. Nomina, per l'ipotesi di perdurante inerzia comunale, il Commissario ad acta in persona del Prefetto di Brescia, o suo delegato. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9094 del 2022, proposto da Hu. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Autorità di Regolazione dei Trasporti - A.R.T., Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio; nei confronti Re. Fe. It. S.p.A., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima n. 685/2022. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti e della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2024 il Cons. Giovanni Gallone; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con delibera n. 225/2020 del 22 dicembre 2020 l'Autorità di Regolazione dei trasporti (di seguito anche A.R.T. o l'"Autorità "), integrata dalla delibera n. 20/2021, ha stabilito per l'anno 2021 le aliquote e i soggetti tenuti al versamento del contributo annuale per il funzionamento dell'Autorità, includendo tra questi gli operatori che esercitano servizi di trasporto ferroviario di merci e la gestione di impianti e infrastrutture ferroviarie. La delibera è stata successivamente approvata dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 gennaio 2021 e posta in esecuzione mediante la determina n. 30 del 4 marzo 2021 del Segretario Generale dell'ART che ha dettato la definizione delle modalità operative relative al versamento e alla comunicazione del contributo per il funzionamento dell'Autorità per l'anno 2021. 1.1 Con ricorso straordinario al Capo dello Stato Hu. S.p.A., gestore dei terminal ferroviari di (omissis) - (omissis) e di (omissis) nei quali effettua servizi di handling di unità di carico (c.d. U.T.I.) dalla strada alla ferrovia e viceversa tramite l'uso di gru semoventi, servizi di manovra ferroviaria e le rispettive attività accessorie, nonché esercente attività di trasporto ferroviario, anche internazionale, di merci per il tramite di un contratto di capacità e di assegnazione di tracce stipulato con Re. Fe. It. S.p.A., ha impugnato, domandandone l'annullamento, i seguenti atti: - la delibera A.R.T. n. 225/2020 del 22 dicembre 2020 che ha determinato, tra l'altro, le aliquote del contributo per il funzionamento dell'Autorità richiesto, per l'anno 2021, integrata dalla delibera n. 20/2021 del 11 febbraio 2021, pubblicate sulla G.U.R.I.; - il d.P.C.M. 21 gennaio 2021 di approvazione, ai fini dell'esecutività, della citata delibera dell'Autorità n. 225/2020 di cui ha avuto notizia con le delibere che precedono; - la Determina del Segretario generale di A.R.T. n. 30/2020 datata 4 marzo 2021, che detta la "Definizione delle modalità operative relative al versamento e alla comunicazione del contributo per il funzionamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti per l'anno 2021"; - ogni altro atto o provvedimento presupposto, concorrente e consequenziale. 1.2 A seguito di opposizione ritualmente sollevata da A.R.T., Hu. S.p.A., con atto in riassunzione depositato il 29 novembre 2022 e notificato lo stesso giorno, ha chiesto la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale dinanzi al T.A.R. per il Piemonte. A sostegno del ricorso ha dedotto le censure così rubricate: 1) Violazione dell'art. 13 del d.lgs 112/2015 e dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 2011 conv. nella legge 214/2011, come modificato dal d.l. 109/2018, convertito con l. 130/2018. Errore di diritto; 2) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011, conv. in l. 214/2011, come modificato dal d.l. 109/2018, convertito con l. 130/2018. Violazione dell'art. 12 del d.lgs. 112/2015. Violazione del principio di parità di trattamento fiscale. Errore di diritto; 3) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Errore manifesto di fatto. Difetto di valutazione congrua; 4) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria; 5) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione. Difetto di istruttoria. Errore di fatto. Eccesso di potere; 6) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione. Violazione dell'artt. 5, comma 11, e 45, comma 3 del D.P.R. n. 97 del 2003. Difetto di istruttoria. Errore di fatto. Eccesso di potere; 7) Violazione del principio giuscontabile di congruità e coerenza. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria; 8) Violazione del principio giuscontabile di prudenza. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. 2. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza indicata in epigrafe, l'adito TA.R. ha respinto il ricorso. 3. Con ricorso notificato il 24 novembre 2022 e depositato il 29 novembre 2022 Hu. S.p.A. ha proposto appello avverso la suddetta sentenza chiedendone la riforma. 3.1 A sostegno del gravame ha dedotto i motivi così rubricati: 1) Violazione dell'art. 13 del d.lgs 112/2015 e dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 2011 conv. nella legge 214/2011, come modificato dal d.l. 109/2018, convertito con l. 130/2018. Erronea valutazione dei fatti di causa; 2) Violazione dell'art. 13 del d.lgs 112/2015 e dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 2011 conv. nella legge 214/2011, come modificato dal d.l. 109/2018, convertito con l. 130/2018. Erronea valutazione dei fatti di causa; 3) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. in l. 214/2011. Erronea valutazione dei fatti di causa. Motivazione incongrua e contraddittoria. Errata applicazione della sentenza della Corte costituzionale 69/2017. Violazione dell'art. 64 c.p.a. e 115 c.p.c.; 4) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. in l. 214/2011. Erronea valutazione dei fatti di causa. Motivazione incongrua e contraddittoria. Errata applicazione della sentenza della Corte costituzionale 69/2017. Violazione dell'art. 64 c.p.a. e 115 c.p.c.; 5) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione. Violazione degli artt. 5, comma 11, e 45, comma 3, del D.P.R. n. 97 del 2003 e s.m.s.; 6) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 conv. con legge n. 27/2012. Violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione. Violazione degli artt. 5, comma 11, e 45, comma 3, del D.P.R. n. 97 del 2003 e s.m.s.; 7) Violazione dei principi di congruità, coerenza e prudenza della gestione contabile. Violazione degli artt. 5, comma 11, e 45, comma 3, del D.P.R. n. 97 del 2003 e s.m.s. Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b del d.l. 201/2011 convertito in legge n. 214/2011; 8) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b del d.l. 201/2011 convertito in legge n. 214/2011. Motivazione contradditoria, incoerente ed errata; 9) Violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011, conv. in l. 214/2011, come modificato dal d.l. 109/2018, convertito con l. 130/2018. Violazione dell'art. 12 del d.lgs. 112/2015. Violazione del principio di parità di trattamento fiscale. Errore manifesto nella valutazione dei fatti di causa. 4. In data 13 dicembre 2022 si sono costituite in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e A.R.T.. 5. Il 28 maggio 2024 A.R.T. ha depositato memorie difensive ex art. 73 c.p.a.. 6. L'8 giugno 2024 Hu. S.p.A. ha depositato memorie in replica. 7. All'udienza pubblica del 20 giugno 2024 la causa è stata introitata per la decisione. DIRITTO 1. L'appello è infondato. 2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stato dedotto che i servizi di handling svolti da Hu. S.p.A. non rientrerebbero nel novero dei servizi ferroviari ad accesso garantito o facoltativo disciplinati dall'art. 13 del d.lgs. n. 112/2015 e sarebbero, quindi, esclusi dalla regolazione dell'A.R.T. (la quale non avrebbe, in ogni caso, concretamente espletato alcuna attività di regolazione rispetto a tale settore). Il giudice di prime cure avrebbe, in particolare, errato nel ritenere che i servizi di handling rientrino nel dettato dell'art. 13 del d.lgs. n. 112 del 2015. Ciò in quanto, secondo parte appellante, detti servizi avrebbero piuttosto attinenza alle attività extraferroviarie, che si collocano nell'ampio novero di quelle attività a monte o a valle delle attività ferroviarie, per predisporre tutto ciò che occorre per rendere possibile il loro espletamento. Si osserva che: - nel caso di specie, l'attività di handling sarebbe quella che negli impianti serve per preparare le merci al loro trattamento, trasferendole dalla strada alla ferrovia e viceversa, restando quindi del tutto estranea la gestione ferroviaria degli impianti, la movimentazione al loro interno dei treni e le conseguenti attività di manovra degli stessi per posizionarli nei siti dove avviene il passaggio delle merci dal ferro alla strada e viceversa; - se i servizi di handling fossero compresi tra le attività ferroviarie, l'art 13 del d.lgs. n. 112/2015 li avrebbe previsti nell'elenco dettagliato dei servizi ferroviari (essenziali, accessori e complementari). 2.1 Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto, sotto altro profilo, il primo motivo del ricorso di primo grado richiamando un proprio precedente ((T.A.R. Piemonte, sez. I, 10 marzo 2021, n. 260) ed osservando che "con riferimento alle infrastrutture ferroviarie vengono in rilievo molteplici atti regolatori dell'Autorità adottati in materia di servizi di manovra ferroviaria ex art. 13 del d.lgs. 112/2015, materia che assume primaria rilevanza nella struttura dei costi dei servizi logistici tenuto conto che l'intermodalità su rotaia presuppone i servizi di manovra primaria (ossia lo spostamento dei carri merci dai binari di transito ai binari di presa e consegna) e di manovra secondaria (ossia lo spostamento dai binari di presa e consegna a quelli di carico e scarico, siti nei terminal portuali). Il segmento funzionale è stato interessato dapprima dalla Misura n. 11 della 6 delibera n. 70/2014, seguita dalla delibera n. 18/2017 di approvazione, previa consultazione pubblica, delle misure di regolazione volte a stabilire le modalità più idonee per garantire l'economicità e l'efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria, da ultimo integrare e corrette dalla recente delibera n. 130/2019". Detta statuizione sarebbe errata atteso che i servizi di handling sarebbero tutt'altra cosa rispetto ai servizi di manovra. Questi ultimi consisterebbero, in particolare, in servizi di manovra primaria (ossia lo spostamento dei carri merci dai binari di transito ai binari di presa e consegna) e di manovra secondaria (ossia lo spostamento dai binari di presa e consegna a quelli di carico e scarico, siti nei terminal portuali) nel mentre i servizi di handling riguarderebbero i carichi di merci trasferiti dalla strada alla ferrovia tramite apposite gru semoventi. A ciò si aggiungerebbero anche i servizi di manovra prestati all'interno degli impianti, dove i treni con i relativi carri sono appunto manovrati per dare modo di utilizzare le apposite infrastrutture (nel caso di specie gru semoventi) necessarie per effettuare le operazioni di carico e scarico delle merci trasportate su ferro. 3. Le suddette doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente stante l'intima connessione che le avvince, non colgono nel segno. Non v'è, in particolare, ragione di discostarsi da quanto già statuito da questa Sezione (sentenza 24 marzo 2023, n. 3065) con riguardo specifico alla posizione di Hu. S.p.A. in relazione all'annualità 2019. Questo giudice ha chiarito che la società appellante "per il tipo d'attività esercitata - di logistica ed integrazione ferroviaria per il trasporto di merci multimodale - è ricompresa nella platea dei regolati e dei soggetti tenuti al pagamento del contributo a partire dal 2019, non essendo esclusa espressamente l'impresa che esercita servizi di handling ferroviario, del tutto assimilabile con riguardo al contributo per cui è causa - seppure con peculiare posizione - al gestore dell'infrastruttura (senza dubbio soggetto a contributo) ". Ha poi aggiunto che "Nel settore, l'Autorità, oltre i poteri regolatori c.d. generali, vigila e disciplina, entro il perimetro normativo assegnatole, sulle modalità di collegamento dei nodi portuali con la rete ferroviaria e stradale adeguatamente dimensionata, sulla corretta allocazione degli spazi, sulla gestione delle banchine portuali. (...) Più nello specifico, l'attività di handling delle unità di trasporto intermodale rientra pienamente nel novero delle prestazioni tipiche di chi si occupa della gestione di terminal ferroviari e non è pertanto legittimamente scomputabile in quanto afferisce al c.d. core business dell'operatore, qual è l'impresa ricorrente. Significativamente, sul punto va data continuità a quanto già affermato da Cons. Stato, sez. 6 VI, 2 settembre 2021 n. 6209, laddove - oltre a respingere il ricorso promosso da un gruppo di imprese ferroviarie attive nel trasporto merci (tra cui figura HUPAC) avverso la sentenza del TAR Piemonte n. 1176/2017, in tema di regolazione ferroviaria - è stata riconosciuta in capo all'Autorità, e non al il gestore RF., la potestà regolatoria in tema di misure di regolazione tariffaria che competono all'Autorità o al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti" (punto 6.2 della sentenza 24 marzo 2023, n. 3065). 3.1 Né può obliterarsi, per altro verso, che l'art. 13, comma 2 del d.lgs. n. 112 del 2015 stabilisce espressamente che "Gli operatori degli impianti di servizio forniscono, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti, a tutte le imprese ferroviarie l'accesso, compreso quello alle linee ferroviarie, ai seguenti impianti di servizio, se esistenti, e ai servizi forniti in tale ambito: a) stazioni passeggeri, relativamente alle strutture funzionali ai sistemi di informazione di viaggio e agli spazi adeguati per i servizi di biglietteria ed alle altre strutture funzionali e necessarie per l'esercizio ferroviario; b) scali merci; c) scali di smistamento e aree di composizione dei treni, ivi comprese le aree di manovra; d) aree, impianti ed edifici destinati alla sosta, al ricovero ed al deposito di materiale rotabile e di merci" e che, soprattutto, il suo successivo comma 9 precisa che "Qualora l'operatore dell'impianto di servizio fornisca i sotto indicati servizi complementari, questi ultimi sono forniti a richiesta delle imprese ferroviarie, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti: (...) e) servizi di manovra". Ebbene, i servizi di handling, per le loro caratteristiche (così come compendiate dalla stessa parte appellante) si inseriscono a pieno titolo nel ciclo di trasporto su ferro, specie se visti nell'ottica di un mercato unitario della logistica integrata. Essi, inoltre, importano comunque, per stessa ammissione di parte appellante, operazioni (seppur limitate) di manovra (quali i servizi di manovra prestati all'interno degli impianti e funzionali all'impiego delle gru) rientrando, così, nel genus dei servizi ferroviari o, in ogni caso, dei servizi a questi riconducibili e "complementari" (lett. d) ed e) dell'art. 13, comma 2 del d.lgs. n. 112 del 2015). Il che, come condivisibilmente osservato dalla difesa erariale, giustifica e spiega il perché il legislatore, ritenendolo superfluo, non abbia inteso nominare espressamente l'attività di handling in seno all'art. 13, comma 2 del d.lgs. n. 112 del 2015. 3.2 In questa direzione si è, del resto, evidenziato come, da un lato, l'art. 37 del d.lgs. n. 112 del 2015 abbia attribuito all'Autorità anche le funzioni di regolazione dell'accesso equo e non discriminatorio agli impianti di servizio di cui all'articolo 13, comma 2; dall'altro che altre competenze riguardanti le dette imprese siano ricavabili dal Reg (UE) n. 1315/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete Transeuropea dei trasporti, in materia di strategia comunitaria per le reti Transeuropee dei trasporti (Reti TEN-T) che impone una azione regolatoria sull'accesso ai terminali merci presenti all'interno di porti (interni e marittimi) e aeroporti, prescrivendo che sia consentito a tutti gli utenti/operatori in modo non discriminatorio e con l'applicazione di tariffe trasparenti (punto 6.3 della sentenza 24 marzo 2023, n. 3065 di questa Sezione). Sulla scorta di tali rilievi la Sezione ha, quindi, concluso nel senso che "In definitiva, anche l'eventuale strutturazione frammentata dalla catena logistica a livello di organizzazione imprenditoriale non consente di escludere dal novero dei soggetti tenuti al pagamento del contributo le imprese operanti secondo il meccanismo intermodale. La circostanza che rileva non è l'utilizzo di un particolare schema contrattuale da parte dell'impresa che tende a porsi come intermediaria nel mercato ma l'impatto dell'attività economica da essa esercitata sul mercato; impatto che nel caso degli operatori dell'intermodalità può essere anche più significativo di quello del singolo trasportatore" (punto 6.4 della sentenza 24 marzo 2023, n. 3065 di questa Sezione). 3.3 Nè v'è, infine, dubbio alcuno che il settore di che trattasi abbia formato oggetto di concreta regolazione da parte dell'Autorità . Sul punto è stato, infatti, condivisibilmente evidenziato che "Sono molteplici le delibere di ART che hanno appunto inciso nella regolazione degli aspetti rilevanti della catena logistica e del trasporto intermodale. Ad esempio, in materia di accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture, agli scali merci e di smistamento ed ai servizi ferroviari, si può guardare alla delibera n. 70 del 31 ottobre 2014 e, in particolare, la misura n. 11 che ha disciplinato i servizi di manovra. È parimenti rilevante la delibera n. 18/2017 "Misure di regolazione volte a garantire l'economicità e l'efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria", in tema di disciplina dei servizi di movimentazione del materiale rotabile tra i binari di stazione e gli impianti di movimentazione. Giova inoltre ricordare che con le delibere nn. 18 e 40 del 2017, ART si è dedicata ai servizi di manovra ferroviaria e ha avviato il procedimento inerente metodologie e criteri per garantire l'accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture portuali; con la delibera n. 119/2017 ha approvato gli elementi per la definizione dello schema di concessione e sistema tariffario di pedaggio relativi alle tratte autostradali interessate, individuando altresì, tra gli indicatori di qualità del servizio, anche la "predisposizione di adeguate aree di sosta (rispetto alla superficie complessiva) riservate ai veicoli per l'autotrasporto di merci" come pure l'"impiego di Intelligent Transportation Systems (ITS), anche al fine di efficientare la logistica e perseguire l'ottimizzazione dell'utilizzo dell'infrastruttura da parte dei veicoli pesanti e dei veicoli leggeri" (così sempre nella sentenza 24 marzo 2023, n. 3065 di questa Sezione). 4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il terzo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per difetto di istruttoria e di motivazione in quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbero mancato, in spregio al disposto dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. n. 201/2011, di svolgere qualsivoglia verifica sulle risultanze contabili emergenti dal bilancio di previsione per l'anno 2021. In particolare, secondo parte appellante, la Presidenza del Consiglio dei Ministri avrebbe approvato la delibera A.R.T. n. 225/2020 del 22 dicembre 2020 senza operare alcuna verifica sui dati contabili dell'A.R.T. e, segnatamente, affidandosi supinamente a quanto a loro genericamente riferito dall'A.R.T. (la quale ha dato atto nello stesso testo della delibera gravata in prime cure di aver tenuto conto del "bilancio di previsione per l'anno 2021 approvato dal Consiglio dell'Autorità il 224/2020 dicembre 2020, previo parere favorevole del Collegio dei Revisori", e "del fabbisogno stimato per le spese di funzionamento dell'Autorità "). Si aggiunge che i suddetti documenti non sarebbero stati allegati alla delibera trasmessa e che non vi sarebbe prova che i medesimi documenti siano stati altrimenti messi a disposizione del M.E.F. e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Inoltre, neppure la "Relazione illustrativa per il bilancio di previsione 2021 e programmatica per il triennio 2021-2023" citata dal T.A.R. nella sentenza impugnata sarebbe stata allegata alla Delibera impugnata e non vi sarebbe prova che sia stata trasmessa al M.E.F. e alla P.C.M. unitamente alla medesima. Si aggiunge che siffatta modalità di conduzione dell'istruttoria si porrebbe in contrasto con i principi elaborati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 69/2017 atteso che e il M.E.F. e la P.C.M., non avendo ricevuto in trasmissione la documentazione contabile sottostante la delibera A.R.T. n. 225/2020 del 22 dicembre 2020, non sarebbero stati posti nella condizione di poter esercitare effettivamente l'attività di controllo loro assegnata ma avrebbero proceduto alla loro approvazione "in bianco". Aggiunge parte appellante che il T.A.R., nel rigettare la doglianza, avrebbe fatto erroneamente leva sulla mancata effettuazione di rilievi da parte di M.E.F. e al P.C.M. perché con ciò confonderebbe l'eventualità dei rilievi con l'eventualità del controllo (che invece dovrebbe essere effettivo e dovrebbe fondarsi su una istruttoria verificabile). In ultimo, parte appellante osserva che non sarebbe comunque sufficiente il richiamo alla "Relazione illustrativa per il bilancio di previsione 2021 e programmatica per il triennio 2021-2023" in cui si dice, a pag. 13, che il fabbisogno è stato determinato partendo dal riscosso per il 2020 aggiungendovi circa 2 milioni di euro: " In considerazione dell'analisi del fabbisogno per l'esercizio 2021, il contributo per il funzionamento dell'Autorità a carico dei soggetti operanti nel settore dei trasporti è stimato in Euro 18.575.000,00, con una previsione in aumento di Euro 2.375.000,00 rispetto al bilancio assestato per l'esercizio 2020". Ciò in quanto siffatto sistema di determinazione del fabbisogno sarebbe errato in sé, in quanto non tiene conto degli ingentissimi avanzi di amministrazione e del tutto svincolato dai dati previsionali di costo che l'A.R.T. è tenuta a rendicontare. 4.1 Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il quarto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. n. 201/2011 ed eccesso di potere in quanto il d.P.C.M. del 21 gennaio 2021 ha concesso l'approvazione della delibera dell'Autorità n. 225/2020 nei seguenti testuali termini: "Ai sensi dell'art. 37, comma 6, lettera b) del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 è approvata la allegata delibera n. 255/2020 del 222 dicembre 2020 (...) segnalando l'opportunità che la predetta Autorità (...) corredi, per il futuro, le delibere di apposita relazione tecnica". Da tanto sarebbe, infatti, evincibile che l'approvazione per la contribuzione dell'anno 2021 sarebbe stata, nel caso di specie, concessa in palese difetto istruttorio, senza che l'Autorità abbia sottoposto alle Amministrazioni competenti la relazione tecnica su costi da coprire, fabbisogni correlati e avanzi di amministrazione nonché la rendicontazione contabile di supporto. Il che si porrebbe, secondo parte appellante, in contrasto con i principi elaborati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 69/2017. In particolare, il giudice di prime cure avrebbe errato nell'affermare che "il tenore testuale della raccomandazione pro futuro inserita nell'articolo unico del dispositivo non stigmatizza la mancata rappresentazione dei dati contabili salienti, bensì esorta l'Autorità a vigilare sull'andamento dei contenziosi pendenti tenendo conto dei conseguenti riflessi finanziari sugli equilibri di esercizio" e che "A ben vedere, tali informazioni contabili sono adeguatamente rappresentate nel corpo della relazione illustrativa prodotta a corredo del bilancio di previsione 2021, in special modo nelle sezioni dedicate ai dati di sintesi". Secondo parte appellante, invece, la relazione al Bilancio previsionale 2021 non potrebbe supplire, come suggerisce il T.A.R., alla mancata relazione tecnica. Ciò in quanto la relazione al Bilancio previsionale 2021 sarebbe finalizzata alla illustrazione delle voci di entrate e di spesa preventivate dall'A.R.T. redatte secondo i criteri della contabilità pubblica, nel mentre la relazione tecnica servirebbe a individuare le voci di entrata e di spesa, in funzione della definizione del prevedibile fabbisogno da coprire con la contribuzione dei privati. 6. Le suddette doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente, non meritano positivo apprezzamento. Va anzitutto ribadito (in linea con quanto già statuito in Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2658, punto 3.2) che, a fronte del dettato assai lasco dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. n. 201 del 2011 e ss.mm. (il quale laconicamente stabilisce che "Il contributo è determinato annualmente con atto dell'Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze"), la Corte Costituzionale, nell'invocata sentenza n. 69/2017, si è limitata ad indicare un metodo (quello del confronto dialettico tra A.R.T. da un lato e P.C.M. dall'altro) senza richiedere l'osservanza di moduli o forme procedimentali specifiche. Nel dettaglio il Giudice delle leggi ha sottolineato la necessità che "l'atto annuale dell'autorità sia approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze" prevedendo "la possibilità che essi esprimano rilievi, ai quali la stessa autorità deve conformarsi" (così, testualmente, Corte cost. n. 69/2017). Ne consegue che, come ha già avuto modo di osservare questa Sezione (Cons. Stato., sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2646), in primo luogo, l'A.R.T. non era tenuta alla trasmissione alla P.C.M. né del proprio bilancio previsionale né di altra documentazione contabile. In secondo luogo, deve ritenersi che, anche in mancanza della trasmissione di tali, la semplice possibilità per la P.C.M. di formulare rilievi (e va sé di richiedere integrazioni) all'A.R.T. garantisca il rispetto sufficiente del dettato costituzionale, nella lettura datane dalla Consulta, costituendo un "argine procedimentale alla discrezionalità dell'A.R.T. e alla sua capacità di determinare da sé le proprie risorse" (così sempre Corte cost. n. 69/2017). La circostanza che la P.C.M. non abbia, nel caso di specie, sollevato rilievi né chiesto integrazioni documentali ma abbia espressamente dato atto di aver preso visione del bilancio di previsione per l'anno di riferimento lascia, peraltro, ragionevolmente intendere che la stessa abbia avuto la concreta possibilità di esaminare gli stessi e che, soprattutto, abbia ritenuto sufficienti a le informazioni ricavabili dal bilancio di previsione (che, invero, come documento contabile riassuntivo, è certamente in grado di offrire una panoramica generale ed esaustiva delle condizioni finanziarie dell'ente). Né può obliterarsi che tutti gli atti di cui l'appellante lamenta la mancata trasmissione (e segnatamente, il bilancio) formano oggetto di un preciso e inequivoco obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale dell'Amministrazione di riferimento ai sensi dell'art. 29 d.lgs. 33/2013, oltre che - con riferimento alle Autorità indipendenti - nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 2, comma 27, della legge 14 novembre 1995, n. 481. Sicché, essendo gli stessi già nella disponibilità di P.C.M. e M.E.F., richiedere la loro esibizione all'A.R.T. avrebbe rappresentato un inutile aggravio procedimentale incompatibile con il buon andamento ex art. 97 Cost.. 6.1 Nel medesimo solco è stato ulteriormente precisato da questa Sezione (sentenza n. 3065/2023) che, alla luce della disciplina de qua "Non è pertanto necessaria una motivazione specifica e ulteriore rispetto alla delibera dell'Autorità sottoposta ad approvazione, tanto che, nel caso in cui non vengano formulate osservazioni vale il silenzio assenso: "Nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l'Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l'atto si intende approvato" (art. 37, comma 6, lettera b), ultima parte. d.l. 201/2011)". Ne consegue che non è dato riscontrare il denunciato difetto di motivazione dovendosi ritenere in ogni caso sufficiente ed adeguato il richiamo per relationem ex art. 3 comma 3 della l. n. 241 del 1990 alla "Relazione illustrativa per il bilancio di previsione 2021 e programmatica per il triennio 2021-2023" (all. B alla delibera A.R.T. n. 224/20). 6.2 Per ciò che attiene specificatamente il quarto motivo di appello, ritiene il Collegio che le considerazioni appena svolte non risultano scalfite dalla circostanza che il d.P.C.M. del 21 gennaio 2021 abbia ritenuto di segnalare l'opportunità che A.R.T. "corredi, per il futuro, le delibere di apposita relazione tecnica". Infatti, l'inciso in parola ha implicitamente escluso che l'allegazione di detta relazione sia necessaria (a pena di illegittimità ), risolvendosi lo stesso, de facto, in null'altro che una semplice riserva di richiedere, nelle future occasioni, ove il caso concreto lo imponesse, l'integrazione della documentazione trasmessa con l'esibizione di una relazione di accompagnamento. È, infatti, di tutta evidenza che se la P.C.M. avesse ritenuto necessaria ed imprescindibile l'esibizione di siffatto documento avrebbe dovuto negare del tutto (come era in suo potere) l'approvazione dell'atto. 7. Con il quinto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione in quanto l'aliquota contributiva dell'0,6 per mille approvata per il 2021 sarebbe ingiustificata e manifestamente disallineata con i dati di fabbisogno e di costo previsionali del 2021 posto che, per quanto riguarda il fabbisogno, dal bilancio previsionale relativo al 2021, approvato con la delibera A.R.T. n. 224/2020, risulta che la gestione corrente si chiude con un avanzo di amministrazione nel 2020 di Euro 27.523.997,75. Si deduce, inoltre, che nel bilancio previsionale relativo al 2021, approvato con la delibera 224/2020, l'ART afferma quanto segue: "Gli stanziamenti dei capitoli della categoria in questione, previsti in complessivi Euro 16.675.000,00 in aumento di Euro 1.075.000,00 rispetto a quanto stanziato in sede di assestamento al bilancio di esercizio 2020, si riferiscono agli oneri per il trattamento economico (fisso e accessorio), previdenziale, assistenziale del Segretario Generale e del personale dipendente a tempo indeterminato, determinato ed esperti, dell'indennità o trattamento di fine rapporto nonché alle spese per la formazione, per il buono pasto sostitutivo del servizio mensa per gli aventi diritto o del servizio mensa, per la polizza sanitaria e per altre spese per il personale, per le spese di viaggio e soggiorno in caso di missione, per praticantato e borse di studio, per il rimborso di spese per personale dipendente di altre amministrazioni pubbliche in comando presso l'Autorità e all'IRAP sulle retribuzioni e gli altri compensi" (Relazione illustrativa, all. B della citata delibera, pag. 16). Il che consentirebbe di affermare che l'avanzo stimato per il 2021 (di Euro 27.523.997,75) copre interamente le maggiori spese per il personale previste per il 2021 (di Euro 16.675.000,00). In altri termini si osserva che l'aliquota contributiva approvata per il 2021: - non sarebbe compatibile con l'avanzo previsto per il 2020; - non sarebbe compatibile con i costi del 2021, ancorché in aumento rispetto al 2020; - ingenererebbe ulteriori avanzi nel 2021. Il T.A.R. avrebbe, quindi, errato nell'affermare che "la disamina delle risultanze contabili svolta da parte ricorrente non rispecchia in modo fedele le considerazioni addotte dall'Autorità, con particolare riferimento alla gestione del cospicuo avanzo di amministrazione" in quanto: - la Relazione illustrativa, a pagina 13, illustra "il vincolo di destinazione di una significativa quota dell'avanzo di amministrazione per i rischi derivanti da contenzioso (pari al 55% del contributo oggetto di contenzioso con sentenza sfavorevole davanti al giudice amministrativo di primo grado)"; - "sul fronte delle spese, gli stanziamenti per il personale sono previsti in aumento in considerazione della progressiva strutturazione dell'Ente al fine della realizzazione dei compiti istituzionali ad esso affidati nel corso del 2021: a tale scopo è prevista, ad esempio, la spesa aggiuntiva per l'assunzione di 19 ulteriori dieci unità (cinque a tempo indeterminato e cinque a tempo determinato) nonché l'individuazione di ulteriori cinque unità di personale di diretta collaborazione"; - "in via più generale e prospettica, la relazione illustrativa afferma che "le spese che maggiormente incideranno sul fabbisogno degli esercizi 2022 e 2023 saranno quelle connesse alla messa a regime della struttura organizzativa da realizzarsi, sia mediante il sostanziale completamento della pianta organica da realizzarsi nel 2021 e 2022 e dimensionata sulla base del d.l. 109/2018, sia attraverso la conseguente parametrizzazione delle spese sulla base delle attività connesse al funzionamento e al mantenimento degli uffici"". Secondo parte appellante dette statuizioni sarebbero errate atteso che: - l'Autorità ai sensi dell'art. 37, comma 6, lett. b), del d.l. 201/2011 sarebbe obbligata a tenere conto dell'avanzo di amministrazione, perché, nel caso di specie, è una partita attiva ricorrente ogni anno e per ingentissimi importi e, quindi, è ragionevole, oltre che doveroso, che vada a coprire le partite passive che si presentano ugualmente ogni anno; - per quanto riguarda l'avanzo di amministrazione vincolato ai rimborsi, il medesimo non riguarda il suo intero ammontare, come sostiene il T.A.R., ma solo una minima parte dello stesso (pari a Euro 4.150.000,00, come risulterebbe a pag. 13 della Relazione al Bilancio previsionale 2021); - per quanto riguarda l'incidenza delle spese (di messa a regime della struttura organizzativa da realizzarsi e di completamento della pianta organica), essendo sub iudice la contribuzione del 2021, assumerebbe rilievo solo la copertura delle spese relative al 2021 (e non certamente degli anni 2022 e 2023). 7.1 Con il sesto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione del principio di corrispondenza della contribuzione alle spese correnti della gestione nonché per violazione ed erronea applicazione degli artt. 5, comma 11, e 45, comma 3, del D.P.R. n. 97 del 2003 e s.m.s. in quanto, per ottenere l'equilibrio di bilancio, l'A.R.T. disporrebbe, oltre che dei mezzi ordinari di finanziamento anche dell'avanzo presunto di amministrazione. Si osserva, in particolare, sulla scorta del combinato disposto di dette previsioni normative, che si ammette l'utilizzo dell'avanzo presunto di amministrazione, in sede di redazione del bilancio di previsione, per garantire l'equilibrio economico della gestione alla condizione che l'Ente non possa provvedervi con i mezzi ordinari di finanziamento. Tale circostanza ricorrerebbe nel caso di specie giacché l'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 limiterebbe la contribuzione alle spese di funzionamento che non siano finanziate dalle risorse già incamerate dall'A.R.T.. Si aggiunge, quindi, che, ai sensi dell'art. 45, comma 3, del D.P.R. n. 97 del 2003 l'A.R.T. potrebbe apportare variazioni al bilancio di previsione tramite l'avanzo di amministrazione: - in qualsiasi momento nel corso di esercizio per la copertura delle spese di funzionamento non ripetitive e per spese di investimento tramite delibere di variazione al bilancio di previsione; - per la copertura delle altre spese correnti in sede di assestamento del bilancio di previsione (che, ai sensi dell'art. 20, comma 1, del medesimo D.P.R. n. 97 del 2003, può avvenire sino al mese di luglio sulla base delle risultanze aggiornate dei dati di spesa). Osserva parte appellante che la sentenza impugnata contrasterebbe, pertanto, con le specifiche disposizioni del D.P.R. n. 97/2003. In particolare, il giudice di prime cure avrebbe mancato di prendere in considerazione la circostanza che l'A.R.T. avrebbe avuto a sua disposizione i seguenti strumenti: - la redazione del bilancio preventivo mediante uso dell'avanzo presunto, per impossibilità nel senso precisato di impiego della contribuzione; - le delibere di variazione; - le delibere di assestamento. 7.2 Con il settimo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il settimo e l'ottavo motivo del ricorso di primo grado a mezzo dei quali è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione dei principi giuscontabili di congruità, coerenza e cautela. In particolare, il T.A.R. avrebbe errato nell'affermare che nel caso di specie "gli appostamenti contabili sono stati ispirati a precipua congruità e coerenza con le stime di fabbisogno, in linea con il canone di prudenza cui sono tenuti tutti gli enti pubblici nella redazione della programmazione economico-finanziaria annuale e pluriennale, quale corollario del principio di buon andamento". Secondo parte appellante, detta affermazione non sarebbe corretta in quanto: - per ciò che attiene alla lamentata violazione del principio giuscontabile di congruità e coerenza, l'Autorità, sarebbe obbligata a tenere conto dell'avanzo di amministrazione poiché essa sarebbe una partita attiva ricorrente ogni anno e per ingentissimi importi e, quindi, sarebbe ragionevole, oltre che doveroso, che vada a coprire le partite passive che si presentano ugualmente ogni anno; - per ciò che attiene alla lamentata violazione del principio giuscontabile di prudenza, gli avanzi, per un ammontare di circa 27 milioni di euro, sarebbero effettivi e consolidati, cioè derivanti dal cumulo di avanzi generati da sei anni di contribuzione privata. 7.3 Con l'ottavo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il settimo e l'ottavo motivo del ricorso di primo grado osservando che "ragionevolmente, a partire dal 2022, ed a fronte di una attività in funzione a quel punto da oltre sei anni, occorre che l'Autorità definisca l'entità delle proprie fonti di finanziamento tenendo conto di uno storico [di spese] ormai assestato, di una disciplina la cui interpretazione appare in via di consolidamento e dell'obiettivo di non gravare le imprese di una contribuzione eccessiva là dove il pareggio di bilancio sia garantito". Secondo parte appellante detta statuizione sarebbe incoerente, contraddittoria ed errata perché recherebbe, in sé, l'implicito riconoscimento della fondatezza delle doglianze disattese ai punti precedenti. Sotto tale profilo, con riguardo specifico alla questione del mancato utilizzo degli ingenti avanzi di amministrazione parte appellante ha chiesto che questo Consiglio ponga alla Corte di Giustizia dell'Unione europea il seguente quesito: "Dica la Corte adita se l'art. 56, paragrafo 5, della direttiva UE 2012/34, ai sensi del quale "l'organismo di regolamentazione dispone della capacità organizzativa necessaria, in termini di risorse umane e materiali", osti all'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. n. 201/2011 convertito dalla legge 214/2011 - laddove detto articolo, come nella interpretazione del TAR, non consente che tra le risorse materiali di cui dispone l'ANR siano da annoverare anche gli avanzi di gestione". 8. Tutte le suddette doglianze possono essere scrutinate congiuntamente in ragione dell'intima connessione logica che le avvince e vanno disattese. Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire (Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2646), in generale, seppur con riferimento ad una diversa annualità, che: - "l'art. 37 comma 6 del D.L. n. 201/2011 (...) reca una formulazione assai ampia che non à ncora in maniera rigida, come invece ritenuto dall'appellante, an e quantum della contribuzione al parametro del pareggio di bilancio (id est la semplice copertura dei costi di funzionamento con le entrate)"; - è "più opportuno, nonché maggiormente in linea con il dettato della Carta Costituzionale (art. 97 comma I Cost.) e con la lettura datane dalla Consulta, assumere a riferimento nell'interpretazione della suddetta disciplina, il più elastico concetto di "equilibrio" di bilancio, da intendere, nella sua dimensione naturalmente dinamica (tracciata, in generale, dalla legge n. 243 del 2012), come il raggiungimento di un saldo finale (fondo di cassa) non negativo tra le entrate e le spese previste nel bilancio di previsione, accompagnato dall'obbligo di coprire le spese correnti (ovvero di gestione) con le sole entrate correnti (quali le entrate di diritto pubblico tra cui rientra la contribuzione de qua)"; - "In tale prospettiva deve ritenersi, da un lato, che la scelta dell'aliquota da applicare (con il suo evidente riflesso in termini di entrate per l'Autorità ) non debba necessariamente seguire una logica di mera copertura del fabbisogno storico ma che possa essere assunta anche nell'ottica del reperimento di nuove e maggiori risorse in vista dell'ampliamento delle aree di intervento e del potenziamento dei mezzi a disposizione dell'amministrazione"; - "In questo senso sembra deporre anche l'insegnamento impartito dalla Corte costituzionale nella più volte richiamata sentenza n. 69 del 2017 ove si è avuto modo di chiarire, con formula ancora una volta assai ampia, che "l'entità del prelievo è correlata alle esigenze operative dell'ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima""; - "Dall'altro lato, l'esistenza di un eventuale avanzo di gestione non può considerarsi automaticamente ostativa rispetto all'imposizione e, se del caso, la modulazione in aumento del contributo. Sono, del resto, gli stessi principi di corretta gestione contabile a suggerire una gestione cauta ed oculata delle finanze e non può certo pretendersi che il funzionamento dell'ente venga finanziato unicamente o in misura prevalente a mezzo delle risorse residue degli esercizi precedenti"; - "se dal punto di vista giuscontabilistico l'avanzo di amministrazione può in astratto essere utilizzato dall'Ente pubblico, ciò deve avere luogo secondo il canone della prudenza e, in ogni caso, nei limiti delle ipotesi eccezionali disegnate dall'art. 45 del Decreto del Presidente delle Repubblica del 27 febbraio 2003, n. 97, "Regolamento concernente l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70", ai commi 2, 3 e 4 (disciplina generale alla luce della quale va letto anche il dettato dell'art. 8 del Regolamento interno dell'A.R.T. recante "Disciplina contabile dell'Autorità di regolazione dei trasporti" del 13 settembre 2018 (...))". 8.1 Preme a ciò aggiungere, con riguardo alla gestione dell'avanzo di gestione, che l'art. 45 del Decreto del Presidente delle Repubblica del 27 febbraio 2003, n. 97 ("Regolamento concernente l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70), ai commi 2, 3 e 4, dispone: "3) L'avanzo di amministrazione, può essere utilizzato: a) per i provvedimenti necessari per la salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 5, comma 11, ove non possa provvedersi con mezzi ordinari, per il finanziamento delle spese di funzionamento non ripetitive in qualsiasi periodo dell'esercizio e per le altre spese correnti solo in sede di assestamento". Ne discende che sulla scorta del prefato art. 45: - non è possibile prevedere liberamente l'utilizzo dell'avanzo non vincolato in fase ordinaria di predisposizione del bilancio di previsione (normalmente nel mese di dicembre dell'anno precedente), dovendo fare conseguentemente ricorso, in tale sede, alle sole entrate ordinarie (contributo); - per utilizzare l'avanzo è necessario attendere il rendiconto (approvato entro il mese di aprile dell'anno successivo) ed impiegare, se del caso, la quota parte di avanzo disponibile soltanto in sede di assestamento. Ne è riprova, sul piano sistematico, la circostanza che il legislatore, per far fronte agli "effetti negativi determinati dall'emergenza epidemiologica da COVID-19 sui fatturati degli operatori economici operanti nel settore del trasporto registrati nell'esercizio 2020", ha dovuto introdurre l'art. 3, comma 9-bis, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2021, n. 156) al fine di autorizzare, in via del tutto eccezionale e ed in relazione unicamente all'"esercizio finanziario 2022", l'A.R.T. "a fare fronte alla copertura delle minori entrate derivanti dalla riduzione degli introiti connessi al contributo per il funzionamento (...) mediante l'utilizzo della quota non vincolata dell'avanzo di amministrazione accertato alla data del 31 dicembre 2020". Va, del resto, rammentato che, anche secondo l'orientamento della Corte dei conti Sezione Regionale di Controllo della Lombardia, pareri nn. 133 e 134 del 15/2/2011, l'utilizzo dell'avanzo non vincolato rappresenta "un'evenienza di natura eccezionale, giustificata unicamente al fine di garantire il rispetto del principio di equilibrio in presenza di una situazione particolare quale quella della riduzione dei trasferimenti relativi al contributo ordinario" la cui praticabilità è condizionata alla sussistenza delle seguenti condizioni: "- si tratti di avanzo libero e non vincolato; - si tratti di un avanzo effettivo, risultante a seguito di una completa e precisa disamina dell'effettiva sussistenza dei residui attivi; - sia stato avviato già il procedimento per l'approvazione del rendiconto". 8.2 Preme, poi, evidenziare che, come opportunamente rappresentato da avvocatura erariale, A.R.T. va incontro, in prospettiva, a nuovi fabbisogni di natura strutturale legati all'allargamento della propria sfera di competenza che potranno (anzi dovranno) essere fronteggiati anche a mezzo dell'avanzo sinora registrato (e senza fare leva unicamente su un eventuale aumento dell'aliquota applicabile). Nel dettaglio, l'art. 10, comma 1, lettere a) e b), della l. 5 agosto 2022, n. 118 ha modificato l'articolo 37 della legge istitutiva dell'A.R.T. attribuendole nuove competenze in materia di risoluzione stragiudiziale delle controversie (A.D.R.) prevedendo, inter alia, al comma 3, lettera h), che l'Autorità "disciplina, con propri provvedimenti, le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra gli operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e gli utenti o i consumatori mediante procedure semplici e non onerose anche in forma telematica". L'Autorità ha, quindi, approvato con delibera n. 21/2023 dell'8 febbraio 2023 la "Disciplina, in prima attuazione, delle modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra gli operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e gli utenti o i consumatori, ai sensi dell'articolo 10 della legge 5 agosto 2022, n. 118" e, di riflesso, la l. 29 dicembre 2022, n. 197, contenente il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e il bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, ha previsto che "Ai fini del consolidamento dei poteri dell'Autorità di regolazione dei trasporti previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, l'Autorità è autorizzata ad assumere, a decorrere dal 1° gennaio 2023, ulteriori trenta unità di personale di ruolo a tempo indeterminato". 8.3 In ultimo, occorre sottolineare, sempre in prospettiva, pur venendo in questa sede in rilievo la determinazione del contributo per l'anno 2021, che l'esercizio 2022 ha registrato una diminuzione dell'avanzo di amministrazione disponibile di circa Euro 1.800.000,00 e tanto vale ad inaugurare un trend di segno opposto rispetto a quello che ha caratterizzato le sei annualità precedenti. Non si è, dunque, dinanzi ad un accumulo sistematico di disavanzo da parte dell'Autorità la quale, dopo un periodo iniziale di naturale consolidamento della propria situazione patrimoniale, ha scelto (doverosamente) di attingere ed erodere le provviste esistenti piuttosto che aumentare il peso della contribuzione sugli operatori. Tanto si pone, peraltro, in linea anche con il condivisibile monito già levato dal giudice di prime cure con le statuizioni oggetto di censura a mezzo dell'ottavo motivo di appello. Il T.A.R., del resto, si è limitato, sul punto, a riprendere l'invito, formulato dalla stessa P.C.M. nel decreto del 21 gennaio 2021, a contenere "negli anni futuri, la pressione contributiva a carico dei soggetti vigilati". 8.4 Non può trascurarsi, ancora, che l'aliquota applicabile per la liquidazione del contributo è stata mantenuta anche in relazione all'anno 2021, in misura del 0,6 per mille, così collocandosi poco al di sopra della metà (lo 0,5 per mille) del massimo consentito dall'art. 37 comma 6 del d.l. n. 201/2011 (pari, come detto, all'1 per mille). Il che porta ad escludere, in difetto di più puntuali deduzioni critiche di parte appellante, che la scelta ampiamente discrezionale espressa sul punto dall'Autorità, in quanto ampiamente contenuta entro i limiti di legge, sia manifestamente illogica o irragionevole (e tanto anche a volere prescindere da ogni considerazione in ordine alla circostanza, pure significativa e valorizzata dal giudice di prime cure, che, come emerge dalla relazione illustrativa al bilancio di previsione 2021 l'avanzo di gestione è stato parzialmente vincolato per finanziare, nel corso di tale esercizio, i rimborsi, comprensivi di interessi, agli operatori economici nei cui confronti si è consolidato in senso favorevole il contenzioso amministrativo in materia di contributo). 8.5 Alla luce delle considerazioni appena svolte si appalesa, infine, irrilevante la questione di compatibilità eurounitaria sollevata da parte appellante a mezzo della seconda parte dell'ottavo motivo di appello. In questo senso è appena il caso di rammentare che un giudice nazionale di ultima istanza è esonerato dall'obbligo di rivolgersi alla Corte di giustizia dell'Unione Europea ai sensi dell'articolo 267, terzo comma, T.F.U.E. ove abbia constato, come nel caso di specie, che la questione di interpretazione del diritto dell'Unione sollevata non è rilevante, "vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull'esito della controversia" (così Corte di giustizia UE, Grande Sezione, 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, Catania Multiservizi S.p.A. contro Re. Fe. It. S.p.A., par. 33 e 34). Ebbene, come già si è ampiamente illustrato la normativa interna, per come costantemente interpretata anche dalla giurisprudenza contabile, non vieta del tutto l'impiego degli avanzi di gestione ma lo consente solo in via del tutto eccezionale (come del resto è accaduto anche nella vicenda che occupa nel corso della annualità più recenti). Tanto porta a smentire l'assunto di fondo su cui si basa il quesito prospettato da parte appellante (id est che l'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. n. 201/2011 non consenta "che tra le risorse materiali di cui dispone l'ANR siano da annoverare anche gli avanzi di gestione"). Del resto, sotto altro profilo, come sottolineato dalla difesa erariale, parte appellante neppure prospetta una concreta questione interpretativa dell'art. 56, paragrafo 5, della direttiva UE 2012/34. Quest'ultima disposizione (ad avviso della quale "L'organismo di regolamentazione dispone della capacità organizzativa necessaria, in termini di risorse umane e materiali, proporzionata all'importanza del settore ferroviario nello Stato membro") non si occupa in alcun modo del profilo squisitamente contabile dell'impiego dell'eventuale avanzo ma si limita a richiedere che l'Autorità Nazionale di Regolazione sia concretamente dotata di quanto occorre per svolgere le proprie funzioni (circostanza, questa, nel caso di specie, rispetto ad A.R.T., mai messa in discussione, tanto che, come ampiamente visto supra, si contesta alla stessa l'accumulo di risorse in eccesso). 9. Con il nono motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l'illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione dell'art. 37, comma 6, lett. b) del d.l. 201/2011 in quanto il trasporto di merci su ferro, settore in cui opera la società appellante, non sarebbe attività concretamente regolata dall'A.R.T. né potrebbe esserlo in quanto prestata, come previsto dall'art. 12 del d.lgs n. 112/2015, in regime di libera concorrenza. Osserva, in particolare, parte appellante che l'odierna appellante non sarebbe mai stata destinataria, quale impresa di trasporto ferroviario di merci e di servizi di handling, di provvedimenti specifici o sanzionatori o conformativi dell'A.R.T. e che, semmai, ciò potrebbe essersi posto in relazione ad imprese di trasporto passeggeri su ferro (e non certamente di trasporto di merci su ferro). Si aggiunge che l'appellante, quale impresa di trasporto di merci su ferro, si porrebbe come mera beneficiaria della regolazione, per tutto ciò che concerne, l'accesso alla rete, alle infrastrutture utilizzate per il trasporto merci, le tariffe applicate, le penali, etc.. 9.1 Il motivo è infondato. Possono richiamarsi le osservazioni già svolte supra con riguardo al primo motivo di appello (punto 3.) anche mercé il richiamo al precedente n. 3065 del 2023. Più in generale, va solo aggiunto che, nella giurisprudenza di questa Sezione, a partire dalla sentenza n. 5 del 4 gennaio 2021, si è abbandonato il tradizionale criterio discretivo fondato sulla distinzione fra "destinatari" e "beneficiari" della regolazione, sulla scorta della considerazione che la modifica legislativa apportata al testo dell'art. 37 del d.l. n. 201/2011 ha riportato "entrambe le categorie in un unico concetto unitario, comprendente gli "operatori economici operanti nel settore del trasporto", facendo così risaltare la ratio centrale della disciplina stessa, che si fonda sul beneficio che le categorie imprenditoriali ricevono dalla regolazione stessa, dove quindi la preminenza del fattore di utilità rende superflua la frammentazione nelle due categorie, fermi restando gli ulteriori presupposti per l'effettiva assoggettabilità a tributo". Nel solco degli insegnamenti espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 69 del 2017 si ritiene, peraltro, che condizione di legittimità per l'imposizione del contributo di che trattasi, "stante la omnicomprensività della nozione soggettiva", sia "solo la circostanza dell'effettivo avvio nel mercato di riferimento de "l'esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge"" (così sempre Cons. Stato, sez. VI, del 4 gennaio 2021 n. 5; Cons. Stato, sez. VI, sentenze nr. 1140/2021, 1139/2021, 926/2021, 237/2021, 27/2021). A conferma di tale ricostruzione è, del resto, appena il caso di rilevare che: - se avesse voluto conservare il rilievo della distinzione tra "beneficiari" e "destinatari" della regolazione il legislatore avrebbe recepito tale terminologia in sede di novella e non avrebbe compiuto la diversa scelta lessicale di fare riferimento alla più ampia nozione di "operatori economici operanti nel settore del trasporto"; - a giustificare l'imposizione del contributo è l'utilità di cui godono tuti gli operatori del settore regolato per effetto della regolazione a prescinder dal fatto che siano o meno destinatari diretti di tale attività ; - non ha, in questo senso, pregio la distinzione tra destinatari diretti ed indiretti della regolazione perché in quanto soggetti operanti sul medesimo mercato regolato essi sono tutti inevitabilmente investiti dall'attività di regolazione dell'Autorità . 9.2 In ultimo, deve rammentarsi che, per insegnamento ormai costante della giurisprudenza di questa Sezione, la condizione di legittimità per l'applicazione del contributo di che trattasi costituita dalla regolazione in concreto non sta a indicare quella indirizzata - specificamente - nei confronti di un determinato operatore, ma - in generale - quella rivolta al segmento di mercato in cui le imprese sono attive (così ex multis sentenze nr. 5-9/2021, n. 11/2021, 30 nn. 15-19/2021, nn. 20-23/2021, n. 25/2021, nn. 27-28/2021, nn. 72-73/2021). 10. Per le ragioni esposte l'appello è infondato e va respinto. 11. Sussistono, anche in ragione della parziale novità di talune delle questioni affrontate, giustificati motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere, Estensore Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. COSTANZO Angelo - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Relatore Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Me.To., nato il (Omissis) C avverso l'ordinanza in data 07/03/2024 del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha concluso per l'inammissibilità o per il rigetto del ricorso; letta la memoria inviata dal difensore del ricorrente. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 07/03/2024 il Tribunale di Salerno ha confermato in sede di riesame quella del G.i.p. del Tribunale di Vallo della Lucania in data 19/02/2024, con cui è stata applicata a Me.To. la misura cautelare del divieto di avvicinamento alle persone offese Tu.Ad. e Me.An., con applicazione di braccialetto elettronico, per il reato di cui all'art. 572 cod. pen. 2. Ha proposto ricorso Me.To. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce l'insussistenza dell'attualità del pericolo. Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale i rapporti tra il ricorrente e la moglie erano cessati dalla fine del 2022 a seguito della separazione, essendo stati indebitamente interpretati alcuni passaggi delle dichiarazioni della persona offesa che facevano riferimento al 2023 per mero refuso, dovendosi in realtà intendere che le condotte fossero del 2022. Non era stato dato conto della sussistenza di un pericolo concreto e attuale, in assenza di rapporti con la persona offesa e a fronte della relazione instaurata dal ricorrente con un'altra donna, dovendosi aggiungere la diversa sede di attuale residenza dei due. Richiama il ricorrente un'elencazione di dati fattuali già valorizzati in sede di riesame a conferma dell'artificiosità della ricostruzione, ribadendo il movente patrimoniale - correlato alla gestione dello stipendio, della pensione e dell'indennità di accompagnamento del figlio Pi. - delle calunniose accuse della persona offesa. Segnala l'incongruità degli argomenti esposti nell'ordinanza impugnata per contrastare tale assunto, in assenza di condotte rilevanti nell'ultimo biennio, fermo restando che la persona offesa aveva denunciato i fatti dopo due anni dalla separazione, avendo, per contro, a suo tempo accettato una separazione consensuale. 2.2. Con il secondo motivo ribadisce la frazionabilità della condotta dell'indagato. A fronte del riferimento ad episodi lontani nel tempo, la persona offesa nulla di specifico aveva riferito con riguardo al periodo tra il 2011 e il 2018, essendo irrilevante il generico riferimento a minacce, schiaffi e pugni. Né avrebbe potuto parlarsi di attendibilità frazionata, non potendosi comunque addebitare alla difesa di non aver documentato fatti concreti in contrasto con il narrato della persona offesa e di non aver proceduto direttamente all'escussione del figlio del ricorrente, non sentito dall'organo inquirente su fatti rilevanti. Peraltro non avrebbe potuto affermarsi che le dichiarazioni di Tu.Ad. e della figlia Me.An. si riscontrassero, avendo quest'ultima parlato di un primo episodio del 2020 o 2021, fermo restando che per fatti precedenti non avrebbe potuto farsi riferimento all'incapacità di ricordo da parte della figlia, quando la stessa aveva pochi anni di vita, trattandosi di assunto non corroborato scientificamente, cosicché Me.An. avrebbe dovuto far riferimento ad episodi di almeno dieci anni prima e non solo degli ultimi due anni. Inoltre, la figlia aveva parlato di due soli episodi che la riguardavano, riferiti all'accusa di comparire in filmini porno e a quella di drogarsi, motivata da rossore degli occhi. Si trattava in realtà di condotte non integranti maltrattamenti ma semmai riconducibili all'ipotesi di cui all'art. 571 cod. pen., in quanto sorrette dallo ius corrigendi. In ogni caso la ragazza era animata da sentimenti di ostilità verso il padre, che imponeva una più attenta verifica dell'attendibilità di lei e di quella della madre, alla luce delle incongruità segnalate in merito al ritardo della denuncia, alla mancanza di contrasti in ordine alla separazione consensuale, alla datazione delle condotte maltrattanti, alla contraddittorietà delle versioni di Tu.Ad., al riferimento da parte di Me.An. solo agli ultimi due anni. Contesta il ricorrente gli argomenti valorizzati dal Tribunale per spiegare il mancato riscontro di lesioni e la tardività della denuncia anche a fronte della mancanza di conferme da parte di altre persone, salvi i riferimenti de relato della sorella della persona offesa, ferma restando la mancata escussione del figlio Pi.. Inoltre, avrebbe dovuto considerarsi che l'assunto della persona offesa circa il fatto che il ricorrente non provvedesse al mantenimento era smentito dalla documentazione prodotta in ordine agli emolumenti da lui versati a tale titolo a mani del figlio Pi.. 2.3. Con il terzo motivo deduce l'insussistenza del delitto di maltrattamenti di cui all'art. 572 cod. pen. Il Tribunale aveva negato la cesura tra i due diversi periodi, facendo tuttavia genericamente riferimento a minacce, schiaffi e pugni, non specificamente contestualizzati. Dovendo scindere le condotte, per il primo periodo avrebbe dovuto darsi conto dell'intervenute prescrizione del reato autonomamente configurabile. Per il secondo periodo i fatti narrati avrebbero dovuto reputarsi inidonei ad integrare il reato, dovendo essere inseriti in un quadro di reciproche malversazioni affettive e relazionali. 3. Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria, concludendo per la declaratoria inammissibilità o per il rigetto del ricorso. 4. Ha inviato una memoria di replica il difensore del ricorrente, che ha allegato plurimi atti del procedimento. 5. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, in base alla proroga disposta dall'art. 94, comma 2, D.Lgs. 150 del 2022, come via via modificato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile. 2. Deve in primo luogo segnalarsi come l'atto di impugnazione non formuli rilievi specificamente riconducibili alle categorie di vizi indicate dall'art. 606 cod. proc pen. ma indichi via via temi in relazione ai quali formula deduzioni e censure, in un faticoso divenire argomentativo, non rispondente ai canoni di cui al citato art. 606 cod. proc. pen. 3. Esaminando i temi proposti e le deduzioni a mano a mano formulate, viene in primo luogo posta la questione dell'attualità delle esigenze cautelari, in relazione alla quale si prospetta essenzialmente l'erroneo riferimento a condotte del 2023, l'intervenuta separazione dei coniugi e la conseguente mancanza di rapporti tra gli stessi e la circostanza che essi vivono in Comuni diversi. Va al riguardo rimarcato come la deduzione riguardante il riferimento al 2023 sia aspecifica e inidonea a vulnerare le valutazioni del Tribunale, che da un lato ha dato conto di condotte protrattesi in un lunghissimo arco di tempo, talvolta tradottesi in episodi lesivi più eclatanti e comunque continuate in forma di ingiurie, minacce, schiaffi e pugni, originati da futili ragioni, e dall'altro ha fatto riferimento a condotte successive al 2022, almeno coinvolgenti la figlia, parimenti vittima di condotte maltrattanti, aspetto che, sotto tale angolo visuale, non ha formato oggetto nel ricorso di puntali contestazioni, a fronte di quanto dedotto nell'ordinanza impugnata. Deve aggiungersi che le doglianze esposte nel motivo di ricorso con riguardo alla ricostruzione della vicenda si risolvono nella riproposizione di temi e questioni inerenti al merito, che esulano dalla sfera dello scrutinio di legittimità. Va invero sottolineato che "in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie" (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828). A fronte di ciò deve rilevarsi che il Tribunale ha fornito una ricostruzione non manifestamente illogica o contraddittoria, fornendo risposta alle deduzioni difensive, sottolineando l'attendibilità delle persone offese e la mancanza di finalità strumentali, solo genericamente evocate, alla luce della scelta di addivenire ad una separazione consensuale. Il giudizio del Tribunale in merito al pericolo di reiterazione di condotte della stessa specie, collocato nel contesto storico-fattuale descritto, risulta dunque tutt'altro che illogico, dovendosi considerare che la separazione non implica una radicale cesura di contatti e rapporti, tanto meno se si considera la presenza di due figli, potendosi dunque ritenere conforme alle rappresentate esigenze di cautela l'applicazione di una misura comunque ampiamente idonea a salvaguardare ampi spazi di libertà del ricorrente. Appare comunque utile richiamare in questa sede il principio secondo cui "in tema di maltrattamenti in famiglia, è ininfluente, ai fini del persistere del pericolo di condotte reiterative da parte di soggetto sottoposto a custodia cautelare per il reato commesso in danno del coniuge, la manifestata volontà della persona offesa di separarsi legalmente e di trasferirsi altrove. (In motivazione, la Corte ha precisato che, con riguardo ai reati di violenza domestica e contro le donne, vanno osservati gli obblighi di matrice sovranazionale, con particolare riguardo alla corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione di comportamenti violenti, come previsto dall'art. 51 della Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011, ratificata con legge 26 giugno 2013, n. 77, in un'ottica di prioritaria sicurezza delle vittime o persone in pericolo, che non può essere affidata alla iniziativa delle stesse)" (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023, T., Rv. 285542). 4. Quanto al secondo motivo di ricorso, parimenti esposto attraverso la prospettazione di temi e di doglianze, che si risolvono tuttavia nella riproposizione di questioni inerenti al merito, precluse in questa sede, va rimarcato come il Tribunale abbia tutt'altro che illogicamente ricostruito unitariamente le condotte maltrattanti, escludendo che possa ravvisarsi una cesura protrattasi dal 2011 al 2018, a fronte di una continuità di comportamenti connotati, come detto, da ingiurie, minacce e percosse, seppur non tradottesi in episodi eclatanti, più specificamente descritti. Il Tribunale ha inoltre sottolineato come quei comportamenti avessero avuto quale vittima anche la figlia minore della coppia, che per parte sua ha confermato le dichiarazioni della madre, fornendo ad esse un elemento di riscontro, risultando inconferente, sotto tale riguardo, che la ragazza abbia fatto riferimento a condotte manifestatesi nell'ultimo biennio, e dovendosi inoltre reputare generico l'assunto incentrato sulla pervasiva acrimonia della giovane, peraltro vittima di condotte in alcun modo riconducibili all'alveo dell'abuso di mezzi di correzione, venendo in considerazione modalità in sé illecite e non solo eccedenti i limiti di quanto consentito (si rinvia sul punto ai principi desumibili da Sez. 3, n. 178 10 del 06/11/2018, dep. 2019, B., Rv. 275701; Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv. 269654). Aspecifica in relazione alle valutazioni formulate dal Tribunale risulta inoltre la doglianza avente ad oggetto la pretesa accusa di non aver provveduto al mantenimento del figlio Pi., tema non direttamente coinvolto dal quadro indiziario ricostruito al fine della configurabilità del delitto di maltrattamenti. Coerente risulta infine il rilievo del Tribunale in ordine all'inconferenza ai fini del decidere della mancata escussione del figlio Pi., che peraltro neppure il ricorrente aveva reputato utile far escutere in sede di indagini difensive. 5. Relativamente al terzo motivo, che costituisce una sorta di valutazione di sintesi in ordine alla configurabilità del delitto di maltrattamenti, deve rimarcarsi come le deduzioni difensive nuovamente indulgano nella riproposizione di temi e questioni esaminati dal Tribunale, che ha correttamente e non illogicamente ritenuto che le condotte del ricorrente si erano protratte in continuità in un lungo arco di tempo, senza alcuna possibilità di frapporre una cesura per il periodo tra il 2011 e il 2018, dovendosi inoltre aggiungere che i rilievi difensivi in merito a "reciproche malversazioni affettive e relazionali" disconoscono la diversità dei rapporti di forza dei soggetti coinvolti dalla dolorosa vicenda, diversità tale non consentire di ricondurre i conflitti descritti a mera affermazione di un punto di vista in un contesto litigioso, ma da legittimare la rappresentazione di condizioni di vita intollerabili imposte dalle condotte aggressive e prevaricatrici del ricorrente. Va sul punto richiamato il consolidato orientamento in forza del quale "in tema di maltrattamenti in famiglia, il reato è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato agli effetti civili la sentenza che aveva ritenuto la condotta sopraffattrice unilateralmente tenuta dall'imputato ai danni della convivente "more uxorio" come espressiva di ordinaria "litigiosità di coppia", la quale presuppone invece che le parti della relazione si confrontino, anche veementemente, ma su un piano paritetico, di reciproca accettazione del diritto di ciascuno ad esprimere il proprio punto di vista)" (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273). 6. L'originaria inammissibilità del ricorso, non emendabile dalla successiva memoria difensiva, corredata da allegati, volta primariamente a replicare alle conclusioni del Procuratore generale e a ribadire i temi oggetto del ricorso, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso l'8 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14513 del 2023, proposto da Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri - Fnomceo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Co., Fr. Sa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, viale (...); contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (...); per l'annullamento del decreto del Ministro della Giustizia n -OMISSIS-(Regolamento concernente l'individuazione di ulteriori categorie dell'albo dei consulenti tecnici di ufficio e dei settori di specializzazione di ciascuna categoria, l'individuazione dei requisiti per l'iscrizione all'albo, nonché la formazione, la tenuta e l'aggiornamento dell'elenco nazionale, ai sensi dell'articolo 13, quarto comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, aggiunto, unitamente all'articolo 24-bis, rispettivamente dall'articolo 4, comma 2, lettere a) e g), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, e richiamato dagli articoli 15 e 16 delle stesse disposizioni per l'attuazione, come novellati, dallo stesso articolo 4, comma 2, lettera b) nn. 1 e 3, lettera c), nn. 1 e 2) e dei relativi allegati A e B, nella parte in cui l'allegato A stabilisce per la categoria dell'albo "PSICOLOGIA-AREA ADULTI", i settori di specializzazione: - "CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE) /CAPACITÀ DI STARE IN ATTI" - "PREVIDENZA ADULTI (INDENNITA' DI ACCOMPAGNAMENTO, INDENNITÀ DI FREQUENZA, LEGGE 104, AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, ECC)" - "VALUTAZIONE DEL DANNO" Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con l'odierno ricorso la Federazione professionale ricorrente impugna il Decreto del Ministro della Giustizia 4 agosto -OMISSIS-, adottato in attuazione dell'art. 13 delle Disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 149 del 2022. Il suddetto articolo 13, recante disposizioni circa l'istituzione presso ogni tribunale dell'albo dei consulenti tecnici, stabilisce che detto albo sia diviso in categorie e che le categorie che debbono essere sempre comprese nell'albo siano le seguenti: 1. medico-chirurgica; 2. industriale; 3. commerciale; 4. agricola; 5. bancaria; 6. assicurativa; 7. della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia giuridica o forense. Per l'individuazione di ulteriori categorie dell'albo e dei settori di specializzazione di ciascuna categoria rinvia all'adozione di un decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. Parte ricorrente lamenta che il decreto gravato, attuativo della testé richiamata disposizione, nell'enumerare le competenze possedute da ciascuna categoria professionale, abbia finito per attribuire agli psicologici specializzazioni proprie dell'area medica, e, in particolare, dell'area medico-legale, con pregiudizio per l'intera categoria dei medici, sviando indebitamente la nomina di consulenti da parte dei giudici dai soli professionisti abilitati per legge a svolgere le funzioni diagnostiche che sono alla base delle consulenze nei settori di specializzazione contestati. Pertanto, ne chiede l'annullamento, in quanto asseritamente affetto dai seguenti vizi di legittimità : 1. Violazione e falsa applicazione degli articoli 88 e 89 del codice penale; dell'art. 70 del codice di procedura penale; dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico. L'allegato A del decreto ministeriale impugnato prevede la categoria "PSICOLOGIA-AREA ADULTI" e ad essa attribuisce il settore di specializzazione "CAPACITA' DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE) /CAPACITA' DI STARE IN ATTI", per cui, rimettendo la rilevazione nel caso concreto dell'incapacità di intendere e di stare in atti agli psicologi, presupporrebbe, del tutto illegittimamente, la competenza di detti professionisti a compiere la diagnosi dello stato di infermità sotteso - come ricavabile dalle norme di cui si assume la violazione - agli stessi istituti dell'incapacità di intendere e volere totale o parziale; 2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della l. n. 104 del 1992; dell'art. 2 della l. n. 118 del 1971, dell'art. 1 della l. n. 18 del 1980, dell'articolo 1 della legge n. 508 del 1988 e dell'art. 1 del d.lgs. 23 novembre 1988 n. 509; violazione e falsa applicazione dell'art. 404 del codice civile e dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico. L'allegato A del decreto ministeriale impugnato prevede la categoria "PSICOLOGIA-AREA ADULTI" e ad essa attribuisce il settore di specializzazione "PREVIDENZA ADULTI (INDENNITA' DI ACCOMPAGNAMENTO, INDENNITA' DI FREQUENZA, LEGGE 104, AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, ECC)". La spettanza dei benefici previdenziali previsti dalla legislazione nelle relative fattispecie, così come la concessione dei benefici di cui alla legge n. 104 del 1992 e l'istituto dell'amministrazione di sostegno, passano necessariamente per una indagine di tipo strettamente ed esclusivamente medico -in quanto preordinata alla ricognizione di minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali congenite o acquisite, stabilizzata o progressiva, a oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, a insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, a affezioni fisiche o psichiche, ecc. - cosicché il riconoscimento di una astratta abilitazione degli psicologi compiuto dal decreto ministeriale si risolve in una evidente violazione di tutta la disciplina legislativa sull'attività medica, a danno dei medici, cui soltanto spetta di rendere le relative consulenze, e finisce per minare l'attendibilità delle relative perizie se compiute da non medici; 3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 7-9-2005; del decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 3 luglio 2003; dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico. L'allegato A del decreto ministeriale impugnato prevede la categoria "PSICOLOGIA-AREA ADULTI" e ad essa attribuisce il settore di specializzazione "VALUTAZIONE DEL DANNO". L'accertamento del danno non patrimoniale e, in particolare, del danno biologico esige un accertamento medico-legale secondo quanto desumibile dalle disposizioni di cui si assume la violazione. Il Ministero della giustizia, costituito in giudizio, ha respinto nel merito le censure ex adverso svolte e concluso per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato. Il Consiglio Nazionale dell'ordine degli Psicologi ha preliminarmente sollevato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto d'interesse in ragione di un'asserita mancata lesività dell'atto impugnato e nel merito dedotto l'infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto. L'Ordine ricorrente ha reagito depositando memorie in cui, respinta ogni eccezione, deduzione e allegazione contraria, ha insistito per l'accoglimento del ricorso. All'udienza pubblica del 14 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO In via preliminare il Collegio deve scrutinare l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto d'interesse in ragione di un'asserita mancata lesività dell'atto avversato, formulata dal Consiglio dell'Ordine controinteressato, a dire del quale, il decreto non si occuperebbe di riconoscere competenze specifiche in capo all'uno o all'altro professionista né ridurrebbe le competenze dei medici rispetto a quelle individuate dalle specifiche leggi. L'eccezione è infondata. L'interesse al ricorso, inteso quale lesività del regolamento per gli interessi dei medici rappresenta l'oggetto del presente giudizio, visto che la Federazione ricorrente sostiene che taluni settori di specializzazione riconosciuti in capo alla categoria degli "Psicologi-Area adulti" sottraggono competenze ai propri iscritti. In particolare, sostiene che l'attività di mera ricognizione degli ambiti di attività di ciascuna professione effettuata - da realizzare con l'esercizio del potere regolamentare - avrebbe condotto all'individuazione di ambiti consulenziali non corretti, che ha comportato un indebito ampliamento delle competenze professionali degli psicologi ed una corrispondente invasione di quelle proprie dei medici. Neanche la mancata censura dell'inserimento nell'Allegato A al Decreto -OMISSIS-dello stesso settore di specializzazione della "CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE)/CAPACITÀ DI STARE IN ATTI anche nella categoria "PSICOLOGIA-AREA MINORI" rappresenta un utile argomento a sostegno della tesi della mancanza di interesse al ricorso, visto che, come condivisibilmente evidenziato da parte ricorrente, la mancanza di capacità di intendere e volere nei minori non è necessariamente legata ad uno stato di infermità ma connessa al livello di sviluppo di una personalità in evoluzione. Pertanto l'eccezione di difetto di interesse è da respingere. Quanto al merito, si controverte intorno alla legittimità del regolamento di cui al decreto del Ministero della giustizia 4 agosto 202, n. -OMISSIS-, adottato ai sensi dell'art. 13 delle disposizioni attuative al codice di procedura civile, che, in particolare, nel prevedere che presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici e che l'albo è diviso in categorie, prevede che: "Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, sono stabilite le ulteriori categorie dell'albo e i settori di specializzazione di ciascuna categoria. Con lo stesso decreto sono indicati i requisiti per l'iscrizione all'albo nonché i contenuti e le modalità della comunicazione ai fini della formazione, della tenuta e dell'aggiornamento dell'elenco nazionale di cui all'articolo 24-bis" (13, quarto comma, disp. att. c.p.c., introdotto dall'art. 4, co 2, lett. a), del dlgs. n. 149 del 2022). Il provvedimento si inserisce nell'ambito dell'ampia riforma del processo civile prevista dal d.lgs. n. 149 del 2022, sulla base della delega di cui alla legge n. 206 del 2021, e, in particolare, si innesta nella disciplina degli albi dei consulenti tecnici prevista dagli articoli da 13 a 24 delle disp. att. c.p.c. Nello specifico detta normativa secondaria è tesa a superare il sistema ante riforma del 2022, caratterizzato - a causa della mancanza di previsioni normative puntuali e adeguate - dalla multiformità degli albi territoriali, con l'obiettivo di razionalizzare ed uniformare gli albi dei consulenti per tutti gli uffici giudiziari del territorio nazionale, nel contesto - si ribadisce - della riforma del processo civile, volta in generale a far fronte alle criticità che incidono negativamente sull'efficienza del sistema giudiziario e di quello economico nel suo complesso. In tale prospettiva, obiettivo prioritario della riforma sul punto è di far emergere dalle iscrizioni all'albo dei CTU le indicazioni puntuali e il più possibile rispondenti allo spessore professionale del consulente tecnico, di qui l'esigenza di: - ampliare le categorie professionali dei consulenti tecnici e prevedere i relativi settori di specializzazione, adeguati ai mutamenti interventi; - individuare i contenuti dell'albo, della domanda di iscrizione e le condizioni per la sospensione e cancellazione volontaria, nonché i requisiti necessari ai fini dell'iscrizione allo stesso e le condizioni per il mantenimento nel tempo della iscrizione con gli obblighi di formazione professionale continua, valevoli per tutti gli albi; - garantire la trasparenza delle nomine mediante sistemi informatici e pubblicazione sul sito dell'ufficio giudiziario; - assicurare forme di pubblicità e divulgazione delle competenze e dell'esperienza degli iscritti agli albi territoriali, attraverso l'istituzione presso il Ministero di un elenco nazionale dei consulenti tecnici, accessibile pubblicamente online, suddiviso in categorie e specializzazioni, e contenente i conferimenti degli incarichi e le eventuali revoche; - prevedere la digitalizzazione sia degli albi che dell'elenco nazionale. Tanto premesso, ponendo attenzione al caso che ci occupa, le recriminazioni di parte attrice si appuntano sul riconoscimento di cui all'allegato A del Regolamento adottato alla categoria della "Psicologia-Area adulti" di una serie di settori di specializzazione che non sarebbero affatto propri della professione di psico, attenendo al contrario alla professione medica, con conseguente illegittimità dello stesso Regolamento. Segnatamente si tratta delle seguenti specializzazioni: - CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE) /CAPACITÀ DI STARE IN ATTI, che nella prospettazione attorea darebbe luogo al vizio di Violazione e falsa applicazione degli articoli 88 e 89 del codice penale; dell'art. 70 del codice di procedura penale; dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico; - PREVIDENZA ADULTI (INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO, INDENNITÀ DI FREQUENZA, LEGGE 104, AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, ECC.), che darebbe luogo al vizio di Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della l. n. 104 del 1992; dell'art. 2 della l. n. 118 del 1971, dell'art. 1 della l. n. 18 del 1980, dell'articolo 1 della legge n. 508 del 1988 e dell'art. 1 del d.lgs. 23 novembre 1988 n. 509; violazione e falsa applicazione dell'art. 404 del codice civile e dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico; - VALUTAZIONE DEL DANNO, da cui discenderebbe il vizio di Violazione e falsa applicazione degli artt. 138 e 139 del D. Lgs. n. 209 del 7-9-2005; del decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 3 luglio 2003; dell'art. 1, comma 566 della legge n. 190 del 2014, nonché della nozione di atto medico consolidata nell'ordinamento giuridico. In particolare, dopo aver premesso che la scelta compiuta in sede regolamentare, asseritamente consistente nell'attribuzione agli psicologi di specializzazioni proprie dell'area medica, e, segnatamente, dell'area medico-legale, è fonte di pregiudizio per l'intera categoria dei medici, "sviando indebitamente la nomina dei giudici dai soli professionisti abilitati per legge a svolgere le funzioni diagnostiche che sono alla base delle consulenze nei settori di specializzazione di cui si tratta", la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri - FNOMCeO con i suddetti motivi di ricorso sostiene che la prospettata mancata possibilità di nomina di medici in questi casi comporta una violazione delle disposizioni specificamente individuate, le quali postulano direttamente o indirettamente l'intervento di un medico ovvero l'esercizio di funzioni mediche. In proposito, il Collegio premette che le suddette disposizioni, di cui si lamenta la violazione o falsa applicazione con i motivi di censura formulati nell'atto introduttivo del giudizio, effettivamente si basano sulla necessità di (anche se non necessariamente in via esclusiva) acquisire una valutazione medica ovvero di effettuare indagini di tipo medico, quindi, da questo punto di vista, gli argomenti dispiegati da parte ricorrente appaiono condivisibili. Tuttavia, questi argomenti da soli non conducono ad una declaratoria di illegittimità del regolamento impugnato se prima non si dimostra la correttezza della premessa logica su cui è impiantata la difesa attorea: l'attribuzione agli psicologi dei suddetti settori di specializzazione conferisce loro competenze proprie dei medici, con nocumento per gli interessi di questi in sede processuale, a cui sarebbero sottratte. In proposito, il controinteressato sostiene che esiste un principio, affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 345/1995, di concorrenza parziale e di interdisciplinarità in ambito professionale, sempre più necessarie in una società, quale quella attuale, i cui interessi si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità, che portano ad escludere una interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica; di qui la tesi dell'assenza di lesività dell'atto impugnato con riferimento alle competenze mediche esercitabili nell'ambito processuale e del tentativo, corporativistico, di escludere gli Psicologi da un settore nel quale la categoria dei Medici vorrebbe l'esclusività, ad onta della prassi pluridecennale e di specifiche previsioni normative. Orbene, se, in linea teorica, secondo quanto prospettato dall'Ordine controinteressato, l'accertamento di talune condizioni fisiche e mentali del soggetto, al fine della valutazione della sussistenza della capacità di intendere e volere ovvero della meritevolezza dell'ammissione ad istituti di previdenza o ancora della predicabilità e valutazione del danno non patrimoniale, possono richiedere una concorrenza, in ragione di un rapporto di complementarietà, delle sfere di competenze di diverse professioni sanitarie, l'attuale declaratoria delle specializzazioni contenute nell'allegato A rischia tuttavia di attribuire in questi ambiti in sede processuale competenze esclusive agli psicologi. In proposito, va rilevato che se si scorre l'elenco dei settori di specializzazione che nell'Allegato A vengono individuati in relazione alla categoria di "MEDICINA E CHIRURGIA" - per qualunque area (MEDICA, DIAGNOSTICA, DI CHIRURGIA, SANITÀ PUBBLICA) - emerge che la "SPECIALIZZAZIONE" rappresenta specialità mediche, sfere di competenza professionale, specifiche branche della scienza medica (v., a titolo esemplificativo, ALLERGOLOGIA; MALATTIE INFETTIVE; EPIDEMIOLOGIA; ecc.), disancorate del tutto dagli istituti giuridici e dalle fattispecie in cui può emergere per il giudice la necessità di una consulenza tecnica. I settori di "SPECIALIZZAZIONE" al centro dell'odierna lite individuati con riferimento alla categoria degli "PSICOLOGI-AREA ADULTI", al contrario, coincidono non con aree del sapere e specialità tipiche di quella professione, ma proprio con le fattispecie e gli istituti giuridici che postulano la nomina di consulenti tecnici d'ufficio ("CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE)/CAPACITÀ DI STARE IN ATTI"; "PREVIDENZA ADULTI (INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO, INDENNITÀ DI FREQUENZA, LEGGE 104, AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, ECC)"; "VALUTAZIONE DEL DANNO"). Emerge dunque una disomogenità del modus operandi ai fini dell'individuazione dei settori di specializzazione per le diverse categorie di professioni sanitarie di cui è causa ("MEDICINA E CHIRURGIA" e "PSICOLOGIA - AREA ADULTI"), oltre che, in realtà, all'interno della stessa categoria, visto che con riferimento alla "PSICOLOGIA - AREA ADULTI" i settori di specializzazione ora vengono rinvenuti negli istituti giuridici eventualmente oggetto delle controversie che il giudice è chiamato a definire - che sono gli stessi cui l'odierno ricorrente indirizza le sue doglianze - ora in base alla specialità o a una determinata area del sapere professionale (v. ad esempio, i settori di specializzazione della PSICODIAGNOSI (DIAGNOSI PSICOLOGICA, DIAGNOSI NEUROPSICOLOGICA, ECC) e della PSICOLOGIA GIURIDICA O FORENSE). A dire il vero, la denunciata disomogeneità è connessa alla difficoltà di considerare settori di specializzazione - di cui, è il caso di evidenziare, il Regolamento non offre, tuttavia, una definizione - quelli (che nel ricorso sono oggetto di contestazione) della CAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE (PENALE E CIVILE) /CAPACITÀ DI STARE IN ATTI, la PREVIDENZA ADULTI (INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO, INDENNITÀ DI FREQUENZA, LEGGE 104, AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, ECC) e la VALUTAZIONE DEL DANNO. Tanto premesso, pertanto, rebus sic stantibus, in mancanza della previsione di identici o analoghi settori di specializzazione anche nell'ambito della categoria di "MEDICINA E CHIRURGIA" il rischio di una preclusione dell'esercizio delle competenze mediche in questi ambiti, con esclusione della possibilità di nomina per una consulenza tecnica d'ufficio da parte del giudice, si mostra quale eventualità concreta. In altri termini, il giudice che avrà bisogno di nominare un consulente tecnico in giudizi in cui vengano in rilievo questioni che riguardano la capacità di intendere e volere ovvero la capacità di stare in atti ovvero gli istituti di previdenza legislativamente previsti in favore degli adulti (indennità di accompagnamento, legge 104, amministrazione di sostegno) sarà spinto (se non addirittura tenuto) ad attingere nell'albo dei consulenti tecnici alla categoria degli psicologi, con pretermissione in ambito processuale delle competenze proprie della professione medica. E da questo dimostrato rischio di preclusione di nomina di CTU nell'ambito di soggetti appartenenti alla categoria di "MEDICINA E CHIRURGIA" discendente dall'attuale elenco dei settori di specializzazione previsto dall'allegato A del Regolamento impugnato deriva l'illegittimità di detto atto alla stregua di tutti e tre i motivi di ricorso formulati dalla Federazione ricorrente. Da questo punto di vista non sembra cogliere nel segno l'argomento del Dicastero resistente che, di contro le doglianze di parte ricorrente di restrizione delle competenze in ambito processuale dell'intera categoria della professione medica, deduce che in ogni caso nulla vieta al singolo professionista di produrre, a sostegno della propria domanda di iscrizione all'albo dei consulenti tecnici, titoli di studio, universitari e post-universitari, unitamente alla comprovata pregressa esperienza lavorativa, onde tratteggiare un profilo di specializzazione che ricada in più ambiti fra loro combinati. Conclusivamente il ricorso va accolto e, per l'effetto, il regolamento impugnato deve essere annullato, salvo le ulteriori determinazioni dell'amministrazione, che potrà definire i settori di specializzazione delle categorie professionali in contestazione nel rispetto delle specifiche competenze, senza che ciò finisca per incidere sull'interdisciplinarità che in certi ambiti è richiesta. La peculiarità, novità e complessità delle questioni trattate, giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione; fatti salvi gli ulteriori atti di competenza dell'Amministrazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 14 febbraio 2024 e 22 aprile 2024, con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE QUINTA CIVILE La Corte così composta: Dr.ssa (...)ssa (...) dr.ssa (...) rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al numero (...)/2017 e vertente TRA (...) e (...), questi ultimi in proprio e quali esercenti la patria potestà sulla figlia, (...) ((...) E (...) (Avv.ti (...) e (...) E (...) S.p.a. (Avv. (...) OGGETTO: appello avverso la sentenza n. (...)/2016 emessa dal Tribunale di Roma RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Il Tribunale di Roma, con sentenza n. (...)/2016, ha respinto la domanda proposta da (...) e (...) in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori (...) e (...) che avevano agito nei confronti dell'(...) che aveva chiamato a sua volta in causa la (...) di (...) all'epoca (...) s.p.a., per ottenere l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno patito, a seguito delle gravi lesioni riscontrate a carico di (...) e ricondotte a ipocapnia iatrogena da ventilazione meccanica non correttamente applicata presso il reparto di terapia intensiva dell'(...) in occasione del ricovero neonatale alla 29esima settimana di gestazione, dopo gravidanza complicata da gestosi e ricovero della (...) per minaccia di parto prematuro; ha compensato tra le parti le spese di lite e di ctu. (...) e (...) in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore (...) hanno proposto appello avverso la citata sentenza e hanno chiesto la riforma della sentenza e la condanna degli appellati al pagamento di Euro 3.640.672,00. L'(...) ha domandato che fosse accertato e dichiarato che nessuna responsabilità professionale era imputabile ai sanitari dell'azienda e rigettarsi l'appello; nel caso in cui dovesse essere ravvisata una qualche responsabilità della convenuta (...) condannare la (...) s.p.a. a tenere indenne e manlevare in forza della domanda di garanzia. (...) S.p.a. ha così concluso: "In via principale "1) In via pregiudiziale, dichiarare accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'appello, per le ragioni evidenziate nella narrativa del presente atto; 2) nel merito, rigettare l'appello principale e, per l'effetto, confermare la sentenza impugnata in ogni sua parte; 3) In via subordinata, contenere la condanna del nosocomio convenuto entro il limite dei danni effettivamente subiti dagli attori, di cui si ritenga raggiunta la prova; 4)dichiarare il difetto di legittimazione passiva di (...) s.p.a. rispetto alla domanda risarcitoria, per come estesa dagli (...) direttamente nei confronti dell'(...) di (...) IN RELAZIONE ALLA DOMANDA DI MANLEVA: 5) accertare e dichiarare che la polizza operativa all'epoca dei fatti per cui è causa è la n.73/60/(...) e per l'effetto, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda risarcitoria, dato atto che (...) (ora (...) s.p.a.) ha assunto il rischio nei limiti della propria quota pari al 49%, delimitare la sua eventuale obbligazione a tale quota, sempre e comunque nei limiti del massimale di polizza pari ad euro 387.342,67 e rigettare per l'effetto ogni diversa e maggiore pretesa avanzata; 6) Nella denegata e assurda ipotesi in cui l'(...)ma Corte dovesse ritenere operativa la polizza n. 73/60/106727, dato atto che (...) (ora (...) s.p.a.) ha assunto il rischio nei limiti della propria quota pari al 35%, delimitare la sua eventuale obbligazione a tale quota, sempre e comunque nei limiti del massimale di polizza pari ad euro 1.549.370,69 e rigettare per l'effetto ogni diversa e maggiore pretesa avanzata; (...) 7) con vittoria di spese e competenze del presente grado di giudizio". La causa è stata riservata in decisione, ex art. 127 ter c.p.c., alla scadenza del termine stabilito per il deposito di note sostitutive dell'udienza di trattazione scritta fissata per il 9 novembre 2023, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Il presente giudizio è stato introdotto dagli odierni appellanti (attori in primo grado), che come sopra riportato hanno agito in primo grado nei confronti dell'(...) per ottenere il risarcimento dei danni subiti, ponendo a fondamento della domanda i seguenti fatti. In data (...) incinta, si era ricoverata d'urgenza, presso il nosocomio, con la diagnosi "(...) di parto prematuro alla 29° settimana". In data (...) nasceva prematuramente (...) con parto spontaneo che alla nascita pesava 1300 grammi ed aveva un indice (...) sia al primo che al quinto minuto, pari ad 8. I sanitari decidevano di ricoverarlo presso il reparto di terapia intensiva neonatale con diagnosi di immaturità grave. A (...) veniva diagnosticata una "paralisi cerebrale infantile con grave disturbo oculomotorio e visus cognitivo" da cui continua ad essere affetto a causa dell'inadeguato trattamento sanitario praticato del personale "del reparto di terapia intensiva dell'(...) ove (...) avrebbe subito una ipocapnia iatrogena, causata dalla ventilazione meccanica non correttamente ed adeguatamente applicata. Dopo essere stata espletata una consulenza tecnica veniva emessa la sentenza gravata. Il Tribunale ha respinto la domanda risarcitoria sul presupposto che, all'esito delle risultanze dell'espletata (...) tecnica d'ufficio e dell'esame degli atti di causa, non era stata accertata con sufficiente grado di probabilità la riconducibilità delle lesioni, da cui (...) era affetto, alla prestazione professionale, essendo state le lesioni favorite dalla condizione stessa di prematurità e di riduzione dell'apporto di ossigeno determinata da diversi fattori; mentre la ipocapnia si era manifestata allorquando (...) era stato estubato ed era in condizioni di respirazione autonoma da circa otto ore. Gli appellanti hanno criticato la sentenza sostanzialmente perché la decisione ha posto a fondamento la ctu del Dott. Bo. contenente risposte erronee, senza altresì prendere in considerazione le risultanze della consulenza di parte redatta dal (...) professore di neonatologia, che aveva contestato quanto sostenuto dal perito. Perciò hanno insistito nel rinnovo della Ctu da affidare ad un consulente esperto in neonatologia. (...) è fondato e può trovare accoglimento. Innanzitutto, la censura con la quale gli appellanti si dolgono del fatto che il Tribunale ha recepito le risultanze della relazione tecnica d'ufficio e reso una decisione fondata sugli errori compiuti dal perito, deve ritenersi allo stato superata e conseguentemente irrilevante perché, in accoglimento della richiesta, è stata espletata nel presente grado una nuova consulenza tecnica. Nelle conclusioni della relazione di perizia, redatta dal Dott. (...) specialista in (...) e dalla Dott.ssa (...) specialista in (...) e (...) si legge: "1) se il quadro clinico emergente dagli accertamenti diagnostici eseguiti sulla madre all'atto del ricovero avrebbe imposto ulteriori approfondimenti clinici e diagnostici ed eventualmente quali e se gli stessi consentivano la individuazione di una diversa diagnosi: La signora (...) veniva ricoverata presso il (...) di (...) ed (...) dell'(...) con corretta diagnosi di "(...) di parto pretermine alla 29 settimana". (...) anamnestica posta e gli accertamenti clinici effettuati rilevavano inoltre una contestuale ipertensione gestazionale. Il complessivo approccio assistenziale posto nei confronti della signora è stato sostanzialmente corretto, in linea con quanto previsto all'epoca dei fatti per la condizione clinica riscontrata. Così come argomentato, si rilevano alcune criticità nel mancato monitoraggio della diuresi e della proteinuria della paziente, a completamento diagnostico della condizione di preclampsia, ma si ritiene che tale mancante valutazione diagnostica non abbia in realtà influito sull'operato sanitario sostenuto, per cui non erano comunque attesi atteggiamenti diversi anche in caso di rilievi alterati. Questi non avrebbero inoltre influito neppure sul timing del parto, ormai imminente 2) se sono stati eseguiti tutti gli accertamenti clinici e diagnostici per valutare le condizioni del feto durante il ricovero e siano stati eseguiti i controlli necessari e prescritti secondo la migliore scienza medica: La valutazione del benessere fetale è avvenuta ad opera prevalentemente del personale ostetrico, con effettuazione di (...) e due tracciati CTG (il cui referto cartaceo non è presente in cartella clinica). In tre occasioni si ha traccia di intervento medico, con prescrizione di terapia antipertensiva, valutazione clinica della paziente e del cardio-tocogramma. Non presente esame ecografico del feto. Tale valutazione diagnostica delle condizioni fetali appare non adeguata al quadro clinico, correttamente diagnosticato, di gestosi gravidica e travaglio di parto pretermine, nè conforme a quanto atteso. Tuttavia, vi è consenso unanime nel riconoscere lo scarso valore predittivo della CTG nel feto altamente pretermine; similmente, la valutazione ecografica fetale pre-parto, nella fattispecie, non avrebbe influito sull'assistenza materna, né sulle decisioni di espletamento del parto, ormai imminente. Si reputa dunque che, nel caso concreto, le inadeguatezze assistenziali descritte assumano scarso rilievo ai fini delle decisioni mediche intraprese e dell'outcome fetale, realizzatosi in parto spontaneo un'ora e mezza dopo l'ultimo tracciato, definito comunque nella norma. 3) Quale fosse la diagnosi del neonato al momento della nascita, da quali patologie fosse eventualmente affetto e le ragioni che ne abbiano potuto determinare l'insorgenza: (...) veniva ricoverato con diagnosi di: "distress respiratorio in prematuro grave", con epoca gestazionale ecograficamente stimata di 29 settimane. In seguito, il neonato ha manifestato alcune patologie quali: distress respiratorio; ipoglicemia; anemia; iperbilirubinemia, condizioni morbose riconducibili alla prematurità. 4) se la patologia riscontrata si ponga in rapporto di derivazione eziologica rispetto all'errore/omissione diagnostico: La diagnosi posta al momento della nascita si reputa corretta; non altrettanto appare la gestione medica di alcune delle manifestazioni morbose mostrate nei primi giorni di vita. Precisamente, si rileva uno scarso monitoraggio dei parametri emogasanalitici e glicemici; un'omessa tempestiva correzione degli stessi, comunque risultati ripetutamente alterati, correzione facilmente attuabile con opportune rimodulazioni dei parametri ventilatori e dell'apporto glucidico. Tale inappropriatezza assistenziale ha determinato il protrarsi di una condizione di ipocapnia ed iperossia iatrogene con ipoglicemia. Il ruolo gravemente neurolesivo di tali fattori, peraltro insistenti in uno stesso arco temporale, è ben documentato da (...) coeva e precedente al tempo dei fatti di causa, così come diffusamente precedentemente argomentato. 5) Se in particolare sussiste o meno un nesso tra l'ipocapnia iatrogena e la ventilazione meccanica effettuata, nonché la patologia derivata: Valori di anidride carbonica ((...)) al di sotto dei 35 mmHg determinano una risposta vasocostrittiva e conseguentemente una diminuzione del flusso cerebrale, con potere neurolesivo inversamente proporzionale al valore di p(...) ematica riscontrato. Il ruolo di tale meccanismo nella patogenesi di lesioni ischemiche cerebrali, maggiormente incidenti in un parenchima ancora gravemente immaturo, è acclarato, così come la sua correlazione con successivi esiti consistenti in paralisi cerebrale e disordini neurocomportamentali. Risulta dunque un chiaro nesso di derivazione causale fra il quadro di seria leucomalacia periventricolare (...) accertata, con i relativi attuali esiti invalidanti nel periziato e l'operato sanitario improprio fornitogli nei primi giorni di vita. Va tuttavia riconosciuto come, sia pure in minor misura, parte delle attuali condizioni di disabilità del periziato siano altresì ascrivibili alle preesistenti e concorrenti condizioni di grave prematurità e gestosi materna, incidenti sulla vulnerabilità del sistema nervoso neonatale. 6) La percentuale dell'invalidità permanente riscontrabile in danno di (...) in esito a grave leucomalacia periventricolare a genesi prevalentemente colposa presenta una paralisi cerebrale con riferimento ai comuni baremès valutativi ed in particolare a quello edito dalla (...) configurante danno biologico permanente, complessivo dell'80%, di cui, più probabilmente che non, quota parte, del 10% (...)%, da ascrivere alle peculiari preesistenze (prematurità e gestosi materna), il restante 70 (...)%, da considerarsi quale maggior danno da colpa professionale (per imperizia, imprudenzia e negligenza) dei sanitari ospedalieri intervenuti. 7) Le percentuali di ITT ed ITP sofferte dall'(...) Tenuto conto delle condizioni di grave prematurità del neonato, di per sé bisognevoli di prolungata assistenza, nonché della gravità del danno biologico permanente complessivamente residuato, non appare quantificabile un periodo di malattia ascrivibile alla riconosciuta colpa professionale. 8) Le spese mediche documentate ed eventualmente quelle necessarie da sostenere in futuro: "Non risultano spese mediche sostenute. Non sono previste né prevedibili spese mediche future, che non siano ristorabili dal (...) peraltro in periziato invalido civile, titolare di indennità di accompagnamento. ". A seguito delle osservazioni dei (...) tecnici di tutte le parti, attrice, convenuta (...) e chiamata (...) i periti hanno risposto su tutti i rilievi in modo specifico, dettagliato e motivato. Infatti, in risposta alle note critiche è così scritto "I (...) delle (...) mostrano, per lo più, di condividere, infine, l'analisi clinica dei sottoscritti (...) d'(...) e dunque l'ammissione, nel caso, di manifeste condotte professionali colpose. Dissentono tuttavia, seppure contraddittoriamente, sulle conclusioni valutative, in termini di danno biologico e di danno differenziale. In particolare quelli della (...) singolarmente in accordo con quelli di (...) postulano che: "Nel caso di specie non vi è alcuna dimostrazione di un danno base legato alla prematurità o gestosi materna ...", salvo infine ammettere che tale danno, in mancanza di sicuri criteri discriminatori, potrebbe essere valutato in una misura pari alla metà (dunque del 40%), rispetto al complessivo danno biologico permanente dell'80%, nel caso riconoscibile, in esiti. Diversamente i (...) della (...) di (...) ammettono che quota parte (almeno del 30%), del suddetto danno biologico permanente complessivo dell'80% possa essere ascritta a prematurità e gestosi, e solo il restante 50% all'incontestabile colpa professionale riconosciuta. Infine, in totale contraddizione, i consulenti di (...) minimizzano il ruolo della prematurità e della gestosi, pur presenti, attribuendo l'intero danno biologico permanente, nel periziato residuato (ed a loro avviso valutabile in misura del 90 anziché dell'80%) ad esclusive ragioni iatrogene colpose. In realtà è assodato come prematurità e gestosi materna costituiscano fattori intrinseci ed indipendenti di danno, tanto più se, come nel caso specifico, concorrenti, suscettibili di produrre una lesività cerebrale fetale anche significativa, in particolare, la prima arrestando precocemente il fisiologico sviluppo di tutti gli organi e del cervello, la seconda creando condizioni sfavorevoli di sviluppo e nutrizione fetale, ampliando notevolmente il potenziale nocivo di ulteriori eventi patogeni e/o no(...)ae lesive. Abbiamo peraltro già riportato le stime della mortalità e morbosità nei neonati pretermine con caratteristiche di prematurità analoghe al nostro, ancorché, diversamente da quest'ultimo, assistiti correttamente, in linea con le raccomandazioni vigenti, i quali, in percentuali oscillanti tra il 5 e il 7% (percentuali evidentemente non elevate, ma, comunque, significative), possono presentare comunque, a distanza di tempo, reliquati neurosensoriali anche gravi. (...) parte, nel nostro caso, a tale dato epidemiologico, inerente la morbosità legata alla prematurità, va aggiunto quanto ascrivibile alla contestuale gestosi materna, condizione patologica il cui potenziale neurolesivo è altrettanto ben conosciuto e riportato in (...) Per tali ragioni, i sottoscritti (...) d'(...) a fronte della gravità dell'insulto iatrogeno colposo, nel caso evidentemente riconoscibile e preponderante, sulla base di un criterio certamente probabilistico (del più probabile che non), hanno ritenuto di riconoscere un ruolo, ancorché sensibilmente minore, nel determinismo del complessivo danno neurologico neonatale dell'80%, contenendone la valutazione nell'ordine del 10%. Quanto alla valutazione complessiva del danno biologico permanente del periziato, dell'ordine dell'80%, è stata espressa, ai limiti inferiori di un range valutativo dell'80- 90%, in considerazione degli attuali esiti disfunzionali a carico dell'apparato neuropsichico, (...) essendo attualmente affetto da un disturbo neuromotorio a carico dei quattro arti, maggiormente a carico di quelli inferiori, per quanto non deambulante, lucido, orientato, privo di disturbi ideo-percettivi, dotato di corretta competenza linguistica e buon livello culturale, ancorché con orientamento depressivo della timo-psiche. Va comunque esclusa, nel caso, la valutazione di un maggior danno in termini di inabilità temporanea assoluta, in quanto tale inabilità appare sostanzialmente sovrapponibile, in neonato prematuro, nato da madre gestosica, con le corrispondenti condizioni di base, e tanto più, in termini di inabilità temporanea parziale, a fronte di un danno biologico permanente in misura ben superiore..... Con riferimento a quanto fin qui rilevato, i sottoscritti, in unanime sintonia interpretativa e valutativa, espressa in scienza e coscienza, alla luce della letteratura scientifica, degli indirizzi di scuola e delle linee guida, possono confermare le conclusioni diagnostiche e valutative, già espresse nella propria bozza peritale e sopra riportate.". (...) redatto dai consulenti nominati nel presente grado di giudizio appare il frutto di un lavoro accurato, minuzioso, puntuale, immune da vizi logici e con riferimenti alla letteratura scientifica nazionale e internazionale, oltre che condiviso nell'analisi clinica dai consulenti di parte. Ritiene, dunque, questo Collegio di poter porre a fondamento della propria decisione le risultanze tecniche suesposte, peraltro alla stregua del consolidato principio della Corte di Cassazione secondo cui "il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. (...)/22)"; e ancora "(...) il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l'accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede (...)potendo il richiamo, anche "per relationem" dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l'ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all'una o all'altra conclusione" (Cass. 15147/18). Del resto, la condivisione di questo secondo elaborato piuttosto che del primo (ovvero relazione del ctu Dott. (...) medico chirurgo), trova spiegazione - ciò in ossequio al principio della necessità di un'analisi comparativa, e non anche di una adesione acritica da parte del giudice alle conclusioni peritali di una delle consulenze tecniche d'ufficio, espletate in tempi diversi e pervenute a conclusioni difformi (Cass. 14588/2021) - nei seguenti fatti. (...) è stato compiuto da specialista della patologia da esaminare ed i periti di parte hanno condiviso l'analisi clinica dei consulenti d'ufficio, così invero anche le stesse parti appellate (cfr. conclusionale (...) "tale sopravvenienza istruttoria non è censurabile tout court, nella parte in cui ravvisa un errore/inadempimento riferibili ai medici del (...) per altro verso occorrerà convenire che la valutazione del danno iatrogeno proposta nell'elaborato peritale sia esagerata, eccessivamente penalizzante per il (...).") Circostanza questa dirimente perché idonea a palesare le ragioni della scelta compiuta dal giudice (sempre cass. cit.). Consegue che deve ritenersi provato il danno causato per colpa professionale medica ("nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno..." Cass. 3704/18), stante le risultanze tecniche riportate che hanno evidenziato una colpa nell'operato dei medici per lo scarso monitoraggio dei parametri emogasanalitici e glicemici; per l'omessa tempestiva correzione degli stessi, comunque risultati ripetutamente alterati. Inappropriatezza assistenziale che ha determinato, così come scritto, il protrarsi di una condizione di ipocapnia ed iperossia iatrogene con ipoglicemia. L'(...) deve essere, dunque, condannato al risarcimento del danno patito dagli appellanti. Con riguardo alla quantificazione del danno, attese le risposte compiute ed esaustive date alle osservazioni espresse dai ctp, si ritiene anche sotto tale aspetto di condividere le conclusioni dell'elaborato peritale dal quale emerge che l'errore commesso ha cagionato un danno biologico permanente complessivo dell'80%, di cui, quota parte, del 10% (...)%, da ascrivere alle peculiari preesistenze (prematurità e gestosi materna,), il restante 70 (...)%, da considerarsi quale maggior danno da colpa professionale. La liquidazione del danno dovrà seguire pertanto i principi di diritto dettati dal giudice di legittimità (Cass. sentenza 28986/2019), ovvero, applicando le (...) di (...) del 2021, vanno stimati i punti percentuali dell'invalidità complessiva (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente 10% più quella causata dall'illecito 80%), che convertiti in denaro saranno pari a Euro 1.129.475,00, apparendo equo applicare la massima personalizzazione, avuto riguardo alla particolare afflizione subita da (...) Inoltre, i punti percentuali dell'invalidità preesistente all'illecito (10%), che convertiti in danaro sono pari a Euro 39.335,00, dovranno essere detratti dalla somma sopra indicata (Euro 1.129.475,00- Euro 39.335,00= Euro 1.090.140,00). Importo quest'ultimo di Euro 1.090.140,00 che dovrà essere corrisposto a (...) Detto importo, calcolato all'attualità, deve essere maggiorato degli interessi compensativi da applicare al tasso legale sulla somma devalutata alla data del fatto, con rivalutazione anno per anno secondo gli indici (...) fino alla data della pronuncia, e con ulteriori interessi al tasso legale dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. Anche la domanda di liquidazione del danno, riflesso, proposta dai genitori e dagli stessi in qualità di esercenti la patria potestà sulla figlia minore, va accolta. I parametri da tenere in considerazione per il calcolo del danno riflesso secondo le tabelle di (...) del 2023, sono la relazione parentale, punti 20 per genitore; il numero di familiari, nella specie 3, punti 0,8 genitori, l'età del danneggiato, anni 0 alla data del fatto e punti 10, l'età del parente da risarcire, ovvero età dei genitori alla data dell'evento, padre di anni 33 punti 6 e madre di anni 30 punti 7, percentuale riconosciuta al danneggiato 70%. Il calcolo sarà la somma dei punti per la relazione di parentela, per l'età dei genitori e per l'età del figlio: 20+10+6 per il padre e 7 per la madre)= per il padre 36 e per la madre 37. Detto punteggio moltiplicato per i soggetti tenuti alla assistenza, nella specie 2 (i genitori), punti 0,8, si avrà un totale di punti rispettivamente di 28,8 e di 29,6; applicato il valore del punto individuato in Euro 5.924 (Euro 3.474 per danno morale soggettivo e 2.450,00 per danno da alterazione delle relazioni di vita) e moltiplicato i prodotti dei punti con il punto base, e la percentuale del 70%, l'importo da corrispondere è di Euro 119.427,84 per (...) ed Euro 122.745,28 per (...) con il valore del punto base applicato si è tenuto conto sia del danno morale, che di quello esistenziale inteso come cambiamento di stile di vita così come invocato. Mentre per la sorella, considerati i punti 15 per la relazione di parentela, 10 per l'età del danneggiato e 7 per la sua età, si ha un totale di punti 32 che moltiplicato per punti 0,8 stante il numero di familiari (nella specie 2), si avrà un totale di punti 25,6; moltiplicato il prodotto dei punti con il valore del punto per la sola componente del danno morale, espunto il danno relazionale che secondo le tabelle (cfr. n. 73) può essere riconosciuto solo ai soggetti titolari dell'obbligo di assistenza, e dunque moltiplicato per Euro 3.474 e per la percentuale del 70%, si avrà una liquidazione per (...) di Euro 62.254,08. Anche detti importi, calcolati all'attualità, devono essere maggiorati degli interessi compensativi da applicare al tasso legale sulla somma devalutata alla data del fatto, con rivalutazione anno per anno secondo gli indici (...) fino alla data della pronuncia, e con ulteriori interessi al tasso legale dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. Segue, in accoglimento dell'appello e in riforma della sentenza gravata, la condanna dell'(...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 1.090.140,00, di (...) della somma di Euro 119.427,84, di (...) della somma di Euro 122.745,28 e di (...) e di (...) quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia (...) della somma di Euro 62.254,08, oltre interessi e rivalutazione come sopra calcolati. Nessuna ulteriore domanda di danno, che naturalmente andava provata e di cui andava accertata la fondatezza, è stata riproposta tra quelle avanzate in primo grado (cfr. atto di citazione quanto al danno derivante dalla perdita di chance ed alle spese mediche e di assistenza presenti e future). La domanda di manleva come formulata dall'(...) va accolta nei limiti di seguito esposti. Innanzitutto, così come evidenziato, l'eccezione di carenza di legittimazione passiva della (...) non è stata riproposta cosicché deve ritenersi incontestato che la (...) di (...) sin dal primo grado è stata correttamente convenuta. (...) di inoperatività della polizza n. 73/60/106727 con riguardo al contratto applicabile al sinistro, perché era vigente dall'1.06.1996 all'1.06.1999, mentre i fatti per cui era causa risalivano al 19.10.1994, epoca in cui l'(...) era assicurata con (...) in forza della polizza n. 3/60/(...) avente data di effetto 31.05.1988 e data di scadenza 31.05.1998, non è fondata. L'(...) a sua volta, infatti, ha dedotto che la domanda di chiamata in causa di terzo è stata proposta sulla scorta del rapporto assicurativo contraddistinto con il n. 73/60/106727 che sarebbe quello valido ed efficace per il sinistro di cui si controverte. La circostanza rappresentata che "il contratto originario n. 73/60/(...), valido ed efficace dal 31.05.1988 al 31.05.1998, è stato più volte rinumerato e modificato per iniziativa dell'assicuratore dapprima con polizza n. 73/60/237824 (cfr. doc. n. 1), successivamente con la polizza n. 73/60/(...) (cfr. doc. n. 2) ed infine con la polizza n. 73/60/106727 già versata in atti", trova riscontro nella nota, pure allegata, dell'assicuratore del 29 dicembre 1998 con la quale, come asserito, si comunicava all'odierna comparente "di prendere atto che le sottoelencate polizze, che regolano il nostro rapporto assicurativo, hanno assunto i nuovi numeri a fianco di ciascuna indicati: vecchio numero ...60/397.639 ..nuovo numero 60/106.727..A tali nuovi numeri vorrete fare riferimento ogni qual volta se ne manifesterà l'occasione". Da ultimo e in subordine, (...) ha contestato anche che "nel caso di estensione della domanda di manleva alla polizza n. 73/60/(...)..., la garanzia dovrà intendersi prestata nei limiti e nei modi previsti da quel contratto e, segnatamente: - massimale pattuito per ogni persona deceduta o ferita di (...) 750.000.000 pari ad euro 387.342,67; - quota in coassicurazione a carico di (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.) del 49%; Unipol quota del 28% e UAP ora A(...)a quota del 23%. Anche sul punto l'(...) ha replicato che risulta "dalla clausola di coassicurazione che l'(...) è la società delegataria e in tale veste unico soggetto idoneo a ricevere ogni comunicazione in merito alla gestione del contratto fatto valere ai fini della manleva. Conseguentemente è la società convenuta in garanzia che è tenuta a manlevare e tenere indenne l'assicurato rivalendosi, successivamente, nei confronti delle altre società coassicuratrici.". Al fine di dirimere la questione va richiamato il principio affermato dalla Suprema Corte (cfr. parte motiva Cass. /2021) " in continuità con l'orientamento consolidato di questa Corte.. il rapporto di coassicurazione comporta l'assunzione di un medesimo rischio da parte di più compagnie assicuratrici per quote espressamente predeterminate, da cui - diversamente dall'assicurazione cumulativa o plurima e dalla riassicurazione - la ripartizione del rischio senza vincolo di solidarietà e ciascun assicuratore è, quindi, titolare delle sole posizioni soggettive, sostanziali e processuali, relative al proprio rapporto. La struttura della fattispecie negoziale della coassicurazione vede, dunque, sussistere più e separati rapporti assicurativi, ossia una pluralità di negozi quante sono le quote in cui è stato ripartito il rischio dedotto in assicurazione e non già di un unico contratto. Una tale struttura negoziale e il relativo regime giuridico si mantengono fermi nonostante che la pluralità dei rapporti venga formalmente recepita in un unico (...) strumento contrattuale e i coassicuratori incarichino uno solo di essi, c.d. "delegatorio", di concludere tale contratto, giacché la c.d. "clausola di delega" ha ad oggetto la redazione dell'atto e lo svolgimento del rapporto assicurativo, ma non elide l'assunzione pro quota e non solidale dell'obbligo di pagare l'indennità, né conferisce, salvo espresso patto contrario, al delegato la rappresentanza processuale degli altri coassicuratori. Per cui anche in presenza di delega del coassicuratore, il delegato resta - contrattualmente - obbligato nei confronti dell'assicurato, per il pagamento non dell'intera indennità, ma pur sempre solo della quota a suo carico ove la domanda sia stata proposta contro uno soltanto dei coassicuratori non vi è alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri (Cass. n. 9786 del 1995, citata), né la possibilità per questi ultimi di avvalersi del giudicato intervenuto nei confronti dell'assicuratore convenuto in giudizio (Cass. n. 21848 del 2019, citata).". Nel caso in esame, si legge nella clausola di coassegnazione che designata come delegataria è (...) D'(...) e che tale (...) era incaricata dell'esazione dei premi o di importi dovuti dall'assicurato, mentre l'impegno di tutte le società coassicuratrici risultava dai rispettivi estratti di polizza firmati ed allegati alla presente, oppure dallo estratto unico firmato dalla società (...) in nome e per conto delle coassicuratrici stesse. Da quanto scritto si evince che la (...) non è stata delegata alla rappresentanza processuale degli altri coassicuratori e che comunque ogni coassicurazione aveva assunto una quota in coassicurazione e rimaneva contrattualmente obbligata nei confronti dell'assicurato, per il pagamento non dell'intera indennità, ma solo della quota a proprio carico, in particolare stante quanto pattuito con la polizza 60/(...), a carico di (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.) il 49%; (...) il 28% e UAP quota il 23% . (...) S.p.a., prima (...) s.p.a. è tenuta a manlevare l'(...) di quanto quest'ultima è obbligata a pagare agli appellanti in forza della presente decisione (anche per le spese di lite sostenute per resistere all'azione dei danneggiati) nei limiti del massimo stabilito nella polizza con riguardo alla propria quota in coassicurazione. La riforma della sentenza con l'accoglimento della domanda comporta una nuova pronuncia sulle spese anche del primo grado, la cui liquidazione dovrà essere effettuata con riguardo all'importo complessivamente liquidato nella presente fase. Le spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'(...) in favore della parte appellante, per la misura indicata nel dispositivo, in difetto di nota inferiore alla media, in relazione alla corrispondente complessità della controversia, alla sua natura e valore, alle questioni trattate, esclusa per l'opposizione la fase istruttoria non svolta (cfr. Cass. Civ. n. 10206/21), oltre agli esborsi documentati. Mentre con riguardo all'esito del giudizio, relativamente al parziale accoglimento della domanda di manleva come svolta, le spese di lite tra l'(...) e (...) S.p.a. possono essere compensate per entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria istanza disattesa, in accoglimento dell'appello, e in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Roma n. (...)/2016, così provvede: condanna l'(...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 1.090.140,00, di (...) della somma di Euro 119.427,84, di (...) della somma di Euro 122.745,28 e di (...) e di (...) quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia (...) della somma di Euro 62.254,08, oltre interessi e rivalutazione come calcolati in parte motiva; dichiara (...) s.p.a. tenuta a manlevare l'(...) di quanto è obbligata a pagare agli appellanti in forza della presente decisione nei limiti del massimo stabilito nella polizza con riguardo alla propria quota in coassicurazione; condanna l'(...) al pagamento delle spese di lite, in favore della parte appellante, che si liquidano per il primo grado per compensi in Euro 20.000,00 e per esborsi in Euro 1.500,00, mentre per il presente grado in Euro 17.000,00 per compensi e in Euro 2.500,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura forfettaria del 15%; compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio tra l'(...) e (...) S.p.a..

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da Dott. BONI Monica - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Relatore Dott. CURAMI Micaela Serena - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da La.An., nato a R il (omissis) avverso l'ordinanza del 09/03/2023 del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro rigettava l'istanza avanzata da La.An. attualmente detenuto presso la Sezione assistenza intensiva (SAI, ex Centro diagnostico terapeutico) della Casa di reclusione di Parma, intesa al rinvio dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 147, primo comma, n. 2), cod. pen., o all'applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva, di cui all'art. 47-ter, comma 1 -ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), e a tale decisione perveniva dopo aver escluso, alla luce della relazione sanitaria aggiornata trasmessa dall'istituto di pena, la sussistenza di una situazione di grave infermità, fisica o psichica, in tal senso rilevante. 2. Ricorre il condannato per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia. Mediante unico motivo il ricorrente denuncia l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 47-ter Ord. pen., anche in relazione ai principi costituzionali sul diritto di difesa e sul giusto processo, e all'art. 6 CEDU, nonché denuncia la mancanza, insufficienza e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale di sorveglianza aveva definito il procedimento, in data 9 marzo 2023, senza attendere il deposito delle controdeduzioni in ordine alla relazione sanitaria d'istituto, che il medico di parte stava approntando, dopo avere (solo due giorni prima, per ritardi e disfunzioni che alla difesa non sarebbero addebitabili) visitato il paziente. Sarebbe stato così leso il contraddittorio processuale, imprescindibile anche alla luce dei contrasti esistenti tra l'anzidetta relazione e la documentazione medica già acquisita (La.An. essendo soggetto totalmente invalido, beneficiario dell'indennità di accompagnamento), che solo una perizia avrebbe potuto all'occorrenza dirimere. L'ordinanza impugnata sarebbe viziata nelle argomentazioni, sia perché dunque adottata sulla base di un incompleto corredo informativo e dialettico, sia perché supinamente ripiegata sulle valutazioni già compiute dal Magistrato di sorveglianza e priva del necessario confronto con gli elementi di segno contrario comunque presenti in atti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Il difetto di contraddittorio deve essere escluso, posto che la relazione sanitaria del carcere di Parma risulta redatta il 25 gennaio 2023 e risulta acquisita al procedimento già in vista dell'udienza del 2 febbraio 2023. Quest'ultima veniva rinviata al 9 marzo, su richiesta difensiva, appositamente per consentire il deposito di note e osservazioni medico-legali di parte. È stato in tal modo concesso un tempo adeguato ai fini della predisposizione di queste ultime, le quali avrebbero potuto intanto basarsi sul quadro nosografico oggetto della relazione istituzionale (indicato, peraltro, come sovrapponibile a quello già descritto dai medici del carcere di Rossano, ove l'interessato era in precedenza ristretto). Sul tenore delle eventuali controdeduzioni di parte, ove trasmesse, il Tribunale di sorveglianza avrebbe potuto semmai misurare la necessità di ulteriori approfondimenti o chiarimenti. Non è qui in discussione il diritto della difesa di far visitare, a proprio spese, il soggetto patrocinato, recluso in istituto eli pena. Il Tribunale ha piuttosto osservato, del tutto appropriatamente, che l'esercizio di tale diritto, a procedimento di sorveglianza già attivato, deve coordinarci con i tempi di svolgimento del procedimento stesso e con la sua ragionevole durata, che l'organo giudicante ha la responsabilità di garantire. Sicché, nelle circostanze date, a distanza di mesi dalla data di presentazione dell'istanza (nel corso dei quali il sanitario di fiducia avrebbe potuto ampiamente svolgere gli accertamenti da lui ritenuti utili, a prescindere da quelli eseguiti o programmati da parte della struttura penitenziaria), e a fronte di situazione clinica nitida e stabilizzata, non appare eccepibile la decisione giudiziale di pervenire, nel dialogico confronto con le parti, alla definizione della causa in base all'ampia piattaforma conoscitiva e documentale ormai disponibile, senza pregiudizio di future nuove acquisizioni e rinnovate valutazioni. 3. Quanto al merito della decisione, il giudice a quo non si è discostato dai consolidati principi, ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini del differimento c.d. facoltativo della pena detentiva, di cui all'art. 147, primo comma, n. 2), cod. pen., o della detenzione domiciliare, che ne mutua i presupposti, è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato (fisica, o psichica con ricadute organiche) sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi altresì rapportare tale valutazione alle esigenze di sicurezza della collettività, che meritano altresì di essere tutelate (Sez. 1, n. 2337 del 13/11/2020, dep. 2021, Furnari, Rv. 280352-01; Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406-01; Sez. 1, ri. 972 del 14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674-01), nonché al senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell'art. 27, terzo comma, Cost. (Sez. 1, n. 43488 del 24/11/2010, Giorgi, Rv. 249058-01; Sez. 1, n. 17947 del 30/03/2004, Vastante, Rv. 228289-01), alla ricerca del più equilibrato componimento. A seguito di Corte cost. n. 99 del 2019, peraltro, la patologia psichica può assumere distinto rilievo, ai fini specifici della detenzione domiciliare, allorché essa raggiunga una soglia di autonoma gravità, tale per cui, all'esito di attenta verifica delle condizioni detentive (condotta " anche in base alle strutture e ai servizi di cura offerti all'interno del carcere, alle esigenze di salvaguardia degli altri detenuti e di tutto il personale che opera negli istituti penitenziari"), si accerti che la permanenza in carcere provochi un livello di sofferenza in grado di ferire il senso di umanità, salva sempre l'esistenza di profili di pericolosità sociale di carattere poziore. L'ordinanza impugnata non ha trascurato neppure questo ulteriore insegnamento e, muovendosi all'interno della corretta cornice legale di riferimento, ha operato una disamina particolareggiata e diffusa della situazione clinica dell'interessato, caratterizzata da una condizione multipatologica, maggiormente rilevante, allo stato, nella sua componente psichiatrica, ma in fase di sufficiente compenso. La conclusiva valutazione - nel senso della possibilità di adeguatamente trattare le comorbilità in un istituto di pena, quale quello di attuale detenzione, dotato di attrezzato centro clinico specialistico - è esente da illogicità, o altre criticità del ragionamento, rilevabili in questa sede. Il Tribunale di sorveglianza, nell'inquadrare la pericolosità sociale del condannato, già affiliato a clan di stampo mafioso, ha anche implicitamente escluso che l'espiazione della pena in atto contrasti con il senso di umanità costituzionalmente garantito, né sul punto sono state avanzate specifiche censure. 4. La disamina di cui sopra è stata effettuata sulla base delle specifiche, puntuali e convergenti relazioni dei medici penitenziari, apparse esaustive e a cui è stato dato, pertanto, giusto credito e risalto, anche a confronto di documentazione sanitaria (quale quella in tema di riconoscimento dell'invalidità civile e di indennità di accompagnamento) facente essenzialmente leva su altri presupposti e rilevante ad altri fini. Il ricorso non ha pregio, dunque, neppure ove esso insiste sulla necessità che fosse nominato un perito. La perizia è, invero, un mezzo di prova eminentemente discrezionale, essendo rimessa al giudice di merito, anche in presenza di pareri tecnici e documenti prodotti dalla difesa, la valutazione della necessità di disporre indagini specifiche; con la conseguenza che non è sindacabile in sede di legittimità il convincimento del giudice, sorretto come nella specie da adeguata motivazione, circa l'esistenza di elementi tali da consentire di escludere la situazione che l'accertamento peritale richiesto dovrebbe dimostrare (v. Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01; Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Russo, Rv. 268815-01; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, Sciarra, Rv. 255152-01; i cui principi sono valevoli anche nel procedimento di sorveglianza). 5. Alla reiezione del ricorso, giustificata dalle considerazioni che precedono, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 iri quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge. Così deciso il 30 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: Av.Fr. nato a N il (Omissis) avverso la sentenza del 07/11/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; udito il Procuratore generale, in persona del sostituto Vincenzo SENATORE, il quale, a rettifica della requisitoria precedentemente trasmessa, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito, altresì, l'avv. Gi.Pe. del foro di Nocera Inferiore per Av.Fr., il quale, illustrati i motivi del ricorso, ne ha chiesto l'accoglimento. Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Salerno ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Nocera Inferiore aveva condannato Av.Fr. per il reato di cui all'art. 95 d.P.R., n. 115 del 2002, contestatogli per avere costui, nell'istanza intesa ad ottenere l'ammissione al beneficio del patrocinio dello Stato per i non abbienti nel procedimento penale n. 4781/2018, falsamente attestato un reddito inferiore a quello accertato a seguito di controlli della Guardia di Finanza (in epoca anteriore o prossima al 10/6/2019). Nella specie, da tali accertamenti, sui quali aveva riferito il teste di PG, era emerso che nel nucleo familiare dell'istante erano presenti due soggetti percettori di pensione d'invalidità, indennità di accompagnamento e assegni sociali, calcolati i quali il reddito ammontava a euro 23.617,62, superando la soglia legale. La Corte territoriale, richiamato il contenuto del gravame, con il quale la difesa aveva contestato la valutabilità, ai fini d'interesse, degli emolumenti percepiti dai parenti conviventi, ha ritenuto che l'indennità di accompagnamento esulava dal novero dei redditi calcolabili, stante la sua funzione di vero e proprio sostegno diretto alla remunerazione di terzi impegnati nell'assistenza dell'invalido; ma non anche la c.d. pensione sociale, che costituisce invece erogazione stabile e continuativa da inserirsi nel novero dei redditi valutabili per l'ammissione al beneficio di che trattasi. Ha, dunque, ritenuto integrato l'elemento materiale della condotta, data la discrasia tra il reddito dichiarato (euro 1.920,00) e quello accertato (euro 23.617,62). Quanto all'elemento psicologico, poi, il giudice d'appello ha condiviso l'affermazione del Tribunale, secondo la quale lo stesso era dimostrato dalla circostanza che i soggetti i cui redditi erano stati pretermessi erano conviventi dell'imputato e che proprio l'indicazione di quelle voci avrebbe determinato la mancata ammissione al beneficio. 2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo di difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha rilevato una violazione di legge per non avere la Corte territoriale valutato la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il dedotto silenzio motivazionale è inesistente: la Corte ha richiamato e fatto proprie, a giustificazione del ravvisato dolo del reato, le considerazioni svolte dal primo giudice, rispetto alle quali la difesa aveva opposto la natura dei redditi non indicati. La motivazione censurata è del tutto coerente con i principi più volte precisati da quésta Corte di legittimità. È già stato precisato, infatti, che - ai fini dell'individuazione delle condizioni necessarie per l'ammissione al patrocinio - rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (sez. 4, n del 6/3/2019, Leonzio, Rv. 275359). Pertanto, le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (sez. 4, n. 20836 del 16/4/2019, De Vito, Rv. 276088). Nella specie, l'omissione ha certamente riguardato, al netto degli assegni non computabili per la loro natura, componenti di reddito di tipo continuativo e stabile, percepiti da soggetti che convivevano con il dichiarante. Quanto all'elemento psicologico del reato, poi, esso è costituito dal dolo generico, anche nella declinazione più lieve del dolo eventuale (sez. 4 n. 18103 del 6/3/2017, n.m.; n. 21577 del 21/4/2016, Rv. 267307) e, ai fini della sua integrazione, per il caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, non è sufficiente che l'istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell'elemento soggettivo del reato (sez. 4, n. 45786 del 4/5/2017, Bonofiglio, Rv. 271051). L'effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, infatti, può assumere rilievo con riguardo all'elemento soggettivo dell'illecito, quale sintomo di una condotta dovuta a un difetto di controllo e, quindi, colposa, salva emersione di un dolo eventuale, che deve essere compiutamente dimostrato (sez. 4, n. 4623 del 31/1/2018, Avagliano, RV. 271949; n. 35969 del 29/5/2019, Ariotta, Rv. 276862; sez. 4, n. 7192 del 11/1/2018, Zappia, Rv. 272192; n. 37144 del 5/6/2019, Bonetti, Rv. 277129; sez. 4, n. 21577 del 21/4/2016, Bevilacqua, Rv. 267307, in cui, ai fini dell'integrazione del reato si è affermata la necessità del dolo, che richiede, oltre alla previsione dell'evento, la prova, anche nella forma eventuale, di un atteggiamento psichico che manifesti adesione all'evento previsto). Nella specie, però, tale verifica è stata condotta sulla scorta di una circostanza, con la quale la difesa non si è confrontata, atteso che le componenti omesse hanno determinato l'ammissione al beneficio stesso, valutata altresì la condizione di convivenza dei soggetti percettori e la continuità degli emolumenti percepiti e non dichiarati. 3. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma dì euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso un Roma, il 20 marzo 2024. Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta da: Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente Dott. VALLE Cristiano - Consigliere Dott. TASSONE Stefania - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - Relatore Dott. FANTICINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27037/2020 R.G. proposto da: CA.SI., CA.VA., elettivamente domiciliate in ROMA, (...), presso lo studio dell'avvocato ER. PR. (omissis), rappresentate e difese dall'avvocato CA.SI. (omissis); - ricorrenti - contro (...) Spa, in persona del suo rappresentante p.t., GI.GI., elettivamente domiciliata in ROMA, (...), presso lo studio dell'avvocato LU. MA. (omissis) che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GI. RE. VI. (omissis); - controricorrente - avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di VENEZIA n. 55/2020, depositata il 09/01/2020. Udita la relazione svolta dal Consigliere MARILENA GORGONI. Udita la relazione del Pubblico Ministero, nella persona del sostituto Procuratore, Stanislao De Matteis, che ha ribadito le conclusioni che aveva anticipato per iscritto, chiedendo il rigetto del ricorso. Udito l'avvocato Ca.Si. per le ricorrenti. Udito l'avvocato El. Ma. per la controricorrente. FATTI DI CAUSA Eu.Ca., in proprio e quale procuratore generale di An.Be., conveniva in giudizio la Compagnia di (...) Spa, chiedendone la condanna al pagamento di una rendita vitalizia pari ad Euro 2.500,00 mensili a far data dal 9 gennaio 2008. A tal fine adduceva che: - l'8 gennaio 2003 aveva stipulato una polizza Long Term Care con la convenuta, per sé ed altri suoi familiari, compresa la moglie, An.Be., per il rischio di perdita dell'autosufficienza rispetto allo svolgimento di un numero determinato di attività ordinarie della vita quotidiana con diritto di beneficiare della rendita mensile in caso di mancato svolgimento di almeno tre di dette attività; - nel 2005 An.Be. veniva colpita da una degenerazione cortico-basale che le provocava una progressiva degenerazione fisica; - nel dicembre 2007 era stato certificato che non era più in grado di alimentarsi, di provvedere alla sua igiene personale e di attendere alle comuni occupazioni della vita; aveva pertanto chiesto, senza successo, in data 9 gennaio 2008, alla assicuratrice la corresponsione della rendita mensile come previsto dalla polizza, prima di convenirla in giudizio. Costituitasi in giudizio, la Compagnia (...) Spa chiedeva il rigetto della domanda ed eccepiva l'intervenuta prescrizione del diritto all'indennizzo. Con la sentenza n. 107/2016, il Tribunale di Vicenza rigettava la domanda attorea. La Corte d'appello di Venezia, nel giudizio riassunto a seguito della morte di An.Be., nel quale sono intervenute volontariamente le odierne ricorrenti, con la sentenza n. 55/2020, resa pubblica in data 9 gennaio 2020, ha rigettato l'appello proposto da Eu.Ca., perché ha confermato l'avvenuta prescrizione del diritto vantato, ai sensi dell'art. 2952, 2° comma, cod. civ., a mente del quale "Gli altri diritti derivanti dal contratto di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda", rilevando che il sinistro, cioè la perdita di autosufficienza di An.Be., si era verificato già in data 13 aprile 2005, quando era stata accolta la domanda di concessione della pensione di invalidità e di assegno di accompagnamento (conseguente all'accertamento della sua totale inabilità per affezioni fisiche o psiche e dell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore e di compiere gli atti quotidiani della vita in autonomia) o al più tardi con l'erogazione della pensione di invalidità e ciò senza considerare che non ricorreva, all'epoca della stipula della polizza, una delle condizioni di assicurabilità, di cui all'art. 5: non presentare postumi di malattie o di infortuni precedenti limitanti le capacità fisiche o mentali nella vita quotidiana o professionale. La CTU aveva dimostrato, infatti, che An.Be. già nel 2000-2001 soffriva di una degenerazione patologica che poi era stata diagnosticata nel 2005 in termini di degenerazione cortico basale e che la polizza era stata stipulata pochi mesi dopo gli accertamenti eseguiti il 3 dicembre 2002 presso un presidio altamente specializzato per la cura di patologie neurologiche, i quali avevano confermato il rapidissimo e gravissimo declino cognitivo che le aveva precluso la capacità di svolgere almeno tre delle attività normali della vita quotidiana. Ca.Si. e Ca.Va., uniche eredi di An.Be., ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando sette motivi. Resiste con controricorso la Compagnia (...) Spa Entrambe le parti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con il primo motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., in riferimento all'art. 132 cod. proc. civ., che la sentenza è carente di motivazione. Imputano al giudice a quo di non aver preso posizione sul primo motivo di appello e, quindi, di avere omesso di esaminare la doglianza attorea relativa alla dedotta passiva riproduzione nella sentenza di primo grado di quanto affermato dal CTU, di avere pretermesso l'esame delle circostanziate critiche alla relazione peritale mosse sia dai difensori che dal consulente di parte (critiche riprodotte nel ricorso, secondo quanto previsto dall'art. 366, 1° comma, n. 6 cod. proc. civ.), di non aver spiegato le ragioni per le quali, a fronte di conclusioni tra loro così differenti, aveva deciso di prestare adesione alla conclusione del CTU. 2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell'art. 194 cod. proc. civ. e dell'art. 87 disp. attuative cod. civ., ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere il CTU acquisito documenti non prodotti dalle parti e senza il loro consenso, con conseguente nullità della consulenza per violazione del principio dispositivo e delle regole di acquisizione documentale, non sanate dall'eventuale acquiescenza delle parti, e rilevabile d'ufficio; in particolare, secondo le ricorrenti, il CTU non avrebbe dovuto: i) acquisire né valutare unilateralmente la documentazione relativa ai ricoveri presso i nosocomi di B, di T e di B; ii) basarsi sul documento n. 15 consistente in una dichiarazione del direttore sanitario dell'ospedale di B, perché si trattava di un documento non di contenuto medico confezionato ad hoc su sua richiesta, con cui chiedeva precisazioni sulla data della documentazione acquisita; iii) richiedere né farsi autorizzare ad acquisire altra documentazione, al solo scopo di sopperire alla mancata allegazione della controparte; iv) formare il suo convincimento sulla base di documenti non discussi in contraddittorio tra le parti. 3) Con il terzo motivo, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., alla Corte d'appello viene imputata la violazione dell'art. 2697 cod. civ., avendo attribuito l'onus probandi relativo all'assicurabilità di An.Be. ad una parte diversa da quella che ne era onerata. Le ricorrenti sostengono che, non avendo la resistente sottoposto ad An.Be. il questionario anamnestico, avrebbe dovuto indennizzare il sinistro, non potendo operare né l'art. 1892 cod. civ. in tema di dichiarazioni inesatte o reticenti rese dall'assicurato con dolo o colpa grave, né l'art. 1893 cod. civ. relativo all'ipotesi in cui le reticenze e/o le dichiarazioni inesatte siano rese senza dolo o colpa grave che onera l'assicurazione a recedere dal contratto entro tre mesi dalla conoscenza dell'inesattezza o della reticenza. 4) Con il quarto motivo sono denunciati l'omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa ed erronea comprensione e valutazione delle condizioni di assicurabilità indicate dall'art. 5 delle note informative alle condizioni generali di polizza in relazione alle condizioni di salute di An.Be. al momento dell'adesione. La tesi delle ricorrenti è che la degenerazione cortico basale sia un sintomo e non una malattia e avendo la CTU accertato che An.Be. era affetta da una patologia neurodegenerativa, e quindi non essendo stato accertato che soffrisse di una delle patologie individuate tassativamente dalla polizza, né che si trovasse in una delle altre condizioni di inassicurabilità, la polizza avrebbe dovuto considerarsi operativa. 5) Con il quinto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1370 cod. civ. in relazione all'art. 5 della polizza Long Term Care Plus. Il giudice a quo non avrebbe compreso il significato della clausola n. 5 e avrebbe comunque violato l'art. 1370 cod. civ. che nel caso di clausola dal contenuto ambiguo impone di interpretarla contra proferentem. 6) Con il sesto motivo le ricorrenti si dolgono ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., dell'omesso esame del fatto costituito dall'assunzione da parte di An.Be. del medicinale Gardenale a base di fenobarbital insieme con il Seropram, il cui principio attivo è il Citalopram Cloridrato, dopo la caduta accidentale del 2002, che ne avevano influenzato le funzioni cognitive e i cui effetti perduravano quando era stata sottoposta agli esami presso l'ospedale Fatebenefratelli di B, ritenuti determinanti dal CTU. 7) Con il settimo motivo è denunciata l'omessa e comunque erronea comprensione dell'elemento fattuale che ingenera nel caso di specie la decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla richiesta di indennizzo, per non avere il giudice a quo tenuto conto della diversità della situazione esaminata dalla commissione medica per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento rispetto all'indennizzo assicurativo. La tesi delle ricorrenti è che il rischio assicurato si fosse verificato solo nel dicembre 2007quando An.Be. era diventata incapace di espletare autonomamente tre delle attività ordinaria della vita quotidiana identificate nel contratto assicurativo, come risultante dal certificato medico del dottor Beggio del 10 dicembre 2007, mai disconosciuto né impugnato da controparte 8) Prima di addentrarsi nello scrutinio dei singoli motivi, occorre rilevare che la Corte d'appello ha rigettato la pretesa della rendita perché ha ritenuto intervenuta la prescrizione del diritto all'indennizzo, oltre ad avere osservato che già al momento della stipulazione della polizza sussisteva la condizione di inassicurabilità di cui all'art. 5 Dei settimi motivi in cui si articola il ricorso, solo uno, il settimo, si occupa della questione della prescrizione e non merita accoglimento, perché la Corte territoriale non ha mai equiparato le condizioni che consentono l'erogazione dell'indennità di accompagnamento alle condizioni per ottenere l'indennizzo per cui è causa, ma ha ritenuto che essendo stato dimostrato che in sede di domanda di concessione della pensione di inalidita An.Be. non era in grado di compiere gli atti quotidiani della vita autonomamente, a tale data o comunque al più tardi quando l'indennità di accompagnamento era stata erogata si era concretato - al di là della diagnosi precisa di malattia - il sinistro assicurato, cioè l'incapacità di effettuare da sola almeno tre dei quattro atti ordinari della vita. 9) Quand'anche si ritenesse che il primo, il secondo ed il sesto motivo censurino anche l'accertamento della sussistenza dei presupposti per ritenere prescritto il diritto all'indennizzo, il ricorso non potrebbe accogliersi. 9.1) Il primo motivo, infatti, è infondato. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è uniforme e consolidata e va condivisa: a) il giudice del merito può legittimamente fare richiamo alle risultanze emergenti dalla CTU, non essendo necessario che vengano fornite ulteriori motivazioni in ordine all'adesione all'elaborato peritale (Cass. 13/07/2023), n.20090); b) le critiche contenute nella consulenza tecnica di parte possono infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, se: b1) la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell'elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 03/08/2017, n. 19427); b2) le circostanze valorizzate nella consulenza tecnica di parte, che si asseriscono trascurate dal giudice d'appello, siano decisive, ossia incidano con assoluta certezza sulla decisione, nel senso che spetta alla parte deducente dimostrare che se esse fossero state esaminate, la decisione sarebbe stata con certezza diversa da quella assunta. Ora, le ricorrenti hanno dimostrato la circostanza di cui alla lett. b1), ma non hanno soddisfatto le prescrizioni di cui si è detto alla lett. b2; non hanno, infatti, in alcun modo specificato l'aspetto sostanziale decisivo, eventualmente contenuto nella consulenza di parte (e trascurato dal consulente d'ufficio), destinato a sovvertire in modo radicale l'argomentazione contenuta. Il che condanna all'inammissibilità il motivo, vieppiù in considerazione del fatto che la sentenza impugnata dà atto a p. 17 che l'accertamento peritale si era svolto in contraddittorio con le parti, che il consulente di parte aveva avuto modo di formulare le sue deduzioni, che proprio al fine di replicare alle stesse erano state chieste ed ottenute dal CTU numerose proroghe, che dal verbale di udienza del 9 agosto 2012 risultava che il CTU aveva reso ulteriori delucidazioni scritte, pur avendo depositato "la relazione peritale dove aveva già esaurientemente risposto alle osservazioni dei CTP di entrambe le parti". 9.2) Anche il secondo motivo è infondato. Mette conto richiamare la decisione n. 3086 assunta a Sezioni unite l'11/02/2022 che, dopo aver rimarcato che la condizione del CTU si è evoluta in quella di ausiliario di giustizia, perché la sua attività è prestata in funzione del superiore interesse della giustizia quale si realizza nel fatto che il giudice possa pronunciare la propria decisione anche in grazia delle conoscenze tecniche specifiche acquisite tramite il consulente (cfr. artt. 61 e ss. cod. proc. civ.), confermata dal fatto che "anche quando assolve una funzione indirettamente istruttoria, mettendo a disposizione del giudice le conoscenze che sono frutto della sua particolare competenza tecnica, l'attività del consulente ha sempre e solo un destinatario, perché egli compie le indagini che gli sono commesse al solo scopo di far conoscere al giudice la verità" (cfr. artt. 62 e 194 cod. proc. civ.), hanno precisato che "l'attività consulenziale è, nella sua veste ordinaria, un'attività tipicamente interna al processo, che nel processo rinviene la propria ragione giustificativa in funzione della necessità di colmare il deficit conoscitivo che si delinea in capo al giudice in relazione alla materia oggetto di lite"; di conseguenza, si esercita propriamente sul compendio probatorio edificato dalle parti con lo scopo di offrire al giudice una lettura mediata dalla scienza del suo autore , allo scopo di colmare l'attività probatoria e trova all'interno del "cerchio processuale idealizzato per mezzo della domanda che l'attore indirizza al giudice e di cui preconizza i futuri sviluppi enunciandone causa petendi e petitum" il limite sotteso alle indagini commessegli dal giudice. Allorché il giudice ravvisi la necessità della nomina di un CTU e gli conferisca, per mezzo dei quesiti costituenti l'oggetto delle indagini commissionategli, il mandato peritale, proprio perché la posizione assunta nel processo dal CTU è più prossima a quella del giudice che a quella delle parti, così come i poteri ufficiosi del giudice non possano subire "l'incidenza restrittiva di preclusioni e decadenze, da cui sono normalmente colpiti i poteri delle parti a seconda delle fasi o dei momenti processuali, se non laddove la legge lo preveda espressamente in via eccezionale" al CTU è permesso procedere a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell'interrogazione giudiziale. Detta conclusione trova conferma nell'art. 198 cod. proc. civ., comma 2, che allorché abilità il consulente con il consenso delle parti ad esaminare i documenti, ha cura di indicarli con la locuzione "non prodotti", senza aggiungere alcuna ulteriore qualificazione in grado di orientarne in qualche modo l'interpretazione; il che significa che non ha rilievo come quei documenti abbiano fatto ingresso nel processo, se cioè il consulente li abbia autonomamente reperiti o se vi siano entrati per iniziativa di una delle parti. Quando il Ctu acquisisca irritualmente atti e documenti, la sanzione deve essere collocata nel sistema delle invalidità processuali di cui agli artt. 156 cod. proc. civ. e segg., in esso individuandosi per diritto acclarato il complesso dei rimedi endoprocessuali indicati dal legislatore per porre correttivo alle anomalie che si verificano nel corso del processo e che non sfociano in ragioni di nullità della sentenza, in relazione alle quali si impone il più specifico rimedio dell'impugnazione (art. 161 cod. proc. civ.). Il fatto che l'atto consulenziale, pur se in modo irrituale, abbia comunque conseguito il suo scopo, fa sì che i vizi che infirmano l'operato del CTU siano fonte di nullità relativa e rifluiscano tutti invariabilmente sotto il dettato dell'art. 157 cod. proc. civ., comma 2.; detta nullità è sanata se non eccepita dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all'atto viziato o alla notizia di esso. Diversamente quando la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all'oggetto della domanda e pervenga pure al risultato di stimare la fondatezza della pretesa esercitata dall'attore in base a fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dal medesimo, l'accertamento così operato si colloca al di fuori dei limiti della domanda e contrasta, dunque, con essa, scaturendone perciò una ragione di nullità che, in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice, è rilevabile d'ufficio o, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 cod. proc. civ. Detti principi valevoli per la consulenza percipiente e deducente, indifferentemente (ma non per la CTU contabile, perché " In materia di esame contabile, ai sensi dell'art. 198 cod. proc. civ., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni"), applicati alla fattispecie per cui è causa, conducono alle seguenti conclusioni: atteso che solo i documenti acquisiti dal CTU hanno consentito alla compagnia assicuratrice di provare i fatti a fondamento delle sue eccezioni, che non si trattava di fatti conoscibili da chiunque, in quanto pubblicamente consultabili (la decisione n. 3086/22, al Par. 25, sostiene che non si può vietare al CTU di acquisire aliunde la conoscenza di fatti accessibili a chiunque), che non erano fatti in qualche modo già compresi nelle allegazioni di parte che siano serviti solo per corroborare indirettamente l'assunto fatto valere con l'eccezione, ma appunto di documenti diretti a provare la ricorrenza delle condizioni di inassicurabilità di cui all'art. 5 della polizza e di quelle a fondamento dell'eccezione di prescrizione, quindi fatti impeditivi del diritto alla rendita indennitaria (cfr. Cass. 09/08/2023, n.24273, circa la distribuzione dell'onere probatorio tra assicurato ed assicuratore) essi erano da considerare irritualmente acquisiti; di qui la nullità della CTU. Detta nullità, da ascrivere nel novero delle nullità relative (e non assolute), avrebbe dovuto essere fatta valere, a norma dell'art. 157 cod. proc. civ., comma 2, nella prima istanza o udienza successiva al formale deposito dell'atto viziato, e cioè della relazione del consulente tecnico d'ufficio, anche a mezzo di rinvio alla contestazione eventualmente formulata nel corso della consulenza, come nelle osservazioni alla bozza di relazione che la parte abbia trasmesso a norma dell'art. 195 cod. proc. civ., comma 3 (così, Cass.15/12/2023, n.35175). A tanto la parte ricorrente non ha dimostrato di aver provveduto ( cfr. pp. 8 e ss. del ricorso e in particolare p. 12, ove vengono riportare le note allegate al verbale d'udienza del 12 giugno 2002 , da cui non emerge che parte ricorrente aveva lamentato l'acquisizione di documenti non allegati dall'impresa di assicurazioni allo scopo di ritenere provata l'eccezione di inassicurabilità, tant'è che veniva domandata la rinnovazione della CTU o in subordine che il CTU fosse chiamato a chiarimenti; solo con l'atto di appello, quando, quindi la nullità era da considerare sanata (cfr. p. 15 del ricorso) dà atto di aver lamentato l'irritualità dell'acquisizione documentale da parte del CTU. Anche l'eccezione di lesione del principio del contraddittorio pur formulata all'udienza del 12 giugno 2012 non solo non risulta coltivata - manca la sua riproposizione in sede di udienza di precisazione delle conclusioni - ma è stata disattesa dalla Corte territoriale con una statuizione che resiste alle censure di parte ricorrente, giacché il fatto che non vi fosse traccia della mail dell'1 agosto 2011 non ha impedito evidentemente a parte ricorrente di formulare plurime deduzioni critiche nei confronti della CTU (p. 17 della sentenza); né parte ricorrente ha allegato quale pregiudizio abbia subito per l'asserita lesione del contraddittorio, potendosi vantare un diritto al rispetto delle regole del processo solo se, in dipendenza della loro violazione, ne derivi per la parte un concreto pregiudizio. 9.3) Il sesto motivo è inammissibile. La censura è chiaramente volta a sollecitare un nuovo accertamento dei fatti già esaminati dalla Corte d'Appello e comunque non è stata dimostrata la decisività del fatto asseritamente omesso. Anche senza considerare che, come riferiscono le ricorrenti, la questione fu oggetto di rilievi critici da parte della consulente di parte, che il CTU era stato invitato a rendere chiarimenti sul punto (pp. 40-41 del ricorso) e che la sentenza impugnata ha dato atto che la CTU aveva esaustivamente replicato a tutte le suddette osservazioni - il che esclude che il fatto sia stato omesso - a p. 43 del ricorso si legge: La Corte Veneta ha mal esercitato il proprio potere istruttorio e di valutazione al riguardo, mal intendendo i documenti prodotti e le risultanze dei tecnici incaricati. Del pari, la Corte non ha colto l'orientamento della scienza medica al riguardo, universalmente riconosciuta ...". È evidente, dunque, che la censura delle ricorrenti si colloca all'esterno del perimetro di rilevanza cassatoria del vizio denunciato. 10) I restanti motivi, il terzo, il quarto e il quinto, riguardano la sussistenza della condizione di assicurabilità, di cui all'art. 5 del contratto. Essi sono inammissibili. è ius receptum, nella giurisprudenza della Corte Suprema, il principio per il quale l'impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l'uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell'idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595). 11) Il ricorso va rigettato. 12) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di quella controricorrente, liquidandole in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 22 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6864 del 2022, proposto dai sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-, in qualità di genitori esercenti la potestà sul minore -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro - il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fr. Li. in Roma, via di (...), - l'Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Prima, -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2024 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza -OMISSIS- del 28 gennaio 2022, il T.A.R. per la Calabria ha accolto il ricorso proposto dagli odierni ricorrenti, nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore -OMISSIS-, ai fini della declaratoria della illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sull'istanza di predisposizione di un progetto individuale di vita ex artt. 14 l. n. 328/2000 e 6 l.r. n. 23/2003 da essi presentata in data 30 luglio 2019 e della condanna dell'Amministrazione comunale intimata al risarcimento dei danni conseguenti. 2. Va premesso che il suddetto minore è affetto da "-OMISSIS-", riconosciuto in data 30 gennaio 2018 dalla Commissione Medica per l'accertamento dell'invalidità civile, -OMISSIS- dell'INPS di Vibo Valentia e, per tale motivo, è stato dichiarato "INVALIDO con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (L. 18/80)" con diritto all'indennità di accompagnamento ed alle prestazioni assistenziali di cui alla l. n. 104/1992, essendo stato riconosciuto portatore di "handicap in situazione di gravità ", ai sensi dell'art. 3, comma 3, della medesima legge. 3. Avendo i genitori del minore presentato, in data 30 luglio 2019, istanza al Comune di residenza (Vibo Valentia) per la predisposizione di un Progetto Individuale di Vita ai sensi delle disposizioni citate, essi hanno agito per l'annullamento del silenzio-inadempimento formatosi in ordine alla stessa. 4. Il giudizio, introdotto ai sensi dell'art. 117 c.p.a., è stato convertito in ordinario giudizio di cognizione, avendo il T.A.R. qualificato in chiave provvedimentale la contestata nota comunale del 13 settembre 2019, con la quale l'Amministrazione comunicava che "quello che sicuramente è realizzabile, ma non allo stato attuale in considerazione dell'imminente avvio delle attività didattiche, è la predisposizione di appositi progetti a cura dei singoli istituti che la Regione potrebbe finanziare e la cui realizzazione resta a totale e completo carico delle scuole stesse". 5. Con successivi motivi aggiunti, i ricorrenti hanno gravato l'inerzia serbata dal Comune successivamente alla nota comunale prot. -OMISSIS- del 7 aprile 2021, con la quale l'Amministrazione comunale aveva comunicato ai ricorrenti l'avvio del procedimento teso alla predisposizione del progetto di vita, altresì proponendo domanda risarcitoria. 6. Con la sentenza suindicata, il T.A.R. adito ha preliminarmente dichiarato l'illegittimità - disponendone conseguentemente l'annullamento - della predetta nota comunale del 13 settembre 2019, non avendo il Comune - che, come si è detto, con la nota suindicata si era limitato a rinviare alla responsabilità della Regione e delle istituzioni scolastiche l'attivazione delle misure assistenziali a favore del minore ed il reperimento delle relative risorse - indicato esaustivamente le ragioni ostative alla predisposizione del Progetto né dimostrato di essersi diligentemente attivato, in sede programmatoria ed esecutiva, ai fini della concreta erogazione delle prestazioni richieste: per l'effetto, il T.A.R. ha ordinato al Comune intimato di pronunciarsi con un provvedimento espresso sull'istanza dei ricorrenti, secondo le indicazioni riportate in motivazione. 7. Ad analoghe conclusioni il giudice di primo grado è pervenuto relativamente alla domanda proposta avverso il silenzio della P.A. con i motivi aggiunti. 8. Quanto invece alla domanda risarcitoria, articolata nella richiesta di risarcimento per i danni patrimoniali consistenti nei maggiori esborsi che i ricorrenti avevano dovuto affrontare per le prestazioni necessarie al minore, per quelli non patrimoniali subiti dal minore e per quelli sofferti direttamente dai genitori, il T.A.R. ne ha ravvisato la fondatezza nei limiti di seguito indicati. 9. Ritenuta preliminarmente la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi della fattispecie risarcitoria avente ad oggetto il cd. danno da ritardo, il T.A.R. ha in primo luogo affermato - entro i limiti di cui appresso - la risarcibilità dei danni patrimoniali. In proposito, pur ritenendo di non aderire alla quantificazione proposta dai ricorrenti (pari ad Euro 9.691,00), "non essendo possibile, allo stato, individuare quali sarebbero state le prestazioni che sarebbero state poste a carico dell'Erario con corrispondente sgravio dei ricorrenti", ha comunque ritenuto "ragionevole presumere che alcuni degli interventi sostenuti in proprio dai ricorrenti (-OMISSIS-) e i cui esborsi sono comprovati dalla documentazione contabile in atti, sarebbero stati posti, almeno in parte, a carico delle strutture pubbliche (come si può ragionevolmente inferire dal fatto che nella bozza di progetto individuale l'Amministrazione aveva ipotizzato, tra l'altro, -OMISSIS-) e, dunque, i genitori ne sarebbero stati sgravati, ragion per cui tale voce di danno può essere determinata in via equitativa" nella misura di euro 3.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione a decorrere dalla liquidazione e fino al soddisfo effettivo. 10. Quanto invece al danno non patrimoniale riferito al minore, ha osservato il T.A.R. "che, in assenza di un progetto individuale - e dunque dell'indicazione delle specifiche prestazioni ivi comprese - non è infatti possibile apprezzare in alcun modo se esso, qualora tempestivamente predisposto, sarebbe stato idoneo (e in che misura) ad evitare l'emergere e il perdurare delle criticità dedotte dai ricorrenti in ordine alla situazione nella quale versa il minore", essendo ciò "possibile solo all'esito della redazione del documento e della chiara indicazione di quanto verrà caricato sulla parte pubblica, che costituisce - come finora osservato - condicio sine qua non per poter approcciare con un minimo di adeguata cognizione di causa sia l'an che il quantum dell'effettivo pregiudizio sofferto". 11. Infine, per quanto concerne il danno biologico che avrebbero risentito a titolo personale i genitori, ha osservato il T.A.R. che "dalle certificazioni mediche e dalla relazione psicologica datata 27.9.2021 (sia con riferimento alle posizioni dei singoli genitori che nelle conclusioni), non è dato apprezzare la sussistenza di un nocumento causalmente riconducibile all'inadempimento dell'amministrazione, atteso che la "-OMISSIS-" ivi rappresentata appare, alla luce della generica certificazione medica e secondo l'id quod plerumque accidit, riconducibile al fatto di avere un figlio con gravissima disabilità ". 12. La sentenza costituisce l'oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dagli originari ricorrenti, che ne lamentano il carattere solo parzialmente satisfattivo delle loro ragioni risarcitorie. 13. Essi deducono, con riferimento alla statuizione solo parzialmente favorevole concernente il danno patrimoniale allegato, che la sentenza appellata si rivela errata sia perché dimentica che la bozza di progetto ad essi inviata è stata annullata dalla medesima Amministrazione in quanto lacunosa, parziale ed errata, predisposta unilateralmente dall'Amministrazione senza tenere in minimo conto le svariate esigenze del minore indicate dalla famiglia con l'istanza del 31 luglio 2019, sia perché si pone in netta contraddizione con quanto precedentemente ritenuto al punto n. 9.8.5 delle motivazioni, laddove si afferma che il Comune, al fine di rendere effettiva l'erogazione delle pertinenti prestazioni, avrebbe dovuto adottare "ogni possibile soluzione organizzativa" in coerenza con quel nucleo indefettibile di garanzie e prestazioni che il legislatore intende assicurare ai soggetti disabili. 14. Deducono altresì gli appellanti che per l'individuazione del set adeguato di prestazioni sia in termini di interventi sociosanitari che di assistenza e di integrazione, basilari per far fronte ai fabbisogni insorgenti d-OMISSIS- di cui è affetto il minore, non si sarebbe potuto prescindere da tutti gli interventi messi in atto dalla famiglia per sopperire alle mancanze dell'Amministrazione, in quanto strettamente necessari per garantire al suddetto un minimo di cura, sostegno, integrazione e miglioramento della propria qualità della vita. 15. Allegano ancora gli appellanti che non solo le terapie specialistiche -OMISSIS- avrebbero dovuto essere poste a carico dell'Amministrazione, ma anche tutti gli altri interventi specialistici attuati, sia in contesto scolastico che extra-scolastico, per il coordinamento delle attività rivolte al minore nei suoi contesti di vita, ai fini del miglioramento della qualità della vita. In particolare, essi sostengono che anche il piano terapeutico -OMISSIS- effettuato dal minore doveva essere posto a carico degli Enti competenti, manlevando economicamente la famiglia da tutti gli esborsi consequenziali. Evidenziano inoltre gli appellanti che nel progetto di vita predisposto dal Comune di (omissis) in ottemperanza del giudicato, redatto di concerto con l'ASP e la famiglia e sottoscritto in data 22 aprile 2022, sono individuati gli ambiti e le aree di intervento e le necessità di sostegno e, in particolare, nella parte contenente l'elenco dei sostegni programmati e la tipologia di bisogni da soddisfare Sezione Terza, vi sono indicati la "-OMISSIS-": interventi questi erogati facendo ricorso a risorse pubbliche in ambito sanitario, a risorse pubbliche in ambito sociale, a convenzioni con centri sportivi per la pratica di attività motoria e, solo in minima parte, a risorse familiari. Difatti, essi aggiungono, dall'esame del "budget delle risorse del progetto" è facile desumere che, a fronte di una quantificazione della spesa annuale di Euro 35.085,00, i costi necessari alle esigenze del minore sono sostenuti tramite il ricorso a finanziamenti e contributi pubblici e solo per la risicatissima quota di Euro 3.000,00 con risorse familiari. 16. Deducono altresì gli appellanti che l'Ente avrebbe potuto (e dovuto) organizzare, con le risorse umane ed economiche esistenti al momento della presentazione dell'istanza, le prestazioni già attuate dai ricorrenti con risorse economiche proprie, attingendo ai fondi disponibili. 17. Concludono affermando che il danno economico patrimoniale subito a causa e in conseguenza della mancata predisposizione del progetto di vita, nei tempi dovuti, deve essere integralmente ristorato e, eventualmente, diminuito solo della quota parte relativa agli esborsi per il campo estivo. 18. Quanto al danno all'integrità psico-fisica del minore, deducono gli appellanti che dalla relazione clinico-sociale a firma -OMISSIS-, si evince in maniera chiara che già la stessa diagnosi della condizione del minore ("-OMISSIS-") chiarisce la necessità di un supporto costante e implica che tale supporto "sia finalizzato -OMISSIS-"; si precisa poi nella medesima relazione che "il supporto fornito finora è stato finalizzato ad aumentare la qualità della vita del bambino. Tuttavia l'erogazione dei servizi necessari è stata limitata sulla base delle effettive risorse familiari, -OMISSIS-". Da ciò essi desumono che se la famiglia fosse stata adeguatamente supportata ed affiancata dalle istituzioni, id est dal Comune cui compete la presa in carico globale del soggetto disabile, e qualora fosse stata attivata tempestivamente la rete di interventi a sostegno dei bisogni specifici del medesimo, la qualità della vita del bambino ne avrebbe sicuramente tratto giovamento in positivo, riflettendosi ciò anche sul benessere del nucleo familiare di appartenenza su cui è gravato tutto il carico della condizione del minore: nella citata relazione si evidenzia infatti che il non poter contare sui servizi territoriali -OMISSIS-, peraltro previsti dalla normativa nazionale e regionale, per -OMISSIS- ha comportato una significativa "faticabilità " di tutto il contesto familiare e del minore, che ha visto una progressione piuttosto lenta, intervallata da fasi di stallo, delle -OMISSIS-. 19. Espongono al riguardo gli appellanti che, nella condizione in cui versa il minore, il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale e che se gli strumenti -OMISSIS-, fossero stati forniti fin da quando è stata richiesta la predisposizione del progetto di vita, ciò avrebbe consentito allo stesso -OMISSIS-. 20. Essi invocano il ricorso alle presunzioni in base alle quali quanto più tempestivamente si interviene, -OMISSIS-, tanto maggiori saranno i benefici che i soggetti -OMISSIS-, e in particolare i minori, ne ricaveranno per il miglioramento della loro qualità della vita. 21. Quanto infine al danno da essi personalmente subito, deducono gli appellanti che dalla certificazione medica e dalla relazione psicologica allegata in primo grado emerge come -OMISSIS- sia dovuto non soltanto e non tanto alla difficoltà nel fronteggiare la "condizione" del proprio figlio, quanto piuttosto, anche alla luce dell'epoca della diagnosi, agli immani sforzi profusi per fronteggiare la totale assenza di interventi di sostegno da parte degli Enti a ciò preposti, nonostante le continue sollecitazioni e i numerosi tentativi di ottenere risposte concrete ai bisogni del minore. 22. In conclusione, gli appellanti chiedono al giudice di appello di condannare il Comune di (omissis) al risarcimento, in loro favore, di tutti i danni patrimoniali, quantificati in Euro 9.691,00, dagli stessi subiti a causa dell'illegittimità dell'inadempimento della P.A. ovvero, in subordine, nella diversa maggior somma che sarà ritenuta equa e di giustizia, nonché al pagamento della somma di Euro 400.000,00 a titolo di integrale ristoro dei danni non patrimoniali subiti ovvero alla maggior o minor somma che sarà ritenuta equa per la lesione di diritti incomprimibili e costituzionalmente garantiti, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. 23. Si è costituito nel giudizio di appello, al fine di opporsi all'accoglimento del gravame ed eccepirne anche l'irricevibilità, l'appellato Comune di (omissis). 24. Venendo alle valutazioni del Collegio, deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione di irricevibilità dell'appello formulata dal Comune appellato, sul presupposto della sua (tardiva) notificazione solo in data 26 luglio 2022, nonostante il relativo termine (breve) dovesse ritenersi decorrere dal 28 gennaio 2022, allorché la sentenza di primo grado veniva ad esso notificata dall'odierna parte appellante. L'eccezione non può essere accolta, avendo il Comune che l'ha formulata depositato solo in data 24 gennaio 2024 - ovvero in violazione del termine di cui all'art. 73, comma 1 c.p.a. - la prova dell'avvenuta notifica della sentenza da parte degli appellanti. Inoltre, come statuito da Cassazione civile, Sez. III, 14 maggio 2019, n. 12719, ai fini applicativi dell'art, 326 c.p.c., occorre che "la notifica, risolvendosi in una formale attività acceleratoria e sollecitatoria, sia sorretta in modo univoco e chiaro dalla volontà di porre fine al processo (Cass. 05/04/2018, n. 5146; Cass. 25/02/2011, n. 4690): se si può certo riconoscere, in tesi generale, che la notifica di una sentenza lasci presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, l'intento sollecitatorio rilevante ai sensi dell'art. 326 c.p.c., ove invece tale volizione sia espressamente esclusa con dichiarazione contestuale che renda perfettamente conoscibile il diverso scopo perseguito, si deve negare, in concreto, l'effetto acceleratorio, non diversamente che per la notifica di sentenza a dichiarati fini esecutivi, pur se in concreto eseguita presso il difensore del soccombente (Cass. n. 4690/11; Cass. 15/06/2016, n. 12290)". Nella specie, si evince dal messaggio di accompagnamento della notifica della sentenza di primo grado al Comune appellato che la stessa è stata eseguita al solo fine di sollecitarne l'ottemperanza al relativo decisum, con la conseguente non ravvisabilità dell'intento sollecitatorio costituente, secondo la giurisprudenza citata, il presupposto per far decorrere il termine di impugnazione anche nei confronti della parte notificante. L'eccezione di irricevibilità dell'appello è infondata anche laddove sostiene che dovrebbe farsi applicazione del termine dimezzato ex art. 87, comma 3, c.p.a., dal momento che la domanda risarcitoria, ai sensi dell'art. 117, comma 6, c.p.a., è soggetta al rito ordinario (ed ai relativi termini processuali). 25. Nel merito, deve premettersi che si discute delle conseguenze risarcitorie dell'inadempimento del Comune di (omissis) all'obbligo di cui all'art. 14 l. n. 328/2000, ai sensi del quale: - "per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell'à mbito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell'interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2" (comma 1); - "nell'à mbito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al Profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all'integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare" (comma 2). 26. Il T.A.R., con la sentenza appellata, oltre ad annullare il provvedimento (sostanzialmente di diniego) impugnato ed a sancire l'obbligo del Comune di adottare un provvedimento espresso in ordine all'istanza presentata dagli interessati, ha invero ravvisato la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi della fattispecie risarcitoria, provvedendo anche alla liquidazione, nei limiti ritenuti in sentenza, del danno reclamato. 27. La misura del risarcimento determinata dal T.A.R. è ritenuta non satisfattiva dagli originari ricorrenti, con riferimento a ciascuno dei profili in cui si articolava il petitum risarcitorio originario. 28. Iniziando dal danno patrimoniale conseguente alla mancata redazione ed adozione del progetto di vita per il minore e corrispondente ai maggiori esborsi che i ricorrenti hanno dovuto affrontare per poter garantire al proprio figlio le prestazioni specialistiche, le terapie, gli interventi ed il coordinamento delle attività per il sostegno psicologico ed educativo all'interno dei contesti sociali di riferimento, essi deducevano in primo grado che, al fine di fare fronte alle suddette esigenze e bisogni del minore, avevano sostenuto personalmente le seguenti spese: i) Euro 2.769,00 nell'ultimo trimestre 2019, di cui Euro 1.950,00 per usufruire dell'"intervento -OMISSIS-" in ambito scolastico erogato dalla -OMISSIS- "-OMISSIS-" di Vibo Valentia ed Euro 819,00 per il coordinamento di detto intervento nei vari ambiti -OMISSIS- erogato dalla -OMISSIS- "-OMISSIS-", con sede in -OMISSIS-; ii) Euro 1.598,50, nell'anno 2020 di cui Euro 724,50 per il "Coordinamento delle attività per l'intervento -OMISSIS- (-OMISSIS-) rivolto al minore nei suoi contesti di vita e/o da altri professionisti" erogato dalla -OMISSIS- -OMISSIS- di -OMISSIS-, ed Euro 874,00 per -OMISSIS-; iii) Euro 5.324,00 sino ad ottobre 2021, di cui Euro 2.436,00 per -OMISSIS-, Euro 1.148,00 per -OMISSIS- ed Euro 1.740,00 per la partecipazione, con personale qualificato, ad un campo estivo -OMISSIS-. I ricorrenti producevano anche i giustificativi di spesa atti a documentare gli esborsi sostenuti. 29. Il T.A.R. per il suddetto profilo di danno ha da un lato, come si è detto, ritenuto che "non è possibile aderire pienamente alle conclusioni di parte ricorrente in ordine alla quantificazione del danno riportato in euro 9.691,00 (come da documentazione fiscale intestata al minore e, per il campo estivo, al genitore dello stesso) - non essendo possibile, allo stato, individuare quali sarebbero state le prestazioni che sarebbero state poste a carico dell'Erario con corrispondente sgravio dei ricorrenti", dall'altro lato, ha ritenuto "comunque ragionevole presumere che alcuni degli interventi sostenuti in proprio dai ricorrenti (-OMISSIS-) e i cui esborsi sono comprovati dalla documentazione contabile in atti, sarebbero stati posti, almeno in parte, a carico delle strutture pubbliche (come si può ragionevolmente inferire dal fatto che nella bozza di progetto individuale l'Amministrazione aveva ipotizzato, tra l'altro, -OMISSIS-) e, dunque, i genitori ne sarebbero stati sgravati, ragion per cui tale voce di danno può essere determinata in via equitativa" (nella misura, come si è visto, di complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori). 30. La suddetta statuizione viene censurata dagli appellanti evidenziando sia che la bozza di progetto individuale alla quale fa riferimento il T.A.R. è stata annullata dalla stessa Amministrazione, sia che essa contraddice l'affermazione recata dalla stessa sentenza appellata in ordine all'obbligo della P.A. di attuare "ogni possibile soluzione organizzativa" -OMISSIS-. Essi deducono altresì l'impossibilità di prescindere dagli interventi messi in atto dalla famiglia per garantire al minore il set assistenziale necessario a fare fronte alle sue esigenze di cura e di sostegno, che l'Amministrazione avrebbe dovuto assumere a suo carico, in una cornice unitaria e coordinata, attingendo alle plurime fonti di finanziamento disponibili: ciò con particolare riguardo al -OMISSIS-, ritenuto dalla stessa giurisprudenza amministrativa funzionale al soddisfacimento delle esigenze di tipo sanitario manifestate dal soggetto -OMISSIS-. Essi richiamano a fondamento dei loro assunti il progetto individuale sottoscritto in data 22 aprile 2022 in esecuzione del giudicato, di cui chiedono anche l'acquisizione al fascicolo processuale, dal quale si evince l'articolata serie di prestazioni previste al fine di fare fronte ai bisogni -OMISSIS- del minore, per i quali viene prevista una spesa annuale di Euro 35.085,00, di cui solo Euro 3.000,00 a carico della famiglia (di cui Euro 1.440,00 per la frequenza del campo estivo). 31. L'appello, in parte qua e nei limiti di seguito precisati, è meritevole di accoglimento. 32. In via preliminare, la Sezione non ritiene necessaria, ai fini della decisione, l'acquisizione del Progetto Individuale predisposto dalle Amministrazioni appellate e sottoscritto unitamente alla famiglia del minore in data 22 aprile 2022, in esecuzione dell'effetto conformativo derivante dalla sentenza appellata (e, in parte qua, passata in cosa giudicata): documento che, per inciso, avrebbe potuto essere prodotto dagli stessi appellanti, ove lo avessero ritenuto utile al fine di sostenere le loro posizioni difensive, avendo essi fatto mostra di conoscerne i contenuti e di averne, quindi, la disponibilità . 33. Assume invero rilievo dirimente il riferimento operato dagli appellanti, e sulla cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, al budget complessivo di spesa previsto dal suddetto Progetto, nella misura annua di Euro 35.085,00, al fine di garantire i molteplici interventi sanitari, socio-assistenziali ed educativi da esso previsti e finalizzati al soddisfacimento delle esigenze -OMISSIS- del minore. Invero, la palese divergenza quantitativa tra le spese da loro sostenute (e documentate) al fine di supplire all'inerzia della P.A., nelle more dell'adozione del suddetto Progetto, e quella ben più ampia complessivamente preventivata dall'Amministrazione al fine di realizzare i molteplici (anche in ragione delle diverse aree di intervento in cui attuare le relative misure di sostegno) bisogni del minore induce a ritenere, secondo criteri di ragionevole verosimiglianza ed a prescindere da ogni valutazione inerente il contenuto degli specifici interventi sanitari ed assistenziali contemplati dal Progetto medesimo, che le spese sostenute dalla famiglia del minore trovassero congrua giustificazione nella necessità di porre in essere gli interventi di cura ed assistenza imposti dalle sue condizioni di disabilità, nelle more del (tardivo quanto doveroso) intervento pubblico. 34. Del resto, anche a prescindere dalla rigorosa coerenza delle prestazioni acquistate dai genitori del minore con le sue esigenze -OMISSIS-, quali potrebbero essere acclarate nella loro effettiva dimensione ed interrelazione solo nell'ambito della valutazione multi-disciplinare propedeutica alla elaborazione del Progetto Individuale, non vi è dubbio che è stata la stessa situazione di "abbandono" assistenziale, procurata dalla mancata tempestiva predisposizione del suddetto strumento programmatorio, a determinare l'esigenza di un intervento sostitutivo dei diretti interessati che, proprio perché slegato da una considerazione strategica e prospettica dei suoi bisogni, quale solo attraverso il suddetto strumento può efficacemente realizzarsi, in una situazione di urgente apprestamento delle misure -OMISSIS-, sconta inevitabilmente un tasso più o meno accentuato di estemporaneità, che tuttavia, proprio perché imputabile all'inerzia della P.A., non potrebbe ricadere, anche in termini economici, sui diretti interessati. 35. A diversa conclusione deve invece pervenirsi quanto alla spesa relativa al campo estivo, che gli stessi appellanti deducono essere posta dal citato Progetto Individuale a carico della famiglia, senza svolgere specifiche osservazioni di dissenso sul punto (ma anzi espressamente prevedendone - ed accettandone - il mancato ristoro: cfr. pag. 18 dell'appello). 36. Né potrebbe opporsi che la responsabilità risarcitoria faccia capo, quantomeno per la parte concernente le prestazioni sanitarie, all'Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia, essendo all'origine della stessa, come accertato con statuizione passata in giudicato dal giudice di primo grado, una condotta omissiva imputabile in via esclusiva al Comune appellato, che non ha provveduto nei termini di legge alla predisposizione del Progetto individuale. 37. Consegue, dai rilievi che precedono, che la condanna recata dalla sentenza appellata a carico del Comune di (omissis), a titolo di ristoro del danno patrimoniale subito dai ricorrenti, deve essere integrato della ulteriore somma di Euro 4.951,00 (Euro 9.691,00 - Euro 3.000,00 già liquidati dal T.A.R. - Euro 1.740,00 relativi al campo estivo), cui applicare gli accessori secondo i criteri indicati nella sentenza medesima. 38. Con ulteriore capo di domanda, i ricorrenti chiedevano al T.A.R. la condanna del Comune convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale, nella duplice prospettiva del "danno morale" ("consistente nella sofferenza interiore derivante dall'illecito": così a pag. 15 dei motivi aggiunti, recanti la formulazione della domanda risarcitoria) e del danno "esistenziale o dinamico - relazionale" ("consistente nel peggioramento della qualità della vita del danneggiato"). I ricorrenti deducevano in particolare che il ritardato intervento pubblico aveva negativamente inciso -OMISSIS-, per effetto della mancata predisposizione, in maniera coordinata e continuativa, delle occasioni di apprendimento nonché, come poteva evincersi dalla allegata relazione clinica/sociale a firma -OMISSIS-, "-OMISSIS-". I ricorrenti evidenziavano altresì "-OMISSIS-". 39. Il T.A.R., come si è detto, ha respinto in parte qua la domanda risarcitoria, sebbene - sembrerebbe tralucere dai relativi passaggi motivazionali - "allo stato degli atti", ovvero nelle more della predisposizione, ad opera delle Autorità competenti, del Progetto Individualizzato, ritenuto indispensabile al fine di "apprezzare...se esso, qualora tempestivamente predisposto, sarebbe stato idoneo (e in che misura) ad evitare l'emergere e il perdurare delle criticità dedotte dai ricorrenti in ordine alla situazione nella quale versa il minore". 40. Con il corrispondente motivo di appello, come si è detto, gli appellanti deducono in senso contrario che se la famiglia fosse stata adeguatamente supportata ed affiancata dalle istituzioni, ovvero dal Comune cui compete la presa in carico globale del soggetto disabile, e qualora fosse stata attivata tempestivamente la rete di interventi a sostegno dei bisogni specifici del minore, la qualità della vita del bambino ne avrebbe sicuramente tratto giovamento in positivo, riflettendosi ciò anche sul benessere del nucleo familiare di appartenenza. Essi richiamano a tal fine la citata relazione clinico-sociale e lamentano che l'inerzia comunale ha determinato un vulnus alla integrità psico-fisica del minore, alle prospettive di miglioramento delle sue condizioni -OMISSIS-, che deve essere risarcito poiché conseguenza diretta dell'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa. Essi evidenziano altresì che, in relazione -OMISSIS- di cui soffre il minore, il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale e che se gli strumenti -OMISSIS-, fossero stati forniti fin da quando è stata richiesta la predisposizione del progetto di vita, ciò avrebbe consentito allo stesso -OMISSIS-. 41. La sentenza, in parte qua, è meritevole di essere riformata, nei termini e nei limiti di seguito esposti. Occorre tuttavia, ancor prima, formulare due precisazioni utili alla delimitazione del thema decidendum. In primo luogo, è estraneo alla censura in esame qualsiasi riferimento al "danno morale" (inteso come sofferenza di carattere interiore o patema d'animo) che i ricorrenti - o il minore - avrebbero subito in conseguenza dell'azione omissiva della P.A., con la conseguenza che tale profilo della complessiva originaria domanda risarcitoria deve considerarsi espunto dall'ambito del giudizio. In secondo luogo, ad analoga - sebbene per motivi opposti - conclusione deve pervenirsi in ordine al "danno biologico", di cui gli appellanti hanno fatto menzione con il solo atto di appello, essendo invece estraneo al petitum originario, unicamente incentrato sul risarcimento del cd. "danno esistenziale". 42. Ciò premesso, proprio l'operata delimitazione dell'oggetto del giudizio di appello consente di percepire la non persuasività del ragionamento che ha condotto il T.A.R. a negare, sotto il profilo in esame, la tutela risarcitoria, non trattandosi di valutare l'incidenza che l'inerzia amministrativa ha determinato sulla sfera psico-fisica del minore, -OMISSIS- (per il cui compiuto apprezzamento potrebbe rendersi necessario conoscere lo spettro delle misure di sostegno e riabilitative apprestate - o che avrebbero dovuto essere tempestivamente apprestate - dalla P.A.), ma di verificare il pregiudizio che il comportamento amministrativo censurato ha arrecato alla qualità di vita del minore, -OMISSIS- per la cui completa e proficua realizzazione sarebbe stato necessario il supporto delle figure professionali competenti. Trattasi di pregiudizio riconducibile - secondo la corretta impostazione difensiva di primo grado - al quadro del danno "esistenziale" o "dinamico-relazionale", in quanto inerente all'impedimento opposto dalla condotta lesiva alla capacità del danneggiato -OMISSIS-, per il quale, per indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, 24 novembre 2022, n. 10346), sebbene non possa essere considerato risarcibile in re ipsa, è sempre ammessa la prova per presunzioni semplici, qualora il danneggiato alleghi elementi di fatto dai quali è possibile inferire l'esistenza e l'entità del pregiudizio lamentato. 43. Ebbene, anche a questo riguardo, può prescindersi dagli interventi specificamente individuati nel Progetto Individualizzato predisposto in data 22 aprile 2022, non dovendosi operare una valutazione - di ordine tecnico-scientifico - sul nesso di causalità tra quegli interventi, per la parte propriamente sanitaria o riabilitativa, ed il mancato (o ritardato) recupero -OMISSIS- del minore, ma piuttosto apprezzare, in un'ottica probatoria di ordine squisitamente presuntivo, il depauperamento della vita del minore che l'inerzia amministrativa ha provocato con particolare riguardo alle sue espressioni sociali e relazionali, in ambito scolastico e non. Deve in proposito ritenersi che proprio l'assenza di una idonea rete di supporto, -OMISSIS-, causata dalla mancata tempestiva predisposizione del Progetto Individualizzato, ha fatto sì che la sua qualità di vita ne risentisse significativamente, non potendo ritenersi idonei a sopperire a tale mancanza, per la loro frammentarietà e slegamento da una cornice unitaria e coordinata dei bisogni assistenziali del minore, gli interventi autonomamente attuati dai suoi genitori. 44. La natura non oggettivamente definibile del pregiudizio de quo ne impone infine la liquidazione equitativa, che ad avviso del Collegio deve tradursi nella misura risarcitoria di Euro 10.000,00 per ogni annualità in cui si è protratta l'inerzia amministrativa (e quindi per circa 3 anni), per complessivi Euro 30.000,00, oltre accessori di legge. 45. Infine, i ricorrenti hanno richiesto in primo grado, con i motivi aggiunti, il risarcimento del danno biologico sofferto dai medesimi, con particolare riguardo alla "-OMISSIS-", a dimostrazione della quale hanno prodotto apposita certificazione medica. 46. Il T.A.R., come si è detto, ha respinto in parte qua la domanda risarcitoria, ritenendo, alla luce della documentazione medica prodotta dai ricorrenti, di non poter "apprezzare la sussistenza di un nocumento causalmente riconducibile all'inadempimento dell'amministrazione, atteso che la "-OMISSIS-" ivi rappresentata appare, alla luce della generica certificazione medica e secondo l'id quod plerumque accidit, riconducibile al fatto di avere un figlio con gravissima disabilità ". 47. Gli appellanti contestano la suindicata statuizione reiettiva evidenziando che lo stato -OMISSIS- da loro sofferto è dovuto non soltanto e non tanto alla difficoltà nel fronteggiare la "condizione" del proprio figlio, quanto piuttosto, anche alla luce dell'epoca della diagnosi, agli immani sforzi profusi per contrastare la totale assenza di interventi di sostegno da parte degli Enti a ciò preposti, nonostante le continue sollecitazioni a tanto finalizzate. 48. L'appello, per la parte in esame, non può essere accolto. Deve in primo luogo osservarsi che gli odierni appellanti hanno agito "entrambi in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore -OMISSIS-": ne consegue una evidente discrasia tra il titolo in forza del quale hanno agito (ovvero a salvaguardia degli interessi anche risarcitori del minore in nome e per conto del quale hanno adito il giudice amministrativo) e la domanda de qua, intesa al ristoro dei danni che essi deducono di aver subito a titolo personale. In secondo luogo, la lettura della "relazione psicologica" a firma -OMISSIS-, da essi invocata a sostegno delle loro deduzioni, non consente di accreditare il preteso nesso causale tra l'affezione psicologica lamentata (e certificata) e la condotta omissiva comunale che è all'origine della presente controversia. Scarne indicazioni si ricavano infatti dalla citata relazione in ordine alla riconducibilità -OMISSIS- diagnosticato nei confronti dei ricorrenti all'inerzia della P.A., desumendosi da essa (cfr., in particolare, il paragrafo "conclusioni") che sull'umore dei suddetti ha inciso essenzialmente, più che la gestione personale e familiare -OMISSIS- del figlio, la "-OMISSIS-". 49. L'appello in conclusione deve essere accolto in parte, nei sensi indicati in motivazione e precisati in dispositivo. 50. Il Comune di (omissis) deve essere condannato alla refusione delle spese del giudizio di appello sostenute dai ricorrenti, nella complessiva misura di Euro 4.000,00, oltre oneri di legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 6864/2022, lo accoglie in parte e per l'effetto: - condanna il Comune di (omissis) al risarcimento del danno patrimoniale in favore degli appellanti, per l'importo complessivo di ulteriori Euro 4.951,00 rispetto a quello liquidato con la sentenza appellata, oltre interessi legali e rivalutazione a decorrere dalla liquidazione e fino all'effettivo soddisfo; - condanna altresì il Comune di (omissis) al risarcimento del danno non patrimoniale in favore degli appellanti, nella complessiva misura di Euro 30.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione a decorrere dalla liquidazione e fino all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di (omissis) alla refusione delle spese del giudizio di appello a favore degli appellanti, nella complessiva misura di Euro 4.000,00, oltre oneri di legge, nonché al rimborso del contributo unificato da essi versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola D'Angelo - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Pier Luigi Tomaiuoli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI SALERNO Prima Sezione Civile La Corte di Appello di Salerno, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa (...) dott. (...) rel. dott. (...) riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite in grado di appello, iscritte al n. 1043 e al n. 1059 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2022, vertenti TRA Avv. (...) (c.f. (...)), in qualità di tutrice di (...) nato a (...) il (...) (c.f. (...)); rappresentata e difesa dall'avv. (...) per procura allegata alla comparsa di costituzione depositata il (...); (...) nata a (...) il (...) (c.f. (...)); (...) nato a (...) il (...) (C.F. (...)); (...) nato ad (...) il (...) (C.F. (...)); rappresentati e difesi dall'avv. (...) per procura allegata all'atto di appello; - appellanti nella causa n. 1043/2022 - (...) s.p.a., con sede (...)(...) (...) alla via (...) n. 14 (c.f. (...)4); rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) e (...) per procura allegata all'atto di appello; - appellante nella causa n. 1059/2022 E (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a., con sede (...)(...) alla via dell'Elettronica n. 1 (p.iva (...)); rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) e (...) per procura allegata alla comparsa di risposta; - appellante incidentale - (...) nata a (...) il (...) (c.f. (...)); rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) (...) e (...) per procura allegata alla comparsa di risposta; (...) nato a (...) il (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) per procura allegata alla comparsa di risposta; (...) s.p.a., con sede (...)(c.f. (...)); rappresentata e difesa dall'avv. (...) per procura a margine della comparsa di risposta; - appellati - OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di (...) n. 3673/2022, pubblicata il (...) (controversia in materia di responsabilità medica). CONCLUSIONI Per gli appellanti nella causa n. 1043/2022: "rigettare l'appello proposto da (...) s.p.a. per tutti i motivi di cui alla comparsa di costituzione e contestualmente rigettare la richiesta istruttoria di rinnovazione della ctu in quanto infondata ed inammissibile, in quanto domanda nuova ex art 345 c.p.c. - riformare parzialmente la pronuncia impugnata e per l'effetto, accogliere l'appello proposto dai sig.ri (...) in proprio, (...) e (...) nonché da (...) rappresentato dapprima dalla tutrice sig.ra (...) ed in seguito all' intervenuta nomina della nuova tutrice, dall' avv. (...) come indicato con la comparsa di costituzione del 18.09.23 e per l'effetto: - riconoscere ad (...) rappresentato dalla tutrice avv. (...) previa dichiarazione di iniquità della liquidazione del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale determinata in primo grado, il diritto dello stesso a conseguire il danno emergente futuro in misura pari ad euro 2.000.000,00; il danno da lucro cessante nella ulteriore misura, rispetto a quella già riconosciuta, di Euro 234.021,00 e pari ad ulteriori Euro 229.418,85, nonché la personalizzazione del danno biologico in misura pari ad Euro 184.506,25 come richiesto in sede (...) primo grado e nel capo 3 punto a.1 a.2 e a.3 dell' atto di appello; - riconoscere a (...) in riforma parziale della sentenza di primo grado il diritto della stessa a conseguire il danno emergente futuro in misura ulteriore, rispetto a quella già liquidata di Euro 50.000,00, e pari alla ulteriore somma di euro 680.000,00; il danno da lucro cessante nella misura pari ad euro 50.000,00 ; il danno da omesso consenso informato, nella misura di euro 50.000,00; nonché il danno parentale in misura pari ad Euro 336.500,00 così come richiesto in sede (...) primo grado e nel capo 3 punto b) 1-2-3-4 dell'atto di appello; - riconoscere a (...) e (...) previo accoglimento della propria domanda risarcitoria ed annullamento della relativa pronuncia di rigetto di primo grado, il loro diritto al conseguimento del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, rispettivamente ad Euro 336.500,00 per (...) e Euro 146.120,00, per (...) così come richiesto in sede (...)primo grado nonché nel capo 3 punto c) dell'atto di appello; e per l'effetto di tutto quanto sopra richiesto e qui da intendersi richiamato per brevità, condannare (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. (p.i. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, in favore di (...) rappresentato dalla tutrice avv. (...) al pagamento di euro 2.000.000,00, a titolo di danno emergente futuro; alla ulteriore somma di Euro 229.418,85 a titolo di danno da lucro cessante nonché di euro 184.506,25 a titolo di personalizzazione del danno biologico e/o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia in via equitativa ex art. 1226 c.c.; in favore di (...) al pagamento della somma di euro 680.000,00 a titolo di danno emergente futuro; della somma di euro 50.000,00 a titolo di danno da lucro cessante; della somma di euro 50.000,00 a titolo di danno da omesso consenso informato, nonché della somma di euro 336.500,00 a titolo di danno parentale e/o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia in via equitativa ex art. 1226 c.c., nonché in favore di (...) e (...) al pagamento, a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, della somma rispettivamente di euro 336.500,00 e di euro 146.120,00 e/o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia in via equitativa ex art. 1226 c.c., il tutto oltre interessi e rivalutazione ex lege. Conferma la sentenza per tutto il resto. - Rigettare l'appello incidentale proposto da (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a., per tardività, inammissibilità ed infondatezza dello stesso, stante il carattere autonomo dell'impugnazione proposta in quanto riferita alle statuizioni di merito sull'accertata responsabilità sanitaria e sulla nullità della ctu - condannare la controparte in ogni caso, al pagamento delle spese ed onorari del doppio grado di giudizio, oltre agli oneri fiscali ex lege". Per l'appellante nella causa n. 101059/2022: "dichiara di aver versato alla (...) con animo di ripetizione ed in esecuzione della ordinanza di codesta Corte del 31.1.2023, l'importo di Euro 614.505,84 a mezzo di n. 2 bonifici bancari del 22.5.2023 (per Euro 506.600,84) e del 29.6.2023 (per Euro 107.905,00) (doc. n.1, 2); inoltre in esecuzione della sentenza di primo grado sono state corrisposte le seguenti spese legali (doc. 3, 4, 5): in favore della dott.ssa (...) Euro 29.182,40 - in favore dell'avv. (...) Euro 24.582,40 (oltre Euro 4.600,00 per r.a.) - in favore dell'avv. (...) Euro 24.582,40 (oltre Euro 4.600,00 per r.a.). Pertanto, la (...) nel riportarsi all'atto di appello, alla comparsa di costituzione depositata nel giudizio preveniente ed a tutte le precedenti difese, eccezioni ed istanze chiede l'accoglimento delle seguenti conclusioni: (...) l'(...)ma adita Corte, disattesa e respinta, ogni contraria istanza, così provvedere: A) In relazione al giudizio recante il n. 1043/2022: 1) rigettare l'appello proposto dai sigg. (...) in proprio e quale tutore di (...) (...) e (...) perché inammissibile ed infondato, con vittoria delle spese del giudizio; B) In relazione al giudizio recante il n.1059/2022 - In via istruttoria: 1) disporre consulenza medico legale a mezzo collegio peritale per accertare, sulla base della documentazione sanitaria agli atti, se nel caso in esame vi furono omissioni o comportamenti non corretti imputabili ai sanitari e se si sia verificato un danno alla salute distinguendo la percentuale di danno eziologicamente imputabile all'operato dei sanitari rispetto alla inevitabile patologia sofferta dal minore (...) Nel merito: 2) accogliere l'appello perché proponibile e fondato in riforma della sentenza n. 3673/2002 resa dal Tribunale di (...) ritenere e dichiarare insussistente la responsabilità di (...) di (...) del (...) e dei sanitari e, per l'effetto, rigettare la domanda proposta dai sigg. (...) e (...) in proprio e nelle rispettive qualità così come indicate in premessa e, conseguentemente, condannare la (...) - (...) di (...) del (...) alla restituzione dell'importo di Euro 614.505,84 oltre interessi al tasso fissato per le transazioni commerciali, con decorrenza dai singoli pagamenti; 3) in subordine, nella denegata ipotesi di soccombenza, accertare la concorrente responsabilità della casa di (...) e dei dottori (...) e (...) e per l'effetto, condannarli in via solidale al risarcimento dei danni subìti dagli attori (...) e (...) in proprio e nelle indicate qualità; 4) in ogni caso condannare, in via di rivalsa e/o regresso, i dottori (...) e (...) in solido tra loro, a rimborsare a (...) S.p.a. (già (...) S.p.a.) tutte le somme che questa sarà tenuta a corrispondere in favore degli attori, in applicazione delle pattuizioni contrattuali; 5) in riforma del capo n. 8 del dispositivo di sentenza, limitare la condanna alla manleva di (...) in proporzione della quota di coassicurazione effettivamente assunta, pari al 40%, con esclusione di ogni solidarietà con gli altri coassicuratori e, in caso di soccombenza - previa dichiarazione dell'avvenuto pagamento, in favore della assicurata (...) di (...) del (...) dell'importo di Euro 614.505,84 - accertare che nessuna ulteriore somma è dovuta da (...) in ogni caso contenere l'eventuale condanna entro il limite di massimale per persona deceduta o ferita di Euro 1.549.370,00, o meglio alla quota del 40% che di detto massimale è stata effettivamente assunta da (...) pari ad Euro 619.748,00; 6) condannare tutti gli appellati alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio ed alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado". Per l'appellante incidentale: "In via istruttoria si richiede il rinnovo della ctu espletata in prime cure, in composizione collegiale ex art. 15 Legge 24/2017 affinché si accerti, a) la sussistenza o meno di condotte inadempienti da parte dei sanitari della (...) in relazione ai fatti di causa e nei limiti del thema decidendum cristallizzato dagli attori, b) la derivazione dei danni riportati dal (...) da tali condotte, c) il grado di invalidità permanente riportato dal piccolo (...) d) in ipotesi di ritenuta responsabilità, se una condotta conforme alle leges artis dei sanitari della (...) avrebbe del tutto emendato o solo diminuito tale pregiudizio permanente e se le condotte dei sanitari del (...) abbiano o meno avuto un ruolo ex art. 1223 Cod. Civ. quali concause di menomazione. Giuramento decisorio ex art. 233 cpc a (...) sulla seguente circostanza: "(...) che in data (...) durante il parto del piccolo (...) e precisamente a partire dalle ore 15,55 furono a lei eseguiti tre esami cardiotocografici nel seguente lasso di tempo: - dalle ore 16,56 alle ore 17,50 - dalle ore 18,02 alle ore 19,05 - dalle ore 19,22 alle ore 20,12". In via subordinata - ribadite le difese ed impugnative in atti - si conclude per il rigetto dell'appello dei (...) - (...) e l'accoglimento dell'appello incidentale promosso dalla (...) Quanto al rapporto processuale con (...) spa, (...) richiamate le difese tutte formalizzate in atti, si chiede il rigetto dell'appello della (...) predetta e la conferma della sentenza di 1° grado. (...) con liquidazione di spese e competenze del grado, nei confronti di (...) spa ai sensi del 1917 comma 3° c.c., con attribuzione ai sottoscritti procuratori antistatari". Per l'appellata (...) "preso atto della costituzione del nuovo tutore dell'appellante (...) formalmente eccepiscono la mancanza di effetto sanante (ex art. 182 c.p.c.) di tale costituzione rispetto alla impugnazione proposta per conto dell'interdetto, in difetto di autorizzazione, giacché "La sanatoria retroattiva della carenza di legittimazione processuale incontra l'insuperabile limite delle decadenze verificatesi nelle precedenti fasi intermedie del giudizio, quale quella conseguente allo spirare del termine breve per l'appello, con conseguente formazione del giudicato per difetto di tempestiva impugnazione." (Cass. Sez. III Civ. n. 3700/2012). Per tale ragione formulano eccezione di giudicato della sentenza di primo grado in relazione alla posizione dell'appellante (...) e precisano come segue le conclusioni: "(...) alla Corte di Appello di (...) contrariis reiectis, dichiarare, stante il difetto della necessaria autorizzazione, inammissibile, e/o improcedibile, e/o improponibile l'impugnazione formulata dall'allora tutore (...) nell'interesse dell'interdetto (...) con conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 3673/2022 del 25.10.2022 del Tribunale di (...) respingere comunque le impugnazioni proposte nei confronti della Dott.ssa (...) siccome infondate, spese vinte a carico di chi di ragione". Per l'appellato (...) "reitera la richiesta di rinnovo della ctu, così come esplicitata nella memoria di costituzione e in uno alle istanze mosse anche dalle altre parti in tal senso. Quindi insiste per l'accoglimento delle domande tutte formulate nella comparsa di risposta, ovvero per il rigetto delle avverse richieste di riforma della sentenza appellata e per l'integrale conferma del provvedimento del giudice di prime cure, con condanna alle spese di lite ed attribuzione al procuratore anticipatario". Per l'appellata (...) s.p.a.: " ... 2) (...) e dichiarare l'inammissibilità e/o l'infondatezza, per i motivi innanzi precisati, dei motivi di gravame proposti dai sigg.ri (...) in proprio e nella qualità di tutore di (...) nonché (...) e (...) - 3) Per l'effetto, anche della disponenda riunione dei procedimenti innanzi richiamati, confermare la statuizione di prescrizione delle domande di (...) S.p.A. nei confronti del dott. (...) nonché l'inammissibilità e/o l'infondatezza degli ulteriori motivi di gravame proposti da (...) S.p.A., con ogni conseguenza di (...) - 4) In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui l'(...)ma Corte dovesse ritenere diversamente, in accoglimento delle difese di cui innanzi, accogliere tutte le conclusioni rassegnate da (...) S.p.A. in primo grado qui pedissequamente ripetute e trascritte ("2) (...) e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della (...) S.p.A. e/o l'inoperatività della polizza, sotto ogni profilo prospettato e/o prospettabile, con ogni conseguenza di (...) - (...) e dichiarare l'inammissibilità, la nullità, l'improponibilità, l'improcedibilità sotto ogni profilo prospettato e/o prospettabile, e, subordinatamente, l'assoluta infondatezza in fatto ed in diritto della domanda di parte attrice e rigettarla con ogni conseguenza di (...) - (...) denegata ipotesi di accoglimento della domanda principale e della domanda nei confronti del dott. (...) accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della (...) s.p.a. (...) di (...) del (...) anche ex art. 1228 c.c., con conseguente condanna della stessa e/o del proprio (...) - (...) denegata ipotesi di accoglimento della domanda principale e della domanda nei confronti del dott. (...) e nell'ipotesi subordinata a quella che precede, dichiarare la (...) S.p.A. tenuta a rivalere il dott. (...) nei limiti convenzionalmente pattuiti, del massimale contrattualmente previsto ma in ragione della quota di coassicurazione e con l'applicazione della richiamata franchigia pure previste, e nei limiti tutti opposti.- (...) denegata ipotesi di accoglimento della domanda principale, ai fini della ripartizione proporzionale tra più coobbligati e/o del diritto di regresso, accertare e dichiarare la sussistenza e la misura della garanzia assicurativa prestata e dovuta da ciascun sanitario e/o da ciascuna società assicuratrice. - (...) di spese e competenze giudiziali, I.V.A. e CPA, come per (...) su queste ultime, con attribuzione a favore del sottoscritto procuratore antistatario a norma di (...) a carico di chi di dovere.- In ogni caso decidere secondo Giustizia - ma iuxta probata ac alligata - sull'an debeatur, sul quantum e sulle spese di lite"). - 5) (...) di spese e compensi giudiziali, del doppio grado di giudizio, con aggravio di spese generali, I.V.A. e C.P.A., come per (...) su queste ultime, con attribuzione a favore del sottoscritto avvocato e procuratore antistatario a norma di (...) da porsi a carico di chi di ragione....". RAGIONI DELLA DECISIONE Accertato, sulla scorta della consulenza tecnica d'ufficio, il nesso di causalità tra l'evento di danno patito alla nascita da (...) (danno neurologico con esiti di tetraparesi spastica) e la condotta omissiva dei sanitari della clinica "(...) del Sole" durante l'assistenza al parto della madre (...) (per non aver diagnosticato episodi ipossico-ischemici intrapartum con sospetto di corioamnionite, e per non aver poi affrontato in maniera adeguata, ricorrendo anche ad un taglio cesareo, un distress fetale in presenza di una verosimile distocia, praticando probabilmente anche una improvvida manovra di (...) suggerita ex post dalla frattura di clavicola), la sentenza in oggetto afferma la sussistenza della responsabilità contrattuale della (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. e la condanna al risarcimento dei danni in favore di (...) sia non patrimoniali (nella misura di Euro 1.107.038,00), sia patrimoniali per perdita della capacità lavorativa (nella misura di Euro 234.021,00) oltre interessi, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali in favore della madre (...) (nella misura di Euro 50.000,00) oltre interessi (capo 1 del dispositivo); rigetta le altre domande risarcitorie, proposte dal padre (...) dal fratello (...) e dal nonno (...) (capo 2); rigetta le domande spiegate da (...) s.p.a. nei confronti dei sanitari, dott.ssa (...) e dott. (...) (capo 3); regola le spese di lite (capi 5, 6 e 7); condanna (...) s.p.a. a tenere indenne (...) s.p.a. (...) di cura (...) del (...) da quanto da questa dovuto alle altre parti del giudizio a titolo di capitale, rivalutazione, interessi e spese (capo 8). Propongono appello avverso la sentenza, sia l'avv. (...) in qualità di tutrice di (...) nonché (...) (...) e (...) (in via principale nella causa n. 1043/2022), sia (...) s.p.a. (in via principale nella causa n. 1059/2022), sia (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. (in via incidentale). 1. La responsabilità della struttura sanitaria 1.1. La sentenza di primo grado La sentenza di primo grado premette che (...) era stata ricoverata il (...) presso la (...) di (...) del (...) di (...) per un travaglio di parto prematuro con rottura prematura delle membrane; che la cartella clinica è carente; che sono inutilizzabili i tre tracciati cardiotocografici, non contenuti nella cartella clinica, inviati dal Ctp della convenuta casa di cura (prof. Iaccarino) ai consulenti tecnici d'ufficio, trattandosi di nuovi documenti e in mancanza di un espresso accordo delle parti, "senza considerare che un tracciato non refertato e non presente nella cartella clinica sarebbe difficilmente riferibile ad una determinata paziente". Tanto premesso, la sentenza afferma, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio, che una prima causa dell'evento di danno consiste nell'aver omesso le indagini che i protocolli relativi ai percorsi terapeutici-assistenziali (le linee guida internazionali e la prassi consolidata) prevedono in presenza di una gestante in travaglio di parto prematuro, di una rottura prematura delle membrane e di una tachicardia. In questi casi i sanitari dovevano eseguire una misurazione della temperatura, un emocromo ed una PCR urgente poiché il quadro era fortemente suggestivo di una corioamnionite. I risultati di queste indagini, in special modo la leucocitosi ed un aumento della (...) avrebbero potuto orientare i sanitari in maniera profondamente diversa nelle modalità di assistenza al parto, procedendo alla registrazione cardiotocografica in continuo con la relativa refertazione delle condizioni fetali, all'esame istologico della placenta (che, con la coltura del liquido amniotico e l'emocultura neonatale sul sangue cordonale, sono indispensabili anche per migliorare l'outcome neonatale e permettono di identificare le alterazioni placentari legate all'instaurarsi di una corioamnionite) e ricorrendo anche ad un immediato taglio cesareo, riducendo o azzerando i rischi di ipossia-ischemia intrapartum per il feto-neonato e migliorandone, verosimilmente, l'outcome. Quanto ai momenti successivi al parto, la sentenza di primo grado riporta le valutazioni dei consulenti tecnici secondo cui appare particolarmente grave la mancata descrizione, nella cartella clinica, dello stato clinico e delle eventuali misure terapeutiche adottate nei primi 55 minuti di vita. Considerato che la neonatologa (...) è intervenuta solo alle ore 21.45 del 15 febbraio (il piccolo (...) è nato alle 20.50), i consulenti ritengono che "nei primi 55 minuti, pertanto, in sala parto, oltre (solo presumibilmente) al personale ausiliario, i protocolli in atto presso la clinica convenuta hanno consentito che il ginecologo e l'ostetrica fossero lasciati soli a gestire la "(...) Hour", quella cioè in cui tempestive misure di rianimazione, di supporto respiratorio e cardiovascolare contengono o annullano gli esiti neurologici a lungo termine; né l'organizzazione della struttura, prevedeva la presenza di un anestesista rianimatore di turno". Prosegue la sentenza di primo grado che "l'omessa registrazione cardiotocografica in continuo e l'assenza della refertazione in cartella, la mancata trascrizione dell'auscultazione intermittente del battito cardiaco fetale durante il travaglio di parto, la frattura della clavicola, il giro di cordone intorno al collo, la probabile manovra di (...) l'emorragia surrenalica destra, permettono di ipotizzare che durante il travaglio si siano verosimilmente verificati un distress fetale, un parto distocico, ed episodi ipossicoischemici, non adeguatamente valutati e trattati, anche mediante un tempestivo taglio cesareo. E' più probabile che non che se i sanitari avessero eseguito una registrazione cardiotocografica in continuo avrebbero, con alta probabilità prossima alla certezza dottrinale e tecnico-scientifica, identificato la presenza di alterazioni della frequenza cardiaca fetale che avrebbero potuto orientare per un tempestivo taglio cesareo, che avrebbe evitato la nascita di un feto moderatamente depresso, che ha richiesto una rianimazione intensiva e dopo circa due ore di attesa una intubazione endotracheale eseguita dall'equipaggio dello (...) e la conseguente encefalopatia evoluta in una severa paralisi cerebrale. Inoltre i (...) sottolineano che è altamente probabile che si sia verificato durante il parto un distress fetale ipossicoischemico anche perché, come documenta l'esame ecografico neonatale, era presente un surrene destro aumentato di volume disomogeneo, con un nucleo centrale colliquato, di circa 20 × 15 mm da necrosi surrenalica perinatale". Esaminate anche le risultanze della cartella del servizio di trasporto neonatale ((...) e del ricovero presso l'ospedale (...) di Napoli, il primo giudice conclude che "in considerazione di questi elementi, appare più probabile che non che ad aver causato il danno neurologico con esiti di tetraparesi spastica, sia stata una censurabile condotta dei sanitari ostetrici responsabili di non aver evitato e/o diagnosticato episodi ipossico-ischemici intrapartum, che hanno causato la nascita di un feto moderatamente depresso, nel non aver poi affrontato in maniera adeguata un distress fetale in presenza di una verosimile distocia, che ha richiesto, probabilmente, anche una manovra di (...) suggerita ex post dalla frattura di clavicola". 1.2. Gli appelli di (...) s.p.a. e di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. grado (...) (...) s.p.a. (cessionaria del ramo d'azienda dell'(...) s.p.a., assicuratrice della (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a.) contesta (nel secondo motivo di impugnazione) che sia stata raggiunta la prova dell'inesatto adempimento della struttura sanitaria e della riconducibilità dei danni neurologici alla errata e/o omessa prestazione sanitaria. Lamenta che il primo giudice ha recepito acriticamente le conclusioni del collegio peritale senza valutare i rilievi e le contestazioni dei propri consulenti di parte e ignorando la propria richiesta di rinnovo della consulenza medica. Osserva, in particolare, che il sospetto di una supposta coriomanionite, che avrebbe determinato "una risposta infiammatoria acuta delle membrane, della placenta e del liquido amniotico", su cui viene fondata la colpa omissiva, risulta contraddetta nelle pagg. 33 e 34, laddove i consulenti escludono che l'infezione amniotica, supposta, possa essere stata causa del danno cerebrale del piccolo (...) in quanto non è stata confermata dagli esami batteriologici diretti sul feto; che il danno fetale nel corso del travaglio non è supportato da alcuna argomentazione tecnico - scientifica in ordine alla tempistica ed all'etiopatogenesi; che, per contro, secondo i consulenti di parte (dottori (...) e (...) si è trattato di una gravidanza a 36 settimane e 2 giorni, definibile come pretermine tardiva, complicata dalla rottura spontanea del sacco ed insorgenza di attività contrattile, confermata dalla visita di ingresso secondo cui il collo dell'utero era quasi scomparso, appianato e dilatato di 2 cm, e con esami effettuati significativi per una aspecifica infezione in atto; che gli elementi ricavabili dal diario clinico (alle ore 16.55 è stata effettuata una (...) alle ore 20.15 è stata raggiunta la dilatazione completa; alle ore 20.30 il polo cefalico era al piano perineale ed alle ore 20.50 è avvenuta la nascita; il neonato pesava 2.850 g., presentava un giro di funicolo al collo e gli è stato assegnato (...) 5 a 1 minuto, poco significativo, e (...) 7 a 5 minuti dopo la nascita, valore al limite inferiore della normalità 7/10 feto sano) denotano come altamente probabile che il piccolo (...) sia stato considerato un neonato fisiologico e quindi lasciato con la madre o portato al nido dopo la nascita; che la "classica" frattura della clavicola, con elevata probabilità, è stata causata dalle spinte dall'alto effettuate, come riferito dalla madre, per accelerare la nascita e detta procedura evidentemente, si rendeva necessaria, essendo in atto delle anomalie del battito del feto; che, sulla scorta dei dati obiettivi emersi, i consulenti di parte convengono nel sostenere, in via di probabilità qualificata, che al momento dell'impegno della testa nel canale del parto (come sempre avviene in presenza di giro di funicolo al collo) si siano verificate delle bradicardie, diagnosticate o con la registrazione o con il fonendoscopio; che tale conclusione è stata avvalorata anche dal valore dell'(...) che è passato da un valore di 5, rilevato dopo un minuto dalla nascita, ad un valore di 7 a 5 minuti dopo la nascita, del tutto coerente con una sofferenza ipossica transitoria, avvenuta nell'ultima parte del travaglio, risolta con le spinte dall'alto per accelerare l'espulsione; che, anche in considerazione dell'esito nella norma dell'ecografia cerebrale, effettuata dopo due giorni dalla nascita presso il (...) i consulenti di parte hanno escluso il verificarsi di un danno ipossico grave avvenuto nelle 48 ore precedenti intra o post-partum; che gli elementi clinici a disposizione consentono di affermare, in base al criterio del più probabile che non, che tale grave evento ipossico intra-partum non si sia, di fatto, concretizzato, in quanto le condizioni del neonato, subito dopo la nascita, sarebbero dovute essere molto più gravi rispetto a quanto registrato; che, infatti secondo la letteratura medico-scientifica per ritenere che un danno ipossico grave possa essersi verificato intra-partum devono ricorrere i seguenti criteri clinico-documentali: 1 - presenza di acidosi fetale, controllo non effettuato in quanto il valore di (...) a 5 minuti era normale e quindi non previsto nelle linee guida; 2 - segni di insorgenza precoce di encefalopatia; 3 - paralisi cerebrale di tipo quadriplegica o discinetica, presente; 4 - esclusione di altre etiologie tra le quali le condizioni infettive, criterio nel caso non rispettato; che a questi quattro criteri, la dottrina medico-scientifica aggiunge altri cinque criteri: 1 - un segno sentinella avvenuto subito prima o subito dopo il parto; 2 - alterazioni evidenti del tracciato; 3 - (...) tra 0 e 3 a 5 minuti; 4 - insorgenza di danno multisistemico entro le 72 ore; 5 - segni ecografici precoci di anormalità cerebrale; che, nel caso di specie, non risultano presenti i quattro criteri maggiori (in particolare, punto 1 e 4), né i 5 criteri minori (in particolare 3, 4 e 5) con la conseguenza che l'ipotesi del danno ipossico intra partum non può dirsi condivisibile; che, pertanto, la problematica non poteva essere trattata con una condotta dei sanitari diversa ed alternativa a quella posta in essere, dal momento che costituisce fatto notorio che, in casi simili, la scelta di effettuare un parto chirurgico richiede tempi più lunghi rispetto a quella di proseguire (sempre che ricorrano le condizioni idonee) il parto per via vaginale; che, trattandosi di un feto di piccole dimensioni e correttamente posizionato, vi erano tutte le condizioni per proseguire il parto per via vaginale e far nascere il piccolo (...) nel minor tempo; che, seppur si fosse trattata di una grave condizione ipossica, non dimostrata, la stessa non avrebbe potuto essere risolta mediante una condotta sanitaria differente ed alternativa. (...) incidentale di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. deduce, in primo luogo, la nullità della consulenza tecnica d'ufficio per aver omesso la visita medico-legale di (...) presso la struttura che lo ospita e per aver valutato le attuali condizioni, ai fini del risarcimento dei danni, solo in base ad un certificato medico dell'(...) di (...) del 21.10.2019, acquisito in maniera irrituale e in violazione del divieto di nuovi documenti. Ripropone, altresì, la nullità della Ctu già eccepita in primo grado (con le note di trattazione del 23.11.2020 e del 22.2.2022 e in sede conclusionale) per aver omesso l'acquisizione e la valutazione dei tre tracciati cardiotocografici acclusi alla copia conforme della cartella clinica inviata prima dell'inizio delle operazioni peritali dal dott. (...) trattandosi di documentazione che non può definirsi nuova, poiché già facente parte della cartella clinica originale che, per mero errore, era stata depositata dalle controparti in copia di fatto non conforme, poiché priva dei suddetti tracciati. In ogni caso dovevano essere acquisiti, trattandosi di documentazione accessoria ed essendo provato dallo stesso diario clinico che i tracciati furono eseguiti nella giornata del 15.2.2000 a partire dalle ore 15.55. (...) incidentale deduce, poi, errori nelle valutazioni medico-legali recepite nella sentenza di primo grado, rilevando che i tracciati eseguiti dalle 15.55 alle 20.12, ignorati dai consulenti, dimostrano che il bambino era costantemente monitorato nel corso del travaglio ed escludono una sofferenza fetale o un'ipossia che avrebbero dovuto indurre i sanitari della comparente a tenere una condotta medica alternativa (tanto che l'attività pulsatile del cuore, la (...) era positiva e regolare ed il liquido amniotico risultava chiaro); che anche l'indice (...) assegnato (considerato attendibile o erroneo) era positivo, ovvero 7 a 5 minuti, tant'è che il bambino è stato considerato un neonato fisiologico; che non risulta agli atti di causa che vi sia stato ritardo nel richiedere intervento dello (...) essendo lo stesso attestato alle ore 21.45; che i consulenti assumono il verificarsi di una distocia di spalla, di cui in atti non vi e traccia alcuna. Richiama le già riferite critiche alla consulenza d'ufficio svolte dai consulenti della (...) (dott. (...) e prof. (...) sull'assenza di traccia di fenomeno ipossico intra o post partum e si duole che la sentenza non abbia vagliato la ricostruzione eziologica ritenuta dal prof. Buccelli più probabile, in termini sia epidemiologici, che scientifici, e comunque maggiormente attendibile (o quantomeno altrettanto probabile) rispetto all'ipotesi dell'encefalopatia ipossico - ischemica, ossia quella di un evento patologico concretizzatosi nelle fasi antecedenti la gravidanza. Sul piano statistico, osserva che anche la più aggiornata bibliografia considera che l'asfissia cerebrale neonatale si determina con assai maggior frequenza nelle fasi antecedenti la gravidanza e ben il 75% nel secondo o all'inizio del terzo trimestre di gravidanza e, quindi, configurano un'encefalopatia ante-partum e non intra-partum. Da ciò si desume, in base ai principi di distribuzione dell'onere probatorio anche in materia di responsabilità contrattuale, che ricadono sugli attori le conseguenze sfavorevoli nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, resta ignota, anche mediante l'utilizzo di presunzioni, la causa dell'evento di danno. (...) incidentale lamenta, infine, una carenza dell'accertamento peritale anche in punto di valutazione dei danni liquidabili, non avendo chiarito se una condotta conforme dei sanitari, in relazione alle censure loro addebitate e in particolare circa la sussunta omessa diagnosi dei presunti episodi ipossico ischemici intrapartum, avrebbe del tutto neutralizzato i danni riportati da (...) o invece avrebbe solo diminuito la loro entità, residuando comunque un danno biologico. Né ha valutato l'errore dei sanitari del (...) che, se avessero effettuato una corretta diagnosi (con una (...) cerebrale, anziché con una diagnosi ecocerebrale), avrebbero potuto evitare la paralisi cerebrale. 1.3. La decisione di secondo grado (...) delle censure della struttura sanitaria ((...) - (...) di (...) del (...) s.p.a.) e del suo assicuratore ((...) s.p.a.) in merito all'inadempimento della prima e alla sua relazione di causalità con l'evento di danno è logicamente prioritario. La sentenza impugnata fonda l'affermazione di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria sull'inadempimento dell'obbligo di eseguire, al momento del ricovero, le indagini che avrebbero consentito di diagnosticare l'infezione da corioamnionite, ricorrendone i sintomi rilevatori (travaglio prematuro, rottura prematura delle membrane e tachicardia), e conseguentemente dell'obbligo di praticare un immediato taglio cesareo che avrebbe azzerato o ridotto la sofferenza fetale durante il parto; nonché sull'inadempimento dell'obbligo, successivo al parto e per le prime due ore, di attuare le urgenti misure di rianimazione, di supporto respiratorio e cardiovascolare, che avrebbero contenuto o annullato l'evento di danno, non essendo presente nella casa di cura un anestesista rianimatore (la dott.ssa (...) neonatologa, è intervenuta solo 55 minuti dopo il parto) e l'organizzazione di mezzi. La relazione di causalità (...) tra l'inadempimento di tali obblighi e l'evento di danno (...) presuppone, secondo il principio condizionalistico e della causalità adeguata, che l'esecuzione delle prestazioni (le indagini sulle condizioni del feto, la diagnosi di corioamnionite, il parto cesareo e gli interventi di rianimazione) avrebbe probabilmente impedito l'evento di danno o ne avrebbero ridotto la gravità. In particolare, presuppone che l'evento di danno (...) sia la conseguenza di episodi di ipossia-ischemia durante e/o dopo il travaglio di parto (encefalopatia intra e post partum) che probabilmente, se effettuate diligentemente le indagini e la diagnosi, potevano essere prevenuti con un immediato parto cesareo o, dopo il parto, neutralizzati con manovre di rianimazione. Questa relazione di causalità è contrastata in appello sulla base di un'ipotesi alternativa, secondo cui la sofferenza fetale non sarebbe intervenuta nella fase del travaglio, bensì durante la gravidanza (encefalopatia ante-partum). In questa seconda ipotesi deve escludersi qualsiasi relazione di causalità (...) con condotte inadempienti dei sanitari, poiché l'evento di danno si sarebbe già verificato prima di poter intervenire con un immediato parto cesareo e/o con manovre di rianimazione. La questione centrale controversa attiene, allora, alla prova della causalità (...) con l'evento di danno e consiste nello stabilire se questo sia il prodotto di un'encefalopatia intra e/o post partum (come affermato dal primo giudice) o ante partum (come sostengono gli appellanti). Quanto all'onere e alla consistenza della prova, l'onere di provare la relazione causale tra la condotta dei sanitari e l'evento di danno spetta in ogni caso al paziente, anche nell'ambito della responsabilità contrattuale. La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che la previsione dell'art. 1218 c.c. solleva il creditore dell'obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento. Ha infatti osservato la Corte che "la previsione dell'art. 1218 c.c. trova giustificazione nella opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente o non esattamente adempiente l'onere di fornire la prova "positiva" dell'avvenuto adempimento o dell'esattezza dell'adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova, secondo cui essa va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla (cfr. Cass., S.U. n. 13533/2001). Tale maggiore vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale fra la condotta dell'obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragion d'essere l'inversione dell'onere prevista dall'art. 1218 c.c. e non può che valere, quindi, il principio generale sancito dall'art. 2697 c.c., che onera l'attore (sia il danneggiato in sede extracontrattuale che il creditore in sede contrattuale) della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa". Da ciò discende che, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento (Cass., ord. 20.8.2018 n. 20812; Cass., 7.12.2017 n. 29315). Quanto, invece, alla consistenza della prova, alla quale è onerato il paziente, diversamente dal processo penale, nel quale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", ossia in termini che si avvicinano alla certezza, nel processo civile vige la diversa regola della preponderanza dell'evidenza, ovvero del "più probabile che non" (tra le altre, Cass., Sezioni Unite, 11.1.2008 n. 576). (...) della prova della causalità materiale va, perciò, assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova (anche per presunzioni), che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (cfr. Cass. n. 975/2009, Cass. n. 17143/2012, Cass. n. 4792/2013, Cass. n. 18392/2017). Ciò implica, nel caso di specie, che per integrare l'elemento della causalità materiale occorre accertare, secondo il criterio del "più probabile che non", che l'encefalopatia sia insorta durante il travaglio di parto e/o subito dopo e, con un giudizio ex ante controfattuale di regolarità causale, che il danno neurologico non si sarebbe verificato se i sanitari avessero proceduto nell'immediatezza ad indagini, ad una corretta diagnosi di infezione amniotica e al parto cesareo e/o, dopo il parto, a pratiche di rianimazione. (...) gli appellanti, l'ipotesi di una ipossia durante il travaglio riconducibile ad un'infezione amniotica (...) non è supportata da esami batteriologici diretto sul feto, né da alcuna argomentazione scientifica in ordine alla tempistica e all'etiopatogenesi. Osserva la Corte che le prime valutazioni ricavabili dall'elaborato peritale sono le seguenti: 1) al momento del ricovero non fu effettuata una misurazione della temperatura corporea (non trascritta in cartella), né furono eseguiti ed ottenuti tempestivamente i risultati di un emocromo e di una (...) nonostante l'urgenza richiesta da quadro fortemente suggestivo di una corioamnionite (trattandosi di una partoriente con travaglio di parto prematuro e rottura prematura delle membrane); 2) tali esami furono eseguiti solo il giorno dopo il parto e il loro risultato (una leucocitosi neutrofila - 17.300 con l'86% di granulociti neutrofili - ed una temperatura a 37°,7) evidenziava un'infezione microbica della cavità amniotica (...); 3) se effettuate immediatamente al momento del ricovero, le indagini avrebbero consentito di formulare una diagnosi di corioamnionite (rispondendo ai rilievi del consulente di parte, i consulenti d'ufficio hanno confermato che "tutte le pubblicazioni mondiali identificano una corioamnionite materna quando sono presenti ipertermia, leucocitosi neutrofila tachicardia materna, associata ad una rottura prematura delle membrane con minaccia di parto prematuro. Tutti questi sintomi, segni e dati confermano in maniera inoppugnabile che la (...) era affetta da corioamnionite, confermata il giorno dopo il parto dalla presenza di una leucocitosi neutrofila e da ipertermia materna"); 3) gli esami di laboratorio eseguiti presso l'ospedale (...) (emocultura negativa) consentono di escludere che la corioamnionite materna abbia causato una sepsi fetale complicata da una (...) ("non sono comparsi nel neonato sintomi, segni e dati strumentali e di laboratorio suggestivi di una sepsi fetale associata ad una sindrome da infiammazione neonatale, escludendo in tal modo la comparsa di circolo di citochine pro infiammatorie in grado di causare un severo danno cerebrale"), con la conseguenza che la paralisi cerebrale non va posta in relazione con una sepsi neonatale; 4) l'indice di (...) alla nascita (a 1 m 5, a 5 m 7) esprime una probabile fase di ipossia-ischemia durante il travaglio in fase dilatante avanzata ed in fase espulsiva che ha determinato la nascita di un feto moderatamente depresso; 5) l'esame obiettivo del neonato presso l'ospedale (...) rivela la presenza di una frattura media della clavicola destra, verosimilmente in rapporto con una distocia in fase espulsiva con energiche trazioni sul feto, non descritta in cartella o ad una troppo energica manovra di (...) "quindi è altamente probabile che il distress fetale ipossico-ischemico intrapartum sia stato aggravato dalla compressione dei vasi funicolari per il giro di cordone intorno al collo e dalla manovra di (...) eseguita". 5) la cartella clinica della casa di cura (...) è carente, essendo priva delle trascrizioni relative alla indicazione all'utilizzo di ossitocina, priva dei tracciati cardiotocografici eseguiti con le relative refertazioni e della registrazione delle auscultazioni intermittenti, che in fase dilatante dovevano essere effettuate ogni 15 m' ed in fase espulsiva ogni 5 minuti, né è stata riportata una distocia che ha richiesto una manovra di (...) e che ha verosimilmente determinato una frattura di clavicola. (...) di una sepsi fetale, l'indice di (...) di 5 ad 1 minuto, la presenza di un giro di cordone e di una frattura della clavicola verosimilmente causata da una distocia e una manovra di (...) hanno indotto i consulenti a ritenere, secondo il criterio del più probabile che non", che "l'ipotesi etiopatogenetica più credibile dell'intera storia di (...) è quella di un insulto ipossico-ischemico verificatosi durante la fase intrapartale"; in particolare, durante il travaglio in fase dilatante avanzata ed in fase espulsiva. Una ulteriore prova che si sia verificato durante il parto un distress fetale ipossico-ischemico è data dall'emorragia surrenalica destra evidenziata dall'esame ecografico neonatale (che ha identificato un "(...) destra aumentato di volume disomogeneo, con un nucleo centrale con riguardo, di circa 20 × 15 mm da necrosi surrenalica perinatale"). Queste conclusioni non possono essere inficiate dall'esibizione di tre tracciati cardiotocografici durante le operazioni peritali, allegati ad una copia della cartella clinica esibita dal consulente del dott. (...) la quale presenta un numero di pagine inferiori rispetto a quella rilasciata in precedenza ai genitori dalla (...) di (...) del (...) A prescindere che si tratta di una nuova produzione, successiva alla maturazione delle preclusioni istruttorie, i tre tracciati non sono utilizzabili perché non risulta la loro esistenza nella cartella clinica acquisita dai consulenti, sicché non è verificabile la loro provenienza e la loro riferibilità al caso in esame. Senza considerare che i consulenti d'ufficio "ritengono abbastanza inusuale che, in presenza di un giro di cordone, in travaglio di parto prematuro, il tracciato cardiotocografico fosse di tipo "rassicurante" (come da refertazione del (...) Iaccarino), in quanto la compressione dei vasi ombelicali nel giro di cordone intorno al collo, specie in fase espulsiva, di norma, determina modificazioni cardiocircolatorie fetali che attraverso i chemiocettori e barocettori stimolano la comparsa di decelerazioni variabili tipiche o atipiche, proprio in rapporto alle patologie cordonali ...... È più probabile che non che se i sanitari avessero eseguito una registrazione cardiotocografica in continuo avrebbero, con alta probabilità prossima alla certezza dottrinale e tecnico-scientifica, identificato la presenza di alterazioni della frequenza cardiaca fetale che avrebbero potuto orientare per tempestivo un taglio cesareo, che avrebbe evitato la nascita di un feto moderatamente depresso". Altra conclusione ricavabile dalla consulenza è che, nonostante il parto pretermine con asfissia alla nascita e ipoventilazione delle basi polmonari del neonato (poi sottoposto rianimazione avanzata con altre concentrazioni di O2 e/o ventilazione a pressione positiva intermittente con (...) e mascherina), dalla cartella clinica neonatologica non risulta che siano stati effettuati interventi di rianimazione dopo il parto e nelle prime due ore. Non si comprende chi abbia seguito il neonato nei primi 55 minuti di vita (prima dell'arrivo della dott. (...) neonatologa) e chi abbia refertato nella cartella le condizioni cardiocircolatorie e respiratorie alla nascita (non è indicata la presenza di un neonatologo o pediatra); non si comprendere quali sono stati gli step di rianimazione durante la successiva ora fino all'arrivo (due ore dopo il parto) dell'equipaggio dello (...) che, viste le gravi condizioni cardiocircolatorie, è stato costretto a intubare tempestivamente il neonato. Precisano i consulenti d'ufficio che le (...) della (...) of (...) on (...) (1987) al momento della nascita e successivamente ogni 30 secondi, nei primi minuti di vita, raccomandano accurati e continui controlli con le relative trascrizioni delle manovre, delle terapie, dei parametri vitali e degli eventi fisiopatologici che sopraggiungono. (...) i consulenti, "un ulteriore distress ipossico -ischemico si è verificato nella prime due ore di vita, durante le quali l'assistenza neonatologica è stata tanto carente da costringere l'equipaggio dello (...) dopo oltre 2 ore, ad intubare il neonato ed a trasferirlo presso la TIN dell'(...) ancora intubato". Dalle considerazioni che precedono risulta provato, secondo il criterio della preponderanza probabilistica, che la tetraparesi spastica sia riconducibile a gravi episodi ipossico-ischemici perinatale avvenuti durante il travaglio (in fase dilatante avanzata ed in fase espulsiva) ed aggravatisi nelle prime due ore dopo il parto, in assenza di interventi di rianimazione. Orbene, il ricovero di una partoriente con travaglio di parto prematuro, con rottura prematura delle membrane e una tachicardia avrebbero dovuto indurre i sanitari, secondo i consulenti tecnici d'ufficio, a sospettare la presenza di una corioamnionite e ad eseguire le indagini ematiche che avrebbero confermato (attraverso la leucocitosi e l'aumento della (...) l'infezione in atto (indagini eseguite soltanto il giorno dopo il parto). La diagnosi di corioamnionite avrebbero dovuto orientare i sanitari ad un taglio cesareo, riducendo o azzerando i rischi intrapartum per il feto-neonato e migliorandone, verosimilmente, l'outcome. I consulenti hanno, così, concluso che "in considerazione di questi elementi, appare più probabile che non, aver causato il danno neurologico con esiti di tetraparesi spastica, sia stata una inidonea condotta assistenziale delle struttura (...) di cura (...) del (...) che, in presenza di una rottura prematura delle membrane e in travaglio di parto prematuro a 36 settimane, con un sospetto di corioamnionite non hanno posto in essere quando il caso richiedeva (diagnosi cardiotocografia eseguita in continuo al fine di diagnosticare precocemente episodi ipossico-ischemici intrapartum), oltre a non refertare i tracciati cardiotocografici effettuati e tantomeno hanno provveduto ad inserirli in cartella clinica. I sanitari hanno quindi non diagnosticato episodi ipossico-ischemici intrapartum che hanno causato la nascita di un feto moderatamente depresso ed inoltre non hanno poi affrontato in maniera adeguata una verosimile distocia, suggerita ex post dalla frattura di clavicola, ricorrendo ad una improvvida manovra di (...) In particolare, i (...) sottolineano che la registrazione cardiotocografica non è stata effettuata in continuo né tanto meno è stata effettuata e trascritta in cartella una auscultazione intermittente ogni 15 minuti in fase dilatante e ogni 5 minuti in fase espulsiva, allo scopo di controllare eventuali alterazioni cardiocircolatorie fetali. Ciò avrebbe consentito una espulsione del feto più precoce o il ricorso ad un taglio cesareo! La frattura di clavicola, non identificata subito dopo il parto, è suggestiva di una distocia non trattata e/o associata ad una verosimile manovra di (...) anche questa non descritta in cartella, ma riferita solo dalla paziente!" La prevedibilità (attraverso il monitoraggio continuo del feto e una tempestiva diagnosi di corioamnionite) e l'evitabilità (attraverso un immediato parto cesareo) degli episodi ipossico-ischemici avvenuti durante il travaglio (in fase dilatante avanzata) e in fase espulsiva, nonché la mancata prestazione degli interventi di rianimazione che hanno aggravato l'encefalopatia neonatale ed hanno avuto, come esito finale, la tetraparesi spastica di (...) destituiscono di fondamento le censure rivolte dagli appellanti in ordine alla prova della relazione di causalità tra l'inadempimento della struttura sanitaria e l'evento di danno. Sussiste, pertanto, la responsabilità della struttura sanitaria, rispetto alla quale non è ravvisabile, né una riduzione di una percentuale dell'evento di danno che sarebbe in ogni caso residuato al neonato in assenza della colpa medica, né una riduzione per un concorso di colpa dei sanitari dell'ospedale (...) Di qui il rigetto dell'appello incidentale di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. 2. La responsabilità dei sanitari e la garanzia assicurativa di (...) s.p.a. 2.1. La sentenza di primo grado La sentenza accoglie la domanda di manleva proposta da (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. nei confronti di (...) s.p.a., cessionaria di ramo di azienda di (...) s.p.a., osservando che l'evento rientra nella polizza assicurativa n. 75.60.289.917, che copre il periodo dal 31.12.1999 al 13.11.2000 (non dalla polizza n. 75/(...) indicata dalla società di assicurazione); che il sinistro ricade infatti nella copertura della predetta polizza, essendo avvenuto in data (...); che solo nella comparsa conclusionale di replica la compagnia ha eccepito l'inapplicabilità della polizza n. 75/289917 trattandosi di polizza claims made che prevede che sia il fatto colposo che la richiesta di risarcimento ricadano nel periodo di vigenza della polizza; che si tratta, tuttavia, di eccezione tardiva e non scrutinabile; che, in ogni caso, per giurisprudenza della Suprema Corte, la clausola claims made impura o mista, che prevede l'operatività della copertura assicurativa solo quando sia il fatto illecito sia la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di validità del contratto, realizza "uno sproporzionato vantaggio per l'assicuratore" e pone "l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra parte". La sentenza rigetta, poi, le domande proposte a sua volta da (...) s.p.a. nei confronti dei sanitari chiamati in causa (dott. (...) e dott.ssa (...), sia la domanda di condanna dei sanitari al risarcimento, in solido con la casa di cura, direttamente ai danneggiati, sia la domanda di rivalsa nei loro confronti (capo 3). Quanto alla prima, ritiene fondata l'eccezione di prescrizione proposta, atteso che mai alcuna richiesta risarcitoria è stata indirizzata nei loro confronti, i quali potrebbero essere chiamati a rispondere solo in accoglimento della domanda di manleva spiegata nei loro confronti dalla compagnia assicurativa. Quanto a questa seconda domanda, esclude la responsabilità dei due sanitari chiamati in causa, "(...) perché il danno cagionato al piccolo (...) trova la propria scaturigine nelle criticità e nelle carenze organizzative" (al momento dell'accettazione, nella redazione e nella conservazione della cartella clinica e neonatologica, e nella mancata dimostrazione di una tempestiva e idonea assistenza neonatologica), "circostanza che non può risolversi in danno dei singoli sanitari chiamati in causa nel presente giudizio che si trovavano occasionalmente a svolgere la propria attività professionale presso la struttura convenuta". 2.2. (...) di (...) s.p.a. Rispetto alla sua condanna a tenere indenne la casa di cura assicurata, (...) s.p.a. dichiara di rinunciare formalmente alle difese ed eccezioni svolte in primo grado in punto di inoperatività temporale della garanzia. Critica, però, nel quinto ed ultimo motivo di impugnazione, l'accoglimento per intero della domanda di manleva, anziché nei limiti della sua quota di coassicurazione (pari al 40%) ed entro il sottomassimale per persona deceduta o ferita (pari ad Euro 1.549.370,00 sul quale applicare la suddivisione proporzionale per quote assicurative assunte). Sostiene che il giudice di primo grado non ha tenuto conto dei limiti previsti dal contratto di assicurazione, espressamente richiamati in primo grado, riferiti, sia ai massimali di polizza, sia al riparto di coassicurazione; che il contratto assicurativo (polizza n. 7560289917) prevede espressamente una coassicurazione di compagnie diverse, con quota a carico di (...) s.p.a. limitata al 40% degli importi complessivamente assicurati; che i massimali di polizza, anch'essi espressamente richiamati nel frontespizio, sono Euro 2.582.284,5 quale massimale contrattuale per persone e cose ed Euro 1.549.370,00 quale sottomassimale per ciascuna persona offesa; che non risultano convincenti le argomentazioni esposte dalla (...) s.p.a., la quale sostiene di aver citato "in giudizio la sua garante in proprio per la quota di sua pertinenza ed implicitamente in nome e per conto delle coassicurate (n.d.r.: coassicuratrici) per la restante parte, avendo essa legittimazione sostanziale ad causam quale impresa capofila"; che, al contrario, la disciplina contrattuale e legale (art. 1911 c.c.) applicabile al caso di specie esclude categoricamente la legittimazione sostanziale e processuale della delegataria, la quale può soltanto ricevere le comunicazioni contrattuali (i.e.: denuncia sinistro, recesso ecc.) ovvero riscuotere il premio assicurativo; che, in base al riparto di coassicurazione, l'obbligo di indennizzo di (...) dovrà riguardare solo la quota del 40% del risarcimento liquidato, qualora questo sia inferiore al massimale assicurato, e comunque nel limite massimo di Euro 619.748,00 (pari al 40% del massimale per persona di Euro 1.549.370,00). (...) s.p.a. impugna, poi, sia il rigetto della sua domanda di condanna diretta dei due sanitari (dott. (...) e dott.ssa (...), avversando l'affermazione di intervenuta prescrizione, sia il rigetto della sua domanda di rivalsa promossa nei loro confronti. Obietta, quanto alla domanda di condanna diretta, che la richiesta risarcitoria avanzata alla struttura sanitaria il (...) interrompe la prescrizione anche nei confronti dei condebitori solidali, ai sensi dell'art. 1310 c.c., stante l'unicità del danno configurabile pur in presenza di più azioni od omissioni costituenti illeciti distinti; che, inoltre, la dott.ssa (...) costituitasi in giudizio tardivamente all'udienza del 24.4.2014, non ha proposto tempestivamente e formalmente l'eccezione di prescrizione; che non è condivisibile l'assunto della sentenza impugnata per cui l'effetto interruttivo della prescrizione nei confronti dei medici deve ricondursi al momento della notifica della chiamata in causa, sul presupposto che la loro chiamata in causa fosse finalizzata ad ottenere la condanna esclusiva di quest'ultimi e la liberazione della propria assicurata dalla pretesa attorea; che, invece, la (...) s.p.a. ha articolato le sue difese indirizzandole ad escludere la responsabilità della casa di cura e, solo in subordine, li ha chiamati in causa per la condanna diretta anche dei sanitari, quali corresponsabili in via solidale con la casa di cura. Quanto alla rivalsa, deduce, nel terzo motivo di impugnazione, un vizio logico della sentenza, nel momento in cui, da un lato, riconosce che il danno neurologico è stato causato dai sanitari intervenuti nelle fasi pre e post partum (dott.ri (...) e (...) e, dall'altro, esclude la loro responsabilità perché la "criticità" e le "carenze organizzative non possono risolversi in danno dei singoli sanitari chiamati in causa nel presente giudizio che si trovavano occasionalmente a svolgere la propria attività professionale presso la struttura convenuta". Ritiene contraddittoria la motivazione, perché "o si afferma che non sussiste la responsabilità del personale medico e quindi la struttura sanitaria non è considerata responsabile o, al contrario, se si afferma la responsabilità della struttura per "censurabile condotta dei sanitari" è evidente che va affermata anche la responsabilità di questi ultimi, attraverso i quali la prestazione di cura è stata resa". Né ha alcuna rilevanza se il rapporto dei medici con la casa di cura sia o meno occasionale, non incidendo sul loro vincolo contrattuale. Nel quarto motivo, (...) s.p.a. richiama i contratti di assicurazione stipulati da (...) s.p.a., ove è stabilito che la garanzia comprende la responsabilità civile derivante all'assicurata per l'esercizio professionale svolto dai medici non dipendenti nell'ambito della clinica fatto salvo il diritto alla rivalsa dell'assicuratore nei loro confronti. Posto che il dott. (...) e la dott.sa (...) non sono legati da rapporto di lavoro dipendente con la casa di cura, consegue che i suddetti sanitari dovranno essere condannati a rimborsare a (...) s.p.a. tutte le somme che quest'ultima sarà tenuta a versare ai danneggiati in virtù della garanzia assicurativa prestata. 2.3. Le difese di (...) e (...) s.p.a. (...) ribadisce, quanto all'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, che prima della sua chiamata in causa in data (...), a 14 anni di distanza dall'evento, non aveva ricevuto alcuna richiesta di risarcimento danni. Sostiene, in replica all'appello della (...) che non sono emersi elementi per ravvisare una sua negligenza, imprudenza o imperizia; che la sentenza ha correttamente escluso una sua responsabilità concorrente, avendo individuato la responsabile esclusiva nella struttura clinica, in quanto riconducibile alle sue carenze organizzative, e non nei sanitari che si trovavano occasionalmente a svolgere la propria attività presso la struttura. Premesso che all'epoca era coperto da garanzia assicurativa, in virtù della polizza per responsabilità civile professionisti n. P(...)8 stipulata in data (...) con (...)ni s.p.a. (oggi (...) s.p.a.), rivendica, in caso di accoglimento della domanda nei suoi confronti, il diritto ad essere tenuto indenne. (...) s.p.a., chiamata in garanzia dal dott. (...) ribadisce le ragioni di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni nei confronti del proprio assicurato, citato in giudizio a distanza di 14 anni dall'evento senza un previo atto interruttivo, nonché le censure all'accertamento del nesso causale. In via gradata, in caso di affermazione di responsabilità del dott. (...) ripropone l'eccezione di inoperatività della polizza in ragione della clausola claims made, nonché il limite di operatività del 51% nei confronti del coassicuratore (...) ed entro il massimale di Euro 1.032.913,80 (già Lire. 2.000.000.000). 2.4. La decisione di secondo grado (...) la Corte che occorre distinguere la domanda di condanna dei due medici (dott.ssa (...) e dott. (...) al risarcimento dei danni direttamente in favore dei danneggiati (il minore e i suoi congiunti), in solido con la struttura sanitaria, dalla domanda di regresso. La prima domanda non è stata proposta, né dagli attori (i danneggiati-creditori), né dall'unico soggetto convenuto in giudizio dagli attori (la struttura sanitaria), ma solo dall'assicuratore del convenuto ((...) s.p.a.) ed è diretta ad estendere la domanda risarcitoria dei primi ai coobligati in solido. Tuttavia, secondo l'univoca giurisprudenza di legittimità, il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa trova applicazione quando si tratta di una chiamata liberatoria, ossia di una chiamata del terzo effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che si individua come unico obbligato nei confronti dell'attore e in sostituzione dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) e oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore) ma ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. Non vi è luogo ad estensione automatica della domanda attorea nei confronti del terzo chiamato dal convenuto nel caso in cui si invochi soltanto una responsabilità concorrente, realizzandosi in tal caso, sempre e comunque, una situazione di litisconsorzio facoltativo non dissimile da quella che nasce fin dall'inizio del processo, allorquando si invochi nei confronti di più responsabili una responsabilità solidale, rendendosi necessaria, anche in questo caso, una specifica iniziativa processuale dell'attore per rendere destinatario anche il terzo (coobbligato in solido) della pretesa risarcitoria fatta valere nei confronti dell'originario convenuto. In particolare, non opera il principio di estensione automatica in ipotesi di chiamata in causa del medico da parte di un'azienda ospedaliera ai soli fini della manleva, senza quindi negare ed anzi presupponendo la propria legittimazione passiva sostanziale rispetto all'azione risarcitoria svolta dal danneggiato (Cass., ord., 27.11.2018, n. (...)). La regola della estensione automatica al terzo chiamato (il sanitario) della domanda risarcitoria attorea svolta esclusivamente nei confronti della convenuta struttura sanitaria non trova applicazione, a maggior ragione, allorquando il terzo non sia stato chiamato in causa dalla struttura convenuta, bensì, come nel caso di specie, dal suo assicuratore. Di qui l'irrilevanza delle censure svolte dalla (...) s.p.a. in merito alla prescrizione dell'azione risarcitoria nei confronti dei sanitari, nei confronti dei quali la chiamata in causa ad opera dell'assicuratore chiamato in causa non produce l'effetto di estendere automaticamente nei loro confronti la domanda risarcitoria degli attori. Quanto all'azione di regresso, la (...) s.p.a. ne indica il fondamento nel contratto di assicurazione laddove, in relazione alla copertura assicurativa estesa alla responsabilità della struttura per fatti imputabili ai medici non dipendenti della struttura, i quali abbiano esercitato nella struttura dell'assicurato, prevede il diritto di rivalsa dell'assicuratore nei confronti dei medici responsabili. Tale previsione, però, non può essere il fondamento di un'azione di rivalsa nei confronti di coloro che sono estranei al contratto di assicurazione, come i medici non dipendenti. (...) di regresso ipotizzabile è solo eventualmente quella che spetta all'assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale, a norma dell'art. 1299 c.c., e per surrogazione all'assicuratore, ex art. 1203, n. 3, c.c. Ma non è tale la domanda proposta da (...) s.p.a., la quale non ha chiesto la ripetizione dal condebitore solidale della sua quota di responsabilità, bensì il rimborso di tutte le somme che sarà tenuta a corrispondere in favore degli attori sul fondamento di un contratto di assicurazione che non ha effetti nei confronti di terzi. Quanto ai massimali di polizza e al riparto di coassicurazione, la polizza applicabile al sinistro in esame, come chiarito dal giudice di primo grado, è la n. 75.60.289.917 che copre il periodo dal 31.12.1999 al 13.11.2000 e che prevede un massimale di Lire 5.000.000.000 per sinistro (non Euro 5.000.000,00 come erroneamente ivi indicato), nonché un sottomassimale per persona deceduta o ferita di Lire 3.000.000.000 (Euro 1.549.370,00). Si tratta di un unico contratto di coassicurazione che prevede la ripartizione tra cinque assicuratori, stipulato per il tramite di (...) (ora, (...) s.p.a.), designata quale coassicuratrice delegataria, la quale copre il 40% del rischio assicurato. Pertanto, (...) s.p.a. (già (...) s.p.a.) copre la responsabilità civile dell'assicurata (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. nella misura del 40% dell'obbligazione dell'assicurata ed entro il limite di Euro 619.748,00 (pari al 40% del sottomassimale per persona deceduta). La casa di cura assicurata sostiene che la polizza non contiene una espressa esclusione della solidarietà tra le coassicuratrici, per cui la domanda di manleva può essere proposta solo nei confronti della delegataria (...) s.p.a. per l'intero, salvo la ripartizione pro quota nei rapporti interni delle coassicuratrici. Inoltre, a suo avviso, la volontà della (...) di assumere la gestione della lite anche per conto delle coassicuratrici, quale delegataria, è implicita nell'aver proposto domanda di manleva nei confronti del dott. (...) e della dott.ssa (...) non espressamente limitandola alla quota di pertinenza. In realtà, anche nel contratto n. 75.60.289.917 è espressamente prevista l'esclusione di "ogni responsabilità solidale" tra le coassicuratrici, sicché ciascuna è tenuta nei confronti dell'assicurata solo per la propria quota. Né occorre una tale previsione espressa, dato che, in mancanza di diversa pattuizione, trova applicazione l'art. 1911 c.c., secondo cui ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell'indennità assicurata soltanto in proporzione della rispettiva quota, anche se è unico il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori, come nella specie attraverso la delegataria. La delega ad (...) poi, secondo quanto previsto in contratto, si riferisce solo alla stipula del contratto, alle comunicazioni tra le parti e all'esazione dei premi, non comprendendo alcuna rappresentanza sostanziale nel processo delle coassicuratrici, né (...) s.p.a. è stata citata in giudizio anche nella qualità (...) di procuratrice delle altre coassicuratrici. Solo nelle comparse conclusionali di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. e degli appellanti nella causa n. 1043/2022 si afferma, tra l'altro senza fornire alcuna prova documentale, che la quota imputabile a (...) s.p.a. è pari al 60% a seguito della fusione per incorporazione della F.A.T.A. coassicurata della quota del 20%. Senza considerare che, oltre alla deduzione tardiva, la (...) s.p.a. non è stata chiamata in causa anche quale successore della coassicuratrice incorporata e, pertanto, la sua quota di garanzia non forma oggetto di domanda. Concludendo sul punto, l'appello di (...) s.p.a. deve essere parzialmente accolto, nella sola parte in cui censura la condanna a tenere indenne (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. da tutto quanto da questa dovuto alle altre parti del giudizio per capitale, rivalutazione, interessi e spese (capo 8), anziché nella misura del 40%. 3. Il risarcimento dei danni per (...) 3.1. La sentenza di primo grado In merito al quantum dei danni risarcibili, la sentenza valuta gli esiti permanenti ((...) ospite della struttura "(...) Orione" di (...) dal 3.9.2009 è affetto da cerebropatia grave per asfissia neonatale, portatore di tracheotomia con ventilazione meccanica e di gastrostomia per la nutrizione; le sue condizioni cliniche sono estremamente gravi e non ne consentono lo spostamento) nella misura del 90% di danno biologico e liquida il risarcimento, secondo le tabelle di (...) in Euro 1.107.038,00 in esso incluso il danno morale e con esclusione di una personalizzazione. Riconosce, poi, un danno patrimoniale da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa che, non essendo possibile stabilire quanto sarebbe stato il reddito che (...) avrebbe percepito, liquida assumendo quale parametro di riferimento del reddito la pensione sociale annua moltiplicata per tre (Euro18.262,92), a decorrere dal compimento del 22° anno di età per un totale di Euro 234.021,00. Esclude il risarcimento del danno emergente futuro (che i consulenti avevano indicato in una cifra media di Euro 400,00 mensili per almeno 20 anni per l'assistenza, fatto salvo quanto già eventualmente previsto per l'indennità di accompagnamento), rilevando che la Suprema Corte (Cass., 4.12.2018, n. (...)) ha precisato che dalle spese da sostenere vita natural durante per l'assistenza personale deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall'ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall'illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore; che tale assegno, per l'anno 2022, è pari ad un importo di Euro 525,17 per 12 mensilità senza limite di reddito, ed è pertanto già superiore a quanto quantificato dai consulenti. 3.2. (...) di (...) rappresentato dalla tutrice, avv. (...) (subentrata in corso di causa a seguito della revoca della tutrice (...) e della sua contestuale nomina con provvedimento del Tribunale di Alessandria), impugna la sentenza nelle parti in cui liquida in maniera inadeguata il danno patrimoniale da lucro cessante e non riconosce la personalizzazione del danno, né il danno patrimoniale emergente futuro. In merito a quest'ultimo, l'appellante lamenta che l'indennità di accompagnamento percepita (Euro 525,00 mensili, pari a meno di Euro 7.000,00 annui) non può coprire le spese occorrenti per il bisogno di assistenza continua per tutta la vita e per l'intera giornata, nelle ore diurne quanto nelle ore notturne, in tutte le azioni quotidiane necessarie per la sopravvivenza, quali la nutrizione, l'igiene personale, la vestizione, ecc. A suo avviso, l'assistenza h 24 comporta la retribuzione di 3 persone che lo assistano a turno nell'arco della giornata e il pagamento di spese per trattamenti, terapie, accertamenti specialistici, acquisto di presidi sanitari. Pertanto, considerando il costo per l'assistenza prestata da due persone (e compensando il costo della terza persona con l'indennità di accompagnamento) e, per ciascuna, uno stipendio medio netto mensile di circa Euro 989,00 (medio annuo lordo di Euro 20.000,00), il costo di assistenza annuale complessivo (di circa Euro 40.000,00) moltiplicato per 50 anni (periodo di aspettativa oltre il 18° anno di età) indica un danno emergente futuro di Euro 2.000.000,00. (...) considera esigua anche la somma liquidata a titolo di danno da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa, avendo calcolato il triplo della pensione sociale per soli 43 anni, senza considerare che non potrà mai usufruire della pensione lavorativa per mancato versamento dei contributi previdenziali, una volta raggiunta l'età di 65 anni. Chiede, su questo punto, la riforma della sentenza e la liquidazione del danno da lucro cessante nella misura complessiva di Euro 463.439,85 (da cui detrarre quanto già liquidato - pari ad Euro 234.021,00 - con una differenza di Euro 229.418,85), calcolando il triplo della pensione sociale dell'anno 2022 per la vita media della popolazione maschile pari ad 80 anni. (...) ritiene ingiusta anche la mancata personalizzazione del danno non patrimoniale, "in relazione alle sofferenze ed ai disagi complessivamente patiti e che verranno patiti per tutta la durata della vita, apprezzabili e valutabili anche mediante presunzioni alla luce della particolare gravità della patologia e del suo carattere cronico ed irreversibile e del rilievo che la condizione di disabilità ha sin qui pervaso l'intera esistenza di (...) ed è destinata a proiettarsi negativamente sulla sua vita futura, nel corso della quale dovrà convivere con la consapevolezza di una irredimibile diversità dai suoi coetanei". Deduce che ricorrono circostanze eccezionali e specifiche, avendo "riportato lesioni di elevatissima gravità che hanno del tutto stravolto la sua esistenza, soppresso la sua vita di relazione"; che le sue condizioni fisiche sono peggiorate nel corso del tempo e, come risulta dalla documentazione prodotta, "veniva sottoposto a 9 anni a confezionamento di (...) a catetere vescicale a permanenza nonchè ad un successivo intervento di tracheotomia all'età di 12 anni", circostanze "che nel caso in esame risultano di notevole spessore, in quanto non tutti i soggetti della stessa età ed in presenza di asfissia perinatale sono soggetti alle medesime conseguenze subite dal Visconti"; che "con il passare degli anni, con il contestuale peggioramento e mutamento delle condizioni fisiche, il sig. (...) è stato costretto ad isolarsi dal mondo esterno e costretto ad una esistenza che, purtroppo, vita non è". Conclude, sul punto, per l'aumento del 25% del danno biologico personalizzato, pari ad un ulteriore importo di Euro 184.506,25 (25% di Euro 1.107.038,00). 3.3. Le difese di (...) (...) e (...) s.p.a. (...) eccepisce l'inammissibilità della impugnazione proposta da (...) nell'interesse di (...) sia per mancanza di prova della legittimazione attiva (avendo impugnato la sentenza in qualità di tutrice, ma senza produrre un provvedimento giudiziale di interdizione), sia per difetto di autorizzazione del giudice tutelare (non prodotta neppure in primo grado, ove la predetta aveva agito nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale, non in qualità di tutrice). Nel merito, deduce che l'appello avverso il rigetto della domanda di risarcimento del danno emergente futuro di (...) deve essere respinto, ma per una ragione diversa da quella indicata in sentenza (la sufficienza dell'indennità di accompagnamento), poiché il predetto è permanentemente ricoverato, per le sue irreversibili e gravissime condizioni, presso una struttura a totale carico dello Stato, di talché non gli necessita alcun esborso per l'assistenza privata domiciliare; che, anzi, secondo quanto previsto dall'art. 1 della legge n. 18/1980, il ricovero in strutture a totale carico dello Stato, com'è il "(...) Cottolengo", esclude financo la erogazione dell'indennità di accompagnamento, proprio perché in tal caso l'inabile non abbisogna di accompagnamento privato; che il riconoscimento di un danno da lucro cessante futuro a partire dal 22° anno di età è particolarmente generoso, essendo statisticamente più verosimile un inserimento nel mondo del lavoro verso 25/27 anni; che, quanto al periodo successivo al 65° anno di età, la liquidazione anticipata dell'intero importo del danno patrimoniale appare ampiamente idonea a compensare la mancata percezione di redditi da pensione, giacché un oculato impiego di una parte del capitale in prodotti previdenziali privati (sostitutivi, nella fattispecie, della previdenza sociale) costituisce una valida alternativa alla contribuzione previdenziale; che la personalizzazione del danno non patrimoniale giustificata dalla consapevolezza del suo stato psico-fisico è esclusa dalla gravità stessa della cerebropatia, incompatibile con uno stato soggettivo di consapevolezza. 3.4. La decisione di secondo grado In primo grado (...) e (...) si sono costituiti in giudizio anche in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore (...) e, dopo che questi ha conseguito la maggiore età, la madre (...) si è costituita in giudizio in data (...), in qualità di tutore del figlio, depositando il verbale di giuramento di tutore del 7.7.2021, senza dichiarare (e produrre) alcuna autorizzazione del giudice tutelare alla prosecuzione del giudizio. La mancanza di autorizzazione può, però, ritenersi sanata da quella accordata dal giudice tutelare al nuovo tutore per la prosecuzione dell'appello, depositata in data (...). Nel merito, va anzitutto escluso un aumento personalizzato della liquidazione standard prevista dalle tabelle milanesi per il 90% di invalidità permanente, non essendovi alcuna prova che questo elevato grado di invalidità abbia, per (...) effetti penalizzanti eccezionali e ulteriori, per proprie specifiche caratteristiche personali, rispetto al medesimo grado di invalidità nei comuni casi (ossia rispetto a qualunque persona con la medesima invalidità). La liquidazione standard del danno non patrimoniale può essere, infatti, aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari del soggetto. (...) gravità della tetraparesi spastica, le sofferenze che provoca, la compromissione irreversibile della vita relazionale costituiscono una conseguenza "normale" di un grado di invalidità pari al 90% per tutti i soggetti che patiscono una menomazione identica di medesima entità. Va disattesa anche la richiesta di ristoro del danno emergente futuro consistente nella necessità di retribuire tre persone che prestino l'assistenza continua di (...) per la parte eccedente l'indennità di accompagnamento percepita (Euro 525,00 mensili), dal momento che l'assistenza è prestata dalla struttura socioresidenziale "(...) di Tortona", ove il predetto è ospitato dalla data del 3.9.2009. Non è condivisibile neppure l'estensione oltre l'età lavorativa (65 anni), fino all'80° anno di età (assunto come durata media della vita della popolazione maschile), del risarcimento del danno da lucro cessante per la perdita totale e definitiva della capacità lavorativa generica, che la sentenza impugnata ha correttamente liquidato nella misura del triplo della pensione sociale dal 22° al 65° anno di età (per 43 anni). Il triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale, è il reddito da lavoro al lordo dei contributi previdenziali che viene assunto come parametro di liquidazione equitativa della perdita definitiva di produrre reddito di lavoro da parte di chi non è ancora in età lavorativa. Comprensivo, perciò, della quota di reddito che sarebbe stata destinata ai contributi previdenziali. (...) dell'avv. (...) in qualità di tutrice di (...) deve essere, perciò, complessivamente rigettato. 4. Il risarcimento dei danni patrimoniali per (...) 4.1. La sentenza di primo grado La sentenza liquida il danno patrimoniale patito dalla madre (...) per ristoro delle spese per l'assistenza al figlio "che, sulla base di massime di comune esperienza, non riescono ad essere interamente coperte dall'indennità di accompagnamento" e che "tenuto conto del grado e dalla natura della invalidità accertata dai (...) del periodo di tempo considerato (anni 22) appare equo liquidare a tale titolo la somma di Euro 50.000,00 già rivalutata all'attualità e comprensiva di interessi", mentre "nulla è stato dedotto (e provato) dalla sig.ra (...) in merito alla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale sotto forma di danno da lucro cessante". 4.2. (...) di (...) (...) (...) critica la "esigua cifra di Euro 50.000,00" liquidata a titolo di danno patrimoniale emergente, la quale non copre le spese di cui ha dovuto farsi carico per l'assistenza continua del figlio dalla nascita all'età di 18 anni. Applicando i medesimi parametri sopra indicati per la liquidazione del medesimo danno patrimoniale direttamente in favore di (...) a partire dal compimento del 18° anno di età, l'appellante ritiene di avere diritto all'ulteriore somma di Euro 680.000,00 (Euro 40.000,00 all'anno per l'assistenza continua giornaliera di due persone x 18 anni = Euro 720.000,00 meno la somma di Euro 50.000,00 già liquidata). (...) di Euro 680.000,00 indicato dall'appellante contiene un evidente errore di calcolo, risultando corretta la cifra di Euro 670.000,00. La medesima appellante censura l'erronea negazione del danno patrimoniale da lucro cessante, dedotto nella seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., laddove aveva chiesto l'ammissione della prova per testi anche sulla circostanza che "all'epoca dei fatti la sig.ra (...) avesse perso la propria attività lavorativa, proprio per far fronte alle esigenze del figlio". Rappresenta che il ricovero in una struttura attrezzata in altra (...) richiede ingenti costi economici e molto tempo libero per raggiungere il figlio ed occuparsene; che, a prescindere dalla perdita di attività della madre, tra i danni patrimoniali che saranno patiti in futuro dai congiunti vi è la mancata percezione di quelle utilità economiche che il figlio avrebbe apportato in favore dei congiunti; che tale voce di danno può essere liquidata in via equitativa nella misura di Euro 50.000,00. 4.3. La difesa di (...) deduce che l'appello avverso la liquidazione del danno emergente per (...) è infondato per le medesime ragioni riguardanti l'insussistenza del danno emergente futuro di (...) Sostiene che il danno patrimoniale da lucro cessante per (...) negato dal primo giudice, non ha alcun supporto probatorio, non avendo dimostrato la perdita di un lavoro, né gli esborsi affrontati per far visita al figlio. 4.4. La decisione di secondo grado Le medesime ragioni che, come già chiarito, escludono il risarcimento in favore di (...) del danno emergente futuro consistente nel costo di assistenza continua con personale retribuito, per la parte non coperta dall'indennità di accompagnamento (ossia, l'insussistenza di tali spese, dal momento"), valgono anche per la madre (...) per il ristoro delle spese per l'assistenza al figlio. La liquidazione del primo giudice (Euro 50.000,00) fino al 22° anno di età del figlio considera un periodo temporale addirittura superiore di oltre il doppio rispetto al periodo in cui la madre ha avuto effettivamente in carico il figlio, il quale dall'età di 9 anni (dal 3.9.2009) vive presso la struttura socio-residenziale "(...) di Tortona". (...) di (...) va rigettato anche nella parte in cui impugna il rigetto della sua domanda di risarcimento del danno da lucro cessante. Questa voce di danno era stata chiesta, nell'atto di citazione di primo grado, solo sub specie di perdita di mancata percezione di quelle utilità economiche che il figlio avrebbe apportato in favore dei congiunti, nella misura di Euro 50.000,00. Per tale parte, il presunto danno è già compreso nella liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa generica in favore del figlio. La domanda di risarcimento di un ulteriore lucro cessante (consistente nella perdita dei redditi futuri propri della madre, avendo dovuto rinunciare a prestare attività lavorativa per occuparsi del figlio) non è stata neppure introdotta in primo grado. Né può ritenersi implicita nell'articolazione di un capitolo di prova nella seconda memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c. (e, comunque, tardiva). Sicché, sotto tale aspetto, configura una inammissibile domanda nuova in appello. 5. Il risarcimento dei danni non patrimoniali per i genitori e il fratello 5.1. La sentenza di primo grado La sentenza impugnata, mentre valuta solo i danni patrimoniali di (...) ritiene fondata l'eccezione di prescrizione proposta dalla convenuta (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. e dai sanitari chiamati in causa in ordine alle domande di risarcimento del danno non patrimoniale avanzate da (...) e (...) Su questo punto, il primo giudice espone che, mentre l'azione della madre (...) e di (...) ha natura di responsabilità contrattuale, soggetta al termine ordinario decennale di prescrizione, quella degli altri congiunti (il padre, il fratello ed il nonno) ha natura extracontrattuale, con termine di prescrizione quinquennale; che l'atto di citazione, notificato alla (...) del (...) in data (...), è stato preceduto da un atto interruttivo (la richiesta risarcitoria indirizzata alla sola (...) del (...) del 27.1.2010, mentre l'evento dannoso risale al 15.2.2000; che, pertanto, il primo atto interruttivo è intervenuto dopo la scadenza del termine quinquennale (e anche del più lungo termine previsto per il reato di lesioni colpose gravissime, pari ad anni 7 e mesi 6) decorrente dall'evento di danno; che, pertanto, devono ritenersi prescritte le domande proposte da (...) e (...) 5.2. Gli appelli dei genitori e del fratello (...) (...) e (...) impugnano il mancato riconoscimento del danno parentale e, solo (...) anche il danno da omesso consenso informato. Quest'ultima censura l'omessa statuizione del giudice di prime cure in ordine al danno da mancato consenso informato, richiesto in sede di precisazione delle conclusioni, "in quanto riconosciuto all'esito della Ctu". Evidenzia che dalla consulenza tecnica risulta che "i sanitari ostetrici non hanno fornito alla gestante puntuali e chiare informazioni sulla reale situazione clinica e sulle prospettive materne e feto-neonatali del travaglio di parto prematuro complicato da un sospetto di corioamnionite"; che "i sanitari sono venuti meno al dovere di informazione, che rappresenta un obbligo del professionista di prospettare realisticamente l'ottenimento del risultato". Anche per tale voce di danno, chiede la liquidazione della somma di Euro 50.000,00. (...) deduce, poi, l'omissione di una statuizione di primo grado in ordine alla sua domanda risarcitoria del danno da perdita del rapporto parentale, trattandosi di un danno non patrimoniale iure proprio dei congiunti della persona gravemente danneggiata per il venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto. Si tratta di una voce risarcitoria diretta a "ristorare il familiare sia della sofferenza psichica sofferta in conseguenza dell'impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare sia lo sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l'intera esistenza del soggetto che l'ha subita, questo come riflesso dinamico relazionale". Chiede, in base alle tabelle di (...) del 2022, la liquidazione di Euro 336.500,00. (...) e (...) avversano l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione del loro diritto al risarcimento dei danni patiti per la perdita del rapporto parentale per errore nell'individuazione del dies a quo della prescrizione quinquennale e/o da reato. (...) che la "esteriorizzazione" della malattia e la sua percezione da parte degli appellanti risale al 9.4.2008, data in cui il piccolo (...) si è sottoposto alle visite mediche presso il centro (...) per l'accertamento dell'invalidità civile, mentre "è solo con la perizia medico-legale del 2010, redatta dal (...) (...) e quindi con l'esame della pratica compiuta da quest'ultimo, che le odierni parti appellanti hanno avuto percezione e conoscenza che il danno subito da (...) è collegato causalmente alla condotta dei sanitari della (...) di cura convenuta"; che, pertanto, è erroneo "far decorrere il termine prescrizionale del danno parentale dalla nascita di (...) quando i congiunti dello stesso non erano neppure a conoscenza né delle gravi patologie da cui è risultato affetto (...) né, che tale quadro clinico, fosse conseguenza dell'erronea prestazione dei sanitari intervenuti"; che la pronuncia di primo grado viola il principio costantemente affermato in giurisprudenza, per cui la prescrizione decorre dal momento della esteriorizzazione e, quindi, della conoscibilità dell'evento dannoso; che un altro indirizzo della giurisprudenza amplia gli effetti protettivi del contratto ai familiari in presenza di una prestazione diretta alla cura della persona. Concludono per il riconoscimento, in base alle tabelle milanesi, di Euro 336.500,00 per (...) come per (...) e di Euro 146.120,00 per (...) 5.3. La difesa di (...) eccepisce inammissibilità della domanda di danno parentale non proposta nell'atto di citazione, neppure implicitamente, essendo le conclusioni formulate seguendo un criterio espositivo analitico; che, infatti, parte attrice ha richiesto esclusivamente danni di natura patrimoniale e non anche danni di natura non patrimoniale, quale è quello da perdita del rapporto parentale. 5.4. La decisione di secondo grado (...) anche in proprio per i danni direttamente patiti nella propria sfera giuridica, i genitori di (...) avevano elencato e quantificato, nell'atto di citazione di primo grado, i danni da risarcire "per i genitori iure proprio". (...) comprendeva solo i danni patrimoniali: il danno emergente futuro per le spese di assistenza (nella misura di Euro 720.000,00) e il lucro cessante per la futura mancata percezione del contributo patrimoniale che il figlio avrebbe garantito ai genitori (nella misura di Euro 50.000,00). Alcuna domanda di risarcimento di danno non patrimoniali è stata da loro avanzata, neanche nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., depositata in data (...). Le domande di risarcimento del danno parentale (Euro 336.500,00) e del danno da mancato consenso informato (Euro 50.000,00) sono state introdotte in primo grado solo nella nota scritta di precisazione delle conclusioni depositata in data (...). Consistono, perciò, in domande nuove (in aggiunta e non in sostituzione di quelle originarie) che, evidentemente non esaminate dal primo giudice, vengono inammissibilmente riproposte in appello. Di qui il rigetto degli appelli di (...) e di (...) che assorbe, per quest'ultimo, le censure alla sentenza di primo grado in ordine alla prescrizione della sua azione risarcitoria. (...) di citazione di primo grado conteneva, invece, la domanda di risarcimento del danno parentale per il fratello (...) (nella misura di Euro 134.040,00), rispetto alla quale va confermata la natura extracontrattuale e, dunque, la sua prescrizione quinquennale. E infatti, le obbligazioni che discendono dal rapporto contrattuale tra la gestante e l'ente ospedaliero aventi ad oggetto la prestazione delle cure e delle attività necessarie al fine di preservare il feto e garantire il corretto decorso della gravidanza, sussistono, non solo nei confronti della madre, ma anche del nascituro e del padre, sebbene si tratti di persone rimaste estranee al contratto. Si parla, esclusivamente rispetto a questi soggetti, di un "contratto con effetti protettivi a favore di terzo" e di efficacia "ultra partes" nei confronti del nascituro e del padre, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati. Nei confronti degli altri congiunti (come, nel caso di specie, il fratello) torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art.1372, secondo 2, c.c.). Pertanto, nei confronti dei prossimi congiunti del paziente (come il fratello), l'inadempimento della struttura sanitaria potrà rilevare esclusivamente come illecito aquiliano "ed essi saranno dunque legittimati ad esperire, non già l'azione di responsabilità contrattuale, ma quella di responsabilità extracontrattuale" (Cass., 7.4.2022, n. 11320). (...) premesso, la data di decorrenza della prescrizione aquiliana quinquennale non va individuata, né nella data di nascita di (...) né nella data della perizia medico-legale del prof. (...) del 2010 (come ritengono gli appellanti), bensì nella data del 20.6.2001 (a 16 mesi dal parto), nella quale venne effettuata una RMN cerebrale presso L'(...) (...) e (...) di (...) che mise in evidenza le gravi condizioni del minore e indicò la sua eziologia ("(...) esiti di sofferenza ipossica perinatale"). È questo il momento in cui "il diritto può essere fatto valere" (art. 2935 c.c.); precisamente è il momento, successivo alla sua venuta ad esistenza, nel quale il diritto al risarcimento dei danni diventa oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del suo titolare (Cass., 27.10.2023, n. 29859), in ragione dell'acquisita conoscenza, sia dell'evento di danno (la tetraparesi spatica), sia della sua eziologia (la sofferenza ipossica perinatale) e dalla sua possibile riconducibilità a colpa medica nell'assistenza al parto. Il primo atto potenzialmente interruttivo (la richiesta risarcitoria del 27.1.2010, che ha preceduto la notifica dell'atto di citazione, notificato alla (...) del (...) in data (...)) è intervenuto oltre il termine di cinque anni successivi alla data di inizio della decorrenza (20.6.2001), con la conseguente conferma dell'estinzione per prescrizione del diritto di (...) al risarcimento del danno parentale ed il rigetto del suo appello. In definitiva, tutti gli appelli devono essere rigettati, ad eccezione di quello di (...) s.p.a., che va accolto parzialmente nella parte in cui impugna la sua condanna a tenere indenne (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. di tutto quanto dovuto alle altre parti del giudizio (capo 8), anziché del 40% del dovuto. Tale condanna risulta già eseguita con il pagamento alla casa di cura, a seguito dell'ordinanza di sospensione parziale dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado del 31.1.2023, della somma di Euro 614.505,84 con i due bonifici allegati (il cui importo rientra nel limite massimo di copertura assicurativa pro quota di Euro 619.748,00). Conseguentemente non va statuita alcuna restituzione della somma versata. Il rigetto degli appelli delle parti attrici di primo grado e di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. conferma il regolamento tra loro delle spese processuali di primo grado (capo 4), mentre le spese processuali di secondo grado tra loro devono essere interamente compensate, stante la soccombenza reciproca in questa fase. Il rigetto dell'appello di (...) s.p.a. nei confronti dei sanitari implica la conferma del rimborso delle spese di primo grado in favore di (...) (capo 6) e (...) (capo 7) e la condanna della prima a rimborsare le spese di secondo grado, anche per (...) s.p.a. (assicuratrice di (...), che si liquidano in dispositivo sul valore pari all'importo corrisposto alla casa di cura. Stante la riduzione al 40% della condanna di (...) s.p.a. a tenere indenne (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a., con conseguente riforma della sentenza sul punto, occorre procedere d'ufficio al regolamento tra loro delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, che tenga conto dell'esito complessivo della lite (Cass., 29.10.2019, n. 27606). Tale esito (l'accoglimento parziale della domanda di manleva) comporta la compensazione per metà delle spese di entrambi i gradi, che si liquidano come in dispositivo, e la condanna di (...) s.p.a. al rimborso della restante metà. Il rigetto integrale delle impugnazioni dell'avv. (...) nella qualità di tutrice di (...) di (...) (...) e (...) nonché dell'appello incidentale di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. comporta l'attestazione della sussistenza del presupposto processuale per il pagamento da parte di detti appellanti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione (c.d. doppio contributo). PQM La Corte di Appello di Salerno prima sezione civile, definitivamente decidendo in grado di appello nelle cause civili riunite, iscritte al R.G. n. 1043/2022 e n. 1059/2022, così provvede: 1. rigetta l'appello proposto dall'avv. (...) nella qualità di tutrice di (...) nonché gli appelli di (...) (...) e (...) (nella causa n. 1043/2022); 2. rigetta l'appello incidentale di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a.; 3. accoglie parzialmente l'appello di (...) s.p.a. (nella causa n. 1059/2022) e, per l'effetto, ridetermina la sua condanna a tenere indenne (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. nella misura del 40% di quanto dovuto alle altre parti del giudizio (capo 8 del dispositivo di primo grado); 4. compensa interamente le spese processuali di secondo grado tra l'avv. (...) in qualità di tutrice di (...) (...) (...) e (...) da un lato, e (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a., dall'altro; 5. condanna (...) s.p.a. al rimborso delle spese processuali del grado di appello in favore di (...) che liquida in Euro 9.500,00 per onorari di difesa, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, (...) ed Iva come per legge; 6. condanna (...) s.p.a. al rimborso delle spese processuali del grado di appello in favore di (...) che liquida in Euro 9.500,00 per onorari di difesa, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, (...) ed Iva come per legge, con attribuzione al difensore antistatario, avv. (...) per dichiarato anticipo; 7. condanna (...) s.p.a. al rimborso delle spese processuali del grado di appello in favore di (...) s.p.a., che liquida in Euro 9.500,00 per onorari di difesa, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, (...) ed Iva come per legge, con attribuzione al difensore antistatario, avv. (...) per dichiarato anticipo; 8. compensa per metà le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio tra (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. e (...) s.p.a., che liquida complessivamente in Euro 1.600,00 per spese vive di primo grado in Euro 30.000,00 per onorari di difesa (di cui Euro 20.000,00 per il primo grado ed Euro 10.000,00 per il secondo grado), e condanna (...) s.p.a. al rimborso della restante metà in favore di (...) - (...) di (...) del (...) s.p.a. - pari ad Euro 800,00 per spese vive ed Euro 20.000,00 per onorari di difesa, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, (...) ed Iva come per legge, con attribuzione ai difensori antistatari, avv.ti (...) e (...) per dichiarato anticipo; 9. conferma per il resto la sentenza impugnata. Dà atto, a norma dell'art 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/02, della sussistenza del presupposto processuale per il pagamento, da parte degli appellanti principali nella causa n. 1043/2022 (avv. (...) nella qualità di tutrice di (...) di (...) (...) e (...) e da parte dell'appellante incidentale ((...) - (...) di (...) del (...) s.p.a.), dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D' APPELLO DI PERUGIA - SEZIONE LAVORO - composta dai magistrati: Dr.ssa Alessandra Angeleri - Presidente est. Dr.ssa Simonetta Liscio - Consigliere Dr Pierluigi Panariello - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 111 dell'anno 2022 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass., promossa da (...), rappresentata e difesa - giusta delega rilasciata su supporto cartaceo, la cui copia informatica, autenticata dal difensore con firma digitale, è stata trasmessa in via telematica contestualmente al deposito dell'at-to d'appello, ai sensi dell'art. 83, terzo comma, ultimo periodo c.p.c. - dall'avvocato Mo.Ra., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Perugia, Via (...) - appellante - contro ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - INPS, con sede legale in Roma, Via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro.An., Mi.Ar., Ri.Li. e St.Di. - in forza di procura generale alle liti per atto del dottor P.C., notaio in R., del (...), repertorio n. (...), raccolta n. (...) - ed elettivamente domiciliato presso l'Avvocatura dell'Istituto medesimo in Perugia, Via (...) - appellato - OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 56/2022 del Tribunale di Perugia - indebito su indennità d'accompagnamento Causa decisa all'udienza del 1o febbraio 2023. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Perugia il 14 maggio 2021, (...) chiese che fosse accertata l'illegittimità della richiesta di restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo d'indennità d'accompagnamento, pari a Euro 3.639,58 complessivi, e che, di conseguenza, l'INPS fosse condannato a restituire gl'importi, nel frattempo indebitamente trattenuti sui trattamenti pensionistici di cui la ricorrente era titolare. Costituitosi in giudizio, l'INPS contestò la domanda e ne chiese il rigetto. Con la sentenza n. 56/2022, pronunciata, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., modificato dall'art. 53 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, all'udienza del 18 marzo 2022, il Tribunale respinse la domanda e dichiarò la ricorrente esonerata dalla refusione delle spese del giudizio. Con atto depositato il 16 settembre 2022, (...) interpose appello avverso la decisione, e ne chiese la riforma, con il conseguente accertamento dell'illegittimità delle ritenute e la condanna dell'INPS alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto. Con D.P. del 21 ottobre 2022, fu fissata per la discussione della causa l'udienza del 1o febbraio 2023. Con decreto del 4 gennaio 2023, inserito nel fascicolo telematico del processo il 9 gennaio, il Presidente della Sezione ha individuato in via generale per le udienze di discussione la modalità della discussione orale, ossia, in presenza, fatti salvi gli eventuali provvedimenti da adottarsi ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. L'INPS s'è costituito in giudizio con memoria depositata il 18 gennaio 2023, e ha concluso per il rigetto del gravame. All'esito della discussione del 1o febbraio 2023, la causa è stata decisa come al dispositivo in atti, qui trascritto. Il giudice di primo grado ha rilevato che non era in contestazione la sussistenza di un indebito oggettivo, originato dalla visita di revisione cui la (...), titolare d'indennità d'accompagnamento, era stata sottoposta il 20 novembre 2019, nella quale i sanitari dell'INPS avevano riscontrato il venir meno del requisito sanitario. La ricorrente, piuttosto, sosteneva l'irripetibilità delle somme riscosse nel periodo compreso tra la comunicazione del verbale della visita, avvenuta nel dicembre del 2019, e la richiesta di ripetizione delle somme indebitamente percepite, avanzata dall'Istituto il 9 giugno 2020. Il Tribunale, esclusa l'applicabilità al caso della (...) delle norme in tema d'indebito previdenziale, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità e ha concluso che, nella fattispecie, difettasse il legittimo affidamento dell'invalida circa la spettanza della provvidenza economica. Di conseguenza, ha respinto la domanda. L'appellante censura la decisione, rilevando come il Tribunale non abbia correttamente applicato i principi affermati dalla giurisprudenza che, in realtà, avrebbero condotto all'accoglimento del ricorso. In particolare, richiama la sentenza n. 4668 del 2021; nell'udienza di discussione, ha citato anche una pronuncia più recente, la n. 24180 del 2022. È pacifico che (...), titolare d'indennità d'accompagnamento, fu sottoposta a visita di revisione il 20 novembre 2019, all'esito della quale fu riconosciuta totalmente inabile, ma non anche bisognosa di assistenza continua. Il verbale della visita le fu comunicato il 17 dicembre 2019. La prestazione non fu sospesa; tuttavia, con raccomandata del 25 giugno 2020, l'INPS richiese alla (...) la restituzione di Euro 3.639,58, somma corrispondente ai ratei indebitamente percepiti tra il dicembre 2019 e il giugno 2020. Per accertare il fondamento dell'impugnazione, è necessario premettere alcune considerazioni a proposito delle provvidenze a favore degli invalidi civili e del regime ad esse applicabile in caso in materia d'indebito. A questo proposito si può richiamare la sentenza n. 6610/2005 emessa dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte il 29 marzo 2005. Osservano in questa pronuncia i giudici di legittimità: "Le prestazioni economiche agli invalidi civili costituiscono l'oggetto di obbligazioni (pubbliche) ex lege, in quanto nascono al verificarsi dei fatti previsti dalle norme. Di conseguenza, i procedimenti amministrativi preordinati ad accertare tali fatti e, quindi, l'esistenza o l'inesistenza dell'obbligazione (originaria o sopravvenuta), ancorché i detti fatti siano complessi ed il relativo accertamento abbia natura critica, cioè di giudizio, con l'opinabilità che contrassegna tutti i giudizi, rivestono natura meramente ricognitiva, funzionale all'attuazione dei rapporti obbligatori, perciò escludendo la configurabilità di poteri amministrativi e di provvedimenti costitutivi degli effetti (giurisprudenza pacifica: cfr. per tutte, Cass., sez. un., 8 aprile 1975, n. 1261 e 24 ottobre 1991, n. 11329). Ciò implica che il diritto nasce in coincidenza con l'insorgenza dei requisiti e non certo per effetto degli atti c.d. di "concessione", come impropriamente talora denominati dalle norme; allo stesso modo, i c.d. atti di revoca non sono altro che ricognizioni in ordine all'inesistenza originaria o sopravvenuta dell'obbligazione e non certo provvedimenti espressione della c.d. "autotutela amministrativa", che è potere discrezionale di apprezzamento della conformità della situazione all'interesse pubblico (vedi, per tutte, Cass. 256/2001; 8713/1999; 5138/1994). Il descritto assetto ordinamentale si pone in diretta derivazione dai principi espressi dall'art. 38 Cost., attributivi del "diritto" al mantenimento e all'assistenza sociale spettante ai cittadini inabili e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, nonché del diritto alla previdenza per i lavoratori. In linea generale, perciò, le prestazioni derivanti dalla solidarietà sociale non possono riconoscersi a coloro che non possiedono i requisiti previsti dalla legge per essere titolari del diritto. A questa regola, può derogare il legislatore mediante espresse previsioni e per casi specifici, ove ritenga di privilegiare l'affidamento determinato dall'attribuzione di fatto di una prestazione per un lasso notevole di tempo (si veda il disposto dell'art. 9, comma 1, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, circa la rettificabilità degli errori commessi dall'I.N.A.I.L. nell'attribuzione di prestazione entro il termine massimo di dieci anni). Ne discende l'applicabilità del principio generale di cui è espressione l'art. 2033 c.c., secondo il quale ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge è da considerare indebita e soggetta a ripetizione. Tuttavia, nel settore della previdenza e dell'assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento. ... Nello specifico ambito delle prestazioni economiche corrisposte agli invalidi civili, la disciplina particolare della ripetibilità delle prestazioni indebitamente erogate va ricercata nella normativa appositamente dettata in materia, non potendo trovare applicazione in via analogica - ma neppure estensiva stante il carattere derogatorio dell'art. 2033 c.c. di disposizioni di questo genere - le regole dettate con riferimento alle pensioni o agli altri trattamenti previdenziali. Su questo specifico punto si è espressa la Corte costituzionale, giudicando manifestamente infondate le q.l.c, in riferimento agli art. 3 e 38 comma 1 cost., dell'art. 1, commi 260- 265, L. 23 dicembre 1996, n. 662, e dell'art. 52, comma 2, L. 9 marzo 1989, n. 88, nelle parti in cui, pongono limiti alla ripetibilità dell'indebito previdenziale ma non anche di quello assistenziale". Dopo un ampio excursus sulle norme susseguitesi nel corso degli anni nella materia della ripetibilità dell'indebito su prestazioni assistenziali, la Corte di cassazione osserva: "La ricognizione della normativa ed i principi generali precisati consentono agevolmente di concludere nel senso che le erogazioni indebite effettuate dopo l'accertamento dell'insussistenza dei requisiti non sono sottratte alla regola generale dell'art. 2033 c.c. Per affermare il contrario, in presenza, appunto, di deroghe al principio generale, sarebbe necessaria l'individuazione di una norma che in tal senso disponga. Ma, come si è constatato, le norme contemplano, in linea di massima, l'irripetibilità delle sole prestazioni effettuate fino alla data dell'accertamento amministrativo dell'inesistenza dei requisiti. Per queste ragioni la giurisprudenza della Corte si è orientata nel senso dell'irrilevanza ai fini della ripetizione dei ratei indebitamente riscossi, del mancato rispetto delle norme che impongono all'amministrazione di prontamente attivarsi, sospendendo i pagamenti ed emanando il formale provvedimento di revoca entro termini prefissati, siccome tali atti (sospensione e revoca) non concretano esercizio di poteri amministrativi, ma si sostanziano in meri accertamenti, in atti di gestione del rapporto obbligatorio; come dimostra anche il fatto che i termini sono stati per la prima volta previsti proprio da un regolamento emanato in tema di strutturazione dei procedimenti amministrativi; si è, dunque, in presenza di disposizioni organizzatorie, preordinate ad impedire - anche collegando all'inosservanza la responsabilità degli organi per danno erariale - proprio che siano effettuate prestazioni indebite, le quali sia poi necessario ripetere, non certo sancire l'irripetibilità delle stesse quale sanzione per l'inosservanza dei termini ...". L'art. 4, comma 3-ter del D.L. 20 giugno 1996, n. 323, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 1996, n. 425, stabiliva: "In caso di accertata insussistenza dei requisiti sanitari, la Direzione generale di cui al comma 1 provvede, entro novanta giorni dalla data della visita di verifica o degli ulteriori accertamenti che si rendessero necessari, alla revoca delle provvidenze in godimento a decorrere dalla data della visita di verifica". La norma è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, il cui art. 37 (rubricato "Verifiche in materia di invalidità civile"), al comma 8, prevede: "In caso di accertata insussistenza dei requisiti sanitari, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica oggi, l'INPS, n.d.e. dispone l'immediata sospensione dell'erogazione del beneficio in godimento e provvede, entro i novanta giorni successivi, alla revoca delle provvidenze economiche a decorrere dalla data della visita di verifica". In tempi recenti, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 26162 del 19 dicembre 2016, ha affermato ancora: "Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 16260 del 29/10/2003) che "con riferimento alla revoca delle prestazioni assistenziali in favore degli invalidi civili, alla stregua della disciplina via via succedutasi nel tempo a partire dall'art. 11, quarto comma, L. n. 537 del 1993 (art. 4, comma terzo ter, D.L. n. 323 del 1996, convertito in L. n. 425 del 1996, art. 37, ottavo comma, L. n. 448 del 1998) - disciplina alla quale rimane estranea la disposizione meramente "regolamentare" dettata dall'art. 5, quinto comma, D.P.R. n. 698 del 1994 avente ad oggetto l'articolazione del relativo procedimento - deve ritenersi che la ripetizione delle prestazioni previdenziali indebitamente erogate operi dalla data di accertamento amministrativo dell'inesistenza dei requisiti sanitari, senza che possa rilevare - in mancanza di una norma che disponga in tal senso - il mancato rispetto, da parte dell'amministrazione, dell'obbligo di sospendere i pagamenti e di emanare il formale provvedimento di revoca entro termini prefissati; né il sistema normativo così interpretato può essere ritenuto non rispettoso dell'art. 38 Cost., essendo ragionevole che la data dell'accertamento amministrativo, ancorché precedente il formale atto di revoca, determini la fine dell'affidamento dell'assistito nella definitività dell'attribuzione patrimoniale ricevuta" (conforme Cass. sez. lav. n. 6091 del 26/4/2002). ... A tal riguardo questa Corte ha ribadito (Cass. Sez. 6 - L. Ordinanza n. 26096 del 23/12/2010) che "in tema di invalidità civile, la revoca dei relativi benefici assistenziali, ai sensi dell'art. 4, comma 3 bis, della L. 8 agosto 1996, n. 425, (applicabile alla fattispecie "ratione temporis"), produce i suoi effetti, per espressa previsione normativa, "dalla data della visita di verifica"; e non dalla successiva data di comunicazione della revoca, restando irrilevante, altresì, la tardiva sospensione delle prestazioni; ne consegue che devono essere restituiti tutti i ratei maturati dopo la visita di verifica"". Alla stregua dei principi esposti negli autorevoli precedenti citati, confermati dalle pronunce successive della Corte di cassazione (v., tra le altre, Cass., n. 29419/2018), si deve ritenere irrilevante, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, l'epoca in cui l'INPS le comunicò formalmente l'indebito (25 giugno 2020). In particolare, è ininfluente, ai fini della ripetibilità delle somme indebitamente erogate, che la comunicazione stessa sia avvenuta dopo il decorso del termine di novanta giorni previsto dal comma 8 dell'art. 37 della L. n. 448 del 1998, che, come s'è visto, ha modificato l'art. 4, comma 3-ter del D.L. n. 323 del 1996. La norma - come perspicuamente osservato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 6610/2005 a proposito di quella emanata nel 1996, di contenuto analogo a quella del 1998 - è finalizzata a responsabilizzare gli organi amministrativi, non certo a sancire l'irripetibilità delle somme indebitamente riscosse, stabilendo termini di decadenza all'esercizio del diritto alla ripetizione di somme indebitamente erogate. Né una simile soluzione ermeneutica può indurre a dubitare della legittimità costituzionale della disposizione del comma 8 citato: in realtà, come rilevato dalla Corte di cassazione, è ragionevole che "la data dell'accertamento amministrativo, ancorché precedente il formale atto di revoca, determini la fine dell'affidamento dell'assistito nella definitività dell'attribuzione patrimoniale ricevuta" (così già Cass., Sez. Lav., 26 aprile 2002, n. 6091, e, più di recente, la citata Cass., n. 26162/2016). Peraltro, nel caso in esame, non si può neppure sostenere che dal verbale della visita di revisione non fosse evincibile la diversa condizione accertata. Mentre nel verbale della precedente visita di revisione, risalente al 12 dicembre 2017, la (...) era stata riconosciuta invalida "con totale e permanente inabilità lavorativa 100%", e "con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani (L. n. 18 del 1980)", nel verbale della visita di revisione del 20 novembre 2019 era stata dichiarata invalida "con totale e permanente inabilità lavorativa: 100% art. 2 e 12 L. n. 118 del 1971", tout court, ossia, senza la necessità di assistenza continua, condizione, questa, prevista dalla L. n. 18 del 1980 per l'indennità d'accompagnamento. Inoltre, il verbale di revisione era stato tempestivamente comunicato all'interessata: si deve, perciò, escludere che, da quel momento, ella potesse nutrire alcun legittimo affidamento circa la persistenza del diritto al beneficio assistenziale. Ne discende che il pur protratto comportamento mantenuto dall'INPS, sostanziatosi nell'erogazione del trattamento economico per alcuni mesi dopo la visita, non può aver obiettivamente indotto la parte a ritenere consolidato il diritto alla prestazione, mentre, certamente, l'omessa immediata attivazione delle verifiche dell'Istituto esclude il diritto ad assommare in restituzione alla sorte capitale gl'interessi maturati in epoca anteriore alla richiesta di restituzione. Né, infine, può condurre a una conclusione differente il precedente citato dall'appellata durante la discussione della causa (Cass., Sez. Lav., ordinanza 4 agosto 2022, n. 24180). In quella pronuncia, in applicazione del principio del legittimo affidamento, è stato affermato che l'indebito assistenziale determinatosi per il venir meno del requisito sanitario può dar luogo alla restituzione soltanto a decorrere dal provvedimento con cui l'esito dell'accertamento sia portato a conoscenza dell'interessato. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la comunicazione del verbale era avvenuta con notevole ritardo, ben quattro anni dopo la visita di revisione; è stato, quindi, dichiarato il diritto dell'invalida a trattenere i ratei percepiti medio tempore. Nella fattispecie in esame, invece, la comunicazione del verbale è avvenuta il mese successivo alla visita di revisione, e l'INPS ha correttamente chiesto la restituzione dei ratei maturati da quel momento. In definitiva, la (...) è tenuta a restituire all'INPS i ratei indebitamente percepiti dal dicembre 2019 al giugno 2020, così come statuito nella sentenza impugnata. Per tutte le ragioni esposte, l'appello è infondato e dev'essere respinto, mentre la sentenza impugnata dev'essere confermata. Quanto alle spese del giudizio, l'appellante ha dichiarato di trovarsi nelle condizioni di reddito previste dall'art. 152 disp. att. c.p.c. Di conseguenza, dev'essere dichiarata esonerata dal pagamento delle spese del grado. P.Q.M. LA CORTE D'APPELLO respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Visto l'art. 152 disp. att. c.p.c., dichiara l'appellante esonerata dal pagamento delle spese del grado. Così deciso in Perugia l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2023.

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