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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 126, comma 2, e 128, commi 1, 2, 3, 4, 7 e 9, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 giugno 2022, n. 8, recante «Disposizioni in materia di relazioni internazionali, biodiversità, caccia, pesca sportiva, agricoltura, attività produttive, turismo, autonomie locali, sicurezza, lingue minoritarie, corregionali all’estero, funzione pubblica, lavoro, formazione, istruzione, famiglia, patrimonio, demanio, infrastrutture, territorio, viabilità, ambiente, energia, cultura, sport, salute, politiche sociali e finanze (Legge regionale multisettoriale 2022)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11 agosto 2022, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2022. Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; udito nell’udienza pubblica del 18 aprile 2023 il Giudice relatore Stefano Petitti; uditi l’avvocato dello Stato Giorgio Santini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Daniela Iuri per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2023. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato l’11 agosto 2022, depositato in pari data e iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 126, comma 2, e 128, commi 1, 2, 3, 4, 7 e 9, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 giugno 2022, n. 8, recante «Disposizioni in materia di relazioni internazionali, biodiversità, caccia, pesca sportiva, agricoltura, attività produttive, turismo, autonomie locali, sicurezza, lingue minoritarie, corregionali all’estero, funzione pubblica, lavoro, formazione, istruzione, famiglia, patrimonio, demanio, infrastrutture, territorio, viabilità, ambiente, energia, cultura, sport, salute, politiche sociali e finanze (Legge regionale multisettoriale 2022)». Ad avviso del ricorrente, le impugnate disposizioni, seppure predisposte al dichiarato scopo di fronteggiare i problemi di carenza del personale medico-sanitario accentuati dall’emergenza pandemica da COVID-19, avrebbero violato complessivamente gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione nonché gli artt. 4, primo comma, numero 1), e 5, primo comma, numero 16), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). 1.1.– Disponendo che «[p]er i medici che accettano incarichi in zone rimaste carenti per almeno due anni consecutivi e che abbiano garantito una permanenza in tali zone di minimo quattro anni, le Aziende sanitarie riconoscono la priorità di scelta in fase di trasferimento», l’art. 126, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe introdotto un criterio preferenziale ulteriore rispetto a quelli fissati dalla contrattazione collettiva in materia di trasferimenti del personale medico convenzionato. In particolare, sarebbe stato stabilito un criterio di trasferimento diverso da quelli indicati dall’art. 34, comma 5, dell’Accordo collettivo nazionale del 28 aprile 2022, per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale. In tal modo sarebbe stata violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., atteso che l’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), riserva ad apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali la disciplina del rapporto del servizio sanitario con i medici di medicina generale. L’inosservanza di questa riserva, avente valenza di norma fondamentale di riforma economico-sociale, avrebbe inoltre determinato il superamento del limite che l’art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia pone riguardo all’esercizio della potestà legislativa della Regione stessa in materia di ordinamento dei propri uffici e degli enti da essa dipendenti nonché in materia di stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto. 1.2.– I commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbero violato gli artt. 3, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost. nonché l’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale. In particolare, con il disporre che, «[a]l fine di garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nei servizi di emergenza-urgenza», gli enti sanitari regionali «possono conferire, in via eccezionale fino al 31 dicembre 2023, incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa», a laureati in medicina e chirurgia abilitati, medici in formazione specialistica del primo e secondo anno di corso e personale medico in quiescenza, l’art. 128, comma 1, impugnato avrebbe ecceduto i limiti stabiliti per la stipula di contratti di collaborazione a prestazione esclusivamente personale dall’art. 7, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Ne sarebbe derivata l’invasione della materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva statale a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., resa ancora più evidente dai commi 2 e 4 del medesimo art. 128, che rispettivamente stabiliscono i compensi per detti incarichi e i presupposti di conferimento. Tra le norme interposte vengono indicate anche le disposizioni legislative statali che, a fronte dell’emergenza determinata dalla diffusione della pandemia da COVID-19, hanno consentito agli enti del Servizio sanitario nazionale di reclutare a tempo determinato medici specializzandi fino al 31 dicembre 2022, disposizioni che le impugnate norme regionali avrebbero violato sia estendendo la platea dei soggetti destinatari dei contratti di lavoro, sia ampliando il periodo di applicabilità della misura, con conseguente violazione del principio di uguaglianza, al cospetto di problematiche analoghe sull’intero territorio nazionale. Pur assicurando che «[g]li specializzandi svolgono la propria attività al di fuori dell’orario dedicato alla formazione specialistica e fermo restando l’assolvimento degli obblighi formativi», l’art 128, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe altresì violato il principio di esclusività dell’attività formativa, sancito dall’art. 40 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE), con conseguente ulteriore disomogeneità di trattamento tra i medici in formazione. L’inosservanza del principio di uguaglianza, declinato come uniformità sul territorio nazionale della disciplina dei rapporti di che trattasi, comporterebbe che i primi quattro commi dell’art. 128 citato abbiano ecceduto la competenza legislativa in materia di igiene e sanità, assistenza sanitaria e ospedaliera, attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale. 1.3.– Con il prevedere che ciascun ente del Servizio sanitario regionale «può destinare i risparmi derivanti dalla mancata attuazione del piano triennale dei fabbisogni all’incremento delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale», il comma 7 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe violato gli artt. 81, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. nonché l’art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale. Infatti, non sarebbe stata osservata la norma interposta di cui all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e), e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», per cui, a decorrere dal 1°gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016. La trasgressione del principio di invarianza della spesa del personale, quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, avrebbe determinato la violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost. Peraltro, il comma 7 dell’art. 128 citato avrebbe invaso la materia «ordinamento civile», profilo che, sebbene non esplicitato nella delibera governativa di impugnazione, da essa sarebbe comunque evincibile. L’incidenza della disposizione regionale sul perimetro della contrattazione collettiva, cui la legislazione statale demanda la regolamentazione dei trattamenti economici del personale delle amministrazioni pubbliche, renderebbe invero palese la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. L’inosservanza di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e di una regola di competenza esclusiva implicherebbe altresì il superamento del confine di esercizio della potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli uffici e stato del personale, come attribuita dall’art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale. 1.4.– Stabilendo che «gli infermieri dipendenti degli enti del Servizio sanitario regionale possono effettuare, al di fuori dell’orario di lavoro e in deroga a quanto previsto in materia di esclusività del rapporto di impiego, attività professionale presso le strutture sociosanitarie per anziani», ciò «anche oltre il limite di quattro ore settimanali», l’art. 128, comma 9, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe violato gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. nonché l’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale. Tenuto conto che l’art. 3-quater, comma 1, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, ha escluso l’applicazione delle incompatibilità di servizio agli operatori delle professioni sanitarie appartenenti al personale del comparto sanità «per un monte ore complessivo settimanale non superiore a quattro ore», e comunque solo «[f]ino al termine dello stato di emergenza» correlato alla diffusione del COVID-19, la norma regionale impugnata risulterebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., avendo essa introdotto a livello regionale una deroga al principio di esclusività dell’impiego molto più ampia – perché sine die e senza limite di monte ore – rispetto a quella concessa a livello nazionale con riferimento a tutti gli infermieri del servizio sanitario. L’intervento della disposizione regionale impugnata sulla disciplina del rapporto di lavoro del personale infermieristico avrebbe inoltre comportato la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per invasione nella materia «ordinamento civile». Infine, tale disposizione impugnata avrebbe ecceduto la competenza legislativa in materia di igiene e sanità, assistenza sanitaria e ospedaliera, attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale, giacché questa potestà regionale sarebbe stata esercitata in spregio dei principi fondamentali della legislazione statale, oltre che in un ambito di competenza esclusiva dello Stato. 2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate. Prima di contrastare i singoli motivi dell’impugnazione, la resistente assume che le impugnate disposizioni dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 vadano intese alla luce dei relativi commi 10 e 11, i quali sanciscono la temporaneità delle previsioni di cui ai commi da 7 a 9 e, rispettivamente, la compatibilità finanziaria di tutte le previsioni di cui ai commi da 1 a 9. La Regione aggiunge che l’emanazione delle norme contestate si è resa necessaria per fronteggiare l’ormai endemica carenza di personale medico-sanitario in servizio presso i propri enti, situazione determinata da plurimi fattori (picco degli ingressi in quiescenza, ridotta offerta di matrice universitaria, elevato tasso di mobilità extraregionale), l’incidenza dei quali si sarebbe aggravata nel corso e a causa della pandemia da COVID-19. Ancora in linea generale, la resistente rivendica la competenza primaria di fonte statutaria in materia di ordinamento degli uffici e stato del personale nonché in materia di igiene e sanità, assistenza sanitaria e ospedaliera, competenza nell’esercizio della quale il legislatore regionale avrebbe completamente rivisto l’organizzazione del proprio servizio sanitario e i pertinenti livelli di assistenza, al finanziamento dei quali la Regione stessa provvede in via esclusiva e autonoma a decorrere dall’anno 1997. 2.1.– Quanto all’impugnazione dell’art. 126, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, la resistente ne eccepisce l’inammissibilità sotto un duplice profilo. Innanzitutto, il parametro dell’art. 4 dello statuto speciale, evocato nel ricorso, non sarebbe specificamente indicato nella delibera governativa di impugnazione. Inoltre, sarebbe contraddittorio dedurre – come fa il ricorso – la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e nel contempo, lamentando il superamento del limite delle norme di grande riforma economico-sociale, ammettere la sussistenza di una potestà primaria regionale. Le censure sarebbero altresì non fondate nel merito. Finalizzata a garantire l’assistenza di base nelle sedi disagiate, la disposizione impugnata rientrerebbe infatti nella competenza statutaria in materia di ordinamento degli uffici ed enti regionali e di stato giuridico ed economico del personale addetto, ovvero nella competenza concorrente della Regione in materia di organizzazione sanitaria ex art. 117, terzo comma, Cost., ciò in quanto la disposizione stessa non interverrebbe direttamente sul rapporto di lavoro dei medici convenzionati, ma si limiterebbe a dettare criteri di priorità per il loro trasferimento, restando così estranea alla materia «ordinamento civile». Si tratterebbe insomma di un’ipotesi di semplice «mobilità interna» del personale, ben compatibile con la disciplina contrattuale collettiva, giacché, mentre questa concerne «l’ambito soggettivo della procedura di trasferimento, la norma regionale impugnata concerne l’ambito oggettivo, dettando meri criteri di priorità». 2.2.– Quanto all’impugnazione dei commi da 1 a 4 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, la resistente ne eccepisce l’inammissibilità sotto diversi aspetti. Vi sarebbe contraddizione tra la denuncia di invasione della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e la denuncia di esorbitanza dalla competenza statutaria regionale in materia di igiene e sanità per violazione dei principi fondamentali della legislazione statale; inoltre, tali principi non sarebbero specificati in ricorso, né i parametri ivi indicati corrisponderebbero alla delibera governativa di impugnazione. Le censure sarebbero altresì non fondate nel merito. Finalizzate ad assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nei servizi di emergenza-urgenza nonostante l’impatto dell’evento pandemico, quelle impugnate sarebbero «norme a tempo», applicabili solo fino al 31 dicembre 2023. Per di più, il conferimento degli incarichi sarebbe soggetto a «strettissime condizionalità», enunciate nel comma 4 dello stesso art. 128, cioè al previo accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse interne e di reperire medici specializzati. Trattandosi di approntare, in definitiva, un rimedio organizzativo straordinario, si ricadrebbe nell’ambito della competenza ordinamentale ex art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale. Non sarebbe violato il principio fondamentale di eccezionalità delle collaborazioni esterne, il cui rispetto sarebbe anzi garantito dalla riferita condizione di verificata impossibilità di provvedere altrimenti. Neppure potrebbe dirsi leso il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto differenze territoriali di disciplina sarebbero fisiologiche nel sistema costituzionale a competenze decentrate. 2.3.– Quanto all’impugnazione del comma 7 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, la resistente ne eccepisce l’inammissibilità. L’evocazione del titolo esclusivo di competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non avrebbe rispondenza nella delibera governativa di impugnazione e contraddirebbe la doglianza di violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, che presuppone la competenza regionale concorrente. Le censure sarebbero altresì non fondate nel merito. Soprattutto, e in radice, non partecipando al finanziamento del servizio sanitario della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, lo Stato non avrebbe titolo per dettare norme di coordinamento finanziario. 2.4.– Ad avviso della resistente, sarebbe inammissibile anche l’impugnazione del comma 9 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022. L’interposizione normativa sarebbe viziata da genericità e vi sarebbe contraddittorietà tra la denuncia di lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e la denuncia di violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, oggetto di competenza regionale concorrente. Le censure sarebbero altresì non fondate nel merito. Non sarebbe violato il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., atteso il carattere fisiologico delle differenze normative territoriali corrispondenti all’attribuzione di potestà legislativa regionale, tanto più quando, come nella specie, quest’ultima si sia espressa attraverso disposizioni solo temporanee; si tratterebbe infatti di una misura organizzativa di emergenza, collegata all’incidenza della pandemia sulle strutture residenziali per anziani, misura rientrante nella competenza legislativa di organizzazione sanitaria attribuita alla Regione dall’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale ovvero dall’art. 117, terzo comma, Cost. Neppure sarebbe invasa la competenza statale in materia di ordinamento civile, poiché la disposizione regionale avrebbe una sfera applicativa limitata unicamente agli infermieri, e non a tutti i sanitari, né ad ogni attività libero-professionale, ma solo a quella presso strutture sociosanitarie per anziani. Inoltre, l’impugnata disposizione non inciderebbe sulla regolamentazione del rapporto di lavoro degli infermieri, ma si collocherebbe «a monte» della stessa, «prevedendo, per le finalità anzidette, una deroga eccezionale e temporanea all’esclusività del rapporto di pubblico impiego, giustificata alla luce dell’emergenza sanitaria e solo parzialmente difforme dalla disciplina statale». 3.– In prossimità dell’udienza, la difesa regionale ha depositato memoria, relativa alla sopravvenienza del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, con particolare riguardo all’impugnazione dei commi 1, 2, 3, 4 e 9 del più volte menzionato art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022. Considerato in diritto 1.– Con ricorso iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 126, comma 2, e 128, commi 1, 2, 3, 4, 7 e 9, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, per violazione complessivamente degli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. nonché degli artt. 4, primo comma, numero 1), e 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 2.– Le prime questioni riguardano l’art. 126, comma 2, il quale, prevedendo che «[p]er i medici che accettano incarichi in zone rimaste carenti per almeno due anni consecutivi e che abbiano garantito una permanenza in tali zone di minimo quattro anni, le Aziende sanitarie riconoscono la priorità di scelta in fase di trasferimento», avrebbe introdotto un criterio preferenziale ulteriore rispetto a quelli fissati dalla contrattazione collettiva in materia di trasferimenti del personale medico convenzionato. In tal modo sarebbe stata violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., atteso che l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 riserva ad apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali la disciplina del rapporto del servizio sanitario con i medici di medicina generale (nella specie, rileverebbe l’Accordo collettivo nazionale del 28 aprile 2022). L’inosservanza della riserva di contrattazione collettiva, avente valenza di norma fondamentale di riforma economico-sociale, avrebbe inoltre determinato il superamento del limite che l’art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale pone riguardo all’esercizio della potestà legislativa della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici e degli enti da essa dipendenti nonché in materia di stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto. 2.1.– Costituitasi in giudizio, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, assumendo che il parametro dell’art. 4 dello statuto speciale non sia specificamente indicato nella delibera governativa di impugnazione e che sia comunque contraddittorio dedurre la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e nel contempo, lamentando il superamento del limite statutario delle norme di grande riforma economico-sociale, ammettere la sussistenza di una potestà primaria regionale. Le questioni sarebbero altresì non fondate nel merito. La disposizione impugnata rientrerebbe infatti nella competenza statutaria in materia di ordinamento degli uffici ed enti regionali e di stato giuridico ed economico del personale addetto, ovvero nella competenza concorrente della Regione in materia di organizzazione sanitaria ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto essa non interverrebbe direttamente sul rapporto di lavoro dei medici convenzionati, ma si limiterebbe a dettare criteri di priorità per il loro trasferimento, restando così estranea alla materia «ordinamento civile». 2.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. Per costante giurisprudenza di questa Corte, quando la legge di una regione ad autonomia speciale è impugnata per violazione di una competenza esclusiva statale che non trova alcuna corrispondenza nello statuto, l’indicazione in ricorso delle competenze statutarie diviene superflua e la relativa omissione non determina l’inammissibilità della questione (tra molte, sentenze n. 112 e n. 5 del 2022, n. 167 e n. 25 del 2021); la motivazione del ricorso sull’estraneità della materia alle competenze statutarie risulta invece tanto più necessaria, quanto più, in linea astratta, le disposizioni impugnate appaiano inerenti alle attribuzioni dello statuto di autonomia (tra tante, sentenze n. 39 e n. 21 del 2022). Nella specie, il ricorso assume violata la competenza esclusiva statale nella materia «ordinamento civile», attribuendo così al thema decidendum un oggetto che rende non necessario il confronto con le competenze statutarie (salva ovviamente la verifica di fondatezza della doglianza ex art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.). Quando tale denuncia concorre con una censura relativa alla supposta violazione di un titolo statutario di competenza regionale, non per questo il ricorso scade nel vizio di contraddittorietà, piuttosto esso dà seguito all’indicazione giurisprudenziale di approfondire la motivazione in un’area che potrebbe astrattamente interessare la potestà autonoma. Circa il profilo dell’autorizzazione al ricorso, è giurisprudenza costante che l’omissione di qualsiasi accenno a un parametro costituzionale nella delibera di impugnazione dell’organo politico comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione stessa che, sul medesimo parametro, sia stata proposta nel ricorso (ex plurimis, sentenze n. 217 e n. 179 del 2022). Un tale vizio in questo caso non sussiste, poiché la delibera governativa, nel declinare i motivi di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, fa espresso riferimento alla sua esorbitanza rispetto alla competenza regionale statutaria. 2.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate. È costante giurisprudenza di questa Corte che, pur essendo inquadrabile nella categoria della parasubordinazione, il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale condivide con il lavoro pubblico contrattualizzato l’esigenza di uniformità sottesa all’integrazione tra normativa statale e contrattazione collettiva nazionale, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, sicché la relativa disciplina appartiene all’ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore statale, restando precluso al legislatore regionale di regolamentare in via autonoma il trattamento economico e giuridico del rapporto in convenzionamento (tra molte, sentenze n. 106 del 2022 e n. 157 del 2019). Del pari costante è l’applicazione del discrimine tra la materia dell’ordinamento civile e quella residuale dell’organizzazione amministrativa regionale. Quest’ultima si arresta “a monte”, cioè alla fase antecedente l’instaurazione del rapporto di lavoro, riguardando solo i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale, mentre ogni intervento legislativo “a valle”, incidente cioè sui rapporti lavorativi in essere, va ascritto alla materia dell’ordinamento civile (ex plurimis, sentenze n. 267, n. 255 e n. 84 del 2022). Tuttavia, per individuare la materia cui ricondurre la norma impugnata occorre tenere conto della sua ratio, della finalità che persegue e del suo contenuto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, in modo da identificare precisamente l’interesse tutelato, secondo il cosiddetto criterio di prevalenza (tra tante, sentenze n. 6 del 2023, n. 267, n. 193 e n. 70 del 2022). Nella specie, per quanto possa produrre effetti secondari sull’andamento dei rapporti convenzionali, la disposizione regionale ha anzitutto una ratio organizzativa, in funzione di tutela della salute, che persegue cercando di assicurare la medicina di prossimità anche agli abitanti delle zone carenti. Lo dimostra in particolare il comma 1 dell’art. 126, non impugnato, che predispone un’attività coordinata tra le aziende sanitarie e i comuni, diretta a «cercare strategie per il mantenimento di un presidio sanitario nei territori più disagiati». Tale previsione rimarca che la finalità essenziale e il contenuto oggettivo della disposizione impugnata corrispondono a un importante aspetto organizzativo del servizio sanitario regionale, che non può lasciare alcun cittadino sprovvisto dell’assistenza medica di base. In funzione dell’assolvimento di questa precisa responsabilità organizzativa dell’ente territoriale, la ricaduta della norma sull’evoluzione del singolo rapporto in convenzionamento ha carattere riflesso e strumentale. Peraltro, seppure con un ruolo sussidiario, l’art. 34 dell’accordo del 28 aprile 2022 prevede nelle procedure di assegnazione degli incarichi la priorità di interpello per i residenti in ambito carente (commi 12, 17 e 19). Ciò riduce la portata della disposizione regionale a una semplice rimodulazione di un criterio di per sé non estraneo alla fonte collettiva nazionale. 3.– Ad avviso del ricorrente, l’art. 128, commi da 1 a 4, della legge regionale citata violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. nonché l’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale della Regione. In particolare, con il disporre che, «[a]l fine di garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nei servizi di emergenza-urgenza», gli enti sanitari regionali «possono conferire, in via eccezionale fino al 31 dicembre 2023, incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa», a laureati in medicina e chirurgia abilitati, medici in formazione specialistica del primo e secondo anno di corso e personale medico in quiescenza, l’art. 128, comma 1, della più volte menzionata legge regionale avrebbe ecceduto i limiti stabiliti per la stipula di contratti di collaborazione a prestazione esclusivamente personale dall’art. 7, commi 5-bis e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. Ne sarebbe derivata l’invasione della materia «ordinamento civile», resa ancora più evidente dai commi 2 e 4 del medesimo art. 128, che rispettivamente stabiliscono i compensi per detti incarichi e i presupposti di conferimento. Tra le norme interposte vengono indicate anche le disposizioni legislative statali che, a fronte dell’emergenza determinata dalla diffusione del COVID-19, hanno consentito agli enti del Servizio sanitario nazionale di reclutare a tempo determinato medici specializzandi fino al 31 dicembre 2022, disposizioni che le impugnate norme regionali avrebbero violato sia estendendo la platea dei soggetti destinatari dei contratti di lavoro, sia ampliando il periodo di applicabilità della misura, con conseguente violazione del principio di uguaglianza, al cospetto di problematiche analoghe sull’intero territorio nazionale. Pur assicurando che «[g]li specializzandi svolgono la propria attività al di fuori dell’orario dedicato alla formazione specialistica e fermo restando l’assolvimento degli obblighi formativi», il citato art. 128, comma 3, avrebbe altresì violato il principio di esclusività dell’attività formativa, sancito dall’art. 40 del d.lgs. n. 368 del 1999, con conseguente ulteriore disomogeneità di trattamento tra i medici in formazione. L’inosservanza del principio di uguaglianza, declinato come uniformità sul territorio nazionale della disciplina dei rapporti di che trattasi, comporterebbe che i primi quattro commi del menzionato art. 128 abbiano ecceduto la competenza legislativa in materia di igiene e sanità, assistenza sanitaria e ospedaliera, attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale. 3.1.– La difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, poiché vi sarebbe contraddizione tra la denuncia di invasione della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e la denuncia di esorbitanza della competenza statutaria regionale in materia di igiene e sanità per violazione dei principi fondamentali della legislazione statale; inoltre, tali principi non sarebbero specificati in ricorso, né i parametri ivi indicati corrisponderebbero alla delibera governativa di impugnazione. Nel merito, le questioni non sarebbero fondate. Finalizzate ad assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza nei servizi di emergenza-urgenza nonostante l’impatto dell’evento pandemico, quelle impugnate sarebbero infatti «norme a tempo», applicabili solo fino al 31 dicembre 2023. Per di più, il conferimento degli incarichi sarebbe soggetto a «strettissime condizionalità», enunciate nel comma 4 dello stesso art. 128, cioè al previo accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse interne e di reperire medici specializzati. Trattandosi di approntare, in definitiva, un rimedio organizzativo straordinario, si ricadrebbe nell’ambito della competenza ordinamentale ex art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale. Non sarebbe inoltre violato il principio fondamentale di eccezionalità delle collaborazioni esterne, il cui rispetto sarebbe anzi garantito dalla riferita condizione di verificata impossibilità di provvedere altrimenti. Neppure potrebbe dirsi leso il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto differenze territoriali di disciplina sarebbero fisiologiche nel sistema costituzionale a competenze decentrate. 3.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. Richiamato circa il rilievo di contraddittorietà del motivo di impugnazione quanto poc’anzi chiarito (punto 2.2.), deve constatarsi che il ricorso enuncia gli interposti principi fondamentali della legislazione statale e che questi sono gli stessi indicati dalla delibera governativa, cioè il divieto di lavoro flessibile nel pubblico impiego e l’esclusività della formazione degli specializzandi. 3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate. Questa Corte, chiamata a giudicare su norme regionali di asserita deroga al divieto ex art. 7, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, ha escluso una violazione del limite dell’ordinamento civile ove potessero ritenersi sostanzialmente osservate le condizioni stabilite dal legislatore nazionale (sentenza n. 250 del 2020). Nella specie, il comma 4 dell’impugnato art. 128 assoggetta la facoltà di conferire gli incarichi de quibus al previo accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare personale interno e reperire medici specializzati. Si tratta di una condizionalità aderente alla ratio del divieto statale, quella di prevenire abusi nel ricorso al lavoro flessibile da parte degli enti pubblici, tanto che il comma 6, lettera b), dell’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001 indica tra i presupposti di legittimità della deroga al divieto, appunto, che «l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno». Circa la proiezione temporale della deroga, è sufficiente considerare che l’art. 4, commi 3 e 3-bis, del d.l. n. 198 del 2022, come convertito, ha prorogato fino al 31 dicembre 2023 la possibilità di conferire gli incarichi flessibili ai laureati abilitati e agli specializzandi, essendosi in tal modo verificato un allineamento tra norma impugnata e norma interposta. Già prima, del resto, per effetto dell’art. 36, comma 4-bis, del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73 (Misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2022, n. 122, la facoltà di conferire tali incarichi a sanitari in quiescenza era stata prorogata fino al 31 dicembre 2023. In ordine alla posizione degli specializzandi, questa Corte ha avuto recentemente occasione di evidenziare come il principio di esclusività dell’attività formativa non sia da intendere in modo astratto, bensì in funzione della ratio orientata alla qualità della formazione (sentenza n. 112 del 2023). Come detto poc’anzi, il comma 3 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 garantisce che lo svolgimento degli incarichi straordinari avvenga fuori dell’orario dedicato alla formazione specialistica e «fermo restando l’assolvimento degli obblighi formativi», sicché non vi è alcuna evidenza di una lesione effettiva del nucleo finalistico del principio di esclusività. In linea generale, nel senso della non fondatezza della questione in scrutinio depone il precedente di questa Corte che ha ricondotto una disposizione della Provincia autonoma di Trento sugli incarichi a termine alla «tutela della salute» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quale ambito prevalentemente inciso, ritenendo tale disposizione giustificata dall’esigenza di approntare un «rimedio organizzativo straordinario», onde fronteggiare una situazione obiettiva di carenza del personale medico, nella considerazione che la facoltà di affidare gli incarichi a tempo determinato era stata dalla norma medesima «adeguatamente circoscritta», sì da evitare che l’ente autonomo facesse ad essi ricorso in modo ordinario (sentenza n. 174 del 2020). Limitato nella durata fino al 31 dicembre 2023, condizionato all’impossibilità oggettiva di provvedere altrimenti e rispettoso del canone di esclusività dell’impegno formativo, il conferimento degli incarichi di cui ai commi da 1 a 4 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 si giustifica parimenti come un rimedio organizzativo straordinario, adeguatamente circoscritto nei presupposti, espressione della competenza concorrente regionale in materia di tutela della salute. La doglianza di violazione del principio di uguaglianza non ha dignità di censura autonoma, rappresentando solo un riflesso della denuncia di violazione della competenza statale esclusiva (sentenze n. 112 del 2023 e n. 6 del 2022). 4.– A parere del ricorrente, con il prevedere che ciascun ente del Servizio sanitario regionale (SSR) «può destinare i risparmi derivanti dalla mancata attuazione del piano triennale dei fabbisogni all’incremento delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale», il comma 7 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe violato gli artt. 81, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. nonché l’art. 4 dello statuto speciale della Regione. Infatti, non sarebbe stata osservata la norma interposta di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, secondo la quale, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016. La trasgressione del principio di invarianza della spesa del personale, quale principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, avrebbe determinato la violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost. Peraltro, il comma 7 dell’art. 128 citato avrebbe invaso la materia «ordinamento civile», profilo che, sebbene non esplicitato nella delibera governativa di impugnazione, da essa sarebbe comunque evincibile. L’incidenza della norma regionale sul perimetro della contrattazione collettiva, cui la legislazione statale demanda la regolamentazione del trattamento economico del personale delle amministrazioni pubbliche, renderebbe invero palese la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La violazione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ovvero l’invasione di un ambito di competenza statale esclusiva avrebbero implicato altresì il superamento dei limiti di esercizio della potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli uffici e di stato del personale, come attribuita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall’art. 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale. 4.1.– La difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità anche di questo motivo, deducendo che l’evocazione del titolo esclusivo di competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non avrebbe rispondenza nella delibera governativa di impugnazione e contraddirebbe la doglianza di violazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, che presuppone la competenza regionale concorrente. Nel merito, si obietta in radice che, non partecipando al finanziamento del servizio sanitario della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, lo Stato non avrebbe titolo per dettare norme di coordinamento finanziario. 4.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. Richiamato quanto sopra precisato (punto 2.2.), si constata che, seppure non menziona espressamente l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la delibera governativa fa tuttavia riferimento al ruolo della contrattazione collettiva nella deroga al principio di invarianza della spesa per il trattamento accessorio del personale e contiene un pur incidentale richiamo all’«ordinamento civile», il che è sufficiente per escludere che il ricorso abbia ecceduto il mandato. 4.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate. In linea generale, il principio di invarianza della spesa per il trattamento accessorio dei dipendenti pubblici, quale si evince dall’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017, è principio di coordinamento della finanza pubblica, agli effetti dell’art. 117, terzo comma, Cost., vincolante anche per le autonomie speciali, dato che la finanza delle regioni a statuto speciale è parte della finanza pubblica allargata (sentenze n. 255 e n. 190 del 2022). Tuttavia, per le regioni a statuto speciale che provvedono in autonomia al finanziamento del proprio servizio sanitario, lo Stato non ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario (sentenze n. 5 del 2022, n. 241 del 2018 e n. 115 del 2012). Ai sensi dell’art. 1, comma 144, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), a decorrere dal 1997 la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia provvede al finanziamento dell’assistenza sanitaria con i proventi dei contributi sanitari e con risorse del proprio bilancio, essendo state soppresse le quote del Fondo sanitario nazionale a carico del bilancio dello Stato a favore della Regione medesima. Quindi, la norma regionale in esame non soggiace al principio di coordinamento della finanza pubblica sancito dall’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017, e non può dunque violarlo. Quanto alla denunciata invasione dell’ordinamento civile, sotto il profilo della riserva di contrattazione collettiva sul trattamento retributivo, mette conto in primo luogo evidenziare che l’impugnata disposizione non opera un’attribuzione diretta dei fondi ai prestatori d’opera (ciascun ente del SSR «può» destinare i risparmi). In ogni caso, il comma 8, successivo a quello impugnato, nel chiarire la ratio incentivante dell’eventuale aumento del salario accessorio, assicura il rispetto dello spazio di autonomia della contrattazione collettiva, disponendo invero: «[a]l fine di garantire la permanenza dei professionisti del ruolo sanitario e sociosanitario sul territorio, soprattutto in aree disagiate e poco attrattive, di evitare la fuga verso la sanità privata e di valorizzare lo sviluppo delle carriere, l’Amministrazione regionale è autorizzata a destinare le risorse regionali aggiuntive all’incremento dei fondi contrattuali deputati al trattamento accessorio del personale, secondo criteri da definirsi in sede di contrattazione integrativa aziendale». 5.– Secondo il ricorrente, il comma 9 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022 avrebbe violato il principio di uguaglianza e invaso la materia «ordinamento civile», nonché ecceduto i limiti di competenza di cui all’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale, stabilendo che «gli infermieri dipendenti degli enti del Servizio sanitario regionale possono effettuare, al di fuori dell’orario di lavoro e in deroga a quanto previsto in materia di esclusività del rapporto di impiego, attività professionale presso le strutture sociosanitarie per anziani […] anche oltre il limite di quattro ore settimanali». Infatti, atteso che l’art. 3-quater del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, ha escluso l’applicazione delle incompatibilità di servizio agli operatori delle professioni sanitarie appartenenti al personale del comparto sanità per un monte ore complessivo settimanale non superiore a quattro ore e comunque solo fino al termine dello stato di emergenza correlato alla diffusione del COVID-19, la disposizione impugnata avrebbe introdotto a livello regionale una deroga al principio di esclusività dell’impiego pubblico più ampia rispetto a quella concessa a livello nazionale a tutti gli infermieri del servizio sanitario. 5.1.– La resistente ha eccepito l’inammissibilità anche di queste questioni, poiché l’interposizione normativa sarebbe a suo avviso viziata da genericità e sarebbero poi contraddittorie la denuncia di lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e la denuncia di violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, oggetto di competenza regionale concorrente. Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito. Non sarebbe violato il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., atteso il carattere fisiologico delle differenze normative territoriali corrispondenti all’attribuzione di potestà legislativa regionale, tanto più quando, come nella specie, quest’ultima si sia espressa attraverso disposizioni solo temporanee; si tratterebbe infatti di una misura organizzativa di emergenza, collegata all’incidenza della pandemia sulle strutture residenziali per anziani, misura rientrante nella competenza legislativa di organizzazione sanitaria attribuita alla Regione dall’art. 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale ovvero dall’art. 117, terzo comma, Cost. Neppure sarebbe invasa la competenza statale in materia di ordinamento civile, poiché la disposizione regionale avrebbe una sfera applicativa limitata unicamente agli infermieri, e non a tutti i sanitari, né ad ogni attività libero-professionale, ma solo a quella presso strutture sociosanitarie per anziani. Inoltre, l’impugnata disposizione non inciderebbe sulla regolamentazione del rapporto di lavoro degli infermieri, ma si collocherebbe «a monte» della stessa, «prevedendo, per le finalità anzidette, una deroga eccezionale e temporanea all’esclusività del rapporto di pubblico impiego, giustificata alla luce dell’emergenza sanitaria e solo parzialmente difforme dalla disciplina statale». 5.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. Richiamato quanto sopra chiarito (punto 2.2.), si constata che l’interposizione normativa è sufficientemente definita in ricorso, con riferimento al regime delle incompatibilità di servizio dei pubblici dipendenti e alle deroghe introdotte dalla legislazione nazionale di contrasto alla pandemia da COVID-19. 5.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate. L’art. 3-quater del d.l. n. 127 del 2021, come convertito, esonerava dalle incompatibilità di servizio gli operatori delle professioni sanitarie appartenenti al personale del comparto sanità per un massimo di quattro ore settimanali e fino al termine dello stato di emergenza pandemico. Prorogata dall’art. 10, comma 1, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, l’efficacia della norma di deroga era destinata a cessare il 31 dicembre 2022. L’art. 4, comma 8-ter, del d.l. n. 198 del 2022, come convertito, ha ulteriormente prorogato il termine fino al 31 dicembre 2023 e ha innalzato il limite della deroga da quattro a otto ore settimanali. Infine, l’art. 13, comma 1, del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34 (Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2023, n. 56, ha prorogato l’esonero dalle incompatibilità fino al 31 dicembre 2025, senza fare più esplicito riferimento a uno specifico tetto orario, ma istituendo un monitoraggio ministeriale periodico sull’attuazione della norma. Ai sensi del comma 10 dell’art. 128 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, la deroga regionale si applica fino al 31 dicembre 2023, e quindi l’originaria maggior durata rispetto alla norma statale interposta è stata riassorbita. Fino all’ultima segnalata modifica, è rimasto un disallineamento quanto al monte ore, poiché la norma regionale, come non osservava all’inizio il limite delle quattro ore settimanali, così non rispettava il successivo limite delle otto ore. La norma impugnata, tuttavia, contiene una clausola di salvaguardia idonea ad assicurare l’osservanza del nucleo essenziale del regime delle incompatibilità di servizio, in quanto sono fatti salvi «la garanzia dell’orario svolto alle dipendenze dell’ente pubblico e il rispetto dell’orario massimo di lavoro e dei prescritti riposi». Nessun pregiudizio può dunque venirne all’ente pubblico quale creditore di prestazione, né alcun conflitto di interessi può insorgere, perché la stessa disposizione regionale esige che l’attività professionale straordinaria sia svolta dal personale infermieristico presso strutture convenzionate con l’azienda sanitaria di riferimento. D’altronde, come di recente questa Corte ha osservato in una fattispecie analoga, riferita all’impiego di medici specializzandi in attività di supporto alle strutture di emergenza-urgenza, si tratta di rimedi organizzativi straordinari, i quali, finalizzati a garantire la continuità assistenziale in settori nevralgici, pregiudicati dalla carenza di personale, non investono se non di riflesso l’ordinamento civile, e viceversa attengono essenzialmente all’organizzazione sanitaria regionale (sentenza n. 112 del 2023). In conclusione, non sussiste la denunciata invasione della competenza statale nella materia «ordinamento civile». Anche qui, la doglianza di violazione del principio di uguaglianza è meramente ancillare, non autonoma rispetto alla denuncia sul titolo di competenza, e ne condivide pertanto la sorte (sentenze n. 112 del 2023 e n. 6 del 2022). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 giugno 2022, n. 8, recante «Disposizioni in materia di relazioni internazionali, biodiversità, caccia, pesca sportiva, agricoltura, attività produttive, turismo, autonomie locali, sicurezza, lingue minoritarie, corregionali all’estero, funzione pubblica, lavoro, formazione, istruzione, famiglia, patrimonio, demanio, infrastrutture, territorio, viabilità, ambiente, energia, cultura, sport, salute, politiche sociali e finanze (Legge regionale multisettoriale 2022)», promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e 4, primo comma, numero 1), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 128, commi da 1 a 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. e 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 128, comma 7, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 81, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. e 4, primo comma, numero 1), dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe; 4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 128, comma 9, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), Cost. e 5, primo comma, numero 16), dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Stefano PETITTI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2023. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE SECONDA nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Giovanna Ferrero - Presidente dr. Maria Elena Catalano - Consigliere rel. dr. Andrea Francesco Pirola - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 2733/2022 promossa in grado d'appello DA (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BO.AN. e dell'avv. CU.CO. ((...)) VIA (...) 20124 MILANO; elettivamente domiciliato in VIA (...) 20124 MILANO presso il difensore avv. BO.AN. APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RO.FA., elettivamente domiciliata in VIALE (...) 20122 il difensore avv. RO.FA. APPELLATA avente ad oggetto: Responsabilità professionale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la sig.ra (...) promuoveva azione nei confronti della (...) s.p.a. (di seguito, per brevità, anche solo "(...)" e/o "(...)"), chiedendo - previo accertamento di responsabilità ex artt. 1218 e 1228 c.c. - la condanna al risarcimento dei danni nella misura di complessivi Euro 69.867,34, oltre interessi e rivalutazione, ed al rimborso delle spese legali del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. La ricorrente allegava d'essersi sottoposta, in data 21.3.2017, ad un intervento chirurgico di "OD foro maculare + cataratta" presso (...), dalla quale fu dimessa il giorno dopo, 22.3.2017. Precisava, inoltre di essere ritornata in (...) la mattina dopo (del 23.3.2017), a seguito del "dolore insorto all'occhio operato". All'esito della visita presso l'odierna appellante le fu consigliato di recarsi "con urgenza all'Ospedale San Gerardo per sospetta endoftalmite". La sig.ra (...) precisava che l'infezione fu causata da un batterio "enterococcus faecalis" contratto in sede ospedaliera e,, perciò, lamentava che (...) sarebbe stata inadempiente "... all'obbligo di prestare al paziente un'adeguata assistenza sanitaria in quanto non sono state attuate, al momento dell'intervento, tutte le note misure di igiene ospedaliera atte ad evitare la trasmissione di agenti infettivi". La (...) chiedeva il rigetto delle domande della ricorrente, mancando la prova del nesso di causalità tra l'infezione e l'operato dei Sanitari d'(...), nonché, in subordine, tenuto conto dell'occasionalità e/o inevitabilità di tali infezioni per le quali (...) ha attuato ogni misura di prevenzione idonea. In via istruttoria, (...), nel costituirsi produceva documentazione a riprova della idoneità delle misure di prevenzione adottate e chiedeva l'ammissione di 17 capitoli di prova testimoniale, nonché una CTU. Con ordinanza in data 7.7.2020, il Giudice di prime cure disponeva l'acquisizione del fascicolo del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., dopodiché - con ordinanza in data 26.7.2021 - ammetteva (solo) 5 (dei 17) capitoli di prova dedotti da (...) e rigettava le ulteriori richieste. Assunte le prove testimoniali, le parti depositavano le difese finali ((...), nel precisare le conclusioni, ha insistito per l'ammissione dei capitoli di prova non ammessi) e, discussa oralmente la causa all'udienza del 25.1.2022, il giudice si riservava di decidere. Con ordinanza in data 28.7.2022 (comunicata dalla Cancelleria in data 29.7.2022), il Tribunale decideva come segue: "in accoglimento del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., - condanna (...) s.p.a al pagamento ? dell'importo di Euro 42.414,04 oltre a rivalutazione sul minore importo di Euro 575,04 e ad interessi legali sull'intera somma, da calcolare anno per anno sui singoli scaglioni rivalutati secondo l'indice medio ISTAT fino al saldo (previa devalutazione della somma corrispondente al danno non patrimoniale alla data del 21.3.2017); - condanna la convenuta alla rifusione in favore della ricorrente delle spese del presente procedimento, spese liquidate in Euro 406,50 per esborsi, Euro 5077,80 per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie al 15% ed oltre iva e cpa come per legge; - condanna la convenuta al pagamento in favore della ricorrente delle spese da questa sostenute in relazione al procedimento ex art. 696 bis c.p.c. liquidate in Euro 406,50 per spese, Euro 2037,00 per compensi oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge ed al rimborso delle spese di CTU e delle spese di CTP di cui ai doc. 26 e 27." Propone appello la (...). Lamenta l'appellante che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto: 1) raggiunta la prova - il cui onere grava sulla ricorrente - dell'esistenza di un nesso di causalità tra l'infezione della sig.ra (...) (da batterio enterococcus faecalis) e l'operato di Sanitari di (...); 2) non raggiunta la prova liberatoria - il cui onere grava su (...) - d'aver rispettato tutte le norme e protocolli che presiedono l'attività terapeutica effettuata, e quindi l'inevitabilità dell'infezione. Si costituisce l'appellata, chiedendo il rigetto dell'appello. Precisate le conclusioni e concessi termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche, la causa viene decisa nella camera di consiglio del 19.4.2023. MOTIVI DELLA DECISIONE Le questioni poste all'attenzione della Corte sono le seguenti: 1) ONERE DELLA PROVA 2) NESSO CAUSALE 3) PROVA LIBERATORIA A) ONERE DELLA PROVA Dal punto di vista della disciplina dell'onere probatorio si è ormai consolidato l'indirizzo giurisprudenziale per cui "è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice dimostrare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, l'esatta esecuzione della prestazione o la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione" (Cass. Civ. n. 11599/2020, cfr. anche Cass. Civ. n. 28991/2019, Cass. Civ. n. 24073/2017; Cass. Civ. n. 15993/2011, Cass. Sez. Un. n. 577/2008). In particolare, la questione fondamentale posta all'attenzione della Corte concerne l'onere della prova del nesso causale in materia di infezioni nosocomiali, ovverosia cosa dovrebbe dedurre, da un lato, il paziente per provare di aver subito un danno (ricollegabile all'inadempimento di un atto dovuto da parte della struttura sanitaria) e, dall'altro lato, come dovrebbe difendersi la struttura sanitaria, cioè in cosa consiste la cosiddetta "prova liberatoria". B) NESSO CAUSALE Deve ritenersi che la paziente abbia effettivamente denunciato un inadempimento qualificato della struttura sanitaria, consistente nel non essersi attenuta rigidamente alle misure precauzionali indicate nei suoi stessi protocolli operatori. L'appellante lamenta la mancanza di prova del nesso causale tra l'intervento chirurgico e l'infezione contratta. La Corte osserva quanto segue. L'infezione da stafilococco faecalis che affliggeva la paziente deve ragionevolmente ritenersi conseguenza di una falla nell'attuazione dei protocolli antisepsi da parte della struttura e ciò sulla base di un ragionamento probabilistico, basato sul principio del "più probabile che non", in considerazione delle seguenti circostanze: - la paziente non risulta soffrisse di alcuna infezione all'occhio prima del suo ricovero in ospedale per l'operazione - a seguito dell'operazione alla quale era stata sottoposta, la paziente aveva subito il bendaggio dell'occhio, che rendeva la zona verosimilmente inaccessibile al contatto - su tale zona potevano intervenire, per la rimozione delle medicazioni e la loro sostituzione, soltanto i medici ed il personale dell'ospedale. La struttura sanitaria deve ritenersi perciò responsabile secondo le regole ordinarie della responsabilità contrattuale applicabili in materia (Cass. n. 11599 del 15.6.20209. Secondo la Cassazione N. 28991 dell'11.11.2019, il principio di diritto è quello riaffermato in una delle sentenze del cosiddetto "decalogo di San Martino 2019", sulla base della quale "In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno-evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle "leges artis" nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione" Nelle cause di responsabilità sanitaria, il danno-evento non consiste nella violazione delle leges artis in sé considerate, bensì nella violazione del diritto alla salute del paziente; ne consegue che, ove sia dedotta una responsabilità di natura contrattuale del sanitario, il paziente è tenuto a provare, anche a mezzo di presunzioni, che esiste un collegamento causale tra la condotta del sanitario e l'insorgenza della malattia nuova (o l'aggravamento di una patologia preesistente) lamentata dal paziente stesso. Fornita questa prova, la struttura sanitaria - per difendersi - è tenuta a provare che l'inadempimento è dovuto ad una causa "imprevedibile ed inevitabile", che ha reso impossibile il corretto adempimento della prestazione. Nel caso che ci occupa deve ritenersi che la paziente abbia fornito la prova del nesso di causalità materiale tra l'evento lesivo (danno all'occhio) e comportamento della struttura mediante un ragionamento probabilistico, basato sulle presunzioni sopra viste e dunque correttamente deducendo da fatti noti (assenza dell'infezione all'ingresso in ospedale; accesso alla zona infetta solo da parte dei dipendenti dell'ospedale) il fatto ignoto (cioè il comportamento attivo o omissivo di un dipendente dell'ospedale quale causa del contagio). Il Tribunale, richiamando la CTU, ha ritenuto correttamente che: "... questo tipo di infezione viene contratta solitamente al momento dell'intervento chirurgico per contaminazione intraoperatoria e più raramente per diffusione da infezione corneale o per contaminazione batterica dopo trauma all'occhio o per disseminazione durante batteriemia a partire da altro focolaio infettivo"; ? "... le infezioni ospedaliere non manifestate clinicamente né in incubazione al momento dell'ingresso, si rendono evidenti almeno a distanza di 48 ore dal ricovero". L'appellante evidenzia che l'intervento fu effettuato il 21.3.2017 (tra le 11.25 e le 11.45: cfr. doc. 1 a pag. 42 fasc. convenuta in primo grado) e l'infezione si rese evidente nella notte del 22/23.3.2017 (cfr. verbale dimissione PS del 23.3.2017 doc. 6 della sig.ra (...)), ovverosia ben prima che fossero trascorse almeno 48 ore. Pertanto, considerati quei tempi d'incubazione, l'ipotesi intraoperatoria non era percorribile; rimaneva l'auto - infezione di almeno 48 ore prima, quando però la sig.ra (...) non si trovava in (...): poiché il ricovero è del 21.3.2017. La censura non coglie nel segno. Nel caso di specie, la CTU espletata nel corso del procedimento per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c., acquisita agli atti del giudizio di primo grado, ha chiarito che "per la tipologia e l'epoca di insorgenza, nonché per la sequenza dei fatti rilevati dalla documentazione analizzata e dalla storia anamnesticamente raccolta durante le operazioni peritali, è sostenibile con il criterio probante del più probabile che non che l'infezione patita dalla signora stessa sia da considerare di origine nosocomiale" (cfr. CTU pag. 5 - doc. 4.24). Aggiungono poi i CTU che l'infezione viene "solitamente contratta al momento dell'intervento chirurgico, per contaminazione intraoperatoria; più raramente, essa avviene per diffusione di un'infezione corneale, per contaminazione batterica dopo trauma penetrante dell'occhio o per dissemazione ematogena durante una batteriemia a partenza da un altro focolaio infettivo" (cfr. CTU pagg. 5 e 6 - doc. 4.24). I consulenti, quindi, hanno chiarito che solitamente l'infezione in esame viene contratta al momento dell'operazione chirurgica e nel caso in esame l'infezione è di natura esogena causata da batteri provenienti da una sorgente esterna al soggetto infettato (cfr. CTU pag. 6 - doc. 4.24). Si ritiene quindi che la danneggiata, sulla base di un ragionamento probabilistico e in forza della CTU, abbia fornito la prova del nesso di causalità materiale tra evento lesivo e comportamento attivo o omissivo della struttura sanitaria convenuta. L'appellante ha sostenuto due tesi (alternative): quella secondo cui la paziente avrebbe contratto l'infezione prima dell'intervento o quella secondo cui l'infezione sia stata auto-procurata. Entrambe le tesi non meritano accoglimento. Gli stessi CTU -nel giungere alle loro conclusioni- hanno tenuto conto di due elementi: a) del tempo di insorgenza e del manifestarsi dei sintomi, come più volte ripetuto nell'elaborato peritale, e verificato documentalmente da questa Corte, laddove tra la data dell'intervento (21.3.2023) e quella dell'accesso in Pronto Soccorso (23.3.2023) risultano trascorsi circa due giorni; in conformità alla circostanza che "le infezioni ospedaliere non manifestate clinicamente né in incubazione al momento dell'ingresso, si rendono evidenti almeno a distanza di 48 ore dal ricovero". Il tutto tenuto conto che l'infezione di cui è causa si è sviluppata nel sito chirurgico, il che rende estremamente ragionevole e verosimile la sussistenza di un nesso di causalità materiale tra evento lesivo e comportamento attivo o omissivo della struttura sanitaria convenuta; e b) della tipologia di infezione che ha aggredito la signora (...). I CTU nella perizia hanno spiegato: "questo tipo di infezione viene contratta solitamente al momento dell'intervento chirurgico per contaminazione intraoperatoria" (doc. 4.24 -pagg. 5 -6). L'ulteriore ipotesi proposta dall'appellate, di infezione causata dalla stessa sig.ra (...) dopo l'operazione toccandosi l'occhio, risulta sotto il profilo probabilistico altamente improbabile e, soprattutto, sfornita di prova. Inoltre, risulta documentalmente provato che i medici subito dopo l'intervento hanno bendato la paziente (cfr. descrizione intervento pag. 42 cartella clinica - doc. 4). La sig.ra (...), inoltre, è rimasta bendata per tutto il tempo della degenza con una coppetta rigida e una benda "a piatto", così come si evince dal diario infermieristico : - h 13.00 del 21.03.2017 (appena dopo l'intervento): "mantiene occhio bendato" (pag. 67 - doc. 4) e dalla dichiarazione resa dalle Dott. (...) e (...) (strumentista e infermiera) del 7.4.2017; - pomeriggio (h 14 - 21.30), "mantiene occhio bendato" (pag. 68 - doc. 4)"; - turno notte (h. 21 - 7.30), "mantiene occhio bendato" (pag. 68 - doc. 4). Il mattino dopo l'operazione, la paziente era dimessa ed era visitata dal dott. (...), sentito quale teste all'udienza del 28.10.2021. Il teste ha dichiarato di aver "... visitato due volte la signora, una subito dopo l'intervento ed era ancora bendata; l'altro il giorno dopo ed ho tolto io la benda dall'occhio". Il dottore ha chiarito che "l'occhio deve rimanere bendato fino a quando non viene sbendato dal medico, proprio perché altrimenti avrebbe la palpebra aperta la notte per via dell'anestesia e rischierebbe di causarsi dei danni alla cornea". LA PROVA LIBERATORIA A fronte della prova del nesso causale, la semplice produzione, da parte della struttura sanitaria, dei protocolli ospedalieri per le medicazioni in fase postoperatoria è stata ritenuta insufficiente dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 11599/2020) ad integrare la prova liberatoria che il danno subito dalla paziente si fosse verificato per causa a sé non imputabile. La Corte di Cassazione n. 549 del 22/02/2023 ha statuito che, in tema di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di infezione cd. nosocomiale, grava sul soggetto danneggiato la prova della diretta riconducibilità causale dell'infezione alla prestazione sanitaria; una volta assolto dal paziente, anche a mezzo di presunzioni, l'onere probatorio relativo al nesso causale, incombe sulla struttura sanitaria, al fine di esimersi da ogni responsabilità per i danni patiti dal paziente, l'onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione, intesa, quest'ultima, non già, riduttivamente, quale mera astratta predisposizione di presidi sanitari potenzialmente idonei a scongiurare il rischio di infezioni nosocomiali a carico dei pazienti, bensì come impossibilità in concreto dell'esatta esecuzione della prestazione di protezione direttamente e immediatamente riferibile al singolo paziente interessato. I CTU hanno precisato che per fornire la prova liberatoria la Struttura Sanitaria avrebbe dovuto provare quanto segue (pag. 10 e 11 CTU) In particolare, la Struttura Sanitaria avrebbe l'onere di documentare dì aver posto in essere e rispettato tutte le più idonee ed efficaci misure, attinenti specificamente (a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo): - all'attuazione (e non alla mera adozione) di protocolli relativi a disinfezione, disinfestazione, sterilizzazione di ambienti e materiali; - alle modalità di lavaggio delle mani da parte del personale; - all'uso dei dispositivi di protezione individuate; - alle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria; - al sistema di smaltimento dei rifiuti solidi; - alla qualità dell'aria e degli impianti di condizionamento; - alla modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti; - all'organizzazione del servizio mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande; - allo smaltimento dei liquami e alla pulizia di padelle e simili; - all'istituzione di un sistema di sorveglianza e notifica; - all'istituzione del Comitato infezioni Ospedaliere ed alla relativa attività; - ai criteri costruitivi strutturali atti a evitare le infezioni; - al controllo e alla limitazione dell'accesso dei visitatori; - al controllo dello stato di salute dei dipendenti e degli operatori (basti pensare che costituisce fattore favorente le infezioni anche il fatto che infermieri e medici possano operare in precarie condizioni di salute, eventualmente al fine di evitare decurtazioni stipendiali); - all'adeguatezza del rapporto tra degenti e personale sanitario; - alla pianificazione ed attuazione di continui controlli sulle attività di cui sopra. Questa Corte rileva che tale prova non risulta fornita. Vero è che la (...) ha prodotto documenti (da n. 1 a n.7 - cfr. 13, punti da 1 a 4 comparsa di costituzione di primo grado), in tema di: disinfezione e pulizia del campo operatorio e degli ambienti; 'lavaggio mani'; disinfezione della cute perioculare e del sacco congiuntivale durante l'intervento chirurgico del 21.3.2017; utilizzo di dispositivi medici, strumenti e biancheria sterile e monouso; assenza d'infezioni nei pazienti operati in quello stesso giorno presso la medesima sala operatoria (B1 del blocco operatorio B), prima e dopo della sig.ra (...), così come in quelli del giorno precedente e successivo. Tali documenti, pur conferenti, non sono esaustivi e sufficienti a ritenere esclusa la (presunzione di) responsabilità di aver fatto tutto il possibile per evitare -nel caso specifico- l'infezione. Preliminarmente, si osserva che "Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione" (Cass. Sez. Un. n. 23976/2004). Infatti, nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall'iniziativa della parte e dall'obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o - comunque - sollecitate dalla parte interessata (Cass. sent. n. 1419/1994; Cass. sent. n. 1385/1995). Perché il giudice possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso deve accertare, oltre la ritualità della produzione, cioè verificare che la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una eccezione, espressamente basata su quei documenti (Cass. sent. 15103/2000). Questa Corte osserva che, in primo grado, la (...) si è limitata ad elencare alla fine della comparsa di costituzione di primo grado una serie di documenti, senza neppure illustrarli. In ogni caso, si tratta, in particolare, di documentazione riguardante: i protocolli/istruzioni ospedaliere adottatati da (...) in conformità alle Linee Guida in materia di: - pulizia e disinfezione nei blocchi operatori (doc. 2); - lavaggio delle mani (doc. 7); monitoraggio microbiologico ambientale sala operatoria (doc. 11); - sorveglianza delle infezioni ospedaliere (doc. 12); - infezioni ospedaliere e malattie infettive (doc. 13); - gestione della biancheria e del materiale lettereccio (doc. 14); l'istituzione di un apposito Comitato di Controllo Infezioni Ospedaliere nel 1999 e del suo verbale -successivo all'intervento- del 5.6.2017 (doc. 18); l'utilizzo, da parte d'(...) di ditta certificata per la sanificazione della biancheria utilizzata nei reparti (doc.15 del 27.6.2014 e testimonianza dott. (...) ud. 28.10.2021); programma di lavori -senza data- di sanificazione dei reparti ed elenco del 20.12.2017 dei prodotti specifici utilizzati con schede tecniche (docc. 16 e 17 e testimonianza dott. (...) cit.); l'utilizzo, nel corso dell'intervento della sig.ra (...), di dispositivi medici sterili, con ferri sanificati con autoclave Cisa (doc. 3), di biancheria monouso e sterile Alcon (doc. 1 alle pagg. 42, 46 e 47 e doc.5 e testimonianza dott.ssa (...) ud. 28.10.2021); Protocollo (apparentemente senza data) di contaminazione con esecuzione delle prove di contaminazione batteriche della sala operatoria, con risultato "Ottimo" (doc. 3); la pulizia della sala operatoria (doc. 3) e l'adozione, nel corso dell'intervento chirurgico della sig.ra (...), delle procedure di disinfezione del sito, del personale e di allestimento del campo chirurgico (docc. 4- dichiarazione resa sull'intervento); l'Audit del 14.7.2016 al Blocco Operatorio B dove fu operata la sig.ra (...) (doc. 10); l'assenza di infezioni nei pazienti operati lo stesso giorno della sig.ra (...) nella medesima sala operatoria (quattro prima di lei ed uno dopo: docc. 6 e 22 e testimonianza dott.ssa (...) ud. cit.); schede tecniche dei laminari dell'aria (doc. 23); l'esecuzione in (...), presso il blocco operatorio B (quello della sig.ra (...)), nel corso del 2017, di n. 2284 interventi di cataratta in Bassa intensità e n. 198 interventi in Day Surgery (docc. 20 e 21); l'assenza di richieste d'indagini colturali con riferimento all'Unità Operativa di Oculistica nel corso del 2017 (doc.19). Come statuito dalla Cassazione n. 549/2023, non è sufficiente per la prova liberatoria fornire documentazione che attesta la sussistenza di protocolli ineccepibili. Occorre, infatti, che essi siano stati puntualmente e specificatamente osservati nel caso di specie. Sulla prova testimoniale argomentata e con particolare riferimento al cap.7 , si osserva in primo luogo -in conformità con quanto ritenuto dal Tribunale sull'inammissibilità delle prove- che in base alle risultanze della cartella clinica, vi è riscontro del controllo di sterilità sugli strumenti impiegati per l'intervento ma non si può dire lo stesso per le procedure di lavaggio ed igienizzazione delle mani, che non risultano descritte in cartella clinica. In secondo luogo, il cap. 7 della memoria istruttoria ("vero che, i medici chirurghi che operarono la signora (...), nonché il personale sanitario presente durante l'intervento chirurgico del 21.3.2017 (ed indicati nel verbale operatorio a pag. 42 nel doc.1 di parte (...) che mi si rammostra), effettuarono prima dell'intervento tutte le procedure previste dai protocolli in tema di lavaggio delle mani, utilizzo di mascherine, cuffie, scarpe, camici e guanti sterili, come anche da doc. 4 di parte (...) che mi si rammostra") risulta generico. Infatti, il capitolo articolato non precisa neppure le persone presenti demandando alla Corte la ricerca dei nomi dei soggetti presenti durante l'intervento. Infatti, dell'unità operativa facevano parte -oltre ai testi- anche lo strumentista (...) e l'anestesista dott.ssa (...) (pag. 42 doc. 1 fascicolo convenuto), mai nominativamente neppure indicati negli atti di primo grado dalla difesa della (...). Inoltre, la parte appellante ha formulato il capitolo richiedendo al teste se i "presenti" (senza indicarli) abbiano eseguito i protocolli (senza specificare né in cosa consistano, né quali siano o dove siano stati prodotti). Infine, il richiamo al doc. 4 nel capitolo 7 è in realtà una dichiarazione della dott. (...) e della strumentista che nulla dice -per esempio - sul lavaggio delle mani o sulle altre procedure necessarie ad evitare l'infezione. In conclusione, non risulta sufficientemente provato che, proprio rispetto al caso che ci occupa, siano state rispettate tutte le singole procedure -ben identificate dal CTU e sopra riportate (pag.16, 17) - per evitare l'infezione. Ne deriva che l'assunzione dei testimoni indicati dalla odierna appellante non sarebbe stata comunque sufficiente ai fini della prova certa del rispetto da parte di membri dell'equipe delle citate procedure. Il capitolo 7, generico, non può perciò essere ammesso. Come statuito dalla Suprema Corte, in materia di infezioni nosocomiali, ai fini della prova liberatoria è necessaria una puntuale e specifica indicazione delle modalità operative dei singoli soggetti intervenuti per eliminare ogni rischio di infezione; tale mancanza probatoria comporta il rigetto dell'appello. In sintesi, i capitoli articolati (e non ammessi dal primo giudice) devono ritenersi: a) irrilevanti: poiché non sono contemplate nei capitoli di prova tutte le ipotesi che potrebbero determinare l'infezione; b) generici: in quanto si delega ai testi di individuare quali fossero le specifiche misure anti settiche adottate. Ritenuto, per quanto sopra espresso, non raggiunta la prova liberatoria, l'appello non può essere accolto. SPESE Al rigetto dei motivi di appello segue la condanna alle spese di causa, del presente grado di giudizio. Le spese sono liquidate, nei valori medi, ex D.M. n. 147 del 2022, esclusa la fase istruttoria, tenuto conto del valore della lite e dell'attività svolta. Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550). P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone: 1. rigetta l'appello proposto da (...) SPA avverso l'ordinanza resa dal Tribunale di Milano in data 28.7.2022 (comunicata in data 29.7.2022), a definizione del giudizio R.G n. 3217/'20, che per l'effetto conferma; 2. condanna (...) SPA al pagamento delle spese processuali in favore di (...) liquidate in Euro 9.990,00, oltre IVA, CPA e 15% spese generali. Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta. Così deciso in Milano il 19 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro Elena Greco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1896/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ro.Tr., (...), RICORRENTE contro (...) XXIII (C.F. (...)), in persona del direttore generale pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Gabriella Battaglioli e dell'avv. An.Av., elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale Avolio e Associati in Milano, viale Gian Galeazzo n. 16 CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente ha adito il Tribunale di Bergamo in funzione di giudice del lavoro chiedendo di "accertare e dichiarare che, per tutti i fatti meglio descritti nell'espositiva che precede, il ricorrente è stato illegittimamente fatto oggetto di una condotta integrante la fattispecie di straining e/o mobbing da parte della (...) XXIII nonché di whistelblowing (inteso come mancata protezione nei termini sopra precisati) e per l'effetto condannare la (...) medesima al risarcimento di tutti i danni subiti dal ricorrente in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale, sia di natura patrimoniale che di natura extrapatrimoniale, ivi compresi i danni dal medesimo subiti in conseguenza dell'illegittima dequalificazione, demansionamento e perdita di professionalità (danno professionale, all'immagine, alla carriera, alla dignità personale etc.) nonché il danno alla salute, il danno biologico permanente e temporaneo e il danno da perdita di chances per lamancata crescita professionale (anche con riferimento alla mobilità tra enti) da liquidarsi come indicato e/o come risulterà dovuto in corso di causa o il Giudice riterrà di giustizia anche ex art. 1226 c.c.". A sostegno della propria domanda il ricorrente ha esposto di essere assunto presso l'(...) XXIII e di avervi rivestito la qualifica di infermiere coordinatore sin dal 1992 (dapprima presso gli Ospedali Riuniti, poi presso la convenuta), in particolare svolgendo tale attività dal settembre 2004 al 3.12.2017 presso l'unità operativa complessa (cosiddetta u.o.c.) di pediatria, di aver sempre eseguito con professionalità la propria prestazione lavorativa ottenendo valutazioni di rendimento di buon livello e non riportando mai sanzioni disciplinari, di essere divenuto nonostante ciò vittima di condotte mobbizzanti o "stressogene" per aver assunto in talune occasioni il ruolo di wistleblower e di aver subito tali condotte tanto da aver richiesto il trasferimento ad altro reparto per salvaguardare la propria salute psicofisica. Ha precisato che l'origine delle persecuzioni poste in essere in suo danno aveva trovato scaturigine in comportamenti tenuti da colleghi e superiori nell'ambito di un progetto di natura infermieristica di assistenza a domicilio denominato "quasi a casa" ed in relazione al quale era stato accusato di non adoperarsi per consentirne la buona riuscita a causa dell'erroneo impiego di una risorsa infermieristica; era proseguita con la richiesta della referente di dipartimento (...) di modificare la valutazione formulata in ordine al rendimento di due infermiere e con l'inutilità della segnalazione da lui effettuata per denunciare siffatte pressioni; si era aggravata in seguito a numerose segnalazioni da lui effettuate anche ai direttori dell'u.o.c. e della direzione sanitaria per rendere note situazioni in cui per disorganizzazione o mancanza di efficienza del reparto i pazienti non avevano potuto effettuare le cure programmate nei giorni prestabiliti o erano stati dimessi senza la previa valutazione dei reparti competenti, tanto che la sua persona in reparto era stata individuata come un "problema", che il direttore sanitario (...) lo aveva più volte e insistentemente invitato a trasferirsi ad altro incarico, che dal 17.10.2021 al 29.10.2017 era stato collocato dapprima in ferie, poi in recupero ore eccedenti (fino al 31.10.2017) senza aver mai presentato alcuna richiesta in tal senso. Ha dedotto che la situazione di forte ansia e stress sofferti a causa del trattamento ricevuto aveva comportato l'insorgere di uno stato di morbilità dal 18.10.2017 al 3.12.2017 e che aveva dovuto assumere psicofarmaci per farvi fronte. Ha riferito di aver richiesto in data 16.10.2017 il trasferimento ad altro reparto al precipuo fine di tutelarsi dagli atti persecutori posti in essere in suo danno e di aver contestualmente invocato la normativa sul whistleblowing, senza però richiedere un demansionamento e senza acconsentire ad un trasferimento comportante la retrocessione di posizione, laddove l'azienda convenuta procedette a modificare la sua posizione di coordinatore infermieristico e dal 4.12.2017, a decurtargli la retribuzione privandolo del titolo e del compenso per l'incarico di coordinatore. A tal proposito ha allegato che dal 4.12.2017 era rientrato in servizio e, in seguito al trasferimento, si era trovato a svolgere presso il centro di formazione universitaria mansioni di mera segreteria in un ambiente isolato, privo di finestre e illuminato solo con luce artificiale, senza possibilità di relazioni professionali, senza una postazione fissa poiché per un giorno a settimana doveva anche lasciare la propria scrivania ad una impiegata dell'università Bicocca; che dal febbraio 2018, in seguito alle rimostranze compiute, era stato trasferito in un locale sempre privo di finestre e ancor più angusto del precedente; che non gli erano state rese note tramite la casella e-mail aziendale i concorsi interni, tanto da averne avuto conoscenza solo attraverso alcuni colleghi. Ritualmente costituitasi in giudizio l'(...) XXIII ha contestato le domande attoree e ne ha chiesto il rigetto. In particolare, con riferimento agli aspetti organizzativi del reparto e gestionali del rapporto di lavoro controverso, la convenuta ha dedotto di aver puntualmente dato seguito alle segnalazioni circostanziate effettuate dal ricorrente onde comprendere le ragioni dei disguidi denunciati, da un lato coinvolgendo nelle attività istruttorie sul punto anche il ricorrente stesso, dall'altro sollecitando quest'ultimo a discutere di eventuali problematiche organizzative e relazionali con i diretti interessati; ha puntualizzato che la richiesta di destinare parte attorea a diverso reparto o servizio fu formulata dalla stessa sin da l 2014 e in tempi più recenti nel corso di un colloquio svoltosi con l'assistenza di due rappresentanti sindacali e a seguito del quale vennero assunte in via concordata anche le decisioni sulla organizzazione del reparti di pediatria e sulla fruizione del congedo (dapprima qualificato come ordinario e poi trasformato - su richiesta del lavoratore medesimo - in recupero ore); ha precisato che sul ricorrente non venne esercitata alcuna pressione per indurlo a modificare il giudizio espresso sul rendimento di due infermiere del reparto pediatria, ma che viceversa si aprì una procedura di confronto alla presenza di un soggetto terzo al precipuo fine di consentire alle lavoratrici interessate e al loro coordinatore di comprendere le rispettive posizioni e che il ricorrente acconsentì liberamente ad incrementare alcuni dei punteggi attribuiti a tali due infermiere; ha descritto le mansioni attribuite al ricorrente in seguito al trasferimento al nuovo incarico, evidenziando che esso ha gli ha consentito di avere una quotidiana interazione con docenti, studenti, con gli uffici formativi e direzionali e di ricevere l'incarico - dopo un percorso formativo durato circa quattro mesi - di svolgere attività tutoriale in quattro sedi e di definire gli obiettivi didattici; ha riferito che già dal dicembre 2017 il responsabile dell'unità organizzativa della formazione universitaria invitò il ricorrente a partecipare alla selezione per le posizioni organizzative. Istruita la causa con l'ammissione della prova testimoniale e disposta da ultimo la trattazione scritta della controversia ai sensi dell'art. 221, comma 4, L. n. 77 del 2020, all'udienza di discussione il Giudice ha assunto la causa in decisione, dando lettura del dispositivo e assumendo termine per il deposito delle motivazioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e non può pertanto essere accolto. Per una corretta disamina della questione oggetto del giudizio, appaiono necessarie alcune considerazioni di carattere generale sul concetto di mobbing e di straining e della relativa risarcibilità. Per mobbing (dall'inglese "to mob", cioè "attaccare", "aggredire") si intende, comunemente, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità. Secondo i più consolidati approdi giurisprudenziali e dottrinali, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr. Cass., n. 3785/2009). A metà strada tra il mobbing e il semplice stress occupazionale, si pone una condizione psicologica definita straining. Lo straining, dall'inglese "to strain", ha un significato molto simile a quello di "to stress", ossia "stringere, distorcere, mettere sotto pressione" e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell'aggressore (lo strainer, che solitamente è un superiore) almeno un'azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante. Sul piano pratico lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l'azione vessatoria: per la configurazione di una fattispecie di mobbing è necessario che l'azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salute e, infine, che questo danno possa essere messo in relazione all'azione persecutoria svolta sul posto di lavoro; viceversa nello straining viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Tale assunto è stato recentemente confermato dai giudici di legittimità, secondo i quali lo straining altro non è se non "una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie" (Cass. n. 3291/2016 e Cass. n. 3977/2018); azioni non necessariamente associate ad un intento persecutorio (Cass. n. 18927/2016), ma intenzionale che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 c.c.. In altri termini, posto che la figura del mobbing e dello straining hanno rilevanza meramente descrittiva, il risarcimento del danno all'integrità psicofisica richiede l'accertamento della natura vessatoria anche di singoli comportamenti e pure in mancanza d'intento persecutorio. Nell'ipotesi in cui, come nella prospettazione del caso in esame, il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, di natura asseritamente vessatoria, onde valutare la ricorrenza di una fattispecie di straining si tratta di valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in sequenza causale, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio - possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili (cfr. Cass. n.15159/2019; Cass. n. 16256/2018; Cass. n. 3977/2018). Conseguentemente la nozione di straining, espressamente invocata dal ricorrente, avendo natura medico-legale, non riveste autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma è utilizzata per identificare comportamenti che si pongano in contrasto con l'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (cfr.: Cass. 29 marzo 2018 n. 7844). Secondo la Suprema Corte, infatti, lo straining è una forma attenuata di mobbing che è configurabile quando vi siano comportamenti "stressogeni", scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manca la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma comunque realizzino effetti dannosi all'interessato (così: Cass. n. 15159/2019 cit.). La giurisprudenza di merito ha altresì sottolineato come lo straining, a differenza del mobbing, si caratterizza per la particolare aggressività del comportamento attuato dal datore di lavoro, manifestata attraverso la repentinità o la natura eclatante dell'azione o insita nelle specifiche circostanze del demansionamento, ovvero nel concomitante verificarsi di altri atti volti ad isolare, anche dal punto di vista umano, il lavoratore. Tuttavia al pari del mobbing anche lo straining provoca al dipendente problemi di autostima e salute, turbative professionali e di serenità familiare, incidenti sulla sua qualità della vita. Entrambe le fattispecie, nel persistente vuoto normativo, sono tutelabili in virtù di quanto disposto dall'art. 2087 c.c., che, quale norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, rappresenta strumento sanzionatorio atto a punire tutte quelle condotte del datore di lavoro capaci di ledere la personalità e la dignità del lavoratore. Ed infatti, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" ed a tal fine occorre valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, o altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno. Il lavoratore che subisce una condotta mobbizzante, comportamenti vessatori, lesivi e persecutori, sia pure nella forma meno intensa dello straining, ha dunque diritto al risarcimento del danno biologico, ma è onerato dell'allegazione probatoria dei fatti nei quali si è estrinsecata la condotta datoriale e del nesso causale tra il comportamento tenuto dal datore di lavoro (o dai colleghi) ed il pregiudizio alla propria salute. In tema di responsabilità del datore di lavoro per mobbing o per straining, infatti, il lavoratore non è certo tenuto a dimostrare materialmente la colpa del titolare, ma è comunque soggetto all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, della nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso eziologico tra la condotta del datore ed il pregiudizio all'integrità psicofisica che lamenta di aver sofferto (Cass. n. 13693/2015). Analogo ragionamento vale anche per le condotte demansionanti, di cui pure il ricorrente assume di essere stato vittima: "Quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile ad inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (Cass. n. 17365/2018). Tenuto conto di quanto esposto, nel caso di specie gli esiti della istruttoria portano a ritenere non sussistente una responsabilità datoriale, risultando invece che il datore di lavoro - a fronte della situazione di difficoltà in cui si è trovato ad operare il ricorrente - abbia agito per tutelarne sia l'integrità psicofisica sia la professionalità, abbia cercato di attenuare le frizioni tra il ricorrente ed i colleghi ed abbia ricercato un diverso ambito di realizzazione professionale del proprio dipendente. Con riferimento alla asserito verificarsi nel reparto di pediatria di una situazione di ostracismo nei confronti del ricorrente, nato in concomitanza con l'elaborazione e la realizzazione del progetto "quasi a casa" e accresciutosi in seguito a varie denunce di disfunzioni organizzative e gestionali nell'ambito del reparto, le risultanze della istruttoria non hanno affatto confermato la tesi attorea, ma hanno viceversa delineato un ambiente in cui i vari operatori - pur rendendosi conto di una situazione di difficoltà personale del lavoratore - non ne hanno revocato in dubbio la professionalità, l'attitudine organizzativa e le capacità. In tal senso depongono innanzi tutto le dichiarazioni dei testi attorei, i quali - pur dando atto di aver riscontrato taluni problemi - hanno puntualizzato che essi non erano relativi "alla posizione del ricorrente" e che alcuno si era mai permesso di individuare la sua persona o il suo ruolo come problematico (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019), hanno confermato di non aver mai notato "in reparto alcuna ostilità nei confronti del ricorrente, non mi è parso che venisse escluso dal personale medico e che non fosse gradito, anzi" e, anche con riferimento al medico referente del progetto "qui a casa" hanno sottolineato che i rapporti con "la dott.ssa (...) erano normali rapporti di lavoro, non ho mai assistito a dispetti, non ho mai visto che si nascondevano le cose" (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Circa la percezione della figura del ricorrente nell'ambito del reparto di pediatria non giovano alla tesi attorea dell'avvenuta emarginazione, isolamento o quantomeno del diffondersi di un sentimento di disistima e di disprezzo neppure le dichiarazioni della teste (...), la quale - sebbene sia apparsa animata da un forte spirito di critica e di rivalsa nei confronti di taluni infermieri e responsabili amministrativi addetti al reparto o con esso operanti - non ha enucleato nelle proprie dichiarazioni alcun elemento di fatto idoneo a far emergere episodi di vessazione, di esclusione, di ghettizzazione, di sfiducia o di discredito del ricorrente. In particolare, sebbene la teste abbia confermato che nell'ambito del reparto pediatria si verificarono alcuni episodi di disorganizzazione a scapito dei pazienti, la stessa ha precisato che tali episodi riguardano da un canto l'avvenuta consegna di un farmaco ad una paziente e la richiesta di chiarimenti da parte dell'infermiera (...) e i dottori (...) e (...) circa la necessità di informare il coordinatore di tale consegna, dall'altro la mancata predisposizione della cartella di un paziente del day hospital e non ha enucleato però alcun episodio di discredito o di tentativo di isolamento del ricorrente (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 6.11.2019). Anche la tesi della imposizione delle ferie o del recupero delle ore eccedenti non trova invero riscontro negli esiti della istruttoria. Se da un lato il verbale dell'incontro del 9.10.2017, nel quale è attestato che parte attore assentì alla richiesta datoriale di fruire di ulteriori 15 giorni di ferie rispetto ai due già programmati, non costituisce piena prova poiché priva della sottoscrizione dei partecipanti alla riunione (cfr. doc. 3 fasc. conv.), in tal senso depongono le dichiarazioni dei testi (...) e (...), le quali illustrano le ragioni di tale richiesta evidenziando che, in accoglimento della richiesta di trasferimento ad altro reparto, l'ente datoriale avrebbe ricercato un altro incarico di coordinamento da attribuire al lavoratore (cfr. verbali di udienza del 5.4.2019 e del 6.11.2019). Ancora, risulta smentita anche la tesi secondo la quale lo svilimento della professionalità perpetrato dall'Azienda convenuta diverrebbe manifesto in considerazione delle mansioni attribuite a parte attorea presso la nuova unità organizzativa di assegnazione e della particolare collocazione del suo nuovo ufficio in seguito al trasferimento presso l'unità organizzativa della formazione. Dalle dichiarazioni della teste (...) è emerso che le strutture della formazione sono state "progettate" dopo la costruzione dell'ospedale e che i relativi spazi sono stati ricavati in modo da essere visibili, in prossimità del c.u.p., e sono situati nella parte interna del padiglione, cosicché anche la stessa teste aveva a sua disposizione solo un ufficio privo di finestre e di illuminazione naturale (cfr. verbale di udienza del 30.9.2020; nel senso prospettato depongono anche le circostanze riferite dal teste (...) di cui al medesimo verbale di udienza). Circa l'avvenuto demansionamento in seguito all'assegnazione presso l'unità operativa della formazione, invece, la medesima teste (...) ha illustrato le modalità attraverso le quali ha inteso utilizzare e sviluppare le competenze organizzative e tecniche già possedute dal ricorrente al momento dell'assegnazione al nuovo incarico e come si sia prodigata anche per garantirgli l'accrescimento professionale, mediante l'attribuzione del ruolo di tutor nell'ambito del corso di laurea in scienze infermieristiche e con l'assegnazione di compiti e mansioni di organizzazione e di controllo confacenti rispetto al livello D di inquadramento (in relazione al quale invero parte attorea non ha mai specificato le ragioni per cui le mansioni attribuite nell'ambito dell'unità operativa della formazione sarebbero inferiori rispetto a quelle in precedenza svolte presso la pediatria). Inoltre non si ravvisa alcun illegittimo esercizio del potere datoriale nella scelta della capo area (...) di procedere ad un confronto dialettico tra il ricorrente, nella sua veste di coordinatore del personale infermieristico, e due infermiere ((...) e (...)) in merito alla valutazione compiuta dal primo. Come emerso in sede istruttoria tale contraddittorio fu proposto dal capo area (...) in considerazione delle difficoltà relazionali che riguardavano parte del personale infermieristico e fu svolto senza esercizio di alcun tipo di pressione e senza imposizione di sorta sugli esiti della valutazione. Il teste (...) a tal proposito ha evidenziato che: "il momento della valutazione del personale infermieristico è un momento importante, perché in quel momento si restituisce il riscontro di un anno di lavoro; nel 2017 le infermiere (...) e (...) si lamentarono con me, la (...) perché la valutazione era stata data in tre minuti in modo molto spiccia e non chiara e senza capire cosa fosse stato detto; la (...) si lamentò del voto ottenuto e si lamentò del fatto che la valutazione gli era stata data solo l'ultimo giorno prima delle ferie ed era più bassa degli anni precedenti. Ricevute le segnalazioni delle infermiere, io ho convocato il ricorrente per chiarire gli aspetti delle valutazioni e, d'accordo con lui, abbiamo scelto di convocare anche le due infermiere e lui addirittura ne chiamò una per telefono. Insomma comparvero tutti e tre insieme davanti a me e lì condividemmo gli aspetti della valutazione, che spetta sempre e comunque al coordinatore e non a me. In quell'occasione, per aiutare le parti coinvolte a contestualizzare la valutazione e per essere neutrale, io aprii le valutazioni e le rilessi con il ricorrente e una infermiera per volta e, in relazione ai 4 item di valutazione contestati per ciascuna infermiere, ci fu un confronto tra le infermiere e il ricorrente, ma lui non in quell'occasione non disse molto, mentre le infermiere sottolineavano la loro condotta per conseguire un punteggio più alto; nel confronto dialettico con tutte le parti, decidemmo d'accordo con M. di alzare la valutazione di due item per le infermiere e di mantenere invariati gli altri due item, su un totale di 12 item; all'esito della riunione, per rendere più agevole il flusso di comunicazione, io inviai al ricorrente il file con la nuova valutazione e nel ricevere la mail, lui non manifestò alcuna contrarietà rispetto alle nuove valutazioni fatte in mia presenza. Preciso che in questa occasione io cercai di essere neutrale, appunto perché la valutazione non è di mia competenza e cercai solo di instaurare un confronto collaborativo tra il coordinatore e le infermiere valutate" (cfr. verbale di udienza del 6.11.2019). In definitiva, all'esito della istruttoria documentale e testimoniale, le tesi attoree non risultano affatto provate e i fatti enucleati in ricorso come sintomatici del mobbing o quantomeno dello straining non sono affatto emersi, considerato che tutti i testi hanno invero confermato che nel reparto di pediatria ove il ricorrente operava come coordinatore era diffuso e condiviso nei suoi confronti un sentimento di stima e di rispetto. La circostanza che il ricorrente abbia avuto uno screzio con l'infermiera (...) (confermata da tutti i testi e descritta più nel dettaglio dal teste attoreo (...), che ha dato atto di aver assistito ad un episodio in cui, pur non comprendendone le ragioni, vide "l'infermiera (...) che urlava" in un confronto con il ricorrente) e che in seguito ad esso abbia avvertito un generale mancato adeguato riconoscimento del suo lavoro, dell'impegno profusovi, della disponibilità sempre offerta non ha appunto trovato riscontro, tanto che gli stessi testi attorei hanno confermato che "Dopo l'episodio con l'infermiera (...) mi accorsi che il ricorrente stava male; lui in genere era molto presente e molto collaborante e in quel periodo invece era molto distrutto. Dopo il medesimo episodio si capiva in reparto che il ricorrente non poteva stare più al suo posto di lavoro, in reparto noi o.s.s. e gli infermieri lo avevamo percepito, ma nessuno diceva nulla e continuavamo a lavorare tranquilli. (...) svolgeva sempre la sua attività e non mancava mai, ma dopo l'episodio con la (...) in reparto tra il personale infermieristico, noi o.s.s. e il personale medico i rapporti continuarono normalmente con le stesse modalità con cui continuavano a lavorare in precedenza" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Anche la dedotta ritorsione subita per effetto delle segnalazioni delle disfunzioni gestionali e organizzative verificatesi in reparto è rimasta priva di oggettiva prova, essendo invece emerso che in seguito ad esse parte attorea venne coinvolta nel procedimento per la rettifica di tali disfunzioni e vi si sottrasse: "Anche le denunce che lui presentò e che portarono ad ispezioni dei Nas e della Ats non portarono rilievi rispetto agli episodi denunciati. ... In relazione agli episodi organizzativi che avevano creato problemi, ricordo l'episodio di un agenda che aveva creato questioni su aspetti concernenti l' esecuzione di un non giusto programma, in quell'occasione io chiesi al ricorrente di fare un approfondimento per verificare se c'erano problemi tecnici ma alla fine ho dovuto organizzare io un incontro con la direzione medica per capire se questo tipo di agenda poteva essere gestita diversamente e i problemi sono stati risolti con l'introduzione di una nuova agenda tanto che non ne sono stati più segnalati" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019). Alla luce di tutto quanto esposto, dunque, è evidente come non sia ravvisabile alcuno dei requisiti al quale la giurisprudenza di legittimità riconduce l'accertamento dello straining, posto che non sono stati minimamente dimostrati dal lavoratore (su cui incombe il relativo onere) né la valenza quale fonte di stress dei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, né che tali condotte siano state scientemente attuate nei suoi confronti. Il ricorso deve pertanto essere integralmente rigettato. Tenuto conto della particolarità della questione affrontata, le spese del giudizio vengono integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Compensa integralmente tra le parti le spese di lite; - Fissa in sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Bergamo il 29 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SOCCI M. Angelo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nata in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/4/2022 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Francesca Costantini, che ha chiesto annullare senza rinvio la sentenza agli effetti penali, per essere i reati estinti per prescrizione, e dichiarare inammissibile il ricorso della (OMISSIS); udite le conclusioni del difensore della parte civile, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultima anche in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14/4/2022, la Corte di appello di Torino riformava nei termini del dispositivo la pronuncia emessa dal Tribunale di Vercelli il 15/1/2019, relativa a varie imputazioni di maltrattamenti in famiglia contestate a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che di lesioni personali contestate al (OMISSIS) e di violenza sessuale contestata al (OMISSIS). 2. Propongono ricorso per cassazione la parte civile (OMISSIS) e gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi: (OMISSIS) Erronea valutazione delle dichiarazioni della parte civile e dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello avrebbe assolto il (OMISSIS) dalla contestazione di violenza sessuale sul presupposto, innanzitutto, che le parole della ragazza non avrebbero ottenuto riscontri de relato; questa prospettiva, tuttavia, sarebbe viziata, in quanto la valutazione di tali riscontri risulterebbe decisiva solo laddove non si fosse mai provveduto ad escutere la persona offesa, non anche quando - come nel caso in oggetto - la stessa fosse stata sentita in incidente probatorio. Peraltro, sarebbe errata l'affermazione secondo cui l'educatrice (OMISSIS), non avrebbe ricevuto alcuna confidenza dalla ragazza: nel corso dell'esame dibattimentale, infatti, la stessa avrebbe riferito soltanto il contenuto delle proprie relazioni (allegate al ricorso), dalle quali emergerebbe chiaramente il riferimento alle violenze sessuali, ed il disagio patito dalla persona offesa. Quanto al (OMISSIS), invece, si sottolinea che nessuna domanda specifica gli sarebbe stata posta. Ancora errata, poi, sarebbe la motivazione laddove avrebbe ritenuto inverosimili alcuni passaggi del racconto della giovane, senza pero' misurarsi con la sentenza di primo grado, che avrebbe valorizzato la linearita' dello stesso narrato e l'assenza di spinte ritorsive o calunniose. Dalla medesima deposizione, peraltro, emergerebbe non solo la fondatezza dell'accusa, ma anche la posizione di subordinazione patita verso l'imputato, che questi avrebbe abilmente sfruttato per ottenere atti sessuali. (OMISSIS): Inosservanza e/o erronea applicazione dell'articolo 572 c.p.; contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. La Corte di appello non avrebbe spiegato le ragioni per le quali non sarebbe stata in alcun modo valutata la tesi esposta dalla consulente di parte 2 Dott.ssa (OMISSIS), secondo la quale la (OMISSIS), avrebbe reso per prima dichiarazioni accusatorie in ordine a presunti maltrattamenti, poi influenzando gli altri ospiti della struttura. La sentenza, peraltro, sarebbe evidentemente contraddittoria circa le parole della stessa ragazza, giudicate inverosimili quanto all'imputazione di violenza sessuale e, pe'r contro, pienamente attendibili in ordine ai maltrattamenti (pure a fronte delle numerose incongruenze ravvisabili e riportate alle pagine 13 e 14 del ricorso). La Corte di appello, ancora, non avrebbe valutato le risultanze favorevoli al ricorrente e, in particolare, le testimonianze che smentirebbero l'esistenza di un clima di paura e vessazione all'interno della struttura, oltre che di gesti violenti; neppure una spiegazione, inoltre, sulla ragione per cui psicologi, infermieri e medici avrebbero decisamente negato di aver mai notato alcunche' di preoccupante sui ragazzi, sotto un profilo sia fisico che psicologico (lividi, segni, cenni emotivi di disagio). Tutto cio', insieme alla totale carenza di riscontri, avrebbe dunque giustificato quantomeno il dubbio sul merito della contestazione, imponendo l'assoluzione del ricorrente (peraltro, mai accusato dal (OMISSIS), contrariamente a quanto si leggerebbe in sentenza). Ancora, la Corte opererebbe un mero rinvio alla decisione di primo grado quanto alle ulteriori deposizioni, ma cosi' eviterebbe di affrontare le numerose contraddizioni ravvisabili sugli episodi di maltrattamento, a cominciare da quello di cui al capo E). Si lamenta, infine, il vizio di motivazione quanto alla omessa riqualificazione dei fatti ai sensi dell'articolo 571 c.p., pur ricorrendone tutti i presupposti: la stessa Corte di appello, del resto, confermerebbe che i ragazzi presenti nella struttura sarebbero stati tutti violenti, difficili da gestire ed aggressivi, cosi' imponendo di riconoscere, al piu', la fattispecie degli abusi di mezzi di correzione o di disciplina. (OMISSIS): Violazione dell'articolo 2 c.p. con riguardo alla circostanza aggravante di cui all'articolo 572 c.p., comma 2, Premesso che il capo di imputazione riporterebbe la contestazione di tale aggravante, per esser stati commessi i fatti in danno di minore di anni 18 o comunque in presenza di minori, si evidenzia che una tale circostanza (vigente fino al 2013 con riguardo ai minori degli anni 14) sarebbe stata poi reintrodotta (quanto ai minori tout court) solo con la L. 19 luglio 2019, n. 69, successiva alla contestazione. Ebbene, per quanto le sentenze richiamino le sole aggravanti di cui all'articolo 61 c.p., nn. 5 e 9, non si potrebbe escludere che la Corte di appello abbia erroneamente calcolato anche quella di cui all'articolo 572, comma 2. In tal caso, sarebbe palese la violazione dell'articolo 2 c.p.; si lamenta, poi, la violazione del divieto di reformatio in peius quanto all'aumento di pena disposto a titolo di continuazione interna, indicato dal primo Giudice in 4 mesi di reclusione e dalla Corte di appello in 6 mesi; violazione dell'articolo 572 c.p.; inadeguatezza della motivazione sul dolo. La sentenza impugnata avrebbe riconosciuto il reato, quanto al profilo soggettivo, con motivazione viziata, che trascurerebbe il fatto che il ricorrente avrebbe agito per finalita' educative, non di maltrattamento. La condotta, quindi, avrebbe dovuto esser riqualificata ai sensi dell'articolo 571 c.p.; si contesta, di seguito, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che sarebbe sostenuto da motivazione inadeguata, che valorizzerebbe un inesistente obbligo di collaborazione o di resipiscenza a carico dell'imputato; infine, si eccepisce - gia' alla data della sentenza di appello l'intervenuto decorso della prescrizione, pari a 7 anni e 6 mesi, decorrenti dal 7/2/2014 (giorno di chiusura della comunita'). Inosservanza dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), violazione del contraddittorio. La Corte di appello non avrebbe risposto al motivo di censura con il quale si contestavano le ordinanze del 13 dicembre 2017 e del 21 marzo 2018 con le quali il Tribunale aveva disposto l'acquisizione, rispettivamente, di una consulenza tecnica d'ufficio redatta in un procedimento civile (in materia di amministrazione di sostegno) non ancora concluso e dei verbali di accertamenti sanitari condotti sulle persone offese costituite parti civili. L'erronea decisione del primo Giudice - che avrebbe provveduto in tal senso a norma dell'articolo 234 c.p.p., pur difettando la categoria di "documento" - sarebbe stata censurata nell'atto di gravame, senza, tuttavia, ricevere alcun argomento in sentenza; Inosservanza degli articoli 521 e 522 c.p.p.; vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe riconosciuto il ricorrente colpevole di un reato diverso da quello contestato: mentre l'imputazione, infatti, riguardava una fattispecie omissiva di cui all'articolo 40 cpv. c.p., la sentenza qui impugnata avrebbe riconosciuto condotte attive di maltrattamento, operando di fatto una surrettizia e censurabile modifica della contestazione, con evidente violazione del diritto di difesa, tutto incentrato sulla lettera della rubrica; erronea applicazione dell'articolo 40 c.p., comma 2, vizio di motivazione. Anche a non ritenere fondato il motivo che precede, la sentenza risulterebbe comunque viziata laddove avrebbe riconosciuto in capo al ricorrente una posizione di garanzia di fatto, che pero' l'istruttoria non avrebbe confermato; i riferimenti sul punto contenuti nella sentenza risulterebbero, invero, palesemente carenti (soltanto una telefonata) e potrebbero dar conto - al piu' - di una funzione di coordinatore di fatto nella gestione degli orari degli altri lavoratori che, tuttavia, non integrerebbe quella funzione tipica di garante tale da far sorgere un dovere di vigilanza. La conclusione raggiunta dalla Corte di appello, peraltro, sarebbe in insanabile contraddizione con gli altri elementi di prova acquisiti; l'erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione sono poi dedotti con riguardo alle circostanze aggravanti di cui agli articoli 61, nn. 5 e 9 (che sarebbero state riconosciute in radicale assenza dei presupposti) ed alle circostanze attenuanti generiche (che invece sarebbero state negate pur ricorrendone le condizioni). Ne deriverebbe, dunque, un trattamento sanzionatorio iniquo ed eccessivo. Queste censure sono state poi ribadite con motivi aggiunti. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso della parte civile risulta fondato. 4. La motivazione della sentenza impugnata, infatti, appare contraddittoria laddove sostiene, per un verso, di non voler inficiare il giudizio di attendibilita' gia' formulato sulla persona offesa (in primo grado e, quanto al delitto di maltrattamenti, anche in appello), e, per altro verso, di ritenere non credibile perche' non lineare - il racconto di questa quanto all'episodio di cui al capo G), evidenziandone profili di inverosimiglianza con riguardo ai luoghi e agli orari in cui le violenze si sarebbero consumate. 4.1. Con questo argomento, inoltre, la sentenza non si confronta adeguatamente con la motivazione di primo grado, che aveva riconosciuto piena attendibilita' alla persona offesa, anche sul capo in oggetto, evidenziando la linearita' del suo racconto, l'assenza di acrimonia e di un qualunque intento calunnioso nei confronti del (OMISSIS). Ancora nel senso della credibilita', poi, era stata sottolineata la ricchezza dei particolari riferiti dalla persona offesa (il cui narrato, peraltro, e' ampiamente richiamato anche nella sentenza di appello), che, tra l'altro, aveva descritto il rapporto con il (OMISSIS), in tutto il suo svolgersi, dalle iniziali condotte gentili e suadenti fino agli abusi, commessi ripetutamente dopo aver carpito la fiducia della giovane. Come ben emerge ancora dalla sentenza di primo grado, peraltro, la stessa persona offesa aveva riferito specifici elementi di contorno, rispetto alle violenze, che - con argomento congruo erano stati valutati come implicita conferma di queste, nel senso delle attenzioni che l'imputato aveva rivolto alla ragazza, a cominciare da un certo periodo, maturando verso di lei anche un sentimento di gelosia. Sempre nell'ottica della attendibilita', poi, era stato sottolineato che la giovane aveva riferito che i fatti si erano verificati fino all'agosto 2013 (come da contestazione), quando il (OMISSIS), era tornato nel proprio Paese per qualche mese; fatto rientro in Italia, l'uomo aveva nuovamente rivolto alla persona offesa sguardi ammiccanti e l'aveva toccata piu' volte sopra i vestiti, "ma aveva smesso di andarla a chiamare di notte per avere rapporti sessuali". 4.2. Ebbene, di tutti questi elementi, congruamente valorizzati nella sentenza del Tribunale in ottica accusatoria, non si riscontra alcuna traccia nella pronuncia di appello, alcun effettivo momento di confronto. La Corte del gravame, infatti, si e' limitata a sostenere l'inverosimiglianza dei riferimenti spazio-temporali tout court forniti dalla persona offesa, senza, tuttavia, esaminarne alcuni tratti significativi e singolari, come riferiti dalla stessa giovane (ad esempio, la chiusura a chiave della stanza dell'imputato, in occasione degli incontri; la reazione di questi quando, di notte, qualche ospite della struttura si svegliava e chiedeva una sigaretta; le indicazioni che lui le aveva dato al riguardo; la fugacita' degli atti sessuali diurni). Ulteriori elementi specifici riportati nel racconto, e che la persona offesa avrebbe verosimilmente potuto conoscere soltanto nell'ottica del capo G), come la circoncisione del (OMISSIS), sono stati poi giustificati dalla Corte con argomento meramente congetturale, conformemente al motivo di gravame, come la generica conoscenza di questa pratica presso tutti i maschi di fede musulmana. 4.3. Ancora, la Corte di appello ha enfatizzato la mancanza di riscontri esterni al racconto, evidenziando che i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano confermato di avere ricevuto confidenze dalla ragazza quanto alle violenze sessuali. Ebbene, questo argomento risulta invero cedevole rispetto alle considerazioni sopra espresse, in quanto l'effettiva portata probatoria di tale asserita carenza di riscontri poteva (e potra') essere effettivamente valutata soltanto all'esito di un nuovo esame dell'attendibilita' della persona offesa, da eseguire in forza dei criteri - di rigorosa applicazione - di precisione, linearita' e coerenza del racconto in tutte le sue parti. La sentenza, pertanto, deve essere annullata limitatamente al capo G), contestato al (OMISSIS), ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. 5. Il ricorso proposto da (OMISSIS), invece, e' manifestamente infondato. 6. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimita' sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). 6.1. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente sono inammissibili; dietro la parvenza di una plurima violazione di legge o di un vizio motivazionale, infatti, lo stesso tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie (dichiarative) gia' esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e piu' favorevole. Il che, come riportato, non e' consentito. 6.2. La doglianza, inoltre,' trascura che la Corte di appello - pronunciandosi proprio sulla questione qui riprodotta - ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha richiamato la piu' che diffusa pronuncia di primo grado, evidenziando che le dichiarazioni accusatorie rese dagli ospiti della struttura risultavano pienamente credibili perche' circostanziate e riscontrate reciprocamente, oltre che - quanto al capo E), non contestato al (OMISSIS) - adeguatamente confermate dalla documentazione sanitaria in atti. Ancora sul punto, peraltro, la Corte di appello ha sottolineato che non poteva essere accolta la tesi difensiva secondo cui i ragazzi si sarebbero influenzati reciprocamente, anche subendo il ruolo "preminente" della (OMISSIS), in quanto di tutto cio' l'istruttoria non aveva offerto alcun riscontro. 6.3. Come gia' ampiamente evidenziato in entrambe le sentenze di merito, dunque, l'insieme diffuso dei concordi racconti dei ragazzi, ed il particolare richiamo a quanto contestato nel capo E), sono stati ritenuti - con logico argomento - espressione di un habitus proprio della struttura, in forza del quale le ingiurie, le umiliazioni, le percosse, le minacce e le violenze risultavano strumento costante - cosi' da dar vita ad un vero sistema maltrattante allorquando si verificavano situazioni di contrasto tra gli operatori e le persone offese, sia pur dandosi atto (senza alcun effetto scriminante o sminuente) della particolare esuberanza di queste e della elevata problematicita' della situazione personale di ognuno. Un complessivo contesto ambientale particolarmente grave e preoccupante, dunque, a fronte del quale, peraltro, taluni dei ragazzi avevano cercato di opporre un tentativo di fuga: come una delle ospiti si era definitivamente allontanata, cosi' la (OMISSIS) si era presa carico della necessita' di far punire i colpevoli, tentando, in numerose occasioni, di documentare le violenze con il telefono cellulare o, quantomeno, di registrarne l'audio. Ebbene, di questo sistema anche il (OMISSIS) - educatore - era stato parte effettiva, costantemente e scientemente, come riferito da numerose persone offese e testimoni escussi in incidente probatorio ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), come da ampio richiamo alle pagg. 9 e ss. della sentenza di primo grado, cui la pronuncia di appello fa espresso rinvio. 6.4. A questa motivazione, peraltro, non possono essere opposti i generici argomenti del ricorso, come quello secondo cui i giudici del merito avrebbero valutato esclusivamente gli elementi di prova favorevoli alle persone offese, e non quelli di segno contrario; altrettanto generico, poi, e' il richiamo alle "testimonianze che smentiscono un clima di paure e vessazione oltre che azioni violente all'interno della comunita'", cosi' come e' propria della sola fase del merito la domanda su come mai psicologi, infermieri e medici non avrebbero mai notato alcun segno di violenza fisica o psichica. Ancora, riveste carattere palesemente fattuale, quindi non ammesso in questa sede, l'ampia censura alla motivazione con riguardo all'episodio del capo E), sul quale - si ribadisce - la sentenza di appello si e' diffusamente spesa, richiamando in modo congruo e logico plurime emergenze istruttorie qui non piu' valutabili. Inoltre, risulta propria della sola fase di merito la considerazione secondo cui il (OMISSIS) non avrebbe mai accusato l'imputato; quel che, peraltro, trova smentita nella sentenza di primo grado (richiamata in quella di appello), nella quale (pagg. 11 ss.) si da' conto delle dichiarazioni accusatorie rese dal ragazzo, riportandone anche i passi che riguardavano il ricorrente in esame. 6.5. Negli stessi termini, infine, non puo' essere ammessa la censura con la quale si contesta l'omessa riqualificazione dei fatti ai sensi dell'articolo 571 c.p., quale condotta di abuso dei mezzi di correzione o disciplina. Ancora con adeguata, ancorche' sintetica, motivazione in fatto, immune da censura, la Corte di appello ha infatti precisato che il contesto maltrattante era emerso con caratteri tali da travalicare "qualsiasi intento meramente correttivo", con "riduzione dei minori in una condizione di subalternita' umiliante, integrante in toto il reato di maltrattamenti". Con questo argomento, peraltro, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del canone secondo cui l'uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche li' dove fosse sostenuto da "animus corrigendi", non puo' rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del piu' grave delitto di maltrattamenti (tra le altre, Sez. 3, n. 17810 del 6/11/2018, B., Rv. 275701. Si veda anche Sez. 6, n. 11956 del 15/2/2017, B., Rv. 269654, con cui questa Corte ha riqualificato, ai sensi dell'articolo 572 c.p., la condotta dell'insegnante della scuola materna di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica nei confronti dei bambini, per finalita' educative, non rilevando in senso contrario il limitato numero di episodi di violenza che ciascun bambino, singolarmente considerato, aveva subito). L'impugnazione di (OMISSIS), dunque, deve essere dichiarata inammissibile. 7. Il ricorso di (OMISSIS) e' manifestamente infondato. 7.1 Con riguardo al primo motivo, che lamenta la mancata risposta della Corte di appello alla eccezione di inutilizzabilita' di quanto acquisito ai sensi degli articoli 234 e 238 c.p.p., come da ordinanze del 13/12/2017 e 21/3/2018, il Collegio osserva che, in effetti, la questione era stata posta nel gravame e la sentenza non si e' espressa sul punto. 7.2. La stessa questione, tuttavia, in quella sede (come nel ricorso per cassazione) era stata presentata in termini palesemente generici, quindi inammissibili, tali da non rendere doverosa una specifica pronuncia sul punto. In particolare, l'atto di appello non aveva indicato affatto il contenuto di questi documenti (genericamente: consulenza tecnica d'ufficio della Dott.ssa Ponzetti, "redatta nell'ambito della procedura di amministrazione di sostegno"; produzioni del Pubblico Ministero all'udienza del 7/2/2018, con le quali sarebbero "stati travalicati i limiti della prova documentale consentita ai sensi dell'articolo 234 c.p.p., in aperta violazione dei diritti di difesa"). Ancora, e soprattutto, il gravame non ne aveva riportato il rilievo nell'ottica della pronuncia di condanna; non era dato comprendere, dunque, se e in che termini queste produzioni fossero state valorizzate dal Tribunale per sostenere la dichiarazione di colpevolezza, ne' tantomeno si affermava che quest'ultima avrebbe patito un irreversibile vizio logico qualora gli stessi atti fossero stati rimossi dall'impianto motivazionale. L'avvenuta lesione del diritto di difesa, pertanto, risultava espressa in termini del tutto astratti. Queste considerazioni trovano poi conferma nel motivo di ricorso, di eguale generico contenuto, tale da imporre la dichiarazione di inammissibilita' della relativa questione. 7.3. In ordine, poi, alla dedotta violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., occorre innanzitutto ribadire che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (tra le molte, Sez. U., n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051). In altri termini, sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilita' ed eterogeneita', verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato e' impossibilitato a difendersi (Sez. 3, n. 7146 del 4/2/2021, Ogbeifun, Rv. 281477; in termini anche Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, Calabrese, Rv. 276955); rapporto che dovra' esser verificato alla luce non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione e, quindi, di decisione (Sez. 3, n. 15655 del 27/2/2008, Fontanesi, Rv. 239866; sul punto, Sez. 2, n. 16827 del 7/3/2019, Furiassi, Rv. 276210). Ne deriva che la nozione strutturale di "fatto" - inteso come episodio della vita umana - va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa (Sez. 1, n. 35574 del 18/3/2013, Crescioli, Rv. 257015), invero non ravvisabili qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita' di interloquire in ordine alla stessa (Sez. 6, n. 11956 del 15/2/2017, B., Rv. 269655; Sez. 5, n. 1697 del 25/9/2013, Cavallari, Rv. 258941). 7.4. Tanto premesso in termini generali, la Corte rileva allora Che il motivo di ricorso e' palesemente infondato: in nessun passo della sentenza di appello, cosi' come di quella di primo grado, e' infatti riconosciuta a carico del (OMISSIS) una condotta ontologicamente diversa da quella contestata, ne' si ravvisano comportamenti incompatibili con quelli sui quali la difesa e' stata esercitata, non rivestendo alcun rilievo decisivo i due brevi passi della pronuncia riportati a pag. 16 dell'impugnazione. 7.5. Con riguardo, poi, alla posizione di garanzia che la Corte di appello avrebbe erroneamente riconosciuto, il Collegio osserva che la censura e' proposta in termini di puro merito, non consentiti in sede di legittimita', lamentandosi il contenuto della motivazione sul punto ed invocando una diversa valutazione in fatto degli stessi argomenti. La Corte di appello, peraltro, al riguardo ha ripreso la decisione di primo grado, con la quale era stata riconosciuta al (OMISSIS) una posizione di garanzia di fatto in ragione di una conversazione telefonica con la coimputata (OMISSIS), dalla quale emergeva che l'uomo era il referente della comunita' terapeutica per minori facente capo alla societa' " (OMISSIS)" e che si occupava dell'organizzazione dei turni del personale. Risultava, dunque, adeguatamente riscontrata una posizione di garanzia, quantomeno di fatto, in adesione al principio sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte per il quale, in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia puo' essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purche' l'agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento di consapevole presa in carico del bene protetto (tra le altre, Sez. 4. n. 21869 del 25/5/2022, Tomasso, Rv. 283387; Sez. 4, n. 19558 del 14/1/2021, Mussano, Rv. 281171). 7.6. Il ricorso, ancora, risulta manifestamente infondato anche in ordine al riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 61, nn. 5 e 9 c.p.; anche al riguardo, infatti, la censura e' proposta solo in termini di puro merito, sul presupposto che gli esiti istruttori non avrebbero confermato il contenuto delle stesse circostanze. 7.6.1. In senso contrario al motivo di ricorso, peraltro, si osserva che la Corte di appello ha ancora richiamato la congrua motivazione del Tribunale, in forza della quale l'aggravante della minorata difesa aveva trovato pieno riscontro nelle condizioni soggettive delle vittime, tutte minorenni con problemi psichici e tutte lontane dalle proprie famiglie; con tale argomento, peraltro, la sentenza ha anche aderito all'indirizzo - qui da ribadire - secondo cui sussiste la circostanza aggravante della minorata difesa in tutti i casi in cui le particolari modalita' dell'azione, connesse a situazioni oggettive o soggettive, consentano di approfittare della condizione di fragilita' della vittima a prescindere dalla minore eta' in quanto tale (tra le altre, Sez. 3, n. 38785 del 23/6/2015, R., Rv. 264791. Si veda anche Sez. 3, n. 11509 del 15/1/2019, C., Rv. 275186, che ha valorizzato il particolare contesto ambientale in cui i fatti si erano verificati, nel quale mancavano persone adulte cui il minore avrebbe potuto chiedere aiuto). In senso contrario alla configurabilita' della stessa aggravante, peraltro, non vale opporre la capacita' testimoniale e la piena attendibilita' che i Giudici del merito hanno riconosciuto in capo alle persone offese; la minorata difesa, infatti, non si traduce affatto ex se nella radicale incapacita' a deporre o nella ontologica inattendibilita' di quanto riferito, potendo una tale eventuale convergenza essere riscontrata solo concretamente, di volta in volta, nella vicenda specifica. Di cio', tuttavia, il ricorso non fornisce alcun riferimento, e le conclusioni dei Giudici del merito depongono in senso del tutto contrario. 7.6.2. Quanto poi all'ulteriore circostanza (dell'abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o ad un pubblico servizio), questa era stata accertata sul presupposto - costantemente affermato da questa Corte - che le qualita' soggettive riscontrate in capo al ricorrente (e ai coimputati) potevano anche solo aver agevolato la commissione dei fatti, non essendo necessaria l'esistenza di un nesso funzionale tra tali poteri o doveri ed il compimento del reato (tra le altre, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2022, F. ed altri, Rv. 273531, in cui questa Corte ha ritenuto sussistente l'aggravante in relazione ai delitti di violenza sessuale ascritti al responsabile di una comunita' nei confronti dei minori a lui affidati dall'autorita' giudiziaria. Si richiama anche Sez. 5, n. 9102 del 16/10/2019, Davi', Rv. 278662). 7.7. Con riferimento, infine, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il ricorso risulta ancora palesemente generico, lamentando la mancata valutazione dell'incensuratezza dell'imputato e delle sue condotte e del suo stile di vita antecedenti e successivi al reato, "come emerso nel corso degli esami". Neppure un accenno, dunque, all'argomento speso dalla Corte di appello sul punto, con richiamo all'assenza di elementi di meritevolezza, per non aver il soggetto mostrato alcun segno di resipiscenza. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. 8. Il ricorso di (OMISSIS) e' fondato limitatamente alla seconda doglianza. 8.1. Con riguardo ai primi due motivi, che attengono alla possibile applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 572 c.p., comma 2, in un testo non vigente al tempus commissi delicti, il Collegio evidenzia che la questione e' posta in termini meramente eventuali, come tali non consentiti; anzi, e' la stessa censura ad affermare che "e' vero che nelle due motivazioni, nel ritenerle e nell'escluderle, vengono citate solo le altre aggravanti (articolo 61 c.p., nn. 5 e 9) e non quella di cui all'articolo 572 c.p., comma 2, cosi' che il "dubbio" paventato dal ricorrente si risolve in una mera congettura. 8.2. Palesemente inammissibile, di seguito, e' anche il quarto motivo, con il quale si lamenta il vizio di motivazione in ordine al profilo soggettivo del reato, dovendosi, per contro, al piu' individuare la meno grave fattispecie di cui all'articolo 571 c.p. Trattandosi della medesima questione gia' sopra esaminata con riguardo alla posizione (OMISSIS), si rimanda alle considerazioni espresse sul punto. 8.3. Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge quanto al quinto motivo, che lamenta il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche. La censura, infatti, si limita a contestare l'argomento speso dalla Corte di appello per tutti i ricorrenti (l'assenza di resipiscenza in capo agli stessi), ma non indica neppure un elemento - eventualmente offerto ai Giudici del merito e non valutato - che avrebbe giustificato il riconoscimento delle stesse attenuanti generiche in capo al (OMISSIS). 8.4. E' manifestamente infondato, di seguito, anche il sesto motivo di impugnazione, con il quale si eccepisce la prescrizione del reato gia' alla data della sentenza di appello, decorsi 7 anni e 6 mesi dal 7 febbraio 2014; con questo argomento, infatti, non si considera il raddoppio dei termini di prescrizione previsto dall'articolo 157, comma 6, c.p., nel testo vigente ratione temporis (ossia al 7/2/2014, come indicato nello stesso ricorso) come introdotto dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172. Il termine di prescrizione, dunque, non era certo decorso alla data della pronuncia di appello, ne' lo e' a quella odierna, 8.5. Infine, e' per contro fondata la terza censura proposta, con la quale si contesta la violazione del divieto di reformatio in peius con riguardo all'aumento di pena a titolo di continuazione interna sui maltrattamenti; tale misura, nella sentenza di primo grado, era stata quantificata in quattro mesi di reclusione, mentre nella pronuncia di appello e' stata portata a sei mesi di reclusione (in assenza di gravame del pubblico ministero). Deve trovare applicazione, quindi, il costante e condiviso principio in forza del quale nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entita' complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione e, quindi, anche l'aumento conseguente al riconoscimento della continuazione, sicche' vi e' violazione di tale divieto nel caso in cui, in presenza di impugnazione da parte del solo imputato di una sentenza di condanna pronunciata per piu' reati unificati dal vincolo della continuazione, non si diminuisca l'entita' della pena originariamente inflitta pur pronunciando assoluzione per un reato-satellite (tra le altre, Sez. 2, n. 6043 del 16/12/2021, Ackom, Rv. 282628). 8.6. La fondatezza del motivo comporta, dunque, l'annullamento senza rinvio della sentenza - quanto al (OMISSIS) - limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rideterminazione della pena - da parte di questa Corte, a norma dell'articolo 620 c.p.p., lettera I), - nella misura di due anni e sei mesi di reclusione. A questa conclusione, infatti, si giunge eliminando non solo i due mesi di reclusione applicati dalla Corte d'appello, a titolo di continuazione interna, in eccedenza rispetto a quanto stabilito dal Tribunale, ma anche i due mesi di reclusione applicati dalla stessa Corte con riguardo al reato di cui al capo E), nelle more estinto per prescrizione (a fronte di una contestazione al 3/2/2014). Nel resto, per contro, il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. In accoglimento del ricorso della parte civile, annulla la sentenza impugnata quanto agli effetti civili limitatamente al capo G) dell'imputazione con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al capo E) dell'imputazione, perche' il reato e' estinto per prescrizione e ridetermina la pena per i residui reati in anni due e mesi sei di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che' condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/08/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO; sentite le conclusioni del PG Dott. ZACCO FRANCA, chiede il rigetto del ricorso. udito il difensore; L'avv. (OMISSIS), conclude chiedendo l'annullamento della ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Catania ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania applicava nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto ritenuto gravemente indiziato di un duplice omicidio volontario (pluriaggravato: dalla premeditazione, dai motivi futili e dall'essere stato commesso con l'uso di sostanze venefiche), relativo a due decessi di pazienti ( (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), e (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS)) occorsi nel reparto di Medicina e Chirurgia d'Accettazione e Urgenza (MCAU) dell'ospedale (OMISSIS), ove (OMISSIS) operava quale infermiere professionista. 2. Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione (OMISSIS), tramite il suo difensore. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell'articolo 273 c.p.p. in relazione all'articolo 575 c.p.. La difesa si duole dell'errore di apprezzamento riconnesso alla confessione stragiudiziale dell'indagato. Rileva che i Giudici del riesame, nell'affermare l'affidabilita' dei due sanitari ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) veicolo di introduzione della confessione stragiudiziale, non hanno compreso che la doglianza difensiva non era legata all'attendibilita' di detto veicolo, ma all'affidabilita' del contenuto di detta confessione, ossia del narrato loro riferito dall'indagato, resa dubbia dalla situazione patologica in cui versava il medesimo sotto il profilo psichico, valorizzata, invece, dall'ordinanza di riesame come elemento volto ad individuare il movente delle condotte poste in essere. Si duole, inoltre, che la narrazione in origine ritenuta non del tutto attendibile dal sanitario che aveva in cura (OMISSIS), perche' relativa ad un unico fatto delittuoso, poi sia stata ritenuta attendibile in virtu' di un mero arricchimento quantitativo dei fatti narrati. Il difensore rileva che l'ordinanza di riesame ha adottato argomenti elusivi a fronte dei rilievi difensivi di assoluta incongruenza tra il narrato dell'indagato e gli elementi di verifica dello stesso secondo l'impostazione accusatoria, a partire dall'individuazione delle vittime. Con riferimento al decesso di (OMISSIS) la difesa aveva osservato che l'indagato aveva riferito al Dott. (OMISSIS) di avere constatato il decesso della paziente direttamente e nell'imminenza del fatto e non in un secondo momento e addirittura due giorni dopo, come, invece, verificatosi. Con riguardo, poi, al decesso della seconda paziente la difesa aveva rilevato che lo stesso era avvenuto due ore dopo la cessazione del turno di servizio dell'indagato e non durante detto turno. Lamenta il difensore che in relazione ad entrambe le incongruenze appena riportate ed anche alla riferibilita' della somministrazione del Midazolam e del Diazepam e ai loro tempi di azione, incompatibili col narrato dell'indagato e con la riconducibilita' di detti fatti al medesimo (come prospettati con la memoria difensiva e la consulenza di parte), l'ordinanza di riesame adotta argomenti che antepongono la pregiudiziale valorizzazione della narrazione di (OMISSIS); dando rilievo, ad esempio quanto a tale somministrazione, all'ammissione della stessa da parte dell'indagato, senza considerare il riferimento fatto dal medesimo alla consuetudine, nel reparto, di detta somministrazione anche da parte di altri infermieri. E dimostra in tal modo di volere rendere a tutti i costi collimanti con la narrazione dell'indagato gli elementi di verifica. Si duole il difensore che eguale sorte abbiano avuto i rilievi difensivi circa il nesso eziologico tra la somministrazione delle sostanze e la morte delle due pazienti. Rileva che l'esame autoptico aveva consentito di rinvenire le suddette sostanze, ma non certamente di quantificarne la somministrazione, di individuarne il momento e l'eventuale contestualita' della stessa. Lamenta che l'incidenza causale della somministrazione, in tempi, modalita' e quantita', risulta essere riposta solo ed esclusivamente sulla parola dell'indagato. Con conseguente vizio di motivazione anche in relazione a tale profilo. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso il difensore deduce violazione degli articolo 274 c.p.p., lettera c), e articolo 275 c.p.p. in relazione agli articoli 81 e 575 c.p.. La difesa si duole che l'ordinanza di riesame non individui circostanze in grado di rendere concreto ed attuale il pericolo di recidiva e in particolare non valuti che l'episodio delittuoso piu' recente si fermi al (OMISSIS) e che, dopo lo stesso, l'indagato abbia continuato a lavorare per altri quattro mesi nello stesso reparto e poi in altro reparto senza commettere altri fatti fino all'esecuzione della misura cautelare nel (OMISSIS). Rileva che non ha, inoltre, considerato il raggiungimento di un sostanziale equilibrio psicologico da parte di (OMISSIS), riferito dal Dott. (OMISSIS), e il venir meno del rapporto con l'attivita' lavorativa e col contesto ospedaliero alla base delle condotte in oggetto, che, determinando un affievolimento delle esigenze cautelari, avrebbero imposto una misura piu' tenue come la sospensione dal lavoro o al piu' gli arresti domiciliari. Lamenta il difensore che, invece, l'ordinanza e' incorsa in un giudizio congetturale, valorizzando in termini negativi il solo profilo personologico, oltre che il titolo dei delitti contestati. Il difensore insiste per l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e va, pertanto, rigettato. 1.1. Il primo motivo e' infondato. Il Tribunale del riesame individua quale indizio grave a carico dell'indagato le confidenze rese dallo stesso ai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente psicologo e psichiatra che lo avevano in cura, preoccupandosi di verificarne l'attendibilita'. Premesso che il ricorrente non contesta la genuinita' delle dichiarazioni dei medici, i Giudici del riesame, dopo avere correttamente qualificato le dichiarazioni dell'indagato ai suddetti come confessione stragiudiziale, ne apprezzano la credibilita' in ragione dei plurimi riscontri circa il numero di pazienti deceduti, la dose di medicinale somministrato, la possibilita' per l'indagato di accedere all'armadietto dove erano custoditi i medicinali, la compatibilita' della collocazione temporale delle condotte e dei successivi eventi con i turni lavorativi dell'uomo (p. 4 - 9 del provvedimento in esame). Il Tribunale del riesame fa, quindi, buon governo del principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la confessione stragiudiziale puo' essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in se' e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinita' e la spontaneita' in relazione al fatto contestato (Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017 - dep. 2018, Secolo, Rv. 272100). Si confronta, in primo luogo, con il disagio psicologico dedotto dalla difesa, che avrebbe indotto l'indagato solamente ad avanzare timori sulla riconducibilita' al proprio operato del decesso delle due pazienti, rilevando come tale censura sia infondata e frutto di una lettura parcellizzata del racconto fatto da (OMISSIS) ai suoi medici, che, invece, man mano diventava sempre piu' dettagliato, con l'individuazione di elementi utili all'individuazione delle vittime, delle somministrazioni dei medicinali (Midazolan e Diazepam) in misura superiore al massimo consentito per il tipo di pazienti e del movente (ricondotto al semplice stress lavorativo senza alcun turbamento di tipo morale). E sottolinea l'assoluta precisione della confessione stragiudiziale, tanto da avere ritrovato, nel prosieguo delle indagini, reiterati e significativi elementi di riscontro (offerti: - dalla consulenza medico legale e tossicologica; - dall'assenza in cartella clinica di qualsivoglia prescrizione medica dei farmaci in questione e specularmente dalla loro presenza nei cadaveri riesumati; - dalle dichiarazioni del Dott. (OMISSIS) in ordine alla facile reperibilita' di detti farmaci per il personale infermieristico), che consentono di valutarne la piena genuinita' e affidabilita'. Rileva, inoltre, come la prostrazione psicologica di (OMISSIS) per lo stato di depressione legato a problematiche lavorative con l'Azienda ospedaliera non costituisca fonte di inattendibilita' della sua confessione, quanto piuttosto elemento volto ad individuare il movente delle condotte scellerate contestate e che vale la contestazione dell'aggravante dei futili motivi. Il Tribunale del riesame si confronta, poi, con le dedotte incongruenze sull'individuazione delle vittime. Rileva, con riguardo al primo omicidio, come non infici l'affidabilita' della confessione stragiudiziale il fatto che, secondo quanto riportato dal Dott. (OMISSIS), in un caso il paziente avrebbe constatato il decesso circostanza che presupporrebbe che lo stesso fosse avvenuto durante il suo turno di servizio, mentre la (OMISSIS) risultava deceduta dopo il turno di (OMISSIS) del 2 dicembre 2020 - atteso che la genericita' dell'espressione riferita non consente di collocare temporalmente "la constatazione del decesso", che sarebbe potuta avvenire anche il 4 dicembre ovvero quando l'indagato risultava essere rientrato in servizio. Osserva, inoltre, in ordine al secondo omicidio, come la circostanza riferita da (OMISSIS) che l'indagato ebbe a dirgli che la paziente era deceduta durante un suo turno di notte, qualche ora dopo la somministrazione da parte sua del Midazolam, non crei incertezze sulla vittima, perche' l'espressione riportata e' significativamente generica e non vale a svilire i dati obiettivi rappresentati dal fatto che l'indagato aveva parlato di una donna di 65 anni circa e la (OMISSIS) ne aveva 68, e aveva fatto, poi, riferimento a una donna che si trovava in condizioni di salute in ripresa (era "buona"), come altresi' certificato dal diario clinico, e che era scientificamente accertata la presenza nel cadavere della paziente della sostanza incriminata, non riportata nella cartella clinica e da nessun medico prescritta, che, invece, (OMISSIS) espressamente aveva riferito di averle somministrato. I Giudici del riesame affrontano anche l'altra questione delle incongruenze circa i tempi di azione dei farmaci incriminati, che secondo la difesa sarebbero incompatibili con il narrato di (OMISSIS) ai medici e farebbero pensare ad una responsabilita' ad altri soggetti. Rilevano, a tale riguardo, che e' lo stesso indagato ad avere ammesso la somministrazione delle sostanze in questione alle due donne (nel loro corpo effettivamente rilevate in sede autoptica); e che, comunque, appare logicamente impossibile retrodatare la somministrazione del Diazepam, in virtu' del lungo tempo di assorbimento di detto medicinale, a due o tre giorni prima del decesso delle pazienti, semplicemente perche' il forte dosaggio praticato (per come riferito dallo stesso (OMISSIS)), la somministrazione congiunta al Midazolam e le fragilissime condizioni di salute delle pazienti, inducono necessariamente a ritenere che tra la somministrazione e l'insorgere delle successive complicanze che portavano alla morte delle suddette, sia passato un lasso di tempo certamente breve e di poche ore, anche perche' di tali complicanze vi sarebbe stata traccia nelle cartelle cliniche nei giorni precedenti il decesso. Aggiungono i Giudici a quibus che: - per la (OMISSIS) il decesso era solamente certificato alle 9.00, ma gia' alle 8.30 la donna era in stato soporoso e non vigile e con PA non misurabile, dovendo ritenersi che il farmaco le era gia' stato somministrato da diverse ore, in orario compatibile con il turno di (OMISSIS); - anche per la (OMISSIS), non risultando dagli accertamenti medici svolti il metabolito alfa-idrossimidazolam piu' presente nel fegato ma negli altri organi, la somministrazione era certamente avvenuta oltre due ore prima del decesso, in orario perfettamente compatibile con il turno di lavoro dell'indagato; - per entrambe il consulente dell'accusa colloca la somministrazione di detti farmaci in un range da nove a quindici ore prima del decesso delle medesime. Il Tribunale del riesame, infine, con riferimento al profilo del contestato nesso eziologico, osserva che: - non rileva che l'esame autoptico, eseguito a distanza di troppo tempo dal decesso delle pazienti, non abbia consentito di appurare il quantitativo di benzodiazepina somministrato in vita alle due donne, atteso che tale dato era fornito dallo stesso (OMISSIS) nel corso delle riferite confidenze al Dott. (OMISSIS), allorquando gli raccontava di avere praticato una somministrazione di un quantitativo di 15 mg., superiore da due a cinque volte al dosaggio prescritto per pazienti in buone condizioni di salute; - comunque, costituisce dato obiettivo che la somministrazione di detti medicinali, per l'eta', il precario quadro clinico e le patologie riscontrate sulle due donne, risultava categoricamente controindicata e certamente destinata ad avere esito nefasto sulla vita delle stesse, tanto da avere il consulente del P.m. fatto leva su un indissolubile nesso causale tra somministrazione e decesso; - infine, il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalita' tra l'azione e l'evento; - la difesa avrebbe dovuto, pertanto, esplicitare le concause presenti nella fattispecie in esame e la rilevanza delle stesse tale da elidere completamente il rapporto tra la somministrazione dei farmaci e il decesso delle pazienti. Tali essendo le argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici dell'ordinanza di riesame, che attentamente analizzano le risultanze investigative in relazione a tutti gli aspetti toccati dalle censure formulate dal ricorrente, le deduzioni difensive sopra riportate, che tornano sulle medesime questioni e lamentano delle carenze motivazionali insussistenti, si rivelano infondate, ai limiti dell'inammissibilita'. 1.2. Infondate sono anche le doglianze di cui al secondo motivo di ricorso. Premesso che in relazione al delitto di omicidio ricorre la presunzione di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3 il Tribunale del riesame argomenta ampiamente e logicamente sulla sussistenza del pericolo di recidiva. Lo definisce, invero, "concreto ed attuale in ragione della personalita' ambigua e imperscrutabile dell'indagato, mostrata tanto con riferimento all'esecuzione ed ai momenti immediatamente successivi alle condotte omicidiarie poste in essere, quanto ai racconti fatti ai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle diverse sedute cui si e' sottoposto, avendo anzi l'evolversi degli eventi palesato un allarmante mutamento psicologico del ricorrente che lo ha indotto, in un processo di presa d'atto di quanto compiuto, a passare nel volgere di pochi giorni da un senso di rimorso ad un irrigidimento della posizione con un procedimento mentale di "giustificazione" dell'accaduto, che palesa problemi psicologici di base che permangono e costituiscono l'elemento fondante la valutazione di uno stringente pericolo di recidiva". Evidenzia, inoltre, l'ordinanza impugnata come: - l'estrema gravita' dei fatti e in particolare la loro serialita', in uno con l'allarmante allontanamento dalla realta' dell'indagato attestato dai medici curanti, alla cui sollecitazione a non recarsi piu' al lavoro lo stesso aveva opposto rifiuto interrompendo anche le sedute con il Dott. (OMISSIS), dimostrino la proporzionalita' della misura della custodia cautelare in carcere e l'inadeguatezza di qualsivoglia misura cautelare diversa dalla medesima rispetto alla specificita' del caso concreto; - i problemi di natura psicologica e la sindrome ansiosa depressiva di (OMISSIS) (che ne giustificano la permanenza nel reparto infermieristico della Casa circondariale) rendano "prematura ogni valutazione di attenuazione della misura ove non correlata con la predisposizione di un serio e dettagliato programma terapeutico atto a contenere la fragilita' psicologica dell'indagato, da ritenersi essa stessa matrice dei delitti contestati e, dunque, potenziale fonte di altre azioni dannose per l'incolumita' di terzi, si' da non rendere valutabile, allo stato, una richiesta di attenuazione della misura in essere". Il ricorrente a tale valutazione congrua e immune da vizi logici e giuridici, e, quindi, incensurabile in questa sede, oppone la cessazione del rapporto con l'attivita' lavorativa e col contesto ospedaliero, insistendo su un affievolimento delle esigenze cautelari escluso dalla stessa ordinanza. In essa, invero, si individua l'attivita' professionale di infermiere svolta da (OMISSIS) come l'occasione per la consumazione del primo delitto, sulla quale si e' innestato un processo di distorta rielaborazione psicologica che conduceva l'indagato nuovamente a delinquere, con conseguente trasformazione di detta attivita' e dei "paventati problemi con l'Azienda ospedaliera da "occasione movente del delitto" a mera "giustificazione del delitto", che dunque potrebbe ad oggi essere reiterato anche al di fuori del contesto lavorativo". 2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali. Non derivando dalla presente decisione la rimessione in liberta' del ricorrente deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'imputato trovasi ristretto, perche' provveda a quanto stabilito dal citato articolo 94, comma 1-bis. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 04/08/2022 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO CANANZI; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. PERLA LORI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata limitatamente al profilo della sussistenza delle esigenze cautelari e il rigetto nel resto; uditi i difensori del ricorrente, l'avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso illustrandone i motivi, nonche' l'avvocato (OMISSIS), che si e' associato alle richieste del codifensore, riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Napoli, con l'ordinanza emessa il 4 agosto 2022, confermava il provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari emesso dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, che aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS) in ordine a plurimi delitti. (OMISSIS) esercitava l'attivita' di medico cardiologo presso la (OMISSIS), in forza di un contratto fra (OMISSIS) Spa e (OMISSIS) srl, della quale lo stesso (OMISSIS) era amministratore unico, nonche' titolare del 27,5% delle quote, mentre le altre quote erano in proprieta' del coniuge dello stesso ricorrente. I gravi indizi di colpevolezza erano stati ritenuti dal Gip e confermati dal Tribunale del riesame in ordine a plurimi episodi di falso materiale, ritenendo il Gip assorbito il falso ideologico: a (OMISSIS) era contestato, quale pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni di medico cardiologo, di aver formato in tutto o in parte un atto falso - firmando la scheda di sala operatoria e/o la scheda di descrizione intervento - parte integrante della relativa cartella clinica, atto di fede privilegiata - cosi' attestando di aver eseguito una operazione chirurgica e/o che la stessa era avvenuta alla sua presenza, mentre si trovava in una localita' di villeggiatura: si trattava di 32 interventi svolti dal (OMISSIS), ai quali (OMISSIS) non aveva partecipato perche' non presente e in relazione ai quali risultava la sua partecipazione e sottoscrizione nella scheda di sala operatoria e in alcuni casi nella scheda di descrizione di intervento (capo A). Inoltre al ricorrente veniva contestata la condotta del (OMISSIS) allorche' aveva falsamente attestato (capo B - articolo 81 c.p., comma 2, articolo 476 c.p., comma 2, articolo 479 c.p.) nella scheda di sala operatoria di aver eseguito un intervento di ablazione ibrida con accesso endo-epicardico di fibrillazione atriale al paziente (OMISSIS), altresi' replicando la medesima attestazione anche nella relazione di dimissione, mentre aveva effettuato solo un intervento di ablazione semplice. A tal fine, e per favorire il rimborso al paziente del costoso intervento da parte dell'assicurazione, apponeva un cerotto sullo sterno del paziente - luogo di accesso al miocardio in caso di ablazione ibrida- accesso che non aveva mai effettuato, come anche falsamente attestava, inoltre, nella scheda di sala operatoria di aver eseguito insieme al Dott. (OMISSIS) il gia' menzionato intervento, che invece effettuava il Dott. (OMISSIS). Inoltre (capo C - articolo 476 c.p., comma 2, articolo 479 c.p.) attestava nella scheda di sala operatoria, relativamente all'intervento nei confronti della paziente (OMISSIS), che l'anestesista dell'intervento era stato (OMISSIS), che non era stato presente, poi modificando la predetta cartella clinica ed inserendo alla voce anestesista: "anestesista generico", termine con il quale non si identificava affatto l'anestesista presente in sala operatoria; relativamente all'intervento nei confronti del paziente (OMISSIS), attestava che l'anestesista dell'intervento di ablazione ibrida era stato (OMISSIS), che invece era sopraggiunto solo per il risveglio del paziente, mentre (OMISSIS) era stato sedato con il Diprivan ed il Fentanest - farmaci di esclusivo utilizzo di medici anestesisti - ad opera del predetto (OMISSIS), in assenza di sanitario specialista in anestesiologia e rianimazione (capo D); relativamente all'intervento nei confronti del paziente (OMISSIS), che poi decedeva, nella descrizione dell'intervento attestava fra l'altro ":"Coronarografia di urgenza in paziente in arresto cardiaco (...) si procede a puntura dell'arteria femorale destra" cosi' riportando circostanze non vere, posto che non era stata effettuata alcuna puntura dell'arteria destra per il posizionamento del catetere guida in TC (capo E). Altri titoli cautelari risultavano quelli contestati al capo F), relativamente alle violenze private, per aver costretto gli infermieri (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 2. Il ricorso per cassazione consta di dieci motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il primo e il secondo motivo deducono violazione dell'articolo 273 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione al capo A dell'imputazione provvisoria Avrebbe errato l'ordinanza impugnata a non prendere atto che non e' specificato il ruolo di (OMISSIS) nel concorso di persone, se quale istigatore, concorrente morale o materiale: da cio' deriverebbe il difetto di gravita' indiziaria, alla luce della giurisprudenza in tema di concorso, illustrata ampiamente con i motivi, tenendo in conto che la sola circostanza che (OMISSIS) sia beneficiario della falsificazione non e' sufficiente al suo coinvolgimento quale concorrente, tanto piu' che lo stesso Tribunale del riesame indica l'interesse del professionista nell'arricchimento del curriculum professionale, del quale lo stesso non aveva bisogno. Per altro, l'inserimento indebito nell'equipe quale primo operatore avrebbe determinato un rischio professionale per il (OMISSIS). A tale considerazione il Tribunale del riesame replica con l'argomento che si verteva in tema di interventi a basso rischio, dal che l'illogicita' manifesta nel valorizzarli per il curriculum. Anche illogiche le argomentazioni dell'ordinanza impugnata che trae dalla ripetitivita' e dalla numerosita' degli interventi la certa autorizzazione da parte del ricorrente alla falsificazione, che non si confronta con l'errore imputabile a chi ha utilizzato il format elettronico, che incorre nella ripetitivita' non controllata dell'errore dell'indicazione del (OMISSIS), invece assente. 4. Il terzo e il quarto motivo lamentano violazione dell'articolo 273 c.p.p. e vizio di motivazione correlato in relazione ai capi C), D) ed E). Nella trattazione delle prime due imputazioni provvisorie tutte caratterizzate dalla annotazione in cartella della presenza di un anestesista per l'intera durata dei tre interventi, che in un caso scompariva dalla scheda a seguito di correzione della stessa (capo C), ovvero sopraggiungeva in seconda battuta al momento del risveglio del paziente (OMISSIS) (capo D) - il presupposto che i motivi contestano e' che fosse necessaria la presenza dell'anestesista per somministrare oppioidi, propofol e benzodiazepine, mentre invece gli esperti interessati dalla difesa hanno chiarito che la somministrazione finalizzata a anestesia non generale puo' avvenire anche da parte di medico non anestesista. Ne conseguirebbe, secondo il ricorrente, l'errore logico del Tribunale del riesame, perche' non avrebbe avuto senso annotare anestesisti non necessari in cartella. Inoltre, la cartella in origine compilata, che per (OMISSIS) non recava la possibilita' di annotare informaticamente l'arrivo successivo dell'anestesista, resta salvata anche in caso di modifica nel sistema informatico, il che avvenne nel caso del capo C), cosicche' l'eventuale volonta' di falsificazione sarebbe stata frustrata, il che dimostrerebbe l'assenza di dolo. Il Tribunale del riesame, poi, avrebbe omesso di valutare che la scheda di sala operatoria, da compilare informaticamente, veniva integrata da quella anestesiologica redatta a mano dall'anestesista, formando i due documenti congiuntamente la cartella clinica: (OMISSIS) era ben consapevole che sarebbero emerse difformita' in quanto la seconda scheda avrebbe rappresentato una realta' diversa da quella indotta dal modello informatico che non prevedeva il caso dell'anestesista sopraggiunto, dal che il Tribunale illogicamente non ha tratto anche in questo caso il difetto di prova del dolo. Inoltre, quanto al capo E), relativo alla puntura all'arteria destra per il posizionamento del catetere al paziente (OMISSIS), indicata in cartella ma non verificatasi secondo il Tribunale del riesame, sulla scorta della dichiarazione dell'anestesista (OMISSIS), il Tribunale illogicamente avrebbe ritenuto non credibili per deficit di competenza tecnica i due infermieri, escussi in sede di indagini difensive, presenti in sala operatoria, che invece riferivano che la predetta puntura era stata praticata, senza considerare che (OMISSIS) poteva trovarsi in posizione non adeguata a osservare l'accaduto. 5. Il quinto e il sesto motivo denunciano violazione dell'articolo 273 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione al capo F), per violenza privata reiterata. L'ordinanza impugnata avrebbe errato nel ritenere che la somministrazione di anestetici da parte del medico non anestesista non fosse legittima, ma solo oggetto di un dibattito scientifico quanto alle linee guida ancora in nuce, cosicche' le espressioni decise e ferme, utilizzate da (OMISSIS) nei confronti degli infermieri, che non volevano somministrare tali farmaci, risultavano giustificate dalla necessita' di dirigere le operazioni in sala operatoria: per altro il Tribunale del riesame non avrebbe valutato le dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da parte di altro infermiere, che escludeva del tutto di aver udito minacce; ne' avrebbe considerato il Tribunale della liberta' come, non essendosi verificato il danno, il delitto andrebbe riqualificato in tentativo. 6. Il settimo e ottavo motivo lamentano violazione dell'articolo 273 c.p.p. e vizio di motivazione in ordine al capo H) in ordine al delitto di violenza o minaccia per costringere a commettere il reato di falso. L'ordinanza impugnata non avrebbe valutato, inoltre, che l'apposizione della sigla del (OMISSIS) sui frontespizi delle cartelle cliniche e sulle relative SDO, integrerebbe un falso innocuo, in quanto il contenuto probatoriamente rilevante dei gia' menzionati atti non riguarda la sigla, la cui apposizione non condurrebbe ad alcuno scopo antigiuridico. Inoltre, il Tribunale del riesame non si sarebbe confrontato con l'idoneita' della minaccia di (OMISSIS) alle due infermiere: essendo (OMISSIS) solo un factotum di (OMISSIS), non avrebbe avuto il potere di licenziare, cosicche' la minaccia risulterebbe inidonea, come pure alcun elemento deporrebbe per l'istigazione del (OMISSIS) a formulare le gia' menzionate minacce. Per altro la chiamata in correita' di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) risulterebbe del tutto inattendibile, in quanto contrastante con le dichiarazioni delle infermiere (OMISSIS) e (OMISSIS) e con la dichiarazione della infermiera Gammone. Il ricorrente ripercorre alcuni brani delle dichiarazioni e in particolare quelle di (OMISSIS) che si sostanzierebbero non in percezione, ma in deduzione del coinvolgimento di (OMISSIS) nelle minacce operate da (OMISSIS). 7. Il nono e decimo motivo denunciano violazione degli articoli 274 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 275 c.p.p. e vizio di motivazione correlato. Difetterebbe di motivazione l'ordinanza impugnata in ordine alla attualita' del pericolo di reiterazione, essendo le condotte contestate avvenute fino ai primi mesi del (OMISSIS), oltre che per la cessazione del rapporto di lavoro con la clinica (OMISSIS), nonche' a fronte della incensuratezza dell'indagato. Inoltre, illogica sarebbe la motivazione nella parte in cui indica adeguata la misura interdittiva, salvo poi ritenerla inadeguata senza una motivazione idonea, applicando la misura domiciliare. Ne' sarebbe stato valutato il quadro della personalita' emerso dalle indagini difensive, che attestano l'elevata professionalita' e capacita' di collaborazione dell'indagato. 8. Il ricorso e' stato trattato con l'intervento delle parti, a seguito della tempestiva richiesta dei difensori del ricorrente, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94 come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. 9. Il Sostituto Procuratore generale in sede di discussione rappresentava come le censure mosse fossero versate in fatto, a fronte di una imputazione ancora fluida, dal che nessun rilievo e' a darsi al tema della forma del concorso; inoltre le censure relative all'interesse rientrano nell'ambito dei motivi e dunque sono irrilevanti; inoltre il tema della scheda informatica e' stato affrontato dal Tribunale del riesame, che la presenza o meno dell'operatore principale e' un elemento di rilevanza nella ricostruzione demandata alla cartella di sala operatoria; sui capi di imputazione oggetto dei motivi quinto, sesto, settimo e ottavo, si tratta di condotte coerenti con le ulteriori risultanze. Chiedeva accogliersi il ricorso limitatamente al capo f), in ragione della sopravvenuta procedibilita' a querela, nonche' in relazione alle esigenze cautelari, rigetto nel resto. 10. I difensori hanno richiamato e illustrato i motivi di ricorso, come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va premesso che questo Collegio si atterra' al pacifico orientamento che, a partire da Sezioni Unite, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, ha sancito che in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, definisce l'ambito di delibazione della Corte di cassazione. Il Giudice di legittimita' ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita' e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravita' del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976). 3. Quanto al primo e al secondo motivo, in relazione al capo A) dell'imputazione provvisoria, occorre evidenziare come il Tribunale del riesame, dando risposta alla censura proposta dalle difese, definisce il ruolo di (OMISSIS) nel concorso richiamando in primo luogo le condotte sub capo H), vale a dire le condotte di violenza e minaccia in danno delle infermiere, promosse materialmente da (OMISSIS), al fine di costringerle a stampare e siglare le cartelle cliniche, anche in relazione a interventi ai quali era stato assente di (OMISSIS). Altri elementi che vengono indicati a riprova del concorso si sostanziano nell'argomento argomento, non manifestamente illogico, che la ripetitivita' dei 32 interventi in pochi giorni attribuiti a (OMISSIS) in sua assenza non fosse avvenuto a sua insaputa, non essendo emersa una ragione per ritenere un inconsapevole utilizzo da parte di terzi del nome di (OMISSIS) e della sua firma, tanto piu' visto il ruolo di dominus del (OMISSIS), che emerge da plurime fonti d'indagine. Per altro verso proprio il rinvio alle modalita' delle condotte del capo H), effettuato dal Tribunale del riesame (fol. 3), spiega come l'apposizione della firma e la stampa delle cartelle cliniche venisse operata dalle infermiere per la costrizione imposta da (OMISSIS), factotum di (OMISSIS), con consapevolezza di (OMISSIS), che aveva ordinato e visto l'infermiera (OMISSIS) firmare le cartelle al suo posto (fol.9 dell'ordinanza impugnata e foll. 71-72 della ordinanza genetica), e che mai le siglava, per altro. Inoltre, osserva il Tribunale, alcune attivita' proprie del medico, come il test alla flecanide e la lettura dell'elettrocardiogramma, venivano effettuate indebitamente dal (OMISSIS) e solo nel caso, non infrequente, in cui il paziente avesse avuto un malessere, veniva chiamato (OMISSIS) o altro medico: (OMISSIS) decideva per il paziente anche interventi aggiuntivi e non necessari, come la sostituzione del pace maker con il defibrillatore, per âEuroËœtenere il fatturato alto', espressione utilizzata anche dinanzi allo stesso (OMISSIS) (dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), foll. 68 -70 della ordinanza genetica). Si lamentavano, in sostanza, le infermiere (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui dichiarazioni sono riportate nell'ordinanza genetica, della circostanza che (OMISSIS) si sostituisse al medico, quindi anche (OMISSIS), e alle loro proteste che richiedevano l'intervento di un medico, (OMISSIS) le minacciava. Pertanto, non e' manifestamente illogico argomentare del ruolo di (OMISSIS) in ordine ai falsi contestati al capo A) sulla scorta degli elementi fattuali richiamati dal Tribunale, della dinamica complessiva emergente anche dalle condotte sub capo H), con una lettura congiunta delle dichiarazioni delle infermiere minacciate da (OMISSIS) e (OMISSIS), la chiamata in correita' di (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), come anche le conversazioni intercettate. Il Tribunale del riesame, quindi, rinviando alle modalita' del capo H), attribuisce il ruolo a (OMISSIS) di concorrente materiale o in altri casi di istigatore di (OMISSIS), che costringeva le infermiere a siglare e stampare le cartelle. Si tratta di una ricostruzione non manifestamente illogica anche in relazione alle condotte contestate al capo A). Le censure, pure acutamente mosse quanto a contraddittorieta' della ordinanza impugnata sul tema del movente del falso, non sono decisive. In primo luogo, il Tribunale del riesame individua il movente nel voler comprovare a fini curriculari la elevata "capacita' operatoria di (OMISSIS)", richiamando per altro l'inclinazione alla falsificazione attestata dall'episodio sub capo B), per il quale nessuna contestazione quanto alla gravita' indiziaria veniva proposta dall'indagato. Alla obiezione dell'indagato, del rischio professionale conseguente al non presenziare agli interventi, il Tribunale del riesame replicava che si trattava di interventi "a basso rischio". Il motivo di ricorso evidenzia l'incongruenza fra la finalita' curriculare e la scarsa significativita' qualitativa degli interventi. A ben vedere residua, nel ragionamento del Tribunale, una non secondaria rilevanza quantitativa del numero di interventi, cosicche' non risulta contraddittoria e manifestamente illogica la valutazione impugnata sul punto. E comunque, ad ogni buon conto, la censura rivolta al movente risulta con evidenza non decisiva, a fronte di una ricostruzione in fatto che palesa una organizzazione che prevedeva l'affidamento di compiti a (OMISSIS) in luogo di (OMISSIS) o di altro medico e del dolo generico richiesto. Per altro il movente non e' rilevante sia in ordine ai falsi contestati che alla violenza privata. Quanto ai primi, la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico e' caratterizzata dalla produttivita' di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonche' dalla documentazione di attivita' compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternita': trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicche' i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi. Ne deriva che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsita' in atto pubblico, punibili in quanto tali; ne' rileva il movente, l'intento che muove l'agente, atteso che le fattispecie delineate in materia dal vigente codice sono connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico (Sez. 5, n. 1098 del 26/11/1997, dep. 1998, Noce, Rv. 209682 - 01). Quanto alla violenza privata, e' sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e la volonta' di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare, che costituisce l'antecedente psichico della condotta, cioe' il movente del comportamento tipico descritto dalla norma penale (Sez. 5, n. 2220 del 24/10/2022, dep. 2023, Rv. 284115 - 01; conf. N. 4526 del 2011 Rv. 249247 - 01). Pertanto la censura sul movente individuato dall'ordinanza impugnata non risulta decisiva, salvo comunque il principio che l'eventuale emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo' comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita' del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 - 01; massime conformi: N. 37709 del 2012 Rv. 253445 - 01, N. 9242 del 2013 Rv. 254988 - 01, N. 3724 del 2016 Rv. 267723 - 01). Alcuna disarticolazione del costrutto argomentativo complessivo avviene, nel caso in esame, per le ragioni esposte in relazione al movente, cosicche' il motivo non era consentito e cio' rende inammissibile il ricorso sul punto. 4. In ordine ai motivi terzo e quarto, il Tribunale del riesame chiarisce senza manifeste illogicita' e in modo congruo, quanto ai capi C), D) e E) che non esisteva alcuna difficolta' tecnica a rappresentare in cartella il sopraggiungere dell'anestesista, come anche che la modifica della scheda compilata informaticamente, senza indicare la ragione consistente nel sanguinamento di una paziente per la quale fu chiamato l'anestesista, avvenne a seguito dello sblocco informatico, cioe' dopo che era stata chiusa e salvata la compilazione. Emergevano difformita' anche fra quanto indicato in cartella e quanto realmente accaduto: l'anestesista non era mai presente dall'inizio dell'intervento, il che sarebbe giustificato, secondo il ricorrente, dalla possibilita' di (OMISSIS), quale medico, di somministrare i sedativi senza necessita' dell'anestesista. Il Tribunale del riesame rileva come ancora scientificamente non acclarata sia tale possibilita'. D'altro canto, l'ordinanza impugnata evidenzia come comunque, a prescindere dalla ragione della necessita' o meno dell'anestesista, lo si faceva comparire presente dall'inizio dell'intervento mentre invece era subentrato solo in un secondo momento per l'emergenza verificatasi, come anche falsa risultava la circostanza dell'avvenuta puntura dell'arteria destra per (OMISSIS), paziente poi deceduto: la falsita' in questo caso e' attestata dall'anestesista (OMISSIS), per il quale il Tribunale esclude una valutazione di calunniosita', attribuendo minore attendibilita' tecnica al narrato di due infermieri che riferivano che la puntura era stata effettuata. Si tratta di una valutazione non manifestamente illogica, cosicche' la delibazione di maggiore o minore attendibilita', non e' sindacabile. Infatti, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501). Pertanto non si rileva alcuna manifesta illogicita' o contraddittorieta' nell'ordinanza impugnata che, al di la' delle motivazioni dedotte dal ricorrente, palesa come vi sia stata una falsificazione delle cartelle cliniche, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimita', sia per le modifiche apportate successivamente, sia anche per l'attestazione di interventi non realizzati, come la puntura dell'arteria destra per il posizionamento del catetere a (OMISSIS): per un verso la cartella clinica, della cui regolare compilazione e' responsabile il primario, adempie alla funzione di diario della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve quindi avvenire contestualmente al loro verificarsi, uscendo al tempo stesso dalla disponibilita' del suo autore ed acquistando carattere di definitivita', per cui tutte le successive modifiche, aggiunte, alterazioni e cancellazioni integrano falsita' in atto pubblico (Sez. 5, n. 13989 del 17/02/2004, Castaldo, Rv. 228024 - 01); per altro integra il reato di falso materiale in atto pubblico anche l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta, in un momento successivo, di una annotazione, ancorche' vera, non rilevando, infatti, a tal fine, che il soggetto agisca per ristabilire la verita', in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilita' del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata (Sez. 5, n. 55385 del 22/10/2018, Passafiume, Rv. 274607 - 01; in motivazione la Corte ha precisato che la cartella clinica costituisce un documento avente funzione di "diario" della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve avvenire contestualmente al loro verificarsi; massime conformi N. 35167 del 2005 Rv. 232567 - 01, N. 37314 del 2013 Rv. 257198 - 01). Il che palesa la manifesta infondatezza della censura, in ordine all'inesistenza di ragioni che avrebbero giustificato il falso attestare la presenza dell'anestesista, quando (OMISSIS) poteva provvedere personalmente alla somministrazione dei relativi farmaci: senza incorrere in aporie logiche il Tribunale del riesame ha rilevato come sia il falso in se' a rilevare, non la ragione dello stesso, e d'altro canto neanche la scheda redatta dall'anestesista puo' escludere il falso, in quanto ciascun documento fidefaciente mantiene la propria autonomia, ponendosi poi l'ulteriore tema, in caso di contrasto, su quale atto debba ritenersi maggiormente attendibile, a riprova della lesione del bene giuridico protetto della fede pubblica. 5. Il quinto e il sesto motivo sono manifestamente infondati. A ben vedere, anche in questo caso la censura si sposta sulle motivazioni delle condotte, non contestando dinanzi al Tribunale del riesame la materialita' dei fatti. Per consolidata giurisprudenza l'elemento oggettivo del delitto di violenza privata e' costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poiche', in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non, per l'appunto, quello di violenza privata (ex multis Sez. 5, n. 35237 del 23 maggio 2008, Morellini, Rv. 241159). In altri termini, come pure chiarito da questa Corte, il delitto in questione non e' configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sarebbe stata costretta (Sez. 5, n. 2480 del 18 aprile 2000, P.M. in proc. Ciardo, Rv. 216545). Sulla scia di tale interpretazione anche le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare come, nella fattispecie descritta nell'articolo 610 c.p. la violenza e' un connotato essenziale di una condotta che, a sua volta, deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza (Sez. U, n. 2437/09 del 18 dicembre 2008, Giulini e altro, in motivazione). In definitiva, l'evento del reato, nell'ipotesi del ricorso alla violenza, non puo' coincidere con il mero attentato all'integrita' fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua liberta' di movimento conseguente e connaturata all'aggressione fisica subita. Nel caso in esame le varie minacce, come valutate dal Tribunale del riesame, risultavano funzionali a costringere gli infermieri a somministrare farmaci di natura sedativa in assenza dell'anestesista, ma sotto la direzione del (OMISSIS). La circostanza sostenuta in ricorso - difformemente da quanto lo stesso Tribunale del riesame richiama, riproducendo le dichiarazioni dell'anestesista Galano (ordinanza impugnata fol. 7) - che (OMISSIS) potesse da solo somministrare tali farmaci, non esclude il delitto in contestazione in quanto, come anticipato, l'elemento soggettivo del reato di minaccia si caratterizza per il dolo generico consistente nella cosciente volonta' di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira (Sez. 5, n. 50573 del 24/10/2013, Schepis, Rv. 257765 - 01), tanto piu' che l'esistenza almeno di un contrasto fra due tesi scientifiche diverse sul punto legittimava l'opposizione degli infermieri. Ne' fondati risultano i motivi allorche' censurano l'omessa riqualificazione in tentativo della fattispecie, in quanto la costrizione si ebbe a verificare in alcuni casi, per quanto evidenzia il Tribunale del riesame, essendo stata "assecondata" la richiesta di procedere alla somministrazione dei farmaci sedativi dopo le minacce, verificandosi il fatto ulteriore rispetto alla minaccia. Ne' e' fondata la censura in ordine alla omessa valutazione delle dichiarazioni di altri infermieri che escludevano di aver ricevuto minacce, del quale rende conto al fol. 8 il Tribunale del riesame, ritenute non incidenti sul quadro indiziario con motivazione non manifestamente illogica, essendo evidente che la necessita' della costrizione avveniva nei confronti di chi era riluttante, non di chi aderiva all'ordine di (OMISSIS). 6. Il settimo e ottavo motivo sono anche manifestamente infondati. Va premesso che essendo in contestazione la minaccia posta in essere da (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), per costringere le infermiere (OMISSIS) e (OMISSIS) ad apporre la firma di (OMISSIS) sui frontespizi delle cartelle cliniche e delle relative SDO, vale a dire Schede di Dimissioni Ospedaliere, anche per queste ultime e' configurabile il delitto di falso, in quanto trattasi di atto pubblico, coerente con il suo inserimento in cartella clinica oltre che con la sua valenza non meramente ricognitiva, ma di attestazione degli elementi necessari per la richiesta di rimborso (Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, Istituto Citta' Studi, Rv. 257124 01; la Corte ha precisato che la corretta compilazione della S.D.O. e la codifica delle ulteriori informazioni sanitarie necessarie possono essere configurate come un parere tecnico che, tuttavia, essendo formulato da soggetti cui la legge riconosce una particolare perizia ed ancorato a parametri valutativi dettagliatamente predeterminati, e' destinato a rappresentare la realta' al pari di una descrizione o di una constatazione). Se dunque sono atto pubblico sia la cartella clinica che la SDO, non e' prospettabile l'innocuita' del falso, in quanto integra il delitto di falsita' in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che apponga sottoscrizioni apocrife di altri pubblici ufficiali, esulando, in tal caso, la figura del cd. "falso innocuo", attesa la rilevanza di siffatta infedele attestazione ai fini della funzione documentale dell'atto (Sez. 5, n. 23891 del 18/03/2019, Cozzitorto, Rv. 275559 - 01, in relazione al verbale di sottoposizione ad una misura cautelare nel quale si attesti falsamente la partecipazione all'atto, nella qualita' di coautori, di altri pubblici ufficiali in realta' assenti, dei quali apponga sottoscrizioni apocrife; Sez. 5, n. 41848 del 17/05/2018, Ferraro, Rv. 275132 - 01 specifica che in tema di falso ideologico in atto pubblico, la sottoscrizione del verbale di arresto, in mancanza di adeguate specificazioni, attribuisce a ciascuno dei sottoscrittori l'attestazione della veridicita' delle indicazioni ivi contenute, sia quanto all'operato di ciascuno, sia quanto ai fatti verificatisi e percepiti come giustificativi dell'esecuzione dell'attivita' di polizia giudiziaria ivi documentata). Nel caso in esame la censura non ha quindi pregio, a maggior ragione in relazione alle SDO delle cartelle cliniche relative agli interventi di cui al capo A), nei quali (OMISSIS) compariva presente quale primo operatore e invece risultava assente perche' in altra localita'. In coerenza con i principi di diritto e senza aporie logiche, quindi, in tal caso, il Tribunale del riesame ha ritenuto la gravita' indiziaria in ordine al delitto di cui all'articolo 611 c.p., in quanto costringere la (OMISSIS) a apporre la sottoscrizione di (OMISSIS), assente all'intervento, con la sottoscrizione apocrifa dava atto della presenza del predetto e attestava la verita' dei fatti verificatisi e documentati nella cartella clinica. Quanto alla censura relativa alla minaccia di (OMISSIS) e alla sua âEuroËœcapacita'' di licenziare, che escluderebbe l'idoneita' della stessa, a ben vedere il Tribunale del riesame, come anche l'ordinanza genetica, ricostruiscono in dettaglio i rapporti fra (OMISSIS) e (OMISSIS), sia per quanto riferito dagli altri operatori sanitari, infermieri e medici, sia anche per quanto emerso dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) rese in sede di interrogatorio, nonche' per le conversazioni intercettate, riportate nella ordinanza genetica al fol. 73, dalle quali emerge il rapporto di stretta collaborazione, anche a fini illeciti, fra i due. Pertanto, senza alcuna manifesta illogicita', il Tribunale del riesame richiama tali emergenze per trarne per un verso l'istigazione e la determinazione di (OMISSIS), quale concorrente, nelle condotte di minaccia prospettate da (OMISSIS), per altro verso di tale stretto legame fra i due erano al corrente le infermiere, cosicche' la minaccia di licenziamento proveniente da (OMISSIS) risultava oltremodo credibile come espressiva della volonta' di (OMISSIS). Quanto al contrasto dedotto fra l'interrogatorio di (OMISSIS) e le ulteriori emergenze, il ricorso difetta di autosufficienza, in quanto il verbale delle dichiarazioni del primo non e' stato allegato al ricorso, impedendo a questa Corte ogni valutazione sul punto. Infatti, in relazione ai contenuti diversi da quelli emergenti dalle dai provvedimenti di merito, degli stessi non puo' questa Corte tener conto, in quanto dedotto il vizio di manifesta illogicita' della motivazione richiamando atti specificamente indicati, il ricorso e' inammissibile se non contiene la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, in base al combinato disposto degli articoli 581 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 591 c.p.p. (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053Sez. 3, Sentenza n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994 Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723). 7. Quanto al nono e decimo motivo gli stessi sono infondati. Sul punto il Tribunale del riesame evidenzia senza alcuna manifesta illogicita' come l'attualita' e la concretezza del pericolo di reiterazione siano di particolare intensita' e frequenza, in forza della comprovata sistematicita' dei falsi e delle violenze, come anche dalla circostanza che (OMISSIS) continui ad avere rapporti con strutture sanitarie private; sia anche per condotte ulteriori emerse dalle conversazioni intercettate, come quelle relative al ricovero pretestuoso di una donna in altra clinica ove lavorava (OMISSIS), nonche' l'attivita' di dossieraggio attraverso la falsa predisposizione di prove in danno nei confronti del direttore generale della clinica (OMISSIS), tutti elementi dimostrativi, per il Tribunale del riesame, dell'insensibilita' assoluta alla doverosa rappresentazione fedele delle circostanze di fatto che, come sanitario, (OMISSIS) aveva l'obbligo di attestare, oltre che la allarmante disponibilita' a manipolare la realta' e a strumentalizzare singoli accadimenti per finalita' illecite, come pure la propensione a dissumulare senza alcuna ritrosia pur di ottenere il risultato preteso. E bene, tale motivazione e' del tutto in linea con gli orientamenti consolidati: il testo dell'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di recidiva esclusivamente dalla gravita' del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalita' della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si e' svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Silvestrin, Rv. 271522 - 0; Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, Biondo, Rv. 267798 - 01). Va infatti ribadito anche che, ai fini della configurabilita' dell'esigenza cautelare di cui all'articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c, il concreto pericolo di reiterazione dell'attivita' criminosa puo' essere desunto anche dalla molteplicita' dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalita' della condotta concretamente tenuta, puo' essere indice sintomatico di una personalita' proclive al delitto (ex multis Sez. 3, n. 3661/14 del 17 dicembre 2013, Tripicchio e altri, Rv. 258053). Quanto alla misura domiciliare, anche non manifestamente illogica o contraddittoria e' la motivazione impugnata, che afferma che pur se in astratto potrebbe essere sufficiente una misura interdittiva, proprio l'assenza di lealta' nella collaborazione lavorativa e la inclinazione alla falsificazione rendono inidonea la misura meno afflittiva rispetto a quella domiciliare. In vero nessuna contraddizione si coglie, in quanto il Tribunale opera proprio la valutazione graduale richiesta, motivando senza aporie logiche in ordine alla insufficienza della misura interdittiva e alla necessita' di quella domiciliare, a fronte del permanere di rapporti di lavoro di (OMISSIS) con altre strutture sanitarie, nell'ambito delle quali potrebbero riproporsi analoghe condotte in caso di regime cautelare piu' tenue, anche avvalendosi della collaborazione di terzi, come nel caso che occupa. Ne' decisiva e' la censura dell'ordinanza, che non avrebbe valutato la professionalita' elevata e la personalita' del (OMISSIS) per quanto emerge dalle indagini difensive: in vero il Tribunale del riesame ha correttamente deciso sulla scorta dei fatti come restituiti dalle indagini, non potendo incidere il parere di terzi o la ritenuta, ne' contestata, professionalita' del ricorrente. Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo. 8. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/11/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere Rosaria Giordano; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, ANDREA VENEGONI, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni della parte civile costituita. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Bologna confermava la sentenza di condanna di primo grado nei confronti del ricorrente. Il (OMISSIS) e' stato chiamato a rispondere, ai sensi dell'articolo 595, comma 3, c.p., in quanto pubblicava sulla propria pagina Facebook un post intitolato "stitichezza, non fai la cacca- Leggi (OMISSIS)-fanno cagare piu' del Collegio (OMISSIS) e del (OMISSIS)= infermieri" cosi' offendendo la reputazione tanto della societa' (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS), titolare del dominio (OMISSIS) che di (OMISSIS), gestore del relativo portale costituitosi parte civile nel processo. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte d'Appello di Bologna, il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore, avv. (OMISSIS), articolando cinque motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente chiede che l'azione penale venga dichiarata improcedibile per assenza di querela, in quanto la stessa e' stata presentata dall'amministratore delegato della societa' (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS), in mancanza di autorizzazione da parte del Consiglio di amministrazione, pur trattandosi di un atto di straordinaria amministrazione. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce l'erronea e non provata individuazione della persona offesa, individuata nella figura dello (OMISSIS), non presente nel video ne' nella testata "(OMISSIS)", se non quale autore di qualche sporadico post. 2.3. Il ricorrente lamenta, inoltre, assenza, carenza e illogicita' della motivazione nell'attribuzione di responsabilita' per il reato ascritto atteso che il post gli e' stato attribuito senza una previa verifica dell'indirizzo IP di provenienza della fase ritenuta diffamatoria essendo stato il post cancellato, e non essendo stato inoltre svolto alcun approfondimento circa la possibilita' che la comparsa della persona del (OMISSIS) nel video sia stata postata da lui o da altri nella sua pagina personale, in una situazione nella quale, a fronte della mancata prova nelle indagini preliminari, la scelta del rito abbreviato non ha potuto portare elementi a sostegno della tesi in ordine alla possibilita' di attribuire l'evento ad esso ricorrente. 2.4. Il ricorrente assume, inoltre, carenza e illogicita' della motivazione rispetto alla qualificazione dell'imputazione in mancanza di qualsivoglia accertamento in ordine alla pubblicazione del video del quale egli e' protagonista. 2.5. Con il quinto motivo, il (OMISSIS) deduce infine mancata ed illogica motivazione nella determinazione della pena, atteso che: a) i fatti contestati potrebbero collocarsi nell'alveo di cui all'articolo 21 Cost. stante il loro contenuto e agli articoli a propria volta pubblicati dalla parte civile sul portale (OMISSIS)nurse24(OMISSIS) nei suoi confronti; b) ad ogni modo il post e' stato pubblicato solo per poche ore raggiungendo un numero limitato di utenti sicche' ricorrerebbe la particolare tenuita' del fatto ex articolo 131-bis c.p. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Occorre ricordare infatti il costante orientamento di questa Corte nel senso che l'esercizio del diritto di querela, in mancanza di uno specifico divieto statutario o assembleare, rientra fra i compiti del rappresentante legale di una societa' di capitali e, pur trattandosi di un atto di straordinaria amministrazione, non richiede il conferimento di un apposito mandato (Sez. 6, n. 16150 del 26/04/2012 Ud. (dep. 02/05/2012) Rv. 252715 - 01). Invero, il legale rappresentante della societa', in mancanza di uno specifico divieto statutario o assembleare, sporgere la querela senza necessita' di apposito mandato, in quanto titolare dei poteri di gestione e di rappresentanza per tutti gli atti rientranti nell'oggetto sociale e per le attivita' funzionali al raggiungimento degli scopi della societa' ex articolo 2384 c.c. (Sez. 5, n. 46806 dell'11/07/2005 Rv. 233038 - 01). Assume infatti rilievo, a tal fine, non gia' la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma la verifica in concreto dei poteri e della facolta' conferite (Sez. 2, n. 450402 del 25/09/2019 Rv. 277767 - 01). In tale prospettiva, in fattispecie analoga a quella in esame, e' stato chiarito che, in tema di diffamazione, gli amministratori i quali hanno la rappresentanza della societa' possono anche curare la presentazione di un atto di querela a tutela dell'immagine della societa', trattandosi di attivita' funzionale al raggiungimento degli scopi sociali (Sez. 5, n. 3549 del 09/02/1999 Rv. 212764 - 01). Alla luce dei superiori e consolidati principi giurisprudenziali, il motivo di ricorso e' palesemente destituito di fondamento risultando ex actis che (OMISSIS)e' legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l., risultando peraltro dallo statuto sociale che colui il quale riveste tale qualita' puo' promuovere e sostenere azioni in giudizio a norme della societa', sia essa attrice o convenute, ed in qualunque sede giudiziaria civile, penale e amministrativa. 2. Il secondo motivo di ricorso e' inammissibile poiche' la questione dell'individuazione dello (OMISSIS) quale persona offesa dal reato non era stata dedotta in appello. 3. Il terzo e il quarto motivo, suscettibili di esame unitario, sono parimenti inammissibili. Invero, il (OMISSIS) pur avendo operato, vagliandone anche i vantaggi, la scelta processuale dell'abbreviato "secco" sin dal giudizio di primo grado, lamenta, poi, che non siano state svolte indagini, una volta cancellato il post pubblicato sulla propria pagina facebook, sull'indirizzo IP di provenienza e, in caso di impossibilita', sul numero telefonico correlato. La doglianza e' inammissibile sia perche' sin dall'origine il ricorrente non ha condizionato a detti approfondimenti istruttori la scelta del rito sia in quanto nel giudizio di appello neppure ha sollecitato la Corte territoriale a esercitare a tal fine i propri poteri istruttori officiosi ex articolo 603, comma 3, c.p.p. (v., tra le altre, Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019 Rv. 278061 - 01). L'inammissibilita' del motivo deriva, inoltre, dalla circostanza che, con motivazione "doppia conforme", la quale consente di saldare l'apparato argomentativo delle sentenze di merito, e' stata fornita una ragionevole giustificazione - insindacabile pertanto ex art..606, comma 1, lettera e), c.p.p., vieppiu' alla luce dell'impossibilita' di sottoporre a questa Corte una differente chiave di lettura delle emergenze processuali ai fini di una ricostruzione alternativa del fatto storico - dell'attribuzione del post al (OMISSIS). Infatti e' plausibile, anche senza disporre indagini tecniche, che autore del post denigratorio sia il ricorrente in quanto il post stesso e' apparso sulla sua pagina facebook personale accompagnato da un video, dal contenuto peraltro imbarazzante, ritraente il (OMISSIS) medesimo. Assolutamente esplorativa appare di qui la prospettata ipotesi che postula peraltro un'inammissibile ricostruzione alternativa in questa sede delle risultanze processuali che potrebbe essere stato un soggetto non identificato a caricare il video, strettamente correlato ai contenuti del post, che ritrae effettivamente il (OMISSIS). 4. Il quinto motivo e' anch'esso inammissibile, in quanto la Corte d'Appello di Bologna ha esaustivamente e congruamente argomentato in ordine all'impossibilita' di ricondurre il post (e il video correlato) alla libera manifestazione del pensiero ex articolo 21 Cost., nonche' a quella di qualificare la condotta ai sensi dell'articolo 131-bis c.p. Quanto al primo profilo, premesso che, come noto, in tema di diffamazione rientra nella sfera del giudizio di legittimita' la valutazione dell'offensivita' della frase ritenuta lesiva (Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. 12/01/2006, Rv. 233749), nel caso in esame va, necessariamente, contestualizzato il legittimo esercizio del diritto di critica, di cui l'imputato e' titolare, alla luce della valutazione circa la continenza delle espressioni utilizzate. Occorre ricordare che il diritto di critica riferito all'ambiente sindacale puo' risolversi in un giudizio negativo riferito a specifiche vicende, attraverso l'uso di termini anche offensivi, purche' non trasmodanti in gratuita ed ingiustificata aggressione (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Rv. 279133). Facendo corretta applicazione dei superiori principi, la Corte territoriale ha ritenuto, dunque, che non puo' invocarsi la scriminante di cui all'articolo 21 Cost., stante gli espliciti riferimenti scatologici, accompagnati da frasi inequivoche e dal video che rappresenta il (OMISSIS) sul wc intento a defecare, in quanto non puo' certo ritenersi critica politica o sindacale l'accostamento del dominio internet (OMISSIS) ad una sorta di lassativo con la frase "stitichezza, non fai la cacca- Leggi (OMISSIS)-fanno cagare..."). In sostanza, quella del ricorrente non e' stata l'esplicitazione di un giudizio negativo rispetto a specifiche vicende essendo trasmodata in un'ingiustificata aggressione. Le modalita' particolarmente offensive del contenuto del post e quindi la gravita' della condotta, e la circostanza che in poche ore il post sia stato letto da ben 56 utenti rendono assolutamente argomentata la decisione impugnata laddove esclude per tali ragioni la particolare tenuita' della condotta ai sensi dell'articolo 131-bis c.p. 5. Alla dichiarazione di inammissibilita' di tutti i motivi proposti segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilita' dei motivi di impugnazione non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita' (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Presidente Dott. BORSELLINO Maria - Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. CIANFROCCA P - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giusep - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina del 10.12.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SENATORE Vincenzo, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili; udito l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), in difesa della costituita parte civile (OMISSIS); in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), in difesa della parte civile (OMISSIS); in difesa, inoltre, delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)), che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla rifusione delle spese; udito l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) e dell'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza con cui, in data 30.11.2020, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) quanto ai reati a lui ascritti ed aveva percio' condannato l'imputato al pagamento elle ulteriori spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado; 2. ricorrono per cassazione i difensori dello (OMISSIS) deducendo: 2.1 mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, violazione di legge con riferimento all'articolo 129 c.p.p., comma 2, articoli 24 e 111 Cost., articoli 530 e 546 c.p.p., articoli 81, 40 e 479 c.p., articoli 81, 48 e 373 c.p., articoli 110 e 642 c.p.: rilevano che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, emessa ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. ad istruttoria, tuttavia, gia' molto avanzata e, come si legge nella sentenza della Corte di appello, con il giudizio che era comunque proseguito per il reato associativo, non essendosi percio' realizzata nessuna economia processuale sottolineando, invece, l'interesse dell'imputato a sollecitare una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 1; segnalano che, a fronte dell'obbligo motivazionale, le due sentenze di merito hanno omesso ogni considerazione in merito ai motivi di fatto e di diritto su cui hanno fondato la loro decisione; rileva, infatti, che la motivazione del Tribunale e' sostanzialmente assente e tale e' stata ritenuta dalla Corte di appello che, tuttavia, non ha colmato il vuoto se non con considerazioni infondate ed illogiche che non hanno tenuto conto dell'esaurimento della istruttoria dibattimentale con l'escussione di tutti i testi del PM e degli specifici motivi di appello con cui si era dedotta la estraneita' dell'imputato dai reati di cui si discute; segnala che la Corte ha sostenuto che i motivi di gravame fossero fondati su una lettura atomizzata delle prove in realta' riferita ai singoli reati-fine; ne', come scrive la Corte di appello, sarebbe stato necessario, in secondo grado, completare l'istruttoria dibattimentale; in relazione ai capi di imputazione di cui agli articoli 110, 81, 48 e 479 c.p.: rilevano che tali fattispecie non potevano essere integrate in punto di diritto prima ancora che di fatto; osservano, infatti, che per aversi responsabilita' dell'autore mediato occorre che l'agente abbia operato per effetto di una volonta' viziata da condotte di persuasione o suggestione sicche' la mera dichiarazione del soggetto di avvertire dolori e/o algie, non accompagnata da altro, non integra una condotta idonea a irretire l'autore immediato; aggiunge che, in ogni caso, il contenuto dei certificati medici si limita a dar atto di dolori e/o lesioni riferite dal paziente ed il resto e' frutto di valutazione medica operata all'esito della visita medica, come confermato sia dagli stessi medici che dagli infermieri; richiama, a tal proposito, quanto riferito dal Dott. (OMISSIS) in relazione al sinistro n. 3, dalla dottoressa (OMISSIS) in relazione al sinistro n. 18, dalla dottoressa (OMISSIS) in relazione al sinistro n. 16, dal Dott. (OMISSIS) in relazione al sinistro n. 17, dal Dott. (OMISSIS) in relazione al sinistro n. 29bis; segnala, per altro verso, che e' rimasto del tutto impalpabile il contributo morale fornito dall'Avv. (OMISSIS), essendo egli intervenuto sempre soltanto successivamente ai sinistri; in relazione ai capi di imputazione di cui agli articoli 110, 81, 48 e 373 c.p.: segnalano che, anche in tal caso, il delitto contestato non poteva ritenersi sussistente gia' in astratto per mancanza di una condotta decettiva mentre, per altro verso, non risulta specificato in cosa si sarebbe concretizzato il ruolo di istigatore riservato all'odierno ricorrente; rilevano che, in ogni caso, l'istruttoria svolta aveva restituito la totale estraneita' dell'imputato al delitto contestatogli, alla luce delle risultanze della consulenza svolta per il GdP e della perizia assicurativa; richiama, anche in tal caso, le deposizioni del Dott. (OMISSIS), del teste (OMISSIS), del teste (OMISSIS); in relazione ai capi di imputazione di cui agli articoli 110 e 642 c.p.: segnalano che anche su questi punti la sentenza del Tribunale non ha valutato la istruttoria che non e' stata considerata nemmeno dalla Corte di appello ribadendo che nessuno dei testi escussi, tra cui tutti quelli del PM, ha potuto confermare la falsita' dei sinistri contestati; richiamano, ancora, le deposizioni della dottoressa (OMISSIS), della dottoressa (OMISSIS), aggiungendo che tutti i medici e gli infermieri dei Pronto Soccorso, sentiti nel corso del processo, avevano confermato la veridicita' e la correttezza delle valutazioni espresse; richiamano, ancora, sul punto, le deposizioni di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); in relazione ai capi di imputazione di cui agli articoli 110, 56 e 640 c.p., articoli 110 e 372 c.p.: consegue, secondo la difesa, l'esclusione della responsabilita' dell'imputato anche per tali fattispecie; 2.2 mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione e inosservanza o erronea applicazione delle norme, in relazione alla rifusione delle spese in favore delle parti civili: osservano che la Corte di appello, pur confermando la sentenza di primo grado, ha condannato l'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle costituite parti civili; segnalano la illegittimita' di siffatta statuizione in assenza di una pronuncia di condanna e della estinzione dei reati intervenuta prima della sentenza di primo grado; 3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, da valere anche ed eventualmente come memoria, concludendo per l'inammissibilita' del primo motivo del ricorso e per la fondatezza del secondo: rileva, infatti, la manifesta infondatezza del primo motivo del ricorso avendo il Tribunale correttamente applicato il disposto di cui all'articolo 129 c.p.p., comma 2; segnala, invece, la fondatezza del secondo motivo richiamando, sul punto, la consolidata giurisprudenza di legittimita'; 4. la parte civile Groupama spa ha trasmesso le proprie conclusioni scritte insistendo per l'inammissibilita' dei ricorsi: rileva, infatti, che il ricorso proposto nell'interesse dello (OMISSIS) sollecita valutazioni di merito non consentite in questa sede; richiama, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte quanto alla necessaria valutazione complessiva delle argomentazioni spese dalla Corte di appello alla luce, inoltre, del canone di giudizio evocato dall'articolo 129 c.p.p., comma 2 e, a suo avviso, correttamente applicato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile in quanto articolato su censure manifestamente infondate. 1. Con sentenza del 30.11.2020 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, di fronte al quale (OMISSIS) era stato chiamato a rispondere, unitamente ad altri coimputati, di una serie di imputazioni legate a frodi assicurative, aveva preso atto della intervenuta prescrizione di una gran parte dei reati ascritti all'odierno ricorrente e, cosi', previa separazione delle residuali imputazioni, aveva emesso sentenza di non doversi procedere ai sensi del combinato disposto dell'articolo 129 c.p.p., comma 1, e articolo 531 c.p.p.. 2. Con l'atto di appello, la difesa dello (OMISSIS) aveva articolato tre motivi deducendo, con i primi due, l'insussistenza, gia' in astratto, delle ipotesi delittuose di falso ideologico in atto pubblico e falsa perizia per induzione e, quindi, la infondatezza, comprovata dalla istruttoria svolta, delle imputazioni per il delitto di cui all'articolo 642 c.p.. 3. La Corte di appello, dopo aver riepilogato le argomentazioni difensive (cfr., pagg. 3-4 della sentenza impugnata) e, per altro verso, ribadito l'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza che, nel corso del processo, ed ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 1, abbia dichiarato la intervenuta prescrizione del reato, ha fatto presente che "... in una situazione quale quella creatasi, con l'interruzione dell'istruttoria dibattimentale, per quanto assai avanzata, solo l'evidenza della prova dell'innocenza poteva essere dedotta a fondamento dell'appello" (cfr., ivi, pag. 4). Per altro verso, i giudici di secondo grado, pur rilevando come la sentenza di primo grado fosse assai scarna, hanno tuttavia fatto riferimento alla contestazione associativa (non oggetto della pronuncia di estinzione del reato) che, pure, aveva attinto l'odierno ricorrente, indicato come capo o promotore del sodalizio, tanto da essere stato attinto da una misura cautelare personale, dedito ad una serie elevatissima di truffe assicurative, per rilevare come soltanto il completamento della istruttoria avrebbe potuto portare ad una definizione liberatoria, nel merito, di tutte le altre singole imputazioni. 4.1 Tanto premesso, rileva il collegio che la motivazione della sentenza impugnata non sia censurabile in questa sede atteso che, sia pure in maniera estremamente sintetica, e con rinvio, "per relationem", alle considerazioni che avevano portato alla conferma (anche in sede di legittimita' dove, pure, erano state sollevate censure in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati) della misura cautelare, ha correttamente evocato il principio per cui, all'esito del giudizio d'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza di primo grado di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita' (cfr., Sez. 4 -, n. 55519 del 16/11/2018, Dentoni, Rv. 274767- 01; Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 25944501; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 25844101; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202 - 01). Questa Corte, d'altra parte, ha da tempo chiarito che, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (cfr., Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 - 01, in cui, peraltro, la Corte ha anche sottolineato che in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva). Alla luce di siffatte premesse in diritto, il collegio deve rilevare che le censure articolate con i motivi di ricorso finiscono, in realta', attraverso la denuncia di vizi della motivazione, per sollecitare la Corte a procedere essa stessa ad una rivalutazione degli elementi acquisiti (ad istruttoria non completata) per formulare una diagnosi di "evidenza" della insussistenza del fatto o della responsabilita' dell'imputato; in definitiva, le doglianze articolate con il ricorso esulano dal perimetro delle questioni suscettibili di essere dedotte in questa sede ai sensi dell'articolo 606 c.p.p. pretendendo dalla Corte di cassazione una valutazione di "esaustivita'" della istruttoria come idonea a fondare una pronuncia pienamente liberatoria nei confronti dell'imputato. 4.2 Manifestamente infondato e' anche il secondo motivo di ricorso. E' vero che questa Corte ha piu' volte ribadito che il giudice dell'appello quando accerti che la prescrizione del reato e' maturata prima della pronuncia di primo grado non puo' confermare le statuizioni civili in questa contenute, che vanno revocate, ne' condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali a favore della parte civile (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, Colucci, Rv. 255054 - 01; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261815 - 01; Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018, Fasolino, Rv. 273726 - 01; Sez. 5, n. 32636 del 16/04/2018, Suraci, Rv. 273502 - 01; cfr., anche, da ultimo, Sez. U -, n. 39614 del 28/04/2022, Di Paola, Rv. 283670 - 01, in cui la Corte ha chiarito che il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione del reato, pervenga alla conclusione - sia sulla base della semplice "constatazione" di un errore nel quale il giudice di prime cure sia incorso, sia per effetto di "valutazioni" difformi - che la causa estintiva e' maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute). A ben guardare, tuttavia, queste decisioni riguardano casi nei quali la sentenza di primo grado era stata di condanna, anche ai fini penali, mentre quella di secondo grado aveva dovuto prendere atto della prescrizione del reato maturata gia' prima della decisione impugnata; era percio' avvenuto che il giudice di appello avesse dichiarato la estinzione del reato e, in riforma della sentenza di primo grado, emesso una pronuncia di proscioglimento che, per sua natura, non aveva alcun riflesso sugli interessi civili. Nel caso in esame, invece, l'imputato, di fronte ad una sentenza di proscioglimento per prescrizione intervenuta gia' in primo grado, aveva contestato la decisione sollecitando, in appello, la adozione di una sentenza liberatoria nel merito e, per questa ragione, ai sensi dell'articolo 652 c.p.p., destinata ad avere efficacia nel giudizio civile. Di qui, percio', l'indubbio interesse delle parti civili a resistere, in appello, rispetto alla impugnazione proposta dall'imputato, ed il cui rigetto avrebbe comportato la salvezza degli interessi civili, invece pregiudicati laddove, per l'appunto, l'appello fosse stato accolto. Come accennato, peraltro, e' innegabile l'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione, pur quando egli non vi abbia rinunciato (cfr., Sez. 2, n. 17102 del 22/03/2011, Cerrito, Rv. 250249 - 01) ma, in tal caso, altrettanto innegabile e' l'interesse della parte civile a resistere ed il suo diritto a vedersi rifuse le spese in caso di esito vittorioso e di soccombenza dell'appellante. Resta in definitiva valido e va percio' riaffermato il principio per cui nel processo penale l'onere della refusione delle spese giudiziali sostenute dalla parte civile e' collegato alla soccombenza che, nel giudizio di impugnazione, deve essere valutata con riferimento al gravame ed al correlativo interesse del danneggiato dal reato a fare valere i propri diritti in contrasto con i motivi proposti dall'imputato (cfr., Sez. 2, n. 8230 del 18/04/1996, Sicco, Rv. 205616 - 01). 5. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., della somma - che si stima equa - di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. Lo (OMISSIS), per quanto sopra chiarito, va inoltre condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili in questa fase, che vanno liquidate come in dispositivo alla luce delle relative note e della disciplina vigente in materia tabellare. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), liquidate in complessivi Euro 3.510,00, (OMISSIS), liquidate in complessivi Euro 3.500,00, (OMISSIS) PLC, liquidate in complessivi Euro 2.458,00, oltre accessori di legge per tutti.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/06/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere EGLE PILLA; Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, PASQUALE SERRAO D'AQUINO che, nel riportarsi alla requisitoria scritta in atti, ha concluso per il rigetto del ricorso. Udite le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), quale sostituto processuale del difensore e procuratore speciale, avv. (OMISSIS), nell'interesse della parte civile (OMISSIS), la quale ha concluso come da memoria e nota spese depositata. Udite le conclusioni del difensore e procuratore speciale, avv. (OMISSIS), nell'interesse delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), la quale ha concluso come da memoria e nota spese depositata. Udite le conclusioni del difensore e procuratore speciale, avv. (OMISSIS), per la responsabile civile (OMISSIS) S.p.a., il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso della imputata e per l'annullamento della sentenza impugnata. Udite le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), sostituto processuale del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), per la ricorrente, la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 4 giugno 2021 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Monza del 19 aprile 2018 nei confronti di (OMISSIS), ha dichiarato non doversi procedere per i reati di cui ai capi A), B), D) perche' estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena inflitta per il reato di cui al capo C) in anni due di reclusione. Ha confermato le statuizioni civili con l'ulteriore condanna in favore delle parti civili delle spese per il secondo grado di giudizio. La sentenza di primo grado aveva condannato la ricorrente: a) per il reato di cui all'articolo 589 c.p. (capo A) per avere, in cooperazione con altri, nella qualita' di medico che ebbe a seguire (OMISSIS), consigliandole il posizionamento del pallone intragastrico e posizionandolo in data 1 ottobre 2010; nella qualita' di medico che insieme alla (OMISSIS) ebbe ad effettuare l'intervento di rimozione del palloncino intragastrico gia' applicato alla paziente, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia concorso a cagionare la morte di (OMISSIS) con le seguenti condotte: - La (OMISSIS) procedeva ingiustificatamente alla rimozione del pallone endogastrico dopo sette mesi e mezzo dal posizionamento dello stesso, con rilevante ritardo rispetto ai tempi massimi di permanenza della protesi pari a mesi sei, con la formazione sulla superficie del pallone di concrezioni idonee ad abradere, nella procedura di estrazione del pallone, la mucosa esofagea; rischi, peraltro, non esplicitati nel consenso informato. - La (OMISSIS) e la coimputata (OMISSIS) durante l'estrazione del pallone endogastrico provocavano la lacerazione dell'esofago (per errato movimento dell'endoscopio e/o esercitando forze eccessive per vincere la resistenza del muscolo gastroesofageo); - La (OMISSIS) e la (OMISSIS) omettevano al termine dell'intervento di disporre un'esofagoscopia che avrebbe consentito di riconoscere la lesione esofagea e di porvi rimedio con un intervento di urgenza; -La (OMISSIS) ometteva di rilevare e riconoscere nella paziente un enfisema sottocutaneo allorquando, recatasi dopo l'intervento presso la paziente, ometteva una visita adeguata e accertamenti diagnostici urgenti. Condotte queste che, unitamente alle condotte colpose degli altri medici ciascuno nelle rispettive qualita', determinavano nella (OMISSIS) una lacerazione esofagea, insufficienza respiratoria, arresto cardiocircolatorio e il successivo decesso. b) Per il reato di cui agli articoli 110 e 490, in relazione all'articolo 476 c.p., articolo 61 c.p., n. 2 (capo B) per avere, in concorso con altri, nella qualita' di medico pubblico ufficiale in servizio presso la Clinica (OMISSIS) di Sesto San Giovanni, distrutto o comunque occultato un atto pubblico e segnatamente il diario infermieristico facente parte della cartella clinica della paziente limitatamente ai fogli relativi ai parametri vitali rilevati sulla paziente nei giorni 17 e 18 maggio 2011. c)Per il reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 476 c.p., commi 1 e 2, articolo 61 c.p., n. 2 (capo C) per avere, in concorso con altri, nella qualita' di medico pubblico ufficiale in servizio presso la Clinica (OMISSIS) di Sesto San Giovanni, formato un atto falso redigendo due fogli relativi ai parametri vitali dei giorni 17 e 18 maggio 2011 sostituendoli a quelli che avevano eliminato nel diario infermieristico facente parte della cartella clinica, atto destinato a fare fede sino a querela di falso. d)Per il reato di cui agli articoli 110 e 479 c.p., articolo 61 c.p., n. 2 (capo D),per avere, in concorso con altri, nella qualita' di medico pubblico ufficiale in servizio presso la Clinica (OMISSIS) di Sesto San Giovanni, attestato falsamente nel foglio del 17 maggio 2011 che i valori di saturazione erano notevolmente superiori a quanto effettivamente rilevato; nel foglio del 18 maggio 2011 che erano state rilevate la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, i valori di saturazione, la temperatura corporea e il parametro del dolore, senza che cio' fosse realmente accaduto. 2.Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso la (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore di fiducia contenente i seguenti motivi. 2.1. Con il primo e articolato motivo e' stato dedotto vizio di motivazione in odine all'accertamento del reato di cui al capo A), per il quale e' stata dichiarata la estinzione per intervenuta prescrizione, agli effetti civili. 2.1.1. Quanto alla condotta colposa sotto il profilo commissivo il ricorso nel primo articolato motivo propone una pluralita' di doglianze. Risulterebbe erroneo l'assunto in base al quale la ricorrente debba essere considerata primo operatore nonche' autore del segmento di maggiore responsabilita' della condotta contestata, risultando documentalmente che il primo operatore fu la coimputata (OMISSIS) cioe' colei che manovrava l'endoscopio, mentre la ricorrente svolse il ruolo di secondo operatore (o aiuto) afferrando il pallone una volta raggiunto il cavo orale per evitare che vi potesse rientrare. Dunque, la (OMISSIS), entrando con l'endoscopio, ha effettuato la endoscopia ispettiva e dopo avere controllato lo stato del palloncino, lo ha sgonfiato. La (OMISSIS) si e' occupata solo dell'estrazione dal cavo orale del pallone, fatto incompatibile con la lesione. La sentenza, osserva la difesa, travisa i fatti laddove riferisce che nella versione originale della documentazione la (OMISSIS) era indicata come l'unica operatrice, mentre la (OMISSIS) era stata aggiunta solo successivamente. Dall'esame risulta che la (OMISSIS) vi fosse sempre e che ambedue le dottoresse eseguirono l'intervento. La motivazione e' altresi' contraddittoria laddove, pur attribuendo alle due coimputate condotte autonome, afferma poi che l'intervento e' stato eseguito in stretta cooperazione, trattandosi di intervento svolto in equipe. Il dato travisato dalla Corte, dunque, e' quello relativo al ruolo della ricorrente: secondo la corte, essendo la tachicardia il primo indice rivelatore di una possibile lesione esofagea, l'unica persona che poteva rilevarla era la (OMISSIS) che movimentava l'endoscopio e non la (OMISSIS) che e' intervenuta successivamente con l'estrazione del palloncino. La condanna della sola ricorrente e non della (OMISSIS) appare contraddittoria e inspiegabile. 2.1.2. Il secondo punto del percorso motivazionale che si presenta contraddittorio e' quello relativo agli effetti che avrebbe prodotto il ritardo nella estrazione del palloncino e cioe' la formazione sullo stesso di concrezioni che avrebbero determinato l'abrasione della mucosa esofagea e la sua lacerazione. Sul punto la sentenza impugnata ammette che non e' stata accertata la esistenza delle concrezioni anche se prosegue nel riferire del referto redatto dalla (OMISSIS) che riferisce di formazioni di natura calcinosa di tipo "granulare o cristallino" come affermato dalla stessa endoscopista (OMISSIS) nel corso del suo esame. La sentenza tuttavia, successivamente, afferma che la (OMISSIS) ha riferito di avere visto non delle concrezioni, ma macchie diacroniche, e cio' in contrasto con quanto in precedenza esposto. 2.1.3. Egualmente illogica la motivazione nella parte in cui valorizza, quale elemento a carico della ricorrente, la mancata completa desufflazione del palloncino, circostanza inspiegabilmente correlata alla difficolta' della manovra estrattiva per il difficile rilasciamento dello sfintere cardio esofageo. 2.1.4. Carente e illogica la motivazione della sentenza impugnata allorquando non risponde in modo completo alla ipotesi difensiva alternativa circa le possibili cause della morte e cioe' la cd. sindrome di Boherave, limitandosi la Corte territoriale a ritenere che tale sindrome non trova alcun riscontro ne' sul piano fattuale ne' su quello scientifico e minimizzando il significato di alcune circostanze rivelatrici della suindicata sindrome, quali la tosse espettorante in fase espulsiva della paziente e il riferimento ad un conato di vomito nella deposizione della (OMISSIS) e della (OMISSIS). Ne' l'argomentazione a conforto utilizzata nella sentenza relativa alla estrema rarita' della sindrome e' di per se' sufficiente ad escludere il suo verificarsi. 2.2 Quanto alla condotta colposa sotto il profilo omissivo post-intervento, il ricorso sempre nel primo articolato motivo propone ulteriori doglianze. In particolare, la sentenza impugnata afferma che la ricorrente avrebbe sottovalutato alcuni rilevanti sintomi, pur consapevole delle difficili condizioni fisiche della paziente. La Corte territoriale, sul punto, travisa alcuni fatti e cioe' che l'intervento sia durato un tempo maggiore per alcune specifiche e allarmanti complicanze, che avrebbero dovuto allertate la (OMISSIS), quando in realta' i tempi si sono prolungati per il difficile rilasciamento dello sfintere inferiore della paziente. Cosi' come viene considerato un sintomo sottovalutato il dolore lombare al rene che la paziente aveva lamentato dopo l'operazione, dimenticando che la (OMISSIS) era affetta da spondilosi dorsale; viene attribuito rilievo all'allarmante gonfiore della donna dopo l'operazione, potendosi invece ricollegare la circostanza all'obesita' della paziente, ed essendo un dato che dalle dichiarazioni testimoniali e' emerso solo dopo che la (OMISSIS) aveva visitato nel pomeriggio la paziente. Infine, si tratta di un dato non considerato come certo neanche dai consulenti di parte civile. A fronte del rilievo riconosciuto a siffatte circostanze, la Corte territoriale, tuttavia, sembra non tenere in debito conto circostanze di senso contrario e cioe' che la paziente subito dopo l'intervento era sveglia e lucida, con una saturazione nella norma sino alle 16.30 /17.00, orario di rientro in camera, appena un'ora prima che la ricorrente si recasse nella stanza della paziente; ne' qualcuno aveva informato il sanitario di difficolta' respiratorie. Ne' e' stata raggiunta la prova che alle ore 17.00 la paziente avesse un valore di saturazione pari al 70%. Le conclusioni sul punto della sentenza impugnata non trovano alcun riscontro fattuale o logico dal momento che il teste Aldegheri (responsabile del servizio di anestesia) ha confermato che nella saletta accanto alla sala operatoria aveva visto la paziente lucida, sveglia, con buona saturazione, in grado di ridere ad una battuta. La sentenza, del resto, ritiene che il valore iniziale della saturazione al 70% sia frutto di un errore in quanto incompatibile con le condizioni della paziente. Cosi' come e' incontestabile che la (OMISSIS) abbia effettuato la visita alla paziente in quanto le risultanze probatorie dichiarative lo confermano, una visita compatibile con le condizioni di salute della (OMISSIS). 2.3. Il primo motivo rileva infine vizio di motivazione anche con riferimento al prospettato processo causale alternativo rappresentato dalla manovra rianimatoria. La sentenza non offre una motivazione completa e logica in relazione alla dedotta causalita' alternativa rispetto all'evento morte che potrebbe essere rinvenuta nella errata manovra rianimatoria dell'anestesista (OMISSIS). Sul punto la sentenza di primo grado aveva sostenuto che al momento dell'intervento dell'anestesista l'enfisema era gia' presente, nonostante tutti i medici che avevano visitato la paziente quella mattina ne avessero escluso la presenza. La Corte territoriale ha preso atto della ricostruzione effettuata in primo grado, e non la ha condivisa affermando correttamente che l'arresto cardio circolatorio e' avvenuto dopo la manovra della (OMISSIS) e non prima: tuttavia ha egualmente ricondotto l'evento morte alle difficolta' respiratorie comunque legate alla lesione esofagea. In realta', lamenta la difesa, la manovra rianimatoria della (OMISSIS) (intubazione oro tracheale e massaggio cardiaco esterno) ha avuto una incidenza causale esclusiva nel decesso, nonostante la sentenza sostenga il corretto operato dell'anestesista, non potendo tuttavia non rilevare che l'approccio migliore sarebbe stato quello del drenaggio dello pneumotorace, se lo stesso fosse stato evidente al momento dell'intervento. 3.Con il secondo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei reati di falso cui ai capi B), C), D). La Corte non ha risposto alle specifiche censure contenute nell'atto di appello in relazione ai reati di falso contestati con le quali si lamentava la mancata correlazione tra le imputazioni dei reati di falso e la motivazione della sentenza di primo grado che non indicava alcuna prova circa la realizzazione di siffatte contestazioni. La sentenza ha dedicato alla responsabilita' per i reati di falso poche pagine della motivazione, fondando la sussistenza delle condotte sulla testimonianza del teste (OMISSIS) e sulle sentenze irrevocabili relative ai materiali autori dei falsi ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Sul punto, la testimonianza di (OMISSIS) non e' sufficiente ad attribuire la sottrazione del foglio dalla cartella alla (OMISSIS). 4. Con il terzo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla specifica richiesta di rinnovazione istruttoria. La difesa aveva avanzato una richiesta di perizia grafica per accertare se i due fogli infermieristici indicati come falsi fossero stati scritti da mani diverse apparendo totalmente diversi da un loro semplice raffronto, come evidenziato dalla consulente di parte. Sul punto la sentenza impugnata non ha fornito alcuna risposta. 5. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 157 c.p.. Nella determinazione del trattamento sanzionatorio relativo al capo C)-essendo gli altri reati estinti per intervenuta prescrizione - la Corte territoriale ha riconfermato la pena di anni due di reclusione in quanto "(..)il giudice di primo grado non ha distinto tra le diverse ipotesi di falso ritenendole in astratto di pari gravita' nonostante la contestazione dell'aggravante al solo capo C) che la rende indiscutibilmente la fattispecie piu' grave(..)." Secondo la ricorrente il ragionamento e' erroneo, in quanto per potere considerare i falsi di pari gravita', bisogna ritenere che la sentenza di primo grado non abbia riconosciuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 476 c.p., comma 2 di cui al capo C). La sentenza di primo grado ha considerato come pena base su cui operare gli aumenti quella del reato sub B), falso per soppressione, e su questa ha operato gli aumenti per i capi C) e D). La Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare anche l'estinzione del reato di cui al capo C) per intervenuta prescrizione, essendo stata pacificamente esclusa dal giudice di primo grado la aggravante dell'articolo 476 c.p., comma 2. La difesa della ricorrente ha concluso dunque per l'annullamento della sentenza impugnata. 6.11 difensore di parte civile, avv. (OMISSIS), ha inviato conclusioni scritte e nota spese oltre ad un'articolata memoria difensiva, nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), questi ultimi due quali figli ed eredi del signor (OMISSIS). 6.1. L'avvocato (OMISSIS) nell'interesse della parte civile (OMISSIS) ha inviato memoria difensiva riservando il deposito delle conclusioni e della nota spese alla udienza. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Il ricorso infatti non si confronta con le principali argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944). 1.1. Occorre richiamare le indicazioni fornite da questa Corte in relazione alla corretta interpretazione dell'invocato "travisamento della prova" quale vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). Secondo la giurisprudenza di questa Corte: "In virtu' della previsione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), novellati dalla L. n. 46 del 2006, articolo 8 costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame nonche' l'errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (cosiddetto travisamento della prova)." (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Dunque, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorieta' processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita' alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova. (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605). Chiarisce la giurisprudenza richiamata che il vizio di "travisamento della prova", qualificato dalla dottrina come contraddittorieta' processuale, si riferisce alle distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Le patologie della motivazione che sono riconducibili a siffatta categoria possono raggrupparsi in tre tipi: -la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); - l'utilizzazione di una prova sulla base di un'erronea ricostruzione del relativo "significante" (travisamento delle risultanze probatorie); - l'utilizzazione di una prova non acquisita al processo (travisamento per invenzione). Queste categorie non consentono di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Appare chiaro che la cognizione del giudice di legittimita' si muove in un perimetro definito e circoscritto: la verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova. Grava sul ricorrente, come indicato nella giurisprudenza richiamata, l'onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere. 1.2.Nel caso di specie il vizio piu' volte invocato dal ricorrente e' quello del "travisamento del fatto". Sul punto appare opportuno evidenziare che anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217). Siffatto principio risulta affermato dalle S.U. di questa Corte con un orientamento ormai consolidato e risalente e che chiarisce in modo definitivo che: "In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione e' normativamente preclusa la possibilita' non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in se' compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimita' e' limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in se' e per se' considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa e' "geneticamente" informata, ancorche' questi siano ipoteticamente sostituibili da altri." (Sez. Un. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). 2. Il richiamo alle indicazioni giurisprudenziali di questa Corte in tema di controllo della motivazione avuto riguardo al cd. travisamento della prova e alla distinzione rispetto ad un prospettato "travisamento del fatto" appare utile per potere affermare che la motivazione della sentenza impugnata appare immune dai vizi lamentati nel ricorso. 2.1. Con riferimento alle doglianze contenute nella prima parte del primo motivo e riferibili alla condotta colposa di cui al capo A) sotto il profilo commissivo la sentenza impugnata ha operato buon governo dei principi ora enunciati chiarendo, con motivazione logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in sede di legittimita' che (p.41 e ss.): - la lacerazione endoesofagea si e' prodotta in conseguenza della errata manovra di estrazione del palloncino; - e' stata sicuramente la imputata (OMISSIS), medico chirurgo endoscopista specializzato, a procedere a siffatta manovra, come ha chiarito la sentenza richiamando la produzione originale dell'accusa in cui la stessa risulta unico operatore. Altrettanto corretta la motivazione nella parte in cui, superando le obiezioni difensive, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di intervento in equipe e principio dell'affidamento (Sez.4, n. 27314 del 20/04/2017, Rv.270189), principio che non contraddice l'autonomia delle singole porzioni di condotta poste in essere da ciascun operatore, sia pure in equipe. - gli errori realizzati nel corso della manovra sono stati due: la estrazione avvenuta in ritardo rispetto ai tempi dovuti e la mancata completa desufflazione del palloncino. Il ritardo nell'intervento e' da ricondurre esclusivamente alla decisione della ricorrente che era "(..) colei che ha seguito la paziente durante tutto il percorso funzionale al dimagrimento(..)". Ne' appare contraddire siffatta circostanza il possibile accordo della paziente a rinviare l'intervento dal momento che la sentenza esclude che vi fosse prova dell'accordo medesimo (p.43). La mancata completa desufflazione e' una dato egualmente incontestabile ed e' motivato dal richiamo alle immagini in atti unitamente alla incontestata difficolta' della manovra dimostrata dal difficile rilascio dello sfintere cardioesaofageo. La cartella anestesiologica descrive l'operazione come "lunga e indaginosa" e tra le complicanze espressamente previste in questo tipo di intervento vi e' proprio la possibile lacerazione dell'apparato digerente. -la ricostruzione alternativa in ordine alla causazione della lesione (sindrome di Boherave), contrariamente alle doglianze difensive, ha ricevuto una specifica, logica e non contraddittoria confutazione avendo chiarito la Corte territoriale che l'ipotesi alternativa non ha trovato riscontro ne' sul piano fattuale (la presenza di un unico conato di vomito della paziente nel corso dell'intervento), ne' su quello scientifico (la rara sindrome richiede la compresenza di un intenso vomito e di una parete esofagea molto fragile). 2.2. Con riferimento alle doglianze contenute nella prima parte del primo motivo e riferibili alla condotta colposa di cui al capo A) sotto il profilo omissivo la sentenza impugnata ha anche in tal caso operato buon governo dei principi ora enunciati chiarendo, con motivazione logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in sede di legittimita', che (p.48 e ss.): - la (OMISSIS), una volta che la paziente rientro' in camera, non la visito', ma si limito' a prescriverle un antidolorifico, riconducendo l'evidente gonfiore del viso alle difficolta' incontrate nella procedura endoscopica; - contrariamente a quanto nuovamente censurato dalla ricorrente, la Corte territoriale ha chiaramente motivato sulle oggettive difficolta' che erano emerse nel corso della operazione e che erano testimoniate dalla cartella anestesiologica, dal mancato effetto del miorilassante al fine del rilasciamento dello sfintere cardioesofageo e dalla necessita' di richiedere da parte dell'anestesista l'intervento del responsabile della relativa unita' per procedere ad una possibile intubazione. - la paziente dopo l'intervento lamentava dolore (dalle dichiarazioni dei figli " (..) si contorceva dal dolore(..)"), presentava un gonfiore al viso, agli occhi e al collo, colto immediatamente dal marito al rientro in stanza e dai figli alle ore 18.15, tanto da definirla "un mostro", aveva difficolta' nella respirazione e nella deglutizione. La testimonianza circa le buone condizioni di salute della donna dopo l'operazione, dimostrate dal suo buon umore, e' dalla stessa sentenza ridimensionata attraverso un attento confronto con le numerose risultanze probatorie di segno contrario. Le incontestate conclusioni dei consulenti del Pubblico ministero definiscono come "incredibile" la circostanza che la (OMISSIS), a fronte delle evidenti condizioni della paziente nelle ore immediatamente successive l'intervento, non abbia auscultato il torace, reintrodotto l'endoscopio per verificare eventuali lesioni, non abbia richiesto una radiografia o una TAC toracica, indagini attraverso le quali con elevato grado di probabilita' la paziente sarebbe stata operata di urgenza e salvata. - la sottovalutazione dei sintomi post-operatori ha condotto alla falsificazione dei dati in cartella e nel diario infermieristico, condotta inequivocabilmente accertata anche in ragione della definizione delle posizioni ex articolo 444 c.p.p. dei coimputati, gli infermieri (OMISSIS) e (OMISSIS) e il capo anestesisti (OMISSIS). (Lo specifico motivo di ricorso in relazione ai reati di falso e' affrontato nei successivi paragrafi). - sulle possibili cause alternative del decesso della paziente ipotizzate dalla difesa, il motivo e' reiterativo della identica doglianza proposta in appello, puntualmente disattesa dalla sentenza impugnata che ha correttamente motivato la esclusione della responsabilita' dell'anestesista (OMISSIS), in ordine al mancato riconoscimento dell'enfisema, valorizzando con argomenti logici e non contraddittori la coerenza della narrazione di quest'ultima. La sentenza non e' contraddittoria allorquando da un lato afferma che i sintomi dell'enfisema erano riconoscibili per la ricorrente e dall'altro esclude a favore della (OMISSIS) un comportamento omissivo perche' lo pneumotorace non era con certezza riconoscibile. La motivazione da' infatti conto che se la (OMISSIS) avesse svolto effettivamente la visita della paziente attraverso l'auscultazione si sarebbe accorta dei sintomi dell'enfisema e avrebbe potuto intervenire, anche prima di un esame radiografico. Quanto alla (OMISSIS) la sentenza chiarisce, sulla base delle indicazioni del consulente, che la crisi respiratoria non e' stata indotta dalla ventilazione praticata dalla stessa, dal momento che la difficolta' respiratoria era preesistente; non essendovi certezza sullo pneumotorace, per la cui evidenza e' necessario un esame radiografico, il corretto intervento non era il drenaggio quanto la ventilazione. 3. Il secondo motivo risulta in parte generico, in parte manifestamente infondato. 3.1.E' generico nella sua prima parte alla luce dei principi fissati da questa Corte in tema di indicazione degli atti del processo: "In tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito, purche' detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera d), e articolo 591 c.p.p. (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, Rv. 280384). La doglianza, pur operando una specifica indicazione delle pagine della sentenza di primo grado oggetto dello specifico motivo di appello, non spiega in che modo avesse lamentato in appello la mancata correlazione tra la motivazione della sentenza di primo grado e le imputazioni. 3.2.E' comunque, il motivo, manifestamente infondato non confrontandosi con la sentenza impugnata che non solo riporta i motivi di appello formulati in relazione ai reati di falso (p.40), ma fornisce risposta alle specifiche doglianze alle p.52 e ss.. Le tre condotte contestate ai capi B), C), D) si riferiscono alla sostituzione nel diario infermieristico di due fogli (f1.119 e 120) relativi ai parametri vitali della paziente nei giorni 17 e 18 maggio 2011 con attestazione di dati non corrispondenti alla realta', previo occultamento dei fogli originali. La manomissione del diario infermieristico e della relativa parte della cartella clinica e' stato definitivamente accertato ed e' incontestato che la manomissione dei dati e' avvenuta nello studio del (OMISSIS), alla presenza della Dott.ssa (OMISSIS) e della Dott.ssa (OMISSIS) unitamente agli infermieri (OMISSIS), (OMISSIS) e il loro responsabile De Palo. Contrariamente a quanto lamentato nel ricorso, la sentenza ancora una volta motiva correttamente quanto alle plurime e convergenti chiamate in correita' del personale infermieristico, confortate dalla dichiarazione del teste (OMISSIS) quanto alla circostanza che l'iniziativa della soppressione dei fogli originari e la sostituzione con fogli che modificavano i parametri della saturazione e della pressione della paziente proveniva dalla ricorrente (OMISSIS). La sentenza richiama quale riscontro delle condotte descritte le intercettazioni telefoniche intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza motiva anche in relazione alla specifica doglianza relativa alla inverosimiglianza del dato di saturazione pari al 70% rilevato alle 17.00, non compatibile con lo stato di salute della paziente. La lamentata assenza di motivazione in ordine alla sostituzione dei fogli nuovi con quelli originali da parte della ricorrente e' parimenti infondata sia in ragione del complessivo percorso motivazionale della sentenza (la presenza della (OMISSIS) alla riunione nello studio (OMISSIS) consente di attribuirle la condotta di falsificazione nella sua totalita'), sia con la giurisprudenza di questa Corte. Sullo specifico punto, quanto alla configurazione del concorso in delitto proprio (nel caso in esame delitto di falso in atto pubblico commesso dal Pubblico ufficiale) non e' necessario che l'intraneus (in questo caso il Pubblico Ufficiale) sia l'autore del delitto (in questo caso colui che ha sottratto o formato l'atto materialmente falso) essendo sufficiente che la sua partecipazione sia determinata dalla sua particolare qualita'. (Sez.5, n. 17189 del 25/09/95, Piacenti ed altri). Il concorso della ricorrente sussiste inequivocabilmente quanto meno sotto il profilo morale considerato che il comportamento degli imputati, ivi compreso quello della ricorrente, ha provocato il proposito preventivo e il disegno criminoso dell'autore materiale ed ha rappresentato un contributo causale determinante, nonche' la volonta' di cooperare per il raggiungimento dello scopo penalmente illecito. Del resto, le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza di questa Corte sullo specifico tema ribadiscono il medesimo principio e cioe' che non e' necessario che sia l'intraneo a realizzare la condotta tipica, ad eccezione dei reati propri "cd. esclusivi": "Nel caso di concorso di soggetti non qualificati nella commissione di un reato proprio non e' indispensabile che proprio l'intraneo sia l'esecutore dell'azione tipica, che puo' materialmente essere realizzata da altro concorrente, purche' quello qualificato dia, secondo le regole generali, il suo contributo efficiente, in qualsiasi forma, compresa, quindi, quella omissiva della volontaria e concertata astensione dall'obbligo di impedire l'evento. Nei reati propri cosiddetti esclusivi (o di propria mano) occorre invece che il soggetto qualificato (o intraneo), concorrente con altri, sia il personale esecutore del fatto tipico (ad esempio, nel reato di incesto), essendo questa l'indispensabile condizione per la sussistenza del reato proprio, prospettandosi, in difetto, reato comune ovvero nessun reato. Soltanto in tali ipotesi si esige dunque la personale realizzazione della fattispecie tipica ad opera dell'intraneo, e tale condizione va ricavata dalla descrizione letterale della condotta materiale o dalla natura del bene o interesse giuridicamente protetto o da altri elementi significativi - ad esempio, particolari rapporti tra autore e soggetto passivo. (Sez. 1, n. 4820 del 05/02/1991, Rv. 187201). 4. Il terzo motivo e' generico. 4.1.Con riferimento alla omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione istruttoria, questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che "non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, che e', pertanto, sul punto inammissibile, l'eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti insieme ad altri motivi specifici, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione" (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700). Si e' ulteriormente chiarito che e' inammissibile, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, u.p., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sez.2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv.280306). Con riferimento, dunque, al lamentato difetto di motivazione per omessa pronuncia in relazione alla richiesta di rinnovazione istruttoria (relativa all'espletamento di perizia), la decisione della Corte territoriale e' apparsa corretta, atteso che l'appellante non aveva censurato specificamente la decisione di primo grado sul punto, limitandosi nell'atto di appello a richiedere rinnovazione sullo specifico atto istruttorio " volto ad accertare che i due fogli dei parametri infermieristici siano stati scritti da mani differenti". Si tratta di un motivo generico, rispetto al quale non si sottolinea la decisivita' e rilevanza rispetto alla posizione della ricorrente e, percio', geneticamente inammissibile, che la Corte territoriale poteva non prendere in considerazione, trattandosi di una ipotesi riconducibile ad una causa di inammissibilita' originaria, quantunque parziale, dell'impugnazione promossa contro altri capi della sentenza (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 (dep.2017), Galtelli, Rv.268822). Ne consegue che i motivi generici restano colpiti dalla sanzione di inammissibilita' anche quando la sentenza del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione per la concorrente proposizione di motivi specifici. 5. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. 5.1. Dalla lettura delle motivazioni del trattamento sanzionatorio operato dal giudice di primo grado e' possibile rilevare che (p.98) la circostanza aggravante di cui all'articolo 476 c.p., comma 2 relativa alla fidefacienza dell'atto di cui al capo C), espressamente contestata, non e' stata esclusa ma semplicemente e' stata oggetto di bilanciamento con le concesse circostanze attenuanti generiche (giudizio di equivalenza con l'aggravante di cui all'articolo 476 c.p., comma 2 e di cui all'articolo 61 c.p., n. 2). Avendo il giudice proceduto alla comparazione in termini di equivalenza tra la circostanza aggravante di cui all'articolo 476 c.p., comma 2 (ma anche la circostanza aggravante della connessione teleologica contestata in tutte le fattispecie di falso) e le circostanze attenuanti generiche, le tre fattispecie di cui ai capi B), C), D) si ponevano di conseguenza di pari gravita'. In concreto e' stata motivatamente ritenuta piu' grave la fattispecie contestata al capo B) e cioe' il falso per soppressione su cui poi operare gli aumenti per il riconosciuto vincolo della continuazione con le fattispecie di cui ai capi C) e D). Trattasi dell'applicazione del principio fissato dalle S.U. di questa Corte secondo il quale: "In tema di reato continuato, la violazione piu' grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si e' manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse". (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, Pg. In proc. Ciabotti, Rv. 255347). 5.2. Conseguentemente ai fini del computo del termine di prescrizione, correttamente la sentenza impugnata ha tenuto conto della circostanza aggravante di cui all'articolo 476, comma 2, a nulla rilevando l'intervenuto giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti. Detta interpretazione corrisponde al dettato dell'articolo 157 c.p., comma 3, che espressamente esclude l'applicabilita', ai fini del tempo necessario a prescrivere, delle disposizioni dell'articolo 69 c.p.. L'aggravante ad effetto speciale della fidefacienza non e' stata dunque mai esclusa, ma solo oggetto di bilanciamento e come tale considerata ai fini del tempo necessario a prescrivere. 6.Alla inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresi', a norma dell'articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' del ricorso stesso, nella misura di Euro tremila. Consegue altresi' la condanna dell'imputata e, in solido, della responsabile civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputata e, in solido, la responsabile civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida, per quanto concerne le parti assistite dall'avv. (OMISSIS), in complessivi Euro 6.000,00, oltre accessori di legge e, per quanto concerne la parte assistita dall'avv. (OMISSIS), in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10062 del 2021, proposto da Ni. De., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via (...); contro Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Co. dell'Avvocatura Regionale, con domicilio eletto presso la sede di questa in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Prima n. 6069/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Vista la memoria di costituzione in giudizio della Regione Campania; Vista la successiva memoria dell'appellante; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Fabrizio Di Rubbo e uditi per le parti gli avvocati Al. Tr. e Ro. Pa., su delega dichiarata dell'avvocato Ma. Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.- Con ricorso al competente T.a.r. il dott. De. ha premesso di aver partecipato al "Bando per l'ammissione al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale per il triennio 2017-2020" indetto con Decreto Dirigenziale n. 7 del 23 marzo 2017, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 26 del 27 marzo 2017, e di essere stato ammesso al Corso a seguito del superamento delle prove selettive ed inserito nella graduatoria di merito approvata con Decreto Dirigenziale n. 19 del 3 ottobre 2017, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 73 in pari data. Il ricorrente ha altresì premesso di aver superato la selezione indetta dal Ministero della Difesa in data 18 marzo 2020 per l'arruolamento per chiamata diretta nell'Esercito Italiano di n. 120 ufficiali medici e di n. 200 sottoufficiali infermieri, ai sensi dell'art. 7 d.l. 17 marzo 2020 n. 18 e della circolare ministeriale M_D GMIL REG 2020 0121283, e di aver conseguentemente sottoscritto l'atto di arruolamento col quale è stato nominato "Tenente in ferma eccezionale di anni uno, ausiliario del ruolo normale del Corpo Sanitario dell'Esercito" e di aver proposto alla Direzione Generale per la Tutela alla Salute e il coordinamento del Sistema Sanitario Regionale U.O.D. n. 10 un'istanza volta ad ottenere la sospensione individuale del succitato corso di formazione specialistica per il lasso di tempo necessario a completare la ferma nell'esercito. Ha al riguardo esposto che, con comunicazione del 30 giugno 2020, l'Amministrazione regionale preannunciava che "l'istanza di sospensione del corso non risulta ammissibile" e che "nel caso la frequenza del corso risultasse di fatto sospesa, verrà avviata la procedura di esclusione dal CFSMG per la mancata ottemperanza all'obbligo di cui alle citate norme", dando facoltà all'istante di presentare controdeduzioni ai sensi dell'art. 10 l. n. 241/1990; e che, acquisite queste ultime, la Regione gli comunicava in data 5 ottobre 2020 il provvedimento di "esclusione dalla frequenza e decadenza borsa di studio in relazione al CFSMG 2017/2020" emesso con decreto dirigenziale n. 69 del 28 settembre 2020. Di tale provvedimento il ricorrente ha chiesto l'annullamento, previa sospensione in via cautelare dei relativi effetti, per i motivi qui di seguito sintetizzati. 1. Violazione di legge (art. 24 d.lgs 368/1999, art. 878 d.lgs 66/2010, art. 11 d.m. 7 marzo 2006). Secondo il ricorrente l'esclusione era stata disposta in violazione dell'art. 24, co.5, d.lgs. 17 agosto 1999 n. 368, che disciplina gli impedimenti temporanei superiori a quaranta giorni lavorativi consecutivi per i quali è possibile accordare la sospensione del corso di formazione. Tra gli impedimenti la disposizione menziona le fattispecie di servizio militare, gravidanza e malattia, precisando che al ricorrere dell'impedimento temporaneo il periodo di formazione è sospeso, fermo restando che l'intera durata non è ridotta a causa della sospensione. Al riguardo, secondo il dott. De., la sua condizione al momento dell'istanza di sospensione del corso avrebbe dovuto esser inquadrata dall'Amministrazione, a seguito del superamento della procedura straordinaria sopra menzionata, nell'istituto della ferma eccezionale di un anno riconducibile al servizio militare. Il riferimento a quest'ultimo, presente nel citato art. 24, co. 5 d.lgs. n. 368/1999 deve secondo l'istante essere inteso, a seguito dell'abrogazione del servizio militare di leva obbligatorio, come idoneo a ricomprendere il "servizio attivo alle armi" previsto dall'art. 878 del codice dell'ordinamento militare approvato con d.lgs. n. 66/2010, che individua le categorie di personale in servizio temporaneo, precisando al comma 2 che "I militari in servizio temporaneo non sono forniti di rapporto di impiego e prestano servizio attivo in relazione alla durata della rispettiva ferma". Peraltro, la ferma sottoscritta dal ricorrente è eccezionale e temporanea, motivo per il quale non può essere assimilata ad un rapporto di lavoro, contrariamente a quanto emerge dalla lettura del punto c) delle considerazioni del provvedimento impugnato emesso dalla Regione Campania. Infine, ha aggiunto il ricorrente che i provvedimenti extra ordinem adottati nel periodo emergenziale (covid) dimostrano una generale volontà del legislatore di favorire la formazione della categoria dei medici. 2. Violazione della legge 241/1990 e in particolare dei relativi artt. 7,8 e 10-bis. Sul piano procedimentale è mancata, ad avviso del ricorrente, un'effettiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua istanza di sospensione del corso, poichè la comunicazione in concreto trasmessa non conteneva l'indicazione delle ragioni per cui l'istanza non potesse essere accolta. 3. Eccesso di potere. Nel provvedimento impugnato è mancato, secondo il ricorrente, un puntuale riferimento all'obbligo di frequenza, fondandosi piuttosto esso su una presunta incompatibilità tra lo status dell'istante a seguito dell'arruolamento e quello di borsista/corsista del Corso di formazione regionale. Al riguardo non si ravvisa alcuna correlazione tra la necessità di svolgere istruttoria circa la effettiva presenza al corso del borsista di cui alla prima comunicazione del 30 giugno 2020 e la successiva motivazione dell'impugnato Decreto Dirigenziale n. 69 del 28 settembre 2020. Si è costituita per resistere al ricorso la Regione Campania. Con ordinanza n. 2409/2020 il T.a.r. ha respinto l'istanza di sospensione degli effetti dell'atto impugnato per ritenuta assenza del fumus boni iuris del ricorso. All'esito dell'udienza pubblica del 26 maggio 2021 il ricorso è stato respinto con le seguenti motivazioni: " Con il primo motivo di ricorso, a cui si ricollega anche il terzo, parte ricorrente lamenta l'omesso riconoscimento della deroga all'obbligo di frequenza del Corso di Formazione anche al caso, in cui egli versa, dell'arruolamento temporaneo nell'esercito. La doglianza non merita positivo apprezzamento. Come evidenziato dallo stesso ricorrente, il d.lgs n. 368/1999 disciplina l'attività di medico chirurgo esercitata in qualità di dipendente e/o di libero professionista. In particolare il Titolo IV, Capo I rubricato "Formazione specifica in medicina generale" sancisce, all'art. 21, che al fine di esercitare l'attività di medico chirurgo di medicina generale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale. Per conseguire tale diploma occorre frequentare il corso di formazione specifica in medicina generale, della durata di tre anni, riservato ai laureati in medicina e chirurgia che siano altresì in possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione (art. 24 D.lgs 17 Agosto 1999 n. 368). In questo contesto il medesimo decreto legislativo all'art. 24, co. 5, prevede che: "Gli impedimenti temporanei superiori ai quaranta giorni lavorativi consecutivi per servizio militare, gravidanza e malattia, sospendono il periodo di formazione, fermo restando che l'intera sua durata non è ridotta a causa delle suddette sospensioni. Restano ferme le disposizioni in materia di tutela della gravidanza di cui alla legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, nonché quelle sull'adempimento del servizio militare di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, e successive modificazioni". Tra gli impedimenti all'obbligo di frequenza contemplati dalla disposizione appena menzionata, vi è anche il servizio militare nell'ambito del quale parte ricorrente lamenta che la Regione avrebbe dovuto far rientrare anche la propria condizione. In particolare il sig. De. afferma che dopo l'abolizione del servizio militare obbligatorio di leva, la disposizione appena citata debba essere intesa nel senso di ricomprendere anche la ferma temporanea fondata sull'arruolamento volontario, in quanto la disposizione andrebbe riletta nel nuovo contesto normativo. Rileva in contrario il Collegio che l'abrogazione del servizio di leva obbligatorio con il d.lgs. n. 66/2010 (codice dell'ordinamento militare) non può comportare l'estensione della deroga in questione anche all'arruolamento volontario, atteso che l'art. 24 del d.lgs. n. 368/1999 ha introdotto una serie tassativa di deroghe all'obbligo di frequenza che escludono una diretta volontà dell'interessato (salva la specifica considerazione riconosciuta allo stato di gravidanza). Ne consegue che il riferimento al "servizio militare", quale causa giustificativa della sospensione dell'obbligo di frequenza, debba essere riferita alla configurazione originaria della leva quale ferma obbligatoria a cui espressamente si riferiva il predetto art. 24, co. 5, d.lgs. n. 368/1999 e che non può quindi ora ricomprendere rapporti con l'Amministrazione della difesa fondate sulla sottoscrizione volontaria della ferma. Diversamente argomentando, l'assunzione di incarichi volontari nell'ambito delle Forze Armate comporterebbe invariabilmente l'applicazione della deroga in questione, istituendo una sorta di privilegio per i militari di professione, anche se in ferma temporanea, che realizzerebbe una disparità con altri incarichi lavorativi nel settore privato e pubblico e che estenderebbe la disposizione in discorso ben oltre la sua ratio. Costituisce, inoltre, una irrilevante "inversione logica" la deduzione che il provvedimento gravato si fonderebbe su di una pretesa incompatibilità del contenuto dell'incarico assunto dal dott. De. nelle Forze Armate con quello di partecipante al Corso di formazione, atteso che negli atti dell'Amministrazione regionale si afferma chiaramente che l'istanza non potesse essere ammessa, in quanto l'arruolamento comporterebbe la violazione dell'obbligo di frequenza proprio in dipendenza dell'espletamento a tempo pieno delle mansioni connesse all'arruolamento. La circostanza addotta da parte ricorrente, secondo cui l'arruolamento non potrebbe essere sospeso in dipendenza dell'espletamento del Corso di formazione costituisce un fattore che evidentemente esula dall'oggetto del presente giudizio, in quanto relativa al rapporto con altra Amministrazione che non è nemmeno parte del presente procedimento. Priva di basi è, poi, la pretesa al riconoscimento della deroga fondata su un assunto favor per l'attività medica insita nella legislazione adottata nel presente periodo emergenziale che, tuttavia, non trova alcuna specifica base normativa e che parte ricorrente si limita genericamente ad invocare. Quanto alla pretesa asimmetria tra i motivi rappresentati con la nota del 30 giugno e le ragioni indicate nel provvedimento espulsivo, a fondamento dell'ulteriore profilo di censura, essa non trova riscontro, atteso che in entrambi gli atti l'Amministrazione regionale espressamente contesta al dott. De. la violazione dell'obbligo di frequenza che deriva dall'arruolamento volontario. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta che la nota che la Regione gli ha trasmesso del 30 giugno 2020 non sarebbe qualificabile come comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, in quanto sprovvista, oltre che di alcuni elementi (quali l'indicazione del responsabile del procedimento, della data di conclusione del procedimento e dell'ufficio presso cui prendere visione degli atti) anche dell'indicazione dei motivi ostativi. Anche tale motivo è infondato. Deve rilevarsi che risulta agli atti che il contraddittorio con il ricorrente è stato regolarmente instaurato, come dimostrano le deduzioni che il dott. De. ha puntualmente trasmesso per il tramite del proprio difensore con nota dell'8 luglio 2020, sicchè le omissioni denunciate da parte ricorrente non hanno impedito al dott. De. di formulare le proprie osservazioni alla comunicazione preventiva trasmessa dalla Regione. Quanto al contenuto della nota del 30 giugno, con la quale si dava termine al ricorrente per formulare le deduzioni, essa riportava, sia pure sinteticamente, le ragioni sulle quali si fondava il preannunciato diniego e l'avvio del procedimento di esclusione, evidenziando espressamente che l'Amministrazione ravvisava la violazione dell'obbligo di frequenza del Corso di formazione, non ritenendo applicabile la deroga invocata da parte attrice. (...)" . Il ricorrente ha proposto rituale appello avverso tale decisione. Con un primo motivo ha reiterato, in forma di gravame, le censure di violazione degli artt. 7 e 10 bis l. 241/1990, lamentando anche la parziale omessa motivazione del T.a.r. al riguardo. Col secondo motivo d'appello il ricorrente ha riproposto il primo (e principale) motivo dell'originario ricorso, laddove il dott. De. denunziava l'illegittimità del provvedimento di diniego e di espulsione dal corso a causa dell'errata qualificazione del rapporto giuridico insorto col Ministero della Difesa in occasione dell'arruolamento del 30.5.2020. Nel terzo ed ultimo motivo di gravame - che riprende i contenuti del terzo motivo dell'originario ricorso - l'appellante torna a denunziare per eccesso di potere la " (...) mancata correlazione tra la statuizione in ordine alla necessità di svolgere istruttoria (di cui alla nota in precedenza inoltrata dalla p.a., n. d.e.) e quella di inammissibilità dell'istanza di sospensione formulata dal De..", assumendo che " La stessa ha reso il provvedimento illogico e, dunque, viziato" . Torna infine a censurare, anche per omesso esame del punto da parte del T.a.r., la disposta decadenza dal corso e dalla borsa di studio, allegando che le uniche norme richiamate dalla p.a. a supporto della decisione non disciplinano l'aspetto decadenziale. Si è costituita con memoria la Regione appellata, chiedendo il rigetto dell'appello per il non ricorrere nel caso di specie di alcuna delle ipotesi di sospensione del corso previste dall'apposita normativa, oltre che per il ritenuto rispetto delle garanzie procedimentali dell'istante. E' seguito il deposito di una memoria ex art. 73 c.p.a. di parte appellante, che ha ivi ribadito le proprie tesi, replicando alle difese avversarie in punto di ratio della normativa in questione. All'udienza pubblica del 30 marzo 2023 la causa è passata in decisione. 2. Il Collegio ritiene infondato l'appello proposto, per quanto segue. 2.1 Quanto al primo motivo di gravame, sulla pretesa violazione dell'art. 7 l. 241/1990 l'appellante allega (cfr. pagg. 4 e s. dell'atto d'appello) che " (...) Ove la P.A. avesse correttamente comunicato l'avvio del procedimento, qualificando la comunicazione come tale, avrebbe dovuto indicare tutti gli elementi di cui agli art. 7 e 8 della legge 241/1990. Conseguentemente il De. avrebbe avuto la possibilità di esercitare i diritti riconosciuti al privato istante, ivi inclusa la possibilità di prendere visione degli atti presso l'Ufficio responsabile del procedimento e di conoscere la data entro la quale lo stesso avrebbe dovuto concludersi (cfr. articoli 7-8 legge 241/1990). (...) Sul punto è opportuno sottolineare che la nota trasmessa dalla Regione Campania in data 30.6.2020 non può in alcun modo essere qualificata come comunicazione di avvio del procedimento, difettando la stessa degli elementi essenziali previsti dalla legge per tale atto." . Quanto poi alla denunziata violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990, l'appellante lamenta in primis che la nota della Regione sopra citata faceva testuale riferimento all'art. 10 e non all'art. 10 bis della legge n. 241/1990 e, sul piano sostanziale, che da essa non fossero evincibili le ragioni del preannunziato diniego, ivi limitandosi la Regione ad affermare che "l'istanza di sospensione del corso non risulta ammissibile". Censura inoltre l'omessa considerazione, nel provvedimento finale, della memoria difensiva trasmessa ai sensi dell'art. 10 l. 241/1990 a seguito della predetta nota regionale. 2.1.1 Tali descritte censure sono anzitutto infondate laddove denunziano l'omessa comunicazione di avvio dello specifico procedimento originato dall'istanza di sospensione della frequenza del corso, nonostante tale evenienza si sia effettivamente verificata e pur risultando inapplicabile la prima parte del secondo comma dell'art. 21 octies l. 241/1990, poichè il vizio è comunque irrilevante in base a quanto disposto nella seconda parte del comma menzionato. In ordine alla prima delle due disposizioni citate, pur versandosi qui in tema di provvedimento vincolato in diritto (giacchè, comunque si interpreti la normativa, essa contempla una casistica ben determinata che non lascia spazio alla discrezionalità ), non può a rigore dirsi "palese", come ulteriormente richiesto dalla legge, che il contenuto provvedimentale "non avrebbe potuto esser diverso da quello in concreto adottato". Tale conclusione è indirettamente attestata dalla materia del contendere della presente causa, incentrata proprio sull'interpretazione dell'art. 24, comma 5, d.lgs. 368/1999 quale addotta ragione (alla stregua di un'interpretazione analogica) di sospensione dell'obbligo di frequenza del corso: tesi che infra risulterà bensì infondata, ma non "manifestamente" tale, di guisa da integrare la fattispecie citata. Tuttavia, ai sensi della seconda disposizione summenzionata - applicabile anche ai provvedimenti discrezionali e, a fortiori, a quelli vincolati per cui sia inoperante la precedente norma - il provvedimento "non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Proprio ciò è avvenuto nel caso specifico, vista l'intepretazione letterale delle cause legali di sospensione del corso resa dall'Amministrazione sia in sede procedimentale che nel successivo processo. Una siffatta lettura delle cause di sospensione non sarebbe di certo mutata qualora fosse stata inoltrata all'istante la comunicazione d'avvio del procedimento (di cui comunque il ricorrente era già a conoscenza, per esser stato avviato su propria istanza), anche considerato che è pur sempre intervenuta l'interlocuzione procedimentale di cui si dirà tra poco, senza che ciò abbia influito sull'opinione dell'Amministrazione. 2.1.2 Va invece partitamente osservato che una comunicazione d'avvio del procedimento è identificabile in quella del 30 giugno 2020, inoltrata dalla Regione, con riguardo al connesso provvedimento espulsivo, poi emesso contestualmente al rigetto dell'istanza di sospensione, ove per l'appunto si preannunciava al ricorrente "(...) (ex art. 7, l. 241/90) che nel caso la frequenza del corso risultasse di fatto sospesa, verrà avviata la procedura di esclusione dal CFSMG per la mancata ottemperanza all'obbligo di cui alle citate norme". Non rilevano, a sostegno dell'opposta conclusione, le carenze formali di tale comunicazione denunziate dal ricorrente: sia perché notoriamente irrilevanti allorquando non abbiano cagionato un pregiudizio effettivo, nella specie indimostrato, posto che il ricorrente è stato messo in condizione di presentare una puntuale replica in sede procedimentale; sia, e in ogni caso, per l'applicabilità a fortiori a dette irregolarità (essendo la comunicazione in tal caso presente) della citata seconda parte del secondo comma dell'art. 21 octies cit., per ragioni simili a quelle suesposte (l'esclusione è provvedimento diverso dal rigetto dell'istanza di sospensione del corso, ma entrambe le decisioni amministrative si fondano sull'interpretazione della normativa addotta nell'unitario provvedimento, in uno, quanto alla prima, all'accertamento dell'avvenuta interruzione della frequenza del corso). 2.1.3 Quanto all'ulteriore censura riproposta nel motivo d'appello in esame - compendiantesi nell'asserita insufficienza dei contenuti del "preavviso di rigetto" inoltrato dalla Regione (nel contesto della citata comunicazione) ov'esso asseriva che "l'istanza di sospensione del corso non risulta ammissibile", oltrechè nel suo vizio rappresentato dal formale richiamo all'art. 10 anziché all'art. 10 bis della l. 241/1990 -, trattasi sul primo punto di critica correttamente respinta dalla sentenza impugnata nel rilevare che dalla nota regionale si evinceva in buona sostanza "che l'Amministrazione ravvisava la violazione dell'obbligo di frequenza del Corso di formazione, non ritenendo applicabile la deroga invocata da parte attrice", e sul secondo punto di un vizio formale del tutto irrilevante. Entrambe tali conclusioni sono avallate, del resto, dai contenuti della replica presentata dall'interessato in sede procedimentale (presente agli atti del primo grado), che ribadiva nel punto saliente la tesi per cui " (...) il richiamo al "servizio militare", operato dal D.lgs. 368/1999, art 24 co-5 deve essere oggi interpretato non già alla luce della Legge 958/1986 ma, in conformità al D.lgs 66/2010, che ha abrogato la disciplina previgente, quale richiamo al "servizio attivo alle armi", posizione in cui si trova, per i motivi anzidetti, il Ten. Dott. Ni. De.. Conseguentemente, non si ritiene in alcun modo applicabile al caso di specie quanto previsto dall'art. 11 del D.M. 7 Marzo 2006 in tema di espulsione del medico tirocinante dal corso (...)" . In tal modo l'odierno appellante ha dimostrato di avere perfettamente inteso l'interpretazione letterale del comma 5 cit. seguita dall'Amministrazione e le sue conseguenze in punto di rigetto dell'istanza e di espulsione dal corso, anche in base all'ulteriore norma dal medesimo citata. 2.1.4 Inoltre, la motivata tesi seguita dalla p.a. comporta il necessario rigetto, implicito ma chiaro, delle osservazioni critiche presentate dall'interessato, di cui il provvedimento dà atto, senza incorrere in alcuna violazione procedimentale neppure sotto tale profilo. 2.1.5 In definitiva, deve ritenersi che con la citata comunicazione del 30 giugno 2020 la Regione abbia, al contempo, validamente adempiuto sia all'obbligo d'inoltro del "preavviso" ex art. 10 bis l. 241/1990 relativo al procedimento avviato su istanza del ricorrente, sia a quello di comunicazione ex art. 7 l. 241/1990 d'avvio del procedimento teso all'espulsione dal corso, anche considerata l'evidente connessione logica e materiale tra i due procedimenti (l'istante ha pressochè contemporaneamente interrotto la frequenza e chiestane la sospensione); e che tutte le formali carenze denunziate (compresa quella di una distinta comunicazione d'avvio del procedimento ad istanza di parte) non abbiano rilievo, per tutte le rispettive ragioni evidenziate, ai fini dell'annullamento del provvedimento impugnato. 2.2 Deve ora passarsi allo scrutinio del secondo motivo d'appello. Con esso, in primo luogo, il ricorrente torna a denunziare, anche per asserita omessa motivazione in sentenza, la violazione degli artt. 24, comma 4, d.lgs. 368/1999 e 11, comma 6, d.m. "Salute" 7 marzo 2006, entrambi richiamati nel punto c) del provvedimento impugnato, in quanto norme facenti esplicito riferimento a "un rapporto di pubblico impiego" (ai fini della messa in aspettativa del medico in formazione nell'ambito dello stesso) non presente nel caso specifico, come attestato dalla lettura dell'atto d'arruolamento, della circolare che aveva indetta la relativa procedura e dal decreto del Ministero della Salute del 29.10.2021 che di tali procedure faceva menzione nel richiamare la relativa normativa emergenziale. Quanto poi al successivo comma 5 del medesimo art. 24 d.lgs. cit. (il cui contenuto è supra citato), ritenuto dal provvedimento e dal T.a.r. ostativo all'istanza del ricorrente, quest'ultimo allega che la propria opposta tesi volta all'estensione in via analogica della disposizione " (...) è l'unica interpretazione che evita di rendere la norma (ancora vigente) inutile" e che " La distinzione tra servizio "volontario" e "non volontario" è, inoltre, frutto di una valutazione interpretativa del TAR e non trova riscontro nella legislazione vigente né in quella abrogata." ; torna poi a sostenere sul piano comparativo, richiamando documenti allegati in primo grado, che " (...) ai medici di medicina generale, in ragione dell'attività prestata per il periodo emergenziale, non solo sono state computate le ore lavorative nel calcolo di quelle necessarie al conseguimento del titolo, ma costoro non sono stati neppure costretti a sospendere formalmente il corso, continuando a percepire perfino la borsa di studio prevista dal bando in aggiunta agli emolumenti per le attività lavorative emergenziali." ; richiama infine il recente favor del legislatore nel disciplinare le prove d'accesso al corso in questione ed evidenzia l'assenza di controinteressati rispetto all'impugnata esclusione e, per conseguenza, di beneficiari della stessa (cfr. pagg. 13 e ss. dell'atto d'appello). 2.2.1 Il Collegio ritiene, anzitutto, che in presenza di una norma speciale volta a disciplinare la fattispecie di causa l'attenzione debba essere rivolta alla stessa. Per contro, non può attribuirsi decisiva importanza ad altri interventi normativi o amministrativi, di tipo emergenziale (covid) o meno, addotti dal ricorrente con dati e argomenti poi "arricchiti" nell'appello e nella successiva memoria, prescindendosi qui dai relativi profili d'ammissibilità (così l'originario ricorso, pag. 10: " è stato chiarito dal Ministero della Salute che le ore svolte dal 31 gennaio 2020 al 31 luglio 2020 nell'ambito dei settori della medicina generale devono essere computate ai fini del monte ore complessivo del corso di formazione specifica in medicina generale." ). Trattasi infatti, in ogni caso, di normative non direttamente riconnesse né riconducibili all'autonoma disciplina applicabile, con conseguente irrilevanza anche della natura e dall'entità dei "vantaggi" ricavati dai destinatari di tali diversi interventi, pure evidenziati dall'appellante. Del pari, non ha rilievo (al di là della novità, anche qui, dell'argomentazione) che " alla esclusione del candidato De. non è seguito alcuno scorrimento o sostituzione con altri candidati (...)" (cfr. pag. 15 dell'atto d'appello), essendo la p.a. tenuta al rispetto della legge indipendentemente dalla presenza di controinteressati. 2.2.2 Ciò chiarito, merita condivisione il fondamentale assunto della sentenza impugnata secondo cui "l'art. 24 (...) ha introdotto una serie tassativa di deroghe all'obbligo di frequenza che escludono una diretta volontà dell'interessato" e "non può quindi ora ricomprendere rapporti con l'Amministrazione della difesa fondate sulla sottoscrizione volontaria della ferma". Sul punto, va rilevato che quest'ultima evenienza (la ferma volontaria) diverge senza dubbio dall'espletamento in via obbligatoria del servizio militare, cui la norma ha esclusivo riguardo; e poco importa che tale obbligo sia stato medio tempore abrogato, ciò comportando (solo) il venir meno di una delle cause di legittima sospensione del corso, senza implicare la necessità di "trovare" alla previsione in questione un nuovo ambito applicativo. Sul piano letterale è pertanto indiscutibile che il comma 5 dell'art. 24 cit. - rimasto immutato negli anni, nonostante l'abrogazione del servizio di leva obbligatorio - abbia un contenuto non riconducibile a quello della situazione in cui versa il ricorrente. Neppure il criterio interpretativo basato sull'intenzione del legislatore (art. 12, comma 1, disposizioni sulla legge in generale) induce ad avallare l'interpretazione analogica addotta dall'appellante, volta a ricomprendere la ferma volontaria nel servizio militare. Anzitutto il ricorso all'analogia presuppone una lacuna legislativa da colmare (concetto ben espresso dall'art. 12, comma 2, disposizioni cit.), mentre nel caso di specie nessuna lacuna in senso tecnico (intesa come evenienza non disciplinata) sussiste: ben potendosi concludere che le cause di sospensione del corso in parola, tolto il servizio militare obbligatorio ormai abrogato, siano attualmente soltanto le altre previste in via espressa, vigendo per il resto l'onere di frequenza dello stesso corso. Del resto, a riprova di quanto sopra, le leggi "(...) che fanno eccezione a regole generali (...) non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati" (art. 14 delle citate "preleggi"). Nella fattispecie, la "regola" è nel senso della frequentazione del corso; l'eccezione è la sospensione dell'obbligo di frequentarlo. Essendo quest'ultima disciplinata dal comma 5 dell'art. 24 cit., tale norma è refrattaria all'interpretazione analogica in base all'espresso disposto normativo citato, la cui primaria ratio non fa che ricalcare quel che si è osservato: al cospetto di una regola generale, che non presenta lacune, la relativa eccezione non va oltre quanto espressamente disciplinato. Anche, poi, a voler prescindere da tali rigorose osservazioni, come ben rilevato dal T.a.r., ciò che accomuna le ipotesi legislative di sospensione del corso è l'indipendenza dalla volontà dell'interessato (considerazione valida anche per lo stato di gravidanza, quale particolare condizione attinente alla salute non necessariamente riconducibile a precisa volontà ), e tale ratio non ricorre nella situazione propria dell'appellante, indubbiamente volontaria. 2.2.3 Prive di decisivo rilievo sono poi le censure dirette verso il punto "c)" della motivazione del provvedimento impugnato, ove si legge che: " (...) inoltre, per militari in ferma permanente la cui posizione può essere equiparata per analogia a quella dell'interessato, il Ministero della Salute a seguito specifica richiesta - con nota prot. DGPROF/4/I.5f.b./2016/47 del 03/04/2018 - ha fornito parere in merito ribadendo che: "coloro che svolgono attività professionale dipendente, dovranno essere autorizzati espressamente dall'Amministrazione di appartenenza e collocati in posizione di aspettativa senza assegni, ai sensi di quanto stabilito art. 24, comma 4 del D.lgs. 368/99, nonché dall'art. 11, comma 6 del D.M. 7 marzo 2006"" . Vero è che tali norme addotte dal provvedimento non sono dirimenti (attenendo all'eventuale messa in aspettativa nell'ambito di rapporti di lavoro "incompatibili" col corso de quo) e che ne appare incerta l'applicabilità al ricorrente (il quale sin dal primo grado ha richiamato la circolare relativa al reclutamento cui egli ha partecipato, ove all'art. 4 punto c) chiarisce che "Il personale arruolato non è fornito di rapporto di impiego e presta servizio attivo per la durata della ferma"); ma è altrettanto vero che trattasi di mera argomentazione "di rinforzo" presente nell'atto (come reso evidente anche dal suo incipit: "inoltre"), la cui fondamentale motivazione va piuttosto rinvenuta nel disposto del successivo comma 5 dello stesso articolo 24 cit. (come risulta dai punti "a)" e "b)" precedenti quello summenzionato). Ne consegue l'irrilevanza dell'eventuale inconferenza dell'argomentazione censurata, dovendosi richiamare il consolidato principio logico secondo cui, in caso di più autonome motivazioni poste a sostegno del provvedimento, è necessaria la vittoriosa censura di tutte ai fini del suo annullamento. 2.3 Il terzo motivo d'appello - i cui contenuti si trovano supra riepilogati - non merita miglior sorte. 2.3.1 Quanto alla pretesa incongruenza tra l'attività istruttoria adombrata nella nota regionale del 30 giugno 2020 e le motivazioni del provvedimento finale, premesso che un'esatta specularità dei contenuti dell'atto endoprocedimentale rispetto a quelli del provvedimento finale non è imposta da alcuna norma (stante anche la rispettiva diversa funzione), va rilevato, sotto il dedotto profilo di eccesso di potere, che la decisione finale di escludere l'istante per omessa frequenza del corso era stata espressamente preannunziata nella nota citata (poco rilevando il suo ulteriore contenuto), cosicchè nessuna decisiva contraddizione sussiste tra i due atti. Del pari e per ragioni simili, con riguardo al connesso procedimento avviato su istanza di parte cui la censura fa riferimento, la p.a. ha rispettato il divieto di introdurre nella decisione sfavorevole motivazioni diverse da quelle evincibili dal "preavviso" di rigetto presente nella medesima nota, che risulta anche in tal caso coerente col provvedimento finale. 2.3.2 Quanto infine al fondamento normativo - contestato sotto il profilo dell'eccesso di potere anziché per violazione di legge, con errore emendabile ex officio per esser comunque la censura chiara - della decadenza dal corso e dalla borsa di studio, i riferimenti addotti dall'Amministrazione nel "(...) procedere alla esclusione dalla frequenza del Corso di Formazione Specifica in Medicina generale 2017/2020, ed alla contestuale decadenza dalla borsa di studio dal 31.05.2020, ai sensi del combinato disposto dall'art. 24, D.lgs. 368/1999, nonché dall'art. 11, del D.M. Salute 7 Marzo 2006, del medico borsista dr. Ni. De." (così il provvedimento impugnato) sono pertinenti. Si legge infatti all'art. 11, comma 1, d.m. cit. che: "Il corso è strutturato a tempo pieno. La formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata De.. Conseguentemente, è inibito al medico in formazione l'esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo (...)"; ed al successivo comma 4 che "In presenza di accertata incompatibilità ne consegue l'espulsione del medico tirocinante dal corso." Inoltre, come appurato, la causa di sospensione ai sensi dell'art. 24 d.lgs. 368/1999 invocata dal ricorrente non si attaglia al suo caso. Dal complesso di tutte queste previsioni emerge la logica conseguenza della decadenza dal corso (e dalla relativa borsa di studio) dell'iscritto che smetta di frequentarlo ("a far data dal 01/06/2020": cfr. provvedimento impugnato, circostanza incontestata) per via di altro impegno materialmente incompatibile, tanto da avere originato l'istanza per cui è causa. 2.4. Ogni ulteriore censura od argomentazione dell'appellante è assorbita o comunque respinta. Le spese relative al presente grado d'appello vanno compensate, per il peculiare carattere delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Fabrizio Di Rubbo - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7871 del 2022, proposto dall'Azienda Sanitaria Locale di Teramo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Di Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la signora Al. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato St. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti del signor Lu. Pa. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo - sede di L'Aquila n. 354/2022, resa tra le parti nel ricorso per l'annullamento della deliberazione n. 970 del 24 maggio 2022, pubblicata il 25 maggio 2022, avente ad oggetto "Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di n. 90 Cps - Infermieri (cat. D) indetto con deliberazione n. 1965 del 9/12/2020 (CODICE CONCORSO C22). Approvazione graduatoria"; nonché di ogni altro atto prodromico, contestuale, connesso, conseguente o successivo. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora Al. Ca.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2023 il Cons. Antonella De Miro e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-L'A.s.l. di Teramo, odierna appellante, con deliberazione n. 1965 del 9 dicembre 2020 bandiva il concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di n. 90 Collaboratore Professionali Sanitari - Infermieri cat. D. 2.-In data 19 ottobre 2021 l'Amministrazione comunicava ai concorrenti, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, che le tre prove previste dal bando erano state sostituite con un'unica prova. 3.-Il punteggio massimo attribuibile alla succitata prova unica era pari a 70 punti (la sommatoria delle prove scritta, pratica ed orale) e il superamento della stessa era subordinato al raggiungimento di una valutazione di sufficienza espressa in termini numerici di 49/70. 4.-Il 25 febbraio 2022 sul sito aziendale veniva pubblicato l'esito della prova unica della procedura concorsuale de quo, che l'odierna appellata non superava in quanto il suo punteggio era risultato insufficiente. 5.-Con deliberazione n. 970 del 24 maggio 2022, pubblicata il 25 maggio 2022, veniva approvata la graduatoria finale, con la quale si eseguivano anche talune sentenze del giudice di prime cure abruzzese, con le quali erano stati accolti parzialmente alcuni ricorsi sul presupposto della fondatezza delle censure mosse in relazione alla correttezza ed erronea valutazione da parte della P.A. procedente di alcuni quesiti sottoposti ai candidati che avevano partecipato alla procedura concorsuale. 6.-Avverso tale deliberazione l'appellata proponeva ricorso al TAR di L'Aquila, che lo accoglieva con la sentenza oggetto del presente gravame proposto dall'Amministrazione, la quale deduce: I-Errores in procedendo. In via preliminare inammissibilità e/o improcedibilità e/o irricevibilità del ricorso per impugnazione tardiva dei verbali n. 11 e 13 del 21 febbraio 2022 e dell'esito della prova svolta a novembre 2021 pubblicata sul sito internet aziendale, violazione degli articoli 29, 41 del c.p.a. In particolare, l'Asl di Teramo contesta il rigetto dell'eccezione di tardività del ricorso sollevata dall'Ente in primo grado, avendo l'odierna appellata proposto ricorso soltanto nel luglio 2022 nonostante avesse avuto la piena conoscenza del non superamento della prova e del non inserimento nella graduatoria di merito a seguito di pubblicazione dell'esito della prova concorsuale sul sito internet aziendale nel mese di febbraio 2022. L'appellante richiama a riguardo l'orientamento secondo il quale, se è vero che nei concorsi a pubblico impiego vale il principio secondo cui il termine d'impugnazione decorre dalla data di pubblicazione della graduatoria, tuttavia tale principio subisce un adattamento nel caso di giudizi negativi delle prove orali o pratiche (in tal senso, vengono richiamate Cons. Stato, V, n. 3829/2019, e TAR Molise, n. 16/2008). Ritiene pure che la piena conoscenza dei provvedimenti impugnati si possa desumere anche da un insieme di circostanze, come il numeroso contenzioso in essere. II.-Errores in iudicando- Errata formulazione dei quesiti, macroscopico errore, previsione di più risposte esatte per singolo quesito, violazione di legge, in particolare del d.PR 487/94, del d.l.. 44 del 1 aprile 2021 conv. in legge n. 76/2021 e del d.PR n. 220/20, di cui al bando di concorso e delle disposizioni contenute nel diario della prova unica scritta di concorso pubblico (anche nella parte in cui è stabilito che "Il superamento stessa è subordinato al raggiungimento di una valutazione di sufficienza espressa in termini numerici di almeno 49/70"; violazione ed errata applicazione dell'art. 35 comma 3 lett. a) e b) del d.lgs 30 marzo 2001 n. 165; eccesso di potere nei suoi caratteri tipici della arbitrarietà, illogicità, incoerenza ed irragionevolezza della azione amministrativa; violazione dei principi di uguaglianza, buon andamento, ed imparzialità della P.A. di cui agli artt. 3 e 97 Cost.; eccesso di potere per travisamento; contraddittorietà dell'azione amministrativa; violazione del generale principio di affidamento al corretto svolgimento delle prove concorsuali; violazione della par condicio tra i candidati. In particolare, con un primo motivo di ricorso l'Ente censura la sentenza avversata sul presupposto di una pronuncia precedente che richiama espressamente, tenuto conto che la decisione giurisdizionale ha efficacia solo nei confronti delle parti del giudizio in forza del principio di cui all'articolo 2909 c.c.. Con il secondo motivo di ricorso, in merito alla formulazione del quesito n. 25 e delle relative risposte, l'Ente ritiene che la risposta scelta dall'Amministrazione sia più specifica e maggiormente ancorata al dato normativo e fattuale, precisando a riguardo che il significato di un quesito vada ricercato sia nel suo tenore complessivo, sia in ciascuno dei suoi elementi, incluse le diverse soluzioni proposte, di cui solo una deve presumersi corretta, secondo una operazione esegetica che costituisce legittima parte integrante dell'impegno richiesto per risolvere il quesito stesso, con specifico riferimento alla capacità di valutazione critica del candidato. Richiama pure la giurisprudenza favorevole a questa interpretazione, secondo cui, in sede di prova concorsuale condotta alla stregua dei quiz a risposta multipla, la presenza di "quesito non perfettamente formulato e/o di risposte che potrebbero astrattamente considerarsi esatte a seconda della diversa impostazione scientifica prescelta non inficiano la correttezza della prova, essendo onere dei candidati quello di sforzarsi di individuare la migliore delle opzioni proposte, scartando quelle che appaiano meno "centrate" e/o correttamente esposte e/o meno precise" (così, ex multis TAR Puglia, I, n. 861/2021). 7.-Le parti hanno presentato memorie. 8.-All'udienza del 23 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-In primis, si procede a scrutinare l'eccezione di inammissibilità dedotta dall'appellante per tardività del ricorso. 2.-La stessa è infondata. 3.-Secondo i consolidati principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: a) in linea generale, l'atto finale di qualsivoglia procedura comparativa non costituisce atto meramente confermativo di quelli antecedentemente emanati ma esprime la volontà provvedimentale definitiva dell'Amministrazione e presuppone, quindi, l'approvazione di quelli precedenti; b) tale assunto riposa sulle seguenti decisive considerazioni: I) l'onere di impugnare la lex specialis di una procedura competitiva entro il termine decadenziale sussiste esclusivamente nei riguardi delle clausole relative ai requisiti soggettivi di partecipazione che, determinando una lesione attuale, precludono in modo discriminatorio la possibilità di partecipare alla selezione medesima; II) se un provvedimento della complessa sequenza incide in modo diretto, immediato e concreto sulla posizione giuridica di un concorrente o candidato, comprimendogli o disconoscendogli diritti o altre utilità di cui è titolare (come nel caso del provvedimento di esclusione), il termine per l'impugnazione decorre dalla sua conoscenza che, in difetto di formale comunicazione, avviene nel momento della piena percezione dei suoi contenuti essenziali (autorità emanante, data, contenuto dispositivo ed effetto lesivo), senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione, rilevante, invece, ai fini della proposizione dei motivi aggiunti; c) più in particolare, in materia di pubblico impiego: I) il termine per impugnare gli atti di concorso decorre dalla data in cui l'interessato ha notizia del risultato del concorso stesso, mediante la deliberazione con la quale gli atti concorsuali vengono approvati, facendosi sovente anche luogo alla nomina dei vincitori, poiché tale deliberazione rende l'atto perfetto ed efficace e, quindi, idoneo a produrre una concreta lesione della sfera soggettiva del ricorrente; II) il giudizio negativo di una prova, che esclude il candidato dalla possibilità di utile inserimento in graduatoria, costituisce l'atto conclusivo e lesivo per l'interessato, con la conseguenza che il termine per l'impugnazione decorre dalla data della effettiva conoscenza (ad esempio seduta d'esame con affissione dei risultati, comunicazione esiti prova pratica o scritta). 4.-Nel caso di specie, si osserva che il bando di concorso per l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di n. 90 Collaboratori Professionali Sanitari - Infermieri cat. D (CODICE CONCORSO C22), all'art. 11, "Graduatorie", nel dichiarare escluso dalla graduatoria il candidato che non abbia conseguito la sufficienza in ciascuna delle prove di esame, nulla precisa in ordine alla graduatoria di una pubblicazione provvisoria, specificando invece che "La graduatoria finale di merito è immediatamente efficace e sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo. La graduatoria sarà utilizzata con le modalità e nei limiti temporali imposti dalle leggi vigenti in materia. La graduatoria, entro il suo periodo di validità, è utilizzata, altresì, per l'assunzione a tempo determinato." Pertanto, la pubblicazione dell'esito delle prove di esame sul sito aziendale dell'Ente con conseguente esclusione dalla graduatoria del candidato che non l'ha superata non equivale ad un provvedimento che esprime la volontà ultima dell'Amministrazione, immediatamente lesivo del bene della vita del predetto candidato, e comunque non era opponibile ai candidati, i quali non erano tenuti a seguire con diligenza detta forma di comunicazione. Ne discende che il dies a quo per l'impugnazione delle risultanze del predetto concorso a pubblico impiego non può che decorrere dalla data di pubblicazione del provvedimento di approvazione della graduatoria sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo, che, nello specifico contesto concorsuale, " segna il momento in cui il privato conosce la lesione inferta dall'atto e gli elementi essenziali del medesimo a prescindere dalla completa cognizione dei vizi da cui lo stesso è affetto" (cfr. Cons. Stato, V, n. 8554/2022; VI, n. 2565/2016; II, n. 8578/2021). Né è condivisibile l'ipotesi dell'appellante secondo cui la Dr.ssa Ca. "non poteva non sapere" della sua "bocciatura" nel febbraio 2022 stante "il numeroso contenzioso, la semplificazione della procedura, la procedura concorsuale aggregata su base regionale, l'elevato numero dei partecipanti". Si tratta, infatti, di mere supposizioni non suffragate da alcun elemento di prova. 5.-Nel merito il ricorso è infondato. 6.-Il primo motivo di appello riguarda l'invocata inutilizzabilità del giudicato inter alios sulla correttezza delle risposte al quesito n. 25. Tuttavia, si tratta di censura inconferente perché il Giudice di prime cure, lungi dall'estendere gli effetti di una precedente pronuncia del medesimo TAR Abruzzo alla appellata, ha motivato le ragioni dell'accoglimento dell'appello sulla correttezza della risposta della candidata per relationem, cioè secondo le considerazioni già espresse in altra sentenza, appositamente richiamata, pienamente identificabile ed accessibile alle parti. 7.-Anche il secondo profilo di censura è infondato. La domanda n. 25, così formulata: "Secondo la legge 1 febbraio 2006 n. 43. l'aggiornamento professionale avviene con modalità a) facoltative; b) identiche a quelle mediche; c) obbligatorie", presenta due risposte corrette, quella prescelta dall'Amministrazione e quella data dall'appellata, dal momento che non può mettersi in dubbio che l'aggiornamento professionale, oltre a dover avvenire con modalità identiche a quelle mediche (risposta considerata esatta dalla Commissione di concorso), sia pure obbligatorio (risposta scelta dalla candidata Ca.). Secondo la giurisprudenza, ogni quiz a risposta multipla deve prevedere con certezza una risposta univocamente esatta per evitare una valutazione dei candidati in violazione del principio della par condicio desumibile dall'art. 97 Cost. (cfr. Cons. St., V, n. 3060/2015; II, n. 5820/2022); sicché, in presenza di quesiti a risposta multipla, una volta posta la domanda non può ricondursi alla esclusiva discrezionalità tecnica dell'ente l'individuazione del contenuto coerente ed esatto della risposta (cfr., Cons. Stato, III, n. 158/2021). Siffatta mancanza di chiarezza a monte, nella formulazione del quesito, pertanto, non consente di farne derivare a valle, nella valutazione delle risposte, la presenza di una sola risposta esatta e comunque la possibilità di considerare errata la risposta fornita dal candidato solo perché diversa da quella prescelta dall'Amministrazione. Ne discende che, avendo il quesito n. 25 due risposte non erronee - e non avendo, peraltro, l'Amministrazione ritenuto di annullare o comunque neutralizzare il quesito - entrambe devono considerarsi utili ad ottenere il punteggio di 2,33. 8.- Stante la peculiarità della questione sussistono le condizioni per disporre la compensazione delle spese del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello (ricorso: 7871 del 2022). Spese del grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente FF Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Antonella De Miro - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 9 marzo 2022 emessa dalla Corte di appello di Messina; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere D'ARCANGELO Fabrizio; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale VENEGONI Andrea, che ha concluso chiedendo di dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Messina ha tratto a giudizio (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 341-bis c.p., per avere, in luogo aperto al pubblico e in presenza di piu' persone, offeso l'onore e il prestigio del medico di guardia, addetto al controllo dell'imputato per il trasporto presso l'Ismett di Palermo, per essere sottoposto ad una visita ambulatoriale, e gli agenti incaricati del servizio di scorta, fatto aggravato dalla recidiva reiterata, commesso in (OMISSIS). 2. Il Tribunale di Messina, con sentenza emessa in data 15 giugno 2021 all'esito del giudizio di primo grado, ha dichiarato l'imputato colpevole del reato ascrittogli e, ritenute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo ha condannato alla pena di tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita. 3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, che ha condannato al pagamento delle spese del grado e della rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile. 4. L'avvocato Fazio Michele, nell'interesse dello (OMISSIS), ha presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza e ne ha chiesto l'annullamento. Con unico motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.c., comma 1, lettera b), l'erronea applicazione dei criteri adottati per valutare la prova. Rileva il difensore che la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe idonea a dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice contestata, in quanto il delitto di cui all'articolo 341-bis c.p. postula che l'offesa sia percepita da almeno due soggetti diversi dai pubblici ufficiali offesi ed estranei alla pubblica amministrazione. Nel caso di specie, tuttavia, i soggetti che avrebbero percepito le espressioni offensive proferite dall'imputato coinciderebbero con gli stessi pubblici ufficiali offesi. Secondo la Corte di appello, inoltre, sarebbe sufficiente ad integrare il reato contestato la mera potenzialita' che l'espressione offensiva sia udita dai terzi presenti; rileva, tuttavia, il ricorrente che occorrerebbe, invece, dimostrare la presenza effettiva di soggetti estranei o, comunque, di pubblici ufficiali che non si trovino in quello specifico contesto spazio-temporale per lo stesso motivo di ufficio e, dunque, nell'esercizio delle loro funzioni. La Corte di appello, nella sentenza impugnata, dunque, non avrebbe dimostrato che gli agenti di polizia penitenziaria diversi dalle persone offese che avrebbero percepito le espressioni proferite dell'imputato si trovassero all'interno del carcere fuori dall'esercizio delle loro funzioni. La Corte di appello, peraltro, non avrebbe indicato i criteri adottati per valutare la credibilita' dei testi escussi e in particolare di una delle persone offese costituitasi parte civile. 5. Il giudizio di cassazione si e' svolto a trattazione scritta, secondo la disciplina delineata dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, prorogata per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 23 novembre 2022, il Procuratore generale ha chiesto di dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile, in quanto il motivo proposto e' manifestamente infondato e, comunque, diverso da quelli consentiti dalla legge. 2. Con unico motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la violazione di legge in relazione al delitto di oltraggio a pubblico ufficiale contestato. 3. Il motivo e' manifestamente infondato. Ai fini dell'integrazione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale e' necessario che l'offesa attinga l'apprezzamento di se' del pubblico ufficiale sia nella dimensione personale, sia nella dimensione funzionale e sociale, in quanto si puo' giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all'articolo 341-bis c.p., rafforzata rispetto a quella dei comuni cittadini, soltanto allorche' sia minata, piu' che la reputazione del singolo esponente, la reputazione dell'intera pubblica amministrazione. Per tale ragione, secondo la giurisprudenza di legittimita', in tema di oltraggio, l'offesa all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall'offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralita' di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai "civili"), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall'agente (ex plurimis: Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022, Pagliari, Rv. 282999 - 01; Sez. 6, n. 30136 del 09/06/2021, Leocata, Rv. 281838 01, che ha rilevato che in tema di oltraggio, l'offesa all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall'offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni). 4. La Corte di appello di Messina ha, tuttavia, fatto corretta applicazione di tali principi nella sentenza impugnata, in quanto ha rilevato che "nel caso di specie, e' emerso dall'espletata istruttoria che la scena si svolse all'interno dell'Istituto di pena, in un'area di passaggio ed alla presenza non solo delle persone offese, ma anche di altri agenti, che, atteso il tono usato dal detenuto, dovettero sentirne le urla, o comunque erano in grado di percepirle". In particolare, la Corte di appello ha rilevato che "il Dott. (OMISSIS) ha evidenziato come la scena si sia svolta in una zona di passaggio dall'interno all'esterno della casa circondariale, "in un posto in cui passano persone...gli agenti, gli infermieri, i medici, il direttore, gli avvocati...ad una certa distanza c'erano gli altri agenti in servizio alle loro postazioni, alla sosta, vicino alla matricola, poi il terzo cancello vicino alla sezione femminile"". Per quanto accertato dalla Corte di appello, dunque, gli agenti che hanno udito le espressioni oltraggiose proferite dall'imputato, diversi dalle persone offese, erano presenti nell'ambulacro della Casa circondariale nell'esercizio delle loro funzioni, ma non per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa e' stata posta in essere dall'agente. La condotta accertata e', dunque, stata correttamente ricondotta alla fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale dalla Corte di appello di Messina. 5. Inammissibile e', peraltro, la censura relativa alla attendibilita' della persona offesa, in quanto e' volta a sindacare, peraltro solo genericamente, il merito della sua deposizione. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e' riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente piu' adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944). Sono, del resto, precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). 6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento. In virtu' delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", deve, altresi', disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MONTAGNI Andrea - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DI SALVO EMANUELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PASSAFIUME SABRINA. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale e' stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine ai reati di cui all'articolo 186 C.d.S., comma 7 e articolo 187 C.d.S., comma 8,. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge, poiche' in nessun momento della procedura gli e' stato dato l'avviso ex articolo 114 disp. att. c.p.p., da ritenersi presupposto necessario per il rituale avvio della procedura e quindi per la sussistenza del reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti. La presenza del difensore e' infatti determinante nel processo decisionale che porta l'indagato a prestare o meno il proprio consenso all'accertamento e l'inosservanza del dovere di dare l'avviso ex articolo 114 c.p.p. determina una nullita' a regime intermedio, con la conseguenza che il conseguente rifiuto perde di rilievo penale ex articolo 186 C.d.S., comma 7, e articolo 187 C.d.S., comma 8, poiche' la relativa richiesta, da parte della polizia giudiziaria, diviene illegittima. Il giudice a quo ha dunque errato laddove ha ritenuto l'avviso necessario solo laddove il conducente accetti di sottoporsi agli accertamenti alcolemici. 2.1. La firma apposta dal ricorrente sul verbale di rifiuto del prelievo ematico non e' stata vergata dal (OMISSIS), il quale ha anche prodotto al riguardo consulenza grafica. Quando il teste (OMISSIS) afferma che l'imputato firmo' "un foglio" si riferisce al foglio di dimissioni dall'ospedale e non al verbale in cui si attesta il rifiuto. D'altronde il rifiuto di sottoporsi all'accertamento non puo' non risultare da un ben preciso verbale. Un rifiuto orale ad una richiesta altrettanto orale e' del tutto abnorme, poiche' non si sa come il richiedente abbia prospettato tale adempimento all'indagato e neppure si sa di preciso cosa abbia risposto quest'ultimo. Nel caso di specie risulta dagli atti che il (OMISSIS) rifiuto' il prelievo di sangue ma si dichiaro' disponibile all'esame delle urine e all'alcoltest. La mancanza della sottoscrizione sul verbale che attesterebbe il rifiuto dell'accertamento rende dubbia la circostanza relativa al rifiuto stesso, nonche' all'ora in cui la richiesta gli sarebbe stata rivolta, anche perche' il ricorrente era gia' stato dimesso dall'ospedale e quindi non vi era piu' possibilita' di procedere. 2.2. Il ricovero in ospedale era stato richiesto dallo stesso (OMISSIS), affinche' venissero accertate le lesioni, ma egli aveva subito soltanto una leggera contusione, onde non vi era alcuna necessita' di cure mediche. Non si versa dunque nel caso in cui e' possibile l'accertamento del tasso alcolemico in ambito ospedaliero. L'atto del prelievo costituisce d'altronde violazione dell'articolo 13 Cost., poiche' determina apprensione della sostanza organica in forma invasiva, onde e' possibile sottoporre a tale atto soltanto soggetti abbisognevoli di cure e non anche coloro che si rechino in ospedale per mero controllo, con esito negativo, senza alcuna prescrizione di terapia, e, ancor meno, i soggetti affetti da agofobia, come il ricorrente, che per questa ragione ha rifiutato il prelievo di sangue. 2.3. Ingiustificatamente non e' stato applicato l'articolo 131 bis c.p., considerato che il ricorrente non e' stato colui che ha causato il sinistro ma colui che ne e' stato vittima, essendo stato violentemente tamponato mentre si era fermato a uno stop. Il Mlnelli era stato sottoposto dalla polizia stradale al precursore dell'alcoltest, che ha dato esito pienamente negativo. Gli venne chiesto il consenso al prelievo ematico mezz'ora dopo che era stato dimesso dal nosocomio. Egli si dichiaro' disposto all'esame delle urine e all'alcoltest. Colui che ha causato l'incidente se ne e' invece andato via, incolume e senza alcuna conseguenza pregiudizievole. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1X primo motivo di ricorso e' infondato. Essendo stato, infatti, ormai da tempo, superato il contrario orientamento giurisprudenziale (Sez. 4, n. 34383 del 2017, Rv 270526-01), e' da ritenersi ius receptum, nella giurisprudenza di questa suprema Corte, il principio secondo il quale, ove si proceda per il reato di guida in stato di ebbrezza, l'obbligo di dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore per l'esecuzione del test di accertamento dell'eventuale stato di ebbrezza non ricorre qualora l'imputato abbia rifiutato di sottoporsi all'accertamento stesso. Trattasi, infatti, di requisito del tutto estraneo alla fattispecie incriminatrice, come risulta dal tenore testuale dellè'articolo 186 C.d.S., comma 7 e articolo 186 C.d.S., comma 8, che si limitano a prevedere il rifiuto dell'accertamento alcolimetrico e tossicologico, senza alcun riferimento all'avviso di cui all'articolo 114 disp. att. c.p.p., che e' previsto soltanto nella prospettiva, tutt'affatto diversa, in quanto di natura esclusivamente processuale e non sostanziale, della corretta esplicazione del contraddittorio e dell'esercizio del diritto di difesa durante l'espletamento dell'accertamento (Sez. 4, n. 29275, del 12/6/2019, Rv. 278547; Sez. 4, n. 34470 del 13/05/2016, Rv. 267877; Sez. 4, n. 43485 del 2014, Rv. 260603). 2. Anche il secondo motivo di ricorso e' infondato. Al riguardo, il giudice a quo ha posto in rilievo che lo stesso teste della difesa Laffranchini, medico di turno in ospedale la sera dei fatti, aveva riferito in modo inequivoco che il (OMISSIS) rifiuto' di sottoporsi agli accertamenti per la rilevazione del tasso alcolemico. L'altro teste della difesa, (OMISSIS), affermo', a sua volta, che il (OMISSIS) "alla fine del tutto, firmo' il foglio", in cio' smentendo l'assunto difensivo secondo cui la firma apposta dal verbale non sarebbe dell'imputato. E d'altronde - argomenta la Corte territoriale - sarebbe del tutto inverosimile che altri soggetti, come gli infermieri o i medici, possano aver apposto la firma in luogo dell'imputato, esponendosi a responsabilita' di carattere penale per ragioni incomprensibili. Trattasi di motivazione del tutto congrua, esauriente ed immune da vizi logico-giuridici, in quanto basata su precise risultanze processuali, puntualmente indicate dal giudice di secondo grado. 3. Anche il terzo motivo di ricorso e' infondato, risultando dalla motivazione della sentenza impugnata, che richiama anche, al riguardo, l'apparato argomentativo della pronuncia di primo grado, che l'imputato venne coinvolto in un incidente stradale, a seguito del quale subi' lievi lesioni per le quali venne trasportato in ambulanza al Pronto soccorso, per le cure mediche del caso. A seguito dell'intervento dei sanitari dell'ospedale "citta' di Brescia", il ricorrente venne dimesso con prognosi di due giorni, salvo complicazioni, e con diagnosi di "contusione sovracciliare sinistra". Da tale motivazione si desume che sussistevano le condizioni richieste dall'articolo 186 C.d.S., comma 5, a norma del quale l'accertamento del tasso alcolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di polizia stradale, dalle strutture sanitarie allorche' si tratti, come nel caso in esame, di conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche. Ne' assumono rilevanza la pregnanza di tali cure, la prescrizione o meno di terapie e l'entita' delle lesioni riscontrate al soggetto interessato, richiedendo la norma esclusivamente il coinvolgimento in un incidente stradale e la sottoposizione a cure mediche. Non risulta poi che l'imputato abbia documentato di fronte ai giudici di merito alcuna patologia psichica ostativa all'effettuazione del prelievo di sangue. 4. E' invece fondato l'ultimo motivo di ricorso. Il giudice a quo ha giustificato la mancata concessione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. adducendo il difetto del requisito dell'esiguita' del pericolo, poiche' il (OMISSIS) era rimasto coinvolto in un incidente stradale, in pieno centro urbano, ad ora tarda, e con altro passeggero a bordo della vettura condotta dall'imputato. Senonche' dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che l'incidente era stato ricostruito, sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale espletata, nel senso che la vettura dell'imputato, ferma ad uno stop, era stata tamponata da altro veicolo. Non si comprende pertanto sotto quale profilo le modalita' del coinvolgimento dell'imputato in questo incidente, relativamente al quale, secondo quanto risulta dall'apparato argomentativo della pronuncia in esame, il (OMISSIS) non aveva alcuna responsabilita', essendo stato tamponato da un altro veicolo mentre era regolarmente fermo ad uno stop, possano indurre ad una valutazione negativa circa la concedibilita' della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. Ancor meno e' dato comprendere come il trovarsi, a tarda ora, in pieno centro urbano, in automobile, in compagnia di un amico, possa costituire circostanza idonea ad indurre a ravvisare l'assenza del requisito dell'esiguita' del pericolo. E' dunque da ravvisarsi il vizio di manifesta illogicita' della motivazione, che impone un pronunciamento rescindente sul punto. 5. La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente alla statuizione in ordine alla causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte d'appello di Brescia. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione in ordine alla causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte d'appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA CORTE D'APPELLO DI PALERMO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Palermo, Sezione per le controversie di lavoro, composta da: 1. Dott. Maria G. Di Marco Presidente 2. Dott. Cinzia Alcamo Consigliere relatore 3. Dott. Caterina Greco Consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 34 R. G. anno 2021 promossa in grado di appello DA (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), presso il cui studio in Palermo (PA), Via (...), è elettivamente domiciliato, giusta procura allegata al ricorso in appello. Appellante CONTRO AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI "VILLA SOFIA-CERVELLO", in persona del Commissario, Dott. (...), legale rappresentante pro tempore, con sede in Palermo, Viale Strasburgo, 233, elettivamente domiciliata in Palermo, Via (...) presso lo Studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende per procura in calce al presente atto. Appellata OGGETTO: Richiesta di stabilizzazione ai sensi dell'art.20 del D.Lgs. n.75/2017. I procuratori delle parti hanno depositato le note di trattazione scritta ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18/20, convertito nella legge n. 27/2020 come modificato dall'art. 221 legge n. 77 del 2020, e successive proroghe, riportando le conclusioni di cui ai propri atti difensivi. FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 29/3/2018 presso la cancelleria del Tribunale GL di Palermo, Pietro (...) ha convenuto in giudizio l'Azienda Ospedaliera "Ospedali civili riuniti Villa Sofia e Cervello" al fine di accertare il suo diritto alla stabilizzazione nel posto di dirigente amministrativo ai sensi di quanto previsto dall'art. 20, comma 1 o 2, del D.Lgs. n. 75/2017 (c.d. riforma Madia), deducendo a tal fine che l'esclusione dei dirigenti amministrativi degli enti del SSN dal processo di stabilizzazione doveva reputarsi illegittima secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa succitata. Esponeva, in proposito, di essere Dirigente Amministrativo dell'ARPA dal 2017 (assunto con contratto di lavoro, di durata biennale, sottoscritto in data 11 dicembre 2017), reclutato ai sensi dell'art.15 septies del D.Lgs. n.502/1992, ossia tramite una procedura, a suo dire, concorsuale, dopo essere stato giudicato idoneo ed essersi collocato in posizione utile nella relativa graduatoria. Affermava, inoltre, di aver precedentemente maturato specifica esperienza nel ruolo di Dirigente Amministrativo presso l'Azienda Ospedaliera "Ospedali Riuniti Villa Sofia - Cervello" di Palermo, avendovi svolto attività lavorativa, con contratto a tempo determinato, dal 2007 sino al 2017 (contratto risolto con deliberazione 18 dicembre 2017, n. 734). Precisava di aver fatto istanza di partecipazione al processo di stabilizzazione avviato da quest'ultima Azienda e di essere stato ingiustamente escluso. Chiedeva, dunque, sostenendo di essere in possesso dei requisiti indicati all' art 20 co.1 del D.Lgs. 75/2017, che fosse accertato il diritto alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro in qualità di dirigente amministrativo; che fosse ordinato all'Azienda resistente di procedere alla sua stabilizzazione; in subordine, che fosse dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 20 succitato, ove interpretato nel senso di escludere i dirigenti amministrativi degli enti del SSN dal processo di stabilizzazione. L' azienda ospedaliera si costituiva in giudizio contestando le allegazioni e deduzioni del dirigente e chiedendo dunque, il rigetto integrale del ricorso. Il Tribunale, richiamata la previsione dell'art.20, comma 1, del D.Lgs. n. 75/2017, ha ritenuto che, nel caso del (...), difettasse il requisito previsto alla lett. b del suddetto articolo, giacché il dirigente aveva ammesso di essere stato assunto a tempo determinato, prima dalla resistente Azienda, e poi anche dall'ARPA, esclusivamente con contratti stipulati ai sensi dell'art. 15 septies del decreto legislativo n. 502/1992, ossia mediante una speciale forma di reclutamento dei dirigenti a tempo determinato (derogativa delle regole generali che prescrivono tassativamente l'espletamento di un concorso pubblico) e, dunque, mediante nomina, avente sostanzialmente carattere fiduciario, da parte del Direttore Generale, avvenuta unicamente attraverso l' esame del curriculum vitae. Rilevato, dunque, che il (...) non avesse alcun titolo per partecipare alle procedure di stabilizzazione regolate da comma 1 dell'art. 20 cit., e che lo stesso potesse tutt'al più rientrare nella previsione di cui al comma 2 della medesima disposizione, (che concerne la stabilizzazione dei soggetti che, seppur in possesso dei requisiti previsti dal comma 1, non sono stati assunti a tempo determinato a seguito dell'espletamento di una procedura concorsuale), e che pertanto non fosse configurabile alcun diritto all'assunzione nei suoi confronti (bensì un semplice onere dell'Amministrazione di indizione di procedura concorsuale parzialmente riservata ai soggetti da stabilizzare, a fronte del quale non sussiste null'altro che una mera aspettativa), il Giudice ha dunque respinto il ricorso e disposto la compensazione delle spese di lite. Per la riforma di tale decisione, ha proposto appello Pietro (...) con ricorso depositato l'11 gennaio 2021. Per il rigetto del gravame ha resistito in giudizio l'Azienda Ospedaliera con memoria del 7 novembre 2022. Il 17 novembre 2022 a seguito di trattazione ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020 come modificato dall'art. 221 legge n. 77 del 2020, e successive proroghe, la causa è stata decisa come da dispositivo, ritualmente comunicato. L' appellante contesta la violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1 e 2, del D.Lgs. 75/2017 e dell'art. 15- septies del D.Lgs. 502/1992. Ribadendo, in forma di doglianza, le difese già approntate in prime cure, il (...) lamenta che il Tribunale abbia errato nel ritenere che il procedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali - ai sensi dell'art. 15-septies del D.Lgs. 502/1992 - come quello da lui ricoperto, non abbia avuto natura concorsuale; censura, inoltre, la statuizione nella parte in cui il Giudice ha ricavato dal dato testuale della disposizione di cui all'art. 20, comma 2, del D.Lgs. 75/2017, la configurabilità di una mera aspettativa di stabilizzazione in capo al dirigente. Deduce, difatti, che, come evincibile dalla documentazione versata negli atti di primo grado, la procedura a seguito del quale gli è stato assegnato il ruolo di dirigente amministrativo dell'Arpa, è stata caratterizzata da una prima fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione, e da una successiva fase di valutazione comparativa dei curricula degli idonei, ad opera del Direttore Generale; valutazione a seguito della quale gli è stata conferita la nomina, essendo stato ritenuto il soggetto maggiormente meritevole della stessa. Sostiene, ancora, che la norma contenuta al secondo comma dell'art 20 del D.Lgs. sopra citato, non disponga un mero onere di indizione di una procedura concorsuale parzialmente riservata ai soggetti da stabilizzare, bensì, che la stessa preveda un vero e proprio obbligo, per l'Amministrazione resistente, di indire la suddetta procedura, al fine di consentire, entro il termine fissato dalla legge, la definitiva stabilizzazione del personale precario di cui Amministrazione stessa si è avvalsa negli anni; aggiunge a tal fine, che egli avrebbe le caratteristiche richieste, avendo svolto funzioni dirigenziali presso l'Azienda Ospedaliera resistente dal 1 febbraio 2007 al 21 febbraio 2018. Il primo motivo di appello è infondato. Prevede l'art 20 co.1 del D.Lgs. 75/2017che: "Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all'articolo 6, comma 2, e con l'indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni". La Regione Siciliana, Assessorato Regionale alla Salute, con circolare del 23 gennaio 2018, prot. n. 5824 (v.doc. 1) aveva poi previsto che "è opportuno che gli Enti in indirizzo operino una ricognizione in ordine alla platea di personale potenzialmente in possesso dei summenzionati requisiti. All'esito della suddetta ricognizione, le Aziende sono invitate a trasmettere a questo Assessorato una tabella riepilogativa (secondo lo schema allegato) la quale riporti il numero di soggetti (potenzialmente interessati alle suddette procedure) distinti sulla base dei requisiti previsti al comma 1 e al comma 2 dell'articolo 20 e, quindi, suddivisi per profilo professionale". Proprio con la suddetta tabella riepilogativa, allegata alla circolare n.5824/2018, non erano stati menzionati, nella platea dei soggetti oggetto della ricognizione (e, quindi, di successiva stabilizzazione) i dirigenti amministrativi, prevedendo, tanto per i "precari assunti con procedura concorsuale (ex art. 20, co. 1, D.Lgs. 75/2017)" che per i "precari assunti senza procedura concorsuale (ex art. 20, co. 2, D.Lgs. 75/2017)" i seguenti profili gestionali: a) Medici; b) Infermieri; c) Altro comparto sanitario; d) Dirigenti PT; e) Comparto Amministrativo e professionale; f) altro comparto tecnico; g) OSS; escludendo in tal modo il personale della dirigenza amministrativa del SSN dal processo di stabilizzazione avviato nella Regione Siciliana. Per tale ragione l'Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia - Cervello, con deliberazione 29 gennaio 2018, n. 2372 (v.doc. 2), pubblicava specifico avviso di ricognizione del personale dirigenziale e non, oggetto di stabilizzazione ai sensi dell'art. 20, commi 1, 2 e 11, D.Lgs. n. 75/2017, ed escludeva i dirigenti amministrativi, tra cui il ricorrente, dalla possibilità di partecipare alla procedura disciplinata dalla legge Madia. Nonostante il dettato normativo il (...), con nota dell'8 febbraio 2018 (v. doc n,13) ritenendo di essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 75/2017, aveva presentato domanda di partecipazione all'avviso pubblico finalizzato alla ricognizione del personale. Ciò premesso, risulta evidente che, nel caso del (...), non è stato soddisfatto il requisito richiesto espressamente alla lettera sub b) dell'art.20 cit., essendo questi stato reclutato, per sua stessa ammissione, e per quanto risulta agli atti (v. doc.nn.8-avviso pubblico di selezione - e 9- decreto di nomina-) mediante la procedura di cui all' art 15 septies del D.Lgs. 502/1992 e, dunque, senza l'espletamento di un concorso pubblico. Si ricava, difatti, dai documenti richiamati che la valutazione delle singole competenze professionali dei partecipanti è stata affidata al funzionario dell'Ufficio personale, il quale ha stilato l'elenco dei candidati, ritenuti idonei perché tutti in possesso dei requisiti standardizzati, preventivamente fissati. Tale funzionario ha esaminato le 9 istanze pervenute in risposta all'avviso, verificando l'esistenza dei requisiti e redigendo l'elenco degli idonei per ciascun profilo professionale; tale elenco è stato sottoposto al Direttore Generale dell'Arpa che ha conferito l'incarico, nominando il (...), secondo una scelta prettamente fiduciaria, fra la rosa dei nomi selezionati attraverso l'esame dei soli curricula e senza alcuna valutazione comparativa (v. doc n.9 cit.). Deve rilevarsi che, secondo l'insegnamento della Corte di legittimità, ai fini della stabilizzazione, il termine "concorsuale" richiesto dalla norma va inteso in senso restrittivo, dovendo identificarsi come procedura concorsuale esclusivamente quella caratterizzata dall'emanazione di un bando, dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria di merito, la cui approvazione, individuando i "vincitori", rappresenta l'atto terminale del procedimento preordinato alla selezione dei soggetti idonei; che, pacificamente si intendono come concorsuali sia le procedure connotate dall'espletamento di prove stricto sensu intese, ma comunque libere nella modalità, purché la procedura concreti una selezione tra diversi aspiranti (Cass., Sez. Un., 8 maggio 2007, n, 10374), sia i concorsi per soli titoli (cfr. Cass., Sez. Un., 1° marzo 2006, n. 4517), non configurandosi, invece, come procedure concorsuali, le assunzioni in esito a procedimenti di diverso tipo: assunzioni dirette, procedure di mera verifica di idoneità dei soggetti da assumere, in quanto titolari di riserva o iscritti in apposita lista, giacché il possesso dei requisiti e l'idoneità si valutano in termini assoluti, senza originare una graduatoria di merito (Cass. Sez. Un. 40953/2021). Di conseguenza, essendo stato assunto, quale dirigente con contratto a tempo determinato, con la procedura disciplinata dall'art. 15 septies D.Lgs. 502/1992, (il quale prevede una particolare forma di reclutamento a termine di dirigenti, che deroga - a certe specifiche condizioni - e per necessità funzionali dell'amministrazione, alle regole generali che prescrivono tassativamente l'espletamento di un concorso pubblico v. Cass n. 4177/2021) senza aver sostenuto alcuna prova (e consequenzialmente senza che fosse stilata alcuna graduatoria finale) bensì, unicamente previa valutazione del suo curriculum vitae seguita da nomina, avente sostanzialmente carattere fiduciario, da parte del Direttore Generale (v. Cass. n. 11008/2020), non risulta configuratale, in capo a (...), il rivendicato diritto alla stabilizzazione (espressamente escluso dall' art. 20 co. 1 D.Lgs. 75/2017), non avendo questi provato il necessario requisito della natura selettiva o comparativa della procedura di conferimento dell'incarico. Tale interpretazione della norma (art.20 c.1 cit.) esclude in radice la censura di illegittimità formulata dal (...) che ne propone, invece, una lettura incompatibile con la sua ratio, che è quella di garantire la stabilità dei rapporti di durata instaurati nel rispetto dei principi, di rango costituzionale, di accesso alla P.A. attraverso procedura selettiva concorsuale. Pertanto, il primo motivo di appello non merita accoglimento. E' inammissibile il secondo motivo di censura. Gli artt. 342 e 434, cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (sent. n. 27199/2017; v. ord. 7675 2019). L' appellante, difatti, disattendendo le su citate regole processuali, non ha esposto le ragioni per le quali la decisione del Tribunale sarebbe viziata, né ha indicato le specifiche modifiche richieste, né le critiche da contrapporre agli argomenti svolti dal giudice (secondo il quale il comma 2 del citato art.20 riserva alla sola facoltà dell'Amministrazione l'indizione della procedura di stabilizzazione) essendosi, difatti, limitato ad affermare in modo generico, reiterando quanto dedotto in prime cure, che l'avvio di tale procedura fosse, invece, obbligatoria. In ogni caso, tale doglianza, risulta infondata nel merito, per le ragioni già esposte dal Giudice di prime cure. Difatti, la norma prevede che "Fino al ((31 dicembre 2024)), le amministrazioni possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all'articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del ((31 dicembre 2024)), almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso". L'utilizzo del verbo "possono", manifesta, quindi, una semplice facoltà in capo all' amministrazione, di indizione di una procedura concorsuale parzialmente riservata ai soggetti in possesso dei richiamati requisiti, e che si tratta, dunque, di un' attività di tipo discrezionale da parte della stessa, alla quale, per converso, non può che corrispondere in capo all' interessato (nel caso di specie, il (...)), una mera aspettativa di fatto alla stabilizzazione, e non un diritto alla stessa, come invece sostenuto dall' appellante. Per le ragioni sopra esposte, l'appello va, dunque, rigettato e la sentenza confermata. Le spese di questo grado di giudizio seguono la soccombenza dell'appellante e si liquidano come in dispositivo. Deve, infine, darsi atto della sussistenza a carico della parte appellante dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater DPR n. 115/2002, come modificato dall'art. 1, comma 17 L. n. 228/2012. P.Q.M. La Corte definitivamente pronunciando, conferma integralmente la sentenza n.2088/2020, emessa il 9 luglio 2020 dal Tribunale GL di Palermo. Condanna l'appellante al pagamento delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in Euro 3.473,00 a titolo di compensi professionali, oltre, Iva, Cpa e spese generali come per legge. Dà atto della sussistenza a carico della parte appellante dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater DPR n. 115/2002, come modificato dall'art. 1, comma 17 L. n. 228/2012. Così deciso in Palermo, il 17 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); AZIENDA (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/11/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BELLINI UGO; Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di tutti i ricorsi. uditi i difensori; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA difensore della parte civile (OMISSIS) il quale deposita la nomina a difensore di fiducia della parte civile (OMISSIS) unitamente alle conclusioni scritte ed alla nota spese per entrambi ed insiste per la conferma della sentenza impugnata. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di NAPOLI in difesa dell'AZIENDA (OMISSIS), che chiede l'accoglimento del ricorso. Inoltre, l'avv. (OMISSIS) dichiara di sostituire oralmente l'avv. (OMISSIS) del foro di NAPOLI difensore di (OMISSIS) e, riportandosi ai motivi del ricorso, insiste per l'accoglimento. Per la pratica forense e' presente la Dott.ssa (OMISSIS) con tess. n. (OMISSIS) rilasciata dall'Ordine degli Avvocati di Roma in data 30/09/2021. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 17 Novembre 2021, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di (OMISSIS) in qualita' di infermiere e (OMISSIS), quale medico di guardia presso il reparto di chirurgia generale del (OMISSIS), dal reato ascritto di concorso in omicidio colposo ai danni della paziente (OMISSIS), sottoposta il giorno (OMISSIS) ad intervento di gastrectomia parziale. Decidendo sulle impugnazioni dei due imputati e del responsabile civile, confermava le statuizioni della sentenza impugnata che li aveva condannati in solido al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, riconoscendo una provvisionale esecutiva nella misura di Euro 20.000 in favore delle parti civili. 2. Agli imputati erano contestati profili di negligenza, consistita nell'avere entrambi omesso i dovuti controlli previsti dalle linee guida relative alla fase post operatoria (monitoraggio della pressione, della frequenza cardiaca e del drenaggio) per verificare la fuoriuscita di sangue ed accertare eventuali emorragie in atto, da effettuarsi almeno ogni ora, nonostante le richieste di (OMISSIS) che accudiva la paziente, e per avere omesso del tutto il monitoraggio clinico, di laboratorio e strumentale dalle ore 18.30 del 3 Luglio alle h.00,30 del 4 Luglio 2013, risalendo l'ultimo controllo alle ore 18.30 con rilevazione della pressione sanguigna e con il monitoraggio del battito cardiaco che gia' segnalava una tachicardia in atto. La morte della paziente interveniva per shock cardiorespiratorio determinato da una grave emorragia dopo le h.00,30 del 4 Luglio 2013. 3. La Corte di Appello di Napoli confermava il giudizio di responsabilita', ai fini civili, in capo ai due imputati valorizzando da un lato i profili di colpa riconosciuti in imputazione a carico del medico di guardia, che avrebbe dovuto vigilare sul decorso post operatorio della paziente, particolarmente delicato e insidioso nelle prime ore successive al trattamento, con particolare riferimento al rispetto delle linee guida che avrebbero imposto al sanitario di monitorare costantemente il paziente e i suoi parametri vitali, monitoraggio che era stato assente o discontinuo a partire dalle ore 18.30 del giorno in cui era stato somministrato il trattamento, pure in presenza di un quadro sintomatico in progressivo peggioramento, che aveva invece allertato il teste (OMISSIS), e di valori diagnostici che prefiguravano un accelerazione del battito cardiaco. Parimenti all'infermiere (OMISSIS) veniva riconosciuto di avere prestato alla paziente un'assistenza del tutto carente, in quanto piu' a stretto contatto con la degente e con la (OMISSIS) la quale, in ripetute occasioni aveva segnalato agli infermieri la condizione di lento peggioramento della paziente che avvertiva sensazioni di calore, dolore all'addome, che appariva gonfiato, difficolta' di respirazione e infine labbra cianotiche. Il comportamento omissivo di entrambi gli imputati era risultato ancora piu' negligente per la omessa annotazione nella cartella clinica di attivita' diagnostiche, controlli periodici, esami strumentali, e trattamenti di qualsiasi tipo nel segmento temporale 18.30-00,30. 3.1 Sotto il profilo causale i giudici distrettuali, a fronte di pareri discordanti sull'origine del fenomeno emorragico, che aveva determinato lo shock da cui era conseguito l'arresto cardiaco, nonche' sul carattere improvviso e massiccio del suo manifestarsi e della relativa progressione, piuttosto che di una emorragia lenta e prolungata determinata da una lacerazione infra-operatoria, come sostenuto dai consulenti del Pubblico Ministero, argomentava di non ritenere condivisibili le conclusioni dei periti nominati dal Tribunale, cui aderivano i consulenti delle difese, che avevano appunto prospettato l'insorgenza di una emorragia violenta e improvvisa, verificatasi verosimilmente poco prima dell'evento morte. 3.1.1 A tale proposito la Corte assumeva che la perizia doveva ritenersi incompleta e poco aderente alle complessive risultanze delle emergenze processuali, in quanto i periti non avevano partecipato all'esame autoptico, avevano espresso una sorta di parere fondato sui documenti sanitari concernenti il ricovero, il trattamento chirurgico e il decorso post operatorio, senza fornire adeguato riscontro alle lacune della cartella clinica e, in particolare alla testimonianza della (OMISSIS) quale chiave di lettura della progressione dei sintomi accusati dalla paziente (OMISSIS) ed alla assenza di una risposta terapeutica ed infermieristica. In particolare ritenevano non comprensibili alcune affermazioni peritali laddove avevano riconosciuto la incompatibilita' con la ricorrenza di una emorragia lenta del fenomeno del "sequestro di sangue" a carico degli organi periferici e per quale ragione era stato affermato che il rinvenimento di sangue all'interno dell'addome non costituiva un elemento sintomatico di una tale evenienza (lenta emorragia), ponendo allo stesso tempo sullo stesso piano un dato acclarato con certezza ed esplicativo di un fenomeno emorragico progressivo (il rinvenimento di circa 100 ml di urina nella sacca), con un dato del tuto congetturale, come quello riportato nella consulenza tecnica dell'imputato di una asserita diuresi della paziente di circa 400 cc alle ore 22), il quale avrebbe accreditato la prospettazione di una emorragia determinata dalla improvvisa rottura di un vaso. Al contempo evidenziava come le stesse conclusioni dei due periti fossero tra di loro discordanti in ordine alle cause e all'origine dell'improvvisa e diffusa emorragia occorsa. 3.1.2 Riconosceva al contrario piena attendibilita' e plausibilita' alle tesi e alle argomentazioni scientifiche dei consulenti tecnici del PM i quali avevano offerto risposte chiare, univoche e non incerte sulle cause e sull'origine del fenomeno emorragico, compatibili con l'esecuzione di un intervento chirurgico di gastrectomia parziale, confortate dall'esame autoptico che non aveva ravvisato rotture di vasi sanguigni se non la lacerazione di tessuti addominali tra lo stomaco e il duodeno, nonche' coerenti con i profili sintomatici della paziente di cui si era resa testimone la (OMISSIS). Assumeva inoltre che del tutto verosimilmente la mancata rilevazione al blue test dell'infarcimento ematico era dipeso dalla vicinanza temporale tra il trauma e il test mentre l'assenza di succhi gastrici o biliari nell'addome era compatibile con la sede della lacerazione. Indicava una serie di ulteriori elementi clinici che deponevano per la tesi di una emorragia lenta e prolungata, mentre era a evidenziare le ragioni che contrastavano la prospettazione peritale di una emorragia violenta e improvvisa che aveva attinto un vaso di medie dimensioni. 3.1.3 Rilevava ancora che il dato della scarsa quantita' di sangue riscontrato nel drenaggio non era in grado di incidere sul giudizio predittivo in materia di causalita', in quanto il dato non era riportato nella cartella clinica, il drenaggio non risultava essere stato controllato durante la degenza e lo stesso avrebbe potuto essere bloccato da un coagulo. Parimenti non conducente riteneva il dato della raccolta di urina che, nella quantita' indicata in cartella clinica, accreditava la prospettazione di una contrazione urinaria in presenza di emorragia in atto, mentre il dato riportato nella consulenza tecnica di parte, secondo il quale il quaderno infermieristico aveva una annotazione di cl. 400 di diuresi alle h.22 non era accreditato da alcun riscontro in atti. Poneva poi in rilievo il quadro sintomatologico della paziente riferito dal teste (OMISSIS) nel corso della serata del (OMISSIS), come perfettamente compatibile di una condizione di progressivo indebolimento e fame di ossigeno fino alla incoscienza e alla morte. 4. Con particolare riferimento alla individuazione nell' (OMISSIS) di uno dei due infermieri che avevano assistito la paziente, omettendo i monitoraggi e le verifica essenziali dei parametri vitali, soprattutto a fronte dei rilievi della (OMISSIS) che si era fatta latrice ed espressione della condizione di malessere della paziente, la Corte d'Appello evidenziava che lo stesso (OMISSIS) non contestava di essere stato in servizio, quantomeno dalle h. 20, e pertanto cio' non lo esimeva da responsabilita' per le lunghe ore di inerzia e di inutile attendismo fino alla morte della paziente, abbandonata sostanzialmente al suo destino sebbene fosse stata sottoposta da poche ore a un delicato intervento chirurgico all'addome. 5. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le difese di entrambi gli imputati e quella del responsabile civile Azienda (OMISSIS). 5.1 La difesa del ricorrente (OMISSIS) ha proposto un unico, articolato motivo di ricorso con il quale deduce violazione di legge in relazione agli articoli 40, 41, 113 e 589 c.p., nonche' in relazione ai criteri di valutazione della prova in ordine alla pronuncia di condanna relativamente alle statuizioni civili. Deduce inoltre mancanza di motivazione in relazione ai temi devoluti con la impugnazione in appello e motivazione manifestamente illogica e contraddittoria. Assume in primo luogo la difesa del ricorrente il vizio motivazionale in cui era incorso il giudice distrettuale nello svalutare gli esiti della perizia collegiale assunta in primo grado, soprattutto in relazione ai chiarimenti forniti dai periti in sede di discussione delle valutazioni contenute in perizia sulle ragioni che li avevano indotti a ritenere l'avveramento di una emorragia improvvisa e massiva tale da escludere la efficacia di un intervento salvifico da parte del sanitario e comunque da riconoscere una situazione di insanabile incertezza sulla eziologica della progressione patologica, alla stregua dei dati clinici ed autoptici esaminati, di cui evidenziavano le carenze. Rilevava che i periti, in sede di chiarimenti resi in udienza nel contraddittorio avevano fornito congrua evidenza delle espressioni sequestro di sangue e di "stasi ematica" e in particolare il perito (OMISSIS) aveva dato conto del fatto che, in sede autoptica e di esami istologici, i vasi degli organi periferici erano stati riscontrati in normale stato di irroramento, laddove la prospettazione di una lenta e progressiva emorragia sarebbe stata accompagnata da una sottrazione di sangue agli organi periferici per sostenere la pompa cardiaca e anche per tale ragione era stata ritenuta piu' probabile una emorragia violenta e improvvisa riconducibile ad un vaso di medie dimensioni, mentre i coaguli emorragici rinvenuti in vari punti della sede addominale non dovevano ritenersi dati particolarmente significativi a supporto di una prospettazione piuttosto che l'altra in presenza di shock emorragico intervenuto nel distretto addominale. Il perito (OMISSIS) aveva inoltre dato contezza delle discordanze della consulenza autoptica in relazione al punto in cui si sarebbe verificata la lacerazione (parete gastrica e duodeno) e aveva comunque sollevato dubbi, legati alla sua esperienza professionale, sul fatto che da una lacerazione cosi' superficiale avesse potuto insorgere una emorragia di tale importanza da condurre a morte la paziente in poche ore. 5.2 Sotto diverso profilo confutava le affermazioni contenute in sentenza secondo le quali i periti del Tribunale avessero omesso di confrontare le emergenze cliniche desunte dall'incartamento sanitario con le dichiarazioni del teste (OMISSIS) le quali erano invece riportate in perizia e considerate nella relazione dell'elaborato, ma ritenute non dirimenti in quanto non risultavano indicati i sintomi tipici dell'emorragia in corso (pallore, ipotensione, cianosi, agitazione psicomotoria, dispnea e tachicardia). 5.2.1 I periti mostravano poi di avere considerato entrambi i dati risultanti dagli atti in relazione al dato dell'urina, senza dare preferenza all'uno piuttosto che all'altro. Sotto questo profilo la sentenza risultava carente nel motivare in ordine a ciascuno di tali aspetti che pure avevano formato oggetto di devoluzione in appello con l'atto di impugnazione e al contempo con argomenti contraddittori ed illogici si sosteneva l'apoditticita' delle conclusioni peritali, i quali al contrario avevano fornito tutti gli strumenti esplicativi per sostenere la correttezza della tesi scientifica proposta. 5.2.2 Assume infine violazione di legge laddove nella situazione di incertezza consacrata da due tesi scientifiche contrapposte dotate di pari dignita' e capacita' esplicativa il giudice distrettuale si era limitato a svalutare una di esse, senza peraltro minarne il fondamento scientifico e la coerenza al dato probatorio, di cui riconosceva la dignita', operando pertanto una scelta in violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 6. La difesa di (OMISSIS) ha proposto un unico motivo di ricorso con il quale deduce motivazione carente, contraddittoria ed illogica in relazione all'articolo 40 c.p.. Violazione di legge per la mancata individuazione della fonte della presunta posizione di garanzia dell'imputato. Assume che il giudice distrettuale aveva omesso di verificare la ricorrenza della posizione di garanzia nei confronti del ricorrente con particolare riferimento alla sua effettiva presenza in reparto in coincidenza con il ricovero della paziente successivamente deceduta. Assume che da nessun elemento testimoniale era risultata la individuazione del personale infermieristico presente ne' di colui che avrebbe interloquito con la paziente e con il teste (OMISSIS), atteso che il ricorrente sarebbe subentrato in servizio solo a partire dalle h.20 e nessuna comunicazione su criticita' in atto all'interno del reparto gli era stata comunicata dall'operatore che lo aveva preceduto, ne' dal medico di guardia e che comunque all'infermiere non competeva la somministrazione di terapie in quanto e' tenuto a seguire le indicazioni del medico, La circostanza di essere subentrato in servizio e la subalternita' della condotta tenuta dovevano comunque essere adeguatamente valutate dall'autorita' giudiziaria in termini di contenimento della pena da applicare. 7. Il responsabile civile ha proposto un unico articolato motivo di doglianza. Deduce violazione di legge e vizio motivazionale in punto di accertamento della causa mortis e del rapporto di causalita' tra la condotta ascritta al sanitario e la morte della paziente. Difetto di motivazione in relazione alle doglianze proposte con il gravame in appello con riferimento alla valutazione della perizia in appello e alle sue determinazioni in ordine alla causa della morte e alla progressione del fenomeno emorragico, anche in ragione del travisamento della prova costituita dalla stessa perizia, dalla dichiarazioni rese dai periti in dibattimento, dalla testimonianza della (OMISSIS), dei dati desumibili dalla cartella infermieristica. Dopo avere criticato la illogicita' dell'approccio metodologico della pronuncia di appello che avrebbe confuso le regole della causalita' con l'accertamento di profili di colpa, evidenzia i punti della sentenza impugnata nei quali risultavano svalutate le conclusioni della perizia di ufficio e non considerati gli argomenti sviluppati dai periti in sede di confronto sugli esiti peritali, laddove gli stessi erano risultati del tutto coerenti non solo con la documentazione sanitaria acquisita, ma anche con gli esiti autoptici, con le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e con le complessive emergenze del processo da cui avevano tratto la propria determinazione di ritenere incompatibile con lo shock emorragico sofferto dalla paziente un lento e prolungato sanguinamento da una piccola lacerazione prodottasi nel corso dell'intervento e molto piu' probabile un evento emorragico improvviso e violento realizzatosi dopo l'operazione a ridosso dell'exitus. Evidenziava in particolare le contraddizioni della relazione dei consulenti del PM in relazione all'esatto punto in cui si sarebbe verificata la lacerazione in sede di intervento con gli argomenti utilizzati dai periti per confortare la prospettazione di una improvvisa e violenta emorragia sulla base degli esami istologici e l'assenza di materiale gastrico e biliare all'interno della cavita' addominale. Ne era pertanto seguita una motivazione contraddittoria e illogica che, pure nella scelta di una prospettazione scientifica non aveva saputo dare conto, in termini corretti, degli argomenti e della serieta' della tesi contrapposta e del contenuto della tesi disattesa pervenendo pertanto ad una motivazione incoerente e non approfondita. Sotto diverso profilo esclude la valenza probatoria della laconicita' della cartella clinica denunciando una inammissibile sovrapposizione tra rilievo disciplinare nella tenuta della cartella e la inferenza che se ne era tratta in ordine a profili di colpa rilevanti eziologicamente sul decorso della patologia. Denuncia infine la violazione delle regole di valutazione della causalita' omissiva in ipotesi di colpa medica, in quanto il giudizio esplicativo, che stava alla base del giudizio controfattuale secondo i principi consolidati del S.C. a seguito della sentenza Franzese, non aveva consentito di ritenere accertata la causa che aveva dato luogo all'emorragia ne' aveva consentito di stabilire i tempi in cui tale emorragia sarebbe maturata e progredita, determinando in tale modo l'impossibilita' di passare al giudizio predittivo, in termini di alta probabilita' logica e di certezza processuale in relazione alla rilevanza causale della condotta omissiva ascritta agli imputati rispetto all'evento morte. Invero, a parte la scelta operata dai giudici di merito sulla prospettazione scientifica piu' plausibile depurata dal giudizio di insoddisfacenza degli argomenti peritali, i quali risultavano al contrario plausibili e coerenti con le emergenze del processo, rimaneva una situazione di irrisolvibile dubbio sulla causa della morte, intesa come ricostruzione della catena causale degli eventi che condussero all'exitus della paziente e sul punto richiama un'ampia giurisprudenza di legittimita', anche a sezioni unite, nella quale si afferma che il ragionamento controfattuale deve essere necessariamente preceduto da un giudizio esplicativo della catena degli eventi che hanno condotto all'evento, giudizio che deve essere scevro da valutazioni possibiliste o congetturali e che la insufficienza, la contraddittorieta' e la inadeguatezza del dato probatorio sulla ricostruzione del nesso causale e quindi il ragionevole dubbio in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento, deve determinare la neutralizzazione della ipotesi accusatoria e l'esito assolutorio del giudizio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di ricorso del sanitario (OMISSIS) e del responsabile civile, Azienda (OMISSIS) affrontano, con un complesso articolato, i profili causali della responsabilita' ad essi riconosciuta che, a seguito della estinzione del reato per prescrizione, rileva esclusivamente ai fini dell'azione civile inserita nel processo penale, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p. prospettando, quantomeno in termini ragionevole dubbio, la insussistenza o, comunque la incertezza sulla ricorrenza del rapporto di causalita' tra le condotte ascritte al sanitario e all'infermiere (OMISSIS) rispetto alla morte della paziente (OMISSIS), deceduta per insufficienza cardio respiratoria conseguente ad uno evento emorragico all'esito di trattamento chirurgico di sleeve gastrectomy. 2. I due ricorsi devono essere rigettati avendo i giudici di merito correttamente accertato la sussistenza del nesso eziologico al di la' di ogni ragionevole dubbio. Deve considerarsi che la Corte di appello ha confermato, limitatamene al giudizio di responsabilita' agli effetti civili, la sentenza di primo grado che ha dichiarato gli imputati responsabili del reato loro ascritto commesso di concorso in omicidio colposo, configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilita' degli imputati in ordine al reato oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna e' che il vizio di travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimita'. 2.1 E' noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimita' le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01; sez.4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv.229369). Piu' recentemente e' stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o piu' premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o piu' ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105). Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, ricostruendo in termini analitici e coerenti tutti i passaggi salienti, in termini fattuali, che hanno accompagnato il decorso ospedaliero della paziente (OMISSIS) fin dal momento del trattamento chirurgico, sia nella fase post operatoria, come ricavati dalla documentazione sanitaria, che comprende gli accertamenti diagnostici eseguiti dopo l'intervento, dalle acquisizioni testimoniali assunte, dalle risultanze dell'esame autoptico, analizzando e ponderando le valutazioni espresse nelle relazioni tecniche e nel confronto dibattimentale dai consulenti tecnici e dai periti incaricati, pervenendo ad un giudizio privo di fratture logiche evidenti e fondato su argomenti non contraddittori. 3.1 Poiche' le censure espresse nei motivi di ricorso dal sanitario (OMISSIS), medico di guardia presso il reparto ove era ricoverata la paziente, e dal responsabile civile si appuntano essenzialmente su una ingiustificata svalutazione da parte dei giudici di merito degli esiti della perizia e delle conclusioni dei consulenti tecnici di parte e sul riconoscimento del rapporto di causalita' in contraddizione con i principi enucleati dalla giurisprudenza in termini di "alta probabilita' logica", sul presupposto di una accertata carenza nella ricostruzione degli anelli causali dell'evento, non sembra superfluo premettere lo stato della giurisprudenza di legittimita' sul punto. 4. Ai fini dell'accertamento del rapporto di derivazione causale che deve sussistere tra la condotta e l'evento ai sensi dell'articolo 40 c.p., comma 1, la giurisprudenza del S.C. ricorre alla teoria condizionalistica integrata da leggi e criteri che le conferiscono base scientifica secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura. Come affermato nella nota sentenza Franzese, lo statuto della causalita' e' unico sia per i reati commissivi che per i reati omissivi impropri essendo la verifica della sussistenza del nesso di causalita' sottoposta, in entrambi i casi, ad analogo statuto di verifica e di corroborazione. In particolare nel reato omissivo improprio, che richiede per la sua configurabilita' che l'evento si verifichi in conseguenza dell'omissione, in presenza di inosservanza di una regola cautelare, l'agente non sempre e' del tutto inerte bensi', con frequenza, pone in essere un'azione diversa da quella richiesta secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza o dello specifico precetto che presidiava l'area di rischio in oggetto. L'unica distinzione, pertanto, nella verifica della relazione causale quando uno dei termini della serie e' rappresentato da una condotta omissiva e' rappresentata dal ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico dandosi per verificato il comportamento doveroso omesso. Ne deriva che l'esclusione del nesso di causalita' richiede, nel reato commissivo, che eliminata mentalmente la condotta posta in essere dal soggetto agente si pervenga all'accertamento che l'evento non si sarebbe verificato con certezza o con elevata credibilita' razionale. Nel reato omissivo improprio, in cui vige la clausola di equivalenza ex articolo 40 c.p., comma 2, e' necessario accertare con certezza o elevata credibilita' razionale che, aggiungendo mentalmente la condotta doverosa omessa, l'evento non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato con minore intensita' lesiva o in un'epoca significativamente posteriore. 4.1 Al riguardo la costante giurisprudenza di legittimita' afferma che "nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalita' tra omissione ed evento non puo' ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita' statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita' logica, che a sua volta deve essere fondato oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita' del caso concreto" (sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Rv. 276292-03; sez. 4, n. 33749 del 04/05/2017, Rv. 271052 - 01; sez. 4, n. 26491 del 11/05/2016, Rv. 267734 - 01; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103; Sez. 4, n. 28571 del 01/06/2016, De Angelis, Rv. 266945). Ne deriva che il modello suddetto determina lo svolgimento dell'accertamento del nesso di causalita' su due piani: un piano generalizzante e un piano individualizzante. 4.2 Orbene, sotto il primo profilo, il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche richiede un metodo di spiegazione causale generalizzante tale per cui un antecedente puo' essere considerato come condizione necessaria dell'evento a patto che rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validita' scientifica (cd. legge di copertura) portano ad eventi del tipo di quelli verificatosi in concreto. Le leggi scientifiche possono essere distinte in leggi universali e leggi statistiche dove le prime affermano che la verificazione di un evento e' invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento asserendo, quindi, un rapporto di regolarita' tra fenomeni privo di eccezioni. Le leggi statistiche, invece, si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento e' accompagnato dalla verificazione di un altro evento solo in una certa percentuale di casi. Trattasi, pertanto, di leggi che esprimono coefficienti probabilistici prossimi a cento - nel caso delle leggi universali - ovvero coefficienti medio-bassi - nel caso delle leggi statistiche. Sarebbe, tuttavia, utopistico ammettere esclusivamente un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioe' affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali non potendo tale modello, da solo, governare il complesso contesto del diritto penale. Si deve piuttosto ammettere, in conformita' alla costante giurisprudenza, la possibilita' per il giudice di applicare leggi scientifiche che esprimano coefficienti medio-bassi di probabilita' frequentista purche' sia adeguatamente considerata la distinzione tra causalita' generale - dove viene in rilievo la probabilita' statistica o empirica - e la causalita' individuale - dove viene in rilievo la probabilita' logica. In altri termini, la probabilita' statistica o empirica fa riferimento al coefficiente probabilistico che esprime il grado di frequenza con cui la connessione tra certi antecedenti e certi conseguenti si verifica nel mondo esterno. La probabilita' logica, invece, indica il grado di fondatezza o di credibilita' razionale con cui si puo' sostenere che la legge scientifica di copertura che esprime coefficiente probabilistico medio-basso possa trovare applicazione nel singolo caso oggetto del giudizio. Ne deriva che la probabilita' logica ha a che fare con la ricostruzione causale dell'evento in concreto e richiede che il giudice consideri adeguatamente le circostanze del caso concreto al fine di escludere di decorsi causali alternativi. 4.1.2 In conclusione, le leggi scientifiche di copertura sono idonee ad individuare la regolarita' causale che avvince condotta ed evento ma ad esse deve far seguito l'accertamento che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto idonee ad esprimere una probabilita' concreta, volta a corroborare il convincimento del giudice ad onta di una valutazione sorretta da probabilita' logica e credibilita' razionale. E' solo alla luce delle circostanze del caso concreto che e' possibile vagliare la pertinenza di una data legge causale al singolo caso esprimendo una inferenza probatoria in grado di resistere al metro dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ruolo nevralgico e' assunto dal giudizio controfattuale, da condurre ex post, considerando l'evento hic et nunc verificatosi. 4.2 Ai fini della prova giudiziaria del nesso di causalita' non e' decisivo il coefficiente percentuale piu' o meno elevato di probabilita' empirica o frequentista desumibile dalla legge scientifica di copertura utilizzata; cio' che conta e' che si possa ragionevolmente confidare nel fatto che la legge statistica in questione trovi applicazione nel caso concreto oggetto di giudizio stante l'alta probabilita' logica o credibilita' razionale che siano da escludere decorsi causali alternativi. Anche una bassa probabilita' statistica di verificazione dell'evento puo' essere compensata da un'elevata probabilita' logica di verificazione dello stesso, laddove si escluda l'esistenza di decorsi causali alternativi. Lo strumento per realizzare il passaggio dalla causalita' generale alla causalita' individuale consiste, pertanto, nella esclusione di decorsi causali alternativi che avrebbero potuto cagionare quell'evento (sez. 3, n. 10209 del 7/10/2020, PG/Ceriani, Rv. 281710; sez. 4, n. 37767 del 15/04/2019, Cassabgi, Rv. 277478). 5. Tanto chiarito, la Corte territoriale ha sviluppato correttamente l'accertamento del nesso di causalita' selezionando dapprima, sul piano generalizzante, la legge scientifica di copertura applicabile al caso concreto e procedendo poi, sul piano individualizzante, ad una verifica congiunta delle generalizzazioni causali, da un lato, e delle contingenze fattuali, dall'altro, al fine di pervenire alla esclusione dell'incidenza sul caso specifico di fattori interagenti in via alternativa. La sentenza impugnata risulta, pertanto, pienamente conforme alla costante giurisprudenza di legittimita' secondo cui "in tema di colpa medica, il nesso di causalita' tra l'omessa diagnosi e il decesso di un paziente deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita' logica fondando, oltre che su un ragionamento deduttivo basato su leggi scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita' del caso concreto" (sez. 4, n. 16843 del 24/02/2021, Soares Cardenas, Rv. 281074-01). 5.1 I giudici del merito, infatti, hanno adeguatamente considerato le circostanze del caso concreto, pervenendo alla esclusione di decorsi causali alternativi, in particolare escludendo, con motivazione logica e resistente agli asseriti vizi di travisamento della prova, all'esito della ponderazione di tutte le emergenze cliniche - esami diagnostici successivi all'intervento quadro pressorio, esami emato-chimici, battito cardiaco, quadro sintomatologico evidenziato dalla paziente a partire dal tardo pomeriggio del (OMISSIS) filtrato dalla testimonianza (OMISSIS), evidenze della cartella clinica anche in relazione al quantita' di liquido ematico contenuto nella sacca del drenaggio, risultati dell'esame autoptico -, che la origine della emorragia sia stata improvvisa, massiccia, imprevedibile e verificatasi a ridosso dell'evento morte, cosi' da rendere vano un intervento chirurgico potenzialmente salvifico. 6. Infondata e' in particolare l'articolazione proposta dalla difesa di (OMISSIS) nella parte in cui assume che il giudice di merito abbia optato per una delle tesi scientifiche prospettate dalle parti e dai periti, parimenti plausibili e dotate di equivalente valore tecnico-scientifico, sulla origine dell'emorragia. Invero la Corte di Appello non si e' limitata a svalutare l'argomento scientifico prospettato dai periti e dai consulenti tecnici della difesa ma, facendo uso dei principi sopra enunciati in tema di ricostruzione della serie causale, ha utilizzato tutti gli elementi probatori acquisiti, in grado di caratterizzare il caso concreto, in particolare l'esame autoptico che aveva ravvisato una lacerazione iatrogena del viscere, la massiccia raccolta di sangue, in parte coagulato nella cavita' addominale, la modesta raccolta di liquido ematico nella sacca del drenaggio, la progressione dei sintomi della paziente registrata dal teste (OMISSIS) nel corso della serata e la contrazione della diuresi, per affermare, in termini di certezza processuale, che l'emorragia riscontrata era dipesa da una lacerazione iatrogena verificatasi nel corso dell'intervento, che era progredita e si era progressivamente intensificata e che la sintomatologia sofferta dalla paziente, iniziata come mere sensazioni di disagio, di dolore addominale e di calore e poi progredita in affanno, pelle fredda, addome gonfio, fame di aria e cianosi erano del tutto compatibili con lo sviluppo di una emorragia in atto lenta e progressiva che avrebbe imposto un diverso tipo di risposta terapeutica e di monitoraggio da parte del personale medico ed infermieristico. 6.1 Manifestamente infondata e' poi la censura secondo la quale i giudici distrettuali avrebbero omesso di considerare argomenti decisivi, o comunque dotati di rilevante portata dimostrativa, apportati dalle precisazione dei periti in sede di discussione delle risultanze peritali, con particolare riferimento al rilievo evocativo della "stasi ematica" piuttosto che al "sequestro di sangue" dagli organi periferici, laddove i giudici distrettuali, pure manifestando perplessita' sul significato attribuito dai periti a talune evidenze dell'esame autoptico, ne hanno sostanzialmente escluso la valenza probatoria, non solo attraverso la valorizzazione di elementi clinici, sintomatici, istologici, autoptici piu' pregnanti, ma soprattutto evidenziando la equivocita' di tali dati, non ritenuti decisivi neppure dagli stessi periti che ne traevano esclusivamente argomenti per comprendere l'origine del fenomeno emorragico. 7. Considerazioni del tutto analoghe vanno poi svolte con riferimento alle ragioni di doglianza del responsabile civile il quale, nel valorizzare le conclusioni dei periti di ufficio, ha sostanzialmente affermato la ricorrenza di un insanabile deficit ricostruttivo del decorso della malattia da parte dei giudici di merito, tale da viziare in maniera insanabile il "giudizio esplicativo", cosi' da compromettere la validita' del "giudizio predittivo", secondo lo schema del controfattuale, in termini di alta probabilita' logica ovvero di elevata credibilita' razionale, con la rete di protezione dell'oltre ogni ragionevole dubbio che assiste anche l'operazione della verifica causale. 7.1 Sotto un primo profilo va evidenziato che nessun dubbio ricorre sul fatto che la morte della paziente sia dipesa da un arresto cardio circolatorio determinato da una emorragia interna verificatasi all'interno della cavita' addominale, distretto interessato da un intervento chirurgico di sleeve gastrectomy poche ore prima che il fenomeno emorragico avesse inizio. La Corte di Appello, si ribadisce, ha proceduto alla ricostruzione della serie causale che ha condotto all'exitus della paziente sulla base di una logica e non contraddittoria ponderazione di tutte le evidenze processuali, di carattere documentale, tecnico, dichiarativo e logico. In realta' il giudice distrettuale, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa del responsabile civile, non ha optato per una soluzione tecnico scientifica piuttosto che su un'altra, parimenti plausibile e scientificamente corroborata, risolvendo una situazione di incertezza sulla eziogenesi dell'evento emorragico a fronte di una palese equivocita' degli elementi fattuali da ricomporre all'interno del giudizio esplicativo, ma ha fatto corretto utilizzo del giudizio induttivo che precede l'indagine controfattuale sulla base di una serie di informazioni certe, affidabili in quanto di natura documentale, dichiarativa, anche laddove sono valse a colmare i vuoti della cartella clinica e a indicare la ingravescente sintomatologia della paziente, autoptica ed istologica, e quindi oggettive, acquisite agli atti del processo, idonee a caratterizzare fortemente il caso in esame in modo tale da orientare la valutazione giudiziale nel solco di un percorso logico induttivo, caratterizzato dal rispetto dei principi sulla valutazione della prova, secondo le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p. e pertanto connotato da un elevatissimo grado di credibilita' razionale e di certezza logica, pure a discapito di generalizzazioni fondate su deduzioni frequentiste, empiriche ed esperenziali, pure evocate dai periti di ufficio sulla base di uno studio del caso a tavolino, disattese dal giudice distrettuale con argomenti logici e privi di contraddizioni. 7.2 Sotto un secondo profilo va evidenziato che la valutazione cui e' pervenuto il giudice distrettuale non attiene alla responsabilita' penale del sanitario (OMISSIS), ma solo all'accertamento della responsabilita' civile conseguente alla commissione di un illecito, pure a seguito della commissione di un fatto reato, trovando pertanto applicazione quanto stabilito dall'articolo 578 c.p.p., alla luce del percorso interpretativo tracciato dalla recente sentenza n. 182 del 2021 della Corte Costituzionale la quale afferma (p. 14) che "il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non e' chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (articolo 2043 c.c.).". Nella medesima sentenza, la Consulta osserva, tra l'altro, che, in tale percorso valutativo, il giudice penale dell'impugnazione "non accerta la causalita' penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'"alto grado di probabilita' logica" (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 10-12 luglio-11 settembre 2002, n. 30328). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del "piu' probabile che non" o della "probabilita' prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare piu' probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria" (C.Cost., sent. N. 182/2021, p. 14.1). 7.3 Orbene sulla base di tali criteri interpretativi deve ritenersi priva di fondamento anche la censura, richiamata dalla difesa di entrambi i ricorrenti secondo la quale la corte di appello, per superare le doglianze contenute nell'atto di appello, avrebbe fatto ricorso, ai fini dell'accertamento del rapporto di causalita', a regole sulla valutazione della prova orientate a criteri di maggiore verosimiglianza o di "piu' probabile che non", laddove se tali principi governano il sindacato del giudice di rinvio in ipotesi di annullamento della sentenza penale ai sensi dell'articolo 622 c.p.p. (sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini), gli stessi dovrebbero orientare la valutazione anche del giudice penale una volta che il thema decidendum del processo penale sia depurato dalla componente penalistica dell'accertamento della responsabilita' da reato. 7.3.1 Peraltro, come in precedenza rappresentato, il giudice distrettuale nella fattispecie e' pervenuto all'affermazione della responsabilita' ai fini civili nel rispetto dei principi che devono guidare la valutazione anche penalistica nella verifica della sussistenza del rapporto di causalita' materiale tra la condotte ascritte e l'evento verificatisi all'esito di una adeguata valutazione delle plurime emergenze caratterizzanti il decorso della patologia della paziente e l'esame delle emergenze probatorie e in particolare dell'esame autoptico, sovrapponendo la propria valutazione ad alcune voci discordanti, pure qualificate, come quelle dei periti e dei consulenti della difesa, in ragione dell'alto coefficiente di corroborazione logica e di credibilita' razionale della ricostruzione della serie causale come emersa nel corso dell'istruttoria dibattimentale. 8. Infondato e' poi il motivo di ricorso proposto dalla difesa dell'infermiere (OMISSIS) il quale, sebbene prospetti rilievi concernenti l'accertamento del rapporto di causalita' tra la condotta dell'infermiere e l'evento dannoso, assume che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente esplorato se sia stato effettivamente l' (OMISSIS) a rivestire un ruolo di garanzia rispetto alla paziente, in quanto soggetto investito della gestione del rischio connesso al decorso post operatorio della (OMISSIS) e se, a fronte dell'accertata investitura in una tale gestione del rischio, dallo stesso fosse esigibile un comportamento alternativo, potenzialmente salvifico, quantomeno di carattere sollecitatorio, tenuto conto del suo ruolo subalterno rispetto alle direttive dei sanitari. 8.1 Il motivo di ricorso pecca in primo luogo di omesso confronto con la motivazione della sentenza impugnata in quanto risulta privo di analisi critica degli argomenti che hanno fondato il giudizio di responsabilita' espresso dai giudici di merito, in base ai quali i due infermieri in servizio presso il reparto ove era ricoverato la (OMISSIS), in violazione di regole deontologiche, protocolli sanitari, linee guida internazionali e regole di prudenza e diligenza, seppure sollecitati in piu' riprese dal teste (OMISSIS) a prendere iniziative in favore della degente, che presentava sintomi progressivamente piu' allarmanti, avrebbero omesso cautele basilari come quelle di monitorare i parametri vitali, quali i valori pressori e il battito cardiaco, avrebbero del tutto trascurato di considerare le indicazioni della paziente sulla sofferenza addominale, l'addome gonfio, la fame d'aria, salvo predisporre una tardiva e non risolutiva terapia dell'ossigeno la cui gestione era rimessa al paziente e a chi l'assisteva, fino a trascurare il sintomo piu' preoccupante e cioe' l'insorgere della cianosi. Orbene risulta accertato che, qualora l'infermiere si fosse tempestivamente attivato in funzione sollecitatoria di basilari, ma indispensabili, esami diagnostici il conseguente intervento chirurgico, per espressa indicazioni di tutti i consulenti, avrebbe consentito di interrompere l'emorragia e di salvare la vita alla paziente (sez.4, n. 9167 del 1/02/2018, Verity James e altro. Rv. 273258 - 01). 8.2 Quanto poi alla identificazione dell' (OMISSIS) quale uno dei due infermieri cui si era rivolta la teste (OMISSIS) per sollecitarne l'intervento, la verifica delle condizioni della paziente e i trattamenti piu' opportuni, anche in funzione sollecitatoria di esami diagnostici, i giudici distrettuali hanno evidenziato con motivazione priva di fratture logiche e di contraddizioni che l' (OMISSIS) era sicuramente in servizio presso il reparto in cui era ricoverata la (OMISSIS), quantomeno a partire dalle h.20, laddove l'imputato non ha mai contestato, nel corso del giudizio, di non essere stato presente alle fasi in cui si era verificato il generale peggioramento delle condizioni cliniche della paziente fino al precipitare degli eventi e che il disinteresse, la superficialita' e la mancata adozione di verifiche basilari (a fronte di sintomi sempre piu' allarmanti) erano stati la cifra comune ad entrambi gli infermieri in servizio presso il reparto, di cui uno era senza meno l' (OMISSIS). Sul punto il ricorso si limita a demandare al giudice di legittimita' una verifica fattuale, che non risulta rivolta a contrastare l'ordito argomentativo del giudice di appello, ma a prospettare una diversa ricostruzione della successione degli eventi (sulla effettiva presenza dell'infermiere (OMISSIS) presso il reparto ove era ricoverata la (OMISSIS)), sindacato peraltro estraneo ai compiti del giudice di legittimita'. 9. In conclusione, i ricorsi degli imputati e del responsabile civile devono essere rigettati e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese sostenute dalla difesa delle parti civili che, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2015 vengono determinate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese a sostenute dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro quattromila, oltre accessori come per legge.

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