Sentenze recenti innovazioni condominio

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Treviso, Terza Sezione civile, dott. Carlo Baggio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado RG 6416/2023 (portante riunita la causa RG 7044/2023), promossa da Parte_1 (C.F. C.F._1) e Parte_2 (C.F. C.F._2), con il patrocinio dell'avv. BO.GI. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in indirizzo_l - TREVISO attori contro Controparte_1 (C.F. P.IVA_1), con il patrocinio dell'avv. CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio del difensore in lndirizzo_2 - TREVISO Controparte_2 (C.F. C.F._3 ), con il patrocinio degli avv. MA.NI. e CA.RO. e domicilio eletto presso lo studio dei difensori in lndirizzo_3 - TREVISO convenuti avente per oggetto: Comunione e CP_1 impugnazione di delibera assembleare trattenuta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 21.5.2024, nella quale le parti hanno formulato le seguenti CONCLUSIONI - per Parte_1 e Parte_2: "Voglia il Giudice adito, nelle cause riunite rg 6416/2023 e 7044/23, ogni avversa domanda, eccezione e istanza respinta Nel merito, accertato in relazione alle delibere assembleari 30.03.23 e 16.11.23 l'identità degli interessi, ancorché contrapposti perseguiti da tutte le parti del giudizio, e l'unicità/conseguenzialità/premeditazione della condotta delle parti convenute, dott.ssa Controparte_2 e Controparte_3 , dall'impugnazione della prima delibera, 30.03.23, alla sua revoca assembleare del 16.11.23 la cui causa è stata falsamente o comunque maliziosamente deviata - anche con strumentali riferimenti a complicanze in sede amministrative- dal suo modo di porsi in quanto motivata e fondata unicamente da una proposta conciliativa di alla impugnazione o rinuncia alle spese legale della stessa parte impugnante, dott.ssa CP_2 con grave danno per i condòmini Pt_2 e Pt_l, e accertata la condotta non imparziale dell'amministratore nella gestione dell'assemblea del 16.11.2023 conseguentemente: 1. accertare e dichiarare che a) l'oggetto della delibera del 30.03.23 del (...) Controparte_1 di Treviso è stata il diniego alla realizzazione di opera che -per giurisprudenza conforme anche di legittimità, almeno a partire dal 2012- non rientra tra le innovazioni di cui all'art.1120 ma solo riflettono un uso più intenso delle parti comuni ex art. 1102 cc; b) che, tali lavori non richiedono l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, trattandosi di diritto, pieno e legittimo, di ogni condomino, al maggior utilizzo della cosa comune, c) che in relazione alla normativa erano state rispettati i requisiti e le maggioranze come previste dall'art. 1136, III comma, cc, così come rispettate le maggioranze di cui all'art. 8 del Regolamento Condominiale, che prevede l'obbligo di sottoporre all'assemblea anche gli interventi di semplice modifica prevedendo tuttavia una valutazione in negativo ovvero richiedendo la maggioranza degli intervenuti per negare l'autorizzazione conseguentemente dichiarare che la delibera del 30.03.23 è (o, comunque, era) pienamente valida ed efficace; 2. accertare l'uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini da parte dell'amministratore che ha condizionato, viziandola, la formazione della volontà assembleare del 16.11.2023; accertare altresì che la revoca della delibera del 30.03.23 è stata approvata con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva, dichiararne l'invalidità e quindi annullare per vizio del consenso o eccesso di potere la delibera assembleare del 16.11.2023. Con integrale vittoria di spese, diritti e onorari. In via istruttoria: si allegano i documenti richiamati e si chiede sin d'ora che il giudice voglia acquisire ex art. 210/213 cpc copia della segnalazione protocollata al numero 134128 del 25.9.23 Rep. N. 161 548 del 15 11 2023 Polizia Locale nucleo Territorio Comune di Treviso; dalla Controparte_4 sportello unico e verde urbano- copia del fascicolo relativo all'accesso agli atti al Comune di Treviso che ha portato alla esibizione e copia alla dott.ssa Controparte_2 del documento prodotto dall'amministratore in convocazione della assemblea 16.11.2023 e relativo alla ID n. CodiceFiscale_4 -090522023-0649 SUPRO: 0138466 DEL 9.5.2023 RI.: Prat. N2023/AE/0879 -prot. n.69046del 10.05.2023. Vorrà essere ammessa prova per interpello dell'amministratore CP_5 sui seguenti capitoli: 1) Vero che nel complesso condominiale " Controparte_1", su altra porzione di tetto, esistono altre due terrazze a tasca; 2) Vero che le stesse sono state realizzate in epoca successiva all'edificazione da parte del costruttore; 3) Vero che le stesse terrazze esistenti risultano essere state debitamente autorizzate dall'Assemblea e munite delle prescritte autorizzazioni amministrative; Vorrà essere ammessa sugli stessi capitoli la testimonianza dell'architetto Tes_1 (...) con studio in lndirizzo_4 Treviso al quale vorrà essere chiesto altresì risposta sul seguente ulteriori capitoli: 4) Vero che nei sopralluoghi da Lei svolti in vista dell'acquisto dell'immobile di cui è causa da parte dei signori Pt_2 e Pt_l, a Lei come ai probabili acquirenti, sia da parte del venditore signor Per_1 sia in diversa sede presso gli uffici del settore urbanistica - edilizia privata Le era sta stata prospettata come ammissibile la realizzazione di una terrazza a tasca sulla porzione di tetto interessata; 5) Vero che a seguito del parere negativo i coniugi Pt_2 e Pt_l hanno dovuto interrompere i lavori di ristrutturazione previsti per il 2023 dell'immobile destinato a loro personale abitazione; 6) Vero che a seguito della segnalazione di un condomino è intervenuto sopralluogo da parte dei responsabili ufficio tecnico, in sua presenza, dal quale è partito anche procedimento di revoca della residenza dei coniugi all 'indirizzo di lndirizzo_5, in Treviso"; - per il CONDOMINIO RESIDENCE IL CP_1 : "Causa n. 6416/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perchè infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Ammettersi, altresì, all'esito della prova per testi eventuale C.T. U.. Ci si oppone a tutti i mezzi istruttori dedotti dagli Attori per i motivi indicati in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024. Causa n. 7044/23 R.G. In via preliminare. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva dei sigg.ri Parte_1 e Parte_2, nonché l'insussistenza del loro interesse ad agire e per l'effetto dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande attoree e la cessazione della materia del contendere. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via principale. Per le ragioni esposte in narrativa respingere tutte le domande formulate dai sigg.ri Parte_1 e Parte_2, perché infondate in fatto e diritto. Con vittoria di spese e competenze professionali anche ex art. 96 c.p.c., come da nota spese depositata. In via istruttoria. Per le ragioni espresse in terza memoria ex art. 171 ter c.p.c. del 05.04.2024 ci si oppone a tutte le istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: alla prova per testimoni ed interpello; nonchè alla richiesta di acquisizione ex art. 210 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 GP ed alla richiesta di acquisizione ex art. 213 c.p.c. formulata nei confronti della "PoliziaLocale di Treviso" e della "Controparte_4"; - per Controparte_2 "Causa R.G. n. 6416/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'originaria carenza di interesse ad agire in capo ai Signori Parte_1 e Parte_2 ovvero accertarsi e dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse ad agire giusta revoca della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, accertarsi e dichiararsi l'inammissibilità dell'azione promossa nel presente giudizio. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la nullità e/o annullabilità e/o comunque inefficacia della delibera assembleare del 30.03.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta al prot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum. Causa R.G. n. 7044/23 In via preliminare: accertarsi e dichiararsi il difetto di legittimazione in capo all'odierna convenuta e conseguentemente pronunciarsi l'estromissione dell'Avv. Controparte_2 dal presente giudizio. Subordinatamente, in via preliminare: accertarsi e dichiararsi l'improcedibilità della presente azione per difetto della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e conseguentemente disporsi l'esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria a carico di parte attrice. Nel merito In via principale: - per le ragioni esposte in narrativa, accertarsi e dichiararsi la validità nonché l'efficacia della delibera assembleare del 16.11.2023 e, conseguentemente, rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto; - condannarsi i Signori Parte_1 e Parte_2 all'integrale rifusione delle spese di lite, come da nota spese depositata. In via istruttoria. Così come meglio precisato nella memoria ex art. 171-ter, n. 3 c.p.c. del 05.04.2024, ci si oppone alle istanze istruttorie ex adverso formulate ed in particolare: all'ammissione della prova per interpello e per testi richiesta da controparte; all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia della segnalazione alla Polizia Locale - Nucleo Territorio del Comune di Treviso, assunta alprot. n. 134128 del 25.09.2023; nonché all'acquisizione ex art. 210/213 c.p.c. di copia degli atti relativi alla procedura di mediazione n. 175/23 presso la Curia Mercatorum". MOTIVI DELLA DECISIONE Parte_1 e Parte_2 hanno introdotto il giudizio RG 6416/2023, convenendo in giudizio il Controparte_1 e la condomina Controparte_2 (...) proponendo azione autonoma di mero accertamento della validità ed efficacia della delibera condominiale del 30.3.2023, avente ad oggetto l'autorizzazione alla realizzazione da parte degli attori di una terrazza a tasca, ritenendo rispettati i requisiti e le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC e all'art. 8 del Regolamento Condominiale, trattandosi a loro dire di opere che non comporterebbero innovazione, ma solo modifica delle parti comuni ex art. 1102 CC. Il condominio si è costituito in giudizio eccependo anzitutto la cessazione della materia del contendere e la carenza di interesse ad agire in capo agli attori ex art. 100 CPC, sia perché la delibera condominiale del 30.3.2023, per quanto qui rileva, venne revocata e sostituita dalla delibera condominiale del 16.11.2023, sia perché in ogni caso la competente Commissione Edilizia, nella seduta del 30.5.2023, aveva espresso parere contrario al progetto di realizzazione della terrazza a tasca, di talché gli attori non sono stati autorizzati dal Comune di Treviso a realizzare l'opera. Nel merito, in subordine, il CP_1 ha comunque chiesto il rigetto delle domande attoree, osservato che l'opera di cui si discute sarebbe comunque da qualificarsi quale innovazione ex art. 1120 CC, la quale non sarebbe però stata autorizzata nell'assemblea del 30.3.2023 con le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 5 CC e in presenza dei requisiti di cui all'ultimo comma del medesimo art. 1120 CC. La condomina CP_2 si è costituita in giudizio svolgendo difese del tutto analoghe a quelle del CP_1. Nel frattempo, i medesimi attori avevano introdotto il separato giudizio RG 7044/2023, anche in tale sede convenendo sia il CP_1 che la condomina CP_2 al fine di ottenere l'annullamento della già citata delibera del 16.11.2023, che aveva in parte revocato la precedente delibera del 30.3.2023, o a motivo dell'asserito vizio nella formazione della volontà dell'assemblea (posto che l'amministratore del condominio non avrebbe tenuto una condotta imparziale e avrebbe fatto un "uso strumentale e illegittimo della procedura di mediazione e della documentazione offerta ai condomini" allo scopo, per l'appunto, di condizionare indebitamente la volontà dei condomini), o a motivo del conflitto di interessi della condomina CP_2 (considerato che la revoca della delibera del 30.3.2023 venne approvata "con il voto determinante della condomina Controparte_2 nella doppia veste di parte proponente e parte accettante della proposta propria transattiva"). Anche in tale sede il CP_1 ha eccepito la carenza di interesse ad agire in capo agli attori e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'impugnazione. Analoghe difese sono state svolte dalla convenuta CP_2 la quale ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Stante l'evidente connessione dei due procedimenti, ne è stata disposta la riunione. All'udienza di precisazione delle conclusioni e di discussione orale ex art. 281-sexies CPC tenutasi il 21.5.2024, il procuratore attoreo ha altresì, per la prima volta, invocato il vizio della delibera 16.11.2023 per eccesso di potere. Le cause riunite vengono in decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria. Appare opportuno esaminare dapprima le questioni relative all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, ancorché successiva rispetto alla delibera del 30.3.2023: laddove la delibera più recente dovesse essere annullata, rivivrebbe la più risalente e dovrebbero quindi essere esaminate le contrapposte domande di accertamento della validità e di annullamento della stessa; diversamente, dovrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente alla delibera più risalente, in quanto revocata ed assorbita dalla successiva. Va anzitutto rigettata l'eccezione sollevata dalla convenuta CP_2 (e ribadita nel foglio di precisazione delle conclusioni depositato il 20.5.2024) di improcedibilità - per mancato esperimento della mediazione obbligatoria - del procedimento RG 7044/2023. Come già osservato nell'ordinanza datata 19.4.2024, da intendersi qui richiamata, non si ritiene che la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 sia soggetta alla condizione di procedibilità in esame, considerato che l'oggetto della delibera in esame è nella sostanza sovrapponibile a quello della delibera del 30.3.2023 (sia pure se con esito diametralmente opposto), ragion per cui - avendo le due delibere ad oggetto esattamente la medesima vicenda sostanziale - la condizione di procedibilità deve ritenersi soddisfatta dal già avvenuto esperimento del procedimento di mediazione relativo alla delibera da ultimo citata, e ciò anche alla luce dei principi recentemente affermati da Cass. SSUU 3452/2024, che ha ritenuto non sussistente la condizione di procedibilità nemmeno in relazione alle domande riconvenzionali c.d. "eccentriche" (ossia che addirittura allarghino l'oggetto del giudizio senza connessione con quello già introdotto dalla parte attrice), considerato tra l'altro che - come da tempo riconosciuto dalla Corte costituzionale - "la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio', dal che deriva che "le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata" e che, in ogni caso, "l'istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia". Non v'è dubbio che debba essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta CP_2 in relazione alla domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023, posto che nei giudizi promossi dai condomini per l'impugnazione delle delibere assembleari unico legittimato passivo è, in via esclusiva, l'amministratore del CP_1 , potendo gli altri condomini unicamente spiegare nel giudizio un intervento principale (laddove anch'essi legittimati all'impugnazione della delibera) o meramente ad adiuvandum. La domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse ad agire in capo agli attori. È consolidato il principio per cui, per proporre una domanda, è necessario avervi interesse e tale interesse, di cui all'art. 100 CPC, deve essere concreto ed attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva, assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex multis, Cass. 41688/2021 e Cass. 24434/2007). Ebbene, si ritiene che un siffatto interesse - concreto e, soprattutto, attuale - difetti nel caso di specie, posto che il Comune di Treviso non ha autorizzato la realizzazione della terrazza a tasca progettata dagli attori (la competente Commissione Edilizia, pur avendo espresso parere favorevole quanto alla realizzazione dei lucernari, ha espresso parere contrario quanto alla terrazza, avendo l'immobile un grado di protezione 3, e conseguentemente il Dirigente del Settore Urbanistica ha ordinato agli odierni attori di conformare l'intervento edilizio al suddetto parere). Detti provvedimenti del Comune di Treviso non sono stati impugnati (la circostanza contraria non è nemmeno stata allegata dagli attori). Risulta quindi, quanto meno all'attualità, la carenza di qualsivoglia interesse in capo agli attori ad ottenere l'autorizzazione del condominio alla realizzazione di un'opera che non potrebbe comunque essere legittimamente realizzata, in quanto non assentita dalla competente autorità amministrativa. Si osserva che gli attori nulla hanno osservato nei propri scritti difensivi circa tale carenza di interesse all'impugnazione della delibera (essi hanno sì dedicato all'interesse ad agire il primo paragrafo della loro memoria ex art. 171-ter n. 1 del giudizio RG 7044/2023, ma si sono in realtà limitati ad illustrare le ragioni per cui sussisterebbe il loro interesse - ed anzi il loro diritto - di realizzare la terrazza a tasca, senza spendere nemmeno una parola relativamente al provvedimento di diniego della PA). Solo in prima udienza gli attori hanno osservato che l'interesse ad agire permarrebbe essendovi "comunque la possibilità per gli attori di insistere con l'autorità amministrativa per l'assentimento della terrazza a vasca". Si osserva tuttavia che tale considerazione, lungi dallo smentire le osservazioni sopra svolte, non fa in realtà che confermare l'attuale carenza di interesse ad agire, tanto che sono gli stessi attori a prospettare la loro richiesta di un provvedimento amministrativo favorevole, difforme rispetto a quello già reso dalla PA, solo in termini meramente futuri e del tutto eventuali. Per mera completezza si osserva che, anche laddove sussistesse un interesse rilevante ex art. 100 CPC all'impugnazione della delibera del 16.11.2023, comunque le doglianze attoree non potrebbero trovare accoglimento. Gli attori, pur ribadendo di essere "perfettamente consapevoli che l'assemblea è sovrana e può rinnovare una decisione già assunta quindi modificarla o porla nel nulla", censurano la "illegittimità/illiceità della modalità attraverso la quale ... è stata sollecitata la nuova decisione" dell'assemblea del 16.11.2023, lamentando che l'amministratore del CP_1 ed il legale dello stesso (avv. Carraretto, che pure lo assiste nel presente giudizio) avrebbero rappresentato all'assemblea una realtà dei fatti distorta, avrebbero fatto un "uso strumentale della procedura di mediazione" e avrebbero dato una "maliziosa lettura di atti e documenti', in tal modo "carpendo" e condizionando in modo indebito la volontà dell' assemblea, la quale risulterebbe conseguentemente viziata. La doglianza appare talmente generica e confusa da rasentare l'inammissibilità, non essendo nemmeno ben chiaro quale sia lo specifico vizio dedotto dagli attori. In ogni caso, è sufficiente leggere il verbale dell'assemblea del 16.11.2023 per avvedersi di come in quell'occasione vi fosse in realtà stato un ampio confronto tra tutti i soggetti interessati e anche gli stessi attori (peraltro in quella sede rappresentati dal medesimo avv. Bonotto, che li assiste anche nel presente procedimento) avessero ampiamente illustrato le proprie ragioni e contestato le tesi dell'amministratore e del difensore del condominio avv. Carraretto, ragion per cui non si vede come si possa sostenere che vi sia stata una qualche forma di captazione della volontà dei condomini, i quali sono stati compiutamente resi edotti di tutte le circostanze del caso e quindi messi nelle condizioni di poter formare in piena libertà il proprio convincimento e conseguentemente esprimere il proprio voto. Si precisa che tali conclusioni non mutano anche a voler far rientrare l'asserito vizio nella categoria, invocata dagli attori solo all'udienza di precisazione delle conclusioni, dell'eccesso di potere. Se infatti tale figura è stata invocata solo a fini descrittivi, nulla cambia. Se invece la doglianza deve intendersi attenere a profili ulteriori rispetto a quelli evidenziati in atto di citazione, la stessa non può che ritenersi tardiva e quindi inammissibile. In ogni caso, peraltro, l'eccesso di potere si configura non tanto in relazione alle modalità con cui l'assemblea ha formato il proprio convincimento, quanto piuttosto in relazione all'esito della delibera che, pur formalmente conforme a legge e regolamento, abbia una causa "falsamente deviata dal suo modo di essere", non essendo il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea. Ebbene, nulla hanno gli attori osservato sul punto, né hanno evidenziato la sussistenza nel caso concreto di alcuna delle cause sintomatiche dell'eccesso di potere elaborate dalla giurisprudenza amministrativa in materia (da ritenersi applicabile mutatis mutandis anche all'ipotesi dell'impugnazione delle delibere assembleari). D'altronde, non pare nemmeno palesemente irragionevole la scelta dell'assemblea di revocare l'autorizzazione alla realizzazione della terrazza a tasca a fronte da un lato dei costi connessi alla difesa in giudizio nella possibile (e già minacciata) impugnazione della delibera del 30.3.2023 da parte della condomina CP_2 e dell'esito comunque non certo della causa, dall'altro della consapevolezza che in ogni caso per i condomini Pt_l e Pt_2 non ne sarebbe derivato alcun concreto ed attuale pregiudizio, non potendo comunque gli stessi porre in essere l'intervento edilizio sperato, alla luce del provvedimento di diniego della PA. Si ribadisce, comunque, che le allegazioni degli attori circa l'eccesso di potere, nei termini sopra descritti, quand'anche effettivamente svolte, sarebbero sicuramente tardive. Quanto al presunto conflitto di interessi in capo alla condomina CP_2 è sufficiente osservare che: - la semplice presenza di un interesse del singolo condomino non comporta di per sé anche l'esistenza di un conflitto di interessi (d'altronde, anche gli stessi attori hanno espresso il loro voto nell'assemblea di cui si discute); il conflitto di interessi si configura infatti solo laddove la delibera leda gli interessi della stessa compagine condominiale, il che non è nel caso di specie (la delibera pregiudica semmai solo gli interessi degli odierni attori; si osservi che nessuna argomentazione in senso contrario è stata portata dagli stessi); - in ogni caso, certo non si può dire che il voto di CP_2 fosse stato determinante, dato che anche laddove la stessa si fosse astenuta o non avesse in radice partecipato all'assemblea, comunque si sarebbero raggiunte le maggioranze di cui all'art. 1136 co. 3 CC, considerato che: - all'assemblea erano presenti condomini per complessivi 586,27 millesimi; - la delibera venne approvata col voto favorevole di 501,01 millesimi; - anche sottraendo i 55,21 millesimi di CP_2 risultano comunque voti favorevoli per 445,80 millesimi, che rappresentano senz'altro "la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio", ex art. 1136 co. 3 ultimo periodo CC. Essendo la delibera del 30.3.2023 stata revocata (per la parte che qui interessa) dalla successiva delibera del 16.11.2023 e dovendosi dichiarare inammissibile la domanda di annullamento di quest'ultima, la quale consolida quindi i propri effetti, non può che discenderne la declaratoria di cessazione della materia del contendere quanto alle domande svolte dagli attori e dalla condomina convenuta in relazione alla prima delibera, sulla scorta del consolidato orientamento per cui è a tal fine sufficiente che l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell'impugnazione, ponendo in essere, pur in assenza di forme particolari, un atto formalmente sostitutivo di quello invalido (in analogia peraltro con quanto previsto dall'art. 2377 CC, dettato in materia di società di capitali, ma espressione di un principio valido anche per le delibere condominiali, per cui "l'annullamento della deliberazione non può avere luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita da altra presa in conformità della legge o dello statuto"). Le spese di lite di entrambi i giudizi seguono la soccombenza degli attori, considerato che: - la domanda di annullamento della delibera del 16.11.2023 è stata dichiarata inammissibile per carenza di interesse e sarebbe stata comunque infondata nel merito; - è quanto meno legittimo dubitare della stessa ammissibilità della domanda attorea di mero accertamento della validità della delibera assembleare del 30.3.2023, considerato che, per principio generale, mentre la nullità degli atti può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, le pronunce costitutive di annullamento possono essere sollecitate solo dalla parte nel cui interesse è prevista la causa di invalidità (cfr. artt. 1137 nonché, quanto ai contratti, 1441 CC), né pare nel presente caso sussistere un interesse giuridicamente rilevante alla rimozione di uno stato di incertezza, che potrebbe protrarsi anche per lungo tempo, circa la consistenza dei diritti e degli obblighi delle parti, posto che -proprio per garantire la certezza del diritto e la solidità dei rapporti condominiali - l'art. 1137 CC prevede un brevissimo termine decadenziale di trenta giorni per l'impugnazione della delibera, decorso il quale la stessa si consolida e diventa inoppugnabile; - anche a voler ritenere la domanda ammissibile, è ben vero che l'atto di citazione del giudizio RG 6416/2023 venne notificato il 15.11.2023, quindi prima dell'adozione della delibera del 16.11.2023 (che determinò la cessazione della materia del contendere); non si può tuttavia non osservare che: o era già da tempo intervenuto il provvedimento di diniego del Comune di Treviso relativamente alla terrazza a tasca, circostanza che, come detto, avrebbe comunque comportato la carenza dell'interesse ad agire; la circostanza appare già di per sé assorbente; o gli attori avevano già ricevuto, prima di notificare l'atto di citazione, la convocazione all'assemblea del 16.11.2023 ed avrebbero quindi ben potuto attendere un solo giorno prima di introdurre un giudizio relativamente ad una delibera che il giorno seguente avrebbe potuto essere revocata (come poi avvenuto); o la stessa iscrizione a ruolo della causa RG 6416/2023 venne posta in essere il 24.11.2023, quindi successivamente alla delibera del 16.11.2023, ed anch'essa - e a maggior ragione - avrebbe potuto essere evitata, evitando conseguentemente il presente contenzioso. Le spese vengono liquidate come segue, secondo valori medi dei procedimenti di valore indeterminabile e di bassa complessità per le fasi di studio e introduttiva, secondo valori inferiori ai medi per la fase istruttoria (essendosi quest'ultima limitata al deposito delle memorie ex art. 171-ter CPC) e secondo valori medi aumentati del 30% (ex art. 4 co. 2 DM 55/2014) per la fase decisoria: - causa RG 6416/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 o fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - causa RG 7044/2023: - fase di studio: Euro 1.701,00 - fase introduttiva: Euro 1.204,00 - fase istruttoria: Euro 1.300,00 - giudizi riuniti: - fase decisoria: Euro 3.776,50 per un totale di Euro 12.186,50, oltre accessori di legge. Si ritiene altresì che, alla luce della palese inammissibilità (e comunque infondatezza) delle domande svolte dagli attori, per tutti i motivi sopra illustrati, gli stessi abbiano agito in giudizio con dolo o, quanto meno, con colpa grave, il che ne legittima la condanna ex art. 96 co. 3 al pagamento della somma che appare equo liquidare in Euro 2.000,00 in favore di ciascuno dei convenuti. P. Q. M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1. dichiara il difetto di legittimazione passiva della convenuta Controparte_2 (...) relativamente al procedimento di impugnazione della delibera assembleare del 16.11.2023, RG 7044/2023; 2. dichiara inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda attorea di annullamento della delibera assembleare del 16.11.2023, oggetto della causa RG 7044/2023; 3. dichiara la cessazione della materia del contendere quanto alle domande relative alla delibera dell'assemblea di condominio del 30.3.2023, oggetto della causa RG 6416/2023; 4. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a rifondere ai convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 le spese di lite del presente procedimento, liquidate per ciascuno dei convenuti in Euro 12.386,50 per compensi, oltre ad IVA, CPA e rimborso spese generali al 15% ex DM 55/2014; 5. condanna gli attori Parte_l e Parte_2, in solido tra loro, a pagare a ciascuno dei convenuti Controparte_1 ed Controparte_2 (...) la somma capitale di Euro 2.000,00, ex art. 96 co. 3 CPC. Così deciso in Treviso, il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI SESTA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del Giudice, Salvatore Di Lonardo, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 36103/2018 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2018; avente ad OGGETTO: "impugnazione delibera assembleare condominiale"; vertente TRA (...) entrambi rappresentati e difensi dall'Avv. (...); E (...), in persona del proprio amministratore, ing. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); CONCLUSIONI Come in atti. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) premesso di essere proprietari dell'unità (...), hanno impugnato la delibera assunta in seconda convocazione dall'assemblea condomini ile in data 15.10.2018, limitatamente all'approvazione del progetto per l'installazione dell'impianto ascensore ed al conseguente affidamento dell'appalto alla ditta (...). Tale deliberato è stato approvato da venti condomini (su ventiquattro), per un totale di 833,64 millesimi, con voto contrario degli attori. Nel processo si è costituito il convenuto (...), il quale - con istanza reiterata nella propria comparsa conclusionale depositata il 5 dicembre 2023 - ha chiesto, in via pregiudiziale, di dichiarare "l'improcedibilità della domanda giudiziale per genericità ed indeterminatezza della domanda formulata con l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, per l'asimmetria e la diversa causa petendi tra dette domande". La questione è stata già decisa con ordinanza del 3 maggio 2019, nella quale si legge testualmente: "ritenuta infondata l'eccezione del Condominio convenuto relativa alla improcedibilità della domanda per l'asserita genericità ed asimmetria della stessa rispetto alla domanda oggetto dell'esperito tentativo obbligatorio di mediazione, in quanto, il verbale di chiusura della seconda procedura di mediazione, recante la data del 7.12.2018, indica espressamente l'oggetto della procedura de qua, "Impugnativa delibera assembleare", nonché le ragioni della pretesa, richiamando proprio il punto 1 dell'ODG relativo alla convocazione della assemblea condominiale del 15/10/2018, in cui si decideva e si votava a favore della installazione dell'impianto elevatore della quale discutono gli odierni attori, agendo in giudizio con la impugnazione della relativa delibera ("Impugnativa delibera assembleare del 15.10.2018 in quanto il punto 1 dell'odg che prevede l'installazione dell'ascensore viola le norme del c.c. e del regolamento condominiale che regolano la proprietà privata dei condomini"). Pur a prescindere dal valore sostanziale, di ordinanza o di sentenza, che si voglia riconoscere al suindicato provvedimento, lo stesso merita di essere qui integralmente condiviso, non avendo la parte, peraltro, prospettato argomentazioni che possano indurre a defletterne. Per ciò che concerne, invece, il merito del processo, il primo motivo di impugnazione attiene alla violazione degli artt. 3 e 17 del regolamento condominiale, i quali, però, non assumono nessuna rilevanza rispetto all'oggetto del deliberato: l'art. 3 si limita ad indicare le cose di proprietà comune; l'art. 17, invece, indica divieti del tutto estranei alla fattispecie in esame. In realtà, le disposizioni del regolamento condominiale sono richiamate perché gli attori ritengono violata la procedura prevista dall'art. 1117 ter c.c. Si legge in citazione: "Il (...) ha violato gli artt. 3 e 17 del predetto regolamento dove rispettivamente vengono individuate le parti comuni e posti i divieto al loro ingombro. Questo poiché l'art. 1117 ter c.c. al comma terzo prevede, a pena di nullità, che nella convocazione devono indicarsi le parti comuni oggetto dell'installazione ovvero del progetto esecutivo dell'impianto e la convocazione di tutti coloro che hanno diritti su quelle parti indivise". Ritiene questo Giudice che l'art. 1117 ter del codice civile è norma non applicabile nella fattispecie in esame; considerato, peraltro, che l'installazione dell'ascensore all'interno del (...), è opera favorita dal legislatore (arg. sulla base della legge n. 13/89). Nella piena consapevolezza delle difficoltà interpretative poste dalla summenzionata norma - in rapporto con la diversa disciplina dettata dal successivo art. 1120 per le innovazioni - deve ritenersi che, così come sostenutosi da una parte della dottrina, l'art. 1117 ter "riguarda particolari e complesse fattispecie condominiali di modifiche di destinazione d'uso che impongono, per soddisfare esigenze di interesse condominiale, all'assemblea di adottare delibere con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quinti del valore dell'edificio. Ad un primo esame del nuovo art. 1117 ter si possono, quindi, configurare limitate ipotesi di applicazione (ad esempio, installazione di una piscina, di un campo di tennis o di calcio nell'area comune, modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del portiere, accorpamento di più edifici in un unico condominio). Non possono certamente farsi rientrare nella ipotesi di modificazione delle destinazioni d'uso da approvare con la maggioranza (quasi bulgara) dei quattro quinti le delibere di installazione ... di un ascensore...". Per vero, altra diversa opinione dottrinale individua in maniera precisa le differenze tra le "modifiche alla destinazione d'uso", di cui si occupa l'art. 1117 ter cit., e le "innovazioni tradizionali" disciplinate dall' art. 1120, le quali si distinguono, non solo per un aspetto formale (le differenti maggioranze prescritte), ma per il loro contenuto, "vale a dire per la possibilità di incidere sul godimento delle cose comune da parte dei singoli": "mentre le innovazioni tradizionali incontrano la barriera insuperabile della intangibilità del godimento da parte dei singoli, la circostanza che le modifiche alla destinazione d'uso possano privare dell'uso alcuni condomini si spiega con il contenuto di questi mutamenti, che non alterano la morfologia delle cose: vale a dire, che non alterano la struttura (materiale) di esse, ma afferiscono al solo godimento. L'ammissibilità delle modifiche alla destinazione d'uso, che rendono inservibili le parti comuni a taluni condomini, non raffigura una svista, o una contraddizione. Inserito nel sistema, il nuovo assetto si presenta come una scelta non irrazionale". La dottrina in esame, per meglio esplicitare il proprio pensiero, propone il seguente esempio: "la trasformazione del cortile in parcheggio per assegnare i posti auto ai condomini; oppure, con la stessa finalità, lo scavo del sottosuolo nel cortile per ricavare i box per le auto. Nel primo caso, la maggioranza qualificata può validamente deliberare, anche se la delibera rende impossibile l'uso di taluni condomini, perché i posti auto non risultano sufficienti, trattandosi di decisione che non incide sulla sostanza della cosa comune e che, pertanto, può essere rivista con diversa assegnazione dei posti auto, per sorteggio o con uso turnario. Nel secondo caso, invece, poiché l'entità materiale della res viene ad essere alterata in modo conclusivo, quando alcuni partecipanti vengono esclusi le innovazioni non possono essere approvate dalla maggioranza". All'evidenza, a prescindere dall'adesione all'uno o all'altro degli indirizzi suesposti, l'art. 1117 ter c.c. è norma estranea al caso in esame, rispetto al quale trova applicazione il regime delle innovazioni tradizionali e, pertanto, salvo quanto previsto con riferimento alle maggioranze contemplate dalla legge speciale, l'installazione di un ascensore a servizio di un edificio che in precedenza ne era sprovvisto deve essere astrattamente deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui agli artt. 1120, co. 1, e 1136, co. 5, c.c.; dunque, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. Peraltro, si è evidenziato come alla stregua di una lettura costituzionalmente orientata e in applicazione sia del principio di solidarietà condominiale che della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009 n. 18, la deliberazione di installazione di ascensore con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall'art. 1120, comma 1, c.c. è valida anche in mancanza di specificazione del fine di eliminazione delle barriere architettoniche ai sensi dell'art. 2 l. n. 13 del 1989 e, altresì, in assenza di disabili nell'edificio, in quanto nella stessa è immanente la finalità legittima di consentire l'accesso ai portatori di handicap senza difficoltà in tutti gli edifici e non solo presso la propria abitazione, essendo ostativo non il mero disagio bensì solo l'inservibilità della cosa comune al godimento e uso anche di un solo condomino, intesa come concreta inutilizzabilità secondo la sua naturale fruibilità, con la salvaguardia comunque del decoro architettonico e la sicurezza da valutare, però, nella loro essenzialità ed incidenza negativa non minimale (Cass. 18334/2012). Vieppiù, trattandosi di impianto suscettibile di utilizzazione separata, lo stesso può essere attuato anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all'articolo 1102), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuente (...) settembre 2017 n. 2071). Ulteriore motivo di impugnazione attiene alla mancanza del quorum richiesto dall'art. 1120 del codice civile. Trattasi, però, di motivo inammissibile, in quanto così genericamente dedotto: "è bene precisare che venivano conteggiati nella votazione anche condomini non interessati all'installazione ed esclusi dalla relativa ripartizione della spesa per la quota di pagamento. In effetti, il totale dei millesimi a favore dell'installazione dell'ascensore e paganti sono 606,58 per quindici condòmini su ventiquattro, salvo errori ed omissioni. Ordunque, ai fini del quorum necessario per votare tale innovazione mancano i millesimi richiesti dall'art. 1120 c.c. relativo alle innovazioni". Tale affermazione non consente - in difetto di ulteriori precisazioni - di smentire il diverso quorum di 861,29/1000 indicato nella delibera. Infine, gli attori si dolgono della lesione che il progetto del nuovo ascensore arreca alla loro proprietà. Nello specifico, l'impianto di cui trattasi, così come deliberato dall'assemblea, deve essere realizzato all'esterno, sul prospetto Nord - Ovest, nel retro dell'edificio (...) sull'area attualmente adibita a giardino, come meglio si evince dalla foto che segue. (...) e (...) denunciano la violazione delle distanze, in ragione della contiguità dell'ascensore alla finestra della loro cucina, e si lamentano della conseguente perdita di luce che ne seguirebbe, laddove venisse realizzato l'impianto, oltre che delle inevitabili immissisioni rumorose. Peraltro, considerato il punto di primo imbarco dell'ascensore, gli attori lamentano la violazione della loro privacy "il vano ascensore sarebbe prospeciente alla finestra dell'appartamento e, dunque, condomini e visitatori, nell'uso dell'ascensore, potrebbero guardare direttamente all'interno della abitazione, determinando un'invasione della privacy della famiglia (...) e condizionando così la libera vivibilità della loro quotidianità domestica". Infine, si legge in citazione che "i sigg. (...) ..., vedrebbero decrescere il valore economico del loro appartamento a causa dell'installazione dell'ascensore, oltre che per immissioni di rumori, vibrazioni, cattivi odori, problematiche termiche e onde elettromagnetiche, anche per il fatto che la loro proprietà è sita al pianterreno dello stabile". In alternativa, (...) e (...) hanno proposto una diversa collocazione dell'ascensore, sul lato Sud -Est del fabbricato, ove si trova l'ingresso della scala I. Rispetto a tali specifiche doglianze è stato nominato un CTU, al quale, tra gli altri accertamenti, è stato dato l'incarico di "verificare se il progetto alternativo prospettato dagli attori rappresenti valida alternativa sotto tutti i punti di vista anche in merito alle doglianze articolate rispetto al progetto del condominio". Sul punto, l'odierno giudicante ritiene di dover condividere quanto affermato dal (...): non è consentito in tal sede sindacare il merito della scelta tra l'uno o l'altro progetto, potendosi solo verificare la legittimità della volontà assembleare; per il che deve senz'altro escludersi che sia ravvisabile il vizio di eccesso di potere denunciato in citazione. Venendo all'impianto ascensore deliberato dall'assemblea, il CTU ha accertato che: - a) "la distanza tra la parete esterna della cabina ascensore e il filo esterno parete del vano finestra dell'ambiente cucina asservito all'appartamento posto al piano ammezzato di proprietà (...) è pari a ml = 2,92"; - b) "l'impianto ascensore previsto, del tipo panoramico con castelletto metallico e pannellature in cristallo di sicurezza trasparente, produce una minore luminosità sull'apertura del vano finestra "fi" dell'ambiente cucina asservito all'appartamento dei ricorrenti come segue: Sulla finestra "fi" la proiezione dell'impianto elevatore su tale vano incide per una larghezza pari a ml = 0,30 e, considerando la larghezza di apertura del vano, pari a ml 1,30, si ha una luminosità ridotta pari al 23%". Infine, il CTU ha verificato che l'impianto non rispetta le condizioni di accessibilità e di imbarco diretto per i disabili previste dalla legge 13/89. Orbene, poiché il nuovo ascensore deve essere realizzato all'esterno del fabbricato, con una struttura avente una propria consistenza, lo stesso non può essere considerato - come vorrebbe parte convenuta - un "volume tecnico" sottratto al rispetto delle distanze legali (si veda, Cass. 34461/2023, che ha ritenuto di dover correggere la motivazione della decisione impugnata ex art. 384 c.p.c., u.c., in quanto il dispositivo adottato era giustificato non in ragione della qualificazione dell'ascensore e della sua struttura prefabbricata di metallo e vetro come volume tecnico, ma in base alla normativa in tema di abbattimento delle barriere architettoniche). Conseguentemente, alla luce delle verifiche compiute dal CTU, può dirsi accertato che l'ascensore oggetto del deliberato assembleare, in quanto collocato a distanza inferiore a tre metri rispetto alla finestra del vano cucina degli attori, viola l'art. 907 c.c., quale norma applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio (Cass. n. 10563 del 2001 e Cass. n. 23023 del 2000). Né, tale violazione può dirsi giustificata dalla normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, non risultando rispettate le relative condizioni di legge (non rilevano, rispetto alla decisione da assumere in questa sede, le eventuali conseguenze derivanti dagli incentivi del superbonus di cui fa menzione il convenuto nei propri atti difensivi). Orbene, non essendo l'impianto ascensore destinato all'abbattimento delle barriere architettoniche, la violazione della distanza prevista dall'art. 907 c.c. determina l'illegittimità della delibera assembleare, posto che se non possono essere lesi da delibere dell'assemblea condominiale, adottate a maggioranza, i diritti dei condomini attinenti alle cose comuni, a maggior ragione non possono essere lesi, da delibere non adottate all'unanimità, i diritti di ciascun condomino sulla porzione di proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative. Né l'ascensore può essere considerato impianto indispensabile per un'effettiva abitabilità dell'appartamento, non avendo la medesima funzione degli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari, rispetto ai quali pure si ammette - in determinati limiti - la possibilità di derogare alla normativa sulle distanze. La delibera assembleare deve, per tale ragione, essere dichiarata nulla. In considerazione del fatto che non tutti i motivi di impugnazione si sono rivelati fondati, le spese di lite, ivi comprese quelle afferenti alla doppia fase cautelare, possono essere parzialmente compensate tra le parti. La compensazione va disposta nella misura del 30%, anche con riguardo all'espletata CTU, il cui costo risulta interamente anticipato in via provvisoria dagli attori nella misura di euro 3.924,63. Tra le spese di lite da liquidarsi in tal sede rientrano certamente quelle afferenti alla fase cautelare della sospensione della delibera (da determinare tenendo conto del risultato complessivo della causa, indipendentemente dalle ragioni specifiche del subprocedimento), ma non possono considerarsi quelle relative alla mediazione svoltasi con riguardo ad altra e diversa delibera assembleare. Devono essere riconosciute, invece, le spese inerenti alla seconda procedura di mediazione, recante la data del 7.12.2018, strumentalmente collegata al presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Salvatore Di Lonardo, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - a) dichiara la nullità della delibera impugnata; - b) compensa per il 30% le spese di lite e pone il rimanente 70% a carico del convenuto, (...), che in tal parte liquida nella misura di euro 3.215,96 per esborsi (ivi comprese le spese di CTU) ed euro 7.700,00 per compenso professionale (di cui: euro 4.900,00 per il giudizio di merito; euro 1.050,00 per la fase di mediazione; euro 1.750,00 per la fase cautelare), oltre rimborso spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Così deciso il 23 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 287 del 2024, proposto da Ma. Lo., rappresentata e difesa dall'avvocato Si. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bologna e le Provincie di Modena Reggio Emilia e Ferrara, Condominio via (omissis) (Ca. Gu. Pa.), non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima n. 344/2023, resa tra le parti, per l'annullamento del parere negativo della Soprintendenza espresso in merito alla realizzazione di un ascensore su immobile vincolato del 19 luglio 2022 n. 0018830-P e atti presupposti e connessi; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellante l'avvocato Si. Go.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La signora Ma. Lo. è proprietaria di una unità immobiliare ad uso residenziale all'ultimo piano di un Palazzo storico sito in Bologna, via (omissis), denominato "Ca. Gu. Pa.", un edificio del XVI secolo vincolato dal 1910 ai sensi della legge n. 364/1909. 2. Nel gennaio del 2020 la Signora Lo. presentava domanda alla competente Soprintendenza per ottenere l'autorizzazione alla realizzazione di un ascensore per consentire alla madre disabile di accedere all'appartamento. 3. In data 10 gennaio 2021 la Soprintendenza comunicava il preavviso di rigetto, individuando come motivi ostativi l'esiguità dello spazio per la costruzione dell'ascensore e la circostanza che un intervento di tale portata avrebbe determinato una snaturazione dell'assetto storico architettonico del bene immobile vincolato. 4. A seguito del silenzio serbato dall'amministrazione l'odierna appellante ha proposto ricorso dinanzi al TAR dell'Emilia-Romagna, che lo ha accolto con la sentenza n. 1068 del 29 dicembre 2021. 5. Nelle more dell'insediamento del Commissario ad acta, in data 19 luglio 2022 la Soprintendenza ha adottato un parere definitivo sfavorevole alla realizzazione dell'ascensore così motivato: 1) in virtù della rilevanza storico artistica dell'immobile in questione, caratterizzato dalla presenza di raffinati capitelli in facciata a cui si riferiscono stilisticamente i capitelli, anch'essi originari, del piccolo cortile, l'inserimento dell'ascensore nella piccola corte comprometterebbe, per sempre, la configurazione spaziale e architettonica dello spazio; 2) la corte entro cui si vuole istallare l'ascensore risulta estremamente ridotta nelle sue dimensioni, ma anche particolarmente armonica ed articolata; 3) dalla documentazione fotografica allegata è evidente la presenza di numerose finestre e aggetti costituiti da terrazzini, pianerottoli e piccoli sporti di gronda; 4) la realizzazione di una serie di pianerottoli di sbarco chiuderebbe la vista e creerebbe ulteriori elementi orizzontali, snaturando completamente l'articolazione spaziale del palazzo; 5) sarebbe possibile l'installazione di un'opera reversibile, il montascale. 6. L'odierna appallante impugnava tale provvedimento davanti al TAR Emilia-Romagna deducendo i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 1, 2, 4 e 5 della legge n. 13 del 1989 e delle linee guida ministeriali del 2008; 2) violazione dell'art. 10, comma 3, del d.l. n. 76 del 2020; 3) violazione del D.M. n. 236 del 1989, della legge n. 104 del 2004, del d.lgs. n. 42 del 2004, difetto e illogicità della motivazione, travisamento dei fatti, violazione degli artt. 2, 3, 32 e 97 Cost. 7. Il TAR dell'Emilia-Romagna, Sezione Prima, con la sentenza n. 344 del 5 giugno 2023, rigettava il ricorso, alla luce delle seguenti considerazioni: - la Soprintendenza non aveva adottato una motivazione di mero stile, ma aveva diffusamente argomentato in merito alla contrarietà dell'intervento proposto rispetto alle esigenze di salvaguardia del bene tutelato "ovvero di un palazzo cinquecentesco (con cortile interno definito "fine gioiello") caratterizzato dalla presenza di raffinati capitelli in facciata e contemperando le esigenze di tutela del patrimonio artistico con l'eliminazione delle barriere architettoniche mediante l'installazione di un montascale ovvero di una opera reversibile, meno impattante ed ugualmente funzionale allo scopo di consentire l'accesso da parte della madre della ricorrente all'abitazione della figlia; " - tale valutazione, espressione di discrezionalità di tipo tecnico, appare ragionevole ed immune dalle doglianze dedotte, tenuto conto sia del fatto che la madre della ricorrente non risulta residente nel palazzo oggetto di tutela e dunque delle esigenze personali non continuative sia perché parte ricorrente non allega le ragioni per cui l'installazione di un montascale non possa essere funzionale all'accesso all'appartamento di proprietà ; - nel caso di specie la soluzione del montascale costituisce il giusto contemperamento dei due interessi contrapposti, entrambi di rilievo costituzionale (art. 2 e 32 Cost.), possibile anche in assenza dell'autorizzazione del condominio mentre l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere di cui all'articolo 27, comma 1, della legge 118/1971 e all'articolo 1, comma 1, del D.P.R. 384/1978, costituisce un'innovazione che, ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2, della legge n. 13/1989, va approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta. 8. Avverso la suindicata sentenza la Signora Lo. ha proposto appello deducendo i seguenti motivi. 8.1 Con il primo motivo, l'odierna appellante censura la sentenza di primo grado per difetto e erroneità della motivazione, nonché errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 13 del 1989, in quanto la Soprintendenza non avrebbe fornito motivazione circa il pregiudizio specifico e serio che l'intervento edilizio determinerebbe al palazzo storico. Non si capirebbe la compromissione del bene e perché l'ascensore costituirebbe un pregiudizio. Le finestre non sarebbero toccate dall'ascensore posto al centro della corte, mentre i pianerottoli di sbarco, che, creando ulteriori elementi orizzontali, modificano l'articolazione spaziale del palazzo, non sarebbero però un serio pregiudizio per il palazzo. Il TAR si sarebbe limitato ad affermare che l'amministrazione avrebbe diffusamente motivato il provvedimento, ma senza concludere che la motivazione sia pertinente e legittima. Il vincolo non potrebbe impedire la realizzazione di strutture oggi essenziali e sacrificare necessità primarie. 8.2 Con il secondo motivo si deduce l'illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto necessaria la presenza di esigenze personali continuative ai fini del rilascio del parere positivo sull'opera. L'appellante rappresenta, in particolare, come la madre non abiti più in tale palazzo proprio a causa della mancanza di un ascensore. La residenza anagrafica non sarebbe rilevante ai fini della decisione sull'ammissibilità o meno dell'intervento e la disabilità certificata e permanente non sarebbe necessaria ai fini dell'eliminazione delle barriere architettoniche. La semplice esistenza dell'ascensore sarebbe funzionale ad assicurare la vivibilità dell'appartamento, rivestendo pertanto un carattere essenziale. 8.3 Con il terzo motivo si evidenzia l'illegittimità della sentenza nella parte in cui ritiene che la soluzione migliore per contemperare i due contrapposti interessi che vengono evidenzati in siffatta ipotesi sia la realizzazione di un montascale. Secondo l'appellante la legge n. 13/1989 parlerebbe però di un servoscale, un dispositivo tecnico con caratteristiche diverse. Il TAR avrebbe oltrepassato il thema decidendum in quanto l'oggetto della richiesta era un ascensore, mentre la praticabilità della soluzione alternativa non sarebbe provata. Nemmeno l'assenso da parte del condominio sarebbe stato oggetto del ricorso di primo grado, ma unicamente la legittimità del parere della Soprintendenza. 8.4 Con il quarto motivo d'appello si rileva la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui pone come ulteriore argomento a sostegno della legittimità del provvedimento di diniego la circostanza che la costruzione di un ascensore nel palazzo richiederebbe l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, mentre non sarebbe necessaria nel caso del montascale. La questione se l'ascensore sia o meno un'innovazione (necessitando l'approvazione del Condominio) sarebbe estranea all'oggetto di causa. 8.5 Con l'ultimo motivo l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'ascensore rappresenti un'innovazione e, come tale, richiederebbe l'approvazione da parte della maggioranza dell'assemblea condominiale. 9. Con l'ordinanza n. 455/2024 del 8 febbraio 2024 la Sezione ha ritenuto che le esigenze cautelari prospettate, anche in ordine all'età ultranovantenne della madre dell'appellante, siano tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, ai sensi dell'art. 55, co. 10, c.p.a. 10. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 in occasione della quale è stata trattenuta in decisione. 11. L'appello non merita alcuna condivisione. 12. Risulta dirimente, ai fini della delibazione del presente appello lo scrutinio del primo motivo, che verte sul punto centrale della controversia: la legittimità (o meno) del parere negativo in merito alla realizzazione di un ascensore in un palazzo vincolato e la rispettiva discrezionalità tecnica della Soprintendenza. 13. È opportuno ricordare che l'Amministrazione Pubblica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate ma deve specificare le ragioni del diniego, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'immobile interessato dall'apposizione del vincolo. Pertanto è insufficiente la motivazione del diniego all'istanza di autorizzazione fondata su una generica incompatibilità, non potendo l'amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate (ex multis Cons. Stato, sez. VII, n. 11591/2022, e la giurisprudenza ivi richiamata). D'altro canto, è pure pacifica la giurisprudenza di questo Consiglio sull'intensità e sui limiti del controllo giurisdizionale in merito alla discrezionalità tecnica, ritenendo che il sindacato non possa estendersi fino al punto in cui non diventi sostitutivo delle scelte frutto di discrezionalità tecnica o espressione di puro merito compiute dall'Amministrazione, potendo quindi sindacare i giudizi affermati laddove contrastino con dati di fatto o costituiscano una condotta contraddittoria o illogica (Cons. Stato, sez. IV, n. 11363/2022). 14. Tutto ciò premesso, in linea con quanto supposto dalla sentenza di primo grado, il parere espone le ragioni per cui l'intervento determina una compromissione del contesto culturale di pregio, per la cui conservazione sono stati emanati i provvedimenti ministeriali di vincolo. La motivazione del parere è pertanto adeguata nel suo complesso, sia con riguardo all'esposizione dei vincoli insistenti, sia con riguardo al contesto culturale in cui esso si colloca. Ed invero, il parere negativo della Soprintendenza risulta esaustivamente motivato e pluristrutturato circa il grave pregiudizio che l'istallazione dell'ascensore arrecherebbe al palazzo cinquecentesco. La Soprintendenza ha motivato il suo diniego deducendo che la realizzazione dell'opera nella minuscola corte, unitamente alla realizzazione di pianerottoli di sbarco per i singoli piani, comprometterebbe la configurazione spaziale e architettonica dell'edificio andando a snaturare la sua conformazione originaria. La particolarità del Palazzo (e quindi l'elemento principale per la tutela), come emerge dal provvedimento gravato, risiede nel fatto che la Ca. Gu. Pa. risulta essere uno dei pochi esempi di Palazzi cinquecenteschi con un impianto chiaro e ben conservato nelle proprie caratteristiche artistiche ed architettoniche presenti sul territorio del Comune di Bologna, avvalorato da raffinati capitelli in facciata con elementi fitomorfi, a cui corrispondono i peducci del sottoportico e a cui si riferiscono stilisticamente i capitelli, anch'essi originari, del piccolo cortile. Aveva rilevato la Soprintendenza che, essendo tale ultimo così ridotto nelle sue dimensioni, aveva rilevato la Soprintendenza, ma contestualmente particolarmente armonico ed articolato, con numerose finestre, terrazzini, pianerottoli e piccoli sporti di gronda (tutte presente fortemente strutturate e complesse), l'ascensore comporterebbe proprio un azzeramento del carattere peculiare come "fine gioiello dei cortili interni bolognesi". La sua posizione centrale nel cortile significherebbe, secondo la Soprintendenza, la chiusura della vista e la creazione di elementi orizzontali che modificherebbero l'articolazione spaziale del bene. Risulta quindi provato l'effetto gravemente impattante rispetto alla pregevole composizione degli spazi del bene vincolato. Ciò è ulteriormente visibile dalla documentazione fotografica dimessa dalla Soprintendenza in primo grado. 15. Sotto queste doverose premesse il Collegio può accertare che il TAR ha correttamente scrutinato il ricorso. La Soprintendenza non ha genericamente adottato il parere negativo ma ha puntualmente chiarito perché l'ascensore era da considerarsi un pregiudizio di fronte al bene culturale protetto. Come emerge dalla piana lettura del provvedimento impugnato, il parere negativo della competente Soprintendenza è puntualmente motivato. Alla descrizione del contesto interessato dall'intervento si dà atto delle caratteristiche tecniche dell'opera, per poi considerare il bene tutelato ed esplicitare, infine, le ragioni per cui l'intervento si porrebbe in contrasto con l'ambito di tutela, a causa della modificazione permanente della lettura e del godimento dei caratteri architettonici dello stato dei luoghi, in quanto i lavori risulterebbero esteticamente non idonei ai caratteri storici dell'edificio comportando il degrado degli ambienti. 16. Una volta accertato il corretto esercizio della discrezionalità nel parere gravato, le altre doglianze non sono idonee a condurre ad un risultato diverso. 17. Il secondo e il terzo motivo d'appello, che possono essere valutati congiuntamente, sono pure infondati. Come rappresentato correttamente dalla stessa parte appellante, il fatto che la madre dell'odierna appellante non è residente nel palazzo non ha alcun effetto sulla legittimità del parere negativo, né l'alternativa progettuale suggerita dalla Soprintendenza nel provvedimento - il montascale - aggiunge un elemento invalidante. La Pubblica Amministrazione ha valutato il singolo intervento nella sua specificità, rispetto all'ambito in cui questo si inseriva ed ha analizzato la fruizione e la valorizzazione del bene, condizione necessaria al fine di conservare il bene vincolato. Orbene, nel caso specifico è stata valutata la soluzione del servoscala come soluzione totalmente reversibile e meno impattante, che consente la visuale a tutte le finestre che danno nel cortile in maniera continuativa, ed avrebbe creato un ingombro temporaneo e solo al momento dell'utilizzo. 18. Anche la quarta e quinta censura, che per la loro stretta connessione possono essere esaminate congiuntamente, non sono idonee a confutare la legittimità del parere negativo. Rileva il Collegio che l'art. 2 della legge n. 13/1989 prevede che i condomini interessati all'adozione di strumenti di superamento delle cd. barriere architettoniche sono legittimati esclusivamente ad "installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili" o "modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages". Il montascale rientra a pieno titolo in tale elencazione costituendo un dispositivo, sì diverso rispetto al servoscala, ma comunque classificabile come "struttura mobile facilmente rimovibile". Dunque, il TAR ha correttamente indicato la soluzione alterativa del montascale, prospettata dalla Soprintendenza, in quanto la stessa appare evidentemente la più ottimale per la tutela del patrimonio culturale, non alterando eccessivamente la conformazione del palazzo storico, e la tutela degli interessi personali dell'odierna appellante. 19. L'articolo 78 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ("Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia") sotto la rubrica "Deliberazioni sull'eliminazione delle barriere architettoniche (legge 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2)" recita testualmente: "1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile". L'articolo 2 della legge 9 gennaio 1989 n. 13 ("Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati") nel testo risultante dal citato "decreto semplificazioni" (d.l. 16 luglio 2020, n. 76) così recita: "2.1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile. Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell'articolo 1121, primo comma, del codice civile. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell'articolo 1120 del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile". 20. Da tale quadro normativo si evince chiaramente come l'ordinamento richieda (ancora), ai fini dell'istallazione di un ascensore la deliberazione del condominio, anche nel caso in cui questo sia finalizzato ad eliminare le barriere architettoniche per le persone con disabilità (o altri soggetti fragili), ancorché realizzato a proprie spese. Tale soluzione è il frutto della necessità di trovare il punto di equilibrio tra i diversi interessi contrapposti quelli domenicali, quelli sottesi alla tutela dei beni storici, quelli delle persone con disabilità (Cfr. Cons. di Stato, Sez VI, n. 9503 del 3 novembre 2023). Quindi, il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto che l'installazione di un ascensore all'interno di un cortile condominiale sia qualificabile come "innovazione" (art. 1120 c.c.), ragion per cui la decisione sulla sua realizzazione avrebbe dovuto essere assunta, necessariamente, dal condominio. Non coglie nel segno nemmeno il richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale, in alcune pronunce, ha affermato la tutelabilità dell'interesse del singolo ad installare l'ascensore in parti comuni dell'edificio anche in presenza del dissenso di altri condomini (cfr. Cass. Civile, sez. II, 14/06/2022, n. 19087), ovvero la tutelabilità dell'interesse del singolo ad installare l'ascensore al fine di rimuovere barriere architettoniche anche in violazione delle norme sulle distanze (Cass. Civile, sez. II, 26/11/2019, n. 30838), o, ancora, che la legge 9 gennaio 1989 n. 13, in materia di eliminazione di barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale (principio affermato proprio in relazione alla realizzazione di un ascensore: Cass. civile, sez. II, 28/03/2017, n. 7938). Tuttavia si tratta di pronunce intervenute per disciplinare il conflitto privatistico tra condomini, ovvero di pronunce che, al termine di un giudizio di cognizione piena, hanno definito con efficacia di giudicato determinati assetti proprietari. Questo Consiglio, invece, come più volte ricordato, ha affrontato il diverso problema della legittimazione a chiedere l'Autorizzazione della Soprintendenza alla realizzazione dell'ascensore in un immobile vincolato e la sussistenza di tale legittimazione non può che essere valutata alla luce della normativa prima scandagliata nella motivazione (ovvero: l. 9 gennaio 1989, n. 13; D.P.R. 380/2001, artt. 77-82; d.lgs. n. 42/2004, art. 21). 21. Per quanto precede l'appello deve essere respinto. 22. Nulla si deve decidere sulle spese di lite in base alla mancata costituzione della controparte. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore

  • Tribunale Ordinario di Lucca Il giudice istruttore dott. Enrico Fontanini, all'esito dell'udienza dell'11/04/2024, come sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., viste le note scritte di parte, pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c., nel procedimento RG 3880/2022 promosso da (...) C.F. (...) Avv. I.Sa. contro (...) C.F. (...) Avv. C.Ta. (...) C.F. (...) Avv. B.Gi. (...) C.F. (...) Avv. T.Si. (...) C.F. (...) Avv. A.Fr. (...) C.F. (...) Avv. P.An. (...) C.F. (...) Avv. P.An. (...) C.F. (...) Avv. A.Pr. Oggetto: Lite di vicinato Conclusioni delle parti: di cui all'udienza dell'04/03/2024 la seguente SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO (...) ha chiesto nei confronti dei convenuti indicati in epigrafe la cessazione delle turbative al suo diritto di proprietà, con conseguente risarcimento dei danni materiali, morali ed esistenziali subiti, asserendo l'essersi verificate numerose molestie a suo danno, tali da averla perfino obbligata ad abbandonare l'immobile di sua proprietà; inoltre, l'attrice ha chiesto anche, al fine di far cessare le suddette asserite turbative, il disporsi di una regolamentazione della corte comune condivisa con i convenuti, la quale è sita in Lucca alla (...) (cosiddetta Corte Soldo). I convenuti hanno contestato le argomentazioni avversarie chiedendo il rigetto di ogni domanda attorea, adducendo l'assenza di qualsiasi tipo di molestia a danno dell'attrice e l'esistenza di una regolamentazione tacita e pacifica relativa all'uso dello spazio comune già in essere da numerosi anni tra i comunisti. Inoltre, (...) e (...) anno rilevato la realizzazione di opere qualificate come illegittime ( ossia un pergolato e delle opere accessorie ) da parte della (...) sulla corte a comune e il posizionamento e l'utilizzo - senza il consenso degli altri comunisti - di due webcam munite di fari che prospettano sull'ingresso comune della corte stessa. A tal riguardo, quindi, hanno proposto domanda riconvenzionale richiedendo la condanna alla rimozione sia delle opere sia delle webcam, con la conseguente rimessione in pristino dei luoghi. In relazione alle domande di parte attrice, quella di regolamentazione della corte a comune, in particolare circa l'area destinata al parcheggio delle vetture dei residenti, appare generica in quanto priva di specifiche deduzioni sulla necessità di pervenire ad una regolamentazione da parte di altri, non risultando esperiti tentativi di formazione di maggioranze assembleari tra i comunisti, come richiede la disciplina in materia. Inoltre, la suddetta domanda appare anche inammissibile dal momento che può, appunto, farsi ricorso allo strumento di cui all'art. 1105 ult. comma c.c. che comporta, però, l'introduzione di un procedimento di volontaria giurisdizione. In secondo luogo, la domanda di ordine di cessazione delle molestie non è fondata. Infatti, gli interrogatori formali dei convenuti non hanno sortito alcun effetto favorevole nei confronti delle argomentazioni di parte attrice. Per quanto attiene all'escussione dei testimoni e alle risultanze da essa emerse, il Geom. (...) si è espresso esclusivamente circa la realizzazione e la sussistenza del pergolato, circostanze non dirimenti ai fini di provare la verificazione di molestie o meno. Relativamente all'altro teste (Avv. (...) - precedente legale dell'attrice) - e indipendentemente dall'eccezione della sua incapacità - le sue dichiarazioni sono da reputarsi irrilevanti e non utili in quanto trattasi di testimonianze esclusivamente de relato actoris. Il teste (...) inoltre, ha confermato la circostanza che "per quanto da lei riscontrato personalmente tali strutture ed opere - realizzate sullo spazio comune dall'attrice - restringono l'ampiezza della via di accesso alla sopra citata corte" e anzi ostacolano le manovre di ingresso e/o uscita. Non sussistono, dunque, mezzi probatori adeguati ai fini dell'accoglimento della suddetta domanda, la quale deve essere perciò rigettata. Quanto, infine, alla domanda riconvenzionale dei convenuti (...) e (...) essa - innanzitutto - non è stata specificamente contestata da parte attrice; inoltre, si deve distinguere: - Circa l'affissione delle due webcam soccorre, in primo luogo, l'art. 1122 - ter c.c. il quale prevede che " le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono - e quindi devono - essere approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art. 1136 comma 2 c.c. " - circostanza nel caso di specie non rispettata; in secondo luogo, è necessario fare riferimento alla normativa del Codice Privacy - nonché allo stesso Regolamento 2016/679 (c.d. GDPR) - poiché l'attivazione e la gestione di un sistema di videosorveglianza all'interno di un condominio o comunque di uno spazio in regime di comunione, al fine specifico di controllare le stesse aree comuni, comporta un trattamento di dati personali che deve essere necessariamente progettato ed eseguito attuando in modo efficace i principi di protezione dei dati personali poiché nella fattispecie de qua finisce per qualificarsi come un trattamento di dati personali automatizzato, permettendo i dispositivi installati di registrare e di "stoccare" dati personali quali video ed immagini che consentono l'identificazione di persone fisiche. Non solo, dunque, nel caso di specie non è stato richiesto il consenso degli aventi diritto ma non sono stati né individuati i ruoli necessari alla tutela effettiva della privacy dei soggetti coinvolti ( quale ad esempio la figura del titolare del trattamento ex art. 4 paragrafo 1 n.7 del GDPR), in violazione di quanto disposto ex lege, né effettuata una valutazione di contemperamento degli interessi in causa (da un lato la garanzia della sicurezza dei beni e delle persone e il fine di prevenire la realizzazione di illeciti, dall'altro la necessità effettiva di un trattamento che rispetti la normativa privacy) ovvero un piano di gestione appropriato, che rispettasse i principi di minimizzazione, limitazione della conservazione delle immagini entro un periodo di tempo limitato, esattezza ed integrità e sicurezza. Infine, le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per cui sono acquisite ex art. 5, paragrafo 1, lett. c) ed e), del Reg. e in base al principio di responsabilizzazione spetta allo stesso titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle stesse, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche: si può, dunque, osservare come l'attrice non abbia rispettato la suddetta normativa, emergendo dagli atti che le immagini risalgono anche a molti mesi fa. - Circa il pergolato con le relative opere accessorie, la stessa attrice in sede di interrogatorio formale ha confermato la circostanza per cui tali strutture posizionate davanti all'ingresso della sua abitazione sono state da lei realizzate " compresa la struttura del pergolato in legno, la pavimentazione, la recinzione munita di cancello e la siepe che la circonda" e prosegue dicendo che tutto ciò è avvenuto "nonostante i tentativi dei vicini di farmela togliere " (la siepe); si rileva, dunque, che è sicuramente assente il consenso degli altri comunisti nel mantenere dette opere insistenti su parte della corte comune; ne deriva, dunque, che l'attrice è incorsa nelle violazioni di cui all'art. 1102 c.c. La disciplina giuridica della comunione, con gli artt. 1100 ss. c.c., mira, infatti, a regolare i rapporti tra comproprietari nell'uso e nel godimento della cosa comune, a fissare i limiti entro cui è consentito il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione del bene comune o sono permesse le sue innovazioni e la sua disposizione, con la garanzia delle ragioni delle minoranze. La stessa giurisprudenza costante afferma che "queste norme escludono in radice che il singolo comproprietario, senza il consenso degli altri comunisti, possa cambiare destinazione al suolo comune ed edificare su di esso con l'intento di appropriarsi del medesimo ed escludere gli altri comproprietari dal suo godimento. [...] D'altra parte, il comproprietario che costruisce senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione realizza una alterazione della destinazione della cosa comune e impedisce agli altri comunisti di fare uso di essa secondo il loro diritto; egli infrange la disciplina della comunione e commette un "atto illecito", come "illegittima" è la costruzione realizzata sul suolo comune" (Cass. 2011, n. 1556; Cass. 2001, n. 6921). - In ogni caso, non si ritiene sussistente la necessità di adottare un provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. Consegue, perciò, la condanna di cui in dispositivo. Le spese processuali seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, in persona del g. i. Enrico Fontanini, in funzione di giudice monocratico, 1) Respinge la domanda proposta da (...) nei confronti dei convenuti (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) 2) Condanna l'attrice alla rimozione del pergolato di cui in parte motiva con relative opere accessorie 3) Condanna l'attrice a riposizionare le due webcam - sopra descritte - di modo che riprendano solo un angolo visuale limitato agli spazi di pertinenza esclusiva e che rispettino - in ogni caso - i dettati in materia privacy e civilistica; nel caso in cui ciò non fosse possibile, condanna la medesima alla rimozione degli stessi dispositivi 4) Condanna l'attrice alla rifusione in favore dei convenuti delle spese processuali liquidate: - Quanto a (...) e (...) in complessivi Euro 6.000; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) n Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.400; Oltre - in tutti i casi - al 15% per rimborso forfettario, IVA e CPA e oltre quanto a (...) e (...) Euro 585,80 per spese non imponibili; con distrazione in favore dei procuratori che si sono dichiarati antistatari. Sentenza redatta con la collaborazione della Dott.ssa Laura Tonelli, tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013. Così deciso in Lucca il 7 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dai Signori Magistrati Dott. Lisa Micochero Presidente Dott. Enrico Schiavon Consigliere Dott. Francesco Marchio Cons. Ausiliario rel. ed est. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado d'appello iscritta al n. 20 del Ruolo Generale dell'anno 2023. T R A (...) in persona del legale rappresentante (...) rappresentati e difesi dall'avv. (...) con domicilio eletto presso lo studio in Vicenza. PARTE APPELLANTE E (...), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il suo studio in Vicenza, (...) PARTE APPELLATA Oggetto della causa: appello avverso la sentenza n. 1815 del Tribunale di Vicenza pubblicata il 26/10/2022. Causa decisa nella camera di consiglio in data 11/4/2024. CONCLUSIONI Per la (...) appellante rigettata ogni contraria domanda ed eccezione, revocarsi, dichiararsi nullo e/o comunque privo di effetto il D.I. opposto per i motivi esposti in causa, previe le opportune declaratorie incidentali in ragione delle delibere condominiali "a monte" citate in atti o comunque menzionate in causa; spese e competenze di causa rifuse, con accessori, per entrambi i gradi di giudizio. In via istruttoria: si insiste sui rilevi di cui alla nota del CTP geom. (...), in atti, non condividendo le repliche del CTU. Per scrupolo difensivo, si chiede nuovamente ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli: 1. vero che, durante l'esecuzione dei lavori oggetto della delibera del 08.04.2015, nel periodo primavera 2015 - gennaio 2016, mi recavo presso il cantiere e verificavo che in mia presenza le maestranze omettevano di collocare il "cappotto" e le guaine; 2. vero che, nel dicembre 2019, l'amministratore eseguiva un accesso presso il condominio recandosi sulle "terrazze" nonché effettuando verifiche sul cappotto esterno; 3. vero che attualmente, in caso di piogge abbondanti, si verificano percolamenti ed infiltrazioni nel CP_1 di cui è causa. Si indicano a testi: - geom. (...) detto (...). In subordine: riformarsi quanto meno i capi accessori relativi alla condanna, in particolare quanto alle spese processuali e non, punto 2, a, b, c, d, essendovi ragioni per una compensazione delle spese di lite e per non attribuire interamente agli appellanti le spese di CTP e CTU. Per la (...) appellata Voglia la Corte d'Appello adita, ogni contraria deduzione, eccezione, difesa disattesa: -in via preliminare dichiarare l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis cpc (vecchio rito) per le ragioni esposte; - nel merito rigettare il proposto appello confermando la sentenza del Tribunale di Vicenza; - In ogni caso, con vittoria di competenze e spese di lite (comprese le spese di CTU e CTP del primo grado) di entrambi i gradi di giudizio e di ingiunzione; - in ragione della mala fede e colpa grave con cui è stata promossa la presente azione, condannare parte appellante ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo innanzi al Tribunale di Vicenza, (...) unitamente ai soci illimitatamente responsabili (...) convenivano in giudizio il (...) chiedendo che venisse dichiarato nullo e revocato il decreto ingiuntivo n. 904/19, emesso dal Tribunale di Vicenza per il pagamento di Euro 7.758,39 oltre spese e accessori. 1.1. Sostenevano gli opponenti: - la soc. (...) era proprietaria di una unità immobiliare nel (...) in Sovizzo (VI) al piano terra e con la deliberazione dell'assemblea dei condomini del 19/10/2018, posta a fondamento del decreto ingiuntivo, risultavano approvati a maggioranza il rendiconto consuntivo 2017, il bilancio dei lavori di manutenzione straordinaria 2015/17 e ripartizioni; - le spese straordinarie ripartite riguardavano l'installazione del cd. cappotto dal primo al terzo piano senza benefici per i negozi con vetrine al piano terra, come il negozio della parte opponente, e pertanto doveva ritenersi nulla la deliberazione del 19/10/2018 per violazione dei criteri previsti dall'art. 1123 c.c. senza l'unanimità necessaria. 2. Si costituiva il (...) resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto. 3. Il Tribunale di Vicenza, istruita la causa con l'acquisizione di documenti e c.t.u., così disponeva: 1. rigetta l'opposizione e tuttavia revoca il decreto ingiuntivo n. 627 del 2019; 2. preso atto dei pagamenti intervenuti in corso di causa condanna gli opponenti a pagare al (...): a) euro 2.398,39, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, b) le spese del procedimento monitorio, pari ad Euro 685,50 (di cui Euro 145,50 per spese e Euro540,00 per compensi) oltre accessori di legge, c) le spese processuali del presente giudizio sostenute da parte convenuta, pari ad euro 875 (fase di studio) 740 (fase introduttiva) 1600 (fase istruttoria) 1620 (fase decisoria), oltre IVA, cpa e spese forfettarie 15%; d) le spese di CT di parte convenuta, per euro 647,09, e di CTU, per euro 4.880,81. 4. Rilevava il Tribunale: - la deliberazione contestata, ma non impugnata dagli opponenti, doveva ritenersi "meramente annullabile e non nulla, in quanto si proponeva (a loro dire naturalmente) di disattendere i criteri "corretti" di ripartizione della spesa per il singolo caso"; - l'impugnazione perciò era da farsi entro il termine di decadenza e constatato che ciò non è avvenuto, aggiungeva il primo giudice, l'analisi "può certamente arrestarsi a questo punto senza doversi procedere oltre ad esaminare l'ulteriore motivo di parte convenuta (e che pure non appariva affatto infondato, alla luce della giurisprudenza corrente) secondo il quale, per la natura e la funzione del "cappotto", esso rappresenta (a prescindere da dove materialmente venga collocato) un'opera della quale l'intero edificio condominiale viene a beneficiare, in termini di protezione dagli agenti atmosferici e di coibentazione e di efficientamento energetico". 5. Per la riforma della sentenza proponevano appello (...) e (...) e (...). Si costituiva il (...) chiedendone il rigetto come da comparsa di costituzione e risposta. Precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. 6. Lamentano gli appellanti: - in seguito all'opposizione al decreto ingiuntivo, erroneamente non sarebbe stata esaminata l'eccepita nullità della delibera su cui si fonda l'ingiunzione; - in particolare, sostengono gli appellanti, sarebbero state richieste dal (...) somme eccessive rispetto a quelle originariamente preventivate per i lavori straordinari; - l'importo complessivo sarebbe stato ripartito senza tener conto del criterio che sarebbe emerso dalla precedente consulenza tecnica, svolta in sede di procedimento di mediazione con il Condominio, sempre sulle spese straordinarie e poi concluso senza il raggiungimento di un accordo; - con la predetta delibera del 19/10/2018, invece, secondo gli appellanti in violazione del criterio di ripartizione previsto dall'art. 1123 c.c., sarebbero state addebitate spese per l'unità immobiliare di parte appellante al piano terra, negozio con vetrine, per l'installazione del cappotto "a partire dal primo piano e sino al terzo" e senza distinguere "quali spese sono inerenti alla facciata pura e semplice (ripartendo tale voce in proporzione ai millesimi di proprietà) e quali spese afferiscono invece - direttamente o indirettamente - al fatto che le facciate a partire dal piano primo sono rivestite dal c.d. cappotto" con applicazione del: "criterio di cui al comma 3 dell'art. 1123 c.c., non potendo ravvisarsi alcuna utilità derivanti dal citato cappotto alle unità site al piano terra"; - inoltre, aggiungono gli appellanti, anche ove il cappotto costituisca parte della facciata, erroneamente nella c.t.u. disposta dal giudice di primo grado non sarebbe stata considerata l'assenza di benefici per i negozi al piano terra; - in via subordinata, gli appellanti chiedono la compensazione delle spese di lite. 7. Le censure proposte dagli appellanti sono infondate per le assorbenti considerazioni che seguono. 7.1. Innanzitutto, appare utile ricordare che: - costituisce domanda nuova, e come tale è inammissibile, la domanda con cui si faccia valere un vizio della delibera diverso da quello fatto valere con l'atto introduttivo del giudizio: poiché alle delibere condominiali si applica il principio dettato in materia di contratti, secondo cui il potere attribuito al giudice dall'art. 1421 c.c., di rilevarne d'ufficio la nullità deve necessariamente coordinarsi con il principio della domanda ex art. 112 c.p.c., il giudice non può dichiarare d'ufficio la nullità della delibera sulla base di ragioni diverse da quelle originariamente poste dalla parte a fondamento della relativa impugnazione (Cass. 28734/2008); - è inammissibile ogni questione sollevata dall'appellante relativa al contenuto di documenti o fatti non allegati ritualmente e tempestivamente ex artt. 163 e 183 (nel testo vigente in ragione del tempo) nonché ex art. 345 c.p.c. (compresa ogni questione su pagamenti genericamente indicati, su nuove azioni che sarebbero state avviate successivamente o su eventuali vizi o difetti delle opere eseguite); - in ogni caso, si aggiunge per completezza, è incontroversa l'approvazione/ratifica da parte dell'assemblea dei condomini del consuntivo delle spese straordinarie in oggetto, mentre, in difetto di circostanziati elementi pregiudizievoli come nella specie, non è consentito un controllo sul merito della scelta operata dall'assemblea; controllo che esula dai limiti consentiti al sindacato giudiziale ex art. 1137 c.c.. 8. Così delimitato l'ambito dell'impugnazione, secondo la giurisprudenza di legittimità: - sono "meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2"; - inoltre, "Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare, posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione" (cfr. Cass. S.U. 9839/2021). 8.1. Inoltre, sulla ripartizione delle spese per i lavori è stato affermato che: - in tema di condominio negli edifici, le parti dell'edificio ovvero le opere ed i manufatti "deputati a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 cod. civ., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, secondo e terzo comma cod. civ." (cfr. Cass. 64/2013); - in particolare, "la realizzazione di un "cappotto termico" sulle superfici esterne dell'edificio condominiale non rientra tra le innovazioni voluttuarie o gravose di cui all'art. 1121 c.c., né configura una cosa che è destinata a servire i condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell'intero fabbricato ma, in quanto finalizzata alla coibentazione dell'edificio condominiale ed al miglioramento della sua efficienza energetica, va ricompresa tra le opere destinate al vantaggio comune dei proprietari, inclusi quelli dei locali terranei; ne consegue che, ove la sua realizzazione sia deliberata dall'assemblea, trova applicazione l'art. 1123, comma 1, c.c. per il quale le spese sono sostenute da tutti i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno" (cfr. Cass. 10371/2021). 8.2. Sullo stato dei luoghi e l'esecuzione dei lavori, dalla c.t.u. espletata in primo grado, per quel che rileva, è emerso: - il fabbricato al piano terra è composto da negozi con ampie vetrine e da una galleria centrale che porta ai tre vani scale, dal primo al quarto l'immobile è composto da abitazioni e un ufficio; - sull'esecuzione dei lavori straordinari ha accertato il consulente: "tutti i lavori per i quali è stato chiesto il pagamento sono stati effettivamente messi in opera", v. pag. 20 relazione c.t.u. del 23/3/21; - il c.d. "cappotto", ha aggiunto il c.t.u., costituisce "parte integrante dei muri maestri e delle facciate del fabbricato...è presente non solo sulle facciate dei piani dal 1° al 3° ma anche al piano terra, infatti anche le colonne sporgenti presenti su tutta l'altezza del fabbricato sono rivestite con il c.d. "cappotto", v. pag. 21-22 relazione c.t.u. del 23/3/21. 8.3. Nel caso in esame, pertanto, quanto contestato dall'opponente attiene alla ripartizione in concreto delle spese condominiali e si riflette nella eventuale annullabilità della delibera in data 19/10/2018 non impugnata, con conseguente inammissibilità di quanto dedotto in via di eccezione, e non con domanda riconvenzionale, quando era decorso il termine perentorio di 30 giorni indicato dall'art. 1137, comma 2, c.c.. In altre parole, anche ove emerso un errore di calcolo nella ripartizione dei contributi condominiali, circostanza nella fattispecie non idoneamente specificata e documentata, la doglianza avrebbe dovuto essere oggetto di domanda riconvenzionale in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, invece, non proposta. 8.4. Sono ininfluenti o comunque non direttamente attinenti ai fini della decisione le richieste istruttorie della parte appellante. 9. Conseguentemente, anche quanto lamentato dagli appellanti sulla regolamentazione delle spese di lite da parte del giudice di primo grado non può essere accolto, visto l'esito complessivo e la sostanziale soccombenza degli opponenti. In seguito alla revoca del decreto ingiuntivo, condivisibilmente gli opponenti sono stati condannati alle spese del procedimento monitorio e del giudizio di opposizione, comprese le spese di c.t.p. e con spese di c.t.u., come traspare dal tenore complessivo della motivazione di rigetto dell'opposizione, poste definitivamente a carico degli opponenti. 10. La richiesta di risarcimento dei danni per violazione dell'art. 96 c.p.c. formulata dal (...) è infondata. La responsabilità processuale aggravata per lite temeraria, infatti, non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento della controparte la ricorrenza del dolo o della colpa grave. Non essendo emersi chiari e concordanti elementi in tal senso, la domanda deve essere rigettata. 11. In conclusione, l'appello proposto da (...) e (...) e (...) viene respinto con condanna alle spese di lite che vengono liquidate in favore del (...) come in dispositivo, tenuto conto dell'attività difensiva svolta. P.Q.M. La Corte d'Appello di Venezia, definitivamente pronunziando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa così provvede: 1) rigetta l'appello proposto da (...) e (...) e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado; 2) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c.; 3) condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese di lite del grado che si liquidano complessivamente in Euro 3.397,00 oltre spese generali (15%) e oneri accessori come per legge in favore del (...) 4) dà atto che sussistono a carico della parte appellante i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1, quater del d.p.r. n. 115 del 2002 (T.U. in materia di spese di giustizia). Cosi deliberato in data 11 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO La giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, dott.ssa (...), in funzione di giudice monocratica, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la sentenza che segue mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e dritto della decisione facenti parte integrante del presente verbale di causa, sentenza riservata all'udienza dell'11 aprile 2024, nella causa civile iscritta al n.1833/2023 R.G.C.A. e vertente tra (...), residente in (...) elettivamente domiciliato in (...) alla (...) presso lo studio delle avv.te (...) e (...) che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce all'atto di citazione del 12.7.2023- Opponente contro (...) in persona dell'amministratore p.t. (...) in persona del suo legale rappresentante dott. (...), con sede in (...) ivi elettivamente domiciliato alla (...), presso e nello studio dell'Avv. (...) che lo appresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta- Convenuto Nonché (...), residente in (...) Convenuta contumace. OGGETTO: impugnativa delibera condominiale. RAGIONI DI FATO E DI DIRITIO DELLA DECISIONE Con atto del 12.7.2023, il sig. (...) citava in giudizio il (...) in persona del suo amministratore pro tempore, formulando le seguenti conclusioni: "a) accertare e dichiarare la nullità delle delibere dell'Assemblea del (...) di (...) in data 8/6/2023 e in data 7/7/2023, ovvero pronunciare l'annullamento delle stesse per le causali tutte di cui alla narrativa, con ogni conseguente ed opportuna statuizione; b) in ogni caso, accertare e dichiarare e comunque pronunciare l'esclusione del sig. (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento a lavori e interventi genericamente e/o illegittimamente deliberati, relativi a modificazioni e/o innovazioni di carattere voluttuario, insuscettibili di utilizzazione separata e/o con particolare gravosità della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale, con ogni conseguente ed opportuna statuizione in ordine all'imputazione di tutte le spese sui soli condomini interessati; c) con vittoria di spese e competenze di lite, rimborso forfettario del 15% sulle competenze, IVA e CPA come per legge.". A sostengo della domanda l'attore deduceva: di essere proprietario di una unità immobiliare facente parte di un fabbricato sito in (...) realizzato negli anni 1973-1976 e accatastato come "casalbergo"; che, attraverso varie delibere adottate, in date diverse, l'assemblea condominiale aveva deciso l'esecuzione di lavori finalizzati ad un "adeguamento" o "miglioramento" sismico, indicati dal tecnico ing. (...) senza la necessaria definizione degli interventi, delle modalità di esecuzione e dei relativi costi; che, con deliberazione in data 8.6.2023 l'assemblea condominiale aveva confermato "la volontà di procedere con i lavori progettati dall'ingegnere (...) e già approvati alle precedenti sedute" ed aveva invitato il tecnico a trasmettere un computo metrico definitivo "parzialmente modificato ed integrato con alcune lavorazioni che si rendono necessarie a seguito dei nuovi sopralluoghi effettuati e dalle verifiche sul cemento armato per poter procedere alla gara di affidamento lavori", precisando altresì che l'amministratore avrebbe provveduto "ad inviare la ripartizione delle spese e l'iban su cui versare la somma derivante dal primo computo salvo conguaglio con le modifiche al computo metrico proposte dall'ing. (...); che, con successiva deliberazione in data 7.7.2023, incurante della richiesta di rinvio della seduta formulata dall'attore e delle censure mosse, attraverso un elaborato di parte, all'opera professionale dell'ing. (...) l'assemblea aveva approvato a maggioranza "il progetto di sisma bonus ed il relativo computo", come predisposti dal tecnico ed inviati dall'Amministratore a tutti condomini con mail del 4.7.2023; di non aver partecipato alle assemblee, ma di aver espresso più volte il proprio dissenso all'effettuazione di lavori e alla realizzazione di opere in regime di c.d. super-bonus 110%; di aver attivato, contestualmente alla notifica dell'atto introduttivo, il procedimento di mediazione dinanzi all'Organismo di Mediazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Teramo (Proc. N. 246/2023); che i motivi di impugnazione erano sostanzialmente: 1) nullità/annullabilità delle delibere in quanto concernenti decisioni su argomenti estranei all'ordine del giorno, eccesso di potere, violazione degli artt. 1136-1137 c.c. e 66 disp. att. c.c.; secondo le prospettazioni attoree, con la delibera in data 8.6.2023, l'assemblea aveva conferito un nuovo mandato all'ing. (...) per la predisposizione di un computo metrico "definitivo", modificato e integrato con ulteriori lavorazioni rese necessarie all'esito di nuovi sopralluoghi e nuove verifiche sul cemento armato, laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto la comunicazione di aggiornamenti sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenzioni in corso; con la successiva delibera del 7.7.2023, era stato conferito all'ing. (...) il nuovo incarico per la "sanatoria paesaggistica", laddove l'avviso di convocazione prevedeva soltanto l'esame e l'approvazione del progetto definitivo "sisma bonus"; 2) nullità/annullabilità delle delibere in quanto prive di oggetto e/o con oggetto impossibile, non determinato né determinabile, eccesso di potere, violazione dell'art. 1120 c.c.; con la delibera in data 8.6.2023 era stato affidato al tecnico un incarico assolutamente indeterminato (predisposizione di un computo metrico definitivo per i lavori di adeguamento o miglioramento sismico, modificato e integrato con "alcune lavorazioni"), senza un preventivo studio di fattibilità tecnico-giuridica, senza una descrizione dei lavori da progettare e delle varie soluzioni operative, senza indicazione delle modalità di svolgimento e dei diversi gradi di invasività anche sulle proprietà esclusive; con la successiva delibera del 7.7.2023, erano stati approvati elaborati progettuali e un computo metrico che prevedeva l'esecuzione di opere e lavori diversi rispetto a quelli già licenziati precedenza dall'assemblea condominiale (computo metrico approvato nella seduta del 5.4.2023), con ciò generando incertezza sui lavori effettivamente da eseguire e sui relativi costi; veniva inoltre lamentata la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c. posto che i lavori deliberati non erano stati indicati in modo specifico e che, trattandosi di innovazione voluttuaria (nel senso di non necessaria, non essendoci criticità strutturali e/o di sicurezza sismica nel fabbricato condominiale) o comunque comportante una spesa molto gravosa, la relativa deliberazione assembleare poteva considerarsi legittima soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'aveva deliberata o accettata avesse dichiarato di essere disponibile a sopportarne integralmente la spesa; 3) violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c., violazione dell'art. 1117 ter c.c.; le tavole progettuali e il computo metrico approvati dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 lasciavano chiaramente intendere che i lavori riguardassero non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con la conseguenza che sarebbe stato necessario il consenso unanime di tutti i proprietari (che, nel caso di specie, non c'era stato); 4) violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c.; con le delibere impugnate l'assemblea aveva approvato lavori di adeguamento o miglioramento sismico che avrebbero potuto pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Il (...) si costituiva in giudizio, contestando la domanda attrice e chiedendone l'integrale rigetto. Spiegava, in particolare, che le delibere impugnate presentavano un ordine del giorno completo e puntuale; che la volontà dell'assemblea condominiale era stata chiara ed univoca, dal momento che nella seduta deU'S.6.2023 era stata espressa la volontà di confermare i lavori già deliberati nella precedente riunione del 5.4.2023 e il tecnico era stato invitato a predisporre il computo metrico definitivo che sarebbe stato approvato (come in effetti era stato approvato) nella successiva seduta del 7.7.2023; che era stata adottata correttamente la decisione di approvare il progetto sisma bonus ed il relativo computo metrico delibera del 7.7.2023), nel rispetto delle prescritte maggioranze e dei quorum di costituzione dell'assemblea, rispondenti alla volontà della maggioranza dei condomini; che i verbali erano stati redatti in forma sintetica ma comunque completa e comprensibile; che la documentazione messa a disposizione di tutti i condomini prima della seduta del 7.7.2023 era dirimente e chiara; che i lavori deliberati erano comunque necessari, essendo l'immobile condominiale "affetto da problematiche strutturali che minano finanche la stabilità dell'intero edificio", paventando l'ing. (...) anche il "rischio crollo"; che gli interventi approvati dall'assemblea riguardavano soltanto le parti comuni, senza alcuna intromissione nelle proprietà esclusive; che la volontà espressa dalla maggioranza, secondo le previsioni di cui all'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020, vincolava necessariamente anche il condomino dissenziente; che, infine, la problematica del decoro architettonico era ancora di là da venire, posto che le decisioni assunte riguardavano s0ltanto aspetti "tecnici" e di sicurezza del fabbricato. Il (...) convenuto rassegnava le seguenti conclusioni: "Piaccia all'On. Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: 1) Rigettare la domanda attrice; 2) Condannare parte attrice al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio". Non si costituiva l'altra parte convenuta (a soli fini conoscitivi) sig.ra (...). Così costituitosi il contraddittorio, in corso di causa veniva instaurato procedimento ex (...) 1). Nominato il CTU nella persona dell'ing. (...) e sottoposti i quesiti suggeriti dalle parti (udienza del 31.7.2023), l'ausiliare provvedeva al deposito dell'elaborato definitivo in data 10.2.2024. La causa veniva istruita documentalmente (all'esito delle memorie e ex art. 171 ter c.p.c. depositate dalle parti; la difesa attorea produceva anche la documentazione comprovante il regolare espletamento e l'esito negativo del procedimento di mediazione) e perveniva all'udienza dell"11.4.2024 per la precisazione delle conclusioni e contestuale discussione orale. ln via preliminare si dichiara la contumacia della sig.ra (...), regolarmente citata e non costituita. In via preliminare e istruttoria, si dispone l'acquisizione e si dichiara la piena utilizzabilità, ai fini della, decisione dell'elaborato peritale acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa. Nel merito, la domanda è fondata e va accolta nel senso e nei limiti di cui appresso. 1. In tema di condominio negli edifici, bisogna distinguere le delibere nulle da quelle annullabili: debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; sono invece annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione (cfr., per tutte, Cass. Civ. S.U. n. 4806/2005; conf. Cass. Civ. n. 17014/2010; Cass. Civ. n. 27016/2011; si veda anche Trib. Roma 16/12/2020 n. 17997). Passando quindi all'esame dei motivi di impugnazione delle delibere assembleari oggetto di causa, in relazione alla prima censura svolta dall'attore bisogna innanzitutto premettere che la deliberazione assunta su argomento non compreso nell'ordine del giorno comunicato ai condomini (al pari della mancata comunicazione dell'ordine del giorno), in quanto vizio del procedimento collegiale comporta non la nullità, ma la semplice annullabilità delle delibere (cfr. Cass. Civ. n. 31/2000). Nella fattispecie concreta, sia la decisione di eseguire "ulteriori lavori", con conseguente incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo" (delibera in data 8.6.2024) e sia la decisione di affidare al tecnico l'incarico per la "sanatoria paesaggistica" (delibera del 7.7.2023) non so io coerenti con l'ordine del giorno indicato nelle rispettive convocazioni, posto eh la seduta dell'8.6.2023 era finalizzata alla comunicazione di "aggiornamenti amministratore" sui lavori "sisma bonus", sulla sanatoria del fabbricato condominiale e sui contenziosi in corso, mentre la seduta del successivo 7.7.2023 era stata fissata soltanto per l'esame e l'approvazione del progetto definitivo. Nella prima delle riunioni sopra indicate, l'assemblea condominiale avrebbe dovuto valutare le notizie fomite dall'amministratore e sulla base di queste, ove emersa la necessità di assumere ulteriori decisioni sull'ampliamento o sulla modifica dei lavori già deliberati in precedenza, avrebbe dovuto rinviare ad una nuova seduta per dar modo a tutti i condomini di prendere cognizione delle circostanze riferite in sede assembleare ed assumere le conseguenti determinazioni (partecipare o non partecipare alla successiva assemblea, approvare o non approvare i nuovi interventi); né è possibile affermare che la decisione di eseguire ulteriori lavori sia consequenziale alle informazioni fomite nel corso della riunione, posto che in delibera si parla di "nuovi sopralluoghi effettuati" e di "verifiche sul cemento armato", ma non si spiega affatto quali siano stati gli elementi emersi da tali attività (peraltro genericamente indicate) e i motivi per i quali sia scaturita la necessità di procedere alla redazione di un computo metrico "definitivo", parzialmente modificato e integrato. Nella successiva seduta del 7.7.2023, nel corso della quale l'assemblea avrebbe dovuto discutere ed assumere decisioni sul nuovo computo metrico redatto dall'ing. (...) è stato attribuito al medesimo un incarico completamente diverso (per la "sanatoria paesaggistica") del quale non viene fatta menzione nell'ordine del giorno. È vero che, per garantire una partecipazione informata dei condomini all'assemblea, è sufficiente che nell'avviso di convocazione gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno in termini sintetici ed essenziali, tali da essere comprensibili, senza necessità di prefigurare lo sviluppo della discussione e il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea (cfr. Trib. Vicenza 10.4.202 n. 631; Trib. Roma 9.10.2023 n. 14299), ma è altrettanto innegabile che l'ordine del giorno deve consentire a ciascun condominio di comprendere esattamente il tenore e l'importanza degli argomenti da trattare, in modo da poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia all'opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti (cfr.Trib. Firenze 27.1.2021 n. 167). Quindi, pur non essendo possibile prestabilire lo sviluppo e l'esito finale della discussione, l'ordine del giorno dovrebbe comunque delineare i confini di massima della delibera che l'assemblea può validamente assumere; possono considerarsi legittime decisioni strettamente consequenziali, ma non si può consentire all'assemblea condominiale di assumere, sempre e comunque, decisioni che si traducano in atti di straordinaria amministrazione e che comportino anche spese di rilevante importo (come nel caso di specie), se tutti i condomini non vengono preventivamente informati e messi in condizione di autodeterminarsi. Si deve concludere, pertanto, per l'annullabilità in parte qua di entrambe le delibere in contestazione (delibera 8.6.2023: conferimento incarico all'ing. (...) di redigere un nuovo computo metrico "definitivo"; delibera 7.7.2023: conferimento incarico allo stesso tecnico per la "sanatoria paesaggistica") in quanto adottate su argomenti che non erano all'ordine del giorno. 2. La prima censura non esaurisce i profili di illegittimità delle delibere in questione. Con specifico riferimento alla delibera assembleare in data 8.6.2023, risulta evidente come la stessa, pur esprimendo la naturale prosecuzione della volontà già espressa nella precedente seduta del 5.4.2023 (approvazione del primo computo metrico redatto dall'ing. (...) per intervento di "adeguamento" o "miglioramento" sismico del fabbricato condominiale), non abbia specificato alcunché sui nuovi sopralluoghi e sulle ulteriori verifiche sul cemento armato e, soprattutto, anche a voler soprassedere sull'opportunità cli mia qualche descrizione (anche sintetica) dei controlli asseritamente effettuati, non abbia neppure accennato ai risultati dei medesimi e alle necessità che ne sarebbero derivate, parlando genericamente di "modifica" e di "integrazione" del computo metrico già approvato con alcune "lavorazioni". Allo stato, tenuto anche conto delle difese svolte dal (...) convenuto (che non ha fornito elementi utili per delineare un contenuto della delibera assembleare più preciso rispetto a quello risultante dal verbale), non è dato sapere (non risulta neppure una descrizione di massima) quali siano le ulteriori lavorazioni ritenute necessarie dall'assemblea all'esito degli aggiornamenti forniti e discussi nella seduta dell'8.6.2023. Il verbale di assemblea costituisce il resoconto ufficiale della riunione di condominio; esso rappresenta una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, costituzione, discussione, votazione, ecc.) e la cui inosservanza importa l'impugnabilità della delibera, in quanto non resa in conformità alla legge (art. 1137 c.c.). Oltre agli elementi per così dire formali (luogo, data e ora di apertura dell'assemblea, ordine del giorno, indicazione dei condomini, indicazione del valore millesimale di ciascun partecipante all'assemblea, ecc.), il verbale deve contenere la sintesi della discussione e della decisione su ciascun argomento posto all'ordine del giorno. Pur non sussistendo prescrizioni vincolanti per la redazione del verbale assembleare (la disciplina è simile a quella del verbale di assemblea dei soci della società per azioni) e pur potendo essere predisposto in forma sintetica senza l'obbligatorietà del rispetto di schemi o forme, una volta che l'assemblea sia stata convocata, occorre dare conto, tramite la verbalizzazione, di tutte le attività compiute, anche se le stesse non si sono perfezionate o non sono state adottate delle deliberazioni, allo scopo di permettere a tutti i condomini, compresi quelle dissenzienti ed assenti, di controllare lo svolgimento del procedimento collegiale e di assumere le opportune iniziative e ciò proprio al fine di dare certezza a tutti i condomini della attività svolte durante l'assemblea (cfr. Cass. civ. n. 5014/1999; Trib. Taranto 15.3.2016 n. 903). È stato anche precisato che costituisce una garanzia per tutti i condomini la circostanza per cui il verbale contenga un compendio delle discussioni svolte nell'assemblea; tra l'altro, le delibere assembleari devono essere interpretate secondo canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e segg. c.c., secondo il senso letterale delle affermazioni e, solo ove questo sia insufficiente, si può consentire il ricorso ad altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui il comportamento delle parti e il principio della conservazione degli effetti dell'atto (cfr. Trib. Roma 5.8.2020 n. 11396, inedita). L'estrema genericità del verbale si traduce, in mancanza di ulteriori elementi utili a superare tale criticità, nel vizio di genericità della delibera assembleare. Trattasi, quindi, di deliberazione dal contenuto indeterminato e inattuabile, tant'è che, per quanto si dirà anche in prosieguo, il nuovo computo metrico approvato nella seduta del 7.7.2023 non è affatto integrativo rispetto a quello approvato con la delibera del 5.4.2023, ma è un documento attraverso il quale è stato sottoposto all'approvazione dell'assemblea un intervento completamente diverso e non è dato sapere se di questo si sia effettivamente discusso, sia pure a grandi linee, anche ella seduta dell'8.6.2023. Sotto tale profilo, la delibera in data 8.6.2023 deve essere annullata. 3. Nella seduta del 7.7.2023, l'assemblea condominiale ha approvato "il progetto sisma bonus ed il relativo computo", ovvero le tavole progettuali e il computo denominato "Computo metrico cerchiatura pilastri etc." inviati dall'amministratore a tutti i condomini con mail (posta ordinaria) in data 4.7.2023. Il tecnico ha proposto e l'assemblea ha approvato un intervento che prevede la "cerchiatura" dei pilastri con applicazione di barre di acciaio, inserimento di piastre in acciaio tra pilastri e travi oltre alla fasciatura antiribaltamento delle tamponature, per l'importo di Euro. 597.877,17 (e un totale, comprensivo di IVA, spese tecniche ed oneri di legge, pari ad Euro. 770.663,67). Come già anticipato, si tratta di lavori differenti rispetto a quelli elencati nel "Computo metrico Sisma Bonus No Eco" approvato dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (sul punto, a parte le inequivoche risultanze istruttorie - è sufficiente mettere a confronto i due computi metrici -, deve essere anche considerata la completa assenza di contestazioni da parte del (...) a fronte delle allegazioni di parte attrice) e che comportano un costo sensibilmente superiore. Con riferimento alla delibera in data 7.7.2023 l'attore ha lamentato: a) la violazione degli artt. 1120 e 1121 c.c., trattandosi di innovazione di carattere voluttuario o con una spesa particolarmente gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza dell'edificio condominiale; b) la violazione degli artt. 1117 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che non riguardano soltanto le parti comuni del fabbricato, ma anche le proprietà esclusive dei singoli condomini; c) la violazione degli artt. 1120 e 1135 c.c. per essere stati approvati interventi che possono pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Per quanto attiene al primo aspetto, bisogna preliminarmente stabilire se l'intervento approvato, sia che si tratti in un semplice intervento di "rinforzo locale" - punto 8.4.1 delle NTC 2018, D.M. 17.1.2018 in G.U. n. 42 in data 20.2.2018 -, sia che possa qualificarsi come "miglioramento sismico" - punto 8.4.2 delle NTC 2018 - (escludendo, invece, che si tratti di un vero e proprio "adeguamento" - art. 8.4.3 delle NTC 2018, come spiegato dal CTU ing. (...) nell'elaborato acquisito nel procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c. in corso di causa, le cui valutazioni e conclusioni vengono integralmente condivise in quanto congrue, coerenti ed immuni da vizi logici), possa o meno considerarsi come "necessario" in considerazione delle specifiche condizioni in cui versa il fabbricato, come descritte dal CTU. Sul punto, giova ricordare che l'innovazione voluttuaria è quella che non riveste carattere di necessità e non procrastinabilità; essa può comunque essere approvata dall'assemblea condominiale, ma anche laddove si tratti di innovazione favorita (per la quale, ai sensi del comma 2 dell'art. 1120 c.c., è sufficiente un quorum inferiore per la deliberazione), sarà comunque necessario rispettare il meccanismo disciplinato dall'art. 1121 c.c., distinguendo tra opere, impianti e manufatti suscettibili di utilizzazione separata (per quali il condomino dissenziente viene esonerato da qualsiasi contributo alla pesa) e opere, impianti e manufatti per i quali l'utilizzazione separata non è possibile e, quindi, l'innovazione è consentita soltanto nell'ipotesi in cui la maggioranza dei condomini che l'ha deliberata o accettata sia anche disposta a sopportarne integralmente la spesa. Ciò in quanto le innovazioni voluttuarie o gravose non costituiscono un tertium genus rispetto a quelle ordinarie (comma 1, art. 1120 c.c.) o a quelle favorite (comma 2, art. 1120 c.c.), ma la voluttuarietà o la gravosità sono caratteristiche che tutte le innovazioni (sia ordinarie che favorite) possono assumere in rapporto alla condizione e all'importanza dell'edificio. Anche i quorum deliberativi ridotti previsti dall'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020, vanno necessariamente coordinati con la normativa codicistica relativa ai poteri o, meglio, alle attribuzioni, dell'assemblea condominiale (cfr., da ultimo, Tribunale di Teramo 19.3.2024 n. 311, inedita). Nella fattispecie che ci occupa, il CTU ing. (...) ha concluso che il complesso residenziale non presenta un quadro fessurativo apprezzabile riferito agli elementi strutturali del telaio resistente in cemento armato, né tantomeno cedimenti strutturali o gravi indebolimenti o pericolo di crollo imminente; l'ausiliare, inoltre, ha spiegato che sui fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore delle NTC 2018 sono possibili lavori sia di miglioramento che di adeguamento sismico, secondo le citate NTC 2018 e su libera scelta dei proprietari, ma non sussiste alcun obbligo, con l'ulteriore conseguenza che non esiste un'attività "minima" da eseguire. Viene meno, quindi, la motivazione della delibera adottata dall'assemblea condominiale nella seduta del 5.4.2023 (intervento di sisma-bonus "assolutamente necessario per garantire l'agibilità dell'edificio nonché la sicurezza delle persone"), ripresa e confermata nelle successive delibere in data 8.6.2023 e 7.7.2023, non essendoci pericolo né per il fabbricato né per i suoi occupanti né per soggetti terzi. L'intervento (di rinforzo locale o di miglioramento sismico) non è quindi obbligatorio, né necessario né urgente. L'innovazione è voluttuaria o, più precisamente, deve ritenersi un'innovazione favorita (che può essere decisa con un quorum deliberativo ridotto, anche per effetto delle previsioni di cui all'art. 119 del D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020), ma con carattere voluttuario. Né si deve cadere nella tentazione di enfatizzare l'aggettivo "auspicabile" utilizzato dal CTU in riferimento all'intervento proposto dall'ing. (...) e approvato dall'assemblea condominiale: le innovazioni previste dal comma 2 dell'art. 1120 c.c., così come elle incentivate dalla normativa sul c.d. Superbonus 110%, sono tutte auspicabili perché finalizzate a migliorare le prestazioni energetiche e la risposta alle sollecitazioni sismiche di un patrimonio edilizio obsoleto, realizzato in (...), per la massima parte, in epoca antecedente ai primi provvedimenti normativi per il risparmio energetico e ben prima delle nuove regole tecniche per le costruzioni in zona sismica. Il favor verso questa tipologia di interventi è previsto dalla legge, ma questo non significa che siano state sovvertite e superate le regole civilistiche sui compiti e sulle attribuzioni dell'assemblea di condominio; detto in altri termini, l'approvazione può senz'altro intervenire con il quorum agevolato, ma restano fermi tutti gli ulteriori limiti ai poteri dell'assemblea condominiale. Va aggiunto, inoltre, che l'innovazione deliberata dall'assemblea condominiale nella seduta del 7.7.2023 comporta anche una spesa particolarmente gravosa, in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale. Risulta, infatti, dalla documentazione prodotta dall'attore (si veda, in particolare, la CILAS depositata al (...) con gli elaborati allegati) che l'intervento di cerchiatura dei pilastri e di fasciatura antiribaltamento delle tamponature, con un costo già aumentato dopo l'approvazione (si veda il computo metrico denominato "Sismabonus rev. 1 21.11.2023 Computo metrico cerchiatura pilastri etc. ("sismabonus")" approvato dall'assemblea nella seduta del 30.11.2023), comporterà per il fabbricato un beneficio limitatissimo, rappresentato dal passaggio di una sola classe di rischio sismico (dalla classe G alla classe F), ferma restando la necessità di eseguire tutti gli ulteriori interventi indicati come necessari dal CTU per la manutenzione straordinaria (che, come sottolineato dall'ausiliare, è cosa diversa rispetto al "miglioramento sismico"). Così l'intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico poteva essere deliberato dall'assemblea condominiale con la maggioranza concretamente espressa, ma doveva anche essere contestualmente manifestata la volontà dei condomini favorevoli a sostenere per intero la relativa spesa, escludendo dalla contribuzione i condomini dissenzienti. Tale passaggio è completamente mancato e, quindi, l'innovazione non può ritenersi consentita e la delibera in data 7.7.2023 deve essere annullata anche sotto tale profilo. Per i lavori già avviati (come risulta anche dalla CTU e dai relativi allegati), l'attore deve essere escluso dalla ripartizione delle spese e dal pagamento della quota corrispondente ai millesimi di proprietà, avendo formulato espressa domanda in tal senso. Infine, dall'esame delle tavole progettuali e del computo metrico approvati con la menzionata delibera in data 7.7.2023, dalla lettura dell'ordine di servizio n. 1 in data 21.11.2023 dell'ing. (...) e della (...) con i relativi allegati depositata presso il (...) (documenti prodotti dall'attore e non contestati dal (...) convenuto), risulta chiaramente che i lavori deliberati (intervento di rinforzo locale o di miglioramento sismico) coinvolgono non soltanto le parti comuni dell'edificio, ma anche le porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini. In particolare, si legge nella CILA-Superbonus che i lavori "riguardano sia parti comuni di un fabbricato condominiale sia parti dell'immobile di proprietà di singoli condomini" (si veda a pag. 2); nella TAV 2A è riportata la pianta del piano rialzato del fabbricato e sono evidenziati i pilastri insistenti nell'unità immobiliare del sig. (...) sui quali dovrebbe essere realizzata la cerchiatura di rinforzo, ma in nessun elaborato e in nessun computo vengono descritti e quantificati i lavori commessi che dovranno necessariamente interessare l'appartamento al suo interno. Nell'"ordine di servizio" n. 1 del 21/11/2023, l'ing. (...) ha ordinato all'Amministratore di mettere a disposizione le singole unità immobiliari. Come recentemente statuito dall'intestato Tribunale in altra controversia, l'assemblea condominiale non può perseguire finalità extra-condominiali e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Invero, il potere deliberativo dell'assemblea in tanto sussiste in quanto l'assemblea si mantenga all'interno delle proprie attribuzioni, ove l'assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da difetto assoluto di attribuzioni (Trib. Teramo n. 311/2024 cit.; conforme Trib. Cosenza 2.3.2023 n. 374). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive" (cfr. Cass. Civ. n. 5657/2015; nello stesso senso Cass. Civ. n. 14300/2020; Cass. Civ. n. 26468/2007). I poteri spettanti all'Assemblea possono essere esercitati solo in relazione alle cose comuni e debbono essere contenuti in limiti tali da non implicare una invasione nella sfera di proprietà esclusiva del singolo condomino. Le deliberazioni che dispongano innovazioni o lavori sulle porzioni di proprietà esclusiva non sono semplicemente annullabili, ma addirittura nulle. Come è noto, l'art. 119, comma 9 bis del D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020) prevede che le decisioni per la realizzazione degli interventi agevolabili con il c.d. Super-bonus (Sisma-bonus ed Eco-bonus) possono essere approvati in assemblea condominiale con la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio. L'assemblea, tuttavia, ha il potere di deliberare a maggioranza solo per interventi che coinvolgono le parti comuni dell'edificio, ma non può decidere a maggioranza in merito ad interventi che coinvolgono le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva; per ovviare a tale inconveniente e permettere quindi di effettuare interventi anche nei singoli appartamenti, è necessario il consenso unanime di tutti i proprietari. I pilastri e le facciate del fabbricato sono sicuramente parti comuni (art. 1117 c.c.), ma per deliberare legittimamente dei lavori su tali porzioni, laddove si debba intervenire anche nelle proprietà private dei singoli condomini è necessario il consenso degli interessati. La giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha più volte affermato che la delibera con la quale, senza il consenso del proprietario esclusivo, venga approvata l'esecuzione di lavori (anche di carattere generale, nell'interesse dell'intero condominio) che incidono su le proprietà individuali, è affetta da nullità assoluta, deducibile in ogni tempo; è stato altresì precisato che la nullità sussiste anche nell'ipotesi in cui i lavori appaiano necessari ed urgenti perché, se manca il consenso del proprietario esclusivo, la valutazione delle condizioni che giustifica :io l'intervento del condominio sulla proprietà del singolo condomino, non può essere rimessa ad una delle due parti interessate, ma deve formare oggetto di apposito giudizio (cfr. Cass. Civ. n. 14300/2020 cit.; Cass. Civ. n. 4726/2016; Cass. Civ. n. 13116/1997; si vedano anche, con specifico riferimento ai lavori in regime di c.d. Superbonus 110%, Trib. Milano, Sez. XIII, Ord. 30/9/2021; Trib. Roma 16.10.2020 n. 17997). Nel caso di specie, non è mai stata espressamente sottoposta all'approvazione dei condomini la possibilità che i lavori in regime di c.d. Superbonus 110% (e, in particolare, di rinforzo locale o di miglioramento sismico) si estendessero anche alle parti private, limitandosi l'assemblea ad approvare il computo metrico predisposto dall'ing. (...) non risulta mai acquisito il consenso dei condomini ad intervenire sulle porzioni di proprietà esclusiva (il tecnico ha emesso un ordine di servizio per conseguire la disponibilità dei singoli appartamenti); vi è ferma opposizione da parte del condomino (...). Quindi, anche laddove possa (ipoteticamente) ravvisarsi una vera e propria necessità degli interventi di cui al computo metrico approvato con la delibera in data 7.7.2023 (necessità esclusa dall'elaborato peritale del CTU ing. (...), per poter eseguire i lavori all'interno delle proprietà esclusive di quei condomini che non hanno prestato il proprio consenso (manifestando il diniego in assemblea o attraverso la tempestiva impugnazione della delibera, come ha fatto il sig. (...), non è sufficiente la decisione adottata con il quorum ridotto di cui al D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020), ma è necessaria una specifica pronuncia giudiziale. Ne consegue la radicale nullità della deliberazione del 7.7.2023 per violazione dell'art. 1135 c.c. e per difetto assoluto di attribuzioni. La nullità può essere affermata anche sotto un ultimo profilo. L'assemblea condominiale ha approvato il computo metrico predisposto dall'ing. (...) senza fare alcun cenno all'estetica del fabbricato, tenuto anche conto dell'esistenza di un vincolo paesaggistico (circostanza pacifica). La salvaguardia dell'euritmia e del decoro architettonico del fabbricato condominiale non può essere rinviata ad un momento successivo all'esecuzione dei lavori (di rinforzo strutturale o di miglioramento sismico), come sostenuto dal (...) ma deve necessariamente essere verificata e programmata ex ante (si pensi, ad esempio, all'inevitabile aumento della sezione dei pilastri in conseguenza dell'intervento di cerchiatura oppure alla riduzione della superficie dei balconi a seguito del posizionamento delle reti antiribaltamento), con indicazioni puntuali alla Ditta appaltatrice. La maggioranza semplice richiesta dalla vigente normativa per la deliberazione degli interventi di riqualificazione energetica e di adeguamento sismico non consente di approvare lavori ed opere che possano in qualche modo pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio condominiale. Secondo la S.C., il decoro architettonico corrisponde all'estetica complessiva data dall'insieme delle linee e strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico (cfr. Cass. Civ. n. 28908/2023; Cass. Civ. n. 23510/2023; Cass. Civ. Ord. n. 14598/2021; Cass. Civ. n. 18928/2020; Cass. Civ. n. 1286/2010). In buona sostanza, il decoro dell'edificio condominiale corrisponde al suo armonico aspetto esteriore, all'estetica del fabbricato. Il decoro architettonico non riguarda solamente i palazzi di pregio, potendosi trovare in ogni edificio nel quale possa individuarsi una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia. Esso costituisce un limite invalicabile alle opere che i condomini possono realizzare, sia sulle singole proprietà private e sia sulle parti comuni: il divieto di innovazioni lesive del decoro architettonico previsto dall'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., è incondizionato e consente anche ad un solo condomino di esprimere il proprio dissenso e di agire per il ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato (cfr. Cass. Civ. n. 851/2007). L'esecuzione di lavori che alterano, ledono e comunque pregiudicano m modo significativo il decoro architettonico esistente "può essere validamente deliberata dall'Assemblea condominiale soltanto all' unanimità. Ma nel caso di specie, la problematica non è stata neppure affrontata, con il rischio concreto che, al termine dei lavori, i condomini non possano fare altro che constatare l'alterazione grave e ormai definitiva dell'euritmia del fabbricato, la cui sorte è stata, di fatto, illegittimamente decisa da soggetti estranei a) (...) Ogni altra questione rimane assorbita. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, in applicazione delle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014 e ss.mm.ii., valore indeterminabile, tenendo conto della particolare complessità di tutte le questioni affrontate e del fatto che la fase istruttoria è da considerare assorbita dal procedimento di accertamento tecnico preventivo in corso di causa. P.Q.M. la giudice onoraria presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) contro (...) e (...) disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, cosi provvede: -accoglie la domanda attrice e, per l'effetto, annulla le deliberazioni adottate dall'assemblea ordinaria del (...) di (...) dell'8.6.2023 -PUNTO 4 del verbale e dichiara la nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del medesimo (...) di (...) del 7.7.2023 - PUNTO 1 del verbale; -dichiara l'esclusione di (...) dalla ripartizione delle spese e dal pagamento di quota con riferimento agli interventi approvati con le deliberazioni adottate dall'assemblea straordinaria del (...) di (...) del 7.7.2023 (PUNTO 1 del verbale), in quanto relativi a innovazione di carattere voluttuario, insuscettibile di utilizzazione separata e con spesa gravosa in rapporto alle condizioni e all'importanza del fabbricato condominiale; -condanna il (...) di (...) alla rifusione delle spese e competenze di lite in favore dell'attore che liquida in complessivi Euro.12.831,00, di cui Euro.3.600,00 per competenze relative al procedimento ex artt. 696-696 bis c.p.c., oltre ad Euro.286,00 per rimborso spese non imponibili, Euro.8.400,00 per competenze relative al presente giudizio oltre ad Euro.545,00 per rimborso spese non imponibili, oltre al rimborso forfettario 15% sulle sole competenze, IVA e CPA come per legge; -pone definitivamente a carico del (...) le spese di CTU come liquidate in separato decreto; -nulla per la posizione della sig.ra (...) Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante allegazione al verbale di udienza odierna, in (...) l'11 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 55728/2019 promossa da: Parte_1 (C.F. C.F._1), con il patrocinio dell'avv. BR.GL. elettivamente domiciliato in Indirizzo_2 CA_1 MILANO presso il difensore avv. BR.GL. ATTORE/I contro COND. Indirizzo_1 MILANO (C.F. P.IVA_1 , con il patrocinio dell'avv. L.TO.AN. elettivamente domiciliato in Indirizzo_3 CA_1 MILANO presso il difensore avv. L.TO.AN. CONVENUTO/I RE. SPA (C.F.) rappresentato e difeso dall'avv. DE.BO.GA. DI. AN. elettivamente domiciliato in Indirizzo_4 CA_2 MILANO presso il difensore avv. DE.BO.GA.DI.AN. TERZO CHIAMATO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp att cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalle domande svolte, con atto di citazione regolarmente notificato dall'attrice, condomina, nei confronti del Controparte_2 per sentir accogliere le seguenti conclusioni: "accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità del CP_2 per gli allagamenti verificatisi presso l'immobile di proprietà di Parte_1 e per i danni tutti da ciò derivati in capo all'attrice; accertare e dichiarare il CP_2 tenuto al pagamento a favore dell'attrice di euro 21.498,00 (di cui euro 16.498,00 per danni materiali ed euro 5.000,00 per danni non patrimoniali) ovvero della maggiore o minore somma che dovesse emergere in corso di causa anche in via di giustizia e/o equità, previa all'occorrenza statuizione di annullamento della delibera assembleare del 13.06.2019 con riferimento all'accredito individuale per i sinistri del 2017 di euro 959,00; condannare il CP_2 all'esecuzione di tutte quelle opere necessarie a garantire il funzionamento dell'impianto di smaltimento delle acque ed ovviare ai problemi di allagamento reiteratamente manifestatisi presso l'unità immobiliare di parte attrice". Si costituiva regolarmente in giudicio il CP_2 convenuto che eccepiva preliminarmente l'inammissibilità della domanda e, nel merito, contestava ogni avversa pretesa, sia in fatto che in diritto, chiedendo la chiamata in causa della Parte_2 per essere da questa tenuto indenne e manlevato, in forza di polizza assicurativa n. Nume_1 Autorizzata la chiamata di Parte_2 la terza chiamata si costituiva in giudizio eccependo l'inoperatività della garanzia sia ai sensi e per gli effetti degli artt. 1914 e 1915 sia in ragione delle clausole pattizie e nel merito la quantificazione del danno come indicato da parte attrice. Concessi i richiesti termini per memorie ex art. 183 VI comma c.p.c., in esito al deposito il Giudice ammetteva CTU e nominava per l'incombente l'arch. Persona_1 che all'udienza del 16.3.2022 prestava il giuramento di rito accettando l'incarico sul seguente quesito "Dica il C.T.U., esaminati gli atti ed i documenti prodotti, visitati i luoghi, esperita ogni opportuna indagine, sentite le parti ed i loro consulenti tecnici, quale sia la causa delle lamentate infiltrazioni inerenti l'appartamento della sig.ra Parte_1 situato nello stabile di Milano, (...) Indirizzo_1 indichi i rimedi necessari per il ripristino dei luoghi e i relativi costi; quantifichi eventuali danni all'immobile ed al mobilio. Depositata l'elaborato del CTU in data 6.2.2023, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 08.02.2023 le parti precisavano le conclusioni e il Giudice rinviava la causa per la discussione ex art. 281 sexies cpc concedendo termine alle parti per il deposito di note conclusive. In esito alla discussione dell'udienza 21.3.2024, viene data lettura della sentenza mediante deposito. Deve preliminarmente qualificarsi priva di fondamento l'eccezione pregiudiziale sollevata dal convenuto CP_2 circa l'inammissibilità della domanda per non aver impugnato la delibera del 13.6.2019 che ha approvato la liquidazione alla attrice di Euro.959,00 a titolo di risarcimento del danno. Fermo che - le attribuzioni dell'assemblea sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri legali o convenzionali di ripartizione delle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, nonché per la prestazione dei servizi nell'interesse comune, oltre che per le legittime innovazioni deliberate dalla maggioranza; - e quindi esula dalle attribuzioni dell'assemblea il potere di imputare, con l'efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, al singolo condomino una determinata spesa pretesamene individuale ovvero una somma a saldo di importi elargiti a titolo di risarcimento, non potendosi ravvisare una sorta di autotutela dell'ente collettivo privilegiata rispetto alla posizione del normale creditore/debitore, a pena di nullità della delibera (In senso conforme per tutte: Cass. civ., Sez. II, 30/04/2013, n. 10196; Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890; Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717). ciò posto, nel caso in esame, dalla documentazione in atti emerge che l'assemblea ha ritenuto liquidare la somma di Euro.959,00 ma non vi è prova che tale somma sia stata accettata a saldo di ogni pretesa attorea ovvero che sia intervenuta una transazione novativa tra le parti, atteso che il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall'omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo nei confronti del condomini (Cass 18187/21). Conferma peraltro l'assenza di ogni accettazione da parte dell'attrice alla proposta del condominio di cui al verbale del 13.6.2019 la circostanza che nello stesso verbale emerge che " la signora (...) Per_2 ritiene che nell'ambito di un recente sinistro per allagamento nella sua unità immobiliare il risarcimento proposto dalla compagnia assicurativa del condominio sia insufficiente. L'amministratore informa che il condominio è assicurato e quindi il perito della compagnia è il nostro riferimento ma se non si ritenesse accettabile da parte sua tale importo potrà senz'altro tutelare i propri interessi contro il condominio che a sua volta chiamerebbe a tutela ovviamente la compagnia assicurativa". Venendo al merito si rileva quanto segue. La vicenda esaminata rientra nell'ambito dell'art. 2051 c.c. che introduce una disciplina speciale per i danni arrecati dalle cose di cui si ha la custodia. Parte attrice infatti lamenta di aver subito dei danni a seguito di allagamenti del suo appartamento avvenuti sin dal 2017, allegamenti di provenienza dall'impianto fognario del CP_2 e chiede l'esecuzione delle opere necessarie per la loro eliminazione nonché il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Come noto ogni fenomeno che, proveniente dalle parti comuni, arrechi alla proprietà relativa ad un bene immobile ricompreso in uno stabile condominiale, rappresenta un fenomeno di cui è comunque tenuto a rispondere il CP_2, in quanto quest'ultimo, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non arrechino pregiudizio ad alcuno, dovendo pertanto rispondere in base all'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini salvo il caso fortuito. Su tale ultimo aspetto è come noto la responsabilità ex art. 2051 c.c. può essere esclusa solo qualora il custode dia la prova positiva del caso fortuito, idoneo a rompere il legame di custodia e di controllo tra lui e la res, riuscendo così a dimostrare l'inidoneità della cosa in custodia a provocare il danno (Cass. civ. n. 26751/2009). Caso fortuito che può consistere in un fatto - eccezionale, imprevedibile ed inevitabile- naturale o anche nel fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Ciò posto, nel caso in esame, nessun dubbio sussiste circa l'effettivo verificarsi degli allagamenti nell'immobile di parte attrice. Depone in tal senso, infatti, il comportamento processuale del convenuto CP_2 che non ha contestato il profilo indicato, limitandosi ad evidenziare la propria carenza di legittimazione, con riferimento alla riferibilità dei lamentati allagamenti e, dunque, al conseguente risarcimento del danno sul presupposto della esenzione da responsabilità per caso fortuito ovvero il fatto del terzo. Sotto il profilo causale, infine, la CTU espletata ha potuto confermare che:" Fatta analisi di quanto dice l'avv. La.To., il sottoscritto, che aveva ottenuto autorizzazione dal G.I. finalizzata alla effettuazione di una video ispezione della fognatura condominiale ed in special maniera della tratta orizzontale interrata nella quale confluiscono le acque di scarico di tutte le unità per poi essere convogliate, prima alla vasca di raccolta per poi, dopo la uscita dalla stessa, inserirsi nell'USB e successivamente sfociare nella condotta Comunale presente sulla Indiriz_5, meglio visionata la documentazione reperita presso la ricorrente (schema comunale della fognatura, una planimetria generale dei cantinati dello stabile di lndirizzo_1 redatta in data 9/09/1985 per la (...), costruttrice degli immobili in trattazione dallo Arch. cp_3 ha ritenuto superflua la esecuzione della videoispezione per le motivazioni sotto specificate: a) in quanto già eseguita in data 2017. b) in quanto l'immobile, che è stato costruito plausibilmente nell'anno 1977/1978, (la tavola dello schema fognatura timbrata dal Comune di Milano ha data 1977) presenta una condotta interrata nella quale confluiscono le acque dei singoli immobili di un diametro di cm. 20,00, che il sottoscritto ritiene sufficiente a servire gli immobili del complesso immobiliare. c) su tale condotta, come risulta dai verbali dell'Assemblea Condominiale, già veniva fatta eseguire videoispezione, sulla stessa condotta già venivano fatti eseguiti spurghi, come risultante dai verbali Assembleari; d) la considerazione di come la Condotta Comunale interrata sulla Indiriz_5, pur ritenuta di dimensioni sufficienti a ricevere le acque reflue provenienti dai fabbricati presenti, si trovi, ora, a raccogliere le acque reflue di immobili edificati successivamente all'edificio di lndirizzo_1. Causa questa ultima, a parere del sottoscritto CTU, che in caso di eventi temporaleschi anomali e di forte intensità, le acque di scarico provenienti dalla fognatura del civico Indl possano con difficoltà immettersi nella condotta Comunale e perciò creare fenomeni di rigurgito." (Pag. 6 elaborato) Orbene, come correttamente evidenziato dalla difesa della terza chiamata, l'esito della CTU ha confermato che non è l'impianto del CP_2 convenuto che causa gli allagamenti, ma la condotta comunale che un tempo era sufficiente mentre oggi raccoglie acque reflue di numerosi immobili successivamente costruiti, che a causa degli eventi atmosferici non permettono il facile reflusso delle acque del CP_2. Il fatto del terzo (ndr la condotta comunale che non ha idonea portata) assume quindi il carattere di circostanza liberatoria per il custode, atteso che sussiste l'intrinseca autonomia rispetto alla condotta e, più in generale, alla sfera del CP_2 ed ha il carattere di imprevedibilità ed inevitabilità. Consegue quindi che la condotta del terzo (la condotta comunale) esclude la responsabilità del CP_2 nella causazione dei danni lamentati dall'attrice, senza che sia necessaria l'individuazione precisa del terzo perché tale ultimo elemento non è essenziale per la prova dell'interruzione del nesso eziologico, nel caso in cui sia, comunque, certo l'effettivo ruolo del terzo stesso nella produzione dell'evento. Per quanto sopra la domanda di parte attrice va rigettata con assorbimento di tutte le altre domande anche quella di esecuzione di opere atteso che, a tutela del suo diritto di ottenere che l'impianto sia strutturato e condotto in modo da assicurare un sufficiente reflusso delle acque, compatibilmente con le esigenze di generale disciplina del bene condominiale e senza pregiudizi per gli altri, il CP_2 deve prima può provocare una delibera condominiale che attiene agli interventi da effettuarsi sull'impianto o ad una diversa conduzione e in mancanza rivolgersi direttamente all'autorità giudiziaria a tutela del diritto leso, siano a richiedere il risarcimento del danno nella ipotesi di una colpevole omissione del condominio nell'adottare provvedimenti riparatori di guasti o di deficienze sopravvenute all'impianto. (cass. 10492/1996) Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo anche quelle di CTu che vengono poste definitivamente a carico di parte attrice; Sentenza esecutiva P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando in composizione monocratica, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide. - Rigetta le domande di parte attrice. - Condanna parte attrice alla rifusione in favore del CP_2 convenuto delle spese del giudizio, spese che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre iva e cpa oltre rimborso spese generali 15%; - Condanna parte attrice alla rifusione in favore della terza chiamata delle spese del giudizio, spese che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre iva e cpa oltre rimborso spese generali 15%; - pone definitivamente a carico di parte attrice le spese di CTU come liquidate - sentenza esecutiva Così deciso in Milano, oggi 21 marzo 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRIESTE SEZIONE CIVILE In persona del giudice Sabrina Cicero Ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile di appello iscritta al n. 335 del 2022 ritenuta in decisione su conclusioni precisate a mezzo note sostitutive dell'udienza del 7 novembre 2023 TRA Sa.Pe., con l'avv.to Da.Zi. APPELLANTE E CONDOMINIO DI VIA Pi. N. 3 IN T., nella persona dell'Amministratrice e legale rappresentante pro tempore, Dott.ssa P.V., con l'avv.to Marzia Broili; APPELLATA OGGETTO:appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Trieste n. 335/21 del 15.7.2021,depositata il 20.7.2021 in R.G. 1677/2018. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Premessa Con atto di citazione notificato in data 27 luglio 2018 Sa.Pe. conveniva, avanti al Giudice di Pace di Trieste, il CONDOMINIO DI VIA Pi. N. 3 IN T., per sentire dichiarare la nullità o disporsi l'annullamento ex art. 1137 c.c. della delibera adottata dall'assemblea del Condominio convenuto il 4 luglio 2018 al punto 6) all'ordine del giorno, nella parte in cui era stato deciso di eseguire dei lavori di rifacimento mediante mero innalzamento dei parapetti con l'aggiunta di un ulteriore corrimano come da allegato progetto dell'Arch. C.. Premetteva l'attrice di essere proprietaria di un appartamento sito al sesto ed ultimo piano del Condominio di Via Pi. n. 3, arretrato rispetto al prospetto di facciata e comprendente una terrazza di proprietà ed uso esclusivo, che funge da lastrico solare a copertura dei sottostanti immobili che, a seguito di C.T.U. resa in altro giudizio, era stata oggetto di lavori di rifacimento volti ad ovviare a delle infiltrazioni verificatesi nei piani sottostanti, realizzati dall'impresa edile S.C. S.r.l. in forza di delibera condominiale che recepiva le risultanze della citata C.T.U. Rappresentava la Pe. che, a seguito dell'esecuzione dei lavori suddetti, il piano di calpestio era risultato innalzato di tal guisa che i parapetti non avevano più l'altezza minima di un metro: tale fatto era stato accertato dalla Polizia Edilizia del Comune di Trieste in data 31 marzo 2018, chiamata ad intervenire dall'attrice stessa, che aveva imposto il "ripristino della situazione preesistente". Ritenendo imputabile al CONDOMINIO l'innalzamento del livello del pavimento della terrazza, l'attrice invitava lo stesso ad ottemperare alle disposizioni del Comune di Trieste, provvedendo al ripristino. Sosteneva l'attrice che l'Assemblea condominiale aveva deliberato, con astensione dal voto da parte sua, l'innalzamento a proprie spese dei parapetti, tramite aggiunta di un corrimano a quello esistente, piuttosto che provvedere dal basso, in un'ottica di risparmio; risultato che appariva sgradevole all'attrice. Deduceva quindi l'attrice che la delibera, disponente su beni di proprietà esclusiva del singolo condomino senza il suo assenso, sarebbe stata viziata ed invalida e, quindi, da annullarsi o dichiararsi nulla. Si costituiva in giudizio il CONDOMINIO chiedendo il rigetto della domanda attorea per inammissibilità e/o improcedibilità in carenza dei presupposti di legge e/o comunque per infondatezza in fatto ed in diritto. Contestava il convenuto, dichiaratosi mero committente, qualsiasi responsabilità in relazione alla modificata altezza delle ringhiere-parapetti, verificatasi in occasione dei lavori eseguiti dall'impresa S. sul pavimento della terrazza-lastrico. Rilevava come l'attrice avesse modificato la propria posizione in funzione della linea difensiva, poiché in atti precedenti aveva chiesto l'intervento del CONDOMINIO in quanto considerava le ringhiere-parapetti come beni comuni e non proprietà esclusiva, per poi contestare il tipo di intervento finalizzato all'adempimento delle disposizioni del Comune di Trieste, non di suo gradimento. Asseriva il CONDOMINIO la validità della delibera impugnata in quanto la ringhiera-parapetto era da qualificarsi come bene comune ex 1117 c.c., poiché la terrazza in questione ha la funzione di copertura degli appartamenti sottostanti, e chiedeva che la domanda attorea fosse dichiarata inammissibile. Il convenuto deduceva altresì, a prescindere dalla qualificazione dei parapetti come beni comuni o di proprietà del singolo comunista, la carenza dell'interesse ad agire in capo all'attrice in difetto dei presupposti di attualità, concretezza e personalità, e conseguentemente l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile all'esito dell'azione intrapresa. Parimenti, veniva dedotta la carenza di interesse ad agire anche allorché la stessa attrice, benché contestasse la tipologia dell'intervento, ne ammetteva la necessità e urgenza ai fini della messa in sicurezza, a seguito del provvedimento sindacale che il CONDOMINIO era tenuto ad adempiere per evitare pericoli per l'incolumità dei cittadini. Depositate le richieste note ex art. 320 c.p.c., assunto l'interrogatorio formale dell'Amministratore del Condominio e prodotte note conclusive, il Giudice di Pace, all'esito, rigettava la domanda e condannava l'attrice alla rifusione delle spese di giudizio. Successivamente, con atto di citazione ex art. 342 c.p.c., notificato in data 16 febbraio 2022, la Pe. presentava appello nei confronti della sentenza di primo grado, chiedendone la riforma sulla base di quattro motivi. Con il primo motivo, l'appellante deduceva l'erroneo rilievo della carenza di interesse ad agire, sulla cui sussistenza insisteva poiché l'assemblea condominiale avrebbe deliberato innovazioni su bene di proprietà esclusiva nonostante il suo espresso dissenso, non avendo inteso contestare l'an dell'intervento, che il CONDOMINIO convenuto doveva sostenere a sue spese, ma solo il quomodo, che le parti avrebbero dovuto concordare. Con il secondo ed il terzo motivo era posta evidenza sul dedotto mancato rilievo della violazione di legge e del regolamento, avendo la delibera avuto ad oggetto interventi su beni (i parapetti) di proprietà di singoli condomini e non condominiali; sull'errata valutazione della natura del provvedimento del Comune di Trieste, poiché questo prevedeva, secondo la ricostruzione operata da parte appellante, in via alternativa il ripristino allo status quo ante o l'adeguamento a conformità, quest'ultima ipotesi unilateralmente e autonomamente percorsa dall'appellato nel corso del procedimento amministrativo concluso con l'ordinanza del 25 luglio 2021; e sull'errata valutazione del contegno processuale dell'attrice, odierna appellante, che sosteneva che dalla mancata richiesta di sospensiva della delibera impugnata non potesse trarsi alcun argomento di prova sul merito della causa. Con il quarto motivo, l'appellante rilevava la mancata ammissione di C.T.U. accertativa della proprietà dei beni oggetto di causa. Si costituiva anche nel presente giudizio di gravame il CONDOMINIO il quale, confermando i fatti di causa come dedotti nel primo giudizio, chiedeva la conferma della sentenza appellata. In ordine ai motivi di appello, l'appellato insisteva sulla carenza di legittimazione attiva della Pe. per carenza dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., da un lato in quanto un'ipotetica pronuncia di annullamento o di nullità doveva reputarsi inidonea a rimuovere l'opera eseguita e, dall'altro, parimenti inidonea a rimuovere l'ordinanza con cui il Comune di Trieste aveva imposto al CONDOMINIO di procedere all'intervento. Circa il secondo motivo di appello, l'appellato ne deduceva l'inammissibilità in quanto non ravvisava in esso alcuna censura alla sentenza oggetto di gravame; in riferimento all'ordinanza del Comune di Trieste, esponeva che un ripristino allo status quo ante del lastrico solare di proprietà della condomina odierna appellante non fosse stato possibile, poiché il lavoro edile eseguito dal CONDOMINIO sulla terrazza era stato necessitato dalla diversa e precedente azione promossa dalla Pe. con A.T.P. per lamentate infiltrazioni ed era stato realizzato sulla base dell'elaborato peritale redatto all'esito di tale procedimento sommario ante causam. Oltre a ciò, la delibera si sarebbe limitata a disporre che sarebbe stato dato adempimento a quanto il Comune avrebbe deciso. Sul terzo motivo di gravame, il CONDOMINIO deduceva che la domanda di accertamento della proprietà esclusiva dei parapetti, ringhiere e protezioni del lastrico solare fosse stata proposta tardivamente, solo in sede di precisazione delle conclusioni e discussione del primo grado di giudizio e, quindi, inammissibile; ad ogni buon conto, rilevava come tale questione non potesse trovare soluzione nel regolamento condominiale ma solo sulla base dell'elaborazione giurisprudenziale che considera tali manufatti quali elementi architettonici della facciata e quindi di proprietà comune. Parimenti inammissibile era ritenuto dall'appellato il quarto motivo, in quanto riteneva che non fosse indicato il punto della sentenza oggetto di censura e che, comunque, la verifica della proprietà che si basa su di un'interpretazione giuridica della fattispecie concreta non potesse essere demandata al C.T.U., rientrando nei poteri del giudice investito dalla questione. La causa è stata ritenuta sufficientemente istruita e, sulle conclusioni di cui in premessa, è stata quindi riservata in decisione all'udienza del 7 novembre 2023, sostituita ex art. 127 ter c.p.c. dal deposito di note scritte, con assegnazione dei termini per il deposito di scritti conclusivi. In via preliminare Deve essere in primo luogo accolta l'eccezione di inammissibilità della domanda incidentale di "accertamento della proprietà esclusiva di parte attrice di parapetti, ringhiere e protezioni dellastrico solare di sua proprietà", in quanto tardivamente proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado. Sul punto, si rileva tuttavia come dalla documentazione versata in atti l'appellante abbia più volte (circostanza mai contestata) invitato il CONDOMINIO ad eseguire gli interventi sui parapetti, ritenendoli di proprietà condominiale, salvo poi asserirne nel presente giudizio la proprietà esclusiva in capo a sé stessa. Sempre in via preliminare, si ritiene sussistente l'interesse ad agire dell'odierna appellante, in quanto tale presupposto processuale sussiste sempre in capo ad un condomino laddove questo impugni una delibera assembleare che lo riguardi, come nel caso in esame. Nel merito Nel merito, l'appello è infondato e deve essere rigettato per i motivi di cui appresso si dirà. La sentenza del Giudice di pace fonda il rigetto della domanda spiegata dall'attrice sostenendo che, premesso che il sindacato dell'A.G. circa la validità di una delibera assembleare sia ammissibile solo qualora la stessa fosse stata adottata in violazione di legge o della normativa particolare contenuta nel regolamento di condominio, tale violazione non si ravvisa nel caso concreto, essendo irrilevante la titolarità del diritto di proprietà (del singolo condomino o comune alla compagine) sul bene oggetto di intervento, laddove vi sia un provvedimento urgente dell'Autorità amministrativa competente che ordini al Condominio di effettuare su tale bene i lavori necessari per evitare pericoli per l'incolumità dei cittadini. Ciò posto, pare utile ai fini della decisione evidenziare la scansione temporale dei fatti dedotti in giudizio, come emersa dalle deduzioni delle parti e dall'apparato probatorio fornito a loro sostegno. In data 31 marzo 2018, il Nucleo di Polizia Edilizia della Polizia Locale del Comune di Trieste eseguiva un sopralluogo sul lastrico solare di proprietà esclusiva della P., odierna appellante, su sollecitazione di questa e, ravvisando che i parapetti avevano un'altezza inferiore al minimo consentito dalla legge vigente in materia (pari ad un metro), invitavano il CONDOMINIO a provvedere alla messa in sicurezza tramite l'innalzamento dei parapetti al limite di legge. Alla luce e in ragione di ciò, in data 17 aprile 2018 l'Assemblea condominiale deliberava (con voto favorevole di tutti i presenti, compresa la P.) di dare incarico all'Arch. C. per la presentazione di un progetto finalizzato all'innalzamento dei parapetti e rimetteva al tecnico nominato, congiuntamente all'impresa appaltatrice dell'intervento, di valutare "la migliore soluzione altezza finale parapetto/costi in modo da salvaguardare la sicurezza e l'estetica condominiale". Successivamente, in data 8 maggio 2018, il Comune di Trieste emetteva un provvedimento con cui assegnava il termine di giorni sessanta per il ripristino della situazione preesistente o, in alternativa, per presentare istanza di riduzione a conformità dell'intervento realizzato. In adempimento di quanto contenuto nel provvedimento comunale, il tecnico del CONDOMINIO presentava, in data 15 giugno 2018, il progetto di riduzione a conformità dell'intervento realizzato mediante innalzamento del parapetto. Nelle more della delibera di benestare esecutivo da parte dell'Ente Pubblico, l'Assemblea condominiale, in data 4 luglio 2018, deliberava "di dar esecuzione a quanto il Comune di Trieste disporrà, sostenendone le spese". Finalmente, il 25 luglio 2018, l'Autorità comunale emetteva ordinanza di accoglimento dell'istanza presentata dal CONDOMINIO, con concessione del termine di novanta giorni all'esecuzione delle opere autorizzate, il cui avvenuto compimento veniva comunicato al Comune di Trieste in data 19 ottobre 2018. Tanto premesso, i motivi di gravame dedotti dall'appellante sono da doversi rigettare integralmente, e conseguentemente la sentenza di Prime Cure confermata, per le ragioni che seguono. Quanto al primo motivo di appello, correttamente l'appellante sostiene che la propria censura all'attività del CONDOMINIO riguardi il quomodo dell'intervento. Tuttavia, tale motivo non può trovare accoglimento. Laddove infatti la Pe. avesse voluto contestare tale aspetto, avrebbe dovuto eventualmente impugnare, ove ve ne fossero stati gli estremi, la delibera adottata dall'assemblea condominiale il 17 aprile 2018, con cui il CONDOMINIO conferiva l'incarico all'Arch. C. per la presentazione di un progetto finalizzato all'innalzamento dei parapetti e rimetteva al tecnico nominato, congiuntamente all'impresa appaltatrice dell'intervento, di valutare "la migliore soluzione altezza finale parapetto/costi in modo da salvaguardare la sicurezza e l'estetica condominiale". Ovvero, nell'ipotesi in cui la censura dell'odierna appellante avesse riguardato l'aspetto dell'estetica dell'opera realizzata, ben avrebbe potuto procedere con altra diversa azione contro il CONDOMINIO in contestazione dell'esito dei lavori sotto tale profilo. Quanto al secondo e al terzo motivo di gravame, che si analizzano congiuntamente, fermo quanto sopra disposto in via preliminare, non risultano entrambi meritevoli di accoglimento. Difatti, la proprietà del manufatto oggetto di intervento del CONDOMINIO (se sia essa comune o esclusiva di un condomino) non rileva ai fini del presente giudizio, come correttamente argomentato nel provvedimento gravato, poiché il CONDOMINIO si è visto costretto ad attivarsi al fine di dare adempimento a quanto intimato dal Comune di Trieste per eliminare uno stato di pericolo per l'incolumità pubblica, di cui il Sindaco è il garante (ed il cui intervento è stato richiesto peraltro dall'attrice stessa). Lo scenario su cui ha operato l'Ente di gestione era costituito da un lastrico solare ristrutturato sulla base di una C.T.U. resa in contraddittorio tra le parti (circostanza dalle stesse pacificamente ammessa), opera edile che ha comportato un innalzamento del piano di calpestio per la necessità di ovviare i problemi infiltrativi lamentati dall'odierna appellante, da cui è derivata una riduzione dell'altezza del parapetto. Altezza che, su ordine del Sindaco, doveva essere ripristinata dal CONDOMINIO, il quale optava, in accordo con la proprietaria esclusiva della terrazza a copertura stessa (che esprimeva voto favorevole all'adozione della citata Delib. del 17 aprile 2018), per la realizzazione della "migliore soluzione altezza finale parapetto/costi in modo da salvaguardare la sicurezza e l'estetica condominiale". Pertanto, il CONDOMINIO si è attenuto a quanto disposto dall'Autorità comunale e nessuna censura pare doversi muovere nei confronti dell'operato dell'Ente di gestione. In relazione al quarto motivo di gravame, fermo quanto rilevato in via preliminare sulla tardività della domanda incidentale di accertamento della proprietà, esso è parimenti infondato in quanto si ritiene che non sia possibile demandare all'accertamento di un C.T.U. l'individuazione del titolare del diritto di proprietà se ciò non è desumibile dal titolo o dalla legge, ma necessiti di una interpretazione giuridica della fattispecie concreta, interpretazione che è rimessa al prudente apprezzamento del giudice sulla base dell'apparato probatorio prodotto a sostegno di domande tempestivamente presentate. In definitiva, si condivide appieno quanto contenuto nella motivazione della pronuncia della Suprema Corte citata nella sentenza appellata (Cass. Civ., Sez. II, ord. 14140 del 24/05/2021), secondo cui "il compimento di atti conservativi per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale, legittimava l'intervento dell'amministratore anche senza la previa autorizzazione dell'assemblea. L'approvazione dei lavori di messa in sicurezza indicata all'ordinanza del sindaco non richiedeva il consenso dell'attrice né di alcun altro condomino, trattandosi di intervento implicante il compimento di atti diretti alla conservazione dell'intero edificio condominiale e ad ovviare ad una situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità nel cortile interno, a nulla rilevando che il balcone interessato dai lavori fosse di proprietà esclusiva". Correttamente, quindi, il Giudice di Prime Cure ha ritenuto, sulla stregua della giurisprudenza della Suprema Corte citata in sentenza, che il CONDOMINIO ha operato correttamente e legittimamente, adottando una delibera assembleare finalizzata all'ottemperanza di ciò che l'ordinanza comunale ha imposto. Ogni altra questione è da ritenersi assorbita. Sulle spese di lite Il rigetto dell'impugnazione impone, in virtù del criterio della soccombenza, di porre le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo in base ai valori medi di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, a carico di parte appellante. Si dà atto, ai fini del versamento del contributo unificato, della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - rigetta l'appello e conferma la sentenza del Giudice di Pace di Trieste n. 335/21 depositata il 20 luglio 2021; - condanna Sa.Pe. alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato CONDOMINIO, spese che liquida in Euro 5.810,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie al 15%, Iva e Cpa come per legge. Così deciso in Trieste il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GENOVA SEZIONE TERZA CIVILE in composizione monocratica, in persona della Dott.ssa Francesca Ziccardi ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile promossa da (...), nata a (...) il (...), residente in (...), ed elettivamente domiciliata in (...) presso e nello studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende come da mandato in atti Attrice Contro (...) (c.f. (...)), in persona dell'Amministratore in carica geom. (...) quale legale rappresentante della (...) ai fini del presente atto elettivamente domiciliato in (...) presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende come da mandato in atti Convenuto RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) esponeva, in particolare, che: - era proprietaria dell'appartamento contraddistinto dall'interno 5 del civico 172 di (...); - in data 06/02/2021, nel corso dell'assemblea straordinaria del (...), si erano deliberati lavori di realizzazione di un tratto di marciapiede sulla parte a perimetro della casa nella zona posteriore; - il prolungamento del marciapiede perimetrale era stato chiesto dai condomini (...), che avevano affermato di volersene fare carico, in quanto avrebbe agevolato l'accesso alle loro abitazioni; - per questo motivo erano state deliberate opere di realizzazione del marciapiede precisando che "i condomini (...) si prenderanno carico delle spese di dette lavorazioni con la seguente ripartizione: 1/5 a carico di (...) 2/5 a carico di (...) 2/5 a carico di (...)"; - l'esecuzione dei suddetti lavori veniva affidata direttamente a (...), titolare di un'impresa edile, il quale presentava un preventivo di Euro 4.550,00 + IVA; - nel corso dell'assemblea straordinaria del (...) tenutasi in data 14/04/2021 (v. verbale assemblea straordinaria del 1314/04/2021 - doc. 3), l'amministrazione inopinatamente aveva riproposto "la votazione delle lavorazioni relative alla realizzazione dei marciapiedi posteriori di cui al preventivo (...)"; La maggioranza dei condomini presenti (quattro su cinque) approvava, con votazione contraria da parte della signora (...) la suddivisione in millesimi della relativa spesa disponendo che "detta delibera revoca la delibera del verbale relativo alla riunione del 06/02/2021 e le relative suddivisioni"; - in seguito a questa nuova ripartizione la Signora (...) titolare di 474,20 millesimi (più di tutti gli altri condomini), avrebbe dovuto sostenere un esborso di Euro 3.496,00 (v. riparto lavori straordinari - doc. 4), peraltro sulla base di un lavoro per il quale non doveva essere mantenuto l'affidamento diretto ad uno dei condòmini e che doveva essere preceduto dall'esame di altri preventivi, dalla redazione di un progetto e da un calcolo computometrico; - in tema di comunione l'art. 1102 c.c., applicabile in materia di condominio di edifici per il richiamo contenuto dell'art. 1139 c.c., disponeva: "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa"; - applicando tale principio al caso di specie, correttamente il costo della modifica alla cosa comune (prolungamento del marciapiede condominiale) nell'interesse dei condomini (...) era stato posto con la delibera assembleare del 06/02/2021 solo a carico degli stessi; - la delibera impugnata era illegittima nella parte in cui stabiliva quale diverso criterio di riparto la suddivisione in millesimi a carico di tutti i condomini e pertanto, in punto, doveva essere annullata e/o dichiarata nulla; - in subordine, anche a voler considerare dette lavorazioni delle "innovazioni", in quanto dirette al miglioramento o all'uso più comodo delle cose comuni, la delibera impugnata violava il disposto dell'art. 1120 c.c. che richiedeva la maggioranza indicata dal quinto comma dell'art. 1136 c.c., e cioè un numero di voti che rappresentasse la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell'edificio; -quest'ultima ipotesi non ricorreva nel caso di specie in quanto il numero di voti degli intervenuti non raggiungeva almeno i due terzi del valore dell'edificio (525,79 millesimi a fronte dei 666,67 millesimi richiesti). - anche per questo motivo detta delibera doveva essere annullata e/o dichiarata nulla; - in ulteriore subordine la delibera adottata in data 14/04/2021 era invalida anche con riferimento alla delibera del 06/02/2021 dalla stessa revocata; -se si fossero considerate le lavorazioni di prolungamento del marciapiedi posteriore delle "innovazioni", per revocare la precedente delibera del 06/02/2021 con le relative suddivisioni sarebbe stata necessaria una maggioranza che rappresentasse almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune ai sensi degli artt. 1108, 1120 e 1136, comma 5, c.c.. Tale maggioranza non era stata raggiunta nel corso dell'assemblea straordinaria tenutasi il 14/04/2021. Tanto premesso conveniva in giudizio il (...) dello stabile sito in (...) al fine di sentire dichiarare la nullità o comunque, annullare la delibera dell'assemblea straordinaria del 14.04.2021 del (...) - nella parte in cui approva le "lavorazioni relative alla realizzazione dei marciapiedi posteriori di cui al preventivo della ditta (...) con la suddivisione a millesimi delle spese" e/o nella parte in cui "revoca la delibera del verbale relativo alla riunione del 06/02/2021 e le relative suddivisioni". Con comparsa datata 6/10/2021 si costituiva il (...) dello stabile sito in (...), (...), osservando ed eccependo, tra l'altro, che: - l'assemblea totalitaria del 14.4.21 (doc.2), prima di rimettere ai voti il riparto dei lavori riguardanti (oltre ad altri interventi) il completamento sul lato ponente del già esistente marciapiede, aveva accettato all'unanimità la contestuale proposta dei condomini (...) di rinunciare al diritto d'uso esclusivo della porzione di giardino posteriore ad essi attribuito con la delibera 9/10/2017 per ritrasferirlo a tutti i condomini in egual misura "con la compartecipazione da parte di tutti alle spese in proporzione ai relativi millesimi di proprietà"; - l'assemblea totalitaria aveva accettato la proposta dei condomini all'unanimità, quindi con voto favorevole della stessa condomina (...) - a conferma di ciò, anche con riferimento ad altri interventi ma pur sempre relativi alla sistemazione del giardino posteriore, deliberando sul punto 2) la medesima assemblea sempre con il voto favorevole dell'attrice aveva approvato la ripartizione dei costi in base ai millesimi di proprietà; - controparte fingeva quindi di ignorare la novità sostanziale intervenuta dopo l'assemblea del 6.2.2021, ossia la rinuncia all'uso della porzione posteriore del giardino da parte dei condomini che ne erano esclusivi titolari e la riassegnazione di detta porzione all'uso indistinto di tutti i condomini; - infatti sino alla delibera qui impugnata le differenziate modalità d'uso del giardino condominiale erano regolamentate dalla delibera totalitaria 9.10.2017 con allegata planimetria identificativa (doc.3), con la quale i condomini all'unanimità avevano attribuito "l'uso esclusivo perenne" della maggior parte del giardino (compresa tutta la sua porzione posteriore) alle unità immobiliari in allora di proprietà (...) ((...), (...)) quale contropartita dell'accollo delle spese di rifacimento dei prospetti condominiali, unità immobiliari successivamente acquistate dagli odierni condomini (...) mentre la minore porzione anteriore era rimasta in uso esclusivo alle restanti proprietà (...) e (...); -con la delibera 14.4.21 l'uso dell'intero giardino e dell'area cortilizia circostante l'edificio, pacificamente di proprietà comune anche in ragione della presunzione ex art. 1117 c.c. (Cass. 23.10.2020 n. 23316), era stato nuovamente attribuito a tutti i condomini indistintamente ed a prescindere dalla posizione delle rispettive unità immobiliari; - la realizzazione dell'unico lato di marciapiede a perimetro mancante (zona posteriore) non fu affatto richiesta specificamente dai condomini (...) e (...) (ciò infatti non risulta dal testo della delibera 6.2.21 prodotta ex adverso), ma rispondeva ad esigenze di sicurezza e salubrità dell'edificio in quanto avrebbe consentito una miglior protezione dalle infiltrazioni d'acqua provenienti dal terreno; - oltre a ciò, il rifacimento dell'unica parte mancante si inseriva negli interventi di miglioramento complessivo del giardino e si uniformava con il marciapiede già esistente sugli altri tre lati; - certamente l'intervento in questione non rispondeva ad esigenze particolari o ad usi specifici riferibili ai tre condomini indicati ex adverso, ma si collocava nell'ambito dei più generali lavori di ristrutturazione e di miglioramento del giardino e del cortile condominiale, beni oggi utilizzati indistintamente da tutti i condomini in eguale misura (ciò proprio a seguito della delibera impugnata); - prima di approvare gli interventi l'assemblea aveva visionato diversi preventivi, mentre il fatto di scegliere la ditta di un condomino rientrava tra le prerogative dell'organo di formazione della volontà condominiale e di per sé non costituiva alcuna ipotesi di conflitto di interesse; - era opportuno riassumere gli interventi di manutenzione e/o di miglioramento complessivi oggetto delle delibere 6.2.21 e 14.4.21: - completamento dell'unico lato (posteriore) di marciapiedi mancante, al servizio ed in uso comune a tutti i condomini; - manutenzione straordinaria della preesistente vetusta stazione di sollevamento (vasca con pompa e scarico di emergenza, per smaltire i liquidi in caso di cattivo funzionamento della pubblica fognatura); - realizzazione di nuovi chiusini per detta vasca e per il c.d. pozzo perdente al quale sono collegate le canaline di scolo dell'acqua del giardino; - realizzazione di nuova cancellata di confine, in sostituzione della preesistente in legno ammalorata; - rifinitura dei lavori di sistemazione del giardino mediante stesura di ghiaia; - l'unico legittimo criterio di riparto delle spese relative agli interventi in questione, compreso quello (assai modesto per la verità) di realizzazione del tratto di marciapiede mancante e posto sul lato posteriore dell'edificio, era quello proporzionale e quindi per millesimi generali di proprietà; - ciò in quanto nella specie, proprio a seguito della delibera totalitaria del 14.4.21 e del voto unanime sul punto, l'intero giardino condominiale (compresa la sua più ampia parte posteriore) era stato nuovamente attribuito all'uso indistinto di tutti i condomini con l'ovvia prescrizione della "compartecipazione da parte di tutti alle spese in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà" (così al punto 1 della delibera); - si trattava quindi di un importante mutamento nella regolamentazione giuridica del bene in questione, il quale sino ad allora ed a decorrere dalla precedente delibera sempre totalitaria del 9.10.2017, approvata anche dall'odierna attrice (ns. doc.3), era in uso esclusivo a soli tre condomini; - discendeva da ciò, in maniera quasi ovvia e comunque già documentalmente provata, la riattribuzione dell'uso indistinto a tutti i condomini; - l'unico criterio di riparto applicabile nella fattispecie era quello proporzionale previsto in via generale dall'art. 1123 primo comma codice civile, in quanto il completamento di quell'unico lato di marciapiedi (così come gli ulteriori lavori deliberati) non rispondeva certo ad esigenze e/o ad un uso particolare più intenso di qualche condomino, ma era inquadrabile negli interventi per la conservazione e per il godimento (paritario ed indistinto) delle parti comuni; - con la stessa delibera impugnata la Controparte_9 veva accettato la rinuncia all'uso esclusivo del giardino formalizzata dai tre condomini titolari ed aveva approvato anche la connessa previsione che, a seguito del ripristino dell'uso indistinto esercitabile da tutti i condomini (compresa la (...) , le spese di sistemazione e ripristino di detto giardino fossero suddivise in base ai millesimi generali di proprietà. Si veda la chiara previsione sempre al punto 1) della delibera, per cui "detta proposta viene accolta e deliberata unanimamente da tutti i Condomini"; - lo stesso criterio di riparto in base ai millesimi di proprietà era stato approvato nella medesima delibera con riferimento al punto 2), riguardante sempre lavori di sistemazione del giardino posteriore, ancora una volta con il voto favorevole dell'odierna attrice. - l'attrice difettava di interesse ad agire alla proposta impugnativa, dal momento che aveva approvato, previamente ed anche successivamente (punti 1 e 2 della delibera), proprio quel criterio di riparto in base ai millesimi di proprietà che oggi contesta; - non vi era alcuna giuridica ragione per ritenere che detto criterio generale fosse inapplicabile ai soli lavori di rifacimento di un lato del marciapiedi, bene pacificamente di proprietà e (oggi) in uso comune a tutti i condomini senza diverse modalità di utilizzo; nessuno degli interventi oggetto delle delibere 6.2.21 e 14.4.21 poteva costituire innovazione nel senso voluto dall'art. 1120 primo comma codice civile; - per innovazione in senso tecnico-giuridico doveva infatti intendersi solo quella modificazione materiale che alterasse l'entità sostanziale o mutasse la destinazione originaria della cosa comune , caratteri che non erano presenti; - del resto la stessa controparte si limitava ad affermare genericamente l'esistenza di innovazioni, senza individuare specificamente di quali modificazioni concrete si trattasse, in modo da poterne contestualmente escludere una connessione con la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti (ex art. 1120 comma secondo n.1, che prevede la maggioranza semplice). Concludeva per il rigetto delle domande attoree. L'attrice nella prima memoria ex art 183 cpc sosteneva che: - non era affatto vero che le opere di realizzazione del marciapiede corrispondano ad "esigenze di sicurezza e salubrità dell'edificio"; - con la delibera impugnata erano state riservate sempre ai condomini (...) "porzioni di rispetto antistanti" i loro appartamenti "per poter permettere il godimento degli immobili con un piccolo sfogo anche all'esterno", e quindi le opere di realizzazione del marciapiede rappresentavano proprio quelle modifiche apportate da alcuni condomini per il miglior godimento della cosa comune descritte nell'art.1102 c.c., con conseguente obbligo per i suddetti condomini di sostenere le relative spese; - In ogni caso, a prescindere dall'utilizzo di tali opere da parte di tutti o soltanto di alcuni condomini, non vi era dubbio che le stesse costituivano "innovazioni", in quanto comportavano una alterazione del bene su cui incidevano, che da terreno adibito a giardino si trasformava in marciapiede, e quindi richiedevano per la loro approvazione la maggioranza qualificata prevista dagli artt. 1108, 1120 e 1136, comma 5,c.c. Le domande attoree sono fondate e vanno accolte. L'eccezione preliminare sollevata dal (...) è priva di pregio. Sul punto l'odierno giudicante condivide pienamente la giurisprudenza della S.C. secondo cui "la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 cod. civ. ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 cod. proc. civ. come condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni" (Cass. 10 febbraio 2010 n. 2999; in senso conforme Cass. 25 agosto 2005 n. 17276; Cass. 23 marzo 2001 n. 4270; Cass. 4 aprile 1997 n. 2912). Si devono quindi distinguere i vizi meramente formali, per i quali l'interesse ad agire è in re ipsa, dagli altri vizi di carattere sostanziale, per far valere i quali invece è necessario anche un danno latu sensu derivante dalla delibera asseritamente viziata. Nel caso di specie si tratti pacificamente, considerate le doglianze, sia di vizi formali che sostanziali. Si deve pertanto passare l'attenzione al merito. Le innovazioni di cui all'articolo 1120 del codice civile si differenziano da quelle disciplinate dall'articolo 1102 del codice civile, sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti precisati nello stesso articolo 1102 del codice civile, dirette a ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; sotto il profilo soggettivo, poi, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, nelle quali non rileva un interesse generale, bensì quello del singolo condomino al cui perseguimento sono rivolte, con i limiti previsti dal citato articolo 1102 (Cass. 4513/2021). Di conseguenza la fattispecie non rientra nell'art. 1102 c.c. bensì nell'art 1120 c.c. trattandosi di una volontà collettiva espressa con una deliberazione dell'assemblea. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, le innovazioni possono essere definite come tutte quelle modificazioni che determinano l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, nel senso che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, devono presentare una diversa consistenza materiale oppure devono essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (tra le altre 12654/2006). Come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non sempre gli interventi di sostituzione di parti comuni integrano delle innovazioni, dovendosi distinguersi tra atti di straordinaria manutenzione, diretti semplicemente a ripristinare la funzionalità della cosa comune, dalle innovazioni che, come detto, consistono in opere che importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza. La distinzione non è solo di carattere materiale, ma riguarda le maggioranze applicative, premesso che, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o le riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere approvate con le maggioranze stabilite dal secondo comma dell'articolo 1136 c.c., a differenza delle innovazioni che potrebbero richiedere, ad esempio la maggioranza del quinto comma dell'art. 1136 c.c.. L'innovazione può riguardare: sia qualcosa di nuovo che prima non c'era, sia la modifica o la trasformazione di una cosa o di un servizio comune già esistente. Tuttavia, non tutti gli interventi sulle parti comuni possono essere considerati innovativi: il carattere indispensabile affinché possa parlarsi di innovazioni sta nell'essere gli interventi diretti "al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni". Nel verbale della delibera assunta in data 6/2/2021 al punto 1 dell'o. d. g si legge" L'assemblea chiede che le lavorazioni di pulizia e sgombero del giardino siano completate entro la fine di febbraio. L'Amministrazione spiega le problematiche che si sono verificate a seguito del blocco della fognatura civica. Detta problematica oltre ai problemi di fruibilità degli appartamenti a piano terra ha creato lo spargimento di liquami nella parte di giardino antistante gli appartamenti (...) e (...). Pertanto, si rende necessario la realizzazione del tratto di marciapiede sulla parte a perimetro del fabbricato, con la messa in opera dei nuovi chiusini del pozzo perdente e della stazione di sollevamento essendo gli attuali in pessimo stato. La stazione di sollevamento ripristinata verrà mantenuta come bypass in caso di blocco della rete civica. Si prevede inoltre di regimare le acque bianche del pluviale d'angolo proveniente dal tetto e convogliarlo nel pozzo perdente inserendo una griglia caditoia per drenare l'acqua. Dopo ampia discussione si delibera di dividere le spese di regimazione del pluviale, di realizzazione della griglia caditoia, fornitura e posa chiusini e di ripristino della stazione di sollevamento a carico di tutti pro quota millesimale. In merito alle opere di realizzazione del marciapiede si delibera che i condomini (...) i prenderanno carico delle spese di dette lavorazioni con la seguente ripartizione: 1/5 a carico (...) 1/5 a carico (...) 1/5 a carico (...)". Dal verbale della delibera assunta in data 14/4/2021 emerge, tra l'altro, che"...Inoltre a fronte dell'esecuzione degli interventi di sistemazione e ripristino del giardino condominiale, i condomini (...) propongono di rinunciare al diritto d'uso esclusivo della porzione di giardino posteriore ad essi attribuito con delibera con delibera assembleare del 9/10/2017 con facoltà di tutti i condomini di usufruire del giardino in ugual misura nei limiti di rispetto altrui, del buon senso e del decoro e con la compartecipazione da parte di tutti alle spese in proporzione dei rispettivi millesimi di proprietà. Detta proposta viene accolta e deliberata unanimemente da tutti i condomini. L'assemblea delibera altresì unanimemente che, a seguito delle sistemazioni che vedranno la definizione della parte del giardino tra cui la realizzazione di un marciapiede già esistente sugli altri tre lati e la creazione di spazi adibiti alla piantumazione di fiori e piante ornamentali, verranno riservate le porzioni di rispetto antistanti gli appartamenti (...) per poter permettere il godimento degli immobili con piccolo sfogo anche all'esterno. Alla luce di quanto sopra statuito l'amministrazione ripropone la votazione delle lavorazioni relative alla realizzazione dei marciapiedi posteriori di cui al preventivo (...). L'assemblea approva a maggioranza, contraria la signora (...) con la suddivisione a millesimi delle spese, chiedendo inoltre la realizzazione del camminamento piastrellato anche tra il cancello ed il portone principale". Nel caso di specie l'assemblea ha approvato la realizzazione di un marciapiedi nella parte del giardino comune dove mancava. Pertanto essendo tale opera chiaramente volta ad introdurre qualcosa di nuovo, modificando il giardino comune per un uso più comodo di quest'ultimo, configura una innovazione ex art 1120 c.c.. Tuttavia trattandosi di innovazione il numero di voti degli intervenuti avrebbe dovuto raggiungere almeno i due terzi del valore dell'edificio ossia 666,67 e non, come verificatosi, millesimi 525,79). L'eccezione attorea concernente il fatto che il prolungamento del marciapiedi sarebbe finalizzato a migliorare la sicurezza e la salubrità dell'edificio non appare adeguatamente provato. La delibera impugnata è di conseguenza illegittima per mancanza del quorum deliberativo. Dalla documentazione prodotta si evince che la attrice ha pagato la quota di sua spettanza dei lavori oggetto della delibera impugnata (si veda doc. 6 attrice). Dal verbale del procedimento di mediazione emerge l'assenza ingiustificata del (...) ( si veda doc. 5 attrice). Le spese seguono la soccombenza P.Q.M. - annulla la delibera dell'assemblea straordinaria del 14.04.2021 del (...) al punto n. 1 nella parte indicata dalla attrice nelle conclusioni; - condanna il (...) convenuto a restituire alla signora (...) a somma di Euro 3.516,00, oltre agli interessi maturati dalla data del pagamento al saldo; - condanna il (...) convenuto a rifondere all'attrice le spese legali che liquida in euro 3809,00 per onorari ed euro 237,00 per esborsi,oltre IVA,CPA e spese generali - condanna il (...) convenuto al pagamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio ex art. 8 comma 4 bis d.lgs. n. 28/2010. Così deciso in Genova il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI SESTA SEZIONE CIVILE in persona del giudice istruttore in funzione di giudice monocratico, dott. Francesco Cislaghi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 11214/2023 r.g.a.c., avente ad oggetto: proprietà, vertente Tra (...), (CF (...)), residente in R. M. n. 34, rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Ma., C.F. (...), nel cui studio in Napoli, via (...), ha eletto domicilio, p.e.c. (...) ATTORE E CONDOMINIO (...) o anche (...), in N., alla Via F. R. n. 34, codice fiscale: (...) in persona dell'Amministratore pro tempore Pa.Pi., avvocato, nato ad A. (C.) il (...) codice fiscale: (...), indirizzo pec: [email protected], autorizzato alla costituzione in giudizio con Delib. del 31 marzo 2023 - 01. verbale del 31.3.2023, rappresentato e difeso da se stesso e anche disgiuntamente dall'avv. An.Vi., codice fiscale: (...), numero di fax (...), indirizzo pec: (...), con studio in Napoli, al Viale Antonio Gramsci n. 18 e presso i quali elegge domicilio CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c. depositato in data 23/5/2023 (...), nella qualità di condomino del fabbricato in N. alla via F. R. n.34, conveniva in giudizio suddetto condominio al fine di ottenere la dichiarazione di nullità/annullamento della delibera condominiale del 10/2/2023, limitatamente al capo 3 dell'ordine del giorno, disciplinante la decisione di collocare una piccola rastrelliera per bici dietro l'ascensore; eccepiva preliminarmente l'annullabilità della delibera per genericità della medesima, in quanto mancante dell'indicazione dell'ingombro M. consentito alle biciclette, del numero di biciclette che vi possono entrare, dei limiti dello spazio occupabile, dell'eventuale turnazione tra i condomini; denunziava che le biciclette causavano l'imbrattamento delle pareti appena verniciate dell'androne, poichè le ruote delle biciclette, nel manovrare per entrare nello stretto vanno retro ascensore, urtavano inevitabilmente le pareti medesime, causando il degrado estetico dell'androne; eccepiva, altresì, la violazione dell'ultimo comma dell'art. 1120 c.c. perché trattavasi di innovazione lesiva del decoro dell'androne e introduttiva di un'area di deposito indiscriminato di biciclette ed altri veicoli assimilabili, in un punto estremamente visibile e posto proprio all'entrata dell'edificio. Esponeva altresì la ricorrenza di una fattispecie di una mutazione della destinazione di uso ex art. 1117-ter c.c. approvata senza la maggioranza e senza le formalità ivi prescritte. Si costituiva il condominio, che preliminarmente eccepiva che prima dell'instaurazione della mediazione le parti avevano perfezionato un accordo transattivo con lo scambio epistolare del 21/22 febbraio 2023, nel quale l'attore aveva dichiarato che non avrebbe impugnato la delibera ove il condominio avesse confermato l'interpretazione secondo la quale era autorizzato l'utilizzo dello spazio sul retro dell'ascensore solo per biciclette piccole non visibili dall'ingresso, missiva a cui faceva seguito l'adesione del condominio con pec in data 22.2.2023; sempre in via preliminare eccepiva la tardività dell'impugnazione; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda. Il Tribunale osserva. L'art. 1117 ter c.c., ex novo introdotto dalla L. di Riforma n. 2207 del 2012, afferma che per esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con il voto favorevole dei 4/5 dei condomini ed almeno 4/5 delle quote millesimali, può modificare le destinazioni d'uso delle parti comuni, purché non si arrechi pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o non si alteri il decoro architettonico e previa particolare procedura di convocazione dell'assemblea c.d. aggravata. La norma pone fortissimi dubbi interpretativi in ordine all'espressione "mutamento di destinazione d'uso"; essa rimanda alla normativa urbanistica, nella quale l'espressione si applica per rilevare l'utilizzazione degli immobili ai fini della pianificazione urbanistica del territorio con la creazione delle c.d. categorie catastali. Si dubita, tuttavia, che il Legislatore abbia voluto riferirsi al profilo urbanistico, per cui tale espressione è stata utilizzata in senso atecnico, così riferendosi al mero mutamento della funzione/uso del bene. Si ritiene di poter escludere, poiché già la Giurisprudenza le aveva escluse e distinte dalle innovazioni in generale, tutte le modifiche di destinazioni che non siano sostanziali e radicali e che comportano un uso sì diverso del bene comune ma comunque compatibile con quello originario Inoltre, "In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico - giuridico, vietata ai sensi dell'art.1120 cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto" (Corte di Cassazione, Sezione 2, Sentenza n. 15460 del 05/11/2002); "In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ." (Corte di Cassazione, Sezione 2, Sentenza n. 240 del 11/01/1997); La Corte di Cassazione ha, altresì, stabilito che: "la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e alla qualità dell'incidenza della nuova opera, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. In coerenza con tali principi, nel caso di specie, il modesto restringimento del viale di accesso, destinato al solo passaggio a piedi, è stato giustamente escluso dalla Corte d'appello dal novero delle innovazioni vietate, dato che esso non integra un'alterazione sostanziale della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rende inservibile o scarsamente utilizzabile solamente per uno o più condomini, ma si limita a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale nei confronti di tutti coloro che la utilizzano, lasciandone immutata la destinazione originaria. Con riferimento al caso di specie, in assenza nel Condominio de quo di una norma regolamentare che esplicitamente contempli o vieti un determinato uso per il bene comune, deve ritenersi che l'opera approvata nella delibera de qua non presenti le criticità denunziate da parte ricorrente sotto il profilo della violazione degli artt. 1117 ter o 1120 c.c. Invero, dall'esame dei rilievi fotografici prodotti dalle parti emerge una conformazione morfologica del bene comune che si presta alla destinazione di una parte limitata di esso al ricovero di biciclette in apposita rastrelliera. Infatti, l'androne condominiale, a seguito di una simile opera, non perderebbe la sua funzione di consentire l'accesso alle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva e di dare aria e luce. Inoltre, risulta significativo il dato della non contestazione della circostanza di fatto introdotta dal condominio relativa all'attuale utilizzo della piccola area interessata dalla rastrelliera come zona di ricovero di attrezzi funzionali alla balneazione. Né può dirsi che la rastrelliera comporterebbe un intervento modificativo eseguito sulle parti comuni di un edificio o su impianti o cose comuni che ne alteri l'entità materiale operandone la trasformazione, ovvero ne modifichi la destinazione di fatto, nel senso che detti beni, a seguito delle opere eseguite su di essi, presentino caratteristiche oggettive, abbiano una consistenza materiale o comunque siano utilizzati per fini diversi da quelli precedenti all'intervento, di guisa che le opere predette precludono la concreta utilizzazione della cosa comune in modo conforme alla sua naturale e precedente fruibilità, trattandosi invero di un'opera di limitate dimensioni e inerente uno spazio ben circoscritto e retrostante il vano ascensore (il che esclude anche una reale lesione del decoro del fabbricato). A ben vedere la delibera, essendo destinata non a consentire l'alterazione della consistenza materiale dell'androne o a destinare il medesimo a fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere, è tesa a una limitata modifica rispondente allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, ricorrendo quindi la fattispecie disciplinata dall'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ. Peraltro, l'apposizione di una rastrelliera, dettando ordine sul ricovero delle biciclette, sarebbe anche funzionale all'esigenza di evitare l'imbrattamento delle pareti, pure evidenziata dall'attore. Infine, la denunziata doglianza di genericità della delibera risulta superata dalla successiva Delib. del 3 novembre 2023, la quale, pur non determinando la cessazione della materia del contendere, ha precisato la volontà condominiale di limitare il ricovero alle sole bicilette per bambini e a delimitare lo spazio occupato al confine del vano ascensore. Pertanto, la Delib. del 23 febbraio 2023 è legittima, assorbita ogni altra questione sollevata dalla parte convenuta per il criterio della ragione più liquida. Le spese di lite seguono la soccombenza, tenuto conto del valore indeterminato della lite e della limitata attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale: a) Rigetta la domanda; b) Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte resistente, che liquida in Euro 3809,00, oltre rimborso spese forfettarie, cpa ed iva come per legge, con attribuzione ai procuratori antistatari. Così deciso in Napoli il 29 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8351 del 2017, proposto dal Condominio di via (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da Ga. Al. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Lu. Ra. Pe. e Al. Ro., con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via (...); contro Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Co., An. Ma., Al. Mo. Am., An. Ma. Pa., Ma. Lo. Bo., El. Ma. Fe. e Gi. Le., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo, sito in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 01319/2017, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2023 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso di primo grado, è stato impugnato il permesso di costruire n. 2/2016, rilasciato dal Comune di Milano ai sig.ri Ga. Al. ed altri, nella parte in cui assoggetta l'intervento in questione (ricostruzione di porzione di edificio condominiale distrutta da un incendio nel 2014) al pagamento del contributo di costruzione pari ad Euro 58.514,02 (di cui Euro 25.800,43 a titolo di oneri di urbanizzazione ed Euro 32.713,59 a titolo di costo di costruzione). I ricorrenti in primo grado, hanno dedotto la parziale illegittimità del provvedimento per violazione di legge, in quanto l'intervento in questione non comporta nessun aumento del carico urbanistico, né alcun incremento patrimoniale, nonché il conseguente vizio di difetto di motivazione sul punto. Il TAR ha rigettato il ricorso richiamando la legge regionale (L.R. 12/2005, art. 43, comma 1) che assoggetta al pagamento del contributo di costruzione gli interventi di ristrutturazione edilizia, come è quello di specie, con conseguente esonero per il giudice da ogni valutazione circa l'aumento o meno di carico urbanistico o di incremento patrimoniale e da ogni specifica motivazione sul punto da parte dell'amministrazione. Inoltre, ha aggiunto che l'incendio non rientra tra le cause di forza maggiore previste dalla legge (art. 17, comma 3, lett. d), d.p.r. 380/2001) per l'esonero dal pagamento del contributo di costruzione. Con ricorso in appello, è stata impugnata la sentenza di primo grado, ribadendo che la ristrutturazione in esame non modifica in alcun modo lo stato dei luoghi esistente prima dell'incendio, non aumenta il volume, il carico urbanistico e nemmeno la sagoma dell'edificio e che i relativi oneri di costruzione erano già stati pagati in precedenza. Con apposita memoria, si è costituita l'amministrazione resistente, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. All'odierna udienza pubblica, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 1. - Innanzitutto, in punto di fatto, deve ritenersi pacifico e non contestato tra le parti che l'intervento in questione consiste nella ristrutturazione edilizia di una porzione di edificio condominiale mediante la ricostruzione della parte distrutta da un incendio nel 2014. La stessa sentenza impugnata, peraltro, evidenzia come siano le stesse parti del giudizio a qualificare tale intervento come di ristrutturazione edilizia (punto 10 della sentenza). Allo stesso modo, è pacifico che il suddetto intervento ricostruttivo non comporti alcuna modifica della sagoma, della superficie esistente ed autorizzata, dei volumi o della destinazione d'uso. Ciò posto, la questione giuridica che si pone è quella di stabilire se, a fronte di un intervento di ristrutturazione edilizia come quello appena descritto sia dovuto o meno il contributo di costruzione. A tale quesito, occorre dare una risposta negativa, alla luce del precedente di questa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567), reso su caso identico a quello oggetto del presente giudizio, anche in relazione alla medesima legge regionale (Lombardia) applicabile, a cui occorre dare continuità, anche ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), non essendovi motivo per discostarvisi. 2. - L'art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all'art. 17, co. 3, "il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione". Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di costruzione al rilascio del permesso di costruire. Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per gli "interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio", espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett. b) e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c), con modifiche di sagoma, prospetti o volumetria, a seconda dei casi. Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge "quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività ". In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" e, in primo luogo, qualifica come tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico. In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico - edilizio, o anche su uno solo dei due (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567, cit.). Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l'art. 10, co. 1, lett. c) - nel testo vigente al momento del rilascio del titolo edilizio n. 2/2016 (ossia dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 133 del 2014, ma prima di quelle introdotte con d.l. n. 76 del 2020, d.l. n. 17 del 2022 e d.l. n. 50 del 2022) - prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che "portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni". Al contempo, l'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempre nella versione vigente ratione temporis, definisce gli "interventi di ristrutturazione edilizia" (comma 1, lett. d) quegli "interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente". Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni che qui si intendono completamente riportate (v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443, e giurisprudenza ivi richiamata), come, pur nella successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione edilizia, quest'ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato, dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d); dall'altro, le specifiche "species" del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire (art. 10, co. 1, lett. c). In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli specificamente indicati dall'art. 10, co. 1, lett. c) e, per quel che interessa nella presente sede, quelli che "portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti", posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di destinazione d'uso di immobili in zona A e interventi che modificano la sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004), non interessano il caso di specie. Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell'organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d'altra parte, l'intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567, cit.). Nelle ipotesi, invece, di "ristrutturazione ricostruttiva" (come definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1763; 9 maggio 2014 n. 2384; 6 luglio 2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell'art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione. Infine, giova osservare che, del tutto coerentemente, il legislatore, all'art. 22, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (come sostituito dal d.lgs. n. 222 del 2016), prevede, tra gli interventi sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso di costruire, fermo restando la possibilità per l'interessato (comma 7) di richiedere comunque il permesso di costruire "senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'art. 16" (con esclusione dei casi in cui, ai sensi dell'art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di costruire). Tali conclusioni non contrastano con quanto previsto, per la Regione Lombardia, dall'art. 44, L.R. 11 marzo 2005, n. 12, posto che, nel definire le modalità di determinazione degli oneri di urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia, tale disposizione non impone una generalizzata onerosità dell'intervento, come si evince dall'inciso "se dovuti", riferito agli oneri e più volte ripetuto (v. commi 8, 10, 10-bis). 3. - Pertanto, alla luce di tale impostazione, non può condividersi l'assunto del primo giudice, posto a fondamento del rigetto e oggetto di specifica censura in appello, secondo cui "l'obbligo di versamento del contributo di costruzione discende dalla piana applicazione della vigente normativa" (punto 14 della sentenza impugnata), rappresentata, nella specie, dall'art. 43, comma 1, L.R. 11 marzo 2005, n. 12 (Lombardia). Tale normativa, infatti, non assoggetta in modo generalizzato al contributo di costruzione ogni intervento di ristrutturazione edilizia, ma si limita a prevede l'obbligo del relativo versamento "se dovuto", con la conseguenza di dover ritenere che, nelle fattispecie come quella in esame, non essendo necessario il rilascio del permesso di costruire, mancano i presupposti per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione. Del resto la peculiarità della fattispecie è data anche dalla circostanza che trattasi di mera ricostruzione di un bene per il quale il contributo di costruzione è stato già assolto in precedenza, all'origine. In conclusione, quindi, l'appello deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento parziale del permesso di costruire n. 2/2016, nella parte in cui assoggetta l'intervento al pagamento del contributo di costruzione. 4. - La richiamata peculiarità della fattispecie giustifica la complessiva compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione, e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla parzialmente il permesso di costruire n. 2/2016, limitatamente alla parte in cui assoggetta l'intervento al pagamento del contributo di costruzione. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9885 del 2019, proposto dal signor Co. Pa. Ca., rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (...); contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti la signora Ro. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Al. Pl. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce Sezione Seconda n. 1401/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora Ro. Ca. e del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 novembre 2023 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Fr. Ba., Da. Ia. e Gi. Mi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il signor Co. Pa. Ca. propone appello, contro il Comune di (omissis) e nei confronti della signora Ro. Ca., per la riforma della sentenza del TAR della Puglia - Lecce, Sez. II, n. 1401/2019, pubblicata mediante deposito il 5.8.2019 e notificata a mezzo p.e.c. il 7.9.2019. 2 - Con tale sentenza il TAR ha respinto il ricorso di primo grado (RG n. 364/2018) proposto dal signor Co. Pa. Ca. per l'annullamento del provvedimento prot. n. 1357 del 29 gennaio 2018, notificato il successivo 2 febbraio, con il quale il Responsabile dell'Ufficio Tecnico del Settore dell'Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di (omissis) ha comunicato il diniego definitivo in ordine alla "Segnalazione Certificata di Inizio Attività per la ristrutturazione edilizia del fabbricato ubicato in (omissis) alla Via (omissis) ang. Via (omissis), censito in catasto al F. (omissis) p.lla (omissis)", in riferimento alla pratica edilizia n. 642 del 19/01/2017, nella parte in cui ha statuito che "la demolizione della scala esistente, in assenza del consenso della comproprietaria sig.ra Ca. Ro., non può avvenire"; nonché per l'annullamento del provvedimento prot. n. 7211 del 20.06.2017, notificato il successivo 23 giugno, con il quale sempre il Responsabile dell'Ufficio Tecnico di (omissis) ha comunicato il preavviso di diniego ex art. 10-bis, Legge n. 241/1990, della "Segnalazione Certificata di Inizio Attività per la ristrutturazione edilizia del fabbricato ubicato in (omissis) alla Via (omissis) ang. Via (omissis), censito in catasto al F. (omissis) p.lla (omissis)", in riferimento alla pratica edilizia n. 642 del 19/01/2017; nonché, infine, per l'annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, comunque lesivo per il ricorrente, ancorché dal medesimo non conosciuto e, ove occorra, del provvedimento prot. n. 1794 del 15.02.2017, comunicato il 16 febbraio 2017, con il quale il Segretario Generale dell'Ufficio Tecnico del Settore dell'Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di (omissis) ha disposto il divieto di prosecuzione dell'attività di cui alla S.C.I.A. prot. n. 642 del 19/1/2017 per il mancato rilascio del condono edilizio con sanatoria. 3 - L'odierna controversia si colloca nell'ambito di un vasto e articolato contenzioso svoltosi fra le parti in sede civile, avente ad oggetto l'accertamento della titolarità delle parti comuni del fabbricato in questione, derivante dalla demolizione e ricostruzione del vecchio fabbricato di proprietà del di loro padre, signor Ca. Gi., poi donato ai figli in parti diverse con distinti atti di donazione. Entrambi gli immobili, costituenti le due ali di un unico edificio, sono infatti serviti da un'unica scala di accesso al piano superiore, edificata dall'appellante a proprie spese in prossimità del linea di confine fra le due proprietà, come da licenza edilizia del 23 marzo 1971 rilasciata in suo favore, ma utilizzata indebitamente - sostiene l'appellante - anche dalla sorella, essendo la medesima collocata in un androne centrale che divide le due parti di proprietà esclusiva dell'immobile e al cui interno scorre la linea di confine fra le due proprietà . 4 - In particolare, il Tribunale civile di Taranto con sentenza n. 48/1994 individuava una linea di confine che attraversava il vano scala, così come riportato in planimetria dal consulente tecnico d'ufficio, essendo risultato il vano scale per circa due terzi e un terzo diviso fra le due proprietà (più precisamente, per due terzi in capo all'odierno appellante, e per un terzo in capo all'odierna appellata). Avverso la suddetta sentenza proponeva appello la signora Ro. Ca., appello che però veniva respinto con sentenza n. 82/1996, "dal momento che è risultato che tali manufatti (scala, caldaia termica, pozzo nero e rete idrica) pur insistendo su terreno che solo per due terzi è di proprietà esclusiva dell'appellato e per il rimanente 1/3 di proprietà esclusiva dell'appellante, furono costruiti e realizzati dal primo, su terreno in parte di competenza della sorella. Questo comporta la necessità di una ulteriore e diversa regolamentazione dei reciproci rapporti di proprietà ed uso dei servizi in questione, sulla base di accertamenti che muovano le mosse dai dati stabiliti in questa sede". All'esito di altro contenzioso, il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 2174/2001, condannava la signora Ro. Ca. "a rimuovere le condotte che allacciano la sua abitazione al pozzo nero, alla rete idrica ed all'impianto termico di proprietà dell'attore", tuttavia affermando come non potesse essere accolta la domanda del signor Ca. Co. "con riferimento al divieto alla Ca. Ro. di servirsi del vano scala e del vano nel quale l'attore ha ubicato la caldaia termica, atteso che detti vani insistono ciascuno per un terzo su suolo di proprietà della convenuta e non è intervenuto alcun ordine dell'autorità giudiziaria, che, a termini dell'art. 938 c.c., ne abbia assegnato la proprietà esclusiva a Ca. Co.". Il signor Co. Ca. adiva quindi il Tribunale di Taranto al fine di vedersi attribuire, ai sensi dell'art. 938 c.c., la proprietà della porzione di suolo di 1/3, appartenente a Ro. Ca., ma il Tribunale, con sentenza n. 94/2007, confermata, in parte qua, dalla Corte d'Appello con sentenza n. 290/2011, rigettava la suddetta domanda, e alla luce di nuove risultanze peritali (con sentenza n. 615/2017) statuiva che "per quanto attiene la richiesta di apposizione di termini che delimitano la proprietà del vano scala, la si ritiene irrealizzabile perché impedirebbe alla convenuta l'utilizzo della scala stessa e, di conseguenza, l'accesso alla propria abitazione". 5 - Il Signor Carro presentava dunque al Comune di (omissis) una S.C.I.A. "per la ristrutturazione edilizia del fabbricato ubicato in (omissis) alla via (omissis) ang. Via (omissis)", avente ad oggetto la demolizione della citata scala comune. Il Comune di (omissis), ex art. 10-bis L. n. 241/1990, preannunciava all'istante i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, consistenti nel fatto che, sulla scorta della sentenza del Tribunale di Taranto n. 2174/2001 - che aveva consentito alla signora Ro. Ca., quale comproprietaria, l'uso del vano scala e della sala termica - non sarebbe stato possibile demolire la scala esistente in assenza del consenso del comproprietario. Alla predetta comunicazione è poi seguita l'emanazione del diniego definitivo recato dalla nota prot. n. 1357 del 29 gennaio 2018, qui impugnato unitamente a tutti gli atti presupposti. 6 - Il T.A.R. per la Puglia, sede di Lecce, ha respinto detto ricorso. 7 - Avverso tale pronuncia propone appello il signor Co. Ca., affidando il ricorso ai seguenti motivi: I) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. e dei principi generali in tema di giudicato. Violazione delle sentenze n. 48/1994 del Tribunale di Taranto e n. 82/1996 della Corte d'Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto. Erronea interpretazione della sentenza n. 2174 del 02/07/2001 del Tribunale di Taranto. Eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento". II) "Error in iudicando. Violazione del giudicato sotto altro concorrente profilo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 952 c.c. e seguenti codice civile. Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere". III) "Error in iudicando Violazione e falsa applicazione degli artt. 1110 c.c., 1101 c.c., 1108 c.c. e 1117 c.c.". IV) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 - bis della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. Violazione dei principi generali di buona amministrazione, correttezza e trasparenza dell'azione amministrativa". 8 - Il Comune si è costituito in giudizio mediante memoria formale, mentre la signora Ro. Ca. ha prodotto memorie e documenti, con cui ha preliminarmente sollevato eccezione di inammissibilità dei documenti depositati da parte appellante in data 29.9.2023, in violazione, si deduce, del divieto di nova in appello di cui all'art. 104 c.p.a., e comunque instando nel merito per la reiezione del gravame. 9 - Per ragioni di chiarezza espositiva, vengono qui di seguito illustrate le doglianze lamentate dall'appellante e le relative controdeduzioni addotte dalla resistente, in modo da consentire un quadro dialettico delle contrapposte prospettazioni di parte. In particolare, con il primo motivo di appello, si lamenta l'illegittimità della sentenza impugnata in quanto adottata in violazione del giudicato di cui alle sentenze n. 48/1994 del Tribunale di Taranto e n. 82/1996 della Corte d'Appello di Lecce, sezione staccata di Taranto, giudicato dal quale emergerebbe la sussistenza di un esclusivo diritto di proprietà dell'appellante sulla scala in esame, in quanto dal medesimo costruita a proprie spese, avendo il giudice anche escluso la configurabilità di una servitù di uso della scala a carico dell'immobile di proprietà dell'appellante. Secondo la resistente tale motivo di appello è infondato atteso che, contrariamente a quanto sostenuto, dalle suddette sentenze non sarebbe possibile evincere alcun elemento che attribuisca all'appellante il diritto di proprietà esclusivo del manufatto in oggetto, in quanto collocato in un locale del fabbricato (il vano scale) rientrante per due terzi nella proprietà dell'appellante e per un terzo nella proprietà della resistente lungo una linea di confine che taglia trasversalmente il locale e il manufatto in esso infisso. Con il secondo motivo di appello l'appellante censura il capo della sentenza che ha accertato "l'insussistenza di qualsivoglia titolo atto ad attribuire in capo al ricorrente il diritto di superficie sulla scala oggetto di causa" in quanto il giudice civile avrebbe "statuito con efficacia di giudicato la proprietà esclusiva della scala in capo all'attore - pur riconoscendo la comproprietà del terreno sul quale insiste la medesima opera pertinenziale". Circostanza questa che implicherebbe incontrovertibilmente la costituzione della proprietà superficiaria della scala in esame in capo al medesimo appellante. Secondo la resistente anche tale motivo è infondato, in quanto le pronunce invocate non avrebbero mai attribuito la proprietà esclusiva della scala all'odierno appellante, né avrebbero mai scisso la proprietà del suolo dalla proprietà del manufatto. Del tutto improprio, dunque, sarebbe il richiamo ad una "proprietà superficiaria" che, peraltro, sarebbe potuta sorgere soltanto convenzionalmente con atto pubblico soggetto a trascrizione, o mediante usucapione del diritto. Con il terzo motivo di appello si contestano poi le statuizioni della sentenza che presuppongono la sussistenza di una comproprietà del bene, stante l'inapplicabilità, in relazione alle specifiche caratteristiche della fattispecie in esame, sia dell'istituto dell'accessione ex art. 934 c.c., sia delle regole del condominio ex art. 1117 c.c.. Inoltre, si deduce che, quand'anche si volesse ipotizzare una condizione di contitolarità del bene, facendo quindi ricorso all'istituto della comunione, l'appellante avrebbe ugualmente avuto il diritto di eseguire la demolizione della scala senza il consenso della presunta comproprietaria in virtù di quanto stabilito dall'art. 1108 c.c., atteso che i 2/3 del valore complessivo del vano scala gli appartengono. Al riguardo, la resistente controbatte che il diniego del Comune risulta fondato anche su un profilo funzionale del bene, di modo che le censure in esame, essendo riferite solo al profilo proprietario, sarebbero non dirimenti, fermo restando che ai sensi dell'art. 1108 c.c., ai fini dell'esecuzione delle innovazioni sulla cosa condominiale, occorre una deliberazione assunta con maggioranza qualificata ("maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune"), non bastando la semplice maggioranza delle quote, e che il vano scale in oggetto costituisce l'unica via di accesso all'unità immobiliare della parte appellata, di modo che la proposta demolizione del manufatto le arrecherebbe un grave pregiudizio in chiara violazione del medesimo art. 1108 c.c., che vieta di compiere atti innovativi ovvero atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, qualora gli stessi rechino grave pregiudizio ad uno dei partecipanti. Con il quarto ed ultimo motivo si deduce che il TAR non ha adeguatamente valutato il mancato esame, da parte del Comune, delle osservazioni fornite dall'istante ex art. 10-bis. La resistente evidenzia, al contrario, che il Comune ha esaminato e ritenuto non pertinenti le osservazioni formulate in quanto, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il vano scala era di uso comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, essendo necessario il loro consenso. Non sussiste in capo all'Amministrazione, in ogni caso, l'obbligo di fornire in motivazione una puntuale confutazione analitica delle osservazioni formulate dall'istante. 10 - All'udienza straordinaria del 10 novembre 2023, la causa è stata discussa dalle parti e il Collegio l'ha trattenuta in decisione. 11 - Va preliminarmente assorbito l'esame dell'eccezione preliminare di inammissibilità delle produzioni documentali effettuate dalla parte appellante soltanto nel presente grado, potendosi dalle stesse prescindersi ai fini della decisione della causa, già matura per essere decisa alla luce dei documenti e degli atti processuali già versati al giudizio. 12 - Nel merito, l'appello è infondato. Alla stregua della pregressa ricostruzione in fatto e in diritto della questione controversa, non risulta acclarata con certezza la condizione giuridica, sia quanto al diritto di proprietà, sia quanto al diritto d'uso, dei beni oggetto della contesa civilistica fra le parti private in giudizio, "dal momento che è risultato che tali manufatti (scala, caldaia termica, pozzo nero e rete idrica) pur insistendo su terreno che solo per due terzi è di proprietà esclusiva dell'appellato" (n. d.r. odierno appellante) "e per il rimanente 1/3 di proprietà esclusiva dell'appellante" (n. d.r. odierna resistente) "furono costruiti e realizzati dal primo, su terreno in parte di competenza della sorella" (così la sentenza del Tribunale civile di Taranto n. 48/1994, come confermata in appello con sentenza n. 82/1996). Secondo il giudice civile, pertanto, "Questo comporta la necessità di una ulteriore e diversa regolamentazione dei reciproci rapporti di proprietà ed uso dei servizi in questione, sulla base di accertamenti che muovano le mosse dai dati stabiliti in questa sede". Ancora il giudice civile (sentenza n. 2174/2001), pronunciandosi sulla domanda del signor Co. Ca. volta ad ottenere la condanna della signora Ro. Ca. "alla eliminazione delle condotte che allacciavano il suo immobile al pozzo nero ed alla rete idrica di sua proprietà, a desistere dall'uso del vano delle scale e di quello dove era ubicata la caldaia, siti per due terzi sulla sua proprietà, nonché all'uso della caldaia per il suo impianto di riscaldamento", ha accolto la domanda limitatamente alle opere ricadenti nella sua esclusiva proprietà e, cioè, alle "condotte che allacciano la sua abitazione (di Ca. Ro.) al pozzo nero, alla rete idrica ed all'impianto termico di proprietà dell'attore". La domanda è stata invece respinta "con riferimento al divieto alla Ca. Ro. di servirsi del vano scala e del vano nel quale l'attore ha ubicato la caldaia termica, atteso che detti vani insistono ciascuno per un terzo su suolo di proprietà della convenuta e non è intervenuto alcun ordine dell'autorità giudiziaria, che, a termini dell'art. 938 c.c., ne abbia assegnato la proprietà esclusiva a Ca. Co.. Ciò in conformità a quanto già affermato dalla Corte d'Appello nella cennata sentenza, nella quale è stata ritenuta la necessità di una ulteriore e diversa regolamentazione dei reciproci rapporti di proprietà ". Deve pertanto ritenersi che, proprio sulla base dei succitati giudicati civili, per un verso non possa essere inibito, allo stato, l'utilizzo da parte della odierna appellata dell'uso del vano scala, mentre, per un altro verso, non possa essere riconosciuto in capo all'appellante l'uso esclusivo del suddetto vano. La vicenda risulta, peraltro, ancora in attesa di una definizione in sede civile, dal momento che la asserita proprietà superficiaria che l'odierno appellante sostiene di vantare sulla scala, separata rispetto alla proprietà del suolo sul quale la scala medesima insiste, non è attualmente oggetto di riconoscimento in via convenzionale da parte della signora Ro. Ca., che anzi fermamente la contesta, né risulta essere stata usucapita dall'odierno appellante. Alla luce delle suddette evidenze documentali, pertanto, il Collegio non può non rilevare la legittimità dell'operato del Comune di (omissis) nella parte in cui ha inibito la realizzazione dei lavori di demolizione integrale della scala riferiti alla S.C.I.A. presentata dall'odierno appellante. In disparte, infatti, il profilo civilistico concernente i rapporti giuridici riferiti al bene, ciò che rileva ai fini della valutazione della dedotta illegittimità dell'esercizio del potere da parte dell'Amministrazione comunale, è la sussistenza delle condizioni affinché la competenza amministrativa, attribuita per finalità di interesse pubblico generale al fine di garantire un ordinato sviluppo edilizio del territorio sotto il profilo urbanistico, ambientale, sanitario e di pubblica incolumità, sia esercitata. Sotto questo profilo, è decisivo rilevare come, in una situazione di fatto caratterizzata, all'attualità, da una situazione di comproprietà del suolo e di compossesso del vano scala, in cui la scala è posta a servizio di entrambe le proprietà, l'Amministrazione comunale di (omissis) ha ritenuto del tutto legittimamente non sussistere le condizioni per l'esercizio del diritto edificatorio in via esclusiva in capo all'odierno appellante, essendo acclarata l'esistenza del concorrente diritto dell'odierna intimata a servirsi della scala per l'accesso alla propria abitazione. Va a questo proposito ricordato ancora una volta l'accertamento contenuto nella sentenza civile n. 615/2017, che ha ritenuto "irrealizzabile" la richiesta dell'odierno appellante di delimitare le parti di proprietà del vano scala, perché impedirebbe alla convenuta l'utilizzo della scala stessa e, di conseguenza, l'accesso alla propria abitazione". Tale considerazione, pertanto, non potrebbe non valere a maggior ragione per il caso all'esame, in cui il programma edilizio dell'appellante consiste nel volere demolire integralmente la scala. 13 - Alla stregua delle suddette considerazioni, deve quindi concludersi nel senso della correttezza del ragionamento seguito dal TAR, nella parte in cui ha ritenuto la ragionevolezza, e quindi la legittimità, di un intervento pubblico interdittivo, volto cioè ad evitare un'attività di ristrutturazione edilizia che, in assenza di diversi accordi fra le parti interessate o di ulteriori integrazioni progettuali, appare suscettibile di pregiudicare l'utilizzabilità, in condizioni di sicurezza, di un bene immobile regolarmente adibito a civile abitazione. In assenza del predetto consenso del comproprietario del fondo sul quale l'opera insiste, infatti, il diniego di rilascio del titolo abilitativo da parte della P.A. concretizza nella sostanza un atto dovuto, non potendo l'atto amministrativo ledere i diritti dei terzi. 14 - Valuteranno le parti come affrontare e risolvere, sul piano civilistico, i reciproci rapporti di comproprietà e compossesso, secondo i rimedi apprestati dall'ordinamento. 15 - In conclusione, l'appello deve essere respinto, salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune in caso di nuova domanda corredata da intese fra le parti e da soluzioni progettuali tali da consentire di superare i descritti profili ostativi. 16 - La singolarità della fattispecie contenziosa consente, infine, di compensare fra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione. Compensa integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Daniela Di Carlo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere Brunella Bruno - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Milano TREDICESIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Dott. Pietro Paolo Pisani ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 14059/2022 R.G. promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) presso il difensore avv. (...) ATTORE contro (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in (...) presso il difensore avv. (...) (...) CONVENUTO - OGGETTO: impugnativa di delibera assembleare ex art. 1137, II comma c.c. - uso beni comuni e privati. - CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di causa del Data_3 ed in formato digitale depositate nel fascicolo telematico. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 58 co. 2 L. 69/2009 e art. 132 c.p.c. novellato Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, attesa la modificazione dell'art.132 n. 4 c.p.c. con la legge 69/2009, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente controversia prende origine dalla impugnativa della delibera assembleare del (...) del (...), convenuto, per la sua asserita nullità e/o annullabilità con riferimento al punto 6 del suo Odg., nella parte in cui nega l'autorizzazione all'attore di procedere all'installazione per motivi di sicurezza di grate sulle finestre dell'appartamento di sua proprietà poste sul lato strada al piano rialzato e prospicienti (...). Si costituiva il (...) convenuto contestando tutte le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto delle domande avversarie. All'esito della prima udienza venivano assegnati i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, depositate le memorie, all'esito venivano rigettate tutte le istanze istruttorie formulate in atti dalle parti e la causa, quindi, veniva rinviata per comparizione delle parti ed il tentativo di conciliazione. Svolto infruttuosamente l'incombente, la causa veniva rinviata quindi per la precisazione delle conclusioni ed all'esito della stessa, veniva poi rinviata ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c.. Oggi, all'esito della discussione orale, la causa viene decisa con lettura in udienza del dispositivo e di sintetica motivazione della presente sentenza ai sensi dell'art.281 sexies c.p.c.. Nel merito, va rilevato che parte attrice, a sostegno delle sue domande, ha allegato e provato, con copiosa documentazione anche fotografica, le seguenti circostanze: - è proprietario dell'appartamento posto al piano rialzato dello stabile del (...) convenuto in giudizio che ha due finestre prospicienti (...); - aveva sottoposto all'amministratore del (...) convenuto il progetto, con stato di fatto, prospetto e sezione, delle inferriate che aveva intenzione di installare sulle due finestre poste sul (...), ai fini della sicurezza degli occupanti l'appartamento di sua proprietà, rendendosi comunque, all'occorrenza, disponibile a concordare le forme più idonee delle inferriate stesse che l'assemblea avesse ritenuto opportune; - l'assemblea condominiale ordinaria del (...) veniva convocata per discutere e deliberare, tra gli altri, anche del seguente punto all'ordine del giorno: "6) La proprietà (...) chiede l'autorizzazione all'installazione di grate su finestre lato strada piano rialzato per motivi di sicurezza. Allegato disegno."; - l'assemblea negava l'autorizzazione richiesta. L'attore ha conseguentemente lamentato che: non aveva necessità di alcuna autorizzazione assembleare; inoltre che le inferriate oggetto di causa erano necessarie per la sicurezza degli occupanti dell'appartamento di sua proprietà; nonché, in ogni caso, che le stesse inferriate non avrebbero comportato una alterazione del decoro architettonico del fabbricato condominiale. Di contro il (...) convenuto ha eccepito che: - andava effettuata una valutazione comparativa degli opposti interessi costituiti dalla sicurezza del condomino, da un lato, e dalla compromissione del decoro architettonico, dall'altro; - il regolamento del condominio di (...) ai suoi articoli 4, lettera e) e 7 poneva una serie di limiti all'utilizzo delle cose comuni e alla loro modifica; - il diniego espresso dall'assemblea condominiale era motivato dalla temuta compromissione dell'estetica del fabbricato ovvero dall'alterazione della sua simmetria esteriore. Ha replicato l'attore sostenendo che: con l'installazione delle grate non sarebbe intervenuta alcuna lesione del decoro del fabbricato condominiale; le disposizioni regolamentari richiamate dal (...) a sostegno della legittimità della delibera impugnata sarebbero inapplicabili ai profili esterni delle finestre. E' principio fermo che il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere dell'assemblea di condominio edilizio non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che si estende anche al riguardo dell'eccesso di potere, ravvisabile quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo d'essere. Ma, anche in tale evenienza, il giudice non controlla l'opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea (Cass. civ., Sez. II, (...), n. 10199; Cass. civ., Sez. II, (...), n. 14560; Cass. civ., Sez. II, (...), n. 3938; Cass. n. 731 del (...)). Ciò posto, nel merito delle doglianze dell'attore, va osservato quanto segue. In punto di diritto, nel caso in esame, vengono in rilievo le due differenti discipline dettate dagli articoli 1102 e 1120 c.c.. La Corte di Cassazione, anche da ultimo (Cassazione, sentenza 25790 del (...)), posto che il Codice civile stabilisce diverse limitazioni alle modifiche ed all'uso delle parti comuni, a seconda che vengono apportate dai singoli o deliberate dai partecipanti riuniti in assemblea, ha evidenziato che "l'art. 1102 c.c. e l'art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all'art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l'art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, (...), n. 18052)". Per quanto riguarda poi la disciplina dell'articolo 1102 c.c. va osservato che tale norma è rivolta ad assicurare al singolo partecipante le maggiori possibilità di godimento della cosa comune condominiale e dunque lo legittima, - nel rispetto dei due limiti del divieto di mutarne la destinazione e di non impedire il pari godimento agli altri condomini secondo il loro diritto -, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità (Cfr.: Cassazione, sentenza 25790 del (...)). Detti principi vanno applicati alle opere di realizzazione delle inferriate oggetto di causa, che risultano quindi rientrare tra le modeste modificazioni previste dall'articolo 1102 cc, atteso che: - interesserebbero una estremamente limitata porzione della facciata condominiale e solo ai fini di un palese uso più comodo della stessa per l'utilità della proprietà privata del condomino attore; - il bene comune facciata condominiale manterrebbe comunque la sua funzione a servizio della collettività dei condomini pur dopo l'intervento oggetto di causa; - né è provato in atti che sarebbe impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto a seguito della realizzazione delle inferriate in esame o che queste ultime determinerebbero una lesione della stabilità o sicurezza del fabbricato. Parte convenuta, però, eccepisce anche la esistenza di una disciplina regolamentare contrattuale che sarebbe ostativa alla installazione delle dette inferriate. Il Regolamento di condominio, pacificamente applicabile tra le parti, stabilisce quanto segue: art.4 lett. e): "É vietato: ... occupare, anche temporaneamente, i locali e gli spazi sia di uso che di proprietà comune, con costruzioni provvisorie con oggetti mobili di qualsiasi specie, erigere costruzioni, casotti od altro, anche di carattere provvisorio e nemmeno in via precaria, sui poggioli, formarvi truogoli o tenere vasi di grande capacità, depositarvi materiali od altro che impedisca la libera visuale ed in genere eseguire opere che possono compromettere la stabilità o alterare l'estetica del fabbricato o comunque arrecare danni"; art.7 : "É vietato fare varianti all'immobile che possano alterare l'estetica o la simmetria esteriore e per ogni altra variazione sostanziale, anche all'interno che possa compromettere la struttura organica ovvero la solidità o stabilità del fabbricato, si dovrà ottenere l'approvazione dell'assemblea dei condomini che delibererà, sentito il parere dell'ingegnere tecnico da esso esaminato". Come è noto, le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale possono legittimamente apportare esclusioni o restrizioni alle facoltà che, ordinariamente, competono ai singoli partecipanti relativamente alle parti comuni (Cass. civ. Sez. II, Sent. (...), n. 2422), perché l'art 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile (Cass. civ. Sez. II Sent., (...), n. 2114). Ciò posto va ritenuto che l'art. 7 del regolamento non è applicabile al caso in esame atteso che, ad una agevole lettura dello stesso e attesa la tipologia delle opere espressamente richiamate e qualificate come "varianti" si riferisce alle opere di "trasformazione" previste dall'art.1120 c.c. quando regolamenta le innovazioni della cosa comune e non a quelle oggetto di causa, che integrano invece quelle modeste modificazioni della cosa comune per un uso più comodo della stessa previste dall'art. 1102 c.c., come sopra rilevato e ritenuto. Invece deve ritenersi applicabile al caso in esame l'art.4 lett. e) posto che, ad una sua semplice lettura, esso risulta riferirsi proprio a quelle modeste modificazioni previste dall'articolo 1102 cc e, tra l'altro, vieta tutte quelle che arrechino pregiudizio a "l'estetica del fabbricato". La Corte di cassazione ha costantemente ribadito (cfr. da ultimo Cass. II, Ord. (...), n. 18928) il seguente principio di diritto: "Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (Sez. 2, Sent. n. 10350 del 2011)". Ai fini della valutazione sul decoro della facciata dello stabile condominiale è del tutto irrilevante, e semmai fuorviante, ogni confronto con analoghe inferriate poste davanti a finestre di fabbricati diversi da quello condominiale, come richiede parte attrice, attesi i diversi e del tutto peculiari stili ed aspetti estetici che caratterizzano i vari fabbricati di (...), anche se limitrofi a quello del (...) convenuto. Invece dalla documentazione fotografica allegata in atti da entrambe le parti e relativa allo stabile condominiale emerge quanto segue: - la facciata condominiale sulla quale verrebbero installate le inferriate oggetto di causa è caratterizzata da una unitarietà di linee e di stile che la rendono un contesto armonico e omogeneo nelle sue linee architettoniche; - nella facciata condominiale oggetto di causa esistono già delle inferriate presenti su tutte le aperture sottostanti al piano dove sono poste le finestre dell'appartamento di parte attrice, lungo tutta la facciata condominiale, ma le stesse hanno forma e consistenza del tutto dissimili da quelle che l'attore si propone di realizzare, per quanto allegato in atti. Parte attrice eccepisce però che il decoro della facciata condominiale già sia stato leso in precedenza dalla presenza di tapparelle di diverse forme e colori ivi installate così da rendere irrilevante la eventuale lesione dello stesso decoro che deriverebbe dalla installazione delle proprie inferriate. Se è vero che al fine di valutare la sussistenza o meno della lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, in conseguenza di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenersi anche conto delle condizioni nelle quali versava l'edificio prima del contestato intervento, va però detto che non è possibile comparare la installazione delle inferriate di parte attrice aventi forma e consistenza del tutto dissimili da quelle già preesistenti sulla stessa facciata, con eventuali altri interventi modificativi di diverso e del tutto peculiare contenuto quali il colore delle tapparelle in discorso. Invece il confronto tra le diverse inferriate, quelle preesistenti e quelle da installarsi, rende evidente la alterazione della unitarietà di linee e di stile della facciata che il regolamento condominiale e la delibera impugnata intendono salvaguardare e che, di contro, si determinerebbe con la installazione di quelle proposte dall'attore. Neppure rileva che altre modifiche eventualmente intervenute sulla facciata siano state consentite o tollerate pur in contrasto con il regolamento condominiale, atteso che quest'ultimo potrà sempre, eventualmente, essere fatto valere nelle sedi competenti. Così da doversi rigettare la eccezione sul punto. Va ancora ritenuto, poi, che a nulla rileva che le inferriate oggetto di causa sarebbero necessarie per la sicurezza degli occupanti dell'appartamento dell'attore, atteso che la modificazione della facciata, proprio per la suddetta difformità con le altre inferriate già presenti e la alterazione conseguente della unitarietà di linee e di stile della facciata condominiale, determinerebbe un pregiudizio estetico non modesto e dunque non trascurabile, che non verrebbe compensato dalla asserita utilità delle inferriate ai fini della sicurezza. Posto quindi che la tutela del decoro architettonico attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile ed apprezzabile dall'esterno, perché si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità, ne consegue che nel caso in esame e tenuto conto del dettato del regolamento condominiale e dei rilievi in fatto sopra svolti, deve ritenersi che la modifica dei profili esterni delle finestre ove verrebbero installate le inferriate oggetto di causa con le caratteristiche richieste in atti, inciderebbe sul decoro architettonico dell'intera facciata e conseguentemente che il condomino attore non può operare la stessa autonomamente senza la autorizzazione assembleare (cfr.: Cass. (...) n. 17398) che, dunque, è stata legittimamente negata. Nè parte attrice ha allegato elementi che consentano di rilevare un eventuale eccesso di potere nella decisione dell'assemblea condominiale su quanto oggetto di causa, atteso quanto sopra rilevato e ritenuto in punto di fatto e di diritto. Ciò posto, per quanto sopra rilevato e ritenuto, deve quindi rigettarsi la domanda dell'attore non essendo emersi in atti i profili di illegittimità sollevati avverso la delibera impugnata. Con assorbimento di ogni altra domanda, eccezione e istanza in atti, in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" (Cass. Sez. U, n. 9936 del (...); Cass. n. 12002 del (...); Cass. civ. Sez. V Ord., (...), n. 15008). Le spese e competenze del presente giudizio e della mediazione seguono la soccombenza, ai sensi dell'artt.91 c.p.c., e vanno poste a carico dell'attore ed a favore del convenuto (...) e, determinate sulla scorta dei parametri dettati dal D.M. Giustizia 55 del (...) come modificato con Decreto del (...) (...), n. 147, in considerazione del valore della domanda e della attività svolta, si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra eccezione, domanda o istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede, come in motivazione: - rigetta tutte le domande dell'attore (...). - Condanna l'attore (...) a corrispondere al (...) (...), (...), convenuto, in persona del suo amministratore pro tempore, le spese e competenze di lite e di mediazione, liquidate Euro.4.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi ed a cpa e Iva di legge. Sentenza immediatamente esecutiva come per legge e resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale. Milano (...).

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE composta dagli Ill.mi Magistrati Felice Manna - Presidente - Vincenzo Picaro - Consigliere - R.G.N. 31409/2018 Rossana Giannaccari - Consigliere - C.C. – 14.11.2023. Giuseppe Fortunato - Consigliere Rel. - Remo Caponi - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 31409/2018 R.G. proposto da STORTI GIOVANNI BATTISTA E LORIGA MARZIA,rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanna Lenti, Luigi Decio e Stefano Gattamelata, con domicilio in Roma, Via di Monte Fiore n. 22. – RICORRENTI– contro AUGELLETTA ALESSIA, AUGELLETTA PASQUALE, SALERNO ANNUNZIATA, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Petrosillo, con domicilio in Roma, alla Via Largo della Gancia n. 1. -CONTRORICORRENTI-RICORRENTI INCIDENTALI- CONDOMINIO DI VIA SIRTORI 14 DI MILANO, in persona dell’amministratore p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Mario Mazzoni, con domicilio eletto in Roma, alla Via Mocenigo 16, presso l’avv. Alessandra Tamburelli. -CONTRORICORRENTE- GIAMMINOLA FRANCESCO. Oggetto: condominio -INTIMATO- avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1803/2018, pubblicata in data 9.4.2018. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 14.11.2023 dal Consigliere Giuseppe Fortunato. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Roberto Mucci, che ha concluso, chiedendo di respingere entrambi i ricorsi. Uditi gli avv.ti Giovanna Lenti, Luigi Decio, Alessandra Tamburelli e Paolo Petrosillo. FATTI DI CAUSA 1. Pasquale Augelletta, Alessia Augelletta e Annunziata Salerno hanno evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano Giovanni Battista Storti e Marzia Lorica, esponendo di aver acquistato dai convenuti un appartamento sito al quinto piano del condominio di via Sirtori n. 14 di Milano, comprendente anche due terrazze che i convenuti avevano realizzato senza autorizzazione assembleare sotto la direzione dei lavori dell'architetto Francesco Giamminola, opere per le quali i venditori avevano assunto l’impegno di farsi carico di qualunque richiesta formulata dai condomini e di ogni conseguenza derivante dalla mancanza dell’autorizzazione condominiale, con espresso esonero da ogni responsabilità per gli acquirenti anche con riferimento ad eventuali pretese dei condomini ad una indennità per il rialzo attuato dai venditori, lamentando inoltre copiose infiltrazioni d'acqua provenienti da porte-vetrate di accesso ai terrazzi e dal soffitto, oltre che vizi agli impianti del gas. Dopo aver premesso che i venditori non avevano provveduto alla regolarizzazione delle opere, né eseguito gli interventi di manutenzione cui si erano obbligati nel corso della riunione condominiale del 21.4.2009, hanno chiesto di accertare l’obbligo dei convenuti di provvedere al rifacimento del tetto e a risarcire i danni per il deprezzamento dell’immobile e per le infiltrazioni d'acqua, oltre al rimborso di tutte le spese sostenute, condanna che, limitatamente ai danni da infiltrazioni, hanno chiesto di estendere al Condominio per i danni cagionati dall'omessa manutenzione del lastrico, instando, in subordine, per la riduzione del prezzo di vendita e la restituzione di quanto versato in eccedenza. Il Condominio ha proposto riconvenzionale per la condanna alla ricostruzione della copertura condominiale. Francesco Giamminola ha respinto ogni addebito; Giovanni Storti e Marzia Lorica hanno sostenuto di aver realizzato le opere con l’autorizzazione dell’assemblea. Il Tribunale, espletata consulenza tecnica d'ufficio, ha condannato i convenuti, nei confronti del Condominio, a ripristinare il tetto, e a risarcire i danni da infiltrazioni patiti dagli attori, liquidati in € 7776,00; ha ordinato al Giamminola il ripristino della funzionalità degli impianti di scarico dei servizi igienici, respingendo ogni altra domanda. La sentenza è stata parzialmente riformata in appello. La Corte territoriale ha esteso la condanna al ripristino del tetto anche agli acquirenti dell’immobile, confermando l’illiceità delle terrazze ai sensi degli artt. 1120 c.c.; in accoglimento del gravame proposto dagli Augelletta - Salerno ha condannato i venditori al pagamento di € 140.000,00 per il minor valore dell’immobile e Francesco Giamminola al pagamento di € 7760,00, oltre accessori, per le infiltrazioni di acqua e umido alla proprietà esclusiva, negando la responsabilità dei venditori e del Condominio per i danni da infiltrazioni di acqua dal tetto e per i vizi della copertura. La cassazione della sentenza è chiesta da Giovanni Battista Storti e Marzia Lorica con ricorso in quattro motivi; Pasquale Augelletta, Alessia Augelletta e Annunziata Salerno resistono con controricorso e con ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo. Il Condomino di Via Sirtori 14 di Milano ha notificato controricorso; Francesco Giamminola non ha proposto difese. Alessia Augelletta, Pasquale Augelletta e Annunziata Salerno hanno proposto ricorso autonomo in cinque motivi; Giovanni Battista Storti e Marzia Loriga hanno notificato controricorso con ricorso incidentale in quattro motivi. Le parti hanno, inoltre, depositato memorie illustrative. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.E’ infondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale degli Storti Lorica, avendo essi depositato copia della sentenza con il messaggio di notifica e con attestazione di conformità all’originale informatico, il che ha sanato ogni irregolarità (Cass. s.u. 8312/2019). 1.1 Sono inammissibili il ricorso incidentale condizionato degli Augelletta-Salerno, notificato in data 30.11.2018, dopo l’impugnazione autonoma da essi proposta in data 24.10.2018, avverso la sentenza di appello; identica inammissibilità inficia il ricorso incidentale degli Storti – Loriga, notificato in data 3.12.2018, dopo aver impugnato in via principale la pronuncia con ricorso notificato il 24.10.2018. Il ricorso per cassazione deve essere proposto a pena di inammissibilità con unico atto avente i requisiti di forma e contenuto indicati dall'art. 366 c.p.c.. Ne consegue che, in virtù del principio della consumazione del diritto d'impugnazione, la parte che, dopo la proposizione di un ricorso per cassazione nei suoi confronti abbia a sua volta proposto autonomo ricorso per cassazione, da ritenersi convertito in ricorso incidentale, non può con il controricorso avverso il ricorso notificatole proporre nuova impugnazione incidentale, ancorché intenda indicare nuovi motivi o colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti per la valida impugnazione Analoga preclusione investe il ricorso incidentale proposto dalla parte che aveva già impugnato in via autonoma la sentenza di appello (Cass. 19150/2005; Cass. 2309/2007; Cass. 2954/2011; Cass. 23630/2011; Cass. 4249/2015; Cass. 24962/2016). 2.Il ricorso proposto dagli Storti-Loriga è stato notificato per primo e ha natura di impugnazione principale; il ricorso autonomo degli Augelletta Salerno ha, quindi, natura incidentale. Le distinte impugnazioni, aventi ad oggetto la stessa sentenza, vanno riunite. 3.Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c. e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte di merito ritenuto che la sostituzione di parte del tetto dell'edificio con due terrazzi costituisse un’innovazione illecita in mancanza di preventiva autorizzazione assembleare. Obiettano i ricorrenti che tale modifica della parte comune non ricadeva nella previsione dell’art. 1120 c.c., ma era disciplinata dall’art. 1102 c.c., al qual fine occorreva considerare che era stata demolita solo una parte limitata del tetto e che la creazione delle terrazze non aveva alterato la originaria funzione di copertura, non potendosi infine trascurare che gli altri condomini non avevano alcuna possibilità di utilizzazione particolare del tetto, conseguendone la piena legittimità delle opere. Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 132, comma secondo, n. 4 c.p.c., perché il giudice avrebbe adottato una statuizione di condanna contraddittoria o ineseguibile, avendo disposto la rimessione del tetto nella sua forma e struttura originarie e, contemporaneamente, l’allineamento alla copertura esistente, senza avvedersi che la copertura preesistente era stata ricostruita per l’intera estensione per recuperare a fini abitativi il sottotetto, presentando un’altezza diversa da quella del tetto da ricostruire. Si censura la soluzione tecnica adottata, in quanto comportante una totale riorganizzazione degli spazi interni sottostanti alla copertura da ricostruire e, quindi, un’indebita invasione nella proprietà dei ricorrenti assunta, peraltro, in assenza di domanda di parte. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1490, 1492, 1495, 1491 c.c., per aver la Corte di merito accolto l’azione di riduzione del prezzo proposta solo all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado e per aver interpretato restrittivamente la clausola di garanzia quale mero accollo, da parte dei venditori, per eventuali responsabilità verso i condomini, non avvedendosi che gli acquirenti erano edotti del vizio e non potevano far valere l’abusività dei terrazzi. La sentenza condurrebbe ad una duplicazione della condanna sulla base di un’unica violazione, avendo previsto sia la demolizione dell’immobile che la riduzione del prezzo, senza condizionare quest’ultima all’effettiva demolizione delle terrazze. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 978, 980, 1490, 1492 c.c., per aver la Corte di merito riconosciuto anche ad Annunziata Salerno, usufruttuaria in misura pari 5% dell’immobile, la riduzione del prezzo per l’illegittimità delle opere. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 100 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito, avendo ritenuto assorbita la domanda di accertamento della legittimità delle opere per effetto dell’accoglimento della domanda subordinata di demolizione, avrebbe illegittimamente pregiudicato l’interesse degli acquirenti alla conservazione delle terrazze, la cui conservazione accrescerebbe in maniera significativa il valore commerciale della porzione esclusiva. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1120, 1102, 1139 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, sostenendo che la parziale eliminazione del tetto di copertura e la realizzazione di terrazze non integravano un’innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c., ma un uso più intenso della cosa comune rispettoso del disposto dell’art. 1102 c.c., poiché il taglio della copertura aveva interessato una superficie molto ridotta ed era stata mantenuta integra la funzione svolta dal tetto, senza ledere il diritto degli altri condomini, non essendoci alcuna possibilità di un uso particolare della copertura. Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1117 n. 1, 1102 e 1120 c.c., per aver il giudice ritenuto che il ripristino del tetto costituisse oggetto di un’obbligazione propter rem gravante sugli acquirenti, obbligo che poteva esser posto solo a carico dei venditori che avevano proceduto alla demolizione. Il quarto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, assumendo che, nel quantificare il danno risarcibile in misura pari al minor valore dell’immobile rispetto al prezzo versato, la Corte di merito non avrebbe considerato che l’importo determinato dal c.t.u. non contemplava anche la perdita del diritto a sopraelevare che invece la sentenza, con motivazione meramente apparente, avrebbe ritenuto incluso nella somma liquidata. Il quinto motivo denuncia la violazione degli art. 2051, 1130, 1135 c.c., per aver la pronuncia escluso la responsabilità per i danni da infiltrazione di acqua, ritenendo indimostrata una condotta dannosa, commissiva o omissiva ascrivibile al Condominio, trascurando che tale responsabilità ha carattere oggettivo, si fonda sul mero rapporto di custodia con la cosa comune ai sensi dell’art. 2051 c.c., e prescinde da una condotta dolosa o colposa del responsabile, fatta salva solo la prova della dipendenza del danno dal caso fortuito. 4.Il primo ricorso del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale sono fondati. Sono assorbiti tutti gli altri motivi del ricorso principale ed i motivi dal secondo al quarto di quello incidentale. Occorre premettere che le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, ma con quello del singolo condomino, essendo volte al suo solo perseguimento (Cass. 2126/2021; Cass. 20712/2017; Cass. 18052/2012; Cass. n. 20712; Cass. 240/1997). Costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solo quella che alteri l'entità materiale del bene, operandone la trasformazione, o ne modifichi la destinazione, ove il bene assuma, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale o sia utilizzato per fini diversi da quelli originari. Qualora la modificazione della cosa comune risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 c.c., che, sebbene dettato in materia di comunione ordinaria, è applicabile in materia di condominio degli edifici per effetto del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c.. Per tali ragioni la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio mediante idonei materiali (Cass. 14107/2012; Cass. 2126/2021). L’art. 1102 c.c. consente a ciascun proprietario di far un uso più inteso della cosa comune a condizione che non sia alterata la funzione del bene e non impedito il pari uso: l’alterazione della funzione del bene deve essere effettiva e non può consistere in una semplice modificazione materiale; il pari uso non va inteso non deve consistere nel medesimo uso che possa invece farne il singolo che si trovi in un rapporto particolare e diverso con la cosa, ma di uso anche inteso ma che possa essere effettivo, occorrendo individuare, in concreto, i sacrifici alle facoltà di godimento che tale modifica apporti, senza dar rilievo ad una astratta possibilità di uso alternativo o un suo ipotetico depotenziamento (Cass. 14107/2012; Cass. 857/2019; Cass. 13503/2019; Cass. 41490/2021; Cass. 19939/2022; Cass. 2971/2023). Le opere di cui si discute non costituivano – quindi - innovazioni suscettibili di autorizzazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.: la norma riguarda non le opere intraprese dal singolo per realizzare un miglior uso della cosa comune ai sensi dell' art. 1102 c.c. , ma quelle volute dall'assemblea condominiale con la maggioranza prescritta. Occorre tuttavia considerare che l'art. 1120, comma 2 c.c., nel vietare le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico – è astrattamente applicabile anche agli interventi effettuati con le finalità di cui all' art. 1102 c.c. (Cass. 11455/2015; Cass. 18350/2013; Cass. 14607 /12), dovendosi accertare, oltre alla compatibilità dell’intervento con i limiti derivanti dall’art. 1102 c.c., il rispetto dell’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., alla luce del necessario coordinamento normativo che deve farsi tra l’art. 1102, l’art. 1120 e, ove si tratti di interventi sulle pari esclusive, con l’art. 1122 c.c. (Cass. 11455/2015). Competerà al giudice del rinvio riesaminare i fatti di causa e valutare la sussistenza delle violazioni, conformandosi agli enunciati principi di diritto. 3. Il quinto motivo del ricorso incidentale è fondato. Nella responsabilità per le infiltrazioni nella proprietà esclusiva provenienti dalle parti condominiali non viene in considerazione una condotta illecita, commissiva o omissiva, imputabile al Condominio. Il Condominio è custode dei beni e dei servizi comuni ed è quindi obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché non sia recato pregiudizio a terzi, sicché risponde "ex" art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (Cass. 15291/2011; Cass. 7044/2020 La fattispecie di cui all'art. 2051 cod. civ. individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo. La responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, la cui prova compete al custode (Cass. 26051/2008; Cass. Cass. 858/2008; Cass. 8005/2010). In conclusione, sono dichiarati inammissibili il ricorso incidentale proposto in data 30.11.2018 da Alessia Augelletta, Pasquale Augelletta e Annunziata Salerno e il ricorso incidentale proposto da Giovanni Storti e Marzia Loriga in data 3.12.2018; sono accolti il primo motivo del ricorso principale, nonché il secondo ed il quinto motivo del ricorso incidentale, con assorbimento di ogni altra censura. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. P.Q.M. dichiara inammissibili il ricorso incidentale proposto in data 30.11.2018 da Alessia Augelletta, Pasquale Augelletta e Annunziata Salerno e il ricorso incidentale proposto da Giovanni Battista Storti e Marzia Loriga in data 3.12.2018; accoglie il primo motivo del ricorso principale di Giovanni Battista Storti e Marzia Loriga, notificato in data 24.10.2018, nonché il secondo ed il quinto motivo del ricorso incidentale proposto in pari data da Alessia e Pasquale Augelletta e da Annunziata Salerno, con assorbimento di ogni altra censura, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 14.11.2023. IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Giuseppe Fortunato Felice Manna

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Lisa Marconi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4494/2023 promossa da: Pa.Ro. e Ga.An., rappresentati e difesi dall'Avv. Ar.An. ATTORI contro CONDOMINIO VIA (...), 2-4 B. CONVENUTO CONTUMACE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione gli attori Pa.Ro. e Ga.An. hanno convenuto, innanzi all'intestato Tribunale, il Condominio di Via (...), 2-4, B., al fine di veder accolte le seguenti conclusioni nel merito: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, accertare e dichiarare, l'illegittimità/nullità della Delib. 9 novembre 2022 nella parte in cui l'assemblea del Condominio di Via (...) approva ai punti 2- 3 e 4 all'ordine del giorno: (punto 2) il consuntivo lavori piattaforma elevatrice civico 4; (punto 3) il consuntivo gestione ordinaria 2021/2022; (punto 4) il preventivo 2022/2023 e piano rete gestione ordinaria, per i motivi esposti in narrativa. Vinte le spese di lite" 2. In particolare, gli attori rappresentano: - di essere comproprietari di un appartamento sito al quarto piano di una palazzina situata in Via (...), n. 4, B., originariamente non dotata di ascensore condominiale. L'appartamento fa parte del Condominio di Via (...), nn. 2-4, costituito da due stabili. Nel 2018 i due coniugi decidevano di installare una piattaforma elevatrice, volta ad abbattere le barriere architettoniche dell'immobile, in modo da far fronte alle difficoltà di locomozione causategli dall'età, essendo una coppia di anziani ultraottantenni, e alle numerose patologie di cui sono affetti. I coniugi informavano l'amministratore dell'epoca, Sa. S.r.l., al fine di verificare la disponibilità all'iniziativa da parte dei condomini del civico n. 4; - che in data 20.06.2018 si teneva l'assemblea straordinaria dei condomini con il seguente ordine del giorno: "Installazione piattaforma elevatrice con manovra automatica, vaglio e discussione dell'offerta allegata con relativa delibera conseguente". L'assemblea si concludeva con il disinteresse degli altri condomini per la piattaforma elevatrice ed accollo della relativa intera spesa, pari a Euro 68.711,70, in capo ai coniugi Pa., che, allega parte attrice, ne sarebbero diventati di conseguenza esclusivi proprietari; - che, nonostante ciò, il Condominio, nella persona dell'amministratore p.t., pretendeva di assegnare come "Condominio di via (...)" e non come proprietà "Pa." i lavori alla società Te. e a far emettere fattura a nome del Condominio, pur essendo i ratei convenuti pagati dai due coniugi. Tale condotta, volta a considerare condominiale un'opera che, invece, era di esclusiva proprietà dei coniugi Pa., alimentava un inutile ed estenuante contenzioso condominiale, avente ad oggetto l'utilizzo e la proprietà della nuova opera. Il contenzioso si risolveva con il provvedimento di rigetto del Tribunale di Bologna, all'esito del ricorso ex art. 700 c.p.c. (n.r.g. 115/2022) proposto dai coniugi Pa./Me., condomini del civico 4, al fine di ottenere e conseguire la consegna delle chiavi di accesso della piattaforma e, dunque, l'utilizzo, nei confronti del Condominio di via (...) nn. 2-4 e degli odierni attori. L'utilizzo veniva rivendicato dai ricorrenti in forza del versamento di Euro19.139,20 eseguito dalla condomina Pa. sul conto corrente del Condominio, sulla base di un riparto surrettiziamente elaborato da St., mai approvato dal Condominio. - Nel dicembre 2019, St. rassegnava le proprie dimissioni e veniva sostituito nella qualità di amministratore del Condominio, dal geom. As.. In seguito alle dimissioni, in tesi attorea, emergevano, secondo gli attori, varie irregolarità nell'operato del precedente amministratore, soprattutto nella c.d. gestione straordinaria della piattaforma elevatrice. In particolare, dalla contabilità del condominio risultava che l'ex amministratore si era autoliquidato un compenso pari a Euro 3.215,75 per la presunta gestione amministrativa dell'installazione della piattaforma elevatrice, in assenza di autorizzazione e/o delibera assembleare, emettendo fattura a carico del Condominio. Di tale fattura, tuttavia, in tesi attorea, i condomini ebbero conoscenza solo in seguito ad inserimento della stessa, da parte dell'attuale amministratore, nel consuntivo 2021/2022. - L'amministratore C., all'assemblea del 19/5/2021, proponeva al Condominio di aderire alla tesi di far rientrare l'installazione della piattaforma elevatrice nell'ambito delle materie di pertinenza condominiale, approvando, con delibera sul punto, un piano di riparto delle somme dovute sulla base di tabelle millesimali già approvate (ma gli odierni attori contestavano la circostanza), in data 12/5/2019 dall'assemblea. La Delib. del 19 maggio 2021 veniva impugnata, in quanto ritenuta nulla, dagli odierni attori, previo avvio del procedimento di conciliazione obbligatoria, in pendenza del quale veniva proposto il suddetto ricorso ex art. 700 c.p.c. dai condomini P./M.. Il ricorso, come accennato, venne rigettato, con ordinanza che confermava la proprietà dell'installazione in capo agli odierni attori e non riteneva fondato il riparto delle spese per ottenere la titolarità e l'utilizzo della piattaforma proposto dai ricorrenti. In seguito, trovava soluzione anche la media-conciliazione avente ad oggetto l'impugnativa della Delib. del 19 maggio 2021, nel senso che il Condominio decideva di annullare tutte le delibere assunte in punto di piattaforma elevatrice, ad eccezione della prima, riconoscendo così l'esclusiva proprietà dei coniugi Pa.. 3. Lamentano, quindi, gli attori che, nonostante quanto appena sopra esposto, in data 9/11/2022 si teneva un'assemblea condominiale, nel cui ordine del giorno veniva nuovamente inserito, al punto 2, l'approvazione del consuntivo della piattaforma elevatrice del civico 4, il che, tuttavia, renderebbe nulla la delibera, dal momento che, essendo la piattaforma elevatrice di proprietà esclusiva degli odierni attori, non si tratta di questione inerente alla materia condominiale. L'amministratore C., inoltre, nonostante avesse ricevuto l'incarico di intraprendere qualsiasi iniziativa nei confronti dello St. al fine di recuperare le somme che lo stesso aveva incamerato sulla base dell'indebita fattura, si era adoperato in tal senso solo in via stragiudiziale. La delibera apparirebbe, altresì, nulla, per gli attori, perché l'assemblea ha ritenuto di addossare in via arbitraria la richiesta risarcitoria verso lo St. alla proprietà Pa. (punti 3-4 dell'ordine del giorno). Gli odierni attori hanno impugnato conseguentemente tale delibera avanti l'Organismo di Mediazione dell'Ordine degli Avvocati di Bologna ma il Condominio non ha aderito alla media conciliazione, con conseguente verbale negativo redatto in data 15.02.2023. 4. Con decreto ex art. 171 bis c.p.c., il Giudice ha dichiarato la contumacia del Condominio di via (...) e rilevato che sussistono le condizioni per mutare il rito nel procedimento semplificato; 5. All'udienza del 28.09.23 parte attrice ha proceduto alla discussione orale della causa, riportandosi sostanzialmente all'atto introduttivo e il Giudice trattenuto la causa in decisione ex artt. 281 sexies u.c. e 281 terdecies c.p.c.. 6. Nel merito, l'odierno giudicante rileva che nel verbale dell'Assemblea del 19.5.21 si legge che gli attori contestavano l'addebito a proprio carico dell'importo di Euro 3.215,76 di cui alla fattura (...) del 24.12.18, emessa dal precedente amministratore studio Zt. srl a titolo di "compenso amministratore gestione straordinaria", in quanto tale somma veniva pretesa a fronte di una prestazione incompleta e scarsamente diligente, avendo detto amministratore lasciato ogni responsabilità, sorveglianza e cura dei lavori ai signori Pa., di fatto abbandonandoli a loro stessi in tale incombente che ad esso solo spettava, a far tempo dal secondo mese successivo all'inizio dei lavori, e senza attenderne la fine. Nel precisare che su tale responsabilità del precedente amministratore riservava apposita azione a tutela, la proprietà Pa. si limitava in tale sede a contestarne la spesa, siccome non rispondente alla quantità e qualità della prestazione ricevuta. 7. Tale delibera (che era stata approvata a maggioranza dei condomini del civico 4, nonostante, tra l'altro, le superiori contestazioni degli odierni attori) risulta "transattivamente" annullata con Delib. del 14 marzo 1922 unitamente a tutte le succitate delibere inerenti la piattaforma elevatrice successive a quella del 20.6.18, ma, ai fini di causa, risulta rilevante ex art. 116 c.p.c. per la qualificazione e imputazione dell'addebito. Tali importi risultano per tabulas, quindi, un debito contestato e non approvato dalla proprietà Pa., unicamente "in quanto tale somma veniva pretesa a fronte di una prestazione incompleta e scarsamente diligente, avendo detto amministratore lasciato ogni responsabilità, sorveglianza e cura" agli odierni attori e non rispondeva "alla qualità e quantità della prestazione ricevuta" dalla proprietà Pa., che erano gli unici condomini a cui sarebbe stata imputabile in quanto proprietari esclusivi della piattaforma elevatrice de qua e quindi gli unici condomini anche legittimati a deliberare in merito. 8. Ne consegue, quindi, che correttamente i restanti condòmini del civico 4 come non risultano legittimati a deliberare in merito, così non devono vedere imputate a loro carico tali somme (come anche eventuali successivi costi per -riservati- recuperi e azioni legali deliberate dai titolari della piattaforma de qua, nei confronti del precedente o attuale amministratore, per le causali che i primi riterranno di porre a fondamento delle proprie pretese verso -anche- questi ultimi). Come chiarito, infatti, nell'ordinanza resa ex art. 700 c.p.c. dall'intestato Tribunale cit. (v. doc.2 di parte attrice), la titolarità della piattaforma oggetto di causa allo stato spetta ai soli odierni attori, non avendo offerto alcun altro condòmino di pagare pro quota le spese impiegate all'uopo con riferimento alla particolare comunione parziale che via via venisse a formarsi, trattandosi di ascensore installato successivamente alla costruzione dell'edificio (v. ordinanza Te. Bologna 21.2.22, e v. la ivi citata giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di condominio di edifici, l'ascensore installato "ex novo", per iniziativa ed a spese di alcuni condomini, successivamente alla costruzione dell'edificio, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene a quelli, tra costoro, che l'hanno impiantato, dando luogo ad una particolare comunione parziale, distinta dal condominio stesso; tale è il regime proprietario finché tutti i condomini non decidano, successivamente, di partecipare alla realizzazione dell'opera, con l'obbligo di pagarne "pro quota" le spese all'uopo impiegate, aggiornate al valore attuale, secondo quanto previsto dall'art. 1121, comma 3, c.c., non assumendo rilievo giuridicamente rilevante, ai fini della natura condominiale dell'innovazione, la circostanza che questa sia stata, di fatto, utilizzata anche a servizio delle unità immobiliari di proprietà di coloro che non avevano inizialmente inteso trarne vantaggio", v. Cass. 10850/2020; v. anche Cass. 8746/93 secondo cui "In tema di condominio di edifici, l'art. 1121 cod. civ. riconosce ai condomini dissenzienti (e ai loro eredi e aventi causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo "pro quota" nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell'edificio condominiale non all'atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei condomini"). 9. Alla luce delle superiori considerazioni, deve ritenersi accoglibile la domanda attorea e dichiararsi la nullità della Delib. 9 novembre 2022 nella parte in cui l'assemblea del Condominio di Via (...) approva al punto 2 dell'ordine del giorno il consuntivo della piattaforma elevatrice del civico 4, dal momento che, essendo la piattaforma elevatrice di proprietà esclusiva degli odierni attori, non si tratta di questione inerente alla materia condominiale. 10. Visto il solo parziale accoglimento delle domande attoree e la confusa gestione della spesa da parte del Condominio in persona dell'Amministratore p.t., l'odierno giudicante ritiene che sussistano i presupposti per la compensazione delle spese di lite. 11. Assorbita ogni altra questione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accoglie la domanda attorea nei limiti di cui alla parte motiva e, per l'effetto, dichiara la nullità della Delib. 9 novembre 2022 nella parte in cui l'assemblea del Condominio di Via (...) approva al punto 2 dell'ordine del giorno il consuntivo della piattaforma elevatrice del civico 4, dal momento che, essendo la piattaforma elevatrice di proprietà esclusiva degli odierni attori, non si tratta di questione inerente alla materia condominiale. Compensa tra le parti le spese di lite. Così deciso in Bologna il 6 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2024.

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