Sentenze recenti inquinamento acustico

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2020, proposto da R. Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Me., In. Pu., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (...); nei confronti Sindaco del Comune di (omissis) in Qualità di Ufficiale di Governo, non costituito in giudizio; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 451/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te.". Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. R. Ca. S.r.l. appella la sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia n. 451 del 2019, recante il rigetto del suo ricorso per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'adozione dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 73/2017, annullata dallo stesso TAR con sentenza n. 26/2018, con la quale è stato ordinato, da un lato, l'immediata adozione degli accorgimenti utili a limitare le emissioni sonore inquinanti rilevate dall'ARPA FVG e, dall'altro, la predisposizione di un piano di bonifica finalizzato al contenimento e abbattimenti delle emissioni sonore. 2. Parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 30, c.p.a., 1223, 2043 c.c. e 40 e 41 c.p. per l'erronea ritenuta insussistenza del nesso causale - Travisamento di fatto; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 63, commi 3 e 4 c.p.a. Mancata assunzione delle prove richieste - Omissione di pronuncia e difetto di motivazione; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c. e dell'art. 30, comma 3, c.p.a. - Travisamento di fatto - Carente e contraddittoria motivazione. 3. Si è costituito in resistenza all'appello il Comune di (omissis). 4. All'udienza di smaltimento dell'8 maggio 2024 la causa passava in decisione. 5. Il ricorso non è fondato nei termini che seguono. Preliminarmente occorre osservare che gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana sono così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la colpa dell'apparato amministrativo. Nel caso di specie nulla quaestio con riferimento al piano soggettivo. 5.1 Con riferimento al nesso di causalità, per mezzo della prima censura parte appellante deduce che il TAR si sarebbe affidato agli atti della difesa comunale che non ha offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte dall'azienda in ottemperanza dell'ordinanza sindacale, né ha chiesto di darne dimostrazione, nel corso del giudizio, offrendo mezzi di prova. 5.2 Sotto tale profilo si deve rilevare che correttamente parte appellante dimostra il nesso di causalità alla luce dell'ordinanza che riconduce i livelli di inquinamento acustico precipuamente allo scarico dei materiali e alla movimentazione degli stessi sullo spazio esterno posto sul retro della proprietà, su via (omissis). Ritiene infatti parte appellante che l'unica misura che avrebbe potuto e dovuto adottare l'azienda in recepimento dell'ordinanza sindacale era solamente la cessazione completa dell'attività nell'area nord e la sua allocazione, in quell'area disponibile più lontana dal lamentato punto di impatto, nell'area sud. Né il Tar né la difesa comunale di contro hanno offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte. 6. Guardando al piano del danno subito, con il secondo motivo di appello parte appellante ritiene la sentenza erronea per non aver accolto l'istanza di istruttoria volta a dimostrare le spese e i costi sostenuto per dar luogo all'esecuzione dell'ordinanza. 6.1 Il motivo non è fondato. Preliminarmente occorre ricordare come è noto il principio per cui l'onere della prova dei presupposti del risarcimento del danno (salve talune ipotesi speciali di responsabilità ) incombe sul danneggiato e non sul supposto danneggiante. L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo, infatti, non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 08/02/2016, n. 486; Consiglio di Stato, Sez. IV, 28/01/2016, n. 327). 6.1 Nel caso di specie, parte appellante non assolve tale onere probatorio con riferimento al danno patrimoniale subito e oggetto di richiesta di risarcimento. Sotto un primo profilo, si deve rilevare che la stessa produce voci di spesa sostenute che tuttavia non hanno una valenza probatoria sufficiente in quanto dalla stessa parte predisposte. Sotto ulteriore profilo, la difesa comunale contesta puntualmente la rilevanza probatoria dei documenti su cui si basa la richiesta in quanto facenti capo a spese non riferibili all'esecuzione dell'ordinanza. A dimostrazione di quanto oggetto di contestazione vi è la reiterata istanza istruttoria volta a colmare l'onere probatorio incombente sulla parte appellante. Al riguardo assume rilievo preminente il principio per cui non si può liquidare il danno con una valutazione equitativa, poiché l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. non può essere assolto mediante consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 15/10/2021, n. 6949). 7. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi in termini di imputabilità del danno al presunto danneggiato. In generale, l'art. 30, comma 3, c.p.a., che prevede la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, è ricognitivo di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione del comma 2 dell'art. 1227 c.c.: detto articolo, infatti, operando sui criteri di determinazione del danno conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno evento e conseguenze dannose da esso derivanti ed introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in base al quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse tenuto il comportamento collaborativo cui deve attenersi. Nel caso di specie il Tar ha evidenziato la carenza nella diligente e tempestiva tutela dei propri interessi, in termini coerenti ai principi predetti. 8. Per le ragioni esposte, deve rigettarsi l'appello. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, svoltasi in collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1822 del 2019, proposto da società Me. Be. S.a.s. di Ji Ya., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. At. De Ma., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio sito in Padova, alla via (...); contro Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ia., Ni. On., Ni. Pa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ni. Pa. ubicato in Roma, alla via (...); e con l'intervento di ad adiuvandum: Si. En. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Gh., Le. Al., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza breve del T.a.r. Venezia n. 00898/2018, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento del provvedimento di chiusura di una sala giochi e della norma regolamentare comunale presupposta. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; FATTO e DIRITTO Riferisce Me. Be. s.a.s di Ji Ya., odierna appellante: - di aver stipulato, nel luglio del 2017, con la società concessionaria Si. En. s.p.a. un contratto di gestione per l'esercizio dell'attività di raccolta di scommesse ippiche e sportive presso il locale situato in Venezia-Mestre, via (omissis); - che nel medesimo locale era stata già svolta negli anni precedenti l'attività di raccolta di scommesse ippiche e sportive da parte della società Pn. s.r.l., la quale, dopo aver restituito alla Questura di Venezia la propria autorizzazione, aveva consentito l'avvio del procedimento per il rilascio di una nuova autorizzazione di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 88 T.U.L.P.S. in favore della società Me. Be. s.a.s di Ji Ya., poi effettivamente conseguita nel marzo del 2018; -di aver stipulato con la Pn. s.r.l. anche un contratto di cessione di azienda, in forza del quale ha conseguito l'avviamento, le attrezzature e gli arredi relativi all'attività di raccolta di scommesse; -che, in data 1° giugno 2018, le è stato notificato il provvedimento con il quale il Comune di Venezia l'ha diffidata dall'esercitare, nei locali siti in Venezia-Mestre, via (omissis), l'attività di sala scommesse e di offerta di gioco con apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lett. a) e b) del T.U.L.P.S, per contrasto con quanto previsto dall'art. 6 del Regolamento comunale in materia di giochi, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016, in quanto l'esercizio commerciale si troverebbe ad una distanza inferiore a 500 metri rispetto a numerosi luoghi sensibili indicati nel provvedimento di diffida. Contro quest'ultimo provvedimento Me. Be. s.a.s di Ji Ya. ha proposto ricorso per annullamento in primo grado, deducendo i seguenti motivi: - violazione dell'articolo 6 del Regolamento comunale di Venezia approvato con Delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016; - eccesso di potere per insufficiente ed erronea motivazione; violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/1990; - violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3, 10 e 10-bis della legge n. 241/1990; eccesso di potere per erronea ed insufficiente istruttoria. In via subordinata, la ricorrente ha impugnato anche l'atto presupposto costituito dall'art. 6 del Regolamento comunale di Venezia in materia di giochi, approvato con Delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016, lamentandone il vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e difetto di proporzionalità . Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto ha respinto il ricorso sul rilievo per cui, a prescindere dalla circostanza (ritenuta del tutto irrilevante) della sussistenza a monte di un medesimo soggetto concessionario (nel presente caso Si. En. s.p.a.), il mutamento del soggetto gestore dell'attività di raccolta di scommesse ippiche e sportive integra una "nuova apertura" ai sensi dell'art. 6 del Regolamento comunale in materia di giochi, con conseguente applicabilità della disciplina relativa al rispetto della distanza minima da determinati luoghi sensibili. Con maggiore dettaglio, ad avviso del Giudice di prime cure, il già menzionato art. 6 dovrebbe trovare applicazione anche alle fattispecie in cui nel medesimo locale operi a qualunque titolo un soggetto diverso da quello precedentemente autorizzato, come appunto si è verificato nel caso di specie. A sostegno di questa impostazione il T.A.R. per il Veneto rileva che la predetta disposizione, nel dettare la nuova disciplina sulle distanze minime da particolari "luoghi sensibili", intenderebbe contestualmente tutelare esclusivamente coloro che, prima della entrata in vigore della nuova normativa, avevano già iniziato l'attività ed ottenuto le relative autorizzazioni, ponendo in essere i necessari investimenti finanziari che l'indiscriminata applicazione della nuova disciplina regolamentare avrebbe potuto gravemente pregiudicare. Di conseguenza, essa dovrebbe essere applicata laddove la suddetta esigenza di tutela non sussiste e quindi, in tutti i casi in cui, come nella fattispecie in esame, vi sia un cambiamento della situazione giuridica o fattuale rispetto a quella esistente al momento dell'entrata in vigore della previsione normativa. Tale mutamento si registra, ad avviso del T.A.R non solo qualora il medesimo soggetto trasferisca la propria attività in nuovi locali, ma anche qualora nei medesimi locali venga ad operare, a qualsiasi titolo, un nuovo soggetto, rispetto al quale non sussistono le esigenze di tutela dell'affidamento che invece presidiavano e garantivano la posizione del precedente titolare. Il Giudice di prime cure ha, inoltre, disatteso il motivo finalizzato a censurare la violazione dell'art. 10-bis l.n. 241/1990 rilevando che tale onere procedimentale riguarda unicamente i procedimenti ad istanza di parte e non anche quelli, come nel caso esaminato, attivabili d'ufficio. Con riferimento al dedotto difetto di istruttoria, il Collegio di primo grado ha rilevato che sotto il profilo fattuale, il mancato rispetto della distanza di 500 metri dai luoghi sensibili non risulta contestato dalla ricorrente. Infine, il T.A.R per il Veneto ha respinto anche il quarto motivo di ricorso, dedotto dalla ricorrente in via subordinata e finalizzato a censurare l'art. 6 del Regolamento comunale di Venezia in materia di giochi, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e difetto di proporzionalità . In senso contrario il giudice di primo grado ha osservato che l'art. 6 del Regolamento comunale in materia di giochi si pone, infatti, perfettamente in linea con quanto previsto dall'art. 20, comma 3, lett. a) della legge regionale n. 6 del 27 aprile 2015, con il quale si è devoluto ai Comuni il potere di individuare "la distanza da istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado, centri giovanili e impianti sportivi o da altri luoghi sensibili entro la quale è vietato autorizzare nuove sale giochi o la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo (...)". Da siffatta premessa di carattere interpretativo il giudice di prime cure ha tratto, pertanto, la conclusione per cui non appare manifestamente illogica, irragionevole, né tantomeno sproporzionata, la decisione comunale di stabilire tale distanza in 500 metri da calcolarsi in linea d'aria, anche alla luce della non trascurabile estensione del territorio del Comune di Venezia. Contro questa decisione Me. Be. s.a.s ha proposto appello reiterando i motivi del ricorso di primo grado (salvo il terzo motivo del ricorso introduttivo, non investito dal gravame in appello). Si è costituita nel presente giudizio l'amministrazione resistente chiedendo di dichiarare l'appello infondato. In vista dell'udienza del 27 aprile 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive posizioni difensive. All'udienza del 27 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente, il Collegio dà atto che, a seguito della proposizione dell'appello, è riemerso pressoché l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado, sicché, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, verranno presi direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr. ex pluribus, Cons. di Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020), coi limiti e l'esclusione sopra indicati. Con un primo mezzo di gravame viene lamentata la violazione dell'articolo 6 del Regolamento comunale di Venezia approvato con Delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016 in quanto ritenuto inapplicabile alla fattispecie in esame. Il motivo è infondato. Sul punto merita condivisione il percorso argomentativo seguito dal giudice di prime cure. In particolare, convincente appare l'interpretazione del sintagma normativo "nuova apertura di sale scommesse", contenuto nell'art. 6 del Regolamento comunale di Venezia in materia di giochi. Il riferito art. 6, intitolato "Localizzazioni e requisiti dei locali" recita: "In linea con quanto stabilito dall'art. 20, comma 3, lettera a) della L.R. n. 6/2015 e tenendo conto dell'impatto sul contesto, sulla sicurezza e sul decoro urbano, nonché dei problemi connessi alla viabilità, all'inquinamento acustico e alla quiete pubblica, le sottoelencate attività sono consentite in locali che distano almeno 500 metri, da calcolare in "linea d'aria", dai luoghi definiti sensibili. 1) nuove sale giochi che prevedono la collocazione di apparecchi di cui al comma 6 o 7 lettere a), c) e c-bis) dell'art. 110 TULPS; 2) la nuova collocazione di apparecchi di cui al comma 6 o 7 lettere a), c) e c-bis) dell'art. 110 TULPS in esercizi aperti al pubblico; 3) nuova apertura di sale scommesse, sale VLT, sale Bingo, negozi dedicati. 2. Sono definiti luoghi "sensibili" ai sensi del comma 1 del presente articolo: a) gli istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado; b) i luoghi di culto; c) gli impianti sportivi ed i centri giovanili o gli altri istituti frequentati principalmente da giovani e tra questi anche i patronati e gli oratori; d) le strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socioassistenziale, le strutture ricettive per categorie protette; e) i giardini, i parchi e gli spazi pubblici attrezzati e non, altri spazi verdi pubblici attrezzati e non; f) i siti museali; g) le caserme, le aree a servizi, le cliniche, i luoghi di particolare valore civico. 3. Non è considerata nuova collocazione di apparecchi di cui al comma 6 o 7 lettere a), c) e c-bis) dell'art. 110 TULPS, la sostituzione degli stessi. 7 4. Al fine della tutela della salute pubblica, per evitare che la disponibilità immediata di denaro contante costituisca incentivo al gioco, all'interno del locale non potranno essere presenti sportelli bancari, postali o bancomat. 5. Rileva il Collegio che, già sulla base di una interpretazione meramente letterale, è agevolmente riconducibile al nucleo semantico della locuzione "nuova apertura di sale scommesse" il caso, ricorrente nella specie, in cui nei medesimi locali venga ad operare, a qualsiasi titolo, un nuovo soggetto. L'assunto è, peraltro, nel caso di che trattasi corroborato dal rilievo per cui il precedente gestore aveva dismesso la sua attività e restituito la relativa licenza. Questa conclusione trova peraltro conferma sul piano dell'interpretazione teleologica atteso che la disciplina in esame mira a contemperare il contrasto alla c.d. ludopatia per finalità di tutela della salute pubblica con le esigenze di coloro che, prima della entrata in vigore della nuova normativa, avevano già iniziato l'attività ed ottenuto le relative autorizzazioni, ponendo in essere i necessari investimenti finanziari che l'indiscriminata applicazione della nuova disciplina regolamentare avrebbe potuto gravemente pregiudicare. Appare evidente, ad avviso del Collegio, che analoga esigenza di contemperamento non sorge nei confronti di chi aspira ad iniziare ex novo l'attività di gestione di una sala scommesse. E ciò anche in considerazione del fatto che l'attività esercitata (nella specie di carattere imprenditoriale) deve mostrarsi sempre compatibile con la disciplina ratione temporis vigente, ovvero con gli interessi pubblici ad essa sottesi. Né migliore sorte può avere l'argomento, valorizzato dalla società appellante, secondo cui la stipula del contratto di cessione di azienda tra la società appellante ed il precedente gestore, Pn. s.r.l., testimonierebbe la continuità aziendale nell'ambito della medesima sala scommesse, e di riflesso smentirebbe l'assunto che nel caso di specie si sia al cospetto di una nuova apertura. L'argomento, per quanto suggestivo, non appare idoneo a sostenere la tesi che intende far valere. In senso contrario, va osservato, nel solco delle riflessioni della più autorevole dottrina, che il trasferimento di azienda non comporta la successione nell'impresa, che, in quanto attività, è insuscettibile di successione in senso tecnico-giuridico. La successione è un fenomeno che attiene ai rapporti giuridici: si può succedere nella qualità di proprietario, nella qualità di creditore: non si può, invece, succedere nella qualità di imprenditore. Da ciò discende il corollario per cui il cessionario di azienda acquisterà la qualità di imprenditore a titolo originario, e non titolo derivativo. La correttezza di quest'ultima affermazione di principio trova puntuale riscontro, rispetto al caso in esame, nella circostanza per cui, a seguito della cessione di azienda, la società appellante ha dovuto stipulare un nuovo contratto di gestione con la società concessionaria Si. En. s.p.a. La fattispecie non può essere ricondotta dunque, come tenta di fare l'appellante, al mero trasferimento in continuità dell'attività da un gestore all'altro, all'interno dei medesimi locali. Con un secondo motivo è stato censurato il provvedimento con il quale il Comune di Venezia ha diffidato la Sig.ra Ji Ya. (legale rappresentante della società Me. Be.) dall'esercitare nei locali siti in Venezia-Mestre, via (omissis), l'attività di sala scommesse, per il vizio di eccesso di potere sub specie di insufficiente ed erronea motivazione. Il motivo non merita condivisione. Il Collegio osserva che la Regione, con l'art 20, comma 3, lett. a) della legge regionale n. 6 del 27 aprile 2015 ha regolato la "modalità attuativa" del divieto in relazione alla necessità della c.d. delocalizzazione, stabilendone procedimento e tempi di attuazione, in particolare devolvendo ai Comuni la competenza a individuare "la distanza da istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado, centri giovanili e impianti sportivi o da altri luoghi sensibili entro la quale è vietato autorizzare nuove sale giochi o la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo(...)". La legge regionale ha, pertanto, individuato con disposizioni "incisive e cogenti" la destinazione funzionale dei siti sensibili, per poi attribuire il compito (meramente ricognitivo) di "mappatura dei luoghi sensibili" ai Comuni interessati (Cons. Stato, VI, 19 marzo 2019 n. 1806). La sala giochi della appellante è risultata posta a distanza non consentita dai predetti "luoghi sensibili" Posta la natura ricognitiva degli atti amministrativi, la Corte Costituzionale ha rilevato in numerose occasioni la conformità alla Costituzione di analoghe norme regionali (recte, la manifesta infondatezza del dubbio circa la relativa compatibilità con la Costituzione), le quali hanno introdotto una disciplina atta a contrastare la c.d. ludopatia con finalità di tutela della salute pubblica e, più precisamente, finalizzata a perseguire finalità di carattere socio-sanitario (cfr. Corte Cost., 22 marzo-11 maggio 2017, n. 108 e giurisprudenza ivi richiamata; Corte Cost. n. 27 del 27 febbraio 2019). L'art. 6 del citato Regolamento comunale, pertanto: - ha individuato i luoghi sensibili con riferimento esclusivo alle tipologie previste dalla legge regionale; - non ha esercitato in proposito alcuna discrezionalità amministrativa né ampliato l'elenco degli stessi in relazione a specifiche esigenze proprie della realtà comunale di interesse; - ha applicato il criterio distanziale previsto a livello regionale; - ha individuato i luoghi sensibili in ottemperanza alle disposizioni della legge e della deliberazione regionali finalizzate a prevenire e a contrastare la dipendenza dal gioco, nonché ad assicurare la tutela dei soggetti più deboli; - non ha esercitato, nello specifico, alcuna funzione di governo del territorio, come neppure hanno fatto la delibera regionale e le conferenti leggi regionali. Appartengono infatti al "governo del territorio", da intendersi come "uso del territorio e localizzazione di impianti e di attività " (cfr. Corte Cost. n. 196/2004), le disposizioni concernenti l'ubicazione sul territorio comunale delle attività in contestazione, vale a dire la destinazione di zone del territorio comunale al relativo insediamento (cfr. Corte Cost. n. 220/2014). Tuttavia tali disposizioni vanno tenute distinte da quelle specificamente volte a vietare l'installazione o l'esercizio delle attività di gioco lecito ad una certa distanza dai c.d. "luoghi sensibili", che perseguono finalità di carattere socio-sanitario, rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (cfr. Corte Cost., 11 maggio 2017, n. 108 e giurisprudenza ivi richiamata nonché Corte Cost. n. 27 del 27 febbraio 2019). Tanto chiarito, non vale evidenziare l'assenza di proporzionalità e ragionevolezza del provvedimento impugnato, in ragione dell'effetto sostanzialmente espulsivo del gioco lecito dal territorio comunale di Venezia. In primo luogo, va precisato che il Comune non aveva alcun obbligo di indicare specificamente il luogo di insediamento dell'attività a seguito della delocalizzazione resa obbligatoria dall'applicazione della legge regionale. Gli strumenti urbanistici consentono, infatti, di individuare gli ambiti territoriali idonei all'insediamento. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente affermato che il limite distanziale, comportante il divieto di esercizio delle sale da gioco, delle sale scommesse e dei punti di raccolta in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili, costituisce mezzo idoneo al perseguimento degli obiettivi prefissati di contrasto al fenomeno della c.d. ludopatia (cfr. Consiglio di Stato, pareri n. 686/21, n. 1840/21 e 550/22; ma, più in generale, cfr. anche Consiglio di Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147). In particolare, il parere n. 686/21 ha osservato che "si è di fronte ad una misura che realizza la finalità delle norme dettate in materia, atteso che essa consente di salvaguardare, attraverso la riduzione delle occasioni di gioco, fasce di consumatori psicologicamente più vulnerabili ed immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni (cfr. sul punto, Cons. Stato, V, 4-12-2019, n. 8298; VI, 19-3-2019, n. 1806); in particolare, essa, ponendo limitazioni spaziali agli esercizi dove si raccolgono il gioco e le scommesse, rende maggiormente difficoltoso, specie per le categorie a rischio, l'incontro con l'offerta di gioco", senza che possa rilevare in senso contrario la considerazione che la "marginalizzazione" dei centri di raccolta potrebbe favorire situazioni di maggiore illegalità, dato che risulta perseguita la finalità principale della legislazione statale di ridurre le occasioni di gioco lecito, malgrado la necessità di ulteriori interventi di diversa natura (cfr. Consiglio di Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147). Ciò posto, come ribadito da un costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, il principio di proporzionalità, avuto riguardo al giudizio relativo alla stretta necessità e all'adeguatezza della misura distanziometrica, va esaminato, con maggiore approfondimento, rispetto alle attività imprenditoriali esistenti. La violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si potrebbe configurare, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determinasse nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l'individuazione delle aree destinate rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato, gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali (Consiglio di Stato, sez. V, n. 11426 del 28 dicembre 2022) Tuttavia, per le ragioni in precedenza evidenziate, quest'ultima evenienza non ricorre nella fattispecie in esame in cui si è registrata una nuova apertura di una sala scommesse. Detto che i motivi procedimentali della violazione degli articoli 10 e 10-bis della legge n. 241/1990, in combinato disposto con l'art. 3 l.n. 241/1990, nonché il motivo dell'eccesso di potere per erronea ed insufficiente istruttoria, non sono stati espressamente riproposti con l'atto di appello (e comunque risulterebbero infondati non trattandosi di procedimento ad istanza di parte e risultando ampiamente comprovato che la sala giochi della parte appellante era posta a distanza non consentita da "luoghi sensibili"), quanto alla riproposta censura, in via subordinata, per cui l'atto presupposto rappresentato dall'art. 6 del Regolamento comunale di Venezia in materia di giochi, approvato con Delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016, risulterebbe viziato per eccesso di potere sotto i profili della illogicità, irragionevolezza e difetto di proporzionalità, deve dirsi che anche quest'ultimo motivo non è suscettibile di positiva considerazione. L'art. 6 del Regolamento comunale in materia di giochi, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 50 del 10 novembre 2016, rappresenta - si ribadisce ancora una volta - la coerente attuazione del disposto di cui all'art. 20, comma 3, lett. a) della legge regionale n. 6 del 27 aprile 2015, il quale ha devoluto ai Comuni il potere di individuare "la distanza da istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado, centri giovanili e impianti sportivi o da altri luoghi sensibili entro la quale è vietato autorizzare nuove sale giochi o la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo(...)". In tale contesto, non appare manifestamente illogica, irragionevole, né tantomeno sproporzionata, la decisione comunale di stabilire tale distanza in 500 metri da calcolarsi in linea d'aria, anche alla luce della non trascurabile estensione del territorio del Comune di Venezia. Mette conto, sul punto, di rilevare che la legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili è stata ritenuta conforme a Costituzione (cfr. Consiglio di Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298). Anche con riguardo alla ragionevolezza dell'interdizione, la Corte Costituzionale in più occasioni e in modo puntuale (cfr. sentenza n. 108 del 2017) ha chiarito che la legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili ha la precipua funzione di "evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo". Neppure è in discussione la conformità della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi alla normativa euro-unitaria, considerato che la Corte di Giustizia UE ammette le misure derogatorie alle libertà di stabilimento, di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi per giustificati motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, oltreché per "motivi di interesse generale" (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618 e id., 19 marzo 2019, n. 1806; V, 4 dicembre 2019, n. 8298). La ritenuta legittimità costituzionale e comunitaria della normativa regionale in disamina ridonda, nella fattispecie in esame, a vantaggio della legittimità del menzionato articolo 6 del Regolamento comunale in materia di giochi con il quale il Comune di Venezia ha conformato le attività ricadenti sul territorio alla tutela del superiore interesse pubblico perseguito dalla legge regionale, limitandosi alla individuazione dei luoghi sensibili con riferimento esclusivo alle tipologie previste dalla legge regionale. Conclusivamente, per le ragioni esposte, l'appello va respinto in quanto infondato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione. Condanna la parte appellante alla rifusione, in favore del Comune di Venezia, delle spese di lite relative al grado, che liquida complessivamente in euro 5000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge. Spese compensate quanto all'interveniente Sisal s.p.a. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Luigi Furno - Consigliere, Estensore Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5877 del 2017, proposto da Co. Ce. No. società cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Gi. e Ma. Ru., con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via (...); contro la società R.F. - Re. Fe. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato El. Po., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Sa. Al. Ro. in Roma, viale (...); la società It. s.p.a., non costituitasi in giudizio; nei confronti del Consorzio Ce. Un. (Consorzio En. per l'alta velocità ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Va. Da., St. Gr., Ja. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato St. Gr. in Roma, Piazza (...); della Ba. It. s.p.a., non costituitasi in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione prima n. 00190/2017, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio Ce. Un. e di R.F. - Re. Fe. It. s.p.a..; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il consigliere Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società Re. Fe. It. s.p.a. (di seguito RF.) con provvedimento n. 421 del 19 settembre 2013 "in qualità di proprietaria dei cespiti costituenti la linea ferroviaria AV/CV Milano - Bologna" decretava "l'asservimento permanente per le immissioni acustiche derivanti dall'esercizio ferroviario" dell'immobile (a destinazione non residenziale) censito al Catasto Fabbricati del Comune di (omissis) al foglio (omissis), mappali (omissis) sub (omissis) cat (omissis), (omissis) cat. (omissis) cl. (omissis) e (omissis) sub (omissis) cat. (omissis), di proprietà di Ba. It. e condotto in locazione finanziaria dalla ricorrente Co. Ce. No. (di seguito Co.), rilevando che "gli infissi esistenti sono idonei, se opportunamente serrati, ad abbattere le emissioni provenienti dall'esercizio ferroviario e a garantire il rispetto delle norme in vigore in materia di inquinamento acustico. Sono inoltre idonei a garantire il necessario ricambio d'aria e quindi il mantenimento dell'abitabilità dell'immobile". 1.1. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato il 30 dicembre 2014 la ricorrente impugnava il citato decreto n. 421/2013 deducendo, sotto un primo profilo l'illegittimità della mancata previsione di misure di mitigazione del rumore riferite alla sorgente rumorosa (mediante installazione di barriere antirumore); sotto altro profilo, la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità intervenuta con delibera n. 212 del 27 ottobre 2008 e, quindi, decaduta il 27 ottobre 2013. 1.2. Con atto di opposizione ex art. 10 del d.P.R. n. 1199/1971 notificato il 5 febbraio 2015 RF. chiedeva che il ricorso venisse deciso in sede giurisdizionale. 1.3. Con atto notificato il 17 febbraio 2015 la ricorrente riassumeva il ricorso innanzi al T.a.r. per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma. 2. Il T.a.r., nella resistenza di RF. s.p.a, It. s.p.a. e Consorzio Ce.: - rigettava l'eccezione di inammissibilità per tardiva impugnazione del progetto approvato con la citata delibera n. 212/2008; - rigettava l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Consorzio Ce.; - accoglieva l'eccezione di difetto di legittimazione passiva di Italferr; - respingeva il ricorso nel merito; - condannava la ricorrente al pagamento delle spese di lite. 3. L'appello della società Co. è affidato ai seguenti motivi. I. Il T.a.r. avrebbe omesso di considerare che il ricorso proposto riguardava le immissioni rumorose non solo in ordine ai fabbricati ma anche alle aree di pertinenza, ovvero i piazzali esterni, che sono aree di lavoro e subiscono anch'esse le immissioni rumorose derivanti dalla linea AV. II. Se è vero che la normativa permette la previsione di interventi sul corpo ricettore, tuttavia la scelta, al riguardo, deve essere oggetto di adeguata valutazione e ponderazione del rapporto costi-benefici, considerando anche le aree esterne di pertinenza (che ex art. 2 della l. n. 447/95 costituiscono anch'esse corpo ricettore) e che l'art. 4 del d.P.R. n. 449/1998 stabilirebbe una preferenza per le opere di mitigazione sulla sorgente. III. Il terzo motivo censura la condanna alle spese di lite. 4. Si sono costituiti, per resistere, il Consorzio Ce. e R.F.. 5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza del 30 marzo 2023, alla quale l'appello è stato trattenuto per la decisione. 6. L'eccezione di irricevibilità dell'appello dedotta dalle parti resistenti è fondata. 7. Ai sensi dell'art. 119, comma 1, lett. f) del c.p.a., il rito abbreviato si applica, tra le altre, alle controversie in materia di "provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità (...)". Ai sensi dell'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, il testo unico (che reca i principi generali in materia), "disciplina l'espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili" ovvero di "diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità ". Inoltre "Si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione" (comma 2). Il decreto di asservimento in esame costituisce un atto di natura ablatoria emesso nell'ambito di un procedimento espropriativo inerente alla realizzazione di un'opera pubblica (cfr., per una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, Cons. Stato, sentenza n. 3998 del 26 agosto 2015; cfr. anche la sentenza n. 4219 del 2022). 7.1. Nello specifico, il provvedimento impugnato in primo grado, sul presupposto dell'approvazione del "progetto esecutivo degli interventi di mitigazione acustica diretta su ricettori interessati dall'esercizio della linea ferroviaria AV/AC Milano Napoli (...) con conseguente dichiarazione di pubblica utilità " di cui alla delibera n. 212 del 27 ottobre 2008 (pur essa oggetto di impugnativa), ha disposto "l'asservimento permanente per le immissioni acustiche derivanti dall'esercizio ferroviario, comportanti la diminuzione della fruibilità dell'immobile" di cui trattasi. 7.2. Anche nell'ipotesi in cui volesse distinguersi l'asservimento dalla presupposta dichiarazione di pubblica utilità, il presente giudizio racchiuderebbe comunque in sé due distinti rapporti processuali: uno (in ipotesi) sottoposto al rito ordinario e l'altro, invece, sottoposto al rito speciale ex art. 119 cit., sicché troverebbe applicazione la norma sancita dall'art. 32, comma 1, c.p.a. secondo la quale: "È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV". Pertanto, in ragione della connessione delle azioni, ne discenderebbe comunque l'applicazione del rito speciale con la conseguente dimidiazione del termine di impugnazione. 7.3. Neppure può prospettarsi il riconoscimento dell'errore scusabile, ai sensi dell'art. 37 comma 1, c.p.a. secondo cui: "Il giudice può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto". Tale norma è stata rigorosamente interpretata dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. 9 agosto 2012, n. 32; 2 dicembre 2010, n. 3, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, 88, comma 2, lett. d), e 120, comma 10, c.p.a.), nel senso che i presupposti per la concessione dell'errore scusabile sono individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell'amministrazione pubblica, nel caso fortuito e nella forza maggiore. 7.4. Nessuno dei descritti presupposti è invocabile nel caso di specie. In particolare, per quanto riguarda l'invocato "comportamento fuorviante" del giudice in primo grado, va ricordato che l'eventuale errore compiuto in prime cure non rileva sic et simpliciter bensì "avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto", e quindi se "ricorra un quadro normativo oscuro, o vi siano oscillazioni della giurisprudenza o della pubblica amministrazione" che possano avere causato tale errore, ovvero ancora se tale errore "si inquadra in un complessivo comportamento fuorviante dello stesso giudice e delle controparti" (par. 8 della parte in diritto). Non è quindi rilevante il solo fatto che, in primo grado, sia stato seguito il rito ordinario. Nel processo amministrativo, l'applicazione del c.d. rito abbreviato comune (e più in generale dei riti speciali), si impone infatti obbiettivamente alla ricorrenza dei presupposti individuati dalla legge per rilevanti ragioni di interesse pubblico; tale applicazione, dunque, prescinde dalle scelte (più o meno consapevoli) o dagli errori delle parti e del giudice; sotto tale angolazione è stato affermato che il c.d. rito abbreviato non si applica alle sole controversie che, ab imis, abbiano ad oggetto esclusivamente una domanda risarcitoria (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10; Ad. plen., 30 luglio 2007, n. 9, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). Nei sensi dianzi precisati è, ormai, la consolidata giurisprudenza della Sezione (cfr. in particolare le sentenze nn. 4219 del 2022, 7956 del 2021, 4236 del 2021, 5066 del 2018, 4661 del 2017, 2811 del 2015). 7.5. Ad ogni buon conto, nel caso in esame, va ricordato che il ricorso di primo grado è stato incardinato in seguito alla trasposizione di un ricorso straordinario al Capo dello Stato sicché, applicandosi la normativa specifica in materia, non è nemmeno in concreto ravvisabile un "comportamento fuorviante del giudice" tale da giustificare, a sua volta, l'errore della società appellante, in sede di proposizione del presente gravame. 7.6. In concreto, risulta che: - la sentenza impugnata è stata notificata il 5 giugno 2017; - da tale data decorreva il termine (dimidiato) di trenta giorni, applicabile in base al combinato disposto degli articoli 92, comma 1, c.p.a., e 119, comma 1, lett. f) c.p.a.; - l'appello principale è stato spedito per la notifica il 2 agosto 2017. La notifica dell'appello è quindi avvenuta oltre il termine dimidiato di trenta giorni, stabilito dalle disposizioni sopra menzionate. 8. Per quanto sopra argomentato, l'appello deve essere dichiarato irricevibile. La peculiarità della fattispecie giustifica peraltro la compensazione integrale tra le parti delle spese del grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, n. 5877 del 2017, di cui in epigrafe, lo dichiara irricevibile. Compensa tra le parti le spese del grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Gambato Spisani - Presidente FF Silvia Martino - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo - Presidente Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. VINCENTI Enzo - rel. Consigliere Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere Dott. SAIJA Salvatore - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12252 DEL 2021 R.G. proposto da: (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); -ricorrenti- contro COMUNE (OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); -controricorrente- avverso SENTENZA della CORTE D'APPELLO di BRESCIA n. 1147 DEL 2020, depositata il 27/10/2020. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19/04/2023 dal Consigliere ENZO VINCENTI; udito l'Avvocato (OMISSIS); udito l'Avvocato (OMISSIS); udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale STANISLAO DE MATTEIS, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. - I coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio il Comune di (OMISSIS) deducendone la responsabilita' per le immissioni di rumore nella propria abitazione, sita nella via (OMISSIS), prodotte dagli avventori degli esercizi commerciali ivi ubicati, i quali, nelle sere di fine settimana del periodo estivo, si trattenevano in strada recando disturbo alla quiete pubblica anche ben oltre l'orario di chiusura degli stessi. A tal fine, gli attori chiesero che fosse accertata l'intollerabilita' delle immissioni provenienti da detta strada comunale e, quindi, venisse condannato il Comune di (OMISSIS), ex articolo 844 c.c., "alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilita' le immissioni medesime", nonche' al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti. 1.1. - Instaurato il contraddittorio con il Comune di (OMISSIS), l'adito Tribunale di Brescia, all'esito del giudizio e con sentenza del settembre 2017, condanno' il Comune medesimo: 1) "a far cessare le immissioni di rumore nella proprieta' degli attori provenienti da via (OMISSIS) ovvero ad adottare le cautele idonee a riportare dette immissioni entro la soglia della normale tollerabilita', mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza, organizzato per tutte le sere dal giovedi' alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che si adoperino, entro la mezz'ora successiva alla scadenza dell'orario di chiusura degli esercizi commerciali autorizzati, a far disperdere ed allontanare dalla strada comunale via (OMISSIS) le persone che stazionano lungo la stessa"; 2) al pagamento della somma di Euro 20.000,00, in favore di ciascun attore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale; 3) al pagamento della somma di Euro 9.049,70, oltre interessi, in favore della (OMISSIS) a titolo di danno patrimoniale. 2. - Avverso tale decisione proponeva appello il Comune di (OMISSIS), che, nel contraddittorio con il (OMISSIS) e la (OMISSIS), la Corte di appello di Brescia accoglieva con sentenza resa pubblica in data 27 ottobre 2020, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le domande proposte dagli attori. 2.1 - La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a) l'articolo 844 c.c. trovava applicazione anche nei confronti della pubblica amministrazione, i cui provvedimenti non potevano affievolire il diritto alla salute, cosi' da radicare davanti al giudice ordinario la giurisdizione sulle cause in materia; b) tuttavia, nella specie, "l'utilizzo della strada quale bene di cui l'ente locale e' proprietario" non avveniva, "da parte degli avventori dei locali pubblici, nell'ambito di un provvedimento ampliativo concessorio", ma la presenza dei locali costituiva "l'occasione per gli assembramenti molesti", la' dove, poi, "il potere-dovere di intervenire in capo all'ente locale non (poteva) essere riferito a un generico dovere di tutelare la quiete pubblica ma va ancorato a precise disposizioni di legge per non sfociare in attivita' arbitrarie"; c) pertanto, "per configurarsi una responsabilita' omissiva" non era sufficiente il richiamo all'articolo 844 c.c., ma necessitava "ancorare l'obbligo di intervenire a una disposizione di legge che imponga il controllo sull'utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni"; d) "nessuna delle fonti indicate dagli appellati era idonea allo scopo": non il richiamo ad una sentenza del TAR Lombardia, sez. di Brescia (n. 1255 DEL 2017), priva di un intelligibile riferimento a determinata normativa; non le norme del codice della strada (la cui finalita' e' solo quella della sicurezza della circolazione dei veicoli); non le norme in materia di sicurezza e ordine pubblico (che intestano tali compiti allo Stato e non al l'ente locale, se non per circostanze eccezionali, non ricorrenti nel caso del Comune di (OMISSIS)); non il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 54, non essendo nella specie "contestato l'uso del potere di regolamentazione degli orari da parte del sindaco, bensi' la mancata adozione di provvedimenti concreti per rendere effettiva l'osservanza di ordinanze emesse", non potendo "configurarsi un obbligo del Comune, e in particolare del Sindaco quale ufficiale di governo, di dare esecuzione coattiva alle proprie ordinanze"; e) in ogni caso, non sussisteva la "giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere di cause simili", poiche' non era ad esso giudice consentito "di disporre l'effettuazione di un pubblico servizio, arrivando addirittura a dettarne le modalita' esecutive, pena la violazione dei principi stessi sul riparto di giurisdizione previsti dalla Cost., articolo 113 e dalla L. 2248 del 1865 all. E, articolo 4", la' dove un "diverso argomentare porterebbe il giudice ordinario semplicemente a sostituirsi all'autorita' locale in un caso in cui alcuna norma consente tal sorta di operazione e in violazione del principio costituzionale della separazione dei poteri". 3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), affidando le sorti dell'impugnazione a due motivi. Resiste con controricorso il Comune di (OMISSIS). I ricorrenti hanno presentato istanza di discussione orale. Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo mezzo e' denunciata, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 1, c.p.c., violazione della Cost., articolo 113 e della L. n. 2248 del 1865, all. E , articolo 4, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso, in contrasto con la giurisprudenza di legittimita', la "sussistenza della giurisdizione dell'A.G.O. sulla controversia avente ad oggetto la domanda di condanna della p.a. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilita' delle emissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, atteso che l'inosservanza da parte della p.a. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni puo' essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario, non solo per conseguire la condanna della p.a. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della p.a., ma un'attivita' soggetta al principio del neminem laedere". 2. - Con il secondo mezzo e' dedotta, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 1 e n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione della Cost., articoli 32 e 42, 8 CEDU, 832, 844 e 2043 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto necessario ancorare l'intervento del Comune, al fine di poterne configurare una responsabilita' omissiva in relazione all'obbligo di far cessare le immissioni nocive, ad "una disposizione di legge che imponga il controllo sull'utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni", senza considerare che detta responsabilita' poteva ritenersi sussistente gia' in forze delle norme sopra indicate, giacche' "l'attivita' della p.a., anche nel campo della discrezionalita' tecnica, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dal divieto di neminem laedere, essendo fonte di responsabilita', specie qualora emergano gravi pregiudizi per i beni primari della salute e della proprieta' privata, che gli enti hanno il compito istituzionale di tutelare". I ricorrenti argomentano, altresi', sul fatto che, comunque, sono individuabili "numerose norme... a tutela della quiete pubblica, con la previsione di specifici compiti a carico degli enti locali" (nel ricorso sono indicate le seguenti disposizioni: L. n. 447 del 1995, articoli 6 e 14 (legge quadro sull'inquinamento acustico); Decreto Legislativo n. 267 del 2000 (testo unico sugli enti locali), articoli 50 e 54; articolo 15 della legge della regione Lombardia n. 13 del 2001 (sulla vigilanza e controllo dei Comuni in materia di inquinamento acustico, avvalendosi del supporto dell'ARPA); articoli 36 e 38 del regolamento del Comune di (OMISSIS), in materia di rispetto della quiete pubblica)). 3. - I motivi sono fondati nei termini di seguito precisati. 3.1. - Va osservato, in primo luogo, che la Corte territoriale (come anche rilevato dal Comune di (OMISSIS)) non ha declinato la propria giurisdizione sulle domande proposte dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) - ossia la condanna del Comune convenuto a far cessare, ex articolo 844 c.c., le immissioni intollerabili provenienti dalla strada in cui si trova l'abitazione degli attori, nonche' la condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguentemente patiti dagli stessi attori -, ma ha ritenuto, per un verso, che la titolarita' passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio non spettasse al Comune di (OMISSIS) in assenza di norme specifiche che ne imponessero l'obbligo di un puntuale intervento al riguardo (che non si riducesse al mero dovere di assicurare la quiete pubblica) e, per altro verso, ha comunque escluso che le pretese azionate dagli attori potessero radicare un potere del giudice ordinario di determinare le modalita' di intervento della P.A., esorbitando le stesse dai limiti interni della giurisdizione ad esso spettante, in forza del combinato disposto della Cost., articoli 113 e 4 della L. n. 2248 del 1865 all. E. Di qui, pertanto, la declaratoria di rigetto delle pretese attoree. 3.2. - Cio' premesso, e' errata la premessa da cui muove la Corte territoriale, poiche' la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (Cost., articolo 32)), ma anche del diritto alla vita familiare (convenzionalmente garantito (articolo 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)) e della stessa proprieta' (che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l'affievolimento (Cass. n. 1636/1999)), cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex articolo 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione e' proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi. La P.A. stessa, infatti, e' tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con cio' potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (articoli 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilita', non investendo una tale domanda, di per se', scelte ed atti autoritativi, ma, per l'appunto, un'attivita' soggetta al principio del neminem laedere (tra le piu' recenti: Cass., S.U., n. 21993/2020; Cass., S.U., n. 25578/2020; Cass., S.U., n. 23436/2022; Cass., S.U., n. 27175/2022; Cass., S.U., n. 5668/2023). Ne consegue la titolarita' dal lato passivo del convenuto Comune di (OMISSIS) a fronte delle domande, risarcitoria e inibitoria, proposte dagli attori a fronte del dedotto vulnus che le immissioni intollerabili, provenienti dalla strada comunale in cui si trova la loro abitazione, sono idonee a cagionare ai diritti dai medesimi vantati. 3.3. - Posta tale diversa premessa, e', altresi', errata la decisione della Corte territoriale di ritenere, di per se', infondate le domande attoree in quanto esorbitanti dai limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario. Anzitutto, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche intollerabili, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilita' ai sensi dell'articolo 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato. Anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili, come detto, non implica, di per se', una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall'ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dalla L. 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., articolo 4, comma 2, siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell'espletamento dei suoi compiti istituzionali. La circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l'adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi - come l'effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalita' operative - non impediva, pero', ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non gia' le modalita' di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilita', ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalita' a tutela dei diritti soggettivi violati. 4. - Il ricorso va, dunque, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che si atterra' ai principi innanzi enunciati nella delibazione delle domande proposte dagli originari attori, altresi' dovendo provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIANI Vincenzo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere Dott. MELE Maria Elen - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 21/04/2022 del TRIB. LIBERTA' di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere MELE MARIA ELENA; 4E1Z/sentite le conclusioni del PG DALL'OLIO MARCO: Il PG conclude chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore: L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO Che: 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, sezione per il riesame, ha rigettato la richiesta di riesame ex articolo 309 c.p.p., del provvedimento, in data 5 aprile 2022, con il quale il GIP presso il medesimo Tribunale aveva applicato nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui all'articolo 110 c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articoli 575 e 577 c.p., comma 1, n. 3, articolo 416-bis.1, c.p. (capo 1), articoli 110, 610 e 416-bis.1, c.p. (capo 4). Il Tribunale ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del (OMISSIS) alla deliberazione, programmazione, organizzazione, nonche' all'esecuzione, avvenuta il (OMISSIS), dell'omicidio di (OMISSIS), ed inoltre alla violenza e minaccia posta in essere nei confronti di (OMISSIS) per costringerlo a indicare la persona che aveva causato l'esplosione di un ordigno presso l'abitazione della famiglia (OMISSIS). L'ordinanza impugnata, dopo aver descritto il conflitto in atto nel quartiere Ponticelli di Napoli tra il clan (OMISSIS)/ (OMISSIS) e il clan (OMISSIS)/ (OMISSIS), nonche' il legame della vittima con il clan (OMISSIS), ha evidenziato l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti del (OMISSIS), legato al capo clan (OMISSIS) da un legame fiduciario, in ordine alla sua partecipazione al pestaggio del (OMISSIS) al fine di costringerlo a rivelare il nome del suo complice nell'attentato dinamitardo del 28 settembre 2021, alle ricerche di (OMISSIS) ordinate dal capo clan e alle successive riunioni finalizzate ad organizzarne l'omicidio e, infine, alla sua esecuzione. Ha ritenuto, inoltre, che le modalita' e le circostanze delle condotte criminose, i forti legami fiduciari con il capo clan (OMISSIS) e gli altri esponenti dello stesso, fossero sintomatiche della abitualita' e professionalita' nel delinquere e attestassero la sussistenza di un elevato rischio di recidivanza. 2. Avverso detta ordinanza, il difensore di fiducia dell'indagato, avvocato (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi sviluppati unitariamente, con cui lamenta: 1) l'erronea applicazione dell'articolo 274, lettera c) in relazione all'articolo 275 c.p.p., comma 3; 2) la violazione di legge, il vizio di motivazione e l'erronea valutazione della prova con riguardo alle intercettazioni ambientali; 3) la manifesta illogicita' della motivazione. 2.1. Secondo il ricorrente, la motivazione dell'ordinanza impugnata si risolverebbe nella mera affermazione della valenza probatoria delle intercettazioni ambientali registrate all'interno dell'abitazione di (OMISSIS), disattendendo le risultanze emerse dalla consulenza tecnico balistica e soprattutto dalla consulenza trascrittiva di dette intercettazioni. In particolare, il perito fonico della difesa aveva evidenziato la sostanziale inutilizzabilita' di alcune registrazioni perche' incomprensibili, a causa della presenza di molti soggetti, della sovrapposizione di voci e del fatto che le conversazioni captate si svolgevano in dialetto, nonche' la mancanza di una identificazione certa dei presenti, ivi compreso del (OMISSIS), vittima della violenza. La consulenza balistica aveva, inoltre, escluso la possibilita' di ricondurre i rumori metallici contenuti nelle intercettazioni allo scarrellamento di un'arma automatica o semiautomatica a causa dell'inquinamento acustico e degli effetti di rifrazione dei suoni. 2.2. Nessuna delle intercettazioni ambientali consentirebbe di riconoscere la presenza del (OMISSIS) alle riunioni presso l'abitazione del (OMISSIS), ne' di individuare il suo eventuale contributo alla commissione dei reati contestati. L'ordinanza impugnata, inoltre, non avrebbe argomentato in ordine al ruolo rivestito dal ricorrente all'interno del sodalizio criminale, limitandosi ad affermare la natura fiduciaria del rapporto che lo legava ai vertici del clan (OMISSIS). Proprio l'assenza di identificazione certa dei soggetti presenti nell'abitazione del (OMISSIS) evidenzierebbe le divergenze tra la consulenza trascrittiva e i brogliacci di ascolto della polizia giudiziaria, dai quali soltanto emergerebbero elementi attestanti le condotte addebitate al ricorrente. Da cio' deriverebbe, secondo la difesa, l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, anche con riguardo al reato di cui all'articolo 416-bis c.p.. 2.3. Quanto alle esigenze cautelari e, specificamente, al pericolo di reiterazione di condotte della stessa specie, il Tribunale del riesame non avrebbe tenuto conto degli elementi a favore dell'indagato quali il tenore e il contenuto delle intercettazioni, la giovane eta' del ricorrente e l'assenza di precedenti penali specifici. Inoltre, non avrebbe motivato in ordine alla doglianza con cui il difensore aveva denunciato la mancanza di attualita' della misura cautelare disposta. 3. Con successiva memoria, il ricorrente ha proposto un motivo aggiunto, con il quale ha dedotto la violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 3, l'omessa motivazione e il travisamento della prova in relazione alle intercettazioni ambientali. La difesa, oltre a richiamare le considerazioni gia' svolte nel ricorso in ordine al ritenuto pestaggio del (OMISSIS) finalizzato a conoscere l'autore del lancio dell'ordigno contro la casa di (OMISSIS), ha evidenziato che, in sede di interrogatorio reso ex articolo 64 c.p.p. il 20 maggio 2022, il (OMISSIS) ha chiarito di non aver mai subito alcun pestaggio e di essere stato impropriamente accostato all'intera vicenda. 4. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile. 2. Occorre preliminarmente rilevare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', il sindacato che questa Corte e' chiamata a svolgere sulla motivazione del provvedimento cautelare personale e' circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza di illogicita' evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. 3, n. 30056 del 25/02/2021, Martella, Rv. 282232 - 01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 1999, Sabatini, Rv. 212565). L'ordinamento, infatti, non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui e' stata richiesta l'applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimita', in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 - 01; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 - 01). In sostanza, il controllo di legittimita' sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale e' diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo; tale controllo, pertanto, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito. 3. Cio' premesso, si rileva che il Tribunale del riesame di Napoli, dopo aver ricostruito il contesto criminale in cui e' maturato l'omicidio di (OMISSIS) e i legami di costui con il clan (OMISSIS), ed aver individuato le ragioni dell'omicidio nella partecipazione del (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), all'attentato dinamitardo contro l'abitazione del capo clan (OMISSIS), ha esaminato la posizione dei singoli indagati, tra cui quella di (OMISSIS). A tal fine, l'ordinanza impugnata ha fondato la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sull'analitico esame delle intercettazioni ambientali effettuate presso l'abitazione del (OMISSIS), dalle quali ha desunto la partecipazione del ricorrente sia al pestaggio del (OMISSIS) per costringerlo a rivelare il nome del suo complice nell'attentato dinamitardo, sia alla successiva organizzazione ed esecuzione dell'omicidio del (OMISSIS). 4. Venendo ad esaminare le censure svolte dal ricorrente, si rileva come esse si risolvano essenzialmente nella affermazione di inattendibilita' della interpretazione del materiale captativo, sia perche' il loro contenuto sarebbe difficilmente comprensibile, a causa della sovrapposizione di diverse voci e dell'utilizzo del dialetto napoletano da parte degli interlocutori, sia infine per la assenza di identificazione certa dei soggetti. 4.1. Tali censure esulano dall'ambito della valutazione spettante a questa Corte. Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita', costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). 4.2. Cio' posto, ritiene il Collegio che la censura relativa alla asserita diversita' tra le captazioni trascritte e i colloqui che risultano dai brogliacci della polizia giudiziaria sia affatto generica, non indicando, specificamente, le registrazioni cui si riferisce, ne' in cosa consista la dedotta diversita' di contenuto. Lo e' ancor piu' laddove si afferma la "quasi inutilizzabilita'" con riferimento ad "alcune registrazioni", in ragione della distanza degli interlocutori dalla microspia, senza alcuna ulteriore indicazione di quali siano le conversazioni contestate e senza la specificazione in ordine al se esse siano state valutate dall'ordinanza impugnata per desumerne la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, considerato altresi' che numerose sono le intercettazioni su cui il Tribunale fonda la propria valutazione. 4.3. Nel caso di specie, l'ordinanza impugnata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari, riconducendoli ad unita' e, con motivazione assolutamente logica, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in ordine ai reati allo stesso contestati. Ed invero, dopo aver correttamente inquadrato i reati nell'ambito della vendetta della famiglia (OMISSIS) nei confronti del clan (OMISSIS) in relazione all'attentato dinamitardo compiuto la sera del 28 settembre 2021 presso l'abitazione di (OMISSIS), il Tribunale ha evidenziato come dalle intercettazioni delle conversazioni svoltesi presso l'abitazione di costui nei giorni successivi all'attentato, sia emersa l'attivita' di ricerca degli autori dell'atto e il pestaggio del (OMISSIS) (individuato come uno degli autori attraverso la visioni delle riprese delle telecamere di sicurezza) finalizzato a costringerlo a rivelare il nome del complice, nonche' l'organizzazione dell'assassinio del (OMISSIS). L'ordinanza impugnata, inoltre, ha dato analiticamente conto della partecipazione del (OMISSIS) a tutte queste attivita', risultando la sua presenza dalle stesse intercettazioni. Il Tribunale ha, altresi', avuto cura di spiegare le modalita' di identificazione degli interlocutori, precisando, quanto al ricorrente, che egli era gia' stato intercettato nell'ambito dell'attivita' investigativa demandata alla medesima polizia giudiziaria e che percio' la sua identificazione era basata sull'esperienza di ascolto del medesimo. 4.4. Priva di pregio e', altresi', la censura prospettata con i motivi aggiunti con la quale sono state prodotte le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) in sede di interrogatorio. Trattasi infatti di un elemento di fatto successivo al provvedimento impugnato il quale non puo' essere valutato in questa sede, potendo al piu' fondare una richiesta di modifica della misura da avanzarsi al giudice del merito. 5. Il motivo di ricorso concernente la sussistenza ed attualita' delle esigenze cautelari e' del tutto generico e risulta percio' inammissibile. Pur volendo prescindere dall'impreciso riferimento al reato di cui all'articolo 416-bis c.p., il quale non risulta contestato al (OMISSIS) riguardando l'incolpazione provvisoria e l'ordinanza impugnata unicamente l'aggravante del metodo mafioso di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., si osserva come il ricorrente si e' limitato a dedurre che il Tribunale non avrebbe tenuto conto, ai fini della valutazione del pericolo di reiterazione, della giovane eta' del ricorrente e dell'assenza di precedenti specifici. Si tratta di contestazioni prive di specificita', a fronte della argomentata e puntuale motivazione con la quale l'ordinanza impugnata giustifica la ritenuta sussistenza del pericolo di recidivanza, individuandola nelle modalita' della condotta criminosa tenuta dal (OMISSIS), le quali evidenziano non solo la sua professionalita' nel delinquere, ma anche il suo stabile inserimento nel contesto delinquenziale e il rapporto fiduciario con i vertici del clan (OMISSIS), nonche' la disponibilita' di armi e il loro utilizzo. 6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa n ella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Poiche' dalla presente decisione non consegue la rimessione in liberta' del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato trovasi ristretto perche' provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo 94. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - rel. Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza n, 197/2072 del Tribunale di Rimini del R febbraio 2072; letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GFNTTI T; sentito il PM, in persona dei Sostituto Procuratore generale Dott. Fulvio BALDI, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso; sentita, altresi', per il ricorrente, l'avv.ssa (OMISSIS), del foro di Roma, in sostituzione dell'avv.ssa (OMISSIS), del Foro di Rimini, la quale ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO Il Tribunale di Rimini, con sentenza pronunziata in data 8 febbraio 2022, ha dichiarato la penale responsabilita' di (OMISSIS) in ordine al reato di cui all'articolo 659 c.p. in quanto, nella qualita' di gestore dell'esercizio commerciale recante la insegna "(OMISSIS)", operante in (OMISSIS) ((OMISSIS)), "mediante schiamazzi della clientela e rumori delle apparecchiature", disturbava il riposo di tale (OMISSIS), dimorante nell'appartamento posto al piano superiore rispetto al citato esercizio commerciale, e lo ha, pertanto, condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 200,00 di ammenda, oltre accessori, ivi compreso il risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, articolando a tale fine 4 motivi di impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente si e' doluto, assumendone la adozione in violazione di legge, in relazione al punto della sentenza con il quale era stata disposta la sospensione condizionale della sua esecuzione. Con il secondo motivo ha lamentato, sempre con riferimento alla violazione di legge, il fatto che, premessa la qualificazione del fatto a lui ascritto nell'ambito della ipotesi contravvenzionale di cui al comma 2 dell'articolo 659 c.p., il giudicante non abbia indicato alcuna disposizione di legge ovvero altro provvedimento della autorita' che sarebbe stato violato dal prevenuto nello svolgimento della sua attivita' imprenditoriale. II ricorrente ha, altresi', lamentato it fatto che - dovendo rilevarsi la sussumibilita' del fatto a lui ascritto piuttosto che nel comma 2 dell'articolo 659 c.p. nella fattispecie di cui al comma 1 - si sarebbe dovuto assolvere l'imputato quanto al reato a lui formalmente contestato, cioe' l'ipotesi di cui al comma 2 della citata disposizione, per insussistenza del fatto, senza la possibilita' per la Corte di riqualificare la condotta ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, stante la giurisprudenza formatasi in ambito di Corte Edu sulla prevedibilita' della riqualificazione del fatto ne' di annullare la sentenza con rinvio, al fine di far contestare nelle forme opportune l'ipotesi di cui al comma 1 dell'articolo 659 c.p., in quanto in tale modo si sarebbe integrata una ipotesi di reformatio in pejus della sentenza impugnata. Infine, con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto l'intervenuta depenalizzazione della fattispecie di cui all'articolo 659 c.p. a seguito della entrata in vigore della L. n. 447 del 1995. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso, in parte fondato, deve essere accolto nella misura che sara' meglio di seguito precisata. Ritiene il Collegio, in primo luogo, opportuno, anche in considerazione di una certa fumosita' della contestazione giudiziale mossa a carico del prevenuto, precisarne, alla luce del dato testuale in essa evidenziabile, il reale contenuto. Osserva, infatti, il Collegio che la disposizione codicistica la cui violazione e' stata ascritta al ricorrente presenta un articolato contenuto; infatti, essa prevede come penalmente illecita, al comma 1, fra l'altro la condotta di chi, mediante schiamazzi o rumori disturba le occupazioni o il riposo delle persone; mentre al comma successivo e' sanzionata la condotta di chi, esercitando un mestiere od una professione rumorosa, violi una prescrizione di legge ovvero dell'Autorita'. Fatta questa prima premessa si osserva - esaminando le problematiche che il caso presenta secondo un ordine prioritario di carattere logico - in primo luogo che il capo di imputazione mosso all' (OMISSIS) indica formalmente quale norma violata il comma 2 dell'articolo 659 c.p.; tuttavia tale indicazione non deve intendersi come tale da segnare un confine invalicabile per l'indagine del giudice, posto che, per costante giurispruden2:a della Corte regolatrice, l'ambito del capo di imputazione non e' delimitato dalla indicazione della norma violata ma lo e' dalla descrizione del fatto, in ipotesi costituente reato, che con esso viene attribuito all'imputato (si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione I penale, 9 luglio 2019, n. 30141; idem Sezione III penale, 4 febbraio 2014, n. 5469). Cio' detto si osserva che, in sede di descrizione del fatto costituente reato, all' (OMISSIS) e' stata contestata sia la condotta delineata dal comma 1 dell'articolo 659 c.p., laddove e' detto che lo stesso mediante gli schiamazzi della clientela (rette: non impedendo gli schiamazzi della clientela, essendo quello di impedire tali schiamazzi, tanto piu' se nottu(OMISSIS)i, un dovere del soggetto che, come chi svolga un'attivita' commerciale, e' portatore di una posizione di garanzia rispetto al comportamento dei terzi avventori dell'esercizio da lui condotto, sanzionato, ove inottemperato, ai sensi dell'articolo 40, comma 2, c.p., cfr: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1.5 dicembre 20L6, n. 53102; anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 maggio 2020, n. 14750) disturbava anche in orario notturno âEuroËœI riposo delle persone, segnatamente della parte civile (OMISSIS), sia quella di cui al comma 2, laddove e' precisato che il disturbo alla quiete delle persone proveniva nelle ore notturne dal rumore delle apparecchia lire installate all'interno del locale bar da lui gestito. In tale modo profilato il campo della contestazione mossa all'imputato si rileva quanto alla condotta di cui al comma 2 che la stessa e' penalmente rilevante in quanto essa sia realizzata nell'esercizio di un mestiere od una professione che siano di per se' rumorosi; ora, come in passato e' stato rilevato, la nozione di "professione o mestiere rumoroso" non va valutata in astratto, ma in concreto, nel senso che qualsiasi attivita' lavorativa puo' essere qualifirata mestiere rumoroso, ai sensi dell'articolo 659, comma 2, cod.. pen., qualora sia produttiva, per le modalita' con cui si svolge e per i mezzi di cui si avvale, di rumori fastidiosi che superino la normale tollerabilita' (Corte di cassazione, Sezione I penale, 17 settembre 1987, n. 9838), di tal che, deve ritenersi che, in via astratta, anche la gestione di un bar, tanto pita' ove accompagnata anche dallo svolgimento dell'attivita' di torrefazione del caffe' e di fabbricazione e conservazione delle creme gelate, puo' rientrare nella nozione di "mestiere rumoroso" (non vale richiamare in senso opposto quanto emergente dalla massima ufficiale di Corte di cassazione, Sezione III penale 24 giugno 2022, n. 24397, nella quale si legge: âEuro˜âEuroËœnon rientrando âEuroËœla gestione di un bar (...) tra le professioni o i mestieri rumorosi", posto che, a ben vedere, nel testo della sentenza ora richiamata tale rigorosa asserzione non appare affatto formulata); tuttavia, acciocche' tale attivita', pur caratterizzata da una peculiare rumorosita', travalichi i confini del fatto civilmente rilevante (si veda, infatti, l'articolo 844 c.c. il quale prevede la liceita' delle immissioni sonore nei limiti della normale tollerabilita', valutata, peraltro, tenendo conto sia delle esigenze della produzione sia della eventuale priorita' temporale di un uso produttivo del fondo immittente) e' necessario che, nell'esercizio di essa, siano anche violate delle specifiche previsioni di legge ovvero delle disposizione impartite dalle Autorita' competenti (si immagini il caso in cui sia consentito lo svolgimento di un'attivita' commerciale solo in determinati gio(OMISSIS)o ovvero in determinate ore o, comunque, sino ad una determinata ora del giorno o della notte oppure il caso in cui non sia consentita, per effetto di ordinanze locali, una particolare concentrazione in talune zone urbane di determinate tipologie di esercizi commerciali). Come, infatti, questa Corte ha precisato l'esercizio di una attivita' o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui all'articolo 10, comma 2, della L. n. 447 del 1995, qualora' si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma 1 dell'articolo 659 c.p., qualora il mestiere o l'attivita' vengano svolti eccedendo dalle normali modalita' di esercizio, ponendo cosi' in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma 2 dell'articolo 659 c.p., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorita' che regolano l'esercizio del mestiere o della attivita', diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 447 del 1995 (cfr., infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 dicembre 2017, n. 56430; idem Sezione III penale, 9 febbraio 2015, n. 5735). Cosi' delimitato il campo di azione della ipotesi contravvenzionale di cui al comma 2 dell'articolo 659 c.p., si rileva che nel caso di specie non e' stato indicato nel capo di imputazione, ne' essa e' in qualche modo ricavabile dall'esame del testo della motivazione della sentenza impugnata, quale sarebbe stata la norma di legge ovvero la disposizione della Autorita' (diverse da quelle relative ai valori limite di emissione sonore) che, nella gestione della sua attivita' commerciale, l' (OMISSIS) avrebbe violato. Di tal che, limitatamente a tale contestazione, la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini, non essendo risultata integrata la previsione legislativa precettiva, deve essere annullata senza rinvio, stante la insussistenza del fatto di reato ascritto al prevenuto. Venendo a questo punto all'esame delle doglianze aventi ad oggetto l'erronea qualificazione giuridica del fatto, per come prospettata dal ricorrente con il terzo motivo di impugnazione, si rileva che la stessa di per se' non avrebbe alcun pregio, posto che, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, gia' in sede di formulazione del capo di imputazione, il fatto risulta essere stato descritto come violativo sia del secondo che del comma 1 dell'ad, 659 cod, pen,.; illuminante e',. in tal senso, il riferimento agli "schiamazzi" della clientela, con il quale richiamo testualmente ci si riporta alla ipotesi astratta descritta nel comma 1 dell'articolo 659 c.p.. Pertanto, il riferimento alla impossibilita' di riqualificazione del fatto di fronte a questa Corte sulla base delle giurisprudenza della Corte Edu in materia di prevedibilita' della contestazione e di divieto di eseguire tale riqualificazione "a sorpresa", senza cioe' dare all'imputato la possibilita' di interloquire su di essa, e' del tutto fuori luogo, posto che nel caso di specie la contestazione elevata a carico del prevenuto gia' descriveva il fatto a lui attribuito come integrativo anche della condotta contravvenzionale di cui a comma 1 dell'articolo 659 c.p.. Vi e', piuttosto, da verificare - trattandosi di indagine da eseguire anche ex officio, pur in assenza di censure sul punto, in ogni stato e grado del procedimento (cfr.: Corte di cassazione, Sezione V penale, 16 giugno 2021, n. 23689) - una volta rettamente considerata la contestazione mossa all' (OMISSIS), la eventuale incidenza che sulla procedibilita' di essa ha avuto la recente introduzione del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, nel testo risultante a seguito della entrata in vigore del Decreto Legge n. 162 del 2022, convertito con modificazioni con L. n. 199 del 2022. Come e' noto, infatti, onde realizzare, in materia di giurisdizione penale, gli scopi del cosiddetto "Piano nazionale di ripresa e resilienza" (comportanti l'effetto di ridurre entro l'anno 2026 del 25% la durata media dei processi penali) il legislatore con il citato Decreto Legislativo n. 150 del 2022 ha, fra l'altro, esteso il regime di procedibilita' a querela di parte per un ampio numero di reati, in particolare, contro il patrimonio e contro la persona. Fra tali reati, sul dichiarato presupposto che anche per essi si tratti di "reati contro la persona" - pur ad onta del fatto che si tratti di reati inseriti nel Libro III, Titolo I, Capo I, Sezione I del codice sostanziale, in cui sono previste e punite, fra le altre, le "contravvenzioni conce(OMISSIS)enti (...) la tranquillita' pubblica" - sono state inserite - con scelta fino ad ora priva di precedenti e tale da costituire, pertanto, un o'nag - due ipotesi di reato contravvenzionale, cioe' quelle previste dall'articolo 660 c.p. e, appunto, dal comma 1 dell'articolo 659 c.p.. Ora, a prescindere dai problemi applicativi che una tale scelta legislativa potrebbe porre, in particolare con riferimento alla seconda delle ipotesi criminose sopra indicate (uno per tutti: la procedibilita' officiosa e' ristabilita nel caso in cui il reato "sia commesso nei confronti di persona incapace per eta' o per infermita'", cosa che e', quanto meno, di problematico accertamento considerato che la fattispecie di cui ora ci si interessa e' penalmente rilevante laddove essa sia anche solo potenzialmente idonea a coinvolgere negativamente un numero indeterminato di persone - cfr., infatti, fra le molte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 20113, n. 45262; idem Sezione I penale, 28 febbraio 2012, 7748 - di tal che ove fosse presentata una denuncia non avente le caratteristiche della querela, per verificare se si tratta di reato procedibile o meno sarebbe necessario verificare se fra i potenziali soggetti danneggiati vi sono persone che "per eta' o per infermita'" siano "incapaci", espressione quest'ultima anch'essa dogmaticamente di vago significato, non essendo chiaro a quale genere di capacita' essa si riferisca), e' indubbio che la stessa, trattandosi di disposizione di carattere processuale introducente in regime giudiziario piu' favorevole all'imputato, e' applicabile anche ai processi in corso, fra questi compresi anche quelli pendenti in grado di legittimita'. A riprova di tale, peraltro ineludibile, deduzione vi e' la previsione contenuta nell'articolo 85, comma 1, del Decreto Legislativo n. 150 del 2022, secondo la quale "per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato". Si tratta, pertanto, di disposizione in linea di principio applicabile a tutti i reati per i quali sia gia' in corso il processo (si sottolinea sul punto la meritoria immediata abrogazione della originaria previsione, contenuta nel testo primigenio dell'articolo 85 del dIg= n. 150 del 2022, la quale prevedeva, per i reati per i quali gia' era stata esercitata la azione penale, una macchinosa e dispendiosa modalita' di informazione delle persone offese dal reato della facolta' di esercitare il diritto di querela, con decorrenza del termine per tale esercizio dalla data - quanto meno variabile da caso a caso, oltre che legata alla incertezza della reperibilita' di tali persone offese - in cui l'informazione fosse stata recapitata al destinatario) dovendosi considerare che, secondo la previsione rispettivamente dell'articolo 419, comma 1, e dell'articolo 552, comma 3, c.p.p., la persona offesa, essendo destinataria o della richiesta di rinvio &giudizio dell'imputato formulata dal Pm ovvero della diretta citazione a giudizio del medesimo ad opera del Pm nei casi previsti dall'articolo 550 c.p.p., gia' sia stata cosi' informata del fatto costituente reato. Si soggiunge, per altro verso, che il considerare la persona offesa informata del fatto costituente reato nei modi di cui sopra in relazione ai giudizi gia' pendenti, potrebbe non essere pienamente appagante proprio in relazione al reato per il quale si procede il quale, avendo come potenziali soggetti passivi una pluralita' indeterminata di individui, ben difficilmente puo' consentire la notificazione degli atti dianzi segnalati a tutte le possibili "parti offese". Ma una tale problematica non si pone, tuttavia, nella presente fattispecie per le ragioni che ora saranno illustrate. Ed, invero - considerata la previsione di cui al ricordato articolo 85, comma 1, del Decreto Legislativo n. 150 del 2022 - dovrebbe ritenersi che, laddove nel termine previsto per la presentazione della querela, cioe' i tre mesi decorrenti, giusta la generale previsione di cui all'articolo 124, comma 1, c.p., dalla data di entrata in vigore del citato Decreto Legislativo n. 150 del 2022, debba essere celebrato il processo o, comunque, tenuta un'udienza di esso, i procedimenti penali interessati dalla ricordata novita' normativa, non dovrebbero essere trattati, onde dare al soggetto che vi abbia interesse, la possibilita' di godere integralmente dello spatium deliberandi a lui concesso per valutare se procedere o meno alla presentazione del conquesto; infatti, laddove gli stessi fossero trattati durante tale periodo il loro destino, con grave nocumento per la persona offesa che non si sia ancora querelata, sarebbe segnato dovendo necessariamente ad essi essere applicato l'articolo 129, comma 1, c.p.p. con l'obbligo per il giudice di pronunziare immediatamente il proscioglimento dell'imputato stante la mancanza della condizione di procedibilita'. Ritiene, tuttavia, il Collegio che una tale esigenza, pur in assenza di formale querela nel caso che ora interessa, non sia oggetto di una scelta ineludibile. Ed invero, come in passato questa Corte ha gia' avuto occasione di puntualizzare, poiche' la sussistenza della volonta' di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari, essa, puo' essere, pertanto, riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del favor querelae (Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 gennaio 2022, n. 2665). Nel novero di tali atti puo' essere ricompresa, sempre secondo la interpretazione di questa Corte, anche la costituzione di parte civile od anche la semplice riserva di costituirsi parte civile (cfr.: Corte di cassazione, Sezione II penale, 7 febbraio 2020, n. 5193, principio espresso proprio in relazione ad un reato divenuto procedibile a querela di parte nelle more del giudizio). Pertanto, quanto al caso di specie, la mancanza di querela - infatti essa non e' stata rinvenuta in atti - non inficia la procedibilita' del presente giudizio, stante la costituzione di parte civile di due fra Ile persone offese e, pertanto, anche danneggiate dal reato. Privo di pregio e' il quarto motivo di impugnazione, essendo del tutto consolidata l'indicazione giurisprudenziale secondo la quale l'effetto di depenalizzazione e, pertanto, la degradazione a mero illecito amministrativo delle condotte comportanti immissioni sonore superiori alla normale tollerabilita', determinatosi in occasione della entrata in vigore della legga n. 447 del 1995, recante "Legge quadro sull'inquinamento acustico", si verifica esclusivamente nella ipotesi in cui le immissioni sonore, senza comportare la lesione, neppure potenziale al bene della quiete pubblica, superino, tuttavia, i limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia (per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 dicembre 2017, n. 56430); nel nostro caso, percio', stante l'accertata violazione non tanto dei parametri normativi quanti di quelli riferiti alla tutela del bene interesse "quiete pubblica" protetto dalla norma ora in discussione (accertamento questo operato dal Tribunale riminese, frutto di una verifica empirica rimessa al suo discrezionale apprezzamento trattandosi di circostanza di fatto: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 marzo 2015, n. 11031), si e' chiaramente al di fuori dell'ambito applicativo della ipotesi di mero illecito amministrativo invocata da parte del ricorrente. Al parziale accoglimento del ricorso proposto dall' (OMISSIS) consegue, come accennato: a) l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riguardo al reato di cui all'articolo 659, comma 2, c.p., stante l'insussistenza del fatto; b) l'annullamento della sentenza impugnata relativamente al trattamento sanzionatorio derivante dalla commissione della residua contravvenzione di cui al comma 1 del medesimo articolo 659 c.p., con rinvio al Tribunale di Rimini in diversa composizione personale, per la rideterminazione di esso; c) il rigetto degli altri motivi di impugnazione non afferenti alla ipotesi di reato ritenuta insussistente, e l'assorbimento del motivo di impugnazione avente ad oggetto la dichiarata sospensione condizionale della pena, dovendo lo stesso, essere riesaminato ex novo in esito alla rideterminazione della pena in sede di giudizio di rinvio. Visto l'articolo 624 c.p.p. la pronunzia avente ad oggetto la responsabilita' dell' (OMISSIS) in ordine al reato di cui all'articolo 659, comma 1, c.p. va dichiarata definitiva. PQM Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condotta riconducibile alla fattispecie di cui all'articolo 659, comma 2, c.p., perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato, E con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio per le residue condotte, qualificate ai sensi dell'articolo 659, comma 1, c.p., al Tribunale di Rimini,, in diversa composizione, per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6367 del 2020, proposto da: Ba. 3 S.r.l. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Da. Li., Fr. Sb., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Da. Li. in Roma, via (...); contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Asl Roma 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Al., Gl. Di Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 7706/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Asl Roma 1; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2022 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Po., in delega dell'Avv. Li., Si. e Di Gr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Con atto notificato in data 3 agosto 2020 e depositato in pari data Ba. 3 S.r.l. ed altri hanno interposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 7706/2020 con cui: -è stato considerato inammissibile e comunque infondato nel merito il ricorso introduttivo proposto avverso la Determinazione Dirigenziale di Roma Capitale, Municipio Roma I, prot. CA/12335/2018 del 22 gennaio 2018, avente ad oggetto "Ordine di Cessazione attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande a carico della BA. 3 SRL - Locale sito in Piazza di (omissis) ang. Via (omissis)", con cui è stata ordinata "la cessazione dell'attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nei locali siti in Piazza di (omissis), ang. Via (omissis), entro quindici (15) giorni dalla data di notifica del presente atto" ed i relativi atti presupposti; - è stato dichiarato inammissibile, quanto alla posizione della Ba. 3 S.r.l., ed improcedibile nei confronti della Ro. s.r.l. ed, in ogni caso, infondato nel merito il primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso la nota di Roma Capitale, Municipio Roma I, prot. n. CA/2018/53154, avente ad oggetto "comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. Ca/2018/31219 del 17/02/2018 presentata da Ro. S.R.L."; - è stato in parte accolto ed in parte rigettato il secondo ricorso per motivi aggiunti proposto avverso la nota di Roma Capitale prot. n. CA/2018/84450, avente ad oggetto "Comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. CA/2018/57241 del 27/03/2018" e, per l'effetto, è stata annullata detta nota comunale nella (sola) parte in cui estendeva la propria portata interdittiva ad attività di somministrazione non collegata a processi di cottura; - è stata rigettata la domanda risarcitoria azionata. 2. Dagli atti di causa risulta quanto di seguito specificato. 2.1. Con contratto d'affitto d'azienda rogato in data 23 novembre 2016 per atto Notar Pi., la Ge. 20. S.r.l. (di seguito anche solo "Ge.") ha concesso in affitto alla Società Ba. 3 S.r.l. (di seguito anche solo "BA. 3") l'attività di somministrazione di alimenti e bevande corrente in Roma, alla Piazza (omissis), sotto l'insegna "Ristorante-Pizzeria Pa." (di seguito anche solo "Attività "). Prima ancora che la Ge. la concedesse alla BA. 3, l'Attività era stata concessa in affitto d'azienda, dalla stessa Ge., alla Gi. 20. S.r.l. (di seguito anche solo "Gi."). L'attività in questione era ed è svolta in un immobile che non dispone di canna fumaria, né presenta la possibilità di installarla. Pertanto i fumi prodotti dall'attività di cottura vengono convogliati in un apposito impianto a carboni attivi che, dopo averli depurati, li espelle all'esterno. 2.2. In data 15 settembre 2016, quando ancora l'attività era gestita dalla Gi., la Polizia di Roma Capitale notificava alla stessa il Verbale di accertamento n. 81150030000, con il quale veniva contestata "la violazione amministrativa di cui all'art. 64, regolamento d'igiene del Comune di Roma, in relazione alla norma 10683/12 perché, quale legale rappresentante della suindicata Società autorizzata all'esercizio di ristorante disponeva di una cucina in esercizio allestita con macchina di cottura alimentata a gas ed altre apparecchiature di cottura, forno elettrico, bollitore, privo di canna fumaria", con irrogazione di sanzione in misura ridotta, pari ad euro cento, provvedimento questo impugnato con ricorso mero gerarchico. 2.3. Successivamente, con nota prot. 5311 del 12 gennaio 2017, notificata in data 6 febbraio 2017, Roma Capitale, Municipio Roma I, Unità Organizzativa Amministrativa Sportello Unico per le Attività Produttive comunicava alla Gi. l'avvio del procedimento di cessazione dell'attività di somministrazione, limitatamente all'attività di cucina con cottura dei cibi. In particolare l'Ufficio rappresentava che la ASL Roma A, con nota prot. 19880 del 9 marzo 2015 aveva evidenziato che "la normativa vigente, art. 64 del regolamento di igiene del Comune di Roma (adottato con Delibera di Consiglio Comunale n. 7395/1932 (di seguito anche solo "Regolamento")) e la NORMA UNI EN 13779/08, prevedono ancora l'obbligo di captazione delle esalazioni e dei fumi provenienti dalla cottura degli alimenti attraverso cappa aspirante convogliata in una canna fumaria, esterna e prolungata oltre la sommità del tetto di copertura dello stabile ove insiste l'attività ". 2.4. Detto procedimento, cui partecipava la BA. 3, nel frattempo subentrata nella gestione dell'attività, producendo articolata memoria difensiva, non veniva portato a compimento in quanto Roma Capitale avviava un nuovo procedimento, notificando alla BA. 3, in data 10 agosto 2017 la nota prot. CA137594 del 4 agosto 2017, con la quale comunicava "l'avvio del procedimento di cessazione dell'attività di somministrazione, limitatamente all'attività di cottura dei cibi", alla luce del rapporto amministrativo prot. VA/88494/17 del 7 giugno 2017, con cui il Comando Generale di Polizia di Roma Capitale accertava che la BA. 3 avrebbe effettuato "processi di cottura" senza che il locale nel quale era svolta l'attività fosse dotato di canna fumaria, rinviando per il resto alla citata nota ASL Roma A prot. 19880 del 9 marzo 2015. 2.4.1. La BA. 3 partecipava anche a questo procedimento, inviando articolata memoria di controdeduzioni e nelle more, con atto rogato in data 4 ottobre 2017, acquistava la totalità delle quote della Ge.. 2.4.2. Roma Capitale Municipio Roma I adottava quindi la Determinazione Dirigenziale prot. CA/12335/2018 del 22 gennaio 2018, avente ad oggetto "Ordine di Cessazione attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande" oggetto del ricorso introduttivo in prime cure, motivato per relationem, richiamando il contenuto della citata nota prot. 19880 del 9 marzo 2015 dell'Azienda U.S.L. Roma A. 2.4.3. Successivamente, con contratto di subaffitto di azienda rogato per atto Notar Pi. in data 31 gennaio 2018, la BA. 3 subaffittava l'azienda alla società Ro. S.r.l., la quale presentava agli Uffici di Roma Capitale la SCIA di subingresso, quale attuale esercente dell'attività . 2.4.4. Pertanto sia BA. 3, destinataria del provvedimento di cessazione dell'attività di cottura, che Ro., subaffittuaria presentavano ricorso al Tar capitolino avverso l'indicata Determinazione Dirigenziale prot. CA/12335/2018. 2.5. Successivamente alla presentazione di detto ricorso introduttivo, Roma Capitale notificava nota prot. CA/2018/53154, diretta alla subaffittuaria Ro., con cui inibiva lo svolgimento dell'attività dichiarata nel locale indicato nella segnalazione di inizio attività di ristorante-pizzeria, per le medesime ragioni già evidenziate nel provvedimento adottato in precedenza a carico della BA. 3 ed oggetto del ricorso introduttivo di prime cure. 2.5.1. Anche tale secondo provvedimento veniva quindi impugnato innanzi al Tar capitolino, tanto da BA. 3 che da Ro. con un (primo) ricorso per motivi aggiunti. 2.6. Peraltro, nelle more della notifica del ricorso per motivi aggiunti, Ro. presentava, per mero errore, secondo quanto dalla stessa dedotto, ulteriore S.C.I.A. in subingresso, di identico tenore a quella già presentata. 2.6.1. In riscontro ad essa Roma Capitale adottava pertanto a carico di Ro. la nota prot. CA/2018/84450, con la quale ne comunicava l'inefficacia, ribadendo in maniera pedissequa i contenuti della nota CA/2018/53154 del 21 marzo 2018, peraltro inibendo non soltanto l'attività di cottura, ma anche l'attività di somministrazione tout court; pertanto le ricorrenti in prime cure richiedevano rinvio dell'udienza fissata per la trattazione dell'incidente cautelare per impugnare anche detta nota con (ulteriore) ricorso per motivi aggiunti, invitando peraltro il G.A, adito ad adottare un provvedimento cautelare volto a delimitare l'ambito delle dichiarazioni di inefficacia delle SCIA presentate da Ro. alla sola attività di cottura. Pertanto il Tar per il Lazio, con l'Ordinanza n. 3244/2018 del 31 maggio 2018, rinviava la discussione dell'istanza cautelare a data da destinarsi, precisando che "la nota municipale del 21.3.2018 prot. n. CA/2018/53514, notificata via pec in pari data, già gravata con i primi motivi aggiunti, avente ad oggetto "comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. Ca/2018/31219 del 17/02/2018 presentata da Ro. S.R.L.", deve ritenersi interdittiva della sola attività di cottura dei cibi nell'ambito dell'attività di esercizio di somministrazione di cibi e bevande già sanzionata con la determinazione gravata in via principale". 2.6.2. Con secondo ricorso per motivi aggiunti, le ricorrenti impugnavano anche la nota prot. CA/2018/84450 del 8 maggio 2018, chiedendone la sospensione. 2.7. Le ricorrenti in prime cure peraltro rinunciavano alle istanze cautelare avanzate con i ricorsi per motivi aggiunti, ritenendo che nelle more del giudizio il loro interesse all'esercizio dell'attività di somministrazione di cibi e bevande con attività di cottura - avendo nel frattempo Ro. presentato in via cautelativa ulteriore SCIA per lo svolgimento di attività di gastronomia fredda, non oggetto di alcuna interdizione - fosse tutelato con la richiesta cautelare presentata a corredo del ricorso introduttivo. 2.7.1. Detta istanza cautelare veniva peraltro rigettata dal Tar con ordinanza 3 agosto 2018, n. 4834/2018. 2.7.2. Le ricorrenti presentavano pertanto appello cautelare avverso tale ordinanza a questo Consiglio di Stato, che con ordinanza della Sezione, 30/10/2018 n. 05293, accoglieva l'istanza cautelare "stante la non manifesta infondatezza del fumus e la ricorrenza obiettiva del periculum", disponendo come in analoghe controversie, l'espletamento di una verificazione tecnica per chiarire se l'impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla società appellante fosse idoneo, alla stregua della normativa, multilevel vigente, a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell'aria della città, in alternativa alla via di fumo tradizionale, e cioè mediante canna fumaria, affidando l'incombente istruttorio all'ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. 2.7.3. Avuto riguardo all'intervenuto accoglimento dell'istanza cautelare, in data 5 novembre 2018, Ro. presentava apposita SCIA funzionale all'espletamento dell'attività di cottura, precisando "che la suddetta SCIA va in sostituzione della precedente SCIA per Subingresso attività di Somministrazione, Protocollo CA/2018/57241 del 27/03/2018, resa Inefficace dal Comune di Roma in data 08/05/2018 con protocollo CA/2018/84450 e della Successiva SCIA per Subingresso attività di Somministrazione Gastronomia Fredda protocollo CA/2018/139361 del 20/07/2018 (a tutt'oggi in essere), in virtù dell'Ordinanza del Consiglio di Stato sul ricorso numero di registro generale 7844 del 2018, proposto da: Ba. 3 S.r.l., e Ro. S.r.l., di cui si allega Copia". 2.8.L'ISPRA con la relazione di verificazione, demandata in sede di appello cautelare da questa Sezione, depositata in data 15 gennaio 2019, riteneva che "L'impianto filtrante deve essere quindi migliorato attraverso l'attuazione di quanto precedentemente richiesto per il mantenimento di una prestazione di abbattimento dei COV che consenta una efficienza di filtrazione globale intorno al 90%.Tuttavia, rispetto all'invio alla canna fumaria `tal qualè dei fumi di cottura, i dispositivi attualmente installati consentono pur sempre un abbattimento efficiente, ancorché con un tempo di contatto limitato a 0,125 secondi in condizioni di massima portata. Di fatto i dispositivi installati risultano validi come alternativa all'invio in canna fumaria, per la minor quantità di inquinanti immessi nell'aria dell'ambiente urbano e quindi con minori impatti sulla qualità dell'aria della città , concludendo infine nel senso che "Da quanto sopra esposto, si evince la necessità che il filtro debba avere una efficienza almeno del 90 % sia sulle sostanze particolate (filtro e prefiltro), sia sulle sostanze organiche prodotte durante la cottura, ciò in quanto detta efficienza è oggigiorno realizzabile senza eccessivi oneri. Per mantenere efficienti nel tempo i parametri minimi richiesti è categoricamente necessaria una costante e rigida manutenzione del sistema filtrante sia per le sostanze particolate, sia soprattutto per lo stadio filtrante a carboni attivi. Per avere la garanzia dell'efficienza prescritta sul carbone attivo, si devono riscontrare almeno due condizioni essenziali: 1) una temperatura dei fumi al di sotto dei 40 ° C sul letto di carbone attivo 2) un tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivo di almeno di 1 secondo. La prima condizione viene rispettata in quanto, è vero che i fumi di cottura hanno una temperatura elevata, ma la grande capacità di portata della cappa aspirante pari a circa 8.000 Nmc/h, serve a garantire i necessari ricambi orari richiesti per mantenere un giusto microclima per gli operatori addetti alla cottura dei cibi presenti in cucina, ma abbassa la temperatura dei fumi aspirati nettamente sotto i 40 ° C richiesti. Relativamente alla seconda condizione richiesta, si rileva che l'impianto di filtrazione a carboni attivi presente nell'attività esercita dal ricorrente, pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell'inquinante per solo 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile. La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno 1 secondo. In parole semplici, il flusso d'aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi, raggiungere l'efficienza richiesta stimata dagli scriventi intorno 90 %. Il sistema di filtrazione può quindi essere migliorato in modo da poter garantire un "tempo di contatto" di almeno un secondo e quindi un'efficienza del 90% con: 1. Progettazione corretta rispettando i parametri più volte richiesti nel presente parere 2. Manutenzione: relativamente al buon funzionamento del sistema filtrante, si precisano i requisiti minimi da garantire: a) Registro dei consumi giornalieri e delle ore di esercizio; b) Sistema di assoggettamento dello smaltimento dei filtri a carbone attivo come Rifiuti speciali pericolosi come richiesto dalla normativa; c) Tenuta dei Formulari di Identificazione del rifiuto correttamente smaltito (FIR); 3. Controlli - occorre prescrivere gli accertamenti sull'efficienza del sistema filtrante che dovranno essere eseguiti da un'ente terzo (in analogia al Bollino Blu delle caldaie termiche o sistema equivalente). Tutto quanto sopra, fatte salve le verifiche sanitarie ed amministrative". 2.9. Nelle more della decisione del ricorso di primo grado, Roma Capitale, con Deliberazione dell'Assemblea Capitolina, n. 12 del 5 marzo 2019 modificava il Regolamento di Igiene, aggiungendo - dopo il più volte richiamato art. 64 - l'art. 64-bis, con il quale ha per la prima volta vengono determinate le condizioni per l'utilizzo, da parte delle attività di somministrazione, di strumenti alternativi alla tradizionale via di fumo attraverso canna fumaria, che al comma 5 prevede "in occasione della prima manutenzione straordinaria dell'impianto e comunque entro due anni dall'entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina". 3. Con la sentenza oggetto del presente gravame, il Tar pur scrutinando nel merito tutte le censure, in quanto oggetto comunque anche del secondo ricorso per motivi aggiunti, riteneva il ricorso introduttivo inammissibile per la "carenza di legittimazione ad agire di entrambe le parti proponenti il ricorso introduttivo", il primo ricorso per motivi aggiunti inammissibile quanto a BA. 3 ed improcedibile quanto a Ro., in quanto proposto avverso un provvedimento (la nota di comunicazione di inefficacia della SCIA del 21 marzo 2018) superato dalla nota di ana contenuto notificata da Roma Capitale in data 8 maggio 2018, oggetto del secondo ricorso per motivi aggiunti, mentre accoglieva il secondo ricorso per motivi aggiunti limitatamente alla sola parte dell'indicata nota di Roma Capitale, prot. n. CA/2018/84450, avente ad oggetto "Comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. CA/2018/57241 del 27/03/2018" che aveva esteso la propria portata interdittiva ad attività di somministrazione non collegata a processi di cottura. 4. In particolare il Tar con la sentenza appellata, nel rigettare le censure proposte avverso il provvedimento di inibizione dell'attività di cottura, ha richiamato il proprio orientamento tradizionale, in ragione del quale, in base alla normativa applicabile, l'utilizzo di strumenti alternativi alle vie di fumo tradizionali dovrebbe essere oggetto di preventiva autorizzazione amministrativa, dando peraltro atto del diverso indirizzo del Consiglio di Stato. Quanto alla verificazione disposta da questa Sezione in sede di appello cautelare, il TAR ne ha contestato sia l'impostazione del quesito (che avrebbe concentrato l'oggetto dell'indagine su aspetti ambientali, trascurando quelli relativi al diritto alla salute), sia il soggetto incaricato di svolgere la verificazione (l'Ispra), in quanto privo di competenze, rappresentando comunque che, nel caso di specie, la verificazione avrebbe dato un esito non completamente favorevole all'esercente (per l'inadeguatezza di uno dei parametri dell'impianto alternativo, concernente il tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivo). Ha commentato inoltre l'entrata in vigore della deliberazione n. 12 del 5 marzo 2019, contenente una nuova disposizione del Regolamento comunale d'igiene (art. 64 bis), interpretandone il testo conformemente alla posizione assunta reiteratamente dallo stesso Tar (secondo cui gli impianti alternativi alla canna fumaria devono essere preventivamente autorizzati e quindi anche la norma transitoria che ne consente un adeguamento alla nuova disciplina si riferirebbe soltanto agli impianti già autorizzati, quale non sarebbe quello di specie). Ha inoltre ritenuto che la presentazione da parte di Rodester di apposita SCIA funzionale all'espletamento dell'attività di cottura in esito all'adozione dell'Ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sebbene non oggetto di apposita inibitoria, non determinasse la cessazione della materia del contendere. Ha infine rigettato la domanda risarcitoria. 5. Con il presente appello, presentato oltre che dalle originarie ricorrenti in prime cure, anche da Ip. Co. S.r.l., divenuta in data 11 dicembre 2018 cessionaria dell'attività pur avendo in pari data provveduto ad affittare l'azienda a Ro., le parti articolano avverso la sentenza di prime cure, in quattro motivi le seguenti censure: I. Ingiustizia della sentenza per violazione, falsa applicazione degli art. 100 e 111 cod. proc. civ.; violazione, falsa applicazione, degli artt. 2555 e ss. cod. civ.; violazione, falsa applicazione dell'art. 73, comma 3, cod. proc. amm; violazione degli artt. 24 e 111 cost.; perplessità e contraddittorietà intrinseca della motivazione. In tesi di parte appellante la sentenza di primo grado sarebbe errata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo proposto avverso la nota del 22 17 gennaio 2018, con cui era stata ordinata nei confronti di BA. 3 - all'epoca affittuaria dell'azienda di proprietà di Ge. - la cessazione dell'attività di cottura per la mancanza nel locale di canna fumaria per carenza di interesse alla decisione sia di BA. 3, sia di Ro.. Le appellanti, pur evidenziando come le censure siano state comunque scrutinate nella disamina del secondo ricorso per motivi aggiunti, lamentano come la declaratoria di inammissibilità, in quanto avvenuta senza il previo avviso di rito di cui all'art. 73 comma 3 c.p.a., sia comunque violativa di tale disposto. Assumono come detta declaratoria sia in ogni caso erronea, non avendo il primo giudice debitamente considerato l'interesse all'impugnativa tanto di BA. 3, destinataria del provvedimento oggetto di gravame prima che la stessa provvedesse a subaffittare l'azienda a Ro., quanto di quest'ultima, in quanto subaffittuaria dell'attività ed intestataria della licenza (in virtù della SCIA depositata il 17 febbraio 2018). II. Violazione, falsa applicazione dell'art. 19 l. 7 agosto 1990, n. 241; Violazione, falsa applicazione dell'art. 34, comma 5, cod. proc. amm.; Violazione degli artt. 24 e 111 cost.; perplessità, contraddittorietà della motivazione. Con il presente motivo le appellanti contestano il capo della sentenza secondo cui la presentazione di una nuova SCIA all'esito dell'ordinanza di questa Sezione resa in sede di appello cautelare, non integrava una causa di cessazione della materia del contendere, nonostante la stessa non fosse stata oggetto di ulteriore provvedimento inibitorio da parte di Roma Capitale, evidenziando al contrario come, non avendo Roma Capitale mosso alcuna osservazione a detta SCIA, anche solo al fine di condizionare l'ampliamento delle utilità assentite dalla licenza amministrativa alla conferma da parte del TAR del provvedimento cautelare rilasciato dal Consiglio di Stato, dovesse per contro considerarsi definitivamente assentita la SCIA di subingresso presentata da Ro. in data 5 novembre 2018 prot. n. CA/2018/211145. III. Ingiustizia della sentenza per erronea applicazione dell'art. 7, comma 2, lettera d) della l.r. Lazio 29 novembre 2006, n. 21; erronea applicazione dell'art. 12 del r.r. Lazio 19 gennaio 2009, n. 1; erronea applicazione degli artt. 64 e 64-bis della delibera di Consiglio Comunale di Roma Capitale n. 7395/1932, successivamente aggiornata con delibera del 2 gennaio 1949, recante il regolamento d'igiene di Roma capitale; erronea applicazione dell'art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241. In tesi di parte appellante la sentenza di prime cure sarebbe erronea per non avere correttamente applicato la normativa indicata in rubrica, come interpretata in numerosi arresti di questo Consiglio di Stato. Segnatamente in tesi di parte appellante la normativa vigente ratione temporis consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici "purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti"; pertanto Roma Capitale, prima di vietare l'utilizzo dei sistemi alternativi, sarebbe tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare, anche ex post, non potendo inibire l'esercizio dell'attività in assenza della doverosa verifica- Per contro il Tar aveva erroneamente ritenuto di individuare nel coacervo normativo di riferimento (reso ancor più complesso dall'inadempimento di Roma Capitale nell'adozione del regolamento di cui all'art. 7 della L.R. 21/2009) l'impossibilità di accedere a sistemi alternativi di smaltimento dei fumi di cottura, salva la previa autorizzazione rilasciata caso per caso dall'amministrazione competente, ritenendo inoltre, erroneamente, che l'oggetto dell'indagine non potesse essere limitato ai profili ambientali (gli unici considerati dalla normativa vigente), ma dovesse estendersi anche ai profili inerenti il diritto alla salute. Pertanto, in tesi di parte appellante, sarebbe del tutto arbitrario ipotizzare la necessità del rilascio da parte del Municipio di un "permesso" all'utilizzo di filtri a carboni attivi, previa verifica della relativa funzionalità da parte degli uffici comunali o della ASL. Inoltre, secondo la prospettazione di parte appellante, non sussistendo alcun obbligo normativo di espulsione dei fumi di cottura attraverso la canna fumaria, né alcun l'obbligo di preventiva autorizzazione da parte dell'amministrazione all'utilizzo di strumenti alternativi, i quali potrebbero, semmai, essere vietati ove non garantiscano l'abbattimento degli agenti inquinanti, i provvedimenti gravati in prime cure sarebbero illegittimi, non potendo lo svolgimento dell'attività di cottura essere inibito esclusivamente sulla base della mera presa d'atto della mancanza nel locale di una canna fumaria. In tesi di parte appellante la Deliberazione dell'Assemblea Capitolina n. 12 del 5 marzo 2019, che ha introdotto nel Regolamento di Igiene di Roma Capitale l'art. 64 bis, darebbe ex post piena conferma della conformità alla normativa precedente dei sistemi di captazione dei fumi di cottura alternativi alla canna fumaria, non potendo al riguardo condividersi la considerazione del primo giudice secondo cui il riferimento allo ius superveniens contenuto nella memoria d'udienza avrebbe integrato una nuova (e pertanto inammissibile) censura, atteso che con tale deliberazione l'assemblea capitolina, nell'introdurre disposizioni più restrittive, faceva comunque salvi gli impianti attualmente in uso, prescrivendo loro di adattarsi alla nuova normativa in occasione della prima manutenzione straordinaria e, comunque, entro due anni dall'entrata in vigore della nuova disposizione, come evincibile dal comma 5. In tesi di parte appellante, non essendo ancora decorsi i due anni dall'entrata in vigore della nuova disciplina, l'impianto a carboni attivi da essa utilizzato per l'attività di cottura dei cibi, dovrebbe considerarsi del tutto legittimo. IV. Ingiustizia della sentenza impugnata per erronea applicazione dell'art. 7, comma 2, lettera d) della l.r. Lazio 29 novembre 2006, n. 21; erronea applicazione dell'art. 12 del r.r. Lazio 19 gennaio 2009, n. 1; erronea applicazione degli artt. 64 e 64-bis della delibera di consiglio comunale di Roma Capitale n. 7395/1932 recante il regolamento d'igiene di Roma capitale; erronea applicazione dell'art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; violazione, falsa applicazione, degli artt. 99, 112 e 115 cod. proc. civ.; erronea applicazione dell'art. 97 della Costituzione; difetto di presupposti in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità ed irragionevolezza, travisamento. In tesi di parte appellante in ogni caso la sentenza di prime cure sarebbe erronea, per non avere debitamente considerato la funzionalità ed efficienza dell'impianto in più di un'occasione rappresentate al Municipio in sede procedimentale, senza che comunque l'Ufficio avesse provveduto ad alcuna verifica o riscontro, neppure a valle degli accertamenti compiuti dal verificatore nominato in sede di appello cautelare da parte di questo Consiglio di Stato. L'efficienza dell'impianto peraltro, secondo parte appellante, sarebbe stata positivamente vagliata anche in sede di verificazione disposta con l'indicata ordinanza cautelare da parte di questo Consiglio di Stato, dovendo la piena idoneità alla stregua della normativa vigente ritenersi sussistente a prescindere dai suggerimenti dati dal Verificatore per il miglioramento dell'impianto. Peraltro, in tesi di parte appellante, il primo giudice, nel discostarsi dalle risultanze della verificazione, non avrebbe delibato alcuna eccezione di parte, ma avrebbe proceduto d'ufficio. 6. Parte appellante ha inoltre riproposto in questa sede l'istanza risarcitoria, nella sussistenza a suo dire di tutti i presupposti dell'illecito aquiliano, ovverosia l'illiceità dell'azione amministrativa, attestata dalla manifesta assenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento di inibizione dell'attività di cottura, la colpa del soggetto pubblico agente (pur non necessaria, in tesi attorea, nell'ottica di integrare la responsabilità ) nonché il nesso di causa tra la condotta dell'Amministrazione e i pregiudizi patiti dalle ricorrenti. Il calo del fatturato, imputabile in tesi attorea alla illegittima sospensione dei processi di cottura, evincibile dalla documentazione allegata per il periodo in cui i provvedimenti interdittivi avevano avuto esecuzione, ovvero dal 23 gennaio 2018 (data in cui era stato notificato il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo) al 25 ottobre 2018 (data di ottenimento della sospensiva da parte del Consiglio di Stato), ammonterebbe, secondo parte appellante complessivamente a circa euro 400.000,00. 7. Si è costituita Roma Capitale eccependo preliminarmente l'inammissibilità dell'appello, violativo dei limiti dimensionali fissati dal Decreto Presidenziale del Consiglio di Stato n. 167/16 e ss.mm.ii, ex artt. nn. 3 e 8, siccome esorbitante dal limite dei caratteri e del numero di pagine ivi fissati, per la parte eccedente tali limiti, in assenza della preventiva autorizzazione presidenziale. 7.1. Nel merito ha insistito per il rigetto dell'appello e dell'istanza cautelare, nonché della domanda risarcitoria. 8. Si è del pari costituita la A.S.L., eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva sulla base del rilievo che la nota prot. n. 19880 del 09.03.2015 della Asl Roma A (oggi Asl Roma 1) richiamata nelle Determinazioni Dirigenziale di Roma Capitale oggetto di impugnativa, impugnate dalle appellanti insieme ai provvedimenti dell'Amministrazione Capitolina, sia unicamente una nota generica, di riscontro ad una richiesta di parere in merito all'obbligo di utilizzo della canna fumaria per le attività di somministrazione di alimenti dove si svolge la cottura dei cibi, non avente carattere vincolante. Né tantomeno questa nota, secondo la A.S.L., conteneva alcuna proposta di provvedimento di chiusura dell'attività di somministrazione di cibi e bevande svolta dalle ricorrenti. 8.1. Nel merito ha insistito per il rigetto dell'appello. 9. L'istanza cautelare presentata a corredo dell'atto di appello è stata accolta dalla Sezione, dapprima con decreto cautelare n. 4714/2020 e successivamente con ordinanza cautelare n. 5480/2020 alla stregua degli indicati rilievi "Considerato che, ad una sommaria delibazione propria della fase cautelare ed alla luce delle risultanze della verificazione effettuata dall'ISPRA, sussistono i presupposti per l'accoglimento della articolata istanza cautelare". 10. La Sezione, all'esito dell'udienza pubblica del 16 settembre 2021 fissata per la trattazione di merito, ha adottato, in data 27 settembre 2021, ordinanza collegiale n. 6506/2021, con cui ha disposto un supplemento di verificazione, da affidare ai verificatori dell'ISPRA dott. ing. Ga. Ba. e dott. ing. Ma. To., autori della relazione di verificazione depositata in data 18 gennaio 2019, al fine di chiarire "se l'impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla parte appellante risulti idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell'aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale". 11. I tecnici incaricati della verificazione hanno provveduto al deposito della relazione in data 29 marzo 2022, precisando come in entrambe le due zone di lavoro prese in considerazione - locale cucina e locale forno - si avrebbe il rispetto della qualità dell'aria esterna, ciò in quanto l'aria da depurare ricircola continuativamente nei "locali confinati" senza creare alcuna depressione, per cui viene rispettato quanto richiesto dall'Art. 64 bis del Regolamento di Igiene di Roma Capitale, per questa via, laddove, relativamente alla garanzia di un corretto microclima nei luoghi di lavoro del pari richiesto dall'Art. 64 bis del Regolamento, pur non spettando ai Verificatori incaricati l'effettuazione di detto controllo (essendo peraltro l'impianto andato in esercizio solo al momento del 3^ Sopralluogo come prova tecnica di funzionamento), poteva esprimersi parere favorevole per il locale cucina, mentre per il locale forno di cottura, rimaneva necessaria anche la verifica del microclima durante una fase lavorativa tipica, reale o simulata, 'ope legis'. Hanno pertanto concluso nel senso che "per la equivalenza necessitano 2 circostanze che sono state verificate: 1) La qualità dell'aria esterna, che va bene, in quanto dal Locale non esce nulla di inquinante significativo. 2) Il microclima interno per chi ci lavora, su cui permangono ancora alcuni dubbi, anche se soltanto sul locale Pizzeria del nuovo Forno di cottura elettrico, perché il microclima in quella area di cottura non è stato possibile misurarlo, né risulta di competenza degli scriventi. Da quest'ultimo punto di vista, i Verificatori incaricati non possono non consigliare un filtro migliore per il nuovo Forno di cottura, con controlli adeguati da parte degli Enti competenti in materia (Asl Roma 1). Come considerazione conclusiva, la presente Verificazione Tecnica esperita chiarisce che l'impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla società appellante risulta idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell'aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale", alla stregua della normativa vigente, ma per ritenere idoneo il sistema di filtrazione adottato è necessario effettuare una indagine microclimatica almeno nel locale forno-pizzeria ed, a seguito dei risultati, confermare o meno la bontà del sistema di filtrazione adottato. Detta indagine dovrebbe essere effettuata dopo che gli impianti saranno messi in esercizio, e quindi a regime. A tale riguardo occorre fare una deduzione sull'impiego del sistema di filtrazione adottato, ovvero sull'impiego del carbone attivo, sul mantenimento della sua efficienza reale di filtrazione così come installato, e della organizzazione di un sistema manutentivo adeguato, come descritto nel nuovo progetto indicato in Annesso 2". 12. In vista della trattazione di merito dell'appello, Roma Capitale ha prodotto articolata memoria difensiva, instando nei rilievi di inammissibilità e di infondatezza dell'appello già formulati e deducendo in ordine alla non rilevanza della nuova relazione di verificazione, in quanto fondata sulla sopravvenienza dell'art. 64 bis del Regolamento d'Igiene non posto a base degli atti impugnati in prime cure ed in quanto nel corso dei tre sopralluoghi effettuati non si era potuta verificare la reale funzionalità degli impianti. 12.1. Parte appellante con la memoria di replica ha precisato come l'impianto a carboni attivi attualmente istallato ed oggetto della verificazione disposta da questa Sezione in sede di merito sia diverso da quello oggetto dei provvedimenti impugnati in primo grado, la cui efficienza era stata peraltro valutata, a suo dire, con la precedente verificazione, disposta in sede di appello cautelare. Pertanto in tesi di parte appellante, essendo attualmente in funzione un nuovo impianto, molto più performante del precedente, dovrebbe essere Roma Capitale a valutare la necessità di riesercizio del potere, al fine di valutare se il nuovo impianto rispetti i requisiti richiesti dalla sopravvenuta normativa di cui all'art. 64 bis del Regolamento d'Igiene. 12.2. Ha pertanto concluso nel senso di difetto di interesse alla decisione relativamente all'azione impugnatoria proposta in prime cure, fermo rimanendo l'interesse alla decisione ai fini dell'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati per lo scrutinio della domanda risarcitoria, a suo dire meritevole di pieno accoglimento, stante tra l'altro l'assenza di puntuali contestazioni ad opera di Roma Capitale. 12.3. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 20 ottobre 2022. DIRITTO 13. In limine litis va precisato come l'oggetto dell'odierno appello, avuto riguardo anche alle risultanze della verificazione che depongono nel senso che gli impianti di cottura attualmente in uso presso il locale di cui è causa, siano diversi da quelli oggetto dei provvedimenti impugnati in prime cure, come del resto precisato da parte appellante, debba essere limitato all'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati in prime cure, ai fini della delibazione dell'istanza risarcitoria, non sussistendo più l'interesse alla scrutinio della domanda impugnatoria, per essere i predetti atti riferiti ad un impianto non più esistente, avendo parte appellante inteso sostituire i vecchi impianti di cottura per adeguarsi alla normativa sopravvenuta di cui all'art. 64 bis del Regolamento di Igiene e Sanità di Roma Capitale, quale introdotto con Deliberazione dell'Assemblea Capitolina n. 12 del 5 marzo 2019. 13.1. Pertanto sarà onere di Roma Capitale rieditare, ove ritenuto necessario, avuto riguardo anche alle risultanze della verificazione depositata in fase di merito, il potere amministrativo al fine di verificare se il nuovo impianto, essendo decorso il periodo transitorio di due anni concesso agli esercizi che già disponevano di sistemi alternativi alla canna fumaria, rispetti le prescrizioni dettate dalla normativa sopravvenuta, nel rispetto peraltro delle competenze ben evidenziate da tale sopravvenuta normativa. Ed invero detta norma regolamentare, rubricata "Emissioni provenienti da attività non residenziali che effettuano cottura alimenti" adottata dall'Assemblea capitolina in attuazione di quanto disposto dall'art 7, comma 2, Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21 nonché di quanto prescritto dall'art. 12 Regolamento regionale 19 gennaio 2009, n. 1, di attuazione della citata normativa, dispone: "1. Le emissioni provenienti da attività, non residenziale, di cottura di alimenti in cui si usino attrezzature quali forni, cucine ed assimilabili, devono essere captate e convogliate in appositi condotti di espulsione (camini, canne fumarie ed assimilabili) esterni alle mura dell'edificio o in apposito cavedio, costruite secondo le norme di buona tecnica. Le bocche terminali dei condotti di espulsione devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti (e comunque alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente), e ai parapetti posti a distanza inferiore a 10 metri. Le bocche dei condotti situate a distanza compresa fra 10 e 50 metri da aperture di locali abitati, devono essere a quota non inferiore a quella del filo superiore dell'apertura più alta diminuita di un metro, per ogni metro di distanza orizzontale eccedente i 10 metri. Non è consentita la collocazione degli esiti dei condotti di espulsione in corrispondenza di terrazzi costituenti pertinenza di unità immobiliari. 2. È possibile installare apparati tecnologici diversi da quelli prescritti al comma 1, qualora sia stabilita, dagli enti competenti, l'incompatibilità del condotto della canna fumaria con la tutela o la salvaguardia degli edifici e dei contesti urbani di pregio artistico-architettonico, e subordinatamente alle seguenti condizioni: a) attività le cui emissioni siano definite scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico ai sensi del TU Ambiente - D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.; b) cottura degli alimenti con sole apparecchiature elettriche; c) esclusione delle attività di friggitoria, in quanto attività ricadenti tra quelle classificate come industrie insalubri di seconda classe. 2.1. Laddove siano state verificate tutte le condizioni di cui al precedente comma, in alternativa al sistema di scarico a tetto dei fumi/vapori di cottura, potranno essere adottati apparati tecnologici di aspirazione e filtrazione ed abbattimento delle emissioni (sia della componente volatile che corpuscolata) contenute negli effluenti. Il sistema di filtrazione ed abbattimento delle emissioni di cui trattasi dovrà essere progettato in funzione delle caratteristiche delle emissioni da trattare e delle modalità di esercizio dell'apparato, la cui idoneità è accertata dalla omologazione e dalla progettazione specifica dell'impianto complessivo. L'effluente aeriforme trattato, dovrà essere re-immesso nel locale confinato senza alcuna espulsione nell'atmosfera esterna e senza pregiudizio per il microclima, l'acustica e la salubrità dell'aria e degli ambienti in cui sono installate le apparecchiature stesse. Il progetto del suddetto apparato dovrà essere elaborato e firmato da tecnico abilitato il quale dovrà anche dichiarare la conformità dell'impianto installato sia al progetto che alle condizioni prestazionali indicate al comma 2 e alle norme vigenti in materia; inoltre dovrà essere identificato il soggetto che svolge la manutenzione dell'apparato, preferibilmente lo stesso installatore. L'impianto complessivo dovrà essere progettato ai sensi delle norme di settore vigenti e nel rispetto dei seguenti requisiti minimi: - conformità di ciascun componente tecnologico agli standard normativi (omologazione e certificazione di efficienza tecnica da parte di organismi abilitati e competenti in materia); - il fluido derivante dall'eventuale presenza nell'impianto di uno stadio di trattamento ad umido, dovrà essere scaricato direttamente in fognatura previa realizzazione di un pozzetto d'ispezione dedicato esclusivamente allo scarico e tale fluido dovrà essere certificato dal tecnico conforme a quanto previsto in merito alla regolamentazione sugli scarichi di cui al D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.; - le caratteristiche tecnico-funzionali dell'impianto dovranno essere tali da evitare ogni pregiudizio per il microclima e la salubrità dell'aria dei locali in cui sono installate le apparecchiature stesse, nel rispetto della normativa vigente per la tutela dei lavoratori e la sicurezza alimentare; - un piano di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto redatto dal progettista secondo le peculiarità dello specifico impianto in relazione alle condizioni di esercizio, che gestore/proprietario/responsabile dovrà sempre dimostrare di aver eseguito. 2.2. Nel caso in cui il funzionamento dell'intero impianto e/o gli accorgimenti tecnici previsti dal piano di manutenzione non siano sufficienti a garantire le condizioni di salubrità dell'ambiente di lavoro, di igiene degli alimenti e/o l'assenza di eventuali molestie olfattive al vicinato, dovranno essere previste misure tecnico-funzionali aggiuntive. In tal caso è fatto obbligo al gestore/proprietario/responsabile predisporre un piano di risanamento, elaborato e debitamente sottoscritto da un tecnico abilitato, atto a rimuovere le criticità riscontrate. 3. La verifica del mantenimento delle condizioni di conformità sotto l'aspetto microclimatico e della salubrità dell'aria presente nei locali in cui sono svolte le attività disciplinate dal presente articolo è effettuata dagli Organi di controllo e vigilanza individuati dalla vigente normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Restano a carico degli organi di vigilanza e controllo dell'Amministrazione - Polizia Locale di Roma Capitale - quelli, esclusivamente di tipo documentale relativi alla completezza della documentazione, ivi compreso il contratto di manutenzione con ditta specializzata nel settore, preferibilmente lo stesso installatore, ed alla regolare tenuta del registro delle manutenzioni effettuate secondo il piano di manutenzione allegato al progetto e parte integrante dello stesso. 4. Sono fatti salvi tutti gli ulteriori obblighi di legge a carico del responsabile dell'attività e dell'impianto (acquisizione di autorizzazioni, pareri, nulla osta e/o atti di assenso). Il titolare dell'esercizio è tenuto a mantenere nel luogo dove viene svolta l'attività copia del piano di manutenzione ed esibirlo a richiesta degli organi preposti al controllo. 5. In occasione della prima manutenzione straordinaria dell'impianto e comunque entro due anni dall'entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina. Per l'accertamento delle violazioni al presente articolo sono competenti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 13 della L. 689/1981. 6. In violazione del presente articolo, verrà applicata la sanzione prevista per l'art. 64 del Regolamento d'Igiene - approvato con deliberazione n. 7395/1932 - stabilita nella tabella C, allegata alla deliberazione del C.C. n. 210/2003. Per l'accertamento delle violazioni al presente articolo sono competenti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 13 della L. 689/1981. 7. Qualora nel corso delle attività di verifica e vigilanza vengano accertate le violazioni alle disposizioni del presente articolo, fatta salva l'applicazione delle sanzioni previste dalla vigente normativa di settore, il Municipio territorialmente competente dovrà invitare il Responsabile ad adeguarsi alle prescrizioni del verbale e, in caso di inadempimento, potrà valutare l'eventuale sospensione dell'esercizio dell'attività o la revoca dell'autorizzazione". 14. Pertanto lo scrutinio della legittimità degli atti impugnati in prime cure, necessitato dalla persistenza dell'interesse alla decisione sulla domanda risarcitoria, va effettuato avendo riguardo alla normativa ratione temporis vigente, potendo al più il sopravvenuto art. 64 bis essere analizzato in via meramente interpretativa della precedente normativa relativamente alla problematica della legittimità dei preesistenti impianti di smaltimento dei fumi alternativi alla canna fumaria. 14.1. Ciò posto, avuto riguardo peraltro all'infondatezza della domanda risarcitoria, nel senso di seguito precisato, può prescindersi dalla disamina dell'eccezione di inammissibilità dell'appello per superamento dei limiti dimensionali massimi consentiti in assenza di previa autorizzazione presidenziale. 15. Deve in primo luogo osservarsi come il primo motivo di appello, riferito al capo della sentenza che ha ritenuto il ricorso introduttivo inammissibile per difetto di interesse, sia inammissibile per difetto di interesse avendo il Tar capitolino comunque affrontato, nell'esaminare il secondo ricorso per motivi aggiunti, basato sulle stesse censure di merito, valutato anche l'infondatezza delle doglianze ivi articolate, come peraltro emergente chiaramente anche dal dispositivo della sentenza appellata che ha giudicato il ricorso introduttivo non solo inammissibile ma anche infondato; pertanto, avendo comunque il Tar capitolino valutato le doglianze ricorsuali nel merito non si rendeva necessario il previo avviso di rito di cui all'art. 73 comma 3 c.p.a. come peraltro palesato dal capo della sentenza in cui si precisa. "Ciò nonostante il Collegio non intende esentarsi dallo scrutinio dei due articolati mezzi di gravame ivi rassegnati; è solo che tale trattazione può essere posposta per essere affrontata con lo scrutinio del secondo ed ultimo dei ricorsi accessori promossi; e ciò in quanto in ciascuno dei (due) ricorsi accessori vengono testualmente riprodotte le doglianze descritte nel precedente. E tale scrutinio di cui il Collegio si fa carico consente così di ovviare alla dilazione dei tempi di definizione del giudizio (che un'ordinanza ex art. 73 c.3 C.p.a. avrebbe imposto) venendo, in ogni caso, nel proprio seno, assicurata la disamina di tutti i profili di merito sollevati da parte attrice". 16. Da rigettare è inoltre il secondo motivo di appello, con cui viene censurato il capo della sentenza che ha evidenziato come l'ulteriore presentazione da parte di Ro. di una S.C.I.A. in subingresso, all'esito dell'accoglimento dell'appello cautelare da parte di questa Sezione, non integrasse alcuna cessazione della materia del contende, sebbene la stessa non fosse stato oggetto di ulteriore provvedimento inibitorio da parte di Roma Capitale, dovendo sul punto condividersi la prospettazione del giudice di prime cure secondo cui "ove l'Amministrazione definisce il procedimento avviato su iniziativa di parte determinandosi negativamente, essa non è tenuta a ripronunciarsi su una nuova richiesta se non giustificata dal mutamento del pregresso quadro fattuale e giuridico. Altrimenti detto non può assegnarsi dignità giuridica al contegno del privato che, nella speranza di conseguire per silentium ciò che gli è stato espressamente negato, pretenda che l'amministrazione debba destinare proprie risorse di mezzi e personale alla reiterazione - senza il supporto di alcuna circostanza sopravvenuta - di iniziative già procedimentalmente istruite e definite". 16.1. Al riguardo va precisato come non integrasse fatto sopravvenuto, in grado di giustificare la presentazione di una nuova S.C.I.A., il mero accoglimento da parte di questa Sezione in sede di appello cautelare dell'istanza cautelare, la cui funzione non poteva che essere quella di sospendere l'efficacia del provvedimento interdittivo già adottato nelle more della definizione del merito del giudizio di primo grado, avuto riguardo alla natura strumentale e temporanea delle misure cautelari. 17. Il terzo e quarto motivo di appello sono invece parzialmente fondati nel senso di seguito precisato. 18. Ed invero la sentenza appellata, nel rinviare ai plurimi precedenti della Sezione nonché all'ordinanza cautelare di rigetto - sebbene riformata da questa Sezione - ha ritenuto che "al fine di superare il vincolo imposto dall'art. 64 del regolamento d'igiene del Comune di Roma e relativo all'obbligo di installazione della canna fumaria, non può considerarsi sufficiente la produzione in giudizio di una perizia circa l'idoneità dell'impianto alternativo a sostituire le vie di fumo tradizionali, dovendosi esigere l'accertamento - da parte ovviamente di professionisti che possiedono le conoscenze tecnico scientifiche idonee per effettuare, con i necessari strumenti, le misurazioni dei fumi e vapori evacuati dalla via di fumo alternativa utilizzata - che il sistema di scarico sia, concretamente, di efficienza e funzionalità tale da garantire una resa di livello pari o maggiore di quello assicurato da una via di fumo tradizionale e che tale accertamento, in sintonia con quanto previsto dall'art. 64 citato ("L'Ufficio d'Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l'uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori"), sia condotto nel procedimento amministrativo con le competenti autorità e concluso prima dell'avvio dell'attività imprenditoriale oltre che assentito nelle forme di legge (TAR Lazio - Roma n. 10778/16; TAR Lazio - Roma n. 7708/16)". 18.1 Ha inoltre ritenuto, come precisato nella parte in fatto, come l'impostazione seguita dalla Sezione, anche in sede di appello cautelare, riferita alla sola garanzia dei livelli di qualità dell'aria della città, id est alla tematica ambientale, fosse inidonea alla salvaguardia dei valori garantiti dalla normativa vigente, tesi anche alla salvaguardia del bene "salute" e della "sicurezza dei lavoratori". Ha infine ritenuto come la disposta verificazione non potesse pertanto portare a ritenere fondate le doglianza attoree non solo per la sua non pertinenza rispetto alle problematiche sottese, non avendo preso in considerazione gli aspetti igienico sanitari e dunque la materia della salute, ma anche perché la stessa non aveva dato esito completamente positivo, avendo il verificatore chiarito che per consentire al filtro utilizzato di mantenere un'efficienza di assorbimento del 90% delle sostanze organiche prodotte durante la cottura, "è categoricamente necessaria una costante e rigida manutenzione del sistema filtrante sia per le sostanze particolate sia soprattutto per lo stadio filtrante a carboni attivi"; inoltre devono coesistere due condizioni essenziali: a) una temperatura dei fumi di cottura al di sotto dei 40° Centigradi sul letto di carbone attivo (condizione questa che può essere garantita da una cappa aspirante di grande capacità la quale mantiene il giusto microclima per gli operatori addetti alla cottura e abbassa al di sotto dei 40° centigradi la temperatura dei fumi di cottura); b) un tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivi di almeno un secondo, laddove nell'impianto di filtrazione presente questa seconda condizione non si realizzerebbe in quanto lo stesso "pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell'inquinante solo per 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile". Il risultato obbiettivo conseguito è che "il flusso d'aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi, raggiungere l'efficienza richiesta stimata attorno al 90%"; ed ancora "La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno un secondo". 19. Ciò posto, con il terzo motivo di appello le appellanti lamentano l'erroneità della sentenza di prime cure sulla base del rilievo che la normativa vigente ratione temporis consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici "purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti"; pertanto Roma Capitale, prima di vietare l'utilizzo dei sistemi alternativi, sarebbe tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare, anche ex post, non potendo inibire l'esercizio dell'attività in assenza della doverosa verifica. Per contro il Tar aveva erroneamente ritenuto di individuare nel coacervo normativo di riferimento l'impossibilità di accedere a sistemi alternativi di smaltimento dei fumi di cottura, salva la previa autorizzazione rilasciata caso per caso dall'amministrazione competente, ritenendo infine che l'oggetto dell'indagine non dovesse essere limitato ai profili ambientali (gli unici considerati dalla normativa vigente), ma anche ai profili inerenti il diritto alla salute. 20. Il terzo motivo è fondato. 20.1. Ed invero il Regolamento di Igiene di Roma Capitale, approvato con deliberazione del Governatorato di Roma n. 7395 del 12 novembre 1932, all'art. 64 dispone per ciò che attiene l'utilizzo della canna fumaria, per gli esercizi in cui avvengono operazioni di cottura di alimenti con smaltimento dei fumi tramite la canna fumaria; lo stesso non deve peraltro intendersi preclusivo al ricorso di sistemi di cottura alternativi alla canna fumaria, prevedendo sic et simpliciter che "nella città (di Roma) e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere elevati al di sopra del fabbricato e, dove questo sia più basso di quelli contigui, prolungati sino ad una altezza sufficiente per evitare danno e incomodo ai vicini. Sono eccettuati da questa disposizione i fumaioli delle stufe a coke ed a gas per il riscaldamento di singoli ambienti, purché non sbocchino sotto le finestre dei piani superiori. Le canne fumarie dei forni, delle caldaie a vapore, dei caloriferi, dei focolai industriali ed impianti consimili dovranno essere totalmente esterne ed indipendenti da altre canne fumarie, tanto da escludere ogni danno ed incomodo agli abitanti. Potrà tuttavia essere consentito che le canne fumarie di caloriferi domestici o di piccoli impianti industriali siano collocate nelle scale ovvero anche all'interno di muri corrispondenti a cucine, bagni o cessi, purché lo spessore del muro, ed i muri stessi abbiano intonaco interno o tubatura a perfetta tenuta". La disposizione de qua pertanto è volta a dettare norme tecniche per fare in modo che - in un contesto fortemente urbanizzato - le canne fumarie siano realizzate in modo tale da evitare che i fumi che ne fuoriescono possano essere di disturbo ai vicini. Per quel che riguarda, invece, le attività produttive (come forni e caldaie a vapore - al tempo ancora esistenti - di attività industriali) la disposizione si limita a fare in modo che le canne fumarie utilizzate da queste ultime non siano promiscue con quelle di utenze domestiche, in modo da escludere danni o molestie agli abitanti. La disposizione, però, non impone affatto che lo smaltimento dei fumi di cottura avvenga necessariamente tramite canna fumaria, né esprime alcuna preferenza per l'utilizzo della canna fumaria rispetto ad altri sistemi di espulsione dei fumi. Al contrario, la disposizione, all'ultimo comma, prevede espressamente che "l'Ufficio d'Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l'uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori"; detta norma è da leggersi non nel senso della necessità di una previa autorizzazione per l'utilizzo di sistemi alternativi, ma nel senso che l'Ufficio potrà, caso per caso, vietare l'utilizzo della canna fumaria, imponendo il ricorso a strumenti alternativi, la cui legittimità si evince peraltro dalla successiva normativa regionale. 20.2. Infatti la Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21, che disciplina lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, all'art. 7, comma 2, prescrive che "i comuni, con propri regolamenti, nel rispetto degli istituti di concertazione e partecipazione amministrativa, disciplinano in particolare, (....), l'utilizzo, da parte dei locali in cui si svolge attività di somministrazione di alimenti e bevande, di più moderni ed ecologicamente idonei strumenti o apparati tecnologici per lo smaltimento dei fumi, di preferenza senza immissione in atmosfera, e per la diminuzione dell'inquinamento acustico, con particolare riferimento ai centri storici". Il Regolamento regionale 19 gennaio 2009, n. 1, di attuazione della citata normativa, all'art. 12 recita: "1. I Comuni, nell'ambito degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, garantiscono l'equilibrio tra le esigenze di tutela dei contesti urbani di particolare pregio artistico-architettonico e quelle di tutela della libera iniziativa economica e dei diritti acquisiti dagli esercizi già operanti all'interno dei contesti stessi. 2. Gli esercizi di cui al comma 1 possono utilizzare, in alternativa alle canne fumarie, altri strumenti o apparati tecnologici aspiranti e/o filtranti per lo smaltimento dei fumi, la cui idoneità è accertata secondo la normativa vigente in materia." La normativa regionale pertanto non impone affatto l'utilizzo della canna fumaria, ma addirittura esprime una chiara preferenza per il ricorso a strumenti alternativi che evitino l'immissione di fumi nell'atmosfera. 20.3. La Sezione, avuto riguardo al vuoto normativo vigente ratione temporis, non avendo il Comune ottemperato per lungo lasso di tempo all'adozione della norma regolamentare richiesta dall'art. 7, comma 2, Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21 e dall'art. 12 del r.r. 19 gennaio 2009, n. 1, avendovi provveduto solo con la deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 12 del 5 marzo 2019, con la quale si è provveduto ad inserire l'art. 64 bis nel Regolamento di Igiene, approvato con deliberazione del Governatorato di Roma n. 7395 del 12 novembre 1932, ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi al riguardo dai propri precedenti in materia. 20.3.1. Pertanto va chiarito che: - nessuna disposizione vigente ratione temporis impedisce in assoluto l'utilizzabilità nel centro storico di Roma di sistemi di dispersione dei fumi di cottura alternativi alla canna fumaria; - al contrario, la normativa vigente consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici "purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti"; - pertanto Roma Capitale, prima di vietare l'utilizzo dei sistemi alternativi, è tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare; - detta verifica può essere compiuta anche ex post, non sussistendo alcuna disposizione che imponga all'ufficio una verifica preventiva, essendo al contrario illegittimo ogni ordine preventivo di cessazione che non segua un'accurata istruttoria; - i profili oggetto dell'odierno contenzioso attengono chiaramente alla tematica ambientale, "mentre per eventuali inconvenienti legati ai vapori e agli odori sprigionati e convogliati nelle vicine proprietà soccorre la tutela civilistica contro le immissioni di cui all'art. 844 del codice civile" (vds. in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5870; in esatti termini Cons. Stato, Sez. V, 19 dicembre 2018, n. 7144; Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2019, n. 120; Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2019, n. 523; Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2019, n. 524; Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2711; Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2712; Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2713; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 2866; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 5869; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 5870; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, 2871). 20.3.2. Erroneo pertanto si rileva il riferimento alla tutela della salute dei lavoratori invocato nella sentenza appellata, avuto riguardo al rilievo che gli atti adottati da Roma Capitale ed oggetto del giudizio di prime cure non possono che essere vagliati alla luce delle competenze spettanti alla stessa, come chiarito anche dai verificatori con il deposito delle due relazioni di verificazione e come peraltro evincibile in via interpretativa anche dalla deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 12 del 5 marzo 2019 che nelle premesse chiarisce come "Relativamente alle competenze di igiene e tutela dei lavoratori, all'interno dei locali dove vengono effettuate attività di cottura di alimenti, gli stessi vengono eseguiti dagli organi di controllo e vigilanza, così come previsto dalla normativa vigente in materia di igiene e tutela dei lavoratori, che fa capo ai servizi SISP e SPRESAL delle AA.SS.LL., essendo materia connessa alla salute umana". 20.3.3. Nell'ipotesi di specie l'accertamento in questione non è stato affatto condotto dalla ASL, essendosi la stessa limitata con la nota richiamata nei provvedimenti di Roma Capitale, oggetto di gravame in prime cure, a fornire un mero parere tecnico, su richiesta di Roma Capitale, di carattere non vincolante, in merito all'obbligo di utilizzo della canna fumaria, senza prescrivere l'inibizione dell'attività di cottura, secondo quanto del resto evidenziato nel presente grado di appello, dalla medesima A.S.L.. 20.4. Pertanto Roma Capitale non poteva disporre l'interdizione dell'attività di cottura senza verificare in concreto se l'impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla parte appellante risultasse idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell'aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale. Neppure può ritenersi che l'obbligo di utilizzo della canna fumaria possa evincersi dalla normativa tecnica UNI EN 13779:2008, recante norme tecniche per la "ventilazione per edifici non residenziali - prestazioni richieste per la ventilazione e i sistemi di condizionamento" atteso che nessuna delle disposizioni vigenti ratione temporis che disciplinano la somministrazione di alimenti e bevande richiama (espressamente o implicitamente) la normativa UNI EN 13779:2008; deve infatti precisarsi che alle normative UNI EN non può riconoscersi alcuna efficacia precettiva diretta nell'ordinamento, salvo che la relativa applicazione non sia espressamente richiamata da leggi o regolamenti nella disciplina di specifiche fattispecie (c.f.r. al riguardo con riferimento a fattispecie similare Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5870). 20.5. Peraltro che l'interpretazione della normativa vigente ratione temporis sia quella ritenuta dalla Sezione può evincersi in via interpretativa anche dal comma 5 del sopravvenuto art. 64 bis del Regolamento di Igiene, secondo cui "in occasione della prima manutenzione straordinaria dell'impianto e comunque entro due anni dall'entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina" non potendosi ritenere che il riferimento, contenuto in tale diposto, ai sistemi alternativi ai condotti di espulsioni già in uso - come nella fattispecie di cui è causa - da adeguarsi alla normativa sopravvenuta, nel lasso di tempo indicato, siano solo quelli previamente autorizzati, dovendosi al riguardo applicare il noto brocardo secondo cui "Ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit". 20.5.1. Ciò posto, il riferimento alla sopravvenuta normativa, contenuto nella memoria di discussione delle ricorrenti in prime cure, reiterato nell'atto di appello, non può ritenersi, al contrario di quanto dedotto nella sentenza di prime cure, come formulazione di una censura nuova, riferita peraltro ad una normativa sopravvenuta, dovendosi quel riferimento intendersi operato solo a sostegno rafforzativo dell'interpretazione della normativa ratione temporis vigente. 21. Fondato è il quinto motivo di appello nella parte in cui le appellanti lamentano come Roma Capitale prima di interdire l'attività di cottura avrebbe dovuto disporre gli opportuni accertamenti istruttori, avuto riguardo anche a quanto dedotto e documentato in sede procedimentale, laddove la stessa si è limitata ad interdire l'attività di cottura senza alcun accertamento; né i necessari accertamenti sono stati effettuati dopo il deposito della verificazione disposta da questa Sezione in sede di appello cautelare. 21.1. Per contro non può essere accolta la prospettazione attorea secondo la quale la verificazione disposta in sede di appello cautelare avrebbe dato esito completamento positivo, avendo i verificatori al riguardo evidenziato perplessità relativamente alla seconda condizione richiesta, ai fini della verifica dell'efficienza prescritta sul carbone attivo, rilevando "che l'impianto di filtrazione a carboni attivi presente nell'attività esercita dal ricorrente, pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell'inquinante per solo 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile. La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno 1 secondo. In parole semplici, il flusso d'aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi, raggiungere l'efficienza richiesta stimata dagli scriventi intorno 90 %. Il sistema di filtrazione può quindi essere migliorato in modo da poter garantire un "tempo di contatto" di almeno un secondo e quindi un'efficienza del 90% con 1. Progettazione corretta rispettando i parametri più volte richiesti nel presente parere 2. Manutenzione: relativamente al buon funzionamento del sistema filtrante, si precisano i requisiti minimi da garantire: a) Registro dei consumi giornalieri e delle ore di esercizio; b) Sistema di assoggettamento dello smaltimento dei filtri a carbone attivo come Rifiuti speciali pericolosi come richiesto dalla normativa\; c) Tenuta dei Formulari di Identificazione del rifiuto correttamente smaltito (FIR). 3.Controlli - occorre prescrivere gli accertamenti sull'efficienza del sistema filtrante che dovranno essere eseguiti da un'ente terzo (in analogia al Bollino Blu delle caldaie termiche o sistema equivalente). Tutto quanto sopra, fatte salve le verifiche sanitarie ed amministrative". 22. Proprio avuto riguardo alle risultanze non completamente esaustive di tale prima verificazione pertanto la Sezione ha disposto verificazione nella presente sede di merito, le cui risultanze peraltro si sono rilevate non pertinenti ai fini della definizione del merito del presente appello, in quanto la stessa ha riguardato non l'impianto oggetto della verifica in sede di appello cautelare, ma il nuovo impianto che parte appellante ha inteso realizzare per adeguarsi alla normativa sopravvenuta di cui all'art. 64 bis del Regolamento di Igiene. 23. Nonostante l'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati in prime cure peraltro, ad avviso del collegio, nel senso dianzi precisato, non sussistono i presupposti per l'accoglimento dell'azione risarcitoria, riferito ai minori profitti che le società appellanti avrebbero avuto nel periodo di interdizione dell'attività di somministrazione di cibi e bevande con sistemi di cottura, vale a dire fino all'accoglimento dell'appello cautelare da parte di questa Sezione. 24. Come noto infatti la responsabilità civile della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, per quanto presenti caratteristiche peculiari rispetto all'illecito civile, va pur sempre ricondotta, secondo la prevalente giurisprudenza in materia, nell'alveo della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ., almeno per quanto riguarda l'identificazione dei suoi elementi costituivi: danno ingiusto, comportamento doloso o colposo, nesso di causalità tra azione ed evento (Cass. civ., SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500). 24.1 Pertanto gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo; sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati; occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.); con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per accedere alla tutela risarcitoria; occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole dell'amministrazione pubblica), l'interesse materiale al quale il soggetto aspira; ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo. Infatti l'Adunanza plenaria ha anche di recente chiarito che la responsabilità in cui incorre l'Amministrazione per l'esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7). I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono pertanto la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo. 24.2. Pertanto, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza ai fini della sussistenza di una responsabilità della p.a., causativa di danno da provvedimento illegittimo la valutazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, dovendo, al contrario, il giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell'elemento soggettivo (non del funzionario agente ma) dell'amministrazione intesa come apparato. In particolare, deve essere fornita la dimostrazione che la p.a. abbia agito quanto meno con colpa, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost.. 24.2.1. Da ciò consegue che in sede di accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione per danno a privati conseguente ad un atto illegittimo da essa adottato il giudice amministrativo può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3750). 24.2.2. E' pur vero che nella giurisprudenza si è anche affermato il principio secondo cui "in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo al soggetto privato non è richiesto un impegno probatorio per dimostrare la colpa dell'Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto in ipotesi foriero di danno e dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell'elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c...." mentre spetta "...all'Amministrazione dimostrare l'insussistenza dell'elemento psicologico, mediante la deduzione di circostanze idonee ad integrare gli estremi dell'errore scusabile" (Cons. Stato, Sez. III, 1 aprile 2015 n. 1717). Alla stregua di tale indirizzo giurisprudenziale l'illegittimità del provvedimento determina una presunzione di colpa in capo alla pubblica amministrazione, sicché l'onere probatorio a carico del richiedente può ritenersi assolto con l'indicazione di tale circostanza, mentre grava sull'amministrazione l'onere di provare l'assenza di colpa attraverso l'errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 luglio 2022, n. 5897). 24.3. Peraltro la giurisprudenza, quanto ai fattori in grado di escludere la colpa dell'amministrazione, ha individuato le seguenti ipotesi esimenti: - esistenza di contrasti giurisprudenziali nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme di riferimento; - formulazione poco chiara o ambigua delle disposizioni che regolano l'attività amministrativa considerata; - complessità della situazione di fatto oggetto del provvedimento e pertinenti difficoltà istruttorie; - illegittimità derivante dalla successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata con l'atto lesivo (Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015 n. 1683). Pertanto, ai fini dell'accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell'amministrazione, occorre avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle menzionate regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell'errore scusabile, ai sensi dell'art. 5 c.p. (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2015 n. 1099; Idem, Sez. V, 7 giugno 2013 n. 3133; Idem, Sez. VI, 6 maggio 2013 n. 2419; Idem, Sez. IV, 7 marzo 2013 n. 1406; Cass. civ., SS.UU., 500/1999 citata). E' necessario dunque tenere conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento (Consiglio di Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464) anche al fine di accertare che < la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato> (Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1272)". 24.4. Va infine evidenziato come l'art. 30 comma 3 c.p.a. prescriva nella seconda parte che "Nel determinare il risarcimento del danno il giudice valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza anche attraverso l'esperimento dei mezzi di tutela previsti". 24.4.1. Tale norma nella sostanza costituisce applicazione del disposto dell'art. 1227 commi 1 e 2 c.c. L'art. 1227 c.c., relativo al "fatto colposo del creditore", è infatti applicabile anche alla responsabilità aquiliana in virtù del rinvio operato dall'art. 2056 c.c. I due commi di questa disposizione riguardano due fattispecie diverse: il primo comma disciplina il concorso del danneggiato nella produzione dell'evento lesivo ed ha per conseguenza una ripartizione di responsabilità ; il secondo comma presuppone, invece, già verificato l'evento lesivo, riguardando unicamente l'entità delle ripercussioni patrimoniali, ed ha per conseguenza la non risarcibilità di quelle che il creditore avrebbe potuto evitate con la normale diligenza. 24.4.2. Il consolidato quadro di principi elaborati a far data dal fondamentale pronunciamento del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria (sentenza n. 3 del 2011) e al quale si sono conformati tutti i successivi arresti giurisprudenziali, ha restituito un assetto così sintetizzato (cfr. ex aliis, Cons. Stato, sez. IV, n. 2778 del 2018): - la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del capoverso dell'articolo 1227 cit.; il comma 2 del suddetto articolo, operando sui criteri di determinazione del danno-conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno-evento e conseguenze dannose da esso derivanti; la disposizione introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza; sul piano teleologico, la prescrizione, espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mira a prevenire comportamenti opportunistici e, in definitiva, l'abuso dello strumento processuale; - a mente del comma 2 dell'art. 1227 c.c., il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno); tale orientamento si fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost.; - il danneggiato è tenuto ad agire diligentemente per evitare l'aggravarsi del danno, ma non fino al punto di sacrificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose; l'obbligo di cooperazione gravante sul creditore, espressione del dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, non comprende l'esplicazione di attività straordinarie o gravose attività, ossia un facere non corrispondente all'id quod plerumque accidit; - nel novero dei comportamenti ordinariamente esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo vi rientra anche la proposizione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l'utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio, deve darsi risposta affermativa; - anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno; - di conseguenza, la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione - anche grazie alla contestuale attivazione della tutela cautelare - avrebbe evitato o mitigato il danno; - la tutela specifica avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, così integrando la sua omissione la violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile; detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile. 24.5. Applicando tali coordinate ermeneutiche deve ritenersi come nell'ipotesi di specie non ricorrono i presupposti per la richiesta tutela risarcitoria avuto riguardo per un verso all'assenza di colpa dell'amministrazione e per altro verso al comportamento processuale del danneggiato in grado in ogni caso di spezzare il nesso eziologico con il danno lamentato. 24.6. Quanto all'elemento soggettivo non rileva, ad avviso del collegio, la circostanza che la difesa di Roma Capitale si sia limitata ad evidenziare la propria assenza di colpa, avendo comunque la stessa fatto leva sulla legittimità dell'azione amministrativa, avuto riguardo alla normativa di riferimento, come anche costantemente interpretata dal giudice di prime cure. 24.6.1. Pertanto nel senso dell'assenza di colpa depone l'incertezza del quadro normativo di riferimento, per lo meno sino alla data di adozione dell'art. 64 bis del Regolamento di Igiene di Roma Capitale, nonché le oscillazioni giurisprudenziali da riconnettersi, per un verso all'interpretazione più rigorosa del giudice di primo grado, ampiamente riportata nella sentenza appellata, e per altro verso all'interpretazione, più recente, fatta per contro propria da questa Sezione, radicatasi peraltro in epoca successiva all'adozione degli atti oggetto del gravame in prime cure. 24.7. In ogni caso, a prescindere da tali rilievi, il danno, come allegato da parte appellante, in quanto riferito al calo dei profitti registratosi nel periodo in cui i provvedimenti interdittivi di Roma Capitale hanno avuto esecuzione sino alla pronuncia resa in sede di appello cautelare da questa Sezione, deve ascriversi al comportamento colposo dei ricorrenti in prime cure, idoneo ad interrompere il nesso di causalità . Infatti gli stessi ben avrebbero potuto attivarsi in prime cure per ottenere celermente detta tutela cautelare, onde poi successivamente altrettanto tempestivamente azionare l'appello cautelare avverso l'ordinanza reiettiva, laddove gli stessi, come emergente dall'esposizione in fatto, all'atto di adozione da parte di Roma Capitale del provvedimento poi fatto oggetto di gravame con il secondo ricorso per motivi aggiunti, all'udienza del 30 maggio 2018, fissata per la trattazione dell'incidente cautelare, hanno richiesto un rinvio della trattazione ai fini della proposizione di detto ricorso per motivi aggiunti, salvo successivamente e contraddittoriamente richiedere alla successiva udienza camerale del 3 agosto 2018 la tutela cautelare sul solo ricorso introduttivo, impugnando poi l'ordinanza reiettiva innanzi questa Sezione con ricorso depositato (solo) in data 5 ottobre 2018, senza neppure richiedere la tutela cautelare monocratica ex art. 56 c.p.a., poi richiesta e concessa da questa Sezione in sede di impugnazione della sentenza oggetto del presente appello. 25. Alla stregua di tali rilievi, nonostante l'acclarata illegittimità degli atti amministrativi oggetti di gravame in prime cure, nel senso dianzi precisato, deve escludersi che sussistano i presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria. 26. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ. sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ, sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). 27. Sussistono peraltro eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo all'esito del contenzioso e alle ragioni della decisione, nonché alle complessità sottese questioni oggetto del presente giudizio, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. 28. Le spese della disposta verificazione vengono poste a carico di Roma Capitale, avuto riguardo all'illegittimità dell'azione amministrativa che ha reso necessario il ricorso a detto supplemento istruttorio, non rilevando la circostanza che lo stesso si sia rilevato inutile, non avendo alcuna delle parti inteso richiedere un chiarimento o la revoca della disposta verificazione all'atto della diversità dell'impianto oggetto di verifica, che ben avrebbe potuto essere evidenziata già all'atto del primo sopralluogo. Le stesse vengono liquidate come in dispositivo, in conformità con la richiesta dei verificatori, da ritenersi congrua e rispetto alla quale non sono state mosse osservazioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti indicati in parte motiva e per l'effetto in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ai soli fini dell'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati, ferma restando l'improcedibilità dell'azione impugnatoria per sopravvenuto difetto di interesse. Rigetta la domanda risarcitoria. Compensa le spese di lite. Pone le spese della disposta verificazione, liquidate in complessivi euro seimila/00, ivi compresi gli acconti già liquidati, a carico di Roma Capitale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8059 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, e dal signor -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); - Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pa. Ro. e Ro. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Autonoma Valle d'Aosta, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Sa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comune di -OMISSIS- e della Regione Autonoma Valle D'Aosta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2023 il Cons. Raffaello Sestini e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il Sig. -OMISSIS- in proprio e in qualità di legale rappresentante pro tempore della -OMISSIS-, appella la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, pubblicata in data 10 giugno 2022, che ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti avverso il decreto della Questura di Aosta, Divisione Polizia Amministrativa Sociale e dell'Immigrazione, n. -OMISSIS-, mediante il quale è stata disposta "la revoca della licenza ex Art. 88 T.U.L.P.S. rilasciata in data 11/06/2015 al (...) titolare della Sala giochi denominata "-OMISSIS--" ed operante a -OMISSIS- (AO) in loc. (omissis)", nonché avverso la presupposta delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, avente ad oggetto la "Mappa dei luoghi sensibili di cui all'Art. 4 bis della Legge Regionale 14/2015" approvata con deliberazione della Giunta Comunale n. -OMISSIS- 2 - Gli appellanti lamentano la mancata positiva considerazione, da parte del TAR, delle loro censure concernenti, da un lato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in ragione della sua ritenuta difformità e del suo ritenuto contrasto rispetto alle istruzioni impartite alla Questura secondo le indicazioni del Ministero dell'Interno nonché, dall'altro, l'illegittimità del medesimo provvedimento per vizi derivanti dalla natura incostituzionale delle previsioni normative della legislazione regionale valdostana. Il Comune e la Regione intimati, costituitisi in giudizio, argomentano ampiamente la legittimità del proprio operato e la fondatezza della sentenza appellata. Le parti approfondiscono poi le rispettive difese mediante un ripetuto scambio di memorie. Il Ministero dell'interno, al contrario, si è costituito solo formalmente, In sede cautelare, con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, la domanda cautelare dell'appellante è stata accolta ai soli fini della sollecita fissazione del merito, postulando le questioni controverse la delibazione propria della sede di merito. 3 - In particolare, con l'appello in epigrafe vengono dedotte le censure appresso indicate. (I) NATURA ERRATA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DELLA SENTENZA IMPUGNATA NELLA PARTE NELLA QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. I-A (Eccesso di potere/sviamento di potere dell'operato della Questura di Aosta). La sentenza impugnata risulterebbe prima facie censurabile nella parte nella quale liquida le censure avanzate dai ricorrenti avverso all'operato della Questura di Aosta, ricondotto dal TAR al fisiologico confronto fra "diversi livelli amministrativi ed istituzionali". Ferma infatti la perfettamente condivisibile affermazione, ridondante ai fini che qui rilevano, a mente della quale l'Autorità di P.S. è chiamata per Legge ad adottare le misure tutte necessarie a ripristinare la legalità, l'appellante stigmatizza (sotto il profilo del vizio di sviamento ed eccesso di potere) che nel caso di specie la Questura di Aosta, anziché farsi neutra portatrice del rispetto della legalità, si sarebbe essa stessa eretta a promotrice di modifiche del tessuto normativo/regolamentare applicabile alla fattispecie, operando per ottenere dal Comune di -OMISSIS- una rideterminazione ampliativa dei luoghi sensibili già contemplati dalla legislazione regionale in modo da poter poi adottare il provvedimento impugnato. L'operato della Questura, asseritamente attuativo di una precedente circolare ministeriale, in realtà si porrebbe in contrasto rispetto ai chiarimenti successivamente emanati dal Ministero dell'Interno con la circolare Prot. -OMISSIS- (che delimitava l'ambito applicativo delle istruzioni diramate con la Circolare precedente alle "nuove richieste" di licenza. (II) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA CON PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI IN TERMINI DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR DI AOSTA HA RIGETTATO SIMULTANEAMENTE I CAPI DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. I-B (vizi formali del decreto impugnato) ED I - C (omessa previsione del diritto all'indennizzo ex Art. 21, quinquies, L. n. 241/1990). La sentenza appellata sarebbe altresì illegittima per la parte in cui afferma che la fattispecie esulerebbe dalla previsione dell'art. 21 quinquies L. n. 241/1990, conseguendone che l'omessa previsione dell'indennizzo non ridonderebbe in termini di illegittimità del provvedimento e che il pregiudizio sofferto dal ricorrente andrebbe in realtà ricondotto alla scelta di non procedere ad una diversa ubicazione e delocalizzazione della propria struttura. Al contrario, deduce l'appellante, nessuna norma della legislazione regionale conferisce ex se, alla Questura, il potere di revocare una licenza quale quella della quale qui si discute, dovendosi rinvenire il fondamento procedurale del potere speso nella previsione dell'Art. 21 quinquies L. n. 241/1990. Anche sotto tale profilo, viene quindi contestato come "risibile" il dichiarato "motivato dissenso" del relatore della sentenza appellata rispetto alla propria precedente sentenza n. 20 del 2020, resa fra le stesse parti e peraltro confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2018/20219. Alla luce del predetto giudicato esterno già formatosi fra le parti in relazione ad una questione in tutto analoga a quella della quale si discute, il provvedimento questorile avrebbe dovuto sancire quanto meno, a pena di nullità, la sussistenza del diritto all'indennizzo dovuto al ricorrente in dipendenza della revoca della licenza di cui è causa, diritto peraltro invocato dal ricorrente già in seno alle Osservazioni inviate alla Questura. L'appellante chiede pertanto che sia dichiarata, in accoglimento dell'appello, la nullità del provvedimento impugnato e che sia individuato il soggetto passivo dell'obbligazione avente ad oggetto il versamento dell'indennizzo dovuto al ricorrente per la denegata ipotesi che il decreto impugnato dovesse, all'esito del giudizio, essere statuito per legittimo. (III) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - A (Natura illegittima del decreto impugnato derivata dalla natura illegittima della Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- avente ad oggetto "Mappa dei luoghi sensibili di cui all'Art. 4 bis della Legge Regionale 14/2015 approvata con deliberazione della Giunta Comunale n. 58/2919: modificazione"). Il rigetto del motivo di ricorso in esame risulterebbe infatti viziato da difetto assoluto di motivazione essendo stato ricondotto alla considerazione che la delibera del Comune sarebbe "pienamente legittima in quanto fornisce doverosa attuazione a quanto disposto dalla normativa regionale di riferimento, circostanza esatta (posto che la legislazione regionale conferisce ai Comuni il potere di individuare i luoghi sensibili ubicati nel territorio di rispettiva competenza), ma priva di rilevanza ai fini del rigetto del ricorso in parte qua. I ricorrenti non hanno infatti contestato il potere astratto del Comune di emanare delibere in tal senso ma hanno di contro censurato, nel dettaglio ed in relazione al caso di specie, i motivi per i quali la Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- dovesse ritenersi illegittima in concreto. Censure queste rispetto alle quali, in seno alla decisione del TAR di prime cure, non sarebbe dato potersi rinvenire intelligibili considerazioni funzionali al rigetto. (IV) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR DI PRIME CURE, RITENENDOLI IRRILEVANTI E MANIFESTAMENTE INFONDATI, CUMULATIVAMENTE, HA PROVVEDUTO A RIGETTARE I CAPI DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - B. Ciò in ragione di: Violazione del principio del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti giuridici - Art. 3 Costituzione - ad opera del disposto delle norme delle quali è stata fatta applicazione con il decreto impugnato (Art. 1, L.R. Valle d'Aosta n. 10/2018, recante modifica dei termini di decorrenza, di cui all'Art. 12, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015, dei divieti di cui all'Art. 4, comma 1 e 2, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015) - Violazione del medesimo principio costituzionale ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019. SUB II - C: Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) per irrazionalità interna al precetto di Legge - Antinomia inconciliabile fra la ratio sottesa alla Legislazione regionale in materia (Art. 1 e 2, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015 e s.m.i.) ed il disposto dell'Art. 3, comma 4, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015 e s.m.i. - Violazione consequenziale e riflessa del principio di ragionevolezza ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019, norme queste delle quali è stata fatta mediata applicazione con il decreto impugnato. SUB II - D: Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) ad opera delle norme (combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019) delle quali è stata fatta mediata applicazione con il decreto impugnato. La sentenza impugnata risulterebbe censurabile anche nella parte nella quale accomuna sotto un unico e comune destino i distinti motivi di censura sollevati dal ricorrente. Tale scelta metodologica, viziata in radice per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, risulterebbe, infatti, coerente con la scelta di liquidare le puntuali censure sollevate. Al riguardo, viene evidenziato "il contrasto stridente" fra le disposizioni normative in argomento e le previsioni portate dall'Art. 3 della L.R. n. 14/2015, norma questa che, si afferma, oltre ad esentare il casinò regionale dal rispetto delle norme restrittive via via emanate in materia, lo eleva addirittura a soggetto "virtuoso", chiamato a cooperare alla emanazione del Piano integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio di gioco d'azzardo patologico. Sussisterebbe dunque, contrariamente a quanto teorizzato in seno alla sentenza impugnata, "una irrazionalità interna al precetto, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata, mediante un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere" (così la Sentenza Corte Costituzionale n. 6/2019, richiamata in seno alla sentenza Tar Aosta n. 46/2021). In sintesi, dunque, la legislazione regionale: (i)sarebbe portatrice, per espressa previsione di legge, di una aperta, insanabile e contraddittoria vanificazione degli stessi principi ed obiettivi (contrasto al diffondersi alla ludopatia) ai quali legislativamente ha assunto di essersi ispirata; (ii) realizzerebbe una inammissibile distorsione del principio di concorrenza fra il Casinò regionale e le attività facenti capo ai privati (quali gli odierni ricorrenti), posto che solo questi ultimi risulterebbero oggi impossibilitati ad esercitare il gioco lecito a mezzo degli apparecchi disciplinati dall'Art. 110, comma 6, lett a) e b) del TULPS; (iii) sarebbe del tutto irragionevole ed arbitraria in quanto assoggetterebbe a destini e discipline differenziate attività in tutto e per tutto coincidenti e sovrapponibili; (iv) sarebbe irrazionale, iniqua e priva di coerenza logica, per le stesse motivazioni di cui al punto che precede; (v) costituirebbe la prova provata del conclamato conflitto di interessi nel quale il legislatore aostano ha provveduto a legiferare. Ne conseguirebbe altresì l'erroneità dei punti b) e c) della decisione impugnata, non avendo l'appellante mai contestato l'astratta competenza concorrente della Regione, o chiesto di assoggettare il Casinò regionale alla medesima disciplina restrittiva delle sale giochi, ma solo evidenziato l'irragionevolezza del sistema normativo concretamente applicato nel caso di specie. (V) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - E: "Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) e del principio della libertà di iniziativa economica (Art. 41 Costituzione) ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019, così come integrati dalla Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- - Illegittimo effetto espulsivo delle attività esercenti, in ambito regionale, il gioco lecito a mezzo apparecchi ex Art. 110, comma 6, lett a) e lett. b), TULPS. Viene infine contestato il passaggio della sentenza impugnata, nel quale si assume per non dimostrato il lamentato effetto espulsivo solo perché numerosi Comuni non hanno ancora provveduto a redigere le mappature dei luoghi sensibili ovvero solo sulla base di una presunta "scelta del ricorrente di non procedere ad una diversa ubicazione e delocalizzazione della propria struttura". In sintesi, secondo l'appellante sarebbe documentalmente comprovato: (i) che la legislazione regionale in materia ha raso al suolo tutte le attività di gioco allocate sul territorio regionale (n. 9 totali), facendo incostituzionalmente salvo il solo Casinò de la -OMISSIS-(che esercita, in parte, la medesima offerta di gioco a mezzo apparecchi AWP e/o VLT che risulta oggi vietata alle preesistenti attività imprenditoriali di settore); (ii) che la legislazione regionale in materia ha prodotto il dedotto e contestato effetto espulsivo delle attività di settore (eliminandone 9 su 9); (iii) che la Questura di Aosta, con il proprio indebito e fattivo contributo, ha materialmente e ben poco istituzionalmente contribuito a far sì che il dedotto effetto espulsivo si verificasse, adoperandosi illegittimamente per trovare il modo di revocare anche l'unica licenza ex Art. 88 TULPS che era sfuggita all'applicazione delle restrittive maglie imposte dalla normativa regionale. L'appellante chiede pertanto, previa eventuale verificazione ad opera di un tecnico terzo, di riformare la sentenza impugnata nel senso di statuire che sussisterebbero validi e confluenti riscontri documentali idonei e sufficienti a far ritenere provato l'effetto espulsivo indotto dalla normativa di settore sul territorio. 4 - Ai fini della decisione, considera il Collegio che le predette, complesse e articolate, censure, di cui gli appellanti lamentano la mancata positiva considerazione da parte del TAR, sono riconducibili a due "filoni" concernenti, da un lato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in ragione della sua ritenuta difformità e del suo ritenuto contrasto rispetto alle istruzioni impartite alla Questura secondo le indicazioni del Ministero dell'Interno e, dall'altro, l'illegittimità del medesimo provvedimento per vizi derivanti dalla natura incostituzionale delle previsioni normative della legislazione regionale valdostana, che avrebbero sortito l'effetto di azzerare tutte le case da gioco tranne il casinò di cui la stessa Regione è azionista. In ogni caso il provvedimento interdittivo, anche ove riconosciuto legittimo, secondo l'appellante avrebbe quanto meno dovuto comportare un indennizzo, così come recentemente riconosciuto da una precedente decisione del medesimo TAR (sent. n. 20/2020) confermata da questa Sezione (sent. n. 2018/2021). 5 - Sotto il primo profilo indicato, considera il Collegio che lo specifico provvedimento impugnato risulta debitamente motivato dalla sussistenza di una precisa ed oggettiva circostanza territoriale (distanza inferiore al minimo previsto rispetto ad un "punto sensibile", del quale neppure l'appellante disconosce l'esistenza e la distanza dai propri locali) espressamente prevista come ostativa dall'Ente locale in conformità alle previsioni di un atto normativo regionale avente forza ed efficacia di legge ed in vigore ed all'epoca dei fatti. Non sembra, poi, poter essere revocata in dubbio la competenza del Comune ad attuare le previsioni normative della propria Regione (né viene contestata la difformità di tale attuazione dalla previsione legislativa regionale). Neppure sembra poter essere altresì contestata la competenza (rectius, il potere-dovere) della Questura, ovvero dell'organo deputato dalla normativa statale di settore a rilasciare il necessario titolo autorizzativo, a procedere al ritiro del titolo in mancanza delle condizioni di legge necessarie al suo rilascio e al suo mantenimento, indipendentemente dalla circostanza che tali condizioni siano state previste, in conformità alle previsioni dell'ordinamento statale (così come accade in caso di competenza legislativa concorrente), da un Ente locale alla stregua di una norma di legge regionale. Pertanto, sotto tale profilo, il TAR ha esattamente ritenuto il predetto provvedimento immune dalle censure dedotte, del tutto indipendentemente sia dalla sua presunta non conformità alle Circolari, ovvero a meri atti d'indirizzo amministrativo, provenienti dal Ministero dell'interno, sia dal contestato precedente comportamento della Questura in occasione delle sue istituzionali e fisiologiche interlocuzioni con l'Ente locale, trattandosi in ogni caso di un atto necessitato ed a contenuto vincolato attuativo di una espressa previsione di legge. I motivi d'appello fondati sulle dedotte illegittimità "proprie" del provvedimento risultano pertanto non fondati, avendo il TAR esattamente concluso per la loro non sussistenza o rilevanza. 6 - Più complesso si rivela l'esame del secondo profilo, concernente la eventuale illegittimità, anche costituzionale, della sopraindicata normativa regionale di riferimento. In particolare, la legge regionale n. 14/2015 prevede che "I Comuni possono prevedere una distanza maggiore da quella prevista al comma 1 e individuare altri luoghi sensibili nei pressi dei quali non è ammessa l'apertura di sale da gioco e di spazi per il gioco, tenuto conto dell'impatto degli stessi sul contesto urbano e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica". Al dichiarato fine di contrastare il fenomeno della ludopatia mediante il contenimento della diffusione capillare sul territorio dell'offerta di gioco d'azzardo lecito, il legislatore regionale è intervenuto nuovamente con la legge regionale 27 marzo 2019, n. 2, adeguando il proprio compendio normativo alla cornice di riferimento sulla base delle linee direttrici fissate dalla l. r. n. 14/2015 e dalla normativa nazionale (mediante limiti distanziometrici da luoghi sensibili, da un lato, ed orari tassativi di apertura e di esercizio, dall'altro). 5 - Al riguardo, considera in primo luogo il Collegio che le disposizioni normative regionali in parola, al contrario di quanto dedotto dall'appellante, non si rivelano ostative allo svolgimento delle attività di intrattenimento mediante giochi leciti sull'intero territorio regionale o su sue ampie porzioni in modo da rendere impossibile o eccessivamente difficoltoso l'accesso degli utenti, in quanto non consentono di interdire l'intero territorio comunale o sue porzioni più o meno estese, ed invece consentono solo di individuare distanze minime da singoli punti motivatamente ritenuti particolarmente "sensibili" in relazione al contrasto della ludopatia e all'ordinato assetto del territorio urbano sotto i profili, di competenza degli Enti rappresentativi delle Comunità territoriali secondo un principio di rappresentanza democratica, riferiti alla sicurezza urbana, alla viabilità, all'inquinamento acustico e al disturbo della quiete pubblica. Sarebbe quindi spettato all'appellante fornire un principio di prova circa la possibile illegittimità costituzionale (ma anche euro unitaria) della disciplina regionale per l'impossibilità di insediare nuove sale da gioco sull'intero territorio comunale o su sue ampie porzioni. risultandone l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà di esercitare l'attività economica in esame. Viceversa, non potrebbe evidentemente fungere a tale scopo né la casuale vicinanza della propria struttura ad un punto sensibile (circostanza che radica certamente il suo interesse ad agire ma non necessariamente la fondatezza della sua pretesa), né la comune sorte toccata ad altre analoghe strutture (salvo dimostrare le loro impossibilità di trasferirsi altrove) né la presenza, nella medesima Regione, di un Casinò facente capo alla stessa Regione ed espressamente autorizzato prima ancora che la legge consentisse l'installazione di case da gioco private sul territorio. In particolare la presenza del Casinò de la Vallé e, non assumendo alcun ruolo ai fini del contestato provvedimento interdittivo, risulta del tutto neutra ai fini della valutazione delle censure dell'appellante, che neppure dimostra una immotivata ed indebita disparità di trattamento giuridico fra le diverse strutture da gioco incompatibile con i principi costituzionali richiamati. 6 - Anche le censure volte ad evidenziare un irragionevole e pertanto illegittimo assetto della disciplina regionale si rivelano pertanto non fondate, Per le medesime ragioni sopra esposte, a giudizio del Collegio anche le dedotte questioni di illegittimità costituzionale della legislazione di riferimento si rivelano non rilevanti ai fini della decisione del giudizio a quo, in disparte ogni giudizio circa la loro fondatezza o meno. Occorre poi evidenziare che il mancato assolvimento del predetto onere di prova di dare fondamento alle proprie censure circa la complessiva irragionevolezza della vigente normativa non potrebbe essere supplito dal richiesto esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio, non essendovi incertezza o controversia su elementi fattuali rilevanti ai fini della decisione. Neppure la domanda istruttoria formulata dall'appellante può essere pertanto accolta. 7 - Viene, infine, in rilevo la doglianza, pur formulata in via subordinata, concernente la mancata previsione di un giusto indennizzo ai sensi dell'Art. 21, quinquies, della legge n. 241/90 da parte del provvedimento di revoca impugnato in primo grado, in quanto tale questione sarebbe stata sostanzialmente ignorata dal TAR, che avrebbe respinto la censura discostandosi immotivatamente ed irragionevolmente da un recente precedente giurisdizionale di segno opposto. 8 - Osserva tuttavia il Collegio che, così come ampiamente dedotto dal Comune e dalla Regione intimati, la predetta domanda dell'appellante, volta al riconoscimento di un indennizzo per il ristoro del pregiudizio subì to, è fondata sulle previsioni dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, mentre, così come sinteticamente ma esattamente rilevato dal giudice di primo grado, nella specifica fattispecie considerata la rimozione del titolo non è avvenuta a seguito di un'autonoma e diversa ponderazione in sede provvedimentale degli assetti giuridico-fattuali di riferimento, ma discende dalla rigorosa applicazione di una progressivamente restrittiva disciplina legislativa regionale. 9 - Le autorizzazioni amministrative, quale l'autorizzazione di pubblica sicurezza in esame, in particolare, non creano un rapporto bilaterale fra amministrazione e cittadino (così come invece accade, ad esempio, in un rapporto concessorio di beni o servizi pubblici) suscettibile di creare il diritto ad un indennizzo in caso di alterazione del rapporto sinallagmatico, e neppure assumono contenuti espropriativi di un diritto privato suscettibile di indennizzo, ed invece conformano l'esercizio di una libertà privata, in modo da renderlo compatibile all'interesse pubblico secondo le previsioni dell'articolo 41 della Costituzione e, per tale ragione, sono condizionate nella loro durata secondo le variazioni dello stato di diritto e di fatto sussistente al momento del loro rilascio (così come è di recente accaduto, ad esempio, per i titoli autorizzativi alle emissioni in atmosfera degli impianti industriali a seguito del recepimento di norme euro unitarie più restrittive quanto alla qualità dell'aria). In tal senso, il titolo ritirato o revocato con l'atto impugnato abilitava il privato ad esercitare, assumendone il rischio d'impresa, un'attività commerciale che, per sue specifiche criticità rispetto all'interesse pubblico generale, secondo la legge vigente al momento del rilascio doveva svolgersi ad una distanza minima da siti "sensibili", conseguendone la necessità di conformare tale attività -senza che ne discenda un effetto espropriativo- qualora l'evoluzione normativa porti alla individuazione di nuovi siti "sensibili". 10 - In un tale quadro, il provvedimento di ritiro del titolo (indipendentemente dal nomen juris utilizzato) non è stato adottato in conseguenza del mutamento o della rivalutazione, da parte dell'amministrazione, della situazione di fatto o degli interessi correlati secondo le previsioni dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, poiché la Questura si è limitata ad una doverosa applicazione del mutato quadro giuridico seguito alla attuazione della nuova normativa primaria regionale (segnatamente, la l. r. n. 2/2019 rubricata "Ulteriori misure di prevenzione e contrasto alla ludopatia. Modificazioni alla legge regionale 15 giugno 2015, n. 14"). In altri termini, così come statuito dal TAR, l'amministrazione ha adottato i provvedimenti impugnati sulla base di norme che afferiscono alla diversa materia della tutela della salute ed al complesso normativo che ne è disceso, e non sulla base di una propria valutazione in merito ad un sopravvenuto interesse o mutamento di una situazione di fatto. 11 - In particolare, la nuova normativa regionale si è limitata a disciplinare l'apertura e il funzionamento di sale da gioco e di spazi per il gioco solo in particolari aree poste in prossimità di siti ritenuti "sensibili" con riferimento a puntuali esigenze di tutela dell'interesse pubblico generale e dei diritti inviolabili riconosciuti dall'art. 2 della Costituzione ai propri cittadini "sia come singoli, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità ", con esclusivo riferimento ai profili di competenza della Regione speciale in esame, tenuto conto dell'impatto delle stesse attività commerciali, come recita la legge, "sul contesto urbano e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica". 12 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, il predetto assetto normativo speciale della Regione Val d'Aosta, a giudizio del Collegio, non palesa i dedotti dubbi di incostituzionalità e si sottrae alle censure dedotte, né può essere ritenuto suscettibile di introdurre misure espropriative dell'esercizio del diritto d'iniziativa economica privata comportanti il diritto ad un indennizzo, in quanto i descritti nuovi limiti all'insediamento di sale da gioco e di spazi per il gioco si limitano ad aggiornare il quadro normativo di riferimento del titolo autorizzatorio facendo riferimento a puntuali e delimitate condizioni territoriali aventi natura oggettiva e prive di spazi di discrezionalità per l'amministrazione, suscettibili di conformare l'esercizio delle libertà economiche alle superiori esigenze ambientali e sociali secondo le previsioni dell'articolo 41 della Costituzione con riferimento alle competenze riconosciute alla Regione Val d'Aosta. 13 - Ritiene pertanto il Collegio di dover conformare la propria decisione sulla odierna specifica fattispecie, indipendentemente dai precedenti citati dall'appellante, alla costante ed univoca pregressa giurisprudenza amministrativa, applicabile anche alla fattispecie considerata, circa la legittimità della previsione di limiti geomorfologici ed urbanistici connaturati alla oggettiva natura dei luoghi (in origine secondo il loro valore culturale e ambientale, in questo caso, in base alla loro distanza da siti "sensibili" individuati secondo espresse previsioni di legge) che assicurino una ragionevole e proporzionata ponderazione fra la libertà di esercizio dell'attività commerciale in esame e le superiori esigenze delle comunità territoriali interessate. 14 - In conclusione l'appello non può trovare accoglimento. La complessità e relativa novità di alcuni aspetti delle questioni dedotte, giustifica, infine, la integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione quarta civile nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente dr. Maria Rosa Busacca - Consigliere avv. Paola Ambruosi - Giudice Ausiliario rel ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1248/2020 promossa in grado d'appello DA IMMOBILIARE (...) S.R.L. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20010 BAREGGIO presso lo studio dell'avv. CO.PA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliati in VIA (...) 20123 MILANO presso lo studio dell'avv. DA.NI., che li rappresenta e difende come da delega in atti APPELLATI avente ad oggetto: Vendita di cose immobili SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Immobiliare (...) conveniva in giudizio i coniugi (...) e (...) esponendo che i convenuti, con contratto preliminare del 18/11/2013, si erano impegnati ad acquistare la porzione immobiliare, in costruzione, sita ni M., via di P. A. AT-07 (via M.), posto al piano primo, meglio identificato come appartamento "G" corpo "A", oltre a cantina n. 1 e box n. 1, al prezzo di Euro 270.000,00 oltre IVA. I promissari acquirenti avevano versato, a titolo di caparra confirmatoria, la somma di Euro 30.000,00 e le parti avevano fissato il termine per il rogito definitivo entro e non oltre il 30/12/2015. Il promissario venditore immetteva i promissari acquirenti nella disponibilità dell'immobile sin dal 25/03/2016 e nelle more il complesso residenziale veniva ultimato. Assume ancora l'attore che il contratto definitivo non fu concluso perché i promittenti acquirenti, pur sollecitati con comunicazione del 19/9/2016 - ove li diffidava ex art. 1454 c.c. a fissare la data del rogito - non intesero procedere alla stipula dell'atto definitivo lamentando l'esistenza di vizi e difetti dell'immobile promesso in vendita nonché evidenti differenze rispetto al progetto iniziale. I convenuti, pertanto, nel settembre del 2016 introducevano innanzi al tribunale di Milano accertamento tecnico preventivo la cui consulenza venne depositata l'8/04/2017 i cui risultati, pur rilevando alcuni vizi, non individuavano responsabilità in capo alla società attrice. Pertanto Immobiliare (...) chiedeva al Tribunale che fosse pronunciata la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento dei promittenti acquirenti e di essere autorizzata a ritenere la caparra versata. Chiedeva altresì fossero accertate le opere extra capitolato realizzate su richiesta dei convenuti e la loro condanna al pagamento di Euro 9.630,60. Infine chiedeva di dichiarare l'intervenuta occupazione abusiva dell'immobile con condanna dei convenuti al pagamento dell'indennità di occupazione dal marzo 2016 al 31 luglio 2017 quantificata in Euro 800,00 mensili oltre ad Euro 40.000,00 a titolo di risarcimento del deprezzamento del valore dell'immobile. Si costituivano i coniugi (...) e (...) contestando la domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, di accertare la rilevanza dell'inadempimento della società attrice e di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare con condanna al pagamento del doppio della caparra ricevuta oltre alla somma di Euro 14.345,29 a titolo di refusione spese CTU e CTP. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 1918/2020 resa il 28/02/2020 ha preliminarmente ritenuto che "Ancor prima di valutare ed accertare l'esistenza degli allegati reciproci inadempimenti nonché la loro gravità ai fini dell'attribuzione o meno della responsabilità contrattuale non può che procedersi alla presa d'atto che la voluntas contrahentium non esiste più; anzi è conclamata la contro-volontà (o nolontà) al mantenimento degli effetti del contratto e delle relative obbligazioni". Ciò premesso il giudice di prime cure ha poi analizzato le rispettive domande di risoluzione "al fine di appurare l'esistenza e la gravità dell'inadempimento reciprocamente allegato", ritenendo - quanto al ritenuto grave inadempimento dei promissari acquirenti - che dalla documentazione prodotta (verbale di assemblea, pec dei convenuti, perizia fonometrica di parte del maggio 2016) si evidenziava che l'exceptio inadimpleti sollevata dai convenuti era più che legittima. Inoltre il tribunale evidenziava che l'art.7 del contratto preliminare statuiva che "sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento" e che la richiesta di indicazione della data del rogito, avanzata con diffida dall'attrice, non costituiva una prestazione contrattuale in capo ai convenuti. Quanto poi al ritenuto grave inadempimento della società attrice il tribunale, sulla scorta della CTU espletata, ne ha escluso la sussistenza. Ha difatti chiarito che "L'interesse creditorio dei convenuti è stato "incrinato" in quanto i risultati dell'(...)P. (in modo assai puntiglioso) restituiscono uno stato dei luoghi: - assai migliorato a far dato dal giungo 2016 dopo l'esecuzione di una serie di opere edilizie sulle tubazioni nonché di insonorizzazione all'interno della centrale termica; -con una persistente componente di rumorosità emendabile con degli interventi emendativi di natura tecnica ed economica contenuta rispetto al valore e all'entità del contratto preliminare peraltro su un corpo di fabbrica di natura comune). L'eccezione di inadempimento o l'azione ex art. 2932 c.c. con annessa riduzione del prezzo potevano essere astrattamente legittime e coltivate. Non la risoluzione del contratto poiché il limitato godimento del bene (peraltro emendabile) non poteva essere sussunto nel conetto di inidoneità assoluta all'uso e, quindi, lesivo in modo definitivo dell'interesse contrattuale". In assenza di responsabilità ex art. 1455 c.c., il tribunale ha rigettato le reciproche domande condannatorie procedendo solo alla regolamentazione dei rapporti restitutori discendenti dalla risoluzione del preliminare, condannando l'attrice alla restituzione della caparra confirmatoria ricevuta. Respingendo tutte le altre domande e compensando parzialmente le spese. Con appello ritualmente notificato Immobiliare (...) ha impugnato la sentenza chiedendone la riforma integrale riproponendo le stesse domande svolte in primo grado sulla base dei seguenti motivi: 1. Contraddittorietà della sentenza in punto di risoluzione per mutuo dissenso; 2. Omessa o illogica motivazione in punto di valutazione dell'inadempimento di parte convenuta all'esito dell' ATP espletato; 3. Vizio di ultra petizione della sentenza in virtù del riconoscimento dei lavori svolti da parte dei convenuti; 4. Contraddittorietà della motivazione in punto di mancato riconoscimento dell'indennità di occupazione e del deprezzamento dell'immobile 5. Contraddittorietà della motivazione in punto di parziale compensazione spese di lite. Si costituivano i coniugi (...) e (...) chiedendo il rigetto dell'appello e proponendo appello incidentale chiedendo di accertare la rilevanza dell'inadempimento dell'appellante con condanna al doppio della caparra confirmatoria versata pari ad Euro 60.000,00 sulla base dei seguenti motivi: 1. Omessa statuizione inadempimento attrice; 2. Erronea motivazione e valutazione risultanze probatorie; 3. Errata valutazione sulla risoluzione per mutuo dissenso. All'udienza del 13/10/2022 le parti precisavano le conclusioni e la Corte tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE I primi due motivi dell'appello principale possono essere esaminati congiuntamente ai motivi di appello incidentale in quanto riguardano, pur sotto due angolazioni diverse e contrarie, da un canto l'errata valutazione da parte del Giudice di primo grado dei rispettivi inadempimenti nonché dei documenti e delle prove e dall'altro la statuizione circa la risoluzione per mutuo dissenso. I motivi sono infondati Il Tribunale, in esito a una precisa analisi delle vicende del rapporto, ha riconosciuto che l'Immobiliare (...) aveva diffidato, ai sensi dell'art. 1454 c.c., in data 28/09/2016 gli odierni appellati a fissare la data per il rogito definitivo. In rapporto a ciò la il tribunale, ha correttamente riconosciuto fondato il rifiuto dei promissari acquirenti di stipulare il rogito definitivo se non prima che alcuni vizi lamentati precedentemente alla diffida stessa - sia nel verbale di assemblea del condominio e della perizia fonometrica dell'arch. (...) del maggio 2016, sia nella perizia fonometrica del giugno 2016 dell'Ing. (...) - e relativi alle vibrazioni e alle immissioni rumorose derivanti dalla centrale termica sovrastante l'immobile degli appellati, venissero risarciti dal promissario venditore. Alla luce dunque della documentazione versata in atti, precedente all'invio della diffida ad adempiere del settembre 2016, appare del tutto legittima e fondata l'exceptio inadimpleti svolta dagli appellati. Ad ogni modo la Corte osserva che l'inadempimento al contratto preliminare non può che essere quello di diniego o sottrazione all'obbligo di stipula del definitivo. Pertanto, tale inadempimento presuppone necessariamente un serio invito alla stipula del definitivo per lo meno quando, come nel caso di specie, la scelta del notaio non sia posta a carico di una sola delle parti ma di entrambe. Nella fattispecie l'art. 7 del contratto preliminare statuiva che "Il rogito verrà stipulato entro e non oltre la data del 30/12/2015 (fatto salvo accordo tra le parti per il differimento di detto termine e quanto previsto dal successivo art. 9) che costituisce termine perentorio ed essenziale per le parti, avanti a notaio scelto in accordo dalle parti; sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento". Nella missiva del 19/09/2016 (dunque già ben oltre il termine ritenuto essenziale del 30/12/2015) parte promittente venditrice, invitava i promittenti acquirenti a comunicare il nome del notaio di fiducia e la data del rogito, contrariamente però a quanto previsto dall'art. 7 del preliminare che appunto precisava che sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento" Orbene tali atti (scelta del notaio e comunicazione del giorno della stipula) non sono stati compiuti da parte appellante. Pertanto anche parte promittente venditrice ha mostrato disinteresse alla stipula del definitivo: nell'asserire la necessità di ottenere dai promittenti acquirenti la data del rogito non ha mostrato un serio intento alla stipula del definitivo, proponendosi di designare essa stessa il professionista e fissando essa stessa la data. Nondimeno però il tribunale, proseguendo l'analisi, è passato a valutare il reclamato inadempimento grave della società appellante ponendo l'accento sugli interventi tecnici svolti dall'Immobiliare S.-prima dell'introduzione del giudizio - che, come anche evidenziato dal CTU, "hanno portato ad una notevole riduzione del rumore lamentato". La Corte poi osserva che il consulente tecnico ha svolto l'analisi relativa all'eventuale inquinamento acustico, tenendo in considerazione il criterio della normale tollerabilità, sotto il profilo giurisprudenziale e amministrativo, ritenendo che la rumorosità della centrale termica, all'interno dell'appartamento "è nettamente al di sotto dei limite dalla normale tollerabilità ..." ex art. 6 ter L. n. 13 del 09 e che " rispetta il limite di 25 dBA prescritto dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997". La giurisprudenza sul punto ha chiarito che, il DPCM può essere preso come punto di riferimento per il rispetto delle regole dell'arte nella costruzione degli edifici. Si è detto, infatti, che il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, anche se non di immediata vigenza nei rapporti fra privati in favore degli acquirenti, può comunque essere considerato come criterio fattuale di riferimento per determinare lo stato dell'arte esigibile all'epoca di realizzazione del fabbricato al fine di verificare la sussistenza dei gravi difetti di insonorizzazione (Sez. 2, Ordinanza n. 7875 del 2021). In altri termini l'accertamento dell'eventuale responsabilità per un vizio inerente all'isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell'arte tra le quali il suddetto DPCM può essere preso come modello di riferimento (Sez. 2, Ordinanza n. 21922 del 2021 da ultimo Cassazione civile sez. II, 25/01/2022, n.2226). Nella fattispecie i valori rilevati negli appartamenti dal consulente tecnico appaiono conformi ai parametri del D.P.C.M. 5 dicembre 1997. L'eccedenza di rumorosità in base ai criteri giurisprudenziali relativi all'art. 844 c.c. è stata poi dal perito ritenuta di poco eccedente il limite della normale tollerabilità essendo l'eccedenza di immissioni rumorose superiore di un range da 0,1dB a 1,2dB. Sul punto la giurisprudenza ha affermato che il limite della normale tollerabilità deve ritenersi superato per quelle immissioni che comportino un incremento di rumorosità, che diviene apprezzabile e significativo ai fini dell'art. 844 c.c. allorquando superi di 3 dB il rumore di fondo, indipendentemente dalla intensità del rumore ambientale (Cass. Sez. 2, n. 17051 del 05/08/2011e Cass. Sez. 2 n. 28201 del 05/11/2018). Assume poi rilievo centrale quanto accertato dal CTU, ovvero l'agevole rimozione del vizio accertato che va valutato anche sotto il profilo del costo contenuto delle opere rimediali. Di conseguenza correttamente il tribunale non ha ritenuto l'inadempimento degli appellanti tale da giustificare la risoluzione del contratto. Alla luce delle suddette considerazioni, non può quindi ritersi grave nemmeno l'inadempimento dell'odierna appellante non essendo stata dimostrata l'inidoneità assoluta del bene ma al più una mera riduzione del godimento dello stesso che non equivale ad inidoneità abitativa. Quindi, come correttamente ritenuto dal primo giudice, legittimamente gli appellati hanno potuto proporre l'eccezione di inadempimento, ma mancando la dimostrazione dell'esistenza di difformità tali da rendere l'immobile privo delle sue caratteristiche essenziali, ne discende la valutazione di scarsa importanza dell'inadempimento. Alla luce di quanto sin qui esposto, la Corte osserva che quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all'altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale (Cass. n. 26097/2014; n. 19706/2020). Difatti la giurisprudenza è unanime nel ritenere che "Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell'altra, accerti l'inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453 c.c., comma 2, di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all'art. 1458 dello stesso codice" (Cass. n. 10389/2005; n. 6675/2018; da ultimo Cassazione civile sez. II, 09/07/2021, n.19569). Sulle somme richieste per opere extra e deprezzamento immobile. Sostiene parte appellante che la sentenza di primo grado sul punto sarebbe errata poiché non è fondata sull'assunto della mancata contestazione specifica, da parte dei convenuti, delle richieste ed asserzioni attoree, bensì su un esame delle risultanze istruttorie. Sostiene altresì che la mera mancata contestazione, in quanto tale e di per sé considerata, può avere automaticamente l'effetto di prova e che quindi il tribunale avrebbe errato a valutare la documentazione in atti e a rigettare la domanda sul punto. Il motivo è infondato. La valutazione condotta in maniera rigorosa dal tribunale ha rilevato: a) che nel contratto era espressamente previsto che il rapporto giuridico/economico con l'impresa esecutrice dei lavori avrebbe riguardato unicamente il promissario acquirente, non avendo la società appellante alcun coinvolgimento; b) le fatture prodotte a supporto della domanda di pagamento sono emesse da soggetto terzo estraneo al presente giudizio; c) l'appellante non ha fornito prova di aver pagato la somma richiesta e quindi di star esercitando una azione di regresso. La Corte di Cassazione in un'ordinanza del 22 maggio 2019, n. 13828 stabilisce: "Alla stregua del principio di non contestazione, richiamato dall'art. 115 c.p.c., perché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. D'altro canto, la parte che invoca il cosiddetto principio di non contestazione dovrebbe dare dimostrazione di aver essa per prima ottemperato all'onere processuale, posto a suo carico, di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l'altra parte era tenuta a prendere posizione; ne discende che l'enunciazione delle prestazioni professionali dedotte a sostegno della domanda di pagamento del compenso, operata mediante rinvio alla documentazione allegata, esonera comunque il convenuto dall'onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l'onere di allegare il fatto costitutivo dell'avversa pretesa" (arg. da Cass. Sez. 3, 17/02/2016, n. 3023). La non contestazione scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda, di talché essa non può comunque ravvisarsi ove, come nella specie, a fronte di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di opere extra, dette prestazioni in realtà attengono a terze parti estranee al processo (cfr. Cass. Sez. 3, 24/11/2010, n. 23816; Cass. Sez. 3, 19/08/2009, n. 18399; Cass. Sez. 3, 25/05/2007, n. 12231; Cass. Sez. L, 03/05/2007, n. 10182; Cass. Sez. 3, 14/03/2006, n. 5488). E' del resto altrettanto costante l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, "nel giudizio di cognizione avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali documentato da parcelle, allorché il cliente svolga una contestazione soltanto generica in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività che si assuma prestata, il giudice rimane comunque investito del potere-dovere di verificare il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c."(Cass. Sez. 2, 11/01/2016, n. 230; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14556; Cass. Sez. 2, 25/06/2003, n. 10150). Anche la domanda di risarcimento da deprezzamento dell'immobile non potrà trovare accoglimento in virtù dell'assenza di responsabilità contrattuale degli appellati. Sull'indennità di occupazione L'appellata si duole che il tribunale abbia erroneamente ritenuto che "la detenzione qualificata dell'immobile non può considerarsi ora per allora abusiva e indebita", rigettando la richiesta. La censura va accolta. Rileva la Corte che diversamente da quanto ritenuto con la sentenza impugnata, non c'era alcuna ragione che potesse sottrarre la fattispecie dalla regola secondo cui la risoluzione comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c.. In base a tale regola il promissario acquirente, il quale abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita, deve non solo restituirlo al promittente alienante, ma deve altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso (Cass. n. 6575/2017; da ultimo Cassazione civile sez. II, 30/11/2022, n.35280). Tali effetti si verificano sia in caso di risoluzione per inadempimento del promittente venditore (Cass. n. 4465/1997; n. 875/1995), sia nel caso di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente (Cass. n. 550/2002; n. 10632/1996). Gli effetti, in quanto conseguenti al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, si verificano indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento (Cass. 28381/2017). In merito al quantum, la Corte ritiene che possa considerarsi congrua la somma richiesta a titolo di indennità pari ad Euro 800,00 al mese in riferimento al valore locatizio medio e anche in base al notorio (considerata la zona, le caratteristiche dell'appartamento), tenuto conto che gli appellati non hanno formulato alcuna specifica contestazione sul punto. Tuttavia la Corte non può non tenere conto del fatto che l'appartamento di cui è causa aveva un vizio costituito da un regime di immissioni rumorose, non tanto grave da giustificare il grave inadempimento ma sicuramente tale da rendere meno appetibile il bene sul mercato. Pertanto si ritiene equo stabilire in Euro 600,00 al mese l'indennità di occupazione, per il periodo marzo 31/03/2016 - 31/07/2017 in cui gli appellati hanno occupato sine titulo l'immobile per una somma complessiva pari ad Euro 9.600,00 oltre interessi dalla domanda al saldo. Il mancato riscontro della rilevanza dei reciproci inadempimenti determina l'assorbimento dei motivi in punto di risarcimento. L'accoglimento del motivo sull'indennità di occupazione determina la parziale riforma della sentenza anche in tema di spese di lite che devono essere rideterminate. Sulle spese di lite Il Tribunale non ha accolto la domanda originariamente spiegata dalla Immobiliare (...), accogliendo solo in parte la domanda degli odierni appellati, procedendo poi alla compensazione delle spese di lite con motivazione esente da censure. E' orientamento pacifico che il giudice possa compensare, in tutto o in parte, le spese, pur non potendole porre per il residuo a carico della parte risultata comunque vittoriosa, sebbene in misura inferiore a quella stabilita in primo grado, posto che il principio della soccombenza va applicato tenendo conto dell'esito complessivo della lite (Cassazione civile sez. VI, 28/09/2015, n.19122). Sul punto da ultimo la suprema Corte ha poi precisato che l'accoglimento in misura ridotta di una domanda articolata in un unico capo se pure non può dar luogo a reciproca soccombenza, giustifica la compensazione totale o parziale (Cassazione civile sez. un., 31/10/2022, n.32061) Sicché del tutto legittimamente il giudice di primo grado accogliendo in misura ridotta la domanda degli appellati e rigettando in toto le richieste risarcitorie avanzata dalla Immobiliare (...), ha compensato parzialmente le spese di lite condannando l'odierna appellante, poiché integralmente soccombente, al pagamento del 50% delle spese di lite nei confronti degli appellati. In ossequio ai principi sin qui espressi in virtù del parziale accoglimento dell'appello e della parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte ritiene di procedere alla parziale compensazione, per il 70% delle spese di lite del I grado di giudizio, ponendo il residuo 30% in capo all'Immobiliare (...). Le spese di lite vanno compensate per il 70% anche per il presente grado ponendo il residuo 30% in capo a (...) e (...). Tanto ritenuto e considerato, la Corte, conclude per il parziale accoglimento dell'appello principale e per il rigetto dell'appello principale. Le spese sono liquidate come da dispositivo. Sussistendone i presupposti la Corte applica il doppio contributo in capo agli appellati. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 1918/2020 pubblicata il 28/02/2020 così provvede: 1. Accoglie parzialmente l'appello; 2. Condanna (...) e (...) al pagamento in favore di Immobiliare (...) srl della somma di Euro 9.600,00 oltre interessi al saggio legale dalla data della domanda al saldo; 3. Condanna Immobiliare (...) srl al pagamento del 30% delle spese di lite del I grado in favore di (...) e (...) che liquida per l'intero nella somma di Euro 13.430,00 oltre al rimborso delle spese generali e oneri di legge, disponendo che il residuo 70% resti compensato tra le parti; 4. Condanna (...) e (...) al pagamento del 30% delle spese di lite del presente grado in favore di Immobiliare (...) srl che liquida per l'intero nella somma di Euro 9.991,00 e oltre rimborso delle spese generali e oneri di legge, disponendo che il residuo 70% resti compensato tra le parti; 5. Conferma nel resto la sentenza n. 1918/2020; 6. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellati dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012. Così deciso in Milano il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1113 del 2023, proposto da Ca. Wa. Ce. S.U.R.L, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti dei signori An. Na., Gi. Na., rappresentati e difesi dagli avvocati Ri. Ma., Gi. Ma. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Quinta n. 00537/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dei signori An. Na. e Gi. Na.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto: a) la domanda di annullamento dei seguenti atti: - ordinanza n. 11 del 22 febbraio 2022 (prot. 4209), con cui è stata ordinata alla società appellante la chiusura immediata dell'attività di autolavaggio nei locali ubicati alla via (omissis), in (omissis); - determina dirigenziale n. 3 del 24 gennaio 2022 di "revoca" dell'autorizzazione unica ambientale; b) la domanda di risarcimento dei danni conseguenziali ai provvedimenti che hanno imposto la chiusura immediata dell'attività di autolavaggio. 2. Esso è stato incardinato in primo grado innanzi al T.a.r. per la Campanaia, sede di Napoli (nrg 1030/2022), con ricorso introduttivo e successivi motivi aggiunti entrambi affidati a un unico, articolato motivo di gravame compendiato nella: violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 41, 42 e 97 della Costituzione); violazione e falsa applicazione del d.p.r. 59 del 2013, della l. n. 447 del 1995, del piano di zonizzazione acustica del comune di (omissis) nonché degli artt. 3, 21-bis, 21-quinques, 21-septies della l. 241/90, del d.l.vo 152/06; difetto di istruttoria; violazione del principio del tempus regit actum; violazione del principio di tipicità e legalità delle sanzioni amministrative; carenza di motivazione. inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto; eccesso di potere per travisamento, manifesta ingiustizia, sviamento, apoditticità, motivazione apparente. 3. Il T.a.r., con sentenza n. 537 del 25 gennaio 2023, ha respinto il ricorso con dovizia di argomenti e compensato le spese. 4. Ha appellato la società Ca. Wa. Ce. S.U.R.L., che impugna la sentenza di primo grado sul solo capo di sentenza che ha deciso il ricorso impugnatorio, abbandonando la domanda risarcitoria. 4.1. L'appello viene affidato a un unico motivo di gravame così articolato: a) "error in judicando. errata e falsa applicazione dell'art. 3 d.p.r. n. 59/2013 e dell'art. 8 della l. n. 447 del 1995; errata e falsa applicazione degli artt. 3, 21-bis, 21-qiunques, 21-septies l. 241/90; errata e falsa applicazione dell'art. 64, c.p.a.; omesso rilievo della carenza istruttoria inficiante i provvedimenti impugnati. omessa valutazione della documentazione tecnica versata in atti dalla ricorrente; b) errata e falsa applicazione del cd. "principio di precauzione"; c) errato scrutinio e travisamento fattuale e giuridico dei profili di censura ritualmente articolati dalla società ricorrente nell'atto introduttivo e nei successivi motivi aggiunti. 4.2. Si sono costituiti il comune di (omissis) e i signori An. Na. e Gi. Na.. 5. Alla camera di consiglio, la causa, chiamata per la trattazione della domanda cautelare di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, è stata trattenuta, previo avviso alle parti presenti, per la decisione ai sensi e con le modalità di cui all'art. 74, c.p.a. 6. L'appello è fondato, nei sensi che seguono. 7. L'autorizzazione unica ambientale è disciplinata dal d.p.r. 19 ottobre 2011, n. 227 (Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) che, all'articolo 4, contempla nel proprio ambito oggettivo di applicazione della normativa in questione anche le attività rumorose, ovvero di impatto acustico. 8. Il provvedimento oggetto di revoca ha autorizzato "l'attività di impianto di autolavaggio" e lo "scarico delle acque in pubblica fognatura". 9. Correttamente, pertanto, il comune ha ritenuto sussistenti i presupposti normativi per la verifica di conformità dell'impianto ai parametri della zonizzazione acustica del territorio, senza che rilevi la circostanza che l'autorizzazione sia stata rilasciata per lo scarico in pubblica fognatura. 10. Il comune ha proceduto, infatti, al riesame del provvedimento alla luce dei presupposti richiesti dalla norma per lo svolgimento di attività rumorose, rispetto al quale l'autorizzazione allo scarico è accessiva e consequenziale. 11. Sennonché, nel procedere alla verifica di tali presupposti, il comune non ha tenuto conto: a) che l'immutazione dello stato dei luoghi è avvenuta a cagione della rimozione, ordinata dal comune, dei pannelli installati dalla ditta, previa presentazione della c.i.l.a., proprio per la mitigazione dei rumori; b) che il contestato e addebitato superamento dei valori fonometrici non è stato mai accertato dall'ufficio comunale, anche avvalendosi se del caso dell'ARPA, bensì è avvenuto in base alla mera acquisizione di una perizia fonometrica di soggetti terzi. 12. Ai sensi dell'art. 14, commi 1 e 2 della legge n. 447 del 26 ottobre 1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico) le attività di controllo e vigilanza in materia di inquinamento acustico sono svolte dalle province e dai comuni. 12.1. In particolare, alla provincia sono affidate le funzioni di controllo e vigilanza qualora le problematiche di inquinamento acustico riguardino ambiti territoriali ricadenti sul territorio di più comuni compresi nella circoscrizione provinciale; ciò può, per esempio, verificarsi quando la sorgente sonora potenzialmente disturbante e il sito ricettore del rumore sono ubicati in due diversi comuni confinanti. 12.2. Quando, invece, il presunto inquinamento acustico riguarda siti collocati all'interno del territorio di un unico comune, le funzioni amministrative relative al controllo restano di esclusiva competenza della stessa municipalità . 12.3. Sia il comune che la provincia possono avvalersi del supporto ARPA, essenzialmente per la gestione tecnica della problematica, pur restando in capo ad essi la responsabilità del procedimento amministrativo. 13. Orbene, l'ente locale ha ritenuto di non avvalersi del supporto dell'Arpa al fine di accertare l'eventuale superamento dei limiti di rumore e, quindi, la violazione delle relative norme; neppure, tuttavia, esso ha svolto un autonomo accertamento circa il presunto inquinamento acustico, appiattendosi supinamente e immotivatamente sulla perizia fonometrica di un soggetto terzo che, seppure idonea a introdurre un minimo principio di prova, non poteva sostituirsi né esaurire gli accertamenti e i dovuti approfondimenti istruttori incombenti sull'autorità procedente, ai sensi della legge n. 447 del 1995 e, più in generale, della legge n. 241 del 1990; incombenti che, per la stessa ragione, neppure potevano essere esclusivamente posti a carico del privato (come di fatto imposto dal comune) trattandosi, peraltro, di un procedimento, quello confluito negli impugnati provvedimenti, avviato d'ufficio e tenuto conto che così operando l'amministrazione ha sostanzialmente dismesso i propri compiti di vigilanza e controllo prestando solo fede a mere segnalazioni, esposti e lamentele di taluni cittadini. 14. Tale comportamento espone gli impugnati atti a un deficit istruttorio, che si riverbera sulla adeguatezza della motivazione e della consequenziale misura adottata, la quale disvela anche un evidente vulnus al principio di proporzionalità laddove, proprio in ragione del mancato accertamento istruttorio, inibisce in toto, irragionevolmente, l'intera attività commerciale, revocando tutti i provvedimenti rilasciati all'appellante, senza neppure farsi carico di valutare - giusta un equilibrato e ponderato esercizio del potere ispirato anche alla salvaguardia delle attività economico-produttive - l'opportunità di impartire alla ditta prescrizioni calibrate e maggiormente adeguate alla situazione concreta, in grado di consentirle, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la prosecuzione dell'attività se del caso con le modalità prospettata dalla parte appellante, ovvero mediante il lavaggio a mano. Sotto questo ultimo profilo, rileva ancor più la sproporzionalità della misura adottata dal comune di provvedere laddove è stata disposta addirittura la revoca dell'A.U.A., rilasciata peraltro per lo scarico in fogna delle acque e non per l'aspetto relativo all'inquinamento acustico, così, per un verso, esorbitando dalla causa del potere esercitato, per l'altro precludendo irreversibilmente ogni valutazione circa la possibilità, appunto prospettata dalla società, di svolgere l'attività nelle forme alternative del lavaggio a mano. 15. L'appello è, dunque, fondato in parte qua; per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata n. 537 del 25 gennaio 2023, va accolto il ricorso di primo grado proposto dalla Ca. Wa. Ce. S.U.R.L. e consequenzialmente annullate: a) l'ordinanza n. 11 del 22 febbraio 2022 (prot. 4209), con cui è stata ordinata alla società appellante la chiusura immediata dell'attività di autolavaggio nei locali ubicati alla via (omissis), in (omissis); b) la determina dirigenziale n. 3 del 24 gennaio 2022 di "revoca" dell'autorizzazione unica ambientale. 17. Resta fermo il potere del comune di (omissis) di rideterminarsi (ad esito libero, previa rinnovata istruttoria) sulla parte acustica dell'attività esercitata dalla società appellante. 18. Sussistono opportuni motivi per disporre tra le parti, in ragione della peculiarità della fattispecie e dei suoi esiti, la compensazione delle spese relative al doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 791 del 2017, proposto dalla società Pr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Pa., con domicilio eletto presso la segreteria della sezione in Roma, piazza (...); contro la Regione Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ti. Ca. e Pa. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Da. Gu. in Roma, via (...); per l'annullamento della sentenza del T.a.r. Umbria, sez. I, 15 giugno 2016 n. 516, che ha respinto il ricorso n. 211/2012 R.G. proposto per l'annullamento dei provvedimenti con cui la Regione Umbria ha respinto la richiesta, presentata il giorno 29 settembre 2004 dalla Pr. s.p.a., per ottenere il contributo relativo al bando per interventi riferibili all'Obiettivo 2 2000-2006 misura 3.1 - Sostegno alle imprese per la tutela e la riqualificazione ambientale - approvato con determinazione dirigenziale 28 aprile 2004 n. 3000. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il consigliere Francesco Gambato Spisani; udito per la parte appellante l'avvocato Mi. Vi., su delega di Do. Pa.; dato atto dell'istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati Pa. Ma. e Ti. Ca.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Regione Umbria, intimata appellata, con determinazione dirigenziale 28 aprile 2004 n. 3000, ha approvato un "bando per la presentazione delle domande di contributo per interventi di cui al DOCUP Obiettivo 2- 2000-2006, misura 3.1" per il "sostegno alle imprese per la tutela e la riqualificazione dell'ambiente". Si tratta, in sintesi, di un bando per assegnare "contributi agli investimenti delle imprese industriali, artigiane, commerciali e turistiche", finalizzati fra l'altro a ridurre l'inquinamento atmosferico, idrico e acustico e in particolare alla rimozione dell'amianto dalle strutture in cui è presente. 2. Destinatarie del bando, in base all'art. 2 di esso, erano "le imprese dell'industria, dell'artigianato, del commercio e del turismo, individuate secondo il censimento ISTAT 1991 nelle classi "C" -Estrazioni di minerali; "D" -Attività manifatturiere; "F" - Costruzioni; "G" Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa; "H" Alberghi e ristoranti, ubicate nelle aree Obiettivo 2 e phasing out della regione Umbria"; per quanto poi interessa, il contributo veniva accordato ai sensi dell'art. 7 previa formazione di una graduatoria delle domande presentate, e concretamente pagato, ai sensi dell'art. 9, dopo la realizzazione dell'investimento finanziato, sulla base di una richiesta di erogazione da presentare entro un breve termine successivo (per tutto ciò, doc. 1 bis in I grado ricorrente appellante, bando, pp. 15 e ss. del file relativo). 3. La ricorrente appellante, un'impresa industriale attiva nella produzione di profilati metallici, ha quindi presentato il giorno 29 settembre 2004 la propria domanda, relativa ad un contributo di Euro 14.908,60 - pari alla percentuale massima ammissibile per un investimento di Euro 37.221,49- per un intervento di eliminazione dell'amianto da un capannone di proprietà, situato nella zona industriale del Comune di (omissis) e distinto al relativo catasto al foglio (omissis) particella (omissis) (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, p. 11 del file, domanda; doc. 7 in I grado ricorrente appellante, nota Regione 14 dicembre 2005, p. 60 del file, ove i dati catastali dell'immobile). 4. La domanda è stata ammessa a contributo per l'importo richiesto, come da nota della Regione 31 maggio 2005 prot. n. 93633 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, p. 30 del file). 5. L'impresa ha quindi eseguito i lavori e, con nota 24 ottobre 2005, ha chiesto l'erogazione del contributo, ovvero il suo concreto pagamento (doc. 5 in I grado ricorrente appellante, p. 36 del file). 6. Con la nota 14 dicembre 2005 prot. n. 205574 di cui in epigrafe, peraltro, la Regione ha reso noto di non potere, allo stato, pagare il contributo riconosciuto, richiedendo a tal fine la dimostrazione definitiva che "l'immobile oggetto di intervento... è parte dell'insediamento produttivo della ditta Pr. s.p.a.", che "all'interno dello stesso viene svolta una parte del ciclo produttivo della stessa ditta" e che "la ditta MI. (titolare del cartello affisso all'ingresso dello stabile) con sede legale in (omissis) zona industriale n. (omissis) ed unità locale in (omissis) zona industriale, svolge la propria attività in altri siti di cui verrà fornita l'identificazione catastale"; ai fini di questa dimostrazione, la Regione ha poi richiesto specificamente una dichiarazione sostitutiva di atto notorio (doc. 7 in I grado ricorrente appellante, p. 60 del file). 7. La società ha risposto con la richiesta dichiarazione sostitutiva, fatta però pervenire alla Regione soltanto il 19 gennaio 2011, nella quale afferma che l'immobile interessato dall'intervento è appunto parte del proprio insediamento produttivo e che all'interno dello stesso viene svolta una parte del ciclo produttivo aziendale (doc. 8 in I grado ricorrente appellante, p. 61 del file). 8. A fronte di ciò, la Regione ha risposto con nota 17 febbraio 2011 prot. n. 23860, in cui dichiara di confermare quanto espresso nella nota 14 dicembre 2005 già citata e di non potere, quindi, erogare il contributo (doc. 9 in I grado ricorrente appellante, p. 62 del file). La Regione ha poi ribadito il diniego negli stessi termini con le note 3 maggio 2011 prot. n. 64799 e 6 febbraio 2012 prot.n. 18490 (doc. ti 10 e 11 in I grado ricorrente appellante, pp. 63 e 64 del file). 9. La società ha quindi proposto il ricorso di I grado al T.a.r. per l'Umbria (allibrato al n. 211/2012 R.G.) per chiedere l'annullamento dei sopra illustrati atti. 10. Con la sentenza a sua volta meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto questo ricorso, con la motivazione che ora si riassume. 10.1 In via preliminare, il T.a.r. ha affermato d'ufficio in modo espresso la propria giurisdizione sulla fattispecie, essendo la controversia relativa ad un atto di esclusione dal contributo per mancanza dei requisiti, al quale riconosce natura di autotutela pubblicistica; questo capo della sentenza non è stato impugnato. 10.2 Sempre in via preliminare, il T.a.r. ha respinto l'eccezione di irricevibilità del ricorso per tardiva impugnazione della nota 14 dicembre 2005, ritenendo che la stessa avesse carattere di atto interlocutorio e non di provvedimento lesivo; anche questo capo della sentenza non è stato impugnato, non risultando proposto il necessario appello incidentale. 10.3 Nel merito, il T.a.r. ha anzitutto dato atto di una circostanza pacifica e non controversa in causa, ovvero del fatto che il capannone oggetto dell'intervento, pur di proprietà della ricorrente appellante, fino al 1 gennaio 2011 era utilizzato da altra impresa, la MI. alla quale la nota 14 dicembre 2005 si riferiva. 10.4 Ciò posto, il T.a.r. ha ritenuto che la logica del bando fosse quella di "condizionare l'erogazione del contributo allo svolgimento da parte dell'impresa richiedente di attività produttiva nell'immobile oggetto di intervento", e che quindi per ottenere il contributo stesso non fosse sufficiente che l'immobile fosse utilizzato pur sempre a fini produttivi, ma da parte di un terzo soggetto, diverso dal proprietario. 10.5 Di conseguenza, il T.a.r. ha respinto la domanda, osservando in aggiunta che l'invio della documentazione a cinque anni dalla richiesta doveva comunque ritenersi in contrasto con i principi di collaborazione, buona fede, economicità e non aggravio del procedimento e che il riscontro della carenza dei requisiti per l'erogazione del contributo valeva implicita revoca in autotutela della graduatoria. 11. Contro questa sentenza, l'impresa ha proposto impugnazione, con appello che contiene due motivi (estesi da pagina 6 a pagina 14 del ricorso), così come segue. 11.1 Con il primo di essi, deduce eccesso di potere per travisamento del fatto ed erronea interpretazione del bando di finanziamento e sostiene, in sintesi estrema, che il bando stesso non richiederebbe in alcun modo l'utilizzazione del bene sul quale si interviene nel ciclo produttivo dell'impresa beneficiaria. 11.2 Con il secondo motivo, deduce eccesso di potere per asserita violazione delle norme sull'autotutela, e sostiene che l'amministrazione, prima di negare l'erogazione del contributo, avrebbe dovuto adottare un formale atto di revoca della graduatoria. 12. La Regione ha resistito, con atto 14 marzo 2017 e memoria 10 gennaio 2023, e ha chiesto che l'appello sia respinto. In via preliminare, ha eccepito (memoria 10 gennaio 2023 pp.15-16) che il ricorso originario dovrebbe ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, dato che alla data attuale sarebbe impossibile adempiere all'onere previsto dall'art. 13 del bando, per cui il beneficiario era tenuto, sotto pena di revoca del contributo, a "comunicare all'Arpa ed alla Regione a mezzo raccomandata A.R. entro il 30 aprile di ciascun anno e per due annualità successive a quella di liquidazione del contributo, i dati relativi al funzionamento dell'impianto" (doc. 1 bis in I grado ricorrente appellante, cit. p. 25 del file). Nel merito, ha poi osservato che la logica del bando, risultante a sua semplice lettura, era quella di migliorare il ciclo produttivo dell'impresa beneficiaria, non quella di accrescere il valore del patrimonio immobiliare, sì che non si potevano ritenere finanziabili interventi su edifici di proprietà, ma utilizzati da altri. 13. Alla pubblica udienza del giorno 16 febbraio 2023, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione. 14. L'appello è manifestamente infondato nel merito, e ciò rende non necessario, in base al pacifico principio della ragione più liquida, esaminare l'eccezione preliminare proposta dalla Regione. 15. È infondato il primo motivo, centrato sulla presunta possibilità di concedere il contributo anche per interventi su immobili di proprietà, ma non direttamente utilizzati perché, come nella specie, locati a terzi. A semplice lettura del bando emerge infatti che esso era finalizzato a sostenere investimenti produttivi, e non a finanziare una mera valorizzazione del patrimonio immobiliare. Ciò si desume anzitutto dall'art. 2 di esso, che non contempla le società immobiliari fra i possibili beneficiari. Si desume poi dall'art. 7, per cui per accordare il finanziamento si valutano le capacità imprenditoriali del soggetto, che evidentemente non rileverebbero per un semplice locatore di immobili (doc. 1 bis ricorrente appellante, cit.) Si desume infine anche dall'art. 6 quarto capoverso, come successivamente aggiunto al bando (doc. 1 bis ricorrente appellante, cit. p. 28 del file) per cui gli interventi su immobili condotti in locazione sono finanziabili, ma con pagamento a favore del conduttore e a determinate condizioni, ovvero con il consenso del locatore e con l'impegno da parte di costui a mantenere per un certo numero di anni la destinazione produttiva dell'immobile, il che evidentemente non avrebbe alcun senso se il locatore potesse ottenere il contributo direttamente solo perché tale. 16. È infondato anche il secondo motivo, centrato su una presunta violazione delle norme in tema di autotutela. L'istituto infatti è richiamato non a proposito, dal momento che, ad avviso del collegio e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di I grado, non è applicabile alla fattispecie. Non vi è infatti alcun esercizio di autotutela, dato che per l'art. 9 del bando l'erogazione del contributo avviene, fra l'altro, a patto che "siano stati conseguiti e certificati gli obiettivi previsti nel progetto ammesso a contributo" (doc. 1 bis p.23 del file). Nel momento in cui ciò non si è verificato, l'amministrazione doverosamente non ha pagato il contributo, senza necessità di revocare la graduatoria già formata. 17. L'appello in conclusione va respinto, e respinto rimane il ricorso di I grado, come si è appena detto con motivazione in parte diversa. 18. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo, in misura comunque congrua rispetto a quanto previsto dal d.m. 10 marzo 2014 n. 55 per una causa di valore pari ad Euro 14.098, corrispondenti all'importo del contributo domandato, nonché tenuto conto, ai sensi dell'art. 26 comma 1 c.p.a., della manifesta infondatezza dei motivi dedotti. Va quindi dato atto che la condanna dell'appellante ai sensi di quest'ultima norma rileva anche agli eventuali effetti di cui all'art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 791/2017 R.G.), lo respinge. Condanna la ricorrente appellante Pr. s.p.a. a rifondere alla controparte costituita Regione Umbria le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in Euro 6.000 (seimila/00), oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Vito Poli - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6880 del 2022, proposto da At. Ed. Pa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. St. Ri., El. St. Ri., Ag. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Pa. St. Ri. in Roma, viale (...); contro Le. Lo. Onlus ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Co. Lo. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Da. Ar., Al. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ca. Ci. in Roma, Piazzale (...); Es. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Al., Ma. Gr. La., Fa. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di Lodi, in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio. nei confronti Lu. Da. Do. Ga., rappresentato e difeso dagli avvocati El. St. Ri., Ag. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato El. St. Ri. in Roma, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione seconda n. 1429 del 2022, resa tra le parti; Visto il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'appello incidentale di Es. s.p.a.; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Co. Lo. Società Cooperativa; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Le. Lo. ONLUS ed altri; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Lu. Da. Do. Ga.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2022 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso al T.a.r. per la Lombardia iscritto al n. R.G. 1929/2020 Co. Lo. società cooperativa (di seguito solo "Coop") ha chiesto l'annullamento: i) del verbale della Conferenza di verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale del comune di Lodi - Direzione Organizzativa n. 3 - Autorità procedente, relativo al procedimento di adozione del Programma Integrato di Intervento di iniziativa privata denominato "Area ex Consorzio Ag." in variante al vigente P.G.T. ai sensi dell'art. 14 della L.r. n. 12/2005; ii) del provvedimento del comune di Lodi - Autorità competente, relativo al processo di verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica del P.I.I. di iniziativa privata denominato "Area ex Consorzio Ag." in variante al vigente P.G.T. del comune di Lodi ai sensi dell'art. 14 della L.r. n. 12/2005; iii) della DD n. 751 del 28.08.2020 recante ad oggetto "procedimento per l'adozione del P.I.I. di iniziativa privata denominato "Area ex Consorzio Ag." in variante allo strumento urbanistico vigente ai sensi dell'art. 14 della L.r. n. 12/2005", unitamente alla verifica di non assoggettabilità alla valutazione ambientale; iv) "di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso, precedente, collegato e/o consequenziale ancorché non conosciuto, ma comunque lesivo degli interessi della parte ricorrente e per ogni ulteriore statuizione". 1.1. Ha chiesto, inoltre, di condannare l'Amministrazione al risarcimento dei danni da quantificarsi in corso di causa. 2. Coop è titolare nel comune di Lodi di un insediamento composto da tre edifici commerciali con destinazione commerciale. Il complesso è realizzato in forza di un P.I.I. che comporta anche la realizzazione di diverse opere di interesse pubblico. Nel corso del 2020 l'Amministrazione comunale avvia un procedimento volto all'adozione ed approvazione di un nuovo P.I.I. in variante al P.G.T. finalizzato alla realizzazione di una media struttura di vendita "per una superficie complessiva di 7.400 mq. di cui 2.500 di Sv (superficie di vendita) e restanti 2.600 mq. per parti magazzino/uffici/locali tecnici etc., 1.850 mq. a magazzino (carico/scarico) e 450 mq. per altre attività residuali ed il recupero dell'edificio esistente di circa 599 mq. denominato "Do." per una destinazione terziario". Il P.I.I. riguarda un'area denominata "ex Consorzio Ag.", ubicata in zona centrale del tessuto urbanistico e distante circa 1.500 metri dal complesso di Coop. De. quest'ultima che la proposta di trasformazione si porrebbe in termini di "assoluta novità " rispetto alle previsioni vigenti per l'ambito interessato dal P.I.I. Ciononostante, si esclude la necessità di una nuova v.a.s. e, in data 22 settembre 2020, si adotta il nuovo P.I.I. 3. Coop ha articolato due motivi di ricorso. 3.1. Con il primo motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 12 del DLGS 152/2006. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 4 della LR 12/2005. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli Indirizzi generali per la Valutazione Ambientale (VAS) approvati con DCR 13.03.2007, n. VIII/351 e gli ulteriori adempimenti di disciplina approvati dalla Giunta Regionale con deliberazione n. VIII/6420 del 27 dicembre 2007 e s.m.i. - DGR n. 9/761 "Determinazione della procedura di Valutazione Ambientale di piani e programmi - Vas - Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29 giugno 2010 n. 128, con modifica ed integrazione delle d.g.r. 27 dicembre 2008, n. 8/6420 e 30 dicembre 2009, n. 8/10971" - Circolare n. 13071 del 14.12.2010 della Direzione Generale Territorio ed Urbanistica della Regione Lombardia avente ad oggetto "L'applicazione della Valutazione Ambientale di Piani e Programmi - VAS nel contesto comunale". Eccesso di potere sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione della DGR 20 dicembre 2013, n. X/1193 "Disposizioni attuative finalizzate alla valutazione delle istanze per l'autorizzazione all'apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita conseguenti alla d.c.r. 12 novembre 2013 n. X/187, Nuove linee per lo sviluppo delle imprese del settore commerciale". Violazione e/o falsa applicazione del principio di precauzione.") Coop ha dedotto l'illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui non si sottopone a v.a.s. il P.I.I. ritenuto fortemente innovativo rispetto alle previsioni del P.G.T. di cui costituisce variante. In particolare, il P.I.I. prevede la trasformazione di un ambito prevalentemente residenziale in un ambito quasi esclusivamente commerciale con conseguente esiziale impatto urbanistico e commerciale determinando la chiusura di tredici esercizi di vicinato di tipo alimentare e di dodici esercizi di vicinato di tipo non commerciale. Inoltre, il P.I.I. prevede la realizzazione di varie infrastrutture tra cui: i) una pista ciclabile interna al comparto; ii) una nuova stazione degli autobus; iii) un nuovo collegamento viabilistico Est-Ovest tra le vie (omissis) e (omissis) e via (omissis); iv) cinque nuove rotatorie per disciplinare il traffico all'interno del comparto e in prossimità del nuovo incrocio tra Piazzale (omissis) e la nuova via di collegamento, dell'incrocio tra via (omissis) e via (omissis), dell'incrocio tra via (omissis) e viale (omissis), e dell'incrocio tra viale (omissis) e via (omissis). 3.1.1. Tali opere risultano foriere di impatti ambientali e, come tali, meriterebbero il necessario approfondimento tipico della v.a.s., esclusa, invece, dall'Amministrazione che considera gli interventi "di piccola scala". 3.1.2. Coop ha evidenziato, inoltre, come: i) la struttura di vendita in progetto debba considerarsi grande e non media con le conseguenti necessità istruttorie; ii) la simulazione dei flussi di traffico sarebbe irrealistica; iii) gli incrementi di pressione sonora sarebbero notevoli. 3.1.3. A sostegno della censura Coop ha evidenziato, inoltre, come: i) il Comune di Conegliano Laudense sottolinei, in sede di conferenza, il "pesante impatto ambientale derivante dalla trasformazione urbanistica" con significativi impatti anche sulla mobilità extraurbana; tale Amministrazione esprime "perplessità sulle destinazioni del magazzino della media struttura di vendita ritenuto finalizzato ad un'attività di logistica più che di supporto all'esercizio commerciale di vendita diretta"; inoltre, sono evidenziate carenze istruttorie in ordine alle analisi di falda, alle emissioni in atmosfera, all'invarianza idraulica, alle compensazioni ambientali, che rendono necessaria l'assoggettabilità a v.a.s. (f. 4/4 del verbale impugnato); ii) sia omesso l'esame del parere del Circolo Le. Lo. che "assimila il nuovo insediamento commerciale alla categoria superiore di ipermercato con conseguenti considerazioni per le quali si chiede l'assoggettabilità a VAS del PII"; iii) vi sia una sostanziale carenza nel rapporto preliminare di verifica di assoggettabilità a v.a.s., dimostrato anche dalle considerazioni esposte ai fogli 17-22 del provvedimento ove si sottolineano gli impatti del P.I.I. in specie in ordine al traffico, al rumore ambientale e all'effetto sul paesaggio locale; iv) difetterebbe la necessaria applicazione del principio di precauzione che orienta le scelte e le decisioni potenzialmente impattanti sull'ambiente. 3.2. Con il secondo motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'3 della L. 241/90. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e contraddittorietà, per travisamento di fatto. Violazione dell'articolo 111 della Cost. in materia di giusto procedimento. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere, erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà, disparità di trattamento, anche con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione del principio di informazione e partecipazione pubblica e della DGR 30 dicembre 2009 - n. 8/10971") Coop ha dedotto la mancanza di una motivazione analitica ed adeguata nella decisione di non assoggettare il P.I.I. a v.a.s. La censura evidenzia la sussistenza di criticità rilevate dal Comune di (omissis), dalla Commissione locale per il paesaggio, nonché da alcune associazioni. Criticità che imporrebbero gli approfondimenti tipici della v.a.s. anche al fine di consentire la massima partecipazione dei cittadini e dei soggetti interessati al procedimento. 4. Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 17.12.2020 Coop ha chiesto l'annullamento: i) della delibera di Consiglio comunale n. 77 del 22.09.2020 recante ad oggetto "Adozione del PII di iniziativa privata denominato "Ex Consorzio Ag." in variante al vigente PGT ai sensi dell'art. 14 della LR 12/05 e s.m.i." pubblicata in Albo pretorio dal 25.09.2020 al 10.10.2020; ii) "di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso, precedente, collegato e/o consequenziale ancorché non conosciuto, ma comunque lesivo degli interessi della parte ricorrente e per ogni ulteriore statuizione". 4.1. Ha chiesto, inoltre, di condannare l'Amministrazione "al risarcimento dei danni nella misura in cui verranno quantificati in corso di causa alla luce delle risultanze documentali e dei mezzi istruttori espletati". 4.2. La ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l'invalidità derivata dei provvedimenti impugnati per i vizi articolati avverso gli atti oggetto del ricorso introduttivo del giudizio. 4.3. Coop ha articolato cinque motivi di invalidità propria del provvedimento di adozione del P.I.I. 4.3.1. Con il primo motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dei principi del PGT vigente con riferimento al Documento di Piano e al Masterplan dell'Ambito D1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 46 delle NTA - Piano delle Regole del PGT") Coop ha dedotto la violazione del P.G.T. e del Masterplan del 2014, atteso che il P.I.I. "stravolge" l'assetto urbanistico dell'area prevedendo un insediamento prevalentemente commerciale in un ambito destinato a funzione residenziale disconoscendo gli assi portanti del Piano sia in relazione alle esigenze abitative che in ordine all'esercizio delle attività commerciali. 4.3.2. Con il secondo motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 della LR n. 12/2005. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di partecipazione. Violazione del principio del legittimo affidamento") Coop ha dedotto la mancanza di completezza del P.I.I. che sarebbe testimoniata dagli "impegni" conferiti alla Giunta per "soccorrere" lacune e deficienze del Piano. In sostanza, il Piano adottato sarebbe suscettibile di revisione quanto meno in relazione ad alcune soluzioni progettuali; circostanza che testimonierebbe la mancanza del necessario approfondimento istruttorio e della definitività delle soluzioni adottate. 4.3.3. Con il terzo motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dei principi del Documento di Piano (DdP 1 Indirizzi e criteri per attuazione degli ambiti di trasformazione - Ambiti pregressi delle trasformazioni negoziate - Indicazioni e criteri di riferimento progettuale) con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 della LR n. 12/2005. Violazione del principio di partecipazione. Violazione del principio del legittimo affidamento") Coop ha dedotto la violazione della previsione del Documento di Piano che, per gli ambiti di trasformazione, prevede l'attivazione di "un adeguato percorso di partecipazione con la cittadinanza", omesso nel caso di specie. 4.3.4. Con il quarto motivo (rubricato: "Incompetenza dell'Organo chiamato ad adottare il MASTERPLAN. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 42 del DLGS 267/2000 - art. 27 Statuto della Città di Lodi") Coop ha dedotto l'illegittimità del masterplan propedeutico al P.I.I. in quanto approvato dalla Giunta e non dal Consiglio comunale. 4.3.5. Con il quinto motivo (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14 della LR in combinato disposto con l'art. 42, comma 2, lettera l) del DLGS 267/2000") Coop ha dedotto l'illegittimità della delibera di adozione del P.I.I. nella parte in cui omette di prendere espressa posizione sulla permuta e sulla cessione di diritti edificatori relativi ad un'area di proprietà comunale interessata dal P.I.I. 5. In data 21.12.2020 si è costituito in giudizio il Comune di Lodi che chiede di respingere il ricorso introduttivo e il successivo ricorso per motivi aggiunti. 6. In data 8.6.2021 Coop ha depositato nuovo ricorso per motivi aggiunti con il quale ha chiesto di annullare: i) la delibera di Consiglio comunale n. 7 del 3.02.2021 recante ad oggetto "Approvazione del PII di iniziativa privata denominato "Ex Consorzio Ag." in variante al vigente PGT ai sensi dell'art. 14 della LR 12/05 e s.m.i. Autorizzazione alla permuta di aree ed alla cessione di diritti edificatori. Discussione e rinvio alla seduta del 04.02.2021" pubblicata in Albo pretorio dal 23.02.2020 al 10.03.2021; ii) la delibera di Consiglio comunale n. 8 del 4.02.2021 recante ad oggetto "Approvazione del PII di iniziativa privata denominato "Ex Consorzio Ag." in variante al vigente PGT ai sensi dell'art. 14 della LR 12/05 e s.m.i. Autorizzazione alla permuta di aree ed alla cessione di diritti edificatori. Prosieguo discussione del 03.02.2021 e rinvio al 05.02.2021" pubblicata in Albo pretorio dal 23.02.2020 al 10.03.2021; iii) la delibera di Consiglio comunale n. 9 del 5.02.2021 recante ad oggetto "Approvazione del PII di iniziativa privata denominato "Ex Consorzio Ag." in variante al vigente PGT ai sensi dell'art. 14 della LR 12/05 e s.m.i. Autorizzazione alla permuta di aree ed alla cessione di diritti edificatori. Discussione e approvazione" pubblicata in Albo pretorio dal 23.02.2020 al 10.03.2021; iv) la determinazione n. 332/2021 del 28.04.2021 recante ad oggetto "Ricognizione e presa d'atto della restituzione degli elaborati del PII denominato "Ex Consorzio Ag." a seguito delle controdeduzioni ed emendamenti approvati dal Consiglio comunale con deliberazioni CC n. 7 del 3.02.2021, n. 8 del 4.02.2021, n. 9 del 5.02.2021, con annullamento della determinazione dirigenziale n. 330 del 27.04.2021" pubblicata in Albo pretorio dal 28.04.2020 al 13.05.2021; v) "ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso, precedente, collegato e/o consequenziale ancorché non conosciuto, ma comunque lesivo degli interessi della parte ricorrente e per ogni ulteriore statuizione". 6.1. Ha chiesto, inoltre, di condannare l'Amministrazione al risarcimento dei danni "nella misura in cui verranno quantificati in corso di causa alla luce delle risultanze documentali e dei mezzi istruttori espletati". 6.2. Coop ha dedotto, in primo luogo, l'invalidità derivata degli atti impugnati per i vizi già dedotti nel ricorso introduttivo e nel primo ricorso per motivi aggiunti. 6.3. Inoltre, Coop ha articolato sette motivi di invalidità propria degli atti impugnati. 6.3.1. Con il primo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 e 13 della LR n. 12/2005. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di partecipazione amministrativa con riferimento all'istituto delle "osservazioni". Violazione del principio del legittimo affidamento") Coop ha dedotto l'omessa partecipazione della cittadinanza e, in generale, dei soggetti interessati in relazione ad alcune osservazioni accolte dalla delibera di approvazione che inciderebbero su assi portanti del P.I.I. Vi sarebbe, quindi, un uso illegittimo dello strumento delle "osservazioni" e, quindi, del procedimento che conduce all'approvazione del P.I.I. A sostegno della censura Coop elenca una serie di modifiche introdotte in sede di approvazione che testimonierebbero le notevoli novità rispetto al P.I.I. adottato (ff. 10-16 del ricorso per motivi aggiunti in esame). 6.3.2. Con il secondo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dei principi del PGT vigente con riferimento al Documento di Piano e al Masterplan dell'Ambito D1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 46 delle NTA - Piano delle Regole del PGT") Coop De. la violazione del Documento di Piano nella parte relativa alle regole in tema di ambiti di trasformazione. 6.3.3. Con il terzo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 47 Piano delle Regole del PGT") Coop insiste nell'eccezione di incompetenza nell'approvazione del masterplan (già formulata nel quarto motivo del primo ricorso per motivi aggiunti) e deduce l'incompetenza del Consiglio a provvedere alla modifica dello stesso. In sostanza, secondo Coop vi sarebbe un "cortocircuito amministrativo" per cui "delle due, l'una: o la Giunta era incompetente ad approvare il Masterplan nel 2014 o lo è adesso il Consiglio chiamato a modificarlo". 6.3.4. Con il quarto di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione dei principi del Documento di Piano (DdP 1 Indirizzi e criteri per attuazione degli ambiti di trasformazione - Ambiti pregressi delle trasformazioni negoziate - Indicazioni e criteri di riferimento progettuale) con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 e 13 della LR n. 12/2005. Violazione del principio di partecipazione. Violazione del principio del legittimo affidamento") Coop De. la mancanza di una partecipazione effettiva ed adeguata della cittadinanza. 6.3.5. Con il quinto di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione della DGR dicembre 2013, n. X/1193 "Disposizioni attuative finalizzate alla valutazione delle istanze per l'autorizzazione all'apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita conseguenti alla d.c.r. 12 novembre 2013 n. X/187, Nuove linee per lo sviluppo delle imprese del settore commerciale") Coop De. l'erroneità dei presupposti di fatto a base dell'approvazione del P.I.I. ritenendo che la struttura di vendita autorizzata debba ritenersi grande e non media con conseguente applicazione (non operata nel caso di specie) delle diverse regole valevoli per tali strutture. 6.3.6. Con il sesto di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 242 bis rubricato "Procedura semplificata per le operazioni di bonifica" del DLGS 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di coordinamento della disciplina urbanistica con quella ambientale") Coop De. l'illegittimità dei provvedimenti nella parte relativa alla bonifica dell'area, ritenuti inficiati da un'istruttoria parziale e non soddisfacente. 6.3.7. Con il settimo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 10, 11, 12 e 13 del DLGS 22 gennaio 2004, n. 42") Coop De. l'omessa considerazione della richiesta di dichiarazione di interesse culturale del complesso "ex Consorzio" formulata dall'Associazione It. No.. 7. In data 7.7.2021 Coop deposita un nuovo ricorso per motivi aggiunti chiedendo l'annullamento dei medesimi atti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti in quanto pubblicati sul B.U.R.L. del 12.5.2021. Coop riproduce, in sostanza, il secondo ricorso per motivi aggiunti e chiede, inoltre, di sospendere l'efficacia di tali provvedimenti. 8. Si costituisce in giudizio la Società At. Ed. Pa. S.r.l. (di seguito solo "AE." o "la controinteressata") chiedendo di respingere il ricorso e la domanda cautelare. 8.1. In data 23.7.2021 AE. deposita memoria difensiva con la quale deduce l'infondatezza di tutte le censure articolate da Coop. 9. Il Comune di Lodi chiede di riunire il giudizio a quello rubricato al n. R.G. 1133/2021 proposto da Le. Lo. Onlus avente ad oggetto la medesima vicenda amministrativa. 9.1. In data 21.7.2021 il Comune deposita memoria difensiva con la quale: i) eccepisce l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse ad agire; ii) deduce l'infondatezza delle censure articolate da Coop; iii) deduce l'inammissibilità e l'infondatezza della domanda cautelare. 10. All'udienza del 29.7.2021 Coop rinuncia all'istanza cautelare preannunciando il deposito di istanza di prelievo. 11. In data 3.12.2021 Coop deposita nuovo ricorso per motivi aggiunti con il quale chiede l'annullamento: i) del p.d.c. n. 2021/00779/PDC del 04.10.2021, n. prot. 55873, recante ad oggetto "Realizzazione di una nuova rotatoria tra Viale (omissis) e Via (omissis) (R4) e realizzazione di un ambito viabilità di connessione con il piazzale (omissis) (T3)" pubblicato in Albo pretorio dal 04.10.2021 al 03.11.2021; ii) del p.d.c. n. 2021/00780/PDC del 08.10.2021, n. prot. 57093, recante ad oggetto "Realizzazione di una nuova rotatoria in Piazza (omissis) (R5)" pubblicato in Albo pretorio dal 08.10.2021 al 07.11.2021; iii) dell'autorizzazione paesaggistica n. 2021/00475/PAE del 05.07.2021, n. prot. 44340 del 06.08.2021, recante ad oggetto "Autorizzazione Paesaggistica rotatoria "R4" - Viale (omissis), Via (omissis)"; iv) dell'autorizzazione paesaggistica n. 2021/00474/PAE del 05.07.2021, n. prot. 44343 del 06.08.2021, recante ad oggetto "Autorizzazione Paesaggistica rotatoria "R5" - Piazza (omissis)"; v) del p.d.c. n. 2021/00286/PDC del 23.09.2021, n. prot. 53505, recante ad oggetto "Realizzazione di una nuova area di sgambatura cani" pubblicato in Albo pretorio dal 23.09.2021 al 23.10.2021. 11.1. Coop De., in primo luogo, l'illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati per i vizi articolati nel ricorso introduttivo e nei precedenti ricorsi per motivi aggiunti. 11.2. Coop articola due motivi con i quali deduce l'invalidità dei provvedimenti per vizi propri. 11.2.1. In particolare, con il primo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 11 rubricato "Caratteristiche del permesso di costruire", comma 1, del DPR 380/2001 - TUE") Coop De. il rilascio dei permessi al sig. Do., in proprio, e non alla Società Ed. Pa. con conseguente loro illegittimità per intestazione dei permessi a soggetto non legittimato. 11.2.2. Con il secondo di tali motivi (rubricato: "Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 11 - 20 ss. del DPR 380/2001 - TUE. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto e/o carenza manifesta di istruttoria. Perplessità dell'azione amministrativa. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 3 della l. 241/1990. Difetto e/o carenza di motivazione. Contraddittorietà ") Coop De. la genericità delle prescrizioni imposte alla parte privata a cui si attribuirebbe, in sostanza, un "potere in bianco". 11.3. Coop articola, inoltre, domanda di sospensione dell'efficacia dei provvedimenti impugnati. 12. Resistono alla domanda cautelare il Comune di Lodi e Ed. Pa. depositando apposite memorie in vista dell'udienza camerale del 21.12.2021. 13. All'esito di tale udienza il T.a.r. dispone il rinvio della trattazione della domanda cautelare in ragione della preannunciata predisposizione di un nuovo ricorso per motivi aggiunti da parte di Coop. La trattazione dell'istanza cautelare è, quindi, differita all'udienza dell'8.2.2022. 14. In data 28.1.2022 Coop deposita il quinto ricorso per motivi aggiunti con il quale chiede l'annullamento: i) del p.d.c. n. 2021/00628/PDC del 10.12.2021, n. prot. 71115, recante ad oggetto "Realizzazione di un nuovo edificio commerciale" pubblicato in Albo pretorio dal 10.12.2021 al 09.01.2022; ii) dei provvedimenti di rettifica emessi dal Comune di Lodi prot. n. 72433 del 17.12.2021, prot. n. 72437 del 17.12.2021, prot. n. 72443 del 17.12.2021 e prot. n. 72445 del 17.12.2021 per correggere l'intestazione dei permessi di costruire rilasciati; iii) di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso, precedente, collegato e/o consequenziale ancorché non conosciuto, ma comunque lesivo degli interessi della parte ricorrente. 14.1. Chiede, inoltre, di condannare l'Amministrazione "al risarcimento dei danni, nella misura in cui verranno quantificati in corso di causa alla luce delle risultanze documentali e dei mezzi istruttori espletati". 14.2. Coop De., in primo luogo, l'illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati per i vizi articolati nel ricorso introduttivo e nei precedenti ricorsi per motivi aggiunti. 14.3. Coop articola, inoltre, due motivi di invalidità propria deducendo l'illegittimità dei provvedimenti: i) per insussistenza dei presupposti e per mancata applicazione delle regole procedimentali in tema di rettifica; ii) per sottoposizione dell'efficacia del p.d.c. all'avvenuta bonifica. 14.3.1. In relazione a questo secondo motivo Coop articola alcune riflessioni in ordine alla propria legittimazione ed interesse all'impugnazione (ff. 10-13 del ricorso per motivi aggiunti in esame). Evidenzia, inoltre, la illegittimità del rilascio di un permesso di costruire condizionato, nonché la presenza di lacune istruttorie in ordine all'inquinamento acustico e alle condizioni di viabilità . 14.4. Coop chiede, in ultimo, la concessione di idonee misure cautelari evidenziando come la mancata sospensione dei provvedimenti determinerebbe effetti irreversibili sull'area. 15. L'Amministrazione comunale deposita memoria difensiva con la quale eccepisce: i) la mancata notificazione del ricorso alla Soprintendenza competente con conseguente inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti; ii) l'inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ed interesse ad agire; iii) l'infondatezza dei motivi di ricorso. 16. Ed. Pa. deposita memoria difensiva con la quale deduce l'infondatezza del ricorso per motivi aggiunti e l'insussistenza dei presupposti dell'istanza cautelare. 17. All'esito della camera di consiglio dell'8.2.2022 la Sezione adotta l'ordinanza cautelare n. 169/2022. 18. In vista dell'udienza pubblica del 3.5.2022 il Comune di Lodi deposita memoria difensiva con la quale: i) deduce la decadenza dell'impugnazione del parere della Sovrintendenza e l'omessa notificazione del ricorso a tale organo dell'Amministrazione statale; ii) l'inammissibilità dell'impugnazione per carenza di legittimazione ed interesse ad agire; iii) l'inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione delle autorizzazioni paesaggistiche; iv) l'infondatezza delle censure. 18.1. Coop deposita memoria difensiva finale insistendo nelle censure articolate anche alla luce delle considerazioni svolte nell'ordinanza n. 169/2022 del T.a.r. 18.2. Ed. Pa. deposita memoria difensiva finale insistendo nelle proprie difese. Deposita, inoltre, memoria di replica. 19. All'udienza del 3.5.2022 la causa è trattenuta in decisione. 20. Con ricorso depositato in data 7.7.2021 Le. Lo. Onlus (di seguito solo "Le.") e i signori Or. Be. ed altri, chiedono l'annullamento: i) delle deliberazioni del Consiglio comunale di Lodi n. 7 del 3.2.2021, n. 8 del 4.2.2021 e n. 9 del 5.2.2021 di approvazione del P.I.I., in variante al P.G.T., denominato "Ex Consorzio Ag.", pubblicato nel b.u.r.l. del 12 maggio 2021, serie avvisi e consorzi n. 19; ii) della determina del dirigente del Comune di Lodi n. 332 del 28.4.2021 di approvazione della ricognizione e presa d'atto degli elaborati del P.I.I. a seguito delle controdeduzioni ed emendamenti approvati dal Consiglio comunale con le impugnate deliberazioni consiliari prima elencate; iii) della determina del dirigente del Comune di Lodi n. 751 del 28.8.2020 di non assoggettabilità a v.a.s. del piano urbanistico in variante al PGT; iv) del decreto del 25.8.2020 dell'Autorità competente per la v.a.s. che esclude il piano dalla procedura di v.a.s.; v) della deliberazione del Consiglio comunale di Lodi n. 77 del 22.9.2020 di adozione del PII di iniziativa privata denominato "Ex Consorzio Ag." in variante al P.G.T. 21. I ricorrenti evidenziano, in punto di fatto, la rilevanza dell'intervento in progetto nonché la celerità del procedimento di approvazione del P.I.I. Notano, in particolare, come il P.I.I. abbia una superficie territoriale mq. 28.062, una s.l.p. complessiva di mq. 8.000 (dei quali 7.400 nuovi), una s.l.p. commerciale di mq. 7.400, una superficie di vendita dichiarata di mq. 2.500; inoltre, il P.I.I. impone la monetizzazione di mq. 2.926 di aree a standard e non preveda misure di mitigazione ambientale, né misure di compensazione ambientale o misure di contenimento degli inquinanti derivanti dall'incremento di traffico. 22. I ricorrenti deducono la loro legittimazione ed interesse a ricorrere evidenziando come Le. sia iscritta nell'elenco delle associazioni di cui all'art. 3 della L. n. 349/1986 mentre gli altri ricorrenti siano residenti e/o proprietari di appartamenti "che sono interessati dalle modifiche viabilistiche, come da documentazione che versa in atti, e subiscono effetti diretti dalle previsioni del nuovo intervento, qualora mai dovesse essere realizzato". 23.1. Con il primo motivo (rubricato: "Violazione, erronea interpretazione ed applicazione della direttiva 2001/42/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.6.2001, dell'articolo 12 del codice ambiente, dell'articolo 4 della l.r. 12 del 2005, della deliberazione del Consiglio regionale n. 351 del 2007 e delle DD.GG.RR. 6420 e 761 del 2007") i ricorrenti censurano la decisione di non assoggettare a v.a.s. il P.I.I. nonostante i rilevanti impatti ambientali dello stesso. 23.2. Con il secondo motivo (rubricato: "Illegittimità sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di ponderazione - difetto di motivazione e violazione dell'articolo 3 della legge 241/90") i ricorrenti deducono contraddittorietà ed irrazionalità nel compendio motivazionale che correda la decisione di escludere la v.a.s. 23.3. Con il terzo motivo (rubricato: "Illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento") i ricorrenti deducono lo sviamento di potere nell'attività di verifica di assoggettabilità a v.a.s. osservando come la decisione che conduce all'esclusione costituisca un modo di sostituire la v.a.s. vera e propria. 23.4. Con il quarto motivo (rubricato: "Illegittimità per violazione dell'articolo 87 della l.r. 12 del 2005") i ricorrenti deducono la violazione della previsione in rubrica con censura più diffusamente articolata nel quinto motivo. 23.5. Con il quinto motivo (rubricato: "Illegittimità per violazione dell'articolo 87 della l.r. 12 del 2005 - difetto o, in subordine, erronea motivazione e conseguente violazione dell'articolo 3 della legge 241/90") i ricorrenti deducono la mancanza delle condizioni prescritte per l'adozione ed approvazione di un P.I.I. 23.6. Con il sesto motivo (rubricato: "Illegittimità per violazione delle norme sul procedimento amministrativo - difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dell'articolo 3 della legge 241/90") i ricorrenti deducono la sostanziale alterazione del P.I.I. approvato rispetto a quello adottato con conseguente obliterazione dell'apporto partecipativo dei privati e mancanza di adeguata istruttoria sulle scelte urbanistiche intraprese. 23.7. Con il settimo motivo (rubricato: "Illegittimità per inosservanza della DGR X/1193 del 20.12.2013") i ricorrenti deducono la violazione delle previsioni in tema di grandi strutture di vendita tra le quali si ascriverebbe quella in esame. 24. In data 8.7.2021 si costituisce in giudizio il Comune di Lodi chiedendo di rigettare il ricorso. 25. In data 9.7.2021 i ricorrenti rinunciano alla domanda cautelare. 26. In data 9.7.2021 si costituisce in giudizio Ed. Pa. chiedendo di rigettare il ricorso. 27. In data 27.10.2021 i ricorrenti depositano ricorso per motivi aggiunti chiedendo l'annullamento: i) del p.d.c. del 4.10.2021; ii) dell'autorizzazione paesaggistica 2021/00475/PAE del 5.7/6.8.2021 del Comune di Lodi; iii) del p.d.c. dell'8.10.2021; iv) dell'autorizzazione paesaggistica 2021/00474/PAE del 5.7/6.8.2021 del Comune di Lodi. 27.1. I titoli e le autorizzazioni impugnate riguardano due rotatorie da realizzare nell'ambito del P.I.I. provvedimenti che i ricorrenti ritengono illegittimi, in primo luogo, per invalidità derivata. Inoltre, i ricorrenti deducono carenza di istruttoria ed indeterminatezza delle prescrizioni apposte, ritenute inadeguate rispetto alle opere assentite. Articolano, in ultimo, domanda di sospensione cautelare. 28. In data 11.11.2021 i ricorrenti depositano istanza di concessione di misure cautelari monocratiche osservando come vi sia notizia dell'inizio dei lavori di realizzazione delle opere e vi sia il rischio di danni irreparabili. 28.1. La domanda è accolta con decreto cautelare monocratico n. 1211/2021 secondo il quale, "in ragione degli effetti che si determinerebbero medio tempore, emerge una situazione di estrema gravità ed urgenza tale da richiedere la sospensione dell'efficacia dei permessi di costruire impugnati, in assenza peraltro di elementi che, quanto al breve periodo di tempo residuo, evidenzino un significativo pregiudizio per gli altri interessi coinvolti". 29. L'Amministrazione comunale deposita memoria difensiva deducendo: i) la carenza di legittimazione ed interesse all'impugnazione; ii) l'inammissibilità del ricorso per omessa notificazione alla Soprintendenza; iii) l'infondatezza delle censure articolate nel ricorso per motivi aggiunti. 30. Ed. Pa. deposita memoria difensiva deducendo l'infondatezza del ricorso e della connessa domanda cautelare. 31. Con ordinanza n. 1269/2021 il T.a.r. accoglie interinalmente la domanda cautelare fissando per la prosecuzione della trattazione l'udienza del 21.12.2021. 31.1. Con successiva ordinanza n. 1424/2021 il T.a.r. rinnova l'accoglimento interinale della misura fissando per la prosecuzione della trattazione della domanda l'udienza dell'8.2.2022. 32. Con ordinanza n. 169/2022 il T.a.r.: i) riunisce i ricorsi R.G. n. 1929/2020 e n. 1133/2021; ii) accoglie la domanda cautelare sospendendo l'efficacia dei provvedimenti impugnati. 33. In vista dell'udienza di merito il Comune di Lodi deposita memoria difensiva ribandendo e sviluppando le eccezioni e difese già in precedenza articolate. 33.1. I ricorrenti depositano memoria difensiva finale incentrata su "repliche" alle eccezioni avversarie. 33.2. Ed. Pa. deposita memoria difensiva finale insistendo nelle eccezioni e difese articolate. 33.3. Le parti depositano memorie di replica. 34. In data 12.4.2022 i ricorrenti depositano copia dell'ordinanza n. 1631/2022 del Consiglio di Stato nonché copia della sentenza n. 7/2022 del T.A.R. per la Lombardia - sede di Brescia. 35. Il T.a.r. per la Lombardia con sentenza 1429 del 2022 ha: - riunito i due ricorsi; - disatteso le eccezioni preliminari di difetto di legittimazione; - accolto i ricorsi e annullato tutti i provvedimenti impugnati; - compensato tra le parti costituite le spese di lite dei giudizi riuniti; 36. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la At. Ed. Pa. S.r.l. per chiederne la integrale riforma. 37. Si sono costituite in giudizio: - Es. s.p.a. che ha anche proposto appello incidentale per chiedere, a sua volta, la riforma integrale della sentenza appellata e la reiezione dei ricorsi e dei motivi aggiunti proposti in primo grado; - Co. Lo. Società Cooperativa che ha eccepito la improcedibilità dell'appello chiedendone comunque la reiezione nel merito e riproponendo, in via subordinata, con memoria depositata il 12 settembre 2022, i motivi di ricorso non esaminati in primo grado dal T.a.r.; - Le. Lo. ONLUS, con i signori Or. Be. ed altri che hanno chiesto la reiezione dell'appello, e comunque l'accoglimento dei motivi di ricorso non esaminati in primo grado dal T.a.r. e riproposti con memoria depositata il 12 settembre 2022; - il signor Lu. Da. Do. Ga.. Il Comune di Lodi non si è costituito in giudizio. 38. Alla udienza pubblica del 17 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie difensive con le quali le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive e le conclusioni già rassegnate. 39. Co. Lo. Soc. Coop (d'ora innanzi Coop) e Le. con altri (d'ora innanzi Le.), hanno impugnato dinanzi al T.a.r. per la Lombardia tutti gli atti relativi all'adozione e all'approvazione del Programma Integrato di Intervento (di seguito "PII") finalizzato, previa bonifica dei siti inquinati, alla rigenerazione ed alla riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale delle aree produttive dismesse costituite dall'Ex Consorzio Ag. di Lo., in linea con i principi di riduzione del consumo di suolo stabiliti dalla legge regionale della Lombardia n. 31/2014 e con gli obiettivi perseguiti della legge regionale della Lombardia n. 18/2019 in tema di rigenerazione urbana; si tratta di un'area di estensione pari a circa mq. 28.000, collocata a nord della linea ferroviaria e posta nell'immediata prossimità del centro storico della città di Lodi. 39.1. In particolare, Coop ha impugnato tutti gli atti emanati dal Comune di Lodi nel procedimento di approvazione, ai sensi dell'art. 14 della legge regionale lombarda n. 12/2005, del PII denominato "Area Ex Consorzio Ag.", e segnatamente: - il provvedimento conclusivo della verifica di assoggettabilità a VAS (oggetto del ricorso principale); - la delibera di adozione del PII (oggetto del primo atto di motivi aggiunti); - la delibera di approvazione del PII (oggetto del secondo e del terzo atto di motivi aggiunti); - i titoli edilizi relativi alle opere pubbliche previste dal PII (oggetto del quarto atto di motivi aggiunti); - il titolo edilizio abilitativo per la realizzazione dell'edificio commerciale di media struttura di vendita (oggetto del quinto atto di motivi aggiunti) e di alcune delle opere di urbanizzazione previste dal PII medesimo, a corredo degli interventi di rigenerazione urbana ivi previsti. 39.2 Le. Lo. ONLUS (unitamente ai ricorrenti persone fisiche identificate nell'epigrafe) ha, a sua volta, impugnato, le delibere di approvazione del PII e tutti gli atti presupposti e connessi, ivi compresa la determina conclusiva della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS. Con i successivi atti di motivi aggiunti ha, inoltre, impugnato, i titoli edilizi relativi alla realizzazione delle opere pubbliche (con il primo atto di motivi aggiunti) nonché, da ultimo, (con il secondo atto di motivi aggiunti) il titolo edilizio per la realizzazione dell'edificio commerciale di media struttura di vendita. 30. Il T.a.r. ha riunito i due giudizi e ha accolto la domanda cautelare rilevando che il "punto centrale delle controversie riunite attiene alla correttezza della decisione comunale di non assoggettare il PII a v.a.s. e dell'apparato istruttorio e motivazionale che sorregge simile decisione con i conseguenti effetti che si ripercuotono sui titoli edilizi impugnati"; ha aggiunto, in particolare, che non vi sarebbe quella "comune linea direttrice che lega PGT e PII" che avrebbe potuto fondare la decisione del Comune di non sottoporre il PII a procedura di VAS bensì a procedura di verifica di assoggettabilità a VAS. 31. Il Consiglio di Stato ha accolto i distinti appelli cautelari proposti dalla società At. Ed. Pa. S.r.l. e dal Comune di Lodi osservando che "può suscitare perplessità la ripetizione di attività valutative già svolte in relazione ad altro livello di pianificazione". 32. Il T.a.r., con la sentenza n. 1429/2022, ha accertato la sussistenza della legittimazione in capo a Coop e a Le., ha accolto i ricorsi, confermando le argomentazioni svolte nell'ordinanza cautelare n. 169/2022, aggiungendo che "la valutazione comunale non risulta improntata al rigoroso rispetto di tale principio (principio di precauzione, n. d.r.) e, in particolare, della logica precauzionale che pervade le valutazioni ambientali tenuto conto dei massicci impatti sul sistema viabilistico, dell'incremento di valori della pressione sonora, dell'effetto sul paesaggio locale e, quindi delle ricadute in termini ambientali e sociali del Piano, con conseguente insufficienza di una preliminare verifica di non assoggettabilità che non può ritenersi esaustiva". 33. Tanto premesso, occorre preliminarmente esaminare la eccezione di improcedibilità dell'appello sollevata da Coop sul presupposto che avendo AE. ceduto il compendio oggetto del PII a Es. s.p.a., sarebbe venuta meno la legittimazione all'appello. Il motivo è infondato atteso che, nel caso di specie, trova applicazione la disciplina in materia di successione nel diritto controverso contenuta nell'articolo 111 c.p.c. a mente del quale "Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie": poiché dunque il processo prosegue nei confronti delle parti originarie AE. ha certamente legittimazione alla impugnazione. Il terzo comma dell'art. 111 c.p.c. aggiunge che "In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso", sicchè legittimamente Es. s.p.a. è intervenuta a tutela della propria posizione sostanziale di avente causa della cessione del compendio immobiliare oggetto del PII. 34. Nel merito la At. Ed. Pa. S.r.l., nel gravare la predetta sentenza, con un primo motivo di appello ha dedotto: Erroneità della sentenza del T.a.r. per la Lombardia - Milano n. 1429/2022 nella parte in cui, nel valutare la decisione di sottoporre il PII alla procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, ritiene sussistere un difetto di valutazione istruttoria e un difetto di motivazione. 34.1. Lamenta la erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato la non correttezza della decisione comunale di non assoggettare il PII a VAS con particolare riguardo all'apparato istruttorio e motivazionale che sorregge simile decisione e ciò in considerazione: - delle previsioni della scheda del Documento di Piano che avrebbe demandato alla fase attuativa la valutazione di dettaglio delle specifiche destinazioni funzionali a seguito degli interventi di recupero; - del particolare rilievo e importanza della trasformazione prevista dal PII; - degli elementi di sostanziale novità contenuti nel PII rispetto alle previsioni di PGT. 34.2 Il T.a.r., in particolare, avrebbe omesso di valutare tutta una serie di circostanze che comproverebbero al contrario come nell'ambito dell'iter istruttorio di approvazione del PII in variante al PGT sarebbero stati puntualmente valutati tutti gli aspetti innovativi suscettibili di recare un potenziale pregiudizio all'ambiente e non preventivamente considerati nell'ambito della VAS del PGT. 34.3 Il motivo è fondato. Giova premettere che l'insediamento in loco di una Media Struttura di Vendita (MSV, con superficie di vendita entro il limite dimensionale di mq. 2.500 di SV) era già prevista dal PGT, sin dalla sua approvazione nel 2011; si tratta di fatto incontestato evidenziato anche dalla sentenza appellata dove si legge che "la specifica scheda del Documento di Piano si limita ad indicare tra le destinazioni insediabili le funzioni residenziali ed i servizi e usi urbani (ivi compresa una m.s.v.)". Nel contesto del vigente PGT il Documento di Piano qualifica l'area dell'Ex Consorzio Ag. come Ambito pregresso delle trasformazioni negoziate - Ambiti D - Aree industriali dismesse e/o degradate e, segnatamente, all'interno del più ampio AMBITO D1 ex ABB, Consorzio Ag.. Con riferimento alle destinazioni d'uso insediabili a valere negli "Ambiti D", dove ricade l'area dell'Ex Consorzio Ag., la specifica Scheda del Documento di Piano (DdP) indica le funzioni residenziali ed i servizi e usi urbani integrati, prevedendo espressamente la possibilità di allocare in sito medie strutture di vendita (MSV). 34.4 In generale l'elaborato denominato "Indirizzi e criteri per l'attuazione degli ambiti di trasformazione" del Documento di Piano espressamente prevede che "In linea con gli indirizzi del PGT, al fine di proteggere, valorizzare e incentivare il commercio di vicinato, non è prevista la localizzazione di grandi strutture di vendita. L'AC valuterà la possibilità di prevedere medie strutture di vendita (alimentari e non), sulla base delle argomentazioni delle proposte di PII e in rapporto alle caratteristiche (funzionali, insediative e di accessibilità /mobilità ) dei tessuti urbani all'interno dei quali la proposta si inserisce". 34.5 Ne discende che poiché la compatibilità ambientale della localizzazione di medie strutture di vendita era già stata necessariamente oggetto di valutazione in sede di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) del Piano di Governo del Territorio, in quanto espressamente contemplata nel Documento di Piano, nell'ambito delle possibilità di sviluppo attuativo degli ambiti di trasformazione, non appare irragionevole la scelta di non sottoporre nuovamente a VAS il PII che dà attuazione a tale espressa previsione di piano e ciò, tanto più, tenuto conto del principio di integrazione e di non duplicazione delle valutazioni ambientali contenuto anche nell'art. 4, commi 2 e 3 della direttiva 2011/42/CE. 34.5 Al contempo il Rapporto Ambientale emesso all'esito della citata VAS di PGT (cfr. doc. 14, pagina 210), evidenziava, a proposito della rifunzionalizzazione delle aree da recuperare - tra cui figura quella dell'ex Consorzio Ag. -, che, con riferimento al migliore sfruttamento della risorsa territorio, attraverso la restituzione di ambiti di territorio dismesso all'impianto urbano, se da un lato, non si evidenziano particolari interazioni negative, dall'altro, occorre tener presente che "Sono ovviamente sensibili gli aspetti che riguardano gli indicatori ambientali quali monossido di carbonio, biossido di azoto e PM 10". Tali aspetti, potenzialmente problematici, sono proprio quelli presi in considerazione nell'ambito del procedimento di valutazione di assoggettamento a VAS (cfr. elaborato 5.7 di PII, denominato "Verifica di Assoggettabilità a VAS - Rapporto Preliminare" doc. 10 in fascicolo appellante). 34.6 Del resto, anche la commissione cui era stato affidato il compito di verificare preliminarmente la coerenza del programma di intervento con gli obiettivi strategici del PGT, con specifico riferimento agli aspetti ambientali, viabilistici, commerciali e urbanistici, nell'esprimersi favorevolmente con prescrizioni (con atto prot. n. 25779 del 5 giugno 2020), per gli aspetti di compatibilità ambientale aveva osservato, in linea con quanto previsto dall'articolo all'art. 12, comma 6 del d.lgs. n. 152/2006 (in base al quale "La verifica di assoggettabilità a VAS ovvero la VAS relative a modifiche a piani e programmi ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi già sottoposti positivamente alla verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 12 o alla VAS di cui agli articoli da 12 a 17, si limita ai soli effetti significativi sull'ambiente che non siano stati precedentemente considerati dagli strumenti normativamente sovraordinati") e dall'art. 4, comma 2-ter, legge Regione Lombardia n. 12/05, che "Considerando, inoltre, quanto espresso dalla normativa in materia di valutazione ambientale di piani e programmi dove si indica che le valutazioni "sono comunque limitate agli aspetti che non sono già stati oggetto di valutazione", si evidenzia che i potenziali principali impatti ambientali indotti dalla previsione di un'attività commerciale sono riconducibili al traffico indotto, al rumore ambientale generato e, nel caso specifico, all'effetto sul paesaggio locale, essendo le altre tipologie di impatto ambientale già adeguatamente considerate e mitigate nelle regole attuative specifiche derivate dal processo di VAS del PGT (si veda, ad esempio, il tema dell'impermeabilizzazione dei suoli o delle aree a verde). Tali aspetti, però, sono specificatamente analizzati in approfondimenti dedicati in parte già sviluppati nella presente fase di Masterplan e in parte da elaborare nella successiva fase di PII. Considerando l'elaborazione di tali approfondimenti tematici, pertanto, l'applicazione di un procedimento di Verifica di assoggettabilità o di VAS non muterebbe in modo sostanziale il livello di approfondimento e di dettaglio della valutazione. Nel complesso, quindi, considerando congiuntamente tutto quanto sopra espresso, si ritiene che il PII sia da sottoporre a procedura di Verifica di assoggettabilità a VAS, comunque comprendente gli approfondimenti valutativi specifici espressi nella sezione precedente del presente documento e negli altri contributi tematici espressi dalla Commissione di valutazione". 34.7 Né può condividersi l'affermazione del T.a.r. circa l'esistenza di una linea di sostanziale discontinuità tra il PGT ed il PII al fine di escludere la possibilità di estendere la portata e gli effetti delle valutazioni di impatto ambientale espresse in sede di PGT al successivo livello attuativo, in quanto, come si è visto, la possibilità di insediare una media struttura di vendita era già prevista dal documento di piano per gli ambiti D, dove ricade l'area Ex Consorzio, sicchè l'istruttoria condotta in sede di VAS sul PGT ha già necessariamente preso in considerazione anche gli impatti ambientali conseguenti ad una tale possibilità di insediamento. 34.8 A confutare quanto precede non vale opporre che il PII in contestazione avrebbe radicalmente mutato in commerciale la prevalente destinazione residenziale dell'area (cfr. punto 47.7 iv) e v) della sentenza appellata), secondo la tesi propugnata da Coop, determinando un carico urbanistico significativamente maggiore, poiché, in realtà, per l'ambito D in questione era prevista una destinazione promiscua, di tipo residenziale, a servizi e commerciale (tramite la previsione di una MSV) e, coerentemente con tale destinazione, sono stati approvati i piani attuativi di iniziativa privata. 34.9 In particolare già in data 29 ottobre 2014, con d.g.c. n. 161 è stato approvato - in applicazione dei disposti di cui all'art. 46 delle NTA di Piano delle Regole (doc. 2), e a titolo di strumento di indirizzo per la riqualificazione del compendio - il Masterplan per la rifunzionalizzazione dell'Ambito D1, recante, al proprio interno, la previsione di articolazione del compendio in due distinti subcomparti (area ex ABB e area Ex Consorzio Ag.), ciascuno dei quali da attuarsi mediante specifico PII. Il sub-comparto corrispondente all'area ex-ABB è stato approvato con autonomo PII, finalizzato alla rigenerazione dell'area dismessa e all'insediamento di funzioni a destinazione prevalentemente residenziale. Quanto, invece, all'area Ex Consorzio Ag., la proposta di PII - in linea con quanto indicato nella Scheda d'Ambito del Documento di Piano - ha previsto la realizzazione di un esercizio commerciale di Media Struttura di Vendita (alimentare e non) ed il recupero dell'edificio esistente denominato "Do.", da destinarsi a funzioni ed attività terziarie, non essendo, di contro, previsto l'approntamento di funzioni residenziali, concentrate invece nell'area ex-ABB. Non vi è dunque discontinuità tra pianificazione generale e pianificazione attuativa né può ritenersi che il PII abbia operato una radicale trasformazione rispetto alla destinazione di Piano, come eccepito da Coop, capovolgendo l'impostazione e la destinazione funzionale dell'intero comparto territoriale, come parimenti lamentato da Le.: è accaduto, invece, che la destinazione residenziale è stata concentrata nel PII area ex ABB, quella a servizi e commerciale è stata concentrata invece nel PII area ex Consorzio Ag., ma ciò è avvenuto sempre in coerenza e in continuità con quanto previsto nel documento di piano per le aree dismesse da recuperare, ricomprese nell'ambito D1, i cui effetti sull'ambiente sono stati necessariamente valutati in via preventiva in sede di VAS sul PGT atteso che tali destinazioni erano ivi già previste come possibili opzioni attuative. 35. Venendo al merito dell'istruttoria condotta nell'ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, deve evidenziarsi che con i pareri resi la Provincia di Lodi, la Soprintendenza, la ATS Città Metropolitana di Milano, RF., la Società Ac. Lo. s.r.l. e l'Ufficio d'Ambito di Lodi si sono espressi tutti in favore dell'esclusione della procedura di VAS, con l'eccezione del solo Comune di (omissis) che ha prospettato il rischio di un significativo incremento dei flussi veicolari sul proprio territorio limitrofo all'area di insediamento. 35.1 Tale isolato parere contrario, a fronte della posizione prevalente favorevole espressa quasi all'unanimità in seno alla Conferenza, non vale tuttavia ad inficiare la legittimità del successivo Decreto n. 1 del 25 agosto 2020 ("Provvedimento relativo al procedimento di verifica di assoggettabilità a Valutazione Ambientale Strategica (VAS) del PII di iniziativa privata denominato Area Ex (omissis) in variante al PGT del Comune di Lodi"), che ha disposto la non assoggettabilità a VAS della proposta di PII anche perché lo stesso ha imposto una serie di prescrizioni per prevenire effetti negativi sulle matrici ambientali e soprattutto una serie di misure di monitoraggio al fine di introdurre, laddove necessario, eventuali misure correttive. 35.2 In particolare, con tale provvedimento sono state evidenziate le risultanze delle valutazioni effettuate in merito alle matrici ambientali analizzate, con particolare riferimento al traffico indotto, al rumore ambientale e agli effetti sul paesaggio locale, attestando, anche alla luce dei pareri acquisiti, l'esaustività delle valutazioni contenute nel Rapporto Preliminare Ambientale posto a base della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS della proposta di PII e l'adeguatezza delle mitigazioni dei potenziali impatti correlate all'attuazione degli interventi ivi dedotti. 35.3 Vi si legge, in particolare, che "i potenziali principali impatti ambientali indotti dalla previsione di una nuova attività commerciale sono riconducibili al traffico indotto, al rumore ambientale generato e, nel caso specifico, all'effetto sul paesaggio locale, essendo le altre tipologie di impatto ambientale già adeguatamente considerate e mitigate nelle regole attuative specifiche derivate dal processo di VAS del PGT (si veda, ad esempio, il tema dell'impermeabilizzazione dei suoli o delle aree a verde). Tali aspetti sono specificamente considerati, analizzati e valutati in approfondimenti specifici forniti con la presente proposta di PII nella presente fase di verifica di assoggettabilità a VAS, garantendo una valutazione completa e omnicomprensiva degli effetti potenzialmente direttamente indotti dalla previsione e degli effetti cumulativi in relazione al contesto nel quale la previsione si inserisce. Gli approfondimenti condotti hanno permesso di verificare la piena rispondenza delle previsioni della proposta di PII alla vigente normativa in materia ambientale e hanno permesso di verificare come i possibili impatti indotti si configurino come limitati o come siano puntualmente e adeguatamente mitigati. In particolare: - per quanto riguarda il traffico indotto, nel complesso lo studio del traffico predisposto conclude evidenziando che "dall'analisi della stima dell'indotto veicolare e dalla distribuzione dei flussi effettuata si evince come le caratteristiche della rete di trasporto presente nell'area di studio è in grado di supportare l'indotto veicolare teorico potenzialmente generato ed attratto dall'attivazione della nuova media struttura di vendita: tale incremento, nonostante le ipotesi prudenziali di stima utilizzate, è tale da non alterare l'attuale regime di circolazione in essere sulla viabilità contermine l'area di studio (...); in relazione alle simulazioni modellistiche effettuate che si basano su stime cautelative del traffico potenzialmente indotto, è possibile affermare che l'intervento in progetto risulta compatibile con il sistema viabilistico prefigurato con effetti limitati sul traffico in quanto non si determina un peggioramento dei livelli di servizio rispetto allo stato di fatto; ciò nonostante, in fase di realizzazione ed ad interventi ultimati si introduce la necessità di effettuare adeguati monitoraggi del traffico a conferma della correttezza delle previsione effettuate o per introdurre, se necessario, eventuali misure correttive; - per quanto riguarda il rumore ambientale generato il documento previsionale di impatto acustico evidenza che "è presente un incremento dei valori di pressione sonora al recettore B e D individuati nel presente studio, in quanto nello scenario ante operam gli edifici si affacciavano su di uno spazio ormai abbandonato mentre nello scenario di progetto gli edifici sono interessati da una nuova strada di comparto a senso unico nord-sud, dall'ingresso e dal parcheggio della MSV. Nella fattispecie si evince comunque il rispetto dei limiti di zona di classe III"; considerando la rilevanza della tematica, si ritiene comunque necessario prevedere, da parte del Proponente, specifiche attività di monitoraggio, comprendenti almeno una misurazione di 24 ore continuative, a lavori ultimati e a seguito dell'entrata in esercizio della struttura commerciale al fine di verificare il reale rispetto dei limiti acustici previsti dal Piano di zonizzazione acustica comunale in corrispondenza dei recettori considerati e, nel caso di superamenti, all'attivazione di specifiche misure di attenuazione del rumore tali da garantire il rispetto dei limiti della classe acustica di appartenenza del recettore stesso; - per quanto riguarda l'effetto sul paesaggio locale si demanda a quanto espresso nel contributo della Soprintendenza che, al di là di alcune indicazioni specifiche che sono puntualmente accolte nel presente documento, valuta favorevolmente la proposta progettuale esprimendosi per l'esclusione della VAS". Vi si legge ancora che "In merito agli altri potenziali impatti connessi ad un intervento di recupero con interventi di nuova edificazione, si evidenzia come l'intervento si collochi in corrispondenza di un'area già completamente edificata, rispetto alla quale l'intervento proposto incrementa le dotazioni a verde e la permeabilità del suolo, e come siano garantite tutte le accortezze necessarie per la corretta gestione delle acque e siano previsti, in fase realizzativa, adeguati accorgimenti per il contenimento dei consumi energetici delle nuove edificazioni e conseguentemente per il contenimento delle emissioni in atmosfera, che saranno oggetto di una specifica attività di monitoraggio a lavori ultimati. Non da ultimo, è necessario rimarcare come sul bilancio complessivo degli effetti indotti dalla previsione si debbano opportunamente considerare quelli positivi legati alla rigenerazione di una porzione di città centrale e attualmente degradata, con importanti benefici anche in termini di dotazioni, come sopra meglio illustrati, per l'intera cittadinanza, senza determinare alcun nuovo fenomeno di consumo di suolo" (cfr. doc. 11, pag. 17 ss). 35.4 Da quanto precede emerge che i profili di impatto ambientale dell'intervento sono stati oggetto di attenta istruttoria al fine di verificare se gli aspetti innovativi e di dettaglio, introdotti dal piano attuativo e non preventivamente analizzati in sede di VAS del PGT, determinassero una incidenza pregiudizievole per l'ambiente tale da rendere necessario un nuovo procedimento di VAS; la verifica ha tuttavia dato esito negativo atteso che il progetto reca modifiche che inducono possibili impatti limitati e comunque oggetto di specifiche misure mitigative e di monitoraggio ritenute idonee a prevenire pregiudizi per l'ambiente. Proprio la previsione di specifiche misure di monitoraggio del traffico, sia in fase di realizzazione che ad interventi ultimati, anche al fine di introdurre, se necessario, eventuali misure correttive, conferma l'assenza di lacune istruttorie, rispetto, ad esempio, ai timori espressi dal Comune di (omissis) circa il rischio di un incremento significativo dei flussi veicolari non compatibile con le caratteristiche della rete di trasporto presente nell'area. Emerge infatti la piena consapevolezza del rischio di una possibile sottostima dell'impatto cui tuttavia si pone rimedio prescrivendo specifiche misure di monitoraggio e l'obbligo di misure correttive per l'ipotesi in cui le previsioni effettuate dovessero essere smentite ex post. 35.5 Per quanto concerne invece i rilievi critici espressi dalla commissione locale per il paesaggio - richiamati da Coop a p. 15 della memoria del 12 settembre 2022 - non appare irragionevole la scelta di ritenere prevalenti le valutazioni della Soprintendenza - che comunque ha espresso parere favorevole alla proposta di esclusione della VAS - proprio in ragione della specifica competenza in materia di tutela del paesaggio dell'organo statale in questione. 35.6 Quanto poi alla prassi di Es. di chiedere l'ampliamento della media struttura di vendita in grande struttura - secondo quanto riferito da Coop e rilevato da alcune associazioni in sede istruttoria - si tratta di una mera ipotesi teorica, inidonea come tale a giustificare la necessità della VAS e ciò anche alla luce della rinuncia espressa alla richiesta di futuri ampliamenti formalizzata da Es., secondo quanto riferito da AE. e non contestato dalle appellate. 35.7 Osserva ancora il Collegio che la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a VAS è comunque riconducibile nel novero dei procedimenti valutativi ambientali e, in un'ottica di adeguatezza e di proporzionalità, è al contempo finalizzata a valutare la necessità di prescrivere un procedimento di valutazione aggravato, la VAS, tenuto conto della rilevanza dell'intervento e conseguentemente della maggiore potenzialità lesiva per l'ambiente. 35.8 Al riguardo questo Consiglio, in relazione alla analoga procedura di screening sulla VIA, ha chiarito che "lo screening è dunque esso stesso una procedura di valutazione ambientale, che viene realizzata preventivamente con riguardo a determinate categorie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva solo in via eventuale, in base cioè all'esito in tal senso della verifica di assoggettabilità " (cfr. Cons. Stato, V, 7 maggio 2021, n. 3596). 36. Con il secondo motivo l'appellante deduce: erroneità della sentenza del TAR della Lombardia - Milano n. 1429/2022, nella parte in cui elenca degli elementi finalizzati a provare che non sussiste "una comune linea direttrice che lega il P.G.T. al P.I.I." deducendo da ciò la necessità di effettuare la procedura di VAS, in luogo e/o ad esito della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS espletata. 36.1. L'appellante sottopone a critica gli elementi indicati al paragrafo 47.8 della sentenza appellata da cui il T.a.r. ha dedotto l'insussistenza, in concreto, della "comune linea direttrice che lega il P.G.T. al P.I.I." censurando il "non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti". 36.2 In primo luogo, censura la sentenza nella parte in cui, per sostenere la illogicità della esclusione della VAS, afferma che sebbene la scheda di documento di piano preveda, tra le destinazioni insediabili, oltre alla residenza, anche i servizi e usi urbani (ivi compresa una m.s.v.), la v.a.s. condotta in sede di approvazione del P.G.T. (comunque risalente al 2013) considera la previsione di recupero e riqualificazione dell'area D1, demandando alla fase attuativa la valutazione di dettaglio delle specifiche destinazioni funzionali a seguito degli interventi di recupero (cfr. par. 47.8.i) della sentenza appellata), senza considerare tuttavia, da un lato, che la VAS sul PGT già aveva necessariamente valutato la compatibilità della destinazione funzionale commerciale e, dall'altro che, nel corso dell'iter di approvazione del piano attuativo, erano stati valutati gli elementi di novità e di dettaglio insiti nella tipologia dell'intervento. 36.3 Il motivo è fondato. 36.4 La VAS, infatti, ha già necessariamente considerato, a monte, tutti i possibili scenari di sviluppo territoriale contemplati per gli ambiti D, ivi compreso quello commerciale connesso alla previsione di localizzazione di una MSV. La funzione commerciale di MSV è espressamente contemplata dal documento di Piano tra i possibili scenari di sviluppo territoriale per gli ambiti D proprio in quanto non sono emerse, in sede di VAS del PGT, indicazioni contrarie a tale possibilità di insediamento in termini di potenziali criticità ambientali. 36.5 Quanto poi al particolare rilievo ed entità delle opere di trasformazione dell'ambito prevista dal PII, parimenti addotta dal T.a.r. per giustificare la illogicità della decisione di ritenere non necessaria una nuova VAS (cfr. par. 47.8.ii della sentenza appellata), appare dirimente in senso contrario considerare che le opere pubbliche e i dati dimensionali dell'intervento privato previsti dal PII comunque implicano una riduzione complessiva dell'edificato, non solo rispetto all'esistente complesso industriale dismesso ma anche rispetto alla capacità edificatoria massima assegnata al lotto dal PGT del Comune di Lodi, il cui impatto sulle matrici ambientali è stato parimenti già oggetto di positiva valutazione in sede di VAS al PGT. 36.6 Tale dato è stato ampiamente valorizzato in sede istruttoria se si considera che nella d.g.c. 12.6.2020 n. 76 si legge che "la trasformazione nel suo complesso determina un indice fondiario di progetto molto inferiore rispetto alla capacità edificatoria prevista sull'intero lotto da Documento di Piano DdP1, con un indice territoriale di 0,28 mq/mq in luogo del previsto indice territoriale minimo di 0,6 mq/mq rinunciando a buona parte della capacità edificatoria teorica con un minor impatto visuale ed un miglior inserimento paesaggistico-ambientale rispetto alle previsioni di sviluppo del P.G.T. con importanti ricadute pubbliche richieste al proponente, gravanti sulla trasformazione" (cfr. doc. 7 in fascicolo appellante pag. 5). In definitiva, il dato dimensionale, in termini di volumetria complessiva dell'intervento, non presentando profili di incremento del carico urbanistico indotto, rispetto a quanto già oggetto di valutazione in sede di VAS - ma anzi, all'opposto, determinando una riduzione significativa della pressione antropica indotta dall'edificato - non rendeva necessaria una nuova VAS che avrebbe comportato un non giustificato aggravamento procedimentale, in violazione di quanto prescritto dall'art. 4, commi 2 e 3 della direttiva 2011/42/CE. 36.7 Inoltre, anche la previsione nel PII di importanti opere pubbliche in materia di viabilità, lungi dal rappresentare elementi di discontinuità rispetto al PGT (cfr. punto 47 lett. ii della sentenza appellata), integra invece uno sviluppo del tutto coerente con quanto previsto - con riguardo al miglioramento del sistema della mobilità - nel documento di Piano che descrive gli Ambiti D "Aree industriali dismesse e/o degradate" - tra le quali è ricompreso l'Ex Consorzio Ag. - come "aree urbane da riqualificare finalizzate al miglioramento della mobilità urbana e alla realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche. Si tratta di ambiti urbani che possono, attraverso un processo di trasformazione a residenza, servizi e usi urbani integrati, costituire un importante elemento di riconfigurazione morfologica dell'assetto urbano e territoriale, di miglioramento del sistema della mobilità ed implementazione degli spazi per la sosta, della dotazione di servizi e dell'edilizia sociale". 36.8 Ciò in linea anche con le previsioni del Piano della Mobilità Urbana - Piano generale del Traffico (adottato con d.g.c. 27.12.2007, n. 216) e dello stesso documento di Piano (cfr. doc. 37, in fascicolo appellante DdP pag. 177 ss.), nella parte in cui prevede di "ampliare il Terminal attualmente esistente, (per esempio recuperando gli spazi necessari dalla riqualificazione dell'area del Consorzio Ag., come evidenziato anche dal recente PUM)". Ne discende che poiché l'ampliamento del Terminal bus è un intervento già espressamente e puntualmente contemplato nel Documento di Piano del PGT vigente e poiché anche parte delle rotatorie previste dal PII sono già previste dal piano della mobilità urbana richiamato dal predetto documento, deve concludersi, anche in questo caso, che si tratta di interventi già positivamente valutati in sede di VAS si PGT. 36.9 Da altra angolazione l'appellante lamenta come il T.a.r. abbia erroneamente considerato necessaria la VAS, ritenendo, al contempo, fondato il dedotto vizio di difetto di motivazione che inficerebbe il decreto di esclusione della VAS del 25 agosto 2020, indicando, al contempo, come non sufficienti gli studi ambientali allegati alla proposta (cfr. punto 47 lett. vi) e vii) della sentenza appellata). 36.9.1 La doglianza è fondata. Sul punto è sufficiente rinviare alla puntuale ed analitica motivazione contenuta nel decreto del 25 agosto 2020 - già richiamata - che, in relazione ai profili innovativi, rispetto ai temi già oggetto di indagine in sede di VAS del PGT (impermeabilizzazione dei suoli e previsione di aree a verde), introdotti con il PII, ha condotto una approfondita valutazione delle matrici ambientali suscettibili di possibile pregiudizio (traffico indotto dalla media struttura di vendita, rumore ambientale generato ed effetti sul paesaggio locale), pervenendo, sulla scorta dei pareri resi dalle autorità competenti, al giudizio di esclusione della VAS. 36.9.2 Peraltro il Collegio non può esimersi dal rilevare la genericità della affermazione del T.a.r. secondo cui gli studi allegati alla proposta non risulterebbero "sufficienti", avendo il giudice di primo grado omesso di illustrare le ragioni e gli standard che giustificano un tale giudizio di insufficienza degli elementi istruttori esibiti. 36.9.3 Il T.a.r., inoltre, rileva un difetto di motivazione del provvedimento in relazione alla omessa indicazione delle ulteriori verifiche espletate per corroborare tali giudizi e dei riscontri "autonomamente acquisiti dall'Amministrazione al fine di accertare l'effettiva rispondenza di quanto affermato al progetto". 36.9.4 Senonché le verifiche espletate circa la attendibilità degli studi allegati alla proposta di variante sono rappresentate dai pareri resi dalle autorità intervenute alla conferenza di servizi istruttoria che si sono espresse sostanzialmente all'unanimità circa la non necessità della sottoposizione a VAS della proposta di intervento e non hanno mosso rilievi circa la completezza degli studi esibiti né hanno rappresentato la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori o comunque hanno mosso rilievi di tipo costruttivo. 36.9.5 A quanto precede deve aggiungersi che l'autorità competente, nel provvedimento finale, non ha mancato rimarcare come "...l'intervento si collochi in corrispondenza di un'area già completamente edificata, rispetto alla quale l'intervento proposto incrementa le dotazioni a verde e la permeabilità del suolo, e come siano garantite tutte le accortezze necessarie per la corretta gestione delle acque e siano previsti, in fase realizzativa, adeguati accorgimenti per il contenimento dei consumi energetici delle nuove edificazioni e conseguentemente per il contenimento delle emissioni in atmosfera, che saranno oggetto di una specifica attività di monitoraggio a lavori ultimati" e "come sul bilancio complessivo degli effetti indotti dalla previsione si debbano opportunamente considerare quelli positivi legati alla rigenerazione di una porzione di città centrale e attualmente degradata, con importanti benefici anche in termini di dotazioni, come sopra meglio illustrati, per l'intera cittadinanza, senza determinare alcun nuovo fenomeno di consumo di suolo". 36.9.6 In definitiva, non possono essere condivise le valutazioni addotte dal T.a.r. per comprovare l'assenza di una "comune linea direttrice che lega il PII al PGT" dalla quale discenderebbe l'illegittimità della scelta di non sottoporre a VAS il PII sicchè anche il secondo motivo di appello è fondato. 37. Con il terzo motivo l'appellante deduce: erroneità della sentenza del T.a.r. per la Lombardia - Milano n. 1429/2022 nella parte in cui ritiene erronea la scelta, ad esito del procedimento di verifica di assoggettabilità a VAS, di non sottoporre il PII a VAS per violazione del principio di precauzione. 37.1 Per le motivazioni già esposte nell'esame dei primi due motivi di appello anche il terzo motivo è fondato. 37.2 Non v'è nel caso di specie alcuna violazione del principio di precauzione atteso che il Comune, per i profili nuovi e di dettaglio non oggetto di preventiva valutazione in sede di VAS di PGT, ha condotto i necessari approfondimenti istruttori in sede di procedimento di verifica di assoggettabilità a VAS della proposta di variante, pervenendo ad una conclusione che non risulta affetta dai dedotti vizi di difetto di motivazione, istruttoria ed illogicità . 37.3 Piuttosto, dovendosi ravvisare una piana continuità e coerenza tra le previsioni del documento di piano e quelle della proposta di variante, il Comune ha correttamente optato per il procedimento di valutazione di assoggettabilità a VAS le cui risultanze - sebbene negative rispetto alla necessità di una nuova VAS - vanno ad integrare - con il compendio di verifiche e di valutazioni tecniche condotte - quelle già rese in sede di VAS di PGT, anche in applicazione del principio di non aggravamento del procedimento e del divieto di duplicazione delle valutazioni ambientali. 37.4 In ogni caso, giova rammentare che alla luce dei limiti del sindacato giurisdizionale sulle decisioni amministrative, al giudice amministrativo non compete nel caso di specie indicare quale procedimento di verifica del possibile pregiudizio ambientale derivante dalla attuazione del piano il Comune avrebbe dovuto scegliere bensì accertare se la scelta operata possa ritenersi ragionevole, proporzionata rispetto all'interesse pubblico primario della tutela dell'ambiente ed immune da profili di illogicità, da carenze istruttorie o da travisamento dei fatti rilevanti ai fini della decisione. 37.5 Nel caso di specie deve escludersi la sussistenza di indici sintomatici di un uso scorretto del potere discrezionale nella decisione di non assoggettamento del PII a VAS, tenuto conto che l'intervento in esame: a. sviluppa una previsione espressa del documento di piano che contemplava la localizzazione di una media struttura di vendita nell'ambito di una destinazione - Ambiti D - già oggetto di VAS quanto ai profili di impermeabilizzazione dei suoli e delle aree a verde; b. è stato sottoposto, per i potenziali profili di criticità ambientale, specificamente connessi alla proposta di intervento, ad un supplemento istruttorio nell'ambito del procedimento di assoggettabilità a VAS dove sono stati analiticamente valutati gli impatti sulle matrici ambientali (inquinamento atmosferico, traffico veicolare indotto, rumorosità ambientale e paesaggio locale) da parte degli enti competenti che, con parere sostanzialmente unanime, hanno concluso per la non assoggettabilità a VAS dell'intervento, parere poi recepito dall'autorità procedente con ampia ed analitica motivazione (p. 17 e 18 del decreto n. 1 del 25 agosto 2020); c. consente il recupero di una vasta area dismessa ed in stato di degrado e di abbandono, in linea con gli obiettivi di rigenerazione urbana ed ambientale; d. consente la bonifica di un sito inquinato; e. comporta un significativo contenimento dell'edificato previsto dal PGT, riducendo di oltre la metà l'indice fondiario previsto dal PGT; f. prevede la realizzazione di una serie di opere pubbliche di miglioramento del sistema viabilistico, in linea con il piano della mobilità urbana, con il documento di Piano e con le linee del Piano territoriale di coordinamento provinciale PTCP. 37.6 Non sussistendo profili di irragionevolezza nella decisione comunale di non assoggettamento a VAS l'appello principale deve essere accolto. 38. Quanto all'appello incidentale il Collegio osserva quanto segue. 38.1 Es. s.p.a., avendo acquistato dalla Società At. Ed. Pa. S.r.l. in forza del contratto preliminare condizionato del 20 giugno 2019 e successivo contratto definitivo sottoscritto il 22 dicembre 2021, il compendio già sede dell'Ex Consorzio Ag., in data 6 settembre 2022 ha depositato appello incidentale avverso la sentenza del T.a.r. per la Lombardia 20 giugno 2022, n. 1429 proponendo motivi analoghi a quelli articolati dalla società At. Ed. Pa. S.r.l. 38.2 Alla luce delle motivazioni che precedono, anche l'appello incidentale proposto dalla società Es. s.p.a. deve pertanto essere accolto. 39. Accertata la fondatezza dell'appello principale e di quello incidentale, deve ora procedersi con la disamina degli ulteriori motivi proposti in primo grado da Coop e da Le., assorbiti dal T.a.r. e riproposti nel presente grado, rispettivamente, con le memorie depositate da entrambi il 12 settembre 2022. 40. Le doglianze di Le., come riproposte con la memoria del 12 settembre 2022, sono infondate per i seguenti motivi. 41. Con un primo motivo deduce: Illegittimità per violazione dell'articolo 87 della LR n. 12 del 2005 - difetto o, in subordine, erronea motivazione e conseguente violazione dell'articolo 3 della legge 241/90 (V motivo del ricorso introduttivo). 41.1 Lamenta la violazione dell'art. 87 della LR n. 12/2005 in quanto non sussisterebbero gli elementi, sanciti dal medesimo art. 87, comma 2, della LR n. 12/2005, che giustificherebbero il ricorso allo strumento del Programma Integrato di Intervento. A suo dire potrebbe sussistere la condizione di cui alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 87 della legge regionale (rigenerazione urbana anche mediante bonifica dei suoli inquinati) ma non quella di cui alla successiva lettera b) (compresenza di tipologie e modalità di intervento integrate, anche con riferimento alla realizzazione e al potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria); ciò in quanto è la stessa delibera comunale a spiegare come le opere di urbanizzazione primaria previste nel P.I.I. sarebbero "necessarie al corretto assetto urbanistico dell'ambito di intervento" soltanto. Quindi le molteplici opere stradali previste (4 nuove rotatorie e nuove strade di collegamento) servirebbero all'insediamento commerciale, non alla collettività, come invece richiesto dalla legge regionale ai fini del ricorso allo strumento del PII. 41.2 Il motivo è infondato in quanto le opere stradali in questione erano già previste dal Piano urbano di mobilità e quindi rappresentano interventi a beneficio di una migliore mobilità dell'intera collettività, integrando al contempo una modalità di realizzazione e di potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria secondo quanto richiesto dalla menzionata lett. b). 41.3 Peraltro, come osservato dalla appellante (cfr. p. 4 e 5 della memoria del 14 ottobre 2022), di tale aspetto si dà puntualmente atto anche nella delibera di approvazione del PII dove, nell'esame del progetto di trasformazione, si evidenzia che il proponente "si impegna ad eseguire importanti opere in attuazione al Piano dei Servizi ed al Piano Urbano di Mobilità ed opere aggiuntive non inserite in tali atti di programmazione" sicché non sussiste neanche il dedotto difetto di motivazione. 42. Con un secondo motivo deduce: Illegittimità per violazione delle norme sul procedimento amministrativo - difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dell'articolo 3 della legge n. 241/90 (6° motivo del ricorso introduttivo). 42.1. Le. lamenta che tra la data di adozione e quella di approvazione del programma integrato sarebbero intervenute delle modifiche sostanziali alla documentazione istruttoria di supporto, alterandone la percezione ed impedendo ai potenziali interessati di presentare osservazioni sul testo finale, così vanificando le regole sulla partecipazione al procedimento di approvazione del piano urbanistico. Le modifiche sarebbero particolarmente rilevanti per quanto concerne l'impatto viabilistico dove la rielaborazione dello studio del traffico evidenzierebbe un incremento significativo dei flussi (cfr. p. 22 e 23 della memoria del 12 settembre 2022 di Le.). L'effetto di questi aumenti di traffico (non noti e resi pubblici in ritardo), sommato all'effetto della modifica degli spazi di sosta breve, determinerebbe una alterazione radicale della situazione viabilistica esistente nei pressi (omissis) ferroviaria e rappresenterebbe un elemento del tutto nuovo rispetto allo schema viabilistico delineato in modo carente e lacunoso in fase di adozione. 42.2 Il motivo è infondato. Il fatto che successivamente alla delibera di adozione del piano siano stati condotti approfondimenti istruttori per assicurare un miglior livello di conoscenza delle analisi di impatto effettivo dell'intervento sui flussi di traffico, applicando parametri maggiormente cautelativi e considerando anche la componente dei pedoni e dei ciclisti, non comporta una violazione dei diritti partecipativi della cittadinanza atteso che questi approfondimenti non hanno alterato le linee essenziali dell'intervento, con particolare riferimento alle opere di viabilità ma anche rispetto agli ulteriori temi di approfondimento sicché, gli interessati, già sulla scorta della proposta e dei documenti istruttori disponibili al momento della formale adozione del piano, erano nelle condizioni di presentare memorie e documenti su una proposta ben definita nei suoi caratteri essenziali. Del resto, il fatto che gli approfondimenti successivi abbiano evidenziato maggiori percentuali di incremento dei flussi veicolari trova ampia compensazione nelle prescrizioni imposte, già in sede di screening sulla VAS, che prevedevano un monitoraggio ex post finalizzato anche alla adozione di "eventuali misure correttive" sicché eventuali osservazioni critiche sul punto sarebbero comunque state superate dalle prescrizioni a tal fine già previste. 42.3 Del resto, Le. non ha evidenziato come una tempestiva conoscenza del più approfondito studio del traffico indotto avrebbe potuto incidere sull'esercizio dei diritti partecipativi, a fronte di un intervento che già dalla fase di adozione presentava caratteristiche tali da determinare oggettivamente un incremento del traffico veicolare, sebbene sulla base di ipotesi in quella fase maggiormente prudenziali. 42.3 In via generale occorre poi rilevare che secondo un risalente e non superato insegnamento giurisprudenziale ribadito anche di recente dalla Sezione (cfr. Cons. Stato, IV, 2 gennaio 2023, n. 21) "l'eventualità che le previsioni del piano urbanistico comunale (o di altro strumento urbanistico) subiscano, in sede di approvazione definitiva, delle modifiche rispetto a quelle contenute nel piano (o nello strumento) adottato, è un effetto del tutto connaturale al procedimento di formazione del suddetto strumento urbanistico, che, per l'appunto, contempla, all'atto dell'approvazione definitiva, la possibilità di cambiamenti in conseguenza dell'accoglimento delle osservazioni pervenute; pertanto, soltanto laddove chi ha interesse dimostri che le modifiche introdotte incidono sulle caratteristiche essenziali dello strumento stesso e sui suoi criteri di impostazione, si rende necessario riprendere da capo il relativo procedimento di formazione; l'eventuale necessità di "ripubblicazione" sorge solo a seguito di apporto di innovazioni tali da mutare radicalmente l'impostazione di Piano stesso. Costituisce, perciò, principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui si rende necessaria la ripubblicazione del piano solo quando, a seguito dell'accoglimento delle osservazioni presentate dopo l'adozione, vi sia stata una "rielaborazione complessiva" del piano stesso, e cioè un "mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla sua impostazione" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2020, n. 6944; 21 settembre 2011, n. 5343, 26 aprile 2006 n. 2297, 31 gennaio 2005, n. 259; 10 agosto 2004, n. 5492), mentre tale obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l'impianto originario, quand'anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (Cons. Stato, sez. IV, 13 novembre 2020, n. 7027; sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 5769)". 42.4 Applicando i suesposti principi (ribaditi di recente dalla sezione, con la sentenza del 11 aprile 2022 n. 2700) al caso di specie, il Collegio evidenzia che le modifiche apportate dopo la adozione del PII non possono considerarsi alla stregua di un "mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che presiedono alla... impostazione", né un suo "stravolgimento" o un suo "profondo mutamento", tale da comportare l'obbligo di ripubblicazione del piano ai fini della sua legittimità . 43. Con un terzo motivo deduce: Illegittimità per inosservanza della DGR X/1193 del 20.12.2013 (7° motivo di ricorso). 43.1 Lamenta che non sarebbe stata rispettata la deliberazione della Giunta regionale della Lombardia n. X/1193 del 20.12.2013, nella parte in cui prevede che "La superficie di vendita delle medie e grandi strutture che presentano una superficie lorda di pavimentazione superiore al doppio della superficie di vendita richiesta, viene incrementata, ai soli fini della valutazione degli effetti d'impatto, di una quantità pari alla metà della superficie lorda di pavimentazione eccedente il predetto rapporto". Ciò in quanto il Comune di Lodi, in pretesa e solo apparente applicazione della norma regionale indicata in epigrafe, pretende di non conteggiare nella superficie di vendita di s.l.p. per funzioni ancillari a quelle di vendita, pari a mq. 1.724,00 in misura di gran lunga superiore a quelle che, in via generale ed astratta, la Regione Lombardia ha ritenuto essere necessarie per assicurare che la struttura possa avere spazi a sufficienza per immagazzinare la merce da esporre in vendita. 43.2 Il motivo è infondato. Per quanto concerne la SLP di mq. 1724,00 da ultimo menzionata e destinata all'attività di carico/scarico merci, il par. 2, comma 3, della DGRL n. X/1993 del 20.12.2013 prevede che "La superficie di vendita di un esercizio commerciale è l'area destinata alla vendita, compresa quella occupata da banchi, scaffalature e simili. L'area di vendita del singolo esercizio commerciale è circoscritta, separata e distinta da quella degli eventuali altri esercizi commerciali, anche se contigui. Non costituisce superficie di vendita quella destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi". 43.3 Il medesimo paragrafo aggiunge poi che al fine di determinare gli standard (...) sono inoltre escluse dal computo della superficie lorda di pavimentazione "le aree di sosta dedicate al movimento merci". Ne discende che l'esercizio commerciale previsto dal PII ha una superficie di vendita contenuta entro il limite dimensionale di mq. 2.500,00 proprio delle medie strutture di vendita, non concretandosi, nel caso di specie, la fattispecie della grande struttura di vendita. Inoltre, la superficie accessoria di mq. 1724,00, destinata al carico ed allo scarico merci, non rileva, ai sensi della menzionata delibera di Giunta, ai fini del calcolo degli standard e ciò non può che significare che non rileva neppure ai fini del calcolo dei limiti dimensionali della struttura di vendita perché, diversamente, dovrebbe necessariamente essere computata proprio ai fini del calcolo degli standard, stante la diretta correlazione tra dimensioni della struttura e calcolo degli standard. Il motivo è pertanto infondato. 44. Con un quarto motivo deduce: Illegittimità per inosservanza della deliberazione del C.C. di approvazione del PII e del d.lgs. n. 42/2017 e 194/20 (2° motivo dedotto nel II atto di motivi aggiunti e specificamente riferito al Permesso di Costruire 628/2021). 44.1 Lamenta che la prescrizione introdotta dal Comune relativa alla "ulteriore verifica acustica preventiva in sede di rilascio del titolo edilizio", non sarebbe stata rispettata, in quanto il documento allegato al permesso di costruire denominato "Valutazione previsionale di impatto acustico" (documento 4), sarebbe del tutto identico al precedente documento oggetto di osservazioni; mancherebbe pertanto la nuova verifica acustica prescritta. 44.2 Inoltre, osserva che la ulteriore verifica sarebbe necessaria in quanto lo studio di traffico presentato in fase di adozione del piano presentava delle evidenti carenze quanto a: - il modello di stima dell'impatto acustico non differenzia tra rumore indotto da traffico pesante e quello generalo dal traffico leggero laddove la prima tipologia determina un contributo acustico notoriamente maggiore; - il numero di misure ante opera (solo 2) sarebbe insufficiente e trascurerebbe completamente tutta la viabilità a ovest della nuova, prevista struttura, che risulterà poi quella maggiormente interessata; - la durata delle misure sarebbe particolarmente esigua (15 e 30 min.), come tale inidonea a rappresentare una media attendibile; - la caratterizzazione acustica delle strade sarebbe avvenuta attraverso l'utilizzo del modello CRTN (Calculation of Road Traffic Noise), del Ministero dei trasporti inglese anziché secondo il modello modello CNOSSOS previsto dalla Direttiva 2015/996/CE; - sarebbe mancato il monitoraggio settimanale dei mezzi al fine di costruire il "giorno tipo"; - nello studio realizzato non è stato considerato che la nuova strada (omissis)-(omissis) determinerà certamente un flusso di veicoli verso la stazione ferroviaria e dalla stazione verso la tangenziale, anche nelle ore notturne; - nell'analisi ante e post operam non sarebbe specificato a quali tempi e a che tipo di ora siano indicati i relativi flussi veicolari; - i dati delle variazioni dei flussi presenterebbero chiare incongruenze; - gli effetti maggiori in termini acustici, dovuti appunto all'incremento del traffico, interesserebbero principalmente le abitazioni di Via (omissis), in particolare nella parte più a sud, ma in queste aree non sono state eseguite misure ante operam, che sono state realizzate invece in un tratto di Via (omissis) che sarà molto meno interessata dall'aumento del traffico; - per la stima dell'impatto nello scenario di progetto sono stati considerati anche gli impianti in copertura, limitati però a sole due unità . Tali unità vengono considerate come funzionanti esclusivamente in periodo diurno, mentre nella realtà, ci sono anche gruppi frigoriferi che funzioneranno in continuo, dovendo conservare le merci "fresche" (cioè deperibili) e, dunque, anche in periodo notturno durante l'arco di 24 ore, periodo per il quale, però, non è stata presentata alcuna valutazione. 44.3 Il motivo è infondato. Lo studio recante le valutazioni inerenti all'impatto acustico ha formato oggetto di esame anche da parte di ARPA Lombardia, preposta ex lege ad effettuare i controlli relativi alle valutazioni di impatto acustico; ARPA verifica naturalmente le modalità secondo cui sono stati raccolti i dati e la attendibilità degli algoritmi di calcolo utilizzati. Nel caso di specie, ARPA, come ente tecnico preposto al controllo dell'impatto acustico dell'intervento, in sede di rilascio del permesso di costruire, non ha rilevato alcuna criticità in merito ai punti evidenziati da Le. che prospetta criteri e metodologie alternativi secondo cui lo studio avrebbe dovuto essere realizzato; trattandosi di criteri che ricadono nella latitudine delle valutazioni di merito, rimesse e riservate alla autorità competente alla verifica delle misurazioni, non si rinvengono profili attingibili dal sindacato di legittimità, in particolare sotto il profilo della difetto di istruttoria o della illogicità dei criteri seguiti, e ciò anche alla luce delle puntuali repliche della appellante (p. 16 e ss. memoria AE. del 14 ottobre 2022), anche perché lo studio condotto deve essere valutato nella sua globalità e non in modo parcellizzato. 44.4 Il fatto che ARPA non abbia mosso rilievi, ritenendo lo studio attendibile, fa venire meno la necessità della ulteriore verifica acustica preventiva, prospettata cautelativamente dal Comune in sede di rilascio del titolo edilizio, in replica a specifiche osservazioni formulate in sede di adozione del piano; tale prescrizione doveva infatti parimenti ritenersi condizionata alle valutazioni dell'autorità preposta alla tutela contro l'inquinamento acustico circa la correttezza metodologica e la esaustività dello studio allegato alla proposta di PII e valutato in sede di adozione del piano. 45 Le. reitera infine le censure avverso le autorizzazioni paesaggistiche già impugnate con il primo ricorso per motivi aggiunti. 45.1 deduce, al riguardo, che la zona del viale del "Passeggio di Lodi" è assoggettata a tutela, ai sensi dell'art. 136, c.1, lett. d) del d.lgs. n. 42/2004 e s.m.i. e del D.M. 15.12.1959 "perché con la sua ricca e incomparabile vegetazione forma un quadro naturale di non comune bellezza panoramica". 45.2 Lamenta che il taglio di due piante del filare storico nei pressi dei marciapiedi di Via (omissis) si porrebbe in contrasto con la tutela del vincolo. 45.3 Come eccepito dalla appellante il motivo è inammissibile in quanto irritualmente - sebbene tempestivamente - riproposto in appello con la memoria del 12 settembre 2022. 45.4 Le., infatti, a p. 32 della memoria del 12 settembre 2022 non ha specificato il motivo di censura per come formulato in primo grado, limitandosi a richiamare il motivo con la seguente formula generica "Quanto alle autorizzazioni paesaggistiche già impugnate con il primo ricorso per motivi aggiunti". Un constante insegnamento giurisprudenziale non ritiene tuttavia ammissibile il rinvio per relationem agli atti del primo grado, imponendo la espressa riproposizione del motivo di censura nella specie assente. 45.5 Il motivo è anche infondato nel merito poiché la commissione per il paesaggio prima e la Soprintendenza poi hanno legittimamente ritenuto, nel giudizio di ponderazione comparativa degli interessi sotteso alla verifica dell'intervento rispetto alla tutela paesaggistica del viale, di assumere l'esigenza di assicurare il rispetto delle misure standard richieste per la progettazione delle rotatorie, delle piste ciclabili e dei passaggi pedonali, procedendo ad una valutazione in concreto dell'interesse alla tutela paesaggistica che ha indotto - in esito all'approfondimento condotto dopo l'iniziale parere contrario della commissione per il paesaggio reso in data 1 aprile 2021 - a ritenere l'abbattimento compatibile con le esigenze di tutela, in ragione del numero minimo degli esemplari da abbattere e della concorrente esigenza di tutela della sicurezza stradale. 45.6 Le. assume che dalla relazione paesaggistica allegata alla richiesta di permesso di costruire, non si evincerebbe con chiarezza il "buco" che si verrà a creare nel filare e che interromperà l'uniformità della cortina verde. 45.7 Trattasi invero di mera congettura; al contrario, proprio la formulazione di un parere inizialmente contrario, divenuto favorevole, all'esito di approfondimenti istruttori ma condizionato con prescrizioni, che giustifica l'abbattimento per consentire il rispetto delle misure per la realizzazione delle rotatorie e delle distanze standard per la progettazione delle piste ciclabili e del passaggio pedonale, induce ad escludere che il parere favorevole sia frutto di un travisamento della situazione di fatto e, in definitiva, che sia affetto da eccesso di potere. 46. Anche le doglianze di Coop, come riproposte da p. 16 e ss. della memoria depositata il 12 settembre 2022 sono infondate, nell'ordine, per i seguenti motivi. Con riferimento alla fase di adozione del piano reitera, in particolare, le seguenti censure veicolate con il primo atto di motivi aggiunti. 47. Violazione e/o falsa applicazione dei principi del PGT vigente con riferimento al Documento di Piano e al Masterplan dell'Ambito D1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 46 delle NTA - Piano delle Regole del PGT. 47.1 Lamenta che la proposta di PII per l'ambito "Ex Consorzio Ag." prevede la trasformazione dell'area dismessa attraverso un'azione di recupero funzionale destinato ad ospitare funzioni di tipo prevalentemente - se non esclusivamente - commerciale, in luogo di una conversione delle destinazioni preesistenti verso una destinazione prevalentemente residenziale, come stabilito per l'area in questione nel Documento di Piano. In tal modo il piano attuativo anziché integrare avrebbe totalmente stravolto le previsioni del PGT. 47.2 Il motivo è infondato. L'infondatezza della doglianza discende da quanto osservato al paragrafo 34 (in particolare 34.8 e 34.9) cui si rinvia, in relazione ad ana motivo proposto da Le.. 48. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 della LR n. 12/2005. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di partecipazione. Violazione del principio del legittimo affidamento. 48.1. Lamenta la lesione del diritto di partecipazione degli interessati al procedimento di approvazione del PII in variante. Ciò in quanto il Comune, successivamente alla delibera di adozione del piano, avrebbe modificato in modo sostanziale alcuni elaborati allegati alla proposta di piano (con riferimento: a) alla migliore organizzazione degli spazi di manovra e sosta, compresa quella di breve durata; b) alla mobilità ciclabile e pedonale; c) all'impatto sulla viabilità cittadina), in tal modo impendendo la presentazione delle osservazioni da parte degli interessati in vista della successiva approvazione. 48.2 Il motivo è infondato. L'infondatezza della doglianza discende da quanto osservato al paragrafo 42 cui si rinvia, in relazione ad ana motivo proposto da Le.. 49. Violazione e/o falsa applicazione dei principi del Documento di Piano (DdP 1 Indirizzi e criteri per attuazione degli ambiti di trasformazione - Ambiti pregressi delle trasformazioni negoziate - Indicazioni e criteri di riferimento progettuale) con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 della LR n. 12/2005. Violazione del principio di partecipazione. Violazione del principio del legittimo affidamento. 49.1 Lamenta la violazione del Documento di Piano pag. 53, paragrafo 3, rubricato "Indicazioni e criteri di riferimento progettuale" nella parte in cui prevede che: "Per gli ambiti aventi un grado di strategicità urbanistica e territoriale rilevante dovrà essere attivato un adeguato percorso di partecipazione con la cittadinanza". Assume che, nel caso concreto, alcun percorso di partecipazione sarebbe stato assicurato alla collettività territoriale di riferimento prima della adozione del piano. 49.2 Il motivo è infondato. E' la stessa Coop infatti a riconoscere (cfr. p. 35 della memoria del 12 settembre 2022) che in data 14 ottobre 2021 si è tenuta una assemblea dal titolo "Assemblea per la partecipazione pubblica al PII Ex Consorzio". Il fatto che tale forma di dibattito pubblico si sia tenuta dopo la delibera di adozione del Piano non rende illegittimo il procedimento di approvazione in quanto è la stessa appellante a riconoscere che "la norma prevista nel Documento di Piano non disciplina in modo preciso le forme e i tempi della partecipazione"; né può opporsi che una assemblea successiva alla adozione sarebbe inutiliter data atteso che il dibattito pubblico comunque fornisce una direttiva di carattere politico al Consiglio comunale, utile nella successiva fase approvazione del piano. 50. Incompetenza dell'Organo chiamato ad adottare il Masterplan. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 e all'art. 27 dello Statuto della Città di Lodi. 50.1 Lamenta che poiché il Masterplan relativo "all'Ambito pregresso delle trasformazioni negoziate - D1- Aree Industriali di smesse e/o degradate" approvato con DGC n. 161/2014 del 29.10.2014 si configurerebbe chiaramente come documento di indirizzo di natura urbanistica, dalla portata non attuativa, di livello intermedio tra il PGT e il Piano attuativo stesso, avrebbe dovuto essere approvato dal Consiglio comunale e non dalla Giunta, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell'art. 27 dello Statuto della città di Lodi. 50.2 Il motivo è infondato. Come afferma nelle premesse la delibera di Giunta in questione il "il Masterplan è un documento di indirizzo strategico che sviluppa un'ipotesi complessiva sulla programmazione del territorio, individuando i soggetti interessati, gli strumenti, le azioni e le modalità di attuazione nonché le politiche territoriali": sebbene espressamente definito quale documento di indirizzo strategico dalla legislazione regionale, si tratta comunque di un documento di indirizzo ma di tipo operativo che ha la finalità di "sviluppare" e quindi di "attuare" un'ipotesi sulla programmazione del territorio ma sempre nella cornice delle linee fondamentali del Piano di governo del territorio e cioè delle scelte di indirizzo approvate dal Consiglio comunale. Poiché la sua natura resta comunque quella di documento attuativo degli indirizzi del consiglio, non è annoverabile tra gli atti di cui all'articolo 42 del d.lgs. n. 267 del 2000 riservati alla competenza consiliare, anche in ragione del carattere tassativo della elencazione e della competenza generale residuale della Giunta. 51. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14 della LR in combinato disposto con l'art. 42, comma 2, lettera l) del d.lgs. n. 267/2000. 51.1 Lamenta che il Consiglio si sarebbe riservato di esprimere il parere in merito alla permuta ed alla cessione dei diritti edificatori, relativi all'area comunale di mq. 955,00 identificata al Fg. (omissis) mappale (omissis) ricompresa nella proposta di PII, alla successiva fase di approvazione del P.I.I., rinviando - di fatto - qualsivoglia decisione sul punto. 51.2 Il motivo è inammissibile per genericità in quanto non indica il parametro normativo asseritamente violato; in ogni caso nessun principio di carattere generale vieta al Consiglio di esprimersi proprio in sede di adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di variante. 52. Con riferimento alla delibera di approvazione della variante Coop ha poi riproposto i seguenti motivi di ricorso articolati con i secondi motivi aggiunti in primo grado. 53. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 92 in combinato disposto con l'art. 14 e 13 della LR n. 12/2005. Violazione e/o falsa applicazione dei principi di partecipazione amministrativa con riferimento all'istituto delle "osservazioni". Violazione del principio del legittimo affidamento. 53.1 Rileva che secondo l'art. 14, in combinato disposto con l'art. 13 della legge urbanistica regionale, durante il periodo di pubblicazione chiunque ha facoltà di prendere visione degli atti depositati e, entro i termini di legge decorrenti dalla scadenza del termine per il deposito, può presentare osservazioni. Lamenta che nel caso concreto l'Amministrazione comunale di Lodi, utilizzando in modo distorto l'istituto delle osservazioni, avrebbe modificato "in corsa" alcuni elaborati fondamentali del PII adottato, con una sorta di inammissibile work in progress. 53.2 Il motivo, ana a quello proposto in relazione alla delibera di adozione del PII è infondato per le motivazioni espresse al paragrafo 42 cui si rinvia. 54. Violazione e/o falsa applicazione dei principi del PGT vigente con riferimento al Documento di Piano e al Masterplan dell'Ambito D1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 46 delle NTA - Piano delle Regole del PGT (p. 46 memoria del 12 settembre 2022). 54.1 Lamenta che le suddette norme prevedono sì la facoltà di integrazione delle previsioni del Piano, ma non un radicale stravolgimento delle stesse per mezzo di uno strumento attuativo, pena una intollerabile confusione tra pianificazione urbanistica generale ed esecutiva/attuativa, seppur in variante. 54.2 Oltre a quanto già osservato al paragrafo 34 (in particolare 34.8 e 34.9), deve ribadirsi che nel caso di specie il PII non ha operato alcuno stravolgimento delle previsioni di piano in quanto la scheda d'ambito già prevedeva espressamente la possibilità di allocare un insediamento commerciale di Media Struttura di Vendita. 54.3 Inoltre, l'art. 46, comma 2, delle NTA del Piano delle Regole del PGT prevede espressamente, in merito alla disciplina degli Ambiti di Trasformazione, che "Le destinazioni d'uso principali indicate nel Documento di Piano per la città da trasformare sono da ritenersi indicative e potranno essere integrate con altre funzioni complementari, accessorie o compatibili da concentrare con l'Amministrazione comunale, fermo restando il fatto che dovranno essere verificate le condizioni di compatibilità fra le stesse e quelle principali". Ne discende che la destinazione principale dell'Ambito D1 contenuta nella scheda d'ambito è da ritenersi comunque indicativa, e, in ogni caso, è espressamente ammessa l'integrazione della destinazione principale con le funzioni complementari, accessorie o comunque con essa compatibili, come accaduto nel caso di specie in relazione alla destinazione commerciale. 55. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 47 Piano delle Regole del PGT. 55.1 Coop reitera, avverso la delibera di approvazione del PII, la doglianza circa la pretesa incompetenza della Giunta Comunale (dgc n. 161/2014 del 29.10.2014) ad approvare il Masterplan nel 2014. 55.2 Il motivo è infondato per le motivazioni espresse al punto 50.2, in relazione alla delibera di adozione, cui si rinvia. 55.3 Coop sostiene inoltre che la modifica del Masterplan non sarebbe stata preventiva ma contemporanea all'approvazione del PII - e per di più disposta con delibera di consiglio anziché di giunta - laddove nel 2014 la modifica del Masterplan dell'ambito D1 (DGC n. 161/2014) era stata, appunto, preventiva all'approvazione del PII relativo al comparto dell'EX ABB (avvenuto con DGC n. 189/2014); tale circostanza rappresenterebbe un ulteriore vizio di legittimità . 55.4 Il motivo è infondato in quanto, nel caso di specie, la modifica al Masterplan del 2014 è comunque implicita nella delibera di giunta n. 76/2020 di avvio del procedimento di adozione del PII in variante, al fine di verificarne preliminarmente la conformità con gli indirizzi del PGT. 56. Violazione e/o falsa applicazione della DGR dicembre 2013, n. X/1193 recante "Disposizioni attuative finalizzate alla valutazione delle istanze per l'autorizzazione all'apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita conseguenti alla d.c.r. 12 novembre 2013 n. X/187, Nuove linee per lo sviluppo delle imprese del settore commerciale". 56.1 Assume Coop che le valutazioni d'impatto commerciale, trasportistico e di viabilità - che hanno indotto la Commissione di valutazione e l'Amministrazione a ritenere l'intervento ammissibile e il PII adottabile - risulterebbero fondate su erronei presupposti di fatto, ossia considerando una superficie di vendita pari a 2.500 mq e non, come esattamente prescritto dal § 2.4 della DGR 20 dicembre 2013, n. X/1193 (recante "Disposizioni attuative finalizzate alla valutazione delle istanze per l'autorizzazione all'apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita conseguenti alla d.c.r. 12 novembre 2013 n. X/187, Nuove linee per lo sviluppo delle imprese del settore commerciale"), pari a 4.950 mq di SV (2.500 mq + (7.400 mq - 2.500 mq)/2 = 2500 mq + 2.450 mq = 4.950 mq di SV), caratterizzante, a tutti gli effetti, una grande struttura di vendita, la cui realizzazione nell'ambito qui considerato sarebbe espressamente vietata dalle norme del PGT del Comune di Lodi. 56.2 Il motivo è infondato per le motivazioni già espresse al paragrafo 43 in relazione all'ana motivo proposto da Le. cui si rinvia. 57. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 242 bis rubricato "Procedura semplificata per le operazioni di bonifica" del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di coordinamento della disciplina urbanistica con quella ambientale. 57.1 Coop lamenta che la caratterizzazione delle aree eseguita da AE. nel 2019 avrebbe evidenziato che solo in un mappale i risultati non erano conformi alla normativa sicché AE. proponeva di eseguire la bonifica con procedura semplificata solo in quel mappale non risultato conforme, mentre ARPA, successivamente, contestava la limitazione del perimetro degli interventi di bonifica al solo foglio (omissis), mappale (omissis) e chiedeva di estendere il Piano di Caratterizzazione da presentare al termine degli interventi di bonifica - ai sensi dell'art. 242-bis, comma 3, del d.lgs. 152/06 - all'intero sito dell'ex Consorzio Ag. di Lo.. 57.2 Il motivo è infondato in quanto la approvazione del PII non consuma i poteri del Comune di ordinare la bonifica del sito laddove gli interventi eseguiti non si siano rivelati risolutivi, all'esito delle verifiche condotte da ARPA. In definitiva, eventuali lacune emerse nell'ambito del procedimento di bonifica del sito, non si riflettono sulla legittimità della delibera di approvazione del PII, trattandosi di procedimenti distinti e non collegati da vincolo di presupposizione. 58. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento agli articoli 10, 11, 12 e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. 58.1 Coop lamenta che sebbene il complesso denominato "ex Consorzio" e, in particolare il blocco dei magazzini, l'imponente silos e la palazzina del Do. siano interessati da un procedimento per la dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera d) e dell'art. 13 del d.lgs. n. 42/2004, quale esempio di archeologia industriale, "il parere reso dalla Sovrintendenza focalizzato sulla mera realizzazione di una "quinta verde" che possa fungere da filtro tra Via (omissis) e l'area parcheggio antistante al nuovo centro commerciale (cfr. Osservazione 02) è manifestatamente fondato su una percezione distorta e travisata del concreto valore del complesso di beni oggetto del PII". 58.2 Il motivo è inammissibile per genericità, in quanto non è dato comprendere perché il parere della Soprintendenza sarebbe fondato su di una "percezione distorta e travisata del concreto valore del complesso di beni oggetto del PII": il fatto che il parere sia favorevole - avendo la Soprintendenza optato per un approccio di tipo selettivo delle porzioni di immobili da tutelare (salvaguardia della palazzina del Do. e mantenimento della quinta del fabbricato prospicente l'area ferroviaria e via (omissis), in memoria della facciata degli Ex magazzini comunali) - non implica, in assenza di evidenze di segno contrario, che sia anche automaticamente affetto da eccesso di potere per travisamento dei fatti. 59. Con riferimento ai quarti motivi aggiunti proposti avverso i titoli edilizi, Coop ha riproposto i seguenti motivi di censura. 60. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 11 rubricato "Caratteristiche del permesso di costruire", comma 1, del DPR 380/2001 - TUE. 61. Lamenta che i titoli edilizi anziché essere rilasciati in favore della Società At. Ed. Pa. S.r.l. (C.F. e P.I. 06952640966), risultano intestati alla "persona fisica" del sig. Lu. Da. Do. Ga. (CF GRNLDR82E16G388R) residente a Mezza Bigli in provincia di Pavia alla Via Eugenio Confalonieri n. 3 che, non essendo proprietario del compendio, sarebbe anche privo della necessaria legittimazione alla realizzazione dell'intervento edilizio. 61.1 Il motivo è infondato. Il Comune di Lodi con nota 72022 del 15 dicembre 2021 ha provveduto a rettificare l'errore materiale che si sostanziava nell'aver indicato, come titolare del permesso di costruire, il legale rappresentante di AE. in proprio e non in rappresentanza della società . 62. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 11 - 20 ss. del DPR 380/2001 - TUE. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto e/o carenza manifesta di istruttoria. Perplessità dell'azione amministrativa. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 3 della l. 241/1990. Difetto e/o carenza di motivazione. Contraddittorietà . 62.1 Coop lamenta che i titoli edilizi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione - rotatorie si appaleserebbero "a dir poco generici e vaghi", richiamando la prescrizione, contenuta nei Permessi 779/2021 e 780/2021, di effettuare dei saggi a mano per la precisa individuazione degli impianti sotterranei e quella di assicurare la percorribilità in sicurezza della strada nelle normali condizioni di esercizio. Tali prescrizioni, a suo dire, sarebbero emblematiche della mancanza di istruttoria, rimettendosi al privato una sorta di potere in bianco da esercitarsi a piacimento. 62.2 Il motivo è infondato. La parte appellante nelle sue difese (cfr. p. 40-42 memoria del 14 ottobre 2022) ha dimostrato che la prescrizione circa la necessità dei saggi preventivi per la individuazione degli impianti sotterranei si è resa necessaria in quanto sono i gestori a non essere in grado di indicare con precisione i punti di attraversamento delle reti. Non si tratta quindi di una prescrizione che evidenzia un profilo di eccesso di potere in ragione di una istruttoria condotta in modo superficiale bensì della necessità di una cautela imposta dalla condizione di incertezza imputabile ai gestori che non hanno una conoscenza approfondita del passaggio sotterraneo delle reti. Peraltro, nel caso di specie la prescrizione non integra una condizione di rilascio ma una regola di cautela da osservare nella fase esecutiva dell'opera al fine di prevenire il pericolo di danneggiamento delle reti. 62.3 Nessuna indeterminatezza poi o delega in bianco in favore del privato è configurabile con riguardo ai profili di sicurezza della circolazione stradale atteso che, con riferimento agli attraversamenti rialzati proposti, la percorribilità in sicurezza della strada nelle normali condizioni di esercizio non è rimessa a scelte discrezionali dell'esecutore dell'opera bensì è assicurata dalla specifica prescrizione per cui è necessario "realizzare pendenze non superiori al 4%". 63. Da altra angolazione censura il grave difetto di istruttoria che sussisterebbe anche con riferimento alle autorizzazioni paesaggistiche in quanto la valutazione tecnica operata dalla Commissione per il paesaggio sarebbe contraddittoria atteso che la stessa rilascia parere favorevole "pur rilevando che il viale perderà la sua caratteristica di cortina verde uniforme". 63.1 Il motivo è infondato per le motivazioni già espresse al paragrafo 35.5 nell'esame dell'ana motivo formulato da Le. e delle puntuali repliche dell'appellante sul punto. 64. Coop ha riproposto anche le seguenti censure contenute nel V atto di motivi aggiunti. 65. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 21-nonies della l. 241/1990 in tema di convalida. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e della carenza/difetto di istruttoria. 65.1 Lamenta che la correzione della intestazione dei titoli edilizi - inizialmente rilasciati in favore del legale rappresentante della AE. in proprio - sarebbe avvenuta in violazione delle regole sul procedimento di rettifica anche perché l'errore sarebbe contenuto già nella istanza di rilascio e non sarebbe riferibile al Comune sicché in realtà non vi sarebbe alcun errore da correggere. 65.2 Il motivo è infondato. Il contesto in cui l'istanza di rilascio dei permessi di costruire si colloca, tenuto conto delle opere oggetto della autorizzazione, rende evidente che si tratta di interventi riferibili a AE. nell'ambito del PII approvato e che pertanto la richiesta da parte del signor Lu. Da. Do. Ga. era formulata non in proprio, quale persona fisica, ma, per l'appunto, nella predetta qualità . Il fatto che la rettifica non sia stata preceduta da una istanza di parte, non rappresenta un vizio del provvedimento di secondo grado atteso che tutti i procedimenti in autotutela possono essere attivati anche d'ufficio. Sussiste pertanto un errore materiale palese - una vera e propria svista - nella individuazione del soggetto a cui intestare i permessi di costruire riferiti agli interventi ricompresi nel PII in variante presentato da AE., che il Comune ha provveduto legittimamente a correggere mediante un provvedimento di secondo grado adottato d'ufficio. 66. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 11 rubricato "Caratteristiche del permesso di costruire", comma 1, del DPR 380/2001 - TUE. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 42/2017. 66.1 Coop lamenta che con riferimento al permesso di costruire n. 2021/00628/PDC del 10.12.2021, il Comune ha autorizzato la costruzione del nuovo insediamento commerciale - ossia l'edificio destinato ad ospitare la nuova struttura di vendita - condizionando tuttavia l'avvio dei lavori all'avvenuta bonifica dell'intero comparto di intervento sottoposto a PII. Secondo Coop la decisione di rilasciare un permesso di costruire condizionato sarebbe illegittima alla luce di quanto insegnato dalla giurisprudenza amministrativa sul tema. 66.2 Il motivo è infondato. Come ricorda Coop nella sua memoria, secondo quanto si legge al punto n. 10 del permesso di costruire, "ai sensi dell'art. 3 della convenzione urbanistica attuativa stipulata presso lo studio del Dr. Gi. Ca. in data 04.08.2021, registrata a Pavia (PV) in data 09.08.2021 al n. 15732, serie 1T, n. rep. 78178, l'inizio dei lavori potrà avere luogo solo a seguito dell'avvenuta bonifica dell'intero comparto di intervento sottoposto a P.I.I.; (...)". Secondo la Convenzione citata, "Il Soggetto Attuatore prende atto che l'inizio dei lavori di cui ai titoli abilitativi edilizi citati nel precedente comma potrà avere luogo solo a seguito dell'avvenuta bonifica dell'intero comparto di intervento sottoposto a PII, secondo quanto comunque definito nel relativo procedimento di bonifica avviato con la presentazione del progetto di bonifica in procedura semplificata ex art 242-bis D.Lgs 152/2006 pervenuto agli atti comunali in data 02.08.2019 prot. 39800". E' dunque la convenzione ad avere condizionato l'inizio dei lavori al completamento dei lavori di bonifica. Il Comune, pertanto, si è limitato a dare attuazione ad uno specifico obbligo assunto pattiziamente circa le modalità esecutive dell'intervento. La convenzione sul punto non è stata impugnata da Coop sicchè la condizione ivi prevista deve ritenersi legittimamente apposta al permesso di costruire che, quanto alle modalità attuative dell'intervento, si è doverosamente conformato alla presupposta disciplina pattizia. 67. Aggiunge Coop che il permesso di costruire in questione non sarebbe stato preceduto dalla ulteriore verifica acustica preventiva prescritta dal Comune di sede di approvazione del PII e pertanto sarebbe affetto da illegittimità . Il motivo è infondato per le motivazioni espresse al paragrafo 44 in relazione all'ana motivo proposto da Le. cui si rinvia. Alla luce delle motivazioni che precedono devono pertanto essere accolti l'appello principale e quello incidentale mentre devono essere respinti tutti i motivi di ricorso assorbiti dal T.a.r. e riproposti in appello da Coop e da Le.. 68. La particolare complessità della controversia giustifica la compensazione integrale delle spese del doppio grado tra tutte le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello principale proposto dalla società At. Ed. Pa. S.r.l. e quello incidentale proposto da Es. s.p.a., respinge i motivi riproposti da Co. Lo. società cooperativa e da Le. Onlus con i privati indicati in epigrafe e, in riforma integrale della sentenza appellata, respinge i ricorsi riuniti, integrati da motivi aggiunti, proposti in primo grado. Compensa le spese del doppio grado tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere, Estensore Riccardo Carpino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8560 del 2021, proposto da Bu. Re. nella qualità di Socia di La Fa. S.n. c. di Bu. Gi. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Condominio C.E., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Ca., Ci. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Comune di (omissis), U.T.G. - Prefettura L'Aquila, Commissario ad acta - Dott. Gi. To. Vice Prefetto Aggiunto c/o La Prefettura L'Aquila, non costituiti in giudizio; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 2556 del 2022, proposto da Bu. Re. in qualità di Socia di La Fa. S.n. c. di Bu. Gi. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Condominio C.E. ex Ed., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Comune di (omissis), Commissario ad acta - Dott. Gi. To., non costituiti in giudizio; Ufficio Territoriale del Governo L'Aquila, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma quanto al ricorso n. 8560 del 2021: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (sezione Prima) n. 301/2021, resa tra le parti. quanto al ricorso n. 2556 del 2022: per la riforma della sentenza del T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I, n. 90/2022 del 17 marzo 2022. Visti i ricorsi e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio del Condominio C.E., del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo L'Aquila; visti tutti gli atti della causa; relatore nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2022 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Ia. e Ca.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso proposto innanzi al TAR Abruzzo L'Aquila, il Condominio C.E. ex Ed., in persona del suo amministratore pro tempore, ha chiesto di dichiarare l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis), formatosi sull'istanza proposta con nota inviata a mezzo pec in data 1° agosto 2019, recante la diffida per l'immediata chiusura dell'attività di ristorazione svolta sotto l'insegna "La St. Ca. " esercitata al civico (omissis) di Via (omissis), per la carenza dei requisiti di legge in ordine alle immissioni acustiche, nonché per la violazione delle norme in materia igienico sanitaria. 2. Il TAR, con sentenza n. 34/2020 ha accolto il ricorso del Condominio, integrato con motivi aggiunti, dichiarando l'illegittimità del silenzio serbato sull'istanza, ordinando al Comune di (omissis) di provvedere nel termine di giorni trenta dalla comunicazione o dalla notifica, se precedente, della sentenza, con avvertenza, che, in caso di ulteriore inadempimento, provvederà, in via sostitutiva, il Commissario ad acta, designato nella persona del Prefetto dell'Aquila o un suo delegato. 3. Con successiva ordinanza n. 145/2020 del 28 aprile 2020 il TAR ha ritenuto sussistenti le condizioni per l'insediamento del Commissario ad acta al quale è stato ordinato di effettuare gli accertamenti documentali e/o sopralluoghi ritenuti opportuni per verificare: "- se nella stagione avviata il 1.11.2019 e nelle precedenti, l'attività di intrattenimento musicale esercitata all'interno dell'esercizio commerciale "La St. Ca. " per rilevanza, frequenza, regolarità, pubblicità e durata, ha una sua autonoma attrattività della clientela ed è soggetta all'autorizzazione di cui all'art. 68 T.U.L.P.S. da parte del Comune ex art. 19, c. 1, punto 5) d.P.R. 24/7/1977, n. 616; - se esistono, sono conformi a norma e sono funzionanti dei limitatori acustici all'interno dei locali dell'esercizio "La St. Ca. "; - se i locali predetti sono in regola con la normativa in materia di prevenzione incendi e conformi alla planimetria allegata alla SCIA del 1.7.2008 presentata al Comune di (omissis); - se gli impianti in uso presso i locali dell'esercizio "La St. Ca. " sono conformi alla normativa vigente: A tal fine, in esecuzione della sentenza indicata in epigrafe, il Commissario dovrà acquisire anche la documentazione richiesta al Comune di (omissis) in data 7.1.2019 dalla ASL n. 1 e rimettere copia alla stessa ASL affinché provveda alla valutazione dei requisiti igienico-sanitari dei locali dell'esercizio "La St. Ca. ", nonché verificare, ove possibile, se le immissioni sonore provenienti dai locali della St., che si diffondono nei locali adiacenti e soprastanti del Condominio, superano i limiti di legge". 4. Nella relazione del Commissario ad acta prot. n. 6133 del 2 febbraio 2021, depositata in giudizio in pari data, si legge: "1. II pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande "La St." risulta in possesso dei requisiti e dei titoli abilitativi amministrativi per l'esercizio di detta attività ; in particolare risulta l'autorizzazione comunale n. 2/09 in data 3.2.2009 concessa in proposito. Esistono altresì agli atti del Comune di (omissis) apposite planimetrie e documentazione sugli atti concessori per l'esercizio dell'attività in esso prevista, quali la somministrazione di bevande alcoliche e alimenti. 2. Per quanto riguarda un'attività di intrattenimento musicale svolta all'interno del locale, essa non risulta da elementi fattuali pregressi e ripetuti senza soluzione di continuità, o da arredi e mezzi di diffusione sonora specifici e fissi come esistenti al momento del sopralluogo effettuato; risultano invece delle autorizzazioni temporanee per piccoli intrattenimenti musicali svoltisi in maniera saltuaria nei periodi di alta stagione invernale ed estiva per affluenza turistica. Si è quindi potuto evidenziare che il locale per rilevanza, frequenza, regolarità, pubblicità e durata, non ha un'autonoma attrattività come specifica e puntuale attività dedicata all'intrattenimento musicale. 3. Per quanto riguarda i riferimenti a controlli e verifiche in materia di prevenzione incendi esistono agli atti del Comune di (omissis) apposita documentazione conforme alla planimetria allegata del locale "La St.", e apposita corrispondenza ad essa relativa con il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco di L'Aquila; risulta essere presente inoltre, all'interno del locale, un estintore come risulta anche dalla rassegna fotografica effettuata. 4. Per altre attività musicali di mero intrattenimento esistono, sempre agli atti del Comune di (omissis), degli atti di autorizzazione con limitazioni di capienza per il pubblico fissato alle 80 persone, e con esclusione del ballo nel locale e nello spazio antistante. 5. Nel sopralluogo effettuato dai Vigili Urbani si è potuto rilevare che esistono e sono funzionanti dei limitatori acustici all'interno del locale relativamente al quale si procede. 6. I locali identificati come luoghi adibiti ad esercizio commerciale denominato "La St." di (omissis) possono quindi essere riconosciuti come idonei e corrispondenti al rispetto della normativa vigente, in materia di sicurezza contro gli incendi e per l'esodo del pubblico in caso di pericolo. 7. Anche per il rispetto delle regole in materia igienico sanitaria i locali a cui si fa riferimento sono risultati idonei e conformi alla normativa vigente. 8. Per quanto riguarda l'accertamento tecnico specifico sulle misurazioni scientifiche e tecniche da effettuarsi tramite il contributo, che si ritiene indispensabile siano eseguite della A.S.L. e dell'A.R.T.A., tali Enti hanno esplicitamente riferito ai Vigili Urbani di (omissis) e al Commissario ad acta dell'impossibilita materiale ad operare al momento attuale, in quanto il locale "La St." risulta materialmente chiuso e non operante da tempo. Per tale ragione di fatto non è stato possibile alcuna valutazione o verifica sulle immissioni sonore provenienti dai locali relativamente al quale si procede, e neppure a procedere a misurazioni sulle entità delle possibili diffusioni sonore che si possano propagare negli ambienti adiacenti e soprastanti del complesso edilizio denominato Condominio CE. (ex Ed.)". 5. Esaminata la relazione commissariale del 2 febbraio 2021, il TAR, con ordinanza n. 91/2021 del 3 marzo 2021 ha così disposto: "Considerato che la relazione del Commissario ad acta non ha dato riscontro all'ordinanza n. 145/2020 nella parte in cui si è chiesto al Commissario: 1. di riferire "se i locali predetti sono in regola con la normativa in materia di prevenzione incendi e conformi alla planimetria allegata alla SCIA del 1.7.2008 presentata al Comune di (omissis)", mentre il Commissario ha riferito circostanze inconferenti, ovvero che agli atti del Comune esiste "documentazione conforme alla planimetria allegata del locale la St., apposita corrispondenza ad essa relativa con il Comando dei Vigili del Fuoco di L'Aquila e un estintore all'interno del locale"; 2. di "acquisire anche la documentazione richiesta al Comune di (omissis) in data 7.1.2019 dalla ASL n. 1 e rimettere copia alla stessa ASL affinché provveda alla valutazione dei requisiti igienico-sanitari dei locali dell'esercizio", mentre il Commissario ha del tutto omesso di provvedere in tal senso; 2. di riferire "se gli impianti in uso presso i locali dell'esercizio "La St. Ca. " sono conformi alla normativa vigente", mentre nella relazione commissariale non vi è alcun riscontro in merito; rilevato che la relazione non è corredata della documentazione inerente agli esiti delle verifiche svolte, su disposizione del Commissario, dal Corpo di Polizia Municipale di (omissis), che il Comandante del Corpo avrebbe trasmesso al Commissario il 28.12.2020; rilevato, pertanto, che il Commissario ad acta non ha portato a termine l'incarico conferitogli; ritenuto di ordinare al Commissario di provvedere in conformità alle prescrizioni del tribunale riepilogate ai precedenti punti 1, 2 e 3 e di depositare la documentazione richiamata nella sua relazione del 1.2.2021, entro trenta giorni dalla comunicazione di questa ordinanza; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo Sezione Prima: - dispone gli incombenti di cui in motivazione; - rinvia alla camera di consiglio del 5 maggio 2021". 6. Con relazione integrativa prot. n. 18597 del 29 marzo 2021 il Commissario ad acta ha esposto quanto segue: "Sul PUNTO 1 il Commissario ad acta ha acquisito apposita relazione su ispezione compiuta dal titolare pro tempore dell'Ufficio Tecnico del Comune di (omissis) Arch. Germinario in data 25.3.2021 che si allega (v. ALLEGATO 1), dove si evince che i locali indicati come "Attività di ristorazione svolta sotto l'insegna esercitata al civico (omissis) di Via (omissis) in (omissis) sono in regola con la normativa in materia di prevenzione incendi e conformi alla planimetria SCIA del 1.7.2008 presentata al Comune di (omissis)"; inoltre i locali predetti, per allestimento e configurazione, non possono essere classificati di pubblico spettacolo. Lo stesso tecnico comunale assevera che tuttora, e al dato temporale presente, i locali commerciali su cui si agisce sono chiusi causa emergenza epidemiologica da COVID 19 in atto. Sul PUNTO 2 dell'Ord. TAR Abruzzo n. 91/2021 del 3.3.2021 lo scrivente Commissario ha accertato che la documentazione richiesta al Comune di (omissis) in data 7.1.2019 dalla ASL n. 1 è stata rimessa a mezzo pec dal legale rappresentante della Società "La Fa. s.n. c." in data 08.02.2019 ed assunta al protocollo generale del Comune di (omissis) il 09.02.2019 al n. 1323 (v. ALLEGATO "A"). Risulta inoltre inviata dallo stesso legale rappresentante della Società predetta, in data 08.02.2019 sempre a mezzo pec, al Dipartimento di Prevenzione della ASL n. 1 Ad ogni modo, con nota pec prot. n. 2514 in data 16.03.2021, il sottoscritto Commissario ad acta ha provveduto ulteriormente e per scrupolo a rimettere alla ASL n. 1 - Servizio di Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica - la documentazione richiesta (v. ALLEGATO "B"), chiedendo di esprimere ogni valutazione in merito ai requisiti igienico Sanitari dei locali dell'esercizio pubblico "La St." entro e non oltre il 22 marzo 2021, senza avere avuto riscontro entro il termine anzidetto; infatti, durante l'emergenza epidemiologica in atto la ASL non effettua visite ispettive di sorta. Sul PUNTO 3 lo scrivente Commissario aveva comunque già acquisito dal Comune di (omissis), la documentazione trasmessa alla ASL n. 1 nel 2019, e cioè la relazione tecnica del perito del gestore del locale "La St. Ca. " che dà conto della conformità dell'impianto elettrico, dell'illuminazione e del sistema di aerazione (v. ALLEGATO "C"). Rispetto agli impianti di diffusione sonora in uso presso i locali dell'esercizio "La St.", dagli elementi acquisiti sempre dal Comune di (omissis) anche a seguito di sopralluoghi effettuati dalle Autorità preposte negli anni scorsi, si evince che gli eventi musicali presso i locali dell'esercizio "La St." costituiscano attività meramente accessoria ed occasionale a quella di ristorazione, di cui all'art. 55 rubricato "Attività accessorie" della 9 L.R. n. 23/2018; pertanto il Commissario ad acta (come sostenuto peraltro dal Tecnico comunale Arch. Germinario) ritiene che La St. NON possa essere considerato un locale di pubblico spettacolo come disciplinato dall'art. 68 del TULPS. Ritengo comunque doveroso allegare, per quanto sopra evidenziato, la Relazione dell'ARTA Abruzzo n. 243, relativa a sopralluogo effettuato in data 22.02.2020 su richiesta della Polizia Locale di (omissis), prot. n. 6134 del 06.02.2020, e trasmessa al Comune dallo stesso Comandante della P.L. in data 28.02.2020, prot. n. 1752. (ALLEGATO "D"). Il Commissario ad acta ritiene di non poter rinnovare una richiesta di misurazione di immissioni acustiche all'ARTA Abruzzo, in quanto, al dato temporale attuale, il locale La St. risulta da oltre un anno chiuso ed inattivo come conseguenza dell'emergenza epidemiologica in atto, e quindi risulta una impossibilità materiale ad effettuare delle misurazioni su immissioni acustiche. Provvedo altresì al deposito della documentazione inerente agli esiti delle verifiche svolte, su disposizione del sottoscritto Commissario ad acta, dal Corpo di Polizia Municipale di (omissis) che il Comandante del Corpo stesso ha trasmesso in data 28.12.2020, con nota prot. n. 159, avente ad oggetto (v. ALLEGATI "E" 1 - 2). Si deposita infine, con la presente ultima Relazione, una corposa documentazione integrale acquisita dal Comune di (omissis), con atti e documentazione precedenti anche di molti anni all'incarico di Commissario ad acta espletato, relativa agli atti amministrativi comunque già esaminati anche dagli altri Commissari ad acta, sul locale commerciale su cui si e agito (v. ALLEGATO "F")". 7. Con reclamo, notificato il 6 aprile 2021, via pec, al Comune di (omissis), presso il difensore e alla sig.ra Bu., e depositato in pari data, il Condominio ha impugnato gli atti commissariali chiedendo al TAR di dichiararne l'illegittimità . 8. Con sentenza n. 301/2021, pubblicata il 26 maggio 2021, il TAR si è pronunciato sul reclamo del Condominio C.E. ex Ed. ritenendo fondato il motivo con il quale si è lamentata una difformità sotto il profilo igienico sanitario per assenza di autorizzazione all'uso di cucina nel locale, che la ASL n. 1 avrebbe dovuto rilasciare. Il TAR, inoltre, in merito al disposto di cui all'art. 55, comma 2, L.R. 23/2018 che impone per i piccoli trattenimenti musicali senza ballo, in sale con capienza e afflusso non superiore a cento persone, dove la clientela acceda per la consumazione, senza l'apprestamento di elementi atti a trasformare l'esercizio in locale di pubblico spettacolo o trattenimento e senza il pagamento del biglietto di ingresso o di aumento nei costi delle consumazioni, ha ordinato al Commissario ad acta di effettuare un ulteriore accertamento circa il rispetto da parte del locale "La St." dei requisiti di sicurezza e di prevenzione incendi, facendo riferimento alle norme stabilite dal d.m. 19.8.1996 titolo XI che, per i locali con capienza inferiore a 150 persone, impone la presenza di almeno due uscite; tale prescrizione risulta espressamente richiamata nella nota prot. 951 del 23 gennaio 2019 del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco dell'Aquila, nota al Comune di (omissis) e depositata in atti del Commissario, ove è specificato che, se nel locale in questione è svolta occasionalmente attività di trattenimento/pubblico spettacolo, dovranno essere osservate le disposizioni di cui al d.P.R. 311/2001 e il locale dovrà possedere i requisiti di cui al d.m. 19.8.1996 titolo XI. 9. Della sentenza, asseritamente ingiusta e illegittima, Bu. Re. nella qualità di socia di La Fa. S.n. c. di Bu. Gi. & C, ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello alla stregua dei seguenti motivi così rubricati: "I) IN RIFERIMENTO AL CAPO F.1, SECONDO ACCERTAMENTO, DI PAGG. 9-10, DELLA SENTENZA, SI ECCEPISCONO DIFETTO DI MOTIVAZIONE. CARENZA DI ISTRUTTORIA. AD OGNI MODO, MANCANZA DI MATERIA DEL CONTENDERE; II) IN RIFERIMENTO AL CAPO H.1, PAGG. 11-12, DELLA SENTENZA, SI ECCEPISCONO: VIOLAZIONE DELL'ART. 1, COMMA 2, LETTERA D) D.M. 19 AGOSTO 1996 APPROVAZIONE DELLA REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO. CARENZA DI ISTRUTTORIA. ERRORE SUI PRESUPPOSTI. DIFETTO DI MOTIVAZIONE; III) IN RIFERIMENTO AL CAPO H.1, PAGG. 11-12, DELLA SENTENZA, SI ECCEPISCONO VIOLAZIONE DELL'ART. 114 C.P.A.. VIOLAZIONE DEL GIUDICATO FORMATOSI SUI PROVVEDIMENTI DEL T.A.R. EMESSI NELLA VICENDA IN ESAME. VIOLAZIONE DELL'ART. 112 C.P.C.. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. DIFETTO DI MOTIVAZIONE". 10. Hanno resistito al gravame il Condominio C.E. ex Ed. e il Ministero dell'Interno, il primo chiedendone il rigetto, il secondo con memoria di stile. 11. Con successivo ricorso R.G. 2556/2022, Bu. Re. nella qualità di Socia di La Fa. S.n. c. di Bu. Gi. & C. ha proposto appello avverso la sentenza del TAR Abruzzo L'Aquila, I Sezione, n. 90 del 17 marzo 2022, che ha accolto il reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a., proposto dal Condominio C.E. ex Ed., il 13 dicembre 2021, per la declaratoria di illegittimità : - della determinazione del commissario ad acta n. 1 dell'11 ottobre 2021, recante la definizione del procedimento in ottemperanza della sentenza del TAR Abruzzo n. 34/2020, ordinanza TAR Abruzzo n. 145/20, ordinanza 91/21, sentenza TAR Abruzzo 301/21; - della relazione datata 11 ottobre 2021 del Commissario ad acta per l'esecuzione delle sentenze nn. 301/21 e 34/2020 e delle ordinanze n. 145 del 28 aprile 2020 e 91 del 3 marzo 2021 adottate dal TAR per l'Abruzzo, L'Aquila sul ricorso R.G. 384/19. 12. Nel nuovo ricorso, dopo una lunghissima esposizione in fatto, che riporta pedissequamente le vicende inerenti il ricorso R.G. 8560/2021, la ricorrente espone che, con determinazione n. 1/2021 dell'11 ottobre 2021, il Commissario ad acta ha dato esecuzione alla sentenza del TAR n. 301/2021. 13. Il Commissario ad acta ha: a) preso atto della sopravvenuta (rispetto alla sentenza n. 301/2021 del 26 maggio 2021) nota A.S.L. del 10 giugno 2021 con allegato parere, del 21 febbraio 2019, attestante il rispetto delle norme igienico-sanitarie del locale e la mancanza di pericoli per la salute pubblica; b) verificato la piena operatività nel locale del dispositivo automatico per la limitazione delle emissioni sonore; c) ribadito che l'attività di intrattenimento esercitata nel locale "La St." - consistente in musica di sottofondo, senza manifestazioni danzanti e/o spettacoli - non è soggetta all'obbligo di dotarsi dell'autorizzazione di pubblica sicurezza ex art. 68 R.D. n. 733/1931, in base al disposto di cui all'art. 55, comma 2, L.R. Abruzzo 23/2018; d) verificato la non applicabilità, all'attività svolta nel locale "La St.", delle previsioni di cui al d.m. 19 agosto 1996 (sulla regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di trattenimento e di pubblico spettacolo), e ha dichiarato che l'attività è assimilabile ai casi esclusi dal campo di applicazione di detto decreto, rientrando nelle fattispecie di cui all'art. 1, comma 2, lettere c) e d); e) affrontato la questione del rispetto dei criteri di sorvegliabilità dei locali di cui al d.m. 17 dicembre 1992 n. 564; in merito a tali criteri, il Commissario ad acta, a seguito di sopralluogo del 14 agosto 2021, ha fatto propri, condividendoli, sia l'accertamento del nuovo responsabile, arch. Pa. Di Gu., del Settore Tecnico del Comune di (omissis) di cui alla nota prot. 6731 del 20 luglio 2021, sia quello compiuto dall'ing. Lo. Pe. nella perizia tecnica giurata agli atti del Comune con prot. 6695 del 19 luglio 2021; f) ricordato che l'allora Responsabile del Settore Tecnico del Comune di (omissis), arch. Gi. Lu. Ge., con relazione prot. n. 2930 del 25 marzo 2021, aveva verificato la conformità edilizia del locale, nonché la conformità alle norme vigenti dell'impiantistica a servizio dell'attività svolta. 14. La determinazione del Commissario ad acta n. 1/2021 ha sancito che nell'ambito dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande, sotto l'insegna "La St. Ca. ", esercitata in (omissis), non potranno essere svolti pubblici spettacoli o trattenimenti in qualsiasi forma e che nell'ipotesi in cui dovesse essere svolta occasionalmente l'attività di trattenimento/pubblico spettacolo dovranno essere osservate le norme del d.m. 19 agosto 1996, con l'obbligo di dotarsi di una seconda uscita. Dovranno essere rispettati i limiti acustici di cui all'art. 2, comma 1, lett. c) e d) D.P.C.M. 215/1999 e si dovrà procedere, con cadenza annuale, alla revisione di detto dispositivo comunicando le risultanze all'Ufficio tecnico comunale. 15. Con nuovo reclamo notificato e depositato in giudizio il 13 dicembre 2021, il Condominio C.E. ex Ed. ha impugnato l'ordinanza commissariale, affermando l'applicabilità delle previsioni del d.m. 19 agosto 1996 ritenendo che nel locale si svolga attività di pubblico spettacolo/trattenimento, con obbligo della doppia porta di sicurezza come prescrive il citato d.m. per tali attività, circostanza che sarebbe stata confermata dai VV.FF. con la nota del 23 gennaio 2019. Circa il requisito della sorvegliabilità del locale, per quanto eccepito dal Condominio reclamante, il Commissario nulla avrebbe detto. 16. Con memoria versata in atti il 21 febbraio 2022, la sig.ra Bu. ha resistito al reclamo sulla scorta dei motivi già articolati con l'appello R.G. 8560/2021. 17. Con sentenza n. 90/2022 del 17 marzo 2022, il TAR ha accolto il secondo reclamo del Condominio. 18. Eseguendo la sentenza, il Commissario ad acta, con ordinanza del 24 marzo 2022, affissa al locale in pari data, dichiarando di applicare l'art. 62, comma 2, L.R. 23/2018, richiamato dal TAR, ha sospeso, con effetto immediato, per giorni 45, l'attività del locale La St., in esercizio dal 3 febbraio 2009, ordinando di ripristinare i requisiti mancanti previsti dal d.m. 19 agosto 1996 (sulla regola tecnica dei locali di pubblico spettacolo/trattenimento) e dal d.m. 17 dicembre 1992 n. 564 (sulla sorvegliabilità dei locali dove si svolge attività di somministrazione di alimenti e bevande). 19. Della sentenza, asseritamente ingiusta e illegittima, Bu. Re. nella qualità di socia di La Fa. S.n. c. di Bu. Gi. & C, ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello alla stregua dei seguenti motivi così rubricati: "I) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 19 AGOSTO 1996. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. DIFETTO DI MOTIVAZIONE; II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.M. 17 DICEMBRE 1992, N. 564. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. DIFETTO DI MOTIVAZIONE; III) VIOLAZIONE DELL'ART. 114 C.P.A.. VIOLAZIONE DEL GIUDICATO FORMATOSI SUI PROVVEDIMENTI DEL T.A.R. EMESSI NELLA VICENDA IN ESAME. VIOLAZIONE DELL'ART. 112 C.P.C.". 20. Anche in questo caso hanno resistito al gravame il Condominio C.E. ex Ed. e il Ministero dell'Interno, il primo chiedendone il rigetto, il secondo con memoria di stile. 21. Nel secondo ricorso è stata proposta domanda cautelare, che è stata rigettata con ordinanza di questa Sezione n. 1850 del 22 aprile 2022, recante la seguente motivazione: "Premesso che: - con l'appello in epigrafe si chiede la sospensione degli effetti della sentenza del T.a.r. per l'Abruzzo, Sezione Prima, 17 marzo 2022, n. 90, con la quale è stato respinto il reclamo proposto dal Condominio C.E. ex Ed. avverso il provvedimento del Commissario ad acta dell'11 ottobre 2021, adottato in esecuzione del giudicato reso dal medesimo Tribunale (sentenza 31 gennaio 2020, n. 34); - con la sentenza il reclamo è stato accolto, annullando il provvedimento commissariale per aver autorizzato l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande "in un locale del quale ha escluso la conformità ai requisiti di sorvegliabilità prescritti dal d.m. 17 dicembre 1992, n. 564 per i locali adibiti a pubblici esercizi", per l'accertata presenza nel locale di una sola uscita invece delle due uscite necessarie in base alla normativa richiamata. Considerato che la anzidetta affermazione non sembra inficiata dalle censure sollevate dall'appellante; e comunque appare prevalente, nel bilanciamento con l'interesse del privato ad evitare la chiusura del locale fino alla pronuncia di merito, l'interesse alla incolumità e sicurezza pubblica del locale; Ritenuto, pertanto, che non sussistono i presupposti per la concessione della misura cautelare richiesta; Ritenuto, altresì, che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite del presente incidente di esecuzione; ". 22. In data 26 aprile 2022, la sig.ra Re. Bu., nella qualità di socia di La Fa. s.n. c. di Bu. Gi. & C. depositava ricorso per la revocazione dell'ordinanza cautelare n. 1850/2022 la cui motivazione è stata sopra riportata. 23. Alla camera di consiglio del 12 maggio 2022, previa rinuncia alla domanda di revocazione dell'ordinanza cautelare n. 1850/2022, è stato disposto il rinvio al merito della causa ai fini della contestuale trattazione con il ricorso R.G. n. 8560/2021, del quale si è anticipata la fissazione dalla camera di consiglio del 29 giugno 2022 alla camera di consiglio del 16 giugno 2022, nel cui ruolo sono state inserite entrambe le cause. 24. Alla camera di consiglio del 16 giugno 2022, le cause, previa riunione per evidente connessione, sono state trattenute in decisione. DIRITTO 25. Va preliminarmente precisato che nel processo amministrativo la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 c.p.a.; vero dunque che la riunione di ricorsi legati da vincoli di connessione soggettiva od oggettiva non è mai obbligatoria e resta rimessa ad una valutazione di mera opportunità, afferente a ragioni di economia processuale, della loro trattazione congiunta, ma in questo particolare caso la vicenda è unica, tra le medesime parti e si imponeva pertanto una trattazione congiunta. 26. Trattazione congiunta tanto più opportuna se si tiene conto che la prima questione che il Collegio deve risolvere è quella di fare ordine al fine di comprendere con esattezza le domande dell'appellante, la portata effettiva della vicenda controversa, e le disposizioni applicabili. 27. Cominciamo col precisare, anche per riportare una questione che era semplicissima nel suo naturale alveo, che la lineare ricostruzione in fatto operata dal Condominio C.E. nella memoria depositata il 31 maggio 2022, trova perfetta rispondenza negli atti di causa, e difatti: a) con diffida, inoltrata al Comune di (omissis) in data 1° agosto 2019, il Condominio C.E. contestava la legittimità dell'esercizio dell'attività svolta sotto l'insegna "La St." e sollecitava il Comune stesso a provvedere alla sua chiusura; b) per quel che riguarda il ricorso R.G. 8560/2021 (il secondo è la naturale prosecuzione della vicenda), va individuato il nucleo della questione controversa: nella diffida venivano evidenziate la violazione della normativa igienico/sanitaria, quella sulla sicurezza del locale e quella sulla sorvegliabilità ; seguiva ulteriore diffida del 30 settembre 2019; c) con sentenza n. 34/2020, il TAR, semplicemente, accoglieva il ricorso proposto per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione (una inerzia dell'amministrazione inequivocabile) e così provvedeva: "accoglie il ricorso e i motivi aggiunti e dichiara l'illegittimità del silenzio sopravvenuto alle istanze del ricorrente del 1.8.2019 e del 31.10.2019; ordina al Comune di (omissis) provvedere sulle istanze indicate in epigrafe nel termine di giorni trenta (30) dalla comunicazione o dalla notifica, se precedente, di questa sentenza, con avvertenza, che, in caso di ulteriore inadempimento, provvederà, in via sostitutiva, il Commissario ad acta, che si designa fin d'ora nella persona del Prefetto dell'Aquila o un suo delegato; " d) il Commissario ad acta ha adottato, in data 16 maggio 2022, l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione n. 2/09 rilasciata dal Comune di (omissis) a "La St.", per la violazione della normativa sulla sicurezza e sorvegliabilità ; e) a tale conclusione si è pervenuti, come correttamente fa notare la difesa del Condominio, dopo tre sentenze del TAR (34/2020, 301/2021 e 90/2022), due ordinanze collegiali (145/2020 e 91/2021) e una sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato (2333/21). 28. Questi, molto semplicemente, i fatti. 29. Chiariti i fatti possono essere esaminati i motivi di ricorso non prima di aver proceduto a una loro quanto mai necessaria sintesi. 30. Con il primo motivo del ricorso 8560/2021 la signora Bu. afferma quanto segue. 30.1. Al capo F.1, pagg. 9-10 della sentenza impugnata, il TAR ha così statuito: "Non risulta invece verificata la conformità alle norme igienico-sanitarie del locale, come si evince dalla nota n. 1 del 21.12.2020 (all. E1 depositato dal Commissario il 29.3.2021 pag. 207), con la quale la ASL n. 1 riferisce al Comune di non aver avuto accesso al locale in data 15.12.2020, per dichiarata indisponibilità dei proprietari e chiede di sapere se è necessario disporre nuovamente il sopralluogo in ottemperanza al giudicato. Il Commissario ha poi riferito, nella relazione del 29.3.2021, di aver rimesso alla ASL la documentazione dalla stessa richiesta con nota del 7.1.2019, ai fini della valutazione dei requisiti igienico-sanitari dei locali dell'esercizio pubblico "La St. Ca. " sito in (omissis), che tuttavia non sarebbe stata resa perché i sopralluoghi sarebbero sospesi durante l'emergenza COVID. Considerato, però, che l'emergenza COVID era in corso anche alla data del 15 dicembre 2020, quando la ASL n. 1 ha tentato di effettuare il sopralluogo, deve presumersi che il silenzio della stessa ASL sulla successiva richiesta di sopralluogo del Commissario ad acta sia stato causato da un mero disguido. Ne consegue che, allo stato non risulta ancora accertato, benché possibile, come desumibile dalla disponibilità manifestata dalla ASL n. 1, e necessario ai fini dell'esecuzione del giudicato, se il locale è conforme alle norme igienico-sanitarie ivi esercitata. Pertanto in parte qua il reclamo è fondato, poiché lamenta una difformità sotto il profilo igienico sanitario per assenza di autorizzazione all'uso di cucina nel locale, che la ASL n. 1 avrebbe dovuto rilasciare". 30.2. La sentenza, in riferimento all'accertamento e all'ordine al Commissario ad acta con esso disposto, andrebbe riformata in quanto il TAR avrebbe completamente ignorato che, agli atti del Commissario e per quanto prodotto in giudizio in prime cure il 13 aprile 2021 nell'interesse della sig.ra Bu., risulta che l'ASL ha già verificato la piena conformità dell'uso della cucina con 2 sopralluoghi: verbale d'ispezione del Servizio di Prevenzione e Igiene Ambientale dell'A.S.L. n. 1 Area di (omissis) dell'11 agosto 2016, che dava conto del corretto funzionamento della canna fumaria con sbocco sul tetto; verbale d'ispezione del Servizio di Prevenzione e Igiene Ambientale dell'A.S.L. n. 1 Area di (omissis) del 13 maggio 2017 che dava conto, in particolare, della pulizia e dell'ordine del locale e della corrispondenza degli ambienti con la planimetria in possesso del Servizio di Prevenzione e Igiene Ambientale. 30.3. La dimostrazione di quanto sopra sarebbe rappresentata dalla nota ASL prot. 0128599/2021 inviata al protocollo comunale l'11 giugno 2021 (dopo la pubblicazione della sentenza impugnata), con la quale si rappresenta che il rispetto delle norme igienico sanitarie del locale e la mancanza di pericoli per la salute pubblica erano stati già comunicati ai Carabinieri di (omissis) il 21 febbraio 2019 con parere ASL prot. 0038872/2019. 30.4. La nota ASL del 10 giugno 2021 dimostrerebbe pertanto la fondatezza a posteriori (ma in realtà precedente alla presentazione del ricorso di prime cure depositato il 30 settembre 2019, essendo l'originaria nota ASL risalente al febbraio 2019), della doglianza dedotta sull'accertamento, a seguito dei sopralluoghi ASL, di tutti i requisiti igienico-sanitari dei locali dell'esercizio pubblico "La St." e, comunque, consente di chiedere su tale capo il venir meno della materia del contendere in riferimento all'adempimento imposto dal TAR al Commissario ad acta, anche con il dispositivo, di accertare per il tramite della ASL 1 Avezzano - Sulmona - L'Aquila, la conformità alla normativa igienico- sanitaria del locale "La St. Ca. ": sia in quanto l'accertamento è stato già effettuato nel febbraio 2019, prima della presentazione da parte del Condominio del ricorso al TAR (settembre 2019) sia in quanto l'esito dello stesso è stato confermato, in riferimento al capo di sentenza qui impugnata, con la nota ASL del 10 giugno 2021. 31. Con il secondo motivo del ricorso 8560/2021 la signora Bu. argomenta come segue. 31.1. Il capo della sentenza H.1 (pagg. 11-12) in riferimento alla ritenuta applicazione delle disposizioni di cui al d.m. 19 agosto 1996 sarebbe erroneo per le seguenti considerazioni: a) l'art. 1, comma 2, d.m. 19 agosto 1996 statuisce che...Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto:...c) i pubblici esercizi dove sono impiegati strumenti musicali in assenza dell'aspetto danzante e di spettacolo; d) i pubblici esercizi in cui è collocato l'apparecchio musicale "karaoke" o simile, a condizione che non sia installato in sale appositamente allestite e rese idonee all'espletamento delle esibizioni canore ed all'accoglimento prolungato degli avventori, e la sala abbia capienza non superiore a 100 persone; b) le caratteristiche del locale sarebbero state già verificate dal Commissario ad acta a mezzo dei rilievi della Polizia locale per i quali nel locale "La St."...non ci sono elementi come arredi, pedane, luci, amplificatori, altoparlanti a pioggia e microfoni... l'ingresso al locale o nelle pertinenze dello stesso non era subordinato al pagamento di un biglietto e al sovraprezzo delle consumazioni, anche in riferimento alla capienza del locale (68 persone, inferiore a 100 persone). Ma tali caratteristiche sarebbero state accertate anche dal TAR che infatti ha ritenuto applicabile alla vicenda l'art. 55, comma 2, L.R. 23/2018 riferito a piccoli trattenimenti musicali senza ballo in sale con capienza e afflusso non superiore a cento persone dove la clientela acceda per la consumazione, senza l'apprestamento di elementi atti a trasformare l'esercizio in locale di pubblico spettacolo o trattenimento e senza il pagamento del biglietto di ingresso o di aumento nei costi delle consumazioni (punto G.1., pagg. 10-11, della sentenza); c) gli accertamenti comporterebbero dunque l'inapplicabilità del d.m. 19 agosto 1996; d) il locale non sarebbe soggetto alle previsioni di cui al d.m. 19.8.1996 ed alla prescrizione di cui all'allegato XI essendo esso riferito a fattispecie diversa da quella in esame ovvero ai locali di cui all'art. 1, comma 1, lettera e) d.m. 19.8.1996, vale a dire locali di trattenimento, ovvero locali destinati a trattenimenti ed attrazioni varie, aree ubicate in esercizi pubblici ed attrezzate per accogliere spettacoli. Diversi, pertanto, dal locale "La St.". 31.2. L'appellante richiama la perizia giurata, depositata dinanzi al Tribunale di Sulmona, a firma dell'ing. Lo. Pe. (della quale chiede l'ammissione in giudizio ai sensi dell'art. 104, comma 2, Codice del processo amministrativo), che alle pagine 1-5 fornisce, anche con documentazione fotografica, tutti gli elementi per confermare che il locale non è soggetto alle previsioni di cui al d.m. 19.8.1996 e alla prescrizione di cui all'allegato XI invocate dal TAR. 31.3. L'appellante rileva ancora che la nota del 23 gennaio 2019 prot. 951 del Comando Provinciale VV.FF. di L'Aquila, richiamata dal TAR, non avrebbe effettuato alcuna disamina circa le eccezioni di cui al campo di applicazione del d.m. 19 agosto 1996, anche perché redatta non a seguito di sopralluogo, bensì sulla scorta della documentazione prodotta dal Comune. In definitiva, la non applicabilità alla vicenda in esame del d.m. 19 agosto 1996 renderebbe illegittimo il capo di sentenza qui impugnato e non eseguibile l'adempimento imposto dal TAR. 32. Con il terzo motivo del ricorso 8560/2021 la signora Bu. argomenta come segue. 32.1. Il TAR ha mostrato di dubitare anche del rispetto da parte del locale "La St." dei criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande di cui al d.m. 17 dicembre 1992 n. 564. 32.2. La relazione del 4 febbraio 2019 richiamata dal TAR, redatta su incarico di La Fa. s.n. c. ad evasione delle richieste contenute nella nota del Dipartimento di Prevenzione della ASL n. 1 - Prot. n. 0002524/19 prodotta a seguito di sopralluogo eseguito il 30 dicembre 2018 da personale ASL, presso il locale "La St. Ca. ", tra le varie considerazioni tecniche in essa contenute, rilevava che... Al locale si accede attraverso una porta con telaio in acciaio a tre specchiature con vetro, due fisse ed una apribile ad anta a spingere nel verso di uscita, posta sulla parete esterna separante il locale dalla breve galleria di accesso al condominio Ed. e ad altro locale commerciale. Detta galleria è comunicante direttamente con l'esterno su via Roma. 32.3. Già solo tale affermazione, non riportata in sentenza, attesterebbe che la sorvegliabilità dell'ingresso del locale dalla strada è garantita. Nella relazione veniva anche precisato che il locale è situato al piano terra di un edificio multipiano ubicato nel comune di (omissis) alla Via Roma n. 15, diverso da quello di accesso, n. 13, al Condominio reclamante. Il civico 15 infatti è l'ingresso del Condominio Ed. 2, che non è parte del giudizio. 32.4. Il Condominio reclamante C.E.R., pertanto, non avrebbe alcun interesse a contestare la sussistenza del requisito della sorvegliabilità del locale, tanto è vero che tale aspetto non è stato mai oggetto di censura negli atti di prime cure, né è stato oggetto delle statuizioni sulle quali si è formato il giudicato, oggetto di esecuzione da parte del Commissario ad acta, afferenti, circa gli atti reclamati, ai profili antincendio, all'inquinamento acustico e alla conformità dei locali ai requisiti igienico sanitari. 32.5. L'accertamento circa la sorvegliabilità - profilo mai dedotto dal Condominio reclamante in prime cure - non si ritiene dunque oggetto del giudicato formatosi sulle pronunce del TAR, anche perché coinvolge altro Condominio che non è stato parte del giudizio. 32.6. L'appellante rappresenta che il tecnico incaricato dalla Fa. s.n. c., nella perizia giurata del 14 luglio 2021 ha affrontato anche tale profilo e, con l'ausilio di documentazione fotografica, ha accertato che sono ben distinguibili dalla strada gli avventori del locale La St. dai condomini del Condominio Ed. 2; e che, di giorno e di notte, con la porta d'andito comune aperta o chiusa, è totalmente consentita la sorvegliabilità dell'ingresso del locale La St., in ossequio alle previsioni di cui al d.m. 17 dicembre 1992 n. 564, Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande. 33. Veniamo ora ai motivi dell'appello di cui al ricorso 2556 del 2022 che sono in parte sovrapponibili, con alcune precisazioni, ai motivi contenuti nel ricorso 8560 del 2021, motivi che erano già stati ribaditi, precisati e, se possibile, ancora dettagliati, nella memoria depositata dalla difesa di Bu. Re. il 30 maggio 2022 e poi nella memoria depositata il 3 giugno 2022. 34. Con il primo motivo la Signora Bu. argomenta come segue. 34.1. Il locale "La St." di (omissis), di totali 96 mq calpestabili, con capienza massima di 68 persone, dove viene svolta attività di somministrazione di alimenti e bevande e che è dotato di impianto di diffusione sonora certificato e tarato, munito di limitatore, che viene utilizzato per musica di sottofondo, senza manifestazioni danzanti e/o spettacoli, stanti le ristrette superfici effettivamente fruibili dagli avventori e la disposizione degli arredi, è un locale rientrante, a pieno titolo, tra quelli esclusi dal comma 2, lettere c) e d), dell'art. 1 d.m. 19 agosto 1996: "...c) i pubblici esercizi dove sono impiegati strumenti musicali in assenza dell'aspetto danzante e di spettacolo; d) i pubblici esercizi in cui è collocato l'apparecchio musicale "karaoke" o simile, a condizione che non sia installato in sale appositamente allestite e rese idonee all'espletamento delle esibizioni canore ed all'accoglimento prolungato degli avventori, e la sala abbia capienza non superiore a 100 persone". 34.2. "La St.", dunque, non potrebbe essere considerato un locale multiuso utilizzato occasionalmente per attività di pubblico spettacolo/trattenimento per la quale soltanto è previsto l'obbligo di dotarsi della doppia uscita di sicurezza di cui all'Allegato 1 - Titolo IV punto 4.3.2. del d.m. 19 agosto 1996. Già solo per questo motivo la sentenza impugnata andrebbe riformata nella parte in cui ha statuito che il locale sarebbe soggetto alla prescrizione del d.m. 19 agosto 1996 sulle 2 uscite di sicurezza (rispetto all'unica presente). 34.3. L'erroneità della statuizione emergerebbe anche dal semplice esame della previsione regionale richiamata dalla sentenza impugnata (art. 55 L.R. 23/2018 Testo unico in materia di commercio) che distingue le attività di pubblico spettacolo/intrattenimento dai piccoli trattenimenti musicali senza ballo. 35. Con il secondo motivo la Signora Bu. argomenta come segue. 35.1. Il locale, come accade costantemente dal 3 febbraio 2009, data di inizio dell'attività sarebbe sempre stato e sarà sorvegliabile in quanto l'andito condominiale non è chiuso e le rispettive corsie sono ulteriormente evidenziate a pavimento mediante due guide, rispettivamente di colore rosso (Stamberga) e blu (Condominio Ed. 2, diverso da quello reclamante). 36. Con il terzo motivo la Signora Bu. argomenta come segue. 36.1. Il civico n. 15 è l'ingresso del Condominio Ed. 2, che non è parte del giudizio. Detto civico è anche quello del locale La St.. Il Condominio reclamante C.E.R. ex Ed., che accede dal civico n. 13 (diverso dal n. 15), pertanto non avrebbe alcun interesse, a contestare la sussistenza del requisito della sorvegliabilità del locale, tanto è vero che tale aspetto non è stato mai oggetto di censura negli atti di prime cure, né tantomeno è stato oggetto delle statuizioni sulle quali si è formato il giudicato, oggetto di esecuzione da parte del Commissario ad acta, afferenti, circa gli atti reclamati, ai profili antincendio, all'inquinamento acustico e alla conformità dei locali ai requisiti igienico-sanitari. 37. I motivi così sintetizzati possono a questo punto essere esaminati. 38. Essi sono infondati. 39. E' del tutto infondato il primo motivo (ricorso 8560 del 2021) poiché la ricorrente vorrebbe prescindere da circostanze di fatto inequivocabili, anche in questo caso correttamente fatte rilevare dalla difesa del Condominio. Le ispezioni su cui la ricorrente fa leva per sostenere le proprie tesi sono relative a circa tre anni prima dall'ultimo provvedimento dell'ASL n. 1 del 21 dicembre 2020. 39.1. La sentenza non merita le critiche che le sono state rivolte in quanto ha dato conto dettagliatamente del fatto che "Non risulta invece verificata la conformità alle norme igienico-sanitarie del locale, come si evince dalla nota n. 1 del 21.12.2020 (all. E1 depositato dal Commissario il 29.3.2021 pag. 207), con la quale la ASL n. 1 riferisce al Comune di non aver avuto accesso al locale in data 15.12.2020, per dichiarata indisponibilità dei proprietari e chiede di sapere se è necessario disporre nuovamente il sopralluogo in ottemperanza al giudicato". 40. Non spetta miglior sorte al secondo motivo (ricorso 8560 del 2021). 40.1. Intanto, l'attività d'intrattenimento esercitata nel locale è tutt'altro che occasionale. E, difatti, la sentenza fa corretto riferimento all'elenco trasmesso al Comando dei Vigili urbani di (omissis) dalla SIAE degli eventi programmati nel locale che, dal 5 gennaio 2019 al 4 maggio 2019, evidenzia una frequenza media di oltre dieci eventi mensili e punte di 19 eventi nel mese di marzo, e, dal 1° novembre 2020 al 25 febbraio 2020, una frequenza di quasi 10 eventi mensili e punte di 12 eventi nel mese di gennaio. 40.2. Non ha per nulla errato il primo Giudice dal momento che: a) ha correttamente statuito in ordine alla non applicabilità dell'art. 68 del TULPS; b) ha altrettanto correttamente statuito in ordine alla salvezza fatta dall'art. 55 comma 2 L.R. Abruzzo 23/2018 quanto alla conformità alla normativa in materia di sicurezza, di prevenzione incendi e di inquinamento acustico, prevista anche per i piccoli trattenimenti musicali "incontestatamente organizzati con regolarità " ("E' comunque fatto salvo il rispetto delle disposizioni vigenti e, in particolare, quelle in materia di sicurezza, di prevenzione incendi e di inquinamento acustico"). 40.3. In definitiva, il fatto che non si rientri nel perimetro applicativo dell'art. 68 TULPS (autorizzazione per locali di pubblico spettacolo) non esime certo dal rispetto delle norme di sicurezza per le attività svolte nei locali in aggiunta all'attività di somministrazione di alimenti e bevande, laddove, se si svolge, come si svolge, attività di intrattenimento devono essere osservate le disposizioni di cui al d.P.R. 311/2001 e il locale deve possedere i requisiti di cui al d.m. 19.8.1996 titolo XI. 41. Anche il terzo motivo è infondato. 41.1. Intanto, va precisato che il requisito della sorvegliabilità non va limitato ai soli accessi dalla via pubblica, come sarebbe sufficiente nel caso in cui l'accesso fosse in immediata comunicazione con la strada ma, nell'ipotesi in cui per accedere all'esercizio pubblico occorra utilizzare un corridoio o un cortile, dagli stessi non deve potersi accedere anche ad abitazioni civili, in quanto ciò renderebbe più difficile l'immediato controllo del locale quanto ai profili di ordine e sicurezza pubblica. L'accesso al locale "La St." avviene tramite un androne comune per il quale si accede anche a un condominio privato. Le valutazioni di carattere tecnico - discrezionale in ordine al requisito della sorvegliabilità, effettuate sulla base di accertamenti di fatto, non sono censurabili dal Giudice se non in caso, che qui non ricorre, di manifesta illogicità o di travisamento dei fatti. 41.2. Sul requisito della sorvegliabilità dei locali si richiama quanto già statuito da questa Sezione con sentenza 25 febbraio 2020, n. 1395, citata dalla difesa del Condominio C.E. in modo del tutto conferente, alle pagine 15 e 16 della memoria depositata il 31 maggio 2022. 41.3. Non è poi da mettere in dubbio l'interesse del Condominio C.E. a contestare il requisito della sorvegliabilità dei locali. Non va dimenticato che la controversia trae origine da una diffida volta a ottenere dal Comune di (omissis) (diffida che risale al 1° agosto 2019) una risposta dovuta. Conoscere della regolarità dell'attività esercitata dal locale "La St.", regolarità che, peraltro, a prescindere dal perimetro del contenuto della citata diffida, avrebbe dovuto essere verificata d'ufficio dal Comune di (omissis). Nulla di più . 41.4. In questa situazione, è evidente, come ben rileva la difesa del Condominio, che l'interesse non va certo ricercato nel collegamento con l'androne, ma nella situazione di promiscuità che l'androne comune crea con le evidenti conseguenze in punto di sorvegliabilità del locale. 41.5. Va poi osservato che la circostanza affermata nella memoria di replica della signora Bu. (pagina 5 memoria depositata il 3 giugno 2022), e cioè che "le diffide del Condominio appellato (dal medesimo depositate in giudizio il 26 maggio 2022 ore 10:41:37 nell'appello N.R.G. 8560/2021), non avevano ad oggetto la (pretesa ed insussistente) carenza del requisito della sorvegliabilità del locale, solo accennata nel corpo degli atti", è del tutto smentita dalla piana lettura della diffida del 1° agosto 2019 dove vi è ben più che un accenno, bensì una precisa contestazione (pagina 5 punto j) e della diffida dell'ottobre 2019 dove si legge a pagina 6: "non possiede il requisito della sorvegliabilità essendo priva di uscite secondarie o di emergenza, e ciò nonostante induca in spettacoli ed intrattenimenti musicali (neanche a dirlo, in totale assenza di autorizzazioni)". 42. Le considerazioni fin qui svolte valgono a ritenere infondati anche i motivi dedotti nel ricorso 2556 del 2022. 43. Premono solo alcune precisazioni. 43.1. Nella memoria depositata il 19 aprile 2022 (ricorso 2556 del 2022) alle pagine 3 e 4 si legge: "-l'appellato Condominio non può comunque più qualificare il locale La St. come "locale di trattenimento" non avendo impugnato, con appello incidentale, la sentenza del T.A.R. L'Aquila n. 301/2021 (ALL. 31 all'appello) nella parte in cui essa (capo G.1, pagg. 10 - 11, della sentenza) ha rigettato il motivo con il quale il Condominio aveva dedotto il preteso obbligo, in capo al titolare del locale de quo, di dotarsi dell'autorizzazione di pubblica sicurezza ex art. 68 R.D. n. 733/1931, riferito proprio agli spettacoli e trattenimenti pubblici, avendo il T.A.R. dichiarato che al locale si applica, invece, l'art. 55, comma 2, L.R. Abruzzo 23/2018 che consente l'effettuazione di piccoli trattenimenti musicali senza ballo in sale con capienza e afflusso non superiore a cento persone dove la clientela acceda per la consumazione, senza l'apprestamento di elementi atti a trasformare l'esercizio in locale di pubblico spettacolo o trattenimento e senza il pagamento del biglietto di ingresso o di aumento nei costi delle consumazioni, vale a dire eventi ontologicamente diversi dai pubblici spettacoli e/o trattenimenti; - la normativa di prevenzione incendi alla quale fa riferimento l'art. 55, comma 2, L.R. Abruzzo 23/2018 chiaramente non può essere quella contenuta nel D.M. 19 agosto 1996 nell'ipotesi in cui, come nel caso in oggetto, il locale, per le caratteristiche dell'attività svolta, rientri, a pieno titolo, nei casi di esclusione di cui all'art. 1, comma 2, D.M. 19 agosto 1996; - l'appellato Condominio con le proprie considerazioni non fornisce comunque alcun elemento che possa far ritenere che il locale de quo possa essere qualificato come locale multiuso, limitandosi a trascrivere le motivazioni svolte dal T.A.R. L'Aquila con la sentenza qui impugnata, la cui palese erroneità è stata dimostrata dall'appellante con il motivo I di appello, pagg. 26-29, che qui deve intendersi integralmente trascritto; ". 43.2. Non vi era alcuna necessità di proporre appello incidentale dato che non è in discussione, come già osservato, l'applicabilità dell'art. 68 del TULPS. Ciò che è in discussione è la salvezza fatta dall'art. 55 comma 2 L.R. Abruzzo 23/2018, quanto alla conformità alla normativa in materia di sicurezza, di prevenzione incendi e di inquinamento acustico, prevista anche per i piccoli trattenimenti musicali. E le statuizioni del TAR sono da confermare integralmente. 43.3. Altrettanto infondate sono le argomentazioni di cui alla già richiamata memoria depositata il 19 aprile 2022, laddove si legge: "la sentenza di codesta Ecc.ma Sezione richiamata dal Condominio appellato (n. 1395/2020) non possa essere invocata nella presente vicenda (...)" (pagina 5 della memoria). Non sarebbe il caso di precisarlo ma, visto il dettaglio delle argomentazioni spese, è sufficiente osservare che il richiamo ai principi affermati in un precedente non vale solo quando la fattispecie regolata è identica ma anche quando, come avviene in questo caso, quei principi possono fungere da ulteriore supporto al convincimento che il Giudice ha già espresso. 43.4. E' ancora necessario precisare che le sedici pagine di cui si compone la memoria depositata dalla signora Bu. in data 30 maggio 2023 (nel ricorso 2556 del 2022) sono state tenute in debita considerazione dal Collegio ma sono sostanzialmente ripetitive, pur con ulteriori ampi svolgimenti, di argomenti già spesi nei precedenti scritti difensivi. 43.5. Stesse considerazioni valgono per l'ulteriore scambio di memorie (dal 31 maggio al 3 giugno 2022) che hanno illustrato e ribadito le rispettive tesi senza elementi significativamente nuovi. 44. Per tutto quanto sopra detto, il Collegio ritiene che i ricorsi indicati in epigrafe debbano essere respinti. 45. Le spese del grado di giudizio, vista la assoluta particolarità della vicenda controversa, possono essere compensate tra le parti in causa. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8333 del 2016, proposto dalla società Sa. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. An., An. Gr. e An. Se., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. in Roma, via (...); contro il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e l'ENAC- Ente nazionale aviazione civile in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); l'ARPAT - Agenzia regionale protezione ambientale della Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mi. Si., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Ce. in Roma, piazza (...); il Comune di Lucca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato De. De Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Va. Mo. in Roma, via (...); la Provincia di Lucca, non costituita in giudizio; nei confronti della società St. Al. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Bi., con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via (...); dell'Azienda A.S.L. 2 Lucca, ora Nord Ovest e della Regione Toscana, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Toscana, sez. II, 18 marzo 2016 n. 481, che ha respinto i ricorsi riuniti nn. 765/2015 e 1642/2015 R.G. proposti per l'annullamento dei seguenti atti e provvedimenti (relativi alla richiesta di autorizzazione unica ambientale - AUA presentata dall'Azienda USL 2 Lucca in relazione all'elisuperficie situata presso l'ospedale civile di Lu., in Lucca, via (omissis), (omissis)): a) diniego espresso dalla conferenza di servizi 20 febbraio 2015, indetta dalla Provincia di Lucca con pec 11 febbraio 2015 e tenutasi presso i locali della Provincia di Lucca in Lucca, piazza (omissis), cortile (omissis); b) determinazione dirigenziale della Provincia di Lucca 30 marzo 2015 n. 1366, che esprime parere contrario al rilascio e dispone l'archiviazione; c) parere negativo 9 aprile 2015 prot. n. 103 dello Sportello unico attività produttive - SUAP del Comune di Lucca; d) comunicazione di preavviso di diniego 3 novembre 2014 prot. n. 220723 della Provincia di Lucca; e) parere ARPAT 29 agosto 2014 prot. LU. Ol. l7.18/54.13; f) parere 9 luglio 2014 prot. n. DVA-2014-0022624 emesso dal Ministero per l'ambiente e tutela del territorio e del mare, Direzione generale per le valutazioni ambientali. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2023 il Consigliere Francesco Gambato Spisani, udito per la parte appellante l'avvocato An. Gr. e dato atto delle istanze di passaggio in decisione depositate dagli avvocati De. De Sa., Mi. Si. e Al. Bi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente appellante è la società di progetto costituita ai sensi dell'allora vigente art. 37 bis della l. 11 febbraio 1994 n. 109 che, in base ad una convenzione stipulata in data 12 novembre 2007 con le Aziende sanitarie interessate, ha assunto l'incarico della progettazione esecutiva, progettazione definitiva e costruzione di alcuni ospedali toscani, e in particolare del nuovo ospedale di Lucca, rispetto al quale è parte della convenzione stessa l'Azienda sanitaria n. 2 di Lucca (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, convenzione citata, p. 4 del file). 2. Il progetto definitivo del nuovo ospedale di Lucca, per quanto qui rileva, prevedeva sin dall'origine una struttura idonea a far operare gli elicotteri del servizio di elisoccorso attivo nella Regione Toscana (doc. ti 3 e 4 in I grado ricorrente appellante, descrizione del servizio stesso e planimetria di progetto, ove è distinguibile la piazzola in questione, pp. 63 e 64 del file). 3. Nel corso del procedimento amministrativo, e di questo processo, tutte le parti si sono riferite alla struttura in questione come ad una "elisuperficie", concetto normativo che si deve ora illustrare per migliore comprensione. 3.1 In materia dispone il regolamento d.m. 1 febbraio 2006, attuativo della l. 2 aprile 1968 n. 518, sulla liberalizzazione dell'uso delle aree di atterraggio, che all'art. 1 comma 1 definisce anzitutto la "aviosuperficie", intesa come "area idonea alla partenza e all'approdo di aeromobili, che non appartenga al demanio aeronautico". La definizione è conforme all'art. 701 comma 1 c.n., per cui "Le aviosuperfici, ivi comprese le elisuperfici, sono aree, diverse dagli aeroporti, non appartenenti al demanio aeronautico e sono disciplinate dalle norme speciali, ferme restando le competenze dell'ENAC in materia di sicurezza, nonché delle regioni, degli enti locali e delle altre autorità secondo le rispettive attribuzioni". Solo per completezza si aggiunge che le aree idonee a far operare aeromobili, le quali appartengano al demanio aeronautico, sono invece gli aeroporti veri e propri. 3.2 Sempre il d.m. 1 febbraio 2006, all'art. 1 comma 2, definisce "elisuperficie" ogni "aviosuperficie destinata all'uso esclusivo degli elicotteri, che non sia un eliporto". Il concetto di eliporto si ricava poi dal regolamento ENAC 20 novembre 2011 in materia, che lo definisce "aeroporto ad uso esclusivo degli elicotteri impiegati in attività di trasporto commerciale". 3.3 Il d.m. 1 febbraio 2006 prevede per la gestione dell'elisuperficie una disciplina specifica: in sintesi estrema, all'art. 3 richiede che essa sia gestita da "persone fisiche o giuridiche le quali sono responsabili della sua rispondenza ai requisiti previsti dal presente decreto, della sua agibilità in condizioni di sicurezza", devono essere in possesso del nulla osta previsto dall'art. 4 comma 1, sono responsabili, ai sensi del comma 3, della conformità urbanistica della struttura e del rispetto delle norme di prevenzione degli incendi e devono raccogliere i dati dei movimenti, ai sensi dell'art. 5. In linea di principio poi sulle aviosuperfici complessivamente intese, e quindi anche sulle elisuperfici, il d.m. consente all'art. 6 "oltre all'effettuazione di attività non remunerate... anche le attività di trasporto pubblico, scuola e lavoro aereo". Dal confronto con l'art. 7 del decreto stesso, di cui subito, si ricava poi per implicito, ma inequivocabilmente, che un'aviosuperficie, e quindi anche un eliporto, è idoneo a ricevere un numero indeterminato di decolli e atterraggi. 3.4 Il d.m. 1 febbraio 2006 definisce poi all'art. 7 la "elisuperficie occasionale" come "qualunque area di dimensioni idonee a permettere, a giudizio del pilota, operazioni occasionali di decollo e atterraggio", ne consente, al comma 3, l'uso per "effettuazione di attività aerea occasionale, non superiore a 100 movimenti per anno, in condizioni VFR diurno" e per "interventi di emergenza come definiti dall'ENAC", quindi con limiti ben individuati; non richiede per esse la figura del gestore, come da comma 4, e prevede invece la responsabilità del pilota per la scelta dell'area, la condotta delle operazioni e, ai sensi del comma 7, il "rispetto della normativa vigente in materia di uso del territorio e di tutela dell'ambiente". 4. Tanto premesso, il progetto del nuovo ospedale di Lu. è stato esaminato come un tutto unitario, comprensivo quindi anche dell'elisuperficie, dalla competente conferenza di servizi, con il procedimento che ora si illustra con riferimento ai passaggi rilevanti ai fini di causa. 4.1 Il progetto esecutivo è stato approvato con deliberazione della conferenza di servizi nella seduta del 23 luglio 2008 (doc. 6 bis in I grado ricorrente appellante, verbale, p. 77 del file), recepita nella delibera 13 agosto 2008 n. 566 del direttore generale dell'ASL Lucca (doc 6 in I grado ricorrente appellante, p. 73 del file): L'ARPAT, presente alla conferenza, non ebbe a sollevare obiezione alcuna specificatamente relativa all'elisuperficie, si limitò infatti a segnalare la necessità di "alcune integrazioni" in materia acustica (doc 6 bis in I grado ricorrente appellante, cit. p. 80 del file). Di quali integrazioni si trattasse si comprende consultando il parere dell'ARPAT stessa 8 agosto 2008 allegato al verbale della conferenza (doc. 6 bis in I grado ricorrente appellante cit. p. 103 del file), che parla di "modifiche impiantistiche o opere aggiuntive di insonorizzazione... che permettano di rispettare il valore limite differenziale di immissione notturno a finestre aperte e il limite di emissione notturno presso tutti i recettori più esposti esterni all'ospedale". 4.2 Il progetto esecutivo è stato poi oggetto di variante, approvata con deliberazione della conferenza di servizi nella seduta del 19 luglio 2011 (doc. 8 bis in I grado ricorrente appellante, verbale, p. 185 del file), recepita nella delibera 25 luglio 2011 n. 400 del direttore generale dell'ASL Lucca (doc 8 in I grado ricorrente appellante, p.176 del file). Anche in questo caso, l'ARPAT, presente alla conferenza, non ebbe a sollevare obiezione alcuna specificatamente relativa all'elisuperficie, ma si limitò a ribadire "perplessità " inerenti la mancanza di uno studio che coinvolgesse tutti i recettori e la collocazione del parcheggio (doc. 8 bis in I grado ricorrente appellante, cit. p.187 del file). Nel parere allegato 19 luglio 2011 (doc. 8 bis in I grado ricorrente appellante, cit. p.202 del file) si richiama infatti ai profili già illustrati, appunto senza nulla dire circa l'elisuperficie. 4.3 La problematica dell'elisuperficie emerge invece dopo la data di fine lavori del 25 luglio 2013 (doc. 10 in I grado ricorrente appellante, certificato di fine lavori, p. 217 del file), nel momento in cui si tratta di richiedere per la struttura il rilascio dell'autorizzazione unica ambientale - AUA. Infatti, con nota senza data leggibile (doc. 11 ter in I grado ricorrente appellante, p. 225 del file) il Servizio ambiente della Provincia, competente per il rilascio, richiede al SUAP del Comune di Lucca una serie di integrazioni documentali, e in particolare il nulla osta acustico di cui all'art. 8 della l. 26 ottobre 1995 n. 447 (la legge generale in materia), sulla base di un allegato parere dell'ARPAT, indicato come allegato 1, ricevuto il giorno 15 ottobre 2013. 4.4 Nel parere in questione (doc. 11 quater in I grado ricorrente appellante, p. 229 del file) l'ARPAT qualifica come "del tutto insufficiente" la valutazione dell'impatto acustico dell'area per l'elisoccorso, per una serie di ragioni ivi spiegate, che sono quelle che fondamentalmente verranno poi poste a base del diniego impugnato, e quindi si illustreranno più oltre. 4.5 A seguito di questa richiesta di integrazioni per la valutazione acustica, l'ASL 2 Lucca decide di stralciare la richiesta di AUA per l'elisuperficie e procedere quindi in modo separato per l'AUA dell'ospedale propriamente detto, che viene rilasciata con deliberazione 24 aprile 2014 della conferenza di servizi a tal fine indetta dalla Provincia (doc. 17 in I grado ricorrente appellante, p. 43 del file). 5. Per quanto riguarda l'elisuperficie, l'AUA viene invece negata, nei termini di cui subito. 5.1 Con la propria nota 10 febbraio 2014 prot. n. 4792 e con la successiva nota 26 febbraio 2014 prot. n. 6750, con cui ha allegato il "contributo istruttorio" dell'ARPAT sul punto (doc. ti 13 e 13 bis in I grado ricorrente appellante, pp. 235 e 237 del file) l'ASL ha richiesto alla ricorrente appellante lo stralcio dell'AUA relativa all'elisuperficie di cui si è detto, ritenendo in estrema sintesi che essa dovesse essere soggetta alle norme generali in materia di impatto acustico di cui alla l. 26 ottobre 1995 n. 447. 5.2 In risposta, con nota 20 marzo 2014 (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, p. 247 del file), la ricorrente appellante ha quindi trasmesso una separata relazione di impatto acustico per la struttura in questione, osservando che a suo avviso la normativa vigente "esclude restrizioni di sorta per voli aventi carattere di emergenza" e quindi intende questa relazione come "da applicarsi nell'eventuale fattispecie non richiesta da ASL di voli aventi carattere NON di emergenza" (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, pp. 247-248 del file, maiuscolo nel testo). La relazione stessa (doc. 15 ter in I grado ricorrente appellante, pp. 305 e 336 del file) evidenzia comunque che i limiti di immissione sonora sarebbero rispettati solo in orario diurno. 5.3 Limitandosi a quanto rileva ai fini della decisione, consta poi che la Regione Toscana abbia chiesto al Ministero dell'ambiente un parere sul punto, rilasciato con nota 9 luglio 2014 prot. n. 22624, anche in questo caso nel senso dell'applicabilità della disciplina generale (cfr. per la richiesta verbale della conferenza di servizi 24 aprile 2014 doc. 17 in I grado ricorrente appellante, cit. a p. 347 del file; doc. 18 in I grado ricorrente appellante, parere citato, p. 351 del file). 5.4 All'esito, come da verbale 20 febbraio 2015 (doc. 23 in I grado ricorrente appellante, p. 371 del file) la conferenza di servizi ha disposto l'archiviazione della richiesta di AUA per l'elisuperficie, sulla base del superamento dei limiti di emissione sonora, calcolati appunto in base alla normativa generale; di conseguenza, rispettivamente con determinazione 30 marzo 2015 n. 1366 e con provvedimento 9 aprile 2015 n. 103, la Provincia e il SUAP del Comune di Lucca hanno espresso diniego (qualificato come "parere negativo") al rilascio del titolo autorizzatorio, richiamando la deliberazione della conferenza di servizi (doc. ti 24 e 25 in I grado ricorrente appellante, pp. 377 e 383 del file). 6. Contro questo diniego, espresso dagli atti sin qui descritti e a suo avviso dagli altri elencati in epigrafe, la società ha proposto avanti il T.a.r. Toscana il ricorso di I grado n. 765/2015 R.G. L'ASL Lucca ha proposto parallelo ricorso, n. 1642/2015 R.G., di identico contenuto. 7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe il T.a.r., previa riunione, ha respinto, con dovizia di argomenti, entrambi i ricorsi: in sintesi estrema, ha ritenuto corretto l'assunto dell'amministrazione, per cui l'elisuperficie per cui è causa è soggetta, per quanto concerne il suo impatto acustico, alle norme generali della l. 447/1995; ha poi ritenuto che il procedimento si sia svolto in modo conforme a legge. 8. Contro questa sentenza, ha proposto impugnazione la sola società di progetto, con appello che contiene i quattro motivi di cui si dirà in dettaglio oltre, di riproposizione dei motivi dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti. 9. Hanno resistito l'ARPAT, con atto 1 dicembre e memoria 14 dicembre 2016; le amministrazioni statali, Ministero dell'ambiente ed ENAC, con atto 24 marzo 2017, e il Comune, con atto 4 agosto 2017, ed hanno chiesto la reiezione dell'appello. In particolare, il Comune ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, non risultando costituite le servitù di passaggio sul fondo dei vicini ritenute necessarie per attivare l'elisuperficie. Di contro, con atto 27 gennaio 2017, la St. Al. S.p.a., ovvero la società che ha redatto lo studio di impatto acustico, ne ha chiesto l'accoglimento. 10. Con memorie 15 dicembre 2022 per l'ARPAT, 16 dicembre 2022 per il Comune e 19 dicembre 2022 per l'appellante, nonché con repliche 27 dicembre 2022 per il Comune e l'ARPAT nonché 29 dicembre 2022 per la St. Al. e per l'appellante, le parti hanno infine ribadito le rispettive difese. 11. Alla pubblica udienza del giorno 19 gennaio 2023, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione. 12. L'appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte, per le quali si può prescindere dall'esame dell'eccezione preliminare dedotta dal Comune come sopra. 13. È infondato il primo motivo di appello, con il quale la parte ha in sintesi dedotto l'asserita possibilità di far operare l'elisuperficie per cui è causa senza necessità di rispettare i limiti generali di immissione acustica di cui alla normativa vigente, che pertanto è necessario prima di tutto ricostruire per chiarezza. 13.1 Come è noto, la citata l. 447/1995 è la legge generale in materia di inquinamento acustico, inteso (ai sensi dell'art. 2 comma 1 lettera a) di essa), come "l'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi". 13.2 In materia, rilevano alcune definizioni tecniche contenute nella legge stessa, ovvero: a) i "valori limite di emissione", intesi come "il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa" (art. 2 comma 1 lettera e); b) i "valori limite di immissione", intesi come "il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori" (art. 2 comma 1 lettera f). A sua volta, il valore limite di immissione è distinto in: b1) "valori limite assoluti, determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale" (art. 2 comma 3 lettera a); b2) in "valori limite differenziali, determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo" (art. 2 comma 3 lettera b). 13.3 I valori limite di cui si è detto vengono calcolati in base alle metodologie previste da un regolamento attuativo della legge, il d.P.C.M. 14 novembre 1997, che nella sua formulazione originaria nulla di specifico prevedeva per le "aviosuperfici"; è stato poi modificato dall'art. 25 comma 11 quater del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, nel senso che alle aviosuperfici non si applichino i valori limite differenziali, come da art. 4 comma 3 nel nuovo testo. 13.4 Le norme tecniche per misurare in concreto il rumore prodotto da una data sorgente sono poi contenute in un regolamento attuativo ulteriore, il d.m. Ambiente 16 marzo 1998, che per le aviosuperfici non prevede alcunché di specifico. 13.5 Per quanto qui rileva, l'art. 8 della legge prevede poi due strumenti finalizzati, in estrema sintesi, a prevenire l'inquinamento acustico nel momento in cui debbono essere realizzate, modificate o potenziate determinate opere suscettibili di produrlo, ovvero sensibili al rumore in atto. 13.6 Il primo di questi strumenti non rileva nel caso presente, così come correttamente osservato dal giudice di I grado (p. 9 in fine della motivazione) è la "valutazione previsionale del clima acustico" di cui all'art. 8 comma 3, che per dato di comune esperienza nel relativo ambito tecnico serve a inquadrare il clima acustico presente prima della realizzazione di determinate opere, fra le quali non a caso rientrano le scuole e gli asili nido, oltre che gli ospedali, per verificare che le condizioni di rumorosità esistenti non rechino fastidio alle attività prossime all'insediamento in quella determinata zona. È evidente però che si è al di fuori della materia del contendere, che riguarda, all'opposto, la rumorosità prodotta proprio dall'opera che si intende realizzata, non quella preesistente da essa subita. 13.7 Lo strumento per valutare l'impatto sonoro che potrà avere la nuova opera rispetto alla situazione di partenza è invece la "documentazione di previsione di impatto acustico" di cui allo stesso art. 8 commi 1, 2 e 4, dovuta ai sensi del comma 1 per tutti i progetti da sottoporre a valutazione di impatto ambientale, nonché, ai sensi del comma 2, per tutta una serie di opere fra cui appunto, in base alla lettera a) del comma, per "aeroporti, aviosuperfici, eliporti" nel momento in cui sia richiesta dal Comune ovvero, in base al comma 4, nel momento in cui si faccia questione di "domande per il rilascio di concessioni edilizie relative a nuovi impianti ed infrastrutture adibiti ad attività produttive, sportive e ricreative e a postazioni di servizi commerciali polifunzionali" ovvero di "provvedimenti comunali che abilitano alla utilizzazione dei medesimi immobili ed infrastrutture" ovvero di "domande di licenza o di autorizzazione all'esercizio di attività produttive". 13.8 Ove la relazione di impatto acustico dimostri il rispetto dei limiti, viene rilasciato il relativo nulla osta da parte del Comune; nel caso di specie, non è controverso che il nulla osta fosse prescritto - trattandosi comunque di una richiesta al Comune inerenti un'attività produttiva; del rilascio del nulla osta stesso però è stato conglobato nel procedimento di AUA di competenza del SUAP comunale, in conformità all'art. 3 comma 1 lettera e) del d.P.R. 13 marzo 2013 n. 59 (cfr. espressamente il doc. 17 in I grado ricorrente appellante, cit. p. 343 del file). 13.9 Che poi nel caso di specie il nulla osta acustico fosse indispensabile discende anche da una norma ulteriore, contenuta nell'art. 12, comma 6-bis della l.r. Toscana 1 dicembre 1998, n. 89, che lo prevede per le aviosuperfici realizzate successivamente alla data di entrata in vigore del d.m. 31 ottobre 1997 del Ministro dell'ambiente, di cui subito si dirà . 13.10 La l. 447/1995 prevedeva all'art. 11 fin dalla sua formulazione originaria una serie di regolamenti di esecuzione distinti, volti a stabilire un regime differenziato per particolari fonti di inquinamento acustico, inizialmente indicato come quello derivante "dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo,... dagli autodromi, dalle piste motoristiche di prova e per attività sportive, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, nonché dalle nuove localizzazioni aeroportuali", tutto ciò in armonia con le normative europee. 13.11 In attuazione di questa norma, sono stati emanati anzitutto il d.P.R. 11 dicembre 1997 n. 496, in tema di "riduzione dell'inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili civili", il d.m. 31 ottobre 1997, rubricato "Metodologia di misura del rumore aeroportuale", nonché il d.lgs. 17 gennaio 2005 n. 13, di attuazione della direttiva 2002/30/CE "relativa all'introduzione di restrizioni operative ai fini del contenimento del rumore negli aeroporti comunitari", di cui si dirà oltre più in dettaglio. È stato poi emanato il d.P.R. 3 aprile 2001 n. 304, recante "Regolamento recante disciplina delle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche" a norma dell'art. 11 della legge, richiamato in modo espresso, regolamento che nella sua versione originaria disciplinava, come da art. 1 le "emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche di autodromi, piste motoristiche di prova e per attività sportive". 13.12 È poi intervenuto l'art. 25 comma 11 quater del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, che ha aggiunto, in sintesi, un riferimento alle "aviosuperfici" alle fonti normative fin qui citate. In particolare, l'art. 11 comma 1 della l. 447/1995 ora prevede che si emanino regolamenti speciali per la disciplina dell'inquinamento acustico derivante "dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo,.... dagli autodromi, dalle aviosuperfici, dai luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile, dalle piste motoristiche di prova e per attività sportive, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, nonché dalle nuove localizzazioni aeroportuali". L'art. 1 del regolamento 304/2001 è ora riferito alle "attività motoristiche di autodromi, aviosuperfici, luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile, piste motoristiche di prova e per attività sportive". Nel d.P.C.M. 14 novembre 1997, come si è già detto, si sono esentate anche le "aviosuperfici" dal rispetto del limite differenziale. Infine il campo di applicazione del d.m. 31 ottobre 1997 sulla misura del rumore aeroportuale è esteso, con modifica all'art. 1 comma 1 lettera a), anche al rumore "delle aviosuperfici e dei luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile". Solo per chiarezza, si ricorda che per quanto detto sopra questo riferimento alle "aviosuperfici" deve intendersi comprensivo delle "elisuperfici" come quella per cui è causa. 13.13 Per completezza, va citata anche la norma, successiva ai fatti di causa, sancita dall'art. 14 comma 1, lettere a) e b) del d.lgs. 17 febbraio 2017 n. 42, per cui i regolamenti di esecuzione previsti dall'art. 11 della l. 447/1995 possono essere "integrati per quanto attiene alla disciplina dell'inquinamento acustico derivante da avio-superfici, elisuperfici e idrosuperfici, nonché dalle nuove localizzazioni aeroportuali", norma che peraltro allo stato non consta avere avuto attuazione. 13.14 Posto il quadro normativo fin qui descritto, il giudice di I grado ha in sostanza condiviso le conclusioni raggiunte dalle amministrazioni intimate, in particolare nel verbale della conferenza di servizi 20 febbraio 2015 e nel parere del MATTM 9 luglio 2014 (doc. ti 23 e 18 in I grado ricorrente appellante, cit.): l'elisuperficie per cui è causa è soggetta alla disciplina generale di cui alla l. 447/1995 in sintesi estrema perché una disciplina speciale, in tesi più favorevole, cui riferirsi manca completamente. 13.15 Infatti, il citato d.l. 69/2013 - a parte l'eliminazione della necessità di rispettare il limite differenziale, che non rileva ai fini di causa - si è limitato ad inserire la parola "aviosuperficie" nei testi normativi di cui si è detto, senza però modificarne in alcun modo il contenuto. In altre parole, il d.P.R. 304/2001 ed il d.m. 31 ottobre 1997 continuano a riferirsi ai soli sport motoristici e ai soli aeroporti, che come si è detto sono cosa diversa rispetto alle aviosuperfici, senza che si spieghi al loro interno come, ed entro quali limiti, si debba tener conto della specificità di queste ultime, pur nominalmente riconosciuta. 13.16 La parte ricorrente appellante ha contestato questa conclusione, e dedotto che alla struttura per cui è causa non si applicherebbe limite alcuno per effetto delle norme dell'art. 1, comma 3, del d.m. 31 ottobre 1997 (per cui il decreto stesso non si applica "al rumore prodotto nello svolgimento di attività aeree di emergenza, pubblica sicurezza, soccorso e protezione civile") e dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. 13/2005 (per cui anche quest'ultimo decreto "non si applica alle emissioni acustiche dei voli di Stato e dei voli effettuati per fini di preminente interesse pubblico, di sicurezza nazionale, di emergenza, di soccorso, di protezione civile, di pubblica sicurezza e militari"). 13.17 Il Collegio non è peraltro dello stesso avviso. Occorre partire dal dato di fatto, non contestato da alcuno, per cui la struttura per cui è causa è una "elisuperficie" ai sensi delle norme del d.m. 1 febbraio 2006, ovvero è una struttura atta a consentire un numero potenzialmente illimitato di decolli e di atterraggi. In altre parole, la struttura, una volta autorizzata come tale, sarebbe adatta in potenza a consentire un traffico ben maggiore dei cinque o sei voli all'anno (doc. 21 in I grado ricorrente appellante, controdeduzioni del 28 novembre 2014, p. 368 del file), con immaginabili conseguenze sul clima acustico della zona e tenuto conto che pacificamente, come sopra illustrato, non sarebbero rispettati i limiti acustici per le ore notturne anche basandosi sulla sola relazione di impatto acustico presentata dalla parte. 13.18 Le norme del d.m. 31 ottobre 1997 e del d.lgs. 13/2005 appena citate si riferiscono invece a singoli voli, non a strutture che servano ad essi da base, come si comprende sia dalla lettera delle norme, che parlano appunto di "svolgimento di attività " ovvero di "voli effettuati", sia in base alla logica, perché sarebbe illogico concepire una deroga di portata permanente per attività di "emergenza", per loro natura episodiche e momentanee. 13.19 Ciò però non significa che la struttura per cui è causa non possa essere in assoluto utilizzata a servizio dell'ospedale, contrariamente a quanto ipotizza la parte appellante nel momento in cui osserva (p. 18 § 7 dell'atto) che "se i voli di soccorso dovessero sottostare ai limiti acustici ordinara, si otterrebbe il paradossale effetto che nessun volo di soccorso o di emergenza potrebbe mai penetrare all'interno di un centro abitato". 13.20 La struttura per cui è causa, secondo logica, è costruita in modo da avere tutti i requisiti per essere considerata "elisuperficie occasionale" ai sensi dell'art. 7 del d.m. 1 febbraio 2006 sopra esaminato, ovvero "area di dimensioni idonee a permettere, a giudizio del pilota, operazioni occasionali di decollo e atterraggio", e quindi utilizzabile per interventi di emergenza, come affermato dallo stesso art. 7 in relazione alla normativa ENAC che, per l'appunto, definisce e disciplina il servizio medico di emergenza su elicotteri -HEMS nel proprio regolamento sull'impiego del 16 settembre 2009. 13.21 La conseguenza pratica è che nel caso di singoli e occasionali trasporti medici di emergenza come quelli ipotizzati per l'ospedale interessato - e il trasporto di un paziente con eliambulanza è sostanzialmente per definizione un intervento di emergenza- il pilota potrà a sua discrezione e responsabilità utilizzare la struttura come elisuperficie occasionale, e non sarà soggetto ai limiti di emissione acustica, potendo invocare a buon diritto la disciplina del d.m. 31 ottobre 1997. Si osserva anzi che l'esistenza di effettive condizioni di emergenza potrebbe essere agevolmente, nel caso di necessità, fatta constare dai sanitari che accompagnano il paziente ovvero comunque sovraintendono al suo trasporto. 13.22 In definitiva, quindi, la struttura non può essere sotto il profilo acustico essere autorizzata una volta per tutte come "elisuperficie", ma può essere utilizzata di volta in volta come elisuperficie occasionale per lo scopo al quale in concreto si prevede essa possa servire. 14. È infondato il secondo motivo di appello, centrato sulla presunta violazione dell'art. 14 quater della l. 7 agosto 1990 n. 241 nel testo vigente all'epoca dei fatti. 14.1 Come non è contestato, nel corso della conferenza di servizio 20 febbraio 2015, il Comune ha ribadito "la necessità di trovare una soluzione" e sottolineato "l'importanza che la struttura ospedaliera funzioni nella sua totalità ; concorda con i presenti sulla necessità di trovare in tempi strettissimi una soluzione anche di tipo transitorio". In risposta, l'ARPAT ha proposto "come possibile questione da valutare ai fini di una soluzione temporanea del problema la concessione dl una deroga da parte del Comune, legata all'utilizzo degli elicotteri in caso di necessità e di urgenza" e aggiunto che "Onde evitare di dover chiedere una deroga ogni qual volta se ne ravvisi la necessità, la soluzione potrebbe essere quella dì predisporre una richiesta di deroga di valore generale che riguardi un limitato numero di voli, valutando nel contempo l'impatto generato ed acquisendo il parere preventivo della ASL come previsto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 e dalle leggi nazionali e regionali vigenti", salva la possibilità di modifiche normative (doc. 23 in I grado ricorrente appellante, cit. pp. 373-374 del file). 14.2 A dire della parte appellante, il provvedimento finale della conferenza in base a ciò sarebbe stato illegittimo, perché ai sensi dell'art. 14 quater citato avrebbe dovuto "contenere una autonoma e specifica motivazione che tenesse conto delle posizioni espresse da tutti gli enti partecipanti" e valutare la possibilità di superare il presunto dissenso mediante rimessione della questione al Consiglio dei Ministri (appello, p. 26) 14.3 La norma di riferimento è appunto l'art. 14 quater della l. 241/1990, che nel testo allora vigente prevedeva: "... ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che ha natura di atto di alta amministrazione". 14.4 Il giudice di I grado ha respinto questo motivo; ha ritenuto anzitutto che non vi fosse stato in realtà alcun dissenso, e che invece la conferenza di servizi si fosse espressa in senso concorde per l'archiviazione, condividendo il dissenso dell'ARPAT; ha ritenuto poi che quest'ultimo ente avesse effettivamente indicato le possibili alternative. 14.5 La parte appellante critica questa conclusione: ritiene invece che la posizione del Comune fosse favorevole al rilascio dell'AUA, e che quindi quanto dedotto dall'ARPAT rappresentasse appunto un dissenso, nella specie nemmeno motivato, che si sarebbe dovuto superare nel modo detto. 14.6 Il collegio non condivide questo punto di vista, che travisa il fatto. A semplice lettura del verbale, si ricava infatti che la decisione di archiviare fu unanime, non potendosi interpretare come consenso la semplice preoccupazione del Comune per gli effetti che la mancata attivazione dell'elisuperficie - in tesi, non autorizzabile- avrebbe potuto avere. Va poi detto che l'ARPAT ha effettivamente indicato delle alternative, non richiedendo la legge di entrare nel merito delle stesse. 15. È infondato il terzo motivo di appello, centrato su un presunto affidamento sul buon esito della pratica che l'ARPAT avrebbe ingenerato con il proprio precedente comportamento. In proposito, si deve concordare con quanto afferma il giudice di I grado sulla reale inesistenza di questo affidamento, dato che, come risulta da quanto esposto sopra (§ § 4.1 e 4.2) in realtà l'ARPAT non si era mai pronunciata sullo specifico argomento, ma aveva preso in esame solo la struttura ospedaliera propriamente detta. È poi per inciso per lo meno contestabile che si possa comunque parlare di affidamento ingenerato nel privato come vizio di legittimità rispetto ad un provvedimento che non autorizza un'attività la quale, superando i limiti di immissione acustica, pregiudica un interesse primario di livello costituzionale come la salute. 16. È infondato anche il quarto ed ultimo motivo di appello, centrato su un presunto eccesso di potere per contraddittorietà da parte del verbale 20 febbraio 2015. A dire della parte appellante, sarebbe infatti contraddittoria la posizione dell'ARPAT che da un lato si è espressa negativamente circa l'autorizzabilità della struttura come elisuperficie, dall'altro ne ha ipotizzato la possibilità di utilizzo in deroga per un numero limitato di voli. Sul punto, non si può che confermare quanto ritenuto già dal giudice di I grado, ovvero che la impossibilità di autorizzare l'uso stabile e continuativo di una struttura per il rumore che produce non è certo in contraddizione con la possibilità di consentirne un uso episodico. 17. In conclusione, l'appello va respinto nel merito, con le precisazioni di cui sopra. 18. La particolarità e novità delle questioni trattate, sulle quali non constano precedenti editi negli esatti termini, e l'oggettiva scarsa chiarezza delle norme di riferimento sono giusti motivi per compensare per intero fra tutte le parti le spese del giudizio. 19. La scarsa chiarezza della disciplina di riferimento, dovuta anche alla frammentazione nel tempo degli interventi normativi, la mancata emanazione delle disposizioni regolamentari concernenti l'elisoccorso (retro § § 13.14 e 13.15), la sensibilità dei contrapposti interessi (da un lato quello alla salubrità dell'ambiente, dall'altro quello alla prontezza ed efficienza del servizio di soccorso sanitario d'emergenza), inducono il collegio a segnalare al Governo, ex art. 58 r.d. 21 aprile 1942 n. 444 l'opportunità di risolvere le divisate antinomie, eventualmente integrando il contenuto del d.P.R. 304/2001 e del d.m. 31 ottobre 1997 con la normativa sostanziale ritenuta adeguata per le aviosuperfici, e per conseguenza per le elisuperfici, ovvero predisponendo un testo unico di tutta la materia, nell'esercizio dei poteri che competono al Governo ai sensi degli artt. 13 bis e 17 ovvero 17 bis della l. 23 agosto 1988 n. 400. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 8333/2016 R.G.), lo respinge. Spese compensate. Manda alla Segreteria affinché trasmetta, ai sensi dell'art. 58 r.d. n. 444 del 1942, la presente sentenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Vito Poli - Presidente Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandr - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/06/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. D'ANDREA ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa SALVADORI SILVIA; Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per entrambi i ricorrenti. udito il difensore; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ALESSANDRIA in difesa di (OMISSIS) che chiede l'accoglimento del ricorso. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ALESSANDRIA in difesa di (OMISSIS) che chiede l'accoglimento del ricorso. L'avv. (OMISSIS) deposita inoltre nomina a sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS) del foro di ALESSANDRIA difensore di (OMISSIS) e riportandosi ai motivi chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 29 settembre 2021 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Alessandria del 23 luglio 2018, ha disposto - per quanto di specifico interesse in questo giudizio - la riduzione della pena inflitta a (OMISSIS) nella misura di mesi sette di reclusione, invece confermando la condanna di (OMISSIS) alla pena di mesi dieci di reclusione e di (OMISSIS) a quella di mesi sette di reclusione. 1.1. I suddetti imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 2087 c.c. e al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articoli 26, 36, articolo 37, lettera a), articolo 63, articolo 64, comma 1, lettera a), articolo 71, comma 3, per avere, nella rispettiva qualita' di: direttore generale della (OMISSIS) S.p.a., impresa committente, sino al 1 settembre 2014 ( (OMISSIS)); direttore generale della (OMISSIS) S.p.a., impresa committente ( (OMISSIS)); legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., impresa appaltatrice, e quindi datore di lavoro ( (OMISSIS)); per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e nella violazione della normativa antinfortunistica, cagionato la morte di (OMISSIS) - dipendente della (OMISSIS) S.r.l. assunto con contratto a tempo indeterminato in data 25 febbraio 2008, con mansioni di operaio di terzo livello addetto alla guida di pale meccaniche e di altre attrezzature adibite alla movimentazione dei rifiuti - a seguito di investimento con pala meccanica dopo che la vittima era transitata a piedi all'interno del reparto FOS 1, interdetto al traffico pedonale. 1.2. Piu' specificamente: (OMISSIS) (fino al 1 settembre 2014) e (OMISSIS), nella loro qualita' di responsabili della societa' committente (OMISSIS) S.p.a., avevano omesso di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e, soprattutto, di segnalare l'elevatissimo rischio residuo di investimento presente durante le fasi di manovra della pala gommata, omettendo di adottare misure atte ad impedire il transito pedonale all'interno del reparto FOS 1 durante le suddette operazioni; (OMISSIS), quale responsabile della societa' appaltatrice (OMISSIS) S.r.l., aveva omesso di assicurarsi che (OMISSIS) avesse ricevuto un'adeguata formazione e informazione sui rischi specifici connessi all'espletamento delle sue mansioni e alle misure e procedure di prevenzione, protezione ed emergenza da adottare, tenuto, altresi', conto delle specifiche condizioni di lavoro (scarsa illuminazione, presenza di polveri, inquinamento acustico), omettendo, ancora, di adottare misure organizzative atte a garantire la sicurezza nella circolazione all'interno del reparto FOS 1 durante le operazioni con mezzi meccanici in movimento, impedendo l'attraversamento pedonale del reparto FOS 1 durante le operazioni di movimentazione dei rifiuti. Nella condotta degli imputati e' stata ritenuta la ricorrenza di colpa generica, per negligenza, imprudenza e imperizia, nonche' di colpa specifica, consistita nella violazione dell'articolo 2087 c.c. e delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare: del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26, lettera b), e dell'articolo 63 e articolo 64, comma 1, lettera a), da parte di (OMISSIS) e di (OMISSIS); del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 36, commi 1 e 2, articolo 37, lettera a), e dell'articolo 71 da parte di (OMISSIS). 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con tre differenti atti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.1. (OMISSIS) ha dedotto cinque motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., oltre ad apparenza, mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla posizione di garanzia riconosciutagli per fatti occorsi successivamente alla cessazione del proprio incarico, considerato che il ricorrente aveva rivestito le funzioni di direttore generale dell'impresa committente (OMISSIS) S.p.a. sino al 1 settembre 2014 e che il sinistro si era verificato solo in data 14 ottobre 2014. Non sarebbe possibile, infatti, ritenere la sussistenza di una responsabilita' omissiva sine die nei suoi confronti anche per fatti avvenuti dopo l'intervenuta cessazione del suo incarico, altresi' considerato che non gli potrebbero giammai essere imputate responsabilita' per condotte, quali la mancata apposizione di cartelli o l'omessa formazione dei lavoratori, di sicura competenza del proprio successore. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., nonche' apparenza, mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riguardo alla ravvisata sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa. A dire del ricorrente, infatti, la stessa sentenza di appello avrebbe evidenziato come al momento di verificazione dell'incidente fossero vigenti specifiche prescrizioni, a lui riferibili, considerate nel piano di valutazione dei rischi - come, ad esempio, quella di consentire l'accesso al reparto FOS 1 solo con mezzi meccanici, e non a piedi - che, ove adeguatamente rispettate, avrebbero certamente evitato la realizzazione dell'evento mortale. Con il terzo motivo il (OMISSIS) ha eccepito erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., nonche' apparenza, mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso, e percio' all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1. Il ricorrente contesta la parte motivazionale dell'impugnata sentenza in cui la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilita' concorrente della vittima, nella causazione dell'evento, nella sola misura del 20%, mentre, invece, la condotta posta in essere dal (OMISSIS), cui era ben nota l'impossibilita' di accedere a piedi nel reparto FOS 1, era stata del tutto imprevedibile ed eccentrica, essendo entrato senza indossare il giubbotto fotoluminescente, avendo omesso di avvertire e non avendo mantenuto la prevista distanza di dieci metri dal mezzo in movimento, cosi' esponendosi al pericolo in maniera consapevole e volontaria. Tale condotta, del tutto imprevedibile e immotivata, sarebbe stata, dunque, non solo oggettivamente negligente e imprudente, ma anche abnorme e palesemente eccentrica rispetto alle mansioni lavorative della vittima, e percio' tale da interrompere il nesso causale tra la condotta imputabile al (OMISSIS) e la verificazione del decesso del (OMISSIS). Con la quarta doglianza e' stata dedotta erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., oltre a mera apparenza e manifesta illogicita' della motivazione nell'applicazione del giudizio controfattuale. La sentenza impugnata, infatti, avrebbe omesso di verificare se, con riferimento alle omissioni contestate al (OMISSIS), le prescrizioni adottate dalla societa' committente in esito alla verificazione del sinistro sarebbero state sufficienti ad evitare la verificazione del letale evento. Il (OMISSIS), infatti, pur non inquadrato come preposto, aveva di fatto svolto tale ruolo gia' da anni, per cui avrebbe comunque avuto la chiave per poter accedere al reparto FOS 1. Con l'ultima censura e' stata lamentata erronea applicazione degli articoli 533 e 133 c.p., nonche' apparenza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla concreta quantificazione della pena. Per il ricorrente, infatti, sarebbe del tutto irrazionale che i giudici di merito gli abbiano inflitto una pena superiore rispetto a quella degli altri coimputati, pur non ricoprendo piu' all'epoca dei fatti il ruolo di direttore generale della (OMISSIS) S.p.a.. 2.2. (OMISSIS) ha eccepito, in seno al proprio ricorso, due motivi di doglianza, con il primo dei quali - adducendo argomentazioni praticamente coincidenti con quelle espresse nel terzo motivo di ricorso del (OMISSIS) - ha lamentato erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., nonche' apparenza, mancanza e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso, e percio' all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1. A dire del ricorrente, pertanto, sussisterebbero i presupposti per ritenere l'abnormita' e l'imprevedibilita' del comportamento tenuto dal (OMISSIS), tale da interrompere il nesso eziologico intercorrente tra la condotta riferibile al (OMISSIS) e la verificazione del tragico evento. Con la seconda censura il (OMISSIS) ha eccepito erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., oltre a mera apparenza e manifesta illogicita' della motivazione nell'applicazione del giudizio controfattuale, rilevando come - in perfetta analogia con quanto dedotto dal (OMISSIS) con il quarto motivo di ricorso - i giudici di appello non avrebbero adeguatamente verificato che le prescrizioni adottate dopo la verificazione del sinistro (dotazione di ricetrasmittenti, migliore efficacia di impianto sonoro e visivo, dotazione di chiave ai preposti per accedere al reparto FOS 1) non sarebbero state comunque sufficienti ad evitare il decesso del (OMISSIS). 2.3. Motivi in gran parte identici sono stati dedotti, infine, nel ricorso proposto da (OMISSIS), che con la prima censura ha eccepito, analogamente, erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p., oltre a mancanza ed illogicita' della motivazione, con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso e, dunque, all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1. Pure per il (OMISSIS), dunque, il comportamento posto in essere dal (OMISSIS) sarebbe stato imprevedibile ed eccentrico, e quindi idoneo ad interrompere il nesso causale sussistente tra la condotta imputabile al ricorrente e la verificazione dell'evento. Anche il (OMISSIS), poi, ha eccepito, con la seconda doglianza, mancanza e illogicita' della motivazione ed erronea applicazione degli articoli 589, 40 e 41 c.p. nell'effettuazione del giudizio controfattuale, lamentando che la Corte di merito non avrebbe adeguatamente verificato come le prescrizioni adottate all'esito della verificazione del sinistro non sarebbero state, comunque, sufficienti ad impedire il decesso del (OMISSIS). Con l'ultima censura e' stata lamentata, infine, mancanza di motivazione in ordine alla richiesta conversione della pena detentiva in sanzione amministrativa, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 53, e s.s.. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I proposti ricorsi non sono fondati, per cui gli stessi devono essere rigettati. 2. In primo luogo prive di fondamento sono le due introduttive doglianze di (OMISSIS), con cui il ricorrente ha dedotto l'insussistenza di profili di responsabilita' gravanti a suo carico, sul presupposto di non aver rivestito nessuna posizione di garanzia e di non avere, comunque, mai perpetrato condotte colpose di rilevanza penale. 2.1. Il ricorrente ha eccepito, infatti, di non aver rivestito nessuna specifica posizione di garanzia (primo motivo di ricorso) per essersi verificato il mortale evento dopo la cessazione delle sue funzioni di direttore generale della (OMISSIS) S.p.a., e percio' in un momento in cui, non potendosi ipotizzare alcuna responsabilita' omissiva sine die a suo carico, le perpetrate condotte illecite dovevano essere riferite alla persona del suo successore. Diversamente, invece, la Corte territoriale ha configurato la penale responsabilita' del (OMISSIS) facendo riferimento ai principi dettati a disciplina della materia degli infortuni sul lavoro, in particolar modo riguardanti la rilevanza della c.d. causalita' additiva o cumulativa, inerente alle concorrenti posizioni di altri garanti rispetto allo specifico rischio considerato. E' stata ritenuta, infatti, la ricorrenza di condotte colpose omissive poste in essere dal (OMISSIS), nel periodo di espletamento delle sue funzioni di direttore generale, eziologicamente collegate alla verificazione del decesso al (OMISSIS), in particolar modo consistite in mancate previsioni all'interno del DUVRI e nell'omessa adozione di adeguate misure di sicurezza. L'indicato aspetto - accertato dai giudici di merito in esito ad una valutazione discrezionale, logicamente e adeguatamente esplicata - consente, allora, di fare riferimento al principio, reiteratamente espresso dalla giurisprudenza di legittimita', per cui, in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano piu' titolari della posizione di garanzia, ciascuno e' per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica e' addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cosi', tra le altre: Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 25385001; Sez. 4 n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252149-01). Allorquando, cioe', l'evento sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti (in termini di gestori del rischio), intervenuti in tempi diversi, e' configurabile il nesso causale tra l'evento e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione. La causalita' additiva o cumulativa costituisce, infatti, applicazione della teoria condizionalistica di cui all'articolo 41 c.p., giacche', essendo ciascuna omissione essenziale alla produzione dell'evento, l'eliminazione mentale di ognuna di esse fa venir meno l'esito letale, tenuto conto dell'insufficienza di ciascuna delle altre omissioni a determinarlo (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263733-01). 2.2. Del pari non fondata e' la censura con cui il (OMISSIS) ha lamentato l'insussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, in ragione del fatto che al momento di verificazione dell'incidente sarebbero state vigenti specifiche prescrizioni, da lui inserite nel piano di valutazione dei rischi, idonee ad evitare la verificazione del letale evento. Di contro all'eccepita doglianza i giudici di secondo grado hanno, invece, esplicato, in modo congruo e logico, come, a considerare tutti i documenti riferibili al (OMISSIS) prodotti dalla difesa - diffusamente vagliati nella sentenza impugnata - prima dell'aggiornamento del 2015 non vi fosse stata un'adeguata valutazione dei vari rischi presenti nel reparto FOS 1, con conseguente imposizione di specifiche regole e di indicazioni riguardanti la suddetta area. Nel DUVRI redatto nel 2013, infatti, il (OMISSIS) non aveva considerato aspetti di assoluto rilievo ai fini della sicurezza nel reparto FOS 1, non considerandone alcuni specifici rischi e predisponendo prescrizioni inadeguate a prevenire il pericolo di investimenti, senza, peraltro, provvedere alla collocazione di una cartellonistica adeguata. Ed allora, la censura con cui il (OMISSIS) ha criticato le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, in esito all'esame delle emergenze probatorie acquisite nel corso del giudizio, si appalesano come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicita' della motivazione espressa, fa ritenere la stessa certamente non fondata. Il ricorrente, cioe', ha di fatto prospettato una non consentita lettura alternativa della valutazione operata in sede di merito, il cui esame e', tuttavia, precluso a questo giudice di legittimita', che non puo' procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e ad un'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E' noto, in proposito, come il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" non possa essere utilizzato, nel giudizio di legittimita', per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicita' sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina - come invero accaduto nel caso di specie - da parte del giudice di appello (cosi', tra le altre, Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600-01). 3. Il Collegio ritiene, poi, infondata la doglianza, comune a tutti i ricorrenti (terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) e primo motivo sia di (OMISSIS) che di (OMISSIS)), con cui e' stata eccepita la riferibilita' eziologica del decesso del (OMISSIS) in via esclusiva alla sua condotta, in quanto da questi consapevolmente e volontariamente posta in essere con modalita' del tutto imprevedibile ed immotivata, nonche' eccentrica rispetto alle mansioni lavorative svolte, cosi' da interrompere ogni nesso di causa tra le condotte imputabili ai ricorrenti e la verificazione dell'evento mortale. La Corte di merito ha, infatti, escluso che la condotta colposa della vittima potesse avere inciso quale causa sopravvenuta sufficiente a determinare l'evento, invece limitando la quantificazione della sua partecipazione concorsuale nella misura del 20%. Il (OMISSIS), infatti, aveva certamente agito per colpa (entrando nel FOS 1 senza indossare il giubbotto e senza avvertire), ma, per come congruamente motivato dalla Corte territoriale, "all'epoca non vi erano divieti formalizzati, ne' sanzioni, l'ingresso attraverso i varchi interni e la circolazione nel FOS 1 non erano regolati in misura idonea", per cui l'ingresso e l'attraversamento di tale reparto, per quanto assai rischioso, non era, di fatto, impedito espressamente. D'altro canto, la vittima era un lavoratore formalmente addetto ad un altro reparto, che tuttavia, pur non avendo il formale incarico di preposto, era solito relazionarsi con il suo datore di lavoro, muovendosi liberamente per il capannone. Alla stregua delle indicate precisazioni, allora, la sentenza impugnata risulta conforme ai principi resi da questa Corte di legittimita' in tema di interruzione del nesso causale tra la condotta del gestore del rischio e l'evento, in ragione dell'eccentricita' del rischio determinato dalla condotta del lavoratore. E' stato osservato, infatti, che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, e' esonerato da responsabilita' solo quando, diversamente dal caso di specie, la condotta del dipendente sia abnorme, dovendosi definire tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilita' per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cosi', tra le tante, Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564-01). La piu' recente interpretazione resa da questa Corte di legittimita' ha, quindi, ricondotto, superando il requisito della radicale imprevedibilita', il concetto di abnormita' della condotta colposa del lavoratore (interruttiva del nesso causale) a quella che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cosi', tra le altre, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748-01). In tema di infortuni sul lavoro, cioe', la condotta abnorme del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non e' solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017-01). E' stato, infine, chiarito che qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicita' di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non puo' considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina, Rv. 273247-01). 4. Non puo' neppure essere accolta la censura, comune a tutti i ricorrenti (quarto motivo di ricorso del (OMISSIS) e secondo motivo sia del (OMISSIS) che del (OMISSIS)), relativa alla carenza di espletamento di un adeguato giudizio controfattuale. La Corte di merito avrebbe omesso di valutare, cioe', se le prescrizioni adottate dalla societa' committente a seguito del decesso del (OMISSIS) sarebbero state sufficienti ad evitare la verificazione del letale evento, altresi' considerato che la vittima, quale preposto di fatto, avrebbe comunque avuto la disponibilita' della chiave di accesso al reparto FOS 1. Trattasi, invero, di doglianza che non tiene in adeguato conto il giudizio invece reso dalla Corte territoriale che, con motivazione del tutto logica e congrua, ha espressamente osservato come le nuove misure approvate dallo SPRESAL, in esito alla verificazione del sinistro, risultassero "effettivamente in grado di evitare il rischio da investimento", altresi' ritenuto il convincimento, proprio dei giudici di secondo grado, in ordine alla "concreta efficacia preventiva del generale divieto di ingresso, del segnale luminoso all'apertura con la chiave consegnata al soggetto investito del controllo sui lavoratori". La previsione dell'obbligo di utilizzo di ricetrasmittenti, con adozione di sanzioni in caso di relativa inosservanza, ha, poi, indotto i giudici di merito a presumere che il (OMISSIS) non "sarebbe entrato nel FOS 1 senza preavvertire (OMISSIS) per il concreto rischio di essere sanzionato". 5. Del tutto priva di pregio e', poi, la doglianza con cui il (OMISSIS) (quinto motivo di ricorso) ha eccepito l'illogicita' della pena in concreto inflittagli, in quanto applicata in misura superiore rispetto a quella degli altri coimputati pur non ricoprendo piu', all'epoca dei fatti, il ruolo di direttore generale della (OMISSIS) S.p.a.. Trattasi, invero, di motivo generico e aspecifico, che non si confronta adeguatamente con le valutazioni rese in sentenza dalla Corte di merito, che ha congruamente esplicato come l'entita' dell'indicata sanzione, comunque non lontana dai minimi edittali, risulti adeguata rispetto alla configurata responsabilita' dell'imputato, "considerato sia che (OMISSIS) era il soggetto che doveva garantire la sicurezza quando e' stato redatto il DUVRI nel maggio 2013 sia la gravita' del fatto, anche per l'eta' della vittima ( (OMISSIS) era nato il (OMISSIS)) sia della durata della condotta omissiva (dalla conclusione dell'appalto all'1.9.2014". Si tratta, pertanto, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il dictum della sentenza, non puo' in questa sede essere censurata. Ne' di alcun rilievo e' la lamentata sussistenza di una disparita' di trattamento con la sanzione imposta agli altri coimputati, assumendo, in proposito, valenza troncante il principio, reiteratamente affermato da parte di questa Corte di legittimita', per cui, in tema di ricorso per cassazione, non puo' essere considerato come indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (cosi', espressamente, Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 26402001; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880-01) - come, invero, non e' dato ravvisare nel caso di specie. 6. Non fondata, infine, e' pure la doglianza con cui il (OMISSIS) ha lamentato mancanza di motivazione in ordine all'avanzata richiesta di conversione della pena detentiva in sanzione amministrativa, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 53, e s.s. (terzo motivo di ricorso). Rileva, infatti, il Collegio come l'indicato aspetto sia stato, pur implicitamente, vagliato dai giudici di secondo grado, solo limitatisi ad affermare, in modo espresso, l'inopportunita' della sostituzione della pena detentiva con la liberta' controllata, in quanto unica sanzione sostitutiva nella specie concretamente applicabile all'istante. 7. Tutti i ricorsi devono, in conclusione, essere' rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, a norma dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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