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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3652 del 2020, proposto da R. Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Me., In. Pu., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (...); nei confronti Sindaco del Comune di (omissis) in Qualità di Ufficiale di Governo, non costituito in giudizio; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 451/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te.". Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. R. Ca. S.r.l. appella la sentenza del Tar per il Friuli Venezia Giulia n. 451 del 2019, recante il rigetto del suo ricorso per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'adozione dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente n. 73/2017, annullata dallo stesso TAR con sentenza n. 26/2018, con la quale è stato ordinato, da un lato, l'immediata adozione degli accorgimenti utili a limitare le emissioni sonore inquinanti rilevate dall'ARPA FVG e, dall'altro, la predisposizione di un piano di bonifica finalizzato al contenimento e abbattimenti delle emissioni sonore. 2. Parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 30, c.p.a., 1223, 2043 c.c. e 40 e 41 c.p. per l'erronea ritenuta insussistenza del nesso causale - Travisamento di fatto; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 63, commi 3 e 4 c.p.a. Mancata assunzione delle prove richieste - Omissione di pronuncia e difetto di motivazione; - Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c. e dell'art. 30, comma 3, c.p.a. - Travisamento di fatto - Carente e contraddittoria motivazione. 3. Si è costituito in resistenza all'appello il Comune di (omissis). 4. All'udienza di smaltimento dell'8 maggio 2024 la causa passava in decisione. 5. Il ricorso non è fondato nei termini che seguono. Preliminarmente occorre osservare che gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana sono così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la colpa dell'apparato amministrativo. Nel caso di specie nulla quaestio con riferimento al piano soggettivo. 5.1 Con riferimento al nesso di causalità, per mezzo della prima censura parte appellante deduce che il TAR si sarebbe affidato agli atti della difesa comunale che non ha offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte dall'azienda in ottemperanza dell'ordinanza sindacale, né ha chiesto di darne dimostrazione, nel corso del giudizio, offrendo mezzi di prova. 5.2 Sotto tale profilo si deve rilevare che correttamente parte appellante dimostra il nesso di causalità alla luce dell'ordinanza che riconduce i livelli di inquinamento acustico precipuamente allo scarico dei materiali e alla movimentazione degli stessi sullo spazio esterno posto sul retro della proprietà, su via (omissis). Ritiene infatti parte appellante che l'unica misura che avrebbe potuto e dovuto adottare l'azienda in recepimento dell'ordinanza sindacale era solamente la cessazione completa dell'attività nell'area nord e la sua allocazione, in quell'area disponibile più lontana dal lamentato punto di impatto, nell'area sud. Né il Tar né la difesa comunale di contro hanno offerto alcun riscontro tecnico idoneo a dimostrare l'inefficacia delle misure assunte. 6. Guardando al piano del danno subito, con il secondo motivo di appello parte appellante ritiene la sentenza erronea per non aver accolto l'istanza di istruttoria volta a dimostrare le spese e i costi sostenuto per dar luogo all'esecuzione dell'ordinanza. 6.1 Il motivo non è fondato. Preliminarmente occorre ricordare come è noto il principio per cui l'onere della prova dei presupposti del risarcimento del danno (salve talune ipotesi speciali di responsabilità ) incombe sul danneggiato e non sul supposto danneggiante. L'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo, infatti, non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 08/02/2016, n. 486; Consiglio di Stato, Sez. IV, 28/01/2016, n. 327). 6.1 Nel caso di specie, parte appellante non assolve tale onere probatorio con riferimento al danno patrimoniale subito e oggetto di richiesta di risarcimento. Sotto un primo profilo, si deve rilevare che la stessa produce voci di spesa sostenute che tuttavia non hanno una valenza probatoria sufficiente in quanto dalla stessa parte predisposte. Sotto ulteriore profilo, la difesa comunale contesta puntualmente la rilevanza probatoria dei documenti su cui si basa la richiesta in quanto facenti capo a spese non riferibili all'esecuzione dell'ordinanza. A dimostrazione di quanto oggetto di contestazione vi è la reiterata istanza istruttoria volta a colmare l'onere probatorio incombente sulla parte appellante. Al riguardo assume rilievo preminente il principio per cui non si può liquidare il danno con una valutazione equitativa, poiché l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. non può essere assolto mediante consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 15/10/2021, n. 6949). 7. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi in termini di imputabilità del danno al presunto danneggiato. In generale, l'art. 30, comma 3, c.p.a., che prevede la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, è ricognitivo di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione del comma 2 dell'art. 1227 c.c.: detto articolo, infatti, operando sui criteri di determinazione del danno conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno evento e conseguenze dannose da esso derivanti ed introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in base al quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse tenuto il comportamento collaborativo cui deve attenersi. Nel caso di specie il Tar ha evidenziato la carenza nella diligente e tempestiva tutela dei propri interessi, in termini coerenti ai principi predetti. 8. Per le ragioni esposte, deve rigettarsi l'appello. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, svoltasi in collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9713 del 2023, proposto da Ba. Fl. di Ma. Me. e An. Se. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché Ma. Me. e An. Se., rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima n. 00874/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cagliari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha respinto il ricorso proposto dal Bar Fl. di Ma. Me. e An. Se. s.n. c. nei confronti del Comune di Cagliari, per l'annullamento: - della determinazione prot. n. 3467 del 9.6.2023, adottata dal dirigente del Servizio SUAPE, notificata in pari data, con la quale è stata applicata alla ricorrente la sanzione "ai sensi del comma 6 dell'art. 18 del Regolamento" ed è stato disposto che la sospensione della concessione di suolo pubblico avesse la durata "di n. 30 (trenta) giorni consecutivi a partire dal 16 giugno 2023 al 15 luglio 2023 compresi", stabilendo altresì che "nel periodo di sanzione il concessionario rimuova dallo spazio concesso tutti gli arredi e che non occupi in alcun modo né direttamente né tramite i propri avventori lo spazio medesimo"; nonché per l'annullamento della relativa comunicazione di avvio di procedimento; - del verbale di polizia locale n. 25578 del 5.5.2023, recante accertamento dell'utilizzo di un impianto elettroacustico di amplificazione e diffusione sonora di brani musicali, gestito da dj, in assenza di valido titolo abilitativo; - in via subordinata, e solo ove occorra: del provvedimento di concessione prot. n. 2215 del 17.4.2023, limitatamente alla prescrizione sub art. 4, lett. h). 1.1.I fatti allegati dalla società ricorrente sono sintetizzati come segue nella sentenza gravata: - il Bar Fl. è un esercizio commerciale destinato alla vendita e alla somministrazione di alimenti e bevande, la cui attività è esercitata in via (omissis), nel cuore del quartiere di (omissis), (omissis) e di riferimento culturale della città di Cagliari; - i tavoli a disposizione degli avventori del locale sono collocati sia nello spazio interno di proprietà privata, sia su una parte della antistante piazza (omissis), data in concessione dal Comune con determinazione n. 2215 del 17/04/2023, per un totale di 29,28 metri quadri, quantificando l'affluenza massima in n. 24 posti a sedere, tramite il posizionamento di tavoli, sedie, ombrelloni e frangivento; - in data 5 maggio 2023, nell'ambito di alcuni controlli svolti nei locali presenti nella piazza (omissis), il corpo di Polizia Municipale di Cagliari, con "verbale di accertamento per violazione di norme amministrative" n. 25578, ha riscontrato che il "titolare/gestore dell'esercizio pubblico denominato bar Fl. (...) in assenza di titolo autorizzativo (relazione fonometrica) consentiva l'utilizzo di un impianto elettroacustico di amplificazione e diffusione sonora di brani musicali" tramite strumentazione installata all'interno del locale; - gli agenti di polizia locale hanno poi affermato che la musica veniva propagata dall'interno verso l'esterno, ed era udibile nella pubblica via in quanto la porta di ingresso era tenuta aperta, in violazione delle disposizioni degli art. 8, 10, 3, 11 L. 447/95 e s.s.m.m. DPCM 215/99; - il verbale è stato notificato agli interessati in data 15.05.2023 e, dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 18 comma 6, 11 e 14 del Regolamento per le concessioni del suolo pubblico per l'esercizio dell'attività di ristoro all'aperto approvato con Deliberazione C.C. n. 72/2018, nonostante le difese del Bar Fl., l'Ente ha emesso il provvedimento impugnato, contestando una pluralità di violazioni al Regolamento e alla concessione di suolo pubblico in essere, avendo in particolare la società utilizzato l'area in concessione per attività diverse dall'unica consentita (attività di ristoro all'aperto), diffondendo all'esterno musica nonostante ciò fosse vietato dalla concessione, a prescindere dai livelli delle emissioni sonore. 1.2. Il tribunale ha respinto i due motivi di ricorso relativi all'applicazione della sanzione, nonché il motivo subordinato relativo alla prescrizione di cui all'art. 4, lettera h) della concessione prot. 2215 del 17 aprile 2023. 1.3. Le spese di lite sono state compensate per giusti motivi. 2. Ma. Me. e An. Se., anche nella loro qualità di amministratori e legali rappresentanti della Bar Fl. di Ma. Me. e An. Se. s.n. c. hanno proposto appello con due motivi articolati in più censure. 2.1. Il Comune di Cagliari ha resistito all'appello. 2.2. Con ordinanza cautelare del 12 gennaio 2024, n. 54 è stata sospesa l'esecutività della sentenza appellata, confermando la sospensione cautelare già concessa con decreto monocratico, dando preminenza al periculum in mora. 2.3. All'udienza del 21 marzo 2024, fissata col provvedimento cautelare, la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memorie di entrambe le parti. 3. Esposti i fatti in termini coincidenti con quelli sopra sintetizzati, l'appellante richiama e ripropone i motivi del ricorso di primo grado e - riassunti i punti della sentenza oggetto di appello - prospetta le seguenti due questioni sottese al ricorso: a) il livello di garanzie necessarie per i consociati a fronte della previsione di un potere sanzionatorio tale da incidere sulla libertà di iniziativa economica, sulla tutela dei posti di lavoro e sulla promozione della socialità e del turismo; b) l'individuazione dello strumento corretto, di "governo del territorio", per fronteggiare il problema del bilanciamento tra le esigenze economiche, sociali, produttive e quelle della quiete dei residenti dei centri storici con vocazione turistica. 4. Le censure del primo motivo si riferiscono ad entrambe tali questioni, secondo quanto appresso. 4.1. In primo luogo (sub D.1, "errori su risultanze fattuali e valore probatorio dei verbali") si critica la sentenza per avere ritenuto accertato che: 1) il Bar Fl. diffondesse la musica in assenza di un valido titolo; 2) la musica si sentisse nell'area in concessione; 3) la musica fosse "udibile" al di fuori del locale. 4.2. Con altro ordine di censure dello stesso primo motivo (sub D.2, "il cuore delle questioni dedotte in primo grado"), si sostiene quanto segue: 1) con la precedente concessione il Bar Fl. poteva (e, in assenza di concessione, potrebbe tuttora) diffondere liberamente musica, attraverso le proprie apparecchiature, anche con le porte aperte, nel rispetto del Regolamento acustico del Comune di Cagliari e in virtù della relazione asseverata del proprio tecnico; si chiede quindi una verificazione o una c.t.u. per valutare se la musica diffusa secondo le prescrizioni della relazione tecnica asseverata -anche eventualmente con la porta aperta - rechi disturbo alla quiete pubblica; 2) le disposizioni contenute nella concessione di suolo pubblico, le quali, secondo l'art. 2 dell'apposito Regolamento, dovrebbero conformarsi ai principi generali di riqualificazione dell'ambiente urbano, di sviluppo economico e di promozione turistica, si dovrebbero interpretare tenendo conto del quadro disciplinare più complessivo, comprensivo del Regolamento Acustico, dei limiti ivi previsti e dei titoli abilitativi già posseduti; 3) in subordine, dovrebbe essere dichiarata illegittima la clausola della concessione di cui al punto 4, lett. h), poiché si tratterebbe di una disposizione totalmente irragionevole, contraria al Regolamento acustico comunale, in contrasto con i principi che ispirano il Regolamento per le concessioni di suolo pubblico, sproporzionata perché presuntivamente grave, assoluta e non gradata. Inoltre la sanzione per la violazione della disposizione non potrebbe essere ancorata al concetto indeterminato e non misurabile, quale quello della "udibilità " delle emissioni acustiche; l'unico modo per rendere oggettiva la percepibilità sarebbe quello di misurarla con gli strumenti conosciuti dalla tecnica e secondo i parametri di riferimento della scienza. In conclusione, sarebbe illegittima la disposizione inserita nei provvedimenti concessori rilasciati dal Comune in modo disorganico, slegata dai principi generali e che produrrebbe effetti sproporzionati sulla scorta di un'individuazione del tutto indefinita e incerta dei presupposti applicativi, trattandosi di una manifestazione del vizio di eccesso di potere. D'altronde, ad avviso dell'appellante, "il reale intento dell'Amministrazione" di "regolamentazione generale" di contrasto a quella che viene definita "mala movida" emergerebbe dalla relazione depositata in giudizio dall'amministrazione comunale a seguito di richiesta istruttoria da parte del giudice di primo grado: si tratterebbe di un modus operandi illegittimo poiché il compito di bilanciare interessi contrapposti dovrebbe essere rimesso al consiglio comunale nell'adozione di norme regolamentari, non potendo invece essere svolto utilizzando, con esercizio "sviato", il "potere concessorio" nei confronti del singolo esercizio commerciale. 5. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. In via preliminare, occorre delimitare il thema decidendum del giudizio. Il provvedimento sanzionatorio impugnato richiama il Regolamento per la concessione del suolo pubblico per l'esercizio dell'attività di ristoro all'aperto approvato con Deliberazione C.C. n. 72/2018 (d'ora innanzi "Regolamento", anche al fine di distinguerlo dal "Regolamento acustico comunale", così sempre menzionato), e precisamente i seguenti articoli: - l'art. 13 comma 1 lettera e), che impone di rispettare i limiti di emissioni sonore individuati negli atti di pianificazione settoriali, con adozione delle misure idonee a impedire la propagazione dei suoni all'esterno dei locali; - l'art. 16, che stabilisce alcuni obblighi a carico del titolare della concessione, in particolare la lettera h), che impone di "rispettare le norme igienico-sanitarie, di sicurezza e di tutela dall'inquinamento acustico e adottare tutte le misure necessarie per non arrecare disturbo alla quiete pubblica. Se all'interno della concessione sono posizionati impianti video, di riproduzione musicale e/o amplificazione gli stessi sono tarati in maniera tale da non superare i limiti acustici di zona" e la lettera l), che impone di "osservare tutte le disposizioni legislative e regolamentari inerenti all'attività svolta sulle aree stesse"; - l'art. 18, che detta le sanzioni applicabili in caso di "occupazione del suolo in difformità rispetto alle disposizioni dell'atto di concessione" (comma 1); in particolare è richiamato il comma 6, secondo cui "L'effettuazione di spettacoli o intrattenimenti non autorizzati o comunque di attività differenti da quelle per cui la concessione è stata rilasciata e/o il posizionamento o mantenimento di allestimenti non quotidianamente e facilmente amovibili e/o l'alterazione degli elementi di delimitazione dei confini della concessione e/o il mancato rispetto del progetto di occupazione degli stalli di sosta di cui all'art. 3, comma 4. bis, del presente regolamento e/o la violazione di cui all'articolo 19, comma 3, e/o la violazione di prescrizioni espressamente definite gravi nell'atto di concessione comportano la sanzione della sospensione della concessione per trenta giorni, con obbligo di rimozione degli allestimenti presenti". La determinazione impugnata prot. n. 3467 del 9 giugno 2023 richiama poi alcune prescrizioni del provvedimento di concessione prot. n. 2215 del 17 aprile 2023 che l'amministrazione ha ritenuto specificamente violate e comportanti "violazione grave" ai sensi dell'art. 18, comma 6, del Regolamento: si tratta delle prescrizioni di cui all'art. 4, lettere g), h), i), j). Tuttavia, nel rispondere alle osservazioni procedimentali della società, lo stesso provvedimento concentra le contestazioni dell'amministrazione comunale nei confronti della concessionaria alle violazioni delle lettere: g) secondo cui "non è mai ammessa nell'area in concessione, in assenza di specifico ed espresso titolo, acquisito secondo l'iter abilitativo corretto, alcuna attività che comporti la riproduzione o anche mera diffusione di musica, immagini o suoni, o che, in generale, sia tale da incidere sui livelli di suoni emessi e/o immessi nell'area urbana in cui insiste la concessione e questo indipendentemente dalla circostanza che si tratti o meno di attività riconducibile alla nozione di pubblico spettacolo e/o che sia stato accertato il superamento dei limiti acustici di zona. La violazione delle prescrizioni di cui al presente punto è considerata violazione grave, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 18, comma 6 del vigente Regolamento"; h) secondo cui è obbligo del concessionario "non consentire mai la propagazione di musica dall'interno all'esterno dei locali e questo indipendentemente dall'accertamento del superamento dei limiti acustici di zona. La violazione di tale prescrizione è considerata violazione grave, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 18, comma 6 del vigente Regolamento.". Ne è conseguita la rilevanza assorbente di tali due violazioni, tenuto conto di quanto precisato ai punti 6 e seguenti del provvedimento impugnato (laddove replica alle osservazioni procedimentali della ricorrente). Pertanto delle molteplici contestazioni mosse col primo motivo di ricorso all'intero contenuto del verbale di accertamento n. 25578 del 2023 rilevano soltanto quelle dirette a contestare i fatti ivi esposti come accertati che sono rilevanti ai fini delle due specifiche violazioni degli obblighi concessori sopra indicate (art. 4, lett. g e h, del provvedimento di concessione). In particolare, non rilevano nel presente giudizio (quindi l'appellante non ha un interesse giuridicamente apprezzabile alla relativa contestazione, pure svolta negli scritti processuali) le questioni riguardanti le verifiche fonometriche e l'utilizzo della strumentazione musicale per la diffusione di suoni all'interno dei locali, in quanto il provvedimento sanzionatorio adottato con la determinazione n. 3467 del 9 giugno 2023 è basato, non sul superamento dei limiti acustici, bensì sulla violazione delle dette prescrizioni della concessione di suolo pubblico. 5.1. Dato ciò, sebbene il verbale del 5 maggio 2023 abbia riguardato anche il titolo abilitativo alla diffusione dei suoni all'interno del locale ed abbia rilevato anche la possibile violazione di norme in tema di inquinamento acustico (cui ha fatto seguito un separato procedimento amministrativo nei confronti della società ), il riferimento fatto in sentenza alla "assenza di titolo autorizzativo" non riguarda l'uso dell'impianto elettroacustico nel rispetto di dette norme e del Regolamento acustico comunale, ma tutt'al più la prescrizione della lettera g) del provvedimento di concessione che vieta la diffusione di suoni e musica "nell'area in concessione, in assenza di specifico ed espresso titolo, acquisito secondo l'iter abilitativo corretto". Invero, la sentenza di primo grado ha correttamente delimitato il tema oggetto di giudizio, precisando che il Comune ha inteso sanzionare "la mera condotta consistita nell'aver propagato all'esterno musica, benché proveniente dall'interno del locale, senza autorizzazione, così da realizzare un uso non consentito della concessione". Tale diffusione era vietata, oltre che dalla prescrizione dell'art. 4, lett. g), anche da quella della successiva lett. h). 5.1.1. In riferimento ad entrambe rilevano poi gli altri fatti che il tribunale ha ritenuto accertati dai verbalizzanti; e segnatamente: che la musica si sentisse nell'area in concessione e che il suono proveniente dall'interno fosse "udibile" all'esterno perché la porta d'ingresso era tenuta aperta. L'assunto dell'appellante secondo cui né l'uno né l'altro di tali accertamenti sarebbe contenuto nel verbale n. 25578 del 5 maggio 2023 è smentito dalla seguente testuale verbalizzazione: "La musica veniva propagata dall'interno verso l'esterno, udibile nella pubblica via, in quanto la porta d'ingresso era permanentemente aperta". Questa attestazione da parte dei pubblici ufficiali verbalizzanti non può essere intesa altrimenti che nel senso, letterale e logico, che gli apparecchi acustici descritti nello stesso verbale propagavano il suono anche all'esterno, dove poteva essere udito da coloro che si trovavano nell'area data in concessione. Il verbale contiene quindi gli accertamenti dei quali è detto in sentenza e per i quali rileva il comma 19 dello stesso art. 18 del Regolamento, pure correttamente richiamato, secondo cui: "Le sanzioni di cui al presente articolo, pur potendo trarre origine da violazioni accertate da qualunque autorità preposta alla vigilanza e al controllo, sono indipendenti dalle prime e hanno corso autonomo rispetto a queste, indipendentemente dall'esito amministrativo o giudiziale delle stesse. L'applicazione della sanzione è sospesa nel solo caso in cui contro il verbale di accertamento sia proposta querela di falso...". Nel caso di specie, non è contestata la mancata presentazione della querela di falso. 5.1.2. Va altresì confutato l'ulteriore assunto dell'appellante secondo cui l'attestazione contenuta nel verbale non riguarderebbe "fatti" avvenuti alla presenza dei pubblici ufficiali verbalizzanti, ma mere "sensazioni" o percezioni del tutto soggettive. L'attività di verifica compiuta in loco dagli agenti del Corpo di Polizia Municipale di Cagliari è oggettiva e diretta, documentata anche mediante ripresa video (per quanto si legge nel verbale) e fotografie (prodotte in giudizio dal Comune di Cagliari) e l'esito di tale attività è, tra l'altro, consistito nell'accertamento del fatto che la musica potesse essere udita all'esterno del locale, con conseguente esercizio dell'attività da parte della concessionaria in modo vietato dal provvedimento di concessione del suolo pubblico antistante. L'ulteriore critica secondo cui si sarebbe trattato comunque di accertamenti privi di un sostrato materiale scientificamente misurabile, non tiene nel debito conto il tenore di entrambe le prescrizioni del provvedimento di concessione che risultano violate: l'una e l'altra precisano infatti che i divieti ivi comminati operano "indipendentemente dall'accertamento del superamento dei limiti acustici di zona". Di qui la correttezza della conclusione raggiunta sul punto dalla sentenza gravata secondo cui "nessun accertamento circa il predetto superamento dei parametri acustici andava effettuato da parte dell'Amministrazione, bastando come detto il mero rilievo da parte dei verbalizzanti dell'avvenuta propagazione non consentita della musica fuori dal locale nelle aree in concessione, in violazione dell'art. 16 comma 1 lett. l) del Regolamento che impone al concessionario di osservare tutte le disposizioni inerenti l'attività svolta sulle aree oggetto della concessione, compresi quindi i punti della concessione richiamati nel provvedimento impugnato, che imponevano al Bar Fl. di destinare le aree concesse unicamente all'attività espressamente prevista dall'atto di concessione (attività di ristoro all'aperto), e stabilivano in ogni caso il divieto per la stessa di propagare musica sulle stesse, a prescindere dal superamento dei limiti acustici di zona, prevedendo che l'eventuale violazione di tali prescrizioni sarebbe stata considerata grave ex art. 18 comma 6 del Regolamento. (...) ai fini dell'applicabilità della sanzione stabilita nel citato art. 18, ciò che rileva nel caso in discussione è la mera udibilità all'esterno e nelle aree in concessione della musica, a prescindere dai livelli acustici riscontrabili, nonché dalle ragioni per le quali la stessa si è verificata, e pur essendo la strumentazione posta all'interno dell'esercizio". 5.1.3. Il fatto accertato dai verbalizzanti che la musica era "udibile nella pubblica via in quanto la porta d'ingresso era permanentemente aperta" smentisce -come pure detto in sentenza - l'assunto della ricorrente di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire la propagazione dei suoni all'esterno, senza che, all'opposto, sia stato provato dalla società che l'apertura della porta fosse del tutto occasionale, eccezionalmente verificatasi in coincidenza con la presenza sul posto dei verbalizzanti. E' inoltre da escludere che la constatazione della porta aperta sia una mera "considerazione logica" e, men che meno un apprezzamento o una valutazione, trattandosi all'evidenza di un "fatto" rispetto al quale opera la fede privilegiata dell'art. 2700 cod. civ. 5.2. Consegue a quanto detto a proposito della portata dei divieti contenuti nella concessione l'irrilevanza dell'accertamento richiesto - con le ulteriori censure di parte appellante - in merito al disturbo alla quiete pubblica arrecato dalla musica diffusa dall'interno all'esterno. Accertata infatti la diffusione di suoni nell'area in concessione, dall'interno all'esterno, le violazioni contestate dall'amministrazione comunale si configurano indipendentemente dal fatto che si determini un aumento del rumore percepibile o che lo stesso si confonda col rumore della piazza. 5.2.1. Né le prescrizioni dell'art. 4, lett. g) e h), della concessione sono interpretabili, come sostiene l'appellante, tenendo conto del quadro disciplinare complessivo, comprensivo in particolare del Regolamento acustico comunale e dei titoli abilitativi rilasciati in passato alla stessa società che gestisce il Bar Fl.. Quanto al primo, l'ordinamento consente la coesistenza di più discipline regolamentari, quando ne siano diversi l'oggetto e le finalità, come appunto nel caso di regolamenti destinati, l'uno, a fissare i limiti di inquinamento acustico delle zone comunali, e l'altro, a regolare i vincoli cui subordinare la concessione di suolo pubblico. Di questi ultimi, il vincolo diretto ad evitare la diffusione in via diretta e la propagazione dall'interno di musica nell'area in concessione ben può essere indipendente dal fatto che il rumore non superi i limiti acustici di zona: invero, con questo vincolo non si impedisce né si rende più difficoltoso l'esercizio dell'attività di somministrazione e bevande cui la concessione di suolo pubblico è strumentale, ma si regolamenta l'occupazione del suolo pubblico asservito, secondo legittime scelte discrezionali dell'amministrazione concedente. Sono riservate alle scelte dell'amministrazione sia l'an che il quomodo della concessione di occupazione di suolo pubblico, notoriamente rientrante tra i provvedimenti maggiormente connotati da profili di discrezionalità amministrativa, sia quanto al rilascio che quanto alle modalità attuative. La medesima discrezionalità connota il rinnovo del titolo abilitativo nei confronti del medesimo soggetto dopo la scadenza del precedente, sicché - in disparte le contrapposte posizioni delle parti sulla portata della concessione per o.s.p. rilasciata nel passato in favore del Bar Fl. - la concessione per occupazione di suolo pubblico da ultimo rilasciata col provvedimento n. 2215 del 17 aprile 2023 legittimamente potrebbe vietare condotte prima consentite. 5.2.2. In ragione di quanto appena esposto, va respinta, così come è stata respinta in primo grado, la censura subordinata di illegittimità della clausola di cui alla lettera h) dell'art. 4 della concessione. Non si riscontra il vizio di eccesso di potere considerato che la previsione: i) non è irragionevole, per il motivo già ritenuto in sentenza riferito alla ratio "di limitare le emissioni sonore complessive di zona all'esterno dei locali di Cagliari, al fine di garantire il rispetto della quiete pubblica"; ii) non è in rapporto di contrapposizione, ma tutt'al più di complementarietà con il Regolamento acustico comunale; iii) non è in violazione dei principi ispiratori del Regolamento per le concessioni di suolo pubblico, essendo funzionale alla riqualificazione dell'ambiente urbano e non contraria allo sviluppo economico e alla promozione turistica della città, non essendo impedita l'attività economica di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ma solo limitati gli effetti all'esterno di un'attività accessoria, pur consentita all'interno dei locali; iv) non è ancorata ad un "concetto" indeterminato, bensì al "fatto" oggettivamente accertabile della propagazione della musica dall'interno all'esterno dei locali; v) non è in sé sproporzionata poiché vi corrisponde la sanzione ad effetti temporanei della sospensione dell'attività per trenta giorni. Esulano invero dall'oggetto del presente giudizio le vicende successive concernenti la reiterazione delle violazioni e la comminatoria di decadenza. 5.2.3. Da ultimo, la finalità rappresentata dal Comune, sia nel provvedimento impugnato che nella relazione istruttoria, di limitare "la c.d. malamovida ed i rumori molesti notturni... problema di molte città e...oggetto di numerosi contenziosi e tensione sociale", non appare espressione di uno sviamento di potere, anche a voler considerare la ragione del divieto nei confronti del singolo concessionario, spiegata dallo stesso Comune nei seguenti, non irragionevoli, termini: "(...)Un singolo locale isolato che emette onde sonore musicali all'interno rispettando i limiti acustici non supera tali soglie (n. d.r. le soglie previste dai piani di risanamento acustico); più locali che emettono onde sonore musicali dall'interno verso l'esterno, con tavolini ed utenti che chiacchierano all'esterno, certamente sì . (...) se in una strada vi sono più locali, e nelle strade della "movida" si tratta di decine di locali, diversi dei quali producono suoni dall'interno verso l'esterno pur restando sotto la soglia consentita, va da sé che la loro sommatoria produce un grado di rumore di gran lunga superiore ai limiti consentiti". 5.2.4. La clausola del provvedimento di concessione, peraltro accettata dalla società concessionaria, pur se unilateralmente predisposta dall'amministrazione, non è affetta dal vizio denunciato, né riconducibile a fattispecie di nullità a rilevanza civilistica inter partes. 5.3. Le censure del primo motivo di appello di cui si è fin qui detto vanno quindi complessivamente respinte. 6. Con altro articolato motivo (sub E) si ripropongono ulteriori censure, che l'appellante assume non essere state esaminate dal primo giudice; e precisamente: i) assenza di violazione dell'art. 13, comma 1, lett. e) del vigente Regolamento, dato che il bar Fl. si sarebbe dotato di tutte le misure idonee ad impedire la propagazione della musica all'esterno dei locali; ii) assenza di violazione dell'art. 16, comma 1, lett. h) del vigente Regolamento, dato che il bar Fl. non avrebbe arrecato alcun disturbo alla quiete pubblica; iii) assenza di violazione dell'art. 16, comma 1, lett. l) del Regolamento, dato che il bar Fl. avrebbe osservato tutte le disposizioni legislative e regolamentari inerenti l'attività svolta sulle aree oggetto di concessione; iv) assenza della violazione della prescrizione di destinare le aree concesse unicamente all'attività "per il solo esercizio dell'attività di ristoro all'aperto" di cui all'art. 4 lett. g) della concessione; v) assenza della violazione della prescrizione, imposta con la concessione, di non consentire mai la propagazione di musica dall'interno all'esterno dei locali di cui all'art. 4 lett. h) della concessione; vi) assenza della violazione della prescrizione imposta dalla concessione di garantire il massimo rispetto della normativa in materia di tutela dall'inquinamento acustico, tra cui il Regolamento acustico comunale, di cui all'art. 4 lett. i) della concessione; vii) assenza della violazione della prescrizione di cui alla concessione di utilizzare, nell'area in concessione, unicamente le attrezzature autorizzate, di cui all'art. 4, lett. l) della concessione. 7. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Esso è infondato nella parte in cui lamenta l'assenza di violazione delle prescrizioni di cui all'art. 4 lett. g) e i) del provvedimento di concessione, per le ragioni esposte sopra. E' inammissibile per carenza di interesse laddove lamenta la mancanza di violazione di altre prescrizioni regolamentari o della concessione, sia per la portata dirimente attribuita alle violazioni predette nel contesto motivazionale del provvedimento impugnato (di cui si è detto nella parte iniziale della presente decisione), sia perché - ove si ritenga che il provvedimento impugnato sia basato anche sulla violazione di altre prescrizioni regolamentari e/o della concessione - va applicato il principio in base al quale in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale, sicché il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. IV, 30 marzo 2018, n. 2019; sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190, richiamate da Cons. Stato, VI, 31 luglio 2020, n. 4866). 8. L'appello va quindi respinto. 8.1. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del grado di appello per la peculiarità delle vicende oggetto di contenzioso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4944 del 2021, proposto da Fu. Si. – Al. di Si. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ha. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Ro., via (…); contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. e Al. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Ro., via (…); per la riforma della sentenza del T.R.G.A. – Sezione Autonoma di Bolzano, n. 89/2021, resa tra le parti, per l’annullamento: - della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 30 del 28/05/2020, pubblicata per 10 giorni sull’albo comunale del Comune di (Omissis) in data 03/06/2020 e con avviso nel Bollettino Ufficiale della Regione Trentino – Alto Adige n. 25 del 18/06/2020, con la quale è stato approvato il nuovo Piano Comunale di Classificazione Acustica del Comune di (Omissis); - della delibera della Giunta comunale di (Omissis) n. 2 del 08/01/2020, con la quale è stato avviato il procedimento per l'approvazione del nuovo Piano Comunale di Classificazione Acustica; - nonché di ogni altro atto direttamente o indirettamente collegato agli atti impugnati, anche se non espressamente richiamato. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti l’avvocato Pa. Ca. per delega dell’avvocato Ha. Re. e l’avvocato An. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L’odierna società appellante, gestore della cabinovia da Si. all’Al. di Si. (costruita nel 2003), esponeva che, con delibera del 28.5.2020, n. 30, il Consiglio Comunale di (Omissis) aveva approvato il Piano di Classificazione Acustica del territorio comunale con il quale era stata attribuita a due dei dieci pilastri di sostegno la classe acustica II (aree di intensa attività umana: limite di immissione acustica diurno – dalle ore 6 alle ore 22 – di massimo 55 dB ed un valore limite notturno di massimo 45 dB) nel periodo estivo, mentre precedentemente erano classificati nella classe III (aree miste con i limiti diurni di 60 dB e 50 dB notturni). Tale deliberazione era stata preceduta dalla delibera della giunta comunale di avviamento del procedimento (delibera del 8.1.2020, n. 2) e di un parere negativo dall’ente provinciale preposto al controllo (l’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del Clima) del 17.2.2020. 2. Avverso i suddetti provvedimenti comunali l’odierna appellante aveva proposto ricorso deducendo le seguenti censure: a) violazione ed errata applicazione dell'art. 6 della legge provinciale n. 20/2012, eccesso di potere per difetto di motivazione, violazione dell'art. 7 della legge provinciale n. 17/1993, violazione del principio di legalità e dei principi di buona amministrazione e di imparzialità (art. 97 Cost.), violazione dell'art. 1, legge provinciale n. 17/1993 e dei principi ivi contenuti: il precedente piano acustico sarebbe stato sostituito senza motivo concreto dopo poco tempo; b) violazione degli artt. 1, 4 e 5, della legge provinciale n. 20/2012, violazione degli artt. 1, 15/bis e 24 ss. della legge provinciale n. 17/1993, violazione degli artt. 41 e 97 Cost., eccesso di potere per sviamento di potere e falsa motivazione, violazione dell'art. 7 della legge provinciale n. 17/1993: il piano acustico non avrebbe lo scopo di ridurre l'inquinamento acustico; c) violazione dell'art. 5, comma 3 della legge provinciale n. 20/2012, violazione degli artt. 1 e 28 ss. della legge provinciale n. 17/1993, violazione degli artt. 24 e 97 Cost.: la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Trentino – Alto Adige non avrebbe consentito di avere la piena contezza del provvedimento; d) violazione ed errata applicazione degli artt. 4 e 5 della legge provinciale n. 20/2012, eccesso di potere sotto vari profili: difetto di istruttoria, contraddittorietà manifesta, errore nei presupposti di fatto, motivazione insufficiente e sviamento di potere oltre a violazione del principio di legalità e dei principi di buona amministrazione e di imparzialità (art. 97 Cost.): il piano acustico non si sarebbe basato su alcuna misurazione acustica; e) violazione degli artt. 11/bis e 15/bis della legge provinciale n. 17/1993, eccesso di potere per motivazione errata, contraddittoria ed insufficiente, violazione dell'art. 7 della legge provinciale n. 17/1993: il Comune non avrebbe considerato sufficientemente le osservazioni presentate dalla società durante l’iter procedimentale; f) violazione del principio di legalità e dei principi di buona amministrazione e di imparzialità (art. 97 Cost.), eccesso di potere sotto vari aspetti: difetto di istruttoria e motivazione omessa, violazione dell'art. 7 della legge provinciale n. 17/1993: il piano acustico non spiegherebbe la modifica di classe nei settori dei piloni n. 3 e 4. 3. Il TRGA adito, con la sentenza in epigrafe impugnata aveva respinto l’impugnazione rilevando che: - il piano acustico, essendo uno strumento di pianificazione ed un atto generale normativo di tipo regolamentare, non avrebbe bisogno di una motivazione, e nella sua approvazione l’ente ha un ampio margine di discrezionalità, che nel caso specifico non risulta illogica o irrazionale, ma conforme alle disposizioni normative; - la legittimità del piano discendeva anche dal fatto che adattava l’inquinamento acustico dell’impianto di risalita alle zone vicine e non il contrario, non avendo invece il gestore alcun diritto ad una classe più alta (che quindi consente di raggiungere dB più alti) in quanto l’esercizio dell’impianto ha una rumorosità maggiore di quella consueta per la zona. Secondo il TRGA il piano può inserire una zona nella quale vi è una fonte di rumore in una classe di rumorosità inferiore e costringere impianti ivi localizzati ad adottare sistemi di riduzione del rumore per aumentare la qualità della vita e tutelare la salute della popolazione. Per questo motivo la pretesa al riconoscimento della zona acustica in base all'indice di rumorosità esistente è in contrasto con gli obiettivi prefissati dalla legge sull'inquinamento acustico; - gli interessi da tutelare con la norma sull’inquinamento acustico non sono da considerare recessivi rispetto all’attività economica. Non è inoltre provato sufficientemente dalla società ricorrente che il miglioramento tecnico dell’impianto non sarebbe possibile; - gli obblighi del Comune di trasparenza e pubblicità erano stati assolti correttamente; - non è necessaria una previa misurazione, essendo sufficiente una comparazione fra la suddivisione urbanistica della corrispondente classificazione e l’effettiva destinazione dell’area. Il Comune – basandosi sulla destinazione prevalente ed effettiva della zona – ha correttamente tenuto conto di tutti gli elementi esistenti per quanto riguarda l’asserita discriminazione (in quanto gli altri piloni avevano mantenuto la classe II) il TRGA riteneva che la paragonabilità non era provata); - anche la censura dell’insufficiente considerazione delle osservazioni della società nel procedimento amministrativo non era fondata, in quanto il Comune l’aveva puntualmente riscontrato, al di là della motivazione; - infine il giudice bolzanino ha rilevato che le variazioni sono state sufficientemente descritte nel piano, anche se forse “poco comprensibili” per la ricorrente, ma in ogni modo erano di una chiarezza che ha poi permesso alla società di controdedurre nell’iter di approvazione del piano. 4. La sentenza del TRGA è stata ritualmente appellata dalla Società, deducendo i seguenti motivi: 1) error in iudicando sul primo motivo d’impugnazione di primo grado: il Giudice di prime cure avrebbe respinto il primo motivo di impugnazione statuendo erroneamente che il PCCA sarebbe un provvedimento a contenuto generale e carattere normativo, per cui non necessiterebbe di motivazione alcuna. Secondo l’appellante invece era intervenuta una situazione del privato consolidata sia da atti di attuazione urbanistica che di interventi sull’impianto per ottemperare alla prescrizione della classe acustica III e quindi si sarebbe generato l’affidamento. Con una reformatio in peius l’ente locale avrebbe disatteso l’obbligo di motivazione specifica ed un bilanciamento degli interessi pubblici e privati, senza spiegare le ragioni di uno scostamento del parere negativo dell’Agenzia provinciale. Il TRGA avrebbe ignorato tale lacuna nel provvedimento. Inoltre l’appellante rileva l’errata decisione in merito all’illogicità che sarebbe solo apparente e generica; 2) error in iudicando sul secondo motivo: la rispettiva motivazione sarebbe basata su un’errata presupposizione di fatto, non essendo possibili opportuni interventi di miglioramento, non avendo fatto una verifica in ordine alla concreta fattibilità e alle possibilità tecniche di interventi su di un impianto complesso e che deve garantire la sicurezza dei passeggeri. Il TRGA, invece di rilevare il deficit istruttorio da parte del Comune, avrebbe respinto il motivo in base all’insufficienza probatoria della società. Sarebbe errata anche la decisione sulla mancante proporzionalità della misura, in quanto rilevato unicamente sull’assenza di una rispettiva prova, che però avrebbe non la società, ma il Comune nel corso del procedimento. Ogni scelta discrezionale della Pubblica Amministrazione dovrebbe necessariamente essere preceduta da indagini concrete sullo stato di fatto così come sulle conseguenze che le scelte hanno sul territorio e sulle attività che ivi si svolgono, a maggior ragione nel caso di specie, atteso che il Comune era a conoscenza del fatto che la funivia era intervenuta varie volte su diversi piloni con misure riduttive dell’inquinamento per rispettare la classe acustica del PCCA previgente; 3) error in iudicando sul terzo motivo: la pubblicazione della sola bozza di piano ai fini di consentire la partecipazione al procedimento amministrativo non garantirebbe la conoscenza del piano definitivamente approvato. Gli elaborati tecnici e la delibera del Consiglio comunale di approvazione definitiva del PCCA non sarebbero stati interamente pubblicati nel BUR. La finalità della pubblicazione non sarebbe mai stata raggiunta; 4) error in iudicando sul quarto motivo: il TRGA avrebbe accertato erroneamente che la misurazione del rumore è irrilevante. Secondo la tesi dell’appellante la norma provinciale (art. 5 L.P. n. 20/2012) richiama sia l’uso prevalente che quello effettivo dell’area, parametri autonomi e indipendenti, ma non rispettati dal Comune. Il TRGA avrebbe applicato solo il criterio dell’utilizzo “prevalente”, facendo leva sulla destinazione urbanistica e sulle abitazioni, i masi e la zona militare esistente nei pressi nel pilastro n. 3, senza considerare sufficientemente l’utilizzo effettivo e consolidato nel lungo tempo di esercizio della cabinovia. Dalla relazione tecnica al nuovo piano acustico non emergerebbero le verifiche circa il prevalente ed effettivo utilizzo delle aree; 5) error in iudicando sul quinto motivo: l’appellante sostiene che le confutazioni delle controdeduzioni in sede procedimentale sarebbero non puntuali come rilevato dal TRGA, ma sbagliate, solo apparenti, ripetizioni del senso e interpretazioni della L.P. n. 20/2012 e affermazioni generiche che esprimerebbero piuttosto il disappunto del Comune di veder criticato il proprio elaborato; 6) error in iudicando sul sesto motivo: in base alla relazione tecnica degli elaborati tecnici il piano, secondo il TRGA, evidenzierebbe soltanto le deroghe alla tabella 1, allegato A della L.P. n. 20/2012. Espone l’appellante però che non avendo subito una tale modifica la declassificazione della zona intorno ai pilastri n. 3 e 4, la stessa legittimamente non sarebbe stata indicata. L’Agenzia provinciale invece avrebbe criticato che il mancato confronto con il piano precedente, prassi amministrativa riguardante tutti gli atti di pianificazione e corollario dal principio di trasparenza dell’azione amministrativa. 5. La società ha depositato l’8 marzo 2024 una perizia tecnica di parte. 6. Con memoria depositata il 14.3.2024, il Comune di (Omissis) ha contestato la tardività e l’illegittimità di tale ultimo deposito, chiedendo per il resto il rigetto dell’appello. 7. In vista dell’udienza pubblica le parti si sono scambiate ulteriori memorie e di replica, insistendo nelle loro avversarie deduzioni. 8. All’udienza del 18 aprile 2024 la causa passava in decisione. 9. Il Collegio ricorda che l’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l'ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 135). Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non sconfinare nel merito delle scelte discrezionali adottate dall'amministrazione. Tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301). Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6451; id. Sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097). In proposito giova richiamare quanto affermato da questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443), secondo cui in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell'amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d'uso del territorio. Ciò rileva sotto un duplice aspetto. Da un lato, rileva l'interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata. Da un altro lato, rileva l'interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria. 10. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di (Omissis) nel provvedimento gravato, non può essere dato rilievo esclusivo agli usi prevalenti sul territorio, perché essi si limitano a rappresentare l’aspetto dinamico del suo governo, senza tener debitamente conto dell’uso effettivo, soprattutto quando il privato per lungo tempo ha continuato a fare affidamento nella correttezza della situazione. Ed è su tale dinamicità che si regge, invece, la ratio della disciplina legislativa provinciale, sostanzialmente rivolta a perseguire l'obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall'inquinamento acustico. 11. Nel caso di specie è incontestato che: - l’impianto di cabinovia è stato regolarmente assentito ed è in funzione dal 2003; - la stazione a valle, il parcheggio ed il primo pilastro di sostegno della cabinovia si trovano nel PUC di Castelrotto nella zona per attrezzature collettive sovracomunali, mentre gli altri pilastri si trovano nella zona di verde agricolo, bosco o verde alpino, la stazione a monte invece si trova nella zona per infrastrutture negli ambiti sciistici; - i pilastri n. 3 e 4, oggetto di questa vertenza, si trovano entrambi nella zona destinata a verde agricolo; - la legge provinciale 5 dicembre 2012, n. 20 (pubblicata sul BUR il 18.12.2012) “Disposizioni in materia di inquinamento acustico” ha previsto all’art. 5 che il Piano comunale di classificazione acustica (PCCA) viene elaborato dal rispettivo comune con una classificazione acustica per la quale il comune deve tener conto del prevalente ed effettivo utilizzo dell’area stessa, considerando il criterio in base al quale di regola zone confinanti devono appartenere a classi acustiche i cui limiti non si discostino di più di 5 dB(A). A tal fine una zona urbanistica può contenere anche più di una zona acustica. La proposta del piano deve essere pubblicata all’albo comunale per 30 giorni consecutivi ed entro tale termine chiunque può presentare le proprie osservazioni. Contestualmente alla pubblicazione all’albo comunale la deliberazione è trasmessa all’Agenzia, per l’espressione di un parere. Il comune, tenuto conto delle osservazioni pervenute e acquisito il parere dell’Agenzia, approva il PCCA, dando avviso entro 30 giorni sul BUR Trentino-Alto Adige e contestualmente ne trasmette copia alla Provincia autonoma di Bolzano. Qualora il PCCA si discosta dal parere dell'Agenzia, il comune è tenuto a motivare le ragioni di questa difformità. Tali motivazioni fanno parte integrante della delibera di approvazione del piano; - il Comune di (Omissis) approvava il PACC con deliberazione del Consiglio Comunale del 27.4.2017, n. 30, classificando le stazioni a valle e a monte così come la zona in prossimità dei pilastri n. 3 (zona n. 28) e 4 (zona n. 2) nella classe acustica III. 12. Dall’esame della norma provinciale emerge dunque un complesso iter procedimentale, a garanzia del sensibile complesso di interessi coinvolti, dove è previsto un parere tecnico dell’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima, alla quale il legislatore ha affidato la funzione di vigilanza (art. 16) e di autorità di approvazione per nuovi impianti (art. 9). 13. Nel corso dell’elaborazione del nuovo piano acustico di Castelrotto, l’Agenzia, con la nota del 17.2.2020 ha adottato il seguente parere: “1. La bozza di PCCA approvato dalla Giunta Comunale viene confrontato in parte con la Tabella 1 dell’allegato A della Legge Provinciale 20/2012 e in parte con il PCCA vigente del Comune di (Omissis) (approvato con Delibera del Consiglio Comunale n. 30/04/2017). Poiché il Comune di (Omissis) dispone già di un PCCA approvato, esso deve essere utilizzato come base di confronto. 2. Variazioni urbanistiche e corrispondenti modifiche delle classi acustiche, effettuate dopo l’approvazione del PCCA (27.04.2017), non sempre sono state considerate. Ad esempio, la zona di edilizia residenziale C2 – zona di espansione (B.P. 2009; GP 5979/7 + 5979/18) è stata classificata in classe acustica IV e non in classe acustica III come da modifiche al piano regolatore. 3. Il Comune, ai sensi dell’art. 5 della LP 20/2012, deve tener conto dell’uso prevalente ed effettivo dell’area stessa nel determinare una classe acustica. Questo principio non è stato rispettato nella riclassificazione delle aree attorno ai pilastri della Fu. Si. – Al. di Si. Spa. Nonostante queste zone siano classificate nell’attuale PCCA nella classe acustica III, nella Bozza vengono declassate alla classe II. Negli ultimi anni ci sono state tuttavia lamentele da parte dei residenti locali nelle zone interessate, sono state quindi effettuate corrispondenti misurazioni del rumore ed è stata emessa anche un’ordinanza (datata 19.07.2017) dell’Ufficio aria e rumore con la prescrizione per fare rispettare i valori limite della classe acustica III. Le successive misure di risanamento ai pilastri erano volte a garantire il rispetto di tali limiti. La classificazione in classe acustica II comporta quindi un’incertezza giuridica e a nostro avviso non è giustificabile. 4. La nuova bozza del PCCA mostra notevoli differenze nel trattamento di aree con la stessa destinazione d’uso. In particolare, alcune zone nelle immediate vicinanze dei pilastri della funivia dell’Al. di Si. vengono declassate dalla classe acustica III alla classe acustica II, mentre altre zone con caratteristiche molto simili vengono lasciate in classe acustica III. Anche le stazioni a monte e a valle della funivia sono state classificate nella classe III e non nella classe IV, a differenza di altri impianti. 5. il PCCA rappresenta per i comuni uno strumento di pianificazione strategica per la protezione dal rumore e non dovrebbe quindi essere modificato per singoli problemi.” 14. Da questo emerge che le criticità rilevate dall’Agenzia concernono sostanzialmente la nuova classificazione dell’impianto funiviario. L’ente provinciale aveva rilevato un difetto di motivazione da parte del Comune, sia per quanto riguarda il corretto bilanciamento dei principali criteri redazionali del piano (uso prevalente ed uso effettivo), sia per la mancante giustificazione quanto al trattamento differenziato di aree con la stessa destinazione d’uso, oltre all’inesistente istruttoria che rivelasse, a distanza di soli tre anni, il peggioramento della situazione specifica e quindi la necessità concreta di aumentare il livello di tutela e le sue esigenze, oltre alla valutazione degli intervenuti lavori di miglioramento da parte del gestore. 15. Da ricordare poi – contrariamente a quanto ha accertato il TRGA nella sentenza gravata – che nello specifico caso dei Piani Acustici Comunali esiste un obbligo di motivazione per il Comune quando si vuole discostare dal parere della Provincia. E nel caso che occupa la Sezione risulta evidente che il Comune non abbia puntualmente motivato le ragioni del suo discostarsi dal parere dell’Agenzia, incorrendo nel chiaro vizio del difetto di motivazione (oltre a quello di istruttoria), che il legislatore provinciale ha espressamente previsto nell’articolo 5 della L.P. n. 20/2012. 16. Per giungere a tali conclusioni è sufficiente rilevare che il Comune ha così replicato alle critiche della Provincia: “Si pone la domanda: qual è il prevalente ed effettivo utilizzo dell’area stessa? La destinazione urbanistica nel piano urbanistico è molto chiara. Il pilone n. 3 si trova in zona di verde agricolo. In una zona vicina al pilone n. 3 ci sono ancora le destinazioni bosco e zona militare. Deve essere precisato che in riguardo alla zona militare si tratta della cosidetta Villa Ausserer (Comando Truppe Alpine Villa Ausserer), un esercizio ricettivo dell’esercito. Oltre a questo, ad una distanza minore di 100 metri dal pilone n. 3 si trovano le zone particolarmente contraddistinte nel piano urbanistico “Parco Naturale” e “Natura 2000”. Trattasi secondo le norme di attuazione al PUC di aree particolarmente evidenziate e considerate di rimarchevole interesse ambientale e paesaggistico che vengono tutelati dall’apposita normativa in materia. Qual è l’ulteriore utilizzo dell’area intorno al pilone n. 3 oltre a questo? C’è l’esercizio ricettivo dell’esercito già accennato, alcuni masi e case abitative nonché la Pensione Profanter – un’azienda familiare che opera nel settore del turismo con piscina all’aperto e piccolo prato. Poi c’è ancora il pilone n. 3, la sorgente di rumore alla quale tutto deve essere subordinato, almeno secondo l’Ufficio Aria e rumore. Considerando tutti questi aspetti si presume che la classificazione dell’area intorno al pilone n. 3 in classe acustica II sia quella che meglio rispecchia l’uso prevalente ed effettivo dell’area. Non dev’essere tralasciato l’obiettivo della L.P. 20/2012 di migliorare la qualità della vita e di tutelare la salute umana con delle norme di tutela dall’inquinamento acustico dell’ambiente esterno ed abitativo (art. 1 comma 1). Si tratta quindi di prevenzione, di riduzione del livello di rumorosità e di risanamento ambientale delle aree acusticamente inquinate (art. 1 comma 2). Nel parere negativo sub punto 3 viene inoltre specificato che la classificazione in classe acustica II comporta un’incertezza giuridica. Magari è così. Ma deve essere questo il motivo per il quale bisogna proteggere il pilone n. 3 da persone e dall’ambiente piuttosto che proteggere la salute umana, l’ambiente ed in particolar modo le aree abitative – così come espressamente segnato nell’art. 1 della legge di cui prima – dall’inquinamento acustico generato proprio da questo pilone? Così questa incertezza giuridica, anche in riguardo a casi simili in provincia, finalmente nell’interesse di persone ed ambiente potrà essere eliminata. In questo contesto il parere negativo dell’Ufficio Aria e rumore pare ancora più sorprendente.” 17. Dalla piana lettura risulta che oltre ad affermazioni generiche o interpretazioni generali (e in alcune parti tesi soggettive piuttosto polemiche) sulla legislazione provinciale o sull’attività dell’Agenzia, nulla (o troppo poco) viene dedotto in concreto dal Comune quanto al “merito tecnico” delle osservazioni dell’Agenzia provinciale. Emergono solo deduzioni in merito alla classificazione urbanistica dell’area, mentre sfugge al Collegio ogni valutazione puntuale dell’effettivo uso ai sensi dell’art. 5 comma 2 della L.P. n. 20/2012. Al contrario, il Comune chiude le controdeduzioni al punto 4 (sulla mancanza di un confronto con il precedente PACC) con l’affermazione che “si prende atto di quest’informazione da parte dell’ufficio provinciale.” Nulla si legge però nella lunga delibera del Consiglio Comunale di eventuali conclusioni tratte da un confronto vecchio-nuovo e l’eventuale insufficiente regime previgente. Non emergono neppure rilievi tecnici effettuati dal Comune sul fatto che la precedente classificazione (“zona mista”) sia errata. 18. Il Collegio, vista la predetta analisi del Comune sulle diverse destinazioni d’uso attorno al pilastro n. 3, rileva che essa confermerebbe piuttosto la correttezza della pregressa scelta del 2017, mentre la nuova classificazione “aree residenziali” (di fronte alla destinazione del PUC di verde agricolo, bosco e zona militare, ove l’insediamento residenziale per effetto diretto della legislazione urbanistica provinciale da molti decenni sono proprio la estrema eccezione, cfr. ex multis Cons. Stato, sez, VI, n. 2179/2022) non sembra idoneamente motivata. Sul punto risulta pertanto evidente che il Comune non ha tenuto conto delle peculiari aree di interesse. La citata norma provinciale consente ai Comuni di attuare una più specifica regolamentazione dell'emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l'esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l'istituzione di fasce orarie in cui possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest'ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265). Ma non sono stati forniti elementi per affermare che le impugnate scelte sarebbero il frutto di un puntuale rilievo perché gli esistenti limiti del vecchio PACC sono stati superati e nuovi limiti più stringenti sono necessari. Infine, tutte queste osservazioni confermano la mancante funzione pianificatoria e di indicazione di sviluppo del piano in merito ai due pilastri, mentre – rilevando anche l’insufficiente, ma necessario bilanciamento tra interessi pubblici e privati coinvolti – traspare piuttosto la volontà di andare incontro ad una richiesta del privato confinante (doc. 19 della Fu. in primo grado). 19. L’appello deve essere, pertanto, accolto, essendo fondati il primo, secondo e quarto motivo, con assorbimento delle altre censure dedotte. Per l’effetto, va annullata la parte del PACC di (Omissis) che riguarda i pilastri n. 3 e n. 4 della cabinovia Si. – Al. di Si. 20. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla in parte qua i provvedimenti ivi gravati, come in parte motiva. Condanna il Comune di (Omissis) alla refusione delle spese di lite che vengono liquidate in 4.000 Euro (quattromila/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti, Presidente Roberto Caponigro, Consigliere Giovanni Gallone, Consigliere Thomas Mathà, Consigliere, Estensore Roberta Ravasio, Consigliere L'ESTENSORE Thomas Mathà IL PRESIDENTE Hadrian Simonetti
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Bari - (...) per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza - composta dai (...) 1) dott.ssa (...) 2) dott. (...) 3) dott.ssa (...) relatore ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia iscritta nel R.G. al numero sopra indicato; T R A (...) rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) e (...) E INAIL rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) e (...) Con sentenza definitiva in data (...), il Tribunale del lavoro di (...) a) rigettava la domanda di (...) intesa ad accertare che la ipoacusia percettiva bilaterale - già riconosciuta quale malattia professionale con postumi permanenti nella misura del 12% a decorrere dal febbraio 1996 - abbia determinato un grado complessivo di danno biologico in misura superiore al 12% con condanna dell'(...) al pagamento della rendita o dell'indennizzo parametrati al grado di invalidità riscontrato; b) condannava il ricorrente al pagamento in favore dell'(...) delle spese di lite, liquidandole in E 2.300,00, e a quelle di (...) Con ricorso depositato il (...) proponeva gravame, chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, per i motivi che di seguito si riepilogano e si valutano, l'accoglimento Sentenza n. (...)/2024 pubbl. il (...) RG n. (...)/2022 della domanda originariamente azionata in primo grado. L'(...) resisteva e concludeva per il rigetto del gravame. Acquisiti il fascicolo d'ufficio relativo al primo grado di giudizio e i documenti prodotti dalle parti, ammessa ed espletata ctu, in data odierna la causa veniva decisa mediante pubblicazione del dispositivo in calce trascritto. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il (...) dinanzi al Tribunale di (...) dipendente dell'(...) di (...) sin dal 23.02.1987 con qualifica di operaio metalmeccanico, deduceva: di essere addetto al montaggio di parti meccaniche di aereomobili, e di aver utilizzato perciò strumentazione ad aria compressa, quali martelli, avvitatori e trapani, nonché al montaggio di scatolato di alluminio con relativa rivettatura a schiacciamento per il tramite di meccaniche pneumatiche; di lavorare otto ore al giorno per sei giorni a settimana; di aver accusato durante lo svolgimento dell'attività lavorativa diverse patologie ad eziologia professionale (paraplegia e ipoacusia percettiva bilaterale); che, in particolare, gli era stata riconosciuta quale malattia professionale la 'ipoacusia percettiva bilaterale' nella misura del 12% e a decorrere dal 23.2.1996; che, a causa di un sopravvenuto aggravamento del quadro morbigeno, inerente l'apparato uditivo, il (...) egli aveva formulato all'(...) istanza di revisione passiva; che con provvedimento del 18.12.2018 l'(...) aveva respinto l'istanza. Tanto detto, chiedeva accertarsi che la patologia dell'ipoacusia aveva determinato un grado di invalidità in misura superiore al 12%, con relativa condanna dell'(...) alla corresponsione della rendita o dell'indennizzo, ed assumeva che, trattandosi di una patologia di natura professionale già riconosciuta prima dell'emanazione del D.Lgs. 38/2000, il parametro di valutazione fosse quello di cui al T.U. n.1124 del 1965 e relative tabelle di cui alla circolare n 22 del 1994, poiché, per effetto del comma 2 dell'art. 13 del D.Lgs. 38/2000, la nuova disciplina si applica esclusivamente agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di pubblicazione del suddetto decreto ministeriale, e cioè dal 25/07/2000. Solo in via gradata chiedeva l'applicazione delle tabelle di cui al D.Lgs. n. 38/2000. L'(...) contestava la fondatezza della domanda attorea, escludendo che il peggioramento del deficit uditivo fosse ascrivibile a causa lavorativa, in quanto dal 2015 l'istante svolgeva mansioni diverse, essendo stato adibito ad attività di ufficio. Ammessa ed espletata consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale del lavoro di (...) rigettava la domanda di (...) Il primo giudice dava conto delle considerazioni svolte nell'elaborato peritale dal ctu, dott. (...) D'(...) specialista in otorinolaringoiatria, il quale, nel rilevare che il (...) è effettivamente affetto dalle patologie denunciate, e non senza evidenziare che l'ipoacusia neurosensoriale è patologia a genesi multifattoriale, di cui una quota attribuibile a causa lavorativa e l'altra a cause e(...)tra lavorative (socio-presbiacusia), aveva precisato di aver utilizzato dapprima 'la classificazione sec. G. Rossi e successivamente la tabella di (...) per le ipoacusie intermedie (allegato 1 della "(...) di indennizzo del danno biologico", D.M. 12/07/2000, (...) ordinario n.119 alla G.U. 25/07/2000 n.172)'; quindi, poiché 'detta tabella prende in considerazione cinque frequenze (500-1000-2000-3000-(...)z) ed assegna ad ognuno un valore', concludeva che ' sottraendo all'ipoacusia complessivamente riscontrata, la quota prevista per la socio/presbiacusia, il danno uditivo accertato è pari al 12%". Aggiungeva che il (...) a seguito di osservazioni del ctp di parte resistente, aveva specificato di aver utilizzato, per la valutazione del danno, le tabelle (...) (DM 12.7.2000), spiegando che 'l'ipoacusia professionale avvenuta nel 1996 dovesse essere valutata con la tabella allegata alla circolare (...) n. 22 del 07 luglio 1994. Qui però stiamo considerando una condizione clinica non del 1996 ma del 2018 e quindi insorta progressivamente negli ultimi 20 anni circa, condizione uditiva non presente nel 1996 o meglio presente con un grado di gravità totalmente diverso. La richiesta di aggravamento e la relativa domanda, è stata inoltrata diversi anni dopo (novembre 2018) la prima valutazione ed il danno da me preso in considerazione è insorto progressivamente dal 1996 fino al 2018 (data dell'ultimo esame audiometrico preso in considerazione). Detto questo, ritengo corretto l'uso delle tabelle da me utilizzate per l'attuale valutazione del danno, danno successivo all'entrata in vigore delle nuove tabelle cioè (...) (D.M. 12/07/2000, (...) ordinario n. 119 alla G.U. 25/07/2000 n. 172)'. Il giudice registrava anche ulteriori osservazioni del ctu; in particolare, il dott. D'(...) aveva precisato che il danno uditivo del (...) con una ipoacusia che interessa tutte le frequenze, anche quelle non coinvolte in un danno da rumore, non poteva essere considerato solo a genesi lavorativa, e, quindi, aveva scorporato il quantum di danno attribuibile a causa e(...)tralavorativa, e di aver utilizzato, allo scopo, per lo scorporo della socio-presbioacusia (la presbiacusia è espressione di un fisiologico invecchiamento dell'apparato acustico, e la socio-acusia è dovuta all'inquinamento acustico ambientale), la tabella (...) relativa all'innalzamento della soglia acustica attribuibile alla socioacusia, e, tanto in sintonia con quanto stabilito anche dalla Cassazione nella sentenza n. 6846/92. In condivisione dei rilievi del consulente, frutto di accurati accertamenti diagnostici e privi di vizi logico-giuridici, il Tribunale di (...) escludeva la sussistenza di un aggravamento della malattia professionale e rigettava la domanda. Con un unico articolato motivo l'appellante censura la sentenza per aver acriticamente recepito le conclusioni del ctu, e per aver perciò ritenuto corretta l'applicazione al caso di specie delle tabelle sec. (...) di indennizzo del danno biologico di cui al D.M. 12.07.2000 laddove, invece, poiché la patologia della ipoacusia neurosensoriale bilaterale gli era già stata riconosciuta sin dal 23.2.1996 (e, quindi, da epoca precedente all'entrata in vigore del D.Lgs. 38/2000), e venendo perciò in rilievo solo la revisione della percentuale di inabilità derivatane, la normativa applicabile era quella prevista dall'art. 74 T.U. 1124/1965. (...) mette in risalto che, non a caso, il giudice, nel conferire l'incarico al ctu, aveva indicato i confini entro cui procedere alla valutazione del danno acustico, ed aveva fatto espresso riferimento alla normativa del 1965. Rimarca altresì - in merito alla operata decurtazione dei postumi permanenti in considerazione degli effetti di cui alla "socio/presbioacusia" (tab. sec. Rossi) - che lo stesso (...) non aveva mai fatto riferimento ad una valutazione secondo il metodo (...) né in fase di primo riconoscimento (9%), né in fase di prima revisione passiva (del 2008), di modo che anche per l'istanza di revisione passiva del 2018 doveva seguirsi la medesima metodologia prevista dalla circolare n. 22/1994. (...) è fondato. Con il gravame il (...) sollecita la questione di quale sia la disciplina applicabile nelle ipotesi in cui da una malattia professionale denunciata (e accertata) anteriormente alla data di entrata in vigore del sistema indennitario regolato dall'art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000 derivino postumi che si evidenzino successivamente a tale data. Invero, l'art.13 al comma 2 prevede che in ipotesi di danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi nonché a malattie professionali denunciate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'(...) in luogo della prestazione di cui al testo unico n. 1124 del 1965, art. 66 comma 1 n. 2), eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle disposizioni dettate in seguito dallo stesso articolo ed includenti, come è noto, anche il danno biologico nell'ipotesi in cui la percentuale di menomazione superi il 16 per cento nonché il solo danno biologico, in capitale, tra il 6 e il 15 per cento di menomazione. Dette menomazioni, conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica di cui all'art. 13 comma 1 sono valutate in base a specifica 'tabella delle menomazioni', comprensiva degli aspetti dinamico relazionali ed ai sensi del comma 3, i relativi criteri applicativi e i successivi adeguamenti sono approvati con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale su delibera del consiglio di amministrazione dell'(...) Orbene, in continuità con il pensiero della Suprema Corte, deve dirsi che la disciplina applicabile sia quella anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 38/2000. Giova riportare il passaggio qui di interesse riportato nella sentenza n 23892 del 2012. "Questa Corte di cassazione (Cassazione 4 febbraio 2015, n. 1998, Cass n 9956 del 2011) ha affermato che il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 si applica unicamente ai danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all'entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000, recante le tabelle valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia (od infortunio) denunciata dall'interessato prima del 9 agosto 2000, la stessa deve essere valutata in termini d'incidenza sull'attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74, e può dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10 per cento. Il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 ha introdotto un nuovo sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, prevedendo, per la prima volta, la liquidazione del danno biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito), in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore ed aggiungendo in quest'ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell'assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti. In precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, stabilita dal D.P.R. n. 1124 del 1965, prevedeva viceversa un indennizzo dei postumi permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del 10%, secondo quanto stabilito dall'art. 74 D.P.R. citato, superata anche in caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8). Tale diversità di disciplina giustifica la disposizione della L. n. 38 del 2000, art. 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente per "i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5", (poi emanato il 12 luglio 2000, laddove la locuzione "verificatisi o denunciati" si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52 e 53 e non ai danni che superino la soglia indicata dalla legge, accertabili unicamente a posteriori anche quanto alla decorrenza degli stessi (diversamente, del resto, ne deriverebbe l'impossibilità di stabilire a priori i criteri con cui operare la valutazione in un caso, come quello in esame, di manifestazione successiva dei danni da infortunio occorso e denunciata prima della nuova disciplina), (cfr. ord. sez. lav. n. 9956/2011)." Stando così le cose, poiché nel caso in esame la malattia della ipoacusia di cui si rivendica in questa sede l'aggravamento è stata denunciata ed accertata sin dal 1996, vi è che i relativi postumi permanenti vanno valutati in termini di incidenza sulla attitudine al lavoro, e, quindi, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, non può farsi riferimento, come invece ha fatto il ctu, e con lui il primo giudice, alla disciplina vigente al momento di manifestazione dell'asserito aggravamento, verificatosi molti anni dopo. La sentenza impugnata ha quindi errato perchè, nel far proprie le conclusioni del ctu, ha aderito alla tesi sostenuta dal ctu nel corpo dell'elaborato peritale della applicabilità della disciplina di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000, in luogo del previgente regime di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, regime secondo cui l'indennizzo a carico dell'(...) si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa. Non a caso il giudice aveva espressamente indicato al ctu nel TU 1124/1965 la disciplina da tenere a mente nel compiere gli accertamenti peritali; invero, nel quesito il giudice aveva assegnato al ctu dott (...) (...) di accertare, in relazione alla malattia professionale 'ipoacusia percettiva bilaterale', "se siano risultati postumi superiori rispetto a quelli già riconosciuti dall'(...) pari al 12%, ai sensi della disciplina prevista T.U. n 1124/65 (ratione temporis applicabile); in caso di risposta affermativa, ne quantifichi la relativa percentuale e la relativa data di decorrenza". In ragione della fondatezza delle censure espresse nel gravame, la Corte ha ritenuto necessario disporre consulenza medico legale. Al ctu, dott. (...) ha posto il seguente quesito: " accerti il ctu, in relazione alla malattia professionale già riconosciuta dall'(...) con postumi nella misura del 12% a decorrere dal 23.2.1996, se in capo all'appellante vi siano postumi superiori rispetto a quelli già riconosciuti dall'(...) facendo applicazione della disciplina prevista dal T.U n 1124/65, in quanto ratione temporis applicabile (dovendo i postumi essere valutati in termini di incidenza sulla attitudine al, e, in caso di esito positivo, ne quantifichi la percentuale relativa e la decorrenza; compia il c.t.u. ogni altro accertamento utile a fini di causa"". Con elaborato coerente con i quesiti posti, congruamente motivato e sulla base di adeguati procedimenti di esame e verifica, il dott. (...) ha riconosciuto in capo al (...) affetto da 'ipoacusia neurosensoriale bilaterale', una inabilità definitiva del 16% (sedici per cento) con decorrenza da data di revisione (01-11-2018). Preliminarmente, si è soffermato sulle peculiarità delle malattie connesse alla menomazione dell'udito, ed ha spiegato che questa si può manifestare in due forme: A) la menomazione è la conseguenza di un'esposizione al rumore insufficiente per provocare una distruzione permanente delle cellule sensoriali; perciò, il ricupero da questa menomazione avviene nel giro di alcune ore. Questa condizione viene comunemente chiamata "spostamento temporaneo di soglia dovuto a rumore" o "deficit uditivo transitorio" (TTS ? temporary threshold shift). B) l'esposizione breve a rumori di elevata intensità o l'esposizione prolungata a rumori di intensità inferiore (comunque almeno sopra gli 80 dB) provoca (può provocare) una lesione e quindi un danno permanente alle strutture neurosensoriali dell'apparato uditivo; questa condizione è chiamata "spostamento di soglia permanente provocata da rumore" o "deficit uditivo permanente" (PTS ? permanent threshold shift). In relazione alla tipologia temporale di esposizione al rumore è possibile distinguere: 1) Trauma acustico acuto 2) (...) acustico cronico Il trauma acustico cronico si manifesta in seguito a prolungate esposizioni ad un rumore di livello anche meno elevato. Il rischio di una lesione permanente aumenta se il soggetto che sia stato esposto ad una sovra stimolazione acustica viene esposto al rumore prima che abbia recuperato completamente la funzione uditiva. In altre parole sussiste un rapporto diretto tra entità del rumore e durata dell'esposizione. Stante la diversa suscettibilità individuale al rumore non è facile fissare un limite matematicamente certo al 100% tra rumore lesivo e rumore non lesivo. Tuttavia facendo riferimento alla tabella ISO 1999-1990 si conviene sul fatto che circa l'85% della popolazione possa subire un trauma acustico se esposto per 40 ore settimanali a un rumore di 90 dB. Infine va sottolineato che il rischio di contrarre una ipoacusia maggiore di 25 dB per esposizioni a 85 dB (...) per 35 anni, interessa solo il 6.5% dei soggetti. In base a ciò intensità inferiori producono entità ed epidemiologia di danno ancora ulteriormente inferiori, se non impercettibili e probabilistici. Il danno uditivo da rumore è irreversibile ma non evolutivo, una volta cessata l'esposizione ed è proporzionale alla quantità di energia che raggiunge la coclea nel tempo; dipende quindi da diversi fattori quali il livello sonoro e la durata dell'esposizione, che devono essere tali da provocare alterazioni a carico della coclea. Audiometricamente si può affermare che l'andamento del deficit può così essere riassunto: il danno uditivo, bilaterale e simmetrico (se da trauma acustico cronico da ambiente lavorativo), si evidenzia già nel primo anno espositivo, raggiunge il 90% dell'ampiezza attorno al 5° anno, crescendo infine con andamento asintotico tendente ai 60 dB, in media, fino ai 10 anni circa, sempre in funzione dell'intensità. ... Dal punto di vista squisitamente medico va affermato, quindi, che il danno cessa con l'interruzione della esposizione al rumore potenzialmente lesivo. Questo dato è ulteriormente avvalorato, come sottolineato, dalla evidenza dell'andamento sostanzialmente asintotico a 4k Hz del danno uditivo a partire dal 10° anno circa di esposizione, pur permanendo il trauma sonoro, come è facilmente desumibile dal grafico. Dal punto di vista clinico per poter fare diagnosi di ipoacusia da rumore professionale (che è una diagnosi medica ben definita e definibile) vi deve essere l'incontro e, soprattutto, la contemporaneità, di tre dati essenziali: anamnesi e valutazione positiva per esposizione ad un rumore potenzialmente dannoso, entità e tempo di esposizione del rumore tale da poter essere potenzialmente lesivi, riscontro clinico-strumentale di un deficit uditivo riconducibile a tale patogenesi." La disamina del ctu è proseguita su un ulteriore aspetto, afferente l'aggravamento della malattia. Al riguardo, il ctu ha affermato: "(...) alla definizione di aggravamento vanno esposti alcuni concetti. Già (...) e (...) nel 1961 avevano osservato che il danno da rumore ha evoluzione temporale specifica: o massima all'inizio dell'esposizione,o va poi riducendosi nel tempo, o si completa, sostanzialmente, nei primi 10 anni espositivi e ciò almeno per esposizioni costanti. Per poter parlare di aggravamento dell'indebolimento permanente del senso dell'udito di origine professionale, bisogna ricordare che secondo la norma ISO 1999-1990, l'evoluzione di un danno uditivo da rumore è massima nei primi 5-10 anni di esposizione, come già accennato, per poi tendere a rallentare quantitativamente successivamente. Ne deriva che un'evoluzione della soglia audiometrica, valutata sulla base del confronto tra due esami audiometrici, superiore alla variabilità test-retest (10 dB medi a 2-3-4 kHz secondo la norma (...) and (...) è riconducibile ad un danno da rumore solamente se accertata nei primi anni di esposizione, fatti salvi gli altri punti (bilateralità evoluzione di tipo neurosensoriale, sussistenza del nesso causale, morfologia compatibile della curva audiometrica) e fa scattare l'obbligo di redigere un nuovo referto. Nel periodo espositivo successivo, sempre in presenza di esposizione costante, le variazioni attese di soglia riconducibili al rumore sono per lo più inferiori al potere di risoluzione dell'audiometro (in genere 5 dB) ed alla variabilità del test (10 dB in condizioni controllate, di più nelle altre situazioni) ed è pertanto molto difficile poter ricondurre, con sufficiente certezza, un eventuale aggravamento ad un'origine professionale. In questi casi solamente un'attenta valutazione della morfologia dei tracciati, della storia clinica e lavorativa (meglio se eseguita da persone particolarmente esperte), e soprattutto di una conferma diagnostica (eventuale assenza di altre patologie dell'orecchio coesistenti, primitive precedenti e/o sopravvenute e/o coesistenti, seppur molte volte "sine causa"), può consentire di formulare un giudizio sulla riconducibilità dell'evoluzione peggiorativa ad un'origine professionale. In particolare non si ritiene possibile formulare limiti assoluti oltre i quali ritenere verificato l'aggravamento anche se vi è un consenso generale sul fatto che, nel caso del danno uditivo da rumore, debba essere valutato, sostanzialmente, solo sulle frequenze 2-3-4 kHz, fermi restando tutti i requisiti citati." Quindi, il ctu è passato ad esaminare nello specifico la vicenda del (...) e, dopo aver considerando che: "Il dato acclarato è che al sig. (...) da parte dell'(...) è stata prima riconosciuta una ipoacusia a genesi professionale e poi è stato anche riconosciuto un aggravamento della patologia. Attualmente è dibattuto il riconoscimento di una ulteriore quota di aggravamento della ipoacusia.". Il dott. (...) si è così espresso: " (...) gli esami audiometrici in atti in funzione dell'attività e della storia lavorativa, in sintesi si possono estrapolare alcune osservazioni fondamentali, poco considerate sino ad ora. Il sig. (...) ha iniziato a lavorare nel 1987. Pertanto, nel 1997 aveva 10 anni di esposizione; nel 2008 aveva accumulato 21 anni di esposizione; nel 2018 ben 31anni di esposizione. Successivamente, nel 2019, vi fu lo spostamento definitivo (come da anmnesi) in ambiente lavorativo del tutto diverso, con mansione amministrativa e risoluzione definitiva dell'eventuale esposizione. (...) ora gli esami audiometrici depositati in atti, ovviamente con la metodologia in vigore all'atto della prima domanda (1996) e cioè con la metodologia (...) del 1994, in vigore dal primo agosto 1994, si evince, in maniera trasparente, quanto segue. Esame della (...) del (...) presso l'(...) del 26-01-1989: nella norma. Esame della (...) del (...) presso l'(...) del 16-07-1993: inabilità del 7,46%. Esame della (...) del (...) presso l'(...) del 18-09-1997: inabilità 15,30%. (...) del 14-11-2008: inabilità del 15,90%. Appare macroscopicamente evidente che i valori di inabilità (e quindi le sottostanti soglie audiometriche e le relative variazioni nel tempo dell'ipoacusia) ricalcano per grandi linee quanto sopra esposto sulla evoluzione naturale nel tempo della ipoacusia da rumore professionale in costanza di esposizione. E questo dato è importante poiché è ampiamente noto che deficit audiometrici che insorgono ulteriormente e in particolare sulle frequenze gravi derivano da altre situazioni patogene che si inseriscono e ben oltre le banali socio-presbiacusie. Infatti le curve audiometriche del 03-12-2018 ((...), del 29-06-2015 del 26-11-2018 e del 06-12- 2021 ((...) di (...) assumono e mostrano una morfologia sostanzialmente denominata "(...) che, mostrando un deficit importante anche sulle basse frequenze, denota una fisiopatologia e patogenesi che nulla ha a che fare con la patologia iniziale in questione. (...) da rumore, come è noto, non mostra deficit degni di nota sulle frequenze gravi". Quindi, il dott. (...) - premesso di aver fatto ricorso alla "...metodologia in vigore all'atto della prima domanda (1996) e cioè con la metodologia (...) del 1994, in vigore dal primo agosto 1994" - ha rassegnato le seguenti conclusioni: "valutati tutti i dati ed i motivi anamnestici, lavorativi, tecnico-dottrinali e, soprattutto, audiologici in atti per poter considerare e valutare con ponderatezza l'aggravamento della ipoacusia, lamentato dal sig (...) aggravamento sempre eziopatogeneticamente riconducibile in maniera specifica ad una esposizione a rumore lavorativo, si può affermare, sostanzialmente in funzione degli esami audiometrici in atti, quanto segue: può essere riconosciuta una inabilità definitiva del 16% con decorrenza dalla data di revisione (1.11.2018)", ed ha espressamente ha dato conto che le parti non hanno pervenire osservazioni o contestazioni. Ebbene, le richiamate conclusioni vanno condivise. Né risultano inficiate nella loro validità dalle osservazioni rese in udienza dal difensore dell'(...) non solo perché tardivamente espresse (non avendo, si è detto, l'(...) inviato osservazioni alla bozza di perizia del ctu), ma anche perché l'ente assicuratore invoca ancora una volta una circostanza - l'essere stato adibito il (...) a mansioni di ufficio diverse da quelle di operaio inizialmente espletate - che il ctu (al quale peraltro è stato affidato l'incarico in ragione delle doglianze dell'appellante sulla disciplina applicabile ratione temporis ed in assenza di altre e diverse prospettazioni da parte dell'(...), ha tenuto nel debito conto e appositamente considerato, avendo espressamente richiamato 'lo spostamento definitivo (come da anamnesi) in ambiente lavorativo del tutto diverso, con mansione amministrativa'. (...) è fondato e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere riformata. Accolto l'appello, in riforma dell'impugnata sentenza, l'(...) va condannato ad erogare all'appellante la rendita nella misura del 16% con decorrenza dalla data di revisione (01-11-2018), oltre accessori come per legge. Le spese del doppio grado di giudizio e quelle di CTU vanno, pertanto, poste a carico dell'(...) soccombente. P. Q. M. definitivamente pronunziando sull'appello, proposto con ricorso del 21.12.2022, da (...) avverso la sentenza resa il (...) dal Tribunale di (...) nei confronti dell'(...) così provvede: accoglie l'appello, e, per l'effetto, in riforma della sentenza, condanna l'(...) a liquidare in favore di (...) la rendita per inabilità nella percentuale del 16% con decorrenza dal 1.11.2018, oltre accessori di legge; condanna l'(...) al pagamento in favore di (...) delle spese di entrambi i gradi del giudizio, che liquida, quelle di primo grado, in Euro 1.600,00 e, quelle di secondo grado, in Euro. 2.000,00, oltre rimborso forfettario delle spese, iva e cap come per legge; pone definitivamente a carico dell'(...) le spese di entrambe le ctu (...) deciso in (...) il (...) dott.ssa (...) estensore dott.ssa (...)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4859 del 2018, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Da. Gr., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (...), contro Au. per l'I. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ch. Ro., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Liguria, Sez. I, -OMISSIS- del 7 marzo 2018, resa tra le parti, concernente l'accertamento circa il superamento del limite di tollerabilità del rumore derivante dal traffico veicolare dell'autostrada A12, nel tratto prospiciente le abitazioni di proprietà dei ricorrenti ed il conseguente risarcimento danni. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Au. per l'I. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati Da. Gr. e Ch. Ro.. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con atto di citazione, notificato l'8 aprile 2014, i signori -OMISSIS-, -OMISSIS-, proprietari di immobili in -OMISSIS- in prossimità dell'autostrada A12 Genova-Livorno, convenivano Au. per l'I. dinanzi al Tribunale di Genova per sentir dichiarare che il rumore derivante dal traffico veicolare dell'autostrada, nel tratto prospiciente i loro immobili, superava il limite della normale tollerabilità e, comunque, il limite assoluto di immissione di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 142/2004. Gli stessi, chiedevano che, di conseguenza, la Società fosse condannata all'esecuzione delle opere, da indicarsi da parte del giudice adito, atte a ricondurre le denunciate immissioni acustiche nei limiti della normale tollerabilità nonché al risarcimento dei danni. 1.1 Il giudice civile, con sentenza n. -OMISSIS-, declinava la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo, ritenendo che la predisposizione delle barriere fonoassorbenti non costituiva comportamento di mero fatto della concessionaria, bensì "comportamento amministrativo" posto in essere in attuazione dei provvedimenti intesi al risanamento acustico della rete autostradale. 2. Con il ricorso iscritto al n. R.G. -OMISSIS- i ricorrenti hanno riassunto il giudizio innanzi al T.a.r. per la Liguria, il quale disponeva una verificazione per accertare il livello di rumorosità prodotto dal traffico autostradale. 3. Il T.a.r. adì to, con la sentenza -OMISSIS-, pubblicata il 07 marzo 2018, ha respinto il ricorso e condannato i ricorrenti alle spese di lite liquidate in favore di Au. per l'I. S.p.a. nell'importo complessivo di Euro 3.000,00 (euro tremila), oltre accessori. 4. Avverso tale pronuncia sono insorti i signori -OMISSIS-, con atto di appello notificato in data 28 maggio 2018 e depositato il 15 giugno 2018, per i motivi che saranno di seguito esaminati. 4.1. Con il primo motivo, gli appellanti contestano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto inammissibile la doglianza dei ricorrenti relativa alla discontinuità della barriera fonoassorbente "non essendo stato prodotto alcun principio di prova atto a dimostrare (non soltanto con riguardo alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, ma anche sul piano della validità della tesi in linea di principio) che la "distribuzione non continua" della barriera possa aver determinato il preteso aggravamento del fenomeno acustico ovvero che la "distribuzione continua" della barriera medesima sia in grado di ridurlo in modo apprezzabile". Al contrario, gli appellanti deducono che: - la relazione del CTP -OMISSIS- avrebbe chiarito che l'attuale conformazione della barriera (unica rilevante nella fattispecie) determina il superamento dei limiti di tollerabilità ; - l'intervento eseguito dalla Società Au. per l'I. si sarebbe rivelato peggiorativo della già critica precedente situazione (che invero doveva risolvere) creando, attraverso la costruzione di barriere non uniformi sul tratto di strada in questione, un incanalamento delle immissioni sonore solo ed esclusivamente verso le abitazioni dei ricorrenti, i quali hanno subito gravi danni patrimoniali e non, atteso che dette immissioni raggiungono livelli intollerabili, superando i limiti imposti ex lege; - non parrebbe sia motivo valido per pretendere l'accesso dalla servitù di passo concessa a suo tempo, con modalità che in tale area sono in totale contrasto con il RU, il fatto che gli appellati, successivamente alla richiesta di costituzione della predetta servitù a loro favore sulla proprietà comunale, hanno presentato un progetto che, per loro stessa volontà ed iniziativa, prevede la costruzione di manufatti su tutto il tratto a confine della via pubblica, così determinando l'asserita interclusione. 4.2. Con il secondo motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "non può farsi applicazione del cosiddetto criterio comparativo, che assume come punto di riferimento il rumore di fondo della zona e lo confronta con il livello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, ma si deve avere esclusivo riguardo ai valori di tipo assoluto stabiliti dalla normativa tecnica speciale di cui al d.P.R. 30 marzo 2004, n. 142, recante disposizioni per il contenimento e la prevenzione dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare". Al contrario, sostengono gli appellanti che: - il T.a.r. avrebbe travisato la stessa relazione del verificatore, nella quale si legge che "sebbene il criterio comparativo, quello impiegato nella valutazione della normale tollerabilità, possa sembrare simile a quello del superamento vigente nella norma amministrativa", i "descrittori utilizzati possono essere diversi" e, comunque, per le infrastrutture di trasporto "i limiti stabiliti dalla legge sono descritti da valori energetici di tipo assoluto", nel caso di specie "ampiamente rispettati", e non sarebbe possibile "ricondurre le immissioni sonore" in questione "a giudizi di 'normale tollerabilità "; - la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto occasione di affermare che in tema di immissioni rumorose, non vi siano ostacoli all'applicabilità del criterio comparativo differenziale per determinare la soglia dell'intollerabilità anche nei rapporti tra i privati ed i concessionari della pubblica amministrazione, che comunque sono tenuti ad osservare gli standard ambientali; perciò l'art. 844 c.c., quale norma che disciplina in generale le immissioni, detta un parametro di riferimento che può essere utilmente applicato analogicamente anche ai rapporti con il concessionario della pubblica amministrazione. 4.3. Con il terzo motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "il verificatore ha sostanzialmente confermato le risultanze del collaudo acustico eseguito dalla Società concessionaria nel mese di settembre del 2016 (che non aveva interessato solamente l'immobile -OMISSIS-, i quali, con nota agli atti, si erano rifiutati di offrire la propria collaborazione). Gli accertamenti fonometrici effettuati dall'A.R.P.A.L. hanno dimostrato, infatti, che i limiti fissati dal d.P.R. n. 142/2004 sono ampiamente rispettati presso tutti i ricettori. In assenza di qualsiasi violazione dei valori normativamente stabiliti, occorre concludere nel senso che le immissioni acustiche provocate dal traffico autostradale non eccedano la soglia della normale tollerabilità ". Al contrario, gli appellanti deducono che: - relativamente alle operazioni di collaudo avvenute nell'anno 2016, la comunicazione a firma dei signori -OMISSIS-, in data 8.01.2017, non sarebbe volta ad ostacolare l'esecuzione del collaudo acustico, come erroneamente affermato dal primo Giudice, ma a sottolineare come le operazioni venivano effettuate in un periodo di bassa stagione (metà gennaio 2014), in cui vi è notoriamente un calo del traffico attesa la fine delle festività natalizie; - tutti i risultati delle operazioni svolte dal verificatore sono stati puntualmente contestati come emerge chiaramente dalla memoria di primo grado in data 10.02.2017, in quanto irrilevanti poiché dette operazioni sono state svolte in periodi dell'anno di bassa stagione, in cui -come detto- il traffico veicolare subisce una forte diminuzione; - il primo Giudice ha omesso di rilevare che la continua sottoposizione dei ricorrenti alle predette immissioni rumorose, che per intensità e persistenza superano la normale tollerabilità, non solo ha inciso ed incide sulla possibilità di utilizzazione degli immobili - la quale è fortemente limitata con conseguente svalutazione economica degli stessi - ma è causa dell'insorgere di diverse patologie sia fisiche che psichiche, di cui i ricorrenti soffrono da anni e che vanno acutizzandosi con il passare del tempo, a maggior ragione a seguito dell'intervento da ultimo realizzato. 4.4. Con il quarto motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha ritenuto che "gli elementi forniti dal verificatore consentono anche di individuare la reale causa della situazione di disagio denunciata dai ricorrenti, non ascrivibile a negligenze della concessionaria del servizio (la quale ha comunque provveduto all'installazione delle barriere acustiche lungo un tratto di autostrada che ne era privo), ma alla stessa ubicazione delle loro abitazioni che, essendo sopraelevate rispetto alla carreggiata autostradale e non addossate ad essa, risultano inevitabilmente colpite dalla propagazione del rumore verso l'alto". Al contrario gli appellanti deducono che: - gli immobili di proprietà degli odierni appellanti sono preesistenti alla costruzione dell'autostrada A12 ed in ogni caso essi non possono essere costretti a sopportare i rumori provenienti da detto tratto autostradale, a maggior ragione se tali rumori sono stati oggetto di un brusco aumento tale da superare le soglie della normale tollerabilità previste ex lege (come avvenuto e tutt'ora avviene nel caso di specie); - la Società Autostrade, contrariamente a quanto asserito dal primo Giudice, doveva farsi carico della risoluzione di dette problematiche che si sono acuite nel tempo, da un lato per la nota maggior intensità del traffico autostradale registrato negli ultimi due decenni, dall'altro a causa del posizionamento di barriere fonoassorbenti da parte della stessa in un modo tale da aver peggiorato lo stato dei luoghi e ciò nell'ambito di un Progetto di risanamento acustico che invero le note criticità doveva risolvere. Infatti, l'aver omesso, nell'ambito del predetto Progetto, inspiegabilmente di costruire barriere fonoassorbenti nel tratto di strada in questione (e solo in questo poiché in quello immediatamente precedente e quello immediatamente successivo le barriere sono invece presenti) ha avuto quale conseguenza il convogliamento di tutte le onde acustiche verso le abitazioni dei ricorrenti, fatto che ha peggiorato la situazione preesistente. 4.5. Con il quinto motivo, gli appellanti censurano il capo della sentenza gravata laddove ha disatteso la domanda risarcitoria formulata in primo grado, affermando "l'insussistenza del denunciato fatto lesivo e, quindi, l'infondatezza della pretesa risarcitoria". Sul punto, gli appellanti deducono che: - sussiste l'evento dannoso, posto che l'illegittima collocazione delle barriere de quibus determina un pregiudizio per gli appellanti, i quali sono costretti a sopportare l'emissione di rumori oltre i limiti di legge, o comunque oltre la normale tollerabilità ; - sussiste l'ingiustizia del danno, posto che si è verificata la lesione di un interesse giuridico meritevole di tutela ad un bene della vita e che il danno sofferto dalla ricorrente deriva, come osservato, da una condotta non giustificata dall'ordinamento, avendo - la concessionaria - adottato un comportamento in violazione della disciplina normativa di cui ai motivi di ricorso sopra riportati; - sussiste altresì la riferibilità del danno sofferto alla Società resistente, considerato che tale danno è certamente addebitabile alla condotta antigiuridica della Società Au. che, in assenza dei necessari presupposti, ha proceduto alla collocazione delle barriere; - sussiste infine l'imputabilità del danno a dolo o colpa della Società resistente considerato che i pregiudizi subiti dai ricorrenti sono esclusivamente imputabili all'inescusabile violazione, da parte dell'Amministrazione, delle regole e dei principi che governano l'azione amministrativa. 5. Gli appellanti hanno quindi concluso affinché questo giudice d'appello, in accoglimento del gravame, accerti e dichiari l'intollerabilità del rumore lamentato con condanna di parte appellata al risarcimento del danno ed alle spese di giudizio. 6. In data 22 febbraio 2019 Au. per l'I. si è costituita in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame con vittoria di spese. 7. In prosieguo di giudizio entrambe le parti hanno depositato memorie, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni. 8. Alla udienza straordinaria del 7 febbraio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8.1. Nel corso della discussione parte appellante ha richiamato le difese esplicate in sede di memoria di replica al fine di richiamare la giurisprudenza della Cassazione che auspica una lettura costituzionalmente orientata del diritto fondamentale alla salute. Ha evidenziato, altresì, che le misurazioni vanno fatte non con rispetto al limite tabellare assoluto, ma tenendo conto delle condizioni specifiche dello stato dei luoghi, così come previsto dall'art. 844 c.c., e che le abitazioni erano preesistenti all'asse autostradale Ha insistito per una CTU medico legale al fine di determinare il quantum del risarcimento. Parte appellata ha a sua volta insistito per il rigetto dell'avverso gravame evidenziando che in sede di memoria non si possono formulare motivi nuovi e che difetterebbe la prova del danno oltre che dello stesso fatto costitutivo. 9. L'appello è infondato. L'infondatezza del gravame consente di soprassedere alla disamina dell'eccezione di tardività del ricorso di primo grado sollevata da parte appellata. 9.1. Non coglie nel segno il primo motivo, col quale parte appellante richiama le risultanze della CTP in ordine alla incidenza della discontinuità della barriera fonoassorbente e più in generale alla "pesante situazione di inquinamento acustico" tale da inficiare la salute psicofisica degli appellanti. Tali considerazioni sono articolate per contestare il capo della sentenza col quale il T.a.r. ha giudicato inammissibili le relative deduzioni per difetto di ogni principio di prova. Occorre riportare il passaggio testuale della pronuncia impugnata sul punto avendo il T.a.r. esattamente evidenziato, in disparte il pur rilevato profilo di inammissibilità, che "la relazione del verificatore attesta, ad ogni buon conto, che l'erezione delle barriere fonoassorbenti ha permesso una effettiva, seppur contenuta, attenuazione del rumore, cui vanno sommati i benefici derivanti dalla prevista stesura di manto drenante fonoassorbente". Tali considerazioni del T.a.r. si pongono quindi sul piano del merito, così da doversi ritenere assorbita ogni valutazione afferente all'ammissibilità della deduzione, di tal che l'indagine anche sotto tal profilo non può fare a meno, nell'apprezzare la fondatezza degli ulteriori motivi di parte appellante, di valorizzare l'esito della verificazione disposta dal giudice di prime cure, che ha ravvisato "il rispetto dei limiti dell'infrastruttura di trasporto presso tutti i ricettori, sia nella fascia di pertinenza A (0-100 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale), sia nella fascia di pertinenza B (100-250 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale), come anche nella zona assoggettata ai limiti stabiliti dalla classificazione acustica comunale (oltre i 250 m dal bordo esterno della carreggiata autostradale)". 9.2. Ritiene quindi il Collegio che, nell'economia complessiva delle deduzioni di parte appellante, assumono un rilievo determinante le risultanze della verificazione disposta in prime cure e che sono tali da consentire di respingere non solo il primo motivo, ma anche quelli sub II-IV). Parte appellante sostiene, in sostanza, che trovi applicazione l'articolo 844 c.c. ma a ciò effettivamente osta la legge quadro n° 447/1995, con la quale sono stati dettati i principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, con esplicita eccezione per le infrastrutture dei trasporti, demandando (art. 11) a specifici regolamenti di attuazione, distinti per sorgente sonora, la disciplina dell'inquinamento acustico avente origine dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo. Conviene riportare il testo della norma che così si esprime: "1. Con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri della salute, delle infrastrutture e dei trasporti, della difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo e dello sviluppo economico, secondo le rispettive competenze, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono adottati uno o più regolamenti, distinti per sorgente sonora relativamente alla disciplina dell'inquinamento acustico avente origine dal traffico marittimo, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, dagli impianti di risalita a fune e a cremagliera, dagli eliporti, dagli spettacoli dal vivo, nonché dagli impianti eolici". In effetti, in data 1.6.2004, veniva pubblicato in GU il d.P.R. n. 142/04 recante "Disposizioni per il contenimento e la prevenzione dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare a norma dell'art. 11 della legge 447/1995". Tali previsioni in applicazione delle statuizioni recate dalla legge previa ha stabilito il rispetto di valori limite di immissione sonora a seconda che si tratti o meno di infrastrutture di nuova realizzazione. L'art. 2, comma 3 del citato decreto prevede, infatti, che "Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano: a) alle infrastrutture esistenti, al loro ampliamento in sede e alle nuove infrastrutture in affiancamento a quelle esistenti, alle loro varianti; b) alle infrastrutture di nuova realizzazione.". Il d.P.R. in commento introduce quindi una disciplina ad hoc che, nel chiaro intento di mediare esigenze contrapposte, ovverosia quella di assicurare dei limiti di tollerabilità acustica specifici e dettagliati, assorbe e supera la disciplina generale di cui al menzionato art. 844 c.c. 9.3. Parte appellante nel reiterare le censure di primo grado formula alcuni rilievi critici nei riguardi della relazione di verificazione che risulta invece dettagliata oltre che argomentata rilevandosi, tra l'altro, che "sugli interventi di risanamento specifici realizzati si può dire che quello denominato 25W (barriera fonoassorbente opaca) è stata giustamente collocata in spartitraffico perché la sorgente principale di rumore risulta la carreggiata ovest (lato mare), in quanto quella est (lato monte) è già protetta da un muraglione di contenimento. La stessa non è stata proseguita a sud-est per lasciare il varco di sicurezza per gli scambi di carreggiata. Quindi, sempre in spartitraffico, in prossimità -OMISSIS-, è stato realizzato l'intervento 26W (barriera trasparente riflettente), a protezione di ricettori (-OMISSIS-) posti dall'altro lato dell'infrastruttura rispetto a quello indagato in questa campagna di rilevazioni" (cfr. pagina 9 della relazione di verificazione). 9.3.1. I motivi in esame, come detto suscettibili per il loro tenore di trattazione congiunta, risultano pertanto infondati, dovendosi ulteriormente rilevare che: - per quanto riguarda le considerazioni formulate in seno al primo motivo, suffragate dalle risultanze della CTP, in ordine alla pretesa necessità di "barriere fonoassorbenti non discontinue" e di un "tunnel fonoassorbente" per l'abitazione -OMISSIS-, esse sono adeguatamente contraddette dalla relazione del CTU in ordine al generale rispetto dei limiti di immissioni sonore nel tratto autostradale in considerazione; - non può essere condiviso quanto dedotto in merito all'errore nel quale sarebbe incorso il primo giudice laddove ha ritenuto non applicabile il cd. criterio comparativo differenziale, in quanto, contrariamente a quanto opinato da parte appellante, ciò è da escludersi avuto riguardo a quanto stabilito dalla su richiamata normativa di riferimento e dalle chiare considerazioni finali del verificatore; né può ipotizzarsi un profilo di contrasto tra la sentenza e la previa ordinanza istruttoria, in quanto la valutazione delle risultanze così acquisite spetta al giudice del merito (Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3025: "Laddove però il giudice amministrativo abbia ritenuto di dover disporre una verificazione, in quanto abbia rilevato la sussistenza dei presupposti che ne consiglino lo svolgimento al fine della completezza istruttoria, egli ben può affidarsi alla relazione conclusiva prodotta dal verificatore al fine di cogliere i profili tecnici necessari per giungere alla definizione della controversia"); - l'appellante contesta altresì, col terzo motivo, il passaggio lessicale della impugnata pronuncia (sub 4), col quale il T.a.r. ha rilevato che "il verificatore ha sostanzialmente confermato le risultanze del collaudo acustico eseguito dalla Società concessionaria nel mese di settembre del 2016 (che non aveva interessato solamente l'immobile -OMISSIS- i quali, con nota agli atti, si erano rifiutati di offrire la propria collaborazione). Gli accertamenti fonometrici effettuati dall'A.R.P.A.L. hanno dimostrato, infatti, che i limiti fissati dal d.P.R. n. 142/2004 sono ampiamente rispettati presso tutti i ricettori. In assenza di qualsiasi violazione dei valori normativamente stabiliti, occorre concludere nel senso che le immissioni acustiche provocate dal traffico autostradale non eccedano la soglia della normale tollerabilità "; - le doglianze sul punto di parte appellante non sono in grado di inficiare le statuizioni del T.a.r. con le quali ha valorizzato le risultanze della verificazione in quanto, per ciò che attiene alla collocazione temporale delle operazioni di rilevazione acustica, queste, come precisato in sede di relazione, sono state svolte "nel mese di luglio" (cfr. relazione di verificazione, pagina 2) e pertanto proprio nel periodo di massima intensità del traffico veicolare, fermo restando che, come precisato dallo stesso verificatore, "aumenti considerevoli del traffico in talune circostanze, comportano una diminuzione della velocità media, il cui effetto va quindi a compensare la variazione positiva che si avrebbe sui livelli di rumore registrabili" (cfr. pagina 2); - nemmeno può darsi rilievo a quanto valorizzato da parte appellante in ordine al fatto di avere, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., effettuato precise contestazioni circa il corretto espletamento delle operazioni di verificazione, le cui risultanze, ut supra evidenziato, sono suffragate da ampie argomentazioni e riscontri fattuali; - pertanto è suscettibile di conferma in questa sede il capo della sentenza col quale il T.a.r. ha fatto proprie le relative conclusioni; ne consegue che i disagi fisici e psicologici (oltre che i danni economici derivanti dal deprezzamento degli immobili) degli abitanti della zona, evidenziati da parte appellante col motivo in esame, non possono suffragare ex se le domanda di parte in ragione di quanto accertato in ordine al rispetto dei limiti delle immissioni sonore contemplati in sede ordinamentale; - nemmeno fondato è quanto ulteriormente dedotto col quarto mezzo, col quale si contesta il passaggio motivazionale della sentenza appellata col quale si evidenzia la stessa collocazione delle abitazioni essendo "sopraelevate rispetto alla carreggiata autostradale e non addossate ad essa, risultano inevitabilmente colpite dalla propagazione del rumore verso l'alto"; - invero trattasi di una circostanza fattuale evidenziata dal verificatore e comprovata dalla stessa documentazione fotografica ad essa allegata, la quale ha un'oggettiva ricaduta sulla praticabilità ed efficacia di interventi atti a ridurre le immissioni sonore e che è stata valorizzata dal verificatore secondo criteri coerenti con ineludibili esigenze di logica e razionalità ; - non rileva, infine, quanto dedotto a proposito della preesistenza degli immobili degli appellanti rispetto alla costruzione dell'autostrada A12 e del "convogliamento di tutte le onde acustiche verso le abitazioni dei ricorrenti" essendo circostanze che non possono influire sull'esito delle operazioni di verificazione sopra evidenziate. 9.4. Ne deriva che vanno respinte tutte le deduzioni sollevate da parte appellante in uno alla domanda risarcitoria quivi riproposta col quinto motivo, a sua volta pertanto da reputare infondato per insussistenza dei presupposti di un danno risarcibile. Ne consegue l'insussistenza di ogni esigenza istruttoria legata alla rappresentata necessità di determinare con esattezza il quantum del risarcimento. 10. Tanto premesso, l'appello deve essere respinto. 11. La complessità e la peculiarità della vicenda suggeriscono di compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 4859/2018), lo respinge. Spese di grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante "Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia", convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 1279 del 2024, proposto dal Comune di Andria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. De Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro la società Do. In. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ge. Ro. No., Ca. Ta. e Mi. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; la Provincia di Barletta Andria Trani, la Regione Puglia, la ASSET- Agenzia Regionale Strategica per lo Sviluppo ecosostenibile del Territorio, non costituite in giudizio; nei confronti dei signori Mi. Di Lo. ed altri, della Azienda agricola Ss. Sa. di Ci. Ra. e Ci. Ni. Soc. agricola dell'associazione Fo. Am., del signor Gi. Ma. quale presidente delle associazioni Se. Li., Fo. Am. Sa. e Ri. Ri. e di It. No. associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, non costituiti in giudizio; per la riforma, previa cautela della sentenza del T.a.r. Puglia, sede di Bari, sez. II, 31 gennaio 2024 n. 117, che ha pronunciato sui ricorsi riuniti nn. 1451/2022 e 18/2023 R.G. proposti: per l'ottemperanza alle sentenze dello stesso Tribunale sez. II, 1 giugno 2022 n. 814 e n. 815, con le quali sono stati accolti rispettivamente i ricorsi nn. 767/2021 e 768/2021 R.G. proposti per l'annullamento dei seguenti atti del Comune di Andria, concernenti il progetto dei lavori di completamento della tangenziale ovest di Andria, SP2 dal km (omissis) al km (omissis) così come approvato con deliberazione dalla Giunta della Provincia di Barletta-Trani-Andria 5 agosto 2014 n. 80: a) della deliberazione 27 aprile 2021 n. 28, pubblicata all'albo pretorio dal 4 maggio successivo, con cui il Consiglio comunale ha negato ai fini urbanistici l'approvazione del progetto definitivo dell'opera e della corrispondente variante allo strumento urbanistico; degli atti connessi, e in particolare: b) della deliberazione 15 aprile 2019 n. 21, con la quale il Consiglio comunale si è opposto all'opera; c) della nota 5 agosto 2020 prot. n. 63259 del Sindaco; d) della relazione analisi di fattibilità della ASST- Agenzia regionale strategica per lo sviluppo del territorio, acquisita dal Comune con atto 20 agosto 2020 prot. n. 67705; nonché (istanza depositata il giorno 4 ottobre 2023 nel ricorso n. 1451/2022 R.G.) per la dichiarazione di nullità ovvero l'annullamento della deliberazione 10 luglio 2023 n. 39, pubblicata all'albo pretorio dal 13 luglio successivo, con cui il Consiglio comunale ha nuovamente negato l'approvazione del progetto definitivo e della corrispondente variante di cui sopra. In particolare, la sentenza ha dichiarato la nullità della deliberazione 10 luglio 2023 n. 39 predetta e assegnato termine di 30 giorni al nominato Commissario ad acta per l'approvazione della variante urbanistica relativamente al progetto definitivo dell'opera pubblica in questione; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Do. In. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 1. Il Comune di Andria si oppone, da ultimo con la deliberazione del Consiglio 10 luglio 2023 n. 39 di cui in epigrafe, ad un'opera pubblica, ovvero ai lavori di completamento della tangenziale ovest di Andria, S.P. 2, dal Km (omissis) al Km (omissis), opera approvata dalla Provincia di Barletta-Trani-Andria, e affidati quanto alla progettazione esecutiva alla Do. In.. 2. Per chiarezza, va evidenziato che l'opera in questione, in sintesi estrema, consiste in una nuova strada che va a situarsi a sud dell'abitato di Andria - più a sud rispetto all'attuale tracciato della S.P. 2 già denominata S.S. 98- ed è composta da un asse viario della lunghezza di circa 9 km, costituito da due carreggiate con 4 corsie con sezione minima di 22 metri, comprende inoltre tre svincoli complessi, quattro cavalcavia, due viadotti il primo di 155 metri e quattro campate, il secondo di 30 metri e cinque campate, e tre sottopassi (per tutto ciò, si veda la sentenza della Sezione 11 luglio 2022 n. 5783, che ha deciso un contenzioso pure collegato all'opera stessa). 3. Per quanto qui direttamente interessa, l'opera stessa è compresa tra le opere di rilevanza strategica regionale e interregionale, finanziata con risorse assegnate con delibera CIPE 3 agosto 2011, a seguito di un'intesa istituzionale tra la Regione Puglia e il Ministero per i rapporti con le regioni (sentenza impugnata, p.3, fatto incontestato). 4. Il progetto preliminare dell'opera è stato approvato ancora con deliberazione della Giunta provinciale 6 giugno 2013 n. 43. 5. Con atto 10 giugno 2013 prot. n. 33825, la Provincia ha richiesto per essa la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale- VIA, cd decreto screening. 6. Successivamente, con determinazione 28 gennaio 2014 n. 142, resa al termine del procedimento di verifica, la Provincia ha ritenuto di procedere alla VIA vera e propria. 7. Nel contempo, con determinazione 4 dicembre 2014 n. 3234, la Provincia ha aggiudicato definitivamente alla Do. l'appalto dei relativi lavori, da eseguire previa acquisizione del progetto definitivo (cfr. sentenza impugnata, fatto storico incontestato). 8. Nell'ambito del procedimento di VIA, la Soprintendenza competente per territorio, con nota 21 febbraio 2018 prot. n. 1428, ha espresso parere contrario. 9. Per superare il dissenso di quest'amministrazione, è stata attivata la procedura di cui all'art. 14 quater comma 3 prima parte della l. 7 agosto 1990 n. 241 nel testo allora vigente, che prevedeva per dirimere il contrasto l'intervento del Consiglio dei Ministri. 10. Il Consiglio dei Ministri, con atto 15 ottobre 2018, pronunciato sulla base di un documento di sintesi 29 maggio 2018 prot. n. 20427 ha deliberato di consentire la prosecuzione del procedimento di VIA. 11. Con determinazione 22 novembre 2018 n. 1108 e n. 27 reg. settore, la Provincia ha quindi rilasciato la VIA. 12. Per inciso, con la sentenza 5783/2022 di cui si è detto, la Sezione ha respinto l'impugnazione di quest'atto proposta da alcuni dei proprietari espropriandi (per tutte queste vicende, cfr. la sentenza stessa). 13. Di seguito, la Provincia, con nota 30 luglio 2019 prot. n. 25130 ha diffidato il Comune di Andria ad adottare la corrispondente variante allo strumento urbanistico comunale, e ad apporre contestualmente il vincolo preordinato all'esproprio sui fondi interessati dall'intervento (fatto storico pacifico). 14. In risposta, il Comune ha invece adottato gli atti di cui in epigrafe, ovvero le deliberazioni del Consiglio 15 aprile 2019 n. 21 e 27 aprile 2021 n. 28, con le quali rispettivamente ha manifestato opposizione all'opera ed ha negato ai fini urbanistici l'approvazione del progetto definitivo dell'opera e della corrispondente variante allo strumento urbanistico; 15. Con le sentenze 814 e 815/2022 meglio indicate in epigrafe, il T.a.r. ha accolto i ricorsi proposti dalla Provincia e dall'impresa Do. contro questi atti ed ha in particolare stabilito che "in sede conformativa, il Comune di Andria dovrà lealmente adeguarsi al contenuto dell'attività pianificatoria sopra ricordata, nonché all'intendimento espresso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al disposto della presente sentenza, deliberando una nuova variante allo strumento urbanistico generale strettamente coerente con l'attività procedimentale pregressa e con quanto sin qui esposto". 16. Contro queste sentenze, il Comune ha rispettivamente proposto i ricorsi in appello nn. 6775 e 6888/2022 R.G. di questo Consiglio. 17. Questo Consiglio, con le sentenze 21 aprile 2023 nn. 4102 e 4103 della Sezione, ha respinto gli appelli suddetti. 18. Parallelamente, la Do., con il ricorso T.a.r. Puglia Bari n. 1451/2023 e la Provincia, con il ricorso T.a.r. Puglia Bari n. 18/2023, hanno chiesto l'ottemperanza alle sentenze di I grado di cui si è detto, ovvero la prima alla sentenza 815/2022 e la seconda alla sentenza 814/2022, stante l'inerzia del Comune 19. Con sentenze sez. II 15 maggio 2023 nn. 768 e 769, di identico contenuto, il T.a.r. Puglia Bari ha accolto questi due ricorsi, ha ordinato al Comune di "conformarsi lealmente" alle sentenze da ottemperare ed ha nominato per il caso di persistente inadempienza un commissario ad acta per provvedere. 20. Queste sentenze non sono state impugnate e sono passate in giudicato (cfr. sentenza impugnata, fatto non contestato) 21. A fronte di ciò, il Comune ha adottato la deliberazione del Consiglio 10 luglio 2023 n. 39 di cui in epigrafe (all. 2 in I grado Comune foliario 13 luglio 2023 nel ricorso 1451/2022), con la quale, in dichiarata esecuzione delle sentenze predette, ha nuovamente espresso diniego all'approvazione del progetto dell'opera e della variante urbanistica ad essa funzionale, con la motivazione che di seguito si riassume. 21.1 La deliberazione, in ordine logico, riassume la vicenda sin qui ricostruita e prende atto dell'annullamento disposto dalle sentenze alle quali il Comune deve ottemperare. 21.2 Ciò posto, ricorda in via preliminare il contenuto delle sentenze di questo Consiglio 4102 e 4103/2023 sopra citate, per cui "quando un'opera sia stata progettata e appaltata, con atti che non consta il Comune abbia impugnato ovvero contestato nelle debite sedi... la norma che impone all'ente di livello inferiore di conformarsi alla pianificazione sovraordinata non può essere letta in altro modo che nel senso del doveroso recepimento dell'opera stessa nei termini assentiti, salvo ovviamente il caso di sopravvenienze di fatto tali da mutare completamente la situazione di fatto presupposta... Non è invece comunque possibile un diniego puro e semplice come quello nella specie pronunciato, che equivarrebbe al riconoscimento di un potere di veto". 21.3 Su questa premessa, dà atto che il potere di pianificazione comunale deve essere riesercitato, con possibilità, appunto, di tenere motivatamente conto delle sopravvenienze. 21.4 In tal senso, la delibera dà allora atto che il Comune ha disposto istruttoria, affidata all'Avvocatura civica, chiedendo alla Regione, alla Provincia, alla Presidenza del Consiglio e alla ASST di relazionare su quattro aspetti, ovvero: a) la permanenza ed attuale sufficienza del finanziamento CIPE a suo tempo accordato per l'opera; b) la attualità dell'opera rispetto alle esigenze del territorio "nonché la sua compatibilità con la viabilità di accesso del nuovo ospedale"; c) la attualità dell'opera rispetto alla tematica del consumo di suolo, anche in rapporto all'alternativa di ammodernare la viabilità esistente; d) la possibilità attuale di "contrattualizzare alla data odierna il lavoro appaltato con la ditta aggiudicataria". 21.5 La delibera prosegue dando atto che a fronte di questa istruttoria vi è stata soltanto la risposta dell'ASST, che ha evidenziato una serie di criticità asseritamente sopravvenute, ovvero: a) il dato per cui tutti gli accessi al nuovo ospedale di Andria, progettato in epoca successiva alla strada per cui è processo e ancora da realizzare, sono previsti sulla viabilità esistente e non sulla nuova; b) il dato per cui il costo dell'intervento è notevolmente aumentato rispetto alle originarie previsioni del 2013-2014; c) il dato per cui la progettazione preliminare, risalente al 2013, non sarebbe in linea con i più recenti criteri di limitazione al consumo di suolo; d) la necessità, pur dopo realizzata l'opera, di proseguire con la manutenzione e l'adeguamento della viabilità esistente. 21.6 Ciò posto, la delibera evidenzia undici punti sulla base dei quali ritiene di non approvare il progetto e la variante, punti che corrispondono in massima parte a sopravvenienze. 21.6.1 Anzitutto (punto 1), la delibera evidenzia come "non risulta confermata la permanenza o meno alla data odierna del finanziamento CIPE" previsto per realizzare l'opera. Di conseguenza (punto 4) rileva che "non sono emerse conferme sulla possibilità per la Provincia di B.A.T. di contrattualizzare alla data odierna il lavoro appaltato". 21.6.2 Inoltre (punto 2), evidenzia che "la realizzazione della nuova strada comporterebbe oneri per il suo mantenimento, senza esimere l'Amministrazione Comunale dal provvedere alla necessaria manutenzione ordinaria e straordinaria del tracciato esistente e delle sue opere strutturali, da declassare a rango comunale, dalla quale si dovrà comunque accedere in sicurezza al nuovo plesso ospedaliero". 21.6.3 In ordine logico (punto 8), la delibera analizza infatti la problematica posta dal progetto del nuovo ospedale, che è successivo a quello dell'opera di cui si tratta: "neppure risulta chiarita la palese sovrapposizione del tracciato della strada con la localizzazione del nuovo ospedale ai sensi della normativa sull'inquinamento acustico e del rispetto delle distanze... per cui appare indispensabile svolgere una valutazione di impatto acustico previsionale, atteso il limite inderogabile previsto in materia di nosocomi ospedalieri... ed uno studio sulla interferenza della nuova strada con la localizzazione ospedaliera". La delibera ribadisce l'importanza dell'ospedale in questione, osservando che esso è "in posizione baricentrica rispetto al bacino demografico di riferimento e facilmente raggiungibile da tutti i Comuni circostanti per la presenza di varie strade di collegamento extraurbano statali e provinciali, in particolare della tangenziale (esistente) di Andria, la S.P.2." e sottolinea (punto 3) che "tutte le ipotesi progettuali relative al nuovo ospedale prevedono che i vari accessi si immettano sulla strada esistente e non sulla bretella viaria per cui sarebbe variante". 21.6.4 La delibera esprime poi una serie di perplessità sull'attuale adeguatezza del progetto originario dell'opera in questione, in quanto (punto 5) "non risulta essere stato presentato alcun progetto aggiornato alle norme tecniche sopravvenute (NTC 2018, alle modifiche intervenute sulle gestione di terra e rocce da scavo, alle nuove norme sulla pericolosità idraulica) all'aumento dei costi (prezzario lavori pubblici Luglio 2023) e allo stato dei luoghi in funzione del mutato quadro esigenziale", inoltre (punti 6 e 7) non risulterebbero svolte le consultazioni con gli interessati né predisposto il piano particellare degli espropri. 21.6.5 La delibera osserva ancora (punti 10 e 11) che "gli altri due lotti già realizzati, della odierna S.P. 2 relativi allo stesso progetto di messa in sicurezza, sono stati oggetto di interventi suppletivi in variante" che hanno comportato il loro declassamento, ciò che farebbe sorgere dubbi sull'effettiva necessità del nuovo percorso. 21.6.6 La delibera esprime poi una considerazione finale in ordine logico (punto 9), ovvero ritiene di ribadire "le motivazioni formulate nella precedente deliberazione di diniego, suffragate dall'alto profilo di discrezionalità amministrativa che compete alla P.A. nelle scelte di carattere urbanistico generale, che devono intendersi integralmente riproposte in questa sede". 22. A fronte di questa deliberazione, nel ricorso n. 18/2023, il commissario ad acta nominato nei termini di cui si è detto ha presentato un'istanza 20 luglio 2023 nel procedimento 18/2023, per sapere se le sentenze di cui sopra dovessero ritenersi ottemperate e quindi se egli fosse o no tenuto a proseguire il proprio incarico. 23. Sempre a fronte di questa deliberazione, la Do., nel ricorso n. 1451/2022, ha presentato, depositandola il giorno 4 ottobre 2023, un'istanza ai sensi dell'art. 114 comma 6 c.p.a., ovvero un reclamo al Giudice dell'ottemperanza "a valere anche come domanda di annullamento", perché ne fosse dichiarata la nullità ovvero pronunciato l'annullamento e perché invece fossero disposti gli adempimenti necessari per avviare l'opera. 24. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha riunito i due procedimenti ed ha deciso come ora si riassume. 24.1 In via preliminare, ha ritenuto di qualificare la domanda di caducazione della delibera 39/2023 come domanda di nullità di un atto in tesi lesivo del giudicato, e non come domanda di annullamento di un nuovo provvedimento, ed ha quindi respinto l'istanza di cambiamento del rito. 24.2 Sempre in via preliminare, ha dato atto della cessata materia del contendere sulla domanda di accesso agli atti presentata dalla Do., avendo il Comune messo a disposizione i documenti richiesti, come confermato dalla stessa Do.. Questo capo di sentenza non è stato impugnato. 24.3 Nel merito, il T.a.r. ha ritenuto che il Comune non abbia ottemperato all'ordine impartito con la sentenza 768/2023 sopra ricordata - e per vero anche con la sentenza 769/2023, identica nel contenuto- di lealmente ottemperare al giudicato formatosi sulle sentenze 814 e 815/2023 di cui si tratta, ed ha osservato che "leale ottemperanza avrebbe significato nulla di più e nulla di meno che rigorosa coerenza fra quanto previamente assentito in fase pianificatoria dal Comune di Andria e gli atti applicativi a valle a emanarsi al fine di concretizzare l'opera pubblica per come pianificata e concordata con tutti i numerosi Enti coinvolti nella sua realizzazione, a cominciare dalla Provincia" (motivazione, p. 15 quattordicesimo rigo dal basso). 24.4 Di conseguenza, ha dichiarato la nullità della delibera 39/2023 e reso noto al Commissario già nominato, in risposta all'istanza di questi, che "la detta deliberazione, in quanto nulla, non può in alcun modo considerarsi corretta ottemperanza alle sentenze sopra ricordate e che, conseguentemente" sarebbe stato suo compito, entro un termine di trenta giorni "provvedere alla emanazione dei provvedimenti consequenziali ed, in particolare, alla approvazione della variante urbanistica relativamente al progetto definitivo dell'opera pubblica in questione". 25. Contro questa sentenza, il Comune di Andria ha proposto impugnazione, con appello che contiene due complessi motivi, volti il primo a contestare il capo della sentenza di I grado che ha deciso sul ricorso della Provincia, ovvero sul ricorso 18/2023 (pp. 5-9) e il secondo volto a contestare il capo della stessa sentenza che ha deciso sul ricorso della Do., ovvero sul ricorso 18/2023 (pp. 9-13). 25.1 Con il primo motivo, il Comune deduce nella sostanza extrapetizione da parte del Giudice di I grado, il quale avrebbe deciso senza una domanda della parte, ovvero della Provincia. Il Comune evidenzia che la Provincia stessa, a fronte della più volte citata deliberazione 39/2023, non avrebbe in realtà assunto alcuna iniziativa e quindi sarebbe stata da considerare acquiescente all'atto. Sarebbe stato invece il commissario, così come si è detto, ad attivarsi con quella che andrebbe qualificata come una semplice istanza di chiarimenti. Sempre secondo questa interpretazione, l'istanza si sarebbe dovuta dichiarare improcedibile ovvero inammissibile, dal momento che, per pacifica giurisprudenza, la nomina del commissario ad acta non fa venir meno il potere dell'amministrazione di provvedere e quando questo potere, come nella specie, sia esercitato il Commissario decade automaticamente dall'incarico. Sempre in quest'ottica, la dichiarazione di nullità della delibera 39/2023 sarebbe irrilevante, perché disposta nel diverso procedimento 1451/2023. 25.2 Con il secondo motivo, deduce difetto di motivazione da parte della sentenza impugnata, che partirebbe, a suo dire, da un presupposto errato, ovvero dall'assunto per cui l'unica condotta da parte del Comune qualificabile come esatto adempimento del giudicato sarebbe quella "meramente approvativa della invocata variante" (appello, p. 10 prime righe). In realtà, nel caso di specie il Comune afferma di essersi semplicemente limitato a tener conto delle sopravvenienze, rilevanti anche, come si è detto, secondo quanto esplicitamente affermato dalle sentenze C.d.S. 4102 e 4103/2023 sopra citate, e di avere evidenziato che l'opera non è più conforme all'interesse pubblico, in modo a suo dire non contrastato dal ricorso della Do., che sarebbe centrato esclusivamente sulla presunta elusione del giudicato. 25.3 Contestualmente, ha proposto domanda cautelare, anche nelle forme del decreto presidenziale monocratico. 26. La Do. ha resistito, con atto 15 febbraio 2024 ed ha chiesto che l'appello sia respinto; con parallela memoria sempre del 15 febbraio 2024 si è opposta alla concessione della cautela monocratica 27. Con proprio decreto 17 febbraio 2024 n. 583, il Presidente ha respinto l'istanza relativa per mancanza di un pericolo di danno tale da non consentire di attendere la decisione collegiale. 28. Successivamente, la Do. ha precisato le proprie difese e riproposto ai sensi dell'art. 101 c.p.a. i motivi di ricorso di I grado assorbiti in quella sede con memorie distinte, entrambe del 27 febbraio 2024, così come segue. 29. Nella memoria difensiva, la Do. ha sostenuto nell'ordine che: a) il primo motivo di appello dedotto dal Comune sarebbe inammissibile per carenza di interesse, dato che la deliberazione 39/2023 è stata dichiarata nulla, e comunque sarebbe infondato, perché il commissario legittimamente ha chiesto informazioni sulla condotta da adottare nell'adempimento del compito affidatogli; b) l'appello sarebbe inammissibile nel suo complesso perché generico, in quanto non spiegherebbe quali sarebbero le sopravvenienze sulle quali si fonda la delibera 39/2023 stessa, non avendo riproposto le argomentazioni, comunque contestate, dedotte in I grado; c) l'appello sarebbe comunque infondato nel merito, dato che le pretese sopravvenienze ostative a realizzare l'opera non sarebbero tali. In particolare, il finanziamento sarebbe ancora disponibile (cfr. doc. ti 10, 10 bis, 10 ter e 11 in I grado controinteressata, attestazioni e delibere regionali e attestazione della Presidenza del Consiglio in merito) e nella progettazione del nuovo ospedale si sarebbe comunque tenuto conto dell'eventualità in cui la nuova opera per cui è causa verrebbe realizzata (doc. ti da 13 a 16 in I grado controinteressata). Inoltre, un aggiornato piano particellare di esproprio sarebbe stato in effetti predisposto (doc. 18 in I grado ricorrente appellante, avviso di avvio del procedimento); d) ciò posto, non sussisterebbe comunque il periculum, dato che anche l'approvazione della variante non comporterebbe, in attesa della decisione di merito, alcun pregiudizio concreto, dato che essa non sarebbe sufficiente a far avviare i lavori. 30. Nell'ulteriore memoria, la Do. ha riproposto gli undici motivi dedotti in I grado e dichiarati assorbiti, dei quali quattro, rubricati come motivi da A1 ad A4, sono direttamente inerenti la delibera 39/2023 e i restanti sette, rubricati da B1 a B7, erano già stati proposti contro la delibera 28/2021 dichiarata nulla e sono stati riproposti come vizi di illegittimità derivata in quanto ritenuti riprodotti dalla delibera 39/2023 stessa. 30.1 Con il primo motivo, rubricato come A1 alle pp. 2-5 dell'atto, deduce violazione del regolamento interno dell'Avvocatura comunale di Andria, sotto il profilo dell'incompetenza. Sostiene in particolare che l'Avvocatura comunale non avrebbe avuto competenza per svolgere l'istruttoria di cui la delibera 39/2023 dà atto (v. sopra § 21.4). 30.2 Con il secondo motivo, rubricato come A2 alle pp. 5-9 dell'atto, deduce eccesso di potere per carenza di istruttoria. Osserva che, come si è detto, il finanziamento è ancora disponibile, nei termini già spiegati e che dell'opera in esame la progettazione del nuovo ospedale terrebbe conto, quindi i dubbi del Comune in merito sarebbero infondati, 30.3 Con il terzo motivo, rubricato come A3 alle pp. 9-13 dell'atto, deduce ulteriore eccesso di potere e violazione del D.M. infrastrutture 17 gennaio 2018, e sostiene che non sarebbe richiesto alcun particolare adeguamento alle norme tecniche sopravvenute, dato che il decreto citato fa salve le opere, come quella per cui è causa, approvate in conformità alla normativa previgente. 30.4 Con il quarto motivo, rubricato come A4 alle pp. 13-15 dell'atto, deduce ancora eccesso di potere per falso presupposto, e sostiene come si è detto che il piano degli espropri sarebbe aggiornato. 30.5 Con il quinto motivo, rubricato come B1 alle pp. 16-19 dell'atto, deduce propriamente violazione dell'art. 20 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267 e degli artt. 4 e 5 della l.r. l.r. 15 dicembre 2000 n. 25 e sostiene in sintesi che il Comune sarebbe comunque tenuto ad approvare la variante relativa all'opera in quanto essa è prevista dalla pianificazione di livello superiore, come si è esposto sopra. 30.6 Con il sesto motivo, rubricato come B2 alle pp. 19-22 dell'atto, deduce contraddittorietà con precedenti atti, con i quali il Comune si sarebbe nella sostanza espresso in senso favorevole all'opera, in particolare nel corso della procedura di valutazione ambientale strategica. 30.7 Con il settimo motivo, rubricato come B3 alle pp. 22-23 dell'atto, deduce ulteriore falso presupposto, in quanto non sarebbe vero quanto afferma il Comune, ovvero che l'opera in questione non rispetterebbe un tratturello di interesse storico, contraddistinto dal n. 94. 30.8 Con l'ottavo motivo, rubricato come B4 alle pp. 24-26 dell'atto, ripropone nella sostanza i contenuti del secondo motivo, quanto alla localizzazione del nuovo ospedale. 30.9 Con il nono motivo, rubricato come B5 alle pp. 26-28 dell'atto, deduce falso presupposto quanto all'affermazione per cui realizzare l'opera per cui è causa comporterebbe oneri di manutenzione a carico del Comune, atteso che sia la nuova strada sia la viabilità preesistente rimarrebbero strade provinciali. 30.10 Con il decimo motivo, rubricato come B6 alle pp. 28.30 dell'atto, sostiene, sempre in sintesi, che sarebbero pretestuosi i rilievi svolti a proposito del consumo di suolo implicato dall'opera in progetto, dato che comunque ove essa non fosse realizzata, sarebbe necessario comunque adattare il tracciato esistente. 30.11 Con l'undicesimo motivo, rubricato come B7 alle pp. 30-33 dell'atto, richiama infine alcune pretese illogicità contenute nella motivazione della delibera 28/2021, che a suo dire la delibera 39/2023 riprodurrebbe. - Alla camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024, fissata con il decreto monocratico di cui sopra, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione, dopo aver avvisato le parti presenti della possibilità di definire la causa con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a. 31. Sussistono i presupposti per la decisone nella forma predetta, dato che il contraddittorio e l'istruttoria sono completi; l'ultima notifica del ricorso ha avuto poi luogo il 14 febbraio 2024 e quindi è decorso il termine di dieci giorni richiesto, termine dimezzato ai sensi degli artt. 60 e 87 c.p.a. 32. Tanto premesso, l'appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte, che consentono di prescindere dalle eccezioni processuali dedotte dalla controinteressata Do.. 33. E'infondato il primo motivo di appello, centrato su una presunta extrapetizione da parte della sentenza di I grado. È immediato notare che il commissario ad acta è stato nominato nei due procedimenti paralleli 1451/2022 e 18/2023, con le stesse identiche sentenze, 768 e 769/2023 e con gli stessi poteri e che in concreto si tratta del medesimo funzionario persona fisica. Quindi decidendo sull'istanza della Do. nel fascicolo 1451/2022 il Giudice di I grado ben poteva dare istruzioni al commissario già nominato, prescindendo dalle istruzioni da lui chieste nominalmente nell'ambito del fascicolo 18/2023, ma in realtà con riguardo al suo incarico in quanto tale. 34. Il secondo motivo di appello va esaminato congiuntamente ai primi quattro motivi di ricorso di I grado riproposti dalla controinteressata Do., in quanto tutti questi motivi ripropongono nel suo complesso la questione della legittimità della delibera 39/2023. In questi termini, il secondo motivo di appello in questione è infondato, mentre sono fondati nella parte rilevante i motivi riproposti, nei termini che seguono. Va precisato che i motivi riproposti in questione vanno qualificati, così come correttamente dedotto dalla parte, come motivi di illegittimità e non di nullità, dato che fanno valere un'illegittimità a sé stante della delibera 39/2023 e non un suo contrasto con precedenti giudicati. 34.1 Così come si è detto, il secondo motivo di appello contesta la sentenza di I grado, in sintesi estrema, per essersi limitata ad affermare che il Comune altro non avrebbe potuto fare se non approvare puramente e semplicemente la variante della quale si tratta. Come tale, se lo si esaminasse come un motivo a sé stante, potrebbe essere ritenuto in astratto fondato, perché quest'affermazione della sentenza di I grado in sé non è corretta, dato che il Comune poteva senz'altro tener conto delle sopravvenienze più volte citate. L'esame dei quattro motivi di ricorso di I grado ritualmente riproposti in questa sede porta però a respingere il motivo stesso, perché in concreto è illegittimo il contenuto della delibera 39/2023 che queste presunte sopravvenienze afferma di valorizzare. 34.2 Il primo motivo riproposto è infondato, dato che la eventuale incompetenza dell'Avvocatura comunale a svolgere l'istruttoria ad essa demandata è questione soltanto interna all'ente, riguardando la ripartizione dei compiti fra i vari uffici comunali, e come tale non influenza la legittimità dell'atto finale. 34.3 È invece fondato il secondo motivo riproposto. 34.3.1 Non è anzitutto vero quanto afferma la delibera 39/2023 circa il presunto venir meno del finanziamento, dato che, in base alle attestazioni diligentemente raccolte dalla Do., esso è tuttora disponibile (cfr. doc. ti 10, 10 bis, 10 ter e 11 in I grado controinteressata, cit.). 34.3.2 Inoltre, anche in questo caso sulla base dei documenti prodotti ((doc. ti da 13 a 16 in I grado controinteressata, cit.), non è vero che nella progettazione del nuovo ospedale non si sia considerata la necessità di coordinare il relativo progetto con quello dell'opera per cui è causa. Quanto afferma la deliberazione 39/2023, ovvero che allo stato gli accessi al nuovo ospedale sono stati progettati tenendo conto della viabilità esistente, non vale a dimostrare il contrario, essendo del tutto evidente che il progetto deve confrontarsi anzitutto con la realtà attuale, salvo un suo adeguamento nel momento in cui la situazione di fatto venisse a cambiare. 34.4 È fondato e va accolto anche il terzo motivo riproposto. 34.4.1 In primo luogo è corretto quanto afferma la controinteressata, ovvero che ai sensi dell'art. 2 del D.M. 17 gennaio 2018, ovvero che per i progetti, come quello dell'opera per cui è causa, già affidati prima dell'entrata in vigore del decreto stesso (v. sopra § 7) continuano ad applicarsi le norme previgenti. 34.4.2 È poi in generale evidente che delle innovazioni e degli adeguamenti delle stesse norme tecniche che fossero ulteriormente sopravvenuti dovrebbe comunque tenersi conto in sede di esecuzione dell'opera, in particolare per i profili della gestione delle terre da scavo e per la pericolosità idraulica considerati dal Comune, peraltro in modo del tutto generico. Non è pertanto dato capire come questo tipo di sopravvenienza potrebbe di per sé impedire l'approvazione della variante. 34.5 Va infine accolto anche il quarto motivo riproposto, dato che l'ulteriore affermazione della delibera 39/2023, ovvero l'affermazione apodittica per cui un piano particellare di esproprio in assoluto non esisterebbe è stata smentita documentalmente (cfr. doc. 18 in I grado ricorrente appellante, cit.). Solo per completezza, si osserva infatti che la delibera 39/2023 argomenta da una presunta inesistenza di questo piano, e non fa questione della sua legittimità o adeguatezza, che eventualmente potrebbe essere valutata in sede propria, ove sussistessero i presupposti di una sua impugnazione da parte degli interessati. 35. L'accoglimento dei tre motivi riproposti di cui sopra comporta che la deliberazione 39/2023, a parziale modifica della motivazione della sentenza di I grado, vada dichiarata illegittima. I motivi accolti in questione infatti contestano efficacemente tutti gli aspetti rilevanti della motivazione sulla quale essa si regge, ovvero tutti quelli che fanno valere presunte sopravvenienze. Le ulteriori argomentazioni che la delibera 39/2023 contiene non sono invece rilevanti a tal fine, e quindi non fanno parte della motivazione in senso proprio, dato che si tratta di profili meramente ripetitivi di quanto contenuto nella delibera 28/2021 già dichiarata nulla, e quindi resi irrilevanti dal giudicato formatosi sul punto. Ne segue che i motivi riproposti dal quinto all'undicesimo vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse. Solo per completezza poi si aggiunge che il rilievo per cui il presunto declassamento delle parti dell'opera già realizzate sarebbe prova di una sua sopravvenuta inutilità è una considerazione del tutto ipotetica, inidonea anch'essa a costituire motivazione in senso proprio. 36. In conclusione, l'appello va respinto e la sentenza di I grado va confermata con la diversa motivazione di cui sopra. Per l'effetto, la delibera 39/2023 va annullata; il commissario ad acta tuttora in carica provvederà a deliberare sul progetto definitivo e sulla variante urbanistica ad esso pertinente nel termine di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione di questa sentenza, previa ove necessaria istruttoria sulle eventuali sopravvenienze che si fossero effettivamente verificate, ulteriori e diverse rispetto a quanto considerato in questa sentenza. 37. Le ragioni della decisione sono giusto motivo per compensare le spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 1279/2024 R.G.), lo respinge, accoglie ai sensi di cui in motivazione i motivi di ricorso di I grado di cui all'istanza della Do. In. depositata il giorno 4 ottobre 2023 nel ricorso di I grado T.a.r. Puglia Bari n. n. 1451/2022 R.G. così come riproposti e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla la deliberazione 10 luglio 2023 n. 39 del Consiglio comunale di Andria. Fermo il resto. Spese compensate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005) e dell'art. 19 della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008), promossi dal Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, con due ordinanze del 27 marzo 2023, iscritte ai numeri 80 e 81 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2023. Visti gli atti di costituzione della Regione Campania e quello, fuori termine, di DeCav srl; udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 2024 il Giudice relatore Marco D'Alberti; udito l'avvocato Almerina Bove per la Regione Campania; deliberato nella camera di consiglio del 20 marzo 2024. Ritenuto in fatto 1.- Con le due ordinanze in epigrafe, di identico tenore, il Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005) e dell'art. 19 della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008), in riferimento all'art. 3 della Costituzione. 2.- Il rimettente premette che l'attività estrattiva da cave, nella Regione Campania, è sottoposta a tre prelievi economici, disciplinati, rispettivamente, dall'art. 18 della legge della Regione Campania 13 dicembre 1985, n. 54 (Coltivazione di cave e torbiere), dall'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 e dall'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008. Nell'ordinanza iscritta al reg. ord. n. 80 del 2023 il giudice a quo fa presente che Ceca srl, che esercita da decenni l'attività estrattiva nel sito ubicato in località “Fellino”, nel Comune di Roccarainola (NA), ha agito in giudizio contro la Regione Campania per ottenere, tra l'altro, la restituzione delle somme corrisposte, a titolo di acconto sui contributi, ai sensi di cui all'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 e all'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008. 2.1.- Il giudice a quo sostiene, quanto alla rilevanza della questione, che Ceca srl ha interesse ad agire in giudizio al fine di ottenere una pronuncia che attesti la non debenza dei contributi richiesti dalla Regione, e ciò anche al fine di recuperare l'acconto versato con riserva di ripetizione. Nell'ordinanza iscritta al reg. ord. n. 81 del 2023 il rimettente rileva che DeCav srl ha impugnato il decreto dirigenziale con cui la Regione Campania l'aveva autorizzata, parzialmente e provvisoriamente, in via di autotutela, a svolgere una serie di lavori di messa in sicurezza della cava sita in località “Fiumillo”, nel Comune di Battipaglia (SA), e a commercializzare una parte dei materiali movimentati. In punto di rilevanza, sostiene che DeCav srl ha interesse ad agire in giudizio al fine di ottenere una pronuncia che attesti la non debenza dei contributi richiesti dalla Regione. 2.2.- In ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, in entrambe le ordinanze il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui i prelievi in esame non avrebbero natura di tributi, non essendo collegati alla redditività dell'attività di gestione delle cave, ma sarebbero contribuzioni finalizzate a compensare i danni legittimamente prodotti al bene ambiente dallo sfruttamento della cava, fornendo all'autorità amministrativa la provvista necessaria a ripristinare le condizioni ambientali e territoriali pregiudicate dall'attività di estrazione. Il giudice a quo richiama, sull'argomento, anche la sentenza di questa Corte n. 52 del 2018. Secondo il rimettente, la ratio indennitaria sottesa alla legislazione regionale sarebbe già soddisfatta dall'art. 18, comma 3, della legge reg. Campania n. 54 del 1985, che destina il contributo da essa previsto ai commi 1 e 2, in via prioritaria, alla «realizzazione di interventi e di opere connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava». Il contributo imposto alle imprese operanti nel settore estrattivo dall'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 sarebbe, invece, del tutto avulso dalla logica indennitaria che lo dovrebbe sorreggere, in quanto vincolato alla realizzazione, all'avvio e alla gestione di un'opera infrastrutturale, quale l'aeroporto di Pontecagnano (SA). Il rimettente rileva che tale destinazione non avrebbe alcun rapporto con l'attività estrattiva, né potrebbe svolgere una funzione di compensazione del danno ambientale da essa causato, posto che l'aeroporto menzionato è collocato in un altro comune rispetto a quello ove è presente la cava gestita dall'attrice e causerebbe inquinamento ambientale (quanto meno acustico) e pregiudizi di tipo paesaggistico all'area circostante. Difetterebbe, di conseguenza, la funzione indennitaria che giustifica l'applicazione di un siffatto contributo, con la conseguenza che l'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., sia perché irragionevole ed esuberante rispetto alla finalità perseguita, sia perché discriminatorio a danno delle imprese che svolgono attività estrattiva, le quali, a differenza delle imprese dedite ad altre attività, devono contribuire al finanziamento dell'aeroporto di Pontecagnano, in assenza di ragioni idonee a imporre tale trattamento differenziato. 2.3.- Il giudice a quo sostiene che la finalità di compensazione del pregiudizio ambientale causato dall'attività estrattiva mancherebbe pure rispetto al contributo ambientale introdotto dall'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008. Le somme ricavate a tale titolo sono destinate per il 50 per cento ad alimentare un «Fondo per la ecosostenibilità», disciplinato all'art. 15 della medesima legge regionale, e per il restante 50 per cento al finanziamento di spese «concernenti i lavori di recupero ambientale, la redazione del progetto unitario di gestione del comparto, se lo stesso non è redatto dai titolari di attività estrattiva, e al finanziamento delle attività di controllo dell'organo di vigilanza in materia di cave». Quanto al primo 50 per cento, poiché il Fondo per la ecosostenibilità è «finalizzato al sostegno delle azioni regionali tese a promuovere la diffusione dell'impiego nei processi produttivi e commerciali di materiali ecocompatibili, biodegradabili e riciclabili e a favorire la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti di natura diversa» (art. 15, comma 1, della legge reg. Campania n. 1 del 2008), il rimettente deduce che il contributo dovrebbe essere posto a carico di chi si occupa della produzione di imballaggi e di chi produce rifiuti e non a carico delle imprese che gestiscono le cave. Il restante 50 per cento del gettito del contributo sarebbe, poi, finalizzato a sovvenzionare attività collegate alla gestione amministrativa del settore che, avuto riguardo alle destinazioni relative ai «lavori di recupero ambientale» e alla «redazione del progetto unitario di gestione del comparto» (art. 19, comma 3, della legge reg. Campania n. 1 del 2008), risulterebbero «già coperte, da un punto di vista finanziario». Il giudice a quo richiama, in proposito, l'art. 17 della legge reg. Campania n. 54 del 1985, che porrebbe l'attività di recupero ambientale a carico di chi sfrutta la cava, altresì disponendo, ai sensi dell'art. 6, la prestazione di una cauzione o di altra idonea garanzia; richiama, altresì, l'art. 23, comma 7, delle norme di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive (PRAE) della Regione Campania, che imputa agli esercenti dell'attività estrattiva il costo sostenuto per la redazione del progetto unitario del comparto. Deriverebbe da ciò l'irragionevolezza del contributo ambientale di cui all'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008 che, in violazione dell'art. 3 Cost., sarebbe privo della funzione indennitaria che lo dovrebbe caratterizzare e si tradurrebbe in un ulteriore costo a carico delle aziende del settore, che già contribuirebbero alla compensazione del danno ambientale da esse prodotto attraverso il versamento dei contributi previsti dall'art. 18 della legge reg. Campania n. 54 del 1985. Il rimettente aggiunge che, sebbene una parte del contributo sia destinato «al finanziamento delle attività di controllo dell'organo di vigilanza in materia di cave», tale specifica finalità non potrebbe da sola sopperire alla sostanziale mancanza di natura indennitaria del prelievo. 3.- La Regione Campania si è costituita in entrambi i giudizi e sostiene che la questione di legittimità costituzionale dell'art. dall'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 sarebbe palesemente non fondata, in quanto incentrata sulla «arbitraria individuazione di un doppio vincolo, territoriale e funzionale, delle risorse oggetto di contributi indennitari», non supportata da norme di rango superiore e in contrasto con la posizione assunta dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione. Secondo la Regione sussisterebbe, invece, in capo al legislatore, «piena discrezionalità nell'indirizzare le risorse derivanti dalla contribuzione agli obiettivi di pubblico interesse ritenuti più efficaci» al fine di ristorare la collettività regionale del depauperamento connesso allo svolgimento dell'attività estrattiva, «attraverso azioni di sostegno ambientale ovvero attraverso interventi di sviluppo socioeconomico da realizzarsi sul territorio regionale». Richiamata, in proposito, l'ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 13 dicembre 2023, n. 34982, secondo cui la destinazione del contributo alla realizzazione e gestione dell'aeroporto di Pontecagnano non sarebbe in contraddizione con la natura ambientale del contributo stesso, la Regione afferma che l'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 sarebbe volto a bilanciare «il danno ambientale con la realizzazione di un'opera infrastrutturale che comporta vantaggi economici e sociali per l'intera collettività regionale in ragione della circostanza che la deturpazione paesaggistica causata dall'attività estrattiva colpisce l'intero territorio regionale». Le medesime considerazioni varrebbero con riferimento all'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008, che prevede la destinazione del 50 per cento del contributo a tutela dell'ambiente. Inoltre, avuto riguardo alla destinazione del restante 50 per cento del contributo, sarebbe errato l'assunto del giudice a quo secondo cui l'art. 17 della legge reg. Campania n. 54 del 1985 già assolverebbe alla funzione di sovvenzionare i lavori di recupero ambientale. Ciò in quanto la disposizione farebbe riferimento alla copertura dei costi connessi al recupero della specifica cava oggetto di concessione, garantiti dalla cauzione di cui all'art. 6, mentre il contributo di cui all'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008 sarebbe destinato alla copertura finanziaria di lavori diversi, quali quelli relativi alle «cave abbandonate». Quanto alla redazione del progetto di comparto, secondo la Regione il comma 7 dell'art. 23 delle norme di attuazione del PRAE non sarebbe altro che una attuazione dell'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008, come si desumerebbe dal comma 6 dello stesso art. 23. Infine, la Regione Campania ritiene apodittica e inammissibile per genericità l'affermazione del rimettente secondo cui la quota di contributo destinata alle attività di controllo dell'organo di vigilanza in materia di cave non sarebbe coerente con la natura indennitaria del prelievo. 4.- DeCav srl, parte del giudizio iscritto al n. 81 del reg. ord. 2023, si è costituita con atto depositato fuori termine, il 24 febbraio 2024. Considerato in diritto 1.- Il Tribunale di Napoli, decima sezione civile, con le due ordinanze in epigrafe, di identico tenore, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005 e dell'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008, che prevedono contributi a carico delle imprese che svolgono attività estrattiva da cave. Il rimettente premette che l'attività estrattiva da cave, nella Regione Campania, è sottoposta a tre prelievi economici disciplinati dalle due disposizioni censurate e dall'art. 18 della legge reg. Campania n. 54 del 1985. Richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui tali prelievi non avrebbero natura di tributi, ma sarebbero contribuzioni finalizzate a compensare i danni legittimamente prodotti al bene ambiente dallo sfruttamento della cava, il rimettente sostiene che le disposizioni censurate sarebbero in contrasto con l'art. 3 Cost., perché irragionevoli ed esuberanti rispetto alla finalità perseguita, nonché discriminatorie nei confronti delle imprese che svolgono attività estrattiva, tenute a sopportare un costo aggiuntivo rispetto alle imprese dedite ad altre attività economiche. Il giudice a quo aggiunge che la ratio indennitaria sottesa alla legislazione regionale sarebbe già soddisfatta dall'art. 18 della legge reg. Campania n. 54 del 1985, che destina il contributo da essa previsto, in via prioritaria, alla «realizzazione di interventi e di opere connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava». 2.- In via preliminare, deve disporsi la riunione dei predetti giudizi perché le ordinanze di rimessione sollevano le stesse questioni e si fondano su argomentazioni sostanzialmente comuni. 3.- Ancora in via preliminare, va dichiarata inammissibile la costituzione, nel giudizio iscritto al n. 81 del reg. ord. 2023, di DeCav srl. La parte si è costituita con atto depositato il 24 febbraio 2024 e, quindi, ben oltre il termine perentorio, fissato dall'art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, di venti giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'ordinanza di rimessione, avvenuta il 21 giugno 2023. 4.- Prima di passare al merito delle questioni sollevate, è opportuna una breve disamina dei contributi cui sono soggette le imprese che operano nell'attività estrattiva da cave nella Regione Campania. 4.1.- La legge reg. Campania n. 54 del 1985 prevede, all'art. 18, un contributo «sulla spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori, rispetto alla mera ricomposizione dell'area», che viene introitato dai comuni interessati, i quali devono utilizzarli prioritariamente per la realizzazione di interventi e di opere connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava. L'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005, oggetto di censura da parte del giudice a quo, prevede un ulteriore contributo da versare alla Regione pari a «euro 1,00 per ogni 10 metri cubi di materiale estratto». Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che le somme così riscosse sono «iscritte nel Bilancio regionale a decorrere dal corrente esercizio finanziario alla unità previsionale di base 9.31.71 della entrata ed alla unità previsionale di base 1.55.97 della spesa per il finanziamento nella misura dell'importo effettivamente riscosso dei lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto di Pontecagnano -Sa- nonché per tutte le attività di gestione societaria». Il contributo, in origine, era volto a finanziare esclusivamente i «lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto di Pontecagnano-Sa»: l'art. 5, comma 7, della legge della Regione Campania 18 gennaio 2016, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2016-2018 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale 2016) ha successivamente integrato il testo del menzionato art. 17, stabilendo che il contributo è versato anche «per tutte le attività di gestione societaria». Infine, l'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008, anch'esso censurato dal rimettente, dispone, in aggiunta ai due contributi sopra citati, il pagamento di un «contributo ambientale», di importo differenziato a seconda del materiale estratto, destinato per il 50 per cento ad alimentare il «Fondo per la ecosostenibilità» disciplinato dall'art. 15 della medesima legge reg. Campania n. 1 del 2008 e per il restante 50 per cento al finanziamento delle spese «concernenti i lavori di recupero ambientale, la redazione del progetto unitario di gestione del comparto, se lo stesso non è redatto dai titolari di attività estrattiva, e al finanziamento delle attività di controllo dell'organo di vigilanza in materia di cave». 5.- È altresì opportuno rammentare che questa Corte, nel pronunciarsi sulla natura del contributo per attività estrattiva previsto dalla legislazione della Regione Siciliana, ha affermato che esso è funzionale a coprire «gli oneri finanziari che gli enti interessati devono comunque affrontare per neutralizzare al meglio le conseguenze - nocive ma legittime, perché consentite dalla legge ed assentite dalle amministrazioni interessate - comunque correlate a siffatte iniziative economiche»; è rapportato «all'impegno profuso dagli enti interessati nella gestione amministrativa collegata alla relativa attività di impresa e mira ad indennizzare il pregiudizio che la collettività finisce per patire in conseguenza dell'autorizzazione relativa allo sfruttamento delle cave». Dunque, tale contributo, essendo caratterizzato da tale peculiare connotazione indennitaria, è «privo della funzione genericamente contributiva al bilancio degli enti interessati o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi» (sentenza n. 89 del 2018). Anche la giurisprudenza di legittimità, avuto riguardo ai contributi previsti dalle disposizioni censurate, ne ha escluso la natura tributaria (Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1182; sezione tributaria, ordinanze 23 gennaio 2023, n. 1915 e 9 giugno 2021, n. 16025), rimarcandone la specifica natura indennitaria del pregiudizio subito dalle collettività in conseguenza della gestione delle cave. 6.- Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge reg. Campania n. 17 del 2005, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza intrinseca della disposizione rispetto alla finalità indennitaria perseguita, è parzialmente fondata, nei termini che seguono. 6.1.- L'art. 17, comma 2, della legge reg. Campania n. 15 del 2005 prevede, come si è detto, che il contributo versato dalle imprese impegnate nell'attività estrattiva nella Regione Campania sia destinato al finanziamento «dei lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto di Pontecagnano -Sa- nonché per tutte le attività di gestione societaria». Secondo il rimettente, la disposizione violerebbe l'art. 3 Cost. per irragionevolezza intrinseca rispetto alla finalità indennitaria perseguita. Mancherebbe sia il collegamento funzionale tra il contributo e la compensazione del danno ambientale prodotto, sia il collegamento territoriale tra la zona ove è esercitata l'attività estrattiva e quella ove è localizzato l'aeroporto di Pontecagnano. Sarebbe violato anche il principio di eguaglianza, sotto il profilo della disparità di trattamento a danno delle imprese che svolgono attività estrattiva. 6.2.- Questa Corte ritiene, in linea con le considerazioni di recente svolte dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un. civ., n. 34982 del 2023), che la finalità ambientale perseguita dal contributo in esame non vada identificata nel ripristino del territorio a seguito dei danni causati dall'attività estrattiva, ma nel miglioramento complessivo che il territorio medesimo può ottenere da infrastrutture capaci di bilanciare le compromissioni subite. In tale ottica, il finanziamento, attraverso il contributo, dei lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto di Pontecagnano risulta non irragionevole, poiché può portare miglioramenti al territorio dell'intera Regione e determinare ricadute favorevoli, anche di natura socio-economica, per la collettività, generando esternalità positive ad ampio spettro. 6.3.- Non è, invece, conforme a canoni di ragionevolezza l'ulteriore previsione secondo cui il contributo è destinato anche al finanziamento delle «attività di gestione societaria» dell'aeroporto. Tale previsione, frutto di una modifica apportata nel 2016 all'art. 17 della legge reg. Campania n. 15 del 2005, ha comportato che la contribuzione, originariamente a supporto delle sole spese correlate ai «lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto», diventasse un prelievo continuativo nel tempo, del tutto slegato dalle finalità iniziali. La gestione societaria, infatti, è totalmente avulsa dalla logica indennitaria che giustifica il prelievo, in quanto essa costituisce una mera attività aziendale, svolta dalla società concessionaria dell'aeroporto, la quale risponde delle eventuali disfunzioni gestionali e deve assumersi in proprio il relativo rischio d'impresa. In sostanza, il sovvenzionamento dell'attività di gestione societaria dell'aeroporto non risponde alle doverose finalità ambientali sottese all'imposizione del contributo, poiché non è funzionale a soddisfare l'interesse primario di supportare la riqualificazione del territorio della Regione. Ne consegue che il contributo previsto dalla disposizione censurata costituisce una legittima fonte di imposizione nei limiti in cui le somme riscosse sono destinate a sovvenzionare i «lavori di completamento ed avvio dell'attività dell'aeroporto di Pontecagnano-Sa». Terminati i lavori e avviata l'attività aeroportuale, quindi, la contribuzione non può che cessare di gravare sulle imprese del settore estrattivo operanti nella Regione Campania. 7.- Per tali ragioni, la questione di legittimità dell'art. 17, comma 2, della legge reg. Campania n. 15 del 2005, limitatamente alle parole «nonché per tutte le attività di gestione societaria», è fondata, per violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca. 8.- Non è, invece, fondata l'ulteriore censura rivolta alla disposizione in esame sotto il profilo della disparità di trattamento tra le imprese operanti nel settore estrattivo e quelle impegnate in altre attività, in ragione della chiara disomogeneità delle situazioni messe a raffronto (tra le tante, sentenza n. 171 del 2022). 9.- Il rimettente censura anche l'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008, che impone alle imprese del settore estrattivo un contributo destinato per il 50 per cento ad alimentare un «Fondo per la ecosostenibilità» e per il restante 50 per cento del contributo a finanziare una serie di spese riferibili all'attività estrattiva. Secondo il giudice a quo, vi sarebbe violazione dell'art. 3 Cost, perché la scelta del legislatore regionale di imporre tale contributo sarebbe irragionevole e discriminatoria, in quanto il Fondo dovrebbe essere alimentato dalle imprese che si occupano della produzione di imballaggi e non anche da quelle impegnate nell'attività estrattiva. Inoltre, tutte le ulteriori attività finanziate dal contributo sarebbero già sovvenzionate tramite altre disposizioni regionali. 9.1.- La questione non è fondata. Il 50 per cento del contributo in esame è esplicitamente destinato alla alimentazione del Fondo per la ecosostenibilità, che è finalizzato a tutelare interessi di natura ambientale. Sotto tale profilo, di conseguenza, il contributo risponde alla finalità indennitaria per la quale è stato istituito. Infatti, non presenta aspetti di irragionevolezza né risulta discriminatoria la scelta del legislatore regionale, nell'esercizio della sua discrezionalità, di porre un contributo a carico delle imprese che svolgono attività estrattiva anche per il raggiungimento di obiettivi di salvaguardia dell'ambiente ampi, ma comunque meritevoli di considerazione. Non si ravvisano profili di illegittimità costituzionale neppure avuto riguardo alla destinazione del restante 50 per cento del contributo, che è rivolto a finanziare spese riferibili all'attività estrattiva e che, diversamente da quanto prospettato dal rimettente, non risultano già sovvenzionate in base ad altre disposizioni regionali. Il contributo, infatti, è destinato a finanziare lavori di recupero ambientale diversi e ulteriori rispetto a quelli di cui all'art. 17 della legge reg. Campania n. 54 del 1985, che pone l'obbligo in capo all'impresa di eseguire «le opere per il recupero ambientale della zona nei modi previsti nel provvedimento di autorizzazione o concessione». Tra tali lavori, a titolo di esempio, rientrano quelli per la ricomposizione ambientale delle «aree di cave abbandonate» di cui all'art. 29 della medesima legge regionale. Quanto alle spese per la redazione del progetto unitario di gestione del comparto, esse non sono già finanziate in base alle norme di attuazione del PRAE richiamate dal rimettente, in quanto tali norme sono meramente attuative dell'art. 19 della legge reg. Campania n. 1 del 2008. Infine, in relazione alla quota di contributo destinata all'attività di controllo dell'organo di vigilanza in materia di cave, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che i contributi per attività estrattiva servono, legittimamente, a tenere indenne la regione dai costi sostenuti per la verifica del rispetto delle condizioni del titolo autorizzativo o della concessione (sentenza n. 89 del 2018). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibile, nel giudizio iscritto al n. 81 del reg. ord. 2023, la costituzione di DeCav srl; 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, della legge della Regione Campania 11 agosto 2005, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2005), limitatamente alle parole «nonché per tutte le attività di gestione societaria»; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge della Regione Campania 30 gennaio 2008, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria 2008), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Marco D'ALBERTI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024 Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2188 del 2019, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Di Gi., Pi. Ma. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Di Gi. in Roma, via di (...); contro Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente dell'Abruzzo - A.R.T.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato To. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Sanitaria Locale n. 2 Lanciano-Vasto-Chieti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ra Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Co. in Roma, via (...); Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati La. Fo., Gi. Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Sportello Unico Attività Produttive (omissis), Associazione tra enti locali per l'attuazione del Patto Territoriale (omissis), Società Ab. per il Se. Id. In. Spa, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara Sezione Prima n. 258/2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo, del Comune di (omissis), dell'Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente dell'Abruzzo - A.R.T.A. e dell'Azienda Sanitaria Locale n. 2 Lanciano-Vasto-Chieti; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 gennaio 2024 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Di Gi. An., Ca. Ra., Ma. To. e Co. Fa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - -OMISSIS- s.r.l. propone appello contro la Regione Abruzzo, l'Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente dell'Abruzzo (ARTA) l''Azienda Sanitaria Locale n. 02 Lanciano-Vasto-Chieti e il Comune di (omissis), costituiti in giudizio, e contro altri Enti e associazioni locali non costituitisi, per la riforma o l'annullamento della sentenza del TAR per l'Abruzzo, sez. staccata di Pescara, n. 258/2018, che ha dichiarato improcedibile la domanda di annullamento e rigettato la domanda risarcitoria avanzate dall'odierna appellante nel ricorso per l'annullamento della determinazione negativa n. DPC025/211/17 del 6/11/2017 della Regione Abruzzo, riferita al suo stabilimento sito nel Comune di (omissis) (CH) e di ogni altro atto collegato, nonché per la condanna al risarcimento del danno derivante dal mancato rinnovo dell'autorizzazione. Le parti costituite in giudizio hanno provveduto ad un ampio e ripetuto scambio di memorie. 2 - In estrema sintesi, la fattispecie contenziosa prendeva avvio quando, in data 9/12/2015, la -OMISSIS- s.r.l. presentava presso il SUAP competente istanza di autorizzazione unica ambientale (AUA) per l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti ai sensi dell'art. 269 del d.lgs. 152/2006 e per la comunicazione o nulla osta di cui all'articolo 8 della legge 26 ottobre 1995, n. 47. La Regione indiceva una conferenza di servizi decisoria che si concludeva, prendendo atto delle carenze progettuali e documentali e dell'aumento delle emissioni, con la delibera negativa sopraindicata. 3 - Tale deliberazione, unitamente ai connessi atti endoprocedimentali, veniva impugnata dall'impresa dinnanzi al Tribunale Amministrativo regionale per l'Abruzzo -sede di Pescara, che respingeva integralmente l'impugnativa rilevando, da un lato, la sopravvenuta carenza di interesse correlata al trasferimento dell'impianto (e dunque al venir meno dell'attività oggetto di autorizzazione) e, dall'altro, la mancanza dei presupposti per l'esercizio dell'azione risarcitoria. 4 - Tale decisione viene ora appellata con il gravame in epigrafe, mediante i seguenti motivi. 4.1 - "I - ERROR IN JUDICANDO E IN PROCEDENDO SULLA IMPROCEDIBILITA' DELLA DOMANDA DI ANNULLAMENTO" Il Giudice di primo grado ha affermato che "la delocalizzazione degli impianti, e dunque il venire meno dell'attività oggetto di autorizzazione, determina il sopravvenuto difetto di interesse all'annullamento del diniego non essendo più conseguibile il bene della vita a cui la ricorrente originariamente aspirava". Sotto tale profilo la pronuncia sarebbe però erronea ed illegittima in quanto la delocalizzazione dell'impianto non farebbe venire meno l'interesse all'accertamento dell'illegittimità dell'impugnato provvedimento di diniego dell'autorizzazione, quanto meno ai fini dell'accertamento della responsabilità della P.A. per lesione di interesse legittimo conseguente all'adozione di atti illegittimi. 4.2 - Il motivo è fondato in quanto, indipendentemente dalla scelta di delocalizzare l'impianto e restando del tutto irrilevante la circostanza (affermata ma non dimostrata) che tale delocalizzazione sarebbe stata dovuto all'indebito diniego opposto dall'Amministrazione, l'accertamento della eventuale concreta spettanza del bene della vita richiesto all'Amministrazione e da questa negato risultava necessario ai fini del richiesto ristoro del danno da lesione di interessi pretensivi. 4.3 - "II - ERROR IN PROCEDENDO E IN JUDICANDO SULLA DOMANDA RISARCITORIA E SUL DANNO DERIVANTE DA ILLEGITTIMITÀ PROVVEDIMENTALE". Il pregiudizio subito dall'appellante dall'illegittimo diniego dell'AUA sarebbe stato assolutamente palese in quanto, indipendentemente dalla ricostruzione della natura della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione dell'interesse legittimo, la -OMISSIS- S.r.l. aveva già dedotto la sussistenza degli elementi costitutivi di cui all'art. 2043 c.c., ossia il danno ingiusto, in nesso di causalità e l'elemento soggettivo. 4.4 - Al riguardo considera il Collegio che per gli interessi pretensivi - come nel caso di specie - l'obbligazione risarcitoria affonda le sue radici nella verifica sostanziale della spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico se, a seguito del corretto agire dell'Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato, eventualmente in base ad un calcolo solo probabilistico (danno da perdita di chance). 5 - In relazione a quanto già considerato in relazione al primo motivo d'appello, di ordine solo procedurale, ai fini della decisione sul secondo motivo, avente invece natura e conseguenze sostanziali, il Collegio ritiene necessario passare all'esame delle successive censure, introdotte in primo grado e riproposte in appello, volte a dimostrare la eventuale spettanza della richiesta autorizzazione unica ambientale. 5.1 - "ERROR IN JUDICANDO E IN PROCEDENDO SUL PRIMO MOTIVO DI RICORSO DI PRIMO GRADO". L'appellante deduceva in primo grado i vizi di eccesso di potere, erroneità, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di motivazione, carenza di istruttoria, violazione o falsa applicazione dell'art. 5, comma 8 del DPR 357/97, violazione o falsa applicazione della Circolare della Regione Abruzzo prot. 9040 Bnparc del 21.12.2012 quanto all'arresto del procedimento a causa del mancato ottenimento della valutazione di incidenza ambientale - VINCA. In particolare, l'interruzione dell'AUA sarebbe stata illegittima, a fronte sia della non necessità della VINCA, in quanto la valutazione di incidenza era richiesta unicamente per "interventi che comportino variazioni quali-quantiative delle emissioni" sia a fronte di un parere rilasciato dal Comune di (omissis), sprovvisto di qualsivoglia attribuzione in ragione del fatto che l'area SIC in cui ricadeva l'impianto era collocata nel solo territorio del diverso Comune di (omissis) e non del Comune di (omissis) e,, comunque inficiato da una grave carenza di motivazione e di istruttoria, comprovata - si sostiene- dalla mancata valutazione dello studio di VINCA presentato dalla societ,à da cui risulterebbe l'assenza di qualsiasi incidenza significativa sull'area SIC in questione, mentre il citato Comune di (omissis) si sarebbe limitato a richiamare acriticamente le determinazioni del Comune di (omissis) senza operare una propria autonoma valutazione. 5.2 - In primo grado l'appellante aveva inoltre dedotto i vizi di "error in procedendo e judicando" sull'erronea qualificazione della richiesta di AUA relativa ai punti di emissione E1 e E2 quale "modifica sostanziale" e quanto alla la mancanza del parere dell'A.R.TA., con conseguenti vizi di eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, erroneità, perplessità, violazione e falsa applicazione dell'art. 275 comma 21 lett. n) dlgs. 152/2006. Al riguardo, non vi sarebbe alcun dubbio che l'illegittimità del provvedimento negativo emesso dall'amministrazione abbia causato un grave danno alla società appellante, essendo stata negata l'autorizzazione in totale assenza del parere sulle emissioni rilasciato dall'A.R.T.A., che aveva erroneamente affermato di non poter esprimere il parere di competenza ritenendo carente la documentazione depositata, imponendosi pertanto una riedizione del predetto parere. 5.3 - In primo grado era stato altresì dedotto un ulteriore vizio di "ERROR IN PROCEDENDO E IN JUDICANDO" in quanto, alla luce di quanto già esposto, la sentenza sarebbe stata erronea anche laddove affermava il carattere solo procedimentale dei motivi proposti avverso i pareri della ASL, che il Giudice di prime cure ha ricondotto all'assenza di adeguata valutazione della documentazione allegata all'istanza. 5.4 - Infine, già in tale sede era stato dedotto che l'illegittimo diniego dell'AUA aveva arrecato alla società ricorrente ingenti danni patrimoniali, quantificati in complessivi Euro 8.245.031,00 dei quali si richiede il risarcimento ai sensi dell'articolo 2043 c.c. e dell'art. 30 del CPA. 5.5 - Tutte le predette censure vengono analiticamente e radicalmente confutate dalle Amministrazioni costituite in giudizio, che attribuiscono il mancato rilascio dei titoli indicati alla esclusiva responsabilità delle carenze documentali e alle problematiche ambientali che avrebbero caratterizzato la domanda di AUA. 6 - Ai fini della valutazione delle soprindicate censure, a giudizio del Collegio assume valore dirimente l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse proposta dal Comune di (omissis) con le proprie memorie del dicembre 2023. 6.1 - Secondo la predetta eccezione, infatti, il ricorrente ha gravato il provvedimento di diniego con esclusivo riferimento: - al parere del Comune di (omissis) (e a quello di (omissis)) in materia di Valutazione di incidenza ambientale; - al parere della Asl in materia igienico-sanitaria; - ad una presunta omissione nella espressione di parere tecnico da parte dell'A.R.T.A. Ne deriva, eccepisce il Comune, che sono rimasti privi di contestazione o censura sia il parere negativo del Comune di (omissis) in materia igienico-sanitaria, sia il parere negativo del Comune di (omissis) in materia di inquinamento acustico, sia e soprattutto il parere negativo espresso dal Comune di (omissis) in materia di emissioni in atmosfera e gestione dei solventi, nonché tutti i rilievi sostanziali mossi dalla A.R.T.A. con riferimento alle criticità in concreto del progetto con riferimento al ciclo produttivo, alla gestione dei solventi, alle emissioni in atmosfera. Pertanto, da un lato, il ricorso risulterebbe privo di interesse alla decisione dal momento che, anche in caso di accoglimento dei motivi, resterebbe in piedi e non oggetto di censura alcuna il diniego opposto dal Comune di (omissis) in materia igienico-sanitaria, che deve ritenersi insuperabile e ostativo e che in ogni caso precluderebbe l'accoglimento dell'istanza di AUA. Sotto altro profilo, risulterebbero non contestate nel merito tutte le criticità individuate dal Comune di (omissis) e dall'A.R.T.A. nei rispettivi pareri, che dovrebbero darsi come riconosciute dal ricorrente. Tali elementi sostanziali, non contestati, precluderebbero anch'essi il rilascio dell'AUA, in quanto dimostrativi dell'incompatibilità del quadro emissivo con le previsioni di legge. 6.2 - Indipendentemente dall'effettiva portata della predetta eccezione ai fini del riconoscimento della non debenza del titolo da parte dello stesso ricorrente, essendo la stessa eccezione, viceversa, contestata dall'appellante, considera il Collegio che, come già rilevato, a seguito della delocalizzazione dell'impianto produttivo l'interesse a ricorrere dell'appellante, radicalmente escluso dal TAR, può essere ritenuto tuttora sussistente solo ai limitati fini del risarcimento dovuto per la violazione dell'interesse pretensivo legato all'indebito diniego del richiesto titolo autorizzatorio (l'AUA). 6.3 - Orbene, la fondatezza della pretesa dell'appellante al rilascio dell'AUA risulta irrimediabilmente confutata dalla eccezione da ultimo esaminata, in quanto riferita a circostanze oggettive e non controverse in atti, che rendono non dovuto il rilascio del titolo indipendentemente dall'ulteriore accertamento della fondatezza nel merito delle censure dedotte, precludendo ogni ipotesi di risarcimento anche solo per perdita di chances. 7 - Alla stregua delle pregresse considerazioni risulta confermata la parziale inammissibilità per carenza di interesse e l'infondatezza, per la restante parte, del ricorso di primo grado, dovendo pertanto trovare conferma l'appellata sentenza di primo grado con le sopraindicate integrazioni motivazionali. 8 - In conclusione, l'appello deve essere respinto, unitamente alla domanda risarcitoria proposta. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società appellante al pagamento, in parti uguali in favore dei soggetti costituiti, delle spese del presente grado di giudizio, complessivamente liquidate in Euro 10.000,00 oltre ad IVA, CPA ed ulteriori oneri di legge ove previsti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7546 del 2020, proposto da Nt. Ne. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Sb., Ad. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Lu. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio St. Ga. in Roma, via di (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima n. 2606/2019, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Nt. Ne. s.p.a. (d'ora in poi per brevità anche Nt.) - titolare di concessione rilasciata dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato per la realizzazione e conduzione di una rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento previsti dall'art. 110, comma 6, del r.d. n. 773/1931 (TULPS) - ha interposto appello avverso la sentenza del Tar per la Lombardia, sez. I,, 6 dicembre 2019, n. 2606, che ha rigettato il ricorso proposto dalla società avverso la delibera della Giunta Regionale della Regione Lombardia del 24 gennaio 2014 n. X/1274, pubblicata sul BURL in data 28 gennaio 2014, contenente la "Determinazione della distanza dai luoghi sensibili per la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito (ai sensi dell'art. 5, comma 1, della l.r. 21 ottobre 2013, n. 8 "Norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d'azzardo patologico"), che ha fissato, per tutti i comuni lombardi, in 500 metri dai luoghi sensibili, la distanza per la nuova collocazione degli indicati apparecchi. 2. A fondamento del ricorso di prime cure la società articolava, in tre motivi di ricorso, le seguenti censure: 1) eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche dello sviamento di potere ed erronea valutazione dei presupposti di diritto; violazione della direttiva comunitaria 98/34/CE e della relativa normativa di esecuzione e recepimento; 2) eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche dello sviamento di potere ed erronea valutazione dei presupposti di diritto, travisamento, illogicità, assenza di riscontri; lesione del principio di necessità ; irragionevolezza, ingiustizia manifesta; 3) eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche dello sviamento di potere ed erronea valutazione dei presupposti di diritto; violazione del d.l. n. 158/2012, conv. in l. n. 189/2012, e della l. n. 23/2014. 3. Si costituiva in giudizio la Regione Lombardia, eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi e carenza d'interesse, ed instando nel merito per la reiezione del ricorso. 4. Il giudice di prime cure, con la sentenza in epigrafe, ha assorbito le eccezioni preliminari di rito, rigettando il ricorso nel merito, ritenendo destituite di fondamento tutte le censure articolate. 5. Con l'atto di appello Nt., senza espressamente rubricare i motivi, ha censurato i capi della sentenza di prime cure che avevano disatteso i tre motivi di ricorso. 6. Si è costituita la Regione Lombardia, instando per il rigetto dell'appello. 7. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato articolate memorie di discussione e di replica, ex art. 73 comma 1 c.p.a., insistendo nelle rispettive conclusioni. In particolare parte appellante ha evidenziato come il gioco lecito, a seguito della pandemia abbia subito una netta flessione, per cui le esigenze poste a base della delibera gravata non sarebbero più attuali; ha richiamato inoltre pronunce di alcuni Tar relative ad annullamenti di delibere comunali in materia di limitazioni di orario di funzionamento delle apparecchiature ex art. 110 comma 6 TULPS per difetto di istruttoria. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 21 settembre 2021. DIRITTO 9. Viene in decisione l'appello avverso la sentenza del Tar per la Lombardia in epigrafe indicata che ha rigettato il ricorso proposto da Nt. avverso la delibera della Giunta Regionale della Regione Lombardia del 24 gennaio 2014 n. X/1274, pubblicata sul BURL in data 28 gennaio 2014, contenente la "Determinazione della distanza dai luoghi sensibili per la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito" che ha fissato in 500 metri la distanza per la nuova collocazione degli indicati apparecchi dai luoghi sensibili. 9.1. La delibera giuntale regionale impugnata in prime cure, adottata in attuazione della previsione dell'art. 5 comma 1 della l.r. 21 ottobre 2013, n. 8: - stabilisce che "per apparecchi per il gioco d'azzardo lecitò si intendono quelli di cui all'art. 110 commi 6 e 7 del regio decreto 18.6.1931 n. 773 "Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezzà " (Allegato A, articolo 2, n. 1); - reca la definizione dei "luoghi sensibili" (Allegato A, articolo 2, n. 2); - dispone che "per 'nuova collocazione" di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito si intende "la prima installazione di apparecchi da gioco oppure l'installazione di apparecchi ulteriori rispetto a quelli già detenuti lecitamente" (Allegato A, articolo 2, n. 3); - determina il proprio ambito di applicazione, stabilendo che le previsioni in essa contenute "si applicano a tutte le nuove collocazioni di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, commi 6 e 7, del regio decreto n. 773 del 1931, effettuate dopo la pubblicazione sul BURL (...)" della stessa delibera (Allegato A, articolo 3); - determina le distanze degli apparecchi dai luoghi sensibili, disponendo che "non è ammessa la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito in locali che si trovino entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili come sopra definiti" (Allegato A, articolo 4, comma 1) e che "tale distanza è calcolata autonomamente dai Comuni considerando la soluzione più restrittiva tra quella che prevede un raggio di 500 metri dal baricentro del luogo sensibile, ovvero un raggio di 500 metri dall'ingresso considerato come principale" (Allegato A, articolo 4, comma 2). 10. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello, onde inquadrare esattamente le problematiche sottese alle articolate censure, giova richiamare la normativa in materia di contrasto alla ludopatia e i princì pi elaborati dalla giurisprudenza. 10.1. Pur non essendovi una normativa comunitaria specifica sul contrasto alla ludopatia, qualificata dall'organizzazione Mondiale della Sanità come una malattia sociale ed una vera e propria dipendenza, il Parlamento europeo ha approvato il 10 settembre 2013 una risoluzione nella quale si afferma la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, pur se tali interventi dovessero comprimere alcuni princì pi cardine dell'ordinamento comunitario come, ad esempio, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi (ex multis Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867). Invero, secondo il Parlamento europeo, il gioco d'azzardo non è un'attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effettivi negativi per la salute e a livello sociale, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi (cfr. anche Corte di Giustizia, sentenza 22 gennaio 2015, c 463-2013, Stanley International Betting Ltd c. Ministero dell'Economia e delle Finanze, in relazione alla libera prestazione di servizi - giochi d'azzardo). È pertanto necessario contrastare i possibili effetti negativi del gioco d'azzardo per la salute e a livello sociale, tenuto anche conto dell'enorme diffusione del gioco d'azzardo e del fenomeno delle frodi, oltre che svolgere un'azione di lotta alla criminalità . Parimenti, la Commissione europea nel 2014 è intervenuta sul tema con la raccomandazione 14 luglio sul gioco d'azzardo (anche se on line), stabilendo i princì pi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli. 10.2. In ambito nazionale assume un rilievo centrale la disciplina del c.d. decreto Balduzzi, che ha attuato un intervento più organico in materia (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), affrontando diverse tematiche. Con riguardo ai profili sanitari, è previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale disposizione, è stato approvato il Piano d'azione nazionale. Per contenere i messaggi pubblicitari si vieta l'inserimento di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive e radiofoniche, nonché durante le rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate ai minori; sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, o che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco: per i trasgressori (sia il committente del messaggio pubblicitario sia il proprietario del mezzo di comunicazione interessato) è prevista una sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro (art. 7, commi 4 e 4-bis). Avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita devono essere riportati su schedine e tagliandi dei giochi; su apparecchi di gioco (c.d. AWP - Amusement with prizes), cioè quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di monete o con strumenti di pagamento elettronico; nelle sale con videoterminali (c.d. VLT - Video lottery terminal); nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi e non; nei siti internet destinati all'offerta di giochi con vincite in denaro: in caso di inosservanza di tali disposizioni è prevista la sanzione amministrativa di 50.000 euro (art. 7, commi 5 e 6). È stata ancora prevista l'intensificazione dei controlli sul rispetto della normativa (art. 7, comma 9) e una "progressiva ricollocazione" dei punti della rete fisica di raccolta dei punti gioco per tener conto della presenza nel territorio di scuole, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi (art. 7, comma 10). 10.2.1. Benché non sia stato emanato il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare i criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato legittimamente, in assenza di una normativa di coordinamento di ambito statale, propri regolamenti in materia. 10.3. Ciò posto, occorre peraltro rammentare come la normativa in materia di gioco d'azzardo - con riguardo alle conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all'impatto sul territorio dell'afflusso ai giochi degli utenti - non rientra nella competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all'art. 117 comma 2 lett. h), Cost., bensì nella tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, tutela che rientra nelle attribuzioni del comune ex artt. 3 e 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (in termini, Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794). 10.4. Inoltre, è stato condivisibilmente affermato che la disciplina degli orari di apertura e funzionamento delle sale da gioco autorizzate e del funzionamento delle apparecchiature ex art. 110 comma 6 al TULPS, al pari di quella relativa alla fissazione delle distanze delle sale giochi dai c.d. luoghi sensibili, costituisce un crocevia di valori nel quale confluiscono una pluralità di interessi che devono essere adeguatamente misurati e contemperati. Difatti, da un lato, emergono le esigenze dei privati - ovvero dei soggetti autorizzati all'esercizio del gioco lecito - titolari di una concessione con l'amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia. Tali soggetti mirano alla massimizzazione dei loro profitti, al fine di ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, attraverso la più ampia durata giornaliera dell'apertura dell'esercizio, invocando i principi costituzionali di libertà di iniziativa economica, di libera concorrenza e del legittimo affidamento ingenerato proprio dal rilascio dei titoli - concessorio e autorizzatorio - necessari alla tenuta delle sale da gioco. Dall'altro lato, sussistono interessi pubblici e generali, non contenuti in quelli economico - finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall'autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell'affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest'ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia (quasi testualmente, Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5223). 10.5. In tale contesto la Corte Costituzionale ha ritenuto plausibile l'interpretazione dell'art. 50, comma 7, d.lgs. 267 del 2000 avallata dalla giurisprudenza amministrativa come in grado di autorizzare i sindaci a disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature da gioco, anche in funzione di contrasto dei fenomeni di c.d. ludopatia, fornendo un fondamento legislativo a detto potere; in particolare, la Corte ha richiamato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa la quale "ha elaborato un'interpretazione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. 267 del 2000, compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione", ciò nel senso che, in forza della generale previsione dell'articolo 50, comma 7, d.lgs. 267 del 2000, "il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica ovvero della circolazione stradale" (sentenza 18 luglio 2014 n. 220) (...)" (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2020, n. 4119). 10.6. La Corte costituzionale con tale sentenza ha riconosciuto inoltre, per quel che più rileva nella presente sede, un'estensione del potere di intervento comunale anche in ordine alle limitazioni della distribuzione sul territorio delle sale da gioco, attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, rilevando la sua riconducibilità alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al comune le relative funzioni. A tal fine ha richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, n. 2710/2012), secondo cui l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti. 10.6.1. La successiva sentenza della Corte costituzionale n. 108/2017, nel richiamare espressamente la sentenza n. 300/2011, ha escluso l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante "Contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico (GAP)", nella parte in cui vieta il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili" ivi indicati, riconducendola alla materia della salute, rientrante nella competenza concorrente Stato- Regioni. 11. In tale contesto si inserisce la delibera giuntale oggetto di impugnativa in prime cure, adottata in dichiarata attuazione della previsione dell'art. 5 comma 1 l.r. 21 ottobre 2013, n. 8, che ha fissato nel limite massimo di 500 metri previsto dallo stesso legislatore regionale, la distanza minima per la nuova installazione degli apparecchi ex art. 110 commi 6 e 7 TUEL dai luoghi sensibili. Segnatamente tale legge recante "Norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d'azzardo patologico" è diretta - secondo quanto enunciato all'articolo 1 - "alla prevenzione e al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d'azzardo lecito, nonché al trattamento e al recupero delle persone che ne sono affette e al supporto delle loro famiglie. Stabilisce, inoltre, misure volte a contenere l'impatto negativo delle attività connesse alla pratica del gioco d'azzardo lecito sulla sicurezza urbana, sulla viabilità, sull'inquinamento acustico e sul governo del territorio". Vi si precisa, inoltre, che "Gli interventi di cui alla presente legge sono rivolti a favore dell'intera popolazione e in particolare ai soggetti affetti da gioco d'azzardo patologico (GAP), ai loro familiari e alle fasce di popolazione più deboli e maggiormente esposte ai rischi da GAP" (articolo 3, comma 2). 11.1. Il perseguimento di tali finalità è pertanto affidato, tra l'altro, alle misure stabilite dall'articolo 5 della legge, avente ad oggetto "Competenze dei comuni e altre disposizioni", che - nel tenore testuale vigente all'epoca dell'emanazione della delibera giuntale oggetto di impugnativa in prime cure - ha introdotto la previsione per cui "Per tutelare determinate categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e per prevenire fenomeni da GAP, è vietata la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito in locali che si trovino a una distanza, determinata dalla Giunta regionale entro il limite massimo di cinquecento metri, da istituti scolastici di ogni ordine e grado, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori" (comma 1). 12. Ciò posto, può passarsi alla disamina dei motivi di appello. 13. Con il primo motivo viene criticata la statuizione di prime cure nella parte in cui aveva disatteso il primo motivo di ricorso, assumendo che il Tar per la Lombardia non aveva compiuto alcuna valutazione circa l'applicabilità o meno della direttiva n. 98/34/CE alla delibera impugnata nel primo grado del presente giudizio. In tesi di parte appellante, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, la delibera impugnata potrebbe essere ricompresa nell'accezione di regola tecnica prevista dalla citata Direttiva. 13.1. La Corte di giustizia con la sentenza 19 luglio 2012, n. 214/11 aveva infatti precisato che per poter essere qualificate come "altro requisito" ai sensi dell'articolo 1, punto 4, della direttiva 98/34, le misure nazionali in causa devono rappresentare "condizioni" che possono influenzare in modo significativo la composizione o la natura del prodotto di cui trattasi o la sua commercializzazione. In tesi di parte appellante, la disposizione oggetto d'impugnazione in primo grado aveva influenzato in modo significativo la commercializzazione del gioco pubblico, attraverso gli apparecchi da intrattenimento di cui all'art. 110 del TULPS e pertanto avrebbe dovuto essere considerata alla stregua di una regola tecnica si sensi della Direttiva n. 98/34/CE. In ragione di ciò, la citata disposizione regionale sarebbe dovuta essere sottoposta al preventivo periodo di c.d. "stand still", pena l'inefficacia della stessa. 13.2. Il motivo va disatteso. 13.2.1. La direttiva 98/34/CE obbliga gli Stati membri a notificare alla Commissione europea i progetti delle regolamentazioni tecniche relative a prodotti e servizi della società dell'informazione, prima della loro adozione nelle legislazioni nazionali. La procedura fissata dalla Direttiva 98/34/CE mira ad evitare nuove barriere alla libera circolazione di merci e servizi. Per "regola tecnica" si intende, ai sensi della stessa direttiva, "una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le relative disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza sia obbligatoria de iure o de facto per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l'utilizzo dello stesso in uno Stato membro o in una parte rilevante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all'art. 10, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, intese a vietare la fabbricazione, l'importazione, la commercializzazione o l'utilizzazione di un prodotto oppure la prestazione o l'utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitori di servizi. Costituiscono in particolare regole tecniche de facto: le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro che fanno riferimento o a specificazioni tecniche o ad altri requisiti o a regole relative ai servizi, oppure a codici professionali o di buona prassi che si riferiscano a loro volta a specificazioni tecniche o ad altri requisiti ovvero a regole relative ai servizi e la cui osservanza conferisca una presunzione di conformità con le prescrizioni fissate dalle suddette disposizioni legislative, regolamentari o amministrative; le specificazioni tecniche o altri requisiti o le regole relative ai servizi connessi con misure di carattere fiscale o finanziario che influenzano il consumo di prodotti o di servizi promuovendo l'osservanza di specificazioni tecniche o altri requisiti o regole relative ai servizi; sono escluse le specificazioni tecniche o gli altri requisiti o le regole relative ai servizi connessi con i regimi nazionali di sicurezza sociale" (art. 1.11, cit. direttiva, nel testo consolidato con la direttiva 98/48/CE). Per poter rientrare nella categoria delle c.d. "regole tecniche" il legislatore europeo ha pertanto previsto quattro sottocategorie. Pertanto se una regola rientra in una di queste quattro sottocategorie, tutte previste dalla direttiva 98/34 CEE, necessariamente questa dovrà essere classificata come "regola tecnica", e quindi oggetto di procedura obbligatoria di notifica alla Commissione da parte dello Stato membro. Nella prima sottocategoria rientrano le "specificazioni tecniche", ai sensi dell'articolo 1, punto 3; nella seconda, l'"altro requisito", come definito all'articolo 1, punto 4; nella terza, la "regola relativa ai servizi", di cui all'articolo 1, punto 5; nella quarta, le "disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che vietano la fabbricazione, l'importazione, la commercializzazione o l'utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l'utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi". 13.3. Ciò posto, la sentenza della Corte di giustizia citata da parte appellante, non depone per l'accoglimento del motivo. Ed invero con la citata pronuncia della Terza Sezione del 19 luglio 2012 ("Fortuna sp. z o.o. e altri contro Dyrektor Izby Celnej w Gdyni") la Corte di giustizia si è così pronunciata in relazione ad una normativa nazionale che consentiva l'utilizzo dei giochi automatici con bassa vincita nei soli casinò nei termini di seguito indicati: "Ed invero con le sue questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34 debba essere interpretato nel senso che disposizioni nazionali, come quelle della legge sui giochi d'azzardo, che potrebbero avere l'effetto di limitare, o addirittura di rendere progressivamente impossibile, l'utilizzazione dei giochi automatici a bassa vincita in luoghi diversi dai casinò e dalle sale giochi, costituiscono "regole tecniche", ai sensi di tale disposizione, i cui progetti devono essere oggetto di una comunicazione prevista all'articolo 8, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva. Si deve rammentare, in via preliminare, che la Corte ha già statuito che misure che vietano l'utilizzazione di qualsiasi gioco elettrico, elettromeccanico ed elettronico, in qualsiasi luogo pubblico o privato diverso dai casinò, devono essere qualificate come regole tecniche ai sensi dell'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34 (sentenza del 26 ottobre 2006, Commissione/Grecia, C-65/05, Racc. pag. I-10341, punto 61). Pertanto, una misura, come l'articolo 14, paragrafo 1, della legge sui giochi d'azzardo, che riserva l'organizzazione di giochi automatici ai soli casinò di giochi, deve essere qualificata come "regola tecnica", ai sensi dell'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34. Fatta tale precisazione preliminare, si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, la direttiva 98/34 è volta a tutelare, mediante un controllo preventivo, la libera circolazione delle merci, che costituisce uno dei fondamenti dell'Unione, e l'utilità di tale controllo emerge nei casi in cui regole tecniche che rientrano nel campo di applicazione di tale direttiva possano costituire ostacoli per gli scambi delle merci fra Stati membri, ostacoli che sono ammissibili solo se necessari per soddisfare esigenze imperative dirette al conseguimento di uno scopo d'interesse generale (v. sentenze del 30 aprile 1996, CIA Security International, C-194/94, Racc. pag. I-2201, punti 40 e 48; dell'8 settembre 2005, Lidl Italia, C-303/04, Racc. pag. I-7865, punto 22, nonché del 9 giugno 2011, Intercommunale Intermosane e Fé dé ration de l'industrie et du gaz, C-361/10, Racc. pag. I-5079, punto 10). In tale contesto, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, dall'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34 emerge che la nozione di "regola tecnica" include - oltre alla categoria delle regole relative ai servizi della società dell'informazione, ai sensi di tale articolo 1, punti 2 e 5, che tuttavia non è interessata dai procedimenti principali dal momento che le disposizioni nazionali di cui trattasi riguardano apparecchi da gioco automatici con vincita limitata nella loro qualità di "prodotti", ai sensi di detto articolo 1, punto 1 - tre categorie, cioè, in primo luogo, la "specificazione tecnica", ai sensi dell'articolo 1, punto 3, della direttiva citata, in secondo luogo, l'"altro requisito", come definito dall'articolo 1, punto 4, di tale direttiva, e, in terzo luogo, il divieto relativo alla fabbricazione, all'importazione, alla commercializzazione o all'utilizzazione di un prodotto, di cui all'articolo 1, punto 11, della direttiva stessa (v. sentenze del 21 aprile 2005, Lindberg, C-267/03, Racc. pag. I-3247, punto 54; dell'8 novembre 2007, Schwibbert, C-20/05, Racc. pag. I-9447, punto 34, nonché Intercommunale Intermosane e Fé dé ration de l'industrie et du gaz, cit. punto 11). Si deve precisare, innanzitutto, affinché una norma nazionale rientri nella prima categoria di regole tecniche di cui all'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34, vale a dire nella nozione di "specificazione tecnica", tale norma deve riferirsi necessariamente al prodotto o al suo imballaggio in quanto tali, e definire quindi una delle caratteristiche richieste di un prodotto (v. sentenza Intercommunale Intermosane e Fé dé ration de l'industrie et du gaz, cit, punto 15). Orbene, è sufficiente constatare che le disposizioni transitorie della legge sui giochi d'azzardo riguardano le autorizzazioni ad esercitare l'attività di giochi automatici a bassa vincita. Esse non si riferiscono agli apparecchi da gioco a bassa vincita o al loro imballaggio in quanto tali, e non definiscono pertanto le caratteristiche di questi ultimi. Di conseguenza, le norme nazionali di cui ai procedimenti principali non contengono specificazioni tecniche ai sensi della direttiva 98/34. Emerge inoltre dalla giurisprudenza della Corte che la terza categoria delle regole tecniche prevista all'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34, che fa riferimento, segnatamente, ad un divieto di utilizzazione, presuppone che le norme nazionali in causa abbiano una portata evidentemente più ampia di una limitazione a taluni usi possibili del prodotto in questione, e che non si limitino pertanto ad una semplice restrizione dell'utilizzo di quest'ultimo (v. sentenza Lindberg, cit., punto 76). Infatti, questa terza categoria fa riferimento, in particolare, a misure nazionali che consentono solamente un utilizzo puramente marginale del prodotto in questione rispetto ai vari utilizzi ragionevolmente ipotizzabili dello stesso (sentenza Lindberg, cit, punto 77). A questo riguardo, se è vero che le disposizioni transitorie della legge sui giochi d'azzardo su cui vertono i procedimenti principali comportano indubbiamente divieti per quanto riguarda il rilascio, il rinnovo e la modifica delle autorizzazioni a esercitare un'attività di giochi automatici con vincita limitata, si deve osservare che, conformemente all'articolo 129, paragrafo 1, di detta legge, le attività di giochi automatici con vincita limitata condotte sulla base delle autorizzazioni rilasciate dall'entrata in vigore di detta legge sono esercitate, dai soggetti ai quali sono state rilasciate, secondo le norme anteriori sino alla scadenza di tali autorizzazioni. Pertanto, una tale disposizione consente di continuare a esercitare l'attività di giochi automatici con vincita limitata e, pertanto, a utilizzare apparecchi da gioco di questo tipo, oltre l'entrata in vigore della legge sui giochi d'azzardo. È giocoforza constatare che in un tale contesto le disposizioni transitorie di detta legge non possono essere considerate misure nazionali che consentono solamente un utilizzo puramente marginale degli apparecchi da gioco automatici con vincita limitata. Infine, la Corte ha dichiarato che, per poter essere qualificate come "altro requisito" ai sensi dell'articolo 1, punto 4, della direttiva 98/34, le misure nazionali in causa devono rappresentare "condizioni" che possono influenzare in modo significativo la composizione o la natura del prodotto di cui trattasi o la sua commercializzazione (v., in tal senso, citate sentenze Lindberg, punto 72, nonché Intercommunale Intermosane e Fé dé ration de l'industrie et du gaz, punto 20). A tale riguardo, si deve osservare che le disposizioni transitorie della legge sui giochi d'azzardo impongono condizioni atte a influire sulla commercializzazione degli apparecchi da gioco automatici con vincita limitata. Infatti, il divieto di rilasciare, rinnovare o di modificare le autorizzazioni relative alle attività di giochi automatici con vincita limitata esercitate al di fuori dei casinò è tale da incidere direttamente sul commercio degli apparecchi da gioco con vincita limitata. In tale contesto, spetta al giudice del rinvio verificare se siffatti divieti, la cui osservanza è obbligatoria de iure per l'utilizzazione di giochi automatici a bassa vincita, possano influenzare in modo significativo la natura o la commercializzazione di tali apparecchi (v., in tal senso, sentenza Lindberg, cit, punto 78). In occasione degli accertamenti che dovranno essere effettuati dal giudice del rinvio, esso dovrà tener conto, in particolare, del fatto che con la riduzione dei punti di installazione autorizzati di giochi automatici con vincita limitata si operi una limitazione del numero massimo di casinò nonché di apparecchi da gioco utilizzabili in questi ultimi. Del pari, il giudice del rinvio dovrà verificare se gli apparecchi di gioco automatici con vincita limitata possano essere programmati o riprogrammati al fine di essere utilizzati nei casinò quali apparecchi da gioco d'azzardo che consentirebbero vendite più elevate e presenterebbero di conseguenza un maggior rischio di dipendenza dell'utilizzatore dal gioco (v., in tal senso, sentenza Lindberg, cit., punto 79), il che potrebbe influire in modo significativo sulla loro natura. Alla luce di quanto sin qui illustrato, si deve rispondere alle questioni sottoposte dichiarando che l'articolo 1, punto 11, della direttiva 98/34 deve essere interpretato nel senso che disposizioni nazionali, come quelle della legge sui giochi d'azzardo, che potrebbero avere l'effetto di limitare, o addirittura di rendere progressivamente impossibile, l'utilizzazione dei giochi automatici con vincita limitata in luoghi diversi dai casinò e dalle sale giochi, possono costituire "regole tecniche", ai sensi di tale disposizione, i cui progetti devono essere oggetto di una comunicazione prevista all'articolo 8, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva, purché sia dimostrato che tali disposizioni nazionali rappresentano condizioni che possono influenzare in modo significativo la natura del prodotto di cui trattasi o la sua commercializzazione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare". 13.3.1. Pertanto alla luce della indicata pronuncia, spetta al giudice nazionale stabilire se possa rientrare nella nozione di regola tecnica, sub specie di altro requisito, una normativa volta alla limitazione dell'utilizzo delle apparecchiature del gioco d'azzardo avuto riguardo alla capacità di tale normativa di influenzare in modo significativo la natura del prodotto e la sua commercializzazione. Detta evenienza deve escludersi rispetto alla normativa de qua, che, a differenza della fattispecie presa in considerazione nell'indicata pronuncia della Corte di giustizia, non prevede l'utilizzo delle apparecchiature per il gioco lecito solo in determinati esercizi - ovvero nei casinò - ma si limita a stabilire dei limiti distanziometrici da luoghi sensibili - nell'ottica di tutela della salute, nel senso innanzi indicato - dei locali in cui possono essere consentite le nuove istallazioni delle apparecchiature per l'esercizio del gioco lecito. 13.3.2. Ciò senza mancare di considerare che l'indicata pronuncia è antecedente alla risoluzione del Parlamento europeo del 10 settembre 2013 cui si è fatto in precedenza cenno, con la quale si è affermata la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, pur se tali interventi dovessero comprimere alcuni princì pi cardine dell'ordinamento comunitario come, ad esempio, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. 13.3.3.Inoltre, è stato evidenziato da questo Consiglio di Stato - proprio con riferimento alla libertà di iniziativa economica e alla sua comprimibilità - che anche la giurisprudenza della Corte di giustizia U.E. ammette le idonee restrizioni alla disciplina europea in tema di libertà d'impresa qualora giustificate da esigenze imperative connesse all'interesse generale, "come ad esempio la tutela dei destinatari del servizio e dell'ordine sociale, la protezione dei consumatori, la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco" (cfr. sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11, e sentenza 19 luglio 2012, nelle cause riunite C-213/11, C-214/11 e C-217/11), "con conseguente legittima introduzione, da parte degli Stati membri (e delle loro articolazioni ordinamentali), di restrizioni all'apertura di locali adibiti al gioco, a tutela della salute di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CE)" (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498). 13.3.4. Analogamente la Corte di giustizia, con sentenza del 22 ottobre 2014, C-344/13 e C367/13, nell'ambito della materia che ci occupa, nel bilanciamento tra libertà economica e tutela della salute, ha dato prevalenza a quest'ultima. Va evidenziato, al riguardo, che il quarto considerando della Direttiva ammette gli ostacoli agli scambi dei prodotti in presenza di "esigenze imperative e di obiettivi di interesse generale". Sulla stessa scia, gli articoli 36 e 52 del TFUE, ammettono le misure derogatorie in materia di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi "che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica". La Corte di Giustizia, con sentenza 22 gennaio 2015, c 463-2013, "Stanley International Betting Ltd c. Ministero dell'Economia e delle Finanze", in relazione alla libera prestazione di servizi - giochi d'azzardo, ha inoltre evidenziato: "secondo una giurisprudenza costante, le restrizioni alle attività dei giochi d'azzardo possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata)". Con l'indicata pronuncia la Corte ha altresì precisato che "Tuttavia, si deve ricordare il carattere peculiare della disciplina dei giochi d'azzardo, che rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri notevoli divergenze di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione europea, spetta al singolo Stato membro valutare, in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi coinvolti comporta, tenendo presente che, nell'ambito di una controversia sottoposta alla Corte ai sensi dell'articolo 267 TFUE, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalla normativa nazionale rientra nella competenza del giudice del rinvio (sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata). Per tale ragione, in questo specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le esigenze che la tutela del consumatore e dell'ordine sociale comporta e, a condizione che siano inoltre rispettati i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, spetta a ciascuno Stato membro decidere se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività riconducibili ai giochi e alle scommesse, oppure soltanto limitarle e prevedere a tal fine modalità di controllo più o meno rigorose (v. sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata)". 13.3.5. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha pertanto, a tale stregua, ribadito che il Trattato CE "fa salve eventuali restrizioni imposte dai singoli Stati membri giustificate, tra l'altro, anche da motivi di tutela della salute pubblica e della vita delle persone - nel territorio di uno stato membro sono ammissibili restrizioni che vadano sino al divieto delle lotterie e di altri giochi a pagamento con vincite in denaro, trattandosi di un divieto pienamente giustificato da superiori finalità di interesse generale" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014 n. 5251; Id., sez. VI, 20 maggio 2014 n. 2542, nonché, da ultimo, Id., sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867). 14. Con il secondo motivo Nt. assume che il giudice di prime cure aveva errato nel disattendere il secondo motivo di ricorso, con cui si era lamentato il difetto di istruttoria, in quanto le affermazioni contenute nel provvedimento impugnato non erano supportate da riscontro specifico, dati precisi o quantomeno delle indicazioni in base alle quali poter risalire alla provenienza dei dati genericamente citati. In tesi di parte appellante non si potrebbe infatti affermare che la Lombardia è la regione con la maggiore spesa assoluta per il gioco senza fornire dati o citare studi al riguardo; come non ci si poteva limitare a dire che numerose persone avevano manifestato problemi con il gioco e che molte erano ancora in cura o, ancora, che il gioco avrebbe una crescente diffusione tra casalinghe e pensionati, senza dare un solo dato o riferimento concreto al riguardo, né fornire alcun dato in ordine alla fantomatica emergenza legata all'espandersi in "(...) vaste fasce di popolazione di tutte le età e genere(...)" della patologia del gioco d'azzardo. Parte appellante richiama inoltre lo Studio dell'Istituto Superiore di Sanità, a seguito di un accordo con l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le cui conclusioni erano state annunciate con comunicato stampa dell'ISS n° 30/2018 del 18.10.2018, (cfr. doc. 6, fascicolo primo grado) dal quale emergerebbe come all'alta prevalenza di gioco non corrisponda l'alta prevalenza di comportamento problematico. Lo studio pubblicato da Eurispes "Gioco pubblico e dipendenze in Piemonte" del 7 maggio 2019 metterebbe poi in evidenza, in tesi di parte appellante, l'assoluta "assenza di efficacia del "distanziometro". Inoltre il Consiglio di Stato con ordinanza n. 3351/2019 - che aveva confermato il decreto cautelare n. 2457/2019 - aveva disposto la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza n. 1618/2019, da esso stesso emessa, in ordine alla legittimità del c.d. "distanziometro" vigente nel territorio di Bolzano. 14.1. Le censure sono infondate. Ed invero legge regionale n. 8/2013 ha predeterminato un limite massimo di distanza rispetto ai luoghi sensibili, non superabile dalla giunta, demandando a quest'ultima la determinazione in concreto del limite da applicare, che consentisse di stabilire quale distanza (entro il limite massimo stabilito dalla legge) dovesse ritenersi adeguata allo scopo da perseguire, consistente - secondo quanto enunciato all'articolo 1 della legge - nella prevenzione e nel contrasto delle forme di dipendenza dal gioco d'azzardo lecito. La giunta regionale, come indicato nella delibera oggetto di impugnativa ed osservato dal primo giudice, ha svolto i necessari approfondimenti, sentendo anche le associazioni regionali delle imprese e ANCI Lombardia e, nell'ambito dell'istruttoria svolta, rilevando - tra l'altro - che: "la Lombardia è tra le regioni italiane con la maggior spesa assoluta per il gioco", "numerose persone in Lombardia hanno manifestato problemi legati a questo fenomeno, che è in continua crescita e interessa in particolare coloro che hanno minori capacità di reddito", "le indicazioni provenienti dagli osservatori specializzati mostrano che la crescita delle patologie compulsive legate al gioco d'azzardo tocca in particolare le fasce sociali più deboli, minori, anziani e casalinghe, in conseguenza anche delle tipologie di gioco offerto e della loro immediata fruibilità, elementi che generano una sovraesposizione nei soggetti predisposti, allargando allo stesso tempo la fascia di quelli interessati" e che "sta crescendo il livello di attenzione per le nuove generazioni, che sempre più spesso vanno incontro ad una vera e propria sindrome da abuso in fatto di giochi". Peraltro, come del pari correttamente argomentato dal primo giudice, la scelta di determinare nella misura fissa di cinquecento metri il limite di distanza degli apparecchi di nuova collocazione dai luoghi sensibili è stata motivata in relazione "sia al fine di dare piena attuazione agli indirizzi univocamente manifestati dal Consiglio Regionale durante i lavori preparatori e quelli per l'approvazione della legge in argomento, sia per consentire in fase di prima applicazione della medesima legge l'attuazione più uniforme e lineare da parte delle Amministrazioni comunali interessate" (così ancora le motivazioni della delibera impugnata). 14.2. La circostanza che non siano stati dettagliatamente esposti i dati raccolti nel corso dell'istruttoria non è invero in grado di scalfire la legittimità della delibera giuntale, avuto riguardo per un verso alla riconosciuta diffusione del fenomeno della ludopatia in tutto il territorio nazionale, comprovata dalla legislazione di contrasto alla ludopatia ed in primis dal Decreto Balduzzi, ed in secondo luogo alla finalità eminentemente preventiva della misura, che in quanto volta a proteggere le fasce deboli della popolazione, è volta ad evitare lo stesso insorgere del fenomeno della ludopatia. 14.2.1. Ciò senza mancare di rilevare che la misura di 500 metri fissata dalla giunta regionale con l'indicata delibera, nel rispetto del limite massimo indicato dal legislatore regionale, è coerente con il limite previsto da altre legislazioni regionali; infatti una distanza minima di cinquecento metri è prescritta dall'art. 4 della l.r. Toscana 57/2013, dall'art. 7 della l.r. Puglia 43/2013 e dall'art. 6 della l.r. Basilicata 30/2014 (cfr. al riguardo Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578). L'indicata norma della Regione Puglia ha superato peraltro il vaglio della Corte costituzionale, (sent. 11 maggio 2017, n. 108), come innanzi precisato. Nell'occasione la Corte ha chiarito che il legislatore regionale era intervenuto per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo": fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo. 14.2.2. Del tutto inconferenti, ai fini che qui rilevano, sono poi i richiami ad alcune sentenze di annullamento dei Tar, contenute nella memoria di discussione di parte appellante, che non riguardano la normativa regionale sulla fissazione di distanze dai luoghi sensibili, ma delibere comunali di fissazione degli orari per il funzionamento degli apparecchi per il gioco lecito, in cui peraltro si intersecano interessi economici di soggetti che già esercitano l'attività del gioco lecito a mezzo delle indicate apparecchiature, laddove per contro la delibera di cui è causa è riferita alle nuove istallazioni. 14.3. Destituita di fondamento è poi la censura fondata sull'inefficacia del distanziometro, essendo lo stesso previsto non come generale mezzo di contrasto alla ludopatia, ma come strumento volto ad evitare lo stesso accostamento al gioco da parte di fasce deboli della popolazione che frequentano i c.d. luoghi sensibili. 14.4. Ciò senza mancare di rilevare che un richiamo a detto strumento vi è nella stessa legislazione nazionale. Infatti una "progressiva ricollocazione" dei punti della rete fisica di raccolta dei punti gioco per tener conto della presenza nel territorio di scuole, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi è prevista, come innanzi ricordato, in linea generale del Decreto Balduzzi (art. 7, comma 10). Pertanto, come correttamente evidenziato dal primo giudice "uno dei principi fondamentali del c.d. decreto Balduzzi è sicuramente rappresentato proprio da quello che si può definire di "prevenzione logistica", in base al quale tra i locali ove sono installati gli apparecchi da gioco e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione deve intercorrere una distanza minima, ritenuta plausibilmente e ragionevolmente idonea ad arginare, sotto il profilo della "vicinitas", i richiami e le suggestioni di facile ed immediato arricchimento". 14.5. Parimenti corretta è la statuizione di prime cure nel punto in cui ha escluso l'eccesso di potere della gravata delibera regionale in quanto "le determinazioni assunte dalla Giunta risultano coerenti rispetto al fine dichiarato e affidato alla cura dell'Organo, ossia la prevenzione e il contrasto della ludopatia". 14.6. Infine destituito di fondamento, ai fini dell'accoglimento del secondo motivo di appello, è il richiamo operato da parte appellante ad una ordinanza cautelare adottata in sede di revocazione avverso la sentenza Cons. Stato, sez, VI, n. 1618/2019, posto che il ricorso per revocazione è stato poi dichiarato inammissibile con la sentenza Cons. Stato, sez. VI n. 10322/2022, con la quale si è escluso qualsiasi profilo di irrazionalità della normativa provinciale di Bolzano o di contrasto con l'art 41 Cost., alla luce della perdurante possibilità per le imprese ricorrenti di svolgere attività d'impresa in altre parti del territorio provinciale. 15. Con il terzo motivo di appello Nt. critica la sentenza di prime cure nella parte in cui ha rigettato la doglianza relativa al contrasto tra la delibera impugnata e le previsioni del d.l. n. 158/2012 (Decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla l. n. 189/2012, nonché con i successivi interventi normativi in materia, per non avere il Tar esaminato quanto addotto nelle memorie difensive in cui si era evidenziato che la delibera della Regione Lombardia del 24 gennaio 2014 n. X1274 e successive modifiche e integrazioni, risultava censurabile a fronte dell'incompetenza della Regione a disciplinare la localizzazione di sale dedicate e apparecchi di cui all'art. 110 del TULPS, sotto il profilo delle distanze minime dai cosiddetti "luoghi sensibili". La normativa di settore relativa al gioco pubblico avrebbe infatti demandato ad ADM la pianificazione della ricollocazione delle sale e la regolamentazione delle localizzazioni e delle distanze minime. Ciò a partire dal d.lgs. n. 158/2012 (cd. Decreto Balduzzi), all'art. 7, comma 10 e poi con la legge 208 del 2015. Lo spirito della normativa citata, in tesi di parte appellante, sarebbe quello di favorire il dia tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni ed Enti locali), la cui mancanza avrebbe generato un contrasto tra quello centrale e quello del territorio, creando un'impasse, con gravi risvolti economici anche per il bilancio dello Stato. La Legge di Stabilità 2016, attuando una politica vigile e non proibizionista, aveva poi previsto un tetto allo sviluppo quantitativo del settore, promuovendo al contempo la spinta alla regolarizzazione del gioco, l'intensificazione del contrasto al gioco illegale e limiti alla pubblicità, prevedendo la progressiva riduzione del 30% degli apparecchi da intrattenimento e divertimento di cui all'art. 110, comma 6 lett. a) TULPS nei prossimi anni, e quindi l'adozione di misure di carattere organico e generale a conferma dell'inutilità di sterili e confusionarie iniziative degli enti locali. Da ultimo era poi intervenuto l'accordo raggiunto in data 7 settembre 2017 in sede di Conferenza unificata, con il quale i rappresentanti del Governo Italiano e degli Enti Locali (Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano) l'ANCI e l'UPI avevano approvato all'unanimità la proposta di riordino dell'offerta di gioco pubblico, imperniata su una sostanziale modifica delle modalità attraverso le quali l'offerta di gioco legale si sarebbe dovuta articolare sul territorio nazionale negli anni successivi, con un impatto immediato sia sugli operatori già attivi che su quelli interessati a partecipare ai successivi bandi di gara indetti da ADM. In particolare, in numerosi passaggi degli atti suindicati, la Conferenza Unificata aveva posto in rilievo la circostanza che uno dei principi cardine dell'emanando decreto ministeriale era quello della salvaguardia degli investimenti effettuati da parte degli operatori di gioco. 15.1. Il motivo è destituito di fondamento, essendo indubbia la competenza delle Regione in materia anche in assenza dell'intervento del legislatore nazionale, come confermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa. 15.1.1. La Corte costituzionale con la citata sentenza n. 108/2017, nel richiamare espressamente la sentenza n. 300/2011- oltre ad escludere l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante "Contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico (GAP)", nella parte in cui vieta il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili", rientrando la materia de qua nella legislazione concorrente in materia di salute - ha escluso che i criteri per la dislocazione delle sale da gioco, anche nell'ottica della tutela della salute, debbano essere necessariamente fissati in forza dell'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. 15.1.2. Anche la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578), sulla scorta di quanto ritenuto anche nella sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2014 n. 220, ha chiarito che dall'art. 7, comma 10, d.l. n. 158/2012, si trae il principio della legittimità di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (prevenzione logistica delle ludopatie), non anche quello della necessità della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale. 15.1.3.La Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2019, ha infine confermato il proprio consolidato orientamento secondo cui, mentre l'individuazione dei giochi leciti e la disciplina delle modalità d'installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco rientrano nella competenza legislativa dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, alla luce della finalità di prevenzione dei reati che esse perseguono, alle Regioni non è preclusa l'adozione di "misure tese a inibire l'esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati "sensibili", al fine di prevenire il fenomeno della "ludopatia""; tali normative, infatti, "prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell'impatto sul territorio dell'afflusso a detti giochi da parte degli utenti", pertanto sono ascrivili alle materie della tutela della salute e del governo del territorio, attribuite alla legislazione concorrente". Con tale sentenza la Corte costituzionale ha precisato che, se il d.l. n. 158 del 2012 (conv. in l. n. 189 del 2012) prevede la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco mediante "slot machines" che si trovano in prossimità di luoghi "sensibili" con decreto del Ministro dell'economia, anche nelle more della realizzazione di questa pianificazione, la competenza legislativa regionale ben può essere esercitata, nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale e in quadro normativo e giurisprudenziale che "consente espressamente alle Regioni d'intervenire prevedendo distanze minime dai luoghi sensibili per l'esercizio delle attività legate ai giochi leciti, anche individuando luoghi diversi da quelli indicati dal d.l. n. 158 del 2012, come convertito". Infine, la stessa intesa in Conferenza unificata del 07.09.2017 per la distribuzione sul territorio dei punti di gioco fa esplicitamente salva l'efficacia delle vigenti disposizioni delle Regioni "se prevedono una tutela maggiore" e riconosce a tali Enti la facoltà di prevedere "forme maggiori di tutela per la popolazione" a fini di contrasto della "ludopatia" (in questi termini, del resto, si v. ancora Corte cost., sent. n. 27 del 2019). 15.1.4.Alla stessa stregua risulta del tutto corretta la statuizione di prime cure, peraltro non sottoposta a critica puntuale, laddove ha ritenuto che "le competenze regionali in materia di ludopatia non possono ritenersi venute meno per effetto delle previsioni contenute nell'art. 14 della legge-delega in materia fiscale n. 23/2014; ciò in quanto detto disposto stabilisce i criteri della delega solo con riguardo ai profili di ordine pubblico e sicurezza e, anche nella parte in cui interviene su profili attinenti la salute, non provvede ad "innovare" la normativa esistente, ma si prefigge solo di "abrogare espressamente" le "disposizioni incompatibili ovvero non più attuali". Tra i principi e criteri direttivi dettati all'esecutivo per l'esercizio della delega legislativa, vi è anche quello di "introdurre e garantire l'applicazione di regole trasparenti e uniformi nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica", e ciò con l'espressa previsione che debba assicurarsi "la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale che risultino coerenti con i princì pi delle norme di attuazione della presente lettera". La previsione normativa si pone in linea con l'insegnamento della Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. 9 novembre 2011, n. 300; Corte Cost. 11 maggio 2017, n. 108) e con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria: essa, infatti, stabilisce bensì la futura fissazione di "parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale", ma ciò prevede senza affatto negare l'esistenza di concorrenti poteri delle Regioni e degli Enti locali. In altri termini, la facoltà per tali soggetti di esercitare le proprie prerogative, in attesa della fissazione dei nuovi criteri uniformi a livello nazionale, viene implicitamente riconosciuta, affermando anzi espressamente la necessità che il futuro codice dei giochi d'azzardo leciti faccia salve le regolazioni locali coerenti con i principi in esso espressi". 15.2. Né infine appare ravvisabile la manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale, peraltro neppure formalmente sollevata dalla parte appellante, della normativa regionale (art. 5, comma 1, della l.r. 21 ottobre 2013, n. 8) di cui la delibera giuntale oggetto di impugnativa costituisce attuazione, con riferimento all'art. 41 Cost.. Infatti analogamente a quanto precisato nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1618/2019, (in relazione alla quale, come innanzi precisato, il ricorso per revocazione è dichiarato inammissibile con la sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 10322/2022) "ritiene il Collegio che, nella specie, le scelte del legislatore rientrino ampiamente nei limiti della discrezionalità riservata all'attività legislativa, nella specie esercitata correttamente, attesa l'indubbia ragionevolezza della disciplina censurata, realizzando la stessa in modo plausibile il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco tramite l'introduzione di criteri distanziali di localizzazione, idonei ad arginare in via preventiva le esternalità negative dell'attività d'impresa del gioco lecito sulla salute pubblica, con ciò concretizzando, nel settore di riferimento, la clausola del mancato contrasto con l'utilità sociale di cui all'art. 41, secondo comma, Cost. (nella quale rientrano anche le esigenze di tutela della sanità e della salute pubblica), e superando con ciò la norma limitativa dell'attività d'impresa il vaglio positivo di ragionevolezza, nel rispetto di tale principio generale enucleabile dall'art. 3 della Costituzione". 15.3. Del tutto inconferente è poi quanto addotto da parte appellante nella memoria di discussione circa la non attualità della problematica posta a fondamento della delibera impugnata - avuto riguardo alla riduzione del gioco lecito nel periodo della pandemia e post pandemia realizzato a mezzo delle apparecchiature di cui è causa e l'aumento per contro delle giocate on line - posto che la legittimità della delibera impugnata non può che essere riguardata con riferimento alla situazione esistente al momento della sua adozione. 16. In considerazione dell'infondatezza di tutti i motivi di gravame l'appello va respinto. 17. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, in considerazione della complessità delle questioni giuridiche sottese alla decisione, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Stefano Fantini - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6841 del 2022, proposto da Ro. Gi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Tr., Ca. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Si. in Bologna, piazza (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Seconda n. 117/2022, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bologna; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Fi. e Tr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.Ro. Gi. s.r.l. (d'ora in poi anche semplicemente Ro. Gi.), svolgente attività nel settore del gioco pubblico con sale VLT e con la fornitura a noleggio di apparecchiature ex art. 110 comma 6 TULPS, ha interposto appello avverso la sentenza del Tar per l'Emilia Romagna, sez. II, 3 febbraio 2022 n. 117, che ha rigettato il ricorso della medesima società nei confronti del Comune di Bologna per risarcimento danni, proposto ex art. 30 comma 5 c.p.a., dopo che il medesimo Tar, con sentenza 27 aprile 2015 n. 407, confermata con diversa motivazione dal Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578, aveva annullato l'atto di diniego della licenza ex art. 88 TULPS adottato dal Questore ed il relativo atto presupposto, ovvero la prescrizione del regolamento comunale di Polizia urbana (art. 23 comma 3), che aveva fissato in 1.000 metri la distanza da luoghi sensibili per le sale gioco. 2. A fondamento della domanda risarcitoria proposta la società assumeva: a) di avere preso in locazione un immobile in Via (omissis), con contratto sottoscritto il 26 giugno 2012 al fine di adibirlo a sala giochi; b) di avere depositato il 20 febbraio 2013 la pratica edilizia (SCIA) per il cambio di destinazione d'uso e la sistemazione, con pareti divisorie, controsoffitto e adeguamento impianti, rappresentando il futuro utilizzo per attività di raccolta del gioco attraverso videoterminali VLT e che il 26 luglio 2013 veniva dichiarata la fine lavori e predisposta l'asseverazione attestante la conformità e regolarità di tutti gli impianti; c) di avere stipulato in data 9 ottobre 2013 con scrittura privata un contratto di affitto di ramo d'azienda con il Sig. Ll. Er., il quale presentava successivamente istanza alla Questura per ottenere la licenza ex art. 88 TULPS per l'attività di sala VLT nei locali suddetti; d) dopo il preavviso di rigetto e l'interlocuzione con l'affittuario, il 4 febbraio 2014, il Questore emetteva il decreto di diniego della licenza ex art. 88 del TULPS, fondato sull'incompatibilità con l'art. 23 comma 3 del regolamento di Polizia urbana del comune di Bologna, che poneva limiti di distanza dai luoghi c.d. sensibili per le "sale scommesse e sale dedicate esclusivamente a videolottery" (si trattava, in particolare, della previsione per cui "il locale dove viene svolta l'attività deve rispettare la distanza minima di 1000 m misurata sul percorso pedonale più breve che collega i rispettivi punti di accesso più vicini dai seguenti luoghi sensibili: asili, scuole di ogni ordine e grado, luoghi di culto, ospedali, case di cura, camere mortuarie, cimiteri, caserme e strutture protette in genere"): e) il ricorso proposto contro gli atti sfavorevoli veniva accolto dal Tar per l'Emilia Romagna con sentenza 27 aprile 2015 n. 407, che dichiarava l'illegittimità della disposizione regolamentare in quanto adottata "...senza la cornice normativa statale che deve fissarne i criteri generali di operatività, e senza nessuna copertura neppure nella legislazione regionale, che anzi conferma la necessità di attenersi alle apposite previsioni di rango statale, tuttavia ancora carenti"; f) detta sentenza veniva confermata dal Consiglio di Stato, sez. III n. 578 del 2016. 2.1. Ciò posto, sotto il profilo del quantum, la ricorrente in prime cure richiedeva a titolo risarcitorio, in riferimento al lucro cessante sub specie di mancato aggio (guadagno netto) la somma di Euro 444.018,08 (Euro 256.136,08 per gli apparecchi VLT e Euro 187.882 per le apparecchiature AWP). Richiedeva poi a titolo di danno emergente le seguenti somme: Euro 43.759 per canoni di locazione; Euro 9.241,28 Euro a titolo di oneri di urbanizzazione; Euro 40.800 per lavori effettuati, impianti e arredi; Euro 4.600 per le fatture del geom. Li.. Richiedeva pertanto complessivamente la somma di Euro 524.418,08. 2.2. Con memoria conclusionale Ro. Gi. chiedeva anche la riparazione pecuniaria del pregiudizio subito per gli anni 2016-2017-2018, argomentando che non si trattasse di nuova domanda ma di ampliamento di quella principale, coltivata con l'atto introduttivo del giudizio, per cui richiedeva a titolo risarcitorio Euro 106.000,28 per danno emergente e Euro 542.305,85 per lucro cessante, per una somma totale di Euro 658.306,13. 2.3. Si è costituiva in giudizio il Comune di Bologna, chiedendo il rigetto del gravame. 3. Con la sentenza in epigrafe il Tar ha rigettato il ricorso, ritenendo in primo luogo che non potesse intendersi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita, nonché della perdita di chance "che esige la probabilità seria e concreta di ottenere il bene sperato, al di sotto della quale si registra una mera aspettativa di fatto". Ha inoltre escluso la colpa dell'Amministrazione sulla base del rilievo che "nella fattispecie, connotata da elevata discrezionalità, è riscontrabile una pianificazione assunta in un quadro normativo in via di progressiva formazione, e all'epoca gli Enti locali iniziavano ad assumere iniziative di contrasto del fenomeno della ludopatia dopo l'emanazione del già citato decreto Balduzzi. L'ampiezza del margine di apprezzamento era ancora incerta, poiché erano ammesse limitazioni alle attività di gioco e scommessa a tutela della salute, senza un limite di distanza predefinito". 4. Avverso tale sentenza Ro. Gi. ha formulato, in tre motivi di appello, le seguenti censure: 1) Error in iudicando. Contraddittorietà, illogicità del percorso motivazionale sull'elemento della grave colpevolezza e danno ingiusto. Omesso esame della domanda di risarcimento; 2) Error in iudicando riguardo la presunta mancanza del nesso di causalità tra le decisioni dell'amministrazione comunale di Bologna e la perdita patrimoniale subita dalla Ro. Gi. s.r.l. Contraddittorietà, illogicità della motivazione. Omesso esame della domanda di risarcimento danno ingiusto; C) Error in iudicando - Omesso esame della domanda di risarcimento danno. Omessa valutazione delle istanze istruttorie formulate dal ricorrente per la quantificazione in via equitativa del danno da lucro cessante. 5. Si è costituito il Comune di Bologna, instando per il rigetto dell'appello. 6. Le parti in vista dell'udienza di discussione, hanno prodotto articolate memorie difensive, ex art. 73 comma 1 c.p.a., instando nei rispettivi assunti. In particolare il Comune ha evidenziato di avere, già nel corso del giudizio di primo grado, fatto presente che l'annullamento degli atti, sulla cui base la società appellante aveva intrapreso l'azione risarcitoria ex art. 30 comma 5 c.p.a., era fondato su meri vizi formali di istruttoria, come palesato dalla circostanza che il Consiglio di Stato aveva ritenuto illegittima la tipologia dello strumento regolamentare utilizzato e l'entità della distanza minima dai luoghi sensibili (1.000 mt invece di 500). Di conseguenza, poiché l'esercizio in questione distava meno di 300 mt dai luoghi definiti sensibili, anche nel caso in cui l'azione amministrativa si fosse realizzata correttamente sin dall'origine, l'impresa non avrebbe potuto esercitare l'attività, in quanto sarebbe stata in ogni caso investita dal divieto. 7. La causa è stata trattenuta in decisione all'esito dell'udienza pubblica del 21 settembre 2023. DIRITTO 8. La sentenza di prime cure, come innanzi precisato, ha rigettato l'azione risarcitoria proposta dalla società appellante, ai sensi dell'art. 30 comma 5 c.p.a., dopo che si era formato il giudicato sull'annullamento del diniego di licenza ex art. 88 TULPS e sul relativo atto presupposto, art. 23 comma 3 del Regolamento di Polizia urbana, sulla base del duplice rilievo dell'assenza di prova della spettanza del bene della vita e dell'assenza di prova della colpa del comune di Bologna. 9. Con il primo motivo di appello Ro. Gi. contesta la motivazione della sentenza gravata nel punto in cui ha ritenuto non sussistesse la colpa della P.A., mentre con il secondo motivo contesta la motivazione della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto non provata la spettanza del bene della vita, peraltro invertendo l'ordine logico seguito dal primo giudice che aveva correttamente analizzato prioritariamente il profilo dell'assenza di prova della spettanza del bene della vita, in grado ex se di escludere il diritto al risarcimento del danno. 9.1. Come è noto infatti gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo. Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati. Occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.). Con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per accedere alla tutela risarcitoria (Cons. Stato, sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217); occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole dell'amministrazione pubblica), l'interesse materiale al quale il soggetto aspira; ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2022, n. 8480; sez. IV, 27 aprile 2021, n. 3398; sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1496; sez. IV, 6 luglio 2020, n. 4338; sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1437). Peraltro, il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia i presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) sia quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) (Cons. Stato, sez. II, 28 aprile 2021 n. 3414; 24 luglio 2019, n. 5219; sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1768, sez. V, 9 marzo 2015 n. 1182 e sez. IV, 22 maggio 2014 n. 2638). Infatti, anche l'esistenza del danno ingiusto, lamentato in giudizio, deve formare oggetto di un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento. In proposito non soccorre, infatti, il metodo acquisitivo; né l'esistenza del danno stesso potrebbe essere presunta quale conseguenza dell'illegittimità provvedimentale in cui l'Amministrazione sia incorsa. Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale il principio generale dell'onere della prova previsto dall'art. 2697 c.c., si applica anche all'azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo. Spetta dunque al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi, in particolare, quella della presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all'evento dannoso, e quella dell'effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi di tale necessaria prova, essa non può che essere respinta (Cons. Stato, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6169). 9.2. Peraltro, secondo la consolidata giurisprudenza, qualora un provvedimento limitativo del potere del privato viene annullato per vizi considerati "formali", quali il difetto di istruttoria o di motivazione, la sentenza di annullamento non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, per cui non può essere accolta la domanda finalizzata al perseguimento della pretesa sostanziale, qual è il risarcimento del danno" (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534, secondo cui " mentre la caducazione dell'atto per vizi sostanziali vincola l'amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l'annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell'atto annullato e lascia ampio potere in merito all'amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l'illegittimità, sicché non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2019, n. 7977; sez. III, 17 giugno 2019, n. 4097; sez. V, 14 dicembre 2018, n. 7054). 9.2.1. Ciò in quanto il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2019, n. 5737; sez. V, 23 marzo 2018, n. 1859). Ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico. 10. In tale ottica ritiene il collegio di dovere principiare dalla disamina del secondo motivo di appello, il cui rigetto determinerebbe all'evidenza la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del primo motivo, in quanto, in assenza della prova della spettanza del bene della vita, alcuna rilevanza, ai fini dell'accoglimento della pretesa risarcitoria potrebbe avere l'eventuale sussistenza della colpa della P.A., dovendo tale profilo esaminarsi solo qualora il ricorrente riesca a fornire la prova della sussistenza di tutti gli altri elementi costituitivi della responsabilità aquiliana ed in primis la prova della spettanza del bene della vita, necessaria affinché il danno possa essere qualificato quale ingiusto. 11. Con tale motivo la Ro. Gi. evidenzia che il presupposto procedimento amministrativo (SCIA) necessario per ottenere il cambio di destinazione d'uso del locale ad uso sala giochi si era concluso positivamente nel luglio 2013, l'istanza per ottenere la licenza ex art. 88 TULPS era stata depositata alla Questura di Bologna ad ottobre 2013 ed il procedimento di pubblica sicurezza si era concluso con il diniego della Questura in data 4 febbraio 2014. In tesi di parte appellante, la cronologia dei fatti sarebbe fondamentale per comprendere come il Comune di Bologna abbia dapprima consentito la conclusione del procedimento edilizio urbanistico per il cambio di destinazione d'uso, (per l'esattezza la pratica edilizia - SCIA- era stata chiusa in data 26 luglio 2013 con dichiarazione di fine lavori da parte del tecnico), ingenerando in questo modo il legittimo affidamento nell'appellante e solo in un secondo momento, nel mese di novembre 2013 era stato introdotto il limite distanziale di 1000 metri con l'illegittima previsione del Regolamento di Polizia urbana. Nella prospettazione attorea sarebbe pertanto certo che, in forza della sentenza passata in giudicato tra le parti, relativa all'annullamento del diniego della licenza ex art. 88 del TULPS e della presupposta norma regolamentare (cfr sentenza Cons. Stato, sez. III, n. 578 del 2016), il Comune di Bologna avrebbe dovuto consentire alla Ro. Gi., per il tramite dell'affittuario del ramo di azienda, che doveva intestarsi la licenza 88 TULPS, di avviare l'attività di raccolta del gioco nella sala VLT di Via (omissis) nel mese di febbraio 2014 e che tale attività si sarebbe legittimamente protratta, almeno fino alla fine dell'anno 2018, per oltre 4 anni, in coincidenza con i tempi della mappatura del territorio da parte del Comune di Bologna disposta nel febbraio 2018 e della prima scadenza di sei mesi prevista dalla delibera di Giunta Regionale n. 831/17. Il pregiudizio economico subito dalla società appellante sarebbe quindi direttamente e causalmente riferibile e conseguente alla assunzione della delibera del Consiglio comunale di Bologna che aveva adottato, nel mese di novembre 2013, il Regolamento di Polizia urbana, inserendo in modo illegittimo il limite distanziale di 1000 metri ed impedendo l'avvio dell'attività economica. 12. Prima di passare alla disamina di tale motivo, onde inquadrare esattamente le problematiche ad esso sottese, giova richiamare la normativa in materia di contrasto alla ludopatia e i princì pi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa. 12.1. Pur non essendovi una normativa comunitaria specifica sul contrasto alla ludopatia, qualificata dall'organizzazione Mondiale della Sanità come una malattia sociale ed una vera e propria dipendenza, il Parlamento europeo ha approvato il 10 settembre 2013 una risoluzione nella quale si afferma la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, pur se tali interventi dovessero comprimere alcuni princì pi cardine dell'ordinamento comunitario come, ad esempio, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi (ex multis Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867). Invero, secondo il Parlamento europeo, il gioco d'azzardo non è un'attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effettivi negativi per la salute e a livello sociale, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi (cfr. anche Corte di Giustizia, 22 gennaio 2015, C-463/2013, Stanley International Betting Ltd c. Ministero dell'Economia e delle Finanze, in relazione alla libera prestazione di servizi - giochi d'azzardo). È pertanto necessario contrastare i possibili effetti negativi del gioco d'azzardo per la salute e a livello sociale, tenuto anche conto dell'enorme diffusione del gioco d'azzardo e del fenomeno delle frodi, oltre che svolgere un'azione di lotta alla criminalità . Parimenti, la Commissione europea nel 2014 è intervenuta sul tema con la raccomandazione 14 luglio sul gioco d'azzardo (anche se on line), stabilendo i princì pi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli. 12.2. In ambito nazionale assume un rilievo centrale la disciplina del c.d. decreto Balduzzi, che ha attuato un intervento più organico in materia (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), affrontando diverse tematiche. Con riguardo ai profili sanitari, è previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2). In attuazione di tale disposizione, è stato approvato il Piano d'azione nazionale. Per contenere i messaggi pubblicitari si vieta l'inserimento di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive e radiofoniche nonché durante le rappresentazioni teatrali o cinematografiche non vietate ai minori; sono anche proibiti i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, o che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco: per i trasgressori (sia il committente del messaggio pubblicitario sia il proprietario del mezzo di comunicazione interessato) è prevista una sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro (art. 7, commi 4 e 4-bis). Avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita devono essere riportati su schedine e tagliandi dei giochi; su apparecchi di gioco (c.d. AWP - Amusement with prizes), cioè quegli apparecchi che si attivano con l'introduzione di monete o con strumenti di pagamento elettronico; nelle sale con videoterminali (c.d. VLT - Video lottery terminal); nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi e non; nei siti internet destinati all'offerta di giochi con vincite in denaro: in caso di inosservanza di tali disposizioni è prevista la sanzione amministrativa di 50.000 euro (art. 7, commi 5 e 6). È stata ancora prevista l'intensificazione dei controlli sul rispetto della normativa (art. 7, comma 9) e una "progressiva ricollocazione" dei punti della rete fisica di raccolta dei punti gioco per tener conto della presenza nel territorio di scuole, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi (art. 7, comma 10). Benché non sia stato emanato il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare i criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato legittimamente, in assenza di una normativa di coordinamento di ambito statale, propri regolamenti in materia. In base al decreto Balduzzi è stato istituito anche un Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Tale Osservatorio, inizialmente istituito presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato successivamente trasferito al Ministero della salute ai sensi della legge n. 190 del 2014 (legge finanziaria per il 2015), che ne ha modificato anche la composizione, per assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni operanti in materia. La stessa legge (art. 1, comma 133) ha destinato annualmente, a decorrere dal 2015, una quota di 50 milioni di euro, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, per la cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo (1 milione annuo per la sperimentazione di software per monitorare il comportamento del giocatore e generare messaggi di allerta). 12.3. Ciò posto, occorre peraltro rammentare come la normativa in materia di gioco d'azzardo - con riguardo alle conseguenze sociali dell'offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all'impatto sul territorio dell'afflusso ai giochi degli utenti - non rientra nella competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all'art. 117 comma 2 lett. h), Cost., bensì nella tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica, tutela che rientra nelle attribuzioni del comune ex artt. 3 e 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (in termini, Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794). 12.4. Inoltre, è stato condivisibilmente affermato che la disciplina degli orari di apertura e funzionamento delle sale da gioco autorizzate e del funzionamento delle apparecchiature ex art. 110 comma 6 al TULPS, al pari di quella relativa alla fissazione delle distanze delle sale giochi dai c.d. luoghi sensibili, costituisce un crocevia di valori nel quale confluiscono una pluralità di interessi che devono essere adeguatamente misurati e contemperati. Difatti, da un lato, emergono le esigenze dei privati - ovvero dei soggetti autorizzati all'esercizio del gioco lecito - titolari di una concessione con l'amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia. Tali soggetti mirano alla massimizzazione dei loro profitti, al fine di ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, attraverso la più ampia durata giornaliera dell'apertura dell'esercizio, invocando i principi costituzionali di libertà di iniziativa economica, di libera concorrenza e del legittimo affidamento ingenerato proprio dal rilascio dei titoli - concessorio e autorizzatorio - necessari alla tenuta delle sale da gioco. Dall'altro lato, sussistono interessi pubblici e generali, non contenuti in quelli economico - finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall'autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell'affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest'ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia (quasi testualmente, Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5223). 12.5. In tale contesto la Corte Costituzionale ha ritenuto plausibile l'interpretazione dell'art. 50, comma 7, d.lgs. 267 del 2000 avallata dalla giurisprudenza amministrativa come in grado di autorizzare i sindaci a disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature da gioco, anche in funzione di contrasto dei fenomeni di c.d. ludopatia, fornendo un fondamento legislativo a detto potere; in particolare, la Corte ha richiamato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa la quale "ha elaborato un'interpretazione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. 267 del 2000, compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione", ciò nel senso che, in forza della generale previsione dell'articolo 50, comma 7, d.lgs. 267 del 2000, "il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica ovvero della circolazione stradale" (sentenza 18 luglio 2014 n. 220) (...)" (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2020, n. 4119). 12.6. La Corte costituzionale con tale sentenza ha riconosciuto inoltre, per quel che più rileva nella presente sede, un'estensione del potere di intervento comunale anche in ordine alle limitazioni della distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, rilevando la sua riconducibilità alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al comune le relative funzioni. A tal fine ha richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, n. 2710/2012), secondo cui l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti. 12.6.1. La successiva sentenza della Corte costituzionale n. 108/2017, nel richiamare espressamente la precedente sentenza n. 300/2011, ha escluso l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante "Contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico (GAP)", nella parte in cui vieta il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di sale da gioco e all'installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti "sensibili" ivi indicati. La Corte nell'occasione ha chiarito che il legislatore regionale era intervenuto, invece, per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo": fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo. La disposizione in esame perseguiva, pertanto, secondo il giudice delle leggi, in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. In quest'ottica secondo la Corte, la circostanza che l'autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l'esercizio di una attività pure autorizzata dal Questore - come nel caso oggetto del giudizio principale - non implica alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all'autorità di pubblica sicurezza. Infine, il giudice delle leggi ha chiarito che i criteri per la dislocazione delle sale da gioco, anche nell'ottica della tutela della salute, non dovevano essere necessariamente fissati in forza dell'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. 13. Sulla scorta della prima delle citate pronunce della Corte costituzionale la sentenza Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578, intervenuta fra le parti e all'esito della quale la Ro. Gi. ha azionato la pretesa risarcitoria oggetto del presente giudizio, ha chiarito che dall'art. 7, comma 10, d.l. n. 158/2012, si trae il principio della legittimità di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (prevenzione logistica delle ludopatie), non anche quello della necessità della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale, annullando pertanto l'atto di diniego della licenza ex art. 88 TULPS e la norma del Regolamento di Polizia urbana (art. 23 comma 3) con motivazione diversa da quella posta a base della sentenza di prime cure. 13.1. Le argomentazioni di tale sentenza sono pertanto essenziali al fine di comprendere se possa intendersi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita. 13.2. Nel condividere la prospettazione dell'appellante Comune, il Consiglio di Stato con l'indicata sentenza ha infatti precisato che: "Nel merito, la soluzione data dal TAR non convince. Deve ritenersi che misure volte alla prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d'azzardo lecito (c.d. ludopatia o GAP - gioco d'azzardo patologico), come quella in questione - consistente nella imposizione di una distanza minima delle sale giochi e scommesse dai luoghi c.d. sensibili, vale a dire nei quali si presume la presenza di soggetti appartenenti alle categorie più vulnerabili o comunque in condizioni contingenti di difese ridotte rispetto alla tentazione del gioco d'azzardo ed all'illusione di poter conseguire attraverso di esso facili guadagni - rientrino principalmente nella materia della tutela della salute. La Corte Costituzionale, con riferimento alle disposizioni della l.p. Bolzano 13/2010, che prevedono limiti di distanza delle sale da gioco rispetto ai luoghi sensibili, ha escluso la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, ossia della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 300/2011). In sostanza (come espressamente sottolineato da TAR Lombardia, II, n. 1761/2015, con riferimento ad analoghe disposizioni della l.r. Lombardia n. 8/2013; da TAR Lazio, II, n. 2729/2014, con riferimento alla l.r. Liguria 17/2012; e da TRGA Trento, n. 206/2013, con riferimento alla l.p. Trento 9/2000), la Corte ha ritenuto che le disposizioni sui limiti di distanza imposti alle sale da gioco siano dirette al perseguimento di finalità anzitutto di carattere socio-sanitario (come tali estranee rispetto alla materia della tutela dell'ordine pubblico, rimessa in via esclusiva allo Stato). A dette finalità si affiancano finalità attinenti al governo del territorio, sotto i profili della salvaguardia del contesto urbano e dell'ordinata viabilità, oltre che al contenimento dell'inquinamento acustico. I poteri in questione incidono dunque, in netta prevalenza, in materie oggetto di potestà legislativa concorrente, nelle quali la Regione, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. Dall'art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, si trae il principio della legittimità di misure di pianificazione delle ubicazioni consentite alle sale giochi e scommesse basate su distanze minime da rispettare (definite dalla citata giurisprudenza "prevenzione logistica" delle ludopatie), non anche quello della necessità della previa definizione di dette pianificazioni o dei relativi criteri orientativi a livello nazionale. Può convenirsi con la prevalente giurisprudenza che si è occupata della questione, nel senso che la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto all'obiettivo da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalità di prevenzione (oltre alle sentenze succitate, cfr. anche TAR Lombardia, I, n. 1613/2015). D'altra parte, la stessa disciplina statale, demandando all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla base di criteri da stabilire con decreto interministeriale, la pianificazione della "progressiva ricollocazione" di esercizi legittimamente insediati dopo la sua entrata in vigore, sembra presupporre anche la legittimità di pianificazioni adottate prima della sua piena attuazione. Anche la Corte Costituzionale, nel giudicare inammissibili (a causa della inadeguata valutazione della rilevanza nel giudizio a quo e di possibili soluzioni ermeneutiche alternative) le questioni di costituzionalità sollevate dal TAR Piemonte nei confronti degli artt. 42 e 50, del d.lgs. 267/2000, e dell'art. 31, comma 2, del d.l. 201/2011, convertito dalla legge 214/2011 (nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l'uso degli apparecchi da gioco di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS), ha sottolineato che il giudice rimettente "omette di considerare che il potere di limitare la distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l'imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, potrebbe altresì essere ricondotto alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni" (sent. n. 220/2014); richiamando, a supporto di tale tesi, l'orientamento di questo Consiglio secondo il quale l'esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2710/2012). In conclusione sul punto, la circostanza che la fissazione di "parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale", non sia ancora avvenuta, non impedisce l'esercizio dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalità, delle Regioni e degli Enti locali. Per le considerazioni esposte, sembra evidente che l'art. 6 della l.r. Emilia Romagna 5/2013, nel richiedere che le "previsioni urbanistico-territoriali in ordine alla localizzazione delle sale da gioco" siano adottate "nel rispetto delle pianificazioni" statali, non attribuisce a queste ultime il valore di presupposto necessario, ma richiede soltanto che le previsioni dettate nell'esercizio del potere di pianificazione comunale non si pongano in contrasto con le previsioni stabilite a livello nazionale. Né a diversa conclusione può condurre il fatto che l'Assemblea regionale, con atto di indirizzo-ordine del giorno sul gioco d'azzardo patologico in data 2 luglio 2013, e pubblicato sul BUR contestualmente alla l.r. 5/2013, abbia invitato il Governo a dare attuazione all'art. 7, comma 10, del d.l. 158/2012, posto che la esigenza, ivi indicata, di "fornire agli enti del governo territoriale una cornice normativa nazionale qualificata dalla certezza, che consenta di adottare atti normativi e pianificatori efficaci e non censurabili sotto il profilo della legittimità " risulta strettamente collegata alla "progressiva ricollocazione" dei punti della rete fisica di raccolta del gioco, prevista dalla norma statale (ed estranea alla questione in esame), e che comunque l'esigenza di certezza non è incompatibile con la volontà di consentire da subito ai Comuni di pianificare le ubicazioni". 13.3. Il Consiglio di Stato pertanto, dopo avere ravvisato il potere del Comune di intervenire con la propria regolamentazione a fissare limiti distanziometrici dai luoghi sensibili, si è limitato ad accogliere i motivi assorbiti dal Tar, fondati sul difetto di istruttoria relativamente alla fissazione del limite di 1.000 mt, nonché in ordine alla mancata previsione di meccanismi partecipativi prima dell'adozione del regolamento, avente anche finalità urbanistiche edilizie sulla base dei seguenti rilievi: "Due degli ordini di censura sopra sintetizzati (9.2. e 9.3.), si compendiano nel mettere in discussione il contenuto della misura di prevenzione delle ludopatie, ritenendosi la distanza minima di 1.000 metri dai siti sensibili irragionevole, inadeguata e non proporzionata, e comunque insufficientemente motivata e frutto di un'istruttoria lacunosa. Dette censure appaiono fondate. La difesa del Comune ne eccepisce l'inammissibilità, in quanto comporterebbero una sostituzione del giudice nell'esercizio di discrezionalità tecnica. Il Collegio non è di questo avviso. Nel caso in esame, se l'effetto dissuasivo della distanza dalle sale giochi dei (luoghi in cui si trovano di regola i) soggetti da tutelare risponde ad un criterio presuntivo generalmente condiviso, manca una regola tecnica cui fare riferimento per misurare l'efficacia di una determinata distanza. Posto, dunque, che l'imposizione di una distanza di rispetto costituisce in via di principio uno strumento ragionevole per tutelare l'interesse pubblico primario (prevenzione delle ludopatie), e che la massimizzazione della cura di tale interesse condurrebbe ad imporre distanze molto ampie, l'individuazione di una distanza, piuttosto che un'altra, discende invece dall'esercizio di una discrezionalità amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti interessi allo svolgimento delle attività lecite di gioco e scommessa, alla luce dei canoni della adeguatezza e della proporzionalità . In particolare, risponde ad un'esigenza di ragionevolezza che, in esito ad una valutazione dei comportamenti dei soggetti più vulnerabili e dell'incidenza del fenomeno delle ludopatie in un determinato contesto, venga stabilita dalla legge una distanza minima fissa, presuntivamente idonea ad assicurare un effetto dissuasivo, proteggendo i frequentatori dei c.d. siti sensibili; oppure, che la legge indichi detta distanza di rispetto nella sua misura massima, ovvero nella sua misura minima, consentendo alle Amministrazioni territoriali e locali di valutare le rispettive situazioni e di individuare conseguentemente come adeguate distanze diverse purché rispettose del limite. Senza pretesa di esaustività : una distanza minima di cinquecento metri è prescritta dall'art. 4 della l.r. Toscana 57/2013, dall'art. 7 della l.r. Puglia 43/2013 e dall'art. 6 della l.r. Basilicata 30/2014; una distanza minima di trecento metri è invece prescritta dall'art. 5-bis della l.p. Bolzano 13/1992, dall'art. 13-bis della l.p. Trento 9/2000, dall'art. 5 della l.r. Liguria 13/2015 e dall'art. 3 della l.r. Abruzzo 40/2013; una distanza minima, determinata dalla Giunta regionale, ma comunque non superiore a cinquecento metri, è prevista dall'art. 5, comma 1, della l.r. Lombardia 8/2013, e dall'art. 6 della l.r. Friuli VG n. 1/2014, ana potere è attribuito ai Comuni dall'art. 6 della l.r. Umbria 21/2014, mentre l'art. 4 della l.r. Valle d'Aosta 14/2015 prevede la stessa distanza, ma consente ai Comuni di stabilire una distanza maggiore; infine, l'art. 20 della l.r. Veneto 6/2015, senza individuare una distanza di riferimento, attribuisce ai Comuni il potere di stabilire la distanza minima. La Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, così onerando gli enti locali di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono nello specifico contesto sociale di applicazione. Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito l'incidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli esercizi commerciali del settore e la disponibilità di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti degli esercizi in attività . Può convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalità piuttosto ampia, limitatamente sindacabile. Tuttavia, nel caso in esame, non è stato argomentato dal Comune appellante, né risulta dalla documentazione in atti, che valutazioni di tal genere siano state compiute. La difesa del Comune richiama (oltre che, genericamente, un atto di indirizzo della Regione, da cui il Comune avrebbe tratto i dati di un censimento sul gioco d'azzardo effettuato su scala nazionale dalla Presidenza del Consiglio e dell'indagine conoscitiva curata da Eu. e dalla Onlus Te. Az. circa il coinvolgimento dei bambini) il verbale della seduta del Consiglio comunale in cui è stata approvata la modifica regolamentare; ma dalla lettura degli interventi, assai estesi, dell'assessore competente e dei rappresentanti di tutte le forze politiche, non si evincono considerazioni specifiche e basate su argomenti non esclusivamente di natura politica, circa l'adeguatezza e l'incidenza concreta sul territorio della distanza minima di 1.000 metri contenuta nella proposta da approvare. D'altro canto, la considerazione dei meno impegnativi limiti di distanza adottati nelle altre Regioni, appare tale da confortare la contestazione della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità della decisione di stabilire una distanza di 1.000 metri. Infine, per quanto esposto, la pianificazione comunale prevista dalla l.r. 5/2013 si concretizza in disposizioni "urbanistico-territoriali", aventi finalità di tutela della salute, ma anche di qualità ambientale urbana in senso lato. La differenza, rispetto ad una disciplina come quella del regolamento di polizia urbana, oltre che nelle finalità di cura di interessi pubblici (in quel caso, concernenti l'incolumità pubblica ed il decoro urbano) che la ispirano, sta nel fatto che per il regolamento edilizio, quale componente della pianificazione urbanistica generale, la l.r. 20/2000 prevede un procedimento che comprende fasi di partecipazione idonee a far emergere la effettiva consistenza degli interessi in gioco, così da consentire valutazioni complete e razionali. Proprio ciò che, per quanto esposto, non risulta essere avvenuto ai fini dell'adozione della norma regolamentare oggetto della controversia. Anche sotto questo profilo (cfr. supra, 9.1.), pertanto, il ricorso introduttivo è fondato ed avrebbe dovuto essere accolto". 14. In alcun modo pertanto, alla stregua delle motivazioni della sentenza di annullamento del Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 578, che fa stato fra le parti ex art. 2909 c.c., sulla base della quale Ro. Gi. ha agito in sede risarcitoria, ex art. 30 comma 5 c.p.a., può dirsi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita. 14.1. Correttamente la sentenza appellata ha rammentato la necessità di operare un "giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell'amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (cioè secondo il canone del "più probabile che non") spettato al titolare dell'interesse". La conclusione di questo giudizio prognostico, secondo la corretta conclusione del giudice di prime cure è stata negativa, posto che "una previsione restrittiva avrebbe potuto essere introdotta negli atti di pianificazione e l'operatore economico non avrebbe verosimilmente conseguito il bene della vita cui aspirava". 14.2. Non può essere accolta la diversa prospettazione attorea secondo cui "Il Comune, una volta rilasciata dalla Questura la licenza 88 TULPS nell'anno 2014 non avrebbe potuto intervenire più, dovendo attendere comunque la copertura della Legge regionale che introduceva il limite distanziale e le disposizioni esecutive della stessa", posto che dette conclusioni sono per contro sconfessate dalla chiara motivazione della sentenza n. 578 del 2016 innanzi citata. 14.2.1. Infatti il giudizio prognostico non poteva che essere effettuato secondo il criterio della prognosi postuma, ovvero al momento stesso dell'emanazione dell'atto annullato, verificando se, nell'ipotesi in cui il Comune avesse adottato all'epoca un atto privo dei difetti formali e di istruttoria riscontrati dalla sentenza di annullamento, il privato avrebbe potuto conseguire il bene della vita al quale si correla la pretesa risarcitoria. 14.2.2. Pertanto non è corretto affermare che il Comune avrebbe dovuto attendere sino all'adozione della successiva l.r. n. 18/2016 per dettare dei nuovi limiti, perché all'epoca dei fatti, la l.r. n. 5/2013, come interpretata dal Consiglio di Stato con l'indicata pronuncia, obbligava i comuni ad adottare un limite distanziometrico anche in assenza delle indicazioni a livello nazionale. Infatti il potere del Comune di intervenire in materia è stato sostenuto dal Consiglio di Stato con l'indicata sentenza, alla stregua anche della giurisprudenza della Corte Costituzionale, a prescindere da un intervento normativo nazionale. Pertanto nulla avrebbe impedito al Comune di adottare, con il regolamento edilizio individuato nella sentenza del Consiglio di Stato come lo strumento idoneo, un limite distanziometrico pari a mt. 500, misura ritenuta congrua dal Consiglio di Stato, ovvero pari a mt. 300, che si sarebbe egualmente rilevato ostativa al rilascio della licenza ex art. 88 del TULPS, come comprovato dal Comune. 14.3. Avendo pertanto il Comune provato in primo grado che i locali de quibus distavano meno di 500 o di 300 metri da diversi luoghi sensibili, la pretesa risarcitoria avanzata dalla parte appellante non può che essere disattesa. È dirimente, infatti, la circostanza che il punto prescelto di Via (omissis) 2/3, all'epoca della richiesta di autorizzazione TULPS, risultava posto alle seguenti distanze dai luoghi sensibili sotto indicati: -dall'istituto scolastico Professionale di Stato A. Fi., 210 mt., (cfr. SIT -Sistema Informativo Territoriale del Comune di Bologna, cartografia distanza da I.P. Fioravanti, doc. 8, fasc. I grado, allegato 2 in appello); -dalla Succursale del Liceo Ga., 257,71 mt., (cfr. SIT -Sistema Informativo Territoriale del Comune di Bologna, cartografia distanza da Succursale Ga., doc. 9, fasc. I grado, allegato 2 in appello); - dal luogo di culto Chiesa Maria Regina Mundi, 301,61 mt. (cfr. SIT -Sistema Informativo Territoriale del Comune di Bologna, cartografia distanza da Chiesa Maria Regina Mundi, doc. 10, fasc. I grado, allegato 2 in appello); -dal Dipartimento di Musica e Spettacolo e Laboratori delle Arti dell'Università di Bologna siti in Piazzetta P.P. Pasolini, 385,67 mt. (cfr. SIT, cartografia distanza dal Dip. Musica e Spettacolo di P.tta Pasolini, doc. 11, fasc. I grado, allegato 2 in appello); - dal Luogo Aggregazione Giovanile 410,77 mt. (cfr. STI cartografia distanza, doc. 12, fasc. I grado, allegato 2 in appello). 14.3.1. Pertanto, anche se il Comune avesse dettato una disciplina diversa da quella presa in considerazione nel Regolamento di polizia urbana, riducendo la distanza a 500 mt dai luoghi sensibili, ovvero anche a 300 mt., la licenza ex art. 88 TULPS non avrebbe del pari potuto essere rilasciata. 14.4. La società appellante sostiene del pari erroneamente che avrebbe potuto proseguire l'attività sino al 2018, fruendo dei rinvii concessi per le delocalizzazioni dalla normativa sopravvenuta. Tuttavia anche tale affermazione, oltre ad essere fondata sull'assunto non provato della possibilità di avvio sin dal 2014, è del tutto sfornita di prova perché le circostanze che avrebbero garantito alla società appellante di fruire degli ipotizzati rinvii per delocalizzazione sono puntuali e specifiche: avere contrattualmente scelto una nuova sede, posizionamento della nuova sede in un luogo congruo sotto il profilo distanziometrico, dimostrazione di aver affidato l'incarico di realizzazione nuova sede, indicazione di tempistiche coerenti e certe ecc.. 14.5. Né a diverse conclusioni in ordine al raggiungimento della prova della spettanza del bene della vita può condurre la prospettazione di parte appellante, fondata sul rilievo dell'affidamento ingenerato con la conclusione positiva dalla pratica edilizia, dovendo le due pratiche, quella edilizia, non necessitante peraltro di provvedimento espresso in quanto avviata con SCIA, e quella della licenza ex art. 88 TULPS, necessitante di provvedimento espresso, valutarsi avuto riguardo alla situazione esistente al momento della relativa definizione, alla luce del principio del tempus regit actum. 14.6. È verosimile ritenere, non avendo peraltro parte appellante allegato alcun elemento probante di segno contrario, che anche ove il Comune, anziché fissare il limite distanziometrico con il regolamento di Polizia urbana, adottato nel mese di novembre 2013, lo avesse fissato con il regolamento edilizio, giovandosi dell'apporto partecipativo dei privati, avrebbe potuto, sia pure con tempi lievemente maggiori, fissare quanto meno un limite distanziometrico pari a mt. 300 che si sarebbe rilevato ugualmente ostativo per l'accoglimento dell'istanza ex art. 88 del TULPS, posto che la stessa è stata adottata dal Questore in data 4 febbraio 2014. 15. L'appello va pertanto respinto, stante l'infondatezza del primo motivo, non potendo dirsi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita. Ed invero, mancando la prova di uno degli elementi costituitivi della responsabilità della P.A. risulta superflua la disamina del primo motivo di appello, con cui si critica la sentenza di prime cure nella parte in cui ad abundantiam ha ritenuto mancasse anche la prova della colpa della P.A. 15.1. Del pari, stante l'assenza della prova dell'an debeatur, deve intendersi superflua la disamina del terzo motivo di appello, volto alla determinazione del quantum debeatur della pretesa risarcitoria. 16. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo ai motivi della decisione e alla peculiarità della fattispecie per compensare integralmente fra le parti le spese di lite del presente grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Stefano Fantini - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LORENZO ORILIAPresidente MAURO MOCCIConsigliere-Rel. GIUSEPPE GRASSOConsigliere VINCENZO PICAROConsigliere STEFANO OLIVAConsigliere Oggetto: PROPRIETA' Ud.16/01/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 37563/2019 R.G. proposto da: ALBANO MARIA GRAZIA, CANNIZZO DOMENICO, CANNIZZO FRANCESCO PASQUALE, CANNIZZO LORENZO GIOVANNI, domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati CRISCI FABRIZIO (CRSFRZ71L29A783T), CRISCI LUCIO RODOLFO (CRSLRD36C14H898I) -ricorrenti- contro FERROVIE DEL GARGANO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato SANSONI ANTONIO (SNSNTN75E26H501P) rappresentata e difesa dall'avvocato LUCIANETTI VALENTINA (LCNVNT78R61A662V) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO BARI n. 1064/2019 depositata il 7 maggio 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere dr. MAURO MOCCI. FATTI DI CAUSA Maria Grazia Albano e Domenico Cannizzo – in proprio e nella qualità di genitori dei minori Francesco Pasquale e Lorenzo Giovanni - chiesero al Tribunale di Foggia la condanna delle Ferrovie del Gargano s.r.l. alla rimozione di due aereogeneratori, posti su fondi vicini in violazione delle distanze legali, nonché al risarcimento dei danni per inquinamento acustico ed elettromagnetico. Nella resistenza della società convenuta, il giudice adito dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla rimessione in pristino ed al risarcimento dei danni, ritenendo che la cognizione fosse devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il Tribunale dichiarò altresì tardiva la domanda di indennizzo ex art. 46 legge n. 2359/1865. Su gravame dei soccombenti, con sentenza n. 1064, depositata il 7 maggio 2019, la Corte d’appello di Bari rigettò l’appello. Il giudice di secondo grado affermò che il petitum sostanziale dedotto avrebbe necessariamente investito la legittimità dei provvedimenti autorizzativi, mentre i danni lamentati sarebbero derivati non già da una mera attività materiale posta in essere dalla P.A., o dal concessionario al di fuori dell’esercizio di un’attività autoritativa, bensì da un’attività costituente esecuzione dei provvedimenti amministrativi adottati per la realizzazione degli interessi pubblici presidiati dall’art. 44 D.P.R. n. 327/2001. Maria Grazia Albano e Domenico Cannizzo hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi. Si è costituito con controricorso la s.r.l. Ferrovie del Gargano. In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto dei primi due motivi, l’accoglimento del terzo e l’assorbimento del quarto. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con la prima doglianza, i ricorrenti assumono la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., degli artt. 101 comma 2° e 183 comma 4°c.p.c., in relazione agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU. La Corte d’appello avrebbe errato nell’aver ritenuto corretta la decisione del Tribunale di porre la questione di giurisdizione senza l’apporto delle parti, per la formazione del contraddittorio, così da eventualmente aderire ad essa, evitando la condanna alle spese ed il secondo grado di giudizio. Non si sarebbe dunque trattato di una semplice questione di rito. Il motivo è infondato. 1.a) La questione di giurisdizione costituisce un problema di puro diritto. Orbene, l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, stabilito dall'art. 101, comma 2, c.p.c., non riguarda le questioni di solo diritto, ma quelle di fatto ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (Sez. 1, n. 3543 del 6 febbraio 2023; Sez. 2, n. 1617 del 19 gennaio 2022; Sez. 3, n. 11724 del 5 maggio 2021). 2) Mediante la seconda censura, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 n. 1 c.p.c., la violazione degli artt. 844 e 873 c.c., nonché 4 e 5 l. n. 2248/1865 all. E. La sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare che l’attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica era stata attribuita in concessione alla Terna s.p.a., confondendo l’autorizzazione rilasciata dal Ministero dello Sviluppo al gestore della rete con quella rilasciata dalla Regione Puglia alla società privata Ferrovie del Gargano per la produzione di energia elettrica. L’energia elettrica sarebbe un bene di interesse pubblico, ma la torre eolica che la produce resterebbe di proprietà privata, sicché la scelta del sito di installazione sarebbe stata effettuata esclusivamente da controparte. Il motivo è infondato. 2.a) La Corte d’appello di Bari ha correttamente richiamato un precedente di questa Suprema Corte, che si attaglia perfettamente alla fattispecie, giacché si è affermato che, in tema di energia, la realizzazione di un parco eolico, che attiene alla produzione di energia elettrica ed al suo trasporto nella rete nazionale, costituisce un intervento di interesse pubblico, sicché ricadono nella giurisdizione esclusiva amministrativa gli atti del gestore di tale servizio funzionali alla sua costituzione ed alla determinazione delle sue modalità di esercizio e, conseguentemente, le domande del proprietario confinante, aventi ad oggetto la collocazione delle pale eoliche e le immissioni da esse provocate, laddove si traducano nella contestazione non di un'attività materiale posta in essere al di fuori di quella autoritativa, bensì di quella esecutiva dei provvedimenti amministrativi e delle relative scelte discrezionali riguardanti l'individuazione e la determinazione dell'opera pubblica sul territorio (Sez. U., n. 18165 del 24 luglio 2017). 2.b) A ben guardare, tutti i rilievi mossi dai ricorrenti (proprietà degli aerogeneratori e localizzazione degli stessi, natura dell’autorizzazione) sono in realtà strumentali rispetto alla scelta amministrativa, che li presuppone, sicché la stessa violazione della disciplina delle distanze necessariamente implica l’esame della legittimità dei provvedimenti autorizzatori della Regione Puglia, anche sul piano della compatibilità ambientale. 2.c) E proprio il precedente pronunciamento in terminis delle Sezioni Unite consente di non devolvere il giudizio alla valutazione di quel consesso. Infatti, giova ricordare che l'art. 374 c.p.c. va interpretato nel senso che, tranne nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici allorquando sulla regola finale di riparto della giurisdizione "si sono già pronunciate le sezioni unite", ovvero sussistono ragioni di inammissibilità inerenti alla modalità di formulazione del ricorso ed all'esistenza di un giudicato sulla giurisdizione (esterno o interno, esplicito o implicito), costituendo questione di giurisdizione anche la verifica in ordine alla formazione del giudicato (Sez. U., n. 1599 del 19 gennaio 2022). 3) Con il terzo rilievo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per omessa pronunzia e per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., giacché la Corte territoriale avrebbe mancato di adottare una qualsivoglia pronunzia in ordine alla domanda di indennizzo, ex art. 44 D.P.R. n. 327/2001, nonostante la censura circa la ritenuta tardività della domanda, ai sensi dell’art. 46 l. n. 2359/1865. 3) Il motivo è fondato. 3.a) Pur essendo officiata del relativo gravame, la Corte d’appello ha omesso di prendere in considerazione la censura, incorrendo così nell’evidente violazione della norma denunciata. 4) L’ultima lagnanza assume la nullità della sentenza per omessa pronunzia e per violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., rispetto alla condanna alle spese di lite, invece che alla compensazione delle stesse. Anche in tal caso, si sarebbe trattato di un capo autonomo della decisione di primo grado, per la quale mancata decisione non si sarebbe potuto parlare di pronunzia implicita. 4.a) Il mezzo resta assorbito, in forza dell’accoglimento del precedente. La sentenza impugnata va dunque cassata, per quanto di ragione, ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, dovrà esaminare gli originari motivi di gravame, trascurati dalla sentenza annullata. P. Q. M. La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso, accoglie il terzo, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione. Così deciso in Roma il 16 gennaio 2024 IL PRESIDENTE Lorenzo Orilia IL CONSIGLIERE ESTENSORE Mauro Mocci
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Rosa Maria DI VIRGILIO - Presidente Mario BERTUZZI - Consigliere Linalisa CAVALLINO - Consigliere Chiara BESSO MARCHEIS - Consigliere Cesare TRAPUZZANO - Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso (iscritto al N.R.G. 8671/2018) proposto da: SALVI Cesare & C. S.n.c. (C.F.: 03304500170), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Luigi Luciani n. 1, presso lo studio dell’Avv. Daniele Manca Bitti, che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Davide Epicoco, giusta procura a margine del ricorso; - ricorrente - BONTEMPI Pietro (C.F.: BNT PTR 53H29 C850A), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso incidentale adesivo, dall’Avv. Stefania Curci, nel cui studio in Brescia, via Mantova n. 38, ha eletto domicilio; - ricorrente incidentale - Vendita – Risarcimento danni per gravi difetti dell’immobile acquistato – Mancato isolamento acustico – Responsabilità appaltatore e progettista R.G.N. 8671/18 U.P. 8/2/2024 contro MIANI Andrea (C.F.: MNI NDR 73E23 F205S) e FIOTTA Nicoletta Elisa (C.F.: FTT NLT 73B63 F205I), rappresentati e difesi, giusta procura in calce ai controricorsi, dall’Avv. Paolo Marini, nel cui studio in Roma, via Flaminia n. 441, hanno eletto domicilio; - controricorrenti - avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1444/2017, pubblicata il 15 novembre 2017, notificata a mezzo PEC l’8 gennaio 2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8 febbraio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano; viste le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente principale e dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; sentite le conclusioni rassegnate nel corso dell’udienza pubblica dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Carmelo Celentano, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale; sentito, in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. Paolo Marini per i controricorrenti. FATTI DI CAUSA 1.– Con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2009, Miani Andrea e Fiotta Nicoletta Elisa convenivano, davanti al Tribunale di Brescia, la Salvi Cesare & C. S.n.c. al fine di sentirla dichiarare responsabile, in qualità di appaltatrice, dei gravi vizi e difetti dell’appartamento sito in Cellatica, via Montebello n. 13, acquistato dagli attori con atto pubblico del 29 maggio 2007, con la conseguente condanna della convenuta all’eliminazione di detti vizi e difetti ovvero al pagamento della somma necessaria all’effettuazione di tale eliminazione, corrispondente al costo dei lavori, unitamente al deprezzamento subito dall’immobile nonostante i possibili interventi auspicati. Si costituiva in giudizio la Salvi Cesare & C. S.n.c., la quale contestava la domanda avversaria ed eccepiva la decadenza dalla garanzia e la prescrizione dell’azione, in ragione dell’ultimazione dell’immobile nell’anno 2002, assumendo, nel merito, che la previsione di cui alla legge n. 88/2009 rendeva irrilevante il riferimento al dato normativo evocato dagli attori ai fini della rilevazione del superamento delle soglie di inquinamento acustico nei rapporti tra privati. Chiedeva altresì di essere autorizzata alla chiamata in causa del committente Thellung De Courtelary Mazzola Fabrizio e del progettista e direttore dei lavori Bontempi Pietro, affinché fosse tenuta indenne da ogni eventuale sua condanna disposta in favore degli attori. Autorizzata la chiamata in causa dei terzi, Thellung De Courtelary Mazzola Fabrizio e Bontempi Pietro si costituivano separatamente in giudizio, associandosi alle difese della convenuta con riferimento all’eccezione di decadenza e prescrizione e sostenendo la propria carenza di legittimazione passiva e l’insussistenza di proprie responsabilità. Nel corso del giudizio erano assunte le prove testimoniali ammesse e, all’esito, era espletata consulenza tecnica d’ufficio al fine della esecuzione delle prove di misurazione della fono- assorbenza nell’immobile di proprietà degli istanti. Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2644/2014, depositata l’8 agosto 2014, notificata il 14 ottobre 2014, condannava la Salvi Cesare & C. S.n.c. al risarcimento dei danni, in favore di Miani Andrea e Fiotta Nicoletta Elisa, nella misura complessiva di euro 134.887,00, oltre rivalutazione e interessi, mentre, in parziale accoglimento della domanda di manleva svolta dalla convenuta nei confronti del progettista e direttore dei lavori, condannava Bontempi Pietro a tenere indenne la chiamante di quanto dalla stessa dovuto in favore degli attori nei limiti della metà, con il rigetto della domanda di manleva spiegata nei confronti del terzo committente Thellung De Courtelary Mazzola Fabrizio. 2.– Con atto di citazione notificato il 13 novembre 2014, proponeva appello la Salvi Cesare & C. S.n.c., la quale lamentava: - l’erroneo rigetto delle eccezioni di decadenza dalla garanzia e di prescrizione dell’azione; - l’erronea ritenuta applicabilità alla fattispecie del d.P.C.m. 5 dicembre 1997; - l’erronea quantificazione dei danni liquidati, in considerazione della disponibilità manifestata, già in prime cure, dal proprietario committente dei lavori a consentire l’esecuzione delle opere necessarie a ripristinare il corretto isolamento acustico nel rispetto dei parametri indicati dal citato d.P.C.m.; - l’indebita condanna per il deprezzamento del bene e per i canoni di locazione asseritamente corrisposti. Si costituivano nel giudizio di impugnazione Miani Andrea e Fiotta Nicoletta Elisa, i quali concludevano per la declaratoria di inammissibilità dell’appello e, nel merito, per il suo rigetto. Si costituivano separatamente altresì Bontempi Pietro, il quale aderiva alle conclusioni dell’appellante, e Thellung De Courtelary Mazzola Fabrizio, il quale evidenziava che nessuna censura era stata sollevata avverso il rigetto della domanda nei confronti del committente dei lavori. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Brescia, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la Salvi Cesare & C. S.n.c. al pagamento, in favore di Miani Andrea e Fiotta Nicoletta Elisa, della minore somma complessiva di euro 67.931,27, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sull’importo di euro 39.131,27 e oltre i soli interessi legali sull’importo di euro 28.800,00, confermando, nel resto, l’appellata sentenza. A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che, all’esito delle indagini peritali svolte, era stato accertato che l’immobile non era stato realizzato a regola d’arte, probabilmente omettendo del tutto la fornitura e posa in opera di un materassino fonoassorbente di adeguate caratteristiche e di adeguato spessore prima dell’esecuzione delle tramezzature di separazione dei vari locali e del pavimento con sottostante caldana di supporto, come indicato dalle regole del buon costruire e dalle relative norme UNI di riferimento; b) che l’eccezione sollevata dalla convenuta nel giudizio di primo grado, inerente all’operatività della disciplina limitativa della responsabilità in materia di requisiti acustici passivi, era stata abbandonata e comunque il Tribunale aveva motivato sulla inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 11 della legge n. 88/2009, senza che sul punto l’appellante avesse sollevato doglianze di sorta; c) che, nel giudizio di primo grado, mai era stata sollevata alcuna obiezione sulla automatica cogenza dei parametri di cui al d.P.C.m. 5 dicembre 1997, questione sollevata per la prima volta solo con il motivo di appello e comunque infondata, essendo stata rimessa allo Stato la determinazione dei requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici, ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. e), della legge n. 447/1995, rinviando la relativa disciplina ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sicché, in ottemperanza a tale disposizione, i requisiti determinati dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore, con prescrizione dei limiti espressi in decibel per gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore, dovevano essere rispettati indipendentemente dal fatto che vi fosse stato un espresso recepimento nei regolamenti comunali; d) che non poteva essere riconosciuto, in via integrativa, il pregiudizio per il deprezzamento dell’immobile, poiché il consulente d’ufficio aveva accertato che, attraverso l’esecuzione delle opere indicate, ogni vizio inerente al difetto di isolamento acustico sarebbe venuto meno; e) che l’intollerabilità dei rumori era insita nell’accertata violazione dei valori di soglia prescritti dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997 ed era avvalorata dalla deposizione resa dal teste Maianti Palmiro, il quale aveva riferito che gli attori, a seguito dei rumori riscontrati provenienti dagli appartamenti limitrofi e in ragione del fatto che il figlio Gabriele – che all’epoca aveva poco più di un anno – manifestava disturbi per il rumore, avevano deciso di trasferire la propria abitazione in un altro alloggio e ciò sempre nello stesso cortile, ma nella palazzina frontale; f) che detto testimone, estraneo alla vicenda di causa, aveva giustificato la conoscenza delle circostanze riferite alla stregua della frequentazione della famiglia Miani, senza che si potessero ravvisare nella sua deposizione profili valutativi; g) che ricorreva, pertanto, un nesso di causalità tra l’esistenza dei gravi difetti inerenti all’isolamento acustico dell’immobile e i costi sostenuti per il pagamento dei canoni di locazione, con riferimento alla durata del primo quadriennio del contratto. 3.– Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la Salvi Cesare & C. S.n.c. Ha proposto ricorso incidentale adesivo, sviluppando analoghe censure, Bontempi Pietro. Hanno resistito, con separati controricorsi, gli intimati Miani Andrea e Fiotta Nicoletta Elisa. 4.– La ricorrente principale e i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.– Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 844, 1175, 1227, 1669, 2043 e 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sulla liquidazione del danno, per avere la Corte di merito ritenuto erroneamente che l’intollerabilità dei rumori fosse “insita” nell’accertata violazione dei parametri prescritti dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997 per il rispetto dei requisiti acustici passivi degli edifici. Obietta, in proposito, l’istante che il danno derivante dalla intollerabilità delle immissioni rumorose avrebbe richiesto la rigorosa dimostrazione che i rumori provenienti da altro appartamento fossero intollerabili, che tale intollerabilità dipendesse esclusivamente dal carente isolamento acustico e, infine, che la locazione di altra unità abitativa costituisse l’unica alternativa soluzione percorribile, senza che alcuno di tali elementi fosse stato dimostrato, non bastando a dimostrare tale ultima necessità la mera produzione del contratto di locazione. 1.1.– Il motivo è in parte qua inammissibile e in parte qua infondato. 1.2.– È inammissibile nella parte in cui si adduce l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti. E tanto perché, a fronte di una “doppia conforme” (quanto alla ritenuta normale intollerabilità dei rumori, ossia in ordine all’an della pretesa azionata), con instaurazione del giudizio di gravame successivamente all’11 settembre 2012, come nella specie, ai sensi dell’art. 348-ter, quinto comma, c.p.c., vigente ratione temporis, la doglianza di omesso esame di fatti decisivi, formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non può essere proposta (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014). Ciò vale non solo quando la decisione di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico- argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022). Sul punto relativo all’integrazione delle immissioni acustiche intollerabili, la sentenza impugnata ha convalidato gli argomenti già sviluppati dalla sentenza di prime cure, disattendendo le censure contenute – in ordine a tale aspetto – nei corrispondenti motivi di gravame. Né parte ricorrente si è onerata di specificare le ipotetiche differenze tra le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello in merito a tale profilo decisorio (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 8320 del 15/03/2022; Sez. L, Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016). 1.3.– In ordine alla lamentata violazione o falsa applicazione di legge, secondo le risultanze di causa, all’esito delle verifiche tecniche circa l’isolamento acustico, è stato rilevato che il rumore aereo del divisorio orizzontale tra alloggi e il rumore di calpestio tra alloggi sovrapposti superava le soglie di cui al d.P.C.m. 5 dicembre 1997, rispettivamente quanto al valore dell’indice di valutazione del potere fonoisolante apparente e dell’indice di valutazione del livello di pressione sonora di calpestio. Il che ha indotto a ritenere che, ai sensi dell’art. 844 c.c., le immissioni acustiche nella proprietà privata, destinata ad abitazione, non fossero normalmente tollerabili, come suffragato dalla deposizione testimoniale assunta. Conclusione, questa, conseguente ai lavori di ristrutturazione del complesso immobiliare affidati dagli originari proprietari dell’intero edificio alla Salvi Cesare & C. S.n.c., all’esito della predisposizione del piano di recupero edilizio, e ultimati nell’anno 2002, sotto la progettazione e la direzione dei lavori di Bontempi Pietro, cui faceva seguito la vendita dell’appartamento con atto del 29 novembre 2002 e la successiva vendita in favore degli odierni controricorrenti con atto del 29 maggio 2007. Segnatamente i difetti rilevati – e tali da rendere intollerabili le immissioni acustiche – sono stati ravvisati nella omissione della fornitura e posa in opera di un materassino fonoassorbente di adeguate caratteristiche e di adeguato spessore prima dell’esecuzione delle tramezzature di separazione dei vari locali e del pavimento con sottostante caldana di supporto, come indicato dalle regole del buon costruire e dalle relative norme UNI di riferimento. Ora, in materia di immissioni, il superamento dei limiti di rumore stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano le attività produttive è, senz’altro, illecito, in quanto, se le emissioni acustiche superano la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione esse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino – ancor più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, ai loro effetti dannosi – devono, per ciò solo, considerarsi intollerabili, ex art. 844 c.c. e, pertanto, illecite anche sotto il profilo civilistico (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 2757 del 06/02/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 32943 del 20/12/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 23754 del 01/10/2018; Sez. 6-2, Ordinanza n. 1069 del 18/01/2017; Sez. 2, Sentenza n. 939 del 17/01/2011; Sez. 2, Sentenza n. 1418 del 25/01/2006; Sez. 2, Sentenza n. 1151 del 27/01/2003; Sez. 2, Sentenza n. 6223 del 29/04/2002; Sez. 2, Sentenza n. 5697 del 18/04/2001). Piuttosto, l’eventuale rispetto di dette soglie (evenienza non attinente alla fattispecie) non può fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c., tenendo presente, fra l’altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni. Ma ove i limiti-soglia siano superati è integrata in sé la violazione della condizione di normale tollerabilità delle immissioni acustiche, avuto riguardo alla condizione dei luoghi ex art. 844 c.c. 2.– Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1669, 2043 e 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sulla natura del danno, per avere la Corte territoriale riconosciuto il danno conseguente alla locazione di altro appartamento (peraltro posto nel medesimo edificio e realizzato con le stesse caratteristiche), senza che fosse svolta sul punto alcuna attività istruttoria, volta a determinare la necessità o soltanto l’opportunità di detto trasferimento, in ragione dell’asserita influenza del carente isolamento acustico sulla sensibilità del piccolo figlio ai rumori provenienti dall’appartamento soprastante, abitato da sette persone. Rileva la ricorrente che, in tal modo, sarebbe stata riconosciuta la tutela risarcitoria, a fronte di conseguenze mediate e indirette, determinate da altre e contingenti concause, quali la particolare sensibilità ai rumori della famiglia degli attori ovvero la particolare rumorosità degli abitanti dell’appartamento sovrastante, considerato che l’appartamento era stato abitato fino al 2007 da terzi e dal 2007 al 2009 anche dagli attori, senza lamentele di sorta rivolte verso l’appaltatore per il carente isolamento (essendosi, invece, gli attori lamentati dei rumori con l’amministratore del condominio e con i proprietari dell’appartamento soprastante). 2.1.– Il motivo è in parte qua inammissibile e in parte qua infondato. È inammissibile nella parte in cui viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in ordine al riconoscimento del danno conseguito alla necessaria locazione di altro immobile, per le ragioni già esposte scrutinando il primo motivo. Per il resto la doglianza è priva di fondamento, stante che le conclusioni espresse dalla pronuncia impugnata sono state avvalorate dalla deposizione resa dal teste Maianti Palmiro, il quale aveva riferito che gli attori, a seguito dei rumori riscontrati provenienti dagli appartamenti limitrofi e in ragione del fatto che il figlio Gabriele – che all’epoca aveva poco più di un anno – manifestava disturbi per il rumore, avevano deciso di trasferire la propria abitazione in un altro alloggio e ciò sempre nello stesso cortile, ma nella palazzina frontale, come da contratto di locazione prodotto in giudizio (produzione riconosciuta espressamente dalla ricorrente). Non risulta agli atti che l’immobile locato fosse esposto alle stesse immissioni acustiche, come sostenuto dalla ricorrente. Pertanto, il nesso di causalità tra i rumori intollerabili e la decisione di locare altro immobile posto nella stessa area è stato desunto, oltre che dall’obiettiva verificazione dell’intollerabilità delle emissioni sonore, dalla prova testimoniale assunta, secondo cui: a) il figlio di un anno della coppia era disturbato da tale immissione acustica; b) la decisione di prendere in detenzione qualificata altro appartamento nello stesso cortile era dipesa proprio da tale situazione. D’altronde, motivando sul rigetto delle eccezioni di decadenza e prescrizione, la sentenza impugnata ha chiarito che la circostanza che originariamente le lamentele fossero state indirizzate verso l’amministratore condominiale e i vicini, e non già verso la società appaltatrice, dipendeva dalla mancata conoscenza delle cause specifiche della percezione di tali rumori, scoperte solo all’esito di un’indagine tecnica demandata ad un esperto del 26 marzo 2009. Per l’effetto, la liquidazione del danno patrimoniale è avvenuta in base alla prova circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi sarebbe stato spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, risultando dagli atti elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto era certa, e che si traducevano in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, e non già meramente potenziale o possibile, ma che appariva invece – anche semplicemente in considerazione dell’id quod plerumque accidit – connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17677 del 29/07/2009; Sez. 3, Sentenza n. 23304 del 08/11/2007; Sez. 2, Sentenza n. 1443 del 30/01/2003). E tanto rispetto alla locazione di un appartamento posto nello stesso cortile e, dunque, omogeneo a quello reso inagibile dalla persistenza dei rumori. A fronte di questo coerente e congruo quadro fattuale, come ricostruito in forza degli elementi probatori evidenziati, la censura si traduce inammissibilmente, nella sostanza, in una istanza di rivalutazione dei fatti storici, in connessione con gli aspetti giuridici già debitamente affrontati dalla pronuncia di merito, piuttosto che nella prospettazione di un vizio di violazione o sussunzione delle norme evocate (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017). D’altronde, in base alle coordinate innanzi tracciate, la locazione di altro appartamento (e i conseguenti esborsi sostenuti per i canoni corrisposti), in ragione della intollerabilità delle immissioni acustiche, rappresenta una conseguenza immediata e diretta, secondo il principio di normalità o regolarità causale o di occasionalità necessaria di cui all’art. 1223 c.c. che governa la causalità giuridica, in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato. Tanto per effetto di un accertamento, in ordine all’esistenza di siffatte connotazioni giuridiche del danno, che compete al giudice del merito e sfugge al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9374 del 21/04/2006; Sez. 1, Sentenza n. 11629 del 15/10/1999; Sez. L, Sentenza n. 2009 del 06/03/1997; Sez. 2, Sentenza n. 6325 del 18/07/1987; Sez. 3, Sentenza n. 552 del 17/02/1969; Sez. 2, Sentenza n. 3184 del 17/12/1963; Sez. 3, Sentenza n. 910 del 09/04/1963; Sez. 2, Sentenza n. 2835 del 06/10/1962). 3.– Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1669, 2043 e 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sulla quantificazione del danno, per avere la Corte distrettuale tralasciato di considerare, ai fini dell’imputabilità all’appaltatore nonché al progettista e direttore dei lavori dell’esborso sostenuto per il pagamento dei canoni di locazione di altro appartamento, che la consulenza tecnica d’ufficio avrebbe accertato che solo mq. 32 dell’appartamento degli attori (a fronte di una complessiva superficie di mq. 134) non rispettava i limiti di insonorizzazione previsti dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997 e che detto d.P.C.m. non si sarebbe applicato prima della notificazione dell’atto di citazione. Tali valutazioni avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello ad escludere o quantomeno a ridurre drasticamente l’indennizzo liquidato secondo gli ordinari criteri di quantificazione del danno, in considerazione della colpa dell’appaltatrice. 3.1.– Il motivo è in parte qua inammissibile e in parte qua infondato. È inammissibile nella parte in cui viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla misura del danno riconosciuto, per le ragioni già esposte scrutinando il primo motivo. È privo di fondamento quanto alla assunta violazione di legge. E tanto perché, per effetto dell’accertamento del superamento dei limiti soglia, con la conseguente integrazione di un danno dipendente dall’insufficiente isolamento acustico, l’inagibilità dell’appartamento è stata valutata nella sua unitarietà, e non già con riferimento ai singoli vani da cui il cespite era composto. Ed in effetti non avrebbe potuto ritenersi, proprio sulla scorta del richiamo ad una valutazione complessiva, che le emissioni sonore maggiormente avvertite in alcuni vani dell’appartamento ad uso abitativo avrebbero giustificato la permanenza della famiglia Miani-Fiotta nei restanti vani, ove tali rumori non sarebbero stati intollerabili. D’altronde, i valori espressi dal d.P.C.m. 5 dicembre 1997 sono stati utilizzati ai fini di ritenere che le immissioni acustiche superassero la normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., ai fini dell’abitabilità dell’appartamento unitariamente considerato, come anzidetto esaminando il primo motivo. Né, peraltro, la ricorrente ha dato atto di aver sollevato tale censura nei gradi di merito. 4.– Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sulla rilevanza probatoria della deposizione del teste Maianti Palmiro, per avere la Corte del gravame utilizzato le deposizioni rese dal teste, benché si trattasse di teste de relato actoris, deposizioni che, ove considerate in sé e senza il conforto di altri elementi, non avrebbero avuto alcun valore probatorio, neppure indiziario, con una conseguente rilevanza processuale del tutto nulla. Osserva, per l’effetto, l’istante che, in difetto di alcun supporto, la Corte non avrebbe potuto trarre alcuna prova dalla deposizione testimoniale resa. Motivi, tutti quelli esposti, che avrebbero dovuto escludere la spettanza della voce risarcitoria ascritta ai canoni di locazione di altra unità immobiliare, liquidata in euro 28.800,00, oltre interessi, o comunque a ridurre la misura del risarcimento riconosciuto, alla stregua della ridotta superficie dell’appartamento che non rispettava i requisiti acustici passivi e della disponibilità manifestata dall’appaltatrice e dai terzi chiamati ad eseguire gli interventi necessari al ripristino del corretto isolamento acustico dell’appartamento. 4.1.– Il motivo è inammissibile. Infatti, la Corte d’appello ha precisato che il testimone escusso, estraneo alla vicenda di causa, aveva giustificato la conoscenza delle circostanze riferite alla stregua della frequentazione della famiglia Miani, senza che si potessero ravvisare nella sua deposizione profili valutativi. Nessun elemento da cui si possa trarre che i fatti riferiti fossero stati appresi, non già per conoscenza diretta, bensì in quanto riportati dagli attori, si può ricavare dalla disamina giudiziale svolta. Anzi, la sentenza impugnata ha precisato – e risulta riscontrato in atti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2028 del 18/05/1977) – che la non tollerabilità dei rumori, specie in ordine alla situazione in cui versava il piccolo figlio di un anno della coppia, e la decisione di locare altro immobile, proprio alla stregua dell’intollerabilità di tali immissioni sonore, furono apprese dal teste in via diretta, in quanto frequentava la famiglia Miani-Fiotta (e in tale veste ne aveva preso atto). 5.– Per le medesime ragioni devono essere disattesi i motivi del ricorso incidentale, spiegato da Bontempi Pietro. L’interesse alla sua proposizione è insorto in esito alla proposizione del ricorso principale, stante che la manleva verso il progettista e direttore dei lavori è stata accolta nei limiti della metà della somma oggetto di condanna, in favore dei danneggiati e a carico dell’appaltatore, sicché esso è ammissibile. Tuttavia, tali censure riprendono nella sostanza le medesime censure articolate dalla ricorrente principale e, dunque, seguono lo stesso esito. 6.– In definitiva, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere respinti. I compensi e le spese di lite seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto. P. Q. M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale e il ricorrente incidentale, in solido, alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 4.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 8 febbraio 2024. Il Consigliere estensore Cesare Trapuzzano Il Presidente Rosa Maria Di Virgilio
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Daniela Nunno ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 15508/2020 promossa da: Le.Cl. (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. Gi.Ca. e dell'avv. Gi.Co.; elettivamente domiciliato in Bologna, Via (...), presso il difensore avv. Gi.Ca. ATTORE contro Ci. S.R.L. (C.F. (...) ), Im. S.R.L. SOCIETÀ SPORTIVA DILETTANTISTICA SENZA FINI DI LUCRO (C.F. (...)), entrambe con il patrocinio dell'avv. An.Fr., elettivamente domiciliate in Bologna, Via (...), presso il difensore CONVENUTE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione regolarmente notificato alle parti convenute, Le.Cl. agiva in giudizio, premettendo, in fatto, di occupare un appartamento della Ta. s.r.l. sito in B., via P. n. 9, sovrastante l'unità immobiliare di proprietà della "Ci. s.r.l.", nella disponibilità della "Im. S.R.L. società sportiva dilettantistica senza fini di lucro", che ivi vi esercita l'attività di scuola di ballo. L'attore lamentava che dal 2017, quasi tutti i giorni della settimana, dalle 16:00 alle 20:30, nei festivi e nei fine settimana anche fino a notte inoltrata, dall'immobile de quo provenivano rumori assordanti di musica ad alto volume, di calpestio e urla. A causa di tali rumori molesti aveva sporto denuncia-querela in data 18.11.2019 presso i Carabinieri di Bologna Mazzini e contattato il Comune di Bologna per far cessare le suddette immissioni sonore, ma senza alcun esito. In data 20.11.2019 il reparto di Polizia Commerciale del Comune di Bologna aveva comunicato all'attore che, in seguito al sopralluogo presso i locali della scuola di ballo, erano state accertate violazioni per cui erano state erogate delle sanzioni. L'attore allegava che, a causa di queste immissioni sonore, aveva patito una grave compromissione della propria serenità quotidiana e quindi della propria salute, come da certificati medici attestanti i disturbi lamentati. Allegava altresì due relazioni mediche a firma del Prof. Ma.Ce. e del Dott. An.Ca., che avevano accertato il nesso causale tra il disturbo del sonno patito dall'attore e l'inquinamento acustico subito all'interno dell'abitazione di residenza, con conseguenti effetti negativi sul suo stile di vita e sui suoi livelli di funzionamento biologico. In particolare, il dott. Ca. aveva stimato il danno biologico patito nella misura del 16%. Alla luce di quanto esposto, l'attore chiedeva di accertare che le immissioni provenienti dai locali delle convenute superavano ogni soglia di tollerabilità, con conseguente condanna delle società alla cessazione delle immissioni o all'adozione di misure atte a ridurne l'entità, nonché al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non. In via subordinata, chiedeva la corresponsione di un equo indennizzo. Si costituivano le convenute, che contestavano del tutto l'atto introduttivo del giudizio, facendo rilevare come lo stesso attore, in qualità di legale rappresentante della società Ex. s.r.l., aveva concesso ad Im. s.r.l., a partire dall'1.10.2011, il godimento di un'ampia porzione del piano terra dell'edificio e sin da allora nei predetti locali era stata esercitata la medesima attività di ballo, anche dopo che la Ex. s.r.l. (e dunque Le.Cl. per essa) aveva ceduto la proprietà dell'intero piano terra dell'edificio alla Ci. s.r.l.. Prima di tale cessione, tuttavia, mai prima il L. si era lamentato delle immissioni rumorose. Le prime doglianze erano significativamente cominciate, in tesi di parte convenuta, in coincidenza con l'insorta conflittualità tra il L., legale rappresentante della Ta. s.r.l., proprietaria di parte dell'edificio, e l'amministratore di Ci. s.r.l., Pa.Pe.. Evidenziavano, inoltre, le convenute, come i locali erano insonorizzati e che l'attività era stata sospesa a partire dal mese di febbraio 2020, in coincidenza con l'inizio dell'emergenza pandemica. Inoltre, contestavano che i rumori lamentati fossero riconducibili solo all'attività di danza praticata nei locali a loro disposizione, tanto più che l'edificio era anche, in parte, adibito ad attività di ristorazione e, in altra parte, in uso ad un'associazione che organizzava eventi e feste. Concludevano chiedendo il rigetto della domanda attorea in quanto infondata. La causa veniva istruita mediante prova per testi ed espletamento di CTU fonometrica e medico-legale e all'udienza del 13.7.2023 veniva posta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. Le domande attoree sono fondate e meritano accoglimento per le ragioni che si passa ad esporre. L'attore lamenta che da anni, tutti i giorni della settimana, in determinate fasce orarie (pomeridiane, serali e, nei fine settimana, anche notturne), è costretto a subire immissioni rumorose provenienti dai locali sottostanti all'appartamento a lui in uso, ove si svolge attività di ballo. Chiede, dunque, in via principale, accertato il superamento della soglia della normale tollerabilità dei rumori, che le convenute siano condannate a cessare ogni attività rumorosa eccedente il predetto limite e/o ad adottare le misure idonee ad eliminare le propagazioni sonore. In ogni caso, chiede il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti in seguito alle esposizioni sonore. In via subordinata, chiede che venga riconosciuto un equo indennizzo per la diminuzione di godimento della sua abitazione, nonché per le lesioni arrecate alla sua salute ed alla sua qualità di vita. Preliminarmente all'esame del merito delle domande attoree, si ritiene utile una premessa circa il criterio che deve essere utilizzato al fine di stabilire se i rumori superino la soglia della normale tollerabilità, secondo i criteri elaborati dalla Suprema Corte. Orbene, secondo l'orientamento di legittimità ormai consolidato, l'eccedenza delle immissioni rispetto alla normale tollerabilità non va rilevata tenuto conto dei limiti massimi dettati dalla legge quadro sull'inquinamento acustico (L. n. 447 del 1995) e dalle annesse disposizioni del D.P.C.M. datato 1 marzo 1991 e del D.P.C.M. del 1997, in quanto tali provvedimenti normativi, fissando i limiti oltre i quali la fonte rumorosa è da considerarsi di per sé illecita, contengono norme volte a tutelare l'interesse pubblico ambientale e non già a regolamentare i rapporti tra i privati. L'indagine per l'individuazione della soglia di normale tollerabilità va, invece, effettuata alla stregua dei principi ricavabili dall'art. 844 c.c. (Cass. sent. n. 1418/2006, costantemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità e di merito successiva). In altri termini, alla materia delle immissioni sonore atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione non è applicabile la L. 26 ottobre 1995, n. 447 sull'inquinamento acustico, poiché tale normativa come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici, disciplinando, in via generale ed assoluta, e solo nei rapporti c.d. verticali fra privati e la p.a., i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. La disciplina delle immissioni moleste nei rapporti fra privati va rinvenuta, dunque, nell'art. 844 c.c., alla cui stregua, anche laddove dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarità della situazione concreta. Il D.P.C.M. datato 1 marzo 1991, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell'attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno. La Suprema Corte ha statuito che se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. nei rapporti tra privati e, pertanto, ritenersi illecite anche sotto il profilo civilistico. Di converso, l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può fare ritenere senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere formulato in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono a sovrapporsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo). In buona sostanza, la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restano compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio, e, dall'altro lato, alla situazione locale. La Suprema Corte, basandosi anche su nozioni di comune esperienza, ha ritenuto che nei rapporti tra privati, la soglia di tollerabilità sia superata allorché il rumore stesso sia di intensità doppia rispetto al rumore di fondo, come sopra definito. In termini di misure scientifiche, ha specificato che l'uomo è già in grado di percepire variazioni di un solo decibel e che, tenuto conto che la misurazione in decibel si basa su una scala logoritmica, un aumento di 3 decibel corrisponde già ad un raddoppio dell'intensità del suono. Ne deriva che il limite di tollerabilità cui far riferimento è dato da un aumento di 3 decibel rispetto al rumore di fondo anche nelle ore diurne (criterio di matrice giurisprudenziale, costantemente seguito a partire dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 4848 del 2013). Con particolare riferimento alla disciplina delle immissioni connesse all'espletamento di attività produttive, la giurisprudenza ha ritenuto che "La norma sulla disciplina delle immissioni di cui all'art. 844 cod. civ., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da considerarsi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva del prolungamento di un'attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze dell'attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorché iniziata anteriormente all'edificazione dell'immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l'inquinamento atmosferico" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8420 del 11/04/2006 ed in termini successivamente vedasi Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5564 del 08/03/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 939 del 17/01/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20927 del 16/10/2015; Sez. 2, Sentenza n. 1606 del 20/01/2017). Tanto detto, il consulente tecnico, nel caso di specie, ha accertato (pag. 7 relazione) che "In riferimento al parametro comparativo, sottraendo al rumore ambientale il valore dei residui misurati nella stessa giornata, si hanno invece valori superiori ai 3 dBA: (LAeq M3 - LAeq M1) = 32.0 - 27.8 = 4.2 dBA (LAeq M3 - LAeq M4) = 32.0 - 26.3 = 5.7 dBA Dove: - LAeq M3 (come detto) è la misura rappresentativa del rumore ambientale rilevato dalle 18 e 29 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 16 minuti, in camera del sig.L. durante la lezione di Popping in corso nella sala D; - LAeq M1 è la misura rappresentativa del rumore residuo rilevato dalle 17 e 22 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 15 minuti, in camera del sig.L. senza nessuna attività nella scuola di ballo; - LAeq M4 è la misura rappresentativa del rumore residuo rilevato dalle 19 e 20 del 2 Dicembre 2021 per una durata di circa 10 minuti, in camera del sig.L. senza nessuna attività nella scuola di ballo". Come rilevato dallo stesso CTU, anche nelle misurazioni effettuate in altri giorni e non presidiate i valori registrati non si sono discostati da quelli appena sopra indicati. Pertanto, applicando il criterio comparativo, il CTU ha accertato il valore differenziale superiore ai 3 decibel. La successiva attività di accertamenti integrativi condotti dal CTU al fine di rilevare la realizzazione di opere insonorizzanti nei locali delle convenute ha consentito di appurare come effettivamente i locali siano stati insonorizzati mediante l'apposizione di panelli, che i CTU, con l'ausilio di un esperto, hanno indicato come realizzata circa quattro anni prima (dunque prima dell'inizio delle operazioni peritali). Alle osservazioni avanzate sul punto dal CTP di parte attrice, i CTU hanno fornito risposte coerenti e condivisibili sul piano tecnico. Pertanto, deve ritenersi che tali opere non abbiano influito sulle risultanze delle indagini tecniche condotte in sede di consulenza, che in ogni caso hanno evidenziato il superamento del limite di tollerabilità delle immissioni sonore. Le risultanze della CTU confortano e sono coerenti con gli altri elementi istruttori acquisiti. Ci si riferisce alla documentazione prodotta da parte attrice, attestante le diverse segnalazioni rivolte dal L. al Comune di Bologna (doc. 6 parte attrice) o direttamente alle controparti (docc. 7, 8, 9, 10 parte attrice). Inoltre, sono stati documentati sopralluoghi effettuati dalla Polizia Locale di Bologna su richiesta dell'attore a causa dei rumori (docc. 23 e 24 di parte attrice). Sul punto è stato escusso il teste Isp. G.D.N., responsabile del reparto di Polizia Commerciale di Bologna, che ha confermato che a novembre 2019, una pattuglia si era recata sul posto su segnalazione dello stesso attore relativa a rumori molesti e aveva applicato una sanzione, pur non ricordando quale sia stata la violazione contestata. A riprova della perdurante situazione di immissioni sonore intollerabili provenienti dal piano terra, l'attore ha altresì prodotto (doc. 15) la disdetta del contratto di locazione dell'immobile sito al piano primo dello stabile (doc. 14), locato dalla società L. s.r.l., giustificata, tra l'altro, anche dal "perdurare negli anni della situazione di rumore, causata da livelli alti di musica provenienti dai locali posti al piano terreno, a tutte le ore del giorno e fino a tarda notte che disturba il normale svolgimento delle attività lavorative d'ufficio". Alla luce del suddetto quadro istruttorio devono ritenersi provate le doglianze attoree circa le immissioni sonore provenienti dai locali, rispettivamente, di proprietà e in uso alle convenute. Tali immissioni acustiche devono essere considerate, secondo i criteri previsti dall'art. 844 c.c., eccedenti la normale tollerabilità per gli occupanti degli immobili attigui. A tal fine si deve considerare che i locali da cui provengono i rumori si trovano al piano terra di un edificio occupato dall'attore (che vi ha stabilito la sua residenza) e da altre attività commerciali, come si desume da quanto asserito dall'attore e non contestato dalle controparti. Considerato, pertanto, lo stato dei luoghi e l'uso a cui le parti hanno destinato gli immobili da loro occupati, deve ritenersi che, quanto ai criteri previsti dall'art. 844 c.c., e in particolare quanto alla necessità di contemperare le esigenze dell'esercizio dell'attività esercitata con le ragioni del proprietario attore, seguendo i principi espressi dalla giurisprudenza sopra richiamata, le immissioni acustiche devono ritenersi illecite, avuto riguardo ai valori raggiunti ed ai possibili effetti dannosi per la salute (in applicazione dell'art. 32 Cost.); bene, quest'ultimo, da considerarsi valore prevalente rispetto alle esigenze delle attività produttive. Il superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni si desume, in particolare, non solo e non tanto dagli accertamenti tecnici condotti (che comunque hanno accertato il superamento del limite di tollerabilità come sopra individuato, rilevante ai sensi dell'art. 844 c.c.), ma anche dal resto delle risultanze istruttorie, comprovanti il perdurare di una situazione in cui l'attore è stato costretto a subire rumori molesti causati proprio dall'attività di ballo esercitata nei locali delle convenute. Tali rumori si sono protratti per diverse ore al giorno, talvolta fino a notte, con assidua frequenza settimanale, disturbando il normale svolgimento della vita quotidiana dell'attore e minando la sua serenità, fino a ripercuotersi sul suo stato di salute. Per effetto di tali immissioni si è verificata una rilevante compressione di diritti fondamentali di parte attrice, quali il diritto alla piena e soddisfacente fruizione della proprietà privata della propria abitazione, ed altresì dei diritti della personalità, ovvero al godimento del riposo, con conseguente rilevante peggioramento delle sue condizioni ed abitudini di vita quotidiane. Pertanto, può trovare accoglimento la domanda volta all'adozione di misure necessarie a ridurre le immissioni sonore ed a ricondurle sotto la soglia di tollerabilità; misure che consentano di contemperare l'esigenza di prosecuzione delle attività svolte nei locali adibiti a scuola di ballo e le esigenze dell'attore di godere pienamente della propria abitazione senza subire immissioni moleste e ad una libera esplicazione delle proprie abitudini di vita. Sul punto, nel rispondere al quesito in ordine alle misure più idonee da adottare per ricondurre le immissioni entro i livelli di normale tollerabilità, il CTU (pag. 9 relazione) ha evidenziato come l'unica possibilità sia quella di evitare l'utilizzo della sala D per "attività con balli e diffusione di musica, e riservandola esclusivamente per corsi che possono essere svolti sia senza passi e salti sul pavimento, sia senza necessariamente la diffusione di musica"; ciò in considerazione del fatto che la predetta sala risulta essere già insonorizzata e che pertanto residuano pochi margini per migliorare le prestazioni di contrasto alla trasmissione del rumore. Non involgendo modifiche strutturali dei locali ma unicamente le modalità del loro utilizzo, detta misura può essere imposta anche alla conduttrice dei locali. Devono altresì trovare ristoro i pregiudizi patiti, in ossequio all'orientamento della Suprema Corte che, proprio in riferimento alle immissioni di rumore, ha affermato che: " Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. "comunitarizzazione" della Cedu (Cass. n. 20927 del 16/10/2015)". Nel caso di specie è stato peraltro accertato il danno biologico lamentato dall'attore: va rammentato a tal proposito l'orientamento espresso dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo il quale è sempre necessario provare che le immissioni rumorose abbiano effettivamente causato un danno alla salute, non potendosi presumere che le stesse provochino in ogni caso un danno da stress (Cass., 18.01.2006, n. 828; Cass Sez. 3, Sentenza n. 25820 del 10/12/2009; in termini Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4394 del 20/03/2012; Cass. Sez. U., Sentenza n. 2611 del 01/02/2017). La CTU medico-legale espletata ha sul punto così concluso all'esito degli accertamenti svolti (pagg. 25-26 relazione): "in base ai dati attualmente ostensibili ed alla luce delle risultanze della consulenza psichiatrica espletata dal Prof. F., sussiste la prevalente probabilità che la prolungata esposizione alle immissioni rumorose abbia cagionato lo sviluppo di disturbi del sonno, che hanno a loro volta determinato la patologia psichiatrica diagnosticata dal Prof. F., ossia un Disturbo dell'Adattamento a componente prevalentemente ansiosa di gravità moderata, che configura un danno biologico dell'8%". Il CTU ha pertanto ravvisato un nesso causale tra l'esposizione prolungata alle immissioni rumorose del periziato ed i disturbi del sonno, fonte a loro volta del disturbo dell'adattamento a componente prevalentemente ansiosa. In particolare, il CTU ha ritenuto soddisfatta, alla luce del parere specialistico redatto dal Prof. F., "un'adeguata efficienza lesiva tra la prolungata esposizione alle immissioni rumorose e lo sviluppo disturbi del sonno e stati ansiosi-depressivi". Ha poi ritenuto rispettati i restanti criteri tradizionalmente elaborati dalla dottrina per affermare la sussistenza del nesso causale nella causazione di uno stato patologico (quali il criterio il criterio cronologico, il criterio topografico, il criterio della continuità fenomenica, il criterio della esclusione delle altre cause, il criterio della ammissibilità o possibilità scientifica, il criterio statistico-epidemiologico, il criterio anatomo-patologico), "per lo meno con riferimento ad un criterio di prevalente probabilità" (pag. 21 relazione). Le risultanze del CTU appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina della documentazione prodotta dalla parte e dei fatti in contestazione e si presentano acquisite con criteri corretti e con iter logico ineccepibile, non inficiato dalle osservazioni dei CTP a cui il CTU ha fornito adeguata e convincente replica. Esse possono pertanto essere pienamente condivise e fatte proprie da questo Giudice ai fini delle valutazioni da assumere nel giudizio de quo. Alla luce di tali risultanze, può pertanto essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute lamentato, essendo emerso che il disturbo accertato è causalmente riconducibile all'esposizione alla fonte di rumori che superano la soglia di tollerabilità. Del risarcimento devono essere chiamate a rispondere entrambe le convenute, l'una quale conduttrice dei locali, esercente l'attività di ballo, l'altra quale proprietaria dell'immobile. A tale ultimo proposito, si richiama l'orientamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 4908/2018 e Cass. n. 29784/2023), secondo cui "la responsabilità ex art. 2043 c.c. per i danni derivanti dalle immissioni può essere inoltre affermata nei confronti del proprietario, locatore del bene, soltanto quando si accerti in concreto che, al momento della stipula del contratto di locazione, il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi, impiegando la diligenza di cui all'art. 1176 c.c., che il conduttore avrebbe certamente recato danni a terzi con la propria attività". Nel caso di specie, la proprietaria Ci. s.r.l. era assolutamente in grado di prefigurarsi che l'attività esercitata dalla conduttrice provocava danni o disturbo ai terzi occupanti gli immobili attigui, anche alla luce delle diverse mail inoltrate alla predetta convenuta con cui l'attore lamentava il disturbo arrecato dai rumori provenienti dai locali nel corso delle attività ivi svolte (v. docc. 7 - 10 attore); problematiche già peraltro rappresentate nel 2014 dal conduttore dei locali del seminterrato (M.M.I. s.p.a. - v. docc. 20 -21), prima che, con l'acquisto da parte della Ci. s.r.l. dell'intero piano terra, l'attività di ballo fosse esercitata anche nella zona direttamente sottostante all'appartamento in uso al L.. Passando alla quantificazione del risarcimento, in applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (edizione 2021), considerata l'età dell'attore al momento dei fatti (anni 62) e la misura del danno biologico accertato dal CTU (8%), si ritiene congruo liquidare l'importo di Euro 10.831,00 per i danni non patrimoniali richiesti da parte attrice (biologico/dinamico-relazionale). La somma come sopra determinata sulla base delle tabelle attualmente in vigore deve essere previamente devalutata, in base agli indici ISTAT del costo della vita, alla data del sinistro, che nel caso di specie, essendo ancora in corso le immissioni al momento della domanda, si fa coincidere con la data della stessa, ossia il 15.12.2020. In applicazione del criterio messo a punto nella sentenza delle Sezioni Unite del 17.2.1995 n. 1712, occorre poi calcolare gli interessi compensativi, al tasso legale, su tale somma progressivamente rivalutata anno per anno fino alla pronuncia odierna, da cui cominceranno a decorrere i soli interessi legali. Parte attrice ha chiesto anche la refusione dei costi delle consulenze elaborate prima dell'instaurazione del giudizio (come da fattura del Dott. Ca. del 24.9.2020 e del Prof. Ca. del 6.10.2020). Tuttavia, tale domanda non può essere accolta in quanto, trattandosi di voce di danno patrimoniale, doveva essere provato nei limiti delle preclusioni processuali, mentre le fatture delle spese sostenute sono state prodotte tardivamente. Discorso diverso deve farsi per le spese di CTP, su cui si provvede come di seguito. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione dell'importo liquidato. Stante l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell'attore con delibera di ammissione del 14.4.2023, su domanda dell'1.2.2023, le spese per la fase successiva alla domanda di ammissione e pertanto relative alla sola fase decisionale (dimezzate ai sensi dell'art. 130 D.P.R. n. 115 del 2002), vanno versate in favore dell'Ex.. Le spese di CTU, come già liquidate, sono poste definitivamente a carico delle parti convenute in solido, con conseguente onere di rimborso delle spese eventualmente anticipate da parte attrice. A quest'ultima vanno altresì refuse le spese sostenute per CTP nel corso del giudizio, per l'ammontare di Euro 610,00 (dott. Ca.) ed Euro 732,00 (Prof. Ca.). Non possono essere riconosciute le spese sostenute e fatturate alla Ta. s.r.l., parte estranea al presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: - condanna le convenute ad attuare le misure idonee a ricondurre le immissioni sonore nei limiti di tollerabilità, come individuate in sede di CTU ed indicate in parte motiva; - condanna le convenute in solido a versare a parte attrice, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di Euro 10.831,00, oltre rivalutazione ed interessi come in parte motiva; - condanna le parti convenute in solido a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in Euro 786,00 + 610,00 + 732,00 per spese, nonché Euro 3.376 per compensi, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A., se dovuti e nelle aliquote legali in favore della parte, ed a versare la somma di Euro 850,50, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. in favore dell'Ex.; - pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti convenute in solido, con condanna al rimborso di quelle eventualmente anticipate da parte attrice. Così deciso in Bologna l'11 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6880 del 2019, proposto da Vi. Ma., Società Na. En. a r.l. in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. Fa., St. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Za. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Ca. in Roma, viale (...); Arpa Lazio, - Sezione Provinciale di Latina, S.E. - Società El. Po., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 432/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 dicembre 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Gi. Gr. su delega dichiarata di Ro. Fa. e St. Gr., e Al. Za. D'A.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'odierno appellante, in proprio e nella qualità di rappresentante legale della società Na. En., titolare della concessione stagionale per attività nautica sull'arenile in Piazza (omissis) e dell'adiacente bar con apertura stagionale, esponeva che, con delibera n. 14 del 15 aprile 2015 il Consiglio comunale di (omissis) aveva approvato, preceduta dai verbali del 27 novembre 2014 - 5 marzo 2015, il Piano di Classificazione Acustica del Territorio Comunale con il quale era stata attribuita alla Piazza (omissis) la classe acustica IV nel periodo estivo e III nei rimanenti periodi dell'anno. Avverso i suddetti provvedimenti l'odierno appellante aveva proposto ricorso. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe impugnata aveva respinto l'impugnazione rilevando, in via preliminare e assorbente, l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sul rilievo che il Piano di Classificazione Acustica del Territorio Comunale, oggetto di impugnazione, è atto regolamentare a carattere generale e che gli atti generali non immediatamente lesivi non sono direttamente impugnabili, occorrendo attendere l'emanazione dei conseguenti atti esecutivi. Appellata ritualmente la sentenza, resiste il Comune di (omissis). Nessuno si è costituito per Arpa Lazio e per la Società El. Po.. All'udienza di smaltimento del 15 dicembre 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO 1.Con il primo motivo di appello l'appellante deduce: Eccesso di potere e travisamento dei presupposti alla base della ritenuta inammissibilità per difetto di interesse. Violazione ed errata applicazione dell'art. 12 comma 2 e 3 della Legge Regionale Lazio n. 18/2001. Violazione ed errata applicazione artt. 7 e 9 L n. 241/90. Contraddittorietà . Omessa motivazione e omessa considerazione su un punto decisivo. Evidenzia che il Tar aveva errato nel ritenere il ricorso inammissibile in quanto l'art. 12 co. 2 e 3 della legge regionale Lazio n. 18/2001 sulla pianificazione acustica prevede che, entro 30 giorni dal deposito della proposta di zonizzazione presso il Comune, i soggetti interessati possono presentare osservazioni. Il ricorrente aveva presentato le proprie osservazioni nel corso del procedimento che si era concluso con la delibera comunale di approvazione del piano, a sua volta impugnata, spiegando l'impatto e l'entità della lesione che gli era derivata dal provvedimento. Egli, infatti, non solo era proprietario di un immobile insistente sull'area interessata, ma è anche titolare di una attività imprenditoriale demaniale sull'arenile di (omissis) funzionalizzata all'ormeggio dei diportisti, i quali ultimi, a bordo delle imbarcazioni attraccate al pontile sull'area in concessione al Ma., trascorrono lì le vacanze. Tale attività risultava compromessa dalla classificazione dell'area in zona III e IV ai fini acustici, poiché fonte di iniziative ed attività ad alto grado di rumorosità, confliggente con la vocazione di turismo e di riposo. Il ricorrente, altresì, lamentava che le impugnate scelte dell'amministrazione sarebbero il frutto di una ritorsione del Comune, a seguito di precedenti azioni giudiziarie intercorse tra le parti per la cessazione della Centrale Elettrica gestita dalla Se., concluse con il sequestro penale della Centrale e la sua successiva delocalizzazione. 2.Con il secondo motivo di appello l'appellante deduce difetto assoluto di motivazione. Violazione art. 88 cod. proc. amm. Lamenta che la sentenza è illegittima laddove si limita a dichiarare l'inammissibilità del ricorso, non contenendo alcun esame del merito della questione. 3.Con il terzo motivo di appello, riproponendo le censure formulate in primo grado, ritenute assorbite l'appellante deduce la violazione ed errata applicazione della L.R. 3.8.2001 n. 18 con riguardo particolare agli artt. 7 e 9. Travisamento dei presupposti. Illogicità manifesta. Eccesso di potere. Carenza di motivazione. Contraddittorietà . Sviamento. Lamenta che a classificazione attribuita alla piazza collideva con i criteri di identificazione stabiliti dall'art. 7 L. R. 18/01, coniugati con i parametri previsti dal successivo art. 9, co. 2, 3, 4, relativi alla densità di popolazione, alla densità di esercizi commerciali ed uffici, alla densità di attività commerciali, al volume di traffico locale, corrispondenti correlativamente alle valutazioni di densità nulla, bassa, media, alta. 4.Con il quarto motivo deduce ancora illogicità manifesta. Contraddittorietà . Sviamento. Violazione L. n. 447/95 (artt. 2, 4, 6). Violazione art. 32 Cost. Violazione art. 844 cod. civ. Lamenta che il provvedimento impugnato era contraddittorio laddove, da un lato, affermava la bellezza paesaggistica dell'isola di (omissis) e l'obiettivo di preservazione dell'ambiente e poi, in contraddizione, attribuiva alla zona la classe IV, consentendo l'inquinamento acustico. Evidenziava, inoltre, che il Comune di (omissis) aveva disatteso i parametri di classificazione delle zone acustiche, consentendo un superamento dei limiti di esposizione al rumore, in spregio dei principi generali fissati dalla c.d. legge quadro 447/95, dell'art. 844 cod. civ. e dell'art. 32 Cost. 5.Con il quinto motivo deduce ulteriore difetto assoluto di motivazione. Errata applicazione art. 7, co. 6, L.R. n. 18/2001. Ulteriore eccesso di potere. Evidenzia che la zonizzazione era stata effettuata senza fornire alcuna motivazione, risultando insufficiente il richiamo all'art. 7, co. 6, L.R. n. 18/2001. 5.1. Ritiene il Collegio di superare il profilo di inammissibilità dell'impugnazione del Piano di zonizzazione acustica per assenza di lesività . Ed invero, la Sezione non ignora il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in materia di impugnazione dei piani territoriali, l'interesse a ricorrere va di regola documentato con riferimento alla titolarità di aree direttamente incise dalle scelte pianificatorie: ciò allo scopo di evitare che un eccessivo allargamento della legittimazione apra la strada a forme di azione popolare non previste dall'ordinamento. Tuttavia, anche in materia di piani urbanistici non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, laddove dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, nr. 5516). Siffatta situazione si verifica, a fortiori, laddove siano dedotti motivi di censura tali da travolgere il piano nel suo complesso, in quanto involgenti l'impostazione di fondo dell'attività pianificatoria ovvero radicali difetti di istruttoria a monte dell'attività medesima. La questione dell'immediata impugnabilità del Piano in discorso, quindi, non si presta ad una risposta univoca, in ragione dell'approccio casistico ricavabile dalla giurisprudenza in materia. In particolare in una fattispecie in cui il piano era stato impugnato con riferimento alla classificazione acustica impressa ad un'area industriale di proprietà della ricorrente è stato ravvisato l'interesse ad agire, dovendo l'impresa programmare l'attività produttiva secondo parametri che, sul piano acustico, siano coerenti con la destinazione e l'utilizzo dell'area (Cons. Stato, Sez. II, 1 giugno 2022, n. 4501). In un caso di impugnazione del piano da parte di residenti le cui aree non erano tuttavia direttamente incise da una classificazione negativa, è stato affermato che, anche in materia di piani urbanistici, non è affatto escluso che i cittadini residenti nel Comune interessato possano impugnare anche parti del piano non riguardanti direttamente le loro proprietà, quando dimostrino che le scelte pianificatorie incidono sul godimento e sul valore di esse, a fortiori laddove i motivi di censura siano tali da travolgere il piano nel suo complesso, in quanto involgenti l'impostazione di fondo dell'attività pianificatoria ovvero radicali difetti di istruttoria a monte dell'attività medesima (Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301). 5.2. L'appello deve essere, tuttavia, respinto. L'onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l'ambito del sindacato del giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2018, n. 135). Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non sconfinare nel merito delle scelte discrezionali adottate dall'amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9301). Non si tratta, quindi, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6451; id. Sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097). In proposito giova richiamare quanto affermato da questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443), secondo cui in materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell'amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d'uso del territorio. Ciò rileva sotto un duplice aspetto. Da un lato, rileva l'interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata. Da un altro lato, rileva l'interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, non può essere dato rilievo esclusivo agli usi effettivi "in atto" sul territorio, perché essi si limitano a rappresentare (staticamente) la realtà dell'uso del territorio, trascurando l'aspetto dinamico del suo governo. Ed è su tale dinamicità che si regge, invece, la ratio della disciplina legislativa statale e di quella regionale, entrambe sostanzialmente rivolte a perseguire l'obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall'inquinamento acustico. 5.3. Il Piano di cui trattasi, a pag. 22 e ss., una volta riepilogati i criteri in base ai quali si è proceduto alla zonizzazione acustica del territorio Comunale, assegna le classi acustiche alle diverse aree del territorio. Più segnatamente: - "le aree ricadenti nelle classi II, III e IV presentano delle caratteristiche intermedie rispetto alle aree di cui sopra (n. d.r. aree ricadenti nelle classi I e V). Sono aree prevalentemente residenziali (classe II), aree di tipo misto (classe III) aree di intensa attività umana (classe IV)"; "per l'individuazione delle classi II, III e IV non è sufficiente la sola analisi dello strumento urbanistico, che non riesce a dare questo quadro completo del reale assetto del territorio delle classi II, III e IV, è quindi il risultato di una analisi di vari fattori ("analisi parametrica") a cui si rimanda (da pag. 25 a pag. 35 del Piano di Classificazione Acustica), quali la densità abitativa, la presenza di attività produttive, la presenza di servizi, ovvero di parametri o indici i cui valori possono essere ricavati dai dati ISTAT"; - "attraverso questa analisi parametrica è possibile attribuire alla stessa classe acustica porzioni di territorio con caratteristiche di utilizzo assai differenti; l'attribuzione di aree ad una stessa classe acustica presuppone identità di requisiti acustici, non necessariamente identità di paramenti urbanistici. Le classi acustiche, infatti, a differenza della zona di PRG, non presentano una correlazione univoca con le destinazioni d'uso delle relative porzioni di territorio". Nel Piano di Classificazione Acustica, dunque, il Comune di (omissis) ha tenuto conto delle peculiari aree di interesse naturalistico presenti sull'isola (si veda pag. n. 30 del Piano). 5.4. L'appellante afferma che alla Piazza (omissis) non poteva essere attribuita la classe acustica III e IV (quest'ultima nel periodo estivo), in quanto trattasi di un'area che sarebbe circondata da villini residenziali, confinante con il mare e attraversata da una strada a traffico locale che peraltro viene limitato (con ordinanza comunale) nel periodo estivo. Tuttavia, come precisato dalla Commissione Acustica nei verbali di riunione del 27 novembre 2014 e del 5 marzo 2015, l'area in argomento, è attraversata dalla viabilità principale e di collegamento sia con la località (omissis), sia con l'abitato della località (omissis). Inoltre, la piazza di cui trattasi si trova a meno di (omissis) km dal Porto di (omissis) e costituisce un luogo intensamente frequentato nel periodo estivo dai numerosi turisti che affollano l'isola in quanto situata in pieno centro urbano. Dagli stessi verbali si evince che l'attribuzione a Piazza (omissis) della classe acustica III nel periodo invernale e della classe acustica IV nel periodo estivo è stata motivata in quanto "risponde ai requisiti di equilibrio tra le esigenze di chi risiede e quelle proprie del sistema turistico locale e pertanto la classe II aree destinate ad uno prevalentemente residenziale non risulta pertinente. Inoltre l'area è attraversata dalla viabilità principale e di collegamento con la località (omissis), nonché con l'abitato di (omissis). Si fa presente infine che le attività ludiche nel periodo estivo risultano regolate dalla attuale normativa su pubblici spettacoli e il rispetto della quiete pubblica". 5.5. L'art. 6, comma 3°, della l. 27/10/1995, n. 447, prevede che: "i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, hanno la facoltà di individuare limiti di esposizione al rumore inferiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), secondo gli indirizzi determinati dalla regione di appartenenza, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera f)...". La citata norma consente (e non obbliga) i Comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione dell'emissione dei rumori, e, in questo ambito, di disciplinare l'esercizio di professioni, mestieri ed attività rumorose anche con l'istituzione di fasce orarie in cui soltanto possano essere espletati, e di prendere così in considerazione, oltre al dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità, anche gli effetti negativi di quest'ultima sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cons. St., Sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265). Quanto sopra, fermo restando i limiti all'immissioni sonore previste dalla l. n. 447 del 1995, i quali non possono comunque essere diminuiti (Cass. civile, sez. I, 1/09/2006, n. 18953). Non si può, pertanto, configurare la paventata violazione di legge in quanto la norma in commento consente e non obbliga i Comuni ad individuare una più specifica regolazione delle immissioni, fermo restano l'impossibilità di diminuire i limiti di emissione sonora prescritti dalla citata normativa. 5.6. Né sono stati forniti elementi per affermare che le impugnate scelte dell'amministrazione sarebbero il frutto di una ritorsione del Comune, a seguito di precedenti azioni giudiziarie intercorse tra le parti. L'appello deve essere, pertanto, respinto. In considerazione della particolarità e novità della questione trattata, le spese processuali del giudizio devono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore Brunella Bruno - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6450 del 2021, proposto da Be. & Be. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ci. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, corso (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Fl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ro. Ru. Va., Ro. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Iv. Pr. S.r.l. ed altri, non costituiti in giudizio; Fe. - Federazione It. dei Co. dei Gi. Bi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ci. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, corso (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima n. 00258/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Emilia Romagna, di Fe. - Federazione It. dei Co. dei Gi. Bi. e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla società Be. & Be. S.r.l. contro il Comune di (omissis) e la Regione Emilia - Romagna e nei confronti dell'Agenzia Dogane e Monopoli - Direzione giochi, con l'intervento ad adiuvandum della Fe. Federazione It. dei Co. dei Gi. Bi., oltre che delle società e dei singoli ivi indicati, per l'annullamento dei seguenti atti: -a) deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 34 del 2018, avente ad oggetto approvazione del Regolamento delle sale da gioco, installazione apparecchi da intrattenimento e giochi leciti. Prevenzione e contrasto delle patologie e problematiche legate al gioco; -b) Regolamento delle sale da gioco, installazione apparecchi da intrattenimento e giochi leciti, approvato con la detta deliberazione; -c) deliberazione della Giunta comunale di (omissis) n. 200/2018, avente ad oggetto: Rideterminazione mappatura dei luoghi sensibili ai sensi DGR 831/2017 al fine della prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d'azzardo lecito ai sensi della L.R. 5/2013 e s.m.i., e relativi allegati; -d) deliberazione della Giunta regionale dell'Emilia Romagna n. 831/2017, avente ad oggetto "Modalità applicative del divieto alle sale da gioco e alle sale scommesse e alla nuova installazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito" (ricorso introduttivo); -e) provvedimento del Comune di (omissis) in data 13/3/2019, avente a oggetto "Sala raccolta gioco del BINGO sita a (omissis) in Via (omissis)", contenente diffida a provvedere alla chiusura dell'attività entro sei mesi ovvero a procedere alla delocalizzazione, presentando entro lo stesso termine la domanda per il rilascio di permesso di costruire oppure l'istanza di avvio delle attività secondo le modalità previste dall'articolo 7 del DPR n. 160/2010 e s.m.i. per la nuova sede ubicata in zona non soggetta a divieto (primo ricorso per motivi aggiunti); -f) provvedimento del Comune di (omissis) in data 15/10/2019, avente ad oggetto "Provvedimento di divieto prosecuzione dell'attività di sala raccolta gioco del bingo all'insegna Bingo (omissis) sito in (omissis) via (omissis) per compimento dei termini di legge - ai sensi e per gli effetti della L.241/90 S.M.I."; -g) provvedimento del Comune di (omissis) del 16 settembre 2019, con il quale è stata respinta l'istanza dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in favore della ricorrente, contenente "Richiesta concessione proroga dei termini di chiusura dell'attività sita in (omissis), viale (omissis)" (secondo ricorso per motivi aggiunti). 1.1. Il tribunale, illustrati i motivi di censura, ha deciso come segue sul ricorso principale: - ha respinto i primi tre motivi, concernenti la deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 200/2018, recante la mappatura dei luoghi sensibili, ritenendo: -- destituita di fondamento la qualificazione dell'atto come atto pianificatorio in materia urbanistico - territoriale, escludendone perciò la soggezione al regime procedimentale del c.d. doppio binario; -- infondata la censura di incompetenza, essendo competente all'adozione la Giunta comunale ai sensi dell'art. 6 della legge regionale n. 5 del 2013; --parimenti infondata la censura dell'asserita mancata individuazione, da parte della Giunta comunale, del sistema di calcolo del limite distanziometrico di ml. 500, in quanto applicabile l'art. 9, comma 2, del Regolamento comunale, col quale era individuato il criterio del percorso pedonale più breve; - ha respinto il quarto motivo, nella parte in cui era denunciato il c.d. effetto espulsivo dell'attività svolta dalla ricorrente dall'intero territorio comunale, in quanto non dimostrato; - ha respinto l'ulteriore censura dello stesso quarto motivo, riguardante la mancata previsione di un indennizzo per l'effetto espropriativo determinato dai provvedimenti impugnati, che il tribunale ha ricondotto alla deduzione dell'illegittima retroattività dei limiti distanziometrici; ha quindi escluso tale effetto retroattivo, richiamando la prevalente giurisprudenza (in particolare, Cons. Stato, III, 10 febbraio 2016, n. 579), secondo cui l'esistenza di un'autorizzazione pregressa non giustifica una deroga permanente, che sottragga l'operatore alla disciplina regolamentare a tutela della salute, quali che siano le vicende e le ubicazioni future del suo esercizio commerciale; - ha respinto infine il motivo rubricato sub "B", riguardante l'asserito difetto di motivazione del Regolamento comunale, ritenendo invece congruo l'apparato motivazionale, anche in ragione delle finalità perseguite ed enunciate nel regolamento. 1.2. Il tribunale ha quindi respinto i motivi aggiunti per le seguenti ragioni: - ha escluso che il provvedimento di chiusura dei locali fosse privo dell'indicazione dei luoghi sensibili con riferimento ai quali era stata riscontrata la distanza inferiore a quella di legge, ritenendo valida la motivazione per relationem agli atti comunali di individuazione dei luoghi sensibili; - ha parimenti escluso il difetto di motivazione sul criterio di calcolo delle distanze, in quanto chiaramente enunciato nel Regolamento; - ha ritenuto infondate le argomentazioni a sostegno della censura del secondo ricorso per motivi aggiunti in merito all'effetto espulsivo dell'attività riscontrato nel caso concreto, ritenendo che il "comportamento acquiescente" dimostrato dalla società rispetto al diniego opposto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli allo spostamento dell'attività nel più vasto ambito dei comuni contigui o comunque vicini a (omissis) non dimostrasse "in alcun modo la sussistenza del c.d. effetto espulsivo anche nei riguardi del più ampio ambito territoriale di cui si discute"; in particolare, il provvedimento di diniego avrebbe dovuto essere impugnato dalla ricorrente "in modo da consentire il contraddittorio processuale e il sindacato giurisdizionale di legittimità su tale atto adottato da una delle parti in causa nel presente giudizio"; parimenti sarebbe stato irrilevante il silenzio serbato dal Comune sulla richiesta della ricorrente di indicare zone del territorio comunale idonee ad ospitare l'attività di sala gioco Bingo da trasferire, in quanto la ricorrente avrebbe dovuto procedere con azione ex art. 117 c.p.a.; infine, non sarebbe stata decisiva la CTP prodotta in giudizio, poiché dall'allegato 03 A sarebbe risultata l'esistenza di "diverse zone periferiche del territorio comunale (dal consulente lasciate in bianco nella planimetria)" utili per la ri-localizzazione, sicché il tribunale ha ritenuto pertinente, in senso sfavorevole alla società, la decisione dello stesso T.a.r. Emilia Romagna, Bologna, n. 703 del 2/11/2020, dove si era stabilito che il c.d. "effetto espulsivo" non si determina laddove risulti confermata l'esistenza di aree all'uopo idonee, anche se di superficie pari ad una minuscola porzione di territorio superstite (nella causa citata l'area "libera" era di mq. 0,39 corrispondente allo 0,28% della superficie del territorio comunale). 1.3. Le spese processuali sono state compensate, in ragione della peculiarità e della particolare complessità della vicenda e delle principali questioni esaminate. 2. Be. & Be. S.r.l. ha proposto appello con cinque motivi. Il Comune di (omissis) e la Regione Emilia Romagna si sono costituiti per resistere all'appello. Si è costituita anche l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la difesa dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva e, in subordine, nel merito, rigettarsi il ricorso. In corso di causa ha depositato atto formale di costituzione la Fe., che però non ha svolto ulteriore attività difensiva. 2.1. All'esito dell'udienza del 3 febbraio 2022, con ordinanza collegiale in data 14 marzo 2022, n. 1771 è stata disposta una verificazione. A seguito di istanza del 25 luglio 2022, è stata accordata, con ordinanza collegiale del 30 settembre 2022, la proroga del termine di deposito della relazione richiesta dal verificatore. La relazione di verificazione è stata quindi depositata in data 13 novembre 2022. 2.2. All'esito della successiva udienza del 23 febbraio 2023, con ordinanza collegiale in data 21 marzo 2023 n. 2850 sono stati richiesti chiarimenti al verificatore. La relazione supplementare di quest'ultimo è stata depositata in data 18 maggio 2023. 2.3. All'udienza del 28 settembre 2023, la causa è stata assegnata a sentenza, previo deposito di memorie e repliche delle parti, nonché di relazione tecnica di parte ricorrente in riferimento ai chiarimenti forniti dall'organismo di verificazione. 3. Il primo motivo di appello critica la decisione in merito al primo ed al secondo motivo del ricorso principale. Vengono quindi riproposte, con riferimento alla deliberazione della Giunta comunale di "mappatura dei luoghi sensibili" n. 200/2018, le censure di incompetenza della Giunta comunale in favore del Consiglio comunale e di violazione delle garanzie partecipative in sede di formazione degli strumenti urbanistici (c.d. sistema del doppio binario) sancite dalle disposizioni regionali in materia di governo del territorio. L'appellante precisa che la deliberazione comunale impugnata non è stata adottata in attuazione dell'art. 6, comma 2 bis, della legge regionale n. 5/2013, come affermato in sentenza, bensì in attuazione del comma 2 quater introdotto nella stessa disposizione regionale dall'art. 48 della legge regionale n. 18/2016, includendo quindi nuovi luoghi sensibili, anche se non descritti nella legenda regionale di cui alla deliberazione regionale n. 831 del 12 giugno 2017. Il motivo è infondato. 3.1. Giova premettere che, per quanto rileva ai fini della decisione, la legge regionale 28 ottobre 2016 n. 18 (Testo unico per la promozione della legalità e per la valorizzazione della cittadinanza e dell'economia responsabili), art. 48, ha modificato il comma 2 e aggiunto i comma 2 bis, 2 ter e 2 quater all'art. 6 della legge regionale 4 luglio 2013 n. 5 (Norme per il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, nonché delle problematiche e delle patologie correlate) e ha dettato limiti di distanza (500 m.) per tutte le sale giochi e scommesse, compresi i punti di raccolta delle scommesse (c.d. corner), dai luoghi sensibili ivi indicati ovvero gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori. Con deliberazione della Giunta regionale 12 giugno 2017, n. 831, intitolata "Modalità applicative del divieto alle sale gioco e alle sale scommesse e alla nuova installazione di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito" (L.R. 5/2013 come modificata dall'art. 48 L.R. 18/16, modificata con deliberazione G.R. n. 68/2019) la Regione Emilia Romagna, in attuazione all'art. 6, comma 2-bis L.R. n. 5/2013, ha vietato non soltanto le nuove aperture di locali dedicati al gioco lecito ma anche la conduzione di sale da gioco e sale scommesse già operanti alla data della sua entrata in vigore, che si trovassero ad una distanza inferiore a cinquecento metri rispetto ai c.d. "luoghi sensibili". Con la stessa deliberazione è stato fatto obbligo ai comuni di procedere alla mappatura dei luoghi sensibili e quindi all'individuazione degli esercizi che non rispettavano i suindicati limiti di distanza. Ai sensi della d.G.R. n. 831/2017, il Comune di (omissis) ha approvato una prima deliberazione di Giunta attuativa dell'art. 6, comma 2 bis, della legge regionale in data 18 marzo 2018, n. 87 ed una seconda deliberazione, sostitutiva della prima, in data 21 giugno 2018, n. 200, con la quale si è avvalso della facoltà di cui all'art. 6, comma 2 quater, di "individuare altri luoghi sensibili ai quali si applicano le disposizioni di cui al comma 2 bis, tenuto conto dell'impatto dell'installazione degli apparecchi sul contesto e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica". In data 14 novembre 2018, con deliberazione del consiglio comunale di (omissis) n. 34, è stato quindi approvato il Regolamento delle sale da gioco, installazione apparecchi da intrattenimento e giochi leciti. Prevenzione e contrasto delle patologie legate al gioco. 3.2. Sebbene col ricorso introduttivo del giudizio sia stato impugnato anche il regolamento, con i motivi di appello - che non ripropongono in toto le censure del primo grado - la parte appellante concentra il gravame avverso la seconda deliberazione della Giunta comunale di mappatura dei luoghi sensibili, n. 200/2018, nel presupposto che quest'ultima, applicata unitamente agli strumenti urbanistici vigenti, avrebbe impedito alla società ricorrente di trasferire la propria attività in altro luogo del territorio comunale. 3.3. Quanto alla normativa urbanistica applicabile, la verificazione disposta in corso di giudizio ha fatto riferimento agli strumenti di pianificazione comunale vigenti prima dell'entrata in vigore della legge regionale sul giuoco d'azzardo, in particolare al Piano Strutturale Comunale (PSC 2007) ed al Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE 2008), redatti ai sensi della previgente legislazione regionale urbanistica n. 20/2000, successivamente sostituita dalla legge n. 24/2017. Risulta poi dalla relazione di verificazione disposta in altro giudizio pendente dinanzi al T.a.r. Emilia Romagna, Bologna contro lo stesso Comune di (omissis) - redatta dall'arch. Fa., prodotta dalla ricorrente in data 8 settembre 2022 - che con delibera del Consiglio Comunale di (omissis) n. 22 del 19/07/2018 è stata approvata una Variante al regolamento urbanistico edilizio. rue_2018: controdeduzione e approvazione, ai sensi dell'art. 33 c. 4 bis L.R. n. 20 del 2000, completa di Elaborati grafici d'insieme e particolareggiati e N.T.A. in vigore dal 22 agosto 2018. Si tratta di strumenti urbanistici dei quali occorre tenere conto ai fini della decisione, anche ai sensi art. 7 del Regolamento comunale in materia di gioco d'azzardo (che, al primo comma, fa salvo "quanto disciplinato in materia di cui all'oggetto dal vigente Regolamento Urbanistico Edilizio Comunale (RUE)"). Dato ciò, non vi è dubbio che, per come emerso dalla verificazione, le scelte urbanistiche combinate con l'introduzione dei limiti distanziometrici per l'esercizio delle sale giochi abbiano finito per avere ripercussioni sulla ri-localizzazione delle attività che, per effetto della detta "mappatura dei luoghi sensibili", si sono ritrovate a distanza inferiore da quella di legge dai luoghi mappati, come accaduto per la ricorrente. 3.4. Tuttavia, la soluzione sistematica non avrebbe dovuto essere perseguita con le modalità procedurali invocate da parte ricorrente, vale a dire applicando alle determinazioni attuative dell'art. 6, commi 2 bis e 2 quater, della legge regionale n. 5/2013 e succ. mod. e della deliberazione regionale n. 831/2017, le disposizioni di legge in materia di approvazione degli strumenti urbanistici. Invero con la legge n. 5/2013 e s.m.i. e con le deliberazioni regionali attuative la Regione Emilia Romagna ha inteso perseguire finalità di tutela della salute pubblica. Il Comune di (omissis) ha applicato il criterio distanziale previsto a livello regionale e individuato i luoghi sensibili in ottemperanza alle disposizioni della legge e delle deliberazioni regionali, perseguendo le medesime finalità di tutela della salute e dei soggetti più deboli, sub specie di prevenzione e contrasto alla dipendenza dal gioco d'azzardo. Giova precisare che non è determinante, in senso contrario, l'esercizio, da parte del Comune, della facoltà discrezionale rimessa agli enti locali dall'art. 6, comma 2 quater, della legge regionale, atteso che anche le previsioni da ultimo dette si fondano sulla medesima normativa regionale. 3.4.1. Questa normativa è da ritenersi priva di finalità di governo del territorio. Appartengono infatti al "governo del territorio", da intendersi come "uso del territorio e localizzazione di impianti e di attività " (cfr. Corte Cost. n. 196/2004), le disposizioni concernenti l'ubicazione sul territorio comunale delle attività in contestazione, vale a dire la destinazione di zone del territorio comunale al relativo insediamento, per la quale si hanno la competenza legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3, della Costituzione e la necessaria applicazione della pertinente normativa urbanistica (cfr. Corte Cost. n. 220/2014). Tuttavia tali disposizioni vanno tenute distinte da quelle volte invece a vietare l'installazione o l'esercizio delle attività di gioco lecito ad una certa distanza dai c.d. "luoghi sensibili", che perseguono finalità di carattere socio-sanitario, rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente "tutela della salute" (cfr. Corte Cost., 22 marzo - 11 maggio 2017, n. 108 e giurisprudenza ivi richiamata nonché Corte Cost. n. 27 del 27 febbraio 2019). Parimenti perseguono finalità di tutela della salute le disposizioni comunali regolamentari e attuative di quelle regionali (cfr. Cons. Stato, parere n. 550 del 10 marzo 2022 e id., parere n. 1840 del 6 dicembre 2021). 3.4. Nel Comune di (omissis) le finalità di governo del territorio sono state perseguite con gli strumenti di pianificazione detti sopra, mentre quelle di tutela della salute con l'approvazione degli atti oggetto del presente contenzioso. Il mancato adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale alle disposizioni regionali che hanno condotto all'approvazione degli atti impugnati comporta le conseguenze di cui si dirà trattando degli esiti della verificazione, ma non consente di affermare l'illegittimità della delibera n. 200/2018 per le ragioni di incompetenza e di violazione delle regole procedurali poste dall'appellante. 3.4.1. In proposito vanno confermate le conclusioni raggiunte nella sentenza appellata, secondo cui "la citata deliberazione giuntale non costituisce atto pianificatorio di natura "urbanistico-territoriale", vertendo essa, invece, sulla specifica materia della disciplina regionale della lotta alla ludopatia di cui alla L.R. Emilia - Romagna n. 5 del 2013 e s.m. e i. (...)", di modo che la competenza è da intendersi riservata alla giunta comunale e "la deliberazione di "mappatura" dei luoghi sensibili nemmeno deve soggiacere al regime procedimentale del c.d. "doppio binario" (con fase di adozione e successiva fase di approvazione), quale previsto, invece, per gli atti pianificatori comunali in materia urbanistica". 3.5. Il primo motivo di appello va quindi respinto. 4. Il secondo motivo critica la decisione in merito al quarto motivo del ricorso principale ed al secondo motivo aggiunto, con i quali la ricorrente aveva lamentato la totale assenza di proporzionalità e ragionevolezza degli atti e provvedimenti impugnati poiché gli stessi, oltre ad incidere su situazioni consolidate, avrebbero determinato un effetto espulsivo del gioco lecito dal territorio comunale. In particolare, è criticata la sentenza nella parte in cui, richiamando il proprio precedente sopra specificato, ha ritenuto sufficiente ad escludere detto effetto espulsivo l'esistenza di una pur minima parte del territorio comunale da destinare alla ri-localizzazione delle attività di gioco lecito. Inoltre è criticata la lettura della perizia di parte, perché, contrariamente a quanto affermato in sentenza, questa avrebbe confermato l'impossibilità per la società ricorrente di reperire nel Comune di (omissis) un fabbricato con caratteristiche idonee allo svolgimento dell'attività, come peraltro riscontrato sia da una dichiarazione resa dall'agenzia Al. Im. Ri. s.r.l. prodotta in giudizio sia dalla nota prot. n. 0110576 del 27 agosto 2019 dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sopravvenuta in corso di causa. Sulla base di tali elementi, rappresentanti a suo avviso un valido principio di prova ai sensi dell'art. 64 c.p.a., l'appellante ha chiesto disporsi c.t.u. o verificazione al fine di acclarare l'impossibilità di procedere alla dislocazione dell'attività di sala Bingo entro il termine semestrale concesso dal Comune resistente. 4.1. Va trattato congiuntamente, perché connesso, il quinto motivo di appello, concernente il motivo aggiunto riguardante il provvedimento di chiusura definitiva dell'attività n. 49/2019-SGIO in data 15 ottobre 2019, per il compimento del termine di sei mesi concesso con provvedimento in data 13 marzo 2019 per la chiusura dell'attività o suo trasferimento in altro luogo idoneo. L'appellante ribadisce che, pur avendo fatto tutto quanto razionalmente esigibile da un operatore economico massimamente diligente, si è trovata nell'oggettiva impossibilità di procedere alla delocalizzazione della propria attività di sala Bingo (dentro e fuori dai confini comunali). Censura in particolare le statuizioni secondo cui la società avrebbe dovuto impugnare il diniego di trasferimento opposto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed il silenzio serbato dal Comune di (omissis) sull'istanza di indicazione di zone del territorio comunale idonee alla delocalizzazione. 5. I motivi sono fondati. 5.1. Va premesso che, accogliendo la richiesta istruttoria formulata dall'appellante, è stata disposta una verificazione ed è stato dato mandato all'organismo di verificazione - individuato nel Direttore del Dipartimento Architettura, Ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito - DABC del Politecnico di Mi., che, a ciò autorizzato, ha delegato il prof. Pi. Vi., docente dello stesso dipartimento - di chiarire: "se, tenuto conto della conformazione naturale e della disciplina urbanistica vigente nel Comune di (omissis), l'applicazione del criterio della distanza dai siti c.d. sensibili individuati nell'art. 6 comma 2 bis, della legge della Regione Emilia Romagna n. 5 del 2013, come modificato dall'art. 48 della legge regionale n. 18 del 2016, così come attuato dalle deliberazioni della Giunta Regionale oggetto di impugnazione (n. 831 del 12 giugno 2017 e n. 68 del 21 gennaio 2019), unitamente ai criteri di ubicazione, misurazione delle distanze e conformazione dei locali di cui al regolamento comunale approvato dal Consiglio comunale di (omissis) con deliberazione n. 34 del 2018, determini che non sia in assoluto possibile la localizzazione sull'intero territorio comunale delle sale gioco e delle sale scommesse come definite dalla legge regionale e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare (ovvero, all'opposto, la percentuale di territorio disponibile sia all'insediamento di nuove sale giochi e sale scommesse od all'installazione ex novo di apparecchi per il gioco d'azzardo lecito di cui all'art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931, sia al trasferimento di quelle esistenti, secondo quanto appresso), considerati separatamente gli edifici esistenti e le strutture di possibile edificazione; - inoltre se, tenuto conto di tutte le sale gioco e le sale scommesse autorizzate ed in esercizio in ambito comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 18 del 2016, nonché della "mappatura dei luoghi sensibili" realizzata dall'amministrazione comunale, l'applicazione della disciplina volta alla c.d. delocalizzazione dell'attività nello stesso territorio comunale ne consentisse, nei termini ivi fissati, il trasferimento e la prosecuzione in altro sito idoneo, contestualmente ad ana trasferimento da attuarsi da parte degli altri operatori economici destinatari del medesimo divieto di legge, anche alla stregua della zonizzazione vigente nel territoriale comunale e/o di altri atti, generali o di pianificazione, dell'amministrazione comunale utili all'individuazione di aree idonee allo scopo.". 5.1.1. Nella relazione di verificazione è stato posto in evidenza quanto segue: - il Comune di (omissis), dotato degli strumenti urbanistici di cui si è detto sopra, regola le attività delle sale giochi e assimilate nel Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE 2008); in proposito va precisato che la casistica dell'uso del territorio, quanto agli effetti dell'insediamento delle attività di gioco d'azzardo lecito, è quella contenuta nel RUE variato nel 2018, esaminato anche nella verificazione dell'arch. Fa. sopra menzionata; - le attività in oggetto rientrano all'interno delle Funzioni Direzionali (categoria d), in tre differenti sottocategorie d'uso del territorio (come definite dall'art. 1.6.1 Casistica degli usi del territorio del RUE): d2 e d4, per le sale giochi con capienza di pubblico inferiore rispettivamente a 100 persone ed a 400 persone, e d5 per le attività ad elevato impatto, tra cui l'attività di sala "Bingo"; - le aree sopra individuate consentirebbero l'insediamento delle attività di gioco lecito sia in lotto libero o all'interno di immobili esistenti, con riuso funzionale, sia previa demolizione e ricostruzione di immobile esistente; - alla data delle delibere comunali del 2018 si trattava in tutto di 54 attività, che il verificatore ha indicato nell'allegato cartografico 1 (localizzazione slot); - con la prima delibera comunale (DG n. 87 del 18 marzo 2018) l'amministrazione ha individuato i luoghi sensibili ai sensi della legge regionale e i relativi buffer di rispetto (allegato cartografico 2: Localizzazione luoghi sensibili e ambiti di rispetto 500 m.); - con la seconda delibera comunale (DG n. 200 del 21 giugno 2018) l'amministrazione ha integrato i luoghi sensibili con i luoghi di aggregazione, "aumentando conseguentemente in maniera significativa le parti del tessuto urbano esistente escluse dalla possibilità di localizzare strutture per il gioco d'azzardo lecito" (allegato cartografico 3: Localizzazione luoghi sensibili integrati con i luoghi di aggregazione e ambiti di rispetto 500 m.); - gli allegati cartografici 4 e 4 b dimostrano che, tenendo conto delle delibere di c.d. mappatura dei luoghi sensibili, le aree astrattamente destinabili alla localizzazione delle attività in contestazione sono pari al 5,8% del territorio urbanizzato ed al 3,5% del territorio comunale; - tuttavia, tenuto conto delle destinazioni del RUE, una volta esclusi gli ambiti urbanizzati nei quali non sono consentiti gli usi d2, d4 e d5, le aree utilizzabili si riducono allo 0,5% del territorio urbanizzato; - in tali ultime aree è però consentito soltanto l'uso d2, mentre l'uso d4 è ammesso nelle unità edilizie già in essere alla data di adozione del RUE e con cambio d'uso in una sola zona (ASP1); l'uso d5 non è mai ammesso. 5.1.2. Quindi, in risposta al primo quesito, il verificatore, confermando tali ultimi dati, ha rappresentato che, oltre ad essere disponibili nella misura dello 0,5% del territorio urbanizzato, si tratta di aree in cui "l'effettivo stato dei luoghi, per caratteristiche e consistenze insediative e di urbanizzazione, rende altamente improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo lecito (...)". 5.1.3. In risposta al secondo quesito il verificatore ha quindi precisato che l'applicazione dei limiti distanziometrici dai siti sensibili individuati dall'amministrazione comunale di (omissis) "comprime in maniera sostanziale e significativa le possibilità e le alternative delocalizzative delle funzioni del gioco d'azzardo lecito, determinando di fatto un effetto espulsivo dal mercato immobiliare urbano, in quanto l'applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili comporta, per stato di diritto (strumentazione urbanistica) e stato di fatto (caratteristiche tipologico-funzionali e insediative) l'impossibilità pratica di delocalizzazione di tali attività ". 5.2. Al fine di superare alcune perplessità interpretative della relazione di verificazione indotte dagli argomenti sviluppati dalle parti nelle memorie successive al deposito del 13 novembre 2022, con ordinanza collegiale n. 2850 del 21 marzo 2023 sono stati chiesti al verificatore chiarimenti volti ad accertare, in sintesi, quale sarebbe stata la percentuale di territorio urbanizzato disponibile, se l'amministrazione comunale non si fosse avvalsa della facoltà di integrare i luoghi sensibili già individuati in conformità alla normativa regionale con la prima delibera (D.G. n. 87 del 18 marzo 2019), adottando la seconda delibera (D.G. n. 200 del 21 giugno 2018). Illustrando la risposta con nuovi allegati cartografici (all. 3 c e all. 4 bis) e dodici stralci degli aerali interessati, il verificatore ha chiarito quanto segue. Tenendo conto soltanto della prima delibera " (...) le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d'azzardo lecito ammontano a 18,3 ha, pari all'1,7% del Territorio urbanizzato. In questi ambiti urbanizzati, evidenziati in blu nell'Allegato cartografico 3c (Ambiti urbanizzati esterni alle aree di rispetto dei luoghi sensibili_500 metri), è consentito ai sensi della disciplina del RUE, esclusivamente l'uso d2 (sale gioco con capienza inferiore alle 100 persone); l'uso d4 è ammesso esclusivamente nelle Unità Edilizie già legittimamente in essere alla data di adozione del RUE e come cambio d'uso in una specifica e limitata zona (ASP1), mentre l'uso d5 non è mai ammesso." (con la precisazione di cui alla nota 3 di pag.8). 5.3. In conclusione, è rimasto definitivamente accertato che per effetto della deliberazione impugnata n. 200/2018 la delocalizzazione sarebbe possibile solo nello 0,5% del territorio urbanizzato, con un effetto sostanzialmente espulsivo sia perché in tali modesti ambiti urbanizzati sarebbe consentito esclusivamente l'uso d2, mentre l'uso d4 è ammesso esclusivamente nelle unità edilizie già in essere e l'uso d5 non è mai ammesso, sia perché l'effettivo stato dei luoghi rende altamente improbabile la localizzazione delle funzioni del gioco d'azzardo lecito. Se invece si considerasse soltanto la prima delibera (n. 87 del 2018), quindi escludendo i "luoghi sensibili" mappati con la seconda (n. 200 del 2018) come da relazione supplementare, si avrebbe un incremento della disponibilità di aree potenzialmente utili fino alla percentuale dell'1,7% del territorio urbanizzato, tanto che il verificatore ha concluso che, solo in tale eventualità, si potrebbe ritenere un "effetto di marginalizzazione" piuttosto che un "effetto espulsivo" delle attività in contestazione. 5.3.1. Le difese della Regione Emilia Romagna e del Comune di (omissis) fraintendono siffatta conclusione e la riferiscono allo stato della normativa quale vigente alla data di adozione dei provvedimenti riguardanti la Be. & Be.. L'assunto è del tutto privo di fondamento poiché questi ultimi sono stati adottati in attuazione della deliberazione n. 200/2018, che ha sostituito la precedente e che perciò è stata impugnata dalla società . Vigente quest'ultima deliberazione, l'effetto espulsivo è determinato sia dalla modestissima percentuale di territorio comunale utilizzabile (0,5%) sia dallo stato dei luoghi sopra detto. Contrariamente quindi a quanto assumono le amministrazioni resistenti la delocalizzazione delle attività esistenti alla data di entrata in vigore della delibera n. 200/2018 era del tutto impossibile già per gli usi d2 e d3 ed a maggior ragione per l'uso d5; soltanto tornando alla "mappatura" della precedente delibera (n. 87/2018) si potrebbe prospettare la possibile localizzazione per gli usi d2 e d3, non anche per l'uso d5. 5.3.2. Con la memoria conclusiva anche l'appellante ha criticato le conclusioni della verificazione supplementare sulla scorta di una relazione tecnica di parte, depositata il 18 luglio 2023 a firma dell'arch. Ro. Me., interamente richiamata nell'atto difensivo. Le critiche si appuntano in particolare sulla valutazione qualitativa delle aree quantitativamente idonee alla delocalizzazione individuate dal verificatore nella percentuale dell'1,7% del territorio urbanizzato, in forza della delibera n. 87/2018. Secondo il consulente di parte, in concreto, sarebbe utilizzabile per gli usi d2 e d4 una percentuale pari tutt'al più allo 0,11% del territorio urbanizzato, mentre non vi sarebbe alcuna possibilità di ri-localizzazione per l'uso d5. Si tratta di critiche irrilevanti ai fini della decisione, sia perché, nel caso di specie, è applicabile la delibera n. 200/2018, in forza della quale (avendo aggiunto quali ulteriori luoghi sensibili centri di buon vicinato, discoteche e asili nido) la percentuale di territorio utile alla localizzazione delle attività di gioco lecito si riduce al 0,5%, sia perché, per effetto di entrambe le deliberazioni (n. 87/2018 e n. 200/2018), resta comunque impedito nell'intero territorio comunale l'uso d5. 5.4. Orbene, la sala Bingo gestita dalla Be. & Be., situata in via (omissis), nella quale la società svolgeva altresì la raccolta di giocate tramite apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, T.U.L.P.S. rientra tra gli usi d5 (Attività ricreative, sportive e di spettacolo). Infatti, questa destinazione d'uso, come si legge nella verificazione, comprende "le attività ad elevato impatto, non rientranti nei requisiti di cui all'uso d4, quali le grandi multisale cinematografiche ed inoltre l'attività di sala Bingo. Comprende altresì le attività ludiche svolte in esercizi dedicati esclusivamente al gioco con apparecchi di cui all'art. 110 comma 6 del T.u.l.p.s. di cui al R.D. n. 773/1931 e succ. mod.". 5.5. Consegue a quanto fin qui esposto che nel territorio comunale di (omissis) la ricorrente non avrebbe potuto proseguire in alcun modo la propria attività, pur essendo concessionaria dell'Agenzia delle Dogane e del Monopoli, con concessione prorogata ex lege ed in corso alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, in specie alla data del provvedimento di chiusura del 15 ottobre 2019. 6. Va pertanto accolta la censura - comune ai motivi d'appello secondo e quinto - di carenza di ragionevolezza e proporzionalità della disciplina comunale adottata in attuazione di quella regionale. Non è in discussione la conformità a Costituzione, in specie all'art. 41, comma 2, della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili (cfr. Cons. Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298), né la compatibilità con la normativa euro unitaria, considerato che la Corte di Giustizia UE ammette le misure derogatorie alle libertà di stabilimento, di libera circolazione delle merci e di prestazione dei servizi per giustificati motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, oltreché per "motivi di interesse generale" (cfr., tra le altre, Cons. Stato, VI, 11 marzo 2019, n. 1618 e id., 19 marzo 2019, n. 1806). Quanto alla ragionevolezza dell'interdizione, è sufficiente osservare che in plurime occasioni, ed in modo puntuale con la sentenza n. 108 del 2017, la Corte Costituzionale è intervenuta a difesa della normativa regionale, precisando che serve ad "evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della "dipendenza da gioco d'azzardo". 6.1. La questione controversa attiene piuttosto agli effetti delle misure adottate dal Comune ed all'idoneità di queste a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l'ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi. Rileva al riguardo il principio di proporzionalità, invocato dall'appellante, che impone all'amministrazione comunale di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato; evidenziandosi, altresì, che, definito lo scopo avuto di mira, il principio è rispettato se la scelta concreta dell'amministrazione è in potenza capace di conseguire l'obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità ), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza), come da giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, V, 26-8-2020, n. 5223; V, 4-12-2019, n. 8298; V, 20-2-2017, n. 746; V, 23-12-2016, n. 5443; IV, 22-6-2016, n. 2753; IV, 3-11-2015, n. 4999; IV, 26-2-2015, n. 964). Con le citate sentenze si è affermato, con argomentazioni che si richiamano e si condividono, che il limite distanziale, comportante il divieto di esercizio delle sale da gioco, delle sale scommesse e dei punti di raccolta in locali che si trovino a una distanza inferiore a 500 metri dai luoghi sensibili, costituisce mezzo idoneo al perseguimento degli obiettivi prefissati di contrasto al fenomeno c.d. della ludopatia (così, con specifico riferimento alla normativa della Regione Emilia Romagna, sia pure in riferimento al Comune di Bologna, Cons. Stato, pareri n. 686/21, n. 1840/21 e 550/22; ma, più in generale, cfr. anche Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4147). 6.2. Quanto invece alla conformità della misura al principio di proporzionalità, in riferimento ai parametri della stretta necessità e dell'adeguatezza, non è condivisibile, in linea di principio, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata che l'accertamento dell'esistenza anche di una pur minima disponibilità di aree idonee alla localizzazione di attività di gioco d'azzardo lecito nel territorio comunale sarebbe preclusivo del c.d. effetto espulsivo illegittimamente pregiudizievole degli interessi privati. Invero, se questa affermazione è accettabile con riguardo all'installazione di nuove attività imprenditoriali, per contro il giudizio relativo alla stretta necessità e, soprattutto, all'adeguatezza della misura distanziometrica va differenziato quando questa è applicata alle attività imprenditoriali esistenti (come di recente affermato dalla Sezione in sentenze riguardanti la legislazione della Regione Emilia Romagna: cfr. Cons. Stato, V, 28 dicembre 2022, n. 11426 e id., V, 16 dicembre 2022, n. 11036). La gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia Romagna, l'amministrazione ha agito, onde pervenire alla c.d. delocalizzazione, costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati (cfr. sul tema, Cons. Stato, parere n. 550/22). Tuttavia la violazione del principio di proporzionalità nei confronti dei titolari degli esercizi soggetti a chiusura si configura, non solo ove la imposizione dei limiti distanziali determini nel territorio comunale la totale inibizione allo svolgimento dell'attività di esercizio di punti di gioco e di raccolta di scommesse, ma anche se l'individuazione delle aree destinate renda impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie, secondo una valutazione che si ritiene - in ciò parzialmente discostandosi da quanto affermato in altre occasioni (cfr. Cons. Stato, V, n. 8298/19 cit., nonché Cons. Stato, parere n. 689/21) - debba essere fatta in concreto e non in astratto, rilevando, per gli esercizi costretti a delocalizzare entro un tempo predeterminato (nel caso di specie, sei mesi, prorogabili di altri sei), gli impedimenti anche soltanto meramente fattuali. Formulato perciò in tale senso il secondo quesito della verificazione, va apprezzato l'accertamento del verificatore (sopra esposto) secondo cui la ri-collocazione nel territorio del Comune di (omissis) dell'attività della sala Bingo, quale quella della ricorrente, è stata di fatto resa impossibile - tale cioè da rendere in concreto inesigibile la delocalizzazione - dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione. Risultano infatti da quanto sopra individuati precisi limiti urbanistico-edilizio impeditivi del trasferimento. 6.4. A ciò si aggiunga che la Be. & Be. ha fornito anche diversi elementi di prova dell'impossibilità di reperimento di edifici idonei all'installazione di una sala "Bingo" nell'intero territorio comunale. 6.4.1. Il riconoscimento da parte della difesa comunale che "il rilascio della concessione per l'esercizio di una sala Bingo è subordinato al possesso di particolari e severi requisiti strutturali e dimensionali dei locali e la validità della concessione è limitata ad un determinato territorio (...)" non giova alla causa del Comune di (omissis), sol che si consideri che la prima causa del mancato reperimento di un sito idoneo è rinvenibile nella combinazione tra il limite distanziometrico ed i limiti urbanistici del RUE. La stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, d'altronde, nel presupposto dell'operatività del regime di proroga delle concessioni di cui all'art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, come modificato dall'art. 1, comma 934, della legge n. 208/2015, dall'art. 1, comma 1047 della legge n. 205/2017 e dall'art. 1, comma 1096, della legge n. 145/2018, non ha potuto fare altro che dare atto che la concessionaria Be. & Be. "nell'impossibilità di trasferire la sala al di fuori per espresso divieto legislativo e all'interno del medesimo comune per mancanza di spazi idonei, si trova nell'impossibilità oggettiva di poter proseguire l'attività con gravissimi riflessi sugli interessi pubblici coinvolti: livelli occupazionali, contrasto al gioco illegale, ordine pubblico e gettito erariale" (come da nota del 27 agosto 2019). Per di più è stata la stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a chiedere al Comune di accordare la sospensione del procedimento di chiusura dell'attività, negata con il provvedimento, del pari impugnato, del 15 settembre 2019. L'assunto del Comune circa un'asserita inopponibilità all'amministrazione comunale della nota anzidetta, qualificata come di "diniego di trasferimento", e la correlata affermazione della sentenza di primo grado che quest'ultimo avrebbe dovuto essere impugnato da parte della ricorrente non meritano condivisione. Si tratta infatti di provvedimento del quale non risultano dedotti vizi che avrebbero legittimato il ricorso giurisdizionale, senza incorrere nell'abuso del processo e comunque sostanzialmente applicativo di una norma di legge che vieta il trasferimento delle sale Bingo al di fuori dei confini comunali e ricognitivo dello stato di fatto e di diritto del territorio comunale di (omissis), quale accertato anche all'esito della verificazione. Analoga portata ricognitiva è da riconoscere alla perizia tecnica di parte ricorrente redatta dal geom. Vanzella ed alla dichiarazione resa dall'agenzia Albertini Immobiliare (omissis) s.r.l., prodotte in primo grado. 6.4.2. Parimenti immeritevole di positivo apprezzamento è l'affermazione della sentenza secondo cui la ricorrente avrebbe dovuto far dichiarare l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di (omissis) sulla richiesta di informazioni in merito a siti ed edifici comunali idonei ad ospitare la sala Bingo. Premesso che il Comune non aveva alcun obbligo di provvedere, tutt'al più si potrebbe convenire sul fatto che la mancata risposta non costituisce, in sé, elemento a carico dell'amministrazione comunale, essendo oramai superata dall'esito della verificazione. 6.3. I motivi secondo e quinto vanno perciò accolti. 7. L'accoglimento di tali due motivi comporta la fondatezza del quarto, riferito ai vizi di illegittimità derivata. 7.1. Tenuto conto quindi degli atti oggetto di impugnazione e degli effetti già prodotti, va dichiarata l'illegittimità dei provvedimenti del 15 marzo 2019, del 16 settembre 2019 e del 15 ottobre 2019 e vanno annullati, nei limiti dell'interesse, il Regolamento comunale e le delibere di mappatura dei luoghi sensibili oggetto di impugnazione. 8. Resta assorbito il terzo motivo di appello, col quale si è criticata la decisione in merito al quarto motivo del ricorso principale nella parte in cui era denunciato un asserito effetto espropriativo generatore di un diritto di indennizzo. L'appellante, denunciando l'omessa pronuncia su buona parte delle censure ivi formulate, sostiene che la normativa e la conseguente attività amministrativa si sarebbero tradotte in concreto in un intervento irrazionale e sproporzionato che avrebbe frustrato l'affidamento ragionevolmente riposto sulla persistente durata dei propri titoli autorizzatori. 8.1. L'assorbimento consegue all'accoglimento dei motivi restanti, per i quali è stata già ritenuta l'illegittimità dei provvedimenti impugnati. 9. In conclusione, respinto il primo motivo ed assorbito il terzo, vanno accolti i motivi secondo, quarto e quinto, la sentenza appellata va riformata e vanno accolti il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dalla Be. & Be., con gli effetti sopra specificati. 9.1. La peculiarità delle questioni affrontate e la conseguente necessaria attività istruttoria svolta nel presente grado rendono di giustizia la compensazione delle spese processuali, ad eccezione delle spese di verificazione. Queste vanno poste in solido a carico del Comune di (omissis) e della Regione Emilia Romagna, riservandone la liquidazione successivamente al deposito della parcella da parte del verificatore (cui la presente decisione va allo scopo comunicata dalla Segreteria). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinto il primo motivo e assorbito il terzo, accoglie i restanti e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso e i motivi aggiunti della Be. & Be. ed annulla i provvedimenti impugnati secondo quanto specificato in motivazione. Compensa le spese processuali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa e che la Segreteria ne dia comunicazione anche al verificatore. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Elena Quadri - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere
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