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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'acquisto di azioni? TESTIMONE Ma. - Si è deviata su quest'altra. PRESIDENTE - E non ha più avuto nessun nesso con l'operazione immobiliare? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"); - che in concreto il suddetto finanziamento da 25 milioni dì Euro (con ogni evidenza, atteso quanto sopra, correlato all'acquisto di azioni B.: cfr, ad ulteriore riprova anche pag. 13 della deposizione Ma., laddove il teste riferisce di una promessa verbale di riacquisto delle azioni fattagli da An.Pi. e dal D.G. Sa.So. durante un incontro congiunto) venne erogato alla So. Group International Holding non già dalla capogruppo B. bensì dalla sua controllata irlandese Fi. (cfr. pagg. 10-11 esame testimoniale cit.). Fra l'altro è lo stesso imputato MA., nel corso del suo esame (cfr. pag. 61 verbale stenotipico 11.6.2020), a confermare che "L'operazione che è arrivata il 2 di dicembre, che è andata in delibera (...) l'hanno perfezionata mantenendo i depositi ma non facendo l'acquisto dell'immobile". Nel senso del carattere correlato dell'operazione "So.", già ben evidente da quanto fin qui detto, nonché nel senso della consapevolezza di ciò in capo al MA., milita del resto un ulteriore pregnante elemento probatorio. Trattasi della conversazione telefonica captata n. progr. 478 dell'8.9.2015 tra Fr.Io. (nuovo Direttore Generale di B., subentrato al posto di Sa.So., che nell'occasione - così dice Io. nelle prime battute della conversazione intercettata - doveva incontrarsi fra un'ora proprio con un legale del Gruppo So.) e Pa.Ma., pagg. 160-164 della perizia di trascrizione: (omissis) Per inciso un'altra affermazione resa dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 63 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 nonché pag. 48 verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020), secondo cui egli avrebbe appreso solo a marzo 2015 dagli organi di stampa del rilascio di lettere di impegno da parte di B., è smentita dal tenore dei seguenti passi del doc 110 del P.M., corrispondente alla trascrizione del file audio del Comitato di Direzione del 10.11.2014, al quale il MA. era presente: (omissis) Con ogni evidenza, invece, quand'anche il tenore del passo del Comitato di Direzione 10.11,2014 corrispondente alla pag. 40 della sua trascrizione (doc, 110 del P.M.) fosse - il che non è - di ambigua interpretazione, certo non può dirsi altrettanto del successivo passo di cui alla pag. 78, ove il parlante, che-anche in tal caso è Em.Gi., platealmente ed esplicitamente collega la necessità di emettere quella che egli chiama "side letter" al timore dell'acquirente di ritrovarsi titolare di azioni B. fortemente deprezzate rispetto al valore nominale da tempo fissato in Euro 62,50, come ormai andavano pubblicamente ventilando alcuni organi di stampa. Ciò posto, non è fondato neppure l'assunto difensivo - cfr, pagg. 174-178 atto di appello - secondo cui difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile, a detta dell'appellante, valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA.. Al contrario, proprio muovendo da quanto dichiarato anche in sede di esame dibattimentale dallo stesso MA. - cfr. pagg, 35-36 del verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020 - circa le sue competenze in tema di deliberazione individuale (fino all'ammontare di Euro 6 milioni) nonché in tema di presentazione delle pratiche di finanziamento ai vari organi collegiali (per le pratiche di valore superiore), risulta puntuale e ineccepibile la ricostruzione, operata dal tribunale di Vicenza alla pag. 700 dell'appellata sentenza, righi 24-38, del volume di finanziamenti correlati - obiettivamente ingente: si tratta di complessivi 800 milioni circa di euro - alla cui realizzazione il MA. ha direttamente prestato, rivestendo di volta in volta l'uno o l'altro dei suddetti ruoli, il suo personale apporto concorsuale. Ne consegue l'infondatezza, altresì, dello strettamente correlato ulteriore assunto difensivo (svolto alle pagg. 177-178 dell'atto di appello) secondo cui il giudicante si troverebbe per ciò stesso nell'impossibilità di "valutare se, sottratto al valore di mercato il capitale asseritamele finanziato per la parte direttamente riferibile a Ma./ il valore (delle azioni B.) sarebbe stato diverso od uguale, con riferimento ai ratios obbligatori" e dunque se la condotta dell'imputato - come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggiotaggio: l'appellante cita in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 dep. 29/01/2013, Dall'Aglio e altro, nonché Cass. Pen. Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, imp. F. - possa davvero definirsi "concretamente idonea ad influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo della convenienza nell'impiego del denaro con l'investimento del titolo" (cfr. pag. 177 atto di appello, cit.). Le ingenti proporzioni, poco sopra illustrate, del fenomeno delle operazioni di finanziamento correlate alle quali il MA. ha, in una forma o nell'altra, prestato direttamente il suo apporto concorsuale - si tratta in buona sostanza dei due terzi circa del totale - consentono infatti di dare risposta senz'altro affermativa a tale quesito sollevato dalla difesa. D'altra parte è dimostrato in atti - cfr. in particolare, v. meglio infra, le pagg. 67-68, 76-77 e 78 del più volte citato doc. 110 del P.M. (trascrizione del file audio relativo al Comitato di Direzione 10.11.2014) in contrapposizione al doc, 646 del P.M., ossia alla rassicurante lettera ai soci datata 4.12.2014 a firma del Presidente ZO. (sulla quale parimenti v. infra) - come tutti i vertici dirigenziali dell'istituto di credito fossero consapevoli della pesante sopravvalutazione dell'azione B., che andava rivelandosi sempre più illiquida e sempre meno appetibile e che pure, per continuare a sostenere l'apparenza di forza e solidità ostentata dalla banca, andava offerta - e di fatto veniva offerta - dalla rete alla clientela con insistenza "martellante" (per usare un'icastica espressione impiegata dall'imputato GI. durante il Comitato di Direzione del 10.11.2014, cit., cfr. pag, 34 del doc. 110 del P.M.), mentre dall'altro lato andavano significativamente ingrossandosi le fila - peraltro destinate a una sempre più lunga attesa, della quale molti azionisti si dolevano con reclami formali - di coloro che richiedevano alla banca di poter vendere le azioni in loro possesso (a tutto il 10.11.2014 risultavano pendere a tal proposito 313 reclami formali di soci: cfr. pagg. 23-25 del doc, 110 del P.M.); costoro erano resi oggetto di rassicurazioni prive di qualsivoglia corrispondenza con la situazione reale del titolo B.. Ed invero nel ristretto consesso verticistico-dirigenziale del Comitato di Direzione 10.11.2014, alla presenza del direttore generale Sa.So. e di tutti gli altri vicedirettori generali incluso il MA., il direttore della Divisione Mercati Em.Gi. esprimeva - come già visto sopra nel trattarne la posizione - in termini quanto mai chiari la sua inquietudine: a) per i preoccupanti scenari che andavano profilandosi - quanto al drastico calo del valore effettivo del titolo azionario, il cui valore nominale era ancora, all'epoca, fissato a 62,50 euro - qualora non si fosse riusciti a trovare una soluzione al circolo vizioso instauratosi, in virtù del quale, nonostante un protratto massiccio ricorso al finanziamento correlato tale da impattare significativamente sul patrimonio di vigilanza, non solo continuavano ad esservi azioni B. per decine e decine di milioni di Euro da collocare con la massima urgenza (fatalmente, dunque, finendosi con il dover fare ricorso, ancora una volta, anche ai finanziamenti correlati), vuoi perché giacenti in eccesso nel fondo acquisto azioni proprie vuoi perché detenute da fondi esteri, ma altresì incombeva un numero oramai imponente di domande pendenti di vendita di ulteriori azioni B.; b) per il fatto che di tali preoccupanti scenari, nonostante la consegna del silenzio verso l'esterno pretesa in B. sull'argomento, avesse ormai iniziato a scrivere a più riprese - come già accennato saprà - la stampa nazionale (si vedano, entrambi acquisiti al fascicolo del dibattimento, il già citato articolo de "Il." del 24 ottobre 2014 a firma Cl.Ga. nonché un altro articolo del "Co.", di un paio di settimane successivo, a firma Stefano Righi, intitolato "Banche, se Veneto e Vicenza valgono Ubi" (prodotto quale "fonte aperta" dalla difesa del coimputato Pi. all'udienza del 4,2,2020), ove si puntava l'attenzione sul fatto che B. e Ve., società cooperative per azioni non quotate in Borsa in relazione alle quali il valore del titolo azionario era determinato in via unilaterale mediante perizia affidata a uno specialista nominato dalla stessa banca, paradossalmente fossero "gli unici casi di banche che "valgono" di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio"; tale articolo di stampa si concludeva affermando che "si può anche applicare il rapporto di (...) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Ve. un valore di 15,20 Euro. Secondo i fautori del credito non quotato - principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee - è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava En., quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate - tra cui Vicenza e Veneto - faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. li problema si trascina da tempo le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall'altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata"). Al riguardo sono illuminanti i seguenti passi dell'intervento del GI. - alla presenza, lo si ripete, del MA. e degli altri vicedirettori generali oltre che del direttore generale So., nessuno dei quali ivi esprime il benché minimo abbozzo di reazione anche solo moderatamente stupita - in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (la numerazione delle pagine si riferisce sempre alla trascrizione, prodotta dal P.M. quale suo doc. 110, del relativo file audio): (omissis) Stridente è il contrasto tra la preoccupante situazione effettiva del titolo B. - come sopra esposta e in tal guisa ben nota a tutti i dirigenti di vertice della banca, incluso il MA. - e il tenore della lettera ai soci, a firma del presidente ZO., di lì a poco inviata ai titolari di azioni B. recante la data del 4.12.2014, in atti sub doc, 646 del P.M., ove si legge fra l'altro quanto segue: "(...), Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di banca al servizio del territorio nell'interesse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre né da chiacchiere né da pettegolezzi. Abbiamo bisogno solo di due cose. La prima riguarda il nostro Paese ed è l'attuazione più veloce possibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie (...). La seconda cosa, altrettanto importante, è la fiducia dei Soci in questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti. Abbiamo tutelato in questi anni il valore dell'azione Banca (...), evitando la quotazione in borsa dei nostro titolo anche quando tanti lo consideravano conveniente. Ora, dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra azione è cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e che, i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre azioni si sono allungati. E' vero, come è vero che, con la crisi, tutti i mercati sono rallentati e la domanda è debole, in ogni settore, persino quello Immobiliare (,..). Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incoraggianti ma siamo una banca forte e sana e non ci fermeremo nel nostro percorso di crescita (...)". Alla stregua delle considerazioni da ultimo esposte, dunque, sono destituite di fondamento anche le argomentazioni difensive svolte alle pagg. 177 -178 dell'atto di appello. Ciò posto, vanno disattese anche le censure sollevate dall'appellante in tema di ostacolo alla vigilanza. Giova anzitutto ricordare che il MA., in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 76 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020), ha sostenuto: - non soltanto di avere provveduto in data 4.7.2012 a ordinare di far caricare nel disco/directory allestito e gestito dall'internal audit per Banca d'Italia (come risulta per tabulas anche dal carteggio via e-mail datato 4.7.2012 di cui al doc. 508 del P.M) il mero elenco - dal quale (basta esaminare il relativo documento, in atti, nulla però può evincersi, di per sé, in ordine alla correlazione o meno delle relative posizioni - dei primi 30 soci di B. per numero di azioni possedute con indicazione per ognuno del controvalore delle azioni, così esaudendo la richiesta rivoltagli a voce il giorno prima dagli ispettori Ge.Sa. e Vi.Te. su impulso proveniente dal capo del team ispettivo Gi.Sc. (richiesta conseguente alla scoperta, da parte degli ispettori, delle peculiari "sfasature temporali" che connotavano la singola posizione Ca.-Lu., in relazione alla quale il MA., a suo dire, ebbe a rispondere candidamente che si trattava di un finanziamento correlato); - ma di avere altresì, la sera stessa del 4 luglio 2012, consegnato egli personalmente a mano al team ispettivo la versione cartacea del medesimo elenco dei primi 30 soci poi caricato nel disco di Banca d'Italia in formato digitale, specificando in più a voce, contestualmente e del tutto spontaneamente, expressis verbis, che, fra quelle 30 posizioni, 14 presentavano finanziamenti correlati per l'acquisto di azioni B.; al che gli sarebbe stato risposto, sempre a voce, di mettere a disposizione di Banca d'Italia tutti i relativi incartamenti integrali, cosa che a detta del MA. sarebbe stata fatta - tanto in cartaceo quanto in digitale mediante caricamento nel disco/directory di Banca d'Italia previa scannerizzazione - già in data 5 luglio 2012 (cfr. pag. 76 cit.: "Il 3 luglio incontro, come da mio appunto, il dottor Te. e il dottor Sa. per realizzo coattivo di azioni, poi ce l'ho io anche l'originale, che è stato fotocopiato in interrogatorio, il 3 luglio me lo chiedono e mi dicono anche: "Su richiesta del dottor Sc. ci mandi l'elenco dei primi trenta soci della banca, con controvatore delle azioni, intanto ce lo mandi e poi ci venga a dire quali sono i finanziamenti in essere e quindi i fascicoli di queste posizioni", "Va bene". Il 4 luglio alla sera, come dagli elenchi che avete in interrogatorio, noi consegniamo tutti i realizzi coattivi e annullamenti che sono stati fatti dall'Ufficio Soci a seguito della richiesta del dottor Te., ai sensi del 16 e 20 dello Statuto, è stato fatto la sera del 4 luglio; io poi quel giorno lì ero da clienti, quando Am. è stato chiamato dal Direttore. Nel frattempo, quando ho consegnato l'elenco dei trenta e fatto caricare all'Audit, il 4 luglio sera, nel disco Bankit, sono salito, gliel'ho dato a mano e gli ho detto; "Di queste, quattordici posizioni hanno affidamenti", "Per cosa?", "95% i finanziamenti per comperare azioni, tipo Ca."f "Ci porti tutti i fascicolilo il giorno dopo ho fatto scannerizzare tutti i fascicoli di tutte quelle operazioni ti alla segreteria e sono stati consegnati a mano e poi caricati nel portale. Ho informato il Direttore Generale, anche per iscritto, il 5 luglio sera, che mi avevano chiesto di questi finanziamenti, ma l'altra cosa che mi è rimasta molto impressa è il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi.". Questo lui ha scritto nella e-mail come oggetto, che poi ce lo siamo girati tra tutti i dirigenti, quindi lui aveva già guardato diverse pratiche e chiedeva domanda di acquisto, la data di ammissione a soci e quant'altro, Poi lui ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna del 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gii altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro"). Ciò che MA. nel suo esame definisce "il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi." fa parte della corrispondenza dì cui al doc. 509 del P.M., che comprende: a) la e-mail per l'appunto inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. della Divisione Crediti di B. alle ore 15.47 del 4.7,2012, testualmente intitolata "RICH IONFO ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alla verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata" (l'Am. inoltrava per conoscenza tale e-mail al MA. alle ore 16.18 del 4.7.2012; a ciò seguiva, cfr. doc. 510 del P.M., rinvio da parte del MA. a Gi.Em. e a Tu.Co. della Divisione Mercati, nonché per conoscenza al proprio subalterno Ci.Am., di una e-mail in data 4.7.2012 ad ore 16.41, avente il seguente tenore: "Dei 30 primi soci presentati agli ispettori, le richieste per ora di approfondimenti dopo che il sottoscritto ha illustrato con posizione fido/cliente le controparti sono le tre sotto indicate. Prepariamo la documentazione con l'ausilio del collega Ro.Fi., già contattato da Am., e dal quale chiediamo celerità"), b) una seconda e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (e inoltrata dall'Am. un paio di ore dopo a Fi.Ro. dell'Ufficio Soci oltre che al MA. e al collega Ba.Al.), intitolata "neh info acquisto azioni-integrazione" ed avente il seguente tenore: "Ad integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi; To.Ma., Bu.Sa."; c) una e-mail indi inviata da Ma.Pa. al d.g. So.Sa. e al direttore della Divisione Mercati Gi.Em. alle ore 20.48 del 5.7.2012 ove, nell'inoltrare ai predetti la nuova richiesta formulata all'Am. dal Sa., il MA. così si esprimeva: "Hanno aggiunto richiesta informazioni. Su To. e Bu. che non fanno parte della lista dei 30 azionisti consegnata. Hanno guardato il Gruppo So. S.p.A. che abbiamo consegnato 20 gg. fa essendo nella lista di clienti con un accordato superiore ai 25 mm di Euro e hanno visto le posizioni. Ciao". In sede di esame il MA. ha proseguito affermando che il team ispettivo ebbe a parlare di posizioni di finanziamento correlato non solo con lui ma anche con il suo subalterno Ci.Am., precisando che di tutto quanto sopra, e in particolare della materiale consegna dei relativi incartamenti integrali in copia agli ispettori in aggiunta alla lista dei primi 30 soci (quest'ultima risultante pacificamente caricata sul disco/directory della Banca d'Italia: cfr., sub doc. 566 del P.M., la e-mail inviata al team ispettivo il 5.7.2012 ad ore 9.04 dal responsabile dell'internal audit Ma.Bo., addetto alla gestione di tale supporto), sarebbe stato a piena conoscenza anche il collega Sa.Re., a sua volta diretto subalterno dell'Am.: "Con me ne hanno parlato con quattro o cinque; il resto, di cui io avevo già parlato, le hanno richieste anche ai dottor Am., le stesse cose. Quindi con me o con il dottor Am.. La struttura era assolutamente informata che avevo consegnato, dei Crediti, tutti i fascicoli, perché hanno fatto le fotocopie e tutto quanto e Sa.Re. è andato a comunicarlo, come ho sentito, anche agli altri dirigenti" (cfr. pag. 77 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). Sostanzialmente analoghe, nel loro nucleo essenziale, erano state le dichiarazioni rese sul punto dal MA. nei suoi interrogatori resi il 28.4.2017 e il 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri con l'assistenza del suo difensore fiduciario, con la differenza, però, che ivi l'imputato aveva affermato di avere personalmente discusso a voce con i due ispettori Te. e Sa. solo due delle quattordici posizioni "baciate" in oggetto (a suo dire ammontanti, come valore complessivo, a Euro 234 milioni; cifra, questa, che in effetti a più riprese la difesa in sede di discussione - cfr, in particolare pag, 75 verbale stenotipico 30.9.2022 e pag. 30 della coeva memoria conclusiva - ha dato nel presente giudizio per dimostrata ed evidente già nell'ispezione del 2012 - il che non è, come si vedrà infra - quanto al controvalore delle operazioni correlate che sarebbero state documentate al team ispettivo dalla Divisione Crediti), segnatamente la Ca.-Lu. e la Da., lasciando ai suoi subalterni - Ci.Am., An.Re., Pa.Se., ma di questi ultimi due il MA. si dichiarava non più sicuro nell'interrogatorio del 2 maggio, ribadendo tale incertezza anche nel suo esame dibattimentale dd. 11.6.2020, cfr. pag. 78 del relativo verbale stenotipico - il compito di discutere con gli ispettori le rimanenti posizioni "baciate". Al riguardo, tra la pag. 4 dell'interrogatorio 28 aprile 2017 e le pagg. 5-6 di quello del 2 maggio 2017, possono - come detto - notarsi apprezzabili discrasie; a sua volta, come si è visto, la versione dei fatti resa dal MA. nell'esame dibattimentale è ancora diversa su tale specifico punto. In ogni caso tanto il Se. (cfr, il suo esame dibattimentale alle pagg. 62-72 del verbale stenotipico d'udienza 30,1,2020) quanto il Re. (cfr. il verbale delle s.i.t. dallo stesso rese in data 15.9,2016, acquisito al fascicolo del dibattimento su consenso delle parti all'udienza del 29.9,2020) hanno recisamente negato che ciò sia avvenuto; a sua volta il teste Sa.Re. ha reso in sede di esame (cfr. pagg. 39-40 del verbale stenotipico d'udienza 12.12.2019) dichiarazioni di tenore opposto alle affermazioni del MA. che lo riguardano. Dal canto suo il teste Ci.Am. (il cui esame dibattimentale si è articolato nel primo grado del presente giudizio in due udienze: cfr. pagg. 66-122 verbale stenotipico 11.2.2020 e pagg. 12-88 verbale stenotipico 13.2.2020) ha reso in detta sede un'ampia deposizione, sostanzialmente congruente con la tesi difensiva del MA., i cui contenuti sono stati minuziosamente passati in rassegna (e vagliati analiticamente sia quanto alla loro coerenza intrinseca, rivelatasi in più punti estremamente carente, sia quanto ai pretesi riscontri esterni, rivelatisi in realtà inesistenti) dal giudice di prime cure: cfr. pagg. 454-457, 459-462 e 465-469 sentenza gravata. Ebbene, per ciò che attiene all'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012 (tema affrontato dalla gravata sentenza, quanto al MA., alla pag. 692 mediante un rinvio "alla trattazione specifica nel capitolo IX" (in realtà sì tratta del capitolo Vili, par. 2., corrispondente alle pagg. 446-475 della sentenza di primo grado) la difesa, in ultima analisi, si fonda sul contrapporre la deposizione del teste Ci.Am. (appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA.), da essa indicato come "unico tra quelli sentiti che non aveva alcun interesse a nascondere qualcosa o a riferire cose diverse dal reale" (cfr, pag. 101 atto di appello) - il quale ha inteso confermare l'assunto del MA. circa l'avvenuto "disvelamento" al team ispettivo di Banca d'Italia di una quindicina circa di operazioni correlate (con asserita pronta consegna agli ispettori della relativa documentazione integrale) - al complesso delle deposizioni - tra loro convergenti, invece, nel senso che siffatto "disvelamento" non abbia mai avuto luogo - rese dai vari appartenenti al predetto team ispettivo; queste ultime deposizioni sarebbero tutte viziate, secondo la difesa, da un'inattendibilità dovuta al "peccato originale che Banca d'Italia vuole emendare in questo processo: ha creduto e ha incentivato la crescita della Banca (...) e ora, a banca collassata, non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o, peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello), definendo di conseguenza l'argomentazione del primo giudice at riguardo come "prima che ingenua, illogica: si può veramente pensare che fianca d'Italia possa pubblicamente, per voce dei suoi ispettori, ammettere di aver quantomeno tollerato che in Banca (...) ci fossero finanziamenti destinati all'acquisto di azioni?" (cfr. pag. 119 atto di appello). Ad avviso di questa Corte il primo giudice ha viceversa fatto buon governo di tale complesso materiale istruttorio (né ha apportato novità apprezzabili l'acquisizione, nel presente grado di giudizio, dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi Am. e Sa. - nel distinto procedimento n. 1031/20 R,G. - 5628/15 R.G.N.R. in corso a carico di So.Sa. - in occasione delle udienze, rispettivamente, 8.3.2022 e 18.3.2022; sul punto v. più ampiamente infra). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 1. Il tribunale ha opportunamente evidenziato "cfr. pag. 699 sentenza gravata - il silenzio serbato sul preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" dal MA. con l'interlocutore Di.Gr. in una conversazione telefonica captata, la n. progr. 2342 del 29.10.2015 (pag. 182 perizia trascrizione), ove l'imputato da un lato commenta, con una risatina, "La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito?" ma dall'altro lato, in concreto, si limita a riferire al Gr. - che era stato il D.G. di B. prima dell'avvento di Sa.So. - di avere "consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia", non facendo viceversa parola della qui pretesa e rivendicata rivelazione agli ispettori, da parte della Divisione Crediti, del carattere correlato della metà circa di quelle posizioni: "(...) Pa.: Ma, e fermo, e poi quelle pratiche lì, adesso l'ho trovato, perché ho trovato nei miei file... nei miei file: nel 2012, durante l'ispezione... - V.M.: Sì... - Pa.: ...ho consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia, e ci sono tutti sti nomi qua che mi stanno... Che la Banca d'Italia non ha riportato niente nel verbale che ci ha consegnato nel 2013... - V.M.: Eh, - Pa. (Risatina): Cioè, voglio dire, quindi, signori, son valutazioni di merito creditizio, non mi dice niente neanche la Banca d'Italia, cos'è che volete? - V.M.: Eh già, - Pa.: La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito? (Risatina) Ecco. - V.M.: Sì... No, no. - Pa.: Vedremo, vedremo, dai. ("?.), Pa.; L'ottimo sarebbe lunedì ... a. - V.M.: Lunedì, lunedì. - Pa.: Beh, domani io vedo l'avvocato, potrei venire anche lunedì, così mi dai dei consigli anche te, dai. - V.M.; Esatto. - Pa.: Lunedì, va bene, dai. - V.M.: Lunedì... - Pa.; Sì. - V.M.: Lunedì sì, pari pari. - Pa.: Va bene. Va bene. (...)". Si noti in effetti che: a) il MA. in tale conversazione parla con Gr. esclusivamente dell'unico documento che nel presente giudizio è effettivamente certo sia stato trasmesso nel 2012 agli ispettori di Banca d'Italia, ossia dell'anodina "lista dei primi trenta soci" (in realtà, cfr. il relativo documento in atti sub doc. 508 del P.M., non erano i primi trenta "soci finanziati", come egli afferma, bensì i primi trenta soci per numero di azioni detenute; fra essi vi erano anche nominativi di grossi azionisti, come Am., con certezza mai resisi destinatari di finanziamenti correlati: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico esame GI. reso il 15.6.2022 in grado di appello), senza viceversa menzionare né consegne di altra documentazione né esternazioni verbali fatte agli ispettori circa quali e quante, di quelle trenta posizioni, godessero di finanziamenti correlati; b) per giunta - e ciò è significativo - MA. precisa a Gr. di essersene ricordato solo consultando i suoi fife (il che risulterebbe quanto meno peculiare - date la rilevanza e la portata potenzialmente dirompente della circostanza, come tale suscettibile di essere nitidamente ricordata anche senza siffatto ausilio - se alla consegna dell'anodina lista dei primi trenta soci si fosse realmente affiancato il preteso "disvelamento" agli ispettori circa il carattere correlato dei finanziamenti sottesi alla metà circa di dette posizioni); c) non regge neppure la giustificazione, offerta dal MA. nel corso del suo esame e ripresa dal suo difensore in sede di discussione (cfr, pag. 75 verbale stenotipico 30.9.2022), secondo cui egli non sì sarebbe dilungato al riguardo col Gr. in quanto la conversazione verteva sui consigli da chiedergli per organizzare la propria difesa nella causa intrapresa dinanzi al giudice del lavoro: tale ultimo argomento ha in realtà solo sfiorato la conversazione in quanto subito rinviato a un loro successivo incontro in Toscana, che i due fissavano proprio in occasione di detta telefonata. Il MA. nel suo esame (cfr. pag. 23 verbale stenotipico 16.6.2020) sostiene poi di avere riferito al Gr. del "disvelamento" in altri contesti ma trattasi di circostanza completamente sfornita di prova. 2. Il tribunale - cfr. pag. 466 e ss. sentenza gravata - ha opportunamente evidenziato come i colleghi della Divisione Crediti Sa.Re., An.Re., Pa. Se., Ma.De., menzionati (cfr. pagg. 108-109 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020) dal teste Am. quali persone che egli aveva reso a vario titolo partecipi del riferito "disvelamento" agli ispettori, abbiano viceversa tutti negato di essere stati relazionati in tali termini dall'Am. (mentre quest'ultimo, anche nella successiva, deposizione da lui resa l'8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente"' nei confronti di So.Sa., ha insistito sul suo assunto, finanche sostenendo che il MA. "chiese ai colleghi" della segreteria crediti, che era un'unità che dipendeva dal collega Sa.Re. dell'analisi, di stampare fe pratiche e i fidi di garanzie di tutti quanti questi primi 30 soci. So che i colleghi portarono il carrello su nell'ufficio degli ispettori.": cfr. pag. 49 del relativo verbale stenotipico). Sul punto il gravame non si confronta adeguatamente con la motivazione del collegio berico, limitandosi di fatto ad estrapolare, citandoli alle pagg. 105-107 dell'atto di appello, stralci assai parziali della deposizione del solo teste De. (la quale nella sua interezza occupa le pagg. 56-75 del verbale stenotipico d'udienza 19.12.2019) e obliterando gli ulteriori passi della medesima deposizione, illuminanti per chiarezza, citati - per esteso - alle pagg. 467-469 della gravata sentenza, oltre a trascurare totalmente quanto dichiarato al riguardo dai testi Re, Se. e Re.. Tra l'altro osserva questa Corte come lo stesso teste Am., nelle battute conclusive del suo esame dibattimentale nel primo grado del presente giudizio (cfr. pagg. 79-80 del verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), modifichi - rispondendo alle domande del presidente del collegio - le sue precedenti affermazioni in ordine alle asserite rivelazioni da lui fatte al collega Sa.Re., ridimensionandole in misura sostanziale. 3. Il tribunale ha opportunamente evidenziato come, tra le plurime contraddizioni nelle quali è incorso il teste Am., vi sia quella riguardante l'assenza di ogni cenno al preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" nell'intervista da lui data all'internal audit nell'agosto 2015 e il fatto che dapprima - cfr. pag. 114 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020 - egli abbia cercato di motivarla con l'asserito carattere "veloce" del relativo colloquio intercorso con il responsabile dell'audit Ma.Bo., tale da non avergli consentito di riferirgli tutto quanto a sua conoscenza, salvo poi - cfr. pag. 85 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020 - mutare radicalmente impostazione, contraddicendosi in toto, e sostenere che in realtà egli aveva puntualmente riferito al Bo. in ordine al "disvelamento" ma che questi nulla scrisse. Infine, nella deposizione da ultimo resa in data 8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. (cfr. in particolare le pagg. 56-59 del relativo verbale stenotipico), l'Am., forse consapevole dell'insanabile contraddizione nella quale era caduto due anni prima deponendo quale teste nel presente giudizio, ha tentato - così facendo, però, risultando viepiù palesemente contraddittorio - di sostenere al tempo stesso, con l'obiettivo di contemperarle, la tesi dell'estrema "velocità" del suo colloquio con Bo. (dovuta all'avere questi avuto ben 70 interviste da condurre in un ristretto lasso di tempo), con conseguente mancanza del "tempo materiale" per poter riferire tutto al responsabile dell'internai audit, e la tesi, con essa configgente, dell'omissione posta in essere da parte dello stesso Bo. il quale non avrebbe riportato per iscritto tutto quanto pur riferitogli a voce dall'intervistato (al che il P.M. esaminante si è ritrovato a tentare, per vero senza apprezzabile successo, di ricondurre ad unità tale intrinsecamente contraddittoria deposizione, v. pag. 57 ibidem: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però, Am., io voglio sapere: lei in quel contesto non ha riferito di questi tre episodi perché non ha avuto il tempo o perché invece li ha riferiti ma Bo. non li ha scritti? Sono due cose differenti. Io vorrei capire qual è delle due"). 4. Nella nuova deposizione resa l'8.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. il teste Am. si dimostra, in effetti, non meno contraddittorio e non meno "debolmente attendibile" di quanto già egli non si fosse rivelato nell'esame reso nel primo grado del presente giudizio, entrando peraltro anche in parziale, ma significativa, contraddizione con affermazioni rese dallo stesso imputato MA.. A puro titolo esemplificativo si noti come l'Am. ivi fra l'altro sostenga (cfr. pag. 41 deposizione 8.3.2022): a) che "(...) Intanto Ma. viene contattato dagli ispettori per avere l'elenco dei primi 30 soci"? Ma. si fa dare l'elenco dei primi 30 soci. Questo il giorno dopo che avevamo visto Ca.-Lu., quindi il giorno del colloquio con So.. Fa stampare dalle colleghe della segreteria le pratiche di fido piuttosto che i fidi di garanzie di queste posizioni, che i colleghi portano su con il carrello sempre, e va a parlarne con gli ispettori", laddove in realtà si è visto come finanche il MA. sostenga di avere personalmente discusso funditus con gli ispettori solo una minimale frazione di tali posizioni delegando il resto allo stesso Am. e/o, in parte, a taluni subalterni del predetto (a maggior ragione dunque risulta inattendibile l'Am. allorquando - cfr. in particolare pag, 49 della sua deposizione 8.3.2022 cit., - giunge ora ad affermare - per la prima volta, come evidenziato dalla stessa difesa MA. nei suoi motivi nuovi d'appello - qualcosa che nemmeno il MA. sì è in realtà mai lontanamente spinto a sostenere nelle dichiarazioni da lui rese nel corso del presente giudizio, ossia che il prederò imputato avrebbe personalmente "visto i movimenti dei conto corrente con il dottor Sa., dal dottor Sa." relativamente alle posizioni El., Br.Fu. e Te.Sa., riferendo poi un tanto all'Am.); b): che "(...) sempre quel giorno dopo, che era il 5 luglio, mi arriva un'ulteriore e-mail da parte dei dottor Sa., il quale mi dice: "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua data acquisto e provvista, anche sulle posizioni Bu.Sa. e To.Ma.". Qui il teste Am., attribuendo al Sa. l'espressione "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua", pare voler alludere a una già avvenuta consegna, con conseguente consultazione completa da parte del team ispettivo o comunque da parte di Ge.Sa., quanto meno degli incartamenti riguardanti le posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu. (oggetto, come si è visto suprat di una specifica e-mail inviata all'Am. dallo stesso Sa. alle ore 15.47 del 4.7.2012). Tuttavia il teste Am., in questa sua nuova deposizione, non riporta affatto in modo fedele il contenuto della da lui citata nuova e-mail inviatagli dal Sa. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (doc. 509 del P.M.), che è invece il seguente, del tutto anodino ed anzi tale da indurre già di per sé a ritenere che la richiesta precedente fosse - quanto meno per il momento - ancora rimasta inevasa: "Buonasera. A integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi: To.Ma., Bu.Sa.". Anzi osserva al riguardo la Corte come in atti vi sia l'evidenza documentale del contrario di quanto afferma sul punto il teste Am., posto che a tale data non si disponeva in realtà nemmeno delle copie degli ordini di acquisto delle azioni detenute da ognuno dei nominativi anzidetti, trattandosi di operazioni più risalenti nel tempo rispetto alla Ca.-Lu. e, quindi, da recuperare in archivio. Eloquenti sono in tal senso i docc. 511 e 512 del P.M., corrispondenti ad altrettante e-mail inviate all'Am. (e in copia al MA.) da Fi.Ro., responsabile della Gestione Soci: - doc. 511: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 6 luglio 2012 alle ore 12.02: "Cl., Vi fornisco solo ora le copie degli ordini di acquisto richieste in quanto la documentazione relativa alle operazioni del 2010 è presso il nostro magazzino di Aite di Montecchio Maggiore e i tempi di recupero non sono immediati In allegato quindi copia degli ordini di acquisto di: - El. S.r.l. per 320.000 azioni (...); - Br.Fu. per 160.000 azioni (...); - Te.Sa. per 176.500 azioni (...)") "doc. 512: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 9 luglio 2012 alle ore 17.03: "Cl., Vi fornisco le copie degli ordini di acquisto richieste che trattandosi di operazioni del 2010 sono presso il nostro magazzino di Alte di Montecchio Maggiore: Bu.Sa. per n. 81,000 azioni (...); To.Ma. per n. 81.000 azioni (...)". 5. Le considerazioni ora svolte rendono dunque viepiù inattendibile l'intera deposizione del teste Am. sul c,d. "disvelamento delle 14 posizioni correlate", incluso - lo si ribadisce - l'assunto (cfr. pagg. 41 e 49 verbale stenotipico 8.3.2022 cit.) secondo cui, in relazione alle posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu., non soltanto sarebbero stati consegnati agli ispettori i relativi fascicoli integrali in formato cartaceo ma altresì lo stesso MA. gli avrebbe riferito di averne ampiamente discusso a voce con l'ispettore Sa., per giunta esaminandone i movimenti di c/c assieme a quest'ultimo (il quale, per parte sua, ha sempre recisamente negato in sede dibattimentale la veridicità di tutte queste circostanze). Non appare inutile ricordare nuovamente, al riguardo, come finanche lo stesso MA., con ciò di fatto sconfessando sul punto tali ultime "inedite" affermazioni dell'Am., sostenga si - da un lato-lato - di avere, con l'ispettore Sa., personalmente parlato della posizione Ca.-Lu., nonché dì avergli personalmente svelato in termini generici a voce, riservandosi di documentarglielo, che complessivamente 14 posizioni nella lista dei primi 30 soci (da luì consegnata, a suo dire, anche a mano in formato cartaceo) corrispondevano a finanziamenti correlati, ma abbia escluso - dall'altro lato - di avere mai avuto, al dì là di questo, altre interlocuzioni dirette e personali sullo specifico argomento con il Sa. (cfr. pag. 76 esame MA. 11.6.2020: "Poi lui (Sa.) ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna dei 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gli altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro)". 6. Manca, in ogni caso, una qualunque attestazione dell'invocata consegna agli ispettori dei fascicoli cartacei concernenti le posizioni oggetto del preteso "disvelamento", laddove esistevano viceversa in B. precise istruzioni - già seguite durante le precedenti ispezioni e nuovamente impartite nel corso dell'ispezione del 2012 - circa la necessità, in caso di consegna di documenti in formato cartaceo, di predisporre un apposito elenco in formato Word ove andavano annotati "o documenti consegnati, la data di consegna e l'ispettore al quale gli stessi sono stati consegnati"; si veda al riguardo, sub doc. 500 del P.M., la dettagliata e-mail inviata in tal senso alle ore 10.11 del 31.5.2012 da Ma.Bo., responsabile dell'internal audit (che aveva in carico la gestione del disco-directory riservato a Banca d'Italia), a tutti i vertici dirigenziali di B. nonché ad alcuni fra i loro diretti subalterni fra cui lo stesso Ci.Am.. 7. per la verità, ferma restando l'assenza di riscontri circa l'assunto dell'imputato MA. e del teste Am. (inattendibili entrambi sul punto per tutto quanto sin qui detto e finanche, da ultimo, in parziale contraddizione reciproca) riguardo a una parallela consegna in formato cartaceo dei relativi incartamenti agli ispettori, lo stesso teste Am. nella seconda parte della sua deposizione resa nel primo grado del presente giudizio, durante il controesame condotto dal difensore della Banca d'Italia avv. Ce. (cfr., pagg. 57-59 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), ha finito con il riconoscere che, di fatto, egli non sa se in concreto il caricamento in formato digitale, all'interno del disc of directory della Banca d'Italia previa loro scannerizzazione, dei fascicoli afferenti alle quattordici posizioni "baciate" de quibus (caricamento invocato dall'imputato MA. come avvenuto) abbia realmente avuto mai luogo105. Né certo può bastare l'assenza in atti di solleciti alla consegna degli incartamenti da parte di Banca d'Italia a far ritenere provata la consegna stessa, come invece pare adombrare la difesa a pag. 116 dell'atto di appello. 8. Il tribunale ha poi evidenziato che la testimonianza dell'ispettore Ge.Sa., diversamente da quella del funzionario Cl.Am., risulta complessivamente riscontrata - benché anch'essa parzialmente contraddittoria - da quelle, più lineari e prive di aporie, rese da tutti i suoi colleghi del team ispettivo. La difesa al riguardo obietta che i predetti sarebbero parimenti inattendibili perché comunque tutti appartenenti a Banca d'Italia e dunque portatori dì un ben preciso interesse a non vedere accertata una loro eventuale responsabilità per negligenza o, peggio, connivenza nell'esercizio dell'attività ispettiva. In contrario già basti osservare che tra i suddetti testi ve ne sono due i quali all'epoca dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 erano semplici tirocinanti, ossia recenti vincitori di concorso affidati ai colleghi più anziani in qualità di tutor/supervisori: trattasi di Fe.Fr. (del quale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 493 comma 3 c.p.p., il verbale delle s.i.t. rese il 15-11,2018) e Br.Lu. (che nel suo esame dibattimentale - cfr. pagg. 41-54 del verbale stenotipico d'udienza 23.1.2020 - ha fra l'altro dettagliatamente illustrato come fosse strutturato il tirocinio suo e del collega Ferraro). Ebbene, nessuno dei due testi in questione ha riferito - benché siano state loro rivolte puntuali domande sull'argomento - di avere affiancato l'ispettore Sa. nell'assistere a una qualsivoglia conversazione tra il predetto e un esponente della banca in cui il tema fosse quello degli acquisti di azioni da parte di soggetti con provvista attinta da finanziamenti. Per converso il teste Am. - ribadendolo poi nel separato giudizio n. 1031/20 R.G. - 5628/15 R.G.N.R. ancora pendente nei confronti di So.Sa.: cfr. pag. 43 del relativo verbale stenotipico 8,3.2022 - proprio questo ha affermato nel suo esame dibattimentale. 9. Per parte sua il teste ispettore Ge.Sa., giudicato dal tribunale berico come parimenti "debolmente attendibile", in effetti può meritare tale valutazione - e peraltro, come già detto, a differenza del teste Am. il tenore delle affermazioni da lui rese in dibattimento risulta riscontrato da plurimi elementi, ben evidenziati dal giudice di prime cure - per il fatto di non aver saputo dare adeguato conto di talune apprezzabili discrasie riscontrate tra le sue dichiarazioni dibattimentali e quelle rese a s.i.t. durante le indagini preliminari nel 2016 e nel 2017. Vero è infatti che, tanto nell'esame da lui reso nel primo grado del presente giudizio il 21.1.2020 - cfr. ad es. sue pagg. 61 e 65 - quanto nella nuova deposizione da lui resa il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. - cfr. ad es. sue pagg. 80-81 e 89 -, l'ispettore Sa. si è di volta in volta giustificato, a fronte delle contestazioni mossegli, replicando di non essere stato lucido al cospetto degli inquirenti e/o di essere giunto impreparato dinanzi ad essi per non avere egli riletto neppure la relazione ispettiva e/o di non avere correttamente inteso quanto richiestogli e/o di essersi spiegato male. Nondimeno va qui evidenziata la piena congruenza tra il tenore dell'esame dibattimentale reso dal teste Sa. il 21.1.2020 e quello dell'esame dibattimentale da lui reso il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente a carico di So.Sa., che nulla ha di fatto aggiunto o modificato, sotto tale profilo, rispetto alla sua deposizione originaria: in entrambe le sedi dibattimentali il teste Sa., esponendo una versione dei fatti sempre intrinsecamente coerente benché, come detto, solo parzialmente tale se rapportata ad alcuni passi delle s.i.t. rese nel 2016-2017, ha affermato in estrema sintesi: a) che il circoscritto oggetto dell'ispezione 2012 non verteva in alcun modo sul patrimonio bensì esclusivamente sul rischio di credito dell'intero gruppo B., con l'incarico di vagliare le posizioni in sofferenza, quelle ad incaglio e infine quelle classificate dalla banca come in bonis ma eventualmente suscettibili di essere spostate - previa verifica ispettiva - in una delle altre due categorie; il tutto anche alla luce della peculiarità di B. rappresentata dallo squilibrio del rapporto fra impieghi, ossia finanziamenti erogati, e raccolta (squilibrio che avrebbe reso indispensabile attuare da un lato il deleveraging, ossia la riduzione del rapporto impieghi/raccolta, e dall'altro lato il repricing, ossia la riduzione degli impieghi accordati ai grossi clienti Corporate e Large Corporate e l'incremento degli impieghi accordati ai maggiormente redditizi clienti rientranti nelle categorie Small Corporate e Mid-Corporate), sottolineando egli in più occasioni come né il team ispettivo né tantomeno un singolo ispettore avessero comunque il potere di estendere unilateralmente il perimetro dell'ispezione siccome delineato nella lettera d'incarico a firma del Governatore di Banca d'Italia; b) che tali circoscritte finalità ispettive giustificavano di per sé sole non soltanto il tenore della richiesta, evasa da B., della lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute (trattandosi, e la spiegazione è in sé plausibile, di cercare di verificare l'eventuale esistenza di soci che di fatto godessero, proprio in quanto detentori di cospicui pacchetti azionari, di trattamenti di favore, con conseguente possibile emersione dì un allentamento degli standard creditizi nei confronti di soggetti viceversa non meritevoli) ma altresì il tenore delle sopra citate e-mail inviate dallo stesso Sa. nelle date del / 4 e 5 luglio 2012, Il teste ha più volte ripetuto che le richieste da lui ivi 1/ formulate, lungi dall'avere a che fare con verifiche patrimoniali in realtà escluse dal perimetro dell'ispezione, non modificabile unilateralmente a sua discrezione, erano finalizzate esclusivamente all'esigenza di disporre di un set informativo più ampio circa la meritevolezza del credito, interessando all'uopo verificare da quanto tempo i detentori di cospicui pacchetti azionari rivestissero la qualità di socio e di quale provvista essi avessero potuto concretamente disporre per riuscire ad acquisire un numero sì rilevante di azioni; ancora una volta, però, tutto questo, a detta del Sa., serviva esclusivamente per vagliarne la personale solidità in termini di merito creditizio nonché per escludere l'eventualità di trattamenti di favore a loro vantaggio, non già ad altri fini; tale spiegazione, come detto, è in sé plausibile; c) che comunque le poche e-mail di cui ai docc. 508-510 del P.M. facevano parte di un numero infinitamente maggiore di analoghe comunicazioni da lui complessivamente inviate a mezzo posta elettronica nel corso di un'ispezione sul rischio di credito che lo portò ad esaminare in tutto ben 400 posizioni circa, il che fra l'altro non lo pone, a suo dire, in alcun modo in grado di riferire in quali specifici casi egli si fosse concretamente avvalso della possibilità (che pure era stata genericamente messa a disposizione del team ispettivo, come riconosciuto dal teste, cfr. pag. 59 esame dibattimentale Sa. del 21.1.2020) di interrogare online gli estratti conto; d) che anzi egli non serba memoria del perché avesse chiesto approfondimenti, nelle citate e-mail del 4-5 luglio 2012, proprio con riguardo alle posizioni individuali ivi nominativamente indicate (il teste Sa. si è diffuso in maniera particolarmente ampia su tale tema alle pagg. 82-93 della deposizione da lui resa il 18.3,2022 nel separato giudizio a carico di Sa.So.; nello stesso senso cfr. peraltro già le pagg. 110-111 e 116 della deposizione 21.1.2020 resa nel presente giudizio); il tutto fermo restando che - a suo dire - talvolta venivano presi anche dei nominativi a caso e che comunque egli non crede di avere, di fatto, esaminato alcuna documentazione attinente a quelle particolari posizioni specifiche. Ed invero il teste Sa. - cfr. in particolare le pagg. 91-93 della deposizione 18.3.2022 cit. nel separato giudizio a carico di Sa.So., acquisita nel presente grado di appello - ha sostenuto non essere in realtà affatto insolito che una iniziale richiesta di approfondimento documentale formulata dal team ispettivo possa rimanere non evasa, in tutto o in parte, dalla banca ispezionata senza che ciò abbia riflessi apprezzabili sulla capacità dell'ispezione di giungere/esaustivamente a compimento, qualora si tratti di elementi utili ma non indispensabili all'uopo; e) che egli non ricorda di avere avuto né con il MA. né con il suo subalterno Am. conversazioni vertenti sull'esistenza di una prassi di finanziamenti correlati (e in ogni caso - sempre a detta del teste Sa.: cfr. ad es. pag. 100 della deposizione 18.3.2022 cit. - egli di certo non avrebbe mai intrattenuto da solo siffatte conversazioni poiché ciò esulava dal suo collaudato modus operandi in sede ispettiva; si ricordi al riguardo che nessuno dei componenti il team ispettivo, inclusi i due tirocinanti, ha affermato di avere assistito a conversazioni siffatte); f) che egli in effetti non ebbe alcuna contezza dell'esistenza di una siffatta prassi di finanziamenti correlati fino a quando non fu sentito per la seconda volta - il 17 marzo 2017 - dagli inquirenti, i quali (il teste Sa. lo ribadisce più e più volte in entrambe le deposizioni da lui rese, quella del 21.1.2020 nel presente giudizio e quella del 18.3.2022 nel separato giudizio a carico di So.Sa.) lo spiazzarono - in un'occasione, cfr. pag. 54 della deposizione 21.1.2020, egli usa l'icastica espressione "cascato dal pero" - sottoponendogli in visione documenti da lui indicati come sicuramente mai visti in precedenza; trattasi di documenti relativamente ai quali il P.M. in udienza nel presente giudizio, cfr. pag. 55 deposizione 21.1.2020 cit., ha precisato a sua volta trattarsi della "documentazione consultata dai Consulenti del Pubblico Ministero inerente alle posizioni Ca., Te., Sa., El., mi pare anche Bu. e To.". Oltre alle pagg. 54-55 della deposizione Sa. del 21.1.2020, appena citate, cfr. altresì nello stesso senso le pagg. 87-88 e 98 ibidem. Sempre nello stesso senso si vedano le pagg. 94-95 della deposizione Sa. del 18.3.2022 (in questo caso il P.M. in udienza - cfr pag. 94 ibidem - ha precisato a sua volta che "quello che fu esibito al Teste nel 2017 non è quello che viene richiesto in quella famosa ormai e-mail del 2012"). 10. Rimane, in ultima analisi, insuperato il dato documentale, preciso e puntuale nella sua nuda essenzialità, evidenziato dalla parte civile Banca d'Italia al paragrafo 4., pag. 16, delle sue note di replica depositate in primo grado, il cui tenore sul punto - una volta esaminata in concreto la lista de qua, in atti quale allegato al carteggio via e-mail sub doc. 508 del P.M. - non può che essere condiviso da questa Corte: "(...) la Usta dei 30 principali soci (...) resta l'unico documento agli atti del processo e dalla stessa, come è evidente, non è ricavabile alcuno degli elementi fattuali idonei ad evidenziare il fenomeno nel suo complesso, ma neppure la correlazione dei finanziamenti con l'acquisto delle azioni per quelle specifiche posizioni (...) di tutta la documentazione che Am. asserisce essere stata consegnata all'ispettore Sa. in proposito non vi è alcun riscontro, addirittura non se ne trova neppure traccia nell'elenco della directory che riporta/documenti forniti in ordine cronologico a tutti gli ispettori nel corso degli accertamenti del 2012 (...)". Non esiste infatti, con riguardo ai documenti oggetto del preteso "disvelamento", alcuna comunicazione di tenore analogo al doc. 566 del P.M., corrispondente alla e-mail inviata al team ispettivo di Banca d'Italia il 5-7.2012 ad ore 9,04 dal responsabile dell'internai audit Ma.Bo. (addetto alla gestione del disco-directory dedicato al suddetto team) con la quale si segnalava appunto che - nella directory dedicata sotto Direzione Crediti Ordinari" era stata inserita la lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute. La tesi difensiva non trova riscontri neppure nelle plurime intercettazioni telefoniche di conversazioni intrattenute nel corso del mese di marzo 2017 (come detto fu in tale mese, precisamente il giorno 17, che il teste fu, per la seconda volta in un anno, sentito a s.i.t. dai Pubblici Ministeri vicentini) dall'ispettore Ge.Sa. con vari interlocutori, riportate alle pagg. 701 - 737 della perizia di trascrizione. Trattasi in particolare delle seguenti conversazioni: - n. progr. 19 del 14.3.2017 ad ore 12.19.39 tra Ge.Sa. e "Ca." (presumibilmente trattasi di Ca.Ba., all'epoca capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d'Italia) (pagg. 724-729 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo, che ha ricevuto la seconda convocazione in Procura, lo annuncia al suo interlocutore che poi gli chiede notizie di altra ispezione al momento in corso; - n. progr. 115 del 19.3.2017 ad ore 20.22.20 sub RIT 54/17 tra Ge.Sa. e Gi.Sc., capo team dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 (pagg. 701-707 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza dello Sc.; la medesima conversazione - della quale il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo: cfr. pagg. 90-92 verbale stenotipico d'udienza 21.1.2020 - appare anche, sub RIT 55/17, con il n. progr. 276 del 19,3,2017 (pagg. 710-716 perizia trascrizione), come intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo annuncia allo Sc. di essere stato convocato, due giorni prima, per la seconda volta in Procura a Vicenza, al che il suo interlocutore gli replica di esserlo stato per la terza volta e che continuerà a ripetere agli inquirenti sempre le stesse cose già dette loro nelle precedenti occasioni perché altro non vi è da dire. Sa. e Sc. si confermano a vicenda che la loro era stata unicamente un'ispezione sul credito, come tale inidonea a svelare aspetti critici sul ben diverso piano del patrimonio (".. Ge.: dei file, delle cose, Poi se... se,., cioè, francamente, quello che io ho continuato a... ho detto una volta, l'ho detto pure l'ultima volta che quella è un'ispezione sul credito, eh, insomma. - Gi.: Eh, certo. - Ge.: Perché il discorso è che.,. qua le azioni comprate con i prestiti della banca... - Gi.: Eh. - Ge. ...capitale finanziato. Però noi (inc.) sul credito, insomma, se il cliente andava bene tanti approfondimenti non è che... - Gi.: No, assolutamente no. - Ge. (Inc. voci sovrapposte). - Gi.: Assolutamente no. Ma poi credo che quel problema lì sia un problema che sia maturato prevalentemente dopo, cioè dopo le grandi, per effetto della grande ripatrimonializzazione, dopo la (inc.) e dopo... Cioè, non so neanche quanto fosse diffuso, perché non abbiamo fatto degli approfondimenti specifici su quel tema lì. Pronto? ... - Ge.: (Breve interruzione) dei clienti, anche quelli famosi, tipo... erano in due, insomma, poi gli altri francamente non è che mi posso ricordare nomi, cose. Poi in questo caso non tieni un file, non tieni una cosa scritta... - Gi.: Appunto. Appunto ...); - n. progr. 281 del 19.3.2017 ad ore 20.33.11 tra Ge.Sa. e "Ga." (pagg. 717-723 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Ga.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pagg. 70 e ss. verbale stenotipico 21.1.2020), è Ga.Pa., collega ispettore di Banca d'Italia (nonché consulente della Procura di Vicenza ma il teste Sa. esclude - v. pag. 70 ibidem - di essere stato a conoscenza di tale ultima circostanza all'epoca della conversazione, benché avesse inteso che il Pa. stava in qualche modo occupandosi in quel momento proprio di B.: "... E ne ho parlato con il collega, il dottor Ga.Pa., io francamente non sapevo... sapevo che il collega si stava occupando della Vicenza, di queste operazioni, non sapevo a che titolo, poi l'ho scoperto dopo"). Anche in questo caso il Sa. sottolinea a più riprese con l'interlocutore (che concorda con tali sue affermazioni, tanto che Sa. si sente in qualche misura tranquillizzato: cfr. pag. 70 verbale stenotipico 21.1.2020) quale fosse l'oggetto, circoscritto alla mera valutazione del credito, dell'ispezione 2012, riferendogli altresì succintamente quanto accaduto in Procura il 17.3.2017, chiedendogli cosa fosse frattanto in concreto emerso (rimanendo con ogni evidenza stupito e all'apparenza frastornato nell'apprendere dal Pa. l'entità del fenomeno dei finanziamenti correlati come in quel momento - cinque anni dopo l'ispezione - risultava accertata a tutto il 2012) e chiedendogli altresì consiglio sulla necessità o meno di avvisare della nuova convocazione in Procura, e del tenore delle s.i.t. da lui rese, anche il proprio superiore gerarchico dott. La.: "(.,.) V.M.: Ah, io son stato... quando è stato? Venerdì mi hanno chiesto: c'erano un po' di operazioni che... di queste baciate, - Ga.; Sì. - V.M.: Però io francamente all'epoca non Cioè, a parte che facendo... facendola sul credito, questi aspetti di capitali, di patrimonio, non li avevamo visti. - Ga.: Eh certo. - V.M.: Cioè non li abbiamo proprio considerati. Ma io un po' non.. veramente non mi ricordavo neanche i nomi... neanche i nomi dei... - Ga. (Inc. voci sovrapposte). - V.M.: Omissis. - n. progr. 107 del 20.3.2017 ad ore 15.11.57 tra Ge.Sa. "Da." (pagg. 730-737 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Da.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pag. 73 verbale stenotipico 21.1.2020), è Da.Ca., collega ispettore di Banca d'Italia, fermo restando che anche di tale conversazione col Ca., come già di quella con lo Sc., il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo (v. ibidem). In essa ancora una volta il teste Sa. rievoca l'oggetto ristretto (perché circoscritto alla verifica della qualità del credito) dell'ispezione Banca d'Italia 2012, indicandolo come preclusivo di ogni possibile scoperta sul fronte della prassi dei finanziamenti correlati e ricevendo riscontro in tal senso dal suo interlocutore: Omissis Il leit motiv di tali conversazioni è dunque sempre rappresentato dal Sa. che, turbato dal fatto di essere stato convocato in Procura a Vicenza già due volte nel giro di un anno, ripete ad ogni suo interlocutore (tutti colleghi della vigilanza di Banca d'Italia) esattamente quanto - come si è visto supra - i, riferirà poi, tre anni dopo, in sede di esame dibattimentale nel presente giudizio (ribadendolo, altri due anni dopo, anche nel separato giudizio pendente a carico di Sa.So.), ossia: che egli ricordava ben poco dell'ispezione del 2012 presso B. al di là di due singole posizioni peculiari (evidente il riferimento alla posizione Ca.-Lu.); che, in ogni caso quell'ispezione aveva ad oggetto unicamente la verifica della qualità dei crediti, sicché anche le posizioni concretamente esaminate lo erano state unicamente a quel fine; che gli inquirenti in data 17 marzo 2017 gli avevano mostrato documenti, a lui prima ignoti, i quali lo avevano colto dì sorpresa rivelandogli una realtà della quale non aveva avuto minimamente modo dì rendersi conto in sede ispettiva. In nessuna di tali conversazioni captate il Sa. confida all'interlocutore di turno di avere visionato, nel corso dell'ispezione 2012, documenti tali da consentire, all'epoca, la scoperta di una prassi di operazioni di finanziamento correlato, o anche soltanto di avere ricevuto a voce informazioni di sorta in tal senso da chi operava in seno a B.. La difesa ha opinato diversamente con riguardo all'inciso "Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano" (conversazione n. progr. 281 del 19,3.2017 tra il Sa. e Ga.Pa.) ma, contestualizzandolo e considerando la frase pronunciata dal Sa. nella sua interezza cioè nel 2012, francamente i nomi non me li ricordavo. Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano, ma noi in quella fase lì... veramente avevamo visto solo il credito e basta"), è evidente che le "carte" cui si riferisce nella conversazione n. progr. 281 il Sa. sono - come del resto da lui ribadito, v. ampiamente supra, più e più volte nel corso di entrambi ì suoi esami dibattimentali (quello reso il 21.1.2020 nel presente giudizio e quello reso il 18.3,2022 nel separato giudizio pendente a carico dì Sa.So.) - i documenti, a suo dire mai visti fino a quel momento, esibitigli appena due giorni prima dai Pubblici Ministeri vicentini in data 17.3.2017 in occasione delle seconde s.i.t.. Analogamente il "noi le abbiamo viste" proferito dal Sa. nel corso della conversazione n. progr. 107 del 20.3.2017 con Da.Ca. va contestualizzato ("Ge.: Eh, noi le abbiamo viste... insomma, se avevano problemi di credito, se c'erano trattamenti preferenziali..."), nel senso che - come lo stesso teste Sa. ha spiegato in maniera plausibile e convincente in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 73-74 verbale stenotipico 21.1.2020), "... io in questa telefonata confermo che noi queste benedette posizioni le abbiamo viste esclusivamente per verificare se c'era un trattamento preferenziale a favore dei soci e a detrimento della banca, e se il merito creditizio di quelle posizioni era coerente con la classificazione in bonis. Questa è la spiegazione alla telefonata". Sul tema del preteso "disvelamento" operato dalla Divisione Crediti, attraverso l'imputato MA. e il suo subalterno Am., nel corso dell'ispezione Banca d'Italia del 2012 resta infine qui da valutare se e in che termini rivesta un effettivo rilievo l'elemento sopravvenuto rappresentato dalla ricostruzione, effettuata dall'imputato Em.Gi. in sede di rinnovazione del suo esame dibattimentale (cfr. in particolare i verbali stenotipici del 15 giugno e del 17 giugno 2022), dell'episodio occorso il 4 luglio 2012 nell'ufficio del D.G. Sa.So., allorquando lo stesso So. ebbe a far chiamare il dipendente Ci.Am., convocandolo ivi - alla presenza di altre persone fra cui Ma.So. e, per l'appunto, il GI. - e apostrofandolo alquanto bruscamente nel chiedergli che cosa avesse egli riferito al team ispettivo. Il difensore del MA. si è ampiamente diffuso, in sede di discussione finale, su tale sopravvenienza (cfr, al riguardo pagg. 27-32 della memoria conclusiva depositata il 30.9-2022 nonché pagg. 72-75 del coevo verbale stenotipico d'udienza). Secondo la difesa si tratterebbe di un elemento assolutamente determinante in favore della tesi del "disvelamento"; un elemento di per sé stesso idoneo, anzi, a corroborare e suffragare tutto quanto sul punto dichiarato dal MA. e dal teste Am.. Così non è. In tale circoscritto segmento del lungo esame da lui reso in grado di appello Em.Gi., come detto, ricostruisce il concitato confronto del 4.7.2012 tra So. e Am., avvenuto nell'ufficio del So.. Più precisamente: - a pag. 13 e indi a pag. 70 del verbale stenotipico del 15.6.2022 dell'esame reso in grado di appello da GI. si legge quanto segue: "C'è stato un episodio abbastanza critico in cui a So. (eravamo in stanza con So.) venne riferito che Ma. e i suoi uomini avevano rappresentato a Banca d'Italia queste - operazioni, e sicuramente al tavolo c'eravamo io e Ma., e forse Tu., con So. e So. si è molto innervosito (che è un eufemismo) con Ma. e i suoi perché non gli avevano detto, non gli avevano riferito che queste operazioni erano state in qualche modo rappresentate a Banca d'Italia. Questa comunicazione arrivò a So., che era un ex Ispettore Banca d'Italia, e che riferì a So. proprio questo fatto. (...) PARTE CIVILE, AVV. VE. - Un'altra domanda in relazione a quanto è stato riferito circa il dottor So. si sarebbe arrabbiato quando ha saputo che Ma. e altri avevano rappresentato a Banca d'Italia alcune operazioni; a che operazioni si riferiva? IMPUTATO GI. - A una trentina di operazioni baciate che Banca d'Italia aveva chiesto alla Divisione Crediti nelle persone di Ma. e Am. da parte, credo, di Sa.; operazioni baciate tipo Ca., se ricordo bene. "; - a pag. 7 e ss, del verbale stenotipia) del 17.6.2022 GI. ribadisce tale narrazione (correggendosi solo con riguardo alla previamente da lui riferita presenza di MA., in realtà quel giorno pacificamente assente) dichiarando quanto segue: "IMPUTATO GI. - Allora, diciamo che le cose sono andate in questo modo, Non so se mi sono confuso o meno, però ritengo che abbia detto le cose che sto dicendo, però le ripeto per essere estremamente chiaro e preciso. E cioè: ci fu un incontro, in una di queste riunioni di direzione e comitati, con So., e c'era anche So., arrivò una telefonata a So.; So. parlò con So., e So. si innervosì particolarmente perché ci disse che Am. aveva in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate. A quel punto So. chiese a tutti di chiamare Ma., che non era in Banca, lo chiese a tutti i partecipanti a quella riunione, io chiese anche a me. Ma Ma. era irraggiungibile. A quel punto chiese alla Segreteria di chiamare Am.; Am. entrò della stanza di So. e fu maltrattato da So., maltrattato pesantemente perché non si doveva permettere di parlare con Banca d'Italia di queste operazioni. Ma. era irraggiungibile, quindi venne chiamato Am.. Questo è il fatto avvenuto nella stanza di So.. Non so se intendesse questo, Avvocato. DIFESA, AVV. Ro. - Sì, perché l'altra volta lei aveva fatto il nome di Ma., non di Am.. Questo è l'appunto che mi ero fatto io. IMPUTATO GI. - No, no, Ma. fu chiamato, ma non partecipò a quell'incontro. DIFESA, AVV. Ro. - Esatto, l'interlocutore fu Am.. IMPUTATO GI. - Fu Am., si DIFESA, AVV. Ro. - Lei ha capito chi era l'autore della telefonata che riceve So. e il contenuto della quale viene trasmigrato a So.? IMPUTATO GI. - Uno degli Ispettori di Banca d'Italia, però non so di chi trattasse, perché non disse il nome So.. DIFESA, AVV. Ro. - Però, che fosse uno del team ispettivo è pacifico? IMPUTATO GI. - E' pacifico, sì". Ebbene, in realtà il GI. si limita a riferire ivi i seguenti eventi occorsi in sua presenza e da lui direttamente percepiti: a) Ma.So. riceve una chiamata (con ogni evidenza proveniente da un componente del team ispettivo di Banca d'Italia, organismo da cui lo stesso So. proveniva continuando a intrattenere rapporti assai amichevoli con alcuni ispettori: ne fa invero menzione anche il teste Am. alla pag. 97 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020, ivi ipotizzando, in effetti, che potesse essere stato proprio il So. ad avvisare il So. circa l'incontro avuto il giorno prima da Am. con l'ispettore Sa.); b) subito dopo aver ricevuto tale chiamata (il cui contenuto ovviamente è ignoto al GI.) Ma.So. interloquisce con Sa.So.. Si badi - e ciò è appena evidente leggendo il soprastante passo dell'esame 17.6.2022 di GI. - che quest'ultimo, in realtà, ignora non solo il tenore della telefonata ricevuta dal So. ma finanche il contenuto effettivo della susseguente conversazione So./So.. E' unicamente il So. che sceglie di descrivere agli astanti quanto appena riferitogli annunciando loro che "Am. ha in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate", laddove quanto occorso nel suo ufficio il 4 luglio 2012 è in realtà del tutto compatibile anche con l'avere l'Am. interloquito con l'ispettore Sa. unicamente sulla singola posizione Ca. - Lu. (interlocuzione, questa, che - v. infra - è effettivamente documentata in atti). Al riguardo può darsi che il GI., stante la concitazione del momento, non sia stato poi in grado di ricordare l'episodio con assoluta esattezza (anche e soprattutto perché esso non lo coinvolgeva direttamente in prima persona né coinvolgeva direttamente la Divisione Mercati da lui capeggiata, bensì la Divisione Crediti; ed invero in prima battuta il GI. ha creduto pure di ricordare, cfr. verbale stenotipico 15.6.2022, che fosse presente il MA., salvo correggersi all'udienza successiva del 17.6,2022); può tuttavia darsi, invece, che il So. e/o il So., sempre nella concitazione, avessero realmente frainteso la comunicazione proveniente dal team ispettivo di Banca d'Italia; o infine può anche darsi che il predetto So. avesse esagerato apposta, di sua iniziativa, nel riassumere agli astanti quanto udito al telefono dal So. (che prontamente glielo aveva riportato), e ciò magari al fine di poter più efficacemente "maltrattare" in pubblico il frattanto convocato Am. sì da indurlo a ben comprendere, in via preventiva e una volta per tutte, cosa egli non avrebbe mai dovuto riferire al team ispettivo. Sta di fatto - e ciò è un dato del tutto pacifico - che nemmeno l'imputato MA. nè il teste Am. si sono mai lontanamente spinti a sostenere, in sede dibattimentale (l'Am. non lo ha fatto neppure nel separato procedimento pendente a carico di Sa.So.: cfr, pagg. 40-41 e 93-99 del relativo verbale stenotipico 8.3.2022), che tutti e 30 i nomi della lista scritta dei primi soci per numero di azioni detenute, fatta avere at team ispettivo, corrispondessero ad altrettante operazioni di finanziamento correlato. Tanto il MA. quanto l'Am. hanno infatti sempre sostenuto di avere detto al team ispettivo (circostanza, tuttavia, per tutto quanto detto sopra, non riscontrata) che la metà circa di tali posizioni corrispondeva a operazioni di finanziamento correlato. Basti, del resto, soffermarsi sul fatto che quella "lista dei 30 primi soci" annoverava per certo anche nominativi di grossi azionisti, come ad esempio Am., mai resisi destinatari di finanziamenti correlati; tale ultima circostanza è confermata proprio dall'imputato GI. (in questo caso con la piena cognizione di causa derivantegli dal suo ruolo di responsabile della Divisione Mercati) in altra parte del suo esame reso nel presente grado di giudizio: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico 15.6.2022, esame di Em.Gi. reso in grado di appello: ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema". Finanche il teste Am. afferma costantemente, tanto nel presente giudizio così come in quello pendente a carico di Sa.So., che, al momento del tormentato rendez vous con il D.G. So. (il quale gli si era rivolto con tono aggressivo alla presenza di GI., di So. e di alcune altre persone intimandogli di dire cosa avesse riferito agli ispettori) egli aveva parlato funditus con l'ispettore Sa. soltanto della posizione Ca.-Lu., per il resto limitandosi - a suo dire - a raccontargli a voce, genericamente, che quella posizione (concretamente connotata da un ordine di acquisto azioni anteriore di alcuni giorni alla delibera del CdA di erogazione del finanziamento di 21 milioni di Euro successivamente emessa, in ddta 20.12.2011, sulla base di una P.E.F. del 19-12.2011, nonché connotata dall'addebito sul conto Ca.-Lu., avvenuto in data 30.12.2011, del pressoché coincidente importo di Euro 20.038.400,00= per comprare azioni B.) non era un episodio isolato. Si vedano, sul punto, le pagg. 96-97 del verbale stenotipico 11.2.2020 (deposizione resa dal teste Am. in primo grado). In effetti, se vi è un singolo punto della contraddittoria deposizione del teste Am. in sé dotato di intrinseca coerenza (e, soprattutto, di riscontri documentali), esso attiene all'essersi egli interfacciato con l'ispettore Sa., nella data del 3 luglio 2012 (giorno precedente alla sua tumultuosa convocazione ad opera di Sa.So. originata dalla telefonata di un componente del team ispettivo ricevuta da Ma.So.), a proposito della posizione Catta neo-Lu., esaminata dal Sa. in quanto facente parte dell'originario elenco di 100 nominativi inizialmente fornito al team ispettivo e connotata, oltre che dalla coincidenza di importi, dalle peculiari sfasature temporali di cui poco sopra si è detto. Sempre l'Am. ha sostenuto, in entrambe le sue deposizioni, che il Sa. in data 3 luglio 2012 gli chiese, per integrare le proprie cognizioni su tale posizione, la copia dell'ordine di acquisto delle azioni e che egli, ottenutolo tramite il collega Fi.Ro. della Gestione Soci, lo fece avere - sempre in data 3 luglio 2012 - all'ispettore, il quale, esaminandolo, gli evidenziò l'anomalia dell'anteriorità dell'ordine di acquisto suddetto rispetto alla data della P.E.F. e della susseguente delibera del CdA. I riscontri documentali a tale circoscritto segmento della deposizione Am. si rinvengono, oltre che nel già citato doc, 509 del P.M., nei docc. 506 e 507 del P.M., corrispondenti il primo a una e-mail inviata dall'Am. all'ispettore Sa. in data 3 luglio 2012 e il secondo alla successiva trasmissione in pari data all'Am., da parte del suo collega Ro., dell'ordine di acquisto azioni posto in essere il 16.12.2011 dai coniugi Ca.Lo. e Lu.Ro.: - doc. 506: e-mail inviata da Ci.Am. martedì 3 luglio 2012 ad ore 13.12 a Ge.Sa., avente quale oggetto "NOMINATIVO (...) Ca.Lo. LU.RO.", del seguente tenore: - Gent.mo Dottore, sono passato per fornirle la risposta ma ipotizzo che fosse a pranzo. Quando sarà libero ripasserò. Andrò a pranzo tra le 14.00 e le 1430. Mi faccia sapere. Cordiali saluti"; - doc. 507: e-mail inviata da Fi.Ro. martedì 3 luglio 2012 ad ore 17.01 a Ci.Am., avente quale oggetto "Azioni Bp. - Ca./Lu.", del seguente tenore: "Cl., in allegato copia degli ordini di acquisto dei nominativi in oggetto (...)"; - doc. 509: e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. mercoledì 4 luglio 2012 ad ore 15.47, testualmente intitolata "RICH IO. ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alfa verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El.Sr., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata". Lo stesso teste ispettore Ge.Sa., in entrambi i suoi esami dibattimentali, pur dichiarando di non ricordare bene il tenore delle sue interlocuzioni con l'Am., ha affermato di ritenere "probabile", proprio alla luce delle anzidette e-mail, che vi fosse stata una interlocuzione fra sé e l'Am. riguardo alla posizione Ca.-Lu., ma ciò sempre e solo in un'ottica finalizzata (nel perimetro circoscritto dell'accertamento ispettivo) alla verifica del rischio e del merito creditizio, destandogli sospetto in tal senso la peculiare sfasatura temporale riscontrata tra la data dell'ordine di acquisto azioni, la delibera di fido del CdA e l'effettivo acquisto delle azioni per pressoché pari ammontare: cfr. al riguardo rispettivamente pag. 67 del verbale stenotipico 21.1.2020 nonché pag. 100 del verbale stenotipia) 8.3.2022 nel separato procedimento a carico di Sa.So.. In ultima analisi non è affatto dimostrato che la telefonata fatta da un qualche componente del team ispettivo in data 4 luglio 2012 a Ma.So. (che per parte sua nulla ha detto al riguardo nel corso del suo esame) vertesse su qualcosa di diverso dalla certa e documentata interlocuzione Sa./Am. sulla singola posizione Ca.-Lu.; interlocuzione a sua volta originata, peraltro (e sul punto le affermazioni del teste Sa. sono in sé plausibili, come detto), dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la solvibilità di soggetti che presentavano la "stranezza" estrema di un ordine di/ acquisto azioni effettuato prima ancora di disporre della provvista necessaria, il che, nell'ottica dell'ispezione del 2012 mirata alla valutazione del rischio di credito, poteva senz'altro rappresentare un forte indice di allarme circa "essere stato loro riservato un trattamento dì favore per nulla meritato". Totalmente destituito di fondamento - e in alcun modo conforme all'effettivo contenuto, sopra passato in rassegna, delle dichiarazioni rese da Em.Gi. sull'argomento - è dunque l'assunto della difesa secondo cui il GI. "ricorda come siano state mostrate una trentina di posizioni con 234 milioni di finanziato" (cfr. pag. 30 memoria conclusiva depositata dalla difesa MA. il 30.9.2022). Alla stregua del complesso di considerazioni fin qui svolte merita dunque piena condivisione la conclusione, cui è giunto il tribunale berico, circa la mancata prova del preteso "disvelamento" al team ispettivo - da parte dell'imputato MA. e/o del teste Ci.Am., suo subalterno - di una prassi concernente la stipula di una serie di operazioni di finanziamento correlato. D'altra parte osserva questa Corte che il preteso - ma nient'affatto provato, per tutto quanto detto - "disvelamento" spontaneo agli ispettori di Banca d'Italia, da parte del MA. e dell'Am. nel luglio 2012, di 14 posizioni di finanziamento correlato (in un momento in cui il team ispettivo aveva manifestato perplessità solo in ordine alla singola posizione Ca.-Lu. in quanto connotata dall'essere stato effettuato l'ordine di acquisto azioni prima ancora di entrare nella disponibilità della relativa provvista) costituirebbe oltretutto una circostanza per nulla coerente con quello che invece risulta essere stato, secondo quanto già visto supra l'atteggiamento ben preciso e reiterato del MA. nel corso degli anni, improntato (in maniera, viceversa, del tutto coerente con la sua dimostrata piena consapevolezza del mancato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio dì vigilanza) a una costante raccomandazione nel senso di evitare di allertare gli organismi di vigilanza circa l'effettuazione stessa delle operazioni "baciate". Vanno infine disattese le considerazioni svolte dalla difesa del MA. alle pagg. 149-154 dell'atto di appello sotto la rubrica "COMPREHENSIVE ASSESSMENT EASSET QUALFTY REVIEW", che è il solo paragrafo dell'atto impugnazione concernente le interlocuzioni con la vigilanza avute dall'imputato dopo l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 e prima del suo trasferimento (avvenuto in data 18.12.2014) alla siciliana Ba.Nu.. A tale tema sono dedicate per la specifica posizione MA. le pagg. 692-693 della gravata sentenza (mentre una sua più diffusa trattazione, non concernente il solo MA., è contenuta nel cap. IX della stessa sentenza, cfr, in particolare le sue pagg. 476-519); ivi si evidenzia efficacemente quale sia stato, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, l'atteggiamento - del tutto silente quanto al fenomeno delle operazioni di finanziamento correlato - tenuto dal MA. durante le sue interlocuzioni con i testi Ma.Pa. e Vi.Ca. in base alle deposizioni dei predetti (esame Pa.: cfr, verbali stenotipia d'udienza 28.11.2019 e 29.11.2019, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alle pagg. 8-9 del verbale 29.11.2019, nonché cfr, appunto in atti sub doc. 451 del P.M., a firma dello stesso Pa., acquisito al fascicolo del dibattimento; esame Ca.: cfr. verbale stenotipico d'udienza 16.1.2020, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alla sua pag. 41). Ebbene, la difesa, nell'indicato paragrafo dell'articolato primo suo motivo di appello, non si confronta minimamente con le ora illustrate emergenze processuali se non per rivendicare: - il carattere non ispettivo, bensì di mero esercizio avente natura prevalentemente prudenziale e non contabile, dell'AQR; - l'impossibilità per il MA. di riferire, in tali sedi, circa fenomeni (gli storni, le lettere di impegno) di cui egli, come detto nel suo esame, v. saprà, avrebbe appreso solo nel 2015 una volta uscito da B.. Nessuno di tali argomenti ha pregio. Sotto il primo dei due profili si veda anzitutto la definizione che dell'AQR fornisce la Banca d'Italia nella sua "nota tecnica sulle modalità di conduzione dell'esercizio di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment)" datata 26 ottobre 2014 (...), ove da un lato-lato - come evidenzia l'appellante - afferma trattarsi di un "esercizio di natura prevalentemente prudenziale, non contabile", ma dall'altro lato evidenzia, fra le altre cose, che "l'AQR può comportare esigenze di capitale, qualora gli accantonamenti addizionali (che derivano o da un insufficiente provisioning sulle posizioni già classificate come deteriorate o dal passaggio da posizioni in bonis verso non deteriorate) portino il coefficiente di patrimonio di migliore qualità (CET1 ratio; al di sotto della citata soglia dell'8 per cento". Del resto lo stesso teste Ca. ha chiarito a più riprese non trattarsi, tecnicamente, di un'ispezione (v. ad esempio, con particolare forza, a pag. 55 del verbale stenotipico cit.) precisando nondimeno (v. pag. 34 ibidem) che "... tutto il 2014, come probabilmente molti sanno, è stato... l'attività di vigilanza è stata impegnata, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei, a svolgere questo Comprehensive Assessment, che avrebbe dovuto essere, sostanzialmente, un esercizio che chiariva con estrema precisione quali fossero esattamente I problemi del sistema bancario europeo, che creasse, come dire, un livello comune tra tutti i Paesi europei che fino allora avevano delle norme, prassi, legislazioni assolutamente disparate, e che si concludesse con una comunicazione in qualche modo al mercato delle eventuali esigenze di capitale che sarebbero emerse da questo esercizio. Nell'ambito di questo Comprehensive Assessment, che ha impegnato praticamente tutte le strutture della Banca d'Italia, è stato previsto anche un accesso, che in Italia è stato fatto essenzialmente da ispettori e da membri delle società di revisione, presso le banche per compiere una parte di questo Comprehensive Assessment, che è la cosiddetta "Asset Quality Review", ossia una revisione degli attivi delle banche che in realtà si è indirizzato, si è focalizzato prevalentemente nell'esame dei crediti Trattasi dunque, in ogni caso, inequivocabilmente, dello svolgimento di un'attività rientrante a pieno titolo nella nozione di "vigilanza", come ancor più efficacemente esplicitato dallo stesso teste Ca. più avanti nel corso del suo esame nell'illustrare le possibili ed eventuali concrete conseguenze pregiudizievoli, per l'istituto di credito, degli esiti di detto esercizio (v. pag., 60 ibidem): "TESTIMONE CA. - No, il modello... Attenzione. No, io ho detto, vorrei essere preciso, io ho detto: attenzione che la costruzione dell'Asset Quality Review, molto mirata al segmento creditizio, inevitabilmente e più, come dire, blanda, queste parole del Governatore, non mie, sotto il profilo della finanza, sicuramente finisce per essere più pericoloso per un intermediario tradizionale, per un mondo bancario tradizionale come quello italiano che per quello estero. A noi, tutto sommato, se l'Asset Quality Review fosse stata improntata a una severa analisi dell'attività finanziaria delle banche, le banche italiane ne sarebbero uscite alla grande perché non hanno di fatto... perché fanno un lavoro un po' più normale le banche italiane". Sotto il secondo dei due profili basti infine ricordare come supra si sia ampiamente argomentato circa la non rispondenza al vero dell'assunto del MA. secondo cui sarebbe giunto a conoscenza dell'esistenza degli storni e delle lettere di impegno solo nel 2015 una volta uscito da B.. Il trattamento sanzionatorio Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte l'imputato Pa.Ma. va dichiarato assolto: - dai reati di falso in prospetto di cui ai capi I e L per non aver commesso il fatto; - dai reati di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi H1 e M1, limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014, per non aver commesso il fatto, fermo restando che, quanto al capo M1 (e analogamente è a dirsi per il capo B1), si ritiene integrata - v. parte generale della presente sentenza, par. 9 - la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Va altresì dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto MA. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo Al, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; si impone invece nei suoi confronti la declaratoria di penale responsabilità per quanto residua della contestazione di aggiotaggio, atteso l'apporto causale comunque fornito dall'imputato - in relazione ad essa - anteriormente alla cessazione del rapporto dì lavoro con B. avvenuta in data 18.12.2014. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art. 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni due mesi sei di reclusione (stante l'assoluzione del MA. da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014), aumentata di complessivi mesi dieci e giorni 15 per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori, reati di ostacolo dì cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1 e G1; di mesi uno per il reato di ostacolo sub capo M1 stante la sua assoluzione da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014; di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve infatti evidenziarsi, come già detto saprà, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, dì applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. Va conseguentemente revocata nei confronti dell'imputato MA., stante la determinazione della pena base per il capo H1 in anni due mesi sei di reclusione, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, posto che - notoriamente - ai fini dell'applicazione della suddetta pena accessoria, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito dell'eventuale diminuzione per la scelta del rito, qui non ricorrente, e non già alla pena complessiva risultante dagli aumenti operati a titolo di continuazione (cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado e altri; Cass. Pen. Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana e altri). 14.1.3. L'appello nell'Interesse di Pi.An. Il gravame proposto dalla difesa di Pi.An. è parzialmente fondato; ciò con riguardo alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa. Nelle restanti sue parti il gravame del PI. è infondato, fermo restando che, quanto ai capi I e L di rubrica - corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto contestate come commesse nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta maturato il termine di prescrizione, con conseguente pronuncia di non doversi procedere - in relazione a tali due capi - per sopravvenuta loro estinzione. Preliminarmente va dato atto che sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte, vuoi nella propria ordinanza 18.5.2022 vuoi nella suestesa parte generale della presente sentenza, alle quali dunque senz'altro si rinvia in toto, le seguenti questioni trattate dalla difesa PI. nel suo atto di appello e nei motivi nuovi depositati il 5.4.2022: - eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti per nullità della notifica dell'avviso ex art, 415 bis c.p.p, in relazione ai reati relativi ai fatti concernenti l'anno 2015 di cui ai capi M1 e N1 (eccezione sollevata dalla difesa PI. in grado di appello - associandosi a quella analoga già svolta in precedenza dalla difesa MA. - all'udienza del 16 maggio 2022); si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di incompetenza territoriale (cfr. paragrafo 11 dell'atto di appello, pagg. 146 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, pan 7; - eccezione di non acquisibilità e, comunque, di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pagg. 90 e ss.): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - richiesta subordinata di espletamento di una perizia sull'anzidetto file audio (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pag. 93): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di formale inutilizzabilità processuale delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro. per violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. in quanto soggetti indagabili per reato connesso o che addirittura, nel caso del teste Ma., sarebbero già indagati, secondo la difesa, per reato connesso (cfr. paragrafo 2 dell'atto di appello, pagg. 8 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di violazione del principio nemo teneturse detegere (cfr. paragrafo 10 dell'atto di appello, pag. 146, nonché motivi nuovi d'appello) e del principio del ne bis in idem sostanziale (cfr. motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, par. 11. Al netto di tali questioni si può dunque passare alla trattazione delle seguenti residue parti dell'atto di appello nonché dei motivi nuovi di appello (questi ultimi invero, per tutto quanto fin qui detto, rimangono di fatto circoscritti, ormai, alla valutazione dell'attendibilità, nonché della coerenza intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni - pienamente utilizzabili, giusta ordinanza 18.5.2022 di questa Corte - rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.): - primo motivo (par. 1, pagg. 4-7 dell'atto dì appello): nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p., per omessa considerazione delle argomentazioni difensive, con particolare riguardo a quelle esposte nelle note d'udienza del 19.1.2021; - secondo motivo (par. 2, pagg. 8-15 dell'atto di appello): carenza assoluta di motivazione in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di attendibilità e coerenza, intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.; - terzo motivo (par. 3 articolato nei sotto-paragrafi 3.1-3,10, pagg. 15-97 dell'atto di appello): malgoverno delle prove da parte del primo giudice con/ riguardo a tutte le ipotesi di reato per le quali l'imputato ha riportato condanna; - quarto motivo (par. 4, pagg. 98-103 dell'atto di appello): nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At., non essendo tali condotte ricomprese, in tesi difensiva, in alcuno dei capi d'imputazione; - quinto motivo (par. 5, 6, 7, 8, pagg. 103-139 dell'atto di appello): contestazione anche nel merito, in subordine, della fondatezza dell'accusa con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.; - sesto motivo (par, 9, pagg. 139-142 dell'atto di appello): insussistenza di un concorso del PI. nell'asserita "prassi" dell'effettuazione in seno a B., ad opera di Divisioni non rientranti nella competenza dell'imputato, di operazioni di finanziamento correlato (c.d. "operazioni baciate"); insussistenza di un suo concorso ex art. 110 c.p.p., conseguentemente, nei reati di aggiotaggio, di manipolazione tanto informativa quanto operativa, di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto; in subordine mancata prova dell'elemento soggettivo dei reati stessi; - settimo motivo (par, 10, pagg. 142-146 dell'atto di appello): trattamento sanzionatorio. Tali motivi, come detto, non sono fondati (tranne quanto già detto supra circa il numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa - con ogni relativa conseguenza - e salva restando la declaratoria, in ordine ai capi I e L riguardanti altrettante fattispecie di falso in prospetto, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Per esigenze di migliore organizzazione espositiva si procederà anzitutto alla trattazione delle eccezioni di nullità costituenti l'oggetto dei motivi rispettivamente primo e quarto, passando indi a una trattazione congiunta, articolata secondo i singoli filoni di concreta operatività contestati all'imputato dall'Accusa, dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto fino a concludere con il trattamento sanzionatorio (settimo motivo). 14.1.3.1. L'eccezione di nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p.. L'eccezione è infondata. Anche a voler prescindere, infatti, da ogni considerazione in ordine alla sussistenza o meno, nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice, di una implicita valutazione delle considerazioni che la difesa aveva consegnato alla memoria depositata il 19.1.2021 (e, più in generale, degli elementi probatori che la medesima difesa aveva introdotto ritenendoli meritevoli di valutazione con riferimento alla posizione processuale dell'imputato PI.) è decisivo osservare come, al di là di isolate e risalenti pronunce di segno contrario (oltre a Cass. Pen. Sez. 1, n. 31245 del 7.7,2009, Pa., constano le sentenze Cass. Pen. Sez. 6, n. 13085 del 3.10.2013 dep. 20.03.2014, Am. e altri; Cass. Pen. Sez. 1, n. 37531 del 07.10.2010, Pi.; Cass, Pen. Sez. 1, n. 45104 del 14.10.2005, Ru.; Cass. Pen. Sez. 1, n. 23789 del 06.05.2005, Ma.), costituisca opinione oramai consolidata nella più recente giurisprudenza di legittimità quella secondo cui la mancata valutazione di memorie difensive (e, più in generale, di elementi probatori valorizzati dalla difesa) non costituisca affatto causa di nullità della sentenza impugnata bensì possa unicamente integrare un vulnus alla congruità e alla correttezza logico-giuridica della relativa motivazione, pregiudicandone la tenuta (cfr. - fra le moltissime - Cass. Pen. Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Ol.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 24437 del 17.1.2019, Ar.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 23097 dell'8.5.2019, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 18385 del 9.1.2018, Ma. e altro; Cass. Pen. Sez. 2 n. 14975 del 16.3.2018, Tr. e altri; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5075 del 13.12.2017 dep. 2.2.2018, Bu. e altri; Cass. Pen. Sez. 5, n. 51117 del 21,9,2017, Ma.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4031 del 23.11.2015 dep. 29.01.2016, Gr.), e, in tal guisa, fondare ragioni di critica destinate "ove debitamente riproposte nell'atto di appello, com'è avvenuto in questo caso - ad essere adeguatamente considerate dal giudice dell'impugnazione. Ad avviso dì questa Corte trattasi di orientamento del tutto persuasivo (oltre che, ormai, largamente maggioritario e più aggiornato) in quanto coerente per un verso con il principio della tassatività delle nullità e per altro verso con la funzione, propria delle memorie difensive (sulle quali, peraltro, diversamente da quanto previsto per le "richieste", non è previsto l'obbligo per il giudice di provvedere, ex art. 121, co. 2, c.p.p.), di ampliamento non già dell'ambito della decisione bensì della relativa argomentazione. A ciò consegue il rigetto della sollevata eccezione di nullità. 14.1.3.2. L'eccezione di nullità della gravata sentenza ex art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.. L'eccezione di nullità in esame si basa sul fatto che tali specifiche manifestazioni dell'operatività del PI. (sulle quali ci si diffonderà ampiamente infra passando, nel par. 14,1.3.5., all'esame del merito), avendo natura di investimento in fondi esteri unknown exposure e non già natura di erogazione di finanziamenti a soggetti terzi, in nessun modo potrebbero rientrare nell'ambito dei capi d'imputazione formulati a suo carico (il cui testo unicamente all'attività di finanziamento si riferisce), e ciò anche volendo ritenere - seguendo la tesi accusatoria - che attraverso tale investimento in fondi esteri si sia, di fatto, dato vita a una forma di detenzione indiretta di azioni B. (non seguita dallo scomputo integrale del controvalore di esse, viceversa in tal caso dovuto, dal patrimonio di vigilanza). Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità vada disattesa. In primo luogo va osservato che gli apparenti "investimenti" finanziari operati nel 2012 da B. e nel 2013 dalla sua controllata irlandese Fi. nei fondi esteri Op. 1 e 2 e At. non possono definirsi come effettivi investimenti finanziari dal momento che i suddetti fondi, anche al di là del loro essere unknown exposure, sono soprattutto risultati essere non già ordinari fondi collettivi OICVM (caratterizzati da una pluralità dì investitori in essi) bensì entità con riguardo alle quali la stessa B. (ovvero, nel caso di Op., la sua controllata irlandese Fi.) era l'unico "investitore", rectius l'unico soggetto ad iniettare denaro nei loro comparti, i quali peraltro - si badi - alla banca stessa erano, a loro volta, dedicati. Si veda al riguardo - rinviandosi, per una assai più dettagliata disamina, all'esame del merito che verrà condotto infra nel par. 14.1.3.5, - il doc. 418 del P.M. (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: - Atta data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedeva (no) la costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti". Da tale circostanza discende che le relative operazioni - seppur basate, nel loro essere comunque connotate da analoghe finalità e analoghi risultati, su un meccanismo più sofisticato rispetto a quello dell'"ordinaria" pratica dei finanziamenti correlati - sono assai più assimilabili, in concreto, ai suddetti finanziamenti correlati di quanto non lo siano a un investimento finanziario in fondi OICVM. Di fatto, a ben guardare, l'operatività è realmente analoga nell'uno e nell'altro caso: - il comparto del fondo "non OICVM", dedicato alla banca, nel ricevere da questa - suo unico soggetto sottoscrittore - l'iniezione di denaro (corrispondente, per quanto detto sopra, a quello che solo formalmente appare come un ordinario investimento in un fondo), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario dì tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio; - il singolo soggetto finanziato, nel ricevere dalla banca l'iniezione di denaro (corrispondente a quella che solo formalmente appare come un'ordinaria erogazione di finanziamento, dal momento che quest'ultimo non può essere liberamente impiegato per i più disparati scopi ma è vincolato ad essere impiegato nell'acquisto di azioni della banca erogatrice), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario di tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio. Tale accentuata assimilabilità dell'uno all'altro meccanismo fa sì che in ispecie ci si mantenga ampiamente entro il rispetto dei requisiti posti dalla più rigorosa giurisprudenza di legittimità espressasi in subiecta materia, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica ogni qual volta "il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa". In tal senso cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022, Ta., nonché, sempre in motivazione, l'ivi richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 dep. 03/02/2016, Ad. e altri, secondo cui ricorre la nullità quando "Va descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità (Cass. Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Rv. 256785), o, può soggiungersi, eccentricità, rispetto alla primigenia accusa. In quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata". In senso sostanzialmente conforme cfr., anche Cass. Pen. Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Co., secondo cui sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità tali da dare luogo un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa. L'eccepita nullità pertanto non ricorre nel caso in esame, e ciò anche non volendo aderire ad altro e più permissivo orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non può ritenersi diverso il fatto che pure presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia comunque emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia comunque avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (in tal senso cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, occupatasi di una fattispecie in cui la responsabilità per il reato di partecipazione a sodalizio criminale di stampo mafioso è stata riconosciuta in ragione del contributo arrecato dall'imputato al fatto estorsivo altrui, emerso solo a seguito dell'istruttoria, e non invece per la condotta di ausilio alla latitanza di uno degli esponenti di vertice del clan, originariamente ascrittagli; analogamente cfr., Cass. Pen. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di. e altro; Cass. Pen. Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Cr.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lu. e altri). Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte deve dunque ritenersi infondata, sotto ogni profilo, l'anzidetta eccezione difensiva di nullità. 1.4.1.3.3. La conoscenza in capo a Pi.An. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte. Molteplici sono gli elementi probatori dai quali si evincono tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte, finalizzata a consentire di escludere dal computo del patrimonio di vigilanza il controvalore delle azioni B. - via via sempre più illiquide - acquistate con la relativa provvista dai soggetti all'uopo finanziati. Ad avviso di questa Corte un'evidenza particolare - e inequivoca - in tal senso è rivestita come minimo dai seguenti elementi fra loro convergenti: a) gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa gli argomenti trattati nel Comitato dì Direzione dell'8.11.2011 (doc. 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp intercorso tra An.Pi. e il d.g. Sa.So. (doc. 810 del P.M.); b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014; c) la vicenda "So."; d) la vicenda Ta.; e) l'appunto redatto per iscritto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020; f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022) dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui credibilità e coerenza come propalante già si è detto supra nella parte generale - par. 13 - della presente sentenza; g) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P.M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi il giorno seguente, 4 maggio 2015, tra il GI. e il presidente di B. Zo.Gi. (per inciso appena due giorni dopo, ossia il 6 maggio 2015, come si evince dall'appunto manoscritto redatto al riguardo dallo ZO., in atti sub doc. 855 del P.M., toccò al PI. incontrarsi con il predetto ZO., in Roma, a seguito - cfr. pag. 105 esame PI. del 3.3.2020 - di sua diretta convocazione ad opera del Presidente di B.; tali incontri dì ognuno dei due vice direttori generali con lo ZO. furono prodromici al loro allontanamento da B., concretizzatosi per ciascuno di essi nella redazione, in sede sindacale ex art, 412 ter c.p.c., di separati verbali di conciliazione datati 8.6.2015, in atti rispettivamente sub docc. 668 e 669 del P.M., attestanti l'accordo ivi raggiunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - autorizzata dal CdA il 4.6.2015 - con decorrenza 3.6.2015); h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'I.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (cfr, pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Scendendo nei dettagli: a) Gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa all argomenti trattati nel Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (doc, 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp tra An.Pi. e il d.a. Sa.So. (doc. 810 del P.M.). Il doc. 389 del P.M., è un appunto manoscritto redatto dal teste Ma.So. (ex ispettore di Banca d'Italia entrato nel 2008 in B. con mansioni di responsabile della Direzione Segreteria e Affari Generali, indi Direzione Segreteria Generale, privo dunque, in B., di effettive competenze a livello operativo e decisionale) ai finì della successiva verbalizzazione - compito quest'ultimo al quale il So. era istituzionalmente preposto - e concernente la seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, al quale era presente anche Pi.An.; in tale documento manoscritto si legge fra l'altro (cfr. suoi fogli 1 e 2): Omissis Dallo stesso tenore letterale del suddetto doc. 389 del P.M. si evince già con sufficiente chiarezza che in quel passaggio del Comitato di Direzione 8.11-2011, essendo stata rappresentata agli astanti l'esigenza dì reperire capitale aggiuntivo - in ragione di 110 milioni di euro - per raggiungere l'obiettivo (8% di Tier 1) indicato dal responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. ed essendosi tuttavia ormai giunti in prossimità della fine dell'anno, fra i presentì tanto Um.Se. (all'epoca vice direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 2012; il Se. ha, in veste di teste, dichiarato alquanto implausibilmente - cfr. pagg. 24-25 verbale stenotipico 31.10.2019 - di non ricordare nulla di tale Comitato di Direzione 8.11.2011 pur dopo aver avuto in visione il doc. 389) quanto Fr.To. (già direttore generale della controllata toscana Ca.Ri., indi fusa per incorporazione in B.; all'epoca egli era il direttore regionale dell'area Toscana di B.) ebbero in sostanza a dire che l'unica maniera possibile di centrare in così poco tempo (di fatto appena una trentina di giorni lavorativi o poco più, al netto del periodo natalizio) un sì ambizioso obiettivo sarebbe stata quella di porre in essere operazioni c.d. "baciate", ossia di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Tale dato letterale, già evidente di per sé, è ulteriormente suffragato dai seguenti elementi: - la deposizione esplicativa (cfr. pagg, 46 e ss. del verbale stenotipico 26.10.2019) resa dall'estensore stesso dell'appunto manoscritto sub doc. 389, ossia il teste Ma.So., che, diversamente da quanto sostiene la difesa, non si ha qui ragione di ritenere inattendibile (tanto meno inutilizzabile: v. sul punto l'ordinanza collegiale 18,5,2022); il fatto - rivendicato dalla difesa - che il So. provenisse da un'esperienza professionale trascorsa per quasi trent'anni in Banca d'Italia, di cui la metà con funzioni ispettive, e avesse dunque senz'altro la piena contezza della vastità ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in B., non muta la sostanza dei fatti, ossia l'assenza di competenze operative e decisionali di sorta in capo al predetto So.. in effetti assunto dalla banca vicentina con compiti di tutt'altra natura (responsabile della Direzione della Segreteria Generale, cui si era affiancata, più avanti nel tempo, la titolarità dell'Ufficio Reclami) i quali involgevano - tra l'altro - la verbalizzazione delle sedute collegiali; - la deposizione, assai particolareggiata e lineare sul punto, resa in dibattimento dal teste assistito (poiché indagato nel procedimento 7362/2018 RGNR per il reato, interprobatoriamente collegato, di false informazioni al Pubblico Ministero) Fr.To. (cfr. pagg. 17-18 verbale stenotipico 9.11.2019). In verità (e ciò ulteriormente rafforza, ex post, l'interpretazione del già ben poco equivocabile testo del doc, 389 del P.M.) l'ambizioso obiettivo in questione fu poi effettivamente centrato grazie - per l'appunto - a un vero e proprio "cambio di passo" bruscamente impresso all'attività dì collocamento delle azioni. In concreto l'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011 risultò infatti finanche superiore ai 110 milioni di Euro emersi come "fabbisogno" della banca nel corso del Comitato di Direzione 8.11.2011; cfr. al riguardo i dati obiettivi esposti alla pag. 643 della gravata sentenza: "... La CT della pubblica accusa attesta infatti che al 31 dicembre 2010 le operazioni di capitale finanziato ammontano ad Euro 50 mln; esse registrano un cospicuo incremento nei 2011 raggiungendo l'importo di Euro 243 min. Significativo del cambio di passo impresso alla rete dopo la riunione del novembre 2011 è il raffronto tra l'importo del capitale finanziato al 30 ottobre 2011 pari ad Euro 109.912.486 ed il dato dei mesi di novembre e dicembre 2011f in cui si registrano operazioni finanziate pari ad Euro 134.712.500 (cfr, CT P.M.)". Ebbene, una volta assodato - in base alle considerazioni fin qui svolte - che nel Comitato di Direzione 8.11.2011 si parlò realmente dell'effettuazione di operazioni "baciate" quale unico mezzo per poter conseguire, secondo quanto poi in effetti avvenne, lo sfidante obiettivo ivi indicato come da raggiungere necessariamente entro fine anno, si osserva: a) che An.Pi. era ivi presente; b) che non risultano agli atti sue manifestazioni di stupore, né tantomeno di indignazione o comunque di dissenso rispetto alla linea così tracciata; c) che anzi, al contrario, proprio mentre ciò accadeva il PI. ebbe a scherzare ironicamente con il So. inviandogli un messaggio (in atti sub doc. 810 del P.M.) del seguente tenore: "Quelle di To. sono baciate... tra uomini, che vanno coccolati" al che il So. replicava, dopo nemmeno un minuto, "Come discorso". In ogni caso, come si vedrà subito infra, risultano dimostrati nel presente giudizio non solo il fatto che il PI. ben conoscesse - come minimo sin da allora - il fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" ma finanche il diretto coinvolgimento del predetto, negli anni a ciò immediatamente seguenti, in singole operazioni di finanziamento correlato condotte in prima persona, b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Già si è ampiamente illustrato supra il contenuto del file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) contenente la registrazione del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Con riguardo alla posizione PI. non può che ribadirsi dunque ancora una volta, nel rinviare, per il resto, soprattutto alla parte generale (paragrafo 12 della presente sentenza) nonché ai paragrafi relativi alle posizioni degli imputati GI. e MA., tutto quanto già da questa Corte ivi affermato e ampiamente argomentato - con l'ausilio di plurime citazioni di passi della relativa trascrizione, l'interpretazione dei quali, come già si è detto e y diversamente da quanto hanno sostenuto la difesa e lo stesso imputato PI. in sede di esame e dì dichiarazioni spontanee, non lascia davvero adito a dubbi di sorta - circa il fatto che: - dinanzi al consesso dei vice direttori generali, incluso il PI. che, al pari dei colleghi, non ebbe a manifestare stupore alcuno né frappose contrarietà di sorta, vennero affrontati e discussi dal d.g. Sa.So. nella maniera più aperta possibile (ma al tempo stesso con la consegna del silenzio più assoluto verso l'esterno, motivata dal So. anche con la recente pubblicazione di alcuni allarmanti quanto apparentemente ben informati articoli di stampa: cfr, pagg. 30-31 trascrizione cit.) i temi: a) dell'illiquidità dell'azione B. (con il GI. il quale, accorato, ricordava a sua volta - cfr. pag. 78 trascrizione cit. - che "... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sui "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno letto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"); b) del ricorso che fino a quel momento si era fatto, proprio al fine di ovviare a tale illiquidità e per un complessivo ammontare indicato dal d.g. Sa.So. in "un miliardo e 2" (cfr. pag. 34 trascrizione cit.), ai finanziamenti correlati "apposta per fare" (ibidem), per lo più tuttavia erogati a imprenditori vicentini sicché si rendeva necessario diversificare, sempre secondo il So., tale platea rivolgendosi anche ad altre realtà territoriali; c) dei possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per perseguire detta finalità (dovendosi tenere conto, ad un tempo: dei nuovi stringenti limiti quantitativi apposti ex lege all'entità del fondo riacquisto azioni proprie; del crescente e ormai imponente numero di reclami e di domande pendenti di vendita di titoli presentate dagli azionisti B.; dell'urgente necessità di trovare quanto prima una diversa collocazione al notevole quantitativo di azioni B. risultate ancora indirettamente detenute dai fondi esteri Op. e At.); - anzi fu proprio il PI., in quella sede, a ostentare semmai un atteggiamento cinico e beffardo di fronte alla prospettazione, da parte del collega GI., dei possibili rovinosi effetti delle scelte operate da B. al fine di mascherare la pesante illiquidità del suo titolo (cfr. pagg. 76-77 trascrizione cit.: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni ... son 15 milioni l'anno, (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"); - in quella sede il PI., nella trascrizione indicato come "VM10", e il So. (cfr. pagg. 38-41 trascrizione cit.) ebbero - con l'intervento anche del MA., sempre particolarmente sensibile, a suo stesso dire, all'esigenza di evitare dì attirare in qualsiasi modo l'attenzione degli organismi di vigilanza (cfr. pagg. 42-44 trascrizione cit.) - a delineare, sia pure in via embrionale, anche il progetto di quella che poi si sarebbe concretizzata come l'operazione "So.", riproponendosi di ricontattare più seriamente "quella persona che abbiamo visto a Roma", da identificarsi (come ha confermato lo stesso PI. pur negando poi, contro ogni evidenza probatoria come già detto nel trattare la posizione MA., trattarsi di finanziamento correlato: cfr. pag. 43 del suo esame 3.3.2020) nel teste Va.Ma. del gruppo "So.", e ciò al fine specifico (cfr. pag. 41 trascrizione cit.: - VM 10 Sì, lì mi libero di ... serviva per liberarsi dei fondi") di trovare quanto prima una nuova collocazione a una rilevante parte di quelle decine di milioni di Euro in azioni B. ancora giacenti, al 10,11,2014, nei comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri Op. e At., sui quali v. infra; - nell'ambito dell'anzidetta ricerca collettiva di possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per ovviare all'illiquidità dell'azione B. il PI., lungi dal manifestare in quel Comitato di Direzione 10.11.2014, come da lui invece sostenuto a mezzo del suo difensore oltre che in sede di spontanee dichiarazioni, ostilità e contrapposizione tout court verso la pratica del finanziamento correlato e/o verso gli obiettivi indicati dal d.g. So. come da perseguirsi ad ogni costo, viceversa ebbe a porsi in un'ottica di cooperazione dialettica col direttore generale, evidenziando pacatamente - dall'alto delle sue riconosciute e indiscusse elevate competenze - gli svantaggi e/o l'impraticabilità sul piano squisitamente tecnico di talune soluzioni ulteriori ipotizzate dal So. e suggerendone delle altre; - in quella sede il PI. diede espressamente atto, nel confermarlo al GI. (indicato nella trascrizione cit. come "VM8") che glielo ricordava (cfr. pag. 40 trascrizione cit.), di avere effettivamente già partecipato con lui in passato alla redazione di talune side letter, strumento del quale il GI.. gli indicava come indispensabile l'adozione (cfr. pag. 40 trascrizione cit.: "Sai, qui, An., bisogna Scusa, apro una parentesi, no? Qui il tema è che la gente ti dice, uno: "Cosa mi rende? Perché lo devo fare?", due: "Se il valore va giù, come mi cautelo?" E, terza cosa, se trovi un accordo, bisogna metterlo su carta, comunque devi fare una side letter, che dovremo firmare io e te ... eh ... come stiamo facendo su altre cose e ... - VM 10 (PI.): Eh, sì, lo abbiamo già fatto, ma... - VM 8: E fare in modo che ... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"; si noti per inciso la piena congruenza con il contenuto dell'appunto manoscritto sub doc. 663 del P.M. - "Trovare formula con An. per baciate" - vergato dallo stesso GI. nella propria agenda, su cui v. meglio infra, proprio nello spazio corrispondente alla data di quel Comitato di Direzione); tale indispensabilità del rilascio di side letter, secondo il GI., derivava dal fatto che nessuno ormai - circolando insistentemente finanche sulla stampa nazionale generalista, da qualche tempo, voci allarmanti circa l'effettivo valore dell'azione B. e circa la sua illiquidità - avrebbe altrimenti più accettato di acquistarne, sia pure utilizzando capitale finanziato, senza ricevere una piena assicurazione al riguardo (cfr. sempre Em.Gi., pag. 78 trascrizione cit.: "... Con questa side letter in cui gli spieghiamo che è cautelato, sennò non te lo comprano questo, perché fuori ... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sul "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno Ietto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"). Sul fatto che con il termine side letter proprio ciò - anche da parte del PI., che, pure, nel presente giudizio lo nega - si intendesse (ossia il rilascio di vere e proprie lettere di impegno al riacquisto delle azioni B. e/o alla corresponsione di interessi attivi quale corrispettivo per la loro detenzione), e null'altro, sì è già ampiamente argomentato supra nei trattare la posizione MA.. La difesa del PI. obietta che il tribunale vicentino non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla congiunzione avversativa "ma ..." pronunciata dal suo assistito nell'occasione, indice a suo avviso di mancata condivisione della tesi del GI.; al riguardo basti osservare che, quand'anche così fosse, questo non varrebbe certo a obliterare il dato, espressamente riconosciuto dallo stesso PI. nel contesto di quel Comitato di Direzione, del pregresso ricorso, anche da parte sua ("Eh, si, lo abbiamo già fatto..."), a tale strumento. Sul tema delle lettere di impegno, inoltre, v. infra per una disamina delle produzioni documentali effettuate al riguardo nel corso dell'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale. c) la vicenda "So.". Con riguardo alla vicenda "So." (episodio ove fu lo stesso An.Pi. in prima persona, come dettagliatamente spiegato dal teste Va.Ma., a condurre un'operazione avente ad oggetto un finanziamento-finanziamento - in, concreto erogato dalla controllata irlandese Fi. - correlato all'acquisto di azioni B. per 25 milioni di Euro, operazione a sua volta finalizzata a consentire l'indispensabile uscita urgente - per pari ammontare - delle suddette azioni dai fondi esteri ove esse erano state, di fatto, rese oggetto di deposito indiretto in virtù di altra precedente operazione sempre posta in essere dal PI., sulla quale v. infra), basti qui richiamare integralmente il complesso delle articolate considerazioni svolte supra a tal proposito nell'esaminare la posizione dell'imputato MA.. Ad esse va aggiunta l'ulteriore, significativa considerazione per cui al prezzo di vendita unitario dell'azione B. praticato all'acquirente in tale operazione fu applicato uno sconto non indifferente (euro 50,00= in luogo del valore ufficiale unitario di Euro 62,50=: cfr. deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, pag, 20), proprio così come era stato ventilato tanto da An.Pi. quanto dal d.g. Sa.So. nell'iniziare a delineare in via embrionale, durante il Comitato di Direzione B. del 10.11.2014, quella che poi si concretizzò come l'operazione "So.": cfr. sul punto pag. 39 della relativa trascrizione, in atti sub doc. 110 del P.M., e pag. 43 dello stesso doc. 110. d) la vicenda Ta.. Altra diretta partecipazione materiale alla "prassi" dei finanziamenti correlati in esame, che viene ascritta - fondatamente - dall'Accusa ad An.Pi., è l'operazione conclusa con l'imprenditore lombardo - operante al confine tra Como e Milano - Ed.Ta., la cui deposizione (cfr. verbale stenotipico 10.12.2019 pagg. 60-73) non è affatto scalfita, nel suo delineare una chiara operazione di finanziamento correlato, dal tenore del controesame svolto dalla difesa dell'imputato. Nel caso in questione il finanziamento - così precisa da subito il teste - era inizialmente stato erogato nella misura di 1 milione di Euro alla società della famiglia Ta. denominata Es. S.r.l. (d'ora in avanti Es.) in data 24.7.2013 da B. su richiesta della stessa Es., che voleva utilizzarlo quale finanziamento ordinario per poter fare dei normali investimenti (non in azioni B.). In seguito, tuttavia, proprio il PI. (assieme a Vi.Pi., ex direttore della filiale Cr.It. - come tale noto a Ed.Ta. - frattanto divenuto consulente commerciale per B.) ebbe, in una conversazione a tre che il teste Ta. non riesce a collocare esattamente nel tempo ma comunque successiva non di molto all'erogazione del finanziamento, a chiedere che invece Es. destinasse quel milione di Euro all'acquisto di azioni B.. Il teste Ed.Ta. è chiaro e lineare nell'affermare, in sede di esame diretto, che i due, tanto Pi. quanto PI., insistettero congiunta mente con lui affinché quel finanziamento in origine non correlato all'acquisto di azioni B. divenisse, di lì a poco tempo (l'arco temporale è comunque modesto benché non quantificato - lo si ripete - con assoluta puntualità dal teste; inizialmente il Ta. afferma di non ricordare bene; indi lo colloca nel settembre 2013; indi ancora lo descrive come successivo di un paio di mesi all'erogazione del finanziamento; infine in sede di controesame afferma nuovamente di non ricordare bene), correlato a tale acquisto. Va precisato che il PI. concorse a chiedere al Ta., assieme al Pi., solo il primo fra i più acquisti di azioni B. che lo stesso Ta. complessivamente ebbe a porre in essere: i successivi, infatti, glieli chiese, a suo stesso dire, il solo Pi.. Nondimeno il primo di tali acquisti, come sopra descritto, già rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria operazione di finanziamento correlato, in virtù della quale si può affermare che anche in tale occasione (così come accadrà con la cronologicamente successiva operazione "So.") si ebbe il comprovato coinvolgimento materiale, diretto e in prima persona di An.Pi. nel fenomeno dei finanziamenti correlati per così dire "ordinario", ossia non legato alle competenze specialistiche esercitate dal predetto PI. in seno alla Divisione Finanza da lui diretta. Secondo la difesa non sarebbe dato rinvenire alcun apporto causale del PI. in questa operazione perché il suo ruolo sarebbe stato unicamente quello di rassicurare verbalmente il Ta. sul fatto che - all'occorrenza - il fondo riacquisto azioni proprie di B., in quanto ben capiente, non avrebbe avuto difficoltà a riacquistargli celermente le azioni della banca in suo possesso (cfr. pag. 70 deposizione Ta.: "DIFESA, AVV.TO. -...non per l'acquisto delle azioni. E' corretto dire che il dottor Pi. ha soltanto rassicurata sull'operatività del fondo acquisto azioni proprie della banca? TESTIMONE TA. - E' corretto"). In realtà tale circostanza (che peraltro, a ben guardare, si pone già di per sé come l'equipollente verbale di una vera e propria lettera di impegno al celere riacquisto da parte della banca, e ciò a fronte dei dubbi esternati nell'occasione dal Ta. circa la convenienza per sé dell'operazione di acquisto azioni) è bensì stata riferita in sede di controesame dal teste Ta. ma non è certo in grado di obliterare il fatto che, nel corso del suo esame diretto, questi espressamente abbia indicato entrambi i suoi interlocutori Pi. e PI., e non già il solo Pi., come intenti a convincerlo a destinare l'affidamento, già ottenuto a luglio dalla società Es., all'acquisto di azioni B.. Anzi, qualora si contestualizzi l'affermazione resa in controesame dal teste Ta. in seno all'intera verbalizzazione del suddetto controesame appare evidente che egli, lungi dal voler smentire quanto detto in sede di esame diretto circa il carattere congiunto dell'invito rivoltogli a comprare azioni B., intendeva unicamente puntualizzare, in risposta a una precisa domanda della difesa, che il PI. - circostanza invero pacifica - non aveva viceversa preso parte all'originaria erogazione del finanziamento in favore della società Es.. e) l'appunto scritto redatto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020 (cfr. pag. 111 del relativo verbale stenotipico). Si tratta di un elemento documentale che ancora una volta dimostra non soltanto la piena conoscenza in capo al PI. del fenomeno delle operazioni c.d. "baciate" (o anche "parzialmente baciate", ossia comunque correlate pur in difetto di una totale coincidenza tra l'ammontare del finanziamento erogato e il controvalore delle azioni B. acquistate) ma altresì il fattivo apporto concorsuale da questi prestato al fine di garantire l'operatività e l'efficacia di tale meccanismo, impiegando il quale, in misura progressivamente sempre più massiccia, B. cercava di ovviare all'accentuata illiquidità del proprio sopravvalutato titolo azionario: "TESTIMONE Ro. (...) Inoltre, sempre con riferimento alla conoscenza in capo a Pi. del fenomeno relativo alla concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie tra la documentazione cartacea sequestrata presso l'abitazione di Gi. vi era un appunto manoscritto, in cui veniva riportata la frase "Trovare formula con An. per baciate" Non ho fatto personalmente questo esame, però so che tale appunto è stato collocato temporalmente nel mese di novembre 2014. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - 663, Presidente, questo l'abbiamo già prodotto. TESTIMONE Ro. - Nel mese di novembre 2014, in ragione di alcune date che erano riportate nella pagina precedente e nella pagina successiva. Nella precedente era scritto CdD 10/11 e sotto Cd A 18/11. Nella pagina invece successiva a questa frase c'era scritto 11/11/2014. In tal senso, in data 10 novembre 2014f si era tenuto il Comitato di Direzione, e in quell'anno, in quella data, quindi 18 novembre 2014, si era tenuta una riunione del Consiglio di Amministrazione della B., I Tale appunto scritto, fra l'altro, si salda perfettamente - come detto - con le parole rivolte dal GI. "VM8") al PI. ("VM10") proprio nel contesto del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014 (cfr. pag. 40 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.: "VM 8: E fare in modo che... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"). f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza quale propalante già si è ampiamente detto supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13), quanto al materiale apporto direttamente fornito anche da An.Pi. in prima persona al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B.. Si veda infatti il seguente passo di pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022: "Quindi questo (ossia le operazioni di equity swap - scambio di titoli B. con titoli Ve. - effettuate nel periodo ricompreso tra il 20.3.2014 ed il 3.10.2014 per consentirne la dismissione dai fondi esteri, sulle quali v. più ampiamente infra) è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". D'altra parte già in primo grado l'imputato GI. aveva riferito circa la piena conoscenza da parte del PI. - senza che questi avesse mai ad obiettare alcunché a tale prassi, anzi - del fenomeno del finanziamento correlato, cfr. pag. 70 verbale stenotipico 25.6.2020: PUBBLICO MINISTERO - Quindi quello che lei ha riferito fino adesso, sulle operazioni correlate, le caratteristiche, le necessità, lo svuota fondo e quant'altro, non era un argomento riservato, addirittura segreto rispetto a settori, strutture, persone della banca? Cioè, se ne parlava liberamente? IMPUTATO GI. - Assolutamente liberamente e un modo esplicito. PUBBLICO MINISTERO - E questo vale anche per i coimputati? IMPUTATO GI. - Per tutti, PUBBLICO MINISTERO - Ma., Pi. e Pe.? IMPUTATO GI. - Sì, Ma., Pi. e Pe.. PUBBLICO MINISTERO - Senta, perché Pi., era presente anche lei, se non ricordo male, ha detto che in realtà a lui, sostanzialmente, è stata tenuta segreta questa prassi, questo fenomeno dei finanziamenti correlati? IMPUTATO GI. - Era palese e conosciuto, ripeto, da tutti. q) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P,M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi tra quest'ultimo e il presidente di B. Zo.Gi. che aveva in animo di attuare formalmente un nuovo corso di netta "discontinuità" in seno alla banca, allontanandone - come poco dopo in effetti fece: le risoluzioni consensuali dei due rapporti di lavoro sono entrambe datate 8.6,2015 con decorrenza 3.6,2015, come detto supra - proprio GI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, del rilascio di plurime lettere di impegno) e PI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, della vicenda degli investimenti in fondi esteri - sulla quale v. ampiamente infra - risultati essere non collettivi e dotati di una giacenza di azioni B. nei propri comparti, oltre che unknown exposure); con ogni evidenza i due non stanno parlando dell'attività finanziaria e in particolare della vicenda dei fondi esteri, vicenda alla quale il GI. è d'altra parte ritenuto estraneo dalla stessa Accusa (tale egli è anche a detta del PI.: cfr. pag. 55 dell'esame 3,3.2020 di questi), bensì dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato che coinvolgeva, a vari livelli peraltro fra loro ben differenziati quanto alla conoscenza dell'entità e dei dettagli (fino a giungere al vertice ristretto formato dal d.g. So. nonché dai vice direttori generali e capi di Divisione, qualifica quest'ultima rivestita da GI. così come da PI.), sostanzialmente la pressoché totalità del personale della banca: "Pi.: "Mi raccomando domani con il presidente. Parla a nome di futi e due". Gi.: "Certo" Gi.: "Vedrai risolviamo". Pi.: "Penso anche io. Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori". h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'1.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Le espressioni usate dal PI. con il suo interlocutore, anche in questo caso, all'evidenza non riguardano - o comunque di certo non riguardano soltanto - l'attività finanziaria e/o la specifica vicenda dei fondi esteri sui quali v. infra, risultando estremamente plastiche ed efficaci nel descrivere il grado del costante coinvolgimento in toto dello stesso PI. in quello che, anno dopo anno, si era oramai andato consolidando come un autentico circolo vizioso generato dalla costante esigenza di trovare modalità sempre più spinte per ovviare in qualche modo all'illiquidità ingravescente del titolo azionario di B., banca ivi definita efficacemente dall'imputato "una baracca che sta in piedi con io sputo" (in stridente contrasto con il tenore - costantemente entusiastico e ottimistico - delle comunicazioni offerte dalla banca stessa all'esterno, in particolare ai soci: cfr, ad es. il già citato doc. 646 del P.M. lettera ai soci del 4.12.2014). Si noti come qui l'imputato rimproveri amaramente ex post se stesso, usando espressioni anche icastiche, per avere proseguito ad oltranza concorrendo nelle condotte illecite pur essendo egli - anche in virtù della sua indubbia preparazione professionale: ad es. il teste An. a più riprese nella sua deposizione del 4.10.2020 afferma che PI. era considerato "l'enfant gàté della banca" per i brillanti risultati conseguiti - da lungo tempo ben consapevole delle loro possibili rovinose conseguenze ("l'avevo, fra virgolette, letta, capito?, che andava... poteva andare in una certa maniera"), sostenendo di essere stato a ciò indotto, da un lato, dal proprio sentimento filoaziendalista e, dall'altro lato, dalla piega ormai consolidata, per certi versi senza ritorno ("e però sei dentro"; "fai parte di un meccanismo"), che avevano preso gli eventi: Pi. (...) perché veramente ho il vomito, perché la vicenda mia è una vicenda che ti assicuro se uno la vive ti... ti chiami coglione, hai capito?, dici: sono proprio un coglione, perché alla fine... Anche perché l'avevo, fra virgolette, ietta, capito?, che andava... potevo andare in una certa maniera. E però sei dentro... An. Eh, immagino. Pi. ...Sei dentro... sei dentro a una situazione, cosa fai? Si, spingi corri fai, vai via sempre a cento all'ora, sacrifichi tutto, eccetera, e poi quando c'è il minimo problema, capito?, eh, purtroppo... Hai visto, anche Pa., è andato via anche lui. An. SI ho sentito. Ho sentito. Pi. E niente... An. No, no, guarda, la situazio... la... la.., la cosa tua... immagino come sia andata e son le classiche robe che... che dopo ti tagliano la corda quando gli hai salvato il culo per anni, no? Pi. Eh, per forza. Certo, certo. Ma infatti io, guarda, non posso... mi chiamo coglione perché... perché dovevo... dovevo, fra virgolette, fermare prima certe cose". An. Mmh. Pi. ...chiamarmi fuori prima... Però poi, sai, eh, purtroppo, ti ripeto, fai parte di un meccanismo, di una situazione, eccetera, per cui... An. Sì. Sì, però... Pi. ...io che sono uno... filoaziendalista... (...) Pi. ...tutto quello che si è fatto per dopo avere la conclusione così... così com'è successo, quello che continua... quello che continua a accadere, perché poi lì non è ancora finita fa questione, è... è deprimente. Deprimente perché... An. Ah. Pi. ...perché (inc. voci sovrapposte) da che pulpito (risatina) che vengono certi discorsi certi ragionamenti, certi scarichi di responsabilità. Er pazzesco. Però... però lo sapevi prima e quindi dovevi essere per forza prima, mi chiamo coglione per quel motivo lì, tutto là. Eh... e va beh, oh, fa parte anche questo delle.. - delle... delle vicende umane. An. Dell'esperienza. Pi. Eh sì. Eh si. Perché poi, ti ripeto, tu mi hai riconosciuto, vedi, quanto abbiamo sempre spinto, quanto abbiamo sempre, capito?, cercato di innovare, di co... di fare per tener su in piedi la baracca. An. Certo. Pi. Perché è una baracca sta in piedi con lo sputo, capito?, per tutta una serie di cose, no?, eh... e dopo poi prendersi a pesci in faccio, perché letteralmente a pesci in faccia, insomma... Però, va beh, è andata così, dai. Omissis A corollario di tutto quanto fin qui illustrato, che già di per sé concorre a formare un solido quadro probatorio circa la compartecipazione del PI. alla complessiva prassi dell'ordinario ricorso al finanziamento correlato, può altresì ricordarsi l'episodio riferito dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale B. (cfr. pag. 20 verbale stenotipico 13.9.2019): "TESTIMONE PA. - Ecco, e io dissi (al d.g. Sa.So. il quale le aveva chiesto, presenti anche Ma.Pe. e An.Pi., di redigere un parere che dichiarasse legittime le operazioni dì finanziamento correlato appena scoperte, in numero peraltro ancora assai circoscritto, dalla società di revisione Kp.): "Questo non te lo posso dare, anzi, dissi, da legale quello che posso suggerirti è di fare immediatamente un audit per verificare se"... Siccome non è che era una posizione, ma erano un gruppo di posizioni, dico: "per verificare se questo fenomeno è un fenomeno più ampio di quello da una semplice estrazione" E il Direttore mi assalì, mi disse che... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Non fisicamente? TESTIMONE PA. - Verbalmente, verbalmente mi disse che si sarebbe trovato un altro avvocato, e che fui dormiva cinque ore per notte, e che noi dovevamo assumerci le nostre responsabilità, e... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Usò questa espressione: dobbiamo assumere.,.? TESTIMONE PA. - Sì, dobbiamo assumerci (e nostre responsabilità. Anzi, no, questo lo disse Pi., mi sembra, le responsabilità, sì; lo disse il dottor Pi., che saltò su e mi disse: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa7' Io rimasi allibita, veramente, non sono una persona, voglio dire, che si commuove facilmente, sono abbastanza tosta, ma devo dire che ero sconvolta dopo questo colloquio col Direttore/'. Vero è, al riguardo, che il coimputato PE., nel confermare per tutto il resto con estrema puntualità nel suo esame del 18.6,2020 l'episodio (incluso il violento scatto d'ira del d.g. Sa.So. quale reazione alla frase della Pa. - ivi descritta dal PE. come "molto, molto colpita" - circa l'opportunità di coinvolgere l'Internai Audit), ha viceversa affermato di non rammentare che il PI. avesse nell'occasione proferito la frase "Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa"" (cfr. pagg. 58-59 dell'esame dibattimentale reso dal PE. in data 18.6.2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pi.? IMPUTATO PE. - Quella... devo essere sincero... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, la ripeta per il verbale. IMPUTATO PE. - Per il verbale, era: "Se coinvolgiamo l'Audit",.. mi pare, l'ho vista sui... "Andiamo tutti a casa", una roba del genere. Questa io non fa ricordo. Quello che ricordo è che sicuramente il concetto della Pa. era: non è un tema solo legale, bisogna fare un'indagine e va coinvolto l'Audit. Questo sicuro, cioè che la Pa. abbia tirato fuori il tema dell'Audit, sicuro. La frase di Pi., sinceramente, non mi ricordo che rabbia detta"). Nondimeno può osservarsi che il PE., nella sua qualità di coimputato, ha tutto l'interesse a negare la circostanza, risultando altrimenti difficilmente spiegabile, da parte sua, la mancata reazione a una frase così dirompente. In conclusione non possono davvero revocarsi in dubbio - diversamente da quanto sostiene a più riprese la difesa: cfr. ad es. pag. 16 dell'atto di appello - la piena conoscenza in capo a Pi.An. di ogni segmento della complessiva prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. - quanto meno fin dall'inizio della fase in cui le fu impressa una forte accelerazione, ossia fin dagli ultimi mesi del 2011, ma in realtà da epoca ancora anteriore, v. infra - e la sua partecipazione (in più di una occasione anche diretta, in prima persona, come si è visto) a tale tipologia di condotte... Né, stante l'esaustività degli elementi probatori fin qui passati in rassegna, vi è in realtà bisogno di chiamare in causa, per valorizzarle, talune ulteriori risultanze processuali - pure indicate come rilevanti dal primo giudice - nei confronti delle quali si sono appuntate le censure, per la verità almeno in parte centrate, della difesa, ossia: a) il passo della deposizione di Ma.So. (pag, 57 verbale stenotipico 29.10,2019) ove il teste afferma che gli pare di ricordare di avere sentito u/7 dottor So. e il dottor Pi. che parlavano di strutturare delle operazioni volte anche ad acquisire capitale Ne stava parlando o il dottor So. o il dottor Pi.. Questo non me lo ricordo, citando al riguardo, dopo un'iniziale difficoltà a rammentarne i nomi, il gruppo imprenditoriale Fe. e il Fo.Ag.. In verità, come ha correttamente puntualizzato la difesa, il teste Lu.Fe. - cfr. suo esame dell'11.7.2019, in particolare pag. 16 - non ha in alcun modo citato il PI. quale partecipe ai finanziamenti correlati riguardanti il suo gruppo imprenditoriale, menzionando unicamente So., Gi. e un capoarea dell'Emilia-Romagna, mentre il teste ispettore Gi.Ma. ha espressamente escluso, in relazione al Fo.Ag., che si fosse in presenza di capitale finanziato, cfr. pag. 68 della sua deposizione 26.10.2019: "Queste operazioni di acquisto non le abbiamo considerate finanziate perché abbiamo ritenuto, insomma, che i soldi non provenivano da un finanziamento ma da una vendita cioè i fondi avevano venduto delle quote e con queste quote avevano avuto la disponibilità per comprare 10 milioni di azioni. Quindi giugno 2012, alcuni Consorzi comprano 10 milioni di azioni non ritenute finanziate da noi"); b) la vicenda Fa.. In realtà, come ha riconosciuto in sede di requisitoria nel presente grado di giudizio lo stesso rappresentante dell'Accusa (cfr. pag. 7 della memoria depositata dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 nonché pag. 48 del relativo verbale stenotipico), l'imprenditore tessile An.Fa. - era soggetto economicamente molto abbiente, non aveva bisogno di denaro dalla Banca, ma era fui che desiderava investire in modo redditizio, sicuro e a breve termine", sicché non si è qui in presenza di un finanziamenti, correlato all'acquisto di azioni B., le quali furono sicuramente acquistate dall'imprenditore An.Fa. - che aveva esposto proprio al PI. tale sua disponibilità all'acquisto: cfr. pagg. 55-56 deposizione Fa., verbale stenotipico 10.7.2019 - con denaro proprio, investito in parte in azioni della banca e in parte in PCT (pronti contro termine). Risponde inoltre al vero l'assunto difensivo secondo cui la vicenda Fa., per il suo carattere risalente nel tempo, si colloca al di fuori del perimetro del capo di imputazione, che si riferisce al periodo 2012-2015. Nondimeno, restando nell'ambito della vicenda Fa., si pone come ugualmente assai rilevante ex se (perché offre la cifra di quanto il coinvolgimento del PI. nell'illecita operatività "ordinaria" di B. fosse in realtà molto datato e consolidato) il dato documentale emergente dalle produzioni effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 aventi ad oggetto le stampe cartacee di alcune e-mail, e relativi allegati, estrapolate dall'hard disk n. 5 già facente parte, come supporto fisico, del fascicolo del dibattimento. Tale dato documentale è indice inequivoco di un diretto coinvolgimento del PI. in prima persona - e ciò, per l'appunto, almeno a far tempo dal 2010, ossia oltre un anno prima dell'accentuata accelerazione, di cui si è detto supra, impressa al volume complessivo delle operazioni correlate a seguito delle decisioni prese nel Comitato di Direzione 8.11.2011 - nella redazione e/o supervisione del testo di talune lettere nelle quali la banca si impegnava ad assicurare all'imprenditore Fa., in relazione ai suoi investimenti presso B. (non da essa finanziati), il beneficio di una assai vantaggiosa remunerazione. Tra le anzidette lettere redatte con l'apporto, quanto meno in termini di supervisione, del PI. vi sono per l'appunto - come è ben documentato rispettivamente dalla e-mail sub ali. 2 e dalla e-mail sub ali. 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale - le seguenti: - bozza non sottoscritta dì una lettera datata 15 dicembre 2010 a firma Sa.So. (già prodotta nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., in primo grado dal P.M. quale doc. 90 ed esibita al teste Fa. nel corso del suo esame dibattimentale); - bozza non sottoscritta di una lettera (che il teste Fa. ha spiegato riguardare una distinta e precedente operazione) datata 8 ottobre 2010 a firma Sa.So. (non potuta esibire nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., al Fa. in sede di esame dibattimentale ma alla quale lo stesso teste ha in ogni caso fatto espresso riferimento alla pag. 55 della sua deposizione 10.7.2019 e che è comunque citata nel contesto testuale del doc. 90 del P.M.). La remunerazione riconosciuta all'investitore Fa. corrispondeva in concreto a un tasso attivo quantificato per la più risalente operazione (8 ottobre 2010) in misura pari al 3% netto su base annua (cfr, e-mail 8.10.2010 sub ali, 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.) e indi, a partire dall'operazione ad essa successiva (15 dicembre 2010), quantificato in misura pari al 3,1% netto su base annua e al 3,5428% lordo su base annua (cfr. e-mail 14.12.2010 sub ali. 2 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.). Il teste Fa. ha spiegato - cfr, pag. 55 della sua deposizione, cit. - che mai egli, pur disponendo di abbondante liquidità propria da investire, si sarebbe indotto ad acquistare, con essa, azioni B. se non gli fosse stata assicurata una siffatta appetibile remunerazione (in aggiunta a una parimenti da lui pretesa garanzia di pronta liquidabilità dei titoli a semplice richiesta, come poi in effetti avvenne nel maggio 2013: cfr. l'all. 6 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale): Omissis Si tratta, a ben guardare, di un contegno pur sempre rientrante, benché in assenza dì un finanziamento correlato, nella medesima ottica (quella cioè per cui B. si è mostrata, nel tempo, sempre più disposta a spendere senza esitazioni denaro della banca - vuoi in forma di finanziamento vuoi in altre forme come quella della non dovuta remunerazione con elevato tasso attivo - pur di assicurare la protratta giacenza presso terzi del massimo quantitativo possibile di azioni proprie). In relazione alla vicenda Fa. l'imputato PI. ha invero sostenuto, in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 40-41 del verbale stenotipico 3.3.2020), che il tasso attivo di interesse riconosciuto all'imprenditore nelle suddette operazioni ebbe a riguardare unicamente la parte di investimento in pronti contro termine e non anche quella in azioni B.. Così non è, viceversa, secondo la ricostruzione del teste Fa. (teste al quale nemmeno la difesa del PI. ha mai inteso muovere censure di inattendibilità e che - in effetti - non vi è ragione alcuna di ritenere poco credibile), il quale in sede di esame ha specificato con estrema chiarezza che il rendimento in questione riguardava anche la parte dell'investimento costituita dall'acquisto di azioni B. (cfr. pagg. 62-63 verbale stenotipico 10.7.2019): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Un particolare, chiedo scusa, signor Presidente. Senta, Ingegnere, lei si ricorda se in questo accordo complessivo per questo investimento con Banca (...) le fu garantito un rendimento anche per quanto riguarda la quota di investimento In azioni Banca (...)? TESTIMONE Fa. - Sh era tutto compreso, era tutto compreso. PUBBLICO MINISTERO. DOTT. Sa. - Anche quella quota? TESTIMONE Fa. - Era tutto compreso. D'altro canto tali affermazioni del Fa. (circa il tasso attivo d'interesse da lui pattuito con B. quale remunerazione del suo investimento complessivo, dunque anche per la parte di esso costituita dalle azioni della banca sono puntualmente riscontrate nei seguenti termini dalle summenzionate produzioni documentali poste in essere il 19.9.2022 dalla Procura Generale: - il testo della prima missiva dell'8 ottobre 2010 (non potuto esibire in primo grado, come detto, né al teste Fa. né all'imputato: cfr. pag. 55 esame Fa. cit.) riferisce senz'altro, nel suo secondo paragrafo, il rendimento annuo all'operazione di investimento intesa nel suo complesso: "Alla scadenza dei primi sei mesi provvederemo a reitare (sic) l'operazione per il periodo da lei gradito come orizzonte temporale dell'investimento ad un tasso fissato e certo che sarà tale da conguagliare il rendimento target obiettivo dell'insieme di operazioni, onde assicurarLe un rendimento annuo netto del complessivo investimento e sino al " mantenimento del suo ammontare massimo del 3% netto su base annua"; - il testo della seguente missiva del 15 dicembre 2010 ribadisce, nel suo terzo paragrafo, ancor più chiaramente il concetto: "Si aggiunga che, anche per il precedente investimento di Eur 70 min, di cui Eur 20 mln circa in azioni di Banca (...) e Eur 50 mln in pct, il rendimento che Le verrà riconosciuto fino alla scadenza (...) sarà pari al 3,1% netto su base annua (3f5428% lordo su base annua) per l'intera durata dell'investimento rispetto a quanto precedentemente concordato (3% netto su base annua corrispondente a 3,4285% lordo su base annua) - si veda lettera di accordo dell'8 ottobre u.s. a firma dei Direttore Generale dott. So.. Più in generale può dirsi che tutte le produzioni documentali effettuate all'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale ulteriormente confermino, sul tema specifico delle lettere di impegno, quanto - come detto supra - già emerge in ogni caso con chiarezza dal tenore del Comitato di Direzione 10.11.2014, ossia una lunga, risalente e consolidata dimestichezza del PI. con la redazione e/o quanto meno con la supervisione, finalizzata al successivo inoltro a chi di fatto doveva poi sottoscriverle, del testo di lettere che si possono sicuramente definire come lettere di impegno della banca (si noti, per inciso, che anche il teste Fa. nella sua deposizione 10.7.2019, cfr. ad es. pag. 58 del relativo verbale stenotipia), le definisce "side letter", così come esse vengono chiamate dai vertici manageriali di B. nel corso di quel Comitato di Direzione): a volte l'impegno assunto era al solo riacquisto delle azioni B. detenute dai loro destinatari, altre volte l'impegno assunto era finanche alla corresponsione di remunerazioni sotto forma di tassi di interesse attivi - tanto generosi quanto non dovuti - a fronte di tale detenzione. Si vedano ancora a titolo esemplificativo, sempre nell'ambito di tali produzioni documentali dd. 19.9.2022 del Procuratore Generale, due facsimili entrambi risalenti all'anno 2011: l'ali. 1 (missiva 1.9.2011 di Em.Gi. indirizzata ad An.Pi., recante come oggetto la dicitura - estremamente riservata" e come testo la richiesta "Ci dai un occhio"), con un allegato file Word denominato "standard K.docx" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione "Egregio Dottore XXX, Vicenza, XXX settembre 2011", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente dì azioni B. per un controvalore di 13 milioni di Euro, un rendimento pari al 4% lordo su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto; l'ali. 5 (missiva 4.11.2011 di Gi.Ta. - soggetto operante in B. dal 2010 al 2013 con le mansioni di responsabile della Direzione Private e Affluent in seno alla Divisione Mercati - indirizzata ad An.Pi. nonché a Co.Tu. della Divisione Mercati, quest'ultimo avente all'epoca le mansioni di Direttore commerciale e responsabile del coordinamento commerciale della rete - recante come oggetto la dicitura Bozza contratto Riservata" e come testo - La aspettavate ... Eccola, naturalmente da riadattare"), con un allegato file Word denominato "(...)" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione Vicenza, 26/10/2011 (...) ...", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente di "ulteriori" 8 milioni di Euro di azioni B., un rendimento pari al 3,5% netto su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, non possono revocarsi in dubbio, e ciò quanto meno sin dall'anno 2011, ma in realtà (v. le produzioni documentali effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022) da epoca ancor più risalente, tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuata in B., considerata in ogni suo segmento e articolazione (incluso il rilascio di lettere di impegno), quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte pur nella consapevolezza (cfr. la citata conversazione captata n. progr. 360 dell'I.9.2015) delle sue inevitabili conseguenze. A ciò già di per sé consegue, fra l'altro, l'infondatezza radicale dell'assunto difensivo secondo cui l'operato del PI. avrebbe causalmente inciso, a tutto voler concedere, in proporzione numericamente quanto mai modesta sull'entità e sul volume complessivi delle operazioni poste in essere nell'ambito di B. e illecitamente non scomputate dal patrimonio di vigilanza. A tale ultimo proposito, d'altra parte, non può non osservarsi che, anche non volendo considerare all'uopo, in ipotesi, il concorso (viceversa dimostrato, come sì è visto) del PI. in ogni segmento dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato (non certo solo per i complessivi 25 + 1 milioni di Euro in azioni B. complessivamente acquistati dal gruppo "So." e dall'imprenditore Ta.), limitandosi quindi a valutare le sole operazioni ascrittegli come direttamente rientranti nelle competenze della Divisione Finanza da lui diretta, risulterebbe ugualmente elevata la suddetta proporzione numerica, con conseguente indiscutibile "materialità" della sua condotta, tenuto conto: - del fatto che - come più analiticamente si illustrerà infra al par. 14,1,4.5. - il controvalore originario delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri Op. e At., rimasto tale quanto meno per tutto Tanno 2013 prima di ridursi, al giugno-luglio 2014, a 52,4 milioni di Euro, era pari a 60 milioni di Euro (cfr. pagg. 8-21 della deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10,2019; la cifra esatta è pari a Euro 59.972.000,00=); al riguardo tanto la difesa del PI. quanto il predetto imputato in sede di spontanee dichiarazioni rese il 15,7,2022 hanno insistito nel perorare l'assunto della modesta incidenza del suddetto importo sul patrimonio di vigilanza. Ebbene, così non è già in relazione a tale singola posta. Gli acquisti di azioni B. operati tramite i fondi esteri Op. e At. risultarono infatti decisamente determinanti, in prossimità della fine dell'anno 2012, nel consentire di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie di B., equivalendo già solo essi, per importo, a un quarto del valore complessivo dell'anzidetto fondo, nell'entità considerevole (240 milioni di euro) che esso aveva all'epoca (la quale venne successivamente di molto ridotta ex lege); - del fatto che in quello stesso scorcio finale dell'anno 2012 il PI., nell'esercizio delle sue specifiche competenze quale direttore della Divisione Finanza, ebbe a curare anche la ben distinta operazione dei finanziamenti alle tre società lussemburghesi Ma. ed altre, immediatamente da esse girati alle tre società italiane Pe., Gi. e Lu.. Operazione, questa, che - come più analiticamente si illustrerà subito infra al par. 14.1.3.4. - da sola consentì, e ciò quando ormai si era giunti ancor più a ridosso del temuto traguardo di fine anno entro il quale andava svuotato il fondo riacquisto azioni proprie, di farne uscire - oltre ai 60 milioni di cui sopra - anche ulteriori 30 milioni di Euro in azioni B. (quindi in realtà l'impatto dell'operato del solo direttore della Divisione Finanza sullo svuotamento del fondo riacquisto azioni proprie a fine 2012 ammontò, trattandosi di 90 milioni di Euro complessivi, addirittura al 37,5% della sua capienza massima dell'epoca); inoltre a quei 30 milioni si aggiunsero nel 2013 altri 3 milioni di Euro in azioni B., questa volta in occasione - cfr. pag. 57 deposizione ispettore Em.Ga. del 26.9.2019 nonché pagg. 22-23 e pag. 25 deposizione ispettore Gi.Ma. del 26.10.2019 - dell'aumento di capitale di quell'anno. 14.1.3.4. I finanziamenti effettuati in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (girati immediatamente da queste alle società italiane Pe., Lu. e Gi.) negli anni 2012 e 2013, Una peculiare modalità di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., posta in essere - come emerge dall'istruttoria dibattimentale - con il diretto e determinante apporto causale di An.Pi., riguarda i finanziamenti effettuati dalla controllata irlandese Fi. in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (con i relativi importi girati pressoché immediatamente, a mezzo bonifico, da queste ultime - rispettivamente - alle neocostituite società italiane Pe., Lu. e Gi., le quali a loro volta con tali provviste acquistavano, di lì a poco, corrispondenti importi di azioni B.) tanto nell'anno 2012 quanto nell'anno 2013. Fondamentale al riguardo è anzitutto, nel suo delineare con chiarezza i termini e i passaggi dell'articolata operazione, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10,2019; cfr. in particolare le pagg. 23-25 del relativo verbale stenotipico nonché l'ivi citato doc. 380 del P.M., costituito da un dettagliato prospetto riepilogativo delle anzidette operazioni redatto dallo stesso teste Ma., grazie al quale si può immediatamente notare la strettissima contiguità temporale esistente tra: a) la data della delibera del finanziamento in favore di ciascuna delle tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (10 milioni di Euro a testa), rispettivamente 11.12.2012, 14.12.2012 e 7.12.2012; b) la data del bonifico effettuato (per pari importo, solo lievemente maggiorato) da ciascuna delle suddette tre società lussemburghesi in favore di ciascuna delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., rispettivamente 27.12.2012, 27.12.2012 e 14.12.2012; c) la data dell'acquisto di azioni B. per pressoché pari importo da parte di ciascuna delle suddette tre società italiane, che per tutte e tre è il 27.12,2012 (analoghe strettissime tempistiche connotano le similari operazioni poste in essere, per un minore ammontate pari a tre milioni " complessivi di Euro, uno a testa, tra il mese di luglio e il giorno 2 settembre 2013 in occasione dell'aucap B. di quell'anno). Questa la puntuale ricostruzione del teste Ma.: "(...) PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Senta, per aiutarla e per aiutare anche la comprensione di tutti io le esibirei il documento 380 della produzione del Pubblico Ministero (...), Che cos'è, innanzitutto? TESTIMONE MA. - Questo qua? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì (il documento che le ho fatto vedere. TESTIMONE MA. - Questo è un mio riepilogo schematico, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E' il suo riepilogo, è un appunto fatto da lei quindi? TESTIMONE MA. - Sì, sì, sì, esce dal mio computer. E' un riepilogo, insomma, di quello che è successo sulle tre sorelle Pe., Lu. e Gi. nel 12, nel 13, nel 14 no perché non le trovammo finanziate. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Partiamo da sopra, dal 12, sbaglio? TESTIMONE MA. - Okay, Come vedete ci sono tre date, quelle sono le date di proposta finanziamento e data di delibera di... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - A sinistra? TESTIMONE MA. - A sinistra. Di tre fidi di 10 milioni ciascuno concesso da Po.Vi. Fi., Irlanda, a tre soggetti chiamati Br., Ju. e Ma.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a sinistra è, diciamo così, il trasferimento di denaro? TESTIMONE MA. - No, no, no, la prima colonna sono le date di delibera del fido. La banca decide in quelle date di dare 10 milioni, 10 milioni e 10 milioni a Br., Lu. e Gi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quale banca, dottore? TESTIMONE MA. - Irlanda. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Bp.? TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dai Comitato Crediti della Capogruppo. Io cfho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti delta Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo". (...). Okay. Tra il 14 dicembre terza colonna, data bonifico, tra il 14 dicembre e il 27 dicembre 12 queste tre società, Br., Ju. e Ma., mandano in effetti questi bonifici a Gi., Lu. e Pe.: mandano 11.600.000, 11.02S.000, 12.900.000 a Lu., Pe. e Gi.. (...) Ma. si accoppiava con Pe., come vedete dalla quarta e quinta colonna, Ju. si accoppiava con Lu., Br. si accoppiava con Gi.. (...). Cosa entra sui conti di Gi., Lu. e Pe.? Entrano questi bonifici in data 14 dicembre uno, 27 dicembre il secondo, 27 dicembre l'altro, e il 27 dicembre 12 tutti e tre mi comprano, in contropartita al fondo mi comprano una trentina di milioni di azioni. Questo vuoi dire praticamente che quei bonifici che sono entrati in realtà erano frutto del finanziamento che Bp. aveva fatto praticamente alle tre sorelle lussemburghesi, le quali a loro volta avevano trasferito alle tre sorelle italiane un importo leggermente maggiorato e con le quali poi hanno comprato azioni. Sui conti delle italiane non c'erano altre operazioni, cioè nel senso che, comunque sia, era facile stabilire la correlazione 1 a 1 tra il bonifico in entrata e l'acquisto di azioni, perché i conti delle tre italiane erano conti pressoché vuoti. Fatemi controllare, scusate. C'erano alcune partite di 10.000 Euro, 1.200 Euro qua, 10.000 Euro e 500 Euro qua, insomma non c'erano grosse partite che potevano portarmi a ritenere che c'erano tantissimi movimenti dare/avere tali per cui, insomma, non riuscivo a identificare quel bonifico all'acquisto delle azioni. Ma dietro quel bonifico c'è il fido dell'Irlanda, quindi Irlanda dà i soldi alle tre sorelle lussemburghesi, trasferiscono i soldi alle tre sorelle italiane, le quali mi comprano azioni del 2012. Queste azioni del 2012 sono le azioni in contropartita al fondo e quindi contribuiscono nel 2012 all'uso il termine "svuotare" il fondo, anche se questo termine poi arrivò alle mie orecchie alla fine dell'ispezione, contribuiscono a ridurre il fondo di 30 milioni, insieme ai 60 dei fondi At. e Op., insieme ai 10 della Ze. S.r.l.. Un'identica, uguale operazione sulle tre sorelle viene compiuta net 2013 in sede di aumento di capitale; ovviamente gli importi sono diversi, sono più bassi, ma l'operazione viene replicata uguale e identica nella forma e nella sostanza, cosa che cambia è gli importi, e gli importi li potete vedere in quella tabella chiamata "Acquisti primario 13", in cui erogano 3 milioni e mi comprano 3 milioni. Quindi l'Irlanda eroga 3 milioni, Ma., Br. e Ju., che si sono presi i milioni, me li trasferiscono immediatamente a Lu., Pe. e Gi., i quali a loro volta mi comprano, anzi, mi sottoscrivono in quel caso l'aumento di capitale dei 2013. Queste sono le operazioni riguardanti le tre sorelle lussemburghesi e italiane. La struttura di tali operazioni, connotate dalla sopra descritta triangolazione (senza, cioè, che in questo caso si fosse erogato un finanziamento direttamente utilizzato dal soggetto finanziato per acquistare azioni B.), era all'evidenza funzionale a dissimularne assai efficacemente la natura di finanziamento correlato, tanto che il teste Ma. ha ricordato, nei dettagli come la sua attenzione solo per un puro caso si appuntò sulle operazioni suddette, le quali hanno dunque concretamente "rischiato" di superare indenni l'ispezione Bc. del 2015 (cfr. pag. 22 deposizione Ma.). Gli indici della finalizzazione esclusiva di tali triangolazioni a null'altro se non alla realizzazione di una forma particolare - e più sfuggente ai controlli - di finanziamento correlato sono plurimi ed evidenti: - si trattava di società neo-costituite, tanto le tre lussemburghesi quanto le tre italiane, tutte facenti capo al gruppo Fi., i cui titolari, Ma. e De., già nel 2011 avevano peraltro concluso con B., sia pure a quel tempo non nella persona del PI., operazioni di finanziamento correlato c.d. "baciate parziali" (su tale ultimo punto cfr. pag. 45 deposizione teste Gi.Gi., verbale stenotipico 16.7.2019; "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi c'è questa società che è già cliente della banca. Che tipo di operazione impostate e con quali soggetti giuridicamente? TESTIMONE GI. - Vengono impostate due operazioni: una con la Società David e una con la Società Ma.Gi.. Un'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi Ma. presumo facesse riferimento a Ma. uno dei titolari? TESTIMONE GI. - Sì, sì. E David ad An. De., che era l'altro titolare, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Okay, prego. TESTIMONE GI. - Impostammo un paio di operazioni, se non ricordo male, di valore più ampio rispetto a quella dell'operazione, sempre nell'accezione che dicevo prima, l'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi parzialmente baciata, sarebbe? TESTIMONE GI. - Esatto. L'operazione era di 600-700 mila Euro, se non ricordo male, e la linea di credito poteva essere di 1 milione, ecco, una roba di questo tipo"); - non era ben chiaro quale fosse il loro oggetto, in ogni caso estraneo all'attività produttiva di beni, né - soprattutto - emergeva quali garanzie esse offrissero, sicché può ben dirsi che la valutazione del merito creditizio nei loro confronti fu effettuata in maniera eufemisticamente definibile come assai sbrigativa. E il Comitato Crediti che sì occupò di esaminare le relative PEF fu - si badi - esclusivamente quello della controllante capogruppo B.: cfr. pagg. 30-31 della deposizione del teste Pi.Ra., verbale stenotipico 21.11,2019 ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ecco, ora, siccome l'ho interrotta, ma volevo chiarire questo aspetto, tornando a quello di cui lei ci stava parlando, e le faccio una domanda di carattere più generale: quando c'era da valutare in un'operazione di questo tipo, analoga, insomma, il merito creditizio, autonomamente procedeva Bp. o si appoggiava? TESTIMONE PA. - Sempre appoggiata a... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè, perché? Perché era necessario? TESTIMONE PA. - Perché, per procedura, la parte creditizia era di spettanza della Po.Vi.") nonché pag. 40 ibidem ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ma voi avevate, come dire, la struttura, le persone per fare una valutazione di merito creditizio? TESTIMONE Ra. - Avevamo un Comitato d'investimenti, ma che sulla parte creditizia non... semplicemente recepiva qual era la valutazione che aveva espresso la... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Capogruppo? TESTIMONE Ra. - Capogruppo. Quindi sulla parte di erogazione del credito si esprimeva soltanto sulla congruità del tasso d'interesse praticato, perché se poi io mi dovevo andare a finanziare a dei tassi superiori a quello che era il tasso che aveva incassato con l'erogazione del prestito, allora a quel punto il Comitato si sarebbe potuto opporre. Ma non sulla parte creditizia, valutazione delle garanzie, solidità del debitore e quant'altro"). Il teste Ra. è in ciò - si noti - pienamente riscontrato dalla deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, a pag. 24 ("TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bullet a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre -; "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo".") e indi nuovamente a pag. 88; - il teste Ra., direttore generale della controllata Fi., ha in ogni caso efficacemente descritto la penuria estrema di dati disponibili per un serio controllo del merito creditizio da parte del Comitato Crediti della capogruppo B. a Ciò preposto: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Parliamo, quindi, sempre delle Ju., Ma. e Br.. TESTIMONE Ra. - Si PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Lei sa che documentazione aveva a disposizione il Comitato Crediti o, non so, se era il Comitato Crediti competente, ma insomma, per valutare il merito creditizio? Che documentazione ha utilizzato? TESTIMONE Ra. - Credo avesse un business pian di futura redditività dell'azienda, fatta di titoli e di finanziamento, un business pian molto semplice. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - E cioè, contenente cosa? TESTIMONE Ra. - li portafoglio titoli che ho citato prima, da una parte, e al passivo il finanziamento che aveva erogato, più capitale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ai tempo usò un'altra espressione, però fe chiedo che cosa voleva dire. Sempre il verbale del 20 febbraio 2017 disse, con riferimento ai business pian usò un altro aggettivo; "scarso, stringato". TESTIMONE Ra. "Sì, cioè è un foglio con, da una parte, l'attivo e, dall'altra, il passivo del finanziamento. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Non c'era nient'altro da valutare? TESTIMONE Ra. - Io non ho visto nient'altro"; - le sopra citate PEF, analizzate dal Comitato Crediti della capogruppo B., erano oltretutto caratterizzate da una causale quanto mai generica (cfr. pag. 24 deposizione teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 22.10.2019: "TESTIMONE MA. - Bp., sì, si Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo" Se volete le apro tutte e tre fe PEF, però... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sono uguali? TESTIMONE MA. - Pressoché uguali, sono pressoché uguali")) causale in ogni caso disattesa: il finanziamento infatti, come si è visto, venne da ognuna delle tre società lussemburghesi destinato, mediante immediato bonifico bancario, alla creazione della provvista - prima inesistente - grazie alla quale le loro consorelle italiane poterono, a strettissimo giro, procedere all'acquisto di azioni B.; - l'apertura dei conti correnti delle società italiane Pe., Lu. e Gi. presso B. fu richiesta al teste Gi.Gi. (all'epoca in B. con mansioni di direttore regionale Lombardia-Liguria-Piemonte basato in Milano, ove la controllata irlandese Fi. si appoggiava - così ha spiegato lo i stesso teste Gi. alla pag. 70 della sua deposizione - in quanto priva di strutture operative proprie) da Ma.Sb., amministratore del gruppo Fi., in epoca subito successiva alla delibera dei finanziamenti in favore delle tre società lussemburghesi e i menzionati conti correnti vennero alimentati proprio con la provvista derivante dai suddetti finanziamenti, frattanto bonificati alle tre società italiane che di lì a pochissimo acquistarono le azioni B. costituenti il loro unico asset (sul punto cfr, pag. 72 deposizione teste Gi., verbale stenotipico 16,7,2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Cosa le disse Sb.? Lei ha avuto mica colloqui con Sb. su questa operazione? TESTIMONE GI. - No, mi disse: "Guarda, sono d'accordo, adesso ci sono da aprire questi tre conti correnti", decidemmo di aprirli poi presso fa sede di via Turati; arrivarono, appunto, questi quattrini e poi si sottoscrissero dai vari amministratori delle tre società le azioni"). Il ruolo di impulso rivestito dall'imputato An.Pi. nelle anzidette operazioni emerge a sua volta con nettezza dall'istruttoria dibattimentale. Il teste Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi., così si è espresso sulle anzidette operazioni nel corso della sua deposizione (cfr. verbale stenotipico 21.11.2019): - pag. 28: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dottor Ra., senta, vorrei proprio approfondire questa vicenda Ju., Ma. e Br. in tutti i suoi aspetti, per cui se può fare mente locale e ci racconti quello che si ricorda, poi eventualmente le faccio delle domande di precisazione. TESTIMONE Ra. - Quindi immagino debba raccontare come sono nate le operazioni. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dall'inizio, sì, io partirei da come sono nate, TESTIMONE Ra. - La Divisione Finanza mi ha comunicato che c'era da fare questi finanziamenti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Divisione Finanza è un soggetto inanimato? TESTIMONE Ra. - No, si chiama An.Pi., perché il dialogo ce l'avevo con lui. Mi ha comunicato che dovevo fare questi ..., che la società doveva erogare questi..."; - pag. 32: "TESTIMONE Ra. - Per la parte banca con la persona che ho detto prima, parlavo con An.Pi., mentre invece presso queste società... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì, no, per Ma., Ju. e Br.? TESTIMONE Ra. - Con Ma.Sb. di Finanziaria Internazionale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E perché si è rivolto a Sb.? TESTIMONE Ra. - Perché è la persona che mi è stata indicata da... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Da chi? TESTIMONE Ra. - ...An.Pi. come referente per la parte delle tre società"; - pagg. 36-37: Omissis - pag. 38: Omissis Il teste Ra., nell'escludere che la controllata irlandese Fi. - della quale egli era il direttore generale - disponesse all'epoca dì margini di autodeterminazione, ha altresì affermato - cfr, pagg. 26-27 ibidem - che ""L'unica possibilità di disattendere le indicazioni di Pi. erano di fatto le dimissioni (..,). Bisogna distinguere, secondo me, un periodo che va dal 2003 fino al 2012 e un perìodo successivo al 2012. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Perché bisogna distinguere? TESTIMONE Ra. - Perché nel 2012 l'invasività della Divisione Finanza nella gestione di una parte, non di una totalità ma di una parte, dell'attivo della Fi. era diventata motto presente, molto incisiva, molto pressante. PRESIDENTE - Dal 2003 al? TESTIMONE Ra. - Dal 2012 fino al 2015. E quindi, come dire, bisogna distinguere due fasi: una fase che va dal 2003 fino al 2012, nella quale c'è stata condivisione, c'è stato un allineamento nella gestione strategica dei portafogli, ma c'era un'autonomia pressoché completa nella gestione della società; e poi una nuova fase, che è quella che è iniziata con il 2012, ha visto un crescendo di ... diciamo così, di partecipazione nella gestione, dal 2012 fino al 2015, quando poi l'attività si è sostanzialmente interrotta. ". La difesa ha insistito nel richiedere la declaratoria di inutilizzabilità della deposizione del teste Ra. per asserita violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. Trattasi di istanza motivatamente respinta da questa Corte con l'ordinanza 18.5.2022, rispetto alla quale nessuna sopravvenienza è stata acquisita, sicché valgono tuttora le considerazioni ivi svolte (anche con riguardo all'utilizzabilità della deposizione Ra. sulla distinta vicenda dei fondi esteri che verrà analizzata infra), considerazioni che per praticità qui si riportano in nota. Ciò posto, ritiene questa Corte che non siano fondate neppure le subordinate censure difensive di inattendibilità del teste Ra.. Per quanto attiene alla vicenda qui in esame - come pure perciò che concerne la distinta vicenda dei fondi esteri sulla quale v. infra - r riscontri alle dichiarazioni di Pi.Ra. sono plurimi. Già si è detto di come risulti effettivamente dimostrato, nel presente giudizio, che Fi.; a) non era neppure dotata dì una struttura operativa propria, tanto da dover utilizzare all'uopo quella milanese della controllante capogruppo B.; b) non era neppure in grado dì procedere da sé, con un minimo di autonomia, a un'attività delicata e fondamentale come fa verifica del merito creditizio nei confronti dei soggetti aspiranti a ricevere da essa finanziamenti, provvedendovi invece il Comitato Crediti della capogruppo controllante B. (si noti che ciò non fu un unicum circoscritto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e delle loro tre controllate italiane; si trattava viceversa della regola generale per Fi.: cfr., pag., 19 della deposizione 26.10.2019 del teste ispettore Gi.Ma., il quale descrive l'analogo iter - anche in quel caso connotato dalla verifica del merito creditizio condotta dal Comitato Crediti della capogruppo controllante B. - seguito nella ben distinta vicenda del finanziamento correlato erogato proprio dalla società irlandese Fi. al gruppo "So.", del quale si è detto supra; a tale ultimo proposito, anzi, si osserva che proprio la vicenda "So." plasticamente conferma gli assunti del teste Ra. in ordine alle pesanti ingerenze esercitate, a far tempo dal 2012, dalla Divisione Finanza della capogruppo controllante B. nei confronti della controllata irlandese Fi., di fatto in più occasioni utilizzata dalla prima come un mero utile strumento tramite il quale poter più agevolmente porre in essere operazioni "scomode"; ed invero lo stesso teste Va.Ma., legale rappresentante del gruppo "So.", nemmeno si aspettava, avendo egli condotto la trattativa esclusivamente con An.Pi. e con il d.g, Sa.So. di B., che alla fine il finanziamento correlato, pari a 25 milioni di Euro, gli venisse erogato da Fi., società a lui fino a quel momento ignota: cfr. pag. 59 deposizione Ma., verbale stenotipico 12.12.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Si ricorda se, durante le trattative, se si possono definire così, le venne anticipato che, in realtà, il finanziamento arrivava da questa società? Lei la conosceva questa società irlandese? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"). Dal canto suo il teste ispettore Em.Ga. ha evidenziato, riguardo a Fi., quanto segue, il che è a sua volta del tutto congruente con la rivendicazione, da parte del teste Pi.Ra., della ben scarsa autonomia della controllata irlandese rispetto alla capogruppo e in particolare rispetto alla Divisione Finanza di quest'ultima: "TESTIMONE Ga. - C'era anche nel mandato di ispezione l'obiettivo dì dare un occhio particolare all'operatività di Br.. Bp. è una società che faceva parte del Gruppo Po.Vi., una controllata di diritto irlandese, che era stata costituita, sostanzialmente, con obiettivi, quando un po'tutte le banche italiane, anche in virtù del particolare regime fiscale di favore che ha l'Irlanda, costituivano società all'estero in Irlanda; che non è mai decollata in maniera significativa, faceva un po' di operatività acquistando titoli originari da cartolarizzazioni, quindi con sottostanti crediti, cose di questo genere, Ma operatività sostanzialmente poco significativa in termini dimensionali. Quindi noi, nel fare le verifiche su Bp., abbiamo verificato che nell'attivo creditizio, premesso che i crediti non erano l'attività core, non dovevano essere l'attività core di Bp., quindi un'attività di elezione; in Bp. abbiamo notato queste posizioni creditizie relative a queste società Br., Ma. e Ju. E abbiamo approfondito queste posizioni". In aggiunta a tutto ciò, e venendo più specificamente alla vicenda delle tre società lussemburghesi, il teste Gi.Gi. (delle cui qualifiche già si è detto supra) a sua volta riscontra il teste Ra. circa il ruolo, per così dire strumentale, rivestito da Fi. - benché autrice materiale dei finanziamenti - nella vicenda suddetta, connotata da un impulso proveniente in realtà da An.Pi. tanto per le operazioni del 2012 quanto per quelle del 2013. - anno 2012 (cfr. pag. 70 del verbale stenotipico 16.7.2019): - TESTIMONE GI. - Fine 2012, quindi io sono a Milano da sette-otto mesi. E il dottor Pi. mi dice: "Guarda che ti chiamerà - che "vi chiamerà" o "ti chiamerà", non ricordo bene - Ra. per l'inquadramento di queste operazioni su queste società". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lui citò anche le famose Br., Ma. e Ju.? TESTIMONE GI. - Non ricordo se citò, mi dice "Sarai" o "Sarete" non mi ricordo, "chiamati da Ra. per l'inquadramento di queste operazioni". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Per inquadrare le operazioni, le citò qualche persona fisica che già lei conosceva o qualche società? TESTIMONE GI. - No, in quel momento, no, Ra. contatta - credo fosse de visu anche, cioè proprio viene a Milano perché ogni tanto poi c'era - il nostro capo dei Crediti della regione, il dottor Ma., e gli disse "Guarda che sono d'accordo con Pi. che inquadreremo... che ti manderò, ti inoltrerò queste pratiche perché? Perché fa Fi. non aveva struttura, e quindi si serviva, sostanzialmente, come service dell'area, o della direzione regionale o dell'area nella quale queste operazioni venivano inquadrate. Quindi Ra. scrive una e-mail e dice: "Caro dottor Ma., ti prego di inquadrare questa linea di credito su questa società, con questa durata, con questo tasso. Le finalità sono queste. I soci di questa società sono questi. Abbiamo fatto i controlli World Check" eccetera, e bla bla bla, eccetera eccetera. E quindi noi, come poi ..."; - anno 2013 (cfr. pag. 73 del verbale stenotipico 16.7.2019): "TESTIMONE GI. - No, poi, a un certo... lì siamo alla fine del 12, quindi lì poi succede che poi c'è l'aumento del capitale delle 13, no? Io ricordo che poi andai dal dottor Pi. e dissi: "Scusami" le società, le tre società devono fare l'aumento di capitale?", "Devono fare l'aumento di capitale" e allora. Sempre al teste Gi., nel corso dell'udienza del 16.7.2019, è stata mostrata la produzione documentale del P.M. costituita dal rapporto dell'Internal Audit relativo all'intervista fattagli il 23 luglio 2015, un passo del quale (primo paragrafo di pag. 2) ha il seguente tenore: "Altra eccezione è costituita dalle operazioni appostate sulla Fi. su input di Pi. a seguito dei rapporti instaurati con Ma. e De.. In base alle informazioni fornitegli dal Sig. Sb., dette operazioni furono costruite e concordate con " So., Pi., Ma. ed ovviamente Ra. appoggiandole sulle tre società lussemburghesi Ju., Ma. e Br.". Ebbene, il teste Gi., su specifica domanda del difensore del PI., ha confermato integralmente tale sua dichiarazione - inclusa dunque la parte relativa all'input proveniente dal predetto PI. - rettificandola unicamente quanto a un dettaglio irrilevante (l'aggiunta del nominativo del Ma. a quello del De.), cfr. pag. 79 verbale stenotipico 16.7.2019: Omissis Un altro significativo riscontro al teste Ra. circa il pieno e diretto protagonismo di An.Pi. nell'operazione in esame (tanto da avere quest'ultimo elaborato una sua versione dei fatti - in buona parte analoga a quella, come vedremo insoddisfacente, da lui offerta nel presente giudizio - per tacitare chi, all'interno di B., gliene chiedeva conto) viene dal teste Gi.Fe., ex militare della GdF passato in B. nel 2006, all'epoca responsabile della Co. (cfr. pagg. 45 e ss. verbale stenotipico 31.1.2020). Il Fe., imbattutosi casualmente in tale operazione nel 2013 nell'ambito di un controllo antiriciclaggio, ha dichiarato quanto segue (cfr. pagg. 45-46 ibidem): "Insomma, è una cosa che volevo capire bene, ma per l'antiriciclaggio volevo capirla bene, cioè all'epoca io non avevo la sensibilità che c'è stata dopo sul tema finanziamenti correlati all'acquisto di azioni. Andai da So., e So. mi rinviò su Pi., mi disse: parlane con Pi.. Quindi andai da Pi., e Pi. mi disse: no, guarda che con Finanziaria Internazionale abbiamo dei discorsi in piedi. E in effetti, la banca, in quei periodo, stava acquistando molte azioni di Sa., tanto che arrivò all'8% di Sa., cioè un po' di azioni furono acquistate direttamente nei/'ambito detta movimentazione del portafoglio proprietario, quindi dalla Divisione Finanza della banca, altre azioni furono acquistate ai blocchi da parte della banca passando per il processo del Comitato Partecipazioni. Per cui, effettivamente, cioè, Pi. me la vendette un po'così, dice: no, guarda, loro stanno comprando, hanno della liquidità a disposizione in questo momento che noi gii abbiamo fornito per fare altre cose, gli abbiamo chiesto di comprare azioni, cioè, anzi, no gli abbiamo chiesto di comprare azioni, ci scambiamo ... Loro comprano azioni detta banca, noi stiamo comprando azioni di Sa., io avevo fatto un po' di ragionamenti anche su ipotesi di market abuse, però eravamo arrivati alta conclusione che non ci fossero problematiche di quel genere, anche perché c'era assoluta trasparenza sul fatto che Po.Vi. stava scalando il capitale di Sa., cioè era diventato il principale azionista di Sa., oltre a Ma.. E quindi la vicenda si chiuse così. Cioè, poi, successivamente, è stato chiaro che... è stato chiaro dopo che ne abbiamo parlato con Bc. e Consob che in realtà l'obiettivo era un altro, PRESIDENTE - Mi scusi, Dottore, ma lei questo accertamento, questo colloquio quando lo ha avuto con So./Pi.? TESTIMONE Fe. - 2013. PRESIDENTE - 2013, quando? TESTIMONE Fe. - Eh, poco dopo l'ispezione fatta in Irlanda, in Fi.. Mi pare, però forse mi sbaglio, estate 2013. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Se posso, perché effettivamente sul punto non aveva detto, nel verbale del 7 ottobre 2015 lei disse: "Nel corso di un incontro con So., da me richiesto per questa vicenda, avvenuto, se ben ricordo, nel giugno del 2013, lo stesso Direttore Cenerate mi invitò a sentire Pi. - Ecco, poi le interlocuzioni si sono svolte di lì a poco rispetto a? TESTIMONE Fe. - Sì, sì, no, era stato tutto motto immediato. La giustificazione dell'operazione che ebbe a fornire nel 2013 il PI. al teste Fe. della Compliance, ossia il suo essere una sorta di operazione di "mutuo soccorso" volta ad aiutare il gruppo Fi. a mantenere il controllo di Sa., società dì gestione dell'aeroporto Ma.Po. di Venezia, rastrellandone azioni, è stata indi riproposta dall'imputato, peraltro con non insignificanti modifiche, nel suo esame dibattimentale del 3.3.2020 (cfr. sue pagg. 88-95). In sede di esame, per la verità, lo stesso PI. ha finito con l'ammettere dì aver concepito lui, personalmente, tale operazione su proposta di Ma.Sb. di Fi. (è anzi a suo dire lo Sb. che, testualmente, gli riporta l'operazione da fare": cfr. pag. 90 esame dibattimentale del 3.3.2020 cit.) e di averla affidata a Fi. soltanto perché veicoli erano lussemburghesi, per cui l'unica società che poteva fare un finanziamento a un veicolo lussemburghese era la Fi. perché era un finanziamento estero su estero, così come faceva la Fi. di mestiere" (cfr. pag. 92 ibidem). Tale operazione, secondo il PI., sarebbe rientrata "in un novero di rapporti a più alto livello tra la Banca (...) e il Gruppo Fi. Il Gruppo Fi.... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - "A più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - A livello, probabilmente, di CdA o di Direzione Generale, con i responsabili... con gli amministratori delegati e anche i proprietari di quello che all'epoca era il Gruppo Finanziaria Internazionale, cioè Ma. e De., all'epoca, poi rimase solo Ma.. Dico questo perché di fatto la banca aiutò il Gruppo Finanziaria Internazionale a mantenere il controllo del rapporto Sa ve di Venezia, non a caso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Perché vendevano gli Enti locali, no? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - La partecipazione degli Enti locali che veniva venduta? IMPUTATO PI. - Comprammo una parte la partecipazione degli Enti locati, che dismisero l'investimento, ma io, poi, come Divisione Finanza, feci parecchie operazioni sul mercato per accrescere la percentuale. Tanto che la Po.Vi. era il secondo azionista di Sa., a un certo punto, con t'8,2% della cosa. Questo era il quadro generale all'interno del quale si staglia questo tipo di operazione. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Okay. Ma, come dire, chiamiamola "scalata" si può dire di B. a." - O l'acquisto semplicemente di B. delta partecipazione di Sa., è un'iniziativa di chi? E' una decisione? IMPUTATO PI. - è un'iniziativa che proviene dal CdA della banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT.. Sa. - Dal CdA della banca? IMPUTATO PI. - Assolutamente sì" (cfr. pagg. 88-89 ibidem). Tuttavia la ricostruzione operata dal PI. nel suo esame dibattimentale - differendo sul punto da quanto egli aveva riferito nel 2013 al teste Fe. - risulta contraddittoria laddove da un lato l'imputato ribadisce il preteso scopo di mutuo soccorso e di aiuto reciproco tra B. e Fi. (cfr. pag. 90 ibidem: "Esattamente la stessa logica che dicevo prima sugli investimenti con gli accordi con investitori istituzionali; tu mi aiuti da un lato e io ti aiuto dall'altro. Lo trovavo anche logico dal punto di vista..."), il che avrebbe logicamente importato che la contropartita del rastrellamento di azioni Sa. da parte di B. fosse l'acquisto di azioni B. da parte di Fi. ovvero delle sue controllate (come appunto il PI. ebbe a riferire nel 2013 al teste Fe., v. supra), mentre dall'altro lato il PI. afferma in sede di esame che l'accordo con Fi. prevedeva viceversa l'acquisto, da parte di quest'ultima, non già di azioni B. (la cui detenzione da parte delle tre società italiane Pe., Gi. e Lu. l'imputato sostiene di avere scoperto solo nel 2013 in quanto riferitagli proprio dal teste Fe. della Co.: cfr. pag. 93 ibidem) bensì di titoli tutt'affatto diversi, emessi da soggetti terzi (cfr - pag. 92 ibidem: "Genericamente, private equity o comunque equity dei nord est, e rinnovabili. Infatti, compravano Co.")) ciò fa però scolorire del tutto il vantato scopo di reciproco sostegno che avrebbe animato l'operazione, non riuscendosi allora a scorgere quale mai potesse essere, così stando le cose, il vantaggio, per così dire, "sinallagmatico" conferito da Fi. a B. in cambio di tutto il prodigarsi di quest'ultima per rastrellare azioni Sa., Ed invero, nonostante i ripetuti tentativi del Pubblico Ministero di riuscire a individuare - in sede di esame dibattimentale del PI. - l'altro capo del preteso rapporto biunivoco dì mutuo soccorso e reciproco sostegno intercorso con Fi. in relazione all'acquisto di azioni Sa., va detto che tale ricerca è rimasta, di fatto, priva di esito (cfr. pagg. 94-95 ibidem). A questo punto l'unica logica spiegazione dell'operazione in esame è e resta, dunque, quella - del tutto lineare - fornita dal teste Ra. (della cui attendibilità, in quanto adeguatamente riscontrato su plurimi aspetti della sua deposizione, già si è detto), secondo la quale l'operazione, concepita e sottopostagli per la materiale esecuzione dal PI., non aveva altro scopo se non quello di aiutare B. a liberarsi di un rilevante quantitativo di proprie azioni: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. "Il 20 febbraio 2017 lei disse questo: "Nel momento in cui ho appreso che le società italiane - chiamiamole S.r.l. - avevano acquistato" Lei non si ricorda i nomi di queste società? TESTIMONE Ra. - Gi., Pe. e Lu.? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, quindi si ricorda, Gi., Pe. e Lu., mi pare, ecco, non mi ricordo neanche io! ..." avevano acquistato queste azioni Bp., a fronte delie mie perplessità, Pi. mi ha replicato che era necessario aiutare la banca a comprare le azioni proprie". Questo è accaduto? TESTIMONE Ra. - St. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, no, quando: nel primo momento o nel momento in cui è stato evidente che il finanziamento era stato destinato ad acquistare azioni delta banca? TESTIMONE Ra. - Nel momento in cui è apparso evidente che tutta l'operazione era poi finalizzata ad acquistare azioni della Po.Vi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Della banca, quindi Pi. le dette questa spiegazione? TESTIMONE Ra. - SI" (cfr. pagg. 37-38 verbale stenotipico 21.11.2019). Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. con riguardo ai finanziamenti erogati nel 2012 e nel 2013, tramite Fi., alle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br.. 14.1.3.5. Le operazioni di investimento nei fondi esteri At. e Op. (Mu. e Mu.). Dall'istruttoria dibattimentale è altresì emerso il diretto e determinante apporto causale di An.Pi. negli investimenti operati, tanto nel 2012 da parte della capogruppo B. quanto nel 2013 da parte della sua controllata irlandese Fi., nei fondi esteri unknown exposure denominati At. (con sotto-fondo/comparto denominato Eu., oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B.) e Op. (fondo-ombrello Op., due "raggi" del quale erano il Fo., articolato nei sotto-fondi/comparti Beta, Gamma e Delta, oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B., e il Fo.Mu., oggetto di investimento l'anno seguente, 2013, da parte della controllata irlandese Fi.); investimenti tradottisi: - da un lato, e anzitutto, nella protratta giacenza, presso determinati comparti (o sotto-fondi) di tali fondi, di azioni B. per un valore originariamente pari a complessivi Euro 60 milioni, di cui 30 milioni su At. e 30 milioni su Op.; azioni costituenti dunque oggetto di un vero e proprio deposito indiretto e occulto in spregio all'allora vigente circolare 263/2006 di Banca d'Italia che, pur non essendo ancora entrato in vigore l'ancor più stringente regime del c.d. CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, vigente dall'I.1.2014), già prevedeva comunque l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; - dall'altro lato, e in aggiunta a ciò, nella sostanziale effettuazione - tramite altri comparti dei suddetti fondi esteri - di "operazioni creditizie non passate attraverso gli organi competenti. Queste operazioni creditizie, invece di passare attraverso gli organi competenti, erano state fatte in forma di emissione, di sottoscrizione di obbligazioni. Sono stati dati soldi al Gruppo Ma., al Gruppo De Ge., al Gruppo Fu., due gruppi, tra l'altro, De Ge. e Ma. che la banca... che già non pagavano, superando limiti importanti di ammontare" (cfr. pag. 66 deposizione teste ispettore Em.Ga., verbale stenotipico 26.9.2019). Fondamentale al riguardo è ancora una volta, in primo luogo, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10.2019; cfr, in particolare le pagg. 8-21 del relativo verbale stenotipico, da cui si evince che: - il team ispettivo Bc. entrò in B. "sapendo che c'erano dei fondi che detenevano al 30 giugno 2014, sulla base delle segnalazioni effettuate a Banca d'Italia, a Bc., 55 (rectius 52,4) milioni di Euro di azioni proprie Che poi erano scesi fino a zero al 31 dicembre (...)" (cfr. pagg. 8-9 deposizione teste Ma.); - lo stesso team ispettivo Bc., nella persona proprio dell'ispettore Ma., rapportandosi con l'Ufficio Soci di B. (il cui responsabile era il teste Fi.Ro.), riuscì a ricostruire "le modalità di acquisto di questi 55 (rectius 52,4) milioni che in realtà non furono 55 ma erano 60" (cfr. pagg. 9 deposizione teste Ma.); - gli ispettori, in particolare, ebbero a verificare a tal proposito che in data 27-28 novembre 2012 la banca decide di investire 100 milioni su un fondo chiamato Op., 100 milioni su un fondo chiamato At.. Le modalità con le quali avviene questo investimento nei fondi sono di questo tipo: la banca, o il sottoscrittore, si impegna irrevocabilmente a versare 100 milioni, poi sono i fondi che decidono di chiamare a sé, ricevere i 100 milioni. Op. li riceve subito, i primi giorni di dicembre 2012 riceve questi 100 milioni, si fa dare 100 milioni; At. si fa dare 70 milioni a dicembre e i 30 a gennaio 13. Quindi quello che è importante è che a dicembre 2012 i fondi avevano in pancia, dalle ricostruzioni, 100 milioni cash uno, Op., 70 milioni cash l'altro, At.. 28 novembre... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Novembre 2012? TESTIMONE MA. - Novembre 2012. Dopodiché I fondi acquistano azioni con tre operazioni diverse, si cominciano a muovere praticamente sulle azioni proprie, e questo avviene tutto tra il 27 dicembre 12 e 31 dicembre 12. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a fine anno? TESTIMONE MA. - Assolutamente sì (...). I fondi acquistano 60 milioni in questo modo. Cominciamo con un'operazione semplice, l'operazione semplice la fa l'Op.: mi compra 29,972.000 Euro dì azioni, se permette arrotondo a 30 altrimenti numeri (...), Op., arrotondo a 30 milioni, ordine 27-28 dicembre, valuta 31 dicembre. Cosa significa? Che il 31 dicembre c'è lo scambio: Op. si prende le azioni dal fondo e fornisce 30 milioni alla controparte. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Direttamente? C'era un intermediario qua? TESTIMONE MA. - Qui in mezzo c'è un broker chiamato Ma.Sp. (...). Op. compra 30 milioni, valuta 31 dicembre. At.. At. fa una stessa identica operazione: ordine il 27-28 dicembre 12, valuta 31.12.12, però At. mi compra 5,5 milioni. In mezzo c'è De.. Mancano all'appello 24,5 milioni. Questi 24,5 milioni hanno una struttura un pochino più complessa, cerco di essere il più possibile semplice (...). At./Eu., se ricordo bene. Quindi 30 Op., 5,5 At., mancano all'appello 24,5. Questi 24,5 milioni nascono in realtà un po' prima delfine dicembre, perché l'Ufficio Soci mi portò delle e-mail, chiesi all'Ufficio Soci: mi fate capire come nasce l'ordine, come nasce l'acquisto, perché questi fondi hanno acquistato? L'Ufficio Soci, nella persona del dottor Ro., mi portò delle e-mail. Queste e-mail partono il 14 dicembre 12 e riguardano uno scambio di e-mail tra il dottor Pi. e due soggetti italiani (...) avevano lo stesso cognome, Ri.Al. e Ri.Em., se ricordo bene, che lavoravano in una banca londinese ma giapponese, banca No. (...). Dopodiché questa operazione, 14 dicembre, le e-mail che seguono riguardano, diciamo, la parte operativa, cioè l'Ufficio Soci della Po.Vi. e il back office di questa banca. Arriviamo quindi all'ordine. L'ordine di No. è di 24,5 milioni, un ordine che corrisponde a 392.000 pezzi di azioni che, controvalorizzate appunto sono 24,5 milioni. Ordine del 27 e 28 dicembre, valuta 31.12. Uguale identico agli altri fondi Op. e At.. Prezzo 62,50, ovviamente, perché la banca non è che poteva vendere a un prezzo più alto o più basso. E l'operazione fini là, quindi No. al 31 dicembre si prende 24 milioni di azioni. Successivamente, quando abbiamo ricevuto praticamente dai fondi At. ed Op. la contabile con la quale loro erano venuti in possesso, diciamo, delle azioni, notai che in realtà la banca depositaria di At. scrive ad At. dicendo: guarda che tu hai acquistato 24,5 milioni di azioni, e su in alto c'è una data che è 28 dicembre 2012, trade date, trade date significa data dell'ordine, insomma, però valuta 2 gennaio. Cosa significa? Significa, ai miei occhi, che No. compra 24,5 milioni il 27 dicembre, valuta 31, ma sotto probabilmente c'era un altro contratto già fatto con At., stessa data ma passiamo il Capodanno, 2 gennaio 2013, 2 gennaio perché l'I gennaio/ insomma, è festa per tutti In questo modo / fondi hanno comprato 60 milioni, Siamo ai 2 gennaio 2013: 30 milioni Op., 5,5 At., di prima, 24,5, fa somma fa 60 milioni. Siamo al primo gennaio 2013 e il 2013 scorre in maniera, diciamo, normale - Ritengo che i fondi avessero in pancia ancora 60 milioni (...). No. compra dalla banca a 62,50 e poi vende, stessa data ma con valuta 2 gennaio, ad At., ovviamente sono banche che non fanno nulla per nulla, le vende non a 62,50 ma a 62,56. Diciamo che due privati possono scambiarsi le azioni di Po.Vi. a qualsiasi prezzo, insomma non sono obbligati". Se non vai sul mercato della banca compri a un prezzo che vuoi, insomma, com'è successo poi su un'altra operazione che, semmai vi può essere utile raccontarvi, 62,56. Se noi moltiplichiamo 62,56 per il numero delle azioni vediamo che No. da questa operazioncina ha guadagnato lo 0,1% di 24,5 milioni, cioè 24.500 euro" Quindi No. ci guadagna da questa bridge, chiamiamola bridge, ponte, operazione ponte, 24.500 Euro per di fatto tenere le azioni un giorno, due giorni, da131.12 ai 2 gennaio, Il 2 gennaio già ce le aveva At./Eu., dai documenti che io ho e dalle evidenze contabili. Il 2013 scorre in questo modo, cioè i fondi hanno 60 milioni in pancia, ritengo che avessero 60 milioni in pancia perché? Perché nel 2013... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però non si sapeva? TESTIMONE MA. - Non si sapeva" (cfr. pagg. 9-12 deposizione teste Ma.). E' altresì emerso, sempre in sede ispettiva, che i fondi esteri in questione, al di là del fatto di essere fondi appartenenti alla categoria unknown exposure (= a esposizione ignota o non comunicata), ossia non tenuti a comunicare all'investitore come e dove impiegheranno i suoi denari (un connotato, questo, che - come osserva la difesa - non era estraneo neppure a taluni fondi di tutt'altro gestore in precedenza utilizzati da B. con profitto per la propria liquidità), avevano quale loro ben più significativa - e questa sì del tutto anomala - caratteristica quella di non essere fondi collettivi, ossia connotati da una pluralità di investitori, bensì di vedere quale proprio unico investitore (e/o, al più, quale proprio investitore al 90%) la stessa B.. Tale peculiarità - invero determinante nel condurre a ravvisare la penale responsabilità dell'imputato PI., come sì vedrà infra - è stata illustrata con particolare chiarezza dal teste ispettore Em.Ga. alle pagg. 60-62 della sua deposizione resa il 26.9.2019: "TESTIMONE Ga. - A esposizione ignota o non comunicata, insomma, poi fa traduzione... Cioè fondi in cui il gestore ha fa possibilità di non comunicare i sottostanti. Qual è la singolarità? Quindi uno strumento consueto, anche se un po' particolare, però è normale, può capitare. Qua! è la singolarità? La singolarità è che Po.Vi. era, sostanzialmente, l'unico sottoscrittore di questi fondi. Quindi questi fondi, il fondo, per sua natura, anche il fondo più riservato, per sua natura, ha una pluralità di sottoscrittori; cioè c'è una serie di soggetti che sottoscrivono quote di un fondo e conferiscono delle somme perché vengano gestite e investite - Qui, invece, la vera natura giuridica, la sostanza è che non si trattava di fondi: si trattava di gestioni patrimoniali, cioè se il fondo è completamente alimentato da risorse mie non è un fondo, è una gestione patrimoniale di mie risorse. (.... Il Comitato Finanza, in realtà, non ha mai saputo nulla di quello che c'era nei fondi perché / veri asset in cui i fondi erano investiti erano sottofondi che, a loro volta, occultavano i veri strumenti finanziari target strumenti finanziari finali in cui i fondi erano investiti. E in più, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che l'obiettivo iniziale per cui questi fondi erano stati... si era deciso di acquistare questi fondi quello che è stato formalizzato, cioè quello di intrattenere relazioni con chi potesse portare liquidità alla banca, si verificava, cioè si era verificato. Cioè, inizialmente, questi fondi erano stati sottoscritti perché il dottor So., Pi., non so chi ha presentato fa richiesta in Consiglio di Amministrazione, aveva detto: "No, vabbé, ci serve avere questo plafond, che è stato progressivamente aumentato, plafond importante perché il rischio è elevato, "Ci serve avere questo plafond perché così intratterremo relazioni con clienti che poi ci potranno portare della raccolta, noi abbiamo bisogno di raccolta", quindi un po' replicando quel meccanismo che la banca aveva utilizzato con Az. nel 2011 -2012, alla fine del 2011: quando la banca aveva avuto dei problemi di liquidità, aveva investito in fondi Az., e Az. Aveva portato, credo, 400 milioni di raccolta. Però i problemi di liquidità, alla fine del 2012f erano venuti meno e, comunque, in ogni caso, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che effettivamente i fondi Op. o At. avessero portato quella liquidità, e poi effettivamente non è stata portata". Già le sole acquisizioni dei dati oggettivi, qui riportati, esposti dagli ispettori Gi.Ma. ed Em.Ga. rendono evidente l'infondatezza di una serie di assunti difensivi volti a perorare la bontà e la piena legittimità delle suddette operazioni di investimento nei fondi esteri; assunti ribaditi con forza dalla difesa in sede di discussione finale, secondo cui: a) un soggetto di solida reputazione come la banca internazionale No. ebbe a divenire, in tal modo, investitore e socio di B. (in realtà, come si è visto, No. si tenne le azioni B. appena per due giorni, vendendole immediatamente dopo al fondo At. e finanche lucrando su tale sua rapida intermediazione l'importo di 24.500,00= euro); b) l'operazione era una mera replica di quella fatta in precedenza con i fondi Az., che avevano effettivamente dato ottimi risultati in termini di liquidità, e ciò in quanto Op. e At. avrebbero distribuito i 60 milioni di azioni B. presso la propria clientela, essendo investitori istituzionali (in realtà, come si è visto, i fondi lussemburghesi Op. e At. e per essi i loro sotto-fondi - ovvero comparti-, non essendo fondi collettivi, erano strutturati ben diversamente dai fondi Az. fino a quel momento utilizzati, giacché, di fatto, non avevano la benché minima clientela presso la quale poter distribuire quelle azioni, semplicemente in quanto non esistevano, di fatto, altri loro investitori se non la stessa B.). Quanto poi all'appena ricordato ruolo di mero intermediario e depositario temporaneo (per due soli giorni) svolto da Banca No. nella vicenda dell'acquisto di azioni B. per 24,5 milioni di Euro da parte del fondo At., il protagonismo del PI. è reso evidente, al pari della vera natura dell'operazione (con la quale B. perseguiva l'obiettivo di dare una collocazione occulta a un non certo irrilevante quantitativo di azioni proprie), dal tenore della e-mail inviatagli in data 14.12.2012 ad ore 8.59 da Ri.Al. di No., in atti sub doc. 378 del P.M.: "Ciao An.. Spero tutto ok" Ti volevo segnalare che abbiamo un concreto interesse da investitori per acquisto azioni B.. Stiamo smarcando alcuni passaggi formali interni che dovrebbero essere completati fra oggi e lunedì. A quel punto potremo formalmente farvi un'offerta di acquisto. Avrei bisogno di sapere da te: - Conferma del prezzo che abbiamo già discusso di persona; - Conferma che e ok che acquirente risulterà poi essere SPV di No.; - Conferma su vostra indicazione di size. Mi avevi detto che forse preferivate fare importi rotondi. Aspetto tue notizie, Metto in copia Al.Ri. mio collega di Eq. che seguirà questa operazione (essendo io in vacanza prossima settimana)". Come ha condivisibilmente affermato (v. subito infra) il teste ispettore Gi.Ma. mentre il suddetto doc. 378 gli veniva esibito dal P.M., sarebbe ben bizzarro, in una normale transazione connotata dalla segnalata presenza di reali investitori effettivamente interessati all'acquisto di azioni altrui, che l'entità del pacchetto azionario oggetto della potenziale compravendita non fosse determinata dalle indicazioni dell'acquirente - che è l'aspirante azionista - bensì da quelle del venditore; in più nello stesso doc. 378 del P.M. compare anche una successiva e-mail inviata il 20.12.2012 ad ore 11.08 da Al.Ri. di No. al PI., oltre che all'omonimo suo collega Ri.Al., avente il seguente tenore: "Gentile dott. Pi.. Spero che questa mia email la trovi bene. le chiederei la cortesia di sentirci ai telefono, magari nella mattinata di oggi, per dare seguito alle conversazioni da lei avute con il mio collega Ra.. Mi potrebbe dire su che numero la posso rintracciare e a che ora la posso disturbare?". Se sì fosse realmente in presenza dì una normale e trasparente transazione di compravendita di azioni, condotta alla luce del sole, davvero non sarebbe dato comprendere la ragione di tanta segretezza. Su tutto ciò cfr., per l'appunto, pag. 11 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.10.2019: "TESTIMONE MA. - Se andate a pagina... dovete fare tre giri di pagina, ci sono delle frecce" quelle sono le mie frecce. Ri. Ra. scrive a Pi., ma questa è una curiosità, è rimasta tate, insomma, però ovviamente mi avevano un po' incuriosito le modalità di formazione di questa operazione, perché? Perché Ri. Ra., potenziale compratore, dice: "guarda che noi abbiamo un concreto interesse da alcuni investitori per acquistare le vostre azioni"; e poi, al terzo capoverso: "mi conferma su tua indicazione la size? Mi avevi detto che preferivi fare importi rotondi". Ora, mi aveva incuriosito questa cosa perché il compratore non chiede al venditore "che volume vuoi fare?". Insomma, il compratore va dal venditore e gii dice "scusa, voglio comprare 24,S, ce l'hai?" Comunque, al di là di questo, questa fu una curiosità. Oltre al fatto, insomma, nella parte aita di questa pagina ci sono altre frecce con le quali Ri., insomma, dice "sentiamo al telefono"; per altri motivi". D'altra parte, che l'operazione Op.-At. avesse connotati diversi - e volutamente assai più "misteriosi", pure all'interno della stessa Direzione Finanza di B. - rispetto alla pregressa esperienza di investimento con i fondi Az. è dimostrato anche dalla deposizione resa in data 9,1,2020 (pagg. 47-49 del relativo verbale stenotipico) da Pa. Al., subalterno del PI. nell'ambito della Divisione Finanza, con il quale l'imputato, pur trattandosi di uno dei suoi più stretti collaboratori e per di più responsabile della branca Global Markets (veste nella quale l'Al. aveva svolto un ruolo rilevante nelle operazioni di investimento pregresse con i fondi Az.), si dimostrò evasivo e sfuggente, non coinvolgendolo se non per sommi capi: "TESTIMONE AL. (...) a partire dalla fine dei 2011, ci fu un inserimento di una componente di fondi. Nell'ambito di questa componente di fondi, la mia... il mio ruolo è stato soprattutto di portare o di proporre, e poi è stato validato dal Comitato Finanza e dal Consiglio di Amministrazione, investimenti nei fondi Az.. I fondi Az. di riferimento erano collegati a un investimento della banca a fronte di un deposito di liquidità da parte dei fondi medesimi - Ovviamente, questa cosa avveniva a nostro favore, nel senso che raccordo era di acquistare un x dì questi fondi e di avere, dall'altra parte, 3 volte x di liquidità a favore della banca; e in questo ambito io facevo... PUBBLICO MINISTERO - Quindi l'obiettivo strategico era la liquidità? TESTIMONE AL. - Assolutamente, PUBBLICO MINISTERO - Parliamo di azimut? TESTIMONE AL. - Az., assolutamente - E nell'ambito del tema dei fondi Az., la vicenda iniziò nel 2011, e anche quando andai via, nel 2015, mi ricordo che con il nuovo Responsabile della Divisione Finanza feci proprio un incontro con Az., perché Az. era e rimaneva uno dei principali depositanti a livello istituzionale di liquidità nei nostri confronti, Dopodiché, c'è la vicenda dei fondi a cui lei fa riferimento. La decisione di investire in questi fondi non fu una decisione dove io ebbi un ruolo nel dire: andiamo a investire in questi fondi. Non ricordo di aver partecipato a discussioni circa la selezione dei fondi, Non vidi, se non poi, come lei accennava, Dottore, nella parte finale, il tema relativo ai contratti. Furono, come qualsiasi investimento, rappresentati in Comitato Finanza, mi sembra di ricordare, però è un ricordo di memoria, quindi non ho una e-mail o feci una e-mail a questo riguardo, che quando furono presentati questi fondi io domandai a An.Pi. che cosa fossero questi fondi, e,.. PUBBLICO MINISTERO - Ma, quindi, di che periodo parliamo, quando ci fu questa interlocuzione? TESTIMONE AL. - Guardi, secondo me, poteva essere il 2012, nel senso che in Comitato Finanza il mio ricordo è che comunque erano... come si dice? Rappresentati la presenza, l'esistenza di questi fondi come ammontare. Se ricordo bene, la cosa che feci era di domandare al dottor Pi.: ma, An., questi fondi che cosa sono? PUBBLICO MINISTERO - Ma lei... No, finisca, perché poi mi è venuta in mente una cosa da chiedere. Finisca pure, TESTIMONE AL. - Gli domandai: ma che cosa sono? E fui mi disse; questi qui sono fondi dove il Direttore Generale ha espresso la decisione di... decisione di investire. (...). PUBBLICO MINISTERO - Lei a Pi. chiese la spiegazione di che questo tipo di investimento non era partito da una proposta della sua struttura? TESTIMONE AL. - Diciamo che forse sono un po' più naif, nel senso che gli chiesi: ma scusa, ma cos'è questa... questa cosa? Ritorno a quello che vi dicevo, E lui mi disse: è un investimento deciso dal Direttore Generale/'. Il dato nodale, quindi, è rappresentato dal fatto che i fondi e i sotto-fondi in esame non fossero collettivi, non potendo dunque essi nemmeno definirsi a rigore come OICVM, acronimo per "Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari". Già questo offre la misura dell'entità e gravità, in concreto, del tradimento del mandato conferito anno dopo anno dal CdA (per parte sua dimostratosi tutt'altro che vigile e attento nel vegliare sul rispetto del mandato stesso, il che rende del tutto prive di qualsivoglia valore le deposizioni testimoniali rese all'udienza del 30.5.2022 in grado di appello dal sindaco Giacomo Ca. e dal consigliere di amministrazione Gi.Pa., invocate dalla difesa come a sé favorevoli) in occasione dei progressivi cospicui aumenti del plafond, secondo quanto si evince dalle rispettive delibere, qui di seguito elencate e tutte rinvenibili in atti all'interno del composito doc. 102 del P.M.: - verbale CdA del 21.2.2012, in particolare sub aff. 122-123 (viene deliberato il brusco innalzamento del plafond degli investimenti, portato a Euro 500 milioni per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM" rispetto agli appena 150 milioni precedenti; il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi.); i primi cospicui investimenti nei fondi At. e Op. avranno luogo proprio alla fine del mese dì novembre dello stesso anno 2012, per giunta in modo tale da rischiare seriamente di superare di alcune decine di milioni di Euro il plafond stesso, benché elevato a 500 milioni di euro: cfr. i docc. 347 e 348 del PM, carteggio Ca./Pi. del 29/11/2012, dai quali si evince che Ma.Ca., subalterno del PI. in seno alla Divisione Finanza, gli segnalava tale concreto pericolo; il PI. gli replicava a stretto giro dì non preoccuparsi in quanto per fine anno avrebbero sistemato la cosa rientrando nel plafond deliberato, e ciò grazie alla dismissione di 60 milioni dai fondi Az. C Prima di allora dismetteremo altri 60 mln di fondi Az. non superando mai il limite. Saluti, An."); - verbale CdA del 5.2.2013, in particolare sub all. 382-383 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 500 a 700 milioni di Euro per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM"); anche in tale occasione il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi., non ancora affiancato in tale compito da Da.Es., responsabile del Risk Management; - verbale CdA del 23.7.2013, in particolare sub all. 107 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 700 a 800 milioni di Euro per gli investimenti finanziari in quote di OICVM ... di cui 300 milioni di Euro al massimo allocabili sul plafond di Fi. che avrà la possibilità di investire in asset class che esprimano un profilo rischio/rendimento in linea con le esigenze strategiche del gruppo")) solo questa volta il PI. (che pure prenderà la parola immediatamente dopo per illustrare il programma di offerta di prestiti obbligazionari; v. aff. 108 stesso documento) è sostituito - nella presentazione al CdA del nuovo plafond e delle linee guida degli investimenti finanziari in quote dì OICVM - dal collega Da.Es., responsabile del Risk Management, Nondimeno, come puntualizza il teste Pi.Ra., direttore generale di Fi. (della cui attendibilità già si è detto supra con riguardo alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi"), nemmeno in questo caso può certo dirsi che il PI. si fosse defilato dalla scena degli investimenti in fondi esteri, tanto che - cfr. pag. 45 dell'esame Ra. 21.11.2019 - fu proprio il PI. ad avvisarlo che, di quei 300 milioni di Euro, i due terzi andavano necessariamente destinati a uno specifico fondo già individuato, l'Op.. Si noti, d'altra parte, che tra la delibera del 5.2.2013 (di ampliamento del plafond a 700 milioni di euro) e la successiva del 23.7.2013 (di ulteriore suo ampliamento a 800 milioni, di cui un massimo di 300 milioni allocati su Fi., controllata irlandese) erano frattanto intervenute due altre importanti delibere intermedie del CdA datate 193.2013 e 28.5.2013, come si evince anche dal doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), le quali danno contezza di come - a partire dal marzo 2013 - An.Pi. fosse divenuto titolare di una delega piena ad operare nel settore, disgiunta da quella analoga che era stata conferita al d.g. Sa.So.. Delega, si noti, espressamente richiamata, e non già revocata, anche nella delibera CdA del 23 luglio 2013. L'ampiezza dei poteri conferiti dal CdA ad An.Pi. con la delega disgiunta di cui alla delibera 19.3.2013 è ben illustrata nei termini seguenti dal menzionato doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015): "(...) In data 19 marzo 2013 con specifica delibera il Consiglio di Amministrazione ha provveduto a conferire delega ai Direttore Generale e al Responsabile della Divisione Finanza disgiuntamente tra loro per il compimento di ogni atto necessario e o ritenuto opportuno per la formalizzazione degli investimenti finanziari in quote di OICVM sino al massimo di 700 mln ... dando sin d'ora per rato e validato il loro operato. Tale ulteriore delibera si era resa necessaria in quanto la scrivente Funzione (audit) nell'ambito delle periodiche verifiche ispettive circa l'operatività posta in essere dalla Divisione Finanza aveva rilevato la mancata assegnazione di deleghe con riferimento al plafond in parola richiedendo alle strutture della Divisione Finanza di procedere alla formalizzazione delle stesse. La delibera prevedeva inoltre che gli investimenti citati fossero oggetto di analisi e di periodica valutazione da parte del Comitato Finanza ed ALMS su indicazione della Divisione Finanza della Divisione Bilancio e Pianificazione e della Direzione Risk Management e di rendicontazione periodica al Consiglio di Amministrazione. Successivamente in occasione della seduta del 28 maggio 2013 il Consiglio di Amministrazione ha inoltre approvato la revisione dei criteri di inclusione nel plafond citato consentendo anche la sottoscrizione di OICVM che investano in strumenti di capitale purché questi non rappresentino una quota superiore ai 40% del totale del plafond stesso (...)". Come si può notare le delibere del CdA in materia risultano totalmente travalicate e contraddette dai contenuti delle operazioni in concreto concluse con i fondi Op. e At.: essi non sono definibili come OICVM, ossia come fondi collettivi; non sono destinati alla distribuzione di azioni tra i loro pretesi investitori, che non esistono; i loro investimenti in strumenti di capitale hanno ad oggetto azioni proprie di B.. Come si legge nel suddetto doc. 418 del PM ben altra era "la mission del plafond su cui tali investimenti insistono ovvero la strumentalità degli stessi a partnership finalizzate ad acquisire liquidità per il Gruppo". Obiettivo che era viceversa stato perseguito, anche con buoni risultati, con i diversi fondi nei quali si era investito sino a fine novembre 2012. Che il carattere non collettivo dei fondi At. e Op. rappresentasse una scelta incompatibile con un'effettiva volontà di investire (e compatibile, invece, unicamente con la volontà di dare vita a un deposito indiretto occulto di titoli), emerge altresì dal fatto che tale circostanza, una volta appresa, destò l'incredulità del responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione, Ma.Pe., resosi autore di un appunto manoscritto privo di data che è stato acquisito agli atti quale doc, 805 del P.M., da quest'ultimo prodotto all'udienza del 4,2,2020 (la teste di P.G. Me.Ro. ha spiegato durante tale udienza che l'appunto - privo di data ma sicuramente successivo, dato il suo complessivo contenuto, all'entrata in vigore del CRR, ossia all'1.1.2014 - si trovava annotato su un'agenda sequestrata nell'ufficio di Pe.), In tale appunto, assieme ad altre annotazioni, si legge; "Indiretti? Che senso ha investire in un fondo 100% o 90% che investe in azioni banca?". Ed invero lo stesso imputato PI., dopo avere sostenuto per buona parte del suo esame dibattimentale 3.3.2020 che si era trattato di un regolare mirato investimento, finalizzato alla - distribuzione" delle azioni B. tra i vari clienti investitori nei fondi At. e Op. ("imputato Pi. - 2012, quindi stiamo parlando di settembre-ottobre 2012, E invece, con loro trovammo la definizione, per cui la proposta qual era? Che la banca avrebbe investito 100 milioni nel fondo meglio, in determinati comparti dei fondi At. e Op., e Op. e At. avrebbero distribuito 30 milioni di azioni Po.Vi. presso la propria clientela. Questo era l'accordo che fu preso con foro e da cui partì poi l'investimento nei due comparti": cfr., pag. 47 verbale stenotipico 3.3,2020), con lo scopo dichiarato di ampliare e diversificare la platea degli azionisti (per "aumentare la base di investitori istituzionali in relazione agli altri soci della banca. Questo perché? Perché la Banca (...), fino a quel momento lì, aveva una base sociale, in maniera assolutamente preponderante, direi il 95-96%, fatto da individui o da imprenditori, pochissimi nel settore istituzionale, forse la banca in assoluto che aveva meno investitori istituzionali a livello di azionariato in banca. Quindi c'era necessità di andare a spingere, rispetto a questo numero, su investitori istituzionali (...) Quindi sempre di più si doveva cercare di andare a trovare almeno uno zoccolo duro di investitori istituzionali. E questo tipo di attività, di "scouting", diciamo, di ricerca di investitori istituzionali, a me è stato chiesto da parte del Direttore Generale So.": cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico 3,3.2020), ha dovuto riconoscere infine, in risposta a una precisa domanda della presidente del collegio dì primo grado riferita proprio al tenore dell'appunto manoscritto dì Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M., la verità, ossia che - al momento della sottoscrizione dei fondi Op. e At. - egli ben sapeva che B. ne era il solo investitore e che dunque non vi sarebbe stata alcuna "distribuzione" delle azioni B. tra plurimi investitori, perché questi ultimi erano in realtà inesistenti (cfr. pag. 132 verbale stenotipico 3.3,2020): "PRESIDENTE - C'è un appunto del dottor Pe., che è stato prodotto dal Pubblico Ministero, che contiene una domanda che anch'io mi sono fatta, mi sono posta; che senso ha investire in fondi, se i fondi comprano azioni della banca? è una domanda che anch'io mi sono posta, è in grado di darci una risposta? IMPUTATO PI. - Col senno di poi, ovvio, certo che non aveva senso, tanto che dopo diciamo bisogna in qualche maniera redimerli, perché non ha senso, anzi, patrimonialmente non c'è logica, Ma questo non era l'obiettivo. Non dovevano i fondi comprare azioni della banca, o meglio, non dovevano mettere delle azioni della banca su comparti in cui la banca stessa aveva investito. Non era questa la logica". Né potrebbe seriamente obiettare l'imputato - come pure egli ha implausibilmente tentato di fare nel corso del suo esame dibattimentale - di avere "sperato" che, prima o poi, la situazione iniziale a lui ben nota (connotata dal carattere non collettivo dei fondi esteri in esame, che vedevano la stessa B. quale foro sostanzialmente unico investitore ed erano oltretutto "chiusi", dunque tali da fornire alla stessa B. soltanto insufficienti e scarne informazioni di primo livello) mutasse consentendo finalmente la comparsa all'orizzonte dell'auspicata vasta platea dì investitori diversificati ai quali "distribuire" le azioni per il momento giacenti nei comparti dedicati ("sotto-fondi") dei fondi medesimi. Investitori, si badi, che ancora non si erano minimamente palesati a tutto il giugno 2014 (ciò dimostrando a fortiori che il solo intendimento del PI. e del So. era in realtà ab origine sempre stato quello di collocare stabilmente a tempo indeterminato le azioni B. nei comparti dei fondi a ciò dedicati al fine di attuare una forma occulta di loro detenzione indiretta), allorquando - v. su ciò più ampiamente infra - l'entrata in vigore del c.d. CRR costrinse infine la Divisione Finanza di B. a chiedere una disclosure tanto ad At. Capital quanto a Op. circa la giacenza di azioni B. presso i comparti dei rispettivi fondi, mentre fu necessario ulteriormente attendere l'ispezione Bc. del 2015 (e le pressioni in tale sede esercitate dal team ispettivo sul d.g. So. e sullo stesso PI.: cfr. deposizione del teste ispettore Em.Ga., pag. 64 verbale stenotipico 26.9.2019) per poter avere contezza di quali fossero i sottostanti ai fondi medesimi. Ebbene, a seguito di ciò risultò che ancora nel mese di maggio 2015 B. e Fi. seguitavano ad essere gli unici sottoscrittori, rispettivamente, del Fondo Op. 1 e Mu. mentre B. seguitava ad essere sottoscrittore al 99% di At., come si evince dal doc. 418 del P,M, (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: "Alla data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedevamo) fa costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti Risulta del tutto inverosimile - e invero anche svilente della sua riconosciuta elevata professionalità - la figura, tratteggiata per sé dal PI. alle pagg. 50-53 del suo esame dibattimentale 3,3,2020, di colui che, dopo avere adottato la consapevole e volontaria decisione di condurre B. a investire un rilevante importo nella sottoscrizione di fondi non collettivi aventi la medesima B. quale loro sostanzialmente unico investitore, si sarebbe poi di fatto limitato, assieme al direttore generale So., ad affidarsi al destino (accettando, quindi, anche l'eventualità, nient'affatto remota e in concreto verificatasi, che l'investitore rimanesse la sola B. per sempre), senza che peraltro i vertici della banca fossero posti - per sua stessa ammissione - nelle condizioni di verificare l'evolversi di tale situazione (e dunque, a tacer d'altro, senza che B. potesse disporre dei dati indispensabili a verificare se, quando e in quale misura dover scomputare dal patrimonio di vigilanza azioni proprie giacenti nei comparti dei suddetti fondi): - cfr. pagg. 50-51 esame PI.: Omissis - cfr. pag. 53 esame PI.: Omissis A ciò si aggiunga che il PI. riconosce anche (cfr. pag., 55 suo esame 3.3.2020) che tutta la vicenda degli investimenti nei fondi At. e Op. prese le mosse dall'esigenza, annunciatagli come impellente dal direttore generale Sa.So., di far uscire dal fondo riacquisto azioni proprie della banca il controvalore di 60 milioni di Euro in azioni B.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quando lei è stato sentito dal Pubblico Ministero, nel corso dell'interrogatorio, verbale 26 settembre 2017, quindi dopo che ha ricevuto ravviso di conclusione delle indagini preliminari, lei dice: "Con riferimento all'operazione At. e Op., ricordo che tra settembre e ottobre 2012 il dottor So. (...) mi aveva rappresentato la necessità di collocare 60 milioni di Euro di azioni della banca per alleggerire il fondo riacquisto azioni proprie". IMPUTATO PI. - Confermo. Assolutamente sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi So. le dice che bisogna...? IMPUTATO PI. - Certo. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - ...come dire, dismettere dal fondo 60 milioni ..? IMPUTATO PI. - Sì, anche perché io non ho contezza di quant'è la capienza del fondo, quindi qualcuno deve dirmelo.". Tutte le affermazioni del PI. da ultimo passate in rassegna si pongono in netta contraddizione col suo assunto di partenza secondo cui la finalità delle operazioni stipulate con i fondi esteri in esame sarebbe stata esclusivamente quella di reperire nuovi "investitori istituzionali a livello di azionariato in banca" e risultano ben più congruenti col tenore, assai diverso sul punto (e collimante invece con la deposizione del teste Fi.Ro. dell'Ufficio Soci: cfr. pag. 54 dell'esame 8.10.2019 di questi), del suo interrogatorio 26.9.2017, il cui verbale è stato prodotto dal P.M. ex art. 503 c.p.p. all'udienza del 23.6.2020, laddove l'imputato sosteneva di avere sempre avuto ben chiaro fin dall'inizio - allorché cioè il d.g. So. chiese a lui e al GI. di attivarsi per collocare, rispettivamente, 60 e 40 milioni di azioni B. - che l'operazione andava ricondotta a una "necessità della banca" (precisamente la necessità di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie) e "non un'opportunità di investimento. In questa occasione, come ho già detto, ebbi il sentore di una certa difficoltà della banca sul riacquisto delle proprie azioni dai soci L'operazione di collocamento delle azioni fu poi eseguita presso la B. da Ro." (cfr. pag, 5 interrogatorio cit.). A ben guardare l'imputato, con le sue dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale da ultimo passate in rassegna, ha finito viceversa con il riconoscere la veridicità di quanto affermato tanto dal teste avv. An. Su., responsabile - nell'ambito di Op. - della funzione Legal e Compliance nonché membro del CdA della società di gestione Op., quanto dal teste Al.Ma., quest'ultimo fondatore della suddetta Op. (sulla piena utilizzabilità della deposizione Ma. sì rinvia integralmente all'ordinanza 18.5.2022 di questa Corte, salva restando, e ciò vale anche per il teste avv. An. Su., ogni doverosa valutazione in tema di complessiva attendibilità date le conclamate ragioni di ostilità nutrite da Op. verso B., ben riassunte nella missiva 13.3.2017 dello studio legale Fr.St. di cui al doc. 429 del P.M.), circa il carattere "dedicato" dei fondi in questione e circa il carattere di pressoché unico loro investitore (tranne quote minimali altrui) rivestito da B., il che costituiva altresì la ragione della conclamata inesistenza, nel caso in esame, di un comitato investitori (il teste Ma. ha altresì fatto riferimento a più riprese all'esigenza, a suo dire manifestatagli dall'imputato, di creare un -polmone" nel quale poter accomodare una parte delle azioni B. che erano non quotate, illiquide e difficili da collocare: cfr. pagg. 19-22 del relativo verbale stenotipico): - cfr. pagg. 19-20 deposizione Su., verbale stenotipico 19.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quando l'investitore, mi corregga, Mu., era uno solo, cioè la banca? TESTIMONE Su. - Esatto, quindi quello che le stavo tentando di farvi capire, nel senso che è prassi comune, quando si hanno dei comparti con multi investitori, avere questi comitati investimenti, perché chiaramente sono finalizzati al fatto di poter dare una parola a tanti investitori, che sono appunto molteplici e non si conoscono neanche l'uno con l'altro. Diversamente questi qua sono comparti che in gergo vengono definiti e classificati come tailor-made, ossia fatti a misura d'uomo, un po' come una sartoria, cioè disegnati sulla falsariga di ciò che effettivamente il cliente vuole. Quindi, essendo disegnati a loro immagine e somiglianza, anche la politica d'investimento del comparto stesso non è più promossa dal gestore ma è disegnata a loro immagine e somiglianza. Quindi, nel caso specifico della Po.Vi., questo comitato non è stato ritenuto di dover essere costituito, poiché, appunto, avevamo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Per la peculiarità di... TESTIMONE Su. - Esatto, la peculiarità ... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Della esistenza di un solo investitore? TESTIMONE Su. - Assolutamente, dell'investitore") - cfr pag. 16 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.11.2020: - TESTIMONE Ma. - No.. allora, i fondi erano indubbiamente fondi dedicati, su questo non ci sono dubbi. Stiamo parlando di due fondi: il Mu. e il Mu.. (...). Non ricordo ci fossero degli investitori rilevanti, forse in uno dei due fondi - vado a memoria ma dovrei approfondire - a un certo punto era entrato con una piccola quota un altro investitore, che onestamente non ricordo chi fosse, ma era una quota marginale o addirittura irrilevante, Quindi sicuramente fa Banca era... aveva, diciamo cosi... era il principale investitore nei fondi, ed erano fondi dedicati alla Banca/'. I testi Ma. e Su., diversamente da quanto sostiene la difesa, risultano riscontrati anche con riguardo alla circostanza, da entrambi riferita, degli incontri frequenti di An.Pi. con Gi.St., il senior manager di Op. deputato da quest'ultima a trattare il rapporto con B. fino alle sue improvvise dimissioni nel 2014, allorquando lasciò Op. per fondare la concorrente struttura denominata Ka. (struttura presso la quale il PI. si fece parte attiva, nel novembre 2014, per cercare di trasferire in blocco ivi, con una redemption in kind, le azioni B. ancora giacenti nel fondo Op. - che però aveva ormai necessariamente dovuto fare disclosure attorno alla metà dell'anno 2014 - senza peraltro conseguire il suo intento: cfr. al riguardo il doc. 431 del P.M.). Vero è che i due testi Ma. e Su. (quest'ultimo de relato dallo St.: cfr. pagg. 22-23 esame Su., verbale stenotipico 19.11.2019) collocano tali incontri PI. - St. in Milano nelle giornate di martedì, laddove risulta dagli atti che l'imputato, per lo più, il martedì si recasse a Vicenza per assistere al CdA di B.. Nondimeno il dato dei frequenti incontri personalmente intrattenuti dal PI. anche dopo la stipula dei contratti con i responsabili dei fondi esteri è dimostrato (a ben poco rilevando, in ultima analisi, il giorno esatto della settimana in cui essi si tennero) dal contenuto della seguente conversazione telefonica intrattenuta dal predetto PI. con il già sopra menzionato suo ex stretto collaboratore Pa. Al. (anch'egli nel frattempo uscito da B.), il quale - si ricordi il tenore della sua deposizione, saprà passato in rassegna, circa l'essere stato inopinatamente pretermesso dal suo superiore nell'allestire l'operazione Op.-At. - appare qui freddo, distaccato e poco convinto, rispondendo quasi sempre a monosillabi, verso un PI. alquanto agitato e alla ricerca di persone da indicare, nella sua lite civile con la banca, come sommari informatori: Conversazione captata n. progr. 415 del 2.9.2015 ad ore 19,09,19, utenza chiamante intestata a Pi.An., qui "V.M." (pagg. 133-143 perizia di trascrizione): Omissis Né, infine, può in alcun modo accedersi alla tesi difensiva secondo cui il PI., con riguardo alla vicenda dei fondi esteri, sarebbe stato una sorta di mero procacciatore di nominativi di potenziali controparti ma per il resto si sarebbe limitato ad assistere passivamente a operazioni ideate e condotte in piena autonomia dal direttore generale Sa.So. per B. e da Pi.Ra. per la controllata irlandese Fi.. Al di là del fatto che i contratti stipulati alla fine del 2012 con i fondi Op. e At. recano in ogni pagina non soltanto la sottoscrizione del So. ma altresì la sigla del Pi., significativi sono in contrario già diversi dati documentali, i quali riscontrano appieno, sul punto, le deposizioni non solo dei già citati testi Ma. e Su. ma altresì quelle - assai articolate e dettagliate in tal senso - dei testi Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi. (cfr, in particolare le pagg. 45-49 del suo esame 21.11.2019) e Fi.Ro., dell'Ufficio Soci (soggetto, come tale, dotato di poca o nulla autonomia decisionale sullo specifico tema al di là delle attività prettamente materiali da lui poste in essere); cfr. in particolare la pag. 52 dell'esame di Ro. datato 8.10-2019, ove il teste, nel ricordare di avere preso parte il 5.12.2011 a una riunione fatta in videoconferenza con il PI. (ove presenziarono anche Ma.So., che di Op. conosceva da lunghi anni tale Gi.Ma., nonché quest'ultimo, il quale sua volta portò con sé nell'occasione il fondatore e vertice di Op., Al.Ma.), riunione concordemente descritta da tutti i vari altri testi ora citati come conclusasi all'epoca in un nulla di fatto, ha precisato che verso novembre-dicembre del 2012 fu proprio il PI. a ricontattarlo autonomamente per chiedere di poter essere messo in contatto con le persone di Op. da lui conosciute l'anno prima (il che priva dunque di rilievo le due pur assodate circostanze, evidenziate e rivendicate dalla difesa, dell'esito inconcludente della riunione del 5.12.2011 e del fatto che Ma.So., a suo stesso dire, mai ebbe a inoltrare a chicchessia la e-mail inviatagli dall'amico Gi.Ma. il 9.2,2012, in atti sub doc. 350 del P.M., contenente una proposta contrattuale di Op.); sempre il teste Ro., a pag. 62 del suo esame 8.10.2019, ha confermato quanto da lui riferito a suo tempo a s.i.t.: "Nel darmi le tre referenze Pi. mi disse che era già tutto concordato con i rispettivi referenti, anche per gli importi (30 milioni per Ma.); I dati documentali in questione sono i seguenti: - messaggi sms ovvero WhatsApp intercettati sull'utenza telefonica cellulare di An.Pi. dall'11 ottobre 2012 al 23 novembre 2012, in atti sub doc. 311 del P.M., attestanti il fatto che, con l'intermediazione dell'avv. Patrizio Messina dello studio legale Or. (come riferito infatti, puntualmente, anche dal teste Al.Ma.: cfr pag. 15 della sua deposizione 26.11.2020), fu il PI. ad attivarsi per riannodare le fila del rapporto con i rappresentanti di Op. dopo il mancato seguito della riunione 5.12.2011 di quasi un anno prima, oltre a intavolare autonomi rapporti con Ra.Mi., direttore di At. (il quale, significativamente, si rivolgerà via e-mail non già al So. bensì solo al PI. e al suo subalterno Ma.Ca., in data 7.12,2012 e indi in data 21.1.2013, allorquando chiederà di procedere con l'investimento, rispettivamente, dei primi 70 milioni di Euro e dei successivi 30 milioni di Euro "as previously agreed", cioè come da precedenti accordi: cfr, doc. 337 del P.M.), di tutto ciò essendo poi sempre il PI. a informare il So. con messaggi del seguente tenore (tutti appartenenti al doc, 311 cit.): Omissis; - doc. 731 del P.M., costituito da un lungo resoconto dattiloscritto del consigliere d'amministrazione Gi. "Pi." Zi., intitolato "Appunti su situazione B. 2015", ove fra l'altro lo Zi., a pag. 4, riassume i contenuti di un suo incontro a tre del 9.5.2015 con Em.Gi. e An.Pi., entrambi ormai in procinto di uscire da B., i quali gli avevano offerto le rispettive versioni dei comportamenti loro ascritti; è significativo qui il fatto che il PI. confidi allo Zi.: a) di avere - sempre operato per aiutare la rete a svuotare il fondo azioni proprie"; b) che i contratti stipulati da B. con i fondi Op. e At. erano sì stati firmati da Sa.So. ma soltanto perché a quell'epoca il medesimo PI. non era ancora titolare dei necessari poteri (peraltro conferitigli di lì a pochi mesi, come si è visto, dal CdA con apposita delibera 19.3.2013 di ampia delega, disgiunta da quella conferita al So.); lo Zi. infatti annota; "Ordini firmati da SS perché non nei poteri di AP"; - doc. 331 del P.M., rappresentato da una e-mail di risposta inviata il 25.7.2013 da An.Pi. a Pi.Ra., direttore generale di Fi. (il quale aveva appena scritto nei seguenti termini al PI. sottoponendogli per il controllo una bozza di delibera relativa all'operazione di investimento, da parte della controllata irlandese, nel fondo Op. 2: "Caro An., ho buttato giù la delibera per il fondo optimum ... Dagli anche tu per cortesia una lettura per vedere se ti risulta tutto in ordine, Ps Domani mattina vedo To.Fo. (membro del CdA di Fi.) e gliene parlo tu sei riuscito a trovare il presidente? Grazie. Piero"); ivi il PI. replicava via e-mail al Ra. nei seguenti termini, con ciò plasticamente dimostrando chi realmente prendesse le decisioni - non certo il Ra. - anche per gli investimenti operati da Fi.: "Sono a pranzo con lui (ossia con il presidente di Fi., Ad.La.) e So.. Abbiamo concordato di fare investimenti fino a Eur ISO min". La totale assenza di autonomia decisionale di Ra., già supra passata in rassegna quanto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi", è qui palese e il doc. 331 offre fra l'altro un'ulteriore conferma del giudizio di piena credibilità da svolgersi nei confronti del suddetto teste (cfr. puntualmente, al riguardo, pag. 47 della deposizione Ra., verbale stenotipico 21.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Invece, con riferimento a questa cosa, che, sì, forse ormai l'ho letta, ci fu un'interlocuzione anche col Presidente del CdA di Bp.? Chi è che spiegò al Presidente del CdA il fine dell'operazione, la strutturazione e quant'altro? TESTIMONE Ra. - Quello che dissi ad An.: "Parliamo di una cifra importante, dev'essere deliberata dal Consiglio di Amministrazione, bisogna in primis informare il Presidente di un'operazione del genere e spiegargliela. E lui mi rispose: "Sono a pranzo con lui e So., gliela spiego io - PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lei sapeva che, comunque, La. era informato? TESTIMONE Ra. - Sì, per me La. è stato informato in quell'occasione dell'operazione"). Si noti come il protagonismo di An.Pi. sia stato totale anche con riguardo alla dismissione, attraverso vari canali, delle azioni B. detenute dai fondi Op. e At.. Dell'operazione "So." - a ciò finalizzata - sì è già detto ampiamente. Del pari si è già accennato al non riuscito tentativo di redemption in kind tramite il progetto di trasferire in blocco gli asset di B. giacenti nel fondo Op. (che ormai a metà del 2014 si era trovato, a causa dell'entrata in vigore del c.d. CRR, a dover operare necessariamente una disclosure circa le azioni B. presso di sé giacenti: cfr, doc, 379 del P.M.) a una nuova struttura da poco costituita e con esso concorrente, denominata Ka. e facente capo, peraltro, a quello stesso Gi.St. che era stato a lungo il diretto referente del PI. prima di lasciare proprio nel 2014 Op. e dunque aveva il polso dell'intera delicata vicenda (il tutto con l'intermediazione dello studio legale Or. per le trattative all'uopo intraprese con Op. - cfr. deposizione avv. An. Su. 19.11,2019, pag. 36 - in seguito all'invio dì una missiva in tal senso firmata dal PI. oltre che dai formali sottoscrittori dei fondi, So. e Ra.: cfr. docc. 427 e 431 del P.M.). Un altro veicolo progettato ad hoc, utilizzato per liberare i fondi esteri dalle azioni B. ancora da essi detenute, fu rappresentato dall'operazione che gli ispettori di Bc. denominarono equity swap, avente ad oggetto il trasferimento ai fondi esteri di azioni Ve., detenute da vari clienti di B., in cambio di azioni della stessa B., Operazione le cui caratteristiche sono state puntualmente riassunte dal teste ispettore Em.Ga. alla pag. 59 del suo esame, verbale stenotipico 26.9.2019: "E l'altra operazione è quella che abbiamo chiamato di "equity swap", fatta attraverso Ma.Sp., in cui, sostanzialmente, i clienti hanno trasferito a Op. azioni clienti; ci sono tanti clienti che erano al tempo stesso soci di Ve. e soci di Po.Vi., avevano quindi azioni di entrambe; e hanno trasferito a Op., hanno fatto un compenso, hanno trasferito a Op., almeno a Op., forse anche a At., non lo so, non mi ricordo, però è indicato. Hanno trasferito azioni di Ve. in contropartita di azioni di Vicenza, quindi hanno preso in carico azioni di Vicenza dando per eguale ammontare azioni di Ve.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp. è il broker che si era interposto fra le due banche? TESTIMONE Ga. - Sì, che si era già interposto all'epoca, al 2012, in uno degli acquisti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Dei fondi. TESTIMONE Ga. - Dei fondi, sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Si interpone anche nella cessione da parte dei fondi lussemburghesi". Ancor più dettagliata nel delineare gli snodi dell'operazione equity swap è la deposizione resa il 26.10.2019 dal teste ispettore Gi.Ma., cfr. pagg. 16-18 verbale stenotipico 26.10.2019. Sono agli atti sub doc. 296 del P.M. alcune fra le lettere - ricalcate tutte sul medesimo facsimile, indirizzate a B. e per conoscenza al broker londinese Ma.Sp. (ancora una volta resosi intermediario come già aveva fatto a fine dicembre 2012 all'epoca dell'acquisto di circa 30 milioni di Euro in azioni B. da parte del fondo estero Op.) - con cui vari clienti B. titolari di azioni Ve. chiesero (tra il 20.3,2014 e il 3.10.2014: cfr. la ricostruzione elaborata, con allegata tabella esplicativa, dall'Internal Audit nella nota sub doc. 344 del P.M., pagg. 4-5) di acquistare da Ma.Sp. azioni B. (valore nominale Euro 62,50=) e di vendere contestualmente le loro azioni Ve. (valore nominale Euro 39,50=) alla stessa Ma.Sp.. In tesi difensiva il PI. non ebbe alcun ruolo in tale operazione di equity swap in quanto la stessa sarebbe stata gestita interamente con l'intermediario londinese Ma.Sp. dai dipendente di B. Cl.Br., operante in seno alla rete della Divisione Mercati a sua volta diretta da Em.Gi. (per inciso è effettivamente inesatto, come lamentato dalla difesa, quanto sostenuto al riguardo dall'Accusa, ossia che il Br. sarebbe stato già in quiescenza all'epoca in cui vennero poste in essere tutte le operazioni di equity swap; o meglio il dipendente risultava a quel tempo ancora in servizio presso il Punto Private B. dì Co. tranne che per i soli giorni 1-2-3 ottobre 2014: cfr. al riguardo la citata nota dell'Internai Audit sub doc. 344 del P.M., pag. 4: - Per le operazioni in questione effettuate nei periodo ricompreso tra il 20/03/2014 ed il 03/10/2014 si è provveduto ad acquisire la documentazione di supporto dall'U.O. Finanza di Servizi Bancari riscontrando un azione di coordinamento complessivo di tutte le operazioni in parola del sig. Cl.Br., al tempo operante presso il Pu.Pr. (in quiescenza dal mese di ottobre 2014)"). Particolare rilievo viene attribuito dalla difesa alla deposizione del teste Ti.Ch., che all'epoca curò l'operazione per il broker londinese intermediario Ma.Sp., evidenziando come questi abbia dichiarato di essersi interfacciato in prima persona - a distanza - solo col summenzionato Cl.Br. e di non avere mai frequentato gli uffici milanesi della Divisione Finanza di B. (cfr. pagg. 50-52 e 54 verbale stenotipico 17.9.2020) oltre a non avere mai visto, se non in tribunale durante il dibattimento, la persona fisica di An.Pi., da luì in effetti mai conosciuto; il teste Ch. ha anzi escluso di essersi interfacciata professionalmente in qualsiasi modo, anche solo a distanza, con la figura del PI. (cfr. pag. 55 ibidem). In realtà il teste Ch. non può definirsi attendibile, dal momento che: - egli non ebbe a interagire in prima persona soltanto - come sostiene la difesa - con il dipendente Cl.Br. in relazione agli scambi di azioni B.-Ve. bensì anche, quanto meno, con Fi.Ro. dell'Ufficio Soci (il teste Ch. ammetterà infine di essersi interfacciato anche con il Ro., e di averlo fatto anzi più volte, tanto via e-mail quanto telefonicamente, solo a seguito di specifica contestazione del P.M.: cfr. pag. 59 deposizione Ch., verbale stenotipico 17.9.2020); - lo stesso imputato PI. (cfr. pagg. 82-83 del suo esame 3.3.2020) ha in realtà affermato di essere stato proprio lui a mettere in contatto la rete B. con Ti.Ch. di Ma.Sp., avendo avuto egli cura di "dare il numero, i contatti, insomma, di Ma.Sp." all'Ufficio Soci, non ricorda se in persona di Ro. o di Ro., affinché si mettessero essi a loro volta in contatto con il broker londinese per procedere ad allestire l'operazione di equity swap ("... io quello che feci, feci una cosa semplice: misi in contatto, credo, Ro. o Ro., adesso non mi ricordo" con il broker. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Con? IMPUTATO PI. - Con il broker... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp.. IMPUTATO PI. - con il rappresentante di Ma.Sp."). Tale operazione era stata suggerita al PI., a detta di questi, dal collega Em.Gi., cfr. sempre pagg. 82-83 ibidem. Tuttavia il coimputato e propalante Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza già si è detto a più riprese, ha precisato come andarono in realtà le cose tra lui e il PI. al riguardo, ossia nel senso esattamente inverso (cfr, pagg. 23-24 del verbale di esame GI. 15.6.2022 in grado di appello): "La Divisione Finanza si è occupata di fondi, e quindi è un tema su cui io non sono mai entrato, se non quando a un certo punto c'erano dei fondi esteri che avevano delle azioni in portafoglio; questi fondi dovevano scaricare le azioni, quindi si dovevano liberare delle azioni della Banca, e quindi Pi. mi disse se potevamo collocarle sul mercato, quindi ai nostri soci. Eravamo in un frangente in cui le azioni della Po.Vi. erano molto più attrattive e appetibili rispetto a quelle di Ve., per cui questi fondi esteri proposero ai soci della Banca di acquistare azioni Ve. in cambio di azioni della Po.Vi.. Quindi i fondi si sono scaricati delle azioni della Po.Vi. acquisendo azioni Ve. e i soci della Banca hanno acquisito azioni Po.Vi. al posto delle azioni Ve. - Quindi questo è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". Con tali elementi probatori ben si salda dunque, senza manifestare in alcun modo le pretese contraddizioni lamentate dalla difesa, anche la deposizione (cfr. pagg. 42-44 verbale stenotipico 6.6.2019) resa dal teste Ro.Ri., della cui utilizzabilità già si è detto nell'ordinanza 18,5,2022 alla quale sul punto si rinvia, e che certo non può essere ritenuto inattendibile - circa la peculiare e ben distinta vicenda dell'equity swap - per il solo fatto di avere egli altresì materialmente effettuato, in qualità di gestore Private operante in B. presso la filiale vicentina di Co., un numero massiccio di operazioni di finanziamento correlato rientranti nella prassi per così dire "ordinaria" della banca. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte non può revocarsi in dubbio il ruolo determinante e di primo piano svolto da An.Pi. nell'intera vicenda dei fondi esteri, dalla sua ideazione sino al momento della dismissione - attuata in varie forme e modalità ma sempre con il suo apporto - delle azioni detenute dai suddetti fondi. 14.1.3.6. I reati di ostacolo alla vigilanza. La difesa ha altresì censurato - cfr. in particolare pagg. 141-142 e 145-146 dell'atto di appello - la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato PI. quanto alle condotte di ostacolo alla vigilanza contestategli (in relazione alle quali, come già si è detto nella parte generale della presente sentenza, par. 9, non vi è ragione di non estendere anche ai capi B1 e M1 il ragionamento seguito dal primo giudice per i rimanenti capi nel ritenere integrato il solo comma 2 dell'art. 2638 c.c.). Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni: - tutte le operazioni specificamente ascritte alla persona dell'imputato (dalla vicenda delle società lussemburghesi Ma./Ju./Br. a quella dei fondi esteri Op./At. fino alle singole operazioni dì finanziamento correlato concluse con l'imprenditore Ta. e con il gruppo "So.") risultano essere state poste in essere in epoca successiva al 12 ottobre 2012, data di emissione del rapporto ispettivo a chiusura dell'ispezione di Banca d'Italia (peraltro non avente ad oggetto verifiche patrimoniali ma incentrata esclusivamente sul rischio di credito); - quanto all'ispezione Bc. iniziata il 26.2.2015, B. aveva già comunicato alla stessa Bc. le informazioni ricevute dal gestore dei fondi At. e Op. in ordine al preciso ammontare di azioni della banca giacenti presso i comparti (sotto-fondi) degli stessi, e ciò almeno a far data dal luglio 2014, in piena ottemperanza, dunque, agli obblighi informativi imposti dal CRR (Capital Requirements Regulation) di cui al Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (vigente dall'1.1.2014); - in ogni caso le plurime contestazioni di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. avrebbero, a ben vedere, quale unico oggetto sempre la stessa informazione taciuta, vale a dire l'esistenza di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. con il conseguente obbligo di scomputare dal patrimonio di vigilanza il relativo controvalore, sicché, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe una pluralità di reati bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.; - a sua volta, però, la strumentalità - ravvisata dalla stessa sentenza di primo grado - che connoterebbe la fattispecie di ostacolo alla vigilanza rispetto a quella dì aggiotaggio farebbe sì che la condotta decettiva di cui alle imputazioni si esaurisca tutta nell'evento del delitto di aggiotaggio, con la conseguente esclusione del concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli di ostacolo alla vigilanza, dovendosi in ultima analisi trattare questi ultimi alla stregua di un post factum non punibile. Nessuna delle anzidette argomentazioni difensive ha pregio. Osserva al riguardo questa Corte quanto segue. Per ciò che concerne l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 basti porre mente al sopra ampiamente dimostrato pieno coinvolgimento del PI. anche nell'attività per così dire "ordinaria" di finanziamento correlato praticata da B. come minimo dal 2011 (ma, in realtà, già da epoca precedente). Quanto poi alle vicende successive all'ispezione Banca d'Italia del 2012, se è vero che il CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013) entrò in vigore l'1.1.2014, nondimeno va ricordato che in precedenza, comunque, vigeva la circolare 263/2006 di Banca d'Italia, la quale (come chiaramente ed esaustivamente illustrato anche dal teste ispettore Gi.Ma.: cfr. pag. 13 verbale stenotipico 26.10.2019) già prevedeva l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, in quanto sue componenti negative, delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; eppure nessuna comunicazione venne mai data, per circa un anno e mezzo, agli organismi di vigilanza riguardo alle azioni B. giacenti - per un controvalore di originari 60 milioni di Euro, ridottisi a 52,4 milioni alla data del 30.6.2014 - presso i comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri At. e Op.. Come puntualizzato sempre dal teste ispettore Gi.Ma. (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico 26.10.2019), la prima richiesta in assoluto rivolta in tal senso da B. ai gestori dei fondi Op. e At. risale alle e-mail inviate loro soltanto in data 27 giugno 2014 da Ma.Ca. (subalterno del Pi. in seno alla Divisione Finanza), rinvenibili in atti, con le relative risposte dei due fondi, sub doc. 379 del P.M.. Esaminando tali documenti si nota che, come riferito sempre dal teste Ma. (cfr. pag. 14 ibidem), entrambi i fondi esteri non si dimostrarono affatto reticenti e riscontrarono pressoché subito tale richiesta - dal canto suo alquanto tardiva - della Divisione Finanza di B. entrambi nel mese di luglio 2014, sicché non appare ascrivibile a contegni omissivi dei fondi stessi la protratta mancata comunicazione pregressa di tale dato, tenuto viceversa ben occultato da B. (e in particolare dalla sua Divisione Finanza) fino ad allora. Peraltro va evidenziato come neppure alla disclosure prontamente operata dai fondi Op. e At. nel luglio 2014 fece seguito in realtà, da parte di B., l'immediato scomputo dal patrimonio dì vigilanza delle azioni proprie così indirettamente detenute (cfr. al riguardo l'e-mail 16.2.2017 inviata al teste di P.G. Mi.To. dal consulente del P.M. Ga.Pa., prodotta all'udienza del 4.2.2020 dalla difesa dell'imputato Ma.Pe., ove il Pa. evidenzia come emergesse, a causa del non ancora avvenuto scomputo, "un'informativa non corretta alla Bc. del CET 1 del Gruppo B. al 15/08/2014" sia pure dandosi atto che, finalmente, nella successiva "segnalazione del 6/10/2014 il dato delle azioni indirettamente detenute aveva concorso al calcolo"). Si noti altresì che l'invio in data 27 giugno 2014 delle suddette e-mail di richiesta ai fondi Op. e At. da parte di Ma.Ca. della Divisione Finanza non fu comunque spontaneo bensì fu sollecitato da un invito pressante a farlo, proveniente dalla Divisione Bilancio e Pianificazione della stessa banca nella persona di Lu.Tr. (subalterno di Ma.Pe.); la missiva redatta dal Tr., datata 19 giugno 2014 e inviata al predetto Ma.Ca. nonché, in copia, al PI., all'altro suo subalterno Pa. Al. e a Ma.Pe., è in atti sub doc. 411 del P.M. e contiene il seguente aut-aut che di fatto non consentiva alternative: (...) Ti rappresento che in caso di mancata risposta da parte dell'Organismo interposto o di risposta parziale e/o incompleta, la Banca dovrà applicare agli investimenti della specie (ossia agli investimenti "indiretti e sintetici detenuti dal nostro Gruppo in soggetti dei settore finanziario") un trattamento prudenziale particolarmente penalizzante (deduzione diretta dal CETI). E' pertanto indispensabile sensibilizzare le controparti affinché rispondano alla richiesta in maniera il più completa possibile ed entro le tempistiche indicate". Si noti altresì che analogo riscontro non era stato dato dalla Divisione Finanza di B., diretta da An.Pi., ad altra e più risalente richiesta inviata via e-mail sempre da Lu.Tr. della Divisione Bilancio e Pianificazione ancora in data 1 febbraio 2013 a Ma.Ca. (in atti sub doc. 410 del P.M.), ove si invitava quest'ultimo, in relazione ai da poco sottoscritti fondi Op. e At., a verificare: a) che gli "investimenti in fondi sottostanti (...) NON investano in strumenti di capitale (...), in modo da poter escludere i predetti investimenti dalla verifica dei limiti previsti dal Regolamento in materia di partecipazioni detenibili dal Gruppo B."; b) di avere "evidenza analitica dei sottostanti i singoli fondi suddetti (...); tale informazione è necessaria ai fini della segnalazione dei Grandi Rischi di gruppo (...)". A tale ultimo proposito va evidenziato, inoltre, come all'avvio dell'ispezione Bc. del 2015 risultasse di essere stata già messa in chiaro - nei sensi e con le tempistiche ora visti - la detenzione di 52,4 (risultati essere originariamente 60) milioni di Euro in azioni B. presso i fondi Op. e At., ma ancora non fossero stati rivelati ì sottostanti dei medesimi fondi, e ciò a dispetto della citata richiesta in tal senso formulata dalla Divisione Bilancio e Pianificazione, in persona di Lu.Tr., già in data 1 febbraio 2013 (lo stesso Tr., in una sua successiva e-mail datata 19 marzo 2013 inviata fra gli altri pure al PI., in atti anch'essa sub doc. 411 del P.M., nuovamente rappresentava - sempre senza ricevere riscontro dalla Divisione Finanza - "che, seppure non presente nella segnalazione dei Grandi Rischi trasmessa, tuttavia nell'elenco delle prime 20 esposizioni a livello di Gruppo al 31.12.2012 (oggetto di segnalazione all'Organo di Vigilanza nell'ambito della Base Informativa "(...)"), figura una "unknown exposure" per un valore (di bilancio e ponderato) di Euro315 milioni stante che in relazione a taluni investimenti in fondi (...) non risultano disponibili i dettagli informativi necessari per attribuire i singoli investimenti sottostanti al fondo (...). Le disposizioni di vigilanza prudenziale affermano peraltro che "in linea generale, la banca deve essere in grado di identificare e controllare nel tempo le attività sottostanti lo schema di investimento" e che la banca può adottare i metodi di cui alle lettere b) (unknown exposure) e c) (structured-based approach) solo se è in grado di dimostrare che la scelta è dovuta esclusivamente alla mancanza di una effettiva conoscenza delle esposizioni sottostanti lo schema". Ebbene, l'informazione, pur dì così vitale importanza, circa i sottostanti dei fondi esteri Op. e At. venne infine fornita dopo l'inizio dell'ispezione Bc. del 2015 e solo a seguito della forte pressione esercitata dal team ispettivo, che dovette all'uopo agitare, nelle sue interlocuzioni con il d.g. So. e con An.Pi., lo spettro dello scomputo, in alternativa, dell'intero investimento dal patrimonio di vigilanza, come ha ben chiarito il teste ispettore Em.Ga., cfr. pag. 64 del verbale stenotipico 26.9.2019. (omissis) Con ogni evidenza, stante l'immediatezza della disclosure seguita solo nel 2015 alle fosche prospettive illustrate dal team degli ispettori Bc. al So. e al PI., la previa resistenza da costoro lungamente frapposta alla rivelazione dei sottostanti non può imputarsi alla pretesa reticenza dei fondi (proprio come la tardività nella disclosure delle azioni in essi giacenti non poteva parimenti imputarsi alle pretese loro reticenze, in realtà inesistenti: v. supra). Va altresì disattesa l'affermazione difensiva secondo cui, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe in ispecie una pluralità di reati di opposizione alla vigilanza bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe - viene citata al riguardo in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri - la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.. Al riguardo questa Corte non può che confermare il complesso delle argomentazioni già esausti va mente svolte al riguardo nella parte generale - par. 9 - della presente sentenza, dovendosi qui ribadire come proprio la pronuncia citata dalla difesa (ma trattasi di orientamento ormai consolidato: in tal senso cfr. anche Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo precisi che la fattispecie di cui al comma 2, diversamente da quella di cui al comma 1, non è un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, è - una fattispecie causalmente orientata ai risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, w/a verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, dunque, si realizza o con "l'impedimento in toto di detto esercizio" ovvero anche soltanto "con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza" (così si è chiaramente espressa, in motivazione, la citata Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.). L'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (già illustrata da questa Corte nella parte generale della presente sentenza, par. 9) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì - come già questa Corte ha argomentato supra - che tale eccezione difensiva sia destituita di fondamento. Per la stessa ragione, ossia per il fatto che trattasi di un reato di evento (sicché il momento consumativo del delitto di ostacolo va individuato nel verificarsi dell'evento (di ostacolo)), va disatteso l'ulteriore assunto difensivo secondo cui dovrebbe finanche escludersi in ispecie il concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli ó& ostacolo alla vigilanza in quanto questi ultimi andrebbero - sempre ad avviso della difesa - semmai assimilati alla figura del post factum non punibile rispetto all'unitaria condotta decettiva. Tutto ciò premesso non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità del PI. quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza ascrittigli. Già si è visto poco sopra in quali termini - puntualmente riepilogati anche dal giudice di prime cure: cfr, pag. 726 sentenza gravata - il teste ispettore Em.Ga. (cfr. pag. 64 della sua deposizione 26.9.2019) abbia descritto il comportamento di ostacolo tenuto nei suoi confronti, anche con una certa qual pervicacia, da An.Pi. oltre che dal d.g. Sa.So. in relazione alla disclosure dei sottostanti dei fondi esteri Op. e At.. Sempre nella gravata sentenza - cfr. sue pagg, 725-726, alle quali qui senz'altro si rinvia - si illustrano più che ampiamente le ulteriori condotte di ostacolo alla vigilanza, rilevanti ai sensi dell'art. 2638 comma 2 c.c., tenute, fra gli altri, dal PI. in occasione: - dell'incontro del 27,3.2013 con l'Autorità di Vigilanza (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 37-40 del verbale stenotipico 28.11-2019, con particolare riguardo alle pagg. 38-39, da esaminarsi congiuntamente all'Appunto per il Capo del Servizio" redatto dallo stesso Pa. in data 3.4.2013, in atti sub doc. 442 del P.M.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Viene consegnato a voi di Banca d'Italia dagli esponenti di Banca Popolare che erano presenti a questo incontro. Senta, in questo incontro fu fatto riferimento da Pe., Pi. o So. della possibilità, dell'intendimento, della prospettiva, dell'eventualità che anche, come dire, l'aucap, quello che poi sarà realizzato nella misura di 253 milioni', anche per questa operazione potessero essere concessi i finanziamenti.., TESTIMONE Pa. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - No? TESTIMONE Pa. - No, assolutamente. L'unica... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi di questo non fu fatta menzione? TESTIMONE Pa. - L'unico riferimento a operazioni di finanziamento era fegato alla campagna soci e quindi un'operazione finanziata ai sensi del 2358 del Codice Civile, secondo quelle modalità, che richiedono tra l'altro l'autorizzazione dei soci, è l'Assemblea che deve autorizzare questa operazione valutando gli interessi aziendali"); - della successiva riunione tenutasi 20.10.2014 con l'Autorità di Vigilanza in Francoforte (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 60-62 del verbale stenotipico 28.11.2019): anche in tal caso la delegazione di B. presente a Francoforte, comprensiva del PI., non ebbe a fare cenno alcuno ai molteplici nodi altamente problematici che pure, di lì a poco, nel Comitato di Direzione del 10.11.2014 sarebbero stati ampiamente dibattuti - con la consegna del silenzio più totale verso l'esterno impartita dal d.g. So. - fra i membri del ristretto consesso formato dai vice direttori generali, incluso il PI., oltre che dal So. stesso e da altre personalità di primo livello nell'ambito di B.. A tutto ciò sj aggiunga ancora quanto emerge dai docc. 813-814-815 del P.M., prodotti all'udienza del 4.2.2020. Trattasi delle progressive stesure in itinere della bozza della lettera di risposta da inviare alla Banca d'Italia che aveva chiesto, con nota del 25.10.2014 (a sua volta in atti, prodotta dal P.M. sub doc 648 e doc. 687), chiarimenti sulle azioni proprie di B. alla luce del CRR frattanto entrato in vigore. Alla stesura della risposta a Banca d'Italia (che poi le fu inviata - con modifiche minimali rispetto alla bozza finale sub doc. 815 del P.M. - in data 4.11.2014 e che è in atti sub doc. 404 del P.M.) collaborarono diversi soggetti all'interno di B., ciascuno in relazione all'ambito di sua competenza. Si noti che il segmento della risposta inviata il 4,11.2014 a Banca d'Italia ad essere stato redatto per ultimo risulta essere proprio quello di competenza della Divisione Finanza diretta da An.Pi., il cui incipit - nella bozza finale sub doc. 815 del P.M. - è "Per quanto attiene alle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie..." mentre nella risposta ufficiale del 4.11.2014 diviene "Per quanto attiene alle transazioni alla base della c.d. detenzione indiretta di azioni proprie...". Ancora in data 30 ottobre 2014, infatti (cfr. il doc. 813 del P.M.), Ma.Pe. - la cui Divisione Bilancio e Pianificazione aveva con ogni evidenza il compito di assemblare i vari segmenti nel documento di risposta finale - scriveva al direttore generale So. allegandogli una "bozza lettera risposta a Bankit ancora da completare per il punto che sta scrivendo An.", che dimostra che la redazione del segmento qui in esame fu effettivamente opera di An.Pi. in persona. Ebbene, una volta finalmente redatto dal PI., e ormai si era giunti già al 31 ottobre 2014, tale segmento della bozza finale affidato alla Divisione Finanza, esso si rivela corrispondere (cfr. docc. 815 cit. e 404 cit.) a un esercizio dì assoluta tautologia, non dicendo in realtà nulla a giustificazione delle azioni B. risultate "a seguito della sopra menzionata disclosure del giugno-luglio 2014 indotta dall'entrata in vigore del CRR - giacenti nei comparti dei fondi esteri Op. e At. per l'ammontare di 52,4 milioni di Euro (52,4 milioni che Banca d'Italia, nella sua nota del 25,10,2014 cit., senza usare troppi giri di parole, definiva appunto come oggetto dì detenzione indiretta"); né tantomeno ivi si dice alcunché riguardo al trattarsi di fondi non collettivi che vedevano B. quale sostanzialmente unico investitore (si veda, come detto, la stesura della bozza finale della lettera di risposta sub doc. 815 del P.M.; viceversa nelle stesure sub docc. 813 e 814 il relativo segmento, lo si ribadisce, era ancora in bianco, in attesa di redazione da parte del PI., mentre le parti affidate ai suoi colleghi delle altre Divisioni erano già pronte). Il tenore della richiesta di chiarimenti formulata da Banca d'Italia il 25.10.2014, quanto allo specifico paragrafo concernente la detenzione indiretta di azioni della banca, era il seguente: "(si richiedono) le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali i titoli sono depositati". Nel segmento della risposta a Banca d'Italia rientrante nella sua competenza il PI. si limita invece, di fatto, a indicare appena poco più dei nomi delle controparti At. e Op. e delle date di stipula dei relativi contratti, guardandosi bene dal fornire la benché minima informazione utile alla comprensione della relativa transazione, nonché del carattere non collettivo dei fondi e altresì di quali fossero i loro sottostanti. Infine, quale corollario del già più che solido ed esaustivo complesso di elementi di prova orale e documentale fin qui illustrati, si osserva che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni da lui concepite e attuate esercitando le sue specifiche competenze professionali di responsabile della Divisione Finanza implica ex se in capo al predetto una particolarmente accentuata volontà di dissimulazione e occultamento che è perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso il reato di ostacolo alla vigilanza, essendo in tal caso quasi proibitiva la decrittazione dell'operazione finale (basti qui ricordare, a tal proposito, la già sopra vista totale casualità della scoperta, da parte dei team ispettivo Bc. nel 2015, della triangolazione che vide protagoniste le tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. e le tre società italiane Pe., Gi. e Lu.). A tal riguardo deve infatti considerarsi che, mentre le normali operazioni correlate generavano comunque flussi informativi (sia pure di dati complessivi) che potevano teoricamente essere intercettati dalle attività di controllo interno ed esterno (si pensi ad esempio alle 17 posizioni dì finanziamento correlato autonomamente intercettate dalla società di revisione Kp.) e che erano indirizzati alla Divisione Bilancio nonché assoggettati a verifica del Dirigente Preposto, viceversa le operazioni riguardanti le c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e quelle relative ai fondi esteri presentavano un carattere di insidiosità e un connotato fraudolento talmente accentuati da implicare già logicamente ex se, in capo al loro autore, la volontà di dissimulazione dei dato sottostante. Non è invero privo di significato a tal riguardo nemmeno il fatto, riferito dal teste Ad.Ca. (cfr. pag. 23 del verbale stenotipico 6.2.2020), che il PI. - una volta emersa, nella sorpresa generale (si ricordi anche il tenore incredulo, già visto saprà, dell'appunto manoscritto redatto dal direttore della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M.), la vicenda dei fondi esteri e di quanto giaceva nei loro comparti - altro non abbia replicato, alle richieste dei colleghi, se non che le operazioni suddette erano - formalmente" corrette, con ciò dimostrando che il valore fondamentale di esse, nella sua ottica, risiedeva proprio nella loro impenetrabilità dall'esterno: - TESTIMONE Ca. - Io ricordo una riunione lunghissima surreale dove si alternavano momenti di... come si dice? Di preoccupazione estrema a momenti di leggerezza. Non ci è stato detto, in quel momento, quanto fosse ampio il fenomeno delle lettere. Sapevamo che c'era questo fenomeno e sapevamo che l'Avvocato Ge. in qualche maniera, stava facendo delle sue valutazioni delle sue analisi. Così come sui fondi esteri d'investimento la parola d'ordine generale era: "Formalmente le operazioni sono corrette" PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Chi lo disse questo? TESTIMONE Ca. - An.Pi., in riunione, disse: "Formalmente le operazioni sono corrette". Simmetricamente, infine, anche le modalità per lo più parimenti sofisticate - sopra meglio illustrate - attraverso le quali fu condotta dal PI. la fase conclusiva della dismissione delle decine di milioni di Euro di azioni B. ancora detenute presso i fondi esteri dopo la disclosure di metà anno 2014 sono indicative della piena volontà del predetto di partecipare alla finalità di occultamento. Anzi si noti come, negli intendimenti del PI., gli effetti della disclosure si sarebbero dovuti in buona sostanza neutralizzare grazie alla poi non riuscita redemption in kind, ossia al progettato trasferimento in blocco delle azioni da Op. alla neo-costituita Ka. di quello stesso Gi.St. che, nella sua precedente incarnazione professionale, si era costantemente occupato, interfacciandosi con il PI., proprio dei fondi Op. ed era probabilmente l'unico, assieme allo stesso PI., a detenere ogni conoscenza in ordine a quella vicenda. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. in relazione alle ipotesi di ostacolo alla vigilanza ascrittegli. 14.1.3.7. I reati di falso in prospetto. Come detto supra i due reati di falso in prospetto contestati sub capi I e L vanno dichiarati entrambi estinti per intervenuta prescrizione. Non vi sono i presupposti per una pronuncia assolutoria dal momento che la Divisione Finanza, diretta da An.Pi., risulta essere stata in concreto coinvolta a fondo nel gruppo di lavoro - trasversale a quasi tutte le' Divisioni della banca - in concreto deputato al compito dì predisporre i prospetti informativi riguardanti gli aucap e mini aucap 2013 e 2014. Che tale compito rientrasse a pieno titolo nelle formali attribuzioni della Divisione Finanza, diretta da An.Pi., emerge anzitutto dal funzionigramma di B. (in atti sub doc. 261 del P.M,): ivi si legge che tra le varie funzioni della Divisione Finanza, e in particolare della sua unità denominata Documentation, vi erano quelle di - assicurare l'espletamento delle attività di natura amministrativa legate alla predisposizione dei Prospetti Informativi e all'emissione dei prestiti obbligazionari del Gruppo, coordinandosi con le Unità competenti" nonché di "supportare le funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla Clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari secondo quanto previsto dall'art. 31 del Regolamento Intermediari (n. 16190 del 29/10/2007) nella fase di aggiornamento delle stesse". Chetale compito sia poi stato in concreto effettivamente svolto dalla Divisione Finanza in occasione degli aumenti di capitale 2013 e 2014 emerge in maniera inequivocabile dalla deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dal 2007 al 2018 dipendente di B. con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza e, dunque, subalterno del PI. nel periodo qui in esame. Cfr. in particolare le pagg. 67-76 del relativo verbale stenotipico, ove il teste illustra il duplice ruolo concretamente rivestito in ambedue le occasioni, 2013 e 2014, dalla suddetta Divisione Finanza: da un lato fornire i dati da essa elaborati in quanto afferenti al profilo prettamente finanziario dell'operazione ("... e poi' anche la Finanza stessa su quelle che potevano essere poi le caratteristiche finanziarie dell'operazione che veniva posta in essere ..."); dall'altro lato curare la reductio ad unitatem di tutti i diversi contributi provenienti dalle varie Divisioni ("... Sì, diciamo la sintesi, nel senso che la collazione di tutti questi contributi eccetera, veniva fatta, appunto, come dicevo, dalla nostra struttura, dalla mia struttura"). A corollario degli elementi già solidi ed esaustivi qui riportati va altresì ribadito, nell'esaminare la posizione dell'imputato An.Pi., quanto già si è osservato più ampiamente supra (paragrafo 14.1.3.6) nel trattare i reati di ostacolo alla vigilanza, ossia che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni finanziarie da lui concepite e attuate implica ex se - unitamente al suo protagonismo nella dismissione delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri - una volontà di dissimulazione e "occultamento" tanto accentuata da risultare perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso i reati comunicativi non solo di ostacolo alla vigilanza ma anche di falso in prospetto. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte va dunque dichiarata l'estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati di falso in prospetto di cui ai capi I) e L) di rubrica per ciò che concerne la posizione dell'imputato An.Pi.. 14.1.3.8. Il trattamento sanzionatorio. Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato An.Pi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già sì è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4 L'appello nell'interesse di Zo.Gi. L'appello è parzialmente fondato nei termini di seguito esposti. 14.1.4.1 La competenza (primo motivo di appello/paragrafo 2 dell'atto di Impugnazione). Il primo motivo dì impugnazione (tale dovendosi ritenere quello, numerato sub 2, trattato alle pagine 13-39 dell'atto dì appello, inerente alla asserita incompetenza dell'autorità giudiziaria vicentina) è destituito di fondamento. Sul punto, si rinvia a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo 7. 14.1.4.2 La consapevole partecipazione alle operazioni di capitale finanziato (secondo motivo dì appello). Considerazioni introduttive. Parimenti infondato è il secondo, articolato motivo di appello (numerato sub 3 e trattato alle pagine 40-300 dell'impugnazione). Trattasi, va precisato, di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate (fatta eccezione per quelle, rubricate al paragrafo 3.4, specificamente inerenti al tema "generale" del capitale finanziato, in relazione alle quali non può che rinviarsi alle riflessioni già svolte, sul punto, al precedente paragrafo 12, comune a tutte le posizioni processuali) dalla finalità di evidenziare le carenze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione gravata, con specifico riferimento alla posizione di tale imputato. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il coinvolgimento di ZO. nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base dì elementi probatori inadeguati, equivoci e finanche smentiti da specifiche evidenze di segno contrario, evidenze che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. In particolare, oggetto di doglianza sono i passaggi della sentenza nei quali sono state affermate: - l'inerzia del predetto imputato rispetto ad eventuali indici di allarme sintomatici dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 3.2 dell'atto di appello); - l'attività concretamente gestoria svolta dal giudicabile nella conduzione della banca (paragrafo 3.3 dell'atto di appello); - la conoscenza, da parte dello stesso ZO., del fenomeno del "capitale finanziato" (paragrafo 3.5 dell'atto di appello); - la specifica consapevolezza, in capo al medesimo imputato, delle "operazioni baciate" (paragrafo 3.6 dell'atto di appello). Ebbene, con riferimento a ciascuno di detti "passaggi" dello sviluppo logico del discorso giustificativo della decisione l'appellante ha evidenziato le asserite incongruenze ed aporie motivazionali, richiamando, altresì, gli elementi probatori che sosterrebbero la diversa lettura della vicenda proposta nel gravame e che sarebbero stati dal giudice di prime cure obliterati o, comunque, equivocati nella loro effettiva significazione. Questo, sul rilievo della possibilità - che il medesimo appellante ha denunziato essersi concretizzata nel caso di specie (come evidenziato nella premessa al relativo motivo di appello, sub 3-1) - che una sentenza possa essere viziata da una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto alle emergenze processuali. La memoria conclusiva "note scritte di discussione" 28.9.2022, accompagnata dalle ulteriori "note scritte", in pari data, in materia di "rinnovazione istruttoria dibattimentale in appello"), poi, ha riepilogato gli argomenti oggetto di dettagliata analisi nell'atto di impugnazione, confrontandosi, altresì, con le ulteriori acquisizioni probatorie che hanno avuto luogo nel corso del giudizio di appello. Ebbene, si è in presenza di censure infondate. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il tribunale ha ricostruito il ruolo concretamente svolto dall'imputato ZO. nella vicenda sub iudice all'esito di una corretta e persuasiva lettura - tanto specifica quanto "d'insieme" - dell'intero, vasto materiale probatorio disponibile, di natura documentale, testimoniale e logica, ovviamente selezionato sulla base della relativa attitudine dimostrativa rispetto al thema probandum. Pertanto, come già evidenziato nella premessa dì metodo, è alla trama argomentativa della sentenza gravata che deve farsi preliminare rinvio, trattandosi della base motivazionale alla quale la presente pronunzia è destinata a saldarsi, in ragione non solo della coerenza dei rispettivi approdi decisionali ma anche dell'omogenea natura dei criteri di valutazione all'uopo impiegati. Ciò posto, ritiene questa Corte che gli esiti dell'originaria istruttoria dibattimentale abbiano offerto ampia dimostrazione del fatto che Zo.Gi., nel concreto esercizio delle prerogative di presidente dell'istituto di credito vicentino, non solo abbia avuto piena contezza del fenomeno delle operazioni correlate, nel suo multiforme, concreto dispiegarsi (comprensivo tanto delle operazioni "baciate", ovvero "parzialmente baciate", quanto degli "impegni al riacquisto", quanto, infine, degli antieconomici rendimenti garantiti agli acquirenti dei titoli, anche attraverso i ccdd. "storni", peraltro utilizzati anche per "sterilizzare" i costi dei finanziamenti, peraltro in modo tanto sistematico da costituire, essi stessi, una eclatante anomalia117) ma, proprio sulla base di detta conoscenza, abbia anche fornito un decisivo contributo alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che radicano le imputazioni di riferimento, condividendo con il d.g. So. il ricorso ad una strategia operativa - quella, per l'appunto, del sistematico ricorso al finanziamento dell'acquisto dei titoli B. - che recava necessariamente seco inevitabili implicazioni delittuose. A tale ultimo riguardo, com'è stato osservato dal primo giudice - e la considerazione è di tanto stringente logica da non richiedere ulteriori precisazioni - solo nell'ottica della successiva omessa deduzione degli importi finanziati dal patrimonio e, quindi, del pedissequo occultamento di tale operatività alla vigilanza, avrebbe avuto senso porre in essere, da parte della dirigenza di B., un meccanismo operativo tanto scellerato. Peraltro - va precisato sin da subito - ai dati probatori valorizzati dal primo giudice si è aggiunto, all'esito della rinnovazione istruttoria espletata in sede di appello, l'ulteriore, significativo elemento costituito dalla puntuale chiamata in correità del coimputato GI., nient'affatto inficiata, nella sua capacità dimostrativa, dalle deposizioni introdotte, a prova contraria, dalla difesa del giudicabile. In definitiva, a compromettere la posizione del presidente ZO., conducendo ad un giudizio di complessiva concludenza probatoria del tutto coerente con l'ipotesi d'accusa, concorrono, come si dirà di seguito (nel solco, per ragioni di ordine espositivo, dell'articolazione delle deduzioni difensive), una sequela di convergenti elementi, tanto di natura logica (a loro volta ancorati, come si avrà modo di precisare, a solide evidenze fattuali) quanto rappresentativa. 14.1.4.2.1. Il ruolo concretamente svolto da Zo.Gi. nella presidenza di B. e le implicazioni conseguenti (secondo motivo di appello: paragrafi 1 e da 3.1 a 3.3). Come s'è detto, il primo giudice ha puntualmente delineato il ruolo concretamente svolto dal giudicabile, nel lunghissimo periodo della sua presidenza di B., in termini di costante protagonismo, radicalmente esorbitante dai confini della mera rappresentanza istituzionale dell'ente. A tali conclusioni - va precisato sin da subito - il tribunale è pervenuto sulla base di una pluralità di elementi probatori convergenti nel dimostrare come Zo.Gi., rimasto saldamente al vertice della banca dal 1996 al 2015, fosse tutt'altro che un presidente "decorativo" e neppure rispettoso dei limiti propri della funzione di garanzia affidatagli. In effetti, già il rapporto ispettivo redatto da Banca d'Italia all'esito dell'ispezione del 2007-2008, dopo avere sottolineato come i meccanismi del governo societario fossero orientati ad assicurare il mantenimento di una salda conduzione delle assemblee da parte dei vertici, attraverso politiche volte a controllare ed orientare il trasferimento delle azioni, aveva stigmatizzato la funzione predominante esercitata dallo ZO., censurando, da un lato, l'assenza di autonomia del CdA rispetto al suo presidente e, dall'altro, la forte influenza esercitata da quest'ultimo anche sul management, fidelizzato attraverso frequenti riunioni informali e trattamenti remunerativi particolarmente favorevoli ed anche svincolati dai risultati concretamente raggiunti. Il Presidente era definito "leader indiscusso della banca dal 1996", e se ne rimarcava il "ruolo dominante" in seno ad un CdA in cui - precisava la relazione ispettiva - raramente "si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri...individuati e scelti in ambienti professionali vicini ai vertici della banca. Inoltre, in tale relazione si segnalava che - L'appiattimento (del CdA) sulle posizioni del Presidente" aveva "conosciuto una significativa accentuazione nella seconda metà del 2007 allorquando il Consiglio ha conferito al dr Zo. un'ampia delega a elaborare le strategie della banca univocamente orientate a promuoverne il ruolo aggregante...". All'esito di tale ispezione - ha opportunamente ricordato il primo giudice - l'autorità di vigilanza aveva persino inviato una lettera post-ispettiva attraverso la quale, proprio per contrastare il debordante protagonismo del presidente, era stato sollecitato il rispristino di una "equilibrata dialettica interna". E tali criticità, anche con specifico riferimento al ruolo predominante del presidente rispetto al CdA - e, più in generale, rispetto alla dirigenza "operativa" - erano state riscontrate pure all'esito della successiva ispezione di follow up del 2009 (cfr relazione ispettiva, doc. 2 del P.M.). L'ispezione sul credito del 2012, poi, aveva confermato come lo ZO. fosse non solo pienamente consapevole delle strategie aziendali, ma anche l'effettivo ispiratore delle stesse, secondo una visione, al predetto presidente prevalentemente riconducibile, di un successo commisurato al numero degli sportelli, alle relazioni con gli Enti pubblici e con le organizzazioni imprenditoriali" (cfr. doc. n. 3 della produzione P.M.). E' bensì vero che - come osservato dalla difesa dell'imputato (da ultimo, in sede di conclusioni) - nella relazione ispettiva di riferimento non si dà più conto di ingerenze operative dello stesso giudicabile; tuttavia, in disparte l'ambito assai circoscritto (in quanto limitato al credito) dell'attività ispettiva in questione, nulla autorizza ragionevolmente a ritenere che si fosse improvvisamente realizzata una significativa cesura rispetto ad un radicato modo di interpretare la presidenza da parte del giudicabile. Né, a fronte delle problematicità segnalate dalla Vigilanza, può assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza (da ultimo valorizzata dalla difesa nelle note conclusive 28.9,2022) costituita dal fatto che tali "deviazioni" non si fossero poi tradotte nell'adozione, nei confronti dell'imputato, di alcun "provvedimento sanzionatorio o interdittivo ... rispetto all'assetto di governance dell'impresa bancaria" (cfr note scritte di discussione, pag. 20), stante l'inequivoco tenore delle citate osservazioni critiche. Del resto, sul punto, è decisiva la testimonianza, già adeguatamente valorizzata dal primo giudice, resa dal teste ispettore Ga., responsabile della squadra ispettiva Bc., trattandosi di deposizione che compendia efficacemente, nella sua icasticità, quanto accertato al riguardo: "... il presidio del Presidente sui fatti aziendali e sulla gestione aziendale era molto forte. Era un fatto notorio - e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza - che nulla in azienda si muovesse senza che Zo. fosse stato informato", in proposito, è appena il caso di precisare che non siamo affatto di fronte ad una semplice opinione (per quanto resa da soggetto tecnicamente assai attrezzato a comprendere le dinamiche operative di quelle assai complesse strutture che sono gli istituti di credito), bensì al giudizio rassegnato da un esperto ispettore che aveva appena ispezionato proprio B.. E tanto basterebbe, tenuto conto dell'autorevolezza della fonte (l'ente di vigilanza Banca d'Italia, per l'appunto, per il tramite degli esperti ispettori inviati a verificare la gestione di B. ed a lungo presenti, a stretto contatto con i funzionari della banca ispezionata, presso la sede dell'istituto, tanto da averne potuto cogliere appieno le dinamiche operative). Ma v'è assai dì più. In effetti, ulteriori, significative evidenze probatorie acquisite al giudizio hanno confermato come al timone dell'istituto di credito, con riferimento a tutti gli aspetti della vita della banca - a partire dalle questioni strategiche, passando agli snodi essenziali della operatività dell'ente e fino a tematiche di ben minore cabotaggio, talune (è il caso della organizzazione delle cene sociali) solo apparentemente "spicciole", ove si consideri che viene in esame l'operatività di una banca popolare di una ricca città di provincia, ovverosia di un istituto di credito per definizione strettamente legato al territorio di riferimento ed al locale tessuto produttivo, donde l'importanza della accorta "gestione" dei rapporti con gli imprenditori dell'area - vi fosse proprio il presidente ZO.. Il giudice di prime cure, sul punto, ha fornito un articolato resoconto delle emergenze istruttorie. In sintesi - e rinviando, per il resto, alla sentenza impugnata - va evidenziato che è emerso che era l'imputato; - a selezionare all'ingressi nel CdA e nel Collegio sindacale. Al riguardo, vanno richiamate, oltre all'efficace descrizione delle dinamiche di cooptazione fornita dal coimputato Zi., le deposizioni rese, nell'istruttoria di primo grado, dai testi Ma., Co., Ro., Ti., Do. e, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello, dal teste An.. Il teste Lo. ha riferito della propria emarginazione conseguente al rifiuto rispetto al "metodo Zo." di selezione dei consiglieri. Parimenti significativa di tale pervasivo controllo sulla composizione del CdA, poi, è anche la vicenda della originaria opposizione da parte del coimputato Zi. rispetto all'inserimento in CdA del consigliere Mo.: a seguito della propria iniziale astensione - peraltro poi commutata, per effetto di "opportune" pressioni, in voto favorevole - lo Zi., come da lui stesso precisato, era stato anch'egli sostanzialmente emarginato. - a dirigerne le sedute con assoluta fermezza ed in termini che, di fatto, non ammettevano repliche, tanto che dalla lettura dei relativi verbali si coglie il difetto di ogni reale dialettica interna, essendosi in presenza di delibere adottate sistematicamente all'unanimità. Sul punto, il primo giudice ha opportunamente richiamato - in quanto sintomatiche di tale supina adesione dell'organo collegiale rispetto ai desiderata del presidente - le vicende relative alla fissazione del valore dell'azione in sede di CdA 1.4.2014 ed alla fallimentare operazione immobiliare inerente all'acquisto della sede di Cortina d'Ampezzo. A tale riguardo, considerate le obiezioni difensive articolate sul punto, una breve precisazione è d'obbligo: è del tutto evidente che l'attenzione del presidente per il patrimonio immobiliare dell'istituto (e, più in generale, per i vantaggi di immagine che sarebbero derivati alla banca dalla collocazione delle filiali in località ed in immobili di assoluto pregio) è più che giustificata e, quindi, non può certo costituire elemento neppure latamente indiziario. Sennonché, tale episodio è stato opportunamente evocato dal primo giudice in quanto indicativo dell'assoluta subordinazione dell'organo collegiale rispetto alle indicazioni del presidente finanche nel caso - quale, pacificamente, quello in esame di proposte già in partenza economicamente insostenibili. Nella fattispecie, invero, la perdita, conseguente alla operazione in esame, di oltre venti milioni di Euro, corrispondenti al finanziamento all'uopo erogato da B. alla società Pe. s.r.l. della famiglia Ca., era stata sostanzialmente preannunciata dalle valutazioni effettuate dal coimputato MA. il quale, in effetti, aveva opportunamente segnalato l'incapacità di detta società di rimborsare il finanziamento (La vicenda - va precisato - è dettagliatamente descritta alle pagine 588 e ss. della sentenza impugnata, nella quale, peraltro, è evocata anche la significativa intercettazione intercorsa, in data 21.9.2015, tra il sindaco Pi. ed il consigliere To., anch'essa ivi riportata, nei passaggi di interesse). IL Coerente con tale decisa modalità di conduzione dell'organo collegiale, secondo la ricostruzione del tribunale, poi, è anche la descrizione della presidenza ZO. fattane dal teste Gr., all'udienza 30.1.2020, là dove costui, pur escludendo, nel periodo della sua gestione, ingerenze operative dell'imputato, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, ha confermato le precedenti dichiarazioni in occasione delle quali aveva riferito, secondo quanto già riportato dal primo giudice, che "... quello del presidente del CdA era un ruolo che stava stretto alla persona di Zo.... in realtà Zo. svolgeva un ruolo di impulso rispetto al CdA della banca e di indirizzo della direzione generale della banca medesima... ed ha rievocato la politica di forte espansione tenacemente perseguita dall'imputato. Quindi, nel corso della sua rinnovata escussione del 5.7.2022, il medesimo Gr. ha descritto le difficoltà che ('"esuberanza" dello ZO. gli aveva provocato più volte con Banca d'Italia, costringendolo a rimediare alle improvvide iniziative del presidente (cfr. pag. 43: Omissis). La più evidente riprova di una condizione di sostanziale soggezione del CdA al suo vertice, del resto, la si ricava dall'unanime consenso espresso a fronte della proposta dell'imputato di cooptare in consiglio il d.g. So. come consigliere delegato e, questo, nonostante si fosse nel febbraio del 2015, ovverosia in un torno di tempo nel quale erano oramai manifeste le condizioni, nelle quali versava l'istituto di credito, di estrema criticità (il tribunale, al riguardo, ha puntualmente evidenziato che: il bilancio 2014 registrava una perdita di circa 800 milioni; l'istituto aveva superato il Comprehensive Assessment solo grazie alla conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza nella seduta 26,10,2014; la vigilanza stava approfondendo le questioni del riacquisto di azioni effettuato, per circa 200 milioni di Euro, in costanza di aumento di capitale e della detenzione indiretta di azioni proprie da parte dei fondi lussemburghesi). Come sopra accennato, il giudice di prime cure ha, inoltre, opportunamente rievocato (cfr. pagine 590-591 della sentenza impugnata) il ruolo predominante svolto dall'imputato, nella seduta del CdA 1.4.2014, con riferimento alla determinazione del prezzo dell'azione, determinazione adottata in deroga alle stesse regole procedurali interne della banca. Altrettanto dicasi per la gestione del licenziamento del medesimo So., di cui si tratterà meglio più oltre, licenziamento deciso direttamente dallo ZO. e solo successivamente ratificato con voto unanime (peraltro in violazione sia delle regole statutarie che attribuivano al CdA la relativa competenza, sia della normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, come puntualmente osservato dal tribunale); e, questo, nonostante la richiesta del consigliere Zi. di valutare il licenziamento piuttosto che la risoluzione consensuale (richiesta che, riportata nelle trascrizioni audio della seduta del CdA, è tuttavia significativamente assente nel relativo verbale). E' bensì vero, sul punto, che, come la difesa dell'imputato non ha ripetutamente mancato di osservare, un forte segnale di "discontinuità" nella guida della banca era sostanzialmente preteso dall'organo di vigilanza e che (come parimenti sostenuto dalla medesima difesa, da ultimo in sede di discussione) i "tempi di reazione" erano necessariamente assai stretti, dovendosi mirare, anche attraverso una celere rimozione del vertice esecutivo, a scongiurare (o, più verosimilmente, a contenere) il danno reputazionale che sarebbe potuto derivare all'istituto dai riflessi pubblici di una discussione sul punto. Ma è agevole replicare che nulla impediva allo ZO. di coinvolgere rapidamente il CdA in una riservata valutazione della questione (anche ricorrendo a quei mezzi tecnici, quali il collegamento a distanza, che, in precedenza, l'imputato non aveva mancato di utilizzare in frangenti di certo meno preoccupanti) invece di limitarsi a consultare taluni collaboratori e solo alcuni tra i consiglieri di amministrazione di più stretta fiducia per poi chiamare il CdA ad una oramai inevitabile conferma di quanto già da lui deciso; - ad individuare le figure dei manager da assumere (sul punto, il primo giudice ha correttamente evidenziato come Gr., So., Fa. e Ro., ma anche i coimputati Gi. e Pi., fossero stati "selezionati" dall'imputato; ha precisato, inoltre, che Ra.Fo. era stato invitato direttamente da ZO. a svolgere l'incarico di presidente di un comitato che avrebbe dovuto curare lo sviluppo dell'attività dell'istituto di credito nel nordovest e che il medesimo Ra.Fo. era stato nominato presidente di Mo., società immobiliare del gruppo B.); - a controllarne/influenzarne l'operatività, a differenza del precedente presidente, Br.. Significativa, sul punto è la deposizione resa dal teste Pa., vice responsabile della divisione marketing (TESTIMONE PAOLI - No, direi un Presidente esecutivo in maniera importante. Cioè non è un Presidente di rappresentanza per le riunioni in ABI, ma era un Presidente assolutamente operativo, era in banca tutti i giorni, se non era in sede a Vicenza era in sede a Roma ... - cfr. udienza 14.7.2020, pag. 52), anche perché, avendo fatto tale teste ingresso in B. nel 2014, trattasi di deposizione che si riferisce proprio al periodo della "direzione So.". Ma rilevanti sono anche le deposizioni rese, oltre che dal predetto Pa. (il quale ha anche significativamente descritto Zo. come un presidente operativo, che si occupava finanche delle campagne pubblicitarie, circostanza, quest'ultima, anche documentalmente provata dall'appunto contenuto nell'agenda di Ma.So.), dai testimoni Se., Sa., Me. ed Am., così come significativi sono i riscontri documentali evocati dal primo giudice (trattasi dei documenti richiamati alle pagg. 596-598 della sentenza impugnata). Aggiungasi che lo ZO., quando il gestore private Ri. si era dimesso a seguito del trasferimento dalla filiale B. di Vicenza-Co. ad un'altra sede cittadina, dopo un breve incontro con tale funzionario nell'abitazione del presidente ove il primo era stato convocato e nel corso del quale aveva spiegato all'imputato le ragioni della sua scelta, ne aveva immediatamente disposto la riassunzione e la ricollocazione nella medesima sede; - a "preparare" le sedute del CdA attraverso una puntuale, previa interlocuzione con il d.g. So.. Del fatto che Sa.So. fosse stato prescelto dallo ZO. si è già detto. Con riferimento alle modalità di stretta collaborazione tra i due, poi, di assoluto rilievo sono le deposizioni (in particolare, quelle dei testi Ro. e Ro.) richiamate dal tribunale122, dalle quali complessivamente si ricava come tra il presidente ed il d.g., non vi fosse solamente una forte consonanza di intenti ma anche un indissolubile legame operativo, peraltro ammesso dallo stesso So. nel corso delle comunicazioni captate, dal tenore davvero inequivoco, che saranno più oltre riportate. La conversazione n. progr. 235 intercettata il 26.8.2015, intercorsa tra il coimputato Zi. e Pa.Ba., del resto, ne costituisce l'ennesimo, significativo riscontro, là dove il primo ha descritto il rapporto tra presidente e direttore generale come quello di soggetti che "viaggiavano a braccetto". E, anche in tal caso, mette conto osservare che si è in presenza di una affermazione davvero significativa, trattandosi non già di una valutazione (in quanto tale caratterizzata da insuperabili profili di opinabilità) resa da un soggetto estraneo alle dinamiche operative dell'istituto, bensì di un icastico giudizio (del tutto sincero, in quanto captato dagli investigatori all'ascolto) proveniente da un consigliere di amministrazione il quale, peraltro, come si è appreso nel corso del processo, era tanto sensibile alla sorte di B. ed impegnato nella vita dell'istituto da ambire ad assumerne la presidenza, succedendo a ZO., A corredo di tali elementi, poi si collocano le dichiarazioni di quei soggetti - anche costoro intranei all'istituto di credito o, comunque, pienamente inseriti nel contesto produttivo vicentino del quale la banca era il polmone finanziario e, quindi, ben consapevoli di quanto andavano dicendo - che hanno descritto l'imputato come "padre padrone" (è il caso di quanto riferito dal funzionario B. Ro., ovvero dall'imprenditore Ro., nonché dell'espressione proferita dal d.g. So. nel corso di una intercettazione telefonica), ovvero come "monarca assoluto" della banca (è il caso del sindaco Pi., intercettata nel corso di una conversazione con il consigliere To.. Sul punto, con riferimento alla inattendibile "smentita" dibattimentale di tale definizione, sì rimanda a quanto più oltre evidenziato): se è vero, infatti, che tali definizioni, a stretto rigore, come sistematicamente rimarcato dalla difesa del giudicabile, non si emancipano dal rango di valutazioni, è altrettanto indubitabile che, provenendo da soggetti qualificati (i quali, evidentemente, ancoravano le predette affermazioni a vicende da costoro vissute nella quotidianità dell'ambiente di lavoro), si è in presenza di giudizi che scaturivano da solide evidenze fattuali, significativi di una modalità di interpretazione del ruolo presidenziale tutt'altro che formale. Si è in presenza, quindi, di apprezzamenti di significazione tutt'altro che incerta e, anzi, di indubbia efficacia probatoria. Peraltro - osserva questa Corte - non sembra affatto errato spingersi a sostenere che è proprio la larga condivisione di un siffatto giudizio tra soggetti, a diverso titolo, tutti ben informati dei concreti assetti gestionali dell'istituto di credito e, specificamente, delle dinamiche della conduzione della banca, ad integrare, essa stessa, una importante evidenza fattuale. A tali elementi, poi, si aggiungono le significative, coerenti dichiarazioni rese dal coimputato GI., il quale, offrendo una ulteriore "lettura dall'interno" delle dinamiche in atto nel "board ristretto" dell'istituto - lettura particolarmente utile in quanto, per un verso, proveniente proprio da un soggetto apicale nell'organigramma della banca; e, per altro verso, non influenzata da quel palpabile imbarazzo se non anche, come s'è detto, da quella ritrosia al limite della reticenza riscontrabile in numerose deposizioni di alti funzionari che hanno agito a stretto contatto con il più elevato management aziendale (e, ancor più, di numerosi consiglieri e membri del collegio sindacale di amministrazione dell'istituto, evidentemente condizionati anche dal ruolo di responsabilità rivestito da costoro nella banca, peraltro all'origine delle sanzioni amministrative loro irrogate dalla vigilanza) - ha individuato proprio nello ZO. l'effettivo vertice operativo di B. e, nel CdA un organo collegiale sostanzialmente supino. In effetti, nel memoriale prodotto a sostegno della richiesta di rinnovazione dell'esame, il predetto GI., con specifico riferimento alla posizione di Zo.Gi., ne ha definito con nettezza il profilo operativo, icasticamente affermando che il presidente era "il vero amministratore delegato della banca" - in quanto tutte le decisioni di un qualche rilievo necessitavano della sua approvazione o erano, comunque, da questi condivise. Ciò egli ha fatto: - dopo avere ricostruito l'operatività della banca nelle operazioni correlate come una prassi diffusa e consolidata a partire dagli anni 2011-2012 (ovverosia - come da questi precisato - dal momento nel quale le azioni B. avevano cessato di essere attrattive per i clienti, sia in termini di dividendi che di incremento di valore, sicché si era manifestata una situazione di crisi strutturale del mercato secondario del titolo); - e dopo avere precisato, altresì, che la scelta di astenersi, illegittimamente, dall'operare le decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi finanziati per l'acquisto delle azioni medesime era funzionale a migliorare i requisiti di capitale, ad esaudire le richieste di vendita dei soci ed a sostenere il prezzo delle azioni, soggiungendo, inoltre, che le indicazioni impartite dal d.g. So. al management erano nel senso di mantenere riservata all'esterno tale operatività della banca (donde l'impiego, nelle pratiche di fido, della dicitura anodina operazioni mobiliari/immobiliari, divenuta, all'interno della banca, vero e proprio sinonimo di "operazioni correlate"). Più nel dettaglio, il GI. ha ricordato come il d.g. So. fosse solito trascorrere l'intero pomeriggio del giorno precedente alle sedute del CdA, ovvero l'intera mattina di tale giorno, con il presidente, per discutere e concordare le delibere che sarebbero state presentate all'organo collegiale, precisando dì essere direttamente a conoscenza di tale prassi perché era stato ripetutamente convocato allorquando le delibere provenivano dalla "Divisione Mercati". In quelle occasioni, ZO. era solito approvare, modificare o cancellare il testo della bozza del provvedimento ed il d.g. So. costantemente interveniva a sostegno. Ebbene, si è chiaramente in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal delineare, come vorrebbe la difesa dell'imputato, ì contorni di una ordinaria operatività del presidente (ovverosia una operatività necessariamente caratterizzata da quei periodici contatti con il d.g. finalizzati a consentirgli di acquisire le informazioni necessarie ad assolvere il ruolo non operativi assegnatogli dalla normativa di riferimento), attestano l'esistenza (quantomeno) di una irregolare diarchia nella conduzione della banca, peraltro plasticamente confermata anche dalla retribuzione riconosciuta allo ZO. (il quale percepiva un compenso annuo di circa 1 milione 110 mila Euro annui, a fronte di quello medio dei singoli consiglieri che si aggirava intorno ai 140 mila Euro annui, ovverosia una retribuzione quasi equivalente a quella del d.g., So., i compensi annui del quale oscillavano tra 1 milione e 300 mila Euro ed 1 milione 500,000 euro126), E, a sostegno di tali dichiarazioni, il propalante ha richiamato plurimi documenti dai quali, in effetti, ad onta delle generiche contestazioni difensive127, è possibile ricavare l'attiva partecipazione del coimputato nella quotidiana operatività della banca, al di fuori, quindi, del perimetro delle attribuzioni proprie di un ruolo di rappresentanza e di garanzia. Trattasi, segnatamente: - della lettera da inviare ai soci a giustificazione dei ritardi nell'evasione delle richieste di vendita delle azioni prodotta (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.1.1); v della missiva inviata dal d.g. della società immobiliare del gruppo al vicedirettore Ca. inerente ad una richiesta di ZO. in merito agli immobili facenti capo al Gruppo Banca (...) (missiva prodotta sub 4.1.2); - della comunicazione in materia di avviamenti con la quale il coimputato PE. riferiva al d.g. So. che l'argomento avrebbe dovuto essere trattato con ZO. (comunicazione di cui al documento allegato sub 4,1.3); - di mail ed allegati documenti attestanti il coinvolgimento del presidente nelle decisioni in materia di "codice etico" e di "riorganizzazione della sede centrale" (di cui alle produzioni sub 4.1.4, e 4.1.5). Ebbene, si è in presenza, com'è evidente solo ad una veloce lettura di tali produzioni, di documenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato (cfr. pagg. 6-9, 11-12 della memoria inerente agli esiti della rinnovazione istruttoria; cfr., inoltre, le considerazioni svolte nella memoria conclusiva), sono di significato tutt'altro che trascurabile ed incerto. Quindi, rievocando le fasi finali della propria permanenza presso l'istituto di credito, il GI. ha riferito che lo ZO., coerentemente con i suggerimenti offertigli dall'avv. Ge. (e, al riguardo, il dichiarante ha richiamato il documento in allegato al memoriale sub 4,6,1., ovverosia la nota riservata datata 11.5,2015, inviata dall'avv. Ge. al presidente Zo., nella quale si suggeriva anche l'esecuzione di un "forensic sulle mail aziendali", ovverosia di "un'attività di sana e prudente ricerca dello stato di conoscenza tra i funzionari e dirigenti dei fatti cui alludono gli ispettori presenti in Banca" - così a pagina 4 della predetta nota), aveva tentato di affrontare il problema che allora stava emergendo dei finanziamenti "baciati", operando una netta discontinuità gestionale, ma, così, sostanzialmente, scaricando le relative responsabilità solo su altri. In questo contesto di predisposizione di una sorta di exit strategy - ha soggiunto il dichiarante - lui stesso aveva appreso della richiesta, proveniente dal medesimo ZO., di cancellazione delle mail presidenziali, richiesta della quale gli aveva riferito un impiegato del SEC di Padova, Ba.St., e che, poi, non era stato possibile attuare. E, a sostegno di tali affermazioni, il GI. ha prodotto un documento di significativo rilievo, ovverosia la stampa della chat inerente alle comunicazioni scambiate, sul tema, proprio con il predetto Ba., comunicazioni che, in effetti, confortano dette propalazioni etero-accusatorie (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.6.2.: "Ciao Stefano. Una curiosità. Tu avevi detto a Ca. che Zo. ti aveva chiesto di cancellare le sue mail? Grazie mille, Abbi pazienza" - "Non mi ricordo bene l'episodio. Devo pensarci un attimo per richiamare la cosa alla memoria" .... ..."Mi sembra che la Li. avesse chiesto se era possibile. Ma le era stato risposto che non si poteva fare perché comunque rimanevano le tracce della cancellazione e sarebbero servite direttive. Secondo me avevano chiesto ai ragazzi che gestivano le mail"). Peraltro, significativa dell'esistenza di una attività di occultamento di elementi a che potessero evidenziare un coinvolgimento del Presidente è anche la conversazione intercorsa tra Bo. e MA. nel corso della quale il primo si faceva latore della richiesta, proveniente da ambienti del CdA, di modificane quanto dallo stesso MA. riferito in sede di intervista "audit" in ordine al fatto che il d.g. So. fosse solito attestare la conoscenza della prassi del capitale finanziato in capo allo Zo. (nel citato colloquio allusivamente indicato come "chi di dovere"). Trattasi, complessivamente, di un protagonismo che davvero mal si concilia con la tesi di un presidente confinato in un ruolo di rappresentanza e che, al contrario, appare coerente con la vera e propria attività gestoria evocata dallo stesso propalante e rispecchiata dagli ulteriori elementi citati. Infine, il GI. ha descritto i rapporti intercorrenti tra il presidente ed il d.g. So. in termini di strettissima collaborazione, in stringente aderenza, peraltro, ad ulteriori evidenze probatorie (si pensi, per tutte, alla già evocata affermazione del coimputato ZI., secondo la quale i due "viaggiavano a braccetto"), soggiungendo che il presidente ed il d.g. erano anche legati da una sorta di reciproca riconoscenza: da un lato, infatti, il primo aveva trovato in So. una sponda per vanificare la proposta del precedente d.g., Co., allorquando costui intendeva promuovere la fusione con il Ba.Po.; dall'altro, il secondo aveva beneficiato della comprensione dello ZO. con riferimento alla manipolazione dei bilanci della Sec, se non anche ad una presunta vicenda "di mazzette" relativa ai rapporti con i fornitori della Ca.. Peraltro, con specifico riferimento alla questione dei bilanci SEC, la deposizione del teste Gr. ha puntualmente confermato le propalazioni del GI., là dove l'ex direttore generale, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale, ha rievocato tanto la falsificazione dei bilanci di tale società ascrivibile al So. quanto la decisione dello ZO. di graziarlo perché "non aveva rubato" e, quindi, a giudizio del presidente, il "peccato commesso" non era dei più gravi. Trattasi, a ben vedere, dì elemento di estrema significazione, in quanto appare ben difficilmente spiegabile, se non proprio nella prospettiva indicata dal GI., il comportamento di un presidente che, reso edotto di tale grave mancanza, evidentemente sintomatica di un assai pericolosa "disinvoltura" nella redazione dei bilanci di una "controllata", non si fosse preoccupato che un siffatto approccio potesse essere replicato anche con riferimento alle scritture di B.. Il rinnovato esame dibattimentale del medesimo GI., poi, ha consentito di saggiare ulteriormente l'affidabilità della fonte (posto che l'escussione di quest'ultimo nel contraddittorio delle parti non ha fatto emergere criticità ed incoerenze della narrazione e, men che meno, falsità di sorta), oltre che di arricchire il contributo di conoscenza originariamente dal propalante affidato al citato memoriale. Il GI., infatti, non solo ha confermato il forte protagonismo operativo dello ZO. nella conduzione della banca, rendendo le seguenti, puntuali affermazioni: particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio. Il Presidente era presente, era presente nei gangli organizzativi. So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse. I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo., Quindi, voglio dire, io dico quello che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati, se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo..."; ma, come si dirà più oltre, ha ribadito ed approfondito quanto anticipato nel memoriale, in particolare con specifico riferimento alla piena conoscenza in capo al presidente del sistematico ricorso al capitale finanziato. Deve allora necessariamente convenirsi che i dati valorizzati dal tribunale ed in precedenza succintamente richiamati - elementi ai quali si è aggiunto il significativo contributo conoscitivo fornito dal coimputato GI., siccome testé rievocato - costituiscano la più sicura conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, del puntuale giudizio già reso dall'ente di vigilanza Banca d'Italia con riferimento alla governance dell'istituto di credito e, segnatamente, alla ingombrante presenza di un presidente che, al contempo, individuava gli obiettivi strategici della banca e ne seguiva la realizzazione, preoccupandosi, altresì, di ogni questione operativa. Pertanto, si è in presenza - va precisato per completezza - di una situazione tutt'affatto differente rispetto a quella, propria di una presidenza meramente "formale", evocata dall'appellante attraverso la produzione, in allegato all'atto di appello, della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica dì Treviso in data 2.4.2020 con riferimento alle analoghe contestazioni mosse al Presidente del CdA di Ve., Tr.Fl.. In effetti, ai convergenti dati probatori valorizzati dal primo giudice, l'appellante ha contrapposto (al paragrafo 3.3, let.re b-j, pagg. 76-137 dell'atto di impugnazione) elementi (poi in larga parte ripresi ed ulteriormente valorizzati nelle citate "note scritte di discussione" in data 28.9.2022 - cfr. pagg. 18 e ss.) asseritamente di segno contrario - in quanto ritenuti tali da escludere che l'imputato potesse essere definito come il "monarca" dell'istituto e, anzi, considerati idonei a dimostrare che costui non esorbitasse affatto dalle attribuzioni della presidenza e non svolgesse, pertanto, alcun ruolo operativo (come sostenuto al conclusivo punto 3.3 lett. k) - ma, in realtà, tutt'altro che adeguati a legittimare una differente lettura del ruolo concretamente svolto dallo ZO.. Trattasi, segnatamente: - della conversazione n. 526, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. (par. 3.3, lett. b); - di specifici "passaggi" delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo., So., Me., Bi., An., Tu., Fa., Se. e Ro. (par. 3.3., lett. c); - della mancata partecipazione dell'imputato ai Comitati Esecutivi ed ai Comitati di Direzione (par. 3.3, lett. d); s dell'estraneità dell'imputato rispetto alla erogazione del credito (par. 3.3, lett. e); - del ruolo corretto tenuto dal presidente in relazione alla svalutazione del valore dell'azione da 62,50 a 48 Euro deliberato nell'aprile del 2015 (par. 3.3, lett. f); - dell'estraneità del giudicabile all'iniziativa di creazione della "task force gestione soci" costituita nella primavera del 2015 (par. 3.3, lett. g); - della tempestiva attività svolta dal medesimo ZO. per corrispondere alle richieste degli ispettori Bc. che intendevano approfondire le questioni delle "lettere di garanzia" e dei "fondi lussemburghesi" (par. 3.3 lett. h); - del reale comportamento tenuto dal predetto con riferimento alle dimissioni del d.g. So. e dei coimputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i) e della condotta assunta dal presidente dal momento della nomina del nuovo Direttore Generale e Consigliere Delegato, Fr.Io., sino alle sue dimissioni (par, 3.3, lett. j). In effetti, detti elementi non legittimano affatto le conclusioni che pretende trarne l'appellante. Sul punto, una precisazione è d'obbligo: quelli evocati dalla difesa a sostegno delle considerazioni svolte ai predetti punti 3.3 lettre b, c, e, f, g, h, i dell'impugnazione sono, in larga parte, contributi testimoniali che scontano - come già premesso ed a differenza di quanto direttamente verificato, con riferimento all'effettivo ruolo svolto dal presidente ZONIIM, dagli ispettori di Banca d'Italia (peraltro anche in periodi significativamente antecedenti rispetto all'arco temporale in cui si collocano i fatti oggetto di addebito) - un più o meno marcato deficit di affidabilità, in quanto provengono da soggetti a diverso titolo coinvolti nella vicenda in esame (in qualità di componenti del CdA, come nel caso di An., Do., Co., Ro., ovvero di membri del Collegio Sindacale; ovvero di dipendenti dell'istituto di credito impegnati in settori "sensibili" rispetto al tema del capitale finanziato, come nel caso, in particolare, di Ri., di Fa. e di Tu., o comunque, strettamente legati al vertice dell'istituto, come So., il quale, peraltro, nel complesso, come si vedrà più oltre, ha reso dichiarazioni assai significative nell'evidenziare la diffusa conoscenza, ai vertici operativi della banca, del fenomeno delle operazioni correlate; ovvero ancora di professionisti intervenuti in momenti decisivi della vicenda in esame, ed è il caso del professor Bi. e dell'avv. Ge.). Si è in presenza, pertanto, di deposizioni (massimamente quelle dei consiglieri di amministrazione e dei membri del collegio sindacale, ma anche quelle di coloro che hanno offerto la propria stretta collaborazione ai vertici operativi della banca maggiormente coinvolti nella concreta gestione dei finanziamenti correlati) alle quali - va ribadito - è doveroso approcciarsi con estrema prudenza. Ciò posto - e passando al merito delle considerazioni difensive - gli elementi valorizzati nell'appello, ancorché ampiamente enfatizzati nella relativa esposizione, assumono, in ottica difensiva, davvero scarso rilievo rispetto al tema in oggetto: - così è per la conversazione n. 526 (par, 3.3, lett. b), intercorsa tra il coimputato MA. ed il capo-area Fr.Cu., posto che non è certo pensabile che l'imputato - il quale, com'è pacificamente emerso, di questioni significative interloquiva pressoché esclusivamente con il d.g. So. - si intrattenesse con un "semplice" capo-area su questioni inerenti alla conduzione dell'istituto di credito; - così per i passaggi, evocati nell'appello (par. 3.3, lett. c), delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo. e So., Bi., Me., An., Tu., Fa., Se. e Ro.. In particolare, le dichiarazioni del Gr., richiamate nella parte in cui il predetto ha rivendicato la propria autonomia rispetto al presidente Zo., sono state nondimeno trascurate là dove il medesimo dichiarante ha significativamente delineato il ruolo dell'imputato in termini di forte protagonismo. Peraltro, il medesimo teste Gr., in occasione della rinnovata escussione in sede di giudizio di appello, con riferimento alle modalità di esercizio della presidenza da parte dello, ZO., dopo avere richiamato il perimetro assai circoscritto delle attribuzioni presidenziali delineato dalla disciplina di Banca d'Italia, ha precisato che lui stesso era solito discutere con l'imputato delle questioni di una certa importanza, soggiungendo che, con riferimento alla tematica della quotazione in borsa, era stato proprio lo ZO. a esprimersi in senso contrario. Aggiungasi che detto teste ha velatamente (ma in modo chiaramente percepibile da parte di un ascoltatore avvertito delle dinamiche proprie del contesto di riferimento) operato una distinzione, a ben vedere nient'affatto casuale, tra quello che avveniva, nei rapporti con il presidente, durante la sua gestione, insofferente di ogni indebita intromissione e quello che, diversamente, sarebbe potuto avvenire durante la gestione So., il quale, peraltro, come riferito dallo stesso Gr. innanzi al tribunale, aveva uno stretto rapporto con lo ZO. che ne apprezzava il decisionismo, fermo restando che il rapporto tra i due, siccome puntualmente descritto dal teste Pa., era caratterizzato dal timore reverenziale nutrito dal d.g. (non diversamente, del resto, da tutto il personale della banca) nei confronti di un presidente assai autorevole, se non addirittura autoritario. D'altra parte, tale avvicendamento era avvenuto in concomitanza con la crisi finanziaria e del mercato secondario, per cui è ragionevole ritenere che la mancata ingerenza dell'imputato nell'operatività dell'istituto durante la gestione Gr. potrebbe non essersi affatto riprodotta nel periodo successivo, quando il direttore generale era persona, per un verso, meno rigorosa del predetto Gr. e, per altro verso, maggiormente condizionata nella sua gestione dell'istituto dall'inasprirsi della crisi che rischiava di vanificare le ambizioni di ZO. (non più contenute dalla concretezza e dal realismo di Gr.). E, sul punto, significative sono le già richiamate dichiarazioni rese dal teste Pa., relative proprio al periodo successivo all'avvicendamento Gr.-So. - In ogni caso, a ben vedere, quella resa dal teste Gr. è una deposizione davvero inconciliabile con la tesi di un imputato "confinato" in un ruolo di semplice rappresentanza. Di trascurabile significato, poi, sono anche i passaggi richiamati delle deposizioni dei testi: Do., essendosi questi limitato a dichiarare che l'imputato gli aveva riferito che si occupava solamente di "strategia" (circostanza, peraltro, anch'essa incoerente con un quell'incarico poco più che meramente formale che, nella prospettiva in precedenza delineata, potrebbe giustificare l'ignoranza della pervasiva prassi delittuosa in essere, da anni, presso B.); Li. e Lo., trattandosi, in tali casi, dì dichiarazioni che, per i ruoli dei dichiaranti (la prima, segretaria personale dell'imputato; la seconda, dapprima responsabile della direzione comunicazione e, successivamente, membro del CdA di fondazioni "partecipate" da B.) consentono di conoscere, per un verso, (e abitudini lavorative del giudicabile e, per altro verso, gli interessi da questi coltivati rispetto ad attività culturali e benefiche, ma nulla predicano di specifico in relazione al tema oggetto di prova; nonché So., quello evocato dall'appellante essendo un breve passaggio, sostanzialmente irrilevante, della ben più articolata deposizione resa da tale testimone (eccezion fatta per quanto riferito in ordine alle pratiche di fido, delle quali, tuttavia, il So. non si occupava direttamente, donde lo scarso rilievo, sul punto, di detta dichiarazione). Altrettanto dicasi per deposizione del teste Bi., in quanto la circostanza che tale professionista interloquisse solamente con il d.g. e non avesse subito pressioni di sorta dall'imputato nell'ambito delle valutazioni demandategli in punto di determinazione del valore del titolo B., non contrasta affatto con le evidenze probatorie valorizzate dal primo giudice, al pari del fatto che, secondo quanto riferito dal medesimo Bi., lo ZO. si esprimesse, con riferimento al tema "valore dell'azione", in termini "atecnici". Peraltro, non è affatto irrilevante evidenziare, ai fini della comprensione del ruolo dello ZO. e del CdA nella determinazione del prezzo (sovrastimato) dell'azione, come il Bi., nell'interloquire con il PE. (e, quindi, non solo con il So.), avesse avuto modo di precisare che l'attribuzione del valore del titolo nei termini poi definiti di 62,5 Euro fosse stata conseguenza di una scelta della banca assai opinabile. In effetti il tenore della mail inviata dal professore al Responsabile della Divisione Bilancio PE. il 29.4.2013 non lascia adito a dubbi: "Gentile dott. Pe., mi sembra esagerata l'enfasi data alle mie considerazioni sul prezzo di 62,5 rispetto a quanto riportato nella mia valutazione. Sarei più prudente. Così come è messa sembra che il perito vi dica che 62,5 è runico prezzo da scegliere, mentre l'aver evidenziato una forchetta di valori dell'adozione del criterio reddituale va semmai nel senso contrario....In breve consiglierei una maggiore prudenza di lettura della perizia e segnalerei tra i rischi quello di non riuscire a realizzare il piano"). Aggiungasi che lo stesso Bi. ha riferito come il tema dell'incremento di valore del titolo fosse un obiettivo perseguito dallo ZO. e dal So. ("Zo. e So. avevano espresso un aspetto di ispirazione verso un incremento del titolo B. anche se non ho ricevuto pressioni sollecitazioni o inviti a raggiungere un determinato risultato finale"...), i nomi dei quali, d'altronde, come opportunamente evidenziato dal P.G. nella memoria conclusiva, nella narrazione del teste ricorrono sempre abbinati, quasi come - una endiadi", ad ulteriore riprova dello stretto collegamento operativo tra i due. Analoghe conclusioni, poi, si impongono con riferimento alle dichiarazioni rese dai testi Me., An., Tu. e Fa., ove si consideri la genericità delle circostanze da costoro riferite e, nondimeno, specificamente valorizzate dall'appellante (cfr. al riguardo, quanto precisato alle pagg. 84-87). In ogni caso, si è in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, risultano tutt'altro che incompatibili con quanto aliunde emerso a carico dello ZO., Che, infatti, il Me. - amministratore di Pa.Fi. - avesse poi trattato della lettera dì garanzia con il So. è circostanza del tutto coerente con il ruolo del direttore generale, pacificamente risultato il vero e proprio regista delle operazioni dì capitale finanziato. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il medesimo Me. ha riferito di essersi incontrato con il d.g. dopo l'allontanamento di quest'ultimo da B., soggiungendo che il So., nell'occasione, gli aveva riferito come il presidente fosse ben consapevole della prassi invalsa presso la banca ma intendesse scaricare ogni responsabilità proprio sullo stesso d.g., quale "capro espiatorio"134. Quanto, poi, ai passaggi delle dichiarazioni del teste Tu. evocati dal difensore, il tema ivi affrontato (interessamento da parte dello ZO. in relazione alle questioni della pinacoteca del comune di Prato e della chiusura del banco-pegni della medesima località) è davvero obiettivamente trascurabile. Non è in discussione, infatti, che il giudicabile si occupasse di tali questioni "di contorno" (questioni che, al contrario, è pacifico che suscitassero il vivo interessamento dell'imputato, assai sensibile a tutto ciò che potesse accrescere il prestigio della banca), bensì che costui esorbitasse, nel l'interpreta re il proprio ruolo presidenziale, da tali ambiti. Infine, la circostanza, riferita dal teste Fa., che al presidente pervenissero i comunicati già predisposti è assolutamente "in linea" con la presenza, presso B., di una struttura amministrativa obiettivamente articolata, ma non implica affatto che lo ZO. si limitasse ad apporre una "inconsapevole" firma in calce a detti documenti. Del resto, il teste An., anch'egli nuovamente escusso nel dibattimento d'appello, non solo ha precisato che era stato l'imputato ad inserirlo, dapprima, nel CdA di Ba.Nu. (dove aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente) e, quindi, in quello di B. (il che ulteriormente conferma il protagonismo del giudicabile nella selezione dei soggetti destinati a ricoprire ruoli di responsabilità nell'istituto), ma, nell'evidenziare come lo ZO. avesse espresso forte contrarietà alla proposta di So. di bloccare la valutazione del titolo B. e nel precisare, inoltre, che il rapporto tra l'imputato ed il d.g. era di "esclusività", in quanto il presidente faceva sostanzialmente da "cerniera" tra la dirigenza ed il CdA135, ha implicitamente avvalorato la ricostruzione di una modalità di esercizio delle attribuzioni presidenziali da parte del giudicabile tutt'altro che di mera rappresentanza, contribuendo a chiarire come, all'interno della più alta dirigenza dell'istituto, fosse sostanzialmente riscontrabile una duplicità di livelli: quello, di massimo vertice, relativo alla coppia "ZO.-So."; e quello, più propriamente riconducibile alla ordinaria dinamica di un board ristretto, inerente ai rapporti tra il d.g. e gli altri dirigenti apicali. Infine, in relazione alle deposizioni dei testi Se. e Ro., deve osservarsi, con riferimento al primo (Se.), che il passaggio valorizzato dall'appellante evidenzia unicamente che l'imputato non era esperto di "operatività tecnica" e, segnatamente, di "merito creditizio", non già che costui non fosse - come peraltro espressamente affermato dal medesimo teste, nei passaggi di poco precedenti della stessa deposizione - "presente e interventista". Anzi, è opportuno precisare che tale teste ha precisato che l'imputato "era presente in ogni ganglio operativo, scendeva sulle strutture". Del resto, la mail inviata da Gi. ad alcuni colleghi della Direzione Generale il 13.9.2010 nella quale il primo, in relazione alla riunione che avrebbe avuto luogo la sera stessa, esplicitamente affermava ".. Il Presidente sarò (sarà) duro con i capi area...", ne è un'evidente conferma. Peraltro, non è affatto inutile sottolineare come, a far giustizia della tesi di un presidente incapace di comprendere, al di là delle specifiche questioni più propriamente tecniche, significato e portata delle tematiche che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano le stesse parole dell'imputato, più oltre evocate, dalle quali si apprende come costui fosse ben consapevole dell'importanza e delle relative implicazioni, anche sul patrimonio di vigilanza, del - Fondo acquisto azioni proprie" (ovverosia, come s'è detto, di uno dei più importanti temi inscindibilmente collegati alla generale questione del capitale finanziato). Ne consegue che descrivere lo ZO. - il quale, per moltissimi anni, ha guidato l'istituto di credito vicentino, orientandone con decisione la politica espansionistica che aveva portato la banca a divenire uno dei gruppi bancari più importanti d'Italia - come un "semplice" imprenditore del settore vinicolo "prestato" al circuito bancario e privo di alcuna competenza in materia (e, quindi, fare leva su tale radicale difetto di conoscenze ed esperienza, per tentare di accreditare la tesi di un presidente facile vittima di un direttore generale infedele) appare davvero un fuor d'opera. Del resto, non pare affatto inutile richiamare, a riprova di una effettiva competenza del giudicabile che andava ben oltre ai "fondamentali" in materia, quanto riferito dal teste Fa., là dove questi, peraltro nell'ambito di contributi dichiarativi, come s'è detto (e come ancora si dirà più oltre), costantemente ispirati ad un approccio "riduzionistico", non solo in ordine alla effettiva conoscenza del fenomeno in esame all'interno della struttura di B. ma anche (e conseguentemente) delle altrui responsabilità in ordine a tale prassi, nel rievocare un incontro che aveva avuto con il presidente nel corso del CdA del 10-11.2014 ha precisato che tale incontro era stato richiesto dalla segreteria di ZO. in quanto quest'ultimo aveva la necessità di approfondire, attraverso i dati di riferimento, l'evoluzione dei "Price Book Value" di banche popolari quotate e non quotate ed ha significativamente soggiunto, a richiesta del difensore della parte civile, che il presidente mostrava di conoscere il concetto in esame, consistente nel parametro di sopravvalutazione o sotto valutazione di un'azione". Con riferimento al secondo testimone (Ro.), poi, si è trattato di una fonte dichiarativa che, pur avendo successivamente ridimensionato (senza, peraltro, fornirne convincente ragione) il senso delle espressioni precedentemente rese ("non si muove foglia senza il suo consenso" - "padre padrone della banca") ed escludendo quelle interferenze dell'imputato nelle procedure di vendita delle azioni che, pure, in precedenza, aveva linearmente descritto (donde, ad avviso della Corte, l'inattendibilità di tale revirement, peraltro contraddetto dall'esplicito tenore delle mail - trattasi dei significativi documenti nn.ri (...) e (...) della produzione del P.M. - esibite a detto teste nel corso della relativa escussione141) ha nondimeno ribadito che lo ZO. interpretava il proprio ruolo in modo tutt'altro che passivo. In relazione, da ultimo, alle dichiarazioni rese dal teste Br. (e diffusamente richiamate nella memoria conclusiva inerente alla rinnovazione istruttoria), è sufficiente ribadire quanto già detto in ordine alla complessiva inattendibilità di tale fonte, trattandosi di soggetto legato da una stretta collaborazione decennale con l'imputato ed evidentemente influenzato dall'interesse a ridimensionare il proprio ruolo in relazione alla vicenda del "default" di B. per sottrarsi alle responsabilità, non solo di ordine "morale" ma anche amministrativo, sullo stesso gravanti connesse alla posizione di membro del CdA e queste ultime all'origine delle sanzioni irrogategli da Consob; - così per la mancata partecipazione del giudicabile ai comitati esecutivi e di direzione (pan 3.3, lett. d). Ed invero, a parte il fatto che lo ZO. ha sicuramente presenziato (circostanza pacifica e non contestata - cfr. atto di appello, pagg. 96-97) alla riunione 11-11.2014, convocata dopo la pubblicazione del citato articolo di stampa sul quotidiano "(...)" ed anche a voler ammettere che lo ZO. non fosse intervenuto al comitato di direzione 20.4.2015 (con la conseguenza che quello del teste Am. in ordine alla presenza del presidente sarebbe un ricordo errato, come minuziosamente argomentato dalla difesa alle pagg. 97-98 dell'atto impugnazione), deve osservarsi come, per quanto detto in ordine ai rapporti dell'imputato con il vertice del management aziendale (e, segnatamente, con il d.g. So.), non fosse certo in occasione delle riunioni predette che il presidente acquisiva contezza delle problematiche della banca (bensì, come meglio si dirà più oltre, in occasione dei continui contatti riservati che intratteneva con il d.g.). E' agevole osservare, del resto, che la diretta partecipazione del presidente a tali incontri avrebbe pesantemente "oscurato" la posizione del direttore generale, compromettendone l'autorevolezza. Donde il rilievo davvero trascurabile delle deduzioni difensive sul punto; - così, ancora, per l'assenza di interventi diretti nell'erogazione del credito (par. 3.3, lett. e). Trattasi, invero, di circostanza, al contempo, pacifica e irrilevante. Questo, ove si abbia la debita attenzione, per un verso, al ristretto livello nel quale venivano adottate le relative decisioni strategiche; per altro verso, alla riservatezza che contraddistingueva tale operatività illecita; e, per altro verso ancora, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., alle considerazioni svolte in ordine alla separata interlocuzione che egli costantemente intratteneva pressoché esclusivamente con il d.g. So. (donde anche l'irrilevanza della intercettazione della comunicazione intercettata n. 259, richiamata alle pagg. 101-105 dell'appello e non considerata dal primo giudice, nel corso della quale il coimputato MA. negava di avere mai personalmente interloquito, sul punto, con il presidente)-Peraltro, va rimarcato, in senso contrario, che l'ascolto dell'audio dell'intervento dell'imputato nel corso del CdA del 5.11.2013 consente univocamente di apprezzare il profilo di un presidente pienamente cosciente anche delle problematiche inerenti alla gestione del credito e delle implicazioni di tale tema con quello del mercato secondario, come si evince agevolmente dal seguente passo della relativa trascrizione: "....quando c'è una pratica che cominciano i milioni di Euro bisogna fermarsi e leggerla bene perché non possiamo e devono essere ancora più severi nella selezione del credito perché le banche che vanno meno peggio sono quelle che sono state più severe nella selezione del credito. Noi abbiamo aiutato ma finché aiuti quello da 20 mila Euro va bene ma quando uno viene coi 20 milioni o i 30 milioni e li perdi dove vai? Ti attacchi a un capannone dopo. Allora se uno ha bisogno di quattrini e vende e non c'è più nessuno che ti compra l'azione perché non aumenta il valore e perché gli dai una redditività molto bassa cosa fai tu? Dimmi cosa fa il Consiglio? Cosa fai?..." (cfr. pag. 5 della trascrizione); - così, inoltre, per il ruolo rivestito dall'imputato al momento della svalutazione del valore del titolo (par. 3.3, lett. f), nell'aprile del 2015 (allorquando il predetto era stato rispettoso delle indicazioni fornite, in particolare, dall'esperto prof. Bi.), essendosi in presenza di una determinazione inevitabile, in quanto adottata in un contesto di crisi oramai conclamata. Aggiungasi che il primo giudice ha dato puntualmente conto, con riferimento alla precedente determinazione del prezzo dell'azione, dell'intervento del giudicabile - cui aveva fatto seguito, al solito, la supina adesione da parte del CdA - teso a privilegiare, tra i criteri per la determinazione di detto prezzo, il criterio reddituale, peraltro in deroga alle stesse regole procedurali nell'occasione adottate dalla banca, regole che sconsigliavano in modo esplicito l'enfatizzazione di un criterio rispetto ad un altro; inoltre, ha opportunamente evidenziato come il comunicato stampa diramato per annunciare tale determinazione non avesse minimamente fatto cenno alla suddetta deroga procedurale, peraltro all'origine dell'attribuzione di un valore del titolo (62,5 euro) nettamente superiore a quello (49,3) cui avrebbe condotto l'adozione di altro criterio (quello del Market Approach); - così, poi, per la mancata diretta partecipazione alla iniziativa di attivazione della "task force" del 2015 (par. 3.3, lett. g), essendosi in presenza di una decisione strettamente operativa (peraltro pressoché immediatamente naufragata). In ogni caso, è decisivo osservare come, in una fase di tanto eclatante criticità, il palese protagonismo del presidente (aduso ad assumere condotte tutt'altro che improvvisate) sarebbe risultato certamente inopportuno, se non anche pericolosamente controproducente per la posizione di quest'ultimo. Del resto, il varo della "task force" si colloca nel medesimo contesto temporale di ulteriori iniziative alle quali prese parte anche l'imputato (intende farsi riferimento alle interlocuzioni con l'avv. Ge., incontrato dallo ZO. il 6.5.2015 presso la sede B. di Roma) e che portarono alla decisione di adottare un segnale di forte discontinuità nel management; - così per il contegno tenuto dall'imputato in relazione alla scoperta delle lettere di garanzia ed alla criticità dei fondi lussemburghesi (par.3.3 lett. h), trattandosi, anche in tal caso, di condotte assunte, nel pieno dell'ispezione Bc., in una situazione di crisi oramai conclamata, sicché qualsivoglia comportamento finalizzato ad ostacolare l'emersione di tali questioni sarebbe stato davvero "suicida". Ed è proprio in questi termini che può leggersi anche la decisione di denunziare i fatti all'a.g. (peraltro solo nel mese di agosto del 2015), donde l'irrilevanza, sul punto, anche di tale elemento; - così, ancora, per le "dimissioni" del d.g. So. e degli imputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i), posto chetali iniziative, al contrario, depongono nel senso di una decisa iniziativa del presidente il quale, con specifico riferimento all'allontanamento del direttore generale, agì con assoluta determinazione, addirittura sostanzialmente ponendo il CdA, come s'è detto, dì fronte al fatto compiuto; - così, infine, per il comportamento tenuto dall'imputato, negli ultimi mesi, durante la "gestione Io." (par. 3.3, lett. j). Se è vero, infatti, che il giudicabile, in questo periodo, non risulta avere frapposto ostacoli agli accertamenti in corso, è del tutto evidente che, in quel contesto, nessuna differente condotta avrebbe avuto alcun senso, sicché del tutto ragionevolmente il tribunale, ad onta di quanto censurato, sul punto, dalla difesa, ha omesso di considerare specificamente tale circostanza. In altri e decisivi termini, sostenere, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato svolgesse, nella presidenza di (...), se non un ruolo di mera rappresentanza, una funzione strettamente "istituzionale" e che, conseguentemente, non fosse coinvolto nella concreta operatività dell'istituto, è conclusione radicalmente contraddetta da una ragionata analisi del panorama probatorio disponibile che, come s'è visto, predica di una costante e "debordante" presenza dell'imputato nella vita della banca. D'altronde, l'intervento effettuato dallo ZO. in occasione della citata seduta del CdA del 5.11.2013 - trattasi sostanzialmente di un lungo monologo, la cui registrazione audio è stata anche ascoltata in udienza nel corso dell'esame del coimputato GI. - restituisce la più vivida immagine di un presidente assolutamente consapevole tanto della generale situazione di difficoltà in cui versava l'intero settore delle banche popolari (settore rispetto al quale l'imputato, nell'occasione citata, si poneva come un vero e proprio punto di riferimento, nel riportare ai consiglieri le interlocuzioni occorse con i vertici di altre banche popolari e con lo stesso presidente delle Associazioni delle Ba.Po.), quanto, più specificamente - ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede - dello stato di profonda sofferenza nel quale si dibatteva B. a causa della crisi del mercato secondario, tanto da spingersi a sostenere l'ineluttabilità di una radicale riforma del settore, nella evidente speranza che ciò potesse assicurare a B. una via d'uscita dalla oramai cronica situazione di illiquidità del titolo e da impegnarsi personalmente in tal senso. Certamente, si trattava di temi "strategici" e non immediatamente gestionali; tuttavia, le ricadute operative erano immediate e di assoluto rilievo. Peraltro, nel corso di tale intervento, è dato cogliere la piena contezza, in capo al giudicabile: - non solo della gravità della situazione del mercato del titolo B. e della conseguente sopravvalutazione del valore dell'azione, dato che una delle (rare) interruzioni del discorso dell'imputato (interruzione posta in essere, come precisato all'udienza del 17.6.2022 dalla difesa ZO. nel produrne la trascrizione effettuata a sua cura e come confermato dall'imputato GI. durante l'ascolto in aula del relativo file audio, da Gi.Fa., già per anni al vertice della segreteria particolare del Direttorio della Banca d'Italia, indi andato in pensione e divenuto, nel corso di quello stesso anno 2013, consulente di B., nonché presente con regolarità, secondo quanto affermato da GI., ai consigli di amministrazione della Banca, anche se, a suo dire, egli si limitava a stare "a disposizione nella stanza antistante il Consiglio"; il Fa. è stato infatti escusso come teste in primo grado all'udienza del 14.7.2020) consiste proprio in un puntuale intervento dell'interlocutore Fa. in tal senso: "...le popolari italiane ancora non sono interessanti oggi probabilmente (e non "forse'", come erroneamente riportato nella citata trascrizione) il valore detrazione è sopravvalutato..." (cfr. trascrizione citata, pag. 7). Ed invero il predetto Fa., al di là del già chiaro tenore del suo intervento di fronte a ZO. nel CdA del 5.11,2013 (intervento che, peraltro, egli, in sede di deposizione testimoniale, resa il 14.7.2020, ha sostenuto, in contrasto con la documentazione audio in atti, citatagli in aula, di non ricordare affatto: cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico cit.), è stato - sul punto - finanche più esplicito nel corso della deposizione testimoniale suddetta, allorquando ha dichiarato quanto segue, pur cercando a un certo punto di attenuare in parte l'iniziale peso della sua affermazione (cfr. pag. 21 del relativo verbale stenotipico): "TESTIMONE Fa. - Guardi, parlando con I miei col leghi (della Banca d'Italia) mi è stato segnalato, mi dissero: guarda, lì il problema vero è l'azione che è sopravvalutata, il valore dell'azione che era sopravvalutata. - PRESIDENTE - Con quali colleghi ha parlato, mi scusi? - TESTIMONE Fa. - Ho parlato con colleghi della vigilanza. - PRESIDENTE - Sì. Qualcuno, qualche nome? - TESTIMONE Fa. - No. - PRESIDENTE - Non ricorda nessun nome? - TESTIMONE Fa. - No. Insomma, erano colleghi con i quali si aveva consuetudine di scambiare... - PRESIDENTE - Sì, giusto per identificarli. - TESTIMONE Fa. - No, no. L'azione era sopravvalutata, come però lo era per tutte le banche popolari, era un problema diciamo comune a tutta la categoria delle banche popolari, ma la sopravvalutazione allora non era completamente fuori linea, c'era una j sopravvalutazione ma... così"; - ma anche delle implicazioni patrimoniali di tale crisi con riferimento al fondo acquisto azioni proprie ("....il problema delle popolari così come sono concepite è che quando cominciano a venderti le azioni e tu non le compri perché non hai più il fondo di acquisto azioni proprie che va a deprimere il patrimonio, ehhh tu sei finito, sei finito..." - cfr. trascrizione prodotta dalla difesa ZO.; foglio 6). Come si è visto, infatti, la strategia del ricorso al "capitale finanziato" ha rappresentato, nelle intenzioni dei vertici aziendali, la risposta alle difficoltà del mercato secondario del titolo e, quindi, lo strumento per assicurare la "sopravvivenza" dell'istituto di credito. Ed i piani aziendali, pacificamente irrealizzabili (e non certo solo "sfidanti", secondo l'eufemistica espressione adottata da taluni testimoni - cfr. dep. Fa., udienza 15.6.2022, pag. 12; cfr. dep. Ca., udienza 6.2.2020, pag. 68, cfr. inoltre, infra), erano predisposti in tal modo - esattamente come esplicitato dal chiamante in correità GI. - proprio in quanto funzionali a sostenere il valore dell'azione, palesemente sopravvalutata, in una sorta di dissennata rincorsa verso il baratro. Né, del resto, quella del 5.11.2013 è stata fa sola seduta del CdA durante la quale gli interventi del presidente ZO. hanno palesato la piena e consapevole partecipazione dello stesso alla gestione della banca, ben al di là, quindi, dì quel ruolo formale che, nell'appello, vorrebbero ritagliargli i difensori. In particolare, in occasione della seduta del 28.10.2014, ZO. e So. risultano essere intervenuti proprio sul tema della difficoltà di collocare le azioni e, in quel contesto, il d.g. ha effettuato un palese - ancorché non esplicito - riferimento a mutui al quale erano "appiccicate" le azioni, ovverosia a finanziamenti correlati da effettuare in sede di aumento di capitale; "... (Zo.): davamo una certa velocità, adesso questo è come dover passare per un buco stretto, è dura. (So.) Ecco un'altra considerazione, Purtroppo è che la crisi continua, la crisi c'è. E quindi se prima, fino a due anni fa, i 6250 Euro, pari a 100 azioni, era abbastanza normale e facile che uno li appiccicava al mutuo, al mutuo di 100.000, 110.000, 80.000, oggi per un reddito di 1500; 2000 Euro al mese, che già il rapporto rata reddito fa fatica a pagare la rata, aggiungere 6250, vi assicuro che è complicato, no? Dicono; ma non possiamo comprarne meno? Noi non ci interessa diventare soci basta essere, avere un po' di azioni. Quindi....(Zo.) se hanno azioni e non sono soci non possono avere (So.) le agevolazioni....piuttosto se necessario andiamo in assemblea e portiamo la proprietà minima a 50 azioni...). Ma significative della consapevolezza delle dinamiche operative della società sono anche le registrazioni sia della seduta del CdA 19.3.2013, in occasione della quale l'imputato aveva spiegato agli interlocutori come la decisione di pagare il dividendo in azioni fosse stata adottata per svuotare il fondo acquisto azioni proprie: "(Zo.)....solo che gli ultimi due anni li abbiamo dati in azioni, in azioni che avevamo in portafoglio, nel fondo acquisti azioni proprie per svuotare più o meno questo fondo, in modo da ricominciare dal 1 gennaio o subito dopo le...subito dopo l'assemblea, per essere più corretti, perché c'è il periodo dove non commercializziamo, non vendiamo e non acquistiamo le azioni..."); sia della seduta del CdA 4.3.2014, nel corso della quale il presidente, con riferimento all'aumento di capitale che era in procinto di essere lanciato, si era esposto al punto da precisare che, in attesa dell'approvazione da parte delle autorità dì vigilanza, sarebbe stato necessario spingere sulla rete commerciale al contempo assicurandosi che venisse mantenuta la segretezza di tale operatività: "... (Zo.) noi chiederemo alla Consob Banca d'Italia di approvare la....quando ....un po' prima....intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come dicevano....perché bisogna fargli capire....che è un po' complessa, ma insomma, quando poi... quando è entrata nella testa poi non è così complicato, non è così difficile dai..."): sia, infine, della seduta del CdA 11.6.2013. posto che il giudicabile, con riferimento ancora una volta alle operazioni di aumento di capitale, si era dimostrato pienamente consapevole e partecipe finanche dei passaggi più strettamente operativi dell'operazione, peraltro gestiti, ancora una volta, nel segno dell'illegalità, in quanto in contrasto con le prescrizioni ricevute all'atto della relativa autorizzazione: (Za.) ....scusa presidente....ma viene mandata una lettera ai soci? (So.) sì (Za.)...ecco perché non tutti leggono i giornali (Zo.)...prima di mandare la lettera dovevamo avere un'autorizzazione., la lettera è pronta? (So.) è tutto già predisposto...adesso la vediamo.... sì sì questa è l'ultima autorizzazione sì... (Zo.) bisogna partire veloci con le lettere, perché sennò i soci si lamentano se vogliamo prorogare di un mese è possibile? No non non, ma riteniamo di non aver problemi (Zo.) Adesso i soci vengono tutti contattati dai nostri dipendenti, oltre che con la lettera. (So.) oltre che la lettera, c'è un'azione, una campagna molto dettagliata...)". Infine, l'audio della seduta del 18.6.2013 costituisce chiara conferma non solo della ingerenza dell'imputato nelle concrete dinamiche operative dell'istituto ma - come si avrà modo di ribadire più oltre - della stessa conoscenza del capitale finanziato, là dove riscontra le dichiarazioni del GI. in ordine alla richiesta di sottoscrizione di operazioni finanziate avanzata dall'imprenditore siciliano Co., Solo in tale prospettiva, infatti, è possibile attribuire un senso all'invito alla cautela ed alla riservatezza formulato dall'imputato al GI. in vista della interlocuzione con tale potenziale investitore: "... (Zo.) ... le prime sensazioni e ... mi raccomando attenzione per quel signore e noi non facciamo mai doppio conto. O è un correntista di Vicenza o è un correntista di banca nuova. I doppi conti non vanno bene. (Gi.) Già gli ho anticipato di aver parlato con i colleghi di banca nuova...(ZO.) meglio esser prudenti perché chiacchiera chiacchiera. (GI.) gli darò tutte le informazioni che ho recuperato oggi e poi... (ZO.)...però non si sa mai insomma... .mi ha fatto un discorso, mi ha detto: casomai possiamo fare 5 milioni, poi 2/3 milioni li mettiamo noi in azioni...(GI.) ma l'ha fatto (ZO.) anche a lei? Attenzione ... (GI.) io gli ho detto che se si tratta di fare un finanziamento per quei 3 milioni va bene, ma poi per il resto non ci interessa perché non abbiamo azioni da dargli. (ZO.) e cosa ha detto? Non ha più parlato....)". Quindi, riassumendo: Zo.Gi., è stato tutt'altro che un presidente "istituzionale" e men che meno un presidente "di facciata" o "decorativo", occupato solamente, come assai riduttiva mente vorrebbe la difesa (sulla base di un lettura parziale e - soprattutto - oltremodo parcellizzata del materiale probatorio complessivamente disponibile), da un lato, a curare l'immagine dell'istituto di credito, attraverso una maniacale attenzione prestata a questioni di dettaglio (gli arredi degli immobili dell'istituto; i menù delle "cene sociali" ecc.) e, dall'altro, a delineare "strategie operative", senza poi curarsi degli snodi essenziali della gestione della banca. Piuttosto, durante il lungo periodo nel quale ha ricoperto la presidenza dell'istituto di credito vicentino, è stato l'anima della banca, anzi, "è stato la banca" (realmente efficace, invero, è la descrizione dell'imputato offerta dall'imprenditore RO., riportata a pag. 623-624 della sentenza impugnata: Mera il capo, il padrone il padrone della banca, era il presidente della banca, il riferimento di tutti..."): l'ha rappresentata nelle interlocuzioni con gli ambienti politici ed istituzionali; ne ha assicurato lo stretto legame con il tessuto imprenditoriale, non solo locale; ma, soprattutto, per quel che specificamente rileva in questa sede, ne ha ispirato la politica aziendale - per scelta diretta dell'imputato orientata ad una insostenibile espansione territoriale, implicante una moltiplicazione delle strutture e degli sportelli sul territorio e tale da assorbire consistenti quote di capitale ("la banca sono le sue strutture", infatti, era il principio ispiratore del presidente, tanto da averlo indotto a cassare ogni proposta di recuperare liquidità dalla vendita di asset immobiliari, come ricordato dal GI.144; si ricordi, ancora, l'operazione relativa alla sede di Cortina d'Ampezzo) - seguendone anche direttamente l'attuazione, nonostante la consapevolezza della situazione di crisi in cui versava l'istituto, non solo con specifico riferimento al mercato secondario del titolo. Tali conclusioni, come s'è visto, si impongono alla stregua di solide evidenze fattuali, corroborate da coerenti valutazioni provenienti da soggetti assai ben informati del tema in esame (Valutazioni, quindi, non certo derubricabili a meri, opinabili apprezzamenti). Chiaramente sintomatico di un siffatto approccio alla presidenza da parte del giudicabile è anche un passaggio dell'intervento effettuato dall'imputato nel CdA del 5.11,2013, nel quale emerge addirittura la diretta partecipazione ad un incontro con i capi area: "Io personalmente sono convinto che se vogliamo che il mondo cooperativo vada avanti a livello di banche popolari dobbiamo dare, perché quando abbiamo fatto la riunione dei capi area ho fatto una domanda ho detto "voi dovete rispondermi perché le persone devono investire sulle banche popolari?.....Perché vanno su il valore delle azioni.. Fino a 4/5 anni fa è andata bene, adesso francamente non è più così..."(cfr. trascrizione citata, pag. 1). Tutto ciò il giudicabile ha fatto assicurandosi il più saldo controllo dell'istituto, mediante la scelta di manager di fiducia (la sorte dei quali ha autonomamente decretato, anche al di fuori del ristretto ambito delle sue competenze) ed attraverso il netto rifiuto opposto alla proposta di quotazione in borsa avanzata ripetutamente dal d.g. Gr. (soluzione che - va detto per inciso - avrebbe scongiurato l'esito fallimentare poi verificatosi) e menando vanto, nella interlocuzione con i soci, di tale scelta. Quando, poi, la situazione era oramai divenuta insostenibile e solo una radicale riforma del settore avrebbe potuto salvare B., lo ZO. si è bensì impegnato attivamente in tal senso (circostanza che costituisce l'ennesima conferma della centralità del ruolo ricoperto dal giudicabile, non solo nell'ambito delle dinamiche interne alla banca vicentina, ma nell'intero "circuito" delle banche popolari); ciò ha fatto, tuttavia, animato dall'intenzione di assicurarsi che tale riforma venisse pilotata - secondo gli auspici dell'imputato anche attraverso l'inserimento, nella commissione che se ne sarebbe dovuta occupare, di nomi a lui graditi (nomi, peraltro, che lo stesso ZO. aveva già autonomamente individuato) - verso un esito nel quale l'ingresso di nuovi soci avrebbe dovuto convivere con il vecchio sistema di governance, in modo che fosse comunque assicurato il perpetuarsi del controllo della banca (sul punto, è d'uopo il richiamo a quanto prospettato dall'imputato ai consiglieri nel corso della seduta del CdA poco sopra evocata, alla trascrizione della quale, in questa sede, s'impone un formale rinvio). In conclusione, la ricostruzione delle modalità dì esercizio della presidenza da parte dell'imputato quali espressione di una costante ingerenza nell'operatività dell'istituto è stata dal primo giudice ancorata a solide evidenze probatorie, peraltro successivamente implementate, nel dibattimento d'appello, dalle dichiarazioni dei propalante GI., sicché, su) punto, non pare davvero possibile nutrire perplessità di sorta. Se così è - e, per quanto sin qui detto, non pare davvero possibile opinare diversamente - possono apprezzarsi in termini di evidenza tanto l'inconsistenza fattuale quanto l'insostenibilità logica della tesi difensiva secondo la quale l'imputato, confinato in un ruolo meramente decorativo e dì mera rappresentanza - o, al più, impegnato a vagheggiare strategie aziendali (sul punto, l'appello richiama, in particolare, la deposizione del teste Do. in ordine agli interessi meramente "strategici" dell'imputato146), ma senza avere alcuna concreta possibilità di incidere sulla realizzazione di tali progetti - non avrebbe avuto alcun sentore del fenomeno del capitale finanziato, fenomeno la responsabilità del quale sarebbe tutta esclusivamente addebitabile al vertice immediatamente esecutivo di B., ovverosia al d.g. So. oltre che, com'è ovvio, ai suoi più stretti collaboratori (stante l'evidente impossibilità, per costui, di attuare "in solitudine" scelte dalle ricadute operative e gestionali tanto complesse). In effetti, nella prospettiva sostanzialmente sottesa all'atto d'appello (ed esplicitamente rappresentata in questi termini in sede di conclusioni), il presidente, dedicandosi a seguire iniziative culturali e benefiche o, comunque, ad un ruolo dì generica rappresentanza e di mero indirizzo, sarebbe rimasto vittima inconsapevole di una sorta di "congiura del silenzio" per effetto della coordinata azione di dirigenti infedeli i quali, peraltro - non può non rilevarsi - non avrebbero agito per trarne un immediato vantaggio, se non quello di assicurarsi il mantenimento delle rispettive posizioni - tutt'altro che precarie, in verità - nel board ristretto della banca, bensì per scongiurare la crisi dell'istituto di credito o, quantomeno, per differirne gli effetti. Questo, con l'inevitabile corollario (non esplicitato dall'appellante ma imposto dalle evidenze processuali) che tale "congiura" ai danni del presidente sarebbe stata posta in essere pressoché dall'intera dirigenza operativa della banca. Ora, non v'è chi non veda che si tratta di una ipotesi intrinsecamente irragionevole e davvero inconciliabile con la vastità, la risalenza e le complesse implicazioni del fenomeno in esame, necessariamente tali da coinvolgere l'operatività (come s'è già visto analizzando le posizioni dei coimputati MA., GI. e PI.) pressoché dì tutte le articolazioni operative dell'istituto (ovverosia "il mercato", "la finanza", il "credito" e, come si dirà più oltre, anche "il bilancio"). Al riguardo, infatti, sono davvero illuminanti le puntuali considerazioni dell'ispettore Ga.: "....Sì, So. sostanzialmente riferisce, come dire, di una piena consapevolezza da parte della struttura direttiva di Po.Vi. del fenomeno Ma del resto, insomma, come dire, io non faccio fatica a credergli perché, ripeto ancora, le dimensioni del fenomeno, la persistenza nel tempo, la persistenza nel tempo soprattutto, il fenomeno è durato anni, l'estensione del fenomeno, sono cose che è obiettivamente impossibile, impossibile che siano gestite all'insaputa di un coordinamento da parte dell'alta direzione, e non solo di un solo soggetto ma, insomma, di una serie di soggetti: devono coordinare una struttura, una rete commerciale che deve fare queste operazioni, è necessario, come dire, una piena comunione di intenti da parte del vertice aziendale ...". Peraltro - va precisato - la situazione di estrema difficoltà nella quale versava l'istituto non era nota solo ai vertici operativi della banca, ma anche ai funzionari che occupavano ruoli che li ponevano quotidianamente a contatti con le "conseguenze pratiche" della crescente, inarrestabile inappetibilità del titolo: davvero significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dal teste Ro., addetto all'ufficio soci, il quale ha efficacemente descritto il contesto di sostanziale paralisi nell'ordinario avvicendamento dei soci, riferendo di "valanghe" di richiesta di vendita segnalate come urgenti a partire dagli anni 2011-2012 e precisando che ciò aveva anche fatto "saltare" il criterio cronologico in precedenza seguito per l'evasione delle relative pratiche. Evidentemente consapevole della debolezza logica di siffatta prospettazione alternativa, la difesa ha puntellato tale ricostruzione della vicenda sostenendo che il presidente sarebbe stato tenuto all'oscuro della prassi delle operazioni correlate per effetto di quella sorta dì "muro invalicabile" che il d.g. So. avrebbe appositamente eretto per "confinare" il presidente, impedendogli di interloquire con i restanti membri del management e, in tal guisa, scongiurando il rischio che lo stesso ZO. potesse acquisire contezza di tale prassi dagli altri top manager di B. (ai quali il So. riferiva, per rassicurarli, che il presidente, contrariamente al vero, condivideva la prassi delle "baciate"). In buona sostanza, il So. avrebbe ingannato, al contempo, "a monte", il presidente, nascondendogli il sistematico ricorso alla concessione di finanziamenti per l'acquisto dei titoli B.; e, "a valle" i suoi più stretti collaboratori, millantando con costoro di fruire, al riguardo, del pieno appoggio di ZO.. Di talché il presidente sarebbe rimasto estraneo rispetto a quel "comitato ristretto" responsabile, secondo la stessa difesa dell'imputato, "dell'operatività occulta all'interno di B.". E, a corroborare tale impostazione, concorrerebbero, secondo la difesa, le deposizioni dei testimoni Ca., To. e Tu., là dove costoro hanno riferito che il So. era assai accorto nel riservare a sé stesso le interlocuzioni col Presidente (il teste Ca. avendo precisato, peraltro, che il d.g. veniva immediatamente informato di eventuali contatti tra i dirigenti e lo ZO. ed era solito chiedere immediate spiegazioni al riguardo). Inoltre, la medesima difesa, anche da ultimo151, ha richiamato la deposizione resa dalla teste Pi. innanzi a questa Corte là dove costei ha avuto modo di rievocare una conversazione intrattenuta col GI. nel corso della quale questi le aveva riferito che il So., richiesto di precisare se effettivamente il presidente fosse a conoscenza delle "baciate", aveva bensì rassicurato l'interlocutore sostenendo che, seduta stante, avrebbe telefonato allo ZO. per acquisirne il rinnovato consenso, ma aveva poi effettuato la chiamata al presidente ponendosi al riparo dall'ascolto del vicedirettore, così ponendo io/ essere una condotta dalla quale, ad avviso della teste, non poteva certo trarsi la conferma dell'effettivo coinvolgimento dello stesso ZO. nella prassi in esame. Ed un analogo episodio, parimenti richiamato dal difensore, è stato quello descritto nel corso di una conversazione telefonica intercorsa tra Bo. e Fe., in occasione della quale si era fatto esplicito riferimento ad una telefonata che il So. aveva intrattenuto con lo ZO. senza che i presenti potessero ascoltarlo (nell'occasione il d.g. si sarebbe recato in bagno). Ancora, lo stesso Gi. - ha soggiunto la difesa - nel corso dell'esame reso il 17.6.2022, nel sostenere che se avesse riferito qualcosa al Presidente ovvero al CdA avrebbe messo a serio repentaglio il proprio posto di lavoro, avrebbe corroborato tale impostazione. Infine, la medesima difesa, richiamando le deposizioni rese dai testimoni An. e Tu. ed il resoconto del coimputato ZI., ha evidenziato, a riprova dell'estraneità dell'imputato al "comitato ristretto" responsabile delle operazioni "baciate", la scansione degli eventi verificatisi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 2015: quando l'imputato, informato da Ca. e An. di quanto andava emergendo, ne aveva chiesto conto al So. ed al GI., costoro, invece di richiamare il presidente ad una comune assunzione di responsabilità, come sarebbe stato lecito attendersi se fossero stati tutti d'accordo, si erano accusati reciprocamente dell'ideazione delle operazioni. Ebbene, nonostante tali osservazioni (come si vedrà, tutt'altro che decisive), l'insostenibilità dell'impostazione difensiva permane invariata. Non solo, infatti, il protagonismo del giudicabile nella operatività aziendale, siccome in precedenza delineato, fa giustizia, in punto di fatto, di tale ipotesi, ma trattasi di ricostruzione che, non appena sottoposta a quel più approfondito vaglio sollecitato dagli argomenti valorizzati dalla difesa, manifesta tutta la sua inconsistenza sul piano della logica più elementare. Come s'è detto, la tesi della conventio ad excludendum del presidente ZO. ordita dal d.g. So. confligge, anzitutto, con la semplice osservazione che il fenomeno del capitale finanziato era ben noto all'interno delle strutture operative della banca e, in particolare, era di pubblico dominio nell'ambito della rete commerciale dell'istituto (costituita - sarà bene ribadirlo - non già da pochi impiegati confinati in un ufficio isolato, ma da alti dirigenti, numerosi funzionari e migliaia di addetti sparsi sul territorio) chiamata ad attuare con prontezza le direttive di collocamento delle azioni, anche attraverso appositi - finanziamenti, impartite alla catena commerciale del d.g. So. per il tramite del vicedirettore GI. (come da questi convincentemente illustrato. Assolutamente significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dai testi Pi., Ba., Ni. e Ba.. S'è visto, del resto, che le disposizioni in ordine al mantenimento del segreto di tale prassi erano destinate ad operare all'esterno - e, segnatamente, nei confronti della vigilanza - attraverso il divieto di lasciarne traccia scritta, non certo nei confronti di una rete commerciale tanto ramificata. Lo stesso teste Mo., del resto, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale - pure connotata, come si dirà più oltre, da un marcato ed interessato approccio "riduzionistico" nella descrizione della conoscenza del fenomeno (là dove ha riferito come delle "baciate" non si parlasse apertamente) - non ha potuto negare come non fossero mancati i riferimenti, ancorché allusivi, a tale fenomeno (ad esempio nel corso dei contatti informali tra i capi area, ecc.). Analogamente, il teste Fa., anch'egli in sede di rinnovata escussione e parimenti nell'ambito di una deposizione orientata al sistematico ridimensionamento della diffusa conoscenza dei fatti e delle singole responsabilità, ha riferito come, prima del periodo di forte tensione in cui va collocata la seduta del comitato del 14,4,2014, il fenomeno delle "baciate" fosse noto e tollerato, in quanto "prassi comune alle banche popolari". Aggiungasi che, come evidenziato dal tribunale, il fenomeno in esame, nelle sue linee generali, era comunque noto: - sia all'interno del CdA (diversamente da quanto sostenuto dai plurimi consiglieri escussi) - come, peraltro, significativamente affermato dallo stesso So. nel corso di una rilevante conversazione intercettata - se non altro a quei componenti dell'organo collegiale che ne avevano consapevolmente fruito e, ragionevolmente, anche a coloro che avevano più stretti rapporti con il contesto di imprenditori locali che avevano acquisito, nel tempo, "pacchetti" di azioni di valore rilevantissimo; - sia all'interno del Collegio Sindacale, almeno nella persona del suo presidente e nelle sue linee generali (significativo, al riguardo, nonostante la percepibile cautela lessicale ragionevolmente dettata dalla consapevolezza della registrazione, è il seguente passaggio della seduta del comitato per il controllo 22.11.2013: "... (Es.) No...caro presidente del collegio sindacale, lei sa molto bene che il fondo a fine anno ...Cosa succede? Non mi fate parlare ... (Za.) ... diventa a zero ... (Es.) ... bravo (Za.) ... zero ... Allora li (inc.) ... (Es.) ecco, bravo ...grazie ho finito ...)". Peraltro, le sentenze della Cassazione civile che hanno confermato le sanzioni irrogate da CONSOB nei confronti di numerosi membri del CdA (oltre che dei sindaci), per un verso, hanno evidenziato la sussistenza di una sequela di indici di allarme che ben avrebbero dovuto rendere percepibile la connessione tra le richieste di finanziamento e gli acquisti di azioni; e, per altro verso, hanno messo in evidenza come la CONSOB, già nel 2014, avesse sollecitato un adeguato controllo sui legami intercorrenti tra i componenti del CdA ed i sindaci, da un lato, ed i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dall'altro, richiesta, questa, che non poteva non costituire un palese segnale di allarme di possibili anomalie (cfr. Cass. civile 4519/22 su ricorso Br.). Né, d'altro canto, è minimamente emerso che il d.g. avesse diffidato alcuno, tra i dirigenti/funzionari di B., dal riferire alcunché al presidente ZO.. Anzi, vi sono elementi di segno nettamente contrario, ove si consideri che il teste Ba. ha riferito come, interpellato dallo ZO. prima che quest'ultimo si incontrasse con Be., non avesse esitato a riferire al presidente delle operazioni correlate effettuate da tale investitore. Pertanto, confidare che il presidente potesse restare all'oscuro di una prassi la cui conoscenza era tanto diffusa pare, a dir poco, inverosimile. Se, poi, sì tiene debitamente conto del coinvolgimento nella sottoscrizione di operazioni di capitale finanziato di larga parte dell'imprenditoria vicentina, ovvero di quel contesto produttivo del quale l'imputato era campione, e si consideri, inoltre, che fra i sottoscrittori v'erano amici di vecchia data del giudicabile (e finanche il di lui cognato), non v'è chi non veda come l'ipotesi difensiva di uno ZO. pressoché unico soggetto ignaro di un fenomeno, per il resto, pressoché notorio, finisca davvero per dissolversi nell'assoluta irrealtà. In questa prospettiva, quindi, le osservazioni dell'appellante basate sulle dichiarazioni valorizzate dalla difesa ed in precedenza evocate (trattasi, segnatamente, delle deposizioni Ca., To., Tu., Pi.), pure convergenti nel delineare l'estrema attenzione con la quale il So. aveva riservato alla propria persona le interlocuzioni con il presidente, lungi dal dimostrare l'esistenza di un piano orchestrato dal d.g. per "isolare" il presidente stesso, onde poterlo più agevolmente ingannare con riferimento alla questione di vitale importanza del capitale finanziato, trovano ben più agevole spiegazione in una condotta conseguente ad una impostazione degli assetti dirigenziali fortemente gerarchizzata, condotta, peraltro, con ogni probabilità, esasperata dal timore del d.g., di essere "scavalcato" dai vicedirettori. Ed è proprio in quest'ottica che può trovare agevole spiegazione anche la vicenda delle telefonate (probabilmente, peraltro, trattasi dello stesso episodio) alla quale hanno fatto riferimento la teste Pi. in sede di deposizione e gli interlocutori della citata conversazione intercettata n. 114, nel senso che una interlocuzione effettuata, con il presidente, alla presenza di terzi e ponendo lo ZO. a conoscenza del fatto che i più stretti collaboratori del d.g. non avevano fiducia nel loro "capo", avrebbe finito irrimediabilmente per compromettere l'autorevolezza dello stesso d.g. agli occhi del medesimo presidente. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal GI., sì è in presenza di un contributo narrativo impropriamente evocato, posto che, a rileggere il relativo passaggio dell'esame, si coglie chiaramente che il propalante intendeva riferirsi alla impossibilità, pena l'immediato allontanamento dalla banca, di investire il CdA della questione del capitale finanziato, in quanto si sarebbe trattato di una iniziativa, peraltro del tutto irrituale, assunta in plateale violazione della "direttiva" secondo la quale il tema in esame non sarebbe dovuto mai emergere formalmente (cfr. verbale udienza 17.6.20220, pag. 32: IMPUTATO GI. - Eravamo molto preoccupati della regolarità di questo tipo di operazione, e quindi volevamo essere sicuri che fossimo coperti da Zo., dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - E non ha mai sentito l'esigenza lei, o qualcun altro che aveva queste preoccupazioni, di parlarne apertamente in CdA? Dato che lei continua a dire che il CdA era a conoscenza. IMPUTATO GI. - No, ma ero fuori dalla Banca il giorno dopo. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - Come? IMPUTATO GI. - Ero fuori dalla Banca il giorno dopo. Questa è un'operatività che doveva rimanere occulta non dichiarata, non scritta, di cui non si doveva parlare, per cui tutti si nascondevano dietro a formalismo di una comunicazione ufficiale. Per cui, nella sostanza: tutti sapevano, ma formalmente non dovevano esserci comunicazioni ufficiali. Se io ne avessi parlato col Presidente, coi Consiglieri in Consiglio di Amministrazione, il giorno dopo sarei stato messo fuori dalla Banca ..."). Non è certo in questo passaggio delle parole del chiamante in correità, quindi, che può trovare sostegno la tesi di un presidente confinato in un ruolo puramente formale ed all'oscuro dell'andamento della gestione dell'istituto di credito vicentino. Infine, con riferimento alle osservazioni critiche fondate sull'asserita incoerenza della condotta del So. e del GI. (là dove costoro non avrebbero invitato il presidente ad una assunzione di responsabilità) è sufficiente evidenziare, per un verso, che non è certo dalla voce dì testimoni (è il caso del teste An.) che non conoscevano le reali dinamiche della gestione del capitale finanziato in atto, a vari livelli, presso l'istituto, che possono ricavarsi elementi decisivi per comprendere la natura dei rapporti, sul punto, tra il presidente, il d.g. So. ed il vicedirettore GI. (essendosi già detto, peraltro, che i primi due erano soliti incontrarsi riservatamente per discutere delle questioni inerenti all'istituto di credito), mentre assai più convincenti, in proposito, sono le informazioni che si ricavano dalle già evocate intercettazioni delle conversazioni intrattenute dal medesimo d.g.; e, per altro verso, che è dalla puntuale descrizione degli accadimenti restituita dall'esame del GI. - il quale ha efficacemente rievocato la surreale situazione creatasi allorquando, il 4.5.2015, si era incontrato con lo ZO., in termini che è opportuno, di seguito, riportare integralmente - che si trae la prova dell'effettivo assetto dei rapporti, al vertice dell'istituto, in relazione al delicato tema della gestione dell'operatività illecita: Omissis In un contesto basato sulla continua dissimulazione, sull'occultamento dell'operatività illecita, su interlocuzioni, al vertice, "separate" (si è già detto - peraltro anche sulla base delle dichiarazioni del teste An. - che il d.g. So. faceva da "cerniera" tra il presidente ed il resto del management) e, finanche, sulla plateale menzogna, voler arguire l'estraneità dello ZO. rispetto al fenomeno in esame dalla apparente incoerenza della condotta di protagonisti che tentavano, disperatamente, di ridimensionare le proprie responsabilità, anche a scapito dei colleghi; pretendere che il GI. - il quale, messo alle strette, si era visto obbligato a richiedere un colloquio con lo ZO. nella speranza di salvare il proprio posto in B. - aggredisse frontalmente il presidente dell'istituto inchiodandolo alle sue responsabilità (e decretando, in tal guisa, il proprio definitivo allontanamento dalla banca), pena l'incoerenza di quanto dal medesimo GI. poi dichiarato in sede processuale, pare, a questa Corte, davvero insostenibile. A fortiori, tali considerazioni si impongono con riferimento all'incontro del quale ha riferito il teste An. nel passaggio della sua deposizione evocato dalla difesa (cfr. pagg. 54-55 delle "note scritte di discussione"), incontro nel corso del quale, peraltro, secondo detto teste, il chiamante in correità aveva sostenuto, alla presenza anche dello stesso ZO., come il So., nel tempo, avesse ripetutamente affermato che il presidente era a conoscenza del fenomeno in esame (e tutto ciò, stando al racconto dello stesso An. - il quale, in effetti nulla ha riferito sul punto - senza che il predetto ZO. obiettasse alcunché, circostanza, questa, che pare anch'essa tutt'altro che irrilevante). In definitiva, ipotizzare, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato sia rimasto vittima di una sorta di tradimento da parte del So. e dei più stretti collaboratori di quest'ultimo (tradimento, peraltro, pressoché con certezza destinato a venire alla luce, stante la inevitabile, diffusa conoscenza del capitale finanziato all'interno della rete dell'istituto e considerata la protrazione nel tempo, per anni, di tale illecita operatività) costituisce una interpretazione della vicenda radicalmente smentita, sul piano della razionalità e nei termini di minima ragionevolezza, dalla sensata lettura delle complessive emergenze istruttorie, non già da una mera, meccanicistica applicazione di astratti criteri logici. In effetti, ove si considerino: - la natura risalente, pervasiva e sistematica del fenomeno del ricorso all'erogazione di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie B. (o ad altri rimedi, come le "lettere di impegno al riacquisto"), fenomeno divenuto, nella prospettiva dell'alta dirigenza dell'istituto di credito, man mano che le difficoltà del mercato secondario delle azioni della banca da sporadiche divenivano "strutturali", l'unico rimedio concretamente praticabile, se non per superare tale stato di grave criticità, assicurando la liquidità del titolo e scongiurando il default della banca, quantomeno per differirne la manifestazione e, così, procrastinarne gli effetti deflagranti (in un contesto, peraltro, nel quale non si intendeva invertire la rotta rispetto alla politica di espansione territoriale dell'istituto, anche perché ciò avrebbe rivelato la sopravvenuta condizione di difficoltà della banca); - le inevitabili implicazioni in tema di omesse decurtazioni e di comunicazioni decettive all'organo di vigilanza di tale metodico ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie (s'è visto, infatti, che le condizioni patrimoniali dell'istituto rendevano indispensabile, per "reperire capitale" onde assicurare il rispetto dei parametri di riferimento, omettere le dovute decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi erogati a titolo di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni B.); - il ruolo dall'imputato rivestito in concreto - e, quindi, anche ben ai di là della carica formale di mera garanzia in ordine al corretto funzionamento del CdA siccome delineato dalla disciplina di riferimento dettata dalle circolari di Banca d'Italia - nella gestione della banca, caratterizzato da ripetuti sconfinamenti nell'operatività dell'istituto di credito; - lo strettissimo legame operativo sussistente tra l'imputato ed il d.g. So.. con il quale il primo si incontrava costantemente per essere aggiornato sulle tematiche di rilievo e per preparare le sedute del CdA (davvero emblematico di tale legame, del resto, è quanto dallo stesso So. riferito, in tempi non sospetti, al socio Lo.Tr., allorché questi lo aveva interpellato circa la conoscenza da parte dello ZO. della natura "baciata" delle operazioni sottoscritte dal medesimo Lo.: PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. -..TE in un'altra occasione lei disse allora: "Rammento bene che lo stesso So. mi disse: Io non posso neanche andate a fare la pipì senza che Zo. lo sappia' a confermare - dice lei - il controllo che Zo. aveva all'Interna della banca". TESTIMONE LO.TR. - E' vero anche questo. E se non sbaglio, anche la seconda me l'ha detta durante anche una telefonata. Se non sbaglio." 163. Del resto, le conversazioni effettuate dal So. ed intercettate dagli investigatori che saranno specificamene richiamate nel paragrafo seguente, ove sottoposte ad una ragionevole lettura, sono assolutamente coerenti con tali conclusioni (ad onta della contraria interpretazione offertane dalla difesa nella memoria conclusiva, là dove, peraltro, ne sono state richiamate solo talune - cfr. memoria conclusiva, pagg. 35 e ss.); - e, più in generale, il vero e proprio timore reverenziale che la figura dell'imputato ispirava nell'intera dirigenza dell'istituto di credito, l'ipotesi - pure, tenacemente, sostenuta dalla difesa - dell'estraneità del più alto esponente di B. rispetto ad un fenomeno di tale portata già si prospetta, alla stregua di una prima valutazione d'insieme, radicalmente infondata e scopertamente difensiva. Per contro - e specularmente - le effettive modalità di gestione della presidenza da parte del giudicabile finiscono necessariamente per rappresentare, nella peculiare concretezza del caso di specie, sotto il profilo razionale, un dato probatorio a carico di indubbia significazione, A ben vedere - e concludendo sul punto - attribuire rilievo alla posizione concretamente rivestita dallo ZO. nella compagine societaria onde comprendere il ruolo svolto da costui nell'operatività delittuosa sub iudice, ben lungi dall'essere, come vorrebbe l'appellante, il frutto avvelenato di un grave errore di metodo (quello conseguente ad una cieca, aprioristica e, in quanto tale, inaccettabile applicazione di presunte massime di esperienza, secondo le quali il presidente di una banca "non potrebbe non conoscere" le prassi operative in atto presso la "propria" struttura aziendale o, comunque, alla semplicistica applicazione di comode scorciatoie deduttive), discende, nei dovuti termini di minima ragionevolezza, dalla congiunta valutazione di solide evidenze probatorie. Il fortissimo protagonismo dell'imputato nell'esercizio delle funzioni presidenziali, infatti, è un dato pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria e, quindi, per nulla ancorato, come ancora vorrebbe la difesa, ad elementi incerti, equivoci o. addirittura, a "voci correnti nel pubblico". Il tribunale, quindi, non è affatto incorso in un corto circuito logico-giuridico; non ha fondato l'efficacia di prova (beninteso indiretta) di tale elemento su una inammissibile (in quanto intrinsecamente fallace) catena di indizi. In un quadro probatorio pure caratterizzato da palpabili resistenze di molti testimoni a fare emergere chiaramente i reali contorni della posizione presidenziale (davvero emblematica di siffatta resistenza è la inverosimile spiegazione offerta a questa Corte dalla teste Pi. - "stavo scherzando" delle affermazioni dalla stessa effettuate nel colloquio intercettato ove, al riparo da orecchie indiscrete, aveva icasticamente definito il presidente ZO. come "monarca assoluto") sono nondimeno emerse chiare ed inequivoche evidenze del fatto che l'imputato era tutt'altro che un presidente decorativo, bensì fortemente incidente nell'operatività dell'istituto di credito. Pertanto, non può certo fondatamente negarsi il rilievo di tale elemento indiziario. Sennonché, come si dirà di seguito, l'istruttoria dibattimentale ha offerto ulteriori e più consistenti riscontri della fondatezza dell'impostazione d'accusa. 14.1.4.2.2. La conoscenza da parte dello ZO. delle operazioni di capitale finanziato e le relative censure difensive (Secondo motivo di appello: paragrafi 3.2, 3.5 e 3.6). In effetti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare la conoscenza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato non unicamente, in via indiretta, in forza di pur stringenti considerazioni di natura logica inerenti alle modalità di concreto esercizio del ruolo presidenziale, ma anche per effetto di ben più tangibili elementi (elementi che, peraltro, finiscono a loro volta per avvalorare ulteriormente le conclusioni "razionali" testé esposte). Non solo, infatti, l'imputato, come si avrà modo di ribadire, era pienamente cosciente dello stato di crisi del mercato secondario del titolo di B., ovverosia - va sottolineato ancora una volta - di quella che è risultata la più significativa causa del ricorso al finanziamento degli acquisti del titolo azionario della banca (tanto che la consapevolezza delle ragioni di una così grave difficoltà finisce quasi per implicare, sul piano logico, anche la conoscenza dell'unico rimedio escogitato, ed a lungo attuato, per fronteggiarla); ma vi sono ulteriori, specifiche prove - dirette ed indirette i che il giudicabile fosse pienamente avvertito proprio della prassi delle "operazioni baciate". Al riguardo, occorre necessariamente ribadire, onde consentire un corretto apprezzamento di tali emergenze processuali, coerente con il contesto nel quale si collocano i fatti oggetto di prova, che l'operatività dell'istituto di credito relativamente alle operazioni correlate era caratterizzata, verso l'esterno, da estrema riservatezza, a riprova della assoluta consapevolezza, in capo ai vertici aziendali, della complessiva illiceità della prassi instaurata e, soprattutto, delle sue ricadute di natura penale. Di qui non solo la decisione di omettere ogni riferimento scritto alla correlazione tra finanziamenti ed azioni (con conseguente ricorso, nelle PEF, alla generica formula di cui s'è detto), ma anche l'adozione di un linguaggio cauto e sorvegliato in occasione delle sedute degli organi collegiali. Se, infatti, all'interno delle strutture operative della banca (e, in particolare, nell'ambito della rete commerciale dell'istituto di credito, chiamata a collocare le azioni "ad ogni costo", in attuazione delle direttive impartite, per il tramite del GI., dal d.g. So.), vi era una conoscenza del fenomeno delle "baciate", al contempo, diffusa ed imprecisa (ai funzionari facendo difetto quella "visione d'insieme" indispensabile per comprendere la vastità del fenomeno ed intuirne tutte le implicazioni), i vertici operativi erano assai attenti ad evitare che, extra moenia, potessero filtrare informazioni sul punto. Le dichiarazioni rese in proposito dall'imputato GI. sono assai chiare e combaciano con quanto già evidenziato, al riguardo, dal primo giudice. In questa sede, va solo aggiunto che lo stesso imputato PE., nel corso del proprio rinnovato esame, ha avuto modo di precisare come la consapevolezza, in capo al vertice operativo dell'istituto, della illiceità della prassi delle "baciate" e, comunque, della necessaria deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza fosse fuori discussione. Questo spiega, ad avviso della Corte, l'adozione di procedure informatiche che, di fatto, impedivano radicalmente che operazioni di finanziamento per l'acquisto dì azioni proprie potessero essere "registrate" come tali dal sistema informatico in uso presso B. (non esistendo un "codice prodotto" che ne consentisse la individuazione, diversamente da quanto previsto per il "mini aucap" in relazione al quale tale codice era stato appositamente introdotto). In un contesto connotato da tanto palpabile cautela, quindi, non deve affatto sorprendere la quasi totale assenza dì documentazione scritta, ovvero di (registrazioni dì interventi in sede di organi collegiali, caratterizzati da riferimenti trasparenti alle "operazioni baciate". Quasi totale assenza, si è detto, giacché in effetti si rinviene qualche significativa eccezione in atti, non a caso rigorosamente circoscritta ai consessi più ristretti e riservati all'alta dirigenza di B.. Si veda, sul punto, il già sopra ricordato passaggio della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11,2014 (pagg. 67-68 della relativa trascrizione sub doc, 110 del P.M.) ove VM8 - Gi.Em., vertice della Divisione Mercati - così replica al d.g. So., alla presenza altresì, fra gli altri, di Pi.An. (vertice della Divisione Finanza), di Ma.Pa. (vertice della Divisione Crediti) e di FA. An. (stretto collaboratore dell'assente Pe.Ma. in seno alla da lui capeggiata Direzione Pianificazione e Bilancio, ove il FA. gestiva la Pianificazione Strategica): "VM8: Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Sì noti, significativamente, che, all'inizio di detto Comitato di Direzione, il d.g. So. si era premurato, ad ogni buon conto, di ammonire gli ivi presenti vertici dirigenziali ben selezionati (con particolare riguardo al suo diretto interlocutore Um.Se., direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., che prendeva parte al Comitato in collegamento a distanza dall'isola) circa la necessità assoluta di non lasciar trapelare alcunché all'esterno di quel ristretto consesso: - Sa.: Sì. Io non ho fatto premesse di sorta, ma è chiaro che quello che ci diciamo qui, ovviamente, eh, neanche il tuo cane lo deve sapere, eh. - Um.: Va bene." (cfr. pagg. 30-31 trascrizione cit.). Trattasi - come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nell'ordinanza 18 maggio 2022 - di sollecitazione specificamente finalizzata a garantire che il contenuto dei colloqui che, di lì a poco, avrebbero avuto luogo, sarebbe rimasto patrimonio esclusivo dei partecipanti all'incontro (e, più in generale, per effetto della relativa documentazione, della dirigenza dell'istituto di credito), tant'è vero che più avanti nella registrazione (cfr. sempre pag., 31 trascrizione cit.) il d.g. So. esplicitava ancor meglio il concetto: "Sa.: Eh. Già stanno facendo la caccia a chi fa uscire informazioni, perché dicono che sia uno di noi che dà le informazioni ai giornalisti e che dà le informazioni al... Eh, quindi... eh ... cerchiamo di non ... di non ... eh ... dare alibi, dare alibi ai consiglieri che dicono che è uno della direzione che dà ... che dà informazioni, perché solo uno della direzione può sapere di questo, di quest'altro e di quell'altro, eh. Mi raccomando! - Um.: D'accordo. - Sa.: Bene". Ebbene, effettuata tale precisazione "di contesto", osserva questa Corte come, con riferimento al tema della conoscenza, in capo allo ZO., della prassi delle "operazioni correlate", fatto salvo il doveroso richiamo alle puntuali osservazioni già svolte, in proposito, dal primo giudice, meriti di essere in primo luogo richiamato il contenuto della deposizione resa dall'ispettore Ga., In effetti, detto teste, nel rievocare i plurimi colloqui intercorsi con il presidente, sebbene abbia affermato come questi si fosse poi ripetutamente dichiarato all'oscuro del fenomeno del capitale correlato, ha precisato come, in occasione del primo contatto, avvenuto in data 7 maggio 2015, l'imputato avesse sostanzialmente ammesso di essere al corrente di (sia pure sporadici) casi di finanziamento di acquisti di azioni (cfr. dep. Ga., udienza udienza 26.9.2019, pag. 65 del verbale stenotipico: ".. Perché qui c'è un tema, cioè quando ho avuto modo di discutere con il Presidente Zo., e ho rappresentato gli elementi che stavano emergendo, la mia impressione fortissima - poi impressione confermata anche dalle verbalizzazioni del Consiglio di Amministrazione, però impressione forte che ho avuto sia nell'occasione del 7 maggio sia negli incontri che ho avuto successivamente - è che il Presidente fosse molto colpito dal fenomeno dei fondi; cioè, mentre di fronte al fenomeno dei finanziamenti ha cercato sostanzialmente di minimizzare, dicendo: io pensavo che qualche ipotesi del genere ci potesse essere, però, insomma, non di questo,., probabilmente c'era, però non era un fatto che mi preoccupava, ritenevo non fosse un fenomeno rilevante, non ho mai avuto elementi per ritenere che fosse rilevante. Glissava, diciamo..."). Trattasi, com'è evidente, di deposizione di assoluto rilievo tanto per la fonte da cui promana (trattandosi di soggetto di indiscutibile attendibilità, in considerazione del ruolo ricoperto e, quindi, dell'estraneità rispetto alle dinamiche interne all'istituto vicentino), quanto per l'eclatante portata del suo contenuto, sostanzialmente equiparabile ad una sorta di confessione stragiudiziale. Del resto, del tutto coerenti con le dichiarazioni del teste Ga. sono i ricordi del di lui collega Ma., il quale, presente al citato colloquio, ha rievocato l'incontro in questione riferendo che l'imputato, alla rappresentazione del dirompente problema dei finanziamenti correlati, aveva replicato, senza scomporsi eccessivamente, che anche altre banche operavano in tal senso Presidente non colse un po' il livello di serietà di questo fenomeno e mi ricordo che disse, una cosa che mi ricordo che disse: ma tanto lo fanno anche altre... so che lo fanno anche altre banche. E la cosa finì lì, la discussione finì lì su questi finanziamenti, diciamo, correlati ..."). Non può sorprendere, quindi, che l'imputato, il quale, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che Ga. gli aveva segnalato, nel corso del colloquio, l'emersione di un importo di operazioni finanziate "importante", in sede processuale abbia poi negato la circostanza, esplicitamente limitando l'oggetto dell'interlocuzione con l'ispettore al tema dei fondi esteri e delle lettere di impegno. Del tutto convergenti con le suddette dichiarazioni, poi, sono le prove costituite dagli esiti di intercettazione delle comunicazioni telefoniche intrattenute dal d.g. So., conversazioni dal tenore davvero inequivoco e dalla sicura capacità probatoria, solo a considerare che il direttore generale, allorché era sottoposto a captazione, era solito impiegare anche una utenza intestata a terzi, donde l'impossibilità di ipotizzare, con un minimo di fondamento, che costui, sospettando di essere intercettato, callidamente intendesse coinvolgere il presidente per "alleggerire" la propria posizione. Assolutamente significativo, innanzitutto, è il colloquio intrattenuto il 31.8.2015, di cui al progressivo n. 459 (cfr. pagg. 24 e ss, dell'elaborato di trascrizione) che, di seguito, si riporta nei passaggi più significativi: (omissis). Sul punto, va doverosamente precisato che la Pi., nel corso dell'escussione innanzi a questa Corte, chiamata a fornire delucidazioni con riferimento a tale colloquio, ha giustificato l'espressione con la quale aveva escluso che il presidente potesse essere all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato ("No, ma scusa un attimo ... no, ma scusa un attimo: come faceva a non sapere, uno che ha governato come un monarca assoluto ...") sostenendo che si era trattato di una semplice "battuta" e soggiungendo che, al contrario, a suo giudizio, ZO. era una "vittima". Sennonché, la spiegazione delle proprie parole offerta dalla teste è tutt'altro che convincente, ove sì presti la dovuta attenzione al complessivo tenore del colloquio. Si trattava, infatti, di una allarmante vicenda, ancora tutta in divenire e che, peraltro, aveva immediate implicazioni anche per la posizione dei singoli consiglieri. Davvero significativo è il passaggio del colloquio in cui la medesima Pi. affermava: No, sai qual'è il guaio? E'che o si sa... se si salva fui ci salviamo tutti... sennò sprofondiamo tutti, Non vorrei però che si salvasse lui e sprofondassimo tutti.."), essendosi in presenza di affermazione che, a ben vedere, fornisce una corretta chiave di lettura delle dichiarazioni rese dalla teste e, più in generale - ed è bene ribadirlo ancora una volta - dell'atteggiamento tenuto da molti membri del CdA e del Collegio Sindacale nel corso delle rispettive escussioni (ivi comprese quelle rese in sede di rinnovazione istruttoria), sistematicamente improntato alla negazione della conoscenza, in capo ai predetti, non solo del fenomeno del capitale finanziato ma anche di elementi che potessero costituire segnali di allarme in tal senso. Inoltre, merita di essere evocata, in quanto anch'essa contenente chiari riferimenti allo stretto rapporto intercorrente tra il d.g. So. ed il presidente ZO. nella conduzione dell'istituto di credito, anche con riferimento al fenomeno del capitale finanziato, la conversazione n. 153 del 25.8.2015 (riportata a pag. 227 e ss. della perizia di trascrizione) tra Zi.Gi. il suo commercialista, Lu.Bo., nel corso della quale i due commentavano sarcasticamente l'atteggiamento "negazionista" assunto da Zo. in relazione alle irregolarità accertate in sede ispettiva ed alludevano esplicitamente al potere di "ricatto" del So. nei confronti del presidente: (omissis) Ebbene, a tali elementi di prova, assai significativi e chiaramente convergenti con le pregnanti dichiarazioni rese dal teste Ga. ed in precedenza richiamate, sono venute a saldarsi le coerenti propalazioni del coimputato GI.. In effetti, in sede di esame, costui ha ribadito quanto "anticipato" nel memoriale circa la piena consapevolezza del fenomeno in esame da parte del presidente, ripercorrendo diffusamente tali "anticipazioni" e convincentemente replicando alle obiezioni mossegli, al riguardo, in sede di controesame. Per un inquadramento generale del contributo dichiarativo offerto dal predetto con riferimento alla posizione ZO. è opportuno richiamare l'incipit dell'esame del propalante: "....PRESIDENTE - Va bene; con questo avrei chiuso le domande della Corte sulla posizione Zi.. Adesso volevo passare a esaminare la posizione Zo., cioè, a parte quello che lei ha già detto in primo grado, se e in base a quali elementi lei sostiene che il dottor Zo. sapesse o partecipasse a determinate scelte, quantomeno, che hanno avuto ricadute su questa vicenda penale sostanzialmente, IMPUTATO GI. - Presidente, interlocuzione diretta, quindi premetto: So. diceva a me e ai capi area e direttori regionali, a Ma., ai Vice Direttori Generali, che Zo. era a conoscenza di questo tipo di operatività e chi avrebbe dovuto sapere sapeva. Quindi questa è la premessa. Interlocuzione diretta con Zo. sulle operazioni baciate l'ho avuta, è stata sporadica: l'ho avuta sulla questione Co., che era un imprenditore siciliano, che si è presentato a Vicenza per ottenere un affidamento, dicendo "Io con questo affidamento, non so se 4 o 5 milioni, compro 2 milioni di azioni", 2 milioni di Euro di ammontare di azioni il Presidente, prima di entrare, mi disse che fa persona era poco affidabile perché parlava, quindi io dissi a questo Co.: "Non ce ne abbiamo più di azioni"; poi il Presidente in Consiglio di Amministrazione, prima che iniziasse il Consiglio di Amministrazione, questa cosa è stata registrata; mi chiese lumi e io gli dissi appunto cosa avevo riferito a Co., e che quindi lui era d'accordo nel non procedere con questa operazione. Quindi questo è l'episodio chiaro con Zo.. Quando io, nel periodo finale della mia esperienza in Banca, quindi stiamo parlando del maggio 2015, che successe il 4 maggio del 2015, il 30 aprile del 2015 eravamo a Vicenza io e Pi., fummo chiamati la sera da So. che ci disse: "Il Presidente vi vuole far fuori". E noi chiedemmo il perché: "Perché ci vuole far fuori il Presidente?", "Eh, sì, perché in pratica da Bc. due cose sono venute fuori": le lettere d'impegno, le baciate, e poi c'era anche il discorso per quanto riguarda Pi. dei fondi. Quindi il Presidente mi ha chiesto: "Ma lei ne so qualcosa?" e noi gli abbiamo detto: "Ma tu cosa bai risposto?", "Eh, no, che avrei approfondito, che non ero sicuro". Quindi ci ritrovammo io e Pi. di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che Zo., che avrebbe dovuto sapere, parlava con So., che sapeva di questo tipo di operatività, e si negavano - secondo quello che ci dicevo So. - a vicenda la conoscenza dell'operatività. Quindi io chiamai Zo. di fronte a Pi.. lo non chiamavo Zo., semmai mi chiamava luì col cellulare per gli auguri oppure per farmi incontrare dei clienti. Chiamai Zo. e chiesi un appuntamento. Ottenni questo appuntamento per il 4 maggio e, prima dì incontrare Zo., passai da Gr., perché ero andato a Roma per il Primo Maggio dai miei, e passai da Firenze la domenica, e poi lunedì incontrai Zo.. E ricordo chiaramente, perché anche fisicamente Zo. mi lo mostrò dicendo, io, scusi, mi portai le carte che dimostravano che era un'operazione diffusa, quindi mi portai gli storni; mi portai Da., mi portai le lettere Fa., quindi andai lì dicendo: "Ma cosa state dicendo voi due?" e Zo. mi disse: "Guardi, dottor Gi., io non sapevo delle operazioni baciate (intendendo probabilmente quelle 100 e 100) ma sapevo delle operazioni parziali" E mi fece proprio il cenno così, cioè di arrotondamento per fare acquistare azioni, quindi: ti concedo, non so, 10.000 Euro, tu hai bisogno 10.000 Euro, te ne do 1Z.000,13.000,14.000 e con quei 3-4.000 Euro compri azioni Davanti a Br. perché ovviamente ci voleva il testimone. Io sono andato lì, come dire, cercando di capire perché stava succedendo questa cosa e perché dovessi essere fatto fuori dalla Banco. Zo. si presentò con testimone Br., e mi affermò in modo chiaro e inappuntabile che lui era a conoscenza delle operazioni, come dire, parziali, non quelle 100 e 100. Ma poi, andando in corso nelle udienze di primo grado, sempre sentendo questi audio in CdA, ma So. ne parlava di queste operazioni parziali al CdA. Abbiamo fatto sentire due audio in cui proprio So. diceva, sempre usando io stesso termine: "azioni appiccate ai mutui", quindi ai finanziamenti. Quindi anche nel corso del primo grado io ho avuto la conferma che So. aliene parlasse a Zo. di questo tipo di operatività. Poi, se li regista dell'operatività fosse So. e un'operatività avallata da Zo. o il contrario, questo non glielo so dire perché comunque erano discorsi che facevano tra loro. Sicuramente Zo. ne era a conoscenza. PRESIDENTE - Vuole aggiungere altro su questo? IMPUTATO GI. - Su Zo.? PRESIDENTE - Sulla posizione Zo., sì, in questo momento. IMPUTATO GI. - L'ultima cosa. Anche in tema dì lettere, sentendo questi audio, 0 un certo punto il Presidente, perché anche queste lettere d'impegno che sicuramente non hanno avuto una diffusione così ampia come le correlate e le baciate, quindi ho ascoltato un CdA in cui c'era un cliente della Po.Al. che voleva in qualche modo vendere te proprie azioni; la Po.Al., e quindi la Banca, gli prometteva e gli garantiva verbalmente l'impegno a venderle, e Zo. dice a tutto il CdA: "Fattelo mettere per iscritto". Quindi ha consigliato a questo cliente esattamente la stessa prassi che utilizzavamo noi per quanto riguarda le lettere d'impegno, E questo in qualche modo mi ha fatto intuire che anche sulle lettere Zo. fosse a conoscenza di questa prassi. PRESIDENTE - Poi lei ha parlato sempre nel suo memoriale della conoscenza, secondo lei, di Zo. anche di tutte le problematiche del mercato secondario, giusto? IMPUTATO GI. - Sì, si PRESIDENTE - E anche della rilevanza di questo fenomeno, di questo problema. IMPUTATO GI. - Zo. diceva proprio che era un problema drammatico per la Banca e che, se non fossimo riusciti, se la Banca non fosse riuscita a gestirlo, la Banca avrebbe chiuso - Questo in CdA, quindi anche questo è stato ascoltato in primo grado...". Significative, poi, sono anche le risposte che il propalante ha fornito alle domande rivoltegli dal suo legale: (...) DIFESA, AVV. Mi. - Il Presidente Zo. interveniva rispetto ai soci e rispetto a questa problematica, che mi pare di capire sempre più esasperata, del ritardo nell'evasione delle domande di cessione? IMPUTATO GI. - Il Presidente Zo. è intervenuto puntualmente chiedendo varie cose: primo, "convincete i soci a non vendere". Mi ricordo che se la prese anche con i consiglieri di amministrazione che andavano da lui a dire: "Ci stanno questi soci che vogliono vendere, dobbiamo evadere la richiesta". E in un incontro in Palazzo Thiene, prima in Consiglio di Amministrazione fece una premessa, poi a Palazzo Thiene riprese questi consiglieri proprio per dire: "Voi dovreste difendere la Banca, convincete i soci a non vendere, non venite qua a chiedermi di evadere le loro richieste di vendita". Questo lo chiedeva in primis ai consiglieri, soprattutto di Vicenza Nord, e lo chiedeva poi alle aree, perché lui incontrava le aree e le direzioni regionali, e gli chiedeva: "Guardate che la Banca è buono, siamo su un buon territorio, il valore dell'azione è congruo, dovete convincerli a non richiedere una cessione. Se poi, diceva, questi clienti hanno bisogno di liquidità, finanziateli". Quindi, come dire: un fenomeno di baciate ex post, per cui una persona voleva vendere 100:000 Euro di azioni perché aveva un problema, ad esempio, di salute, e allora il Presidente chiedeva di finanziarlo, quindi diceva: "invece di fargli vendere le azioni, finanziate questi 100.000 Euro. DIFESA, AVV. Mi. - Lei c'era, e quindi ha vissuto, lei si ritrova con quanto dichiarato dall'imputato Zo. circa una sua presenza non operativo, a tratti sporadica, in Banca, di rappresentanza? Si ritrova con questo ruolo di Zo.? IMPUTATO GI. - E' particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio, Il Presidente era presente. era presente nei gangli organizzativi So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse - I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo.. Quindi, voglio dire, io dico guelfo che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo ...". Tanto premesso, e passando ad analizzare più nel dettaglio le propalazioni complessivamente rese del GI. (nel memoriale a sua firma e nel corso dell'esame), va precisato come questi abbia dichiarato che il presidente non solo era perfettamente a conoscenza della prassi dello "svuotafondo" ma che la sosteneva apertamente, trattandosi di rimedio funzionale a "fare mercato, ovvero a consentire al socio la possibilità di vendere le azioni in quanto, in difetto, nessuno avrebbe più avuto fiducia nella Banca, bloccando la crescita degli impieghi e le operazioni straordinarie di acquisizione di Banche/Sportelli" (cfr. memoriale citato, pag. 31) ed ha precisato che, a decorrere dal 2012, tale prassi era divenuta indispensabile, poiché il titolo B. aveva cessato di aumentare di valore, era stata interrotta la erogazione del dividendo e, infine, le vendite finalizzate a monetizzare il controvalore delle azioni della banca erano divenute frequenti (posto che, in una fase di crisi economico-finanziaria generale, l'azione dell'istituto era uno dei pochi strumenti finanziari ad avere conservato valore). E, a conferma della consapevolezza del coimputato ZO. in merito alla correlazione tra azioni della banca e finanziamenti, sotto varie forme, il GI. ha prodotto (in allegato al memoriale, con numerazione da 4.2.1 a 4.2.8) ulteriori documenti costituiti, segnatamente: - da comunicazioni dalle quali si ricavava la conoscenza da parte dello ZO. della vicenda Da. e della risposta - concordata tra il collegio sindacale e la funzione di Compliance - fornita a costui (allegato 4.2.1); - da comunicazioni attestati la conoscenza in capo allo stesso ZO. della richiesta di vendita di azioni da parte di un socio-socio - tale La.Re. - poi prontamente "tacitato" a seguito della missiva da costui inviata all'attenzione del presidente (ali. 4,2,2); v dalla comunicazione epistolare indirizzata al presidente da un altro socio - tale Bo.Sa. - nella quale questi lamentava la mancata evasione della richiesta di vendita delle azioni, esplicitamente denunziando l'illiquidità del titolo ("...adesso mi trovo con 30.000 Euro di vostri titoli che, nonostante le rassicurazioni a parole, sono di fatto un capitale non liquido.." - allegato 4.2.3); - da comunicazioni mail attestanti il coinvolgimento della presidenza (la mail di riferimento risulta inoltrata alla segretaria di ZO., Li. Camilla) nelle operazioni di vendita di azioni ad un gruppo imprenditoriale (Fr.) che, nonostante fosse in grave difficoltà, la banca continuava a finanziare (allegato 4.2.4); - dalla "denunzia" del presidente dell'Ad., La., pubblicata sul social network Twitter, in data 30.10.2014 (evidentemente derivante dalle dichiarazioni dei soci pubblicate sui quotidiani in ordine ai finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni, posto che l'articolo a firma Ga. pubblicato da "Il.", come s'è detto, risaliva al precedente 27,10,2014): "Po.Vi., Immarcescibile Zo., si guadagnerà una denunzia per il reato di estorsione?", denunzia inoltrata dalla segreteria al Presidente e, successivamente, su disposizione dello stesso ZO., trasmessa dalla segreteria all'avv. Am. (allegato 4.2.5); - da ulteriori sollecitazioni alla vendita di azioni provenienti da soci (Pr. - allegato 4.2.6; Ce. - Mo. - allegato 4.2.7), in un caso con comunicazione di vera e propria azione legale e con la precisazione che la banca aveva concesso finanziamenti a fronte della mancata vendita delle azioni (doc. 4.2.7.); - dalla traccia del discorso rivolto al personale in occasione delle festività natalizie 2014 nel quale era palese il riferimento alla difficoltà nella evasione delle richieste di vendita delle azioni provenienti dai soci e si precisava: "se poi qualche socio avesse necessità urgenti la Banca gli è sicuramente vicina" ... allegato 4.2.8). Del resto, a fugare qualsivoglia perplessità sul punto e a confermare quanto sostenuto dal chiamante in correità in ordine alla piena conoscenza della prassi dello "svuotafondo" in capo al presidente è decisivo il richiamo alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in occasione dell'interrogatorio investigativo 22.3.2017 (prodotto dal P.M. all'udienza dell'11.6.2020 e acquisito ex art. 513 c.p.p.), là dove ZO. pur dichiarando di non essere in grado di "descrivere esattamente l'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE nel corso dei vari anni" (cfr, verbale interrogatorio 22,3.2017, pag. 4) ha chiaramente ammesso di essere a conoscenza delle relative problematiche, per essere stato informato proprio da So. ("...é capitato che So. mi abbia dato informato dell'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE in occasione dei colloqui che, nel corso del tempo, ho avuto periodicamente con il medesimo... Preciso che non mi occupavo dell'andamento e della gestione dei FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE"), soggiungendo di essere perfettamente consapevole dei risvolti dell'andamento del fondo con riferimento proprio al tema del patrimonio di vigilanza ("... tuttavia, ero interessato all'entità dell'utilizzo del FONDO in quanto, come detto, comportava effetti negativi sul patrimonio e sul bilancio della banca..."). Inoltre, il GI., come s'è visto, ha esplicitamente affermato la piena consapevolezza, da parte del presidente, del fenomeno del capitale finanzialo. In effetti - ha precisato il propalante - ZO. era cosciente non solo, come detto, dell'andamento ciclico del mercato secondario e dei ritardi/problemi relativi all'evasione delle richieste di vendita delle azioni (e, sul punto, il dichiarante ha richiamato e prodotto lettere di reclamo dei soci, con la precisazione che in una di tali missive - segnatamente, quella del socio Gr.Ma. - oltre ad evidenziarsi le forti contraddizioni tra il successo dell'aumento di capitale e le difficoltà del mercato secondario, si poneva l'accento anche sulla sopravvalutazione del prezzo dell'azione, richiamandosi, sul punto, il severo giudizio consegnato alla stampa dal noto economista Zi.), ma anche - e specificamente - dell'erogazione di "finanziamenti correlati" avendo egli raccolto, in proposito, dichiarazioni ammissive dal coimputato nelle seguenti occasioni, nelle quali aveva direttamente affrontato con ZO. tale argomento. Trattasi, segnatamente: - dell'interlocuzione relativa alla richiesta dell'imprenditore siciliano Co. (interlocuzione specificamente affrontata nella sentenza di primo grado e ricostruita dal GI. in termini coerenti con la lettura dell'episodio offerta dal primo giudice e della quale si tratterà anche più oltre); - dell'incontro avvenuto il 4.5.2015, alla presenza del vicepresidente Br. - il quale, dal canto suo, nel corso della propria escussione all'udienza del 24,6.2022, come si accennava, ha negato di conservare memoria di tale importante incontro, a di poco sorprendentemente, ove si consideri il grave frangente in cui esso aveva avuto luogo. Ebbene, in occasione di tale interlocuzione - ha precisato il GI. - il presidente aveva ammesso di essere a conoscenza del fenomeno del finanziamento dell'acquisto di azioni, sia pure limitando detta conoscenza alle sole "baciate parziali"; - del colloquio intrattenuto durante un intervallo dell'udienza 5.6.2019 del processo di primo grado, allorquando lo ZO., mentre si trovavano nell'automobile condotta dal coimputato ZI., aveva ribadito di essere stato a conoscenza delle sole "baciate parziali". Infine, anche con riferimento alla prassi consistita nel rilascio delle lettere di impegno, il GI. ha affermato di avere acquisto contezza della piena consapevolezza, in capo al coimputato, della prassi di ricorrere a tale t "strumento" per convincere i potenziali acquirenti delle azioni dell'istituto a rilevare titoli della banca, là dove ha evocato l'audio della seduta di CdA del 5.11.2013 nel corso della quale lo ZO. aveva riferito di aver consigliato ad un suo amico, nonché socio della Po.Al., di farsi rilasciare una lettera di tale natura. A ben vedere, il mero ascolto di tale audio (e, così, la lettura della relativa trascrizione) non offre conforto, in termini di certezza, rispetto alle dichiarazioni del GI., in quanto il passaggio evocato, anche per la sua brevità, è suscettibile di non univoca lettura, poiché non implica necessariamente un implicito riferimento alla prassi, invalsa presso B., del ricorso alle vere e proprie lettere di impegno (cfr. pag. 8 della relativa trascrizione: "....Quando comincia il passaparola della crisi hai finito, hai finito". La banca popolare dell'Alto Adige - conosciamo un azionista, giusto? Un socio non compra le azioni. Adesso fanno la fusione perché pensano che con due debolezze non fanno e allora gli ha detto ma per marzo gliele compriamo e allora è venuto da me questo qua e mi ha detto per marzo me le comprano e allora dice cosa vuoi aspetto qualche mese. E allora ho detto fattelo mettere per iscritto. Ha detto: ci provo. Se vuoi scommetto che non le mettono niente. Questa è la Ba.Po.. Perché il problema vale per tutti ma ricordatevi che vale anche per noi....."). In teoria (nel solco di quanto suggerito dalla difesa), infatti, si potrebbero spiegare le parole proferite, nel frangente, dall'imputato come un semplice, generico suggerimento a farsi assicurare per iscritto che il problema si sarebbe risolto nei tempi (brevi) che i responsabili della banca altoatesina avevano prospettato al cliente. Peraltro, va precisato che quella proposta dal chiamante in correità è una lettura del senso delle affermazioni dello ZO. non certo azzardata, sicuramente non smentita dal dato documentale e che, anzi, ove doverosamente interpretata alla luce del contesto complessivo del discorso in cui si inserisce (i passaggi della registrazione immediatamente precedenti riguardano, come si è visto, il pericolo che il "passaparola" tra i soci possa generare la crisi e, quindi, in sostanza, dare l'avvio ad una vendita in massa delle azioni della banca), appare davvero quella più convincente, tenuto peraltro conto del fatto che la descrizione del meccanismo effettuata dall'imputato (ovverosia richiedere un impegno "scritto") ben si attaglia al sistema delle "Mettere di impegno" invalso proprio presso B.. Ove poi si consideri che trattasi di interpretazione che trova significativo riscontro nelle già citate conversazioni intercettate nn.ri 1587 e 1570 intrattenute dal d.g. (nelle quali, come s'è visto, è parimenti evocata la conoscenza in capo all'imputato delle lettere di impegno) deve necessariamente convenirsi nel senso della assoluta ragionevolezza della lettura della vicenda proposta dal chiamante in correità. Sul punto, va precisato, per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che è certamente vero che lo stesso GI., come evidenziato dalla difesa dello ZO. (cfr. pag. 26 delle note relative alla "rinnovazione istruttoria"), con riferimento alle "lettere di impegno", ha dichiarato, in sede di rinnovazione istruttoria, che non aveva avuto "percezione che il Presidente fosse a conoscenza di queste lettere". Nondimeno, come può agevolmente arguirsi dalla lettura del relativo passaggio dell'esame dello stesso GI., trattasi di affermazione che, ben lungi dal contraddire quanto dal medesimo propalante riferito in relazione al citato file audio 5.11.2013, delinea unicamente quale fosse la consapevolezza di costui con riferimento a tale questione ed al coinvolgimento, sul punto, del presidente, al momento dell'esercizio della vicepresidenza di B. (e, indirettamente, vale a confermare l'attendibilità della fonte). Ebbene, con riferimento al complessivo contributo dichiarativo offerto dal coimputato GI., si è in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal poter essere sbrigativamente derubricate al rango di "vacue suggestioni" (così nelle "note scritte di discussione", pag. 68), convergono nel ribadire la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno del "capitale correlato". Trattasi di dichiarazioni precise, oltre che corroborate dal pertinente richiamo ad elementi documentali, taluni dei quali - ad onta delle considerazioni difensive, che, in senso contrario, ne hanno sostenuto la inconsistenza probatoria (cfr. note scritte relative alla rinnovazione dibattimentale, pagg. 19 e ss.) - sono, come s'è visto, di obiettiva significazione. D'altra parte - e trattasi di profilo che, ad avviso di questa Corte, è bene che sia costantemente tenuto presente per non smarrire la "dimensione sistemica" del fenomeno dei finanziamenti correlati e, quindi, non compromettere l'esatta comprensione della complessa vicenda in esame - la crisi del mercato secondario del titolo B. aveva inevitabili, immediate ricadute anche sulla determinazione del valore dell'azione (il cui deprezzamento avrebbe ineluttabilmente aggravato tale crisi) e, ove non contrastata con ogni mezzo, avrebbe compromesso non solo l'immagine della banca, ma anche la sua capacità di porsi, secondo la visione strategica perseguita tenacemente da ZO. (in passato addirittura in controtendenza rispetto alla più realistica prospettiva della dirigenza di B. - cfr. deposizione Gr.), come "struttura aggregante", in grado di ampliare ulteriormente la propria dimensione territoriale (in termini di diffusione degli "sportelli" nel territorio nazionale) e di accreditarsi come gruppo bancario di primaria importanza. In altri termini, il ricorso al capitale finanziato, la crisi del mercato secondario, la sopravvalutazione del prezzo del titolo (sostenuta anche attraverso piani industriali del tutto irrealistico altro non sono, nella concretezza della vicenda sub iudice, che diverse "sfaccettature" di un medesimo fenomeno, con l'ulteriore conseguenza che parlare della prassi dello "svuotafondo" e del ricorso alle lettere di impegno significa null'altro che riferirsi ad alcuni aspetti specifici del più generale problema dei finanziamenti correlati. Ed è proprio tenendo a mente tale "dimensione sistemica" che debbono vagliarsi le propalazioni del GI., onde poterne adeguatamente cogliere la reale, complessiva capacità dimostrativa. A tali rilevanti dati probatori, poi, si aggiungono gli ulteriori elementi, già puntualmente valorizzati dal primo giudice, in quanto indici sintomatici di una conoscenza effettiva del capitale finanziato e della sua diffusione da parte dello ZO. e, segnatamente: - i rapporti dell'imputato con svariati soci titolari dì partecipazioni di rilievo con B. e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro effettuate (è il caso di Be.De., Do.Ir., dei fratelli Ra., di Fr.Zu. e Fe.Ri., di Gi.Ro.), ovvero dell'esistenza di lettere di impegno al riacquisto, come nel caso di Re.Ca. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 614-624); - il coinvolgimento dello ZO. nella vicenda della richiesta di conclusione di operazione "baciata" avanzata dall'imprenditore catanese Ri.Co. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 624-626), ovverosia della vicenda evocata anche dal propalante GI.; - gli stretti rapporti intercorrenti tra lo ZO. e il gestore private della filiale dì Co., Ro.Ri., ovverosia il più attivo promotore di operazioni "baciate" (cfr. sentenza gravata, pagg. 626-628); - il contenuto dì alcuni messaggi SMS intercorsi tra i vertici operativi della banca ed inerenti proprio ad alcune operazioni correlate 172; - la consapevole, fattiva partecipazione dell'imputato alla pianificazione dell'aumento di capitale 2014 (caratterizzata, come s'è detto, dalla sistematica violazione della disciplina per il collocamento dei titoli), partecipazione, peraltro, che aveva visto lo ZO. significativamente intervenire nel CdA del 4.3.2014 a sostegno delle irregolari modalità di raccolta delle adesioni, posto che il predetto, nell'occasione, aveva sostenuto la necessità di tenere nascosta l'attività di preventivo contatto dei potenziali investitori, onde rispettare formalmente il principio dell'effettività della iniziativa del cliente (la già citata registrazione audio della seduta, invero, documenta la pronunzia della frase "Noi chiederemo alla Consob e alla Banca d'Italia di approvare, quando. Un po' prima, intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come..."). Nel corso della medesima seduta, peraltro, il d.g. So. aveva illustrato la possibilità del ricorso al time-deposit per consentire la sottoscrizione dell'aumento di capitale; - la gestione dell'allontanamento di So., "ricompensato" con un lauto emolumento, gestione ragionevolmente interpretata dal primo giudice - sulla scorta, peraltro, di coerenti esiti di intercettazione (il riferimento è alla già citata conversazione Pi.-To.), dai quali si ricava come una tale interpretazione fosse diffusa tra soggetti collocati in posizioni di notevole responsabilità all'interno dello stesso istituto di credito e, quindi, "informati sui fatti" - quale espressione dell'intendimento dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale (cfr. sentenza gravata, pagg. 606 e ss). Peraltro, non può non sottolinearsi come le modalità di gestione dell'allontanamento del So., come visto lautamente "premiato" per la sua fallimentare gestione, si differenzino significativamente anche da quelle poi adottate dall'istituto di credito per il ben più sommario allontanamento dei vicedirettori GI. e PI. e, questo, senza che possa essere soltanto la differenza di "rango" tra costoro a giustificare tale diversità di "registro"; - l'inerzia del giudicabile tanto a fronte delle dimissioni di An.Vi. quanto a seguito della denunzia effettuata, dal socio Da., in occasione dell'assemblea del 26.4.2014 (cfr. sentenza impugnata, pagg, 628-632). A ciò deve aggiungersi la ricezione, da parte dell'imputato, di missive anonime (trattasi dei documenti 650, 651 e 652 della produzione del P,M., dettagliatamente richiamati a pag. 631 della sentenza impugnata) nelle quali il fenomeno era oggetto di denunzia, anche assai esplicita (è il caso, in particolare, della lettera dell'11.3.2014 - doc, 651, su cui v. più ampiamente infra - nella quale il ricorso sistematico al finanziamento per l'acquisto di azioni, anche in occasione dell'aumento di capitale, era stigmatizzato in modo plateale ed accompagnato da riferimenti a condotte quasi "estorsive"; ma anche il documento 652 è di inequivoco tenore sul punto). In definitiva, si è in presenza di una sequela di elementi, di natura logica e rappresentativa, che, oltre ad essere tutti coerenti (tanto nella loro specifica significazione, quanto ove debitamente sottoposti a congiunta valutazione) con la effettiva consapevolezza, da parte del giudicabile, del ricorso alla "strategia" del capitale finanziato, sono poi convergenti con le più puntuali e specifiche evidenze costituite, con riferimento a tale thema probandum, dalle evocate dichiarazioni del teste Ga., dagli esiti dell'attività di intercettazione telefonica di cui s'è detto, oltre che delle già citate propalazioni del coimputato GI. (le quali ultime - va precisato - costituiscono, in proposito, una significativa prova diretta, avendo trovato plurimi riscontri esterni individualizzanti proprio in tali ulteriori dati probatori). Ebbene, a fronte di tale sequela di convergenti e concludenti elementi, le obiezioni difensive, volte a sostenere che l'imputato non avrebbe neppure avuto contezza, ancor prima che del "capitale finanziato", finanche della esistenza dei relativi "indici di allarme", appaiono, quindi, radicalmente insostenibili, in quanto fondate, nell'ambito di una lettura volutamente "parcellizzata" del compendio probatorio, sulla valorizzazione di singole emergenze istruttorie che, per un verso, sono del tutto inidonee a smentire le considerazioni sin qui svolte, in ordine alla posizione dell'imputato, sulla base di una razionale lettura d'insieme del panorama delle evidenze disponibili; c. per altro verso - ed in ogni caso - sono anche dì intrinseca, assai limitata capacità dimostrativa. Ciò, a ben vedere, esimerebbe dal considerarle specificamente. Sennonché, ragioni di completezza ne rendono opportuna una analisi dettagliata. In particolare, la difesa, sub 3.2, ha sostenuto l'inconsapevolezza di siffatti indici sintomatici sul rilievo, nell'ordine: - dell'inerzia degli organi di controllo - e, in particolare dell'Audit - tale da avere impedito all'imputato, al pari dei membri del CdA, di cogliere segnali di allarme del fenomeno del capitale finanziato. A sostegno di tale impostazione, l'appellante ha richiamato le deposizioni dei testi Do., Za., Ga., Ma., Bo., Es., Fe., Pi., Gr., Cu. (cfr. atto di appello paragrafo 3.2, lett. a). Ora, non v'è chi non veda come si sia in presenza di considerazioni del tutto inidonee ad inficiare la evidente capacità dimostrativa degli elementi valorizzati dal primo giudice (ai quali - non va trascurato - si saldano le circostanziate accuse del coimputato GI.), trattandosi di obiezioni scarsamente significative, anche per la loro assai limitata consistenza intrinseca. Con riferimento all'inerzia degli organi di controllo, infatti, è decisivo osservare che è proprio la accertata ingerenza dello ZO. nella gestione operativa della banca, per il tramite del d.g. So. ed in forza di una pacificamente accertata sinergia gestionale tra i due, a rendere sostanzialmente irrilevanti, "a monte", le considerazioni difensive predette. Era dalle sistematiche interlocuzioni che l'imputato intratteneva con il d.g. So. (alle quali ha fatto cenno lo stesso imputato nel corso del già citato interrogatorio 22.3.2017), infatti, che il primo acquisiva le informazioni che gli consentivano di "prendere il polso" della banca (ovverosia di monitorare quale fosse la reale situazione dell'istituto di credito, specie sotto i profili finanziario e patrimoniale) e, quindi, di partecipare attivamente (attraverso la condivisione con il d.g. So. delle relative iniziative) alla politica d'impresa, come si è in precedenza evidenziato. Donde lo scarso interesse - se non ai fini della più ampia comprensione delle dinamiche operative degli organi di B. - di indagare quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno in esame da parte degli altri membri del Cda, ovverosia di comprendere se costoro (o almeno alcuni di essi) fossero consapevoli di quanto andava accadendo nella erogazione del credito correlato all'acquisto di azioni dell'istituto e delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, oppure si trovassero unicamente in una condizione nella quale la presenza di taluni segnali d'allarme avrebbe loro imposto di procedere a doverosi approfondimenti sul punto (come, peraltro, precisato nelle pronunzie della Suprema Corte di conferma delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti di molteplici consiglieri oltre che dei sindaci). Ha davvero poco senso, infatti, ricostruire l'effettivo ruolo rivestito dal presidente nella vicenda delittuosa in esame assimilandone la posizione a quella di qualsivoglia altro membro del CdA, se non allo scopo di accreditare l'inverosimile lettura della vicenda secondo la quale, come s'è detto in apertura, l'imputato sarebbe stato una vittima inconsapevole delle malefatte di un management infedele. In ogni caso, come s'è detto, quelle esposte al paragrafo 3.2 dell'appello sono argomentazioni di ben scarsa, intrinseca significazione probatoria con riferimento alla posizione processuale dello ZO.. Certamente ciò vale con riferimento alla pur indubbia inerzia degli organi di controllo, solo a considerare che tale inerzia è risultata in larga parte dovuta non solo all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo interni, specie sotto lo specifico profilo della assenza di autonomia dell'organismo di vigilanza (si veda, sul punto, quanto più oltre precisato con riferimento all'appello proposto da B. in l. c.a.), ma anche alla diretta responsabilità dei vertici aziendali. Quando, infatti, il responsabile dell'Audit, Bo., da tempo avveduto di quanto andava accadendo, aveva manifestato qualche velleità di intervento, erano bastate le "istruzioni" bruscamente impartitegli da So. per farlo desistere da qualsivoglia iniziativa in proposito. In definitiva, quindi, tale inerzia va fatta risalire alla volontà del vertice operativo di B. (ovverosia al So., il quale, nondimeno, come s'è detto, operava in stretta sinergia con il presidente), sicché, sul punto, si è in presenza di circostanza, bensì provata, ma del tutto irrilevante in relazione alla posizione dello ZO.. Il fatto, poi, che il teste Ga. abbia riferito di avere ricevuto dal segretario generale del CdA So. la confidenza che quest'ultimo era pienamente a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato, lungi dal deporre, come vorrebbe l'appellante, in senso favorevole all'imputato, conferma il convincimento che il tema in esame, come già detto, fosse largamente conosciuto (sia pure con differenti livelli di comprensione della relativa entità e delle conseguenti implicazioni) tra i soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli di responsabilità nell'organigramma dell'istituto di credito, anche se non direttamente coinvolti nella politica di collocamento dei titoli B. (oltre che da tutti i funzionari addetti alla "commercializzazione" dei titoli) e, così, a ben vedere, concorre anch'esso a compromettere, sul piano logico, la posizione dello ZO., a meno che non si voglia ritenere - nel solco della implausibile ricostruzione che è implicita nell'impugnazione - che quest'ultimo sia rimasto vittima di una "congiura" da parte di pressoché tutti i suoi più stretti collaboratori, compresi quelli che neppure indirettamente erano implicati in tale fenomeno, come nel caso di So. (il quale, va precisato, svolgeva una funzione - quella di segretario generale del CdA - che lo qualificava come il più stretto collaboratore della presidenza con specifico riferimento alla attività di direzione del CdA stesso). Di centrale rilievo, infatti, sono le dichiarazioni dello stesso So. dalle quali emerge non solo la risalente, comune consapevolezza del fenomeno in esame in capo all'alta dirigenza di Bp., ma anche il coinvolgimento dei vertici aziendali nella "gestione" della prassi del ricorso alle "baciate". E' anche alla stregua di tali dichiarazioni che, a giudizio di questa Corte, si ricava l'assoluta inverosimiglianza della estraneità del solo ZO. rispetto alla conoscenza di un siffatto fenomeno; - di una lettura della "vicenda Da." secondo la quale la denunzia effettuata da tale socio (il quale, durante l'assemblea - va precisato - aveva esplicitamente chiesto "al Collegio Sindacale ed alla Vigilanza della Banca d'Italia di verificare se nel recente passato la Po.Vi. ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o non soci affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni o obbligazioni convertibili della Banca (...)" - cfr. doc. 153 della produzione del P.M.) non avrebbe costituito un serio "campanello di pericolo" perché trascurata tanto dal collegio sindacale (a causa del doloso occultamento dei dati da parte del responsabile Audit, Bo.), quanto da parte degli ispettori di Banca d'Italia (cfr, atto di appello, paragrafo 3.2, lett. b). Osserva, in senso contrario, questa Corte, che se è vero che quanto denunziato da tale socio non ebbe riscontro nell'attività di controllo del Collegio Sindacale (come esattamente sostiene l'appellante, richiamando le deposizioni Za., Fe., Tr., Am. e comunque evocando, a sostegno della tesi secondo la quale tali denunzie non avevano suscitato allarme nei presenti all'assemblea, le deposizioni dei testi Co., Ro. e Do. - cfr. atto di appello, pagg. 60-63), è decisivo osservare - in disparte ogni considerazione in ordine alle ragioni che possono avere indotto gli organi di controllo interno ad adottare una risposta a dir poco inadeguata (essendo davvero difficile dissipare il sospetto di una linea di condotta consapevolmente omissiva, stante la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato siccome in precedenza descritta) - come contrasti con la logica più elementare ritenere che un presidente tanto presente nella vita dell'istituto e così avvertito delle gravi difficoltà nelle quali si dibatteva il mercato secondario delle azioni B., qual era Zo.Gi., non prestasse la benché minima attenzione alle gravi ed esplicite accuse mosse dal socio Da. se non, per l'appunto, in quanto aventi ad oggetto circostanze tutt'altro che sconosciute e volutamente "silenziate". Questo, a fortiori, ove si consideri debitamente che tale vicenda si inseriva nel medesimo contesto temporale delle analoghe denunzie costituite dagli scritti anonimi pervenuti all'imputato (cfr., a tale ultimo riguardo, infra). Ed è proprio l'esplicito tenore della denunzia del Da. ad impedire di prestare fede alle dichiarazioni - pure ampiamente valorizzate dalla difesa dell'imputato - rese, in sede di rinnovazione dibattimentale, dai testi Ca., Pa., Pa. e Mo., là dove costoro - peraltro interessati, per i ruoli rispettivamente rivestiti in B., ad offrire una siffatta lettura della vicenda - hanno ridimensionato, sotto il profilo della "capacità di allarme", le accuse formulate da tale socio; - della mancata conoscenza, in capo allo ZO., tanto della vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Vi., tenuta all'oscuro del Presidente e del CdA per volontà, ancora una volta, del d.g. So. con la complicità di Bo. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. c), quanto delle lettere anonime inviate a B. negli anni 2013-2014 (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. d). Ebbene, le argomentazioni difensive in ordine alle dimissioni del dipendente Vi. (private banker dimessosi per le pressioni ricevute dalla dirigenza B. affinché promuovesse "operazioni baciate"), secondo le quali lo ZO. mai sarebbe stato portato a conoscenza in modo esaustivo di tale vicenda e delle relative implicazioni, in quanto al predetto ed al CdA sarebbero stati sottaciuti i relativi esiti di indagine a causa dell'intervento dì So. nei confronti del "solito" Bo., sono tutt'altro che persuasive. La difesa, sul punto, ha richiamato le deposizioni Li., Va., Fi., Fe., Ca., Po., Fe., Do., Za. e dello stesso Bo. per sostenere che tale vicenda, "lungi dal costituire un indice di allarme" confermerebbe che lo ZO. non era mai stato notiziato del fenomeno del capitale finanziato (così, nell'appello a pag. 69). Ebbene, anche in tal caso, pare davvero inverosimile che l'imputato non abbia dato peso al contenuto tanto circostanziato della denunzia delle ragioni delle dimissioni del consulente (denunzia trasmessa, via PEC, tanto al presidente, quanto al CdA, quanto, ancora, all'ufficio - Compliance"), specie ove si tenga a mente, da un lato, l'esplicito tenore, davvero allarmante, della segnalazione in questione, puntualmente evocata dal P.G. in sede di requisitoria175 (in effetti, l'avv. Es. aveva riferito che il suo assistito "aveva interrotto il rapporto di lavoro...in considerazione delle irregolarità che gli veniva richiesto di compiere dai funzionari a lui sovraordinati", precisando, al riguardo, che il predetto Vi. "era continuamente richiesto di reperire clienti disposti a sottoscrivere le cd " "operazioni baciate" nelle quali la Banca erogava un finanziamento al cliente a condizioni spesso particolarmente vantaggiose affinché questi acquistasse azioni della banca stessa", soggiungendo, sul punto, che si trattava di un sistema che aveva movimentato "svariati milioni di euro" e del quale il medesimo Vi. aveva verificato "la piena conoscenza da parte di molti funzionari operativi ed anche della funzione del personale al momento di dare le dimissioni e concludendo, infine, come fosse intenzione del proprio cliente rinnovare "ai vertici dell'istituto le segnalazioni all'epoca inascoltate" e mettere "sin d'ora a disposizione", per il tramite dello stesso legale, "tutte le informazioni in suo possesso nell'auspicio che la banca voglia procedere agli opportuni interventi a tutela degli azionisti e della clientela .." - cfr, doc. 420 produzione P.M.); dall'altro lato, la piena padronanza, da parte del predetto, della situazione di grave difficoltà del mercato secondario delle azioni B. (che - va ribadito ancora una volta - costituiva la principale ragione del ricorso al "capitale finanziato"); e, dall'altro lato ancora, la circostanza che il Presidente ZO., letta la predetta denunzia il 7,7,2014, non ne aveva disposto l'inoltro al responsabile dell'Audit Bo. (al quale era poi pervenuta comunque, tramite il responsabile della "Compliance", Fe.), bensì ai soli vertici dell'ufficio legale, avv. Pa., e della Divisione Risorse, Ad.Ca. (soggetti che si andavano ad aggiungere agli ulteriori destinatari già individuati dalla segreteria, So., So., Fe., Gi., Va. e Ro.), così sostanzialmente derubricando la vicenda ad una questione legale relativa al personale (questione, pure, certamente sussistente, ma del tutto trascurabile rispetto alla assoluta gravità di quanto denunziato dal legale del Vi.) o, comunque, ad un reclamo (del resto, la risposta all'avv. Es. era poi stata resa dall'Ufficio Reclami, come precisato dal teste Fe.), né aveva poi chiesto informazioni sugli sviluppi della questione. Il medesimo giudizio di sostanziale irrilevanza, poi, si impone con riferimento alle considerazioni difensive in ordine alle lettere anonime (cfr. atto dì appello pagg. 69-73) che contenevano espliciti riferimenti non solo alle pressioni esercitate per indurre alla sottoscrizione di capitale, ma anche ai finanziamenti all'uopo erogati dalla banca. Questo, senza che possa ritenersi minimamente credibile, quanto alla già citata missiva (doc. 651 produzioni / del P.M.), recante la data dell'11 marzo 2014 e ricevuta il 13 marzo 2014 - / ovverosia alla lettera che conteneva il più esplicito riferimento alle "baciate" ("Presidente, perché continuare in questa folle corsa a dimostrare le forze di una banca che non ci sono o se sembrano esserci derivano da numeri manipolati ad arte. Perché deliberare un aumento di capitale in 15 minuti, senza un consorzio, come aver deciso in quale ristorante andare a mangiare. Perché non capire che i soldi drenati nell'ultimo aumento sono stati tanti e sarà Impossibile ritrovarli anche stressando rete e clienti. Come fai a non sapere che l'ultimo aumento di capitale è avvenuto a forza di finanziamenti di centinaia di migliaia di Euro ad aziende che non potevano dire di no, giustificati dai motivi più svariati. Ma se venisse Banca d'Italia e notasse (verifica più che facile da fare) che l'80% dei prestiti erogati ad aziende è stato, nonostante la richiesta fosse partita con altri intenti utilizzato per sottoscrivere azioni della Banca, cosa potresti direi Non ti sentire intoccabile.....Come fai a pensare di fare un aumento di capitale non rinnovando le obbligazioni in scadenza, stravolgendo il profilo di rischio del cliente, forse siamo la banca che opera più variazioni MIFID in assoluto, che logica che deontologia c'è alla base di tutto questo......invia segnali di lucidità e correttezza altrimenti è giusto che l'opinione pubblica (i giornali) e l'organo deputato (Banca Italia) sappiano cosa è accaduto e cosa sta accadendo") e che era pervenuta in epoca che avrebbe consentito l'adozione di "contromisure", se non tempestive, "meno tardive" - l'ipotesi che di tale corrispondenza il presidente non avesse avuto conoscenza per effetto dì una sorta di "censura preventiva" operata dal d.g. So.. Ciò, in particolare, ove sì consideri: in primo luogo, che, come precisato dal teste di P.G. Ta.Vi., la suddetta missiva era poi stata inoltrata dallo stesso So. ad altri soggetti (segnatamente, al vicedirettore Ca. e al dipendente Va.); e, in secondo luogo - e trattasi, a ben vedere, di circostanza di decisivo rilievo - che la missiva in questione era pervenuta non già a mezzo mail (come sostenuto dalla difesa ZO.) bensì a mezzo posta cartacea e, una volta ricevuta nonché regolarmente protocollata in data 13 marzo 2014 dalla Segreteria della Presidenza B., era stata scannerizzata, (come si desume dall'indicazione "Allegati: scan pdf) per poi essere in tale veste trasmessa, quale allegato, ad una mail inviata dalla Segreteria della. Presidenza B. in data 14 marzo 2014 al d.g. So.. Il tutto è provato per tabulas dal citato doc. 651 del P.M.. Segnatamente, risulta ben chiara l'apposizione, sulla missiva anonima cartacea poi scannerizzata, del regolare timbro di protocollo della Segreteria della Presidenza con data 13 marzo 2014; eloquente è poi, sul fatto che la missiva anonima fosse pervenuta in formato cartaceo a mezzo del servizio postale ordinario, l'oggetto (sul quale v. subito infra) della mail inviata dalla stessa Segreteria, il giorno seguente alla sua ricezione, al d.g. So.. Sicché trova radicale smentita l'ipotesi (più esplicitamente illustrata in sede di discussione, rispetto a quanto adombrato a pag. 71 dei motivi di appello, in difetto, peraltro, di qualsivoglia riscontro che possa emanciparla dal rango di mera illazione) che detto scritto non sarebbe mai stato stampato a beneficio del presidente e, al contrario, sarebbe stato immediatamente inoltrato al d.g. So., in esecuzione di una sorta di censura attuata, in danno dell'imputato, dal d.g., avvalendosi della collaborazione di una segretaria (la dott.ssa Li.) infedele. In effetti, non può certo fondatamente valorizzarsi, a sostegno di siffatta ricostruzione, la mera circostanza che su detta missiva, mai sequestrata (e "recuperata" soltanto in sede di esame dell'account di posta elettronica del So.), non risultassero apposte annotazioni manoscritte dell'imputato. Del resto, anche ove non intendesse prestarsi fede alle dichiarazioni della teste Li., la quale ha riferito che ogni lettera indirizzata al presidente era verificata e collocata, ordinatamente, secondo le priorità desumibili dal contenuto, sulla scrivania dello ZO., senza eccezione alcuna177, la circostanza che la segreteria avesse provveduto a protocollare la missiva in esame, come si ricava dal timbro apposto sul documento, costituisce la più evidente smentita, sul piano logico, della tesi della sottrazione di corrispondenza in danno del giudicabile per effetto di una callida determinazione del direttore generale. Aggiungasi, del resto, che è lo stesso contenuto della mail di trasmissione al d.g. (tanto con riferimento al testo: "Egregio Direttore, come da Sua richiesta..", quanto alla puntuale descrizione dell'oggetto; "Lettera anonima ricevuta il 13 marzo 2014 - timbro postale di Firenze datato 11 marzo 2014 - riservata") a confliggere con la tesi secondo la quale si sarebbe trattato di una trasmissione clandestina, effettuata a tutto discapito del presidente di B.; - della assenza, nell'articolo apparso sul quotidiano economico "Il." del 27 ottobre 2014, a firma Ga., di effettivi riferimenti al fenomeno del capitale finanziato (tale non potendosi ritenere quanto riferito al giornalista dall'imprenditore di Sc.Pa.Tr., il quale aveva dichiarato che, a fronte del proprio rifiuto di acquistare azioni, si era visto ridurre i finanziamenti) e, comunque, dell'assenza di riscontri a quanto denunziato da parte della direzione generale e delle funzioni di controllo, sicché tale articolo non avrebbe potuto, in concreto, rappresentare un "serio e specifico segnale d'allarme" (paragrafo 3.2, lett. e). In proposito, è decisivo osservare, in senso contrario, che tale intervento, effettuato sulla più autorevole testata giornalistica specializzata, aveva prodotto nell'intero settore bancario e, a fortiori, all'interno di B., una vastissima eco. Inoltre, non è affatto vero che detto articolo, pur non facendo esplicito riferimento alle operazioni "baciate", non contenesse un chiaro riferimento al fenomeno del capitale finanziato. Sul punto, infatti, al di là della precisa deposizione resa dal teste ispettore Ga., è dirimente la lettura di tale scritto, dalla quale è possibile direttamente apprezzare come il giornalista, oltre ad affrontare i temi, evidentemente connessi, dell'"anomalia del fondo acquisto azioni proprie" (così, espressamente, nell'"occhiello" dell'articolo), della illiquidità del titolo azionario (definito dall'ex consigliere Consob, Sa.Br., il cui parere era ivi richiamato, un "prodotto palesemente fuori mercato", per effetto di una valutazione del titolo u fuori dal mondo"179) e del valore dell'azione, avesse riportato le dichiarazioni rese da un imprenditore del settore degli imballaggi e delle spedizioni (tale Pa.Tr., di Sc.) il quale aveva sostanzialmente riferito di avere ricevuto la proposta di finanziamento per l'acquisto di azioni ("..A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell'istituto in cambio di finanziamenti - Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti i finanziamenti.."), soggiungendo, peraltro, essergli noto che si trattava di un caso tutt'altro che isolato ("La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l'ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti sarebbe stato molto più alto..."). E' fuori discussione, pertanto, che si trattasse di un articolo che costituiva un serissimo indice di allarme per qualsivoglia vertice aziendale, a fortiori se pienamente consapevole, come lo ZO., della difficoltà del mercato secondario del titolo. Le deposizioni assunte, poi, hanno confermato l'impatto deflagrante che tale pubblicazione aveva avuto, anche all'interno del CdA (là dove, peraltro, in modo assai poco ragionevole, si era discusso, come riferito dal teste Br., di avviare un'azione legale nei confronti del giornalista ancor prima di interrogarsi sulla fondatezza, anche parziale, della notizia). Sicché escludere che tale articolo costituisse (specie per un presidente di certo cosciente della effettiva illiquidità dell'azione B.) un serio segnale d'allerta per l'assenza di un esplicito riferimento alle "operazioni baciate" costituisce ipotesi davvero surreale. Peraltro, è appena il caso di considerare che, nel medesimo periodo (11 novembre 2014), era stato pubblicato, su una testata di autorevolezza e diffusione assolute ("Co."), come ampiamente ricordato supra nel trattare la posizione dell'imputato Ma., anche un altro articolo - prodotto quale fonte aperta dalla difesa dell'imputato Pi. all'udienza del 4.2,2020 - dal contenuto assai allarmante con riferimento a B. (ed a Ve.) nel quale sostanzialmente si denunziava, con dovizia di particolari, l'eccessiva, inverosimile patrimonializzazione delle banche venete per effetto di una attribuzione alle azioni di valori sovrastimati (quanto a B. si ipotizzava un reale valore di 21,90 euro), tanto che - precisava il giornalista, Stefano Righi - le azioni di tali banche erano sostanzialmente "illiquide". Considerazioni del medesimo tenore si impongono - conseguentemente - anche con riferimento alle censure che l'appellante ha mosso alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla affermata conoscenza del ricorso al capitale finanziato e, più specificamente, alle "operazioni baciate" (rispettivamente ai punti 3.5 e 3.6 dell'atto di impugnazione), in quanto, anche in tal caso, gli elementi valorizzati dalla difesa non confortano minimamente la lettura dei fatti secondo la quale l'imputato avrebbe ignorato l'esistenza delle "operazioni baciate". Segnatamente, l'appellante ha evidenziato (al paragrafo 3.5): - che, nell'ambito del "campione" di clienti i quali avevano effettuato operazioni "baciate" escusso in dibattimento, pressoché tutti i testimoni avevano escluso un ruolo attivo dell'imputato nel consigliare/proporre tale tipo di operazioni (l'appellante ha richiamato espressamente le deposizioni Fe., Ca.Em., Ca.Pi., Br., Bo., Fa., Fe., Bu., De., Da., Va., Ro., Br., Ta., Fa., Ma., Ri., De., Co., Ti.Da., Ti.An., Ma., Tr., Se., To., Ba., Se., Ca. - paragrafo 3.5, lett. a):). Ebbene, la circostanza che non fosse stato lo ZO. a proporre/consigliare tali operazioni ai testimoni evocati dalla difesa, non riveste alcun significato, solo a considerare che le proposte in tal senso erano solitamente avanzate, alla migliore clientela, non già dal presidente, bensì dalla più alta dirigenza commerciale dell'istituto (si pensi a quanto avvenuto con riferimento alla operazione sottoscritta dal coimputato ZI. ed a questi proposta dal GI., il quale ultimo, del resto, ha anche dettagliatamente descritto il contesto - spesso un appuntamento al domicilio dei migliori clienti - nel quale venivano formulati gli inviti all'acquisto delle azioni B.). Peraltro, va rammentato che il teste Ro. ha dichiarato che l'imputato, in occasione di incontri conviviali, lo aveva ripetutamente rassicurato che non avrebbe avuto problemi in relazione alla operazione (una "baciata" per l'importo di 5 milioni di euro) che aveva effettuato. Sebbene detto teste non abbia affermato con certezza di avere citato, nelle interlocuzioni con l'imputato, tate finanziamento ("certamente si ma non è venuto il presidente Zo. a chiedermi di fare questo finanziamento....Si parla delle azioni ma non proprio del finanziamento. Io non mi ricordo, può essere che abbiamo parlato anche di questa operazione..."), ha comunque riferito che si trattava di un presupposto implicito ("Erano tutte sottintese. Tutti i finanziamenti erano/ operazioni che si facevano, e che non avevamo bisogno...io non lo facevo, ripeto, a scopo di lucro, lo facevo per avere un buon rapporto con la banca ..."); - che le c.d. "cene di Lo." altro non erano che sporadici appuntamenti conviviali nel corso dei quali mai il presidente aveva fatto cenno, in alcun modo, al fenomeno in esame (e, al riguardo, nell'appello si richiamano le deposizioni Mo., Lo.Tr., Ra.Gi. e Ra.Si., sottolineando, per contro, l'inattendibilità di quanto riferito da Lo.Tr. e da Lo.Da. - paragrafo 3.5, lett. b). A ben vedere, che non si affrontasse esplicitamente il tema del capitale finanziato in occasione di tali cene è circostanza assai poco significativa, tenuto conto proprio del contesto conviviale in questione (che induceva a non parlare di "banca", ovverosia "di lavoro", come precisato dal teste Mo.181). Nondimeno, tanto Ra.Gi. quanto Ra. Silvano hanno riferito che, al margine di tali eventi, erano soliti chiedere garanzie al presidente, il quale non mancava di tranquillizzarli, circostanza che, tenuto conto della serietà dell'imputato e dell'importanza" di tali interlocutori (i quali detenevano un pacchetto di azioni per circa 90 milioni di euro), induce ragionevolmente ad escludere che il giudicabile ignorasse la tipologia di operazione da costoro effettuata. Peraltro, il teste Ra. ha pertinentemente osservato, per confortare la tesi secondo la quale le rassicurazioni che lui stesso ed il fratello sollecitavano dallo ZO. non riguardassero affatto, in generale, la tenuta dell'azione, bensì "le loro operazioni correlate", come non avrebbe avuto alcun senso, all'epoca, dubitare sulla tenuta del titolo di B. (""Zo., in queste occasioni, ci tranquillizzava dicendoci che, finché c'era lui in banca, non avremmo dovuto preoccuparci di niente. Questo tipo di rassicurazioni ce l'ha data in più di una occasione anche prima delle assemblee degli azionisti. Evidenzio che, come ho già precisato, noi non avevamo finanziamenti o ragioni di esposizioni con fa banca ai di fuori delle operazioni che ho descritto. Pertanto le rassicurazioni di ZO. erano chiaramente rivolte a queste operazioni proposte da So. e GI., peraltro quanto ZO. ci dava queste rassicurazioni facevamo esplicito riferimento alle "operazioni concluse"(....) Rammento che mi rivolgevo a ZO. con espressioni del tipo "Presidente, possiamo stare tranquilli sulle operazioni che abbiamo fatto?" Di sicuro non parlavamo di informazioni sulla tenuta dell'azione. Del 1 resto, net 2012 (ovverosia quando avevano iniziato ad interrogare l'imputato, la loro prima operazione finanziata essendo collocabile nel 2011) nessuno sollevava dei dubbi sulla tenuta in sé dell'azione,."182). Pertanto, da tali deposizioni non si ricava affatto l'inattendibilità di quanto dichiarato dal teste Lo.Tr. in ordine alle rassicurazioni dallo stesso ricevute da So. e da Gi. circa il fatto che il presidente fosse consapevole delle "operazioni baciate"; - che dal contenuto delle deposizioni degli "amici del presidente" Ca., Ri., Ir., Ra.Fo. e Be.De. e del familiare dello ZO., Zu., non si sarebbero potuti affatto ricavare elementi a carico dell'imputato (paragrafo 3.5, lett. c). Per contro, ad avviso di questa Corte, il tribunale ha convincentemente valorizzato tali deposizioni. Quanto al Ca., avendo questi goduto di tassi vantaggiosi per il rinnovo dei "time deposit" ed essendo destinatario di due lettere di impegno (a fronte di un prestito obbligazionario) che gli garantivano un rendimento determinato previa esplicita autorizzazione di ZO., trattasi di deposizione che, in ogni caso, evidenzia l'ingerenza dell'imputato nella operatività della banca con riferimento ai "grandi investitori". La deposizione del Ri., amico di vecchia data dell'imputato, poi, è tutt'altro che generica là dove riferisce che lo ZO., appreso che costui aveva sottoscritto un acquisto finanziato di azioni B. per 150.000 Euro, si era dimostrato compiaciuto. Altrettanto dicasi per quanto riferito dallo Zu., posto che lo strettissimo legame familiare intercorrente con l'imputato rende davvero irrealistico ritenere che quest'ultimo non conoscesse la fonte della provvista impiegata dal cognato per l'operazione, ancorché questi abbia poi sostenuto di non averlo ragguagliato dì tale acquisto di azioni. In ogni caso, qualora, come sotteso all'impostazione difensiva (ed esplicitato in sede di discussione, là dove, come s'è detto, si è ricostruita la vicenda sub iudice prospettando una i sorta di "isolamento" dello ZO. posto in essere dal d.g. So. il quale, interessato a gestire detto fenomeno all'insaputa del presidente, avrebbe eretto un muro invalicabile tra costui e l'alta dirigenza della banca), il d.g. So. avesse realmente inteso mantenere all'oscuro il presidente circa il ricorso alle operazioni baciate, sarebbe stato davvero assurdo che contratti di tal genere fossero stipulati con un soggetto tanto legato allo ZO. quale, per l'appunto, il di lui cognato. La deposizione delle teste Ir., poi, per quanto stringata, non può affatto ritenersi irrilevante, avendo comunque la donna riferito di avere intavolato proprio con lo ZO., il quale l'avrebbe poi dirottata sul d.g., la trattativa che sarebbe sfociata in una "baciata" da 3,5 milioni. Inoltre, quanto al Be.De., se è vero che questi ha sostenuto di non avere mai parlato con il presidente delle proprie "baciate", vanno richiamate le contrarie dichiarazioni rese dai testi Gi. e Ba., siccome già valorizzate dal primo giudice in ordine alla conoscenza, in capo al giudicabile, delle operazioni finanziate riferibili a tale socio. In particolare, va precisato che, come affermato dal teste Gi., il Be., da un lato, era in strettissimi rapporti con l'imputato (con il quale era solito incontrarsi finanche durante le vacanze); e, dall'altro, era un'"diffusore" della banca, un "portatore di contatti" (o, come riferito dal Gi. alla stregua dell'efficace espressione con la quale lo stesso Be. era solito definirsi, "un soldato della banca") nel senso che si impegnava per la promozione dell'istituto su nuovi territori (segnatamente, la Lombardia), sicché si è in presenza di specifici elementi di fatto che rendono davvero impensabile che lo ZO. non fosse a conoscenza degli investimenti in titoli B., finanziati dall'istituto, effettuati da tale soggetto. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare che il Be.De. - il quale, secondo il Gi., nell'aprile del 2015, dopo la svalutazione del titolo, aveva telefonato manifestando veementemente tutto il proprio disappunto185 - richiesto di riferire quale fosse stato il tenore del colloquio che, portatosi fino a Vicenza, aveva intrattenuto, proprio nel predetto mese di aprile, con il presidente Zo., ha assai poco persuasivamente riferito di non serbare memoria dell'episodio (...Non rammento gli argomenti di detto colloquio con Zo. ..."). Infine, che il tribunale abbia omesso di considerare le deposizioni Ha. e Ra.Fo. discende dalla sostanziale irrilevanza di tali dichiarazioni (attesa la genericità di quanto riferito dall'Ha. e considerato che dall'estraneità del presidente rispetto all'operazione effettuata dal Ra.Fo. non è certo arguibile il difetto di conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte dello ZO.). Del resto, non può certo trascurarsi di considerare che opportunamente il primo giudice ha valorizzato la deposizione di Se.Pi., assai significativa circa la conoscenza delle "badate" da parte del presidente, senza che possa svalutarsi detto contributo dichiarativo sul presupposto, sotteso all'impostazione difensiva, di una indimostrata ostilità successivamente maturata da tale teste verso il giudicabile (ostilità, peraltro, che sarebbe dovuta essere di intensità tanto accesa da giustificare dichiarazioni false così gravi, specie tenuto conto dello stretto legame di amicizia tra il teste ed il figlio dell'imputato), ovvero sulla base delle incongruenze parimenti segnalate dalla difesa, a ben vedere trascurabili e, comunque, agevolmente spiegabili (e spiegate dallo stesso testimone, quanto alla questione della telefonata tra So. e ZO., come frutto di un refuso188; e, quanto all'incontro a castello d'Albola, in ragione di un progressivo affioramento dei ricordi, peraltro obiettivamente ragionevole in relazione a vicende tanto complesse. Del resto, il teste ha riferito che aveva soggiornato più volte presso tale residenza, sicché, anche sotto tale profilo, il mancato iniziale ricordo non può destare particolare sorpresa); - che, tra i familiari del presidente i quali (a differenza, peraltro, dell'imputato, della sua stretta famiglia e delle aziende del gruppo) avevano compiuto operazioni "baciate", era soltanto annoverabile il già evocato Fr.Zu., il quale, come visto, aveva riferito di non aver mai parlato di operazioni correlate con il presidente della banca (paragrafo 3.5, lett. d). Trattasi, com'è evidente, di circostanza di nessun rilievo sul punto, non essendo in discussione la effettività dell'apporto di capitali "reali" fornito dallo ZO. e dai suoi familiari alla banca; - che la "vicenda Ma." (inerente all'acquisto di azioni B. con finanziamento della banca) vedeva del tutto estraneo lo ZO. (paragrafo 3.5, lett. e). E' agevole osservare, in proposito, che l'estraneità dell'imputato ad una specifica operazione non rileva affatto, sotto il profilo probatorio, con riferimento alla questione in esame, inerente alla conoscenza di un ben più vasto e radicato fenomeno; - che dall'esame dei dirigenti e dei funzionari B. i quali, a diverso titolo, avevano contribuito alla diffusione del fenomeno del capitale finanziato non emergevano affatto elementi di responsabilità a carico del presidente, non avendo costoro mai parlato con ZO. delle "operazioni baciate" o, comunque, ascoltato il presidente affrontare tale argomento (l'appello, sul punto, ha richiamato le deposizioni Ri., Gi., Tu., To., Se., Pa., Ro., Cu., Ba., Te., Ve., Ca., Da., Pi., Bosso, Ip., Gi.n, Ma., Si., Ni., Pr., Ro., Be., St., Sa., Me., Ta., Pa., Gi., Ba. - paragrafo 3.5, lett. f). Ebbene, fermo restando che, come già anticipato, le dichiarazioni dei funzionari di B. scontano un più o meno marcato deficit di affidabilità; tenuto conto del differente grado di coinvolgimento di taluni di costoro in "segmenti", anche importanti, della operatività illecita di B. (pur se non accompagnato dalla consapevolezza della vastità di tale prassi e delle relative implicazioni), si è in presenza, in ogni caso, di deposizioni che, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., risultano davvero di trascurabile rilievo, posto, per un verso, che il presidente non si occupava certo delle singole operazioni finanziate; e, per altro verso, che costui, come ripetutamente evidenziato, non intratteneva rapporti diretti (se non in casi assolutamente sporadici), con i funzionari della banca, limitandosi ad interloquire unicamente con i massimi vertici operativi (e, segnatamente - lo si è già detto - con il d.g.). In ogni caso, sebbene il teste Pa. non abbia riferito di avere assistito al diretto coinvolgimento dell'imputato in discussioni inerenti alle operazioni "baciate", la deposizione di costui merita dì essere evidenziata, provenendo da un alto funzionario di B. che, non essendo in alcun modo coinvolto direttamente nella operatività in esame (trattandosi di vicedirettore della divisione marketing), risulta obiettivamente attendibile: "..TESTIMONE PA. - Allora, sicuramente questo tipo di operatività e questo tipo di operazioni con gli imprenditori era impossibile che né il Presidente, né So.", non ne fossero a conoscenza. Era evidente perché? Perché parlavano con gli imprenditori quotidianamente, sotto tanti aspetti, che potevano riguardare una sponsorizzazione o un evento o c/n... Cioè, c'era un forte legame col territorio, quindi gli imprenditori parlavano continuamente con Zo., li vedevo comunque entrare in banca e andare a parlare comunque con i vertici della banca. Quindi è impensabile che non ci fosse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni, proprio per il ruolo che avevano sia il Presidente, sia So., nella gestione della banca..." (cfr. dep. Pa., udienza 10.9.2020, pag. 52); s che né gli organi dì controllo interno (Audit, Comptiance, Risk Manager) e neppure i membri del collegio sindacale e del CdA avevano reso deposizioni a carico dello ZO. circa la conoscenza del capitale finanziato (paragrafo 3.5, lett. g). In proposito, si è in presenza di considerazione bensì fondata sulla corretta lettura delle deposizioni di riferimento, ma, anch'essa, in concreto, di scarsi significazione. In disparte, anche in tal caso, l'attendibilità di contributi dichiarativi provenienti da soggetti coinvolti indirettamente (per i doveri di controllo su di loro incombenti) nei fatti sub iudice - soggetti i quali, ammettendo la conoscenza del fenomeno delittuoso in capo a ZO., avrebbero inevitabilmente finito per coinvolgere le loro stesse persone in un ambito di responsabilità di tipo quantomeno "morale" - è dirimente la considerazione, già ripetutamente espressa in precedenza, in ordine al fatto che era al di fuori del perimetro del CdA - e, segnatamente, in occasione delle continue interlocuzioni con il d.g. So. - che l'imputato affrontava le questioni più delicate; - che, infine, il solo GI., tra tutti i coimputati, aveva reso dichiarazioni che attribuivano allo ZO. la consapevolezza di tale fenomeno, non ricavandosi dalle dichiarazioni degli imputati PI., MA. e PE. alcunché di pregiudizievole per il presidente (paragrafo 3,5, lett. j); Ebbene, anche in tal caso, quello segnalato dall'appellante è un elemento di ben scarso peso, tenuto conto della veste processuale dei predetti soggetti e del convergente obiettivo difensivo di costoro di "scaricare" ogni responsabilità sul d.g., invocando, in loro favore, analogamente all'imputato ZO., profili di più o meno marcata inconsapevolezza del fenomeno in questione; - che da quanto sostenuto dal coimputato MA. e dal dirigente Ca. nel corso delle conversazioni di cui alle intercettazioni, rispettivamente, n. 259 e 526, si ricaverebbe la mancata conoscenza, in capo al presidente, del capitale finanziato (ancora paragrafo 3,5, lett. j). Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni. Della telefonata n. 526, intercorsa tra Ca. e Cu., s'è già detto, sicché si rimanda alle considerazioni svolte sul punto. Quanto, poi, alla conversazione n. 259, svoltasi tra il coimputato MA. e il responsabile Audit Bo. - conversazione, peraltro, che, come s'è detto, costituisce significativa espressione del tentativo di quest'ultimo di farsi da tramite con il primo per indurlo a modificare quanto riferito in sede di audit poiché pregiudizievole per il presidente - deve osservarsi come il mancato esplicito riferimento al nome dello ZO. quale soggetto informato del fenomeno in esame (secondo quanto riferito al medesimo MA. dal So.) appaia di rilievo davvero trascurabile. Anzi, a leggere con la dovuta attenzione la trascrizione del colloquio (del quale, di seguito, si riportano i passaggi più significativi, rimandandosi, per il resto, alla perizia di trascrizione) è possibile cogliere come il medesimo MA. avesse interpretato proprio in tal senso (l'unico ragionevole, del resto) l'indicazione del So. di avere informato - chi di dovere", dando, per l'appunto, per "scontato" che il d.g., con tale espressione, intendesse effettivamente riferirsi al presidente: (......) Omissis (......) E, del resto, lo stesso MA., in occasione dell'esame reso nel corso del giudizio di primo grado, si è univocamente espresso in tal senso (cfr. esame Ma., udienza 16.6.2020, pagg. 18-19). - che dall'appunto manoscritto riguardante Em.Gi. sequestrato presso l'ufficio del presidente si ricaverebbe, ancora una volta, come costui fosse all'oscuro del fenomeno delle baciate. Al riguardo, deve osservarsi, in senso contrario, che desumere dall'intitolazione ("Dichiarazioni Gi.") e dal contenuto degli appunti redatti dall'imputato in occasione dell'incontro con il coimputato del 4.5.2015 - in atti quale doc, 857 del P.M. - l'ignoranza da parte del presidente dell'argomento affrontato in occasione di detto incontro è conclusione tanto ardita da non richiedere specifica confutazione: l'imputato, infatti, aveva tutto l'interesse a manifestare la propria estraneità all'accaduto (di cui, peraltro, in occasione di detto colloquio, secondo quanto riferito dal GI., non aveva potuto negare una sia pur parziale conoscenza, quella, per l'appunto, delle "baciate parziali"). Quindi (al successivo paragrafo 3,6), l'appellante ha sostenuto come l'ignoranza da parte dello ZO. della prassi delle "operazioni baciate" potesse ricavarsi da una serie di elementi emersi nel corso dell'istruttoria e, in particolare, ha evidenziato: - che lo ZO. non si ingeriva affatto nella vendita delle azioni (paragrafo 3.6, lett. b), non deponendo in senso contrario l'interessamento rispetto alla operazione di vendita delle azioni detenute dal coimputato ZI., trattandosi di una operazione effettuata da un membro del CdA e che, parimenti l'imputato non si interessava, se non nell'ambito di una normale interlocuzione propria di un "presidente scrupoloso", dell'andamento della divisione estero (paragrafo 3.6, lett. c). Trattasi, anche in tal caso, di considerazioni sostanzialmente irrilevanti. Il mancato coinvolgimento del presidente nel collocamento delle azioni e l'assenza di ingerenza nella gestione degli investimenti esteri, infatti, discendono unicamente, in termini di evidenza, dal ruolo non operativo dell'imputato (fermo restando, peraltro, quanto emergente dalla mail, più oltre richiamata, inerente all'incremento della partecipazione azionaria "delle Za."); - che il commento effettuato nel CdA 11.11.2014 relativo all'articolo de "Il." che aveva messo in dubbio il valore dell'azione - commento caratterizzato dal biasimo per lo scritto, in ragione delle modeste oscillazioni del titolo B. rispetto a quelle di altri titoli bancari - deponeva nel senso della buona fede dell'imputato (paragrafo 3,6, lett. d). Ebbene, degli effetti della pubblicazione del menzionato articolo si è già detto. L'effettiva buona fede dell'imputato, a ben vedere, avrebbe implicato una ferma richiesta di approfondita indagine, non già una reazione scandalizzata (peraltro del tutto contraddittoria con la già evidenziata piena consapevolezza delle condizioni critiche del mercato secondario); - che le dichiarazioni rese dal funzionario Gi. - là dove costui aveva riferito che il presidente aveva dato l'indicazione di sostenere con finanziamenti i soci intenzionati a vendere il titolo - non si sarebbero dovute interpretare come inerenti ad una operazione di finanziamento correlato (in questo caso ex post), bensì come un ausilio economico prestato, in attesa della realizzazione della vendita, a coloro che, per bisogno dì liquidità, intendevano liberarsi dell'azione (paragrafo 3.6, lett. e). In proposito, vale osservare, in senso contrario, che l'interpretazione data dal primo giudice delle dichiarazioni rese dal Gi. è la più coerente con le complessive emergenze istruttorie in ordine alla più volte evocata cognizione, da parte dello ZO., della sostanziale illiquidità del titolo B.; - che i documenti richiamati, in sentenza, per avvalorare il ruolo operativo svolto dall'imputato non predicavano affatto in senso coerente con l'ipotesi d'accusa. E, al riguardo, l'appellante ha richiamato, in particolare, gli appunti So., la mail del 25.9.2010, nonché i documenti nn.ri 322 e 320 della, produzione del p.m, (paragrafo 3.6, lett. f). Ora, la lettura "neutra" offerta dalla difesa dei documenti citati alle pagg. S63 e ss. dell'atto di appello è, per l'appunto, "neutra" (peraltro, il documento 320 del P.M. - ovverosia la mail nella quale Ro. scriveva a Ro. che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za." - ovverosia di soggetti che erano "soci storici" - obiettivamente orienta nel senso dell'ingerenza dell'imputato in temi operativi di rilievo); - che quanto affermato nel corso della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, con specifico riferimento all'incontro previsto tra il Presidente e la "fondazione Lucca", non era inerente alla ricerca di un interlocutore che, acquisendo azioni B., potesse contribuire alla pratica di "svuotafondo"(ancora paragrafo 3.6, lett. f). Diversamente, deve osservarsi che è la lettura delle interlocuzioni immediatamente precedenti, inerenti proprio al predetto tema dello "svuotafondo", a rendere decisamente più ragionevole che tale fondazione potesse essere coinvolta in tale operatività in occasione del prossimo incontro che il presidente, di lì a poco, avrebbe avuto con i vertici di tale ente (senza che alla congiunzione "però" possa attribuirsi significato dirimente in senso contrario. E, in ogni caso, trattasi di circostanza di ben trascurabile rilievo); - che i rapporti con il d.g. So. non potevano affatto essere letti in termini di "insana complicità" tra i due e che i messaggi SMS valorizzati in sentenza (nn.ri 653, 654, 655) non erano passibili di univoca interpretazione, a quella proposta dal tribunale affiancandosi quella, opposta, secondo la quale si sarebbe trattato di comunicazioni volte a sollecitare il d.g. a "spianare la strada" ai finanziamenti", non già a sollecitare il medesimo d.g. a riferire allo ZO. che detti finanziamenti erano specificamente destinati all'acquisto di azioni B. (paragrafo 3.6, lett. g). A ben vedere, la ricostruzione difensiva dei rapporti con So. - ricostruzione secondo la quale tali rapporti sarebbero stati espressione di reciproca stima e non già di "insana complicità" - è coerente con una lettura praticabile solo sul piano astratto, ovverosia avulso dal complessivo panorama probatorio acquisito al giudizio. Trattasi, infatti, di lettura che, non appena "calata" nel reale contesto operativo siccome delineato dalle emergenze istruttorie, trova piena smentita nelle evidenze fattuali disponibili (ivi compreso il trasparente tenore delle comunicazioni intercettate effettuate dal d.g. So.), oltre che nelle considerazioni logiche in precedenza evocate. - che le intercettazioni valorizzate a carico dello ZO. non erano significative (paragrafo 3.6, lett. h), perché generiche (è il caso della conversazione del 26.8.2015 tra Zi. e Ba. nella quale si diceva che So. e Zo. "viaggiavano a braccetto"), ovvero perché inattendibili (in quanto inerenti a conversazioni tenute da soggetto - il d.g. So. - interessato a sminuire il proprio ruolo, coinvolgendo il presidente), ovvero ancora perché inerenti a tematiche differenti dal capitale finanziato (è il caso della conversazione n. . 300 intercorsa tra il d.g. e la segretaria di ZO., relativa all'aumento di capitale). Ora, delle comunicazioni intercettate intrattenute da So. e delle relative affidabilità e concludenza si è già detto, sicché non resta che rinviare alle considerazioni esposte al riguardo. Analoghe considerazioni debbono svolgersi con riferimento alla citata conversazione intercorsa tra il coimputato ZI. e Ba., di significato tutt'altro che vago ed opinabile, considerata la conoscenza che lo ZI., in ragione del ruolo ricoperto, aveva delle modalità operative del presidente; - che la risoluzione del rapporto con il d.g. So. non era stata una iniziativa personale ma era stata preceduta da incontri con PI., GI. e con l'ispettore Ga. e dall'ascolto del parere dei legali Do., An., Am., alla presenza dei consiglieri Br. e Ma.. In ogni caso, come anche diffusamente ribadito nelle "note scritte sulla rinnovazione istruttoria" (cfr, pagg. 33-34), si era trattato di decisione assunta con la necessaria rapidità, nel solco delle indicazioni di Bc., come precisato dal teste An. (cfr, dep. An., udienza 5.7.2022, pag. 31), nell'interesse esclusivo dell'istituto di credito, e nel rispetto delle indicazioni fornite dagli ispettori. Quanto alla clausola di riservatezza era un dettaglio neutro, funzionale ad assicurare il necessario riserbo (paragrafo 3.6, lett. i). Ebbene, anche sul punto non può che rinviarsi a quanto già in precedenza evidenziato in ordine al significativo e pressoché esclusivo protagonismo dell'imputato nella gestione dell'uscita di scena del direttore generale, gratificato con un trattamento economico inspiegabile ed illegittimo, con fa doverosa precisazione che l'acquisizione del parere di alcuni esponenti di vertice del CdA versati in materie giuridiche nulla toglie alla riferibilità allo ZO. delle modalità di definizione dell'accordo. Se, infatti, la decisione di operare una soluzione di continuità può ragionevolmente ricollegarsi anche ai desiderata di Bc., sono le concrete modalità di attuazione dell'allontanamento (e, in particolare, la ricchissima "buonuscita") a legittimare - unitamente, beninteso, al complessivo quadro probatorio disponibile - la interpretazione di tale evento datane dal primo giudice (ovverosia, l'intenzione dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale). E, sul punto, non può non richiamarsi la conversazione intercettata n. progr 271 del 6.9.2015, in precedenza evocata, nella quale si faceva riferimento ad un "patto di non aggressione" stipulato tra ZO. e So.; - che i rapporti intrattenuti con taluni clienti, in realtà, non dimostravano il coinvolgimento del presidente nella vicende gestorie e neppure la conoscenza del capitale finanziato: così era per Pi., a leggerne bene la deposizione ed a valutarne attentamente l'attendibilità; così per Be.De., il quale aveva negato di avere parlato con ZO. delle operazioni correlate, smentendo così quanto riferito, de relato, dal teste Gi.; così per la Ir. e per i fratelli Ra.; così, infine, per Gi.Ro. (paragrafo 3.6, lett. j). Ebbene, anche sul punto si impone il rinvio alle considerazioni in precedenza spese; - che l'imprenditore catanese Co. aveva negato di avere parlato di finanziamenti per l'acquisto di azioni B. con ZO. e che, ogni caso, il presidente, nell'occasione dell'incontro con il predetto Co., si era limitato a dirottare l'interlocutore sul vicedirettore GI. (ancora paragrafo 3.6, lett. j). Al riguardo, osserva questa Corte che l'interlocuzione con l'imprenditore catanese Co. è stata puntualmente ricostruita e convincentemente interpretata dal primo giudice. Il chiamante in correità, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello (nel memoriale e, quindi, nell'esame), ha fornito una versione dell'episodio in questione del tutto coerente con la lettura offertane nella sentenza impugnata. Pertanto, le stringatissime, contrarie dichiarazioni del Co. acquisite nel corso del giudizio di primo grado non valgono ad incrinare tale interpretazione dell'episodio (interpretazione, peraltro - va doverosamente sottolineato - avvalorata dal tenore del fife audio all'uopo valorizzato dal primo giudice, posto che l'invito alla prudenza effettuato dallo ZO. nel corso del colloquio ha senso unicamente ove l'acquisto delle azioni B. richiesto dal Co. avesse dovuto avere luogo proprio attraverso un finanziamento da parte dell'istituto di credito); - che i rapporti intrattenuti, per mere ragioni professionali, con il gestore private Ri., tra i maggiori artefici di operazioni baciate, non implicavano affatto che lo ZO. fosse a conoscenza delle operazioni compiute da costui (paragrafo 3.6, lett. k). Ora è bensì vero che gli stretti rapporti intrattenuti con il gestore private Ri. non implicavano necessariamente che l'imputato conoscesse la tipologia di operatività attuata da tale gestore (uno dei massimi promotori di "operazioni baciate"); trattasi, nondimeno, di legami che rendono certamente ragionevole una siffatta conclusione, peraltro coerente con quanto riferito da Ti.Da. (là dove questi, cliente del Ri., ha dichiarato, ancorché in relazione ad un fatto avvenuto nei primi mesi del 2015, che il predetto gestore gli aveva garantito di avere parlato allo ZO. delle operazioni "baciate" effettuate dal medesimo Ti., ottenendo dal presidente la rassicurazione che tali operazioni sarebbero state "chiuse", secondo la volontà del cliente). In definitiva, riassumendo: la difesa ha sistematicamente valorizzato elementi tutt'altro che legittimanti, in relazione alla posizione dell'imputato ZO., una lettura della vicenda processuale differente da quella accolta nella sentenza impugnata. Non solo, infatti, nessun dato probatorio addotto a sostegno della tesi difensiva è idoneo a dimostrare la asserita inconsapevolezza, da parte dell'imputato, del "capitale finanziato", ma neppure ad inficiare, indebolendola, la capacità dimostrativa degli elementi raccolti a carico del giudicabile, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella posta a fondamento dell'ipotesi d'accusa che sia dotata di minima verosimiglianza. In effetti, non v'è alcuna tra le numerose circostanze evocate nell'impugnazione che si ponga in termini di reale incompatibilità (e, a ben vedere, neppure di significativo contrasto) con l'impostazione d'accusa, neppure quella, pure obiettivamente suggestiva, costituita dalla decisione di investire consistenti risorse personali nelle azioni dell'istituto e dalla quale dovrebbe trarsi, a lume di ragione, la mancata consapevolezza del fenomeno del capitale correlato da parte dell'imputato. A tale ultimo riguardo, invero, è agevole osservare, in senso contrario, che lo ZO. era responsabile da anni, al più alto livello, della guida dell'istituto di credito, avendo ispirato tutta la politica industriale e commerciale di B., all'immagine della quale, peraltro, aveva indissolubilmente legato il proprio prestigio di imprenditore e di vero e proprio "rappresentante" del territorio, l'istituto di credito avendo finito per assumere, nell'immaginario locale, a torto o a ragione, i connotati di una sorta di "istituzione" del luogo. Il giudicabile, pertanto, non era minimamente nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca, pena la plateale sconfessione di tutta la propria gestione e la conseguente denunzia della condizione di crisi insanabile nella quale tale sconsiderata conduzione aveva precipitato l'istituto di credito. Peraltro, non è inutile osservare, sotto tale profilo, che le evidenze istruttorie hanno restituito il quadro di un imputato che, a lungo e fin quasi alle soglie del deflagrare dello scandalo, ha ritenuto di poter traghettare l'istituto al di fuori della situazione di crisi - evidentemente sottovalutata nella sua gravità - che attanagliava B. e, questo, finanche confidando nella propria capacità di orientare, nel senso auspicato, quella radicale riforma del settore del "credito popolare" che, oramai, si prospettava come ineludibile, tenuto conto della situazione di comune difficoltà che attanagliava l'intero comparto. Per contro, la tesi dell'ignoranza, da parte dell'imputato, non solo delle eclatanti dimensioni del fenomeno del capitale finanziato, ma finanche dell'esistenza stessa di detto fenomeno, tesi che si tenta di accreditare nell'atto di impugnazione (nell'evidente consapevolezza, del resto, che una siffatta conoscenza avrebbe comunque integrato i presupposti per l'adozione di doverose contromisure da parte del soggetto cui istituzionalmente competeva la rappresentanza dell'ente e la conduzione del CdA) contrasta radicalmente tanto con le emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice ed in precedenza richiamate, quanto con le evidenze sopravvenute nel corso del giudizio di appello (segnatamente, la chiamata in correità effettuata dal coimputato GI.) e con la relativa, razionale interpretazione. L'unica lettura dei dati disponibili logicamente sostenibile, infatti, orienta univocamente, nei dovuti termini di certezza processuale, nel senso non solo della consapevolezza, in capo all'imputato, della prassi del ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie da parte dell'istituto di credito e delle conseguenti, inevitabili implicazioni delittuose in termini di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, ma anche in quello della cosciente partecipazione dello ZO. a detta operatività delittuosa, in termini di concorso dell'imputato con il d.g., nella decisione di ricorrere a tale prassi nella speranza di superare, in tal modo, la crisi in cui versava B., o comunque, di differirne nel tempo la manifestazione, in tal guisa non compromettendo la propria immagine di presidente simbolo della banca (cfr. in ordine ai requisiti del contributo del compartecipe alla consumazione del delitto di aggiotaggio, consistente anche in un contributo agevolatore tradottosi nel rafforzamento del proposito del correo, Cass. Sez. V, n. 9369 del 20.11.2013, Tonini; ma altrettanto può dirsi, coerentemente con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alle ulteriori ipotesi delittuose contestate). Questo, in considerazione della effettiva co-gestione, da parte dello ZO., dell'istituto di credito, quantomeno con riferimento alle iniziative ed alle decisioni più impegnative, siccome inequivocabilmente delineata dalle acquisizioni istruttorie. 14.1.4.2.3 La partecipazione dello ZO. all'operatività delittuosa: brevi considerazioni conclusive. In altri e decisivi termini - e concludendo sul punto - l'affermazione di penale responsabilità di Zo.Gi. in ordine alla partecipazione del predetto giudicabile alla commissione dei delitti di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto siccome oggetto di addebito non trova affatto semplicistico fondamento nell'astratto richiamo al ruolo di vertice da questi occupato nell'organizzazione gerarchica d'impresa (ovverosia in un elemento che, di per sé, avrebbe potuto unicamente giustificare l'inferenza abduttiva posta a fondamento di una ragionevole ipotesi d'accusa) ed ancora meno, come da ultimo sostenuto dalla difesa (cfr. '"note scritte di discussione", pagg. 47-48), in una acritica adesione, da parte del primo giudice, ad una impostazione d'accusa espressione di una "cripto-contestazione di associazione per delinquere", fondata su elementi evanescenti quali "un alone di generico autoritarismo oppure la "tendenziale nocività per Banca" delle prospettive espansionistiche della strategia d'impresa dell'imputato, bensì riposa saldamente, all'esito della doverosa sperimentazione nell'agone dibattimentale, sull'esito positivo della scrupolosa verifica di siffatta ipotesi. Sono infatti emerse, alla stregua di un variegato panorama probatorio, costituito da elementi logici, dichiarativi e documentali, non solo quella diretta ingerenza dell'imputato nell'attività di gestione dell'istituto di credito che fonda la prova logica delineata sub 14.1.4.2.1, ma anche (in forza di ulteriori, più specifici dati probatori), la effettiva conoscenza e la piena condivisione, da parte del giudicabile, del ricorso ai variegati meccanismi di finanziamento dell'acquisto dei titoli B. attuati dall'alta dirigenza dell'istituto come contromisura per garantire la liquidità del titolo e, più in generale, per assicurare il reperimento del capitale indispensabile onde corrispondere ai requisiti patrimoniali imposti dalla evoluzione della relativa disciplina normativa, al contempo senza rinunziare alla politica di espansione aziendale tenacemente perseguita, contro ogni evidenza, per esplicita volontà dell'imputato medesimo. 14.1.4.3 Il dolo dei reati contestati (terzo motivo di appello). Anche il terzo motivo di impugnazione (numerato sub 4 e trattato alle pagine da 300 a 336 dell'atto di appello e, quindi, compendiato nelle considerazioni conclusive esposte, sul punto, alle pagg. 84 e ss, delle "note scritte di discussione") e specificamente inerente alla contestazione dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito non può trovare accoglimento. In effetti, sul punto l'impugnazione non fa che riproporre, in sintesi, leggendole "attraverso le lenti" del dolo, le ragioni esposte a sostegno del precedente motivo di appello in ordine al difetto di consapevolezza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato e, comunque, dell'entità di tale fenomeno, tale da implicare una alterazione dei coefficienti patrimoniali della banca. Questo, anche sul rilievo della eterogenea natura delle operazioni accomunate nella definizione dì "operazioni correlate" e della difficoltà di esatta definizione del perimetro delle "baciate", perimetro dai consulenti del p.m. individuato in assenza di solidi ancoraggi normativi all'uopo adeguatamente valorizzagli. Ebbene, premesso che, a tale ultimo riguardo, non possono che richiamarsi le considerazioni già spese, sul punto, al precedente paragrafo 12; e considerato, altresì, che questa Corte ritiene di avere testé offerto adeguata contezza della piena consapevolezza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e della vastità delle dimensioni del fenomeno in esame, sono sufficienti, in proposito, considerazioni davvero stringate. In particolare, le argomentazioni spese dal primo giudice in ordine alla conoscenza vaga ed aspecifica di detto fenomeno da parte dei coimputati ZI. e PE. (considerazioni, peraltro, che, come si avrà modo di precisare, non si attagliano affatto alla posizione del predetto PE.) non possono certo essere estese alla posizione del presidente, ove si abbia attenzione al ruolo da quest'ultimo in concreto ricoperto (profilo, questo, che sarebbe davvero ultroneo ripercorrere nuovamente) di soggetto che concorreva, nell'ambito di uno stretto sodalizio operativo con il d.g. So., nella "gestione informata" dell'istituto. In definitiva, l'"avallo" delle decisioni del So. al quale ha fatto ripetutamente riferimento l'appellante, censurando la genericità di siffatta espressione contenuta nell'imputazione, va necessariamente letto, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, nei termini di una vera e propria "copertura", ovverosia di una consapevole approvazione delle scelte operative delittuose che orientavano la gestione del d.g.. E tale, a ben vedere, è stata l'interpretazione offertane dal primo giudice, sicché, nella sentenza impugnata, sul punto, non è dato ravvisare alcuna incertezza. Di qui l'inconsistenza, in punto di fatto, delle obiezioni difensive (astrattamente del tutto condivisibili) in ordine alla necessità che, nell'oggetto del dolo, rientri la conoscenza dei "dati falsi" (e, quindi, dell'esistenza e dell'entità delle operazioni correlate). Certamente, l'imputato non era aggiornato "in tempo reale" dell'esatto ammontare e delle variazioni di tali dati; né, del resto, sarebbe stato possibile che ciò avvenisse (considerazione che vale, peraltro, per lo stesso d.g. So.), trattandosi, com'è evidente, di elementi suscettibili di variazioni continue che non potevano certo essere monitorate ininterrottamente dai vertici aziendali. Tuttavia, la conoscenza, da parte del presidente dell'istituto di credito, dell'entità eclatante del fenomeno in esame (tale da comportare l'alterazione dei valori patrimoniali del bilancio, dei titoli B., delle informazioni contenute nei prospetti relativi agli aumenti di capitale e di quelle fornite alle autorità di vigilanza) è conclusione che non può essere seriamente revocata in dubbio e che necessariamente discende dal pieno, consapevole coinvolgimento di ZO. nella decisione di ricorrere massicciamente al finanziamento dell'acquisto delle azioni B. al fine di evitare la deflaorazione della crisi dell'istituto. Si è infatti trattato - e va ancora una volta ribadito - di una decisione adottata ai massimi livelli della "catena di comando" dell'istituto di credito come unica contromisura praticabile per scongiurare (o, almeno, differire) il default della banca, nella speranza - della quale v'è pieno riscontro proprio nelle parole del presidente ZO. (il riferimento è alla ripetutamente evocata trascrizione della seduta del CdA 511.2013) - che, prendendo tempo, si concretizzasse quella radicale riforma del settore che avrebbe potuto offrire una via d'uscita dalla crisi. E ciò fa giustizia, ancora una volta sul piano della concretezza delle evidenze disponibili, delle considerazioni difensive (acute e, in linea teorica, anch'esse del tutto condivisibili) in ordine alla necessità della effettiva conoscenza del fenomeno in esame e delle sue dimensioni (o, quantomeno, di "precipui e specifici" segnali d'allarme in tal senso) affinché la responsabilità dolosa non degradi in un rimprovero sostanzialmente colposo. Nessuna incertezza è possibile fondatamente nutrire circa la consapevolezza, in capo all'imputato, del massiccio ricorso allo strumento dei finanziamenti correlati. Nessuno stato di dubbio, al riguardo, può anche solo ragionevolmente ipotizzarsi. E, questo, occorre rimarcarlo, in ragione di quel pieno coinvolgimento del presidente nella decisione di ricorrere al capitale finanziato per assicurare la liquidità del titolo B., sostenere il valore dell'azione e recuperare surrettiziamente capitale ai fini del rispetto dei requisiti di vigilanza, coinvolgimento, del quale s'è in precedenza dato conto (senza indulgere affatto - si ritiene - nell'"applicazione pigra" dei "meccanismi presuntivi" denunciati dalla difesa), che inevitabilmente implicava la consapevole, volontaria adesione: - tanto alla diffusione di notizie false ed al compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo B. e, in tal guisa, ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca; - quanto (e conseguentemente) alle condotte decettive poste in essere, nei confronti degli organi di vigilanza, allo scopo di occultare l'esistenza del capitale finanziato, onde potere proseguire indisturbati in tale dissennata prassi operativa. Donde il ricorrere, nell'agire del giudicabile, degli estremi tutti del dolo (peraltro generico, quanto alle fattispecie ex art. 2637, 2638 co.2 c.p. - cfr. con riferimento all'aggiotaggio, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.20122 Ta. e altri, Cass. Sez. III, n. 880 del 17.3.1966, Gualco; specifico, quanto all'ipotesi ex art. 2638 co. 1 c.c. - Cass. Sez. V, n. 21067 dell'11.3.2004, Do., ipotesi, questa, peraltro, non rilevante nel presente giudizio, potendosi ravvisare unicamente la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., come precisato al precedente paragrafo 9) richiesto dalle fattispecie incriminatrici di riferimento. 14.1.4.4 Il trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello) Quanto al quarto motivo di gravame (numerato sub 5 e trattato alle pagine da 336 a 344 dell'impugnazione), inerente al trattamento sanzionatorio, la doglianza è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti. Il tribunale, nel l'orientare l'esercizio della discrezionalità in punto di dosimetria della sanzione, ha valorizzato, quanto allo ZO., il ruolo egemonico da questi esercitato sul management e sugli organi sociali della banca, in ciò individuando le ragioni di una pena base più alta rispetto a quella riservata ai correi. Trattasi di aspetto che non può essere trascurato. Nondimeno, al doveroso apprezzamento della posizione di predominio concretamente rivestita dall'imputato all'interno dell'ente bancario (ben oltre - come s'è visto - rispetto al ruolo, pure apicale, a questi riconosciuto dall'organigramma aziendale) non può non accompagnarsi, nell'ambito di una valutazione debitamente ispirata all'esigenza di calibrare la risposta punitiva al complessivo profilo del giudicabile, la considerazione delle seguenti circostanze. Si è in presenza, anzitutto, di soggetto anziano, immune da pregiudizi di sorta, il quale ha guidato a lungo - e, per molto tempo, con successo - un istituto di credito divenuto, da piccola banca di provincia, uno tra i più importanti enti creditizi del panorama nazionale. Parallelamente, il giudicabile ha esercitato brillantemente, per decenni, senza incorrere in violazioni di sorta, l'attività di impresa in settore tutt'affatto differente. E' certamente vero, poi, che lo ZO., a fronte delle difficoltà ingravescenti nelle quali, dopo la notoria crisi del settore bancario, versava anche B., non ha in alcun modo inteso prendere atto - e in ciò, a ben vedere, va individuata la sua "colpa d'origine" - della necessità dì un serio ridimensionamento delle ambizioni che ne avevano orientato T'espansionistica" politica d'impresa; ed è altrettanto vero che, in luogo di gestire prudentemente tale situazione di difficoltà, ponendo in essere una sorta di "ripiegamento strategico" in attesa di tempi migliori, ha preferito optare, in concorso con il So. e trascinando al seguito l'alta dirigenza della banca, per lo sconsiderato, sistematico ricorso ai finanziamenti correlati (peraltro incrementando una prassi non ignota allo stesso istituto di credito e, più in generale, al circuito delle "popolari"), con tutte le conseguenti implicazioni di penale rilevanza che si sono viste. Tuttavia, l'imputato ha agito in tal guisa essendo sempre convinto - ancorché, da un certo momento in avanti, in modo, obiettivamente, del tutto irrazionale - che il default della banca potesse essere comunque scongiurato e senza mai essere animato (al pari dei coimputati, del resto) da finalità di locupletazione personale. Peraltro, mai il giudicabile ha fatto ricorso a finanziamenti correlati e, anzi - s'è detto anche questo - ha personalmente iniettato liquidità molto consistenti nella banca (sebbene vi sia stato sostanzialmente costretto anche dall'esigenza dì non adottare condotte di "disimpegno", ovvero di tiepida adesione, che sarebbero sinistramente suonate, all'esterno, come inequivoco sintomo di un imminente crollo). Il comportamento processuale, infine, è stato esemplare, avendo costui presenziato a tutte le udienze, nonostante l'età oltremodo avanzata. In definitiva, se la posizione dell'imputato è stata differente rispetto a quella dei correi sotto il profilo della responsabilità delle scelte di fondo (ma non, ovviamente, sotto quello dell'operatività concreta, necessariamente riservata al management), ciò appare comunque "compensato" dalle peculiari caratteristiche soggettive del giudicabile testé evocate (oltre che dal concreto protagonismo dei coimputati nell'attuazione della prassi delle "baciate"). Di qui la irrogazione del medesimo trattamento sanzionatorio riservato ai correi (fatta eccezione per GI. e fatte salve le diversità riferibili, quanto, al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso). Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, GÃ?, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub Al). Questo, con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minora, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4.5 Ancora sul trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello). L'asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale. Le ulteriori doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, formulate con specifico riferimento alla asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale (ed articolate nella "prosecuzione" del quarto motivo di appello, sub 6, alle pagine 346-362 dell'impugnazione), sono infondate. E, sul punto, non può che rinviarsi a quanto già esposto nel relativo paragrafo. 14.1.4.6 La confisca (quinto motivo di appello) Il quinto motivo di appello (trattato al paragrafo 7 dell'atto di impugnazione, alle pagine 363-376 dell'atto di impugnazione) è fondato. Come s'è visto, l'appellante contesta la legittimità della confisca per equivalente - disposta dal tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19) - per una duplicità di, ragioni (peraltro ribadite e compendiate, da ultimo, nella memoria 28.9.2022) e, segnatamente: - in primo luogo, sul rilievo della mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, resistenza di una procedura concorsuale non avrebbe affatto precluso la confisca diretta dei beni della società (Cass. Sez. V, 21.1.2020, n. 5400; Cass. Sez. n. 6391 del 4-18.2.2021), tenuto conto, peraltro, da un lato, che, con riferimento al supposto "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di affermare la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, n. 15776); e, dall'altro, che neppure era dato ravvisare, nell'ipotesi in questione, l'ostacolo della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato, avendo l'istituto di credito pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati; - in secondo luogo (ed in ogni caso) in considerazione del fatto che sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637, 2638 c.c., avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali: la natura sostanzialmente punitiva della confisca (già espressamente evidenziata dal giudice delle leggi, con riferimento all'illecito amministrativo ex art. 187 bis TUF, nella sentenza 112/19) imporrebbe, infatti, l'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento (2641 c. 1, 2 c.c.), con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., esito, questo, del resto, da ultimo avvalorato, come si precisa nei motivi nuovi, dalla recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (là dove è stato escluso che possa disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), essendosi in presenza di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, poi, sarebbe ravvisabile nella "rigidità" del criterio di quantificazione dell'oggetto della confisca, trattandosi di criterio non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, quindi, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Ebbene, se il primo argomento agitato nell'impugnazione è infondato (dovendosi aderire, in presenza di tema controverso nella stessa giurisprudenza di legittimità, all'orientamento incline a ritenere non aggredibili le somme riferibili a B. in quanto non più nella disponibilità della/ società, bensì vincolate dalla procedura concorsuale, con conseguente impossibilità di ablazione in via diretta nei confronti della persona giuridica, da equipararsi ad un soggetto terzo per effetto dello spossessamelo causato dal fallimento (cfr Cass. Sez. II, n. 19682 del 13.4.2022, dep. 19,5.2022 Os. più altri; cfr. altresì, Cass. Sez. 3 -, n. 14766 del 26/02/2020, PM. c/ Sa.Lu., Cass. Sez. 3 n. 47299 del 16/11/2021, Fallimento Be. srl, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018, Cass. Sez. 3, n. 51462 del 04/10/2019, PM in proc. Sa., non mass.), colgono nel segno le ulteriori riflessioni là dove è stata evidenziata la marcata frizione, nel caso di specie, della disposizione ex art. 2641 c.c., con i principi costituzionali. Al riguardo, infatti, deve premettersi che, in forza delle univoche indicazioni fornite tanto dai Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 112/19) che da quello della nomofilachia (cfr. Cass. Sez. V, n. 42778 del 26,5,2017, dep. 19.9.2017, Consoli e altro), costituisce oramai ius receptum il principio secondo il quale, nei reati finanziari, i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni all'origine della commissione delle attività criminose. Sicché le perplessità che pure non sarebbe irragionevole nutrire sul punto (segnatamente, in ragione della obiettiva difficoltà di applicare a tale categoria di reati, connotati da evidenti profili di "immaterialità", una nozione - quella, per l'appunto, di beni strumentali rispetto alla commissione dei reati - che pare presupporre il ben più diretto rapporto di "strumentalità" proprio dei consueti instrumenta sceleris) debbono, necessariamente, essere accantonate. Del tutto fuori discussione, poi, alla luce di approdi oramai condivisi e consolidati della riflessione giuridica in materia, tanto costituzionale (Corte Cost. ordinanza 97/09) che di legittimità (Cass. Sez. Un, 25.6.2009, 38691; Cass. Sez. Un. 31.1.2013, n. 18374, cass. Sez. III, n. 11086 del 4.2.2022, Pu., cass, Sez. III, n. 39950, 8.5.2021, Ca., Cass. Sez. III, n. / 33429 del 4.3.2021, Ub.) è la natura sanzionatoria della confisca per/ equivalente. Ebbene, se tali premesse sono fondate - e, per quanto detto, non pare possibile opinare diversamente - l'obiezione difensiva va condivisa. In effetti, qualora i "beni utilizzati" per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro (peraltro, nella specie, di entità elevatissima) costituenti provviste non già nella originaria disponibilità degli imputati, bensì, come nel caso sub iudice, di soggetto terzo B., disporre la confisca per equivalente nei confronti degli imputati significherebbe adottare un provvedimento sanzionatorio manifestamente sproporzionato, oltre che del tutto disancorato, per l'automaticità del relativo criterio di commisurazione, dal disvalore dell'illecito (nonché dei singoli contributi concorsuali), con conseguente violazione dei principi costituzionali in materia di rieducazione del condannato, essendo ragionevolmente applicabili al caso di specie le riflessioni svolte dalla Corte Costituzionale nella evocata sentenza 112/19 e, più in generale, le considerazioni espresse, in materia di requisiti della pena (segnatamente, con riferimento ai parametri ex artt. 3 e 27, co. 1, 3 Cost.), nelle precedenti pronunce del Giudice delle leggi. In definitiva, a venire in rilievo, nella peculiarità della vicenda sub iudice, ad avviso di questa Corte territoriale, è l'eclatante sproporzione tra l'afflittività insita nel provvedimento ablatorio disposto dal tribunale e la condotta posta in essere dagli imputati, condotta che, per quanto grave, è già adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti. In definitiva, aggiungere alla pena detentiva prevista dalle fattispecie di reato una tanto smisurata sanzione significherebbe "sfregiare" il "volto costituzionale" di quest'ultima, che, per essere effettivamente orientata alla rieducazione secondo le coordinate imposte ex art, 27 Cost., deve necessariamente caratterizzarsi per intrinseci requisiti di proporzione e ragionevolezza. A fortiori ove si consideri che, nel caso di specie, gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato, utilizzando risorse dell'istituto, nell'interesse esclusivo di B. (profilo, questo, che sarà più approfonditamente affrontato nel trattare dell'appello proposto nell'interesse dell'ente), ancorché - come pure è evidente - sì sia trattato di una "lettura" dell'interesse della banca t radicalmente contraria al rispetto di quelle regole di sana e prudente gestione che avrebbero dovuto orientarli nella conduzione dell'istituto di credito. In siffatta prospettiva, quindi, non ogni risorsa economica andrebbe esclusa dal novero "dei beni utilizzati per commettere il reato" suscettibili di confisca per equivalente, bensì le sole somme che, per la loro entità eclatante e, soprattutto, per la loro non riferibilità all'imputato, bensì ad un soggetto terzo, non potrebbero essere apprese, per un ammontare pari al loro valore, senza che ciò implichi l'irrogazione di una sanzione "incostituzionale" per le ragioni anzidette, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio detentivo già direttamente previsto per le fattispecie di riferimento. E, nella peculiare vicenda sub iudice, l'ammontare esorbitante (963,000.000 di euro) dell'importo al quale è stata parametrata la confisca per equivalente - e, quindi, la sproporzione di una sanzione che implicasse, oltre alla irrogazione della sanzione detentiva, anche il suddetto provvedimento ablatorio - è tale da non richiedere ulteriori precisazioni, tanto più ove - nel solco di quanto evidenziato, sia pure con opposta finalità191, dalla parte civile Banca d'Italia - si ipotizzasse di ricorrere all'indice di ragguaglio ex art. 135 c.p.. Operando in tal guisa, infatti, l'importo in questione risulterebbe equivalere ad una durata della reclusione pressoché incalcolabile, immensamente superiore rispetto a quella (30 anni di reclusione, pari a "soli" 2.700.000 Euro circa) prevista dall'ordinamento quale limite massimo della pena detentiva (ad esclusione dell'ergastolo, beninteso), con la conseguenza che la lesione del bene giuridico - pure, com'è evidente, di indubbio rilievo - della tutela della solidità e della affidabilità del mercato e dei sistemi bancari, finirebbe per trovare una risposta sanzionatoria incommensurabilmente superiore a quello della stessa vita (sempre fatta eccezione per le ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo), esito, questo, tanto irragionevole da non richiedere, sul punto, ulteriori commenti. Senza contare, infine, la mancanza dì razionalità e di efficacia (anche sul piano della prevenzione) di una sanzione di fatto inesigibile. Considerazioni più articolate, invece, si impongono con riferimento ai rimedi approntati dall'ordinamento per ricondurre nell'alveo della proporzione la sanzione irrogata. Al riguardo, l'appellante ha suggerito la proposizione di questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, ha sollecitato una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe condurre alla revoca della confisca. Ed è proprio quest'ultima la strada che si ritiene qui praticabile, attraverso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che, come si dirà, conduce alla diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. In proposito, infatti, va precisato che disporre, nel caso di specie, la confisca per equivalente non solo confliggerebbe con i principi costituzionali in precedenza evocati, ma si porrebbe anche in diretto contrasto con quelli convenzionali e, segnatamente, con la disposizione di cui all'art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, disposizione che - veicolata, com'è noto, nell'ordinamento interno attraverso l'art. 117 Cost. - prescrive, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Se ciò corrisponde al vero, la soluzione più appropriata non potrà essere, ad avviso di questa Corte, quella della proposizione di incidente di costituzionalità (peraltro, fino a tempi recentissimi, costantemente ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale là dove l'art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fosse stato evocato per denunziare l'illegittimità di norma non rientrante tra le materie del "diritto europeo" - cfr., da ultimo, sentenza Corte Costituzionale 30/2021), bensì, nel solco della recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte GUE 8.3.2022 nel procedimento C-205/20 (e col conforto dei conformi opinamenti di autorevole dottrina che ha avuto modo di sottolineare la portata radicalmente innovativa di tale pronunzia), la diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. Nella citata sentenza, infatti, mutando il precedente orientamento in materia (espresso da Corte GUE, VA sezione, sentenza C-384/17 nel caso "Li.") la Corte di Lussemburgo ha precisato come, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore "imperativo", spetti al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con l'effetto che, ove non vi sia spazio per procedere a un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, dovrà "disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest'ultimo", in modo da giungere/alla irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano, al contempo, effettive e dissuasive. Né può ritenersi che ostino a tale disapplicazione i principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, ove si consideri, per un verso, che il primo non è affatto compromesso dell'esigenza di adeguare la sanzione secondo le insopprimibili esigenze di proporzione; e, per altro verso, che il secondo costituisce limite invocabile unicamente pro reo (sicché sarebbero evocate davvero a sproposito, nel caso in esame, le pronunce inerenti alla nota vicenda "Ta.", nella quale si discuteva della possibilità di applicare sanzioni penali a carico dell'imputato nonostante fosse maturato il termine di prescrizione del reato secondo le regole del diritto nazionale). Trattasi, peraltro, di interpretazione che, ad avviso di questa Corte, riceve ulteriore conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovra nazionale. Intende farsi riferimento al Regolamento (come tale self executing) 1805/18 UE - peraltro successivo, quanto alla sua entrata in vigore, tanto alla sentenza della Corte Costituzionale 112/19 quanto alle Sentenze Consoli della Suprema Corte, in quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 novembre 2018 ma applicabile dal 19 dicembre 2020 - che, intervenendo in materia di "cooperazione internazionale", ha stabilito un principio di portata generale proprio in tema di confisca, là dove ha previsto quanto segue - nel considerando n. 21, nell'art. 1 par. 3 e nella norma di chiusura contenuta all'art. 41 - in ordine a tutti i provvedimenti giurisdizionali di confisca e di congelamento (id est sequestro) emessi da Stati membri: - considerando n. 21: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, l'autorità di emissione dovrebbe assicurare il rispetto dei " principi di necessità e di proporzionalità. A norma del presente regolamento, un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca dovrebbe essere emesso e trasmesso all'autorità di esecuzione di un altro Stato membro solo se avrebbe potuto essere emesso e utilizzato unicamente in un caso interno, L'autorità di emissione dovrebbe essere responsabile di valutare sempre fa necessità e la proporzionalità di tali provvedimenti, dal momento che il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di congelamento e di provvedimenti di confisca non dovrebbero essere rifiutati per motivi diversi da quelli previsti dai presente regolamento"; - art. 1 par. 3: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità"; - art. 41: "Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati". Si è dunque di fronte all'enunciazione - in forma generale e diretta - dì un principio di proporzionalità che tutti i provvedimenti aventi questa natura debbono rispettare necessariamente. In effetti, tale regolamento 1805/18 UE (oltre a costituire una base normativa in grado di superare la tradizionale obiezione della Corte Costituzionale siccome in precedenza evocata), offre un formidabile riscontro di diritto positivo in ordine alla praticabilità della soluzione, indicata dalla Grande Sezione della Corte GUE nella citata pronunzia, della disapplicazione diretta della norma interna, foriera, ove applicata dai giudici nazionali nel caso oggetto di giudizio, della irrogazione di sanzione sproporzionata. Ora, non sfugge di certo a questa Corte che una siffatta disapplicazione (come segnalato da una autorevole dottrina, peraltro concorde nell'interpretazione della facoltà di diretta disapplicazione di sanzioni penali sproporzionate riconosciuta ai giudici nazionali per effetto della sentenza della Grande sezione della Corte GUE in precedenza evocata) potrebbe essere foriera, nell'immediato, di quelle incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate dalle singole autorità giudiziarie, prive, in quanto tali, di efficacia erga omnes; e che, diversamente, la proposizione di eccezione di incostituzionalità potrebbe consentire alla Corte Costituzionale, che dovesse convenire con il giudice remittente, di intervenire, anche "chirurgicamente", sulla disposizione "incriminata". Nondimeno, si tratterebbe di una soluzione in contrasto quanto enunciato dalla citata pronunzia della Corte GUE, che, nel rispetto del primato del diritto sovranazionale, impone alle autorità giudiziarie nazionali di assicurare che venga data celere attuazione al principio di proporzione del trattamento sanzionatorio. Un ultimo cenno, infine, va dedicato alle ragioni all'origine della decisione di questa Corte di procedere alla integrale disapplicazione della confisca e non già ad una riduzione del relativo ammontare. Ebbene, trattasi dì decisione che si impone proprio in considerazione: - da un lato, della già evidenziata piena idoneità del trattamento sanzionatorio "principale" (quello, per intendersi, costituito dalla sanzione detentiva prevista per i reati in contestazione) ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato nel rispetto della suddetta esigenza di proporzione rispetto alle singole responsabilità; - e, dall'altro lato, dell'assenza di profitto alcuno suscettibile di valutazione economica al quale ancorare l'individuazione di una corrispondente quantificazione dell'importo da sottoporre a confisca che sia stato tratto, oltre che dalla banca (al di là - come precisato dal tribunale - dell'utilità derivante a B. dal reato di cui al capo N1 e già "coperta" dalla confisca disposta, per il corrispondente valore, nei confronti dell'ente, come si dirà più oltre), dagli stessi imputati. Di qui, in accoglimento del relativo motivo di appello, la revoca della confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni di Euro, nei confronti dello ZO. (e dei coimputati). 14.1.4.7 La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (sesto motivo di appello) Sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si rinvia a quanto evidenziato nella relativa ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022. 14.1.5 L'appello nell'interesse di Zi.Gi. L'appello è infondato. La difesa di Zi.Gi., come s'è detto, sostiene che tale imputato non avrebbe fornito contributo alcuno alla commissione dei reati in esame. Questo, sul presupposto che le operazioni di acquisto di azioni B. effettuate dal predetto imputato tanto sul mercato secondario, nel 2012, quanto, l'anno successivo, su quello primario, in sede di Aucap 2013, non rientrerebbero nel novero delle operazioni correlate. Più nel dettaglio, richiamate le considerazioni critiche svolte, sul punto, dai consulenti degli imputati prof. Pe. e prof. Gu. in relazione alla necessità, perché possa ravvisarsi la "correlazione", per un verso, della sussistenza del "nesso teleologico" tra finanziamento ed acquisto dei titoli e, per altro verso, dell'assenza di merito creditizio in capo all'investitore, l'appellante ha in primo luogo contestato, per le ragioni già evidenziate, fa natura correlata dell'operazione di acquisto di azioni B. per il controvalore di 10 milioni di Euro effettuata da Ze. s.r.l. nel 2012. Trattasi di obiezione inconsistente. In effetti, tenuto conto del perimetro delle operazioni correlate siccome tracciato nel relativo paragrafo (là dove si è evidenziato il carattere essenzialmente oggettivo dei parametri interpretativi di riferimento) e rinviando, comunque, con specifico riferimento ai concreti connotati delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. effettuate dallo Zi. con fondi all'uopo messigli a disposizione dall'istituto di credito, a quanto più oltre meglio precisato in proposito nel trattare l'appello proposto dal p.m. (cfr. infra), sono sufficienti, sul punto, le considerazioni che seguono. Innanzitutto, va precisato come la circostanza che il finanziamento di 12,5 milioni di Euro erogato, nel 2012, da B. a Ze. s.r.l. fosse inequivocabilmente finalizzato anche a consentire l'acquisto delle quote di Ar. (per un valore di 2,5 milioni di euro) - il tutto, nelle intenzioni dell'imputato, nell'ambito della programmazione di ulteriori investimenti, peraltro, all'epoca, non ancora definiti (come, del resto, indicato nella relativa "pef") - costituisca elemento palesemente inidoneo ad escludere la natura "correlata" dell'operazione in esame. Questo ove si consideri, per l'appunto, che larghissima parte del credito (10 milioni su 12,5) è stato effettivamente concesso ed utilizzato proprio per l'acquisto di azioni B.. Ciò inequivocabilmente si ricava, innanzitutto, come osservato dal tribunale, dal complessivo tenore delle deposizioni rese dai testi Ma., Ba., Cr. e Ba., le dichiarazioni dei quali, del resto, hanno trovato puntuale riscontro negli elementi di natura documentale, acquisiti al giudizio ed anch'essi puntualmente evocati dal primo giudice. Non v'è dubbio, infatti, che la ricostruzione dell'operazione in questione siccome complessivamente delineata dalle citate deposizioni trovi inequivoco conforto, in primo luogo, nel più favorevole trattamento relativo agli interessi previsti con riferimento alla maggior "quota" di credito destinato all'acquisto dei titoli della banca (rispetto a quelli pattuiti relativamente alla parte di fido concesso per l'acquisto delle quote di Ar.) e, in secondo luogo, nella previsione del relativo "storno". Trattasi, in effetti, di circostanze univocamente dimostrate: - dalla richiesta di storno (peraltro per l'importo, assai consistente, di oltre 112 mila euro); - dal documento "storia azioni "extra" ad aprile 2015" predisposto da Zi.Gi. e contenente un chiaro riferimento alla "doppia contabilizzazione degli interessi"; - dal prospetto riassuntivo estratto dal computer presente presso la sede della predetta Ze. s.r.l.; - oltre che dall'esplicito riferimento alla previsione del relativo rimborso contenuto nelle comunicazioni inviate dalla società dell'imputato, ovverosia da una sequela di convergenti elementi documentali l'esatta interpretazione dei quali è stata puntualmente offerta nella sentenza impugnata che, pertanto, sul punto, va integralmente richiamata. A ben vedere, infatti, le contrarie considerazioni svolte nell'atto di appello (segnatamente, alle pagine 21-23) appaiono davvero pretestuose, ove si consideri: - quanto al tenore degli SMS nn.ri 661 e 665, che, diversamente dalla lettura offertane dall'appellante, si è in presenza di comunicazioni il contenuto delle quali (sms 661, inviato da Gi. a So.; "faccio anche Zi., Ma. d'accordo, Vedi problemi? li fratello ha già in atto operazione"; sms 665, inviato da Ma. a So.; "ti ricordo Zi. di parlarne al presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria"), ove letto alla luce della complessiva prassi operativa disvelata dall'istruttoria dibattimentale - ivi comprese le dichiarazioni, più oltre meglio richiamate, rese dal coimputato GI. (anche con riferimento al ruolo svolto dal MA. nella presentazione delle pratiche di finanziamento inerente alle più consistenti operazioni baciate) - è esattamente coerente con la natura correlata dell'operazione in questione; - quanto alla tabella di cui al citato documento n. 737, per un verso, che il rinvenimento di detto documento nel computer di Ze. s.r.l. priva di ogni rilievo la mancata identificazione del soggetto che ebbe materialmente a redigerlo; e, per altro verso, che il suo contenuto - e, soprattutto, la peculiare natura dell'operazione in questione (trattandosi, secondo l'immaginifico gergo talvolta adottato al riguardo, di c.d., "baciata parziale") - rende davvero trascurabile l'osservazione difensiva - peraltro dall'appellante ancorata alle dichiarazioni del coimputato MA. (cfr, atto di appello, pag. 23) - in ordine alla prassi relativa al riconoscimento di un unico tasso di interesse per ciascuna linea di credito; - quanto alla mail di cui al documento n. 121 della produzione del p.m., che le relative osservazioni difensive (relative, segnatamente, alla possibilità di attribuire significato alla lamentela ivi esposta circa l'imposta di bollo unicamente con riferimento ad una richiesta di mitigazione dei tassi e non già di rimborso degli stessi) hanno assai scarsa rilevanza, posto, da un lato, che dette osservazioni si scontrano con il tenore letterale della comunicazione in questione (che, per l'appunto, contiene un espresso riferimento al "rimborso a suo tempo concordato") e, dall'altro lato, che l'effettivo assetto di interessi concordato aveva ad oggetto l'impegno, per l'appunto, alla integrale restituzione degli interessi (si vedano, sul punto, oltre alle dichiarazioni del GI., più oltre richiamate, le considerazioni svolte, nel trattare l'appello del P.M., con riferimento alla natura delle operazioni concluse dallo ZI. con B.); - quanto, infine, al memoriale redatto dall'imputato di cui al documento n. 731 della produzione del p.m., che le spiegazioni fornite, al riguardo, dallo stesso ZI. in sede di esame (là dove questi ha sostenuto di essere incorso in un errore nella rievocazione dei fatti con riferimento alla loro collocazione temporale), oltre ad essere assai confuse, confliggono, anche in tal caso, con il chiaro contenuto di detto appunto (contenuto, peraltro, del tutto coerente con il tenore della conversazione n. 153 nella quale lo ZI. confermava all'interlocutore Bocca di essere stato finanziato da B. per l'acquisto dì azioni). Del resto, come testé accennato, lo stesso coimputato GI., tanto nel memoriale prodotto nel corso del giudizio di appello quanto nel corso dell'esame svoltosi all'udienza 17.6.2022, ha espressamente confermato il "collegamento" sussistente tra la gran parte del finanziamento in questione (10 milioni di euro) e l'acquisto dei titoli di B. per avere egli stesso sollecitato allo ZI. la conclusione di tale operazione, operazione della genesi e dello sviluppo della quale detta fonte ha offerto una dettagliata ricostruzione. E, con riferimento alle obiezioni difensive in tema di interessi, il propalante, rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, ha precisato, in termini davvero inequivoci, che l'accordo intercorso tra l'istituto di credito e lo ZI. implicava lo storno integrale degli interessi, avendo quest'ultimo aderito alla proposta di acquisto delle azioni all'espressa condizione di non rimetterci alcunché (pur avendo egli espressamente riferito che non intendeva lucrare da detta operazione). Conclusivamente, la circostanza che, nelle intenzioni dell'imputato, le azioni B. che lo stesso ZI. si era determinato ad accettare, aderendo all'invito in tal senso rivoltogli dal coimputato GI., fossero destinate alla successiva liquidazione - e, questo, al fine di ricavarne la liquidità necessaria a concretizzare quelle ulteriori operazioni di investimento (Do., Sa., Ne.) rispetto alle quali, all'epoca, si era ancora in fase di trattativa - non muta affatto la natura "correlata" del finanziamento. Analoghe considerazioni, poi, si impongono in relazione alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 posto che, anche in tal caso, l'imputato ha beneficiato dì un apposito finanziamento (sotto il profilo dell'ampliamento della linea di credito originariamente accordatagli). Di qui l'irrilevanza anche delle ulteriori considerazioni svolte nell'impugnazione (segnatamente, a pag. 20) in ordine all'assenza, con riferimento a tali operazioni, di taluni degli indici usualmente ricorrenti nel fenomeno del capitale finanziato. In definitiva, quindi, non v'è alcun dubbio che l'imputato ha posto in essere operazioni correlate. Né può negarsi che lo ZI., nella sua veste di membro del consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, abbia autorizzato finanziamenti destinati (nell'accezione già precisata) ad operazioni correlate. Infine, neppure può contestarsi che si sia obiettivamente trattato, nel complesso, di comportamenti che, di fatto, sono andati ad inserirsi in quella più vasta e strutturata operatività, posta in essere dai vertici operativi dell'istituto di credito, tesa alla manipolazione del mercato, la ricaduta della quale si è poi tradotta anche nell'occultamento alle autorità di vigilanza di quanto, da tempo, andava accadendo nella dissennata gestione dell'istituto di credito. Ne discende che le condotte che radicano, sotto il mero profilo della materialità degli accadimenti, gli addebiti elevati a carico dello ZI. risultano indubbiamente sussistenti. In effetti, l'invocata, radicale estraneità dell'agire dello ZI. - nelle sue coincidenti vesti di consigliere di amministrazione dell'istituto di credito berico e di investitore coinvolto in "operazioni baciate" - alla manipolazione del mercato ed al conseguente sviamento delle attività di vigilanza non trova, sotto il profilo fattuale, riscontro in atti, risultando piuttosto provato l'esatto contrario, pur nei ristretti limiti delineati nelle imputazioni di riferimento. A ben vedere, una volta chiarita la natura correlata delle consistenti operazioni di acquisto/sottoscrizione di titoli B. effettuate dall'imputato (analogamente al fratello), neppure può fondatamente dubitarsi che una i tanto consistente partecipazione al "capitale finanziato" da parte di membro del Cda, peraltro per importi - e trattasi di profilo tutt'altro che irrilevante - di molto superiori a quelli relativi alle analoghe operazioni poste in essere da altri consiglieri non esecutivi (le pur consistenti operazioni riferibili ai consiglieri Do. e Mo., infatti, sono significativamente inferiori), possa essere stata interpretata, dalle varie componenti della struttura amministrativa della banca, come una forma di "avallo" della prassi esistente in tal senso. Questo, proprio in ragione del ruolo rivestito dallo ZI. all'interno della compagine societaria e dell'ammontare considerevole delle operazioni correlate da questi poste in essere. Aggiungasi che l'imputato (al pari degli altri consiglieri, peraltro) ha ripetutamente "ratificato" le proposte di finanziamento destinate all'esecuzione di operazioni baciate (interamente, ovvero parzialmente), donde, anche sotto tale profilo, la possibilità di ravvisare, di fatto, un contributo causalmente efficiente rispetto alla attuazione del disegno manipolativo concepito dai vertici aziendali. Così come, nell'approvare, sempre nella sua veste di membro del CdA, talune comunicazioni destinate alle autorità di vigilanza dal contenuto decettivo egli ha parimenti contribuito, sempre sul piano squisitamente fattuale, a vanificarne l'attività di controllo. Donde il difetto dei presupposti per la modifica della formula assolutoria adottata, per difetto dell'elemento soggettivo dei reati contestati, dal primo giudice (sul rilievo di quelle specifiche considerazioni che saranno più oltre oggetto di approfondimento in sede di valutazione dell'appello proposto dal p.m."). 15 Gli appelli del P.M. 15.1 L'appello inerente alla posizione di Zi.Gi. L'appello è infondato. Al riguardo, è d'uopo la premessa che segue. Si è già avuto modo di precisare che il tribunale ha affermato la natura/ correlata delle operazioni effettuate da Zi.Gi. per il tramite di Ze. S.r.l. e, segnatamente, dell'acquisto di azioni B., effettuato, nel 2012, impiegando in larga parte un fido di 12,5 milioni di Euro appositamente concesso dalla banca, nonché della sottoscrizione di titoli B. in occasione dell'aumento di capitale 2013 per effetto di una apposita estensione del fido, pari a 1,5 milioni di Euro. Trattasi di una ricostruzione che il primo giudice ha saldamente ancorato, come detto, ad una pluralità di convergenti elementi probatori, di natura testimoniale (in particolare, le deposizioni dei testi Ba., Cr. e Ba.), tecnica (la consulenza dei cc.tt. del P.M.), documentale (la richiesta di storno; l'annotazione redatta da Zi.Gi.; il prospetto riassuntivo estratto dal computer della segretaria di Ze. s.r.l. il contenuto dell'e-mail inviata dalla segretaria di Ze. s.r.l., Ca.Ro. alla filiale B. di cui al documento n. 121; il pro-memoria redatto dallo stesso imputato), nonché al tenore della conversazione telefonica n. 153 (sostanzialmente "confessoria") intercorsa tra tale imputato e l'interlocutore Lu.Bo. e, infine, alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale. A tali evidenze probatorie ed in assoluta coerenza con le stesse, poi, deve aggiungersi l'elemento sopravvenuto costituito dalle recenti propalazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal coimputato GI. in occasione dell'esame reso all'udienza 17.6.2022, là dove costui, nel rendere completa confessione (così ampliando, precisando e, su taluni punti essenziali, rettificando quanto già riferito in sede di esame svolto innanzi al tribunale di Vicenza) ha puntualmente rievocato anche l'operazione relativa all'erogazione del finanziamento da 12,5 milioni effettuato in favore dello ZI. (operazione al dichiarante ben nota per averla egli direttamente proposta all'interlocutore), ribadendone, con puntuali riferimenti concreti, la natura correlata. Ebbene, questa Corte ha già evidenziato come, in presenza di tali, convergenti emergenze istruttorie, le osservazioni critiche mosse dalla difesa di Zi.Gi. non consentano affatto di contestare, con il benché j minimo fondamento, la natura correlata delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. concluse dal predetto giudicabile. Va decisamente escluso, infatti, che il ricorrere di un interesse personale dell'imputato - tanto se di natura economica (per vero, nel caso in questione, insussistente), quanto se di altra tipologia (ivi compreso, quindi, l'obiettivo "politico" di acquisire una importante partecipazione in vista di una eventuale - scalata" alla presidenza dell'istituto) - che fosse concorrente con quello di favorire la banca (fornendole, con l'acquisto di un consistente pacchetto azionario, un apprezzabile ausilio nella circolazione/collocazione delle azioni) valga a relegare al di fuori del perimetro del "capitale finanziato" le operazioni di acquisto delle azioni che fossero state realizzate impiegando risorse erogate dallo stesso emittente dei titoli. Sul punto, pertanto, non può che rimandarsi a quanto già argomentato su tale specifico argomento, onde evitare ripetizioni che sarebbero davvero superflue. Ciò posto, il giudice di prime cure ha escluso la responsabilità penale dello ZI. ravvisando il difetto di consapevolezza, in capo a costui, della diffusività del ricorso al meccanismo del capitale finanziato. Questo, non solo in considerazione dell'accertata estraneità del predetto rispetto alla concertazione, intercorsa ai massimi livelli dell'istituto di credito, delle condotte di manipolazione del mercato e di sviamento delle autorità di vigilanza, ma per la dirimente ragione rappresentata dall'assenza di elementi che inducessero a ritenere, nei dovuti termini di univocità, che il predetto imputato versasse, sotto il profilo della consapevolezza di tale operatività delittuosa, in una situazione significativamente differente rispetto a quella, assolutamente vaga e generica, in cui si trovavano altri membri del CdA, taluni dei quali, pure, avevano posto in essere analoghe operazioni correlate. In effetti, nella prospettiva del tribunale, solo una situazione di effettivo e precipuo allarme in ordine ad attività delittuose "in itinere" avrebbe consentito di ravvisare gli estremi della penale responsabilità, peraltro sulla base di un inquadramento di tale responsabilità - ovverosia ex art. 40 c.p. - esorbitante rispetto al perimetro dell'imputazione, in effetti espressione di un addebito che - pur scontando taluni profili di ambiguità inevitabilmente derivanti della portata semantica di taluni vocaboli all'uopo adottati (intende farsi riferimento, segnatamente, all'impiego del verbo "avallava", ovverosia di un termine che implica anche, in certo qua) modo, profili di tolleranza dell'altrui agire) - è stato dalla pubblica accusa elevato con riferimento ad un concorso mediante condotta commissiva. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte del P.M. sul rilievo, in primo luogo, dell'asserita erronea individuazione dei criteri che avevano fondato l'imputazione di responsabilità penale: - da un lato, infatti, secondo l'impostazione d'accusa, l'imputato, membro del CdA, concludendo egli stesso "operazioni baciate" avrebbe "avallato" la prassi illecita del capitale finanziato, così contribuendo a rassicurare i dipendenti dell'istituto dì credito circa l'esistenza di "una copertura da parte dell'organo amministrativo"; - e, dall'altro lato, proprio in quanto componente del consiglio, deliberando la concessione dei finanziamenti che avevano reso possibili tali operazioni ed approvando i documenti e le comunicazioni inviate agli organi di vigilanza, lo stesso giudicabile avrebbe concorso nella perpetrazione dei delitti di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. E' stato sulla base di tale impostazione d'accusa, quindi, che il p.m., appellante ha ripercorso le acquisizioni istruttorie lamentandone la mancata valutazione "sintetica" da parte del giudice di prime cure; sostenendone, per contro, l'idoneità a fondare l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; ed invocando - infine e conseguentemente - la riforma della sentenza impugnata. In effetti, come questa corte ha già avuto modo di precisare nell'ordinanza adottata in esito alle richieste istruttorie, l'appello proposto avverso l'assoluzione di Zi.Gi. ha espressamente sollecitato il giudice del gravame ad operare quella lettura complessiva dell'intero compendio probatorio disponibile asseritamente omessa dal primo giudice, il quale, nella prospettiva dello stesso appellante, ne aveva unicamente offerto una (peraltro pertinente, ad avviso della stessa pubblica accusa) valutazione analitica. Tanto premesso, ritiene questa Corte che difettino i presupposti per l'invocata riforma della sentenza impugnata. Per vero, ove si abbia la dovuta attenzione: - per un verso, alla natura assolutamente specialistica delle tematiche coinvolte dalla regiudicanda (e, sul punto, non può non rimandarsi a quanto già ripetutamente evidenziato, oltre che nei precedenti paragrafi, nella trama argomentativa della sentenza impugnata, segnatamente in ordine al perimetro ed alle caratteristiche delle operazioni correlate ed alle conseguenti implicazioni in punto di disciplina prudenziale); - per altro verso, al ruolo concretamente rivestito dall'imputato all'interno della compagine dell'istituto di credito (trattandosi di consigliere di amministrazione privo di deleghe operative); - e, per altro verso ancora, al concreto, peculiare atteggiarsi delle dinamiche gestionali della banca in questione, caratterizzate, da un lato, dalla rigorosa delimitazione ai livelli apicali della presidenza e del management più elevato della compiuta conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e delle conseguenti determinazioni operative; e, dall'altro (come peraltro già stigmatizzato dalla Banca d'Italia all'esito di precedenti verifiche), da quell'atteggiamento di sconcertante passività e totale accondiscendenza del consiglio di amministrazione (fatte salve talune, sporadiche eccezioni) che si traduceva, all'esito di un simulacro di discussione, in approvazioni unanimi delle proposte presidenziali, deve necessariamente convenirsi con le conclusioni cui è pervenuto il tribunale. Trattasi, a ben vedere, di conclusioni che, ben lungi dal costituire l'esito di un apprezzamento meramente "parcellizzato" delle prove disponibili (ovverosia, come sostenuto dall'appellante, di una valutazione atomistica illogicamente sottratta ad una successiva visione d'insieme), rappresentano l'unico approdo coerente con il rigoroso standard probatorio idoneo a legittimare, nei dovuti termini di tranquillante certezza, l'affermazione di penale responsabilità. In effetti, le circostanze valorizzate nell'impugnazione e, segnatamente: - la natura correlata tanto dell'operazione effettuata nel novembre del 2012 tramite Ze. S.r.l., peraltro caratterizzata dalla significativa entità, pari a 10 milioni di Euro, del relativo ammontare (dei 12, 5 milioni erogati, infatti, solo 2,5 milioni erano stati impiegati per rilevare le quote della società Ar., la restante parte venendo destinata all'acquisto di azioni dell'istituto), quanto dell'ulteriore dell'operazione relativa alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 per il tramite di un apposito incremento della linea di credito già in essere; - i vantaggi riconosciuti all'imputato in relazione alle citate operazioni correlate, segnatamente con riferimento agli interessi praticati dall'istituto di credito (stante la differenziazione tra quelli relativi, da un lato, alla parte di finanziamento impiegato per l'acquisto delle azioni B., in ordine ai quali era anche previsto il rimborso e, dall'altro, alla quota di fido concesso per rilevare la partecipazione in Ar.); - la circostanza che analoghe operazioni fossero state poste in essere dal fratello dell'imputato, Gi.Zi., e che anche quest'ultimo avesse fruito di un trattamento di favore (a tale ultimo riguardo, il riferimento è all'"annullamento" dell'operazione ed agli "storni" di interesse formalmente applicati); - il fatto che il giudicabile, con ogni probabilità, fosse consapevole dell'esistenza di ulteriori soci finanziati dall'istituto di credito i quali, peraltro, traevano vantaggi da tali operazioni (tanto da essersi preoccupato di precisare, in occasione dell'adesione alla proposta di "baciata" da 10 milioni di Euro, come non fosse sua intenzione "guadagnare" alcunché, evidentemente alludendo, con tale precisazione, alla volontà di differenziarsi dagli altri investitori che, al contrario, da tale tipologia di operazioni traevano profitto); - il trattamento di favore che egli aveva rivendicato come una sorta di contropartita della pregressa disponibilità manifestata nel concludere operazioni correlate allorquando, successivamente, nel dicembre del 2014, aveva richiesto ed ottenuto da B. un finanziamento senza garanzia (intende farsi riferimento al prestito inerente all'operazione poi effettuata con Ub. descritta dal teste Vi., allorché questi ha ricordato come l'imputato gli avesse riferito che il finanziamento gli era stato concesso da B. perché aveva un "credito nei loro confronti sicché l'operazione "gli era dovuta"); - la censurabile sottovalutazione della vicenda relativa alla mail inviata da Mi.Ga., valgono bensì a dimostrare come Zi.Gi. avesse contezza della sussistenza della prassi, più o meno diffusa, circa la concessione, da parte dell'istituto di credito vicentino, di finanziamenti destinati, in tutto o in parte, all'acquisto di azioni proprie della banca (ed il tenore delle conversazioni nn.ri 222 e 543 richiamate dal p.m., in effetti, orienta certamente in tal senso, ma non prova nulla di più), ma non consentono affatto di concludere che lo ZI. fosse consapevole dell'entità del fenomeno del capitale finanziato neppure in termini di ordine di grandezza approssimativo e, soprattutto, delle conseguenti implicazioni sul bilancio (e, segnatamente, sul regime prudenziale dell'istituto di credito). E men che meno legittimano la conclusione che il medesimo imputato - sempre che fosse a specificamente informato della sussistenza degli obblighi di decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie dal patrimonio di vigilanza/fondi propri - fosse poi cosciente dell'effettivo mancato rispetto della normativa prudenziale in questione. In effetti, va ancora una volta precisato che la conoscenza dell'esistenza di una prassi, più o meno diffusa, in ordine al "capitale finanziato" (conoscenza che, nelle sue linee generali, come si è più volte evidenziato, era evidentemente ben nota all'interno dell'istituto di credito, specie nella catena della "rete commerciale", se non altro per l'esigenza che le decisioni di vertice sul collocamento delle azioni si traducessero in concrete, ramificate operazioni di collocamento dei titoli presso la clientela) costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per desumere la consapevolezza dell'esistenza di una strutturata attività di manipolazione dei titoli B., posto che tale consapevolezza avrebbe richiesto anche la disponibilità di informazioni adeguate in ordine all'entità del fenomeno in esame, alla conseguente incidenza sul valore dell'azione ed alle sue ricadute concrete sotto il profilo del patrimonio di vigilanza/fondi propri). E, questo, a tacere del fatto che, sul piano logico, sarebbe difficilmente comprensibile la decisione, specie se adottata da un attento investitore professionale quale Zi.Gi., di acquisire (ancorché tramite finanziamento senza interessi, pur sempre implicante l'obbligo di restituzione del capitale erogato) una partecipazione azionaria tanto consistente (a fortiori nell'ottica di una scalata alla presidenza) ove costui fosse stato realmente consapevole sia della effettiva e non transeunte situazione di illiquidità del titolo sia, più in generale, della precarietà delle condizioni patrimoniali della banca. Al profilo di tale imputato, infatti, non possono certo attagliarsi le considerazioni che, al contrario, ben si addicono alla posizione del coimputato ZO. (nell'impugnazione del quale - come s'è detto - sono stati rivendicati gli ingenti conferimenti di capitale effettuati, peraltro integralmente con risorse del giudicabile, nell'acquisto di azioni dell'istituto, ritenendoli sintomatici di atteggiamento ispirato da buona fede). Se, infatti, il presidente di B. non era affatto nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca per le decisive ragioni personali di cui s'è detto, la posizione di Zi.Gi., sul punto, era di tutt'altra natura, non avendo egli affatto legate, a differenza dello ZO., la propria persona e le proprie prospettive imprenditoriali in modo indissolubile alla banca (nella quale rivestiva un ruolo bensì importante, ma non certo rappresentativo). Trattasi, a ben vedere, di differenza tanto evidente da non richiedere ulteriori considerazioni. E' bensì vero che le emergenze istruttorie - ivi compreso quanto riferito dal coimputato GI. nel corso dell'esame reso in sede di giudizio di appello - hanno consentito di verificare come l'esistenza di tensioni sul mercato secondario dei titoli di B. fosse questione che, come da ultimo precisato dal propalante, ripetutamente era stata trattata in CdA ed evidentemente rappresentata all'imputato (o, comunque, dallo stesso ZI. certamente intuita al momento della proposta avanzatagli di concludere l'operazione "baciata" del 2012, posto che, in difetto, non avrebbe avuto alcun senso detta sollecitazione all'acquisto dei titoli e tenuto conto che, come pure s'è avuto modo di apprendere dall'istruttoria dibattimentale, sino agli anni 2008-2010 le azioni B. erano molto richieste dal mercato, tanto che il ricorso alle "baciate" era puramente occasionale e dettato da ben differenti finalità). In effetti, l'ascolto, effettuato all'udienza in data 17.6,2022, della registrazione dell'intervento effettuato dall'imputato ZO. nel corso della seduta del CdA 5.11.2013 non lascia adito a dubbi, stanti i palesi ed insistenti riferimenti in proposito, ivi compreso quello, effettuato dal consulente di B., Gi.Fa. ed in precedenza evocato, in ordine ad una probabile sopravvalutazione del prezzo dell'azione (cfr. pag. 7 della relativa trascrizione, effettuata a cura della difesa ZO. e da essa prodotta alla stessa udienza del 17.6.2022). Nondimeno, proprio per la sorprendente, ma verificata superficialità delle modalità di funzionamento di tale organo collegiale - modalità che, in effetti, sono state ripetutamente evidenziate, da ultimo dal coimputato GI. nel corso della sua più recente escussione (e che, peraltro, hanno fondato, nei confronti di numerosi componenti del medesimo consesso oltre che del collegio sindacale, l'irrogazione di sanzioni amministrative la legittimità delle quali è stata recentemente confermata dalla suprema Corte) - va escluso che i consiglieri di amministrazione fossero stati messi a parte, per ragioni legate all'ufficio ricoperto, delle effettive condizioni nella quale versava l'istituto di credito in relazione al tema del capitale finanziato e delle conseguenti implicazioni operative. Questo, anche tenuto conto, con specifico riferimento al tema costituito dal valore dell'azione B., dell'esistenza di una perizia di stima che, anche per la sua provenienza da uno dei massimi esperti in materia, appariva assolutamente tranquillante. Con particolare riguardo alla posizione del predetto ZI., poi, una siffatta, puntuale conoscenza neppure risulta aliunde acquisita. In particolare, trattasi di consapevolezza che non può automaticamente desumersi dal fatto che costui, all'atto della conclusione delle "operazioni baciate" del 2012 e del 2013, avesse agito "per fare un favore alla banca". Difettano, invero, univoche evidenze del fatto che il giudicabile avesse contezza non già di una situazione, più o meno temporanea, di difficoltà di funzionamento, rispettivamente, del mercato secondario e di quello primario, bensì dello stato di effettiva illiquidità del titolo azionario e della (conseguente) incapacità della banca di incrementare le proprie risorse in sede di aumento di capitale, ovverosia dì quella situazione complessiva di crisi strutturale che era intenzione dell'alta dirigenza dell'istituto sterilizzare ed occultare proprio attraverso il sistematico, perverso ricorso al capitale finanziato. In altri e decisivi termini, non v'è prova del fatto che lo ZI. disponesse di elementi di conoscenza, sul punto, significativamente maggiori rispetto a quelli in possesso dei "colleghi" consiglieri. Al riguardo, infatti, non assume particolare significato il radicato collocamento dell'imputato nel tessuto imprenditoriale vicentino (in quanto già presidente della articolazione territoriale di Confindustria), essendosi in presenza anche in tal caso, di uno status (quello di soggetto intraneo al locale ambiente economico-finanziario) non sostanzialmente difforme rispetto a quello dei restanti componenti del Consiglio, parimenti ben introdotti nel circuito d'impresa e, taluni, finanche dotati di competenze specialistiche di assoluto rilievo. Né può attribuirsi eccessivo rilievo - men che meno al fine di farne discendere una sostanziale differenza di posizioni tra lo ZI. e gli ulteriori esponenti del Consiglio di amministrazione di B., parimenti finanziati dall'istituto di credito - alla circostanza che l'imputato fosse un imprenditore aduso ad operare investimenti sui mercati finanziari con conseguente conoscenza dei "fondamentali" in materia. Questo, solo a considerare che, all'interno del medesimo CdA, v'erano soggetti, come testé evidenziato, le competenze tecniche dei quali erano decisamente superiori rispetto a quelle dello stesso giudicabile e che, nondimeno, sono stati convincentemente ritenuti dalla medesima autorità giudiziaria vicentina (si veda il provvedimento di archiviazione adottato su richiesta della stessa Procura berica, pur consapevole degli addebiti e delle sanzioni applicate dall'autorità amministrativa nei confronti di altri componenti del Consiglio di Amministrazione) privi di una chiara visione del fenomeno in esame, con conseguente archiviazione delle relative posizioni (cfr. ordinanza di archiviazione GIP tribunale di Vicenza 30.3.2022, prodotto dalla difesa dell'imputato PE. in allegato alla memoria 12.5.2022 in materia di rinnovazione istruttoria). In altri termini, il panorama probatorio che viene restituito dall'istruttoria dibattimentale (anche alla luce dell'implementazione avvenuta in sede di appello) dimostra: - per un verso, l'effettiva esecuzione, da parte dell'imputato, di operazioni correlate (come, del resto, da questi "ammesso" nel pro-memoria rinvenuto, in sede dì perquisizione, nei supporti informatici dell'imputato e relativo alla ricostruzione dell'incontro che il predetto aveva avuto il giorno 8 maggio con il presidente ZO., presenti il vicepresidente Br. e l'avv. Am.); - e, per altro verso, la consapevolezza, in capo al medesimo giudicabile, che la banca versasse, in quello specifico frangente (e, più in generale, nel periodo, in cui si collocano i fatti sub iudice), in una condizione di difficoltà (peraltro comune all'intero settore del credito) e, pertanto, avesse necessità dì un sostegno nell'assicurare una adeguata circolazione delle azioni, ma non consente affatto di concludere che il medesimo ZI. ritenesse che tale necessità fosse strutturale e non transeunte (e, più specificamente, che non derivasse, almeno significativamente, da un aumento di richieste dì vendita da parte degli azionisti legate ad un contesto dì difficoltà economica generale conseguente alla crisi internazionale in atto e non già ad una situazione di strutturale illiquidità del titolo che aveva cessato di essere appetibile per ragioni "intrinseche") e, soprattutto, che all'esecuzione di siffatte operazioni correlate non conseguisse la dovuta attuazione delle "contromisure" prudenziali ed il conseguente rispetto della disciplina inerente ai rapporti con gli enti di vigilanza. Le conversazioni intercettate che hanno visto coinvolto l'imputato212, del resto, specie se doverosamente analizzate nella loro complessiva significazione, restituiscono l'immagine di un soggetto non solo sinceramente preoccupato per le sorti dell'istituto di credito, ma anche, ed è quel che più rileva (visto che nessuno dei coimputati ha operato scientemente per pregiudicare la sorte della banca, essendo stati, piuttosto, tutti animati dalla intenzione di traghettare l'istituto di credito fuori dalle secche della crisi, anche a costo di perpetrare i reati sub iudice), effettivamente incredulo delle dimensioni e delle implicazioni del fenomeno del capitale finanziato. Aggiungasi che lo stesso coimputato GI., pur molto severo, anche nei giudizi da ultimo resi, nei confronti, tra gli altri, dei componenti del CdA di B., ha bensì evidenziato come costoro, ai quali non era ignota l'esistenza delle operazioni correlate, fossero nelle condizioni, ove realmente interessati, di approfondire il tema in esame e, così, di giungere a comprendere gli esatti termini della crisi nella quale versava l'istituto di credito; tuttavia, non ha affatto riferito di una effettiva consapevolezza, in capo a costoro, della esatta j dimensione del fenomeno, né dell'omessa decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti. In definitiva, gli elementi disponibili, anche ove doverosamente sottoposti alla valutazione d'insieme sollecitata dalla pubblica accusa (valutazione, peraltro - va doverosamente precisato - che non è stata affatto omessa dal primo giudice), sono tutt'altro che sintomatici di quella conoscenza approfondita non solo della sistematicità e della complessiva entità delle operazioni correlate effettuate presso B. ma anche - e soprattutto - delle conseguenti implicazioni sui coefficienti patrimoniali prudenziali che costituiscono l'indispensabile presupposto della reale comprensione, da parte dell'odierno giudicabile, del fatto che, presso B., fosse in atto una prassi operativa di sistematica manipolazione del mercato e di conseguente occultamento alla vigilanza di quanto, sul punto, andava accadendo. Di qui l'impossibilità dì ravvisare nelle operazioni di capitale finanziato poste in essere dallo ZI. la inequivoca dimostrazione dì una volontaria adesione e di una consapevole, fattiva partecipazione alle attività delittuose che radicano le imputazioni di riferimento, con conseguente impossibilità dì riconoscere, alla base dell'agire dell'imputato, la sussistenza dell'indispensabile "dolo di partecipazione". Non ignora questa Corte come non sia affatto necessario, per affermare la penale responsabilità del compartecipe, che questi abbia previamente concertato con i concorrenti l'attività delittuosa, né che egli abbia avuto contezza dell'esatta identità dei correi e neppure delle specifiche modalità esecutive della condotta delittuosa nel suo complesso; nondimeno, è pur sempre necessario che costui abbia avuto la consapevolezza di agire, in comune, per una finalità unitaria e conoscendo, quantomeno a grandi linee, il ruolo svolto dagli altri partecipi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Am., Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Ca. e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri) o, comunque, che egli abbia, anche solo unilateralmente (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018, I.), deciso di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (peraltro tale da includere, quanto al reato ex art. 2638, co. 2 c.c., la realizzazione dell'attività di ostacolo, specificamente oggetto di dolo). Ebbene, trattasi di requisiti che, nella specie, non sono affatto ravvisabili con riferimento alla posizione dello ZI.. E' solo per completezza, quindi, che si precisa (analogamente a quanto effettuato dal giudice di prime cure nell'ampia digressione contenuta alle pagg. 771-773 della sentenza impugnata) che a non diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l'addebito elevato a carico dell'imputato dovesse essere ricondotto al paradigma ex art, 40 cpv. c.p. (riferimento, questo, in ogni caso, estraneo rispetto al perimetro dell'imputazione - come, peraltro, ulteriormente si ricava dalle puntualizzazioni effettuate, con riferimento al criterio di imputazione della responsabilità penale sotteso all'impostazione d'accusa, dallo stesso P.M. appellante - donde la natura di mera precisazione delle presenti considerazioni). L'evidenziata assenza di elementi univocamente sintomatici della consapevolezza, in capo allo ZI., di una attività, in itinere, di manipolazione del titolo e del mercato e di una conseguente azione di sviamento della vigilanza, infatti, escluderebbe in ogni caso la sussistenza del presupposto per ravvisare, a carico del giudicabile, una responsabilità omissiva di rilievo penale. Pertanto - e concludendo sul punto - difettano, ad avviso di questa Corte, margini di sorta per l'invocata riforma della pronunzia assolutoria impugnata (cfr. sulla necessità, in tal caso, di motivazione rafforzata, da ultimo, Cass. Sez. IV n. 2474 del 15.10.2021 dep. 21.10.20121, Ma., Cass. Sez. IV, n. 24439 del 16.6.2021, dep. 22.6.2021, Fr.), pronunzia che, anzi, appare pienamente persuasiva, in quanto coerente con una attenta valutazione (tanto analitica quanto sintetica) del complessivo compendio probatorio disponibile. 15.2 L'appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Come s'è detto, il P.M. ha proposto appello avverso la sentenza che ha mandato assolto Pe.Ma. per difetto dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, censurandone il percorso argomentativo sul rilievo: - per un verso, della mancata debita considerazione, da parte del primo giudice, dì talune evidenze probatorie dalle quali sarebbe stato possibile desumere la consapevolezza, in capo al giudicabile, del radicato ricorso al finanziamento degli acquisti delle azioni B. (segnatamente, nell'ordine: la partecipazione alla seduta del comitato di direzione 8.11.2011; il coinvolgimento dell'imputato nelle ulteriori sedute degli organi collegiali manageriali della banca nei quali si affrontava, sotto diversi profili, il fenomeno del capitale finanziato; gli esiti delle attività di intercettazione telefonica ed il contenuto delle comunicazioni SMS; le dichiarazioni rese dal responsabile Audit Bo. in occasione della riunione indetta dal d.g. So., nel febbraio 2015, in vista dell'avvio dell'ispezione Bc.; il tenore della discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 10.11.2014); - e, per altro verso, della sopravvalutazione di elementi probatori asseritamente a discarico ("episodio KP."; le deposizioni dei colleghi Fa., Tr., Mo. e Li.; la condotta tenuta dall'imputato in relazione alla disclosure inerente ai fondi At. ed Op.; e, infine, la valutazione espressa dal medesimo PE., in sede di CdA 1.4.2014, in ordine alla stima del valore dell'azione proposta dal prof. Bi.). Conseguentemente, l'impugnazione ha proposto una rilettura critica di tali snodi dell'istruttoria dibattimentale idonea, ad avviso dell'appellante, a legittimare il ribaltamento della decisione assolutoria adottata dal primo giudice, donde le coerenti conclusioni rassegnate dalla pubblica accusa con richiesta di condanna del PE. in relazione a tutti i reati ascrittigli. Sul punto, non può che rimandarsi a quanto esposto saprà, là dove sono state ripercorse le argomentazioni svolte a sostegno del gravame, con la doverosa precisazione che agli elementi valorizzati dal p.m. nell'atto di appello si sono poi aggiunte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI.. L'appello è fondato. Al riguardo, va sin d'ora precisato che, ai fini della corretta lettura del ruolo svolto dal PE. nei fatti per cui è processo, assume dirimente rilievo il tema della consapevolezza, in capo a costui, della risalente prassi del ricorso al capitale finanziato da parte del management di B., prassi che - s'è detto anche questo - inizialmente invalsa per raggiungere l'obiettivo di svuotamento del fondo azioni proprie ai fini di dimostrare elevati standard di efficienza gestionale era poi divenuta essenziale per corrispondere all'esigenza, via via sempre più pressante, di assicurare la liquidità del titolo, il tutto senza rinnegare le politiche di espansione tenacemente perseguite dal presidente ZO.. Solo qualora fosse provata tale conoscenza avrebbe senso - com'è evidente - interrogarsi sulla cosciente e volontaria adesione a siffatta operatività, E' essenzialmente sul versante della conoscenza dell'esistenza e dell'entità del capitale correlato, infatti, che è stata decisa, in primo grado, la sorte processuale del giudicabile ed è su questo medesimo versante che, del tutto coerentemente, si sono concentrati, nel giudizio di appello, gli sforzi argomentativi delle parti (cfr. quanto alla difesa PE., i ragionamenti svolti, in particolare, alle pagg. 28-87 delle considerazioni "in fatto" contenute nella memoria difensiva 4.2.2020; cfr., altresì, quanto evidenziato nella articolata memoria conclusiva 30.9.2022; si vedano, infine, le deduzioni "di replica" contenute nella memoria 7.10.2022). Di seguito, pertanto, si affronteranno, nell'ordine, le questioni della conoscenza, da parte del predetto imputato, di tale fenomeno e della fattiva cooperazione fornita dal medesimo all'attuazione della suddetta prassi. 15.2.1 La conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte di Pe.Ma.. In proposito, sì impongono le seguenti osservazioni preliminari, di ordine, rispettivamente, fattuale e logico. Sotto il primo profilo (quello della premessa fattuale) è stato più volte evidenziato come l'esistenza della concessione di finanziamenti per l'acquisto delle azioni dell'istituto di credito costituisse oggetto di diffusa, se non addirittura capillare, conoscenza all'interno delle varie articolazioni di B. e in particolare, a tutti i livelli della rete commerciale dell'istituto, trattandosi di struttura chiamata ad attuare le direttive - sempre più stringenti a partire dall'anno 2011 - di collocamento "a tutti i costi" delle azioni impartite dalla più alta dirigenza della Banca (il teste Tu. ha significativamente precisato, sul punto, che persino i "cassieri" ne erano consapevoli214; il teste Premi, dal canto suo, ha altrettanto efficacemente specificato che "il 99% del personale" della banca ne era a conoscenza, soggiungendo come, del resto, fosse un sistema impossibile da tenere celato, sia per la sua amplissima diffusione, sia perché implicava il contributo delle più diverse professionalità), sebbene - lo si è precisato in precedenza - si trattasse di conoscenza che solo ai "piani" più alti dell'istituto, ove si disponeva di una visione di insieme del fenomeno in esame, era corredata da precise coordinate circa l'esatta entità (peraltro oggetto di continua evoluzione) del capitale finanziato. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe superflua. Sotto il secondo profilo (quello della valutazione razionale), poi, è d'uopo la seguente considerazione: se è vero - come pure si è ripetutamente evidenziato - che il ricorso sistematico alla concessione di finanziamenti destinati all'acquisto delle azioni dell'istituto è stato lo strumento impostosi per fronteggiare la situazione di ingravescente illiquidità del titolo, non più scongiurata dall'impiego delle risorse del "fondo acquisto azioni proprie" (fondo che, del resto, era necessario "svuotare" periodicamente per assicurare il rispetto dei ratios patrimoniali imposti dalla sempre più stringente disciplina in materia e, al contempo, sostenere il valore dell'azione), è giocoforza concludere, alla stregua della logica più elementare, che le operazioni di capitale finanziato e, in particolare, le "campagne svuotafondi", costituissero oggetto, dapprima, di una adeguata pianificazione e, quindi, di una conseguente attuazione, costantemente monitorata, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che siffatte operazioni fossero poste in essere "alla cieca", ovverosia ignorandone presupposti ed effetti. Trattasi, d'altronde, dì conclusione che trova piena conferma nel più volte evocato intervento tenuto dal d.g. So. in occasione della seduta del Comitato dì Direzione 8 novembre 2011 siccome restituitoci dalla sintetica (ma assai precisa) ricostruzione consentita dalle annotazioni del So., là dove, pur nella doverosa sintesi imposta dalle caratteristiche di detto scritto (un semplice appunto pro memoria, in ogni caso redatto da soggetto particolarmente affidabile in quanto istituzionalmente incaricato della verbalizzazione delle sedute), non fa difetto un esplicito riferimento proprio alla esigenza di costante verifica dell'andamento di tali operazioni ("...dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. Abbiamo degli impegni nei confronti di B. e CdA........al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute..."). Sennonché il tribunale, dopo avere correttamente riconosciuto (cfr. pag. 735 della sentenza impugnata) che il monitoraggio dei dati contabili rilevanti ai fini del rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione non solo agli attivi ponderati (RWA) ma anche all'andamento del fondo acquisti azioni proprie costituiva una incombenza assegnata alla direzione "Pianificazione Strategica" (affidata alla guida del Fa.), ovverosia ad una articolazione aziendale facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE., ha nondimeno affermato (cfr., pag. 751 della sentenza impugnata), pur in presenza dell'esplicito tenore dell'appunto del So. testé richiamato, come il - monitoraggio del capitale finanziato" non fosse "univocamente riconducibile" all'intervento di detta direzione e, segnatamente, del suo responsabile Fa. (intervento dal quale, in effetti, sarebbe stato indirettamente desumibile il coinvolgimento del PE.). Ebbene, occorre necessariamente prendere atto che, nel pervenire a tale approdo, il primo giudice non si è minimamente confrontato con le necessarie implicazioni (davvero difficilmente sostenibili, a ben vedere, sul piano della razionalità) di una siffatta conclusione. In effetti, posto che: - per un verso, è impensabile che il d.g. So. ed il vicedirettore Gi. provvedessero personalmente a valutare le operazioni di finanziamento con specifico riferimento agli effetti di dette operazioni sul patrimonio di vigilanza, limitandosi costoro, in effetti, a verificare (in particolare attraverso l'analisi del report c.d. "colorato", predisposto dall'ufficio soci216) quale fosse l'andamento degli acquisti e delle vendite e ad impartire le conseguenti disposizioni; - per altro verso, non v'è traccia alcuna dell'esistenza di una struttura separata ed occulta alla quale fosse stata affidata la tenuta della contabilità relativa alle implicazioni sui ratios patrimoniali delle operazioni inerenti ai finanziamenti correlati (posto che il monitoraggio del quale, come peraltro precisato dal teste Ba., si occupavano l'ufficio soci e, all'interno della Direzione Commerciale, il funzionario Tu., era evidentemente riferibile all'andamento delle operazioni di collocamento delle azioni, non già alle relative ricadute sui requisiti di vigilanza); - e, per altro verso ancora, l'unica articolazione dell'istituto di credito in grado (per le competenze tecniche dei suoi componenti) di svolgere un siffatto controllo (peraltro di natura assolutamente identica rispetto a quella dell'analogo compito affidatogli in via "istituzionale") era proprio la "Direzione Pianificazione Strategica"218 (si veda, sul punto, la deposizione del To., riportata, più oltre, in nota e, segnatamente, il passaggio nel quale il predetto, con riferimento alle valutazioni funzionali alla vigilanza, ha affermato: "....erano mobili perché il Tier 1 è di fatto un rapporto fra il capitale, fra il patrimonio e le attività a rischio; le attività a rischio poi devono essere ponderate a seconda della forma tecnica e, perciò, è un calcolo complicato e sofisticato che solo Pe. era in grado di poter poi dare il risultato finale, perché aveva gli uomini che gliele fornivano..."; si veda, inoltre, proprio con riferimento alla discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 8 novembre 2011, quanto riferito dal coimputato GI. già nel corso del dibattimento di primo grado circa il fatto che la "Divisione Mercati" facesse necessario affidamento, anche in materia di ratios patrimoniali, sui dati elaborati dalla "pianificazione"219; si veda, infine, quanto riferito, al riguardo, in sede di rinnovazione istruttoria, dal teste Tr., in ordine al monitoraggio delle azioni proprie sotto il profilo della verifica del rispetto dei ratios patrimoniali), è inevitabile concludere che un siffatto monitoraggio dovesse essere assicurato proprio da tale Direzione, non essendo in alcun modo logicamente sostenibile alcuna altra ipotesi alternativa. Trattasi, a ben vedere, di una significativa - per quanto indiretta - prova (logica) del coinvolgimento della "Divisione Bilancio" (per il tramite della sua articolazione interna costituita dalla citata "Direzione") nelle operazioni di monitoraggio del capitale finanziato, sia pure non a livello operativo, bensì di pianificazione e controllo (segnatamente, sotto il profilo dei risvolti in tema di ratios patrimoniali). L'assoluta importanza di siffatte operazioni occulte per la sopravvivenza stessa dell'istituto di credito; le gravissime implicazioni (anche di ordine penale) del necessario nascondimento di tale prassi alle autorità di vigilanza (le interlocuzioni con le quali rientravano nella competenza proprio dell'imputato PE.); e, infine, le caratteristiche dì marcata gerarchia proprie dell'organizzazione aziendale in esame, orientano, poi, sempre sul piano logico, nel senso della implausibilità della tesi secondo la quale il predetto PE. - massimo responsabile, lo si ripete, della "Divisione Bilancio" - sarebbe stato tenuto all'oscuro di una siffatta attività (sistematicamente svolta da una struttura aziendale affidata, in ultima analisi, proprio alla sua responsabilità) per effetto di una sorta di (irragionevole) conventio ad excludendum. della quale, peraltro (e trattasi di circostanza decisiva), non v'è riscontro di sorta. Dell'amplissimo compendio probatorio disponibile, infatti, nessun elemento, tanto di natura documentate quanto testimoniale (ivi comprese, pertanto, le dichiarazioni dei più stretti collaboratori dell'imputato, pure ispirate, si avrà modo di evidenziarlo, dal percepibile - e in certa misura umanamente comprensibile - intento di non nuocere al giudicabile ma, soprattutto, dall'interesse di allontanare dalle rispettive persone, peraltro rimaste esenti da ogni contestazione, qualsivoglia sospetto di una consapevole collaborazione alla prassi in esame) ha fatto emergere l'esistenza di direttive orientate ad escludere il PE. (ovvero altri dirigenti apicali della banca) dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Piuttosto, come si dirà più oltre, può dirsi ampiamente provato l'esatto contrario. Che, poi, i "flussi informativi" ufficiali che giungevano al PE. non dessero conto di siffatta operatività, come ripetutamente osservato dalla difesa del predetto (cfr., in particolare, memoria difensiva, pag. 22), è circostanza del tutto irrilevante, ove si consideri che - come pure pacificamente emerso - vigeva una severa direttiva interna volta ad evitare che potessero essere lasciate tracce documentali di tale fenomeno. Ne consegue che le argomentazioni spese dalla difesa221 per sostenere che la pluriennale gestione del capitale finanziato potesse tranquillamente prescindere dal contributo della Divisione Bilancio (articolazione, assolutamente essenziale, sbrigativamente equiparata agli organi di vigilanza e di controllo interni, tenuti all'oscuro del fenomeno in questione) non hanno davvero alcuna consistenza (fermo restando, in ogni caso, che è pure emerso - con specifico riferimento al ruolo dell'Audit e del suo responsabile, Bo. - come le strutture deputate al controllo interno, acquisita la consapevolezza del fenomeno, fossero rimaste inerti, soprassedendo da ogni intervento doveroso). Tanto premesso, è all'interno di una siffatta cornice di ordine fattuale e logico che, ad avviso della Corte, può più utilmente collocarsi la disamina degli (ulteriori) elementi probatori - diretti ed indiretti, documentali, dichiarativi e logici - specificamente emersi a carico dell'imputato in ordine alla effettiva conoscenza non solo dell'esistenza del capitale finanziato "occulto" (posto che la conoscenza di finanziamenti "dichiarati" all'uopo concessi in occasione degli aumenti di capitale - ed oggetto di conseguente decurtazione dal capitale di vigilanza - non è certo in discussione) ma anche della sua significativa entità, non prima, tuttavia, di avere doverosamente precisato come il PE., nella sua qualità di responsabile della Divisione Bilancio e di dirigente preposto, fosse ben avvertito (come, del resto, da luì stesso ammesso nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria): - da un lato, della necessità che ad eventuali operazioni di erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni conseguisse la corrispondente decurtazione dal patrimonio di vigilanza (un tanto essendo stato esplicitamente previsto per le operazioni di tale natura effettuate in sede di aumento di capitale); - e, dall'altro, che le ordinarie procedure di "registrazione" adottate dall'istituto di credito non prevedessero la possibilità di regolare "tracciamento" contabile di operazioni di capitate finanziato, in assenza di quel codice prodotto - peraltro espressamente introdotto in sede di miniaucap anche con la collaborazione dell'imputato - che, al contrario, ne avrebbe consentito la evidenziazione informatica. E, sul punto, l'imputato, per giustificare tale carenza (altrimenti a lui addebitabile in ragione della specifica funzione ricoperta), si è limitato a sostenere (del tutto tautologicamente, all'evidenza) che l'assenza di siffatte procedure discendeva dal fatto che operazioni di finanziamento per l'acquisto di azioni proprie non erano contemplate dalla "normativa interna della banca" e che "non c'era una procedura", a fronte, peraltro, di una situazione di incertezza circa l'applicabilità o meno alle banche popolari delle disposizioni di cui all'art. 2358 c.c. (applicabilità che - va precisato - all'interno dell'istituto era esplicitamente esclusa proprio per avvalorare la tesi, nei confronti degli appartenenti alla rete di vendita, della concedibilità dei finanziamenti correlati). Ebbene, nell'analisi del compendio probatorio non può che prendersi le mosse dal già citato documento redatto dal So. ai fini della successiva verbalizzazione ed inerente alla seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, documento che è utile riportare per esteso nella parte di interesse: Omissis Ora, come si evince agevolmente dal tenore dell'appunto (e come del resto precisato dal suo estensore So., oltre che dal To.: di ciò si è già dato dato conto sapra), si tratta di un passaggio della riunione inequivocabilmente dedicato all'esigenza di reperimento di capitale aggiuntivo per raggiungere l'obiettivo indicato dal PE. (8% di Tier 1) e nel quale è esplicito il riferimento alla necessità di ricorrere all'esecuzione di "operazioni baciate". Occorreva, infatti, come anche esplicitato dal predetto To., collocare oltre 100 milioni di azioni (per l'esattezza 110, secondo quanto più precisamente riferito dal PE.) nel volgere solo di poco più di un mese. Dopo gli espliciti, coerenti interventi dei responsabili di Ca. e Ba.Nu., To. ("Da noi sono baciate, non sono facili da proporre") e Se. ("anche da noi sono baciate") - interventi che, nella loro "trasparenza" (ed anche alla luce della successiva assenza di reazioni da parte del d.g.), sono già decisivi nel provare l'assenza di alcuna strategia aziendale volta ad escludere il PE. dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - seguiva la pronta "sintesi" del d.g. So. ("Dobbiamo veramente monitorare giornalmente. Dobbiamo continuare a spingere sul retail e si deve pianificare. Al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute. Il soggetto deve essere credibile... ") che non lascia davvero dubbi circa le conclusioni concordemente raggiunte nell'occasione: effettuare operazioni "baciate", ovviamente avendo cura di scegliere interlocutori affidabili "credibili") sotto il profilo del merito creditizio, in attuazione di una strategia che richiedeva tanto una adeguata pianificazione quanto un costante monitoraggio del suo andamento, strategia che, nella prospettiva del massimo dirigente B., avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere (dato il poco tempo a disposizione ed il significativo volume del valore in gioco), sia il settore "Retail sia quello - Corporate". E, in effetti, come puntualmente evidenziato dal primo giudice a pag. 303 della sentenza impugnata, lo stesso To., finita la riunione, aveva convocato i capi area impartendo disposizioni in tal senso, tanto che, a seguire, erano state concluse alcune operazioni baciate significative (si tratta delle operazioni con Co. Spa, Be.Ma., Ta.Ra. e Ro.). D'altronde, che quella testé esposta sia, ad onta delle contrarie considerazioni difensive (si veda, sul punto, la memoria difensiva, pagg. 29-41), l'unica "lettura" dell'appunto di So. ragionevolmente proponibile lo si ricava dalla debita considerazione (del tutto obliterata dal tribunale vicentino, peraltro) delle comunicazioni mail (significativo è il documento n. 166 della produzione del P.M., documento erroneamente definito come il report "colorato" nell'atto di appello, secondo quanto censurato dalla difesa, ma senza che ciò abbia alcuna rilevanza pratica, posto che correttamente l'appellante ne ha poi richiamato il contenuto 227) intercorse tra la più alta dirigenza dell'istituto di credito (ivi compreso il PE.) nei mesi precedenti rispetto all'incontro dell'8 novembre e tali da evidenziare la situazione di estrema difficoltà nella quale, già allora, versava il mercato secondario delle azioni, nella specie caratterizzato da domande di cessione dei titoli il cui valore complessivo, nel primo semestre dell'anno (pari a 158 milioni), aveva di gran lunga superato (di ben 110 milioni, ammontare significativamente corrispondente a quello che sarebbe poi stato evocato, occasione di detta riunione, dal PE.) quello delle richieste di acquisto (pari a 48 milioni). Anche l'appunto redatto dal funzionario Co.Tu. di cui al documento n. 884 della produzione del P.M. (richiamato a pag. 303 della sentenza impugnata ed erroneamente ivi indicato con il n. 881), da un lato, attesta in termini di evidenza la situazione di crisi economico-finanziaria che, sin dal 2011, affliggeva la banca e, dall'altro, riconduce il ricorso alla operatività in azioni proprie direttamente al sensibile incremento delle richieste di vendita dei titoli, manifestatosi in quel periodo, ed alla conseguente saturazione del "fondo acquisto azioni proprie". L'andamento di detto fondo, del resto, era monitorato dalla Divisione del PE. in vista delle periodiche segnalazioni alla vigilanza, come, del resto, riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato. Inoltre, non va dimenticato che il medesimo Tu. ha riferito che aveva ripetutamente affrontato con il PE. il tema delle crescenti difficoltà del mercato secondario (ancorché detto teste abbia poi collocato temporalmente - peraltro non senza approssimazione - tali comunicazioni nel periodo 2013-2014), difficoltà che, come s'è ripetutamente evidenziato, solo il sempre più spasmodico ricorso ai finanziamenti correlati consentiva dì fronteggiare. Se questo è lo scenario di riferimento, emerge davvero in termini di evidenza il coinvolgimento del PE. nell'approntamento della strategia da attuare (sotto il profilo, segnatamente, della individuazione dell'entità del "buco" da coprire) per raggiungere gli indispensabili obiettivi di capitale al contempo assicurandone, per il tramite dei suoi collaboratori facenti capo alla Direzione Pianificazione ("....Dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di B.I. e CdA.."), il relativo monitoraggio, funzionale a garantire il certo raggiungimento di quegli standard imprescindibili per rispettare gli impegni con l'autorità di vigilanza. Quella fornita dal PE. nel corso dei Comitato 8.11.2011, del resto, costituisce una indicazione - e non è certo irrilevante sottolinearlo, come, del resto, si è già fatto saprà - poi puntualmente soddisfatta da un vero e proprio "cambio di passo" impresso all'attività di collocamento delle azioni, ove si abbia attenzione all'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011, finanche superiore alle stesse indicazioni dell'imputato231. Ed allora, la tesi sostenuta dal medesimo PE. - tesi secondo la quale, sostanzialmente, costui non avrebbe inteso appieno il senso del riferimento alle operazioni "baciate" effettuato nell'occasione, posto che allora ignorava finanche il significato di detta espressione232 - appare, a dir poco, inverosimile: a prescindere dal dato (a ben vedere difficilmente superabile) costituito dall'esplicito riferimento, negli appunti del So., proprio a tale tipologia di operazioni (ed anche a volere trascurare la circostanza costituita dall'assenza, nel medesimo pro memoria, di annotazioni circa quelle richieste di chiarimenti delle quali sarebbe stato ragionevole attendersi che nello scritto fosse stata lasciata traccia, qualora l'imputato, non comprendendo quanto gli interlocutori andavano precisando, avesse preteso le necessarie delucidazioni), supporre che il giudicabile ritenesse che il collocamento delle azioni deciso in occasione di quell'incontro dovesse avvenire "regolarmente" (ovverosia senza ricorrere al finanziamento) costituisce ipotesi tanto implausibile da non meritare ulteriori commenti. Questo, solo a considerare: - per un verso, la gravità dello squilibrio che affliggeva il mercato secondario del titolo B.; - per altro verso, il brevissimo tempo a disposizione per effettuare un collocamento tanto massiccio (110 milioni) di azioni dell'istituto; - e, per altro verso ancora, la circostanza costituita dal fatto che - come s'è visto - le operazioni di finanziamento, all'epoca, costituivano tutt'altro che una novità, essendo state ripetutamente attuate negli anni precedenti (ancorché prevalentemente per il differente obiettivo dell'abbellimento del bilancio"), peraltro per importi già significativi. In sintesi: ipotizzare che il PE. ritenesse che un collocamento di azioni di siffatta entità potesse essere "assorbito" dalle normali dinamiche del mercato secondario - come da questi sostanzialmente ribadito anche nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria (là dove il giudicabile ha nuovamente affermato che il d.g. So., nell'occasione, non aveva chiesto di ricorrere a finanziamenti correlati ed ha precisato che, alla fine, il fondo non era stato del tutto svuotato in quanto si era deciso di pagare il dividendo con azioni) - sconfina, obiettivamente, nell'irrealtà. Se così è - e la univoca significazione delle circostanze esposte non rende plausibile una diversa ricostruzione dell'episodio - non sì comprende davvero come il primo giudice abbia potuto ritenere "non inverosimile" (cfr. pag. 751) la versione proposta dal PE., trattandosi, per contro, di spiegazione che, ad avviso di questa Corte, risulta del tutto inattendibile e scopertamente difensiva. Del resto, esaminato nel corso del giudizio di primo grado, il teste So. ha significativamente dichiarato (peraltro nell'ambito di una deposizione assai "faticosa" - come può agevolmente apprezzarsi dalla lettura dei relativi passaggi della deposizione stessa - anche per la palpabile preoccupazione del testimone di rimarcare la propria mancanza dì consapevolezza dell'entità del fenomeno in esame) che aveva avuto modo ripetutamente di confrontarsi con il PE. circa i problemi del capitale e dei requisiti di vigilanza, problemi che, per tutto quanto si è detto, necessariamente implicavano, per la crescente importanza di tale prassi, anche la questione delle "operazioni baciate". D'altro canto, non può certo trascurarsi di considerare che l'imputato era tutt'altro che una presenza occasionale in sede di Comitato di Direzione (le cui riunioni, svoltesi con regolarità sino al 2011 e, quindi, sostituite da più informali convegni denominati "riunioni di direzione", ripresero ad essere convocate dal 2014), ovverosia in occasione di quei momenti di riflessione collettiva e di raccordo tra i vertici operativi dell'istituto nei quali venivano affrontati, tra gli altri, i temi (inscindibilmente connessi) del capitale, dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie e dei ratios patrimoniali. Le deposizioni sul punto sono plurime e convergenti (si veda quanto dichiarato dai testi So., Am., Tu., Fa., Ca., nei puntuali richiami effettuati dal P.M. alle pagine 15-17 dell'atto di appello). Ebbene, nel corso di tali riunioni è risultato ricorrente il riferimento anche alle operazioni correlate, come riferito dai testi, Am., Ba., e, ancora, So. (il quale, peraltro, ha specificamente riferito di rammentare la discussione inerente alle operazioni correlate "Ag." e "Fe.", sebbene vada poi doverosamente precisato come, alla stregua di quanto in precedenza sottolineato, l'acquisto di titoli da parte di "Ag." non sia inquadrabile nel novero delle "operazioni correlate"). E' bensì vero che, come, peraltro, rimarcato dal primo giudice, non sono emerse prove dirette della presenza dell'imputato a specifiche riunioni (ulteriori rispetto a quella dell'8.11.2011) nelle quali venne esplicitamente affrontato il tema del capitale finanziato. Nondimeno: - lo stabile inserimento del giudicabile nei consessi di più alta direzione di B.; - la progressiva decisività, per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito, del ricorso al capitale finanziato (con tutte le inevitabili implicazioni in punto di valutazioni previsionali e successivi monitoraggi, nonché in ordine alle conseguenti comunicazioni decettive alla vigilanza); - l'insostenibilità, sul piano logico, dell'ipotesi secondo la quale la trattazione dì argomenti inerenti alle asfissianti difficoltà di reperimento del capitale - posto che la banca era divenuta, secondo l'efficace espressione proferita dal coimputato PI. in occasione della già menzionata conversazione intercettata n. 360 di data 1.9.2015, - una baracca (che) sta in piedi con lo sputo" - non comportasse necessariamente la previa conoscenza e la costante considerazione, quantomeno a livello implicito, delle questioni relative al "capitale finanziato" da parte di colui che rivestiva il ruolo di massimo responsabile della contabilità e delle comunicazioni alla vigilanza e che, come s'è visto, interveniva alle riunioni proprio per indicare quali fossero i livelli di capitale indispensabili (si veda, sul punto, a titolo esemplificativo, quanto precisato dal To. e riportato, precedentemente, in nota) o, comunque, vi partecipava indirettamente per il tramite di suoi collaboratori; - e, infine, come pure pertinentemente osservato dall'appellante, l'impossibilità di esigere dai testimoni escussi, a distanza di anni, il nitido ricordo di quali fossero i dirigenti presenti in occasione di specifici incontri, nonché della data e dell'ordine del giorno di detti convegni periodici, tenutisi in un ampio arco temporale, sono tutti elementi, di ordine fattuale e logico, che, ove doverosamente sottoposti a congiunta valutazione, lungi dal privare di rilevanza probatoria il dato della ricorrente partecipazione del PE. alle sedute del "comitato di direzione" (ove non assistita dalla dimostrazione della specifica trattazione del tema del capitale finanziato nella singola riunione alla quale v'è prova che il giudicabile fosse presente), conferiscono a tale regolare presenza effettivo rilievo in ottica accusatoria. Sicché le contrarie considerazioni svolte dalla difesa sul punto, essenzialmente fondate sulla svalutazione tanto dei ricordi del So. (il quale avrebbe rammentato, peraltro a seguito di insistenti domande, solo due operazioni correlate trattate alla sua presenza), quanto del significato del citato documento n. 166, quanto, ancora, delle dichiarazioni rese dai citati testimoni (Ba., Tu., Am., Ca., Fa.) è frutto di una lettura atomistica e davvero fuorviante delle evidenze probatorie disponibili. Del resto, una esplicita riprova della conoscenza, in capo al PE., dell'esistenza di un eclatante ricorso al capitale finanziato è possibile trarla dalla conversazione (anch'essa incomprensibilmente trascurata dal primo giudice) n. 359 di data 1.9.2015, effettivamente tale da orientare nel senso del coinvolgimento anche di tale imputato nel "board ristretto" dell'istituto di credito implicato nell'operatività delittuosa. Nel corso di siffatto colloquio, invero, il coimputato GI., dialogando con il sindaco Pi.La. e facendo inequivoco riferimento alle operazioni di capitale finanziato, ancorché non esplicitamente evocate, affermava: "No, perché, La., da quando...cioè, lui in pratica...il casino è successo perché ha detto al presidente che non sapeva niente di queste cose, che i responsabili eravamo io e Pi... Invece è il contrario, era lui che orchestrava questo tipo di operatività. Come faccio a sen.." - Pi.: "Cioè, lui chi?" " GI.: "So.......Eh nel senso che veramente, Poi, voglio dire, La., presenti tutti, nel senso che lui in Comitato di Direzione (inc.) Ca." Ma..Pe.. ecc., dava ordini, cioè diceva...." Bisogna fare queste cose" Guarda, quando io mi sono opposto, perché non ce la facevo più, a settembre del 2015....del 2014, l'anno scorso..". Trattasi, all'evidenza, di dialogo di significativo rilievo probatorio, essendosi in presenza di precise affermazioni poste in essere da un soggetto il quale, nell'occasione, non solo ammetteva espressamente il proprio coinvolgimento nell'operatività delittuosa (poi, come detto, oggetto di piena, definitiva e convincente assunzione di responsabilità nel corso del giudizio di appello) ma effettuava un esplicito riferimento alla posizione (tra gli altri) del PE., peraltro in modo del tutto incidentale (l'intenzione perseguita dal dichiarante essendo palesemente quella di rendere partecipe l'interlocutrice della riconducibilità al d.g. So. della decisione del massiccio ricorso a) capitale finanziato) e senza manifestare alcuna animosità nei confronti del collega. In effetti, il contenuto del colloquio in esame è idoneo a rivelare come, nella prospettiva del GI., tanto lo stesso propalante, quanto gli altri più stretti collaboratori del So. (ivi compreso, pertanto, il predetto PE.) fossero stati destinatari di forti pressioni, se non di veri e propri diktat, da parte del massimo dirigente di B. (di diktat, in effetti, ha parlato espressamente il teste assistito To.), ordini ai quali tutti costoro non erano stati in grado di sottrarsi. Di qui l'attendibilità di quanto affermato dal GI. nel corso della telefonata. Peraltro, nel corso di tale colloquio è emerso il chiaro riferimento alla pratica degli "storni", esplicitamente evocata dal GI. come sintomatica della conoscenza, in capo al PE., dell'operatività delittuosa in esame. Di seguito i passaggi del colloquio all'uopo significativi (con la precisazione che VM si identifica nel GI.): Omissis Si è in presenza, a ben vedere, di elemento a carico di tutt'altro che scarsa significazione, specie ove sì consideri che l'entità eclatante degli "storni" runa marea" secondo l'efficace espressione del Risk Manager Es., di cui s'è detto) - ovverosia, giova ripeterlo, dello strumento utilizzato per azzerare i costi dei finanziamenti a carico dei clienti che avevano concluso operazioni "baciate", ovvero per ricompensarli con laute remunerazioni - era indiscutibilmente tale da denunziare l'esistenza di una anomalia tanto marcata da non potere certo essere trascurata. Per vero, posto che la pratica in questione era "istituzionalmente" finalizzata a porre rimedio ad errori nella gestione dei rapporti di dare-avere con la clientela, un tanto consistente ed inspiegabile incremento di siffatto, necessariamente residuale, rimedio non poteva che essere attribuito - specie da parte di esperti dirigenti, quale indiscutibilmente era il PE. - ad una anomala operatività dei finanziamenti (a meno di non voler ipotizzare, contro ogni logica, l'improvviso "impazzimento" degli impiegati di B. addetti a tale settore). E' bensì vero, al riguardo, che la difesa dell'imputato, evocando la deposizione del teste Tr., ha contestato la correttezza di quanto sostenuto dal GI. nel corso del citato colloquio, con particolare riferimento alla competenza della Ragioneria in tema di "storni", in quanto tale ufficio si sarebbe limitato a ricevere i dati di riferimento e ad inserirli in una "procedura informatica" (cfr. memoria difensiva, pagg. 109-112), traendone quindi la conclusione della falsità di quanto affermato dal predetto GI. nel corso del citato colloquio telefonico (cfr. memoria conclusiva, pagg. 112-116). Tuttavia, l'obiezione si basa su un equivoco: evidentemente, il GI. non intendeva affatto alludere ad una responsabilità diretta della Ragioneria nell'implementazione del ricorso a siffatto rimedio, bensì alla passiva ricezione dei dati degli "storni" ed all'altrettanto passiva gestione contabile di evidenze palesemente inattendibili, ovverosia ad una condotta evidentemente ritenuta sintomatica di adesione alla irregolare prassi sottostante. Del resto, se diverso fosse stato l'intendimento del predetto nell'alludere al "controllo della Ragioneria", è ragionevole ritenere che l'interlocutrice (esperta commercialista e, soprattutto, componente del Collegio Sindacale e, quindi, ben a conoscenza della ripartizione delle competenze delle varie articolazioni dell'istituto) avrebbe manifestato, sul punto, il proprio dissenso. Al contrario, la Pi. risulta avere assentito alla ricostruzione del GI. (Sì, sì, sì"). D'altronde, deve anche osservarsi - a conforto della attendibilità di quanto sostenuto dal medesimo GI. nel corso della citata conversazione ed a riscontro del fatto che quella testé esposta sia l'unica interpretazione ragionevole e corretta delle suddette evidenze probatorie - che la diffusa consapevolezza, all'interno di B., dell'anomalia operativa inerente alla gestione dei finanziamenti rappresentata dagli "storni" è stata confermata in sede giurisdizionale. Il riferimento è al provvedimento 2.11.2015 del Tribunale di Vicenza - Giudice del lavoro dott. Campo (in atti tanto sub docc. 139 e 668 del P.M. quanto sotto forma dì produzione documentale effettuata dalla difesa dell'imputato GI. all'udienza del 9.1.2020) là dove l'autorità giudiziaria berica, nel rigettare la domanda cautelare avanzata da B. nei confronti del GI. (il relativo ricorso per sequestro conservativo ante causam - con subordinata istanza ex art. 700 c.p.c. - e la memoria di costituzione del resistente GI. sono in atti quali docc. 137 e 138 del P.M.) in relazione al pregiudizio patrimoniale asseritamente arrecato dal predetto vicedirettore all'istituto di credito a seguito dell'improprio ricorso alla procedura di "storno", ha precisato, alla luce della documentazione tutta disponibile (ivi compreso il "Manuale Gestione Storni della Clientela" richiamato dal teste Tr. e prodotto in copia nel primo grado del presente giudizio, all'udienza del 9.1.2020, dalla difesa dell'imputato GI.), per un verso, che "le informazioni sui fa utilizzazione impropria dello storno fossero già a conoscenza della società"; e, per altro verso - ed è quello che, in questa sede, maggiormente rileva " che tale prassi si era protratta nel tempo ed aveva ottenuto "l'avallo...dagli organi di controllo interno" e, segnatamente, proprio della Ragioneria Generale, chiamata ad una verifica di "congruenza sui suoi conti economici appostati per la singola richiesta" come da punto n. 3.3. del manuale operativo" (cfr, provvedimento citato, pagg. 7-8). Vale richiamare, concludendo sul punto, il seguente, assai esplicito passaggio del citato provvedimento giurisdizionale, là dove, a pagina 8, il giudice civile ha sostenuto che "...di fronte ad una operazione non corretta...la Ragioneria generale aveva il potere, e il dovere di bloccarla e questo a maggior ragione nei casi, come quelli segnalati dalla società ricorrente, in cui era palese l'utilizzazione di questo strumento per "opportunità commerciali" e comunque in assenza dei presupposti del manuale operativo", così chiarendo quale fosse, in materia, la competenza della "Ragioneria", assai più puntualmente della fuorviante descrizione fattane dal teste Tr. (le cui affermazioni in ordine al fatto che l'aumento della frequenza degli stomi - aumento del quale, pure, si era evidentemente accorto - non lo aveva affatto allarmato, appaiono davvero inattendibili242) e coerentemente con quanto sostenuto dal GI. nel colloquio telefonico in precedenza evocato. Né può valorizzarsi, in senso contrario, quanto sostenuto dal consulente della difesa PE., dott. Pa., là dove costui, con specifico riferimento alla materia degli storni ed alle relative competenze affidate alla Divisione Bilancio e Pianificazione (ed al relativo responsabile), ha evidenziato che - non rientrava nell'alveo delle responsabilità affidate agli stessi alcuna attribuitone in ordine alla verifica delle competenze autorizzale in materia di concessione di sconti/abbuoni alla clientela" (cfr. elaborato di consulenza, pag. 60): a venire in rilievo, infatti, non è certo il profilo di eventuali autorizzazioni preventive all'esecuzione di dette operazioni, bensì quello, tutt'affatto differente, inerente all'omissione di qualsivoglia successivo intervento pur in presenza di un incremento eclatante del ricorso alla pratica in esame (ammesso dallo stesso Pa., che, sul punto, a pag., 61 dell'elaborato di relazione, ha parlato di "crescita significativa"), evidentemente sintomatico di una anomalia certamente meritevole, quantomeno, di doveroso approfondimento (e, questo, a prescindere dall'incidenza di tale pratica sul decremento della voce dì conto economico "Interessi attivi e proventi assimilati" - cfr. relazione Pa., pag. 60). Aggiungasi che nello stesso senso - ovverosia a sostegno della tesi del coinvolgimento del vertice ristretto del management B. nelle operazioni di capitale finanziato - depone, a ben vedere, anche la conversazione n. 259 in data 28.8.2015, inerente ad un colloquio intercorso tra il responsabile dell'Audit Bo. ed il coimputato MA. (colloquio trascritto, nella parte di interesse, a pag. 22 dell'atto di appello, cui si rinvia; l'intera conversazione può leggersi in ogni caso alle pagg. 144-159 della perizia di trascrizione), ancorché non contenente, a differenza di quella in precedenza evocata, l'esplicito riferimento alla persona del PE. (in detto colloquio risultando citato il solo Ca., nella specie indicato con il prenome di "Ad.") ed all'esatto contesto (circostanza, anche questa, espressamente stigmatizzata dalla difesa - cfr. memoria conclusiva, pag. 117) nel quale tali comunicazioni avrebbero avuto luogo. In analoga direzione, poi, orienta anche il ben più esplicito tenore della comunicazione SMS/WhatApp intercorsa tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5,2015: trattasi del messaggio, del quale già si è detto supra, di cui al doc, n. 811 della produzione del P.M. (elemento, anch'esso, trascurato dal primo giudice nella valutazione della posizione del PE.), nel quale il primo si raccomandava con il collega, in vista dell'appuntamento che il medesimo GI. era riuscito a concordare con ZO. per il giorno successivo (trattasi dell'incontro del quale si è ampiamente trattato con riferimento alla posizione di quest'ultimo imputato), affinché ribadisse al presidente il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente di B. nell'operatività delittuosa Cmi raccomando domani con il presidente. Paria a nome di tutti e due... deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori .."). Ebbene, anche in tal caso, ad onta del mancato espresso riferimento alla posizione del PE. (al pari del resto, degli altri manager dell'istituto), si è in presenza di elemento che, a dispetto di diverse considerazioni difensive in ordine ad una asserita equivocità del dato243, in realtà tutt'altro che vago nella sua significazione, conforta l'impostazione d'accusa in ordine al consapevole coinvolgimento del board ristretto della banca (del quale faceva necessariamente parte il massimo responsabile della Divisione Bilancio, nonché dirigente preposto e responsabile delle comunicazioni alla vigilanza, Ma.Pe.) nella prassi del capitale finanziato. Aggiungasi che non trascurabile rilievo probatorio deve attribuirsi alle dichiarazioni testimoniali (anch'esse del tutto obliterate dal primo giudice in sede dì valutazione della posizione del PE.) rese dal teste Bo. con riferimento alla riunione, indetta dal d.g. So. nel febbraio del 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione Bc.: nell'occasione - ha ricordato il dichiarante - lui stesso aveva evidenziato ai colleghi i rischi connessi a tale verifica, facendo espresso riferimento alla criticità rappresentata proprio dal capitale finanziato e richiamando, sul punto, la relazione che aveva sottoscritto il precedente 4.9.2014, riassuntiva di quanto pochi mesi prima accertato dall'Audit con specifico riferimento alla allarmante dimensione del fenomeno in esame (in effetti, nella relazione predetta - peraltro esplicitamente predisposta a seguito delle dimissioni del "gestore private". Vi. - si riferiva di finanziamenti correlati per l'importo di oltre 422 milioni di euro) ed ai conseguenti, gravi rischi per l'istituto. Ebbene - ha precisato il teste - se, nell'occasione, il d.g. So. aveva sbrigativamente minimizzato il rilievo della questione (avendo questi, sul punto, replicato: "la gestiamo"), nessuno degli altri partecipanti alla riunione aveva manifestato la benché minima reazione rispetto ad una notizia che, al contrario, ove fosse stata realmente ignorata dai presenti, avrebbe dovuto suscitare il più vivo allarme di costoro.244 E' bensì vero, al riguardo, che il P.M. ha sottolineato come il PE. fosse "certamente" presente a tale riunione, mentre, sul punto, il teste Bo., dopo una iniziale affermazione in tal senso effettuata in termini di sicurezza, in sede di controesame ha manifestato profili di perplessità, sebbene debba pure doverosamente sottolinearsi come, alla fine, sottoposto a riesame, il testimone abbia sostanzialmente ribadito quanto riferito in apertura circa la effettiva presenza del giudicabile alla suddetta riunione. Nondimeno, anche a voler ipotizzare che il PE. Non avesse preso parte ad un tanto importante convegno (ipotesi - ancorché fortemente sostenuta dalla difesa - francamente implausibile, proprio in ragione del rilievo assolutamente decisivo di detto incontro, visto che si trattava di impostare la "linea difensiva" da assumere nel corso dell'ispezione che - già preannunciata - di lì a poco avrebbe avuto luogo ed avrebbe portato a smascherare la prassi del capitale finanziato, rivelandone, a cascata, tutte le gravissime implicazioni), è assolutamente irrealistico ipotizzare che il PE. non fosse poi stato prontamente informato di quanto emerso nel corso di detto incontro. Inoltre, assoluto rilievo va riconosciuto alla trascrizione (cfr, documento 110 della produzione del P.M.) della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, in precedenza più volte evocata e, in particolare, a quel passaggio nel quale viene effettuato un esplicito riferimento alla persona del PE. - nell'occasione di certo assente - come interlocutore con il quale, ad avviso del coimputato GI., sarebbe stato necessario approfondire la questione trattata ("...però bisogna confrontarsi con Ma...."). Trattasi, in questo caso, dì elemento sul quale il primo giudice ha sbrigativamente argomentato, sostenendone l'equivocità (cfr. sentenza impugnata, pag. 753: "... si tratta di un elemento che non si presta ad univoca lettura ..."), ma che, ad avviso di questa corte, ove doverosamente valutato alla luce di una interpretazione razionale e, soprattutto, non frammentaria della registrazione in esame, si rivela tutt'altro che di incerta significazione. Il dato di partenza (che, peraltro, non è sfuggito al primo giudice nell'analisi della posizione del coimputato PI.) è costituito dal fatto che, nell'occasione, i top manager della banca presenti alla riunione ebbero ad analizzare compiutamente - peraltro, va sottolineato, con un tono dal quale si evince un clima di condivisione e di ricerca di soluzioni concordate nient'affatto irrilevante ai fini della compiuta comprensione della dimensione "collegiale" delle responsabilità nella gestione del tema in esame - gli aspetti problematici del capitale finanziato (esaminato in pressoché tutte le sue caratteristiche: dalla natura di "portage" di gran parte delle operazioni, all'obbligo di riacquisto da parte della banca, assicurato anche mediante il rilascio di lettere di garanzia, ivi denominate side-letter; dalla remunerazione da riconoscersi alle controparti, alla sopravvalutazione del valore dell'azione, ecc.), capitale che, come espressamente riconosciuto dal d.g. So., aveva all'epoca raggiunto la dimensione monstre di oltre un miliardo di Euro (si vedano, sul punto: l'oramai noto passaggio della registrazione nel quale So. afferma ... "abbiamo fatto un miliardo e 2 apposta per fare..." - cfr. doc. 100 P.M., pag. 34; la consulenza dei CCTT del P.M. e, più specificamente, quanto riferito sul punto dai predetti consulenti all'udienza 12.11,2019, pag. 30 del verbale stenotipico; e, infine, la già citata conversazione 459 del 31.8.2015). A tale riunione, peraltro, si era giunti all'esito di un approfondito vaglio, del quale era stato reso partecipe anche il PE. (direttamente coinvolto nel relativo flusso di comunicazioni, oltre che indicato dallo stesso Fa. come il soggetto con il quale il medesimo teste aveva interloquito sul punto) circa l'impatto negativo per il "margine di interesse" della banca derivante proprio dalle operazioni correlate, vaglio che aveva impegnato le strutture della banca a partire dalla metà del mese di agosto precedente e che si era concluso con l'individuazione di un elenco dì operazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di "repricing/chiusura al fine di ottimizzare il margine di interesse" (così, espressamente, nella comunicazione mail di cui al doc. n. 516 della produzione del P.M., inviata dal Fa. al GI. e trasmessa, per conoscenza, anche al PE.). Il riferimento, in proposito, è alle mail di cui ai documenti n. 294, 524, 513, 516, 521, 519, esplicitamente analizzati, nel loro specifico contenuto, alle pagg. 27-28 dell'appello del P.M., al quale, sul punto, per brevità, non può che farsi rinvio, con la precisazione che una di tali mail - ovverosia quella in data 24,8.2014 di cui al documento n. 294 della produzione del P,M., contenente anche l'esplicito riferimento alle azioni acquistate per il tramite della Divisione Finanza: "... Ci sono azioni anche sul lato Finanza .." - risulta inviata proprio dal PE. al GI. e, per conoscenza estesa, anche ad Am., Ba., Mo., Fa. Ro., Tu. e Va. (sicché trova documentale smentita la tesi difensiva della estraneità dell'imputato a tale attività di analisi propedeutica alla riunione in esame). Ebbene, era proprio sulla base di tale approfondita analisi preliminare che il d.g. So., nel corso della riunione del 10.11.2014 (facendo in quella sede esplicito riferimento proprio a tale valutazione preliminare) affrontava il tema del margine di interesse nei seguenti termini: Sa. "...Noi dobbiamo selezionare molto di più nostri impieghi, e poi vedremo, io ho fatto fare un lavoro da Risk e.. e.. e.. dalla pianificazione, dove abbiamo visto che, / nostri impieghi, ci sono degli impieghi che, per effetto della Q. R., ci assorbono tanto di quel capitale e ci mandano in perdita in misura rilevante e significativa, no? E, quindi, questi qui è chiaro che vanno smontati. Non possiamo, smontarli perché ci sono azioni dietro. ma non possiamo neanche tenerci tutto questo popò di problema. Quindi, dobbiamo risolverai problema del... delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere, nominativo per nominativo, no? Li abbiamo bene individuati, questi veramente ci fanno male, male, male, male, sia come margine di interesse, ma anche, soprattutto, come...eh.., stress test da Q. R., che, indubbiamente, ogni anno, ogni anno, dovremmo... dovremmo subire. Allora, l'idea qui qual era? Era quella, innanzitutto, di individuare queste posizioni e andarle... e andarle a smontare, capire se... Seguitemi col ragionamento, noi prendiamo questi... queste azioni che sono finanziate, andiamo a smontare il finanziamento. Smontando il finanziamento, abbiamo un recupero importante sul margine di interesse, perché, ovviamente, sono finanziate eh... a un tasso molto basso, abbiamo un recupero sulla commissione, perché poi le commissioni sono quelle che dobbiamo ristornare nel caso in cui il margine d'interesse non sia sufficiente a remunerare il pacchetto di azioni che questi ci prendono, e abbiamo un beneficio, ovviamente, sulla Q. Come possiamo collocare queste azioni? Supponiamo di collocare queste azioni, invece, non più sul mondo, sul versante degli impieghi, ma sul versante della raccolta. Se noi utilizziamo il versante della raccolta, banalmente, con le forme tecniche più semplici, poi vedremo le forme tecniche più strutturate, esempio, un time deposit, quindi noi diciamo al nostro cliente; "Guarda, non ti faccio più il finanziamento, ti faccio un time deposit" a che tasso? E' un tasso importante, quindi andiamo a rimontare per un attimo l'aggravio sul margine di interesse. L'ho smontato sui... sul finanziamento, però sono disposto a portarmelo a casa come onere per quanto riguarda un maggior costo di raccolta, però ho un beneficio sul capitale, perché questo non mi assorbe più cet one che, invece, il finanziamento cet one me lo assorbe, e ho un beneficio sulla Q. R., perché non impatta, ovviamente, sulla Q. R. lo stress test. Quindi, se noi riusciamo a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti, andiamo a liberare il cet one, andiamo a liberare... eh... ora vedremo in che misura... eh... il rischio che deriva dalla Q. R, stress test. se lo andiamo a dirottare sul... sulla raccolta. Parlo del time deposit, che è quello più semplice, però l'obiettivo, anche qui, è quello di frazionarlo in continuazione, Quindi, noi dobbiamo frazionare in continuazione il nostro capitale, perché, se noi facciamo time deposit alla stregua di come facciamo oggi i finanziamenti ponti, i 30, i 20, insomma, ci son clienti che hanno più di 50 milioni e, e capisco, noi dobbiamo frazionarlo. Se noi lo frazioniamo nel mondo private, lo frazioniamo nel wealth management o, meglio ancora, se noi riusciamo a trovare un prodotto, uno strumento, dove... Perché l'altro tema è quello che fa rete dice: "Va bene, allora facciamo questo, però non facciamo più raccolta indiretta", dove, invece, noi dobbiamo fare raccolta indiretta perché bisogna fare il commissionale. Allora, l'idea sarebbe quella di trovare un prodotto che faccia raccolta indiretta, nel prodotto che fa raccolta indiretta ci mettiamo dentro anche le nostre azioni e gli affluent, il private e soprattutto il wealth management va a vendere e va a collocare quote di questi fondi, quote di queste SICAV, no, che hanno in pancia azioni, azioni nostre che abbiano comunque un rendimento che sia... che sia collocabile piuttosto che altri investitori istituzionali. Quindi, il ragionamento che... che ponevo è questo. Intanto, se condividiamo quello di switchare, di spostare le azioni dagli impieghi ai., al... alla raccolta, che sia diretta o indiretta, e con che modalità, andando a vedere, poi, ovviamente, l'aggravio di qua in termini di, probabilmente, margin press, però andiamo sicuramente a liberare, a liberare il cet one, quindi andiamo a liberare tutti questi impieghi che ci assorbono pesantemente e, soprattutto, ci assorbono in termini di A. Q. R.. Non so se mi son spiegato...". In buona sostanza, il d.g. insisteva sulla necessità di "smontare" le operazioni di finanziamento correlato (ovverosia - per restare al lessico del So. - quei finanziamenti che avevano "le azioni appiccicate"), distribuendo i titoli tra la clientela in abbinamento ad operazioni di raccolta e, quindi, "spostando" le azioni in questione dal versante degli "impieghi" a quello della "raccolta Seguiva l'intervento del GI. (Vm 8): V. M. 8 - Po. ..Posso Sa. una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi, comunque le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo, nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100 il valore.. eh ...delle azioni era 100 e va a 70, tu quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque, noi dobbiamo fare in modo che Asti impieghi vadano scaricati. Allora, io credo che un po' possa essere comunque un'attività di... di collocamento retail, quello che vogliamo,' l'alternativa è... però bisogna confrontarci con Ma., è: annullo le azioni e l'impiego. Dove vado a trovare... Ovviamente, avrò molto meno capitale. Dove vado a trovare.. - eh ...uhm quella copertura per il minor capitale che ho togliendo parti di attivo, cioè, vendendo parti di attivo? Adesso parliamo qui di partecipazioni, no? Cioè, io... qual è il problema mio? Che io ho 100 di impiego che vanno via, 100 di capitale che vanno via, ovviamente il minor capitale assorbito è molto meno rispetto a...al capitale che... che perdo, perché perderò ipotizziamo 100 milioni, perdo 100 milioni di capitale da una parte e ne acquisto 8 milioni di e... 8, 10 milioni di minor assorbimento dall'altro, no? Quindi runica cosa è... per rimanere con i ratio stabili, è di ... eh tagliare pezzi di attivo che assorbono capitale..". In estrema sintesi, il vicedirettore GI., per raggiungere lo stesso obiettivo ("smontare te baciate grosse") individuato dal d.g., proponeva di operare sul fronte del collocamento "retail", evidenziando come, per fronteggiare la conseguente riduzione dei fondi propri ("avrò molto meno capitale"), si sarebbe dovuto operare "togliendo parti di attivo", ovverosia riducendo proporzionalmente le attività di rischio ponderate per rimanere - con i ratio stabili", nonostante il decremento del capitale. Ed era proprio con riferimento a tale prospettiva - prospettiva che, in ultima analisi, avrebbe necessariamente comportato un significativo ridimensionamento del ruolo e delle ambizioni della banca, ripotata ad una dimensione locale, con conseguenti, inevitabili ricadute sul sistema di go°emance dell'istituto, i cui vertici sarebbero stati ragionevolmente travolti (donde, l'immediato accantonamento di tale ipotesi da parte del d.g. So. il quale, in effetti, la ignorava platealmente, come si comprende dalla lettura della registrazione della seduta) - che il medesimo vicedirettore evidenziava la necessità di interloquire con il PE. C dobbiamo confrontarci con Ma...."). Dal tenore dell'intervento del GI., in effetti, è dato cogliere la serietà della situazione e la piena consapevolezza, in capo a costui, del gravissimo rischio che la situazione del capitale finanziato, per la sua eclatante dimensione, rappresentava per l'istituto. Di qui la proposta, davvero da ultima spiaggia, del vicedirettore (il quale aveva evidentemente di mira l'obiettivo di ridimensionare il valore complessivo del fenomeno in esame, anche a costo di archiviare i "sogni di gloria" che avevano animato la continua crescita dimensionale della banca vicentina), proposta, peraltro, della cui impraticabilità per ragioni "tecnico-contabili" aveva poi preso atto lo stesso y GI. (sul punto, vedi infra). Se ciò corrisponde a verità - e non pare davvero possibile opinaoe diversamente (discostandosi, cioè, da una ricostruzione che trova fondamento in un documento di tanto lineare lettura, oltre che nelle pregresse comunicazioni mail, espressione di un lavoro di analisi propedeutico all'incontro che, come affermato dal So., aveva coinvolto anche la "pianificazione" affidata al Fa., ovverosia una struttura facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE.) - risulta oltremodo incomprensibile l'esito cui è pervenuto il primo giudice (in linea con quanto sostenuto, sul punto, dalla difesa dell'imputato nei passaggi della memoria citata dedicati all'argomento e, segnatamente, nei paragrafi 4.6-4.7 di detto scritto difensivo) là dove ha concluso (nel solco, come detto, della linea difensiva dell'imputato251) che l'intervento del PE. siccome auspicato dal coimputato GI., essendo limitato alla individuazione degli "attivi" da "tagliare", non avrebbe implicato la necessaria consapevolezza del capitale finanziato. Ragionare in tal guisa, infatti, significherebbe ammettere che il giudicabile potesse essere coinvolto nella soluzione di un problema gravissimo (è d'uopo rammentare ancora una volta l'entità eclatante del capitale finanziato, risultata pari, nel complesso, ad oltre un miliardo di euro) - soluzione dalla quale, in ultima analisi, dipendeva la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito - ignorandone presupposti, implicazioni e conseguenze. E, al contempo, dovrebbe condurre ad ipotizzare che il GI. e, per suo tramite, il d.g. So., si sarebbero esposti al rischio, più che concreto e gravido di imprevedibili conseguenze, di dovere fornire spiegazioni ad un interlocutore perfettamente in grado di comprendere le implicazioni (anche di natura penale) di una prassi tanto radicata da avere originato una quota immensa di capitale finanziato (l'esistenza del quale - ponendosi in questa prospettiva - sarebbe stata costantemente occultata allo stesso PE., ad onta delle serie responsabilità gravanti sul predetto con specifico riferimento alle interlocuzioni che da tempo questi intratteneva con la vigilanza), affrontandone la scontata e difficilmente controllabile reazione. Trattasi - com'è evidente - di una ipotesi ricostruttiva a dir poco bizzarra. E, questo, a tacere del fatto che, alla riunione in esame, aveva preso parte lo stretto collaboratore del PE., An.Fa. (il medesimo funzionario che aveva curato lo studio che aveva preceduto l'incontro, come affermato dallo stesso So.), il quale, sia pure momentaneamente, assentatosi nel corso dell'incontro in questione, al rientro era stato ragguagliato dallo stesso d.g. So. di quanto discusso in sua assenza ("Sa.: Va bene. Ascolta, An., abbiamo parlato del...del tema di spostare, di togliere quello che hai fatto con... con il Risk, di togliere le azioni dagli impieghi. An. voce lontana Si? Sa. E girarlo sulla raccolta. An. voce lontana Si? Sa. Poi ti... eh... eh abbiamo detto che conviene, a sto punto, per evitare concentrazioni o altro, di metterlo sul prestito titoli. Quindi, rimetteremo in piedi il prestito titoli ... eh... con azioni attaccate. Il prestito titoli, poi, ci serve per far liquidità e per ridurre comunque la raccolta onerosa. E... E proviamo.... E proviamo a ragionare su questa ipotesi qua, dopo foro.." - cfr. doc. 110, pagg. 79). A tale congerie di elementi probatori - taluni dei quali, come s'è detto, del tutto trascurati dal primo giudice, quantomeno con specifico riferimento alla posizione del PE. - si sono poi aggiunte, nel corso del dibattimento di appello, le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI., obiettivamente assai significative (ancorché inspiegabilmente trascurate dalla pubblica accusa, in sede di requisitoria) nella loro obiettiva idoneità ad implementare il compendio probatorio valutato dal tribunale, peraltro già di univoca significazione. Questi, dapprima nel memoriale 30.5.2022 e, successivamente, nel corso della rinnovata escussione dibattimentale nel contraddittorio delle parti, dopo avere evidenziato lo stretto rapporto sussistente tra il PE. e il d.g. So.252 ed avere precisato, altresì, che il medesimo coimputato, da un lato, aveva accesso diretto "ai sistemi informativi" di B., ovverosia alle "tecnologie/strumenti che permettono di tracciare/controllare/consuntivare tutte le operazioni di una banca" e, dall'altro, costituiva l'"interfaccia primaria con Banca d'Italia e Bc." e condivideva le risposte da dare agli Enti regolatori con il collaboratore Fa., ha evidenziato come il responsabile del bilancio, direttamente o per il tramite dei colleghi con i quali più strettamente collaborava, fosse solito partecipare alle riunioni ed ai comitati di direzione, ivi compresi gli incontri nei quali si era affrontato il tema del capitale finanziato, fenomeno del quale, pertanto, il PE. era pienamente consapevole, al pari, del resto, di tutti gli altri componenti dell'alta dirigenza dell'istituto di credito. Al riguardo, non è inutile riportare, preliminarmente, alcuni passaggi dell'esame del predetto GI., là dove costui - peraltro in modo assai efficace - per un verso, ha delineato il contesto operativo nel quale si collocano i fatti sub iudice; per altro verso, ha richiamato le plurime, ma strettamente connesse ragioni all'origine della scelta di ricorrere massicciamente alla concessione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso ancora, ha rimarcato la condivisione della prassi in esame tra i massimi dirigenti della banca, spiegandone le necessarie motivazioni tecniche: "......IMPUTATO GI. - Cerco di essere sintetico. Presidente. Io sono arrivato in Banca a fine 2007 come Responsabile Divisione Mercati e Vice Direttore Generale. I primi comitati crediti del 2008 abbiamo trovato, io e c'era il collega Pa. Ma., delle operazioni baciate, quindi erano già preesistenti in Banca delle operazioni in cui si finanziava il cliente per acquistare azioni della Banca. Personalmente ho avuto anche incontri con Gr. e anche con So., con della clientela del vicentino, che aveva/70 già in atto operazioni baciate, o gli venivano proposte in questi incontri delle operazioni baciate. Quindi partiamo già dal 2007, quando sono arrivato. Erano - dalla mia consapevolezza di quello che stava succedendo in Banca all'epoca, anche perché io ero nuovo - delle operazioni sporadiche. Dopodiché, questo fenomeno e questa prassi si è pian piano ampliata e diffusa, anche perché non poteva essere tenuta ristretta a poche persone, data l'esigenza di cui parlavo prima, no? Quindi di fare molto capitale per acquisire" per incrementare gli impieghi e quant'altro. Quindi, dal 2011-2012, questa prassi si è incrementata, quindi si è necessariamente diffusa su tutta la Banca perché gli obiettivi di capitale aumentavano sempre di più. Quali erano? In parte l'ho detto e lo ripeto, quali erano gli obiettivi finali delle operazioni baciate? Sicuramente il raggiungimento di ratios patrimoniali richiesti dalla Vigilanza; il sostegno al prezzo dell'azione, nel senso che ovviamente, se fosse stato trasparente e chiaro che le richieste di vendita fossero maggiori delle richieste di acquisto da parte dei soci" quel prezzo delle azioni non si poteva tenere. E quindi bisognava andare in Assemblea a dire: "signori, il prezzo non è più 62 e mezzo, è 30". E sarebbe finita l'epoca della Presidenza Zo. perché comunque la Banca doveva in qualche modo chiudere un certo percorso e riaprirne un altro. Quindi sicuramente c'era un tema di prezzo delle azioni, e un terzo macro obiettivo era quello comunque di soddisfare le richieste dei soci per non generare malcontento. Questo terzo macro obiettivo ovviamente in parte si sovrappone con l'esigenza comunque di non diminuire il prezzo detrazione (...........) PRESIDENTE - Se capisco bene, è implicito, mi sembra: il prezzo dell'azione era sopravvalutato? IMPUTATO GI. - Il prezzo dell'azione era molto sopravvalutato, Presidente, Però, anche qui, quello che ci diceva Zo., e lo diceva anche ai soci, che all'inizio degli anni Duemila, quindi stiamo parlando 2002-2004-2005, i moltiplicatori di Borsa delle banche quotate viaggiavano intorno al 2x, cioè: la quotazione in Borsa delle banche arrivava fino a 2 volte il patrimonio, quindi poteva essere 1,5-1,6-1,8, anche 2. E all'epoca - ci diceva Zo. - alla Banca fu proposto di quotarsi e lui decise di non quotarsi - Adesso le altre banche erano - quindi adesso stiamo parlando degli anni dal 2010-2015 - a 0,4-0,6-0,8 il patrimonio, mentre noi eravamo a 1,2-1,3-1,4 - Quindi la giustificazione di tenere così alto il prezzo dell'azione è che, una volta superata la crisi, i moltiplicatori di Borsa potessero tornare ai livelli del 2002-2004, e quindi la nostra Banca, come prima era sottovalutata e adesso sopravvalutata, si sarebbe ritrovata nella media. Però, insomma, ai tempi in cui io ero Vice Direttore Generale, razione della Banca era notevolmente sopravvalutata; tant'è che uscivano articoli di giornale che noi avevamo la capitalizzazione di Borsa come Ba.In., PRESIDENTE - Si è detto anche che venivano indicati degli obiettivi particolarmente "sfidanti", più o meno è stata usata questa espressione: qual era la necessità di indicare questi obiettivi costantemente crescenti, per cui voi avevate anche difficoltà ad assecondare? Così ho capito dalla lettura del verbale di primo grado. IMPUTATO GI. - Presidente, io non ho mai avuto rapporti con chi poi ha periziato le azioni. Però uno dei tasselli che ho appreso fossero fondamentali per sostenere il prezzo delle azioni, e comunque avere dei piani industriali particolarmente ambiziosi, in modo da dimostrare una redditività futura della Banca in linea con quel prezzo. Io so solo che come Vice Direttori Generali ci ritrovavamo degli obiettivi realizzabili, e ogni piano aveva degli obiettivi realizzabili. Quindi questo da quando sono arrivato. E, nonostante questi piani industriali, quindi questi piani strategici, fossero puntualmente smentiti. Quindi si poneva l'asticella a 100, noi, non so, raggiungevamo 70, e il piano successivo andava a 120 come obiettivo, no? Per dire. E quindi ci ritrovavamo nell'impossibilità di poter raggiungere quegli obiettivi, nonostante le indicazioni del piano fossero quelle. PRESIDENTE - Ma gli obiettivi venivano elevati per necessità della Banca oppure per? IMPUTATO GI. - Per tenere alto il prezzo dell'azione. PRESIDENTE - Solo per tenere alto il prezzo? IMPUTATO GI. - Dopodiché, la Banca aveva dei gap, ma erano gap strutturali, nel senso che eravamo una banca d'impiego quando mancava liquidità sul sistema. Siccome la situazione è esattamente l'opposta rispetto a quella che è ora, quindi il costo della raccolta che non veniva in qualche modo fornita dalla clientela si doveva prendere sul mercato dell'ingrosso e costava tantissimo, Quindi questo era un problema strutturale: banca d'impiego che concedeva molti crediti al territorio. Poi avevamo questo problema delle azioni, cioè caricare i portafogli di risparmi dei clienti sulle azioni vuol dire non avere commissioni, e quindi c'era un problema di redditività, c'era un discorso delle baciate, quindi dei tassi sugli impieghi bassi. Quindi anche questo fattore della compagine sociale determinava un problema di redditività. Però, essendo a conoscenza di questi problemi strutturali, la Banca avrebbe dovuto dal mio punto di vista anche tarare gli obiettivi dei piani industriali in linea con questi problemi strutturali. PRESIDENTE - La crisi del mercato secondario e anche lo svuotafondo era un problema conosciuto, diffusamente conosciuto? IMPUTATO GI. - Il problema dello svuotafondo nei primi anni, quindi dal 2007 al 2010, non era un problema critico, era comunque una volontà di So. di chiudere a zero il fondo riacquisto azioni proprie per in qualche modo mostrare che fosse un bravo Direttore Generale. Dico per inciso che c'erano dei grossi dubbi su So. nel territorio all'epoca, quindi che fosse un bravo Direttore Generale e potesse soddisfare in qualche modo anche le comunicazioni positive di Zo. al territorio. Quindi nei primi anni non era un'urgenza, non era una criticità, però si doveva chiudere a zero il fondo riacquisto, anche attraverso operazioni baciate. Per vari motivi, quindi la crisi del mercato, la necessità dei soci di vendere le azioni per liquidare, la volontà comunque di acquistare banche, la volontà di acquistare sportelli: ricordo che con l'ispezione 2012 la Banca d'Italia tolse il vincolo da parte della Banca di non acquistare sportelli, mentre fino al 2012 questo vincolo era ancora vivo. Quindi c'erano velleità di crescita, di espansione, di arrivare a 200.000 soci e 1.000 sportelli, e quindi questa volontà qui in qualche modo non veniva bilanciata da una richiesta di acquisto di azioni da parte dei soci. E ovviamente, siccome il fondo riacquisto azioni proprie impatta sui requisiti patrimoniali, c'è la necessità di svuotarlo per fine anno. PRESIDENTE - Io non penso di dover ripercorrere le sue dichiarazioni in primo grado, e poi lascerò anche spazio alle Parti. Questo è un po' il problema, il fenomeno generale - Adesso volevo passare a un secondo punto, che era quello di dichiarazioni che lei fa nel memoriale e che possono riguardare più specificamente la posizione di terzi. (....) IMPUTATO GI. - Presidente, premetto che non c'è volontà da parte mia, come dire, non voglio fare il male di nessuno, okay? Quindi io voglio solo chiarire quello che succedeva in Banca all'epoca. E sono rimasto molto sorpreso anche dalle dichiarazioni di Zo. e dalle dichiarazioni di Pe. che non sapessero di questo tipo di operatività in Banca. Come dire: era impossibile per me e per la rete commerciale portare avanti questo tipo di operatività senza che tutta la Banca, almeno i vertici della Banca ne fossero a conoscenza, E' impossibile, però se uno riuscisse a immedesimarsi all'interno del contesto della Po.Vi. in quei sette anni, dal 2007 al 2015, avrebbe la piena percezione di come questa possibilità non fosse realizzabile; e cioè, che la rete commerciale, quindi le filiali potessero operare in modo autonomo, riuscendo a nascondere questa operatività al bilancio, riuscendo a. nascondere questa operatività nei confronti di Zo. e del Consiglio di Amministrazione, e portando avanti questa politica di operazioni baciate, senza che emergesse neanche una voce, una sollecitazione, uno stimolo. Quindi, siccome questa ipotesi è stata non solo dichiarata da Zo. e Pe. in primo grado, è stata reiterata negli appelli; mi sono sentito in dovere di dover controbattere a queste affermazioni. Ma io voglio dire, ma al di là di me, lo devo fare per la mia famiglia, per i miei, per le persone che lavoravano con me e per la trasparenza che in qualche modo mi è vicina. Quindi io, ripeto, non voglio essere io ad accusare nessuno, ma le mie responsabilità e le responsabilità della Divisione Mercati si fermano, e me le assumo queste responsabilità, si fermano rispetto a responsabilità di altri che sapevano, condividevano e portavano avanti anche loro un certo tipo di attività, che poi in qualche modo chiudesse il cerchio delle operazioni baciate. Parlo di operazione correlate e baciate, non parlo ovviamente di fondi perché non ne sono a conoscenza. Ovviamente io sono un Imputato condannato, e quindi per poter ribattere a queste affermazioni ho dovuto studiare. Ecco perché questa famosa storia degli hard disk; nel senso che poi sono dovuto andare ad approfondire queste e-mail; e-mail che tra l'altro potevano essere solamente analizzate da me, cioè da qualcuno che in Banca lavorava, perché dall'esterno sarebbe stato molto complicato estrarre da quelle e-mail delle indicazioni di responsabilità o meno. Quindi ho avviato questo percorso di studio e di analisi, non facile perché stiamo parlando di più di 1 milione di e-mail in quegli hard disk. E ci sono tre cose che volevo dire per quanto riguarda il Bilancio e Pe.. La prima cosa, che è incrementale rispetto a quelle che ho detto in primo grado, che comunque andavano già in questa direzione, Presidente: in riunioni di direzione e comitati di direzione non si parlava di baciate. Falso. Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino ai 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni'' Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo/ dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la pareva mia contro la parola di Pe., Quindi ho dovuto cercare dei documenti e degli atti che confermassero queste mie dichiarazioni. Parliamo allora del mercato secondario. Il mercato secondario, ci sono delle analisi, di cui ha parlato anche Fa. l'altro giorno, fatte nel maggio 2014, proseguite ad agosto del 2014, So. mi scrisse a Ferragosto, e portate avanti dopo l'AQR, quindi dopo l'Asset Quality Review, e con un risultato che venne condiviso da So. nel Comitato di Direzione del novembre 2014. Questa successione di analisi - che adesso ovviamente non sto ad aprire documenti magari lo vedremo dopo - dimostra in modo inoppugnabile una gran quantità di soci che avevano degli ammontari importanti di capitale, quindi di azioni, degli ammontari importanti di finanziamenti equivalenti. So. parla di 1 miliardo in un Comitato di Direzione. Probabilmente non è 1 miliardo ma siamo intorno ai 700-800 milioni perché quegli impieghi di cui parla lui appiccicati alle azioni non erano solo operazioni baciate, ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema, Secondo aspetto, Terzo aspetto. Io ho ricordato durante queste analisi che alla fine dell'aumento di capitale 2013 mi incontrai con Ma. per i corridoi della Banca. Era stato addebitato l'aumento di capitale, quindi come funzionava? C'era stato l'aumento di capitale fino ai primi, gli ordini della rete venivano presi fino ai primi di agosto, quindi l'ordine di acquisto, e poi c'era un momento di regolamento, che era un'unica giornata, in cui venivano addebitati i conti, e la liquidità e i risparmi dei correntisti si tramutavano in azioni, Quindi, se uno avesse 10.000 Euro sul conto corrente di risparmi, di depositi, l'addebito di, ad esempio, 5.000 Euro di azioni avrebbe comportato che questo cliente post-addebito avrebbe avuto 5.000 Euro di depositi, di liquidità, sul conto corrente e 5.000 Euro di azioni. Quindi questo cosa comportava? Comportava un decremento della raccolta. Quindi io incontrai Ma., e Ma. mi disset "Ma, Em., ma hai visto come sono saliti gli impieghi con l'addebito?", cioè quante baciate sono state fatte con l'aumento di capitale? Perché ovviamente normalmente dovrebbe accadere che con l'addebito va giù la raccolta. I depositi dei clienti; se invece c'è un incremento degli impieghi, quindi dei crediti, quindi dei finanziamenti, vuol dire che quelle sono operazioni baciate, E mi ricordo questo fatto di Ma. che me lo disse per avvertirmi, per dirmi: "ma ci stiamo rendendo conto?". Allora cosa ho fatto? Sono andato a prendere le e-mail del Controllo di Gestione, quelle che l'Avvocato Mi. ha fatto vedere a Mo. lunedì, in cui sia nei 2013 sia nel 2014 c'è questo fenomeno. Ma stiamo parlando non di poche cose, stiamo parlando, sommando il 2013 e il 2014, di 350 milioni di crescita degli impieghi che, rapportata agli aumenti di capitale, dà una percentuale dell'intorno del 28%, che è più o meno la stessa percentuale che Consob nell'ispezione dice, afferma che fosse stata fatta attraverso baciate. Quindi Consob dice: siamo intorno al 25% di baciate sull'aumento di capitale, qui ci ritroviamo con il 28%, quindi siamo più o meno lì. Quindi questo oggettiva il fatto che tutta la Banca, perché questa e-mail è indirizzata a So. in copia conoscenza, i Vice Direttori Generali, Pe., gli uomini di Pe., la Divisione Mercati, il Risk Management, che tutta la Banca era a conoscenza che il collocamento delle azioni del capitale avvenisse attraverso baciate. PRESIDENTE - E So. si confrontava con qualcuno e con chi per le comunicazioni da indirizzare agli Organi di Vigilanza? IMPUTATO GI. - Io ricordo che tutte le comunicazioni di Vigilanza e comunque di Banca d'Italia in qualche modo poi dovessero arrivare a So. in Segreteria Generale, ex Ispettore Banca d'Italia, che poi le inoltrava alle strutture della Banca deputate. Per quanto riguarda le segnalazioni di vigilanza e l'interlocuzione con Banca d'Italia, la struttura e la divisione principe era quella di Pe.. PRESIDENTE - Lei poi scrive - l'abbiamo sentito già l'altra volta - che c'era una partecipazione di collaboratori di Pe. alle riunioni della Divisione Mercati; questo riguarda Mo. o riguarda anche altre figure? IMPUTATO GI. - Mo. partecipava a tutte le riunioni della Divisione Mercati che si tenevano mensilmente per condividere con fa rete, quindi i capi area e i direttori regionali, i risultati e dettare le linee guida per il mese successivo, quindi le priorità commerciali, non so: insistiamo sui mutui, vanno fatti più conti correnti eccetera eccetera. Mo. partecipava a tutte queste riunioni, perché preparava lui il materiale e le calendarizzava lui, Mo.. E' accaduto che due/tre volte l'anno a queste riunioni della Divisione Mercati potesse partecipare anche Pe., potessero partecipare Pe. Fa. solitamente anche con So., anche in funzione degli obiettivi di budget, quindi per dettare quelli che fossero gli obiettivi di budget condivisi in Consiglio di Amministrazione. PRESIDENTE - Lei ha sentito l'altra volta? Mo. dice: Io sono rimasto stupito nello scoprire l'entità del fenomeno Se ha da dire qualcosa, non necessariamente, IMPUTATO, GI. - No, io quello che dico in queste riunioni della Divisione Mercati si parlava in modo molto chiaro di capitale e di modalità per raggiungerlo e quindi di operazioni baciate - Quindi mi stupisco che Mo. possa aver detto che non se ne parlava all'interno di queste riunioni della Divisione Mercati. Lui parla di "allusioni", non so sinceramente cosa voglia dire: o se ne parlava o non se ne parlava. Io ero lì e se ne parlava. Dopodiché, con quale frequenza? Sempre maggiore con l'andare degli anni e del tempo. In alcuni casi, a chiusura delle riunioni della Divisione Mercati, io mandavo un messaggio a So. per partecipare, perché lui comunque voleva essere sicuro che suoi messaggi fossero i messaggi che poi venivano declinati sulla rete; chiamavo So., So. veniva solitamente con Ca. a chiudere la riunione, e anche lui parlava di capitale e di finanziamenti per raggiungere gli obiettivi di capitale. Tanto premesso, passando ad analizzare più nel dettaglio il contributo dichiarativo fornito dal chiamante in correità con specifico riferimento alla posizione del coimputato PE., osserva questa Corte come esigenze di chiarezza suggeriscano di attenersi all'ordine espositivo adottato nel memoriale, posto che detto documento ha poi costituito la traccia seguita nel corso dell'esame dell'imputato. Ebbene, in detto documento il GI. ha anzitutto evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra il PE. ed il d.g. So. e, a tal fine, ha richiamato alcune evidenze documentali. Trattasi, segnatamente: - dei documenti allegati alla memoria sub 2.2.1, 2.2.2, e 2.2.3 ed inerenti al coinvolgimento della struttura del PE. nella comunicazione degli obiettivi della rete di vendita, obiettivi che - come s'è ripetutamente precisato - erano perseguiti anche attraverso il sistematico ricorso al capitale finanziato; - del documento 2.2.4, costituto da una mail nella quale, rispondendo al vicedirettore Ca. che manifestava la propria contrarietà rispetto al sistema incentivante, il PE. rispondeva in modo netto "ne discuteremo con il direttore", così manifestando, ad avviso del GI., la propria "vicinanza" al d.g.). Quindi, il propalante ha esplicitamente affermato la piena conoscenza, in capo al coimputato, sia della "prassi svuotafondo" e delle ragioni ad essa sottese, sia delle difficoltà, da mantenere nascoste all'esterno, nelle quali si dibatteva il mercato secondario dei titoli B., anche in tal caso richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, specifici supporti documentali e, segnatamente: - quanto al primo profilo, i documenti 2,3.1 e 2,3.2 (costituiti, rispettivamente, dalla richiesta, avanzata dal d.g. So. su elaborazione di Pe., di raggiungere l'obiettivo di Tier 1 pari all'8% a fine 2011 e del documento, predisposto dal Mo., nel quale si monitorava l'attuazione della direttiva del d.g. secondo cui ad ogni delibera di credito avrebbe dovuto essere associata l'acquisizione di un socio, direttiva, peraltro, che implicava necessariamente il blocco delle predette delibere fino all'acquisizione di un nuovo socio); - e, quanto al secondo profilo, il documento 2.3,3 (costituito da una mail inviata, in vista di una riunione con Bc. a Francoforte, dal So. al PE. e contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), nonché dei documenti 2.3.3 bis, 2.3.3, ter (relativi alla predisposizione della risposta ai reclami dei soci, risposta nella quale si adduceva la responsabilità dei ritardi ad un mero mutamento della regolamentazione di riferimento avvenuta nel 2014, quando, al contrario - ha precisato il GI. - era notorio che tali difficoltà derivavano dalla risalente crisi del mercato secondario del titolo B.). Quanto, poi, alle Riunioni di Direzione, il propalante ha affermato come il coimputato PE. fosse solito prendervi parte, personalmente ovvero per il tramite dei suoi stretti collaboratori, Fa. e Mo.. E, a sostegno, ha prodotto i documenti in allegato alla memoria sub 2,4.1, 2.4.2, 2.4.3., 2.4.3 bis, 2.4.4., 2.4.5. relativi anche all'incontro, tenutosi a Roma, nel quale il So. aveva minacciato l'eliminazione delle direzioni regionali se non avessero raggiunto gli obiettivi assegnati, tra i quali i requisiti di capitale, anche attraverso le operazioni finanziate. Passando, quindi, ad analizzare l'intervento del PE. nel corso del più volte citato Comitato di direzione dell'8.11.2011, il GI. ha precisato - del tutto coerentemente, peraltro, con la lettura che di tale momento di "riflessione collettiva" è stata in precedenza proposta - che il coimputato era intervenuto con la funzione di fare da - guida della discussione per far in modo che si raggiungessero gli obiettivi di capitale, anche con finanziamenti correlati" (così si legge a pag. 16 della memoria): era stato in tale veste, infatti, che il responsabile del bilancio aveva assegnato un "obiettivo complessivo, tra Vicenza, Prato e Palermo di 110 mln di euro". Nell'occasione - ha precisato il dichiarante - nessuno aveva contestato che per collocare le azioni sarebbe stato necessario ricorrere anche alle "baciate" (come espressamente evidenziato da To. e da Se., tra i più in difficoltà nel collocamento, visto che nelle zone di loro competenza - la Toscana e la Sicilia - "B. non era conosciuta e non c'era alcun senso di appartenenza da parte del territorio") e, pertanto, il d.g. So. aveva rapidamente tratto le conclusioni, assegnando il monitoraggio di tale collocamento, da effettuare anche attraverso i finanziamenti, "a Fa. (cioè a Pe.)". Di seguito (si vedano le pagg. 16-17 del memoriale), il GI. ha rievocato la partecipazione del Fa. al Comitato di Direzione 10.11.2014 ed ha spiegato il significato del riferimento effettuato dallo stesso dichiarante alla necessità di confrontarsi con Ma.": il tema era quello della necessità di "smontare" le baciate e la proposta dello stesso GI. di fronteggiare la riduzione del capitale abbinato alle baciate attraverso la riduzione degli attivi della Banca, essendo i requisiti patrimoniali una frazione tra numeratore-capitale e denominatore-attivi" avrebbe necessariamente richiesto l'interlocuzione col PE., trattandosi del soggetto che "sapeva come poter tarare gli obiettivi relativi ai requisiti di capitale tra aumenti di capitale, svuotafondo, riduzione degli attivi rischiosi e riduzione dei finanziamenti baciati". Quindi, ha precisato di serbare il ricordo di un momento dì specifico confronto che aveva avuto, sul punto, con il PE.: a margine di una riunione di direzione tenutasi nel secondo semestre 2014, infatti, avevano esplicitamente affrontato tale argomento e, nell'occasione, avevano concordemente convenuto - che l'ammontare di riduzione degli attivi non sarebbe stato sufficiente a colmare il venir meno del capitale dei principali soci della banca". Quindi, nel corso dell'esame innanzi a questa Corte, ha rievocato nuovamente tale episodio. Ebbene, trattasi - com'è evidente - di una ricostruzione assolutamente sovrapponibile a quella già delineata dalle acquisizioni documentali e testimoniali nella disponibilità del primo giudice, ma che, nondimeno, è tutt'altro che irrilevante, provenendo da un diretto protagonista dell'episodio (e, segnatamente, proprio da colui che, nel corso della riunione, aveva evocato il PE.). Inoltre, il GI., da un lato, ha precisato che l'intervento degli esponenti della Divisione Pianificazione e Bilancio nelle riunioni della Divisione Mercati era costante, soggiungendo che costoro ne riportavano gli esiti al loro responsabile, PE. (cfr, pagina 18 del memoriale); e, dall'altro, ha convenuto che i piani industriali B., lungi dall'essere meramente ottimistici, ovverosia "sfidanti e non sempre di facile composizione" (come pure eufemisticamente ammesso dallo stesso CdA in risposta a Banca d'Italia con riferimento al Piano 2012-2014), fossero "irrealizzabili", "utopistici" e, ciononostante, fossero stati costantemente approvati. Questo, per la impellente necessità di "alimentare e sostenere il prezzo dell'azione" e, al contempo, "stressare le strutture commerciali", tenendole continuamente sotto pressione (cfr. pag. 19 del memoriale). E, anche sul punto - è appena il caso di rilevarlo - le affermazioni del propalante collimano con le risultanze istruttorie. Quindi, alle pagine 19-21 del memoriale, il chiamante in correità ha rievocato il coinvolgimento delle strutture dipendenti dal PE. nello studio di fattibilità del progetto del d.g. So. di eliminazione degli "impieghi poco redditizi" (trattasi della valutazione propedeutica alla Riunione del Comitato di Direzione 10.11.2014 di cui s'è detto); studio che, tuttavia, aveva evidenziato l'impraticabilità di tale eliminazione per tutti quegli impieghi costituiti dai finanziamenti concessi a soggetti - intoccabili perché azionisti della Banca" (tra cui il propalante ha specificamente ricordato "El., Ze., It., Za., Ro."): ebbene - ha precisato il GI. - tra le posizioni intoccabili espressamente valutate e riportate nel documento Excel all'uopo predisposto vi erano parti di operazioni correlate caratterizzate dalla corrispondenza tra importo del finanziamento erogato e valore delle azioni B. possedute dal soggetto finanziato (ad esempio "Ma.An., Ol.An., Na.Fa."), sicché il tema del capitale correlato emergeva, da tale studio, in termini dì evidenza. E, a sostegno di ciò, il GI. ha richiamato i documenti allegati al memoriale sub 2.7.1, 2.7.2 e 2.7.2 bis. Ciononostante - ha proseguito il dichiarante - il d.g. So., consapevole che questo fosse uno degli aspetti più problematici, con la collaborazione della "Pianificazione" e del "Risk" aveva continuato a lavorare per far emergere gli impieghi poco redditizi, questa volta anche valutando l'impatto dell'assorbimento di capitale. All'esito di tale approfondimento, era risultato un ammontare pari a circa un miliardo di Euro (come da tabella allegata al memoriale sub 2.7.3.) e, nell'occasione, era emerso, abbinando a tali impieghi il possesso azionario, nominativo per nominativo, che molti di questi impieghi erano correlati all'acquisto di azioni (come da documento allegato sub 2-7.4). Quindi, il GI. ha precisato che la Direzione Pianificazione e Bilancio aveva accesso ai dati relativi alle azioni ed ai finanziamenti (come, peraltro, confermato dal lavoro di studio, testé evocato, effettuato su richiesta del d.g. So.) ed ha richiamato due mail - prodotte in allegato al memoriale, sub 2.8.1 e 2.8.2. - relative all'analisi, "effettuata da Pianificazione/Bilancio", dell'andamento giornaliero della raccolta e degli impieghi alla data di regolamento dell'aumento di capitale 2014. Trattasi - ha precisato il GI. - di documenti attestanti la consapevolezza piena del fenomeno dei finanziamenti correlati con riferimento agli aumenti di capitale 2014 (in particolare, l'allegato 2.8.2. dimostrerebbe che l'Aucap 2014 era stato finanziato dalla banca stessa per l'ammontare di 168 milioni di euro). Quindi, come anticipato, nel corso dell'esame il GI. ha sostanzialmente ribadito quanto anticipato nel memoriale, soffermandosi più diffusamente sulle circostanze di maggior rilievo, specie nel rispondere alle sollecitazioni delle difese dei coimputati (e, per quello che specificamente rileva in questa sede, della difesa del PE.) ed ulteriormente puntualizzando quanto oggetto di "anticipazione scritta" (come nel caso dei periodici incontri per il jogging con i colleghi Fa. ed Es. in occasione dei quali erano ricorrenti i riferimenti alla prassi delle "baciate" in atto presso l'istituto - cfr. esame GI., udienza 15.6.2022, pag. 45). Ebbene, le risposte fornite sono state sempre coerenti con le citate "anticipazioni", non sono emerse contraddizioni e tantomeno il propalante è stato smentito nella interpretazione dei documenti dallo stesso prodotti al di là di talune, inevitabili contestazioni circa le conclusioni desumibili da alcuni di detti documenti. A tale ultimo riguardo, infatti, non può che ribadirsi come l'assenza di esplicita, dati documentali in ordine al capitale finanziato rispondesse ad una precisa direttiva aziendale, sicché non può certo destare sorpresa la circostanza che i documenti valorizzati dal propalante non siano di immediata comprensione (e ciò anche per la natura oltremodo "tecnica" del loro contenuto), ovvero si prestino ad interpretazioni parzialmente differenti. A ben vedere, quello che rileva è che nell'ambito di un pieno ed incondizionato disvelamento delle proprie responsabilità, espressione di un effettivo ripensamento critico maturato da persona soggettivamente attendibile (sul punto si richiamano le considerazioni già spese nel paragrafo 13 della presente sentenza), il GI. abbia delineato - in modo coerente, va ribadito, con le plurime evidenze probatorie logiche, documentali e testimoniali complessivamente disponibili - quale sia stato il ruolo rivestito, tra gli altri, dal coimputato PE., fornendo, in proposito, senza alcuna animosità (e, anzi, in maniera oltremodo pacata e tale da rendere evidente quanto fosse stata sofferta la determinazione alla "collaborazione" progressivamente maturata), il contributo, assai utile per la compiuta comprensione delle dinamiche operative collegiali del board ristretto dell'istituto di credito, proprio di un soggetto coinvolto, ai massimi livelli, nell'operatività delittuosa. In effetti, le pur articolate contestazioni mosse dalla difesa del PE. per contestare attendibilità e concludenza delle propalazioni d'accusa non colgono affatto nel segno. In particolare: - quanto alla obiezione inerente alla portata innovativa (rispetto alle dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado) da riconoscersi esclusivamente in ordine alla ammissione di personale responsabilità del medesimo GI. (cfr. memoria conclusiva difesa PE., paragrafo 4.1, pagg. 42 e ss.), è sufficiente la lettura di quanto riferito dallo stesso chiamante in correità innanzi a questa Corte per convincersi del contrario; - quanto alla contestazione circa la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 4.2.1 della memoria citata), non può che farsi riferimento alle considerazioni già spese al riguardo (anche in relazione alla posizione dei coimputati, segnatamente lo ZO.), tali da fugare qualsivoglia perplessità circa la suddetta ampia consapevolezza (nel settore dei "mercati" - lo si è visto - finanche capillare); - quanto, poi, alla confutazione in ordine al fatto che, in occasione dei Comitati di Direzione, si parlasse di "baciate" (paragrafo 4.32.2. della memoria), vale, ancora una volta, il rinvio alle osservazioni già esposte sul punto; - quanto, ancora, alle dichiarazioni relative ai colloqui "informali" intrattenuti con il Fa. e l'Es. in ordine alle "baciate", le diverse versioni rese da costoro, là dove hanno sostenuto di avere acquisito contezza del fenomeno solo verso la metà del 2015 (paragrafo 4,2.3. della memoria), non appaiono minimamente credibili in quanto evidentemente orientate dalla finalità di stornare qualsivoglia sospetto dalle rispettive persone, nel solco di un contegno che - lo si è già detto - ha trovato ampia diffusione; - quanto alla asserita falsità dell'affermazione che i piani industriali sarebbero stati manipolati per tenere alto il prezzo dell'azione (paragrafo 4.2.4 della memoria), non può che rinviarsi alle riflessioni in precedenza svolte al riguardo (segnatamente in relazione alla posizione del coimputato ZO., sulla base, in particolare, oltre che di considerazioni di natura logica, delle puntuali dichiarazioni, in proposito, del teste Ca.); - quanto, infine, alla contestazione circa i colloqui intercorsi tra il propalante ed il PE. in ordine al volume delle operazioni finanziate (paragrafi 4.2.5 e 4.2.6 della memoria), il rinvio è alle considerazioni che saranno esposte più avanti. Inoltre, la contestazione della significazione dei documenti prodotti dal GI. a sostegno delle proprie dichiarazioni (cfr. capitolo 4.3 della memoria, pagg. 62-84), se può essere condivisa con riferimento a taluni di essi, effettivamente dotati di una generica attitudine probatoria di mero "contesto" (è il caso dei documenti costituenti gli allegati 2.2.1, 2.2.2, 2.2.3, 2.2.4), non può affatto trovare avallo in relazione ad altra parte della produzione del predetto coimputato. Ciò è particolarmente vero con riguardo ai documenti 2.3.1, 2.3.2, e 2.3.3 che, effettivamente, orientano (in linea anche con le considerazioni di carattere logico effettuate in proposito) per il coinvolgimento della struttura facente capo al PE. nel monitoraggio di momenti essenziali della dinamica del capitale finanziato, con la doverosa precisazione, inoltre, che il documento 2.3.3 - ovverosia la mail inviata dal So. al giudicabile in vista della partecipazione di costui alla riunione Bc. a Francoforte, corredata dalla significativa indicazione "non illustrabile" e contenente anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci - costituisce, come si è già detto, elemento obiettivamente connotato da elevata specifica attitudine dimostrativa (al di là di quello che può poi essere stato l'effettivo contenuto della riunione in questione). Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle produzioni 2.3-3. bis e ter in quanto - ad onta, anche in tal caso, delle obiezioni difensive - trattasi di documenti dai quali si trae la rinnovata conferma della conoscenza, in capo all'imputato, della condizione di grave crisi del mercato secondario del titolo B., ovverosia - è bene ripeterlo nuovamente - di un aspetto inscindibilmente connesso al tema del capitale finanziato (del quale - lo si è già visto - l'ingravescente illiquidità del titolo azionario costituiva una delle principali cause). I documenti 2.4.1, 2.4.2., 2.4.3, poi, sono inerenti alla partecipazione dell'imputato e dei suoi collaboratori alle riunioni di direzione (ivi compreso l'incontro di Roma di cui s'è detto e nel quale, anche secondo i testi evocati dalla difesa, il So. si era espresso in modo assai incisivo sul tema del capitale, ancorché detti testimoni non abbiano menzionato espliciti riferimenti, da parte del d.g., alle operazioni correlate), sicché trattasi di dati che comunque corroborano, sia pure in tali termini più generali, la narrazione del propalante. Il documento 2.4.4, e soprattutto, quello 2.4,5 (trattasi di comunicazione in vista del comitato di direzione 10.11.2014), confermano come larga parte dei finanziamenti riguardasse proprio gli azionisti, donde il non trascurabile significato del dato. Ancora, i documenti 2.7.1, 2.7.2, 2.7.2 bis, 2.7.3, 2.7.4. riscontrano l'esistenza di un accurato lavoro, da parte delle strutture della banca (ivi compresa la "pianificazione") sul "margine di interesse", inerente anche ad operazioni rispetto alle quali la coincidenza tra ammontare dei finanziamenti e valore delle azioni possedute era tale da costituire, se non la prova, quantomeno un importante indice di allarme circa la natura finanziata degli acquisiti dei titoli; del resto, la dicitura "operazioni "particolari" contenuta nel documento 2.7.1., tenuto conto del lessico volutamente ambiguo ed allusivo imposto per trattare del "capitale finanziato" all'interno di B., deve evidentemente ritenersi riferita proprio a situazioni del genere (nonostante la contraria affermazione, evocata dal difensore, dell'inattendibile teste Fa.). Il significato di tali dati, quindi, è evidente, nonostante la difesa ne abbia proposto una lettura riduttiva e, soprattutto, "sganciata" dal complessivo contesto di riferimento. Altrettanto significative, infine, sono le produzioni 2.8.1 e 2.8.2 dalle quali, in effetti, si ricava, con riferimento al "contributo" offerto da Ba.Nu., l'incidenza significativa dei finanziamenti sull'esito positivo dell'aucap 2014, sicché - anche in tal caso nonostante le specifiche obiezioni difensive (relative alla minor somma di capitale finanziato poi riscontrato con riferimento alla predetta Ba.Nu. rispetto ai dati evinciteli da tali comunicazioni) - le produzioni effettuate a sostegno delle dichiarazioni del GI. corroborano l'attendibilità della fonte. Infine - è stato già anticipato, ma giova ripeterlo - le propalazioni del GI. hanno trovato piena conferma nelle prove a carico del PE. già acquisite nel corso del giudizio di primo grado, sicché l'esigenza dei riscontri alla chiamata di correo appare, sotto questo profilo, più che soddisfatta. Ciò posto, prima di passare alle conclusioni, si impone una analisi specifica, ancorché sintetica, di quelle evidenze che il primo giudice ha valutato come favorevoli all'imputato e che, diversamente, si rivelano, in quest'ottica, prive di rilievo (se non, addirittura, di segno contrario). E' il caso, anzitutto, delle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., ampiamente richiamate dalla difesa dell'imputato (si vedano, segnatamente, le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2 -3.5, pagg. 18-41 della memoria conclusiva). Ebbene, premesso quanto già ripetutamente esposto in ordine alla difficoltà incontrata (dapprima in sede di indagine e, successivamente, nel corso del giudizio) nell'ottenere dai contributi dichiarativi resi dai partecipi delle strutture di B. coinvolti, con ruoli non marginali, nelle operazioni di "capitale finanziato", informazioni realmente utili per il necessario regolamento di confini in punto di responsabilità individuali, deve osservarsi, quanto alle dichiarazioni del Fa. - là dove costui, come precisato in sentenza, ha riferito che tanto lui stesso quanto il PE. avevano acquisito la conoscenza dell'entità del capitale finanziato solo nel corso dell'ispezione della Bc. del 2015 ed ha precisato che, in precedenza, tale conoscenza era assolutamente generica, poiché derivata dalle sporadiche allusioni a tale fenomeno effettuate in sede di Comitato di Direzione - si è in presenza di affermazioni, alla luce di quanto sin qui detto, del tutto inaffidabili. Il primo giudice, sul punto, ha obliterato ogni valutazione di attendibilità, attendibilità che, per contro, va radicalmente esclusa, essendosi in presenza del collaboratore dell'imputato che, come s'è detto, curava la valutazione degli effetti dell'andamento del fondo sul patrimonio di vigilanza e che, quindi, svolgeva un'attività di assoluto rilievo ai fini del monitoraggio delle implicazioni del capitale finanziato sui requisiti prudenziali. Peraltro, lo stesso Fa., nel corso della rinnovata escussione dibattimentale innanzi a questa Corte, non ha potuto negare che in occasione del comitato "del 14.11.2014" (rectius del 10.11.2014) - ovverosia in una situazione di forte tensione - era stato specificamente affrontato il tema del capitale correlato, sostenendo che tale fenomeno, in precedenza, era tollerato (e, quindi, non certo ignorato) in quanto vera e propria prassi delle popolari. Quanto alla testimonianza resa dal Tr., poi, deve osservarsi che, con riferimento al PE., i passaggi più significativi di detto contributo dichiarativo riguardano, in primo luogo, il fatto che, ad avviso di tale teste, l'imputato mai gli avrebbe rappresentato (espressamente o implicitamente) di essere a conoscenza del fenomeno e, in secondo luogo, la circostanza che il medesimo giudicabile si sarebbe dimostrato sorpreso allorquando gli ispettori ebbero ad illustrare le evidenze emerse In relazione ai fondi At. ed Op., Ebbene, irrilevante la questione dei fondi (rispetto ai quali non è in discussione l'estraneità dell'imputato), trattasi, per il resto, anche a volersi prestar fede ad un testimone, complessivamente, anch'egli poco affidabile (in quanto parimenti partecipe della complessiva vicenda in esame, in qualità di collaboratore dell'odierno imputato, essendo egli responsabile della Ragioneria Generale), di contributo privo di sostanziale portata, com'è evidente alla luce del concreto contenuto di tali dichiarazioni. In relazione alla deposizione del Mo., poi, il tribunale ha evidenziato come costui avesse riferito che, prima della ispezione Bc., vi era consapevolezza bensì dell'esistenza, non già delle dimensioni del fenomeno in esame, soggiungendo, con specifico riferimento alla posizione del PE., che detto imputato era a conoscenza dello slogan di So. secondo il quale era necessario che ogni cliente affidato possedesse azioni B. per un controvalore pari ad almeno il 10%, Ebbene, rispetto a tale deposizione non possono non avanzarsi rilievi critici, in punto di attendibilità, del tutto analoghi a quelli relativi alla deposizione del collega Fa.. Questo, solo a considerare il fatto che il predetto Mo., per le sue funzioni di stretta collaborazione con la Divisione Mercati, alle riunioni mensili della quale partecipava stabilmente, era il soggetto, tra quelli appartenenti alla Divisione diretta dal PE., maggiormente coinvolto dai flussi informativi "informali" relativi alle pressanti iniziative di collocamento dei titoli che coinvolgevano tutta la rete commerciale. Si è in presenza, quindi, di dichiarazione alla quale non può certo attribuirsi particolare significato in chiave difensiva. Peraltro, giova evidenziare come, in sede di rinnovazione istruttoria, tale teste, nel ribadire, comunque, che, sia pure in modo allusivo ed in contesti informali, delle "baciate" si parlava all'interno della banca, abbia anche confermato - e trattasi di elemento tutt'altro che trascurabile, ove si consideri debitamente la più volte evocata "dimensione sistemica" del fenomeno in questione - le significative tensioni riscontrabili sul mercato secondario del titolo a partire dall'anno 2012. Infine, quanto al teste Li., costui ha sostenuto che il PE., all'inizio dell'ispezione, gli aveva riferito, peraltro esprimendosi in termini di mera probabilità, di essere a conoscenza di un ammontare del capitale finanziato non superiore a quello del fondo acquisto azioni proprie e, dunque, nei limiti dei 200 milioni. Ebbene, a parte il fatto che si tratterebbe di un importo comunque assai consistente (corrispondendo quasi alla consistenza massima del fondo azioni proprie nella fase precedente rispetto alla successiva riduzione prevista normativamente), tale da incidere significativamente sui requisiti di vigilanza, è decisivo osservare che l'interlocuzione tra i due si colloca in una fase di crisi oramai manifesta, quando tutti ragionevolmente miravano ad escludere (o, quantomeno, a ridimensionare) l'apporto da ciascuno fornito alla attuazione della prassi del capitale finanziato (si pensi alla già evocata distruzione, da parte di Am., dei documenti che potevano comprometterlo). Non v'è chi non veda, pertanto, come si sia in presenza di una deposizione priva di reale consistenza favorevole. In effetti, l'imputato (al pari dei suoi più stretti collaboratori, donde - va ribadito ancora una volta - la scarsa attendibilità delle dichiarazioni di costoro) aveva tutto l'interesse, in ottica autodifensiva, ad apparire all'oscuro quantomeno delle dimensioni del fenomeno in esame, onde avvalorare la tesi della propria estraneità ai fatti, o, comunque, di un coinvolgimento del tutto marginale. Venendo, quindi, alla disclosure relativa ai fondi At. ed Op., verificatasi nel giugno del 2014, coglie nel segno la censura articolata, sul punto, nell'atto di impugnazione del p.m.: non solo si è trattato di condotta doverosa (in quanto conseguente ad uno specifico obbligo); ma - e trattasi di considerazione, sul punto, davvero dirimente - è decisivo osservare come un differente contegno avrebbe comportato effetti ancora più pregiudizievoli per la banca, la quale si sarebbe vista costretta a detrarre dal patrimonio di vigilanza l'intero ammontare dell'investimento effettuato nei fondi lussemburghesi, pari a circa 350 milioni dì Euro, a fronte di una detenzione di azioni ammontante ad un valore di circa 50 milioni di euro259. L'irrilevanza di tale elemento, quindi, è tanto evidente da non richiedere ulteriori commenti. Considerazioni più articolate si impongono, invece, con riferimento alla "vicenda Kp.", alla quale il primo giudice, in relazione all'imputato, ha dedicato le osservazioni contenute alle pagg. 746-748 della sentenza impugnata. In estrema sintesi, il tribunale ha interpretato la condotta tenuta dal PE. in quel delicato frangente come insuscettibile di univoca interpretazione, al contempo riconoscendo come più probabile una lettura del complessivo contegno del giudicabile come sintomatico di mancata conoscenza dell'entità effettiva del capitale finanziato. Si ricorda che il PE., secondo la teste Pa., le aveva bensì chiesto un "parere legale", ma senza affatto suggerirle di attestare la legittimità delle operazioni di finanziamento per l'acquisto delle azioni cadute sotto la lente della società di revisione; quindi, in occasione della successiva riunione, allorquando il Pi., alla proposta della medesima Pa. di avviare "un audit", aveva reagito proferendo la frase "Ma sei matta! Un Audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa", ed anche il So. aveva dato in escandescenze, era rimasto calmo, dando così mostra di non essere allineato agli altri vertici aziendali. Trattasi, ad avviso di questa Corte, di una lettura delle emergenze processuali disponibili davvero poco persuasiva e, anzi, a ben vedere, frutto di un marcato travisamento della prova. Ed invero, tralasciando quanto sin qui detto in ordine alle prove positive (dirette ed indirette, logiche, testimoniali e documentali) inerenti alla conoscenza effettiva dell'esistenza e della entità eclatante del capitale finanziato in capo al PE. e limitando l'analisi alla vicenda in esame (ed agli accadimenti ad essa immediatamente precedenti), non può non rilevarsi quanto segue. La società Kp. era impegnata nella revisione del bilancio 2014 e, in tale contesto operativo, si era determinata ad effettuare laboriosi approfondimenti, peraltro mai svolti in occasione delle analoghe attività espletate negli anni precedenti, approfondimenti che, a seguito dì appositi "incroci informatici" dei dati disponibili negli archivi dell'istituto, avevano portato all'emersione di alcune (17) "posizioni correlate", attinenti non solo all'aumento di capitale ma anche alle operazioni di acquisto azioni effettuate nel corso del medesimo anno. Con ogni probabilità (sebbene talune incertezze, sul punto, non siano state del tutto dissolte dall'istruttoria dibattimentale) ad orientare in tal senso l'attività di revisione erano stati significativi "campanelli d'allarme" che non potevano essere ignorati. In ogni caso, le evidenze emerse nell'occasione - ciò va precisato per il rilievo che tale circostanza è destinata ad assumere ai fini del dovuto apprezzamento della serietà di quanto andava emergendo - erano il frutto di verifiche eseguite su un mero campione e, quindi, erano del tutto prive di valore statistico (sicché era assai probabile che - come poi puntualmente avvenuto - una più analitica disamina avrebbe potuto portare alla luce una situazione assai più compromessa). Ebbene, all'emersione di tali evidenze aveva fatto seguito, su input della società di revisione, interessata ad acquisire il "punto di vista" della banca su tali evidenze di "correlazione", il coinvolgimento del PE. (immediatamente informato da Vi.An., di Kp., del problema che andava emergendo) e, per il tramite dello stesso imputato, del d.g. So., dell'ufficio legale di B. (nella persona della Pa.) e, infine, dello stesso Collegio Sindacale. A questo punto, gli eventi si erano succeduti freneticamente: la Pa., a fronte delle plurime richieste di parere (secondo la teste, anche il d.g. So. si era attivato in tal senso) e dopo essersi consultata con l'avv. Te. (alla presenza dello stesso PE.), aveva rifiutato di attestare la regolarità di quanto stava venendo alla luce, sostenendo trattarsi di prassi in contrasto con l'art. 2358 c.c., per poi ribadire tale decisione anche nella "famosa" riunione con il d.g. So. e gli imputati PI. e PE.. Si tratta proprio dell'incontro in occasione del quale, come efficacemente rievocato dalla teste, il So., si era "arrabbiato tantissimo", l'aveva aggredita verbalmente e l'aveva finanche minacciata di licenziamento (affermando espressamente che "si sarebbe trovato un altro avvocato") ed il PI., dal canto suo, alla proposta della stessa Pa. di svolgere un approfondimento Audit, aveva replicato "Ma sei impazzita? Sei matta? Se facciamo un Audit andiamo tutti a casa"263. Ciononostante, era stata alla fine trovata una sorta di soluzione di compromesso che, elaborata, con l'ausilio dell'avv. Te., dalla Pa., dal PE. e dal GI. (anche se poi riversata in un documento sottoscritto solo da quest'ultimo), aveva soddisfatto le esigenze di Kp., sicché la società di revisione si era determinata a certificare il bilancio. Sennonché, deve osservarsi che, nella risposta fornita da B., la banca si era limitata a fornire l'assicurazione che l'istituto, nell'erogazione dei finanziamenti, aveva sempre rigorosamente verificato il merito creditizio dei soggetti affidati (profilo, questo, com'è evidente, del tutto marginale rispetto al nucleo essenziale del problema della correlazione), per il resto sostanzialmente limitandosi a comunicare che avrebbe avviato "ogni opportuno approfondimento volto a verificare nei tempi tecnici necessari se vi siano casi in cui all'apparente contestualità dell'operazione corrispondano comportamenti irregolari", approfondimento il cui esito sarebbe stato "sottoposto agli organi competenti" ed informando la stessa società che avrebbe avuto "accesso alla relativa documentazione". In tal senso ricostruita la successione degli eventi, emerge platealmente l'insostenibilità della interpretazione della condotta del PE.. Ad ammettere che il giudicabile fosse stato all'oscuro della reale dimensione del fenomeno, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che il predetto, di fronte alla eclatante reazione del PI. per effetto di una richiesta (quella di un approfondimento "audit") del tutto ragionevole, si sarebbe per primo dovuto allarmare, ben più della collega Pa., Questo, solo a considerare le gravissime prospettive che iniziavano a delinearsi non solo per l'istituto di credito ma per la stessa persona dell'imputato, tenuto conto del ruolo dal predetto rivestito di responsabile del bilancio e delle comunicazioni alla vigilanza. La condotta scomposta del So. e del PI., invero, rivelava chiaramente, ove mai ve ne fosse stato bisogno, agli occhi di un esperto dirigente quale PE., tutt'altro che incapace di cogliere la gravità dei fatti, che le posizioni irregolari incappate nella verifica della società di revisione ragionevolmente erano solo una minima frazione di un ben più vasto e radicato fenomeno, con la conseguenza della assoluta inattendibilità dei bilanci e delle comunicazioni predisposte dallo stesso PE., in questa prospettiva evidentemente vittima di un gravissimo, coordinato e risalente inganno ad opera degli altri più alti dirigenti e delle strutture della banca coinvolte in tale operatività. In un siffatto scenario, quindi, la reazione controllata dell'imputato nel corso dell'incontro non trova davvero alcuna plausibile giustificazione, al pari, del resto, del successivo tentativo del giudicabile di tranquillizzare la Pa. (la quale ipotizzava persino di dimettersi) durante il viaggio di ritorno, minimizzando la serietà di quanto andava emergendo. Ma v'è di più. Come s'è visto, quando ebbe a verificarsi la "vicenda Kp." (siamo nella prima metà di marzo 2015) aveva da poco avuto luogo la riunione indetta dal So. in vista dell'ispezione Bc., riunione in occasione della quale il "responsabile Audit" Bo., richiamando la propria relazione datata 4.9.2014, aveva manifestato serie preoccupazioni per l'entità del fenomeno del capitale finanziato quale sino ad allora accertato. E, come s'è detto, il PE. aveva preso parte a tale riunione (o, comunque, è assolutamente ragionevole ritenere che di quanto emerso in quella sede fosse stato prontamente informato). Sicché, anche sotto tale profilo, la condotta pacata e rassicurante tenuta dall'imputato al cospetto della Pa. risulta ancor più difficilmente leggibile come espressione di estraneità rispetto al resto dell'alta dirigenza della banca (e, in particolare, rispetto al So. ed al PI.). Assai più probabile - ad avviso di questa Corte - è che l'imputato abbia assunto detto contegno per contribuire, in tal guisa, a non recidere definitivamente i contatti con la Pa., mirando, d'intesa con il So. (o, comunque, interpretando in tal senso gli intendimenti di quest'ultimo), ad indirizzare l'operato della collega verso approdi il meno pregiudizievoli possibile per l'istituto di credito (ovviamente nell'ottica degli imputati). E, in effetti, alla fine, le cose erano andate proprio nel senso auspicato, posto che era stata trovata una "soluzione di compromesso", ove si consideri che la missiva inviata a Kp. (predisposta, oltre che dalla Pa., dall'avv. Te. e dal coimputato GI., anche dallo stesso PE., ancorché significativamente sottoscritta, come s'è detto, dal solo GI., la posizione del quale, evidentemente, già era considerata quella meno difendibile) si limitava a rappresentare l'impegno dell'istituto di credito a svolgere gli approfondimenti necessari per chiarire le posizioni segnalate. Ne consegue che la interpretazione della vicenda Kp. adottata dal primo giudice (sostanzialmente adesiva rispetto alla lettura fattane dalla difesa del PE. ed esplicitata al paragrafo 4.4, della memoria difensiva, pagg. 65-75), è nettamente contraddetta dalla razionale lettura delle esposte emergenze dibattimentali. Infine, in ordine all'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014, vale osservare come, se è vero che l'imputato, nell'occasione, ebbe a svolgere osservazioni critiche, ciò non contrasta affatto con il coinvolgimento del medesimo nell'attività delittuosa. Infatti, è di certo verosimile che il predetto, evidentemente consapevole del baratro nel quale l'istituto di credito stava precipitando, ritenesse opportuno "frenare" la deriva circa la sopravvalutazione del prezzo dell'azione e mirasse, quantomeno, ad un "congelamento" della situazione. E, a ben vedere, ponendosi in questa prospettiva, la circostanza in esame finisce per assume un significato opposto a quello assegnatole dal primo giudice. Del resto, anche il GI. - come s'è detto - si sarebbe fatto proponente, in occasione del Comitato di Direzione di appena pochi mesi dopo, di una soluzione drastica (e risultata, alla stregua delle stesse dichiarazioni di costui, impercorribile) per smontare le "baciate", anche a costo di un radicale ridimensionamento dell'istituto. Nondimeno, nessuna dissociazione del predetto PE. (al pari, del resto, del coimputato GI.), ha avuto successivamente luogo. Per contro, come evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, è emerso che PE. ha più volte ammesso, secondo quanto precisato dal teste Ca., come l'elaborazione di piani industriali irrealistici costituisse il contributo offerto dallo stesso imputato - significativamente definito dal teste, proprio con riferimento alla elaborazione dei piani in questione, il "braccio armato" del d.g. So. - per sostenere surrettiziamente il prezzo dell'azione. Sicché, anche sul punto, ha obiettivamente errato il primo giudice nel riconoscere portata favorevole all'imputato a tale circostanza. Deve, allora, necessariamente concludersi nel senso che tutti gli elementi significativi disponibili (tanto di natura logica, quanto documentale, quanto, ancora, dichiarativa) convergono - ove interpretati nella loro univoca, razionale significazione e debitamente sottoposti a complessiva lettura - nel collocare il PE. all'interno di quella struttura di vertice del management aziendale che non solo era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e della sua eclatante portata, ma che aveva fattivamente cooperato, secondo le capacità e nell'ambito delle "competenze" proprie di ciascun alto dirigente, affinché tale prassi potesse trovare, al contempo, concreta attuazione nell'operatività interna di B. ed adeguata copertura "esterna" (segnatamente, nei confronti della vigilanza). Può certamente essere vero che il PE. non avesse costantemente la precisa cognizione delle esatte (e costantemente variabili) dimensioni del fenomeno, posto, per un verso, che il relativo monitoraggio veniva curato, come detto, dal Fa. e, per altro verso, che il Mo. (il quale - come s'è detto - partecipava alle riunioni periodiche della Divisione Mercati, ove - lo si è visto - la questione era spesso trattata) godeva di un significativo grado di autonomia e considerato, in ogni caso, che il contributo fornito (tramite il predetto Fa.) dalla Divisione Bilancio era quello di un vaglio, necessariamente periodico, finalizzato al tema specifico delle ricadute sul patrimonio di vigilanza (mentre, come ha ricordato il teste Ba., il monitoraggio sulle singole operazioni era effettuato dalla Divisione Mercati e dall'ufficio soci, secondo le rispettive competenze). Lo stesso imputato, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria, ha precisato come non avesse interesse ad avere informazioni specifiche sulla movimentazione mensile del fondo azioni proprie, trattandosi di dato che assumeva concreto rilievo ("entrava nei radar") verso il mese di settembre, quando diveniva significativo ai fini delle valutazioni di competenza della Divisione267. In questa prospettiva, peraltro, trovano agevole spiegazione le interlocuzioni del giudicabile con il GI. (secondo quanto da quest'ultimo riferito, ma decisamente negato dall'imputato268), allorquando, all'esito di vari Comitati di Direzione, il primo aveva interpellato il secondo sull'ammontare delle correlate, ottenendo dal coimputato l'aggiornamento dell'entità delle operazioni riconducibili allo stesso interlocutore ("...Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino al 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni" Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la parola mia contro la parola di Pe. ..."). E' bensì vero che l'imputato ha negato tali ripetute interlocuzioni, riferendo unicamente di una richiesta, da lui rivolta al GI., circa l'entità del capitale finanziato, richiesta che, peraltro, il giudicabile ha collocato nel marzo del 2015, dopo la vicenda Kp.269 (ovverosia in un'epoca nella quale l'evento in questione è destinato ad assumere, in chiave accusatoria, assai minore significato). Trattasi, tuttavia, di contestazione che si scontra con la precisione della chiamata di correo, peraltro complessivamente assistita dalle evidenze probatorie di cui s'è detto. Aggiungasi che vi era anche un comprensibile interesse dello stesso giudicabile a non "compromettersi" eccessivamente, per scongiurare eventuali future contestazioni, potendo egli fare affidamento, in relazione al monitoraggio delle ricadute del capitale finanziato sui requisiti del patrimonio di vigilanza, sulla collaborazione del Fa.. Trattasi, peraltro, di uria lettura del comportamento del PE. siccome improntata a cautela del tutto coerente con il quadro complessivo disvelato dall'istruttoria (caratterizzato, nel corso dell'operatività illecita, dall'adozione di prassi di occultamento del fenomeno in esame; quindi, successivamente al disvelamento di detta operatività, dal tentativo, da parte dei soggetti a diverso titolo in essa coinvolti, di "sfilarsi" da ogni coinvolgimento). Sennonché, come s'è visto, la conoscenza di tale fenomeno in capo all'imputato non era affatto vaga, bensì sufficientemente precisa circa l'entità comunque rilevante dei valori in gioco e, quando ve n'è stato bisogno, costui ha fornito significativi contributi tali da rivelare il suo dominio informativo della prassi delle "correlate". Le contrarie dichiarazioni rese dal PE., là dove il giudicabile, anche da ultimo, ha negato di avere avuto contezza del capitale finanziato prima del marzo 2015, individuando nell'esito della verifica espletata da Kp. il momento a partire dal quale aveva appreso di tale prassi (cfr. esame PE., ud. 8.7.2022, pag. 82), infatti, risultano chiaramente smentite dalle evidenze probatorie esposte e palesemente ispirate da intenti difensivi. Così come del tutto inverosimili si palesano le affermazioni secondo le quali il predetto non avrebbe avuto sentore delle gravissime difficoltà nelle quali versava il mercato secondario delle azioni B. sin dal 2011, avendo egli persino tentato di accreditare la tesi secondo la quale, finanche negli anni successivi al 2011, si sarebbe stati in presenza di una normale "ciclicità" della dinamica dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie, essenzialmente spiegabile in termini di convenienza finanziaria (convenienza, a suo giudizio, rappresentata dal vantaggio di acquistare azioni B. a fine anno, prima del c.d. blocking period, per poi rivenderle nel volgere di pochi mesi, dopo avere riscosso i dividendi e fruito dei vantaggi conseguenti all'aumento di valore dell'azione siccome annualmente deliberato dal CdA). Sul punto, infatti, affermazioni del PE., sebbene, ove analizzate sul piano della astratta razionalità economica, siano fondate (e, probabilmente, siano anche aderenti alle dinamiche dell'andamento degli acquisti dei titoli B. nel periodo ante crisi), qualora, invece, doverosamente rapportate alla concretezza del caso sub iudice finiscono per rasentare la temerarietà. Questo, solo a considerare: - da un lato, che l'ultimo anno nel quale erano stati pagati i dividendi (peraltro in azioni) era stato proprio il 2011; che il valore dell'azione dall'anno 2010 non era più cresciuto; e, infine, che il bilancio della Banca si era chiuso con perdite, nel 2013, di 28 milioni e, nel 2014, di ben 758 milioni; - e, dall'altro lato, che il documento n. 166 in precedenza evocato, ancorché riferibile al primo semestre dell'anno 2011, attestava uno squilibrio tra richieste di vendita e di acquisto del titolo tanto eclatante da non poter non destare seria preoccupazione in un dirigente esperto quale l'imputato. Trattasi, peraltro, di spiegazione che davvero mal si concilia con quanto riferito dallo stesso PE. in differenti passaggi del proprio esame, tanto là dove costui ha sostenuto che le difficoltà di svuotamento del fondo, pure non gravi, richiedevano comunque un impegno importante della rete, tale da generare un'"area grigia" (anche se poi ha individuato le criticità come inerenti essenzialmente a probabili violazioni della disciplina MIFID) e, nel rievocare la predisposizione della lettera di risposta a Banca d'Italia del 4.11.2014, ha ricordato che si trattava di difficoltà note; quanto nella parte in cui, nel corso del giudizio di primo grado, ha ammesso come, in occasione di plurime riunioni di Comitato, fossero state ricorrenti le richieste di spiegazioni rivolte al GI. in ordine alle ragioni per le quali lo svuotamento del fondo azioni proprie procedesse a rilento. Del resto, era pacificamente prevedibile che le operazioni di aumento di capitale deliberate negli anni 2013 e 2014 provocassero (come peraltro precisato dallo stesso PE.) un contraccolpo negativo sull'andamento del mercato secondario del titolo B., avendo l'effetto indiretto di ridurre ulteriormente la platea dei potenziali acquirenti delle azioni della banca (trattandosi di investitori già ragionevolmente interessati dal collocamento dell'azione sul mercato primario), circostanza che, unitamente alla drastica riduzione (da 240 milioni a 60 milioni) dell'entità del fondo intervenuta nel 2014, contribuiva a creare le condizioni di una "tempesta perfetta". Anzi, non può non rilevarsi come l'inconsistenza di tali dichiarazioni, qualora letta congiuntamente alla sostanziale assenza di spiegazioni in ordine ad elementi probatori di indubbio rilievo (intende farsi riferimento, in particolare, al documento 2.3.3, allegato alla memoria del GI., contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), finisca, a sua volta, per costituire un ulteriore, sia pure indiretto, significativo elemento di prova a carico. Di qui la conclusione circa la prova della conoscenza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e dell'entità significativa del "capitale finanziato" (con conseguente irrilevanza delle considerazioni difensive in ordine "ai controsegnali" che avrebbero rassicurato l'imputato circa l'assenza di irregolarità di sorta negli acquisti dei titoli di B.). 15.2.2. Il concorso del Pe. nell'operatività delittuosa Le considerazioni testé svolte, quindi, orientano univocamente nel senso del coinvolgimento del PE. nella attività delittuosa. Sul punto, tuttavia, sono indispensabili le seguenti precisazioni. Il capo di imputazione addebita all'imputato di avere contribuito "attivamente" alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Dal canto suo, la difesa del giudicabile non ha mancato di osservare, in senso contrario, come ì rimproveri astrattamente addebitabili al PE. si sarebbero potuti in teoria risolvere unicamente "in presunti contributi di tipo omissivo non tanto per non avere impedito che altri realizzassero condotte illecite" - non essendo ravvisabile, ad avviso della stessa difesa, a carico del dirigente preposto e, tantomeno, del responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", alcuna "posizione di garanzia277 - piuttosto "per non avere dato atto" nei documenti espressione della sua funzione (bilanci, dati contabili destinati alle Autorità di vigilanza, ecc.) dell'esistenza di capitale finanziato..". Trattasi, a ben vedere, di questione che, ove doverosamente esaminata attraverso il prisma della concreta, peculiare dinamica dell'attività delittuosa siccome disvelata dai complessivi esiti dell'istruttoria, appare priva di reale consistenza. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il ruolo rivestito dall'imputato all'interno della compagine di B. - e, segnatamente, l'incarico affidatogli di dirigente preposto - implicava necessariamente l'attribuzione, in capo al predetto, di una posizione di garanzia, ancorché il tribunale abbia affermato il contrario. In effetti, appare davvero arduo sostenere che non gravassero sull'imputato, una volta provatane - come si ritiene di avere fatto - la piena conoscenza del sistematico ricorso al capitale finanziato per valori complessivamente eclatanti, precisi doveri di intervento. A meno che non si voglia relegare - contro lo spirito e, come si vedrà, la stessa lettera della legge - il ruolo del dirigente preposto in ambiti meramente formali, infatti, è giocoforza concludere come, in una situazione quale quella in atto, da anni, presso l'istituto di credito vicentino, sul dirigente preposto incombessero specifici obblighi di intervento (eventualmente previo approfondimento della questione in esame) e, in ultima analisi, di franca dissociazione da una prassi tanto marcatamente irregolare. A fronte, per un verso, della conoscenza di un così diffuso ricorso al capitale finanziato (tale da alterare il valore dell'azione e, comunque, da indurre in errore ì terzi circa la solidità della banca berica) e delle ragioni all'origine di tale prassi, vitali per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito; e, per altro verso, della consapevolezza circa la doverosità dell'obbligo di decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni dell'istituto, ipotizzare che l'imputato potesse rimanere inerte, limitandosi ad elaborare i flussi informativi "ufficiali", della radicale inattendibilità dei quali era ben cosciente, senza incorrere in alcuna responsabilità, anche di natura penale, costituisce prospettazione del tutto irragionevole, prima ancora che giuridicamente infondata. In ogni caso, sotto tale secondo aspetto, va rimarcato che le funzioni ricoperte dal PE., tanto con riferimento alla direzione della "Divisione Bilancio" quanto al ruolo di "dirigente preposto", implicavano obblighi ben precisi. In particolare, l'art. 154 bis, co. 5, TUF, prevedeva l'idoneità dei documenti e delle procedure adottate dall'istituto a fornire una rappresentazione veritiera e corretta circa la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E' bensì vero che tale veridicità doveva intendersi limitata, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.L.vo 303/06 che ha eliminato il riferimento alla "corrispondenza al vero", alla attestazione della corrispondenza dei dati comunicati con quelli risultanti dalla contabilizzazione interna; tuttavia, non pare francamente sostenibile che la conoscenza, aliunde acquisita, di una tanto marcata inattendibilità dei dati provenienti dai "flussi informativi" ufficiali potesse consentire l'apposizione di un "timbro" di conformità, senza imporre al dirigente preposto di attivarsi quantomeno per un approfondimento in proposito. In ogni caso, è dirimente osservare che sul dirigente preposto incombevano, ex art. 154 bis, co. 3, 5 lett. a), TUF, specifici doveri di controllo (anche in ordine alla adeguatezza delle procedure adottate dall'istituto di credito per la formazione dei documenti contabili e, quindi, anche alla idoneità di dette procedure ad "intercettare" adeguatamente fenomeni, aventi implicazioni contabili, altrimenti non rilevabili), ancorché all'imputato, nello specifico, fosse consentito assolverli avvalendosi della collaborazione di altre strutture della banca (segnatamente, l'Audit, in ragione di accordi organizzativi interni, come del resto precisato dallo stesso PE.279 ed evidenziato nella "consulenza Pa."). Ne consegue che, in presenza di una eclatante dimostrazione dell'inadeguatezza delle procedure interne ad intercettare un fenomeno tanto marcato, non può esservi alcun dubbio che sull'imputato gravasse un obbligo di intervento. Donde l'insostenibilità di un atteggiamento di "indifferenza" rispetto al contenuto delle comunicazioni rivolte all'esterno. Sotto tale profilo, pertanto, vi sarebbero i presupposti tutti per ravvisare gli estremi dell'elemento materiale del concorso omissivo, ex art. 40 cpv. c.p.. In siffatta prospettiva, invero, sarebbe l'inerzia a fronte della piena conoscenza dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato e delle sue gravissime implicazioni sul patrimonio di vigilanza della banca a legittimare l'addebito della responsabilità omissiva, senza alcuna necessità di dilatare la posizione di garanzia riconducibile al ruolo di dirigente preposto sino al punto di ricomprendervi (del tutto erroneamente, alla stregua della modifica normativa intervenuta con riferimento alla disposizione testé evocata del testo unico) la responsabilità per la veridicità sostanziale dei dati contabili. Sennonché, come si diceva, la questione assume, nella concretezza del caso in esame, ben scarso rilievo. Ed infatti: - per un verso, i complessivi esiti dell'istruttoria dibattimentale, come anche implementata nel corso del giudizio di appello (alla stregua, in particolare, delle dichiarazioni del coimputato GI.), hanno restituito i lineamenti di un effettivo concerto tra tutti i manager apicali dell'istituto di credito in ordine al sistematico ricorso al capitale finanziato quale strumento per assicurare la liquidità del titolo della banca, preservarne (l'apparente) valore e, al contempo, proseguire nella politica di espansione territoriale tenacemente perseguita dalla presidenza ZO., politica che, ove accantonata, avrebbe necessariamente significato, come efficacemente chiarito dal medesimo GI., la rinunzia, da parte dello stesso ZO., alla guida dell'istituto di credito - Si è trattato, a tutti gli effetti, di un accordo intervenuto nei fatti, senza, pertanto, che si fosse resa necessaria una specifica decisione assunta in occasione di una apposita riunione (e, tantomeno, la sua formalizzazione in un documento ufficiale). In definitiva, si è sostanzialmente verificata, a partire dagli anni 2011-2012, la progressiva implementazione di una più risalente operatività, adottata quando ancora non vi erano problemi di liquidità delle azioni ma si era soliti ricorrere a questo "sistema" per svuotare il fondo a fine anno c. in tal guisa, dare prova, da parte del più alto management di efficienza gestionale. Come s'è avuto modo di apprendere dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, infatti, le crescenti difficoltà nel ricollocare le azioni dell'istituto, oggetto di sempre maggiori richieste di vendita a partire dal 2011; la connessa esigenza di sostenere il valore del titolo; e, infine, la conseguente necessità di reperire capitale per rispettare i ratios patrimoniali, hanno spinto i vertici della banca a ricorrere sistematicamente al finanziamento dell'acquisto dei titoli, dando così vita ad una spirale perversa e, di fatto, insuscettibile di interruzione, originando una prassi divenuta addirittura essenziale per la stessa sopravvivenza della banca (specie allorquando, per effetto delle normativa europea, l'ammontare del fondo azioni proprie era stato drasticamente ridimensionato); - e, per altro verso, all'artificioso, massiccio sostegno della domanda di titoli divenuti illiquidi attraverso l'erogazione di appositi finanziamenti ed al successivo, sistematico occultamento di tale pratica ha contribuito anche la struttura diretta dall'imputato, tanto con l'esecuzione dell'indispensabile monitoraggio del "capitale finanziato" e con la conseguente, essenziale simulazione delle previsioni di ricaduta sul piano dei ratios patrimoniali, quanto con la successiva, consequenziale dissimulazione di tale fenomeno in occasione delle periodiche comunicazioni alla vigilanza. Tutto ciò ha avuto luogo con il consapevole, fattivo coinvolgimento anche del PE.. In un siffatto contesto, lo specifico apporto fornito dal predetto all'operatività delittuosa in esame è stato segnatamente rappresentato da condotte caratterizzate da profili non solo meramente "omissivi" (con riferimento, ad esempio, al mancato adeguamento delle procedure di contabilizzazione delle operazioni di capitale finanziato ed alla omissione della predisposizione di adeguati controlli sul punto nonché della successiva verifica della relativa efficacia, carenze, comunque, specificamente imputabili alla sua responsabilità di dirigente preposto), ma anche - e soprattutto - marcatamente attivi, avendo egli predisposto le false comunicazioni ripetutamente inviate alla vigilanza e fornito i dati contabili poi confluiti nelle comunicazioni al pubblico che radicano gli addebiti di aggiotaggio informativo e di falso in prospetto e, comunque - giova ripeterlo - avendo il predetto coordinato l'azione di una divisione chiamata (specie con l'agire del collaboratore Fa. ma, come si è visto, anche mediante il personale intervento dello stesso giudicabile) a cooperare al fenomeno in esame in sede di "monitoraggio" del capitale finanziario. Nella concretezza della vicenda sub iudice, quindi, le diverse condotte fattive ed omissive) nelle quali si è tradotto il contributo fornito dal giudicabile al fenomeno del capitale finanziato, già difficilmente "separabili" sul piano della mera astrattezza, finiscono per "saldarsi" in un contegno necessariamente unitario, smentendo, quindi, quell'alternativa secca tra azioni ed omissioni prospettata dalla difesa. Di qui la sussistenza dei presupposti tutti per ravvisare, nell'agire del predetto PE., gli estremi del concorso (attivo) nell'operatività delittuosa, senza, pertanto, alcuna reale necessità di valorizzare la posizione di garanzia pure sussistente, per quanto detto in proposito, in capo al giudicabile, posto che, con riferimento all'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, sono sufficienti le seguenti considerazioni, davvero stringate. Si è già detto, infatti, che l'affermazione della penale responsabilità del compartecipe non richiede affatto il previo, comune concerto dell'attività delittuosa, essendo sufficiente che l'imputato sia stato consapevole di agire in comunione di intenti con i correi, conoscendone, quantomeno a grandi linee, i singoli ruoli (cfr. ex plurimis, le già citate Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Ambrosiano, Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Catanzaro e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri), essendo, peraltro, comunque bastevole, a tali fini, anche una unilaterale, successiva decisione di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018,1.). Ebbene, non v'è dubbio che l'atteggiamento psicologico a fondamento dell'agire del PE. soddisfi ampiamente tali condizioni. L'imputato, infatti, non solo ha scientemente trascurato ogni considerazione del sistematico ricorso al capitale finanziato, della cui entità eclatante, pure, era ben consapevole, ma, per il tramite dei propri collaboratori - ed anche, come s'è visto, con il proprio diretto intervento - ha fornito un decisivo contributo all'attuazione del fenomeno del capitale finanziato (sotto il profilo del relativo monitoraggio e, quindi, della indispensabile individuazione dell'ammontare dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di capitale ai fini del rispetto dei parametri prudenziali). Tutto ciò egli ha fatto nella piena consapevolezza che la concessione di un tanto consistente credito per l'acquisto dei titoli B. non seguita dalla doverosa decurtazione dei relativi importi dal patrimonio di vigilanza avrebbe, per un verso, significativamente alterato il valore del titolo (occultandone il marcato deprezzamento); e, per altro verso, dissimulato all'esterno la reale situazione di grave crisi nella quale versava l'istituto di credito. Inoltre, nella sua veste di responsabile della Divisione Bilancio - e, segnatamente, nel curare le comunicazioni dirette alle autorità di Vigilanza - ha fornito un apporto decisivo nell'occultamento della prassi in esame, avendo specificamente di mira proprio la realizzazione dell'evento dì ostacolo (che costituisce, specificamente, l'oggetto del dolo del reato ex art. 2638, co. 2, c.c.), in tal guisa assicurando che tale prassi potesse essere continuativamente replicata. Ogni ulteriore digressione sul punto, pertanto, sarebbe davvero superflua. Da ultimo, una considerazione in diritto. E' noto come il ribaltamento in appello della decisione assolutoria in primo grado (c.d. "overturning sfavorevole") implichi la rinnovazione delle prove dichiarative decisive. Il principio, oggetto di consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27620 del 28.4.2016, Da.) è stato successivamente tradotto in coerente disposizione di legge (art. 603, co.3 bis c.p.p.). Ebbene, nel caso di specie, è stata disposta, giusta ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022, la riassunzione delle deposizioni che, nella prospettiva del primo giudice, avevano rivestito importanza ai fini della relativa pronunzia. Dette deposizioni, peraltro, non hanno assunto affatto decisivo rilievo ai fini della diversa decisione cui è pervenuta questa Corte. Piuttosto, la opposta "lettura" del ruolo concretamente rivestito dal PE. nei fatti per cui è processo è scaturita dalla congiunta valutazione di elementi di natura logica, prove documentali (rispetto alle quali non è certo previsto alcun obbligo di rinnovazione dell'attività di acquisizione - cfr. Cass. Sez. III, n. 36905 del 13.10.2020, Ve.), esiti di intercettazione di comunicazioni (talvolta, peraltro, obliterati dal giudice di prime cure: è il caso della conversazione GI./Pi. n. progr. 359 dell'1.9.2015, ma anche del messaggio SMS GI./PI. in atti sub doc. 811 della produzione P.M.), nonché di deposizioni il cui tenore era del tutto incontestato, ovvero che, con riferimento alla posizione processuale in esame, erano state pretermesse dal tribunale (intende farsi riferimento al passaggio della deposizione resa dal teste Bo. in ordine all'incontro tenutosi in vista dell'ormai prossima ispezione Bc.). Va precisato, infatti, con riferimento alle prove testimoniali, che si è in presenza, nel complesso, di elementi che, di perse inidonei a formare oggetto di opposte valutazioni in punto di responsabilità dell'imputato, hanno tuttavia assunto ben più pregnante significato proprio alla stregua dì tale complessiva valutazione. A ciò si sono aggiunte - come si è visto - le significative dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di appello, dal coimputato GI., il cui contributo dichiarativo è stato oggetto di ampia "sperimentazione" nell'agone dibattimentale innanzi a questa Corte. Nessun pregiudizio alle ragioni difensive, pertanto, è dato, nella specie, ravvisare, con riferimento al ribaltamento della decisione di prime cure. 15.2.3 Il trattamento sanzionatorio Venendo, infine, al trattamento sanzionatorio, nel valutare tutti gli indici di riferimento rilevanti a tali fini, occorre necessariamente prendere le mosse dal ruolo essenziale ricoperto dal giudicabile nel verificarsi del fenomeno delle operazioni "baciate": se è vero che l'attuazione concreta di tale prassi ha più direttamente investito altre figure professionali (i vertici aziendali ed i responsabili delle Divisioni Mercati e Crediti), in ragione delle rispettive competenze, è altrettanto indubbio che i coimputati hanno potuto fare affidamento proprio sul decisivo apporto omissivo ed attivo fornito loro dal responsabile della Divisione Bilancio nei termini di cui s'è detto. I fatti, poi, sono di evidente gravità, per la prolungata durata delle condotte delittuose e, soprattutto, per gli esiti che hanno poi cagionato. Trattasi di elementi che dovrebbero orientare la dosimetria sanzionatoria nel senso del rigore. Nondimeno, neppure possono trascurarsi, in senso contrario, non solo il positivo profilo soggettivo del giudicabile, immune da precedenti di sorta, ma anche - e soprattutto - la circostanza che il PE. è stato, di fatto, trascinato (al pari dei correi GI., MA. e PI.) in una sconsiderata operatività illecita dalla volontà dei massimi responsabili aziendali e, con ogni probabilità, da un malinteso spirito di corpo, che lo ha indotto a piegare il proprio ruolo a quelli che gli parevano essere gli impellenti interessi "immediati" della Banca. Se, infatti, le specifiche qualità professionali del giudicabile lo rendevano tra i dirigenti più attrezzati per cogliere la assurdità di una prassi pressoché inevitabilmente destinata, per la sua crescente entità, ad esitare nel default dell'istituto, non emerge che a tale acuta consapevolezza si sia accompagnata una altrettanto marcata volontà di attuazione dell'operatività delittuosa in esame, sicché l'intensità del dolo non ne risulta altrettanto amplificata. Quanto al comportamento processuale tenuto dal giudicabile, poi, si è trattato di contegno improntato a correttezza e misura. Ricorrono, pertanto, le condizioni per riconoscere al PE. le attenuanti generiche, ancorché in regime di mera equivalenza, tenuto conto della obiettiva gravità dei fatti. Ciò posto, la valutazione dei criteri tutti ex art. 133 c.p. e, segnatamente, degli elementi testé richiamati, induce questa Corte a stimare adeguato ai fatti delittuosi ed al contributo prestato dall'imputato alla complessiva vicenda delittuosa in esame un trattamento sanzionatorio (tenuto ovviamente conto delle maturate prescrizioni) che, tanto con riferimento alla pena base (da quantificarsi nella misura di anni tre di reclusione in relazione all'addebito sub H1), quanto all'entità degli aumenti da irrogarsi a titolo di continuazione (mesi uno e giorni quindici per le ulteriori condotte di ostacolo; giorni quindici di reclusione per la residua condotta di aggiotaggio) non si discosta da quello da riservarsi ai coimputati PI. e MA. (fatte salve le diversità riferibili, quanto al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso), con conseguente pena finale da irrogarsi nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione. 16 L'appello nell'interesse dì B. in l.c.a. L'appello è parzialmente fondato, nei termini di cui alla motivazione che segue. 16.1 Anzitutto, destituito di fondamento è il primo motivo di appello, volto a contestare che i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza siano stati effettivamente commessi "nell'interesse" ed a "vantaggio" di B.. Al riguardo, si impongono, anzitutto, le seguenti considerazioni preliminari. Com'è noto, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel l'introdurre una forma di responsabilità dell'ente bensì connessa a quella, penale, propria dell'autore di tale delitto, ma anche del tutto autonoma, ha previsto, ex art. 5 D. L.vo cit., che la connessione in parola operi su due piani distinti: - da un lato, occorre che la persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell'"interesse" o a "vantaggio" dell'ente; - dall'altro, è necessario che l'autore del fatto rivesta un ruolo apicale all'interno dell'ente medesimo (trattasi dell'ipotesi ex art, 5 lett. co. 1 lett. a), d.L.vo cit.) - ovvero che costui sia sottoposto all'altrui direzione (è il caso previsto ex art. 5, co. 1, lett. b), D. L.vo cit.). Ebbene, come è stato efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità "... la lettera a) tipizza il ad. principio di identificazione, per il quale l'ente si identifica nel soggetto in posizione apicale e così, dunque, é come se avesse direttamente commesso il reato. E tuttavia previsto un contemperamento: l'ente non risponde se prova la sussistenza di tutti e quattro i criteri appositamente previsti dal successivo art. 6, co. 1, ossia l'esistenza e la corretta attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi. Nel caso dei soggetti di cui alla ietterà b), invece, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie colposa, prevista dall'art. 7 del decreto, a norma del quale l'ente risponde se non ha rispettato i propri obblighi di direzione o di vigilanza, I quali fanno capo al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto e considerato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 7..." (così, efficacemente, Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.a.c.). Quanto, poi, alla natura della responsabilità dell'ente, è consolidato il principio per cui trattasi di un tertium genus di responsabilità che, "...coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Es. e altri Rv. 261112). Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Ci., Rv. 255414; Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, Bo., Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica....." (cfr. così, ancora, la già citata Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018 dep. 9.8-2018, Co.Me. s.c.a.). Inoltre, con riferimento alla nozione di "interesse" e di "vantaggio", costituisce ius receptum il principio secondo il quale i predetti criteri, lungi dall'essere sovrapponibili, sono alternativi tra loro ed esprimono, rispettivamente, l'esito di una differente valutazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a., Cass. Sez. II n. 3615 del 20.12.2005, D'A.). L'"Interesse", infatti, è espressione di una "valutazione teleologica del reato", da effettuarsi ex ante (ovverosia al momento di commissione del reato) secondo un "metro di giudizio marcatamente soggettivo", ma sempre ponendosi nella prospettiva del soggetto collettivo e non esclusivamente dell'autore del reato (come, del resto, si ricava dal fatto che la responsabilità dell'ente sussiste, ex art. 8 co. 1, lett. a D. L.vo cit., anche quando l'autore del reato non è identificabile o non è imputabile, nonché dal progressivo inserimento nel catalogo dei reati presupposti anche di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa - cfr. sul punto, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.; cfr. Cass. Sez. V, n. 40380 del 26.4,2012, Se.); il "vantaggio", invece, ha "una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - (cfr. " Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, R.C., Es. e altri). L'"interesse", quindi, indica la finalizzazione del reato al perseguimento di una utilità (senza peraltro che sia necessario che l'utilità venga raggiunta); il "vantaggio", per contro, rappresenta il risultato obiettivamente positivo, non necessariamente di natura patrimoniale, scaturito dall'attività delittuosa. In altri e decisivi termini e concludendo sul punto, "... il richiamo all'interesse dell'ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post." (così si esprime Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.p.a., si veda, inoltre, Cass. Sez. V, n. 10256 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.) In tal senso sinteticamente individuate le coordinate interpretative che debbono orientare il vaglio della regiudicanda e passando, quindi, a fare concreta applicazione di tali criteri nella vicenda sub iudice, osserva, anzitutto, questa Corte, come i requisiti costituiti, rispettivamente, dall'"interesse" dell'ente alla commissione dei reati presupposto e dal "vantaggio" tratto dal medesimo ente da tali reati siano stati dal tribunale di Vicenza correttamente ravvisati, nel solco dell'imputazione: - quanto al delitto ex art. 2637 c.c., nel mantenimento del valore dell'azione e nell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito; - e, quanto al reato ex art. 2638 c.c., nello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia (e, nel periodo 2014/2015, di Bc.) i coerenti con la situazione reale dell'istituto, nonché nell'ottenimento dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 e, infine, nel rafforzamento patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale del 2014. Ebbene, l'appellante, come s'è detto, si duole della ricostruzione operata dal primo giudice in ordine al presupposto per l'affermazione di responsabilità di B. costituto dall'essere stati perpetrati i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza nell'interesse dell'istituto di credito vicentino. Più nel dettaglio, nel gravame si sostiene che il fenomeno sottostante alle, condotte delittuose sarebbe stato, ab origine, radicalmente pregiudizievole per la banca, sicché difetterebbe il presupposto dell'interesse/vantaggio derivante, per l'ente, dalla commissione dei reati in questione. In effetti, in disparte il riferimento generale alla nozione di interesse/vantaggio pure contenuto nell'appello, tutte le considerazioni svolte, nell'impugnazione, da pag. 10 a pag. 43 del relativo atto (sostanzialmente, l'intero primo motivo), altro non sono che una (peraltro condivisibile) ricostruzione di un fenomeno-fenomeno - quello del capitale finanziato e delle concrete caratteristiche che, nel caso di specie, tale fenomeno ha progressivamente assunto - contrastante con una sana gestione dell'attività creditizia e foriero di serio pregiudizio economico per l'istituto di credito. In questa prospettiva, pertanto, anche il successivo occultamento di tale fenomeno sarebbe stato parimenti dannoso per la B. perché, grazie a tale occultamento, l'istituto avrebbe potuto effettuare operazioni fruendo di autorizzazioni che la Banca d'Italia, ove adeguatamente informata, non avrebbe rilasciato. L'interesse dell'ente, pertanto, andrebbe verificato alla stregua di tali dati oggettivi e, conseguentemente, non sarebbe ravvisabile (alfa stregua, peraltro, della valutazione - ritenuta dall'appellante del tutto condivisibile - operata in fattispecie analoga dall'autorità giudiziaria senese, in sede di archiviazione, nel procedimento relativo alla gestione dell'istituto di credito Mp., per i reati 2622, 2638 ex. e 185 D. L.vo 185/98, come da provvedimento allegato all'appello). In altri termini, osservando il fenomeno in esame da siffatta visuale, tutto ciò che si pone in contrasto con una sana gestione aziendale non potrebbe essere compiuto nell'interesse dell'ente. Ne deriva - ad avviso dell'appellante - che il tribunale berico, nel sostenere che l'occultamento della situazione reale avrebbe giovato a B., sarebbe sostanzialmente incorso in un paralogismo. Sennonché è agevole osservare, in senso contrario, come l'argomentazione difensiva, pur prima facie suggestiva, sconti un radicale errore di prospettiva, oltre a trascurare, in punto di fatto, la circostanza (tutt'altro che marginale e, anzi, a ben vedere, di per sé già dirimente) che le "baciate" non esaurivano certo le operazioni di capitale finanziato (posto che una buona parte dei titoli di B. sono stati in ogni caso collocati, tanto sul mercato primario che su quello secondario, senza la necessità del ricorso ai finanziamenti e che ciò è potuto avvenire solo grazie alla prosecuzione dell'attività di impresa consentita proprio dalla prassi del capitale finanziato). Per vero, a fondare la responsabilità dell'ente, non sono affatto, genericamente, le operazioni di capitale finanziato poste in essere "a monte" del fenomeno delittuoso sub iudice, bensì le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (e, tra le prime, segnatamente, quelle di aggiotaggio informativo) che, realizzate "a valle" dei finanziamenti "correlati," radicano gli addebiti di riferimento. Nel caso in esame, infatti, i reati presupposto, lungi dall'essere stati finalizzati a porre in essere, in assenza delle condizioni di sostenibilità finanziaria, operazioni bancarie pregiudizievoli per i "fondamentali" dell'ente, sono stati ideati e perpetrati allo scopo di occultare tale scorretta operatività (che, in sé stessa, prescindeva totalmente dall'attività delittuosa in esame), consentendo all'istituto di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria (si veda, per un analogo caso di affermato interesse di un istituto di credito all'occultamento delle "lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale" della società, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.); In altri termini, come ben precisato dal primo giudice - senza, peraltro, che le relative considerazioni siano state oggetto di reale, argomentata censura nell'impugnazione (che, in effetti, sul punto, si limita alla sostanziale riproposizione delle argomentazioni già motivatamente disattese dal tribunale) - una volta che la dirigenza dell'istituto vicentino aveva spregiudicatamente iniziato ad incrementare il precedente, ben più sporadico ricorso al meccanismo di finanziamento per l'acquisto delle azioni proprie (finendo per ricorrervi non soltanto, come fatto in passato, per contingenti necessità, bensì come usuale modalità di gestione del mercato degli strumenti finanziari anche a costo di porre necessariamente in essere attività collegate - quali lo storno degli interessi, il rilascio di lettere di impegno e, addirittura, il riconoscimento di interessi in favore dei soggetti finanziati - complessivamente tali da depauperare le risorse dell'istituto medesimo), l'occultamento di tale prassi attraverso la perpetrazione delle condotte delittuose oggetto di addebito è stato indubbiamente funzionale a consentire la perdurante operatività dell'istituto di credito. In definitiva, i reati di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza hanno assicurato all'istituto di credito: - per un verso (quanto al reato di aggiotaggio), l'apparente liquidità del titolo, il mantenimento del valore dell'azione e l'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito, evitando che fossero destinate a riserve consistenti risorse; - e, per altro verso (quanto al reato di ostacolo alla vigilanza), la prosecuzione dello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia coerenti con la (precaria) situazione reale dell'istituto (interventi, peraltro, che avrebbero anche potuto comportare il divieto della distribuzione di utili, oltre all'attivazione di procedure sanzionatone in relazione all'esubero delle azioni detenute), nonché l'ottenimento delle autorizzazioni delle autorità di vigilanza necessarie sia alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 sia agli aumenti di capitale 2014. Ebbene, ponendosi in siffatta prospettiva - l'unica aderente alla concreta dinamica dei fatti - l'interesse della società alla perpetrazione dei reati in esame emerge davvero in termini di evidenza. In effetti, una volta effettuate "operazioni baciate" e omesse le relative decurtazioni dal patrimonio di vigilanza (operazioni, isolatamente considerate, lo si ripete, non costituenti reato, se non quando, per la loro sistematicità, hanno determinato l'apparenza della liquidità del titolo ed hanno inciso sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, integrando gli estremi dell'aggiotaggio manipolativo) è davvero arduo negare che le successive condotte delittuose di aggiotaggio informativo e di ostacolo alla vigilanza abbiano consentito alla società di proseguire nell'attività dì impresa. Peraltro, una volta avviata la "spirale" perversa del ricorso al capitale finanziato anche le successive condotte di aggiotaggio manipolativo sono state indubbiamente funzionali ad assicurare la prosecuzione dell'attività creditizia. E' stato proprio attraverso le condotte di false prospettazioni al mercato ed alla vigilanza, infatti, che B. ha scongiurato gli effetti pregiudizievoli che sarebbero derivati dal disvelamento della dissennata politica di impresa di continuo ricorso al capitale finanziato e, in tal guisa, ha potuto proseguire nell'attività bancaria, assicurandosi - sia pure solo temporaneamente - tanto l'afflusso di nuovo capitale quanto il mantenimento di quello esistente, come efficacemente sintetizzato dal primo giudice. E, questo, a tacere del fatto che le attività decettive erano funzionali a nascondere carenze patrimoniali non unicamente derivanti da "operazioni baciate". Né tali conclusioni contrastano: - sia con l'accezione oggettiva che, come s'è detto, deve riconoscersi alla nozione di "interesse" rilevante ex art, 5 D.L.vo 231/01 (nel senso che non deve confondersi l'interesse dell'ente con quello proprio dell'autore dei reati); - sia con il momento (ex ante rispetto all'attività delittuosa) nel quale la relativa valutazione deve essere effettuata, secondo i parametri di riferimento sopra richiamati. A ben vedere, infatti, ove si effettui il relativo vaglio doverosamente tenendo a mente la concretezza della vicenda in esame - ovverosia calibrando il giudizio alla luce della situazione esistente al momento della commissione dei fatti di reato e non già astraendo dal contesto specifico di riferimento (e, sul punto, non può che richiamarsi la puntuale ricostruzione dei fatti siccome operata dal primo giudice) - è giocoforza concludere che l'attività delittuosa è stata posta in essere proprio in quanto logicamente ritenuta l'unico rimedio per consentire alla banca vicentina di proseguire nell'attività d'impresa, scongiurando la crisi o, comunque, differendone sensibilmente la manifestazione. E, quindi, per assicurare, proprio in quella logica di perseguimento del "profitto a tutti i costi" siccome efficacemente evocata dallo stesso appellante (cfr atto di appello, pag. 6), la prosecuzione dell'attività d'impresa, anche mediante comportamenti devianti. Il tribunale, pertanto, non ha affatto confuso l'interesse dell'ente con quello, personale, degli autori del reato, ma ha correttamente esaminato (ex ante) detto tema di indagine attraverso il prisma della effettiva situazione critica nella quale versava la B. allorché ha avuto concretamente attuazione il programma criminoso. Ovverosia, ha effettuato una analisi che, prendendo debitamente le mosse dalla considerazione critica del concreto contesto di riferimento, ha correttamente valutato il presupposto di responsabilità costituito dall'interesse dell'ente non già in modo astratto, bensì alla luce della specifica situazione di riferimento, il tutto secondo un criterio di riferimento debitamente oggettivo, in quanto misurato nella specifica prospettiva della società (necessariamente indagata alla luce dell'obiettivo - condiviso e scientemente perseguito dai vertici aziendali responsabili delle condotte delittuose - di assicurare la perdurante operatività dell'istituto di credito, superando le oravi criticità in atto e senza affatto confondere tale interesse con oli ulteriori scopi, di natura meramente personale, propri degli autori del reato. In quest'ottica, quindi, il fatto che all'origine delle serie difficoltà operative che la dirigenza dell'istituto di credito ha inteso "aggirare" attraverso la commissione dei reati in esame vi fossero scelte gestionali dissennate e radicalmente contrarie all'interesse ad una corretta e sana attività creditizia costituisce circostanza tanto pacifica quanto estranea allo specifico e differente (ancorché collegato) tema in esame. Altrettanto dicasi per le pur articolate argomentazioni difensive in ordine alla natura pregiudizievole per l'istituto di credito della prassi di ricorrere al capitale finanziato siccome concretamente adottata dalla dirigenza della banca. Ed analoghe conclusioni, poi, si impongono in relazione a quanto pur dettagliatamente sostenuto nell'atto di appello (segnatamente, alle pagg. 10-24, 25-30) in ordine al pregiudizio derivante alla banca vicentina: - dall'apparente rafforzamento patrimoniale conseguente agli aumenti di capitale 2013-2014; - dai finanziamenti "corredati" dalla pratica degli storni; - dall'applicazione di tassi di interesse "in perdita"; - dall'impegno al riacquisto, con conseguente trasformazione dell'azione in una sorta di obbligazione; - e, infine, dalla eccentricità rispetto al preteso interesse di B. dell'operatività sui fondi lussemburghesi. In definitiva, tutte le considerazioni critiche che esauriscono il primo motivo di gravame si risolvono nella riproposizione di un approccio al profilo della responsabilità dell'ente che sconta l'errore metodologico di sovrapporre la natura delle operazioni di capitale finanziato (certamente pregiudizievoli per una sana gestione dell'attività creditizia) all'obiettivo - individuato e pervicacemente perseguito dalla più alta dirigenza dell'istituto di credito (una volta che dette operazioni avevano iniziato a rappresentare una modalità ordinaria di "gestione" delle problematiche inerenti al mantenimento del valore delle azioni ed alla relativa collocazione e circolazione) - di proseguire nella gestione dell'attività bancaria occultando al mercato ed agli organismi di vigilanza dette difficoltà. In altri e decisivi termini, l'impostazione difensiva risulta sostanzialmente fondata su un equivoco: - da un lato, infatti, palesemente confonde le operazioni di capitale finanziato con i successivi reati di occultamento; - dall'altro - e conseguentemente - valuta l'interesse della B. in senso astratto, normativo, sotto il profilo del "dover essere" (ovverosia delle corrette modalità di esercizio dell'attività di impresa bancaria), del tutto prescindendo da quella situazione concreta che, al contrario, deve costituire il fuoco dell'attività di accertamento della responsabilità dell'ente. Del resto - e trattasi, sul punto, di considerazione davvero conclusiva - la tesi sostenuta nell'appello finisce, come suole dirsi, per "provare troppo". Opinando in tal guisa, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso della impossibilità di ravvisare - sempre e comunque - la responsabilità dell'ente in relazione ai delitti di aggiotaggio, manipolativo ed informativo, nonché di ostacolo alla vigilanza, allorché posti in essere per occultare una pregressa/contestuale gestione irregolare dell'attività bancaria. Ma, allora, non si comprenderebbe l'inserimento di tali reati nel catalogo dei "reati-presupposto", posto che, in effetti, non residuerebbero margini significativi per una responsabilità dell'ente per siffatti delitti. Sicché, anche ove sottoposte ad un vaglio di "razionalità", le considerazioni difensive (anche là dove richiamano le valutazioni dell'autorità giudiziaria senese nel provvedimento di archiviazione reso nel procedimento 2973/13 a carico dell'istituto di credito Mp. - cfr. atto di appello, pag. 36 e decreto di archiviazione ad esso allegato) non possono affatto ritenersi persuasive. Che, poi, l'attività delittuosa sia stata anche funzionale ad assicurare il mantenimento dì posizioni apicali ai vertici aziendali è affermazione certamente convincente; trattasi, tuttavia, di circostanza che, non escludendo affatto il concorrente interesse della società, non elide certo la sussistenza dell'illecito dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 43689 del 26/06/2015, dep. 29/10/2015, Fe., là dove è stato precisato che: "la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica"; cfr altresì, Cass. Sez. VI, n. 15443 del 19.1.2021 dep. 23.4.2021, Ec.Se.: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell'avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001 da parte dell'ente, anche quando non sia possibile determinare l'effettivo interesse da esso vantato "ex ante" rispetto alla consumazione dell'illecito, purché il reato non sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi") cfr. infine, Cass. Sez. 6, n. 54640 del 25.9.2018, dep. 6.12.2018, Pa.: "Sussiste la responsabilità da reato dell'ente anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio. (In motivazione, la Corte ha ritenuto sussistente un marginale interesse della società rispetto alla condotta corruttiva dell'imputato, da questi realizzata principalmente per tutelare la sua immagine all'interno della società, ma comunque suscettibile di consentire all'ente di evitare l'irrogazione di penali e sanzioni, pur se di minima consistenza". Donde l'infondatezza del primo motivo di appello. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, nel caso di specie, l'attività delittuosa abbia anche arrecato un concreto vantaggio a B.. Il tribunale, sul punto, ha speso solo poche parole, evidenziando come, nel caso di specie, per un verso, venissero in rilievo condotte in relazione alle quali, all'epoca dei fatti, la formulazione dell'art. 25 ter D.L.vo 231/01 allora vigente non contemplasse il criterio del vantaggio, ancorché la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, n. 10625 del 28.11.2013) avesse precisato che si trattava di un mero problema di tecnica di redazione del testo di legge dal quale non era affatto lecito inferire l'esistenza di una deroga prevista, in ambito societario, agli ordinari criteri di imputazione ex art. 5; e, per altro verso, la questione non assumesse rilievo dirimente "poiché resta assorbente il ricorrere, in tutti i reati presupposto che vengono in considerazione, di un interesse dell'ente, sicché la concretizzazione di un vantaggio, ove conseguito, si pone come ulteriore conferma del ricorrere di un interesse ex ante (così a pag. 779 della sentenza impugnata). Ebbene, osserva questa Corte, al riguardo, come, doverosamente prescindendo dal fallimentare esito "definitivo", esiziale per la stessa sopravvivenza dell'ente, conseguente al sistematico ricorso al capitale finanziato e tenendo a mente, per contro, il fatto che l'attività delittuosa ha consentito all'istituto di credito, per anni, di proseguire nell'attività di impresa e, in tal guisa, di recuperare ingenti risorse attraverso il collocamento di azioni (tanto sul mercato primario quanto su quello secondario) anche prescindendo dalla concessione di finanziamenti (e, al riguardo, è sufficiente richiamare i dati sugli aumenti di capitale per comprendere l'entità davvero significativa delle azioni "interamente liberate" collocate sul mercato), debba giocoforza concludersi nel senso che l'istituto di credito vicentino ha tratto, a lungo, effettivo ed assai concreto giovamento dall'attività delittuosa di manipolazione delle azioni e del mercato e di conseguente occultamento alle autorità di vigilanza di siffatta operatività illecita. Ponendosi in questa prospettiva (ovverosia effettuando bensì una valutazione ex post rispetto alla commissione dei reati ma sottraendosi, al contempo, all'abbaglio che deriverebbe dall'analizzare il fenomeno in esame privilegiando, quale punto di osservazione, quello coincidente con la fase finale della parabola della vita di B.) deve necessariamente concludersi nel senso del ricorrere, nel caso di specie, anche del requisito del "vantaggio", vantaggio che, d'altronde, - come già acutamente osservato dal primo giudice, costituisce un ulteriore riscontro dell'interesse perseguito dall'ente attraverso l'operatività delittuosa in esame. 16.2 Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto premesso che il primo giudice ha ripetutamente osservato: - per un verso, come, nel modello adottato da B., nulla dì realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di protrazione dei rischi; - per altro verso, come il modello non fosse attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti, dì indipendenza); - e, per altro verso ancora, come la commissione dei reati non sia stata conseguenza dell'elusione del modello in questione, "avendo gli imputati e, in particolare i vertici della banca....potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro....grazie all'assenza e comunque all'ineffettività dei già lacunosi controlli previsti e ad una situazione dei presidi interni a B. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla compiacenza degli stessi soggetti che avrebbero dovuto fungere da controllori" (cfr. pag. 802 della sentenza impugnata). Per contro, nella prospettiva dell'appellante (che dedica ad argomentare le relative censure le pagine da 43 a 60 dell'atto di impugnazione) si sostiene che il modello organizzativo sarebbe stato effettivamente adeguato a prevenire i reati in esame, anche in ragione della sussistenza di un organismo di vigilanza caratterizzato da autonomia e dotato di effettivi poteri di controllo, tanto che la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza sarebbe stata unicamente l'effetto dell'elusione fraudolenta di tale modello. E, per sostenere siffatte conclusioni, l'appellante, dopo alcune considerazioni preliminari in punto di criteri di valutazione della "colpa di organizzazione" - colpa che, si precisa nel gravame, dovrebbe necessariamente trovare un insuperabile limite nella "inesigibilità" della condotta alternativa lecita - ha descritto struttura e contenuti del modello organizzativo vigente in B. (sia nella versione "base" del 2012, sia in quella successivamente aggiornata). Nondimeno, ad avviso della Corte, gli elementi disponibili depongono in senso radicalmente contrario. Per vero, ove si consideri, - che il modello organizzativo altro non rappresenta che uno strumento di gestione del rischio da commissione di (determinati) reati, ovverosia un dispositivo finalizzato a scongiurare la perpetrazione di attività delittuose poste in essere, come s'è detto, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo e, quindi, ad evitare le conseguenze sfavorevoli costituite, per l'ente in questione, dalle relative dalle sanzioni; - e che, pertanto, un modello organizzativo adeguato - la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la "colpa di organizzazione" (e, quindi, la responsabilità dell'ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D.l.vo 231/01) - deve essere caratterizzato dall'adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di "prevenzione" idonee ed efficaci, contromisure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento, deve necessariamente concludersi come, caso sub iudice, detto modello risulti caratterizzato da prescrizioni per lo più generiche e, quindi, manifesti gravi lacune tanto sotto il versante dell'idoneità quanto sotto quello dell'efficacia. In proposito, con specifico riferimento al modello relativo all'anno 2012 il richiamo è, segnatamente, ai paragrafi: 2.5, relativo alla "Mappatura delle aree a rischio"; 2.6, relativo alla "Analisi del sistema di controllo interno e definizione dei protocolli"; nonché, in relazione alla parte 4, inerente ai "Protocolli" (ovverosia alle sezioni del modello organizzativo contenenti le previsioni più specifiche), ai paragrafi: 4.2.1, inerente alla "Gestione delle operazioni societarie" (pagg. 61-66); 4.2.2, inerente alla "Gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza" (pagg. 66 e ss.); 4.2.6 - inerente alla "Gestione della Co.Ge. e predisposizione del bilancio" (pagg. 80 e ss,); 4.2.7, inerente alla "Gestione delle attività sui mercati finanziari" (pag. 84 e ss.); 4.2.12 inerente alla "Gestione dei finanziamenti agevolati verso la clientela" (pag. 108 e ss.). Ebbene, dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree dì rischio, il modello in esame contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell'impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all'esigenza di prevenire i reati in esame. Più nel dettaglio, dall'analisi delle previsioni contenute in detto modello emerge, con specifico riferimento al rischio di commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l'assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente, in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell'operatività della banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti. Trattasi, segnatamente: a) dei meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell'istituto, azioni il cui valore - va ribadito - era affidato alla autodeterminazione da parte della banca. Davvero pertinente, sul punto, è il richiamo effettuato dal primo giudice alla deposizione resa dal teste Ro., là dove costui ha riferito che, quando aveva tentato di introdurre un meccanismo di informatizzazione della procedura per la gestione degli acquisti/vendite delle azioni, era stato minacciato dì licenziamento; b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall'istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale); c) del flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all'OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza, l'unico "canale" di comunicazione previsto essendo costituito da un indirizzo e-mail ed essendo rimasta confinata nell'ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia forma di concretizzazione, la previsione di cui al paragrafo 2.7.3 (cfr. pag. 25 del modello in questione), secondo la quale la Banca "garantisce i segnalanti da qualsiasi forma di ritorsione discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede ..". Peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha consentito effettivamente di verificare come i dipendenti non avessero effettuato segnalazioni, con riferimento alla vendita delle azioni proprie da parte dell'istituto, proprio per il timore di ripercussioni); d) e, soprattutto, del flusso di informazioni esterne. In particolare, va segnalata l'assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi evidentemente ritenere le generiche previsioni previste nel "Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti "price sensitive" della Banca (...)" che attribuiva le comunicazioni alla funzione "Comunicazione Esterna", incaricata della "cura della gestione della comunicazione esterna commerciale e di prodotto sulla base delle direttive della funzione commerciale, in coerenza con le strategia definite dalla Direzione generale" (così, specificamente, nell'atto di appello, pag. 56). In effetti, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato - rischio particolarmente concreto, come s'è visto, trattandosi di banca popolare non quotata - avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l'esterno. Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un "delitto di comunicazione" (cfr. Cass. Sez. V, 18.2.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo S.p.a., pag. 7), è proprio su tale versante che il modello - e, quindi, il controllo - avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza. Con specifico riferimento al delitto di aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile l'attribuzione all'OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato. Diversamente, nel modello adottato da B. nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni "esterne" (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l'esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità (si veda, per il modello relativo all'anno 2012, quanto ivi previsto a pag. 68), le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi (cfr. documento citato, pag. 68). Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorta di "dissenting opinion" sul "prodotto finito" tale da "mettere in allarme i destinatari" (per ricorrere all'efficace lessico adottato dal giudice della nomofilachia nella sentenza da ultimo citata, peraltro successivamente contraddetta, nell'ambito del medesimo procedimento, da Cass. Sez. VI, n. 23401, 11,11,2021, Impregilo, limitatamente alla impossibilità che tale opinione dissenziente possa sconfinare nelle attribuzioni operative spettanti alla assemblea ed agli altri organi societari284), siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma - ed è quel che più rileva in questa sede - neppure consta che tali comunicazioni venissero previamente comunicate all'ODV per una preliminare valutazione o, comunque, per l'opportuna conoscenza. Né - è stato pure convenientemente evidenziato dal tribunale - erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili. E tali conclusioni non mutano se, dal modello adottato per l'anno 2012 (in vigore sino all'agosto 2014), si estende l'analisi alle versioni successive, essendosi comunque in presenza di documenti rispetto ai quali, come puntualmente osservato dal primo giudice, si ripropongono, sostanzialmente invariate, le medesime carenze. Peraltro, con specifico riferimento a tali carenze, va ribadito quanto anticipato in premessa in ordine al difetto, nell'atto di impugnazione, di considerazioni realmente critiche rispetto alle puntuali osservazioni del primo giudice, posto che le censure contenute nell'appello si risolvono nel richiamo al contenuto del programma; programma che, tuttavia, anche in proposito, risulta connotato da previsioni del tutto generiche. E tanto basterebbe. Ma v'è di più. Il modello in esame, infatti, introduceva un organismo di vigilanza286 privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo. Nello specifico, la direzione dell'ODV era affidata (cfr. modello 2012 citato, pag. 23), al "Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit" (nel caso di specie, il dipendente Bo.), affiancato da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca (...)" (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto, inoltre, che il Presidente di tale organismo non rivestisse "cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo" (cfr. ancora, documento citato, pag. 23). Sul punto, il tribunale ha specificamente osservato che tanto il presidente che i due ulteriori componenti dell'organismo erano soggetti privi della necessaria indipendenza: - il primo, in quanto dipendente gerarchicamente dai d.g. So. e funzionalmente dal Cda, ovverosia proprio dai "poteri" che avrebbe dovuto controllare; - i secondi, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili a B., con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l'autonomia di giudizio. Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali, del resto, è la circostanza (convenientemente richiamata dal primo giudice alle pagg. 796-797 della sentenza) costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall'ODV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal direttore generale. Ebbene, anche su tali convincenti argomentazioni l'atto di appello ha omesso ogni specifica, reale considerazione critica, essendosi limitato a ribadire, all'uopo richiamandosi alle previsioni contenute nel modello, tanto l'autonomia dell'organismo di vigilanza quanto la disponibilità, in capo a tale soggetto, di adeguati poteri. Per contro, trattasi di profilo di essenziale rilievo, solo a considerare l'assoluta centralità rivestita da un OdV dotato di effettivi, penetranti poteri e, soprattutto, assistito da un effettivo statuto di autonomia (necessariamente intesa come assenza di subordinazione del controllante al controllato e, comunque, di ragioni di condizionamento) perché possa affermarsi l'idoneità del modello organizzativo. Peraltro, l'inadeguatezza del modello in esame, anche a tale specifico riguardo, emerge in termini ancora più marcati solo a considerare che, come s'è detto, le pregresse segnalazioni di Banca d'Italia avevano stigmatizzato la scarsa autonomia delle articolazioni societarie rispetto ad un presidente a dir poco "ingombrante". Ulteriore conferma dell'inadeguatezza con riferimento all'effettiva indipendenza ed ai poteri dell'OdV, del resto, la si ricava, sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (come visto protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato dei soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal Bo.: sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, costui aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero ancora anche di semplice discussione all'interno dell'OdV. E' stato lo stesso Bo., del resto, a descrivere l'attività svolta dell'OdV in termini sostanzialmente minimali, soggiungendo di non avere riferito in tal senso, neppure nel corso dell'ispezione del 2015, in quanto intimidito e condizionato dal d.g. So.. In effetti - come parimenti già osservato dal primo giudice - i verbali delle riunioni dell'OdV (l'ultimo dei quali, peraltro, si ferma al 21.5.2014 - cfr. documento 897 del p.m.) non sono che la plastica espressione di un organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benché minima contezza di alcuna programmazione di attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti. Aggiungasi che nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all'OdV era assicurata, al di là di generiche affermazioni in tal senso. D'altronde, come già detto, a tale organismo non risulta giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti ai fini in esame e, questo, nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati (cfr. lettera inviata alla Direzione Generale - doc, p.m. 91) Quando, poi, dal 2013, la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale (con assunzione formale della carica in data 12.5,2014) la situazione, sotto tale profilo, non era affatto migliorata. In effetti, detto organismo - come puntualmente osservato dal tribunale (alle pertinenti considerazioni del quale, sul punto, non può che farsi rinvio) - difettava anch'esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) avevano importanti interessenze con il presidente. D'altronde, il sindaco Za. - il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni di presidente dell'OdV - aveva bensì partecipato all'assemblea dei soci del 26.4.2014, assemblea in occasione della quale il socio Da. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell'OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento (come emerso, peraltro, anche all'esito della rinnovata escussione del teste Za.), analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del Cda del 4.11.2014 nel quale si era discusso dell'articolo de "Il." a firma Ga.. In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha restituito l'immagine di una "osmosi" di fatto pressoché completa tra l'OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell'attività di controllo svolta da tale organismo. Dì qui la conclusione circa l'inadeguatezza, anche sul punto, del modello adottato da B., sia sotto il profilo astratto, sia - ed a fortiori - ove doverosamente "calato" nella concretezza della struttura societaria in esame. Del resto - e conclusivamente - vale osservare che la riprova di detta inadeguatezza la si ricava anche dalla semplice constatazione che - ad onta delle contrarie considerazioni spese, in proposito, nell'atto di appello, anche in tal caso, tuttavia, senza l'indicazione di concreti elementi a sostegno293 - la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame. Molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di "aggirarlo" e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente "fuori fuoco" rispetto alle condotte sub iudice. Conclusivamente, non corrisponde a realtà sostenere che il tribunale sia giunto alla conclusione dell'inadeguatezza del modello adottato da B. sul mero rilievo dell'avvenuta consumazione dei reati. L'affermazione di responsabilità non si è affatto basata su un tale "corto circuito" logico-giuridico, Piuttosto, è derivata dal doveroso apprezzamento della concreta inadeguatezza del modello in esame, all'esito di una valutazione correttamente effettuata sulla base di un giudizio rigorosamente normativo in ordine alla introduzione, presso l'istituto di credito vicentino, nel periodo in esame, di un sistema di controllo e di verifica che, con specifico riferimento ai delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, se non meramente apparente era, comunque, gravemente deficitario. Che, poi, il modello adottato dall'istituto di credito vicentino abbia seguito lo schema predisposto dall'ABI - profilo, questo, sul quale, pure, l'atto di appello si sofferma diffusamente294 - è circostanza, al contempo, incontestata ed irrilevante. A tale riguardo, infatti, è ancora una volta la giurisprudenza di legittimità a fornire le coordinate da seguire per rispondere alle censure difensive. E' stato infatti precisato, con argomenti del tutto persuasivi, come nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte "best practices", nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6, co. 3 D.L.vo cit., là dove pure è previsto che i modelli di organizzazione possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al giudice - il quale, beninteso, non potrà fare leva su personali convincimenti, ovvero su soggettive opinioni - la verifica dell'adeguatezza del modello, una volta doverosamente "calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione" (cfr. la già citata Cass. Sez. V, n. 4677 18.12.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo, pag. 6). 16.3 Diversamente, il terzo motivo di appello, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione. In effetti, insussistenti le condizioni per riconoscere l'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b), D, L. vo 231/01 per le persuasive ragioni indicate dal primo giudice (trattasi dell'assenza di modifiche risolutive apportate al modello 231 nella versione del 2016295 e, soprattutto, della mancata dimostrazione della concreta operatività di tale modello, senza che possa incidere in senso contrario la circostanza, che, dopo pochi mesi, proprio per le conseguenze finali dei reati perpetrati, l'ente è stato sottoposto a l. c.a. con conseguente impossibilità di ulteriore sperimentazione, "sul campo", di tale versione), osserva questa Corte che una determinazione dell'ammontare della sanzione debitamente ispirata a criteri di equità e moderazione non possa prescindere dalla adeguata considerazione delle critiche condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in questione (nel rispetto, del resto, del criterio normativo espressamente dettato dall'art. 11, co. 2, D.L.vo citato). Ebbene, nello specifico, come teste ribadito, si è in presenza di istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa. Donde la sussistenza dei presupposti per la mitigazione della sanzione, mitigazione da conseguirsi, ad avviso di questa Corte, in ragione, per un verso, della riduzione delle quote conseguente alla attenuante ex art. 12 co. 2, lett. a), D. L.vo 231/01 che, già riconosciuta dal tribunale, dovrà tuttavia trovare applicazione nella sua massima estensione, essendosi l'ente seriamente prodigato per ridurre le conseguenze dannose cagionate dall'illecito; per altro verso, dì una diversa, più favorevole determinazione degli aumenti derivanti dalla pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo 231/01; e, per altro verso ancora, di una riduzione dell'importo della singola quota. In definitiva, ritiene questa Corte congrua una sanzione così determinata: la pena base di 600 quote, già congruamente fissata dal primo giudice per l'ipotesi di aggiotaggio, deve essere ridotta, ex art. 12, co. 2, lett. a), D. Lvo 231/01, a 300 quote, per poi essere complessivamente aumentata di 24 quote per gli ulteriori reati di aggiotaggio, con aumenti di otto quote per ciascuno di tali residui reati (sul punto dovendosi precisare che la prescrizione di talune condotte di aggiotaggio, intervenuta successivamente alla contestazione, è irrilevante ai fini della responsabilità dell'ente, come insegna la giurisprudenza di legittimità, già correttamente richiamata dal primo giudice), nonché di complessive 270 quote per i reati di ostacolo, con aumenti di 30 quote per ciascuna delle relative condotte, il tutto per un numero di quote finali pari a 594. Per le ragioni già esposte, poi, si ritiene congruo ridurre l'importo della singola quota nella misura di 350 Euro. Di qui la rideterminazione della complessiva sanzione nella misura finale di Euro 207.900,00. 16.4 Il quarto motivo di impugnazione, inerente alla confisca, non può essere accolto. Al riguardo, deve osservarsi che il tribunale di Vicenza, dopo avere persuasivamente circoscritto il perimetro della nozione di profitto (correttamente includendovi unicamente l'incremento patrimoniale derivante dal reato, ovverosia l'accrescimento della sfera patrimoniale dell'ente ritenuto di derivazione causale diretta dal reato presupposto) ha disposto la confisca, limitatamente all'illecito di cui al capo N2 (l'unico per il quale ha ritenuto obiettivamente possibile procedere all'indispensabile quantificazione), individuando il profitto nell'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate, a seguito dell'aucap, dai soci che avevano effettuato acquisti a seguito delle sollecitazioni ricevute, in tal senso, da parte dell'istituto di credito e che non avrebbero potuto sottoscrivere detto aumento di capitale ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante (detratti, ovviamente, gli importi finanziati dalla stessa banca). Ciò alla stregua delle deposizioni dei testi Gr. e Me. e degli esiti dei calcoli effettuati da costoro, oltre che di quanto evidenziato nella relazione ispettiva CONSOB. Sennonché, la difesa ha obiettato che quello individuato dal tribunale sarebbe, più propriamente, il profitto del reato di falso in prospetto, non ricompreso nel novero dei delitti presupposto, in quanto, con riferimento al delitto di ostacolo alla vigilanza, solo indirettamente sarebbe possibile individuare un nesso di derivazione causale tra le relative condotte delittuose ed il suddetto incremento patrimoniale. Trattasi di obiezione che, pur suggestiva, è destinata a rivelarsi, non appena sottoposta ad una analisi minimamente aderente al concreto dipanarsi della vicenda sub iudice, radicalmente infondata. Se, infatti, costituisce ius receptum il principio secondo il quale il profitto confiscabile ex art, 231/01 deve derivare causalmente, in modo diretto ed immediato, dal reato presupposto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 23013 del 22.4.2016, Gigli e altro, Sez. III, n. 33816 del 18.9.2020, 2., Cass. Sez. VI, n. 33226 del 14.7.2015, Azienda Agraria Gr. di Gu.Le.), non può fondatamente revocarsi in dubbio come, nel caso di specie, sia stato il reato di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB a consentire all'ente di lucrare i vantaggi derivanti dall'acquisto di azioni effettuato, in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale, da parte di soggetti che, ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante, non avrebbero potuto acquistare i titoli dell'istituto. In altri termini, è stata proprio la condotta di ostacolo che ha consentito a B. di condurre in porto l'aumento di capitale 2014, sottraendosi ai controlli di adeguatezza e, in tal guisa, acquisendo capitali che, altrimenti, non sarebbe stato possibile "rastrellare", peraltro per il significativo importo complessivo che è stato correttamente stimato nella misura di Euro 106.012.687,50, corrispondente alla quota di acquisiti di azioni non finanziati effettuati dagli investitori che non avrebbero superato il test di adeguatezza bloccante. Sul punto, il pertinente richiamo del primo giudice è al documento 252 del p.m. ed alla deposizione del teste Me.. In effetti, la scansione degli accadimenti - puntualmente riportata alle pagg. 524 e ss, della sentenza impugnata - è assai chiara: in data 8.5.2014 CONSOB autorizzava il prospetto e, tra il 12 maggio e l'8 agosto successivi, si procedeva all'adesione. Sennonché, durante lo svolgimento delle relative operazioni, avevano luogo interlocuzioni tra B. e CONSOB: in particolare, con nota 16 maggio, CONSOB chiedeva informazioni tanto in relazione all'aucap (con specifico riferimento alle modalità operative adottate per l'adesione ed ai relativi controlli di adeguatezza ed appropriatezza) che al miniaucap (ed alla relativa prestazione di consulenza in relazione agli ordini dei clienti), sollecitando l'invio di un prospetto mensile, per tutto il periodo di offerta al pubblico, che avrebbe dovuto contenere, tra l'altro, l'indicazione del numero delle operazioni risultate adeguate o appropriate o non appropriate rispetto al profilo del cliente, con l'indicazione del relativo controvalore, A tale richiesta, faceva poi seguito la comunicazione 23.5.2014 nella quale B. precisava, tra l'altro, come, onde non interferire con il diritto di opzione, fosse stata esclusa l'applicabilità della valutazione dì adeguatezza di cui all'art. 40 del regolamento intermediari, soggiungendo, nondimeno, che era stato fatto divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale in favore dei titolari del diritto di opzione ed in relazione all'adesione all'aumento di capitale. Tuttavia, contrariamente a tali assicurazioni, il collocamento delle azioni, come è stato dettagliatamente evidenziato dal primo giudice (cfr. pagg. 530 e ss. della sentenza impugnata), aveva poi avuto massicciamente luogo per effetto di una accurata attività dì pianificazione commerciale tradottasi in una forma di surrettizia e martellante consulenza che non solo non era stata accompagnata dai presidi organizzativi previsti dalla disciplina mifid ma, soprattutto, mai era stata comunicata nel corso delle interlocuzioni con l'autorità di vigilanza che, pure, avevano scandito tutte le operazioni di aumento di capitale. Emerge, allora, davvero in termini di evidenza, come il profitto complessivo sopraindicato non sia stato conseguenza immediata del reato di falso in prospetto (reato perpetrato, come da imputazione di riferimento, il 9.5,2014, ovverosia al momento della approvazione del prospetto relativo all'aumento di capitale), bensì del successivo delitto di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB (delitto, in effetti, posto in essere nel periodo, decorrente dal 23 maggio, protrattosi per tutta la durata dell'operazione di aumento di capitale e delle concomitanti interlocuzioni con la predetta autorità di vigilanza): ove CONSOB fosse stata notiziata delle reali, illegali modalità di attuazione dell'aumento di capitale, infatti, sarebbe necessariamente e prontamente intervenuta, impedendo che ciò avesse luogo. Donde la sussistenza dei presupposti tutti del provvedimento di confisca adottato dal primo giudice, ex art. 19 D. L.vo 231/01, per l'importo di Euro 74.212.687,50 (per effetto della corretta detrazione dalla predetta somma di 106.012.687,50 dell'entità degli importi complessivamente restituiti, pari ad Euro 31,8 milioni), provvedimento che, pertanto, va confermato. 16.5 Il rigetto della richiesta di assoluzione dell'ente comporta l'infondatezza del quinto motivo, inerente alla condanna alle spese processuali di primo grado. 17. Gli appelli delle parti civili 17.1 Gli appelli proposti dalle parti civili Pa.La. e PA.Gi. (rappresentate dall'avv. Da.), Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi. (rappresentate dall'avv. Fa.), Va.Gi. An., RO.El. e Va.De. (rappresentate dall'avv. Cu.) con riferimento alla pronunzia assolutoria nei confronti dell'imputato Pe.Ma. meritano accoglimento. Sul punto, si rimanda alle considerazioni già svolte sub 15.2 in punto di fondatezza dell'appello proposto dal P.M. Dall'accoglimento dell'appello discende la condanna del PE., in solido con i coimputati ZO., GI., PI. e MA., al risarcimento dei danni cagionati a dette parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio civile nei termini di cui alla sentenza impugnata, nonché al pagamento, in favore delle predette parti civili, della somma già loro liquidata in prime cure a titolo di provvisionale (5% del valore nominale delle obbligazioni/azioni acquistate, per un valore in ogni caso non superiore ad Euro 20.000 per ciascuna parte). 17.2 L'appello della parte civile Bi.Ce. è infondato. Al riguardo, va preliminarmente osservato che, come precisato nell'atto di impugnazione (cfr. pagg.1-3), Bi.Ce., dopo avere instaurato il giudizio innanzi al tribunale civile instando per la declaratoria di nullità del negozio costituito dal finanziamento erogatogli per l'acquisto delle azioni B., ha trasferito l'azione civile nel processo penale. Quindi, in sede penale, il tribunale di Vicenza ha correttamente concluso per l'improcedibilità delle azioni civili proposte, a fini risarcitori, nei confronti di B. in liquidazione, ex artt. 83 T.U.B., 201 l.f.. Tuttavia, ad avviso della parte civile appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente incluso tra le azioni risarcitone dichiarate improcedibili anche quella, tutt'affatto diversa, proposta dal medesimo BI.. Ebbene, se è certamente vero che la domanda avanzata dal predetto BI. non aveva natura risarcitoria (in quanto finalizzata alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento per illiceità della causa), è altrettanto vero che, conseguentemente, si è trattato di una domanda radicalmente estranea all'ambito di esercizio dell'azione civile nel processo penale, come peraltro espressamente osservato dal primo giudice con j riferimento a tutte le domande "di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni" (cfr. pag. 822 della sentenza impugnata). Com'è noto, infatti, le uniche azioni che possono legittimare la costituzione di parte civile sono, ex art. 74 c.p.p., quelle aventi ad oggetto pretese restitutorie/risarcitorie fondate sulla commissione di un reato. Dal difetto (originario) dei presupposti per l'ammissione della costituzione della parte civile - difetto rilevabile senza preclusioni temporali, ove si consideri che il controllo sui presupposti di legittimità formale e sostanziale richiesti per l'esercizio dell'azione civile in sede penale è consentito pur dopo l'ordinanza di ammissione della costituzione, avente per sua natura efficacia provvisoria (cfr. Cass. Sez. VI, n. 32478 del 5.7.2016, Tr.) - discende, l'infondatezza della censura articolata nel gravame. La decisione del tribunale berico, quindi, va integralmente confermata con conseguente condanna di Bi.Ce. al pagamento delle spese processuali. 17.3 L'appello proposto dalle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno censurato la sentenza gravata sul rilievo dell'avvenuto accoglimento della domande risarcitone limitatamente al pregiudizio subito per effetto del reato stigmatizzato, in imputazione, sub Al), il tutto a fronte di una costituzione di parte civile effettuata in relazione a tutte le imputazioni, ivi comprese, quindi, quelle rubricate ai capi I) ed L), avendo i predetti appellanti sottoscritto tanto l'aumento di capitale per l'anno 2013 (di cui al predetto capo I), quanto quello del successivo anno 2014 (di cui al predetto capo L). Sennonché, lungi dall'essersi in presenza di una sentenza che abbia - sia pure implicitamente - accolto la domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla lesione cagionata a dette parti dalla sola condotta delittuosa di aggiotaggio di cui al capo Al), osserva questa Corte che il provvedimento impugnato è affetto, sul punto, da una mera omissione materiale. Dalla congiunta valutazione dell'atto di costituzione dei predetti Cr. e Co. e del contenuto della pronunzia del tribunale di Vicenza (caratterizzata dalla esposizione, necessariamente cumulativa, delle ragioni della decisione in punto di statuizioni civili, con conseguente rinvio, per le singole posizioni, all'elenco allegato al dispositivo) emerge, infatti, in termini davvero inequivoci, come in detta sentenza sia stata unicamente omessa l'indicazione, nella tabella riportata a pag. 1068 relativa alle parti civili rappresentate dall'avv. Sp. e costituite in relazione ai capi A1, I ed L, dei nominativi dei predetti Cr. e Co., inseriti unicamente nella distinta tabella riguardante le parti civili costituitesi per il solo reato sub A1. Nessun rigetto parziale (ancorché implicito ed immotivato) della domanda avanzata da dette parti civili con riferimento ai citati capi I) ed L), quindi, è dato, nella specie, ravvisare; bensì, una mera materiale aporia, alla quale può e deve porsi rimedio, da parte del giudice dell'impugnazione, ricorrendo alla relativa procedura di correzione, ex art. 130 c.p.p. (e la censura mossa alla sentenza del tribunale di Vicenza dalle citate parti civili, pertanto, deve essere interpretata tal senso). Donde la correzione, come da separato provvedimento. 18 La liquidazione dei compensi spettanti ai difensori delle parti civili. Nel liquidare i compensi ai difensori delle parti civili la Corte ha ovviamente tenuto conto tanto delle caratteristiche tutte del giudizio, quanto dell'aumento da riconoscersi ai professionisti in ragione della pluralità di parti assistite. Segnatamente, con eccezione della liquidazione disposta per alcune parti che hanno adottato iniziative più significative nella fase introduttiva (le plurime parti difese dagli avvocati Cu., Da. e fa.) o nel corso del processo (Banca d'Italia, Consob), è stata riconosciuta una liquidazione "base" di Euro 1800,00 (di cui Euro 450,00 per esame e studio; Euro 675,00 per la fase istruttoria; Euro 675,00 per la fase decisionale), importo, questo, calcolato tenendo debitamente conto della circostanza costituita, pur a fronte della complessità del processo, dal fatto che l'impegno richiesto dal procedimento di appello è stato, per le parti civili, in concreto, contenuto, con riferimento alle fasi istruttoria e decisionale (la prima, invero, non ha visto significativi interventi di dette difese che, a volte, non hanno neppure partecipato alle udienze; la seconda, poi, si è per lo più essenzialmente esaurita nel deposito delle conclusioni). Di qui l'adozione dei valori medi unicamente in relazione alla fase di "studio" e la riduzione per le restanti voci. Rispetto a tale liquidazione "base", poi, l'aumento per la pluralità di parti è " stato concretamente modulato al fine di scongiurare le marcate distorsioni dell'effetto moltiplicativo previsto dalla legge che si sarebbero inevitabilmente prodotte pur a fronte di attività del tutto omogenee e dell'assenza di "specifiche e distinte questioni di diritto". Donde la decisione di contenere, nel solco della determinazione, sul punto, del primo giudice, l'entità dell'aumento, per ogni parte ulteriore, sino a dieci parti, nella misura del 10% di detta "quota base", nonché nella misura di un ulteriore 5% per ciascuna parte aggiuntiva, sino al limite di 30 parti, con conseguenti singole liquidazioni, come da dispositivo. Oltre tale numero di parti (30 parti assistite, che costituisce anche il limite massimo preso in esame dalla legge), l'assoluta serialità dell'attività svolta per la difesa in sede processuale di parti titolari di posizioni assolutamente omogenee, o addirittura coincidenti, ha indotto la Corte ad escludere l'adozione di ulteriori aumenti, che pure sono stati calcolati forfettariamente dal giudice di primo grado, ma la cui concreta applicazione rientra pur sempre nella discrezionalità riconosciuta al giudice di merito dalla giurisprudenza di legittimità. P.Q.M. Visto l'art. 605, 592 c.p.p. In parziale riforma della sentenza emessa in data 19/3/2021 dal Tribunale di Vicenza, appellata: - dalla Procura della Repubblica di Vicenza; - dagli imputati Gi.Em., Ma.Pa., Zo.Gi., Pi.An., Zi.Gi.; - dalla Banca (...) in L. C.A., dichiarata responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti ai sensi del D.Lvo 231/2001); - dalle parti civili Bi.Ce.; Cr.La. e Co.An.; Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi.; Pa.La. e Pa.Gi.; Va.Gi., Ro.El. e Va.De., statuisce nei seguenti termini: 1) quanto a Zo.Gi., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 2) quanto a Pi.An., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a luì ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 3) quanto a Ma.Pa., assolve l'imputato dai reati di cui ai capi I) ed L), nonché dai reati ascrittigli ai capi H1) e M1), limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto; ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce e ridetermina la pena inflitta all'imputato ad anni 3 mesi 4 e giorni 15 di reclusione; 4) quanto a Gi.Em., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c. e riconosciute le attenuanti generiche in regime di prevalenza, riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 2 mesi 7 e giorni 15 di reclusione; 5) quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello proposto dalla Procura della Repubblica e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Cu., Da. e FA., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiara l'imputato responsabile dei residui reati ascrittigli e ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza e unificati, infine, i predetti reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Rigetta l'appello della Procura della Repubblica nei confronti di Zi.Gi. nonché l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado dal medesimo imputato che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Revoca le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici nei confronti degli imputati MA. e GI.. Revoca la confisca per equivalente disposta ai sensi dell'art. 2641 comma II c.c. nei confronti degli imputati per l'intero suo importo pari ad Euro 963.000.000. In parziale accoglimento dell'appello dall'ente Banca (...) in Lea riduce ad Euro 207.900 la sanzione pecuniaria nei confronti del predetto ente quale responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato allo stesso ascritti ai sensi del D,lvo n. 231/2001, ritenuta l'unitarietà delle ipotesi di aggiotaggio. Revoca la provvisionale disposta in favore dì Banca d'Italia e Consob. Rigetta l'appello proposto da Bi.Ce. e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui condanna gli imputati al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa in favore della parte civile Bi.Ce.. Revoca nei confronti di Zo.Gi. e Gi.Em. la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa di parte civile disposta in favore delle parti civili Ab. S.r.l., Bu.Sa. e To.Ma., rappresentate dall'avv. Mo.Gi.. Condanna gli imputati in solido tra loro al pagamento delle spese di assistenza e difesa delle parti civili liquidate come da documento allegato al dispositivo nonché come di seguito specificato: - in favore di Banca d'Italia, la somma di Euro 5670 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore di Consob, la somma di Euro 3150 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Cu., la somma di Euro 3510, a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Da., la somma di Euro 2970 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. FA., la somma di Euro 3780,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge. Dispone il pagamento in favore dello Stato delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili Ci., che liquida nella misura di Euro 1800 oltre al rimborso spese generali (15%), Iva e epa come per legge. Conferma nel resto. Letto l'art. 544 comma III c.p.p. indica il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Venezia il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Domenico Bonaretti - Presidente dr. Massimo Meroni - Consigliere rel. dr.ssa Serena Baccolini - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 2236/2020 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...), 10 20122 MILANO presso lo studio dell'avv. RE.AN., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all'avv. DI.SE. ((...)) VIA (...), 10 20122 MILANO; RICORRENTE CONTRO COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETÀ E LA BORSA- CONSOB (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) MILANO presso lo studio dell'avv. PALMISANO PAOLO, che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all'avv. VA.AN. ((...)) VIA (...), 3 00198 ROMA; ER.LE. ((...)) Via (...) 20121 MILANO; CO.VI. ((...)) VIA (...) MARTINI, 3 00198 ROMA; RESISTENTE Oggetto: Altre controversie di diritto amministrativo CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) Il provvedimento opposto. Il 15.7.2020 è stata notificata al ricorrente la Del.Consob n. 21420 del 25 maggio 2020, con la quale è stata inflitta: "al Sig. (...), nato a G. (V.) il (...) ed ivi residente in Via (...) n. 9: . in relazione all'accertata violazione dell'art. 187-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 58 del 199, per aver egli, in possesso delle informazioni concernenti le promozioni di un'Ops sulle azioni (...) e un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni (...), delle quali conosceva o poteva conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato: - acquistato per conto proprio e per conto della madre (...) azioni (...), utilizzando tale informazione, sanzione amministrativa pari a Euro 220.000; - acquistato per conto proprio e acquistato per conto della madre (...) azioni (...), utilizzando tale informazione, sanzione amministrativa pari a Euro 130.000; per una sanzione complessiva pari a Euro 350.000; sanzione amministrativa interdittiva accessoria obbligatoria complessiva, di cui all'art. 187-quater, comma 1, del D.Lgs. n. 58 del 1998, pari a mesi dodici". 2) Le difese delle parti nel presente giudizio A) Nel ricorso e nella memoria difensiva (...) ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni sopra riportate per i motivi di seguito succintamente esposti. 1) Carenza di potere sanzionatorio in capo alla Consob con riguardo alla contestazione dell'acquisto di azioni (...), in quanto il titolo (...) era quotato solo sul mercato azionario francese, la parte prevalente degli acquisti era stata effettuata tramite un intermediario svizzero, era irrilevante che (...) fosse cittadino italiano residente in (...) ed in ogni caso AMF (Autorità di Vigilanza Francese) aveva disposto l'archiviazione per il medesimo fatto; pertanto Consob era carente di potere sanzionatorio secondo quanto previsto da Reg. UE 596/2014 (recepito in Italia con D.Lgs. n. 107 del 2018) art. 22, 25 c. 2 e 31 c. 1, i quali stabiliscono che le autorità competenti irroghino le sanzioni amministrative per i fatti commessi sul proprio territorio e si coordinino per evitare duplicazioni e sovrapposizioni di sanzioni. 2) Violazione del termine per la contestazione degli illeciti di cui all'art.187 septies c. 1 D.Lgs. n. 58 del 1998, in quanto tutti gli elementi richiamati da Consob, ai fini di ascrivere la commissione dell'illecito di cui all'art. 187 bis D.Lgs. n. 58 del 1998 all'odierno ricorrente, erano noti all'Autorità di Vigilanza ed erano già stati acquisiti dalla stessa al più tardi dall'ottobre 2016, in conseguenza cioè dell'audizione di (...) presso Consob dell'11.10.2016. 3) Carenze probatorie in ordine alla sussistenza degli illeciti contestati: a) Consob ha fondato il proprio convincimento ricorrendo a presunzioni semplici; il ricorso a prove presuntive può essere ammesso solo nell'ipotesi in cui i fatti, sui quali esse si fondano, siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come una logica conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità, laddove gli indizi sottesi alle presunzioni dedotte siano gravi, precisi e concordanti, ma nel caso di specie non appaiono sussistere tali requisiti. b) Gli addebiti ascritti non possono essere imputati al ricorrente, in quanto: non è comprovato che gli investimenti in titoli (...) e titoli (...) fossero anomali rispetto agli altri acquisti operati da (...); non è provata, nemmeno in via presuntiva, l'appartenenza di (...) al c.d. gruppo di investitori; . non possono essere condivise le considerazioni di Consob in merito all'autonoma decisione del ricorrente di investire in titoli (...) e (...), tenuto conto che, a fronte della sussistenza del rapporto tra (...) e (...), valorizzato da Consob, solamente l'odierno ricorrente ha acquistato titoli (...), mentre (...), asseritamente in possesso dell'informazione privilegiata riguardante la OPS del (...) su azioni (...), l'avrebbe comunicata a (...), ma poi non risulta che abbia egli stesso investito in tali azioni. c) Assenza di natura privilegiata dell'informazione, alla data degli acquisti attuati dal ricorrente, in quanto: con riferimento alle azioni (...), l'informazione price sensitive sarebbe costituita, secondo l'assunto di Consob, dall'intenzione del (...) di promuovere una OPS per incrementare la partecipazione in (...); dalla stessa ricostruzione operata da Consob si evince, però, che alla data di acquisto dei titoli (...) da parte di (...) (7.10.2014), si era solo tenuto da pochi giorni il c.d. kick off meeting tra le due società interessate e gli advisors, cosicché l'operazione da realizzarsi era ancora in corso di definizione e lungi dal poterne ritenere certa la realizzazione; pertanto a quella data non si era ancor concretizzata l'informazione privilegiata; con riferimento alle azioni (...), l'informazione price sensitive, secondo l'assunto di Consob, sarebbe stata l'intenzione del gruppo (...) di promuovere una OPA per acquistare il 58,6% del capitale sociale di (...); dalla ricostruzione operata da Consob si evince, però, che alla data di acquisto dei titoli (...) da parte di (...) (14.1.2014), l'operazione era ancora allo stadio iniziale, dovendo procedersi ancora alla prima fase di due diligence; pertanto a quella data non si era ancora concretizzata l'informazione privilegiata. d) Nella fattispecie in esame si sarebbe potuta configurare una condotta dolosa solo nel caso in cui fosse stato provato che il ricorrente era in possesso dell'informazione privilegiata e ne conosceva il valore price sensitive, mentre nessuna delle due circostanze risulta provata, vista l'assoluta legittimità dell'operatività sui mercati di (...) nel caso di specie, la sua estraneità al gruppo di investitori, l'impossibilità dello stesso, a tutto voler concedere, di riconoscere il carattere privilegiato delle informazioni (mai) ricevute da (...). 4) Eccessività della sanzione pecuniaria inflitta. La sanzione inflitta è oggettivamente sproporzionata rispetto all'entità dell'asserita violazione (da cui il ricorrente ha tratto un guadagno di importo irrisorio) e al carattere non doloso della stessa, pertanto deve essere rimodulata sino alla misura minima prevista dalla legge, anche in considerazione del fatto che nei confronti di (...), ovvero colui che, in possesso delle informazioni privilegiate, ne avrebbe beneficiato acquistando i titoli oggetto di indagine per poi comunicare le stesse al ricorrente, è stata irrogata una sanzione pecuniaria con una differenza di appena Euro 20.000 rispetto a quella inflitta a (...) e nei confronti di (...), ovvero colui che si era procurato l'informazione privilegiata, è stata applicata una sanzione pecuniaria inferiore di Euro 30.000 rispetto a quella inflitta a (...). B) Nella comparsa di risposta e nella memoria difensiva (...) ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni sopra riportate per i motivi di seguito succintamente esposti. 1) In ordine al primo motivo di opposizione, la competenza di Consob è prevista dall'art. 182 c 2 D.Lgs. n. 58 del 1998 (che riproduce l'art. 22 Reg. UE 596/2014), secondo cui le disposizioni degli articoli 184, 185, 187-bis (che qui viene in rilievo) e 187-ter "si applicano ai fatti concernenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri Paesi dell'Unione europea". Pertanto, sussiste la competenza sanzionatoria di Consob in casi di abuso di informazioni privilegiate, quali quelli in esame, posti in essere da cittadini italiani sul territorio italiano relativi a un titolo negoziato in un mercato regolamentato francese. L'Autorità di vigilanza francese (AMF) non ha adottato iniziative con riguardo alla vicenda (...) nei confronti di alcuno dei soggetti investigati, astenendosi sia da ulteriori atti di vigilanza che dall'irrogazione di sanzioni (e, a monte, dallo stesso avvio di un procedimento sanzionatorio), anche con riguardo alle posizioni diverse da quella dell'odierno ricorrente. 2) In ordine al secondo motivo di opposizione, la mera indicazione di una data (che nella ricostruzione avversaria sarebbe da individuare nell'11.10.2016, data in cui Consob avrebbe avuto la disponibilità di tutti gli elementi necessari per procedere alla contestazione), non può validamente sostenere la dedotta tardività della notifica delle contestazioni, non essendo non solo provate, ma nemmeno allegate, le ragioni per cui tale documento avrebbe consentito all'Amministrazione di acquisire piena contezza degli elementi costitutivo dell'illecito. Solo con nota del 5.3.2018 la Procura della Repubblica di Milano ha trasmesso a Consob tutta la (estremamente voluminosa) documentazione, acquisita nel procedimento penale n. 25579/16 R.G.N.R., riguardante ipotesi di reato di abuso di informazioni privilegiate. Il motivo di opposizione in esame è quindi infondato, ove anche si volesse identificare nella ricezione degli atti penali, in data 5.3.2018, l'ultimo atto della fase acquisitiva dell'indagine della Consob, in quanto tra tale data e quella della spedizione della lettera di contestazione sono intercorsi 283 giorni; pertanto, detraendo da questi i 180 giorni che sono riferiti dalla legge al perfezionamento dell'attività materiale di notifica dell'atto di contestazione, resta un intervallo di 103 giorni, pari a poco più di tre mesi, che costituirebbe in ogni caso uno spatium deliberandi del tutto ragionevole e proporzionato per l'elaborazione e la valutazione di tutte le informazioni acquisite, incluse quelle inviate dalla Procura, e la redazione delle lettere di contestazione nei confronti di 45 persone. L'indagine in esame aveva, peraltro, acquisito una connotazione plurisoggettiva e plurioggettiva ed è stata unitariamente condotta da Consob, quanto meno, fino al 22.6.2018, quando (...), una delle persone poi sanzionate, ha riscontrato la richiesta di dati e notizie, che gli era stata inviata dalla DME in data 15.5.2018. 3) In ordine al terzo motivo di opposizione: La responsabilità dell'odierno ricorrente è stata accertata sulla base di fatti noti, puntualmente accertati, idonei a costituire presunzioni gravi, precise e concordanti, nel pieno rispetto del disposto dell'art. 2729 c.c.. Dalle indagini svolte da Consob è risultato che le informazioni relative alla promozione dell'OPA sulle azioni (...) e alla promozione dell'OpS sulle azioni (...) hanno acquisito il carattere di informazione privilegiata, rispettivamente, dal 27.11.013 e dal 26.9.2014, e sono state rese pubbliche, rispettivamente, il 5.2.2014 e il 17.10.2014. 4) In ordine al quarto motivo di opposizione, la sanzione inflitta al ricorrente appare del tutto proporzionata tenuto conto dei capitali investiti, dei guadagni realizzati e del carattere doloso dell'illecita attività posta in essere. 3) La decisione della Corte d'Appello sui punti controversi La Corte d'appello ritiene di respingere l'opposizione proposta da (...). 1) Prima questione: carenza di potere sanzionatorio in capo a (...) (con riguardo al titolo (...)); motivo di opposizione n. 1 del ricorrente. Il motivo di opposizione è infondato. Con il suddetto motivo il ricorrente sostiene che le contestate violazioni, relative all'acquisto del titolo (...), avrebbero potuto essere adottate esclusivamente da AMF (cioè l'autorità francese vigilante sul mercato), ai sensi dell'art. 22 del Regolamento UE n. 596/2014 (cd. "Regolamento MAR"), il quale prevede che le autorità di uno Stato membro abbiano competenza anche per attività svolte all'estero, soltanto se relative a strumenti ammessi su un mercato che opera all'interno del loro territorio. Pertanto, nella prospettazione di parte ricorrente, pacifica essendo la circostanza che il titolo (...) fosse negoziato unicamente sul mercato Euronext Paris, l'asserito illecito andrebbe a ledere, a mente dell'articolo 1 del Regolamento MAR, l'integrità del solo mercato finanziario francese, con esclusiva competenza, in termini di vigilanza (e di potere sanzionatorio), quindi, in capo ad AMF, anche per attività asseritamente illecite svolte in Italia, e sussistendo in capo a Consob un mero dovere di collaborazione con detta autorità. Consob sostiene, invece, che debba ritenersi sussistente il proprio potere di irrogare la sanzione, ai sensi dell'art. 182 D.Lgs. n. 58 del 1998 (quale "competenza sanzionatoria della Consob in casi di abuso di informazioni privilegiate, quali quelli in esame, posti in essere da cittadini italiani sul territorio italiano relativi a un titolo negoziato in un mercato regolamentato francese"), trattandosi di potestà concorrente delle due Autorità di vigilanza, quella dello Stato nel cui territorio si svolge l'attività illecita (cioè, in Italia, Consob) e quella dello Stato nel quale si trova il mercato su cui i titoli sono negoziati (nella fattispecie, in Francia, AMF). A supporto della suddetta tesi, Consob ha richiamato i precedenti già espressi da altre Corti italiane, adite in opposizione alla medesima Delib. n. 21420 del 2020, ed alle quali è stata sottoposta l'identica censura (in particolare Corte d'Appello di Venezia, sentenza n. 1256/2021; Corte d'Appello di Bologna sentenza n. 1203/2021). La Corte ritiene che la doglianza, proposta dal ricorrente, sia infondata, ritenendo corretto, quindi, dare continuità all'orientamento già espresso sul punto specifico dalle suddette Corti d'Appello, investite di altrettanti giudizi di opposizione avverso la medesima delibera sanzionatoria di Consob per cui è causa (si veda, sul punto specifico, Corte d'Appello di Venezia, sentenza n. 1256/2021; Corte d'Appello di Bologna sentenza n. 1203/2021; Corte d'Appello di Catania sentenza n. 1723/21 e, da ultimo, Corte d'Appello di Torino sentenza n. 203/22). Infatti, il potere sanzionatorio di Consob deve essere ritenuto sussistente già in base a quanto previsto dall'art. 187 bis D.Lgs. n. 58 del 1998, in relazione al precedente art. 182 (entrambi inseriti nella cornice normativa delineata dall'art. 10, lett. b), della Direttiva 2003/6/CE), trattandosi di condotta che, pacificamente, è stata perpetrata per intero in Italia da cittadino italiano, relativa a strumenti finanziari regolamentati sul mercato francese, il tutto sulla scorta dell'art. 10 Direttiva 2003/6/CE, che così testualmente stabilisce: "Ogni Stato membro applica i divieti e gli obblighi fissati nella presente direttiva: a) alle attività effettuate nel proprio territorio o all'estero e aventi ad oggetto strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato situato o operante nel suo territorio o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in tale mercato; b) alle attività effettuate nel proprio territorio e aventi ad oggetto strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in tale mercato". Al riguardo si evidenzia, infatti, che, dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che la condotta imputata al ricorrente, costituita dagli acquisti effettuati tra il 6 e il 17.10.2014, di 229.188 azioni (...), è stata interamente commessa in Italia, dato che: (...) è cittadino italiano, residente (all'epoca dei fatti) in Gallarate, provincia di Varese, dove svolge l'attività di imprenditore; nel periodo dal 6 al 17.10.2014, il ricorrente ha acquistato 229.188 azioni (...) (...), per un controvalore di Euro 1.358.221,87, a valere su tre conti, intestati a lui, alla madre (...) e a lui e, il terzo, solo alla madre, aperti presso intermediari del gruppo (...) aventi sede in (...) ((...) S.p.a. e (...) S.p.a.); 132.800 azioni (...) sono state acquistate da (...) a valere su un conto presso (...), intestato a (...), in forza di una delega ad operare sullo stesso, a seguito di un ordine di acquisto impartito a (...) S.p.a., società avente sede a Milano; gli ordini di acquisto sono stati tutti disposti quando egli si trovava in Italia. Da quanto esposto risulta, quindi, che, essendo gli intermediari, ai quali sono stati conferiti gli ordini di acquisto, di nazionalità italiana e trovandosi il disponente in Italia al momento del conferimento dell'ordine d'acquisto, la condotta illecita è stata tenuta dal ricorrente nel territorio italiano. La competenza, inoltre, deve ritenersi sussistente anche ai sensi dell'art. 22 del Regolamento MAR (Regolamento UE n. 596/2014), stante la previsione, ivi ribadita, della competenza sia dello Stato all'interno del quale è stata perpetrata la condotta illecita, sia dello Stato in cui si trova il mercato sul quale lo strumento finanziario è regolamentato (con conseguente possibilità di una competenza concorrente delle Autorità designate da più Stati all'interno della UE). Il tutto sulla scorta della testuale disposizione, secondo cui "Fatte salve le competenze delle autorità giudiziarie, ogni Stato membro designa un'unica autorità amministrativa competente ai fini del presente regolamento. Gli Stati membri ne informano la Commissione, l'ESMA e le altre autorità competenti degli altri Stati membri. L'autorità competente assicura che le disposizioni del presente regolamento siano applicate sul proprio territorio per quanto riguarda tutte le attività svolte sul proprio territorio, nonché le attività svolte all'estero relative a strumenti ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato, per i quali è stata chiesta l'ammissione alla negoziazione su tale mercato,oggetto d'asta su una piattaforma d'asta o negoziati su un MTF o su un OTF, o per i quali è stata chiesta l'ammissione alla negoziazione su un MTF che opera all'interno del loro territorio". Né alcun effetto preclusivo alla sopra riportata ricostruzione può essere desunto dalla circostanza che anche AMF (autorità di vigilanza francese) si è occupata degli episodi di insider trading, oggetto anche della presente controversia, dal momento che le indagini in avvio compiute da detta Autorità si sono inserite nella cornice della doverosa cooperazione tra le Autorità di Vigilanza, di cui all'art. 31 c. 2 Regolamento MAR, come attestato, tra l'altro, dalla trasmissione a Consob del report investigativo redatto da AMF (doc. 8 bis lettera di trasmissione in data 20.6.17, susseguente a richiesta di informazioni di Consob del 17.2.17, doc. 15, ed ad ulteriore missiva in data 14.3.17 di AMF prodotta al doc. 14). Né, infine, alcun contrario rilievo assume, nella valutazione del punto in esame, la circostanza che l'Autorità di Vigilanza francese non abbia proceduto all'adozione di alcun provvedimento di formale chiusura del procedimento (neppure essendo allegato anche solo il rischio dell'emanazione di un provvedimento sanzionatorio da parte della competente Autorità francese, peraltro agevolmente contrastabile sulla scorta dei principi di ne bis in idem). In definitiva, quindi, ritenuta pienamente sussistente la potestà sanzionatoria di Consob sulla vicenda in esame, deve ritenersi infondato il motivo di censura in esame. 2) Seconda questione: tardività della contestazione; motivo di opposizione n. 2 del ricorrente. Il motivo di opposizione è infondato. Con il suddetto motivo di opposizione, il ricorrente lamenta la violazione del termine di centottanta giorni successivi all'accertamento dell'illecito per la contestazione degli addebiti, previsto dall'art. 187-septies c. 1 D.Lgs. n. 58 del 1998. Ritiene il ricorrente che la contestazione, inviata con lettera del 12.12.2018, sia stata tardiva, in quanto effettuata oltre i centottanta giorni rispetto al momento dell'accertamento, che, per quanto a lui riferibile, sostiene risalire al giorno 11.10.2016, data della seconda audizione del ricorrente presso Consob. Il ritardo nell'invio della contestazione rispetto a tale termine sarebbe frutto di una mera inerzia della Consob e, come tale, ingiustificabile. La Corte ritiene tale tesi infondata. Innanzitutto, l'ultimo atto della fase acquisitiva da parte di Consob di fatti idonei a verificare la sussistenza dell'illecito imputato al ricorrente è stato compiuto, quanto meno il 5.3.2018, con la trasmissione degli atti dalla Procura della Repubblica di Milano a Consob, che ha consentito a quest'ultima di conoscere tutti i fatti acquisiti dall'organo della pubblica accusa in ordine agli illeciti commessi dal gruppo di persone, nei cui confronti erano state svolte le indagini penali. Ciò premesso, è indubbio che, nella valutazione della tempestività della contestazione rispetto all'accertamento dell'illecito, deve essere tenuto in considerazione anche il tempo necessario alla Pubblica Amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti. Infatti, il consolidamento del quadro informativo può dirsi certamente avvenuto solo, come detto, con la trasmissione della documentazione penale da parte della Procura della Repubblica di Milano il 5.3.2018, ma certamente non poteva dirsi esaurita in quella stessa data la fase valutativa e di ricognizione del materiale da parte della Consob, posto che "la pura "constatazione" dei fatti non coincide necessariamente con l'"accertamento" (Cass. n. 9254/2018) e che "il momento dell'accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni" (così Cass. n. 21171/2019). Se si considera la complessità della vicenda e delle indagini compiute, il grande numero di soggetti coinvolti (e, quindi, la natura plurioggettiva e plurisoggettiva della vicenda), la necessità di acquisire informazioni presso le competenti autorità estere (es. di Francia, Regno Unito, Svizzera e Paesi Bassi), la mole di documentazione acquisita in sede penale dalla Procura della Repubblica di Milano, non appare irragionevole o ingiustificabile uno spatium deliberandi di poco più di tre mesi, nei quali la Consob ha dovuto valutare ed elaborare il materiale acquisito, oltre che predisporre le lettere di contestazione nei confronti di ben quarantacinque persone. Per converso, dalla documentazione in atti non emergono indici di una ingiustificata e protratta inerzia o di colpevoli ritardi da parte di Consob, che ha invece dato evidenza (tramite l'Elenco sub doc. 3 della produzione telematica) di aver svolto una costante e ininterrotta attività di indagine nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (in particolare, sull'operatività dei gruppi di investitori, prima che sulle singole posizioni), senza che si siano verificati "prolungati intervalli di inattività". Non è censurabile, inoltre, la scelta di Consob di non parcellizzare le decisioni e rimandare la contestazione all'acquisizione di ulteriori dati in relazione anche a tutti gli altri soggetti coinvolti nell'indagine e appartenenti al medesimo gruppo di investitori, così da non pregiudicare la complessiva visione d'insieme della vicenda (cfr. anche la sentenza n. 399/2019, resa da questa Corte relativamente alla vicenda "(...)", connessa a quella qui esaminata). La posizione del ricorrente, infatti, non può e non poteva essere valutata singolarmente, ma deve essere inserita nel più ampio contesto delle indagini, anche penali, compiuto sull'intero gruppo, di cui lo stesso faceva parte. Lo stralcio della posizione del ricorrente avrebbe potuto compromettere l'unitarietà dell'accertamento e pregiudicare la ricomposizione di tutti i tasselli in un quadro di insieme, quadro di insieme che Consob ha legittimamente atteso di acquisire prima di procedere con le singole contestazioni. Come infatti affermato da consolidata giurisprudenza, di legittimità e di merito, l'accertamento non può ritenersi compiuto fino a quando si rendano necessari od opportuni ulteriori riscontri (così Cass. n. 8257/2001 e, in senso conforme, Cass. n. 2123/2021, Cass. n. 14210/2012, Cass. n. 25842/2011), anche "in vista dell'emissione di un'unica ordinanza ingiunzione per violazioni connesse", considerato che una valutazione atomistica delle diverse posizioni potrebbe pregiudicare la visione di insieme degli illeciti da accertare e rischierebbe addirittura di risultare iniqua. Oltretutto, Consob, nella sua memoria, ha provato di aver svolto attività di indagine anche successivamente al 5.3.2018 e ha indicato quale data di chiusura delle indagini il 22.6.2018, giorno in cui è stata acquisita la risposta di (...) (un'altra delle persone sanzionate con la medesima delibera qui impugnata) alla richiesta di dati e notizie da parte dell'autorità. Anche una tale indicazione appare comunque del tutto prudenziale, avendo Consob proseguito la sua attività anche dopo il 22.6.2018, avendo intrattenuto interlocuzioni con la FINMA (l'Autorità di vigilanza svizzera) fino al 2.10.2018 (allorquando tali interlocuzioni si sono concluse con "un nulla di fatto") in ordine all'operatività di (...) sul titolo (...), attività di indagine particolarmente rilevante proprio con riguardo alla posizione del ricorrente, il quale, come si esporrà nel seguito, era risultato intrattenere stretti rapporti, anche con riguardo agli investimenti, oggetto della controversia, proprio con il suddetto (...). Ritiene quindi la Corte che la notifica della lettera di contestazione degli addebiti in data 12.12.2018 sia stata tempestiva e che sia pertanto corretto dare continuità all'orientamento già espresso sul punto anche dalle altre Corti d'Appello investite dell'opposizione avverso la medesima delibera sanzionatoria (si veda, sul punto specifico, Corte d'Appello di Roma, n. 280/2021 e 2406/2021, Corte d'Appello di Venezia, sentenza n. 1256/2021; Corte d'Appello di Bologna sentenza n. 1203/2021, n. 900/2021, n. 1862/2021; Corte d'Appello di Catania sentenza n. 1723/21). 3) Terza questione: sussistenza dell'illecito amministrativo costituito dall'utilizzazione dell'informazione privilegiata relativa ai titoli (...) e (...); motivo di opposizione n. 3 del ricorrente. Il motivo di opposizione è infondato. A) Elementi costitutivi dell'illecito amministrativo contestato (D.Lgs. n. 58 del 1998 art. 187 bis c. 4 e 1a). a) Il soggetto sanzionato era a conoscenza della decisione da parte del gruppo (...) di promuovere un'Ops sulle azioni (...) e della decisione del gruppo (...) di promuovere un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni (...). b) La suddetta informazione aveva carattere privilegiato, in quanto nel momento in cui è stata conosciuta dal soggetto sanzionato, non era pubblica ed era idonea a influire sul prezzo del titolo. c) Il soggetto sanzionato conosceva o, con la normale diligenza, poteva conoscere che tale informazione aveva carattere privilegiato. d) Il soggetto sanzionato ha acquistato azioni (...) e (...) dopo che si era verificato il fatto oggetto dell'informazione (il fatto relativo al titolo (...) si è verificato il 19 o al più tardi il 26.9.2014; il fatto relativo al titolo (...) si è verificato al più tardi il 27.11.2013) e prima che l'informazione suddetta divenisse pubblica (l'informazione relativa al titolo (...) è divenuta pubblica il 17.10.2014; l'informazione relativa al titolo (...) è divenuta pubblica il 5.2.2014). B) Prove addotte da (...) a carico del ricorrente La prova della sussistenza dell'illecito, dedotta da Consob nei confronti del ricorrente, non è diretta ma indiziaria (ai sensi degli art. 2727 - 2729 c.c.). Il ricorrente non ha contestato (se non indirettamente) la sussistenza dell'elemento costitutivo dell'illecito sub. d) ed ha invece contestato la sussistenza degli elementi costitutivi sub a), sub. b) e sub. c). Consob ha allegato i seguenti fatti a carico del ricorrente, da cui ha desunto la sussistenza dell'illecito contestato, fatti la cui sussistenza è stata solo parzialmente contestata dal ricorrente. 1) (...) era in possesso dell'informazione privilegiata concernente la promozione di una OpS su azioni (...) da parte del (...) e di un'OPA su azioni (...) da parte di (...). 2) (...) e (...) sussisteva uno stretto rapporto personale (cf. anche le dichiarazioni di (...) e contatti telefonici tra gli stessi). 3) (...) e (...) sussisteva un legame di amicizia e professionale, provato dai frequentissimi contatti telefonici, avvenuti anche nelle giornate precedenti gli inizi degli investimenti in azioni (...) e (...) (cf. anche dichiarazioni di V.). 4) Il 14, 20, 22, 23, 24, 27 gennaio 2014 e 4 febbraio 2014 (...) ha acquistato 76.018 azioni (...) ad un prezzo medio di Euro 2,402, a valere su due conti presso (...) S.p.A., per un controvalore di Euro 182.640,26, di cui 44.500 azioni a valere sul deposito titoli n. (...) a lui intestato e 31.538 azioni a valere sul deposito titoli n. (...) intestato alla madre (...), sul quale egli aveva una delega ad operare. 5) Il 6, 7, 8, 10, 13 e 17 ottobre 2014, (...) ha acquistato complessivamente 229.188 azioni (...), ad un prezzo medio per azione di Euro 5,9262, con un esborso complessivo di Euro 1.358.221,87; in particolare, (...) ha acquistato: a) 8.000 azioni a valere sul deposito titoli n. (...) presso (...) S.p.A. intestato a lui e alla madre (...); b) 22.000 azioni a valere sul deposito titoli n. (...) a lui intestato presso (...) S.p.A.; c) 66.388 azioni a valere sul deposito titoli n. (...) presso (...) S.p.A. intestato alla madre (...), sul quale egli aveva una delega ad operare; d) 132.800 azioni a valere su un conto presso (...) intestato alla madre (...), sul quale egli aveva una delega ad operare. 6) L'investimento in azioni (...) è stato dimensionalmente rilevante rispetto agli altri effettuati da (...) nel corso del 2014. 7) L'investimento in azioni (...) da parte di (...) è stato dimensionalmente rilevante rispetto agli altri investimenti dallo stesso effettuati nel corso del 2014 ed è stato finanziato con la vendita di altri titoli azionari, alcuni in giacenza con valori di carico superiori a quelli di vendita. 8) Gli investimenti in azioni (...), (...), (...) (anch'essi effettuati prima dell'annuncio al pubblico di un'informazione privilegiata e non contestati da Consob per intervenuta prescrizione) e (...) (anch'essi effettuati prima dell'annuncio al pubblico di un'informazione privilegiata e non contestati da Consob per intervenuta prescrizione) da parte di (...) e degli altri soggetti al lui collegati, quali (...), (...) e (...), che erano tutti collegati, come (...), a (...), sono stati effettuati negli stessi archi temporali. 9) (...) ha addotto motivazioni generiche e insufficienti per spiegare gli acquisti di azioni (...) e (...), che egli non aveva mai negoziato prima, con specifico riferimento alla tempistica: al riguardo risulta smentito quanto dallo stesso dichiarato, cioè che aveva letto del possibile accordo tra (...) e (...)/(...), dato che la sussistenza di tale trattativa è stata resa nota solo il 4.2.2014, quindi dopo che (...) aveva iniziato gli acquisti del titolo, nonché che aveva letto della cessione di un pacchetto di azioni ad investitori istituzionali, dato che questa era avvenuta il 20.11.2013 al prezzo di Euro 2,36, inferiore cioè al prezzo di acquisto del titolo da parte di(...); al riguardo risulta smentito quanto dallo stesso dichiarato, cioè che aveva letto informazioni riguardanti la struttura del capitale (...) e le intenzioni del gruppo (...), in quanto l'Autorità di vigilanza francese ha escluso la sussistenza di notizie giornalistiche significative in ordine a una possibile operazione straordinaria su (...). 10) Le azioni (...), acquistate dal ricorrente, sono state vendute il 5.2.2014, cioè il giorno della diffusione al pubblico della notizia relativa alla promozione dell'offerta al pubblico da parte di (...); il controvalore delle vendite è risultato pari a Euro 223,158,57, consentendo al ricorrente di realizzare una plusvalenza pari a Euro 40.518,31 in circa venti giorni. 11) Le azioni (...), acquistate da (...), sono state vendute tra il 22 e il 23 ottobre 2014, successivamente alla diffusione al pubblico della notizia relativa alla promozione dell'offerta di scambio; il controvalore complessivo delle vendite è risultato pari a Euro 1.444.840,79; con tali operazioni di vendita il ricorrente ha realizzato in meno di venti giorni una plusvalenza pari a Euro 86.618,92. Il ricorrente non ha contestato la sussistenza dei fatti sopra elencati sub. (...)), (...)), (...)), (...)), (...)), (...)) e (...)), che quindi devono ritenersi accertati e che risultano, comunque, indubitabilmente provati anche dagli elementi di prova forniti da Consob, sopra riportati nelle note. Il ricorrente ha invece parzialmente contestato la sussistenza dei fatti sopra elencati sub. (...), (...)), (...)) e (...)). Con riguardo alle obiezioni formulate dal ricorrente con il terzo motivo di opposizione, sopra riportate, si evidenzia quanto segue. 1) In primo luogo (con riguardo al motivo di opposizione sub. (...) del ricorrente), la Corte ritiene corretto quanto sostenuto da Consob con riguardo al momento in cui si sono verificati i fatti idonei a costituire informazione privilegiata relativa ai titoli (...) e (...). a) In ordine al titolo (...), dalle indagini svolte da Consob, e non contestate dal ricorrente con riguardo ai fatti accertati, risulta che, al più tardi dal 27.11.2013, il progetto di acquisto da parte di (...) del 58,6% del capitale sociale di (...) dagli azionisti (...) SCA e (...) S.r.l., con la conseguente promozione di un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni costituenti la rimanente parte del capitale sociale di (...), costituiva un'informazione privilegiata per i motivi di seguito indicati: - nei giorni 25-26.10.2013 (...) aveva manifestato la propria intenzione di acquistare la partecipazione di (...) SCA in (...) e (...) di (...) (amministratore delegato di (...) SCA) aveva dichiarato la disponibilità di (...) SCA a cederla a tre condizioni: mantenimento dei brands, mantenimento del livello occupazionale e prezzo offerto prossimo a Euro 3 per azione (al riguardo l'Amministratore Delegato di (...), (...), ha affermato nel corso della sua audizione che il 25-26.10.2013 era emerso un "interesse comune" al trasferimento ad (...) della partecipazione di (...) SCA in (...)); - in seguito alla richiesta, rivoltale il 25-26.10.2013, di trasmettere una letter of interest (lettera di intenti) nell'arco di un mese, (...) aveva inviato la prima versione di una "(...)" (offerta non vincolante) a (...) s.r.l. il 22.11.2013 e la versione definitiva, che presentava differenze marginali rispetto alla prima, il 27.11.2013; - lo stesso 27.11.2013 l'Amministratore Delegato di (...) SCA ha inviato una e-mail a (...), in cui si è dichiarato soddisfatto per il contenuto della "(...)" e ha indicato che nei giorni successivi avrebbe prodotto il dettaglio delle procedure per definire l'accordo di cessione della partecipazione in (...); - la "(...)" prevedeva gli elementi essenziali dell'operazione: acquisto da parte di (...) delle intere partecipazioni in (...) di (...) SCA e (...) S.r.l. a un prezzo per azione compreso tra Euro 2,90 e Euro 3; promozione di un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni costituenti la rimanente parte del capitale sociale di (...); successivo riacquisto di partecipazioni di minoranza in (...) da parte di (...) SCA e (...) S.r.l.; disponibilità a cominciare immediatamente l'attività di due diligence con l'obiettivo di terminarla a gennaio 2014; disponibilità a iniziare le negoziazioni e la predisposizione della documentazione per la compravendita delle suddette partecipazioni ancor prima del termine dell'attività di due diligence; - non erano state presentate offerte alternative a quella di (...); - (...) già conosceva la società, di cui intendeva acquistare l'intero capitale sociale, (...), con la quale aveva rapporti commerciali dal 2011, in conseguenza della conclusione di un accordo di distribuzione di prodotti (...) in Nord America; tale relazione commerciale aveva determinato continui contatti tra l'Amministratore Delegato di (...) e l'Amministratore Delegato di (...); - (...) era una società quotata sul MTA, pertanto, dettagliate informazioni economiche e finanziarie erano pubbliche e disponibili anche prima dell'invio della "(...)" e, quindi, anche prima della manifestazione dell'intenzione di acquisto da parte di (...) del 25-26.10.2013; - l'Amministratore Delegato di (...) ha affermato che gli esiti della due diligence non erano considerati particolarmente incerti, mentre si prospettavano come suscettibili di trattative i dettagli circa il riacquisto di partecipazioni di minoranza in (...) da parte di (...) SCA e (...) S.r.l., per garantire continuità alla gestione anche dopo la cessione della maggioranza; - l'Amministratore Delegato di (...) SCA ha dichiarato in un articolo de Il Sole 24 Ore del 6.2.2014: "non abbiamo voluto advisor, (...) era il partner perfetto, si trattava di definire i dettagli". Da quanto esposto consegue che dal 27.11.2013 il progetto di acquisto da parte di (...) del 58,6% del capitale sociale di (...) dagli azionisti (...) SCA e (...) S.r.l., con la conseguente necessaria promozione di un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni costituenti la rimanente parte del capitale sociale di (...), si riferiva sicuramente a un evento che si poteva ragionevolmente prevedere che si sarebbe verificato; alla stessa data l'informazione risultava, altresì, sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto dell'evento, a cui si riferiva, sui prezzi delle azioni (...). Premesso che il carattere price sensitive della decisione deve essere valutato ex ante, appare evidente che ogni investitore, in possesso dell'informazione concernente la (...) obbligatoria, avrebbe potuto prevedere che (...), l'offerente, avrebbe offerto per l'acquisto della quota di maggioranza del capitale sociale di (...) e, conseguentemente, avrebbe corrisposto a tutti gli azionisti di (...), con la (...) obbligatoria, come normalmente accade in operazioni di tal genere, un premio implicito rispetto alle quotazioni di mercato delle azioni (...) e, quindi, avrebbe certamente utilizzato l'informazione suddetta come un importante elemento su cui fondare le proprie decisioni di investimento sul titolo. Ex post è risultato confermato che, come poteva ragionevolmente attendersi, il premio, rispetto al prezzo di mercato, è stato offerto, nella misura del 19% rispetto al prezzo di chiusura del 4.2.2014 di Euro 2,482 (data in cui la notizia è stata resa pubblica); tale premio risulta del 25%, se calcolato rispetto alla media dei prezzi di riferimento dei periodi 2 gennaio - 4 febbraio 2014 (Euro 2,3678) e 2 dicembre 2013 - 4 febbraio 2014 (Euro 2,3652). b) In ordine al titolo (...), dalle indagini svolte da AMF (l'Autorità di Vigilanza Francese), riportate da Consob e non contestate dal ricorrente con riguardo ai fatti accertati, risulta che dopo il kick-off meeting (riunione introduttiva) del 19.9.2014, al quale avevano partecipato tutti gli advisors e alcuni esponenti di (...) SA e (...), il 26.9.2014 era stato stabilito che il 17.10.2014 sarebbe stata annunciata al pubblico la promozione dell'Ops e, quindi, al più tardi da tale data: era stata espressa la volontà del (...) di promuovere un'Ops sulle azioni (...); la data per la diffusione al pubblico della promozione dell'Ops era definita e prossima; gli advisors erano stati individuati e avevano già iniziato a lavorare al progetto; il (...) conosceva perfettamente (...), nel cui capitale sociale deteneva una partecipazione superiore al 36% e il cui Amministratore Delegato, (...), era il figlio del Presidente e Amministratore Delegato di (...) SA, (...); per il (...) il progetto era seguito direttamente da (...), Vicepresidente e Chief Financial Officer di (...) SA. Pertanto, al più tardi dal 26.9.2014 si poteva ragionevolmente prevedere che l'Ops sulle azioni (...) da parte del (...) sarebbe stata promossa; alla stessa data era altresì possibile trarre conclusioni sul possibile effetto che l'Ops avrebbe avuto sul prezzo delle azioni (...). Nel documento inviato dall'Autorità francese il 14.32017 si legge anche che "Dopo essere stata scelta da (...) come consulente finanziario (il 24 settembre 2014), M., il 25 settembre 2014, ha stilato la lista delle persone con accesso a informazioni privilegiate. Tale lista è stata via via ampliata a una cerchia relativamente numerosa di persone coinvolte residenti in I.. In tale contesto, non più tardi del 30 settembre 2014, (...), responsabile dell'analisi crediti di (...) a Milano, è stato informato e consultato sul progetto dell'operazione. Il suo team e in particolare (...), analista incaricato di seguire l'operazione, ha cominciato a lavorare su questo dossier. (...). Sempre il 30 settembre 2014, un "(...)" ha cominciato a circolare all'interno di (...) descrivendo il progetto e la tempistica che prevedeva, il 17 ottobre 2014, l'annuncio da parte di (...)". Premesso che il carattere price sensitive della decisione deve essere valutato ex ante, appare evidente che ogni investitore in possesso dell'informazione concernente la promozione dell'Ops avrebbe potuto prevedere che il (...), l'offerente, avrebbe corrisposto agli azionisti di (...), come normalmente accade in operazioni di tal genere, un premio implicito rispetto alle quotazioni di mercato delle azioni (...) per indurli ad aderire all'offerta e, quindi, avrebbe certamente utilizzato l'informazione suddetta come un importante elemento su cui fondare le proprie decisioni di investimento sul titolo, per il quale, come poteva ragionevolmente attendersi, il premio rispetto al prezzo di mercato è stato offerto, nella misura del 19,5% rispetto alla quotazione di chiusura di (...) del 17.10.2014. 2) In secondo luogo (con riguardo al motivo di opposizione sub. (...) del ricorrente), per la sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito imputato al ricorrente, la norma (art. 187 bis c. 4 D.Lgs. n. 58 del 1998) non richiede il dolo (circostanza che assume rilevanza solo con riguardo alla determinazione dell'entità della sanzione e che, quindi, sarà esaminata nella trattazione della quarta questione) ma ritiene sufficiente la colpa, posto che ritiene sussistente l'illecito quando il soggetto poteva conoscere in base all'ordinaria diligenza il carattere privilegiato dell'informazione. Nella fattispecie in esame non vi è alcun dubbio che il ricorrente, in considerazione della sua dichiarata esperienza in materia finanziaria, quale referente degli investimenti di famiglia, avrebbe potuto comprendere, usando l'ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle informazioni relative ai titoli (...) e (...); pertanto, posto che la Corte ritiene, come verrà esposto nel successivo punto 3, che il ricorrente avesse effettivamente avuto la conoscenza delle informazioni suddette (sopra illustrate al precedente punto 1), l'elemento soggettivo è certamente presente. Nella trattazione della successiva quarta questione, verrà però esposto come la Corte ritenga che il ricorrente abbia in realtà avuto la consapevolezza effettiva del carattere privilegiato delle informazioni venute in suo possesso e che quindi la sua condotta sia stata caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. 3) In terzo luogo (con riguardo al motivo di opposizione sub. (...)) la Corte ritiene che sia risultato accertato che il ricorrente avesse effettivamente avuto la conoscenza delle informazioni sopra illustrate al punto 1) nel periodo antecedente al momento in cui le stesse sono divenute pubbliche. Innanzi tutto, si evidenzia che per l'accertamento della sussistenza dell'illecito imputato al ricorrente non è necessario che risulti accertato anche con quali modalità e attraverso quali canali il soggetto sanzionato sia venuto in possesso dell'informazione, essendo invece sufficiente che risulti accertato che lo stesso avesse effettivamente avuto la conoscenza dell'informazione. Con riguardo ai fatti allegati da Consob e, come detto, solo parzialmente contestati dal ricorrente (con riferimento, cioè, a quelli sopra esposti ai punti 6, 7, 8 e 9) si evidenzia quanto segue. - Dalle indagini svolte da Consob sull'operatività finanziaria del ricorrente è emerso che: . nell'intero 2014 (cioè nell'anno in cui sono state effettuate le operazioni oggetto della controversia) l'importo degli acquisti in titoli (...) e in titolo (...) si colloca al terzo e al quinto posto tra gli acquisti di titoli azionari effettuati dal ricorrente; . sia l'acquisto di azioni (...) che l'acquisto di azioni (...), mai oggetto di precedenti investimenti, sono avvenuti, esclusivamente, in un periodo temporalmente limitato, cioè tra il momento in cui l'informazione privilegiata si è formata e il momento in cui è divenuta pubblica; . l'entità delle somme investite nei suddetti acquisti era rilevante in rapporto agli altri investimenti eseguiti dal ricorrente, visto che, alla data del 4.2.2014 (data di pubblicazione dell'informazione privilegiata (...)), le azioni (...) giacenti nel portafoglio del ricorrente erano al primo posto per controvalore e, alla data del 17.10.2014 (data di pubblicazione dell'informazione privilegiata del titolo (...)), le azioni (...) giacenti nel portafoglio del ricorrente erano complessivamente al secondo posto per controvalore. - Dalle indagini svolte da Consob sull'intero gruppo di investitori, sanzionati con la delibera oggetto della presente controversia, è emerso che il ricorrente ha effettuato non solo gli investimenti nei titoli (...) e (...), ma anche gli investimenti nei titoli (...) (nel periodo in cui ancora non era stata pubblicata l'informazione riservata, investimenti non sanzionati per intervenuta prescrizione), (...) (nel periodo in cui ancora non era stata pubblicata l'informazione riservata, il cui utilizzo aveva, peraltro, prodotto per il ricorrente una minusvalenza), Corio, (...) (entrambi titoli quotati in mercati esteri e poco noti in Italia) e (...), nei medesimi tempi e con le medesime modalità degli investimenti effettuati, quasi sempre, anche da (...) nonché da (...), (...) e (...), tutti legati da rapporti con (...) (come dagli stessi dichiarato), così come il ricorrente (il quale è risultato avere rapporti, oltre che con (...), anche con (...) e (...)). - Consob ha evidenziato (come risulta dai documenti dalla stessa prodotti) che (...) non era stato sanzionato per l'utilizzo di informazioni privilegiate con riguardo al titolo (...) (ma era stato sanzionato solo per la comunicazione ad altri dell'informazione privilegiata in ordine a tale titolo) ed era stato invece sanzionato per l'utilizzo di informazioni privilegiate relative al titolo (...), in quanto, essendosi (...) trasferito in Svizzera nel periodo dell'operatività sul titolo (...), l'Autorità di vigilanza svizzera, FINMA, pur avendo raccolto le informazioni relative a tale operatività, posta in essere tramite l'intermediario svizzero (...)., aveva comunicato di non poterle trasmettere a Consob in ragione dell'opposizione formulata al riguardo da (...). Per conseguenza, il fatto che (...) non sia stato sanzionato per l'utilizzo dell'informazione privilegiata dallo stesso posseduta in ordine al titolo (...) non smentisce affatto che lo stesso fosse in possesso di tale informazione e che l'abbia comunicata alle persone con le quali aveva stretti rapporti come (...). - Dalle indagini svolte da Consob e da AMF (l'Autorità di Vigilanza Francese), e riportate da Consob, è emersa l'infondatezza delle spiegazioni fornite dal ricorrente, nella sua audizione, per giustificare i suoi investimenti nei titoli (...) e (...) (come sopra riportate in nota n. 7 e n. 8). Con riguardo al titolo (...), l'accordo tra (...) e (...) è stato concluso nel mese di agosto 2014 e perfezionato nel mese di dicembre 2014; pertanto, al 14.1.2014 (quando, cioè, il ricorrente ha iniziato ad acquistare i titoli (...)), l'esito della trattativa tra (...) e (...) era del tutto incerto ed ancor più incerto era, conseguentemente, il fatto che tale accordo potesse determinare nuove commesse per (...), dato che qualsiasi nuova commessa avrebbe comunque comportato tempi lunghi per la progettazione e la realizzazione e, per di più, i settori di (...), potenzialmente interessati da future commesse del genere, erano i settori L.I. e L. in M., i più piccoli dei tre in cui era articolata la produzione di (...), che al 31.12.2013 rappresentavano, rispettivamente, il 19% e 26% dei ricavi totali del gruppo. Anche la sola ipotesi, che tali commesse potessero spiegare il forte incremento del prezzo delle azioni (...), era stata diffusa solamente il 4.2.2014 (il giorno antecedente la pubblicazione dell'informazione riservata), quando (...) aveva ormai accumulato l'investimento sin dal 14.1.2014, come emerge da un commento pubblicato su FTA Online News il 4.2.2014, ore 15,10, ripreso anche da (...) on-line: "(...) (+6,2%) in forte rialzo: possibili vantaggi da integrazione (...) - (...) in forte rialzo grazie ai benefici che potrebbero derivare dall'eventuale integrazione di (...) e (...), trattativa giunta ormai alla fase decisiva. Entrambe le compagnie aeree sono clienti di (...): quest'ultima ha fornito le poltrone delle sale d'attesa (...) e (...), e ha seguito l'intero progetto delle Diamond First Classcabin suites di (...). L'integrazione tra le due compagnie potrebbe generare l'estensione di alcuni di questi progetti". Inoltre, l'(...), con il quale i soci rilevanti, tra i quali (...) SCA, avevano ceduto il 4,8% del capitale sociale di (...), da loro detenuto, ad investitori istituzionali, con l'obiettivo di incrementare il flottante, a prescindere da ogni valutazione circa la capacità di tale notizia di influenzare la decisione di investire in azioni (...), è stato concluso il 20.11.2013, quindi quasi due mesi prima dell'investimento del ricorrente, ed il prezzo della cessione era stato fissato in Euro 2,36 per azione, mentre gli acquisti del ricorrente sono stati eseguiti per il superiore prezzo medio di Euro 2,40 per azione. Pertanto, deve escludersi che i due eventi menzionati possano aver giustificato gli acquisti di titoli (...), eseguiti dal ricorrente per il prezzo da lui pagato nel periodo in cui sono stati effettuati. Con riguardo al titolo (...), AMF ha accertato che "tra il 1 giugno 2014 e il 17 ottobre 2014 non è stato pubblicato alcun articolo di stampa sulla struttura del capitale di (...) o sulle intenzioni del (...). Gli unici articoli trovati sono dell'8 gennaio 2014 e riguardano la governance di (...), dopo "le dimissioni inattese del suo direttore generale, (...), che ha lasciato il giovane amministratore delegato (...), figlio del principale azionista (...), solo al comando del sesto gruppo pubblicitario mondiale ... le poche analisi pubblicate tra il 2 settembre 2014 e il 16 ottobre 2014 hanno reiterato le opinioni positive espresse anteriormente confermando le prospettive di crescita annua già note, senza mai ventilare la possibilità di un'operazione su (...). Solo l'analista di (...), nella sua nota del 16 ottobre 2014 (NdR quindi il giorno prima della pubblicazione dell'informazione riservata e molti giorni dopo l'inizio degli acquisti da parte del ricorrente), aveva indicato che (...) avrebbe potuto essere una "preda" possibile non escludendo, ma senza enfasi sulle sinergie, una ristrutturazione patrimoniale di (...), che avrebbe permesso di riunire in (...) tutte le partecipazioni nei Media. Ma lo stesso analista ricordava anche che (...) aveva smentito tale ipotesi a marzo del 2014". (...) (amministratore delegato di (...)), infatti, il 20.3.2014, quindi, comunque, molto tempo prima degli investimenti in titoli (...) effettuati dal ricorrente, nell'ambito di una conference call a commento dei risultati economico finanziari del 2013, aveva indicato opzioni per il futuro ed aveva escluso integrazioni tra (...) e (...) in modo abbastanza netto ed anche il contenuto della successiva intervista del 2.10.2014 di (...) è risultato sostanzialmente identico a quello dell'intervista del 20.3.2014. Pertanto, non sono state riscontrate le notizie di stampa che, a dire del ricorrente, avrebbero giustificato i suoi acquisti di azioni (...), effettuati dal 6.10.2014. In conclusione, sul motivo di opposizione n. (...)), sono risultati accertati tutti i fatti, sopra elencati dal n. 1 al n. 11, sulla base dei quali Consob ha ritenuto accertata la sussistenza dell'illecito imputato al ricorrente. 4) In quarto luogo (con riguardo al motivo di opposizione sub. (...)), innanzi tutto si premette che la prova della condotta illecita può essere fornita dalla Pubblica Amministrazione anche solamente a mezzo di presunzioni semplici. La prova per presunzioni di un fatto ignoto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., può ritenersi raggiunta quando i singoli fatti accertati risultano: . gravi, trattandosi di elementi, dei quali i fatti ignoti (possesso e utilizzo tramite operazioni di acquisto) costituiscono l'unica probabile conseguenza; . precisi, trattandosi di elementi non suscettibili di diversa e altrettanto o più verosimile interpretazione; . concordanti, trattandosi di elementi convergenti verso un'unica lettura della vicenda. La valutazione dei fatti accertati deve inoltre essere effettuata prendendoli in considerazione nel loro complesso. La Corte ritiene, quindi, che, dalla valutazione complessiva dei fatti dedotti da Consob e risultati accertati, possa fondatamente presumersi che il ricorrente, nel momento in cui ha effettuato gli acquisti delle azioni (...) e delle azioni (...), fosse in possesso sia dell'informazione privilegiata inerente la decisione di (...) di promuovere un'Opa obbligatoria totalitaria sulle azioni (...) sia dell'informazione privilegiata inerente la decisione del gruppo (...) di promuovere un'OPS sulle azioni (...). Nella fattispecie in esame, come sopra riportato è risultato, infatti, accertato, al di là di ogni dubbio, che: . il ricorrente ha effettuato acquisti dei titoli (...) e (...) (mai oggetto in precedenza dei suoi investimenti) esclusivamente nel limitato periodo (poco più di due mesi per il titolo (...), venti giorni per il titolo (...)), intercorrente tra il momento in cui si era formata l'informazione privilegiata, che li riguardava, e il momento in cui l'informazione è stata resa pubblica; . in entrambi i casi il ricorrente ha effettuato acquisti di dimensioni significative anche in rapporto alla sua operatività finanziaria ordinaria; . nel periodo immediatamente precedente i suddetti acquisti non erano state diffuse notizie che giustificassero l'improvviso interesse del ricorrente per tali investimenti; . i suddetti investimenti, così come altri investimenti analoghi (alcuni inerenti titoli per i quali si erano formate informazioni privilegiate e altri no, ma scarsamente conosciuti e conoscibili per gli investitori italiani), sono stati fatti dal ricorrente in tempi e con modalità identiche a quelli di altri investitori (F., (...), S.), tutti aventi rapporti, come il ricorrente, con R.; . (...), oltre che con il ricorrente e gli investitori prima menzionati, aveva stretti rapporti con (...), che aveva avuto conoscenza sia dell'informazione privilegiata relativa al titolo (...), sia di quella relativa al titolo (...); . i contatti telefonici tra (...) e (...) sono stati frequenti anche nei giorni immediatamente precedenti l'acquisto da parte del ricorrente dei titoli (...) e (...). . il ricorrente non ha fornito alcuna ragionevole e fondata spiegazione del suo improvviso interesse a investire in titoli (...) nel gennaio 2014 e (...) nell'ottobre 2014, titoli mai da lui trattati in precedenza. La Corte ritiene, quindi, che l'unico fatto che possa spiegare il verificarsi di tutti i suddetti fatti, visto il loro carattere grave, preciso e concordante, non possa che essere costituito proprio dalla conoscenza da parte del ricorrente delle informazioni privilegiate relative ai titoli (...) e (...) nei giorni immediatamente precedenti la loro comunicazione al pubblico, risultando del tutto inverosimile qualunque altra differente spiegazione e, in particolare, la assoluta casualità (come sostenuto dal ricorrente) di investimenti ripetutamente effettuati in titoli, mai trattati in precedenza, per i quali sussisteva, proprio nel momento in cui sono stati effettuati, un'informazione privilegiata non ancora pubblica, di cui il ricorrente poteva essere a conoscenza, attraverso il rapporto da lui intrattenuto con altri soggetti che certamente tale conoscenza avevano. 4) Quarta questione: assenza di proporzionalità nell'entità della sanzione inflitta; motivo di opposizione n. 4 del ricorrente. Il motivo di opposizione è infondato. A fronte di una sanzione amministrativa pecuniaria prevista, per ciascuna violazione (e per tutte le tipologie di violazione), da un minimo edittale pari a Euro 20.000 ad un massimo edittale pari a Euro 3.000.000 e di una sanzione interdittiva prevista, per ciascuna violazione, da un minimo edittale pari a due mesi ad un massimo edittale pari a tre anni, la sanzione pecuniaria inflitta al ricorrente, pari all'importo complessivo di Euro 350.000 (di appena Euro 310.000 superiore al minimo, ma di ben Euro 2.650.000 inferiore al massimo), e la sanzione interdittiva inflitta, pari ad una durata di dodici mesi (di 8 mesi superiore al minimo e di due anni inferiore al massimo) non sono sproporzionate, tenuto conto che: . in primo luogo, il ricorrente ha investito, nel compimento dell'attività illecita, per l'acquisto di titoli (...) la somma di Euro 1.358.221,87 e per l'acquisto di titoli (...) la somma di Euro 182.640,26 (quindi complessivamente la somma di Euro 1.540.862,13) ed ha realizzato, con la vendita del titolo (...) il 22-23.10.2014, una plusvalenza pari a Euro 86.618,92 e, con la vendita del titolo (...) il 5.2.2014, una plusvalenza pari a Euro 40.518,31; pertanto il ricorrente con un investimento, in entrambi i casi della durata di pochi giorni, ha ottenuto un illecito guadagno complessivo pari alla somma, tutt'altro che irrisoria, di Euro 127.137,23; . in secondo luogo, dalla preparazione professionale e dall'attività imprenditoriale svolta dal ricorrente, nonché dal rilevante numero e dalla significativa entità degli investimenti dallo stesso, anche in precedenza effettuati, deve ritenersi, senza alcun dubbio, che lo stesso fosse stato ben consapevole del carattere privilegiato dell'informazione ricevuta e pertanto abbia con dolo posto in essere l'attività illecita. Per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie inflitte con la medesima delibera ad altre persone, premesso che la valutazione della correttezza dell'entità della sanzione inflitta ad un determinato trasgressore non può prendere come riferimento la valutazione compiuta dall'Autorità per la determinazione della sanzione inflitta ad altri trasgressori, si evidenzia che nessuna sproporzione è ravvisabile, dato che: per l'illecito commesso da (...), analogo a quello commesso da (...), cioè l'acquisto di titoli (...), al primo è stata inflitta la sanzione di Euro 200.000, ben superiore alla sanzione di Euro 130.000 inflitta a (...) (a fronte del maggior guadagno realizzato pari a Euro 59.896,95); mentre (...), come già esposto, non ha potuto essere sanzionato per l'illecito costituito dagli acquisti del titolo (...), in quanto l'Autorità svizzera, a causa dell'opposizione dello stesso, non ha comunicato i dati indispensabili e la sua illecita attività di comunicazione ad altri dell'informazione privilegiata è stata sanzionata con l'ulteriore pena pecuniaria di Euro 170.000; per gli illeciti commessi da (...) analoghi a quelli commessi da (...), cioè l'acquisto di titoli (...) e l'acquisto dei titoli (...), è stata inflitta rispettivamente la sanzione di Euro 200.000, poi ridotta con sentenza di questa Corte di circa il 20% e pertanto da ritenersi pari a Euro 160.000 (quindi ,ben superiore alla sanzione di Euro 130.000, inflitta a V.) e di Euro 120.000, poi ridotta con sentenza di questa Corte di circa il 20% e pertanto da ritenersi pari a Euro 96.000 (quindi inferiore alla sanzione di Euro 230.000 inflitta a V.), ma a fronte di un guadagno rispettivamente pari a Euro 44.203,62, realizzato con la vendita dei titoli (...) (quindi solo di poco superiore a quello realizzato da V.), e di Euro 23.176,45, realizzato con la vendita dei titoli (...) (quindi pari a meno del 30% di quello realizzato da V.); mentre l'illecita attività di (...) di comunicazione ad altri dell'informazione privilegiata è stata sanzionata con l'ulteriore sanzione complessiva di Euro 470.000, poi ridotta con sentenza di questa Corte ad Euro 400.000. Regolamento delle spese di lite. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate secondo i parametri medi dello scaglione da Euro 260.000 a Euro 520.000, con esclusione della fase istruttoria - trattazione, che nel presente giudizio non si è tenuta. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone: 1) Respinge l'opposizione proposta da (...) nei confronti del provvedimento sanzionatorio n. 21420, emesso da Consob il 25.6.2020. 2) Condanna (...) a rifondere le spese di lite sostenute da Consob, che liquida, per il presente giudizio, in complessivi Euro 13.560, oltre spese generali del 15% e accessori di legge. Così deciso in Milano il 17 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. ABETE Luigi - rel. Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 31374/2019 R.G. proposto da: (OMISSIS), c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato professor (OMISSIS), che lo rappresenta e difende in virtu' di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso. - ricorrente - contro CONSIGLIO NOTARILE dei DISTRETTI RIUNITI di (OMISSIS) c.f. (OMISSIS), in persona del presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende in virtu' di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso. - controricorrente - e PROCURATORE GENERALE presso la CORTE d'APPELLO di ROMA; - intimato - avverso l'ordinanza n. 7959 - 10.6/15.7.2019 della Corte d'Appello di Roma; udita la relazione della causa svolta all'udienza in Camera di consiglio del 9 dicembre 2021 dal Consigliere Dott. Luigi Abete; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha chiesto dichiararsi in parte inammissibile ed in parte infondato l'esperito ricorso, in subordine ed in ogni caso ne ha chiesto l'integrale rigetto; udito l'avvocato (OMISSIS) per il ricorrente; udito l'avvocato (OMISSIS) per il controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. Il Presidente del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di (OMISSIS) chiedeva, all'esito della riunione consiliare del 18.10.2017, l'avvio di procedimento disciplinare a carico del notaio (OMISSIS) per i seguenti illeciti: 1) violazione dell'articolo 147, lettera b), della Legge Notarile (n. 89 del 1913), in relazione all'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia ("violazione del dovere di imparzialita' nell'assunzione dell'incarico mediante ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali"), per essere venuto meno in modo non occasionale al dovere di imparzialita', svolgendo ricorrenti prestazioni professionali presso la " (OMISSIS)" s.r.l.; 2) violazione dell'articolo 147, lettera c), della Legge Notarile, per essersi servito dell'opera di procacciatori di clienti e per aver fatto illecita e deplorevole concorrenza nei confronti dei colleghi rispettosi delle norme; 3) violazione dell'articolo 147, lettera a), della Legge Notarile, per aver compromesso con la propria condotta il decoro ed il prestigio della classe notarile. In particolare, si contestava al notaio (OMISSIS) di aver, nei mesi tra (OMISSIS) e gennaio ed aprile 2017, stipulato 101 atti presso l'agenzia di servizi " (OMISSIS)" s.r.l., ubicata in (OMISSIS), quasi esclusivamente nei giorni di assistenza obbligatoria presso la sua sede; di aver, nel periodo compreso tra (OMISSIS), emesso fatture per l'esorbitante importo di Euro 279.555,40, con indicazione della generica causale dell'effettuazione di visure ipocatastali e del reperimento di documentazione, in favore della " (OMISSIS)" s.r.l., societa' partecipata in via esclusiva dalla medesima persona partecipante all'80% al capitale della " (OMISSIS)" s.r.l.. 2. La Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina ("CO.RE.DI.") del Lazio con decisione del 6.11.2018 reputava il notaio (OMISSIS) responsabile unicamente per la violazione dell'articolo 147, lettera b), della Legge Notarile, in relazione all'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia e gli irrogava la sanzione della censura. 3. Il Consiglio Notarile di (OMISSIS) proponeva in data 5.12.2018 reclamo alla Corte d'Appello di Roma. Si costituiva il notaio (OMISSIS). Instava per il rigetto del reclamo principale ed esperiva reclamo incidentale. In particolare deduceva, con il reclamo incidentale, da un lato, che aveva stipulato gli atti oggetto di contestazione presso l'immobile, in (OMISSIS), di proprieta' di (OMISSIS), siccome costei gli aveva assicurato la disponibilita' di una stanza, sicche' non aveva avuto alcun contatto o rapporto con l'agenzia di servizi " (OMISSIS)", s.r.l. per giunta in liquidazione; dall'altro, che gli atti la cui stipulazione gli era stata contestata, costituivano, numericamente, appena il 6% del totale complessivo degli atti rogati nel medesimo periodo, sicche' la loro stipulazione non poteva reputarsi "ricorrente". Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma rassegnava le sue conclusioni. 4. Con ordinanza n. 7959/2019 la Corte d'Appello di Roma accoglieva il reclamo principale, rigettava il reclamo incidentale e, a parziale modifica del provvedimento impugnato, reputava il reclamante incidentale responsabile anche per la violazione dell'articolo 147, lettera c), Leg. Not. e per la violazione dell'articolo 147, lettera a), Leg. Not. e gli irrogava la sanzione della sospensione per la durata di un mese. Evidenziava in primo luogo la corte che, alla stregua degli elementi indiziari raccolti, univoci e concordanti, il reclamo incidentale era privo di fondamento. Evidenziava in particolare che lo stato di liquidazione della " (OMISSIS)" s.r.l. era del tutto irrilevante; che invero la presenza, all'esterno dello stabile di (OMISSIS), di una targa con l'indicazione " (OMISSIS) s.r.l. Consulenza Notarile", con l'aggiunta di due numeri telefonici e con la specificazione del piano e del numero di interno, era idonea a dar conto non solo della disponibilita' dell'immobile da parte della s.r.l. ma pur della presenza in loco, presenza debitamente veicolata all'esterno, alla clientela, di un notaio collegato alla societa'; e cio' viepiu' che il reclamante incidentale non avrebbe potuto che utilizzare la linea telefonica e la rete internet della societa'. Evidenziava altresi' che era esiguo il numero di coloro che avevano stipulato presso l'immobile di (OMISSIS), e che il notaio (OMISSIS) aveva indicato come gia' suoi assistiti, cosicche' la maggior parte della clientela di (OMISSIS) era stata senz'altro veicolata dalla " (OMISSIS)". Evidenziava inoltre che, in considerazione dell'ampio lasso temporale cui erano da ascrivere gli atti oggetto di contestazione, doveva reputarsi senza dubbio sussistente il requisito delle "prestazioni ricorrenti", il che non solo induceva ad escludere il carattere episodico della condotta, ma rendeva irrilevante il modesto rapporto percentuale tra gli atti contestati ed il complessivo numero degli atti rogati nel periodo. Evidenziava in secondo luogo la corte che, alla stregua degli elementi indiziari raccolti, univoci e concordanti, il reclamo principale era parzialmente fondato. Evidenziava in particolare che il notaio (OMISSIS) non aveva in alcun modo documentato l'"esternalizzazione" presso la " (OMISSIS)" s.r.l. dei dedotti servizi di supporto amministrativo e di segreteria; che invero dalle allegate fatture si desumeva, in linea del tutto generica e per nulla verificabile, unicamente l'affidamento alla medesima s.r.l. di servizi di visura presso la conservatoria ed il catasto, servizi la cui esecuzione era stata affidata anche ad altre agenzie. Evidenziava quindi che l'esorbitanza degli importi corrisposti alla " (OMISSIS)" s.r.l. e quali emergenti dalle fatture allegate, importi di gran lunga superiori a quelli in via ordinaria corrisposti per servizi di visura ipotecaria e catastale, induceva a ritenere che quelle stesse somme fossero state versate dal notaio (OMISSIS) quale "compenso per l'opera di procacciamento di clienti svolta dalla (OMISSIS) s.r.l." (cosi' ordinanza impugnata, pag. 12), viepiu' che alla stregua delle visure camerali era stato ampiamente dimostrato che (OMISSIS), socio unico della " (OMISSIS)" s.r.l. era socio per l'80% del capitale e liquidatore della " (OMISSIS)" s.r.l.. Evidenziava infine la corte che, alla stregua dei rilievi indiziari all'uopo premessi, doveva reputarsi comprovata pur la violazione dell'articolo 147, lettera a), leg. Not. con riferimento alla lesione del decoro e del prestigio della classe notarile. 5. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese. Il Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di (OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso con vittoria di spese. Il Procuratore Generale presso la Corte di Roma non ha svolto difese. 6. Il P.M. ha formulato conclusioni scritte. Il ricorrente ha depositato memoria. Del pari il controricorrente ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione dell'articolo 27 Cost., comma 2, articolo 533, comma 1 e articolo 192 c.p.p., articolo 115 c.p.c. e articolo 116 c.p.c., comma 1, articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., dell'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia professionale approvati con Delib. 5 aprile 2008, n. 2/56, del C.N.N. e della L. n. 89 del 1913, articolo 147, lettera a), b) e c). Deduce, in primo luogo, che, pur sul terreno delle regole della prova indiziaria in ambito civile, ha errato la corte di merito, in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti, ad opinare per la sua responsabilita' in ordine alla violazione dell'articolo 147, lettera b), della Legge Notarile, in relazione all'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia. Deduce, innanzitutto, che nella specie non ricorre l'estremo dell'esecuzione di "ricorrenti prestazioni" negli spazi fisici presso cui opera un soggetto terzo. Deduce segnatamente che gli atti oggetto di contestazione risultano stipulati in un arco temporale di soli sette mesi, inferiore all'anno solare, e rappresentano una percentuale di appena il 6%, non rilevante, dunque, rispetto al totale degli atti stipulati nello stesso periodo. Deduce, altresi', che nella specie non ricorre l'ulteriore estremo dell'"operativita' presso un soggetto terzo", avente la disponibilita' degli spazi fisici ove le "ricorrenti prestazioni" sono da svolgere. Deduce segnatamente che e' da escludere che la mera permanenza della targa identificativa all'esterno dello stabile di (OMISSIS), deponga nel senso che la " (OMISSIS)", societa' in stato di liquidazione, in grave squilibrio economico e patrimoniale, abbia continuato ad operare. Deduce segnatamente che, acquisito il riscontro dello stato di liquidazione della " (OMISSIS)", sarebbe stato onere del Consiglio Notarile dimostrare viceversa la perdurante operativita' della medesima s.r.l.. Deduce segnatamente che, acquisito il riscontro, incontestato, della risoluzione del contratto di locazione in precedenza intercorso tra la proprietaria dell'immobile e la " (OMISSIS)" s.r.l., sarebbe stato ragionevole, piuttosto, ammettere la concessione ad egli ricorrente da parte della proprietaria della disponibilita' di una stanza dell'immobile. Deduce, in secondo luogo, che, pur sul terreno delle regole della prova indiziaria in ambito civile, ha errato la corte di merito, in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti, ad opinare per la sua responsabilita' in ordine alla violazione dell'articolo 147, lettera c), della Legge Notarile. Deduce, innanzitutto, che il primo degli elementi presuntivi sui quali la corte distrettuale ha fatto leva, ovvero la pretesa veicolazione da parte della " (OMISSIS)" degli atti stipulati oggetto di contestazione, e' frutto di una doppia presunzione, in considerazione dello stato di liquidazione in cui tale societa' versava. Deduce, altresi', che ha dato prova che taluni degli stipulanti gli atti oggetto di contestazione, erano suoi clienti da epoca precedente; che e' personalmente radicato nel quartiere "(OMISSIS)", il che da' ragione della stipulazione degli atti contestati; che ha ampiamente documentato l'affidamento alla " (OMISSIS)" s.r.l. di servizi di segreteria ed amministrativi; che il collegamento tra la " (OMISSIS)" e la " (OMISSIS)" non ha valenza ai fini della dimostrazione del pagamento dell'opera di procacciamento. Deduce, in terzo luogo, che l'insussistenza di idonei riscontri indiziari in rapporto alla prima ed alla seconda violazione contestata importa ex se la dimostrazione dell'insussistenza di qualsivoglia prova in rapporto alla terza violazione, ovvero in ordine alla violazione dell'articolo 147, lettera a), leg. Not., correlata alla presunta lesione del decoro e del prestigio della classe notarile. 8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullita' dell'ordinanza e del procedimento per omessa pronuncia; la violazione dell'articolo 15 c.p.; la falsa applicazione dell'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia professionale approvati con Delib. 5 aprile 2008, n. 2/56 del C.N.N. e della L. n. 89 del 1913, articolo 147, lettera b),. Deduce che la corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sull'addotto concorso "apparente" tra l'articolo 31, lettera f), del codice deontologico e la L. n. 89 del 1913, articolo 147, lettera c), e, comunque, ha errato nel disconoscere il concorso "apparente" tra le prefigurate disposizioni. Deduce segnatamente che tra le medesime astratte fattispecie sussiste un rapporto di continenza, "giacche' la concorrenza illecita mediante ricorso all'opera di un procacciatore, punita dalla norma di legge (sovraordinata), comporta sempre anche la violazione del dovere di imparzialita' nell'assunzione dell'incarico, sanzionata dalla norma deontologica (subordinata)" (cosi' ricorso, pag. 20). 9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, articolo 144, comma 1. Deduce che la corte di seconde cure ha accertato la sua trentennale incensuratezza disciplinare. Deduce che tale circostanza avrebbe giustificato l'applicazione delle attenuanti generiche e quindi la sostituzione della sanzione della sospensione con la sanzione pecuniaria da un minimo di Euro 516,00 ad un massimo di Euro 15.493,00. 10. Il primo motivo di ricorso va respinto. 11. Va dato atto dapprima dell'ineccepibilita' del rilievo della Corte d'Appello di Roma secondo cui le sanzioni irrogate nel caso di specie "non assumono natura punitiva", "ne' sono afflittive personalmente o patrimonialmente (...) quanto lo sono le sanzioni previste per l'insider trading o la manipolazione di mercato" (cosi' ordinanza impugnata, pag. 14). E ne va dato atto, propriamente, nel solco dell'insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, notaio), in caso di sanzione penale per i medesimi fatti, non puo' ipotizzarsi la violazione dell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo in relazione al principio del "ne bis in idem" - secondo le statuizioni della sentenza della Corte E.D.U. 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c/o Italia - in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed e' preordinata all'effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicche' ad essa non puo' attribuirsi natura sostanzialmente penale (cfr. Cass. 3.2.2017, n. 2927). Su tale scorta non si giustifica la prospettazione del ricorrente, veicolata dal primo mezzo di impugnazione (cfr. ricorso, pagg. 6 - 8), a tenor della quale, in dipendenza dell'applicabilita' al procedimento disciplinare notarile dei principi, tra cui la presunzione di innocenza, mutuati dal processo penale, ha errato la Corte di Roma ad applicare anziche' la regola di giudizio, che ne costituisce logico corollario, dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio" viceversa la regola di giudizio del "piu' probabile che non". 12. In rapporto alla valutazione logico-inferenziale operata dalla Corte di Roma ("ritiene il collegio che (...) sussistano invece piu' elementi indiziari (...)": cosi' ordinanza impugnata, pag. 8; "riguardo alla prova presuntiva sul punto, che questa Corte ritiene raggiunta (...)": cosi' ricorso, pag. 13) va senz'altro condiviso il rilievo del Pubblico Ministero, secondo cui con il primo motivo ci si limita "all'allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa" (cosi' conclusioni P.M., pag. 2. Cfr. controricorso, pagg. 9 - 10). Il primo mezzo, pertanto, nonostante la diversa indicazione di cui alla relativa rubrica, si qualifica essenzialmente ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, e' esattamente il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054). Su tale scorta si osserva quanto segue. 13. Per un verso, e' da escludere recisamente che taluna delle figure di "anomalia motivazionale" destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum. In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione "apparente" (che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico - giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito: (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672), la corte territoriale ha - cosi' come si e' premesso - compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo sia allorche' ha riscontrato l'infondatezza del reclamo incidentale (cfr. pagg. 7 - 11), sia allorche' ha riscontrato il parziale buon fondamento del reclamo principale del consiglio notarile (cfr. pagg. 11 e ss.). Cio' tanto piu' che, a fronte - sostanzialmente - dell'asserita erronea valutazione degli elementi di riscontro indiziario (di cui si e' segnatamente dato conto in sede di illustrazione del primo motivo), sovviene l'insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di prova presuntiva, e' incensurabile in sede di legittimita' l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita' e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo comunque il sindacato del giudice di legittimita' circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1234), recte, al cospetto del novello disposto dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circoscritto alla verifica dell'"omesso esame circa un fatto decisivo (...)" (cfr. Cass. 11.5.2007, n. 10847, ove, con riferimento all'abrogato n. 5 cit., si puntualizzava che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non potesse limitarsi a prospettare l'ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma dovesse far emergere l'assoluta illogicita' e contraddittorieta' del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario potesse dar luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo). 14. Per altro verso - e comunque - l'iter motivazionale che sorregge il dictum della Corte romana, e' in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica. Del resto, questo Giudice del diritto ha spiegato che e', ai sensi dell'articolo 31, lettera f), contraria ai principi di deontologia professionale la presenza frequente, per rogare atti, del notaio presso lo stabile recapito di organizzazioni, trattandosi di un comportamento in grado di turbare le condizioni che ne assicurano l'imparzialita', ed idoneo ad esser qualificato in guisa di consapevole concorso in una scelta di "etero-direzione" della condotta del notaio stesso; che invero il dovere d'imparzialita' del notaio va inteso in termini di astensione, in via preventiva e di garanzia dell'immagine della categoria, da qualsiasi comportamento idoneo ad influire sulla sua designazione (cfr. Cass. 12.2.2020, n. 3458). 15. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto. 16. Si premette che, alla stregua del prospettato concorso "apparente", il ricorrente assume, in fondo, che la Corte d'Appello di Roma avrebbe dovuto escludere la violazione dell'articolo 31, lettera f), del codice deontologico e la fattispecie di cui alla lettera b) della L. n. 89 del 1913, articolo 147, dal quadro delle violazioni a lui ascrivibili con conseguente rideterminazione della sanzione irrogabile (cfr. ricorso, pagg. 20 - 21). E si e' premesso che la contestata ed ascritta violazione dell'articolo 147, lettera b), della Legge Notarile, in correlazione con l'articolo 31, lettera f), dei principi di deontologia, e' connessa allo svolgimento di ricorrenti prestazioni professionali presso la " (OMISSIS)". 17. Su tale scorta si puntualizza, dapprima, che la Corte di Roma si e' pronunciata in ordine al preteso concorso "apparente". E' sufficiente al riguardo il riscontro dei passaggi motivazionali di cui al paragrafo 2.2. dell'impugnato dictum (cfr. pagg. 15 - 16). 18. Sulla stessa scorta si puntualizza, dipoi, che ineccepibili sono i rilievi alla stregua dei quali la Corte di Roma ha disconosciuto il concorso "apparente". Del resto, al di la' della coincidenza delle condotte materiali, distinti sono gli interessi sottesi alle norme, cui si correlano gli illeciti contestati nella specie. L'interesse a che il notaio non operi ripetutamente al di fuori del proprio studio, ha una valenza sua propria. L'interesse a che il notaio non si avvalga di procacciatori, ha una valenza autonoma, del pari sua propria. L'interesse a che il notaio - ancorche' con le medesime condotte - non comprometta la dignita' propria ed il prestigio della classe di appartenenza, ha parimenti una sua valenza, ulteriore ed autonoma. 19. Il terzo motivo di ricorso analogamente va respinto. 20. Viene in rilievo la previsione dell'articolo 144, comma 1 Leg. Not., come sostituita dal Decreto Legislativo 1 agosto 2006, n. 249, articolo 26: "se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l'infrazione, si e' adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria e' diminuita di un sesto e sono sostituite l'avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall'articolo 138-bis, comma 1, alla sospensione, e la sospensione alla destituzione". 21. Ebbene, sicuramente, in sede di giudizio disciplinare notarile, circostanze attenuanti di carattere soggettivo, quali l'"incensuratezza" penale e disciplinare, non sono funzionali soltanto alla graduazione della sanzione da irrogare (cfr. Cass. 6.7.2006, n. 15351). In ogni caso, al cospetto del surriferito dettato normativo, il concreto riscontro della ricorrenza di circostanze attenuanti e' senza dubbio rimesso alla valutazione del giudice del merito. Difatti, questa Corte spiega che nel procedimento disciplinare a carico dei notai la mancata concessione delle attenuanti generiche e' rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che puo' concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione, ai fini della quale non e' necessario prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'incolpato, essendo sufficiente la giustificazione dell'uso del potere discrezionale con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (cfr. Cass. 27.5.2011, n. 11790. Si tenga conto che i "fatti" che questa Corte ebbe a scrutinare con la teste' menzionata pronuncia n. 11790/2011, risalivano all'anno 2007 ed al primo trimestre del 2008, quindi erano successivi alla novella di cui al Decreto Legislativo n. 249 del 2006. Cfr. altresi' Cass. 12.2.2020, n. 3458, secondo cui, in tema di responsabilita' disciplinare dei notai, nel caso in cui siano commessi gli illeciti di cui alla L. n. 89 del 1913, articolo 147, comma 1, ma ricorrano circostanze attenuanti, la sanzione della sospensione puo' in via generale essere sostituita dalla pena pecuniaria, come stabilito dall'articolo 144 L. cit. Cfr. Cass. 25.2.2000, n. 2138, secondo cui nel procedimento disciplinare a carico del notaio, la concessione delle attenuanti e' rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, che puo' concederle o negarle, dando conto della sua scelta con adeguata motivazione). 22. Or dunque, e' vero che la corte d'appello ha rilevato l'"incensuratezza" del ricorrente, come idonea a controbilanciare la natura delle plurime e reiterate violazioni contestate, espressamente ai fini della quantificazione - in un mese - della sanzione della sospensione. E tuttavia e' indubitabile che la "natura delle plurime violazioni contestate e (il) ripetersi delle condotte sanzionate" (cosi' ordinanza impugnata, pag. 17) non possa che concorrere a dar ragione, in pari tempo, implicitamente certo, comunque univocamente, del disconosciuto rilievo dell'"incensuratezza" ai fini, appunto, della (mancata) concessione delle attenuanti generiche. 23. Si tenga conto, d'altronde, che, "nel procedimento disciplinare a carico dei notai, considerato che la legge notarile non prevede parametri predeterminati, la determinazione qualitativa e quantitativa della sanzione da irrogare, nell'ambito dei limiti previsti dalla legge, rientra tra i poteri discrezionali dell'organo preposto ad irrogarla"; e che, "in considerazione della natura punitiva che le e' propria, ogni sanzione deve essere commisurata alla gravita' del fatto, alle circostanze dello stesso ed alla personalita' dell'autore dell'illecito, alla stregua dei criteri previsti per gli illeciti penali dall'articolo 133 c.p. e per gli illeciti amministrativi dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 11" (cosi' in motivazione Cass. 28.2.2019, n. 6016). 24. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimita'. La liquidazione segue come da dispositivo. 25. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell'articolo 13, comma 1 bis, Decreto del Presidente della Repubblica cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315). P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, (OMISSIS), a rimborsare al controricorrente, Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di (OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimita', che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell'articolo 13, comma 1 bis, Decreto del Presidente della Repubblica cit., se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - rel. Consigliere Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 8878/2014 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso. - ricorrente - contro CONSOB - COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA' E BORSA - con domicilio eletto presso la propria sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del controricorso e procura speciale spillata alla memoria 12.10.2021 di nomina di nuovo difensore. - controricorrente - avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5276/13 depositata il 20/11/2013. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso "accoglimento del ricorso per quanto di ragione con particolare riferimento al secondo e al terzo motivo di doglianza"; uditi gli avvocati (OMISSIS), per il ricorrente, e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per la controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. Il sig. (OMISSIS) ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Roma che ha rigettato l'opposizione da lui proposta avverso la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, avente ad oggetto l'irrogazione a suo carico di sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di seguito: T.U.F.). 2. Con la suddetta Delib. la CONSOB aveva adottato nei confronti del medesimo sig. (OMISSIS) (socio e consigliere di amministrazione della societa' (OMISSIS)) le seguenti misure: a) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 200.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 bis T.U.F. (nel testo, cui da ora in poi si fara' riferimento, anteriore alle modifiche recate dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107), comma 1, lettera a), con riguardo all'acquisto di 30.000 azioni (OMISSIS), dal medesimo effettuato tra il (OMISSIS) sulla base del possesso dell'informazione privilegiata relativa all'imminente lancio di una offerta pubblica di acquisto (di seguito: o.p.a.) per delisting su tale societa', da lui stesso promossa insieme con altri due soci della stessa (OMISSIS); b) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 bis, comma 1, lettera c), T.U.F., per aver il ricorrente indotto la sig.ra (OMISSIS) a comprare azioni della medesima societa' (OMISSIS); c) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di Euro 50.000 in relazione all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. a causa del comportamento dilatorio tenuto dal ricorrente, il quale, dopo aver piu' volte rinviato la data dell'audizione cui era stato convocato in qualita' di persona informata dei fatti, si era poi rifiutato di rispondere alle domande a lui poste; d) aveva applicato la sanzione accessoria della perdita temporanea dei requisiti di onorabilita' prevista dall'articolo 187 quater, comma 1, T.U.F., per la durata di 18 mesi; e) aveva disposto la confisca per equivalente del profitto e dei mezzi usati per ottenerlo ai sensi dell'articolo 187 sexies T.U.F., fino alla concorrenza dell'importo di Euro 149.760. 3. Il ricorso per cassazione si articola in tre motivi, rispettivamente riferiti alle statuizioni della sentenza gravata di seguito indicate: - con il primo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l'impugnativa della sanzione irrogata dalla CONSOB - ai sensi dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera c), T.U.F. - per aver il ricorrente indotto la signora (OMISSIS) a comprare azioni della societa' (OMISSIS); - con il secondo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l'impugnativa avverso la sanzione irrogata dalla CONSOB - ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. - per avere il ricorrente ostacolato l'attivita' ispettiva della CONSOB; - con il terzo mezzo si censura la statuizione che ha disatteso l'impugnativa avverso la confisca per equivalente - ai sensi dell'articolo 187 sexies T.U.F. - del profitto ritratto dal ricorrente dalle operazioni di trading effettuate sulla base del possesso dell'informazione privilegiata, nonche' dei mezzi usati per ottenerlo. 4. La CONSOB ha depositato controricorso. 5. La causa e' stata discussa per la prima volta alla pubblica udienza del 13 aprile 2017 al cui esito il Collegio - riconvocatosi il 15 ottobre 2017 e, nuovamente, il 24 gennaio 2018 - ha sollevato, con l'ordinanza n. 3831 del 16 febbraio 2018, due questioni di legittimita' costituzionale: - la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera b) - nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate - in relazione agli articoli 24, 111 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'articolo 6 CEDU e con riferimento all'articolo 14, comma 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre 1977, n. 881, nonche' in relazione agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento all'articolo 47 CDFUE; - la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 sexies T.U.F., introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera a) - nella parte in cui esso assoggetta a confisca per equivalente non soltanto il profitto dell'illecito ma anche i mezzi impiegati per commetterlo, ossia l'intero prodotto dell'illecito - in relazione agli articoli 3, 42 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonche' agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento agli articoli 17 e 49 CDFUE. 6. Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. la Corte costituzionale - all'esito di un rinvio pregiudiziale ex articolo 267 TFUE dalla stessa proposto con l'ordinanza n. 117 del 10 maggio 2019, definito dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea con la sentenza 2 febbraio 2021 in causa C-481/19 - si e' pronunciata con la sentenza n. 84 del 30 aprile 2021, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione, nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera b), nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Nei medesimi termini la Corte costituzionale ha altresi' dichiarato in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 27, l'illegittimita' costituzionale del medesimo articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. anche nel testo modificato dal Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 24, comma 1, lettera c), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, e nel testo modificato dal Decreto Legislativo 3 agosto 2017, n. 129, articolo 5, comma 3. 7. Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 sexies T.U.F. la Corte costituzionale si e' pronunciata con la sentenza n. 112 del 10 maggio 2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione, nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera a), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto. Nei medesimi termini la Corte costituzionale ha altresi' dichiarato in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 27, l'illegittimita' costituzionale del medesimo articolo 187 sexies T.U.F. anche nella versione risultante dalle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 14. 8. In esito alle suddette sentenze della Corte costituzionale nn. 112/2019 e 84/2021 la causa e' stata nuovamente chiamata davanti a questa Corte alla pubblica udienza del 20 ottobre 2021. 9. Il 30 settembre 2021 il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato una requisitoria scritta rassegnando le seguenti conclusioni: "accoglimento del ricorso per quanto di ragione con particolare riferimento al secondo e al terzo motivo di doglianza". 10. Il 13 ottobre 2021 la CONSOB ha depositato la propria Delib. 5 dicembre 2019, n. 21177, di annullamento, "limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 20.584,93 corrispondente al profitto dell'illecito", del capo della Delib. oggetto del presente giudizio con cui era stata disposta la confisca di beni del sig. (OMISSIS) per Euro 149.760. 11. Nella memoria successivamente depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., la stessa CONSOB ha quindi concluso per il rigetto dei primi due mezzi di ricorso e la declaratoria di inammissibilita' del terzo mezzo per sopravvenuta carenza di interesse. 12. Il ricorrente ha a propria volta depositato una memoria ex articolo 378 c.p.c., nella quale ha insistito per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso, altresi' evidenziando la necessita' di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio per tutti gli illeciti per i quali e' stato sanzionato, alla stregua della retroattivita' della lex mitior sopravvenuta (Decreto Legislativo n. 72 del 2015, poi seguito dal Decreto Legislativo n. 107 del 2018), giusta il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019. 12.1. Per quanto specificamente concerne l'applicabilita' retroattiva del trattamento sanzionatorio piu' favorevole all'illecito indicato nella lettera a) del paragrafo 2 che precede, il ricorrente evoca il principio affermato da questa Suprema Corte con la sentenza n. 20697/2018 - che lo ius superveniens piu' favorevole deve trovare applicazione d'ufficio in sede di legittimita', anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione operata nell'ordinanza sanzionatoria non sia stata specificamente impugnata o nei quali la relativa impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata o sia stata rigettata in secondo grado con decisione non gravata di ricorso per cassazione. 13. Nella pubblica udienza del 20 ottobre 2021 le parti hanno discusso oralmente ed il Procuratore Generale ha concluso in conformita' alla requisitoria scritta depositata. RAGIONI DELLA DECISIONE 14. Con il primo motivo, riferito al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 187 septies T.U.F., da interpretare alla luce dell'articolo 6 CEDU, in cui la corte d'appello sarebbe incorsa disattendendo l'eccezione con cui egli aveva lamentato come la CONSOB lo avesse sanzionato, ai sensi dell'articolo 187 bis, lettera c), T.U.F. per un fatto (la raccomandazione alla signora (OMISSIS) di acquistare azioni (OMISSIS)) diverso da quello originariamente contestatogli (la trasmissione alla signora (OMISSIS) dell'informazione privilegiata relativa al prossimo lancio di un'OPA sulla societa' (OMISSIS)). In proposito il ricorrente puntualizza che, con l'originario atto di contestazione del 13 maggio 2011, gli era stata addebitata la violazione dell'articolo 187 bis, lettera b) T.U.F., che punisce chi comunica ad altri informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio (c.d. tipping); l'impugnato provvedimento sanzionatorio, per contro, lo aveva riconosciuto responsabile della violazione della lettera c) dell'articolo 187 bis T.U.F., che punisce chi raccomanda o induce altri, sulla base di una informazione privilegiata, al compimento di operazioni su strumenti finanziari (c.d. tuyautage). In tal modo, secondo il ricorrente, sarebbe stato violato il principio di corrispondenza tra contestazione e sanzione sancito dall'articolo 187 septies del T.U.F., da interpretare anche alla luce dell'articolo 6 CEDU, la' dove esso prescrive che l'irrogazione delle sanzioni avvenga "previa contestazione degli addebiti agli interessati". 15. Il motivo e' fondato. 16. E' pacifico che: - nell'atto di contestazione (lettera del 13 maggio 2011) la CONSOB aveva fatto riferimento alla violazione dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera b) T.U.F., per avere il sig. (OMISSIS) "comunicato a (OMISSIS), al di fuori dell'esercizio delle funzioni dell'attivita' lavorativa la suddetta informazione" sul progetto di o.p.a. sulle azioni (OMISSIS) (il virgolettato e' uno stralcio dell'atto di contestazione, debitamente trascritto a pag. 5 del ricorso per cassazione nel rispetto del principio di specificita' dell'impugnazione); - il sig. (OMISSIS) non e' stato sanzionato per la violazione dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera b) T.U.F. bensi' per la violazione dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera c) T.U.F., ossia per avere raccomandato alla sig.ra (OMISSIS) di porre in essere operazioni su titoli oggetto di informazione privilegiate; nell'atto di accertamento allegato alla Delib. sanzionatoria si legge infatti che la CONSOB ha ritenuto "di qualificare il comportamento posto in essere dal sig. (OMISSIS) nel caso di specie come un tuyautage (raccomandazione ad altri di porre in essere operazioni su titoli oggetto di informazioni di natura privilegiata) e non come tipping (comunicazione, al di fuori del normale esercizio del lavoro, di informazioni di natura privilegiata) e, pertanto, ha ritenuto accertata la violazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187 bis, comma 1, lettera c)" (il virgolettato e' uno stralcio dell'atto di accertamento, debitamente trascritto a pag. 7 del ricorso per cassazione nel rispetto del principio di specificita' dell'impugnazione). 17. La Corte d'appello ha fondato il rigetto del motivo di opposizione con cui il sig. (OMISSIS) aveva denunciato la mancata corrispondenza tra l'illecito, contestatogli, di aver trasmesso alla sig.ra (OMISSIS) una informazione privilegiata e l'illecito, per il quale e' stato sanzionato, di avere raccomandato alla sig.ra (OMISSIS) di acquistare azioni (OMISSIS) sul rilievo che la CONSOB non avrebbe "azionato un fatto nuovo diverso rispetto a quello originariamente contestato" ma si sarebbe limitata "a qualificare diversamente la stessa condotta gia' considerata senza, pertanto, incorrere in alcuna violazione dei diritti di difesa" (pag. 6 della sentenza impugnata, penultimo capoverso). 18. La suddetta affermazione risulta affetta dal denunciato vizio di violazione di legge in quanto, obliterando la differenza tra le fattispecie sanzionatorie definite, rispettivamente, dalla lettera b) e dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera c) T.U.F., non coglie l'illegittimita' della sanzione irrogata per l'illecito di cui dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera c) T.U.F. per difetto della previa contestazione del medesimo. Non e' pertinente il richiamo della Corte distrettuale al principio che il mutamento dei termini della contestazione non e' causa di illegittimita' del provvedimento sanzionatorio, qualora riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell'accertamento (oltre a Cass. n. 6638/2007, citata nella sentenza impugnata, si vedano Cass. n. 7262/1990, Cass. n. 6838/1995, Cass. n. 6408/1996, nonche', piu' di recente, Cass. n. 4725/2016 e Cass. n. 24082/2021). Nella specie, infatti, e' proprio la materialita' del fatto storico contestato (aver trasmesso alla sig.ra (OMISSIS) l'informazione privilegiata del prossimo lancio di un'o.p.a. sulle azioni (OMISSIS)) ad essere diversa dalla materialita' del fatto storico per cui il sig. (OMISSIS) e' stato sanzionato (aver raccomandato alla sig.ra (OMISSIS) l'acquisto di azioni (OMISSIS)). 19. Ne' a diversa conclusione possono indurre le argomentazioni dispiegate nel controricorso della CONSOB. 20. Sotto un primo profilo va evidenziata la non pertinenza al caso di specie del richiamo della controricorrente al principio che l'accertamento del fatto contestato, anche ai fini della correlazione tra lo stesso e quello per cui e' stata irrogata la sanzione, rientra tra i compiti del giudice di merito, le cui conclusioni risultano insindacabili in sede di legittimita' se adeguatamente motivate (Cass. 1876/2000, Cass. 9790/2011, Cass. 18883/2017). La Corte di appello, infatti, non ha motivato la propria decisione sull'assunto che la condotta oggetto della contestazione rivolta dalla CONSOB al sig. (OMISSIS) - seppur giuridicamente qualificata con erroneo riferimento alla lettera b), invece che alla lettera c), dell'articolo 187 bis T.U.F. - risultasse tuttavia descritta, nella sua materialita', come raccomandazione all'acquisto di azioni (OMISSIS), invece che come comunicazione dell'informazione relativa all'imminente lancio di un'o.p.a. su dette azioni. L'affermazione secondo cui la CONSOB non avrebbe "sanzionato un fatto nuovo o diverso rispetto a quello originariamente contestato" (pag. 6, penultimo capoverso, della sentenza) non nasce, cioe', da un raffronto fra la descrizione della condotta materiale contestata e la descrizione della condotta materiale sanzionata e dalla constatazione che tali descrizioni erano sovrapponibili, ad onta della diversita' delle qualificazioni giuridiche alle stesse attribuite nell'atto di contestazione e nel provvedimento sanzionatorio. La suddetta affermazione, al contrario, nasce dall'accertamento della "esistenza di una precisa connessione tra il pacifico consolidato rapporto fiduciario e di lavoro intercorrente tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) e l'acquisto da parte di quest'ultima di un consistente numero di azioni FMR nel periodo precedente la presentazione dell'offerta pubblica" (pag. 7, terzultimo capoverso, della sentenza). Quest'ultimo assunto disvela l'errore di diritto in cui e' incorsa la Corte distrettuale, ossia quello di assimilare in una fattispecie sostanzialmente unitaria le condotte sanzionate nella lettera b) e nella lettera c) dell'articolo 187 bis T.U.F.. 21. L'errore appena evidenziato nel ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata e' altresi' ravvisabile, in termini del tutto analoghi, nel controricorso della CONSOB, la' dove, dopo la rievocazione dei fatti sulla cui base la Corte capitolina ha ritenuto accertata la responsabilita' del sig. (OMISSIS) per aver raccomandato alla sig.ra (OMISSIS) l'acquisto di azioni (OMISSIS) (rassegnati nella pagina 8 della sentenza gravata: gli stretti rapporti di collaborazione professionale tra il sig. (OMISSIS) e la sig.ra (OMISSIS), l'estraneita' di quest'ultima alla compagine sociale di (OMISSIS), la collocazione temporale dell'acquisto azionario da lei effettuato, il fatto che ella non avesse mai precedentemente acquistato azioni (OMISSIS), l'elevato peso dell'investimento in azioni (OMISSIS) sul patrimonio complessivo dalla sig.ra (OMISSIS) stessa) si sostiene che "gli argomenti fattuali su cui a giudizio della Corte territoriale si e' fondato l'accertamento dell'illecito addebitato al ricorrente... non sono mai stati modificati nel corso del procedimento sanzionatorio, nonostante l'intervenuta modificazione della loro qualificazione giuridica" (pag. 13, penultimo capoverso, del controricorso) e si afferma che la condotta contestata e la condotta sanzionata al sig. (OMISSIS) non sarebbero diverse ed incompatibili, "unico essendo il nucleo fattuale posto a base della contestazione della sanzione (ovverosia gli acquisti anomali di azioni (OMISSIS), posti in essere da parte di una dipendente della societa', del tutto inesperta di investimenti finanziari, che non era compresa tra coloro che avevano conoscenza del progetto di o.p.a. ma che aveva frequenti occasioni di contatto con il sig. (OMISSIS), nonche' uno stretto rapporto fiduciario con il medesimo)". Tale argomentazione si risolve nella sovrapposizione tra il fatto integrante l'illecito - oggetto di contestazione (prima) e di sanzione (poi) - ed il complesso dei fatti costituenti il compendio indiziario da cui desumere la sussistenza del fatto integrante l'illecito; sovrapposizione che va giudicata erronea, perche' la materialita' storica del fatto illecito, prima contestato (comunicazione dell'informazione privilegiata relativa all'imminente o.p.a. sui titoli (OMISSIS)) e poi sanzionato (raccomandazione di acquisto di titoli (OMISSIS)), non si identifica con il complesso dei fatti posti a base del relativo accertamento induttivo. 22. Sotto un secondo profilo, non possono condividersi i rilievi svolti a pag. 15 del controricorso della CONSOB in ordine alla circostanza che la riqualificazione dell'illecito in termini di tuyautage invece che di tipping non avrebbe in alcun modo leso il diritto di difesa del sig. (OMISSIS), giacche' quest'ultimo, nell'ambito del procedimento sanzionatorio amministrativo, non si e' avvalso della facolta' di presentare deduzioni difensive, mentre nell'ambito del giudizio di opposizione all'ordinanza sanzionatoria si e' effettivamente e compiutamente difeso, davanti alla Corte d'appello di Roma e in sede di ricorso per cassazione, sui fatti a lui addebitati e sulla nuova qualificazione giuridica agli stessi attribuiti nella Delib. sanzionatoria. 23. Osserva al riguardo il Collegio che il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 20935/2009 (successivamente seguita dalle sentenze n. 27038/2013, n. 24048/15, n. 8210/2016, n. 8046/2019 e altre), che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo sanzionatorio svoltosi dinanzi alla CONSOB ed alla Banca d'Italia presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso non puo' ritenersi operante quando la lesione del diritto al contraddittorio derivi dalla mancata identita' tra fatto contestato e fatto sanzionato, ossia, in ultima analisi, dalla violazione della regola legale della "previa contestazione degli addebiti agli interessati" (articolo 187 septies, comma 1 e articolo 195, comma 1, del T.U.F.). 24. Nella stessa sentenza delle Sezioni Unite n. 20935/2009, infatti, si chiarisce che "contenuti coessenziali alla contestazione risultano, in quella fase (quella amministrativa, n.d.r.), l'indicazione dei fatti rilevati, la loro qualificazione in termini di illecito, l'imputazione dell'illecito integrato da tali fatti al responsabile" (pag. 35/36); si evidenzia che "il contraddittorio - e il diritto di difesa - nella fase amministrativa prodromica all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione resta incentrato sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale" (pag. 36); si sottolinea infine, evocando anteriori pronunce di questa Corte, come "a base del provvedimento, l'autorita' procedente abbia l'obbligo di porre il nucleo del fatto contestato inteso nella sua fenomenologia obbiettiva e subbiettiva e non anche nella definizione giuridica ivi conferitagli" (pag. 37). 25. Tali principi erano presenti gia' nella giurisprudenza precedente (cfr. Cass. 10145/2006, dove si affermava che "In tema di sanzioni amministrative, sussiste la violazione del precetto posto dalla L. n. 689 del 1981, articolo 14 - per il quale deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata - tutte le volte in cui la sanzione venga irrogata per una fattispecie, individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma, che sia diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che solo in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore medesimo") e sono stati ribaditi ancora in Cass. 9790/1011 e, piu' di recente, in Cass. 18883/2017, nelle quali si evidenzia come il diritto di difesa del trasgressore risulti leso tutte le volte in cui una sanzione amministrativa venga comminata per una fattispecie individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma - diversa da quella al medesimo attribuita in sede di contestazione. Del resto, un'interpretazione del sistema che consentisse di mantenere fermi gli effetti di un provvedimento sanzionatorio adottato per un illecito diverso da quello contestato risulterebbe palesemente distonica con la disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, articolo 14, u.c., alla cui stregua "l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti e' stata omessa la notificazione nel termine prescritto"; la deviazione dalle regole legali del procedimento sanzionatorio rappresentata dall'omissione della contestazione e' infatti evidentemente piu' grave di quella rappresentata dalla mera intempestivita' della stessa. In coerenza con questa prospettiva, d'altronde, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di sanzioni amministrative, l'Amministrazione che, a seguito dell'accoglimento anche solo parziale delle contestazioni svolte dall'interessato in sede amministrativa, riformuli il fatto medesimo, e' tenuta, "a pena l'illegittimita' dell'ordinanza ingiunzione per vizio del relativo procedimento" a disporre una nuova notifica degli estremi della violazione al trasgressore (cosi' Cass. 25253/2006, che, pur collegando tale affermazione alla finalita' di consentire al trasgressore di avvalersi della facolta' di estinguere l'illecito mediante il pagamento in misura ridotta, esprime, tuttavia, una regola di carattere evidentemente generale). 26. Va dunque in definitiva affermato il seguente principio di diritto: "In materia di sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 (T.U.F.), il principio che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo sanzionatorio svoltosi dinanzi alla CONSOB ed alla Banca d'Italia presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso non opera quando la lesione del diritto al contraddittorio derivi dalla mancata identita' tra fatto contestato e fatto sanzionato; la violazione della regola legale della previa contestazione dell'illecito per il quale sia stata emessa una sanzione amministrativa e', infatti, di per se' stessa lesiva del diritto di difesa e determina ex se l'illegittimita' del provvedimento sanzionatorio, per violazione di legge (articolo 187 septies, comma 1 e articolo 195, comma 1, del T.U.F.)". 27. Si tratta, e' opportuno precisare, di un profilo di illegittimita' interna, per violazione di legge, e non di un profilo di illegittimita' convenzionale, per violazione dell'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Come infatti questa Corte non ha mancato di precisare, la garanzia del giusto processo ex articolo 6 CEDU - che deve essere assicurata anche nei procedimenti applicativi di sanzioni amministrative per gli abusi di mercato, come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia - risulta comunque assicurata dalla possibilita' di proporre opposizione al provvedimento sanzionatorio emesso dalla CONSOB davanti alla Corte d'appello, cosi' sottoponendolo ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni della Convenzione (cfr. Cass. n. 770/2017, Cass. n. 3734/20 18). 28. Un'ultima precisazione e', tuttavia, necessaria. Nella gia' citata sentenza n. 20935/2009 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che i precetti costituzionali concernenti il diritto di difesa (articolo 24 Cost.) e il giusto processo (articolo 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice, e non il procedimento amministrativo, ancorche' finalizzato all'emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, pertanto, non trova copertura negli articoli 24 e 111 Cost.. Tali principi sono stati piu' volte ribaditi nella giurisprudenza di legittimita', sia in materia di contraddittorio nel procedimento tributario, in Cass. SSUU n. 24823/2015, sia con riferimento al procedimento sanzionatorio della CONSOB, in Cass. n. 8046/2019, sia con riferimento al procedimento sanzionatorio della Banca d'Italia, in Cass. n. 16517/2020. 29. La citata sentenza n. 8046/2019 si e' altresi' specificamente soffermata sulla legittimita' della disciplina del procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB in materia di violazioni finanziarie (nella conformazione anteriore alle modifiche introdotte dalla Delib. CONSOB 29 maggio 2015, n. 19158), in relazione alla disposizione di cui all'articolo 195, comma 2, T.U.F.. Tale ultima disposizione - del tutto analoga quella dettata dell'articolo 187 septies, comma 2, T.U.F. con riferimento al procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB in materia di abusi di mercato - stabilisce che il procedimento per l'applicazione delle sanzioni previste dal T.U.F. di competenza della CONSOB e della Banca d'Italia sia "retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonche' della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie". 29.1. La suddetta sentenza n. 8046/2019 prende le mosse dalla distinzione tracciata nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/2015 tra il contraddittorio di matrice processuale, "orizzontale e paritario (contraddittorio tra due parti in posizioni di parita' rispetto ad un decidente terzo e imparziale), con il riconoscimento del diritto, in capo al soggetto interessato, di interloquire in ogni fase del procedimento" e il contraddittorio procedimentale, che si svolge nell'ambito dei procedimenti amministrativi, "normalmente di tipo verticale (contraddittorio tra l'interessato sottoposto e l'Amministrazione titolare del potere e collocata, quindi, su un piano non paritario)" con funzione essenzialmente collaborativa e partecipativa, piuttosto che difensiva (i virgolettati sono tratta da Cons. Stato n. 1596/2015, § 27); sulla scorta di tale premessa, Cass. n. 8046/2019 afferma che le garanzie del contraddittorio previste nel procedimento sanzionatorio della CONSOB sono da ricondurre al livello proprio del contraddittorio procedimentale e non al livello del contraddittorio di matrice processuale, di tipo orizzontale. Questo orientamento interpretativo (successivamente ripreso in Cass. 23814/2019 e in Cass. 24081/2019) richiama, come e' stato osservato in dottrina, uno dei modelli di procedimento delineati dalla L. n. 241 del 1990, piuttosto che il modello di procedimento ricavabile dalla L. n. 689 del 1981, valorizzando il nesso di strumentalita' tra la funzione sanzionatoria e la funzione di vigilanza. In questa prospettiva i provvedimenti sanzionatori rappresentano un esito possibile degli interventi di vigilanza - tanto regolamentare quanto informativa e ispettiva - correlati e coordinati con l'insieme dei poteri della CONSOB e della Banca d'Italia, secondo un approccio integrato di vigilanza idoneo ad assicurare l'effettivita' delle regole che presidiano il settore. Donde la vis attractiva di regole e principi propri dell'attivita' di amministrazione attiva (ossia, appunto, dell'amministrazione di vigilanza) nell'ambito della sistematica dei procedimenti sanzionatori delle menzionate Autorita'. 30. Pur nella cornice della suddetta impostazione, tuttavia, questa Corte non ha mancato di sottolineare che, nel procedimento sanzionatorio della CONSOB, la garanzia del contraddittorio endo-procedimentale fissata nell'articolo 195 T.U.F. (e, va aggiunto, nell'articolo 187 septies T.U.F.) ancorche' non postuli ne' la necessita' della trasmissione all'interessato delle conclusioni dell'Ufficio Sanzioni Amministrative, ne' la personale audizione dell'interessato innanzi alla Commissione - tuttavia richiede, per potersi ritenere soddisfatta, che "prima dell'adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato" (cosi' Cass. 8046/2019, pagg. 12 e 13). La giurisprudenza in esame, in sostanza, ha ritenuto sussistere, pur all'interno della cornice concettuale delineata nel paragrafo precedente, un nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale, individuato proprio nella contestazione dell'addebito e nella valutazione delle controdeduzioni dell'interessato. 31. Il Collegio condivide tale orientamento, giacche' la corretta identificazione delle caratteristiche del contraddittorio che, ai sensi dell'articolo 195, comma 2 T.U.F. e dell'articolo 187 septies, comma 2 T.U.F., deve caratterizzare i procedimenti per l'applicazione delle sanzioni di competenza della CONSOB e della Banca d'Italia non puo' che emergere da un bilanciamento tra il riconoscimento della forte connessione che il nostro ordinamento instaura tra la funzione sanzionatoria e la funzione di vigilanza, da un lato, e il riconoscimento che la garanzia del contraddittorio procedimentale e' comunque funzionale a tutelare, gia' nella sede amministrativa, anche un interesse proprio del cittadino, connesso allo status di incolpato, e che la protezione di tale interesse non puo' essere interamente rinviata alla fase della opposizione giurisdizionale al provvedimento sanzionatorio. 32. Deve quindi conclusivamente affermarsi che la consolidata configurazione del giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative come giudizio sul rapporto e non sull'atto (cfr. Cass. SSUU 1786/2010 in materia di violazioni del C.d.S., ripresa, in materia di violazioni finanziarie, da Cass. 12503/2018) non autorizza la totale obliterazione del controllo di legittimita' del provvedimento sanzionatorio sotto il profilo del rispetto delle garanzie endo-procedimentali, come se l'atto amministrativo applicativo della sanzione non fosse altro che lo strumento per deferire il rapporto sanzionatorio alla cognizione, piena e libera, del giudice. Se infatti la possibilita' di recuperare talune garanzie in sede di giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative consente di adottare, in aderenza al pragmatico principio della strumentalita' delle forme, una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio endo-procedimentale, in coerenza con gli approdi della giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. CGEU 3 luglio 2014, C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, § 82, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa nell'ambito di un procedimento amministrativo sanzionatorio determina l'annullamento dell'atto adottato al termine di tale procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di detta violazione, il procedimento "avrebbe potuto comportare un risultato diverso"; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26 settembre 2013 in causa C-418/11, Texdata Software e, piu' di recente, la sentenza 4 giugno 2020 in causa C-430/19 SC C.F. s.r.l.), la violazione del nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale a cui si e' fatto cenno alla fine del precedente paragrafo 30 - contestazione dell'addebito e valutazione delle controdeduzioni dell'interessato - non puo' che comportare di per se stessa la caducazione del provvedimento sanzionatorio illegittimamente emesso; diversamente, infatti, risulterebbe totalmente svalutato, prima ancora che il presidio delle garanzie procedimentali, lo stesso ruolo delle Autorita' indipendenti e il senso della procedimentalizzazione della loro attivita'. 33. Va pertanto enunciato il seguente, ulteriore, principio di diritto: "In materia di sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), la configurazione del giudizio di opposizione come giudizio sul rapporto e non sull'atto non autorizza la totale obliterazione del controllo di legittimita' del provvedimento sanzionatorio sotto il profilo del rispetto delle garanzie endo-procedimentali fissate dagli articoli 187 septies e 195 T.U.F.; in particolare, la violazione del nucleo irriducibile di garanzie del contraddittorio endo-procedimentale rappresentato dalla contestazione dell'addebito e dalla valutazione delle controdeduzioni dell'interessato impone di per se stessa l'annullamento del provvedimento sanzionatorio illegittimamente emesso". 34. Alla stregua dei principi di diritto espressi nei paragrafi 26 e 33 che precedono, la sentenza gravata va cassata nella parte in cui ha disatteso l'opposizione del sig. (OMISSIS) alla Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nel capo relativo alla irrogazione della sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 bis, comma 1, lettera c), T.U.F., per l'induzione della sig.ra (OMISSIS) all'acquisto di azioni della societa' (OMISSIS). Poiche' non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte puo' decidere la causa nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, u.p.; il provvedimento sanzionatorio adottato con la suddetta Delib. della CONSOB va dunque senz'altro annullato in parte qua. 35. Col secondo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 187 octies T.U.F., comma 3, lettera c), e comma 7, nonche' dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., da interpretare alla luce dei principi costituzionali e dell'articolo 6 CEDU, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa rigettando l'impugnativa avverso la sanzione di Euro 50.000 irrogatagli per avere ostacolato l'attivita' ispettiva della CONSOB, differendo immotivatamente la data dell'audizione cui era stato convocato in qualita' di persona informata dei fatti e poi rifiutandosi di rispondere alle domande. Nel mezzo di ricorso si argomenta che la sanzione irrogata al (OMISSIS) sarebbe incompatibile col principio "nemo tenetur se detegere", anche in ragione del rilievo che le dichiarazioni rese nel corso di tale audizione possono essere trasmesse al Pubblico Ministero, qualora vengano ravvisati gli estremi di una condotta penalmente rilevante (articolo 187 decies, comma 2). Ad avviso del ricorrente, la previsione dell'obbligo di presentarsi all'audizione e, ivi, di rendere dichiarazioni, dietro la comminatoria di una sanzione rilevante, integrerebbe una violazione dell'articolo 6 CEDU e dei principi del giusto processo recepiti all'articolo 111 Cost.. A chiusura del motivo di ricorso il ricorrente ha prospettato la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 187 octies e 187 quinquiesdecies, per il caso non se ne ritenga possibile una interpretazione conforme alla Costituzione, in riferimento agli articoli 3, 24, 111 e 117 Cost. e 6 CEDU, "nella misura in cui il primo non prevede l'applicazione degli articoli 61, 63 c.p.p. e articolo 198 c.p.p., comma 2, ed il secondo contempli una sanzione amministrativa per il soggetto sottoposto ad indagini CONSOB che rifiuti di fornire risposte suscettibili di utilizzazione in sede penale e comunque in sede di applicazione di gravi sanzioni amministrative". 36. Come riferito nel precedentemente paragrafo 6, l'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. - sul quale si fonda la sanzione confermata dalla Corte di appello con la statuizione censurata con il motivo di ricorso in esame - e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con la sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Tale declaratoria di illegittimita' costituzionale fa seguito, come pure riferito nel precedente paragrafo 6, alla sentenza CGUE 2.2.2021, in causa C-481/19, con cui i giudici di Lussemburgo hanno dato risposta ai quesiti - uno di interpretazione ed uno di validita' - che la Corte costituzionale aveva posto loro con il rinvio pregiudiziale disposto con l'ordinanza n. 117/2019. 37. Nella menzionata sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia, in primo luogo, afferma che la garanzia per le persone fisiche di serbare il silenzio in procedimenti amministrativi, quale quello attivato dalla CONSOB per l'illecito di informazioni privilegiate, trova fondamento negli articoli 47, par. 2, e 48 della CDFUE (§ 45); sulla scorta di tale premessa, esamina gli articoli 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, con l'obiettivo di "verificare se tali disposizioni del diritto derivato dell'Unione si prestino ad essere interpretate in conformita' al suddetto diritto al silenzio" (§ 49); ribadisce, in continuita' con la propria precedente giurisprudenza, che "secondo un principio ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell'Unione deve essere interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua validita' e in conformita' con l'insieme del diritto primario e, segnatamente con le disposizioni della Carta. Cosi', qualora un testo siffatto si presti a piu' di un'interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme al diritto primario anziche' quella che porta a constatare la sua incompatibilita' con quest'ultimo" (§ 50); privilegia, infine, tra le diverse possibili interpretazioni delle disposizioni di cui all'articolo 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e articolo 30, par. 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 quella che non si pone in contrasto con il diritto al silenzio tutelato dalle norme parametro della CDFUE, concludendo, quindi, che tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell'ambito di un'indagine svolta nei suoi confronti dall'autorita' competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorita' risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilita' penale. Nella trama argomentativa della sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia si fa carico di perimetrare l'esatta portata del diritto al silenzio garantito dalla CDFUE, sottolineando come esso non possa giustificare "qualsiasi omessa collaborazione con le autorita' competenti, qual e' il caso di un rifiuto di presentarsi ad un'audizione prevista da tali autorita' o di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa" (§ 41). 38. La sentenza C. Cost. n. 84/2021, ponendosi in piena sintonia con la pronuncia della Corte di giustizia, riconosce l'esistenza di un diritto al silenzio - nell'ambito di procedimenti amministrativi funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, che siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo - fondato, "assieme, sull'articolo 24 Cost., sull'articolo 6 CEDU e sugli articoli 47 e 48 CDFUE, questi ultimi nell'interpretazione che ne ha ora fornito la Corte di giustizia; e (che, n.d.r.) puo' essere ricavato altresi' dall'articolo 14, paragrafo 3, lettera g), PIDCP" (§ 3.5 del Considerato in diritto, secondo capoverso). 39. A differenza della Corte di giustizia, tuttavia, la Corte costituzionale non ha pronunciato una sentenza interpretativa di rigetto ma ha privilegiato la soluzione della declaratoria di illegittimita' costituzionale parziale (oltre che consequenziale, giacche' ha esteso la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. anche al testo della disposizione risultante dalle modifiche recate dal Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 24, comma 1, lettera "c", convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, nonche' al testo risultante dalle notifiche recate dal Decreto Legislativo 3 agosto 2017, n. 129, articolo 5, comma 3). La sentenza C. Cost. n. 84/2021 risulta, infatti, una sentenza manipolativa, in quanto, nel testo della disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale ("chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l'esercizio delle sue funzioni") enuclea due distinte condotte: a) da un lato, la condotta della "persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell'attivita' di vigilanza svolta da quest'ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero - a fortiori - nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilita' per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilita' di carattere penale" (§ 3.6 del Considerato in diritto, secondo capoverso); b) d'altro lato, la condotta consistente in "comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB, come il rifiuto di presentarsi ad un'audizione prevista da tale autorita', ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa" o, ancora, la condotta consistente nella "omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta della CONSOB, formulata ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187 octies, commi 3 e 4" (§ 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso). La condotta sub a) e' stata ritenuta espressione del diritto al silenzio costituzionalmente protetto e, quindi, il contenuto dispositivo dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. e' stato amputato, mediante la parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale, della parte che sanziona tale condotta; la condotta sub b), viceversa, non e' stata ritenuta compresa in detta copertura, con la conseguenza che la parte del contenuto dispositivo dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. che sanziona la stessa ha resistito al vaglio di legittimita' costituzionale ed e' tuttora vigente. 40. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 va dunque in primo luogo esaminata la questione se la tutela costituzionale del diritto al silenzio, come delineata in tale sentenza, copra anche la condotta per la quale, secondo la ricostruzione di fatto operata dalla Corte d'appello di Roma, il sig. (OMISSIS) ha subito la sanzione di cui si tratta nel motivo di ricorso in esame, vale a dire "le reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell'audizione" (pag. 19, primo capoverso, della sentenza impugnata). E' appena il caso di ribadire anche in questa sede, infatti, che, come questa Corte ha gia' evidenziato nel paragrafo 10.5 dell'ordinanza n. 3831/2018, emessa in questo giudizio, la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda sul presupposto fattuale che il sig. (OMISSIS) sia stato sanzionato per gli ingiustificati differimenti dell'audizione a cui era stato convocato dalla CONSOB, non per il silenzio da lui serbato in sede di audizione. Si tratta, allora, di stabilire se tale ratio decidendi resista alla jus novum recato da C. Cost. n. 84/2021. La risposta che il Collegio ritiene di dover dare a tale quesito e' negativa. 41. E' vero infatti, come precisato nel precedente paragrafo 39 (e come la CONSOB sottolinea nella propria memoria ex articolo 378 c.p.c. depositata il 15 ottobre 2021), che la sentenza C. Cost. n. 84/2021 ha lasciato ferma la legittimita' costituzionale della disposizione che sanziona, come illecito amministrativo, i comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB, tra i quali "il rifiuto di presentarsi ad un'audizione prevista da tali autorita', ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa". E' pero' altrettanto vero che - nell'ambito della confutazione della tesi dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. sollevata da questa Corte sarebbe stata inammissibile per difetto di rilevanza (proprio perche' il sig. (OMISSIS) era stato sanzionato non gia' per essersi rifiutato di rispondere alle domande postegli in sede di audizione, bensi' per i differimenti che aveva causato allo svolgimento dell'audizione) - la stessa Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare, riprendendo un'affermazione svolta gia' nell'ordinanza con cui aveva proposto il rinvio pregiudiziale alla CGUE (n. 117/2019), che "nella valutazione della sanzionabilita' del ritardo di D. B. nel presentarsi all'audizione disposta dalla CONSOB, ben potrebbe il giudice del procedimento a quo valorizzare la circostanza che il diritto al silenzio non era, all'epoca, garantito; e che pertanto il ricorrente - presentandosi all'audizione - si sarebbe trovato di fronte all'alternativa tra rendere in quella potenzialmente autoaccusatorie, ovvero rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni" (C. Cost. n. 84/2021, § 2.1 del Considerato in diritto, ultimo capoverso). 42. Il suddetto passaggio della sentenza n. 84/2021 va inteso, ad avviso del Collegio, come una indicazione volta a modulare gli effetti della parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. in ragione del tempo della commissione del fatto. Tale declaratoria, infatti, consente di assegnare alla parte dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. che residua dopo l'amputazione operata della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 una portata dispositiva differenziata, a seconda che la fattispecie sia anteriore o posteriore alla pubblicazione di detta sentenza. Nel caso di una condotta consistente nel rifiuto di presentarsi ad un'audizione o nell'adozione di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa che sia stata posta in essere dopo la pubblicazione della sentenza n. 84/2021 e' indubbio - per l'espressa precisazione che si legge nel paragrafo 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso, di tale sentenza - che la stessa e' sanzionabile ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., come manipolato dalla Corte costituzionale. Qualora la medesima condotta risalga ad epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021, per contro, la relativa sanzionabilita' non puo' essere affermata in ogni caso, ma, alla stregua dell'indicazione dettata da tale sentenza nell'ultimo capoverso del paragrafo 2.1 del Considerato in diritto, va riconosciuta solo all'esito di un apprezzamento concreto delle modalita' in cui essa si e' svolta. 43. Nell'ambito del suddetto apprezzamento si deve allora distinguere tra la mera renitenza alla convocazione e la renitenza alla convocazione perseguita mediante comportamenti ingannevoli fraudolenti o decettivi (come, a titolo di esempio, il rendersi strumentalmente irreperibile); questa seconda ipotesi e' estranea al perimetro del diritto al silenzio, giacche' le condotte che la integrano travalicano le esigenze difensive e si risolvono in un autonomo vulnus all'efficace svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB, risultando quindi sanzionabili - ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., come manipolato dalla Corte costituzionale - anche se anteriori alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021. Viceversa, la renitenza alla convocazione che si sostanzi esclusivamente in ingiustificate richieste di differimento della stessa deve ritenersi coperta dalla tutela costituzionale del diritto al silenzio riconosciuta dalla sentenza n. 84/2021, ove risalga ad epoca anteriore alla pubblicazione di tale sentenza. 44. Nel contesto normativo anteriore alla pubblicazione della sentenza n. 84/2021, infatti, la presentazione all'audizione implicava l'alternativa tra rendere in quella sede dichiarazioni potenzialmente autoaccusatorie e rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni. La pretesa che, in tale contesto normativo, il cittadino si presentasse alla convocazione, si rifiutasse di rispondere alle domande della CONSOB e, ove sanzionato ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., si opponesse alla sanzione inflittagli al fine di chiedere al giudice dell'opposizione di sollevare la questione di legittimita' costituzionale di detto articolo non e' compatibile, per la palese astrattezza della protezione in tale modo garantita al diritto al silenzio, con lo standard di tutela delle condizioni essenziali del diritto di difesa emergente dall'articolo 24 Cost., dall'articolo 6 CEDU, dagli articoli 47 e 48 CDFUE, dall'articolo 14, paragrafo 3, lettera g), PIDC; ossia dal reticolo delle norme nazionali e sovranazionali, che "si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione" (cosi' C. Cost. n. 84/2021, paragrafo 3.5 del Considerato in diritto, terzo capoverso), sulle quali la Corte costituzionale ha fondato il riconoscimento della copertura costituzionale del diritto al silenzio. 45. Nella prospettiva cosi' delineata deve allora affermarsi il seguente principio di diritto: "l'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., nella parte non dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, va interpretato nel senso che la condotta consistente nel rifiuto di presentarsi ad un'audizione fissata dalla CONSOB ai sensi dell'articolo 187 octies, comma 3, lettera c), T.U.F., ovvero nell'adozione di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa, e' sanzionabile in ogni caso quando sia stata posta in essere in epoca successiva alla pubblicazione della suddetta sentenza n. 84/2021; per contro, quando tale condotta sia stata posta in essere in epoca anteriore alla pubblicazione di tale sentenza, la stessa - rappresentando per l'agente l'unico modo per sottrarsi all'alternativa tra rendere dichiarazioni potenzialmente autoaccusatorie o rischiare di essere sanzionato per il rifiuto di rendere tali dichiarazioni - non puo' essere sanzionata di per se stessa, ma va considerata una forma di legittimo esercizio del diritto al silenzio costituzionalmente garantito, a meno che essa non si sia concretizzata in comportamenti ingannevoli, fraudolenti o decettivi ulteriori rispetto alla mera mancata presentazione all'audizione o alla mera richiesta di differimento della stessa". 46. Alla stregua del principio di diritto enunciato nel paragrafo precedente il secondo motivo di ricorso va giudicato fondato. La Corte capitolina, infatti, ha ritenuto integrato l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. solo in ragione delle "reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell'audizione" poste in essere dal sig. (OMISSIS) in epoca anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021. Tale ratio decidendi sottende una interpretazione del suddetto articolo, per la parte del medesimo non caducata dall'intervento del Giudice delle leggi, difforme da quella indicata nel principio di diritto enunciato nel paragrafo che precede. 47. All'accoglimento del secondo motivo di ricorso non ostano le ulteriori argomentazioni svolte nella memoria ex articolo 378 c.p.c., della CONSOB del 15 ottobre 2021 a sostegno dell'assunto che la portata dispositiva della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 sarebbe priva di rilevanza ai fini del presente giudizio. 48. Sotto un primo profilo la CONSOB ha sostenuto che "in tanto si puo' discutere di diritto al silenzio e comportamenti conseguenti, in quanto dalle risultanze istruttorie siano emersi indizi di colpevolezza a carico del soggetto convocato e quindi questi si trovi in una situazione in cui effettivamente si verte in tema di diritto al silenzio". Secondo la difesa della controricorrente, per contro, al sig. (OMISSIS) non potrebbe riconoscersi il diritto al silenzio, cosi' come configurato nella sentenza n. 84/2021 della Corte costituzionale, perche', al momento della convocazione per l'audizione, il medesimo non era stato individuato dalla CONSOB quale possibile autore degli abusi di mercato per i quali e' stato successivamente sanzionato, ne', d'altra parte, risulta che le domande che l'Autorita' di vigilanza intendeva porgli riguardassero gli illeciti di cui la CONSOB sospettava che egli fosse l'autore (pag. 16 della memoria CONSOB 15/10/2021). 49. Il suddetto argomento non ha pregio. Il dispositivo della sentenza n. 84/2021 fa riferimento alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che "possano far emergere la sua responsabilita'" per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo; tale formulazione allude, evidentemente, a situazioni in cui la responsabilita' dell'interessato, potendo esser fatta emergere, non sia ancora emersa. Del resto la prospettazione della CONSOB trova piena confutazione nelle stesse parole della sentenza n. 84/2021, la' dove la Corte costituzionale, disattendendo l'assunto dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la garanzia del diritto al silenzio sarebbe stata riservata ad un momento successivo alla contestazione formale dell'illecito, sottolinea come tale interpretazione condurrebbe "a negare l'essenza stessa del diritto al silenzio, che consiste -precisamente - nel diritto di rimanere in silenzio, ossia di non essere costretto - sotto minaccia di una sanzione, come quella comminata dalla disposizione in questa sede censurata - a rendere dichiarazioni potenzialmente contra se ipsum, e dunque a rispondere a domande dalle quali possa emergere una propria responsabilita'"; espressamente aggiungendo che "tale garanzia deve potersi necessariamente esplicare anche in una fase antecedente alla instaurazione del procedimento sanzionatorio, e in particolare durante l'attivita' di vigilanza svolta dall'autorita', al fine di scoprire eventuali illeciti e di individuarne i responsabili" (§ 3.6 del Considerato in diritto, quarto capoverso). 50. Sotto un secondo profilo la CONSOB ha argomentato che, nella specie, il diritto al silenzio riconosciuto dalla Corte costituzionale sarebbe stato garantito al (OMISSIS) dalla possibilita' di essere assistito da un difensore in sede di audizione; possibilita' riconosciuta "non soltanto nel caso di persone gia' sospettate di aver commesso illeciti, ma anche nei confronti di qualsiasi persona informata dei fatti" (pag. 19 della memoria CONSOB 15/10/2021). Anche questo argomento va disatteso. La possibilita' di essere assistiti da un difensore, in sede di audizione personale ex articolo 187 octies, lettera c), T.U.F., non sottrae chi venga convocato per tale audizione all'alternativa - di per se' lesiva del diritto al silenzio riconosciuto dalla Corte costituzionale - tra rendere dichiarazioni contra se e subire la sanzione prevista dall'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.. 51. Il secondo mezzo di ricorso va quindi in definitiva accolto e la sentenza della Corte di appello di Roma va cassata nella parte in cui ha disatteso l'opposizione del sig. (OMISSIS) alla Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nel capo relativo alla irrogazione della sanzione pecuniaria di Euro 50.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.. Poiche' la condotta per cui il sig. (OMISSIS) e' stato sanzionato ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. risulta compiutamente accertata dalla Corte territoriale nei termini, gia' piu' volte riportati, di "reiterate ed ingiustificate richieste di rinvio dell'audizione", nessun altro accertamento di fatto risulta necessario. Questa Corte puo' quindi decidere nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, u.p.. Considerato che la CONSOB non ha addebitato al sig. (OMISSIS) comportamenti - ingannevoli, fraudolenti o decettivi ulteriori rispetto alle mere richieste di differimento dell'audizione, l'ordinanza sanzionatoria della CONSOB va annullata in parte qua, in applicazione del principio di diritto enunciato nel precedente paragrafo 45. 52. Col terzo motivo il ricorrente attinge la statuizione dell'impugnata sentenza che ha rigettato la sua opposizione avverso la confisca per equivalente dei suoi beni fino alla concorrenza dell'importo di Euro 149.760, pari al valore del prodotto delle sue illecite operazioni di trading, corrispondente alla somma del valore dei beni strumentali impiegati in tali operazioni e del valore del profitto dalle stesse ritratto. Il ricorrente evidenzia che, in tal modo, la misura della confisca gli sottrae, oltre al valore equivalente al suddetto profitto (Euro 26.580), anche il valore equivalente agli esborsi che egli aveva sostenuto per effettuare gli acquisti di azioni (Euro 123.175); che tale seconda sottrazione ha una funzione esclusivamente sanzionatoria, la quale va ad aggiungersi alla sanzione pecuniaria (Euro 200.000) inflittagli per l'attivita' di insider trading, cosicche', in definitiva, per operazioni che gli hanno prodotto un utile di Euro 26.580, egli viene sanzionato per l'importo di Euro 323.175 (oltre alle sanzioni per l'addebito di tuyautage e per l'addebito di mancata cooperazione con la CONSOB). Il motivo, riferito al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 187 sexies T.U.F., da interpretare alla luce dell'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU e dell'articolo 6 della CEDU, nonche' della L. n. 241 del 1990, articolo 3 e si articola in due distinte censure. 52.1. Con la prima censura si sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere obbligatoria invece che facoltativa la confisca per equivalente prevista dell'articolo 187 sexies, comma 2 T.U.F. (conseguentemente rigettando il motivo di opposizione relativo all'omessa motivazione del provvedimento sanzionatorio sulle ragioni della disposta confisca). 52.2. Con la seconda censura si ripropone il dubbio di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 sexies T.U.F., gia' inutilmente sollevato davanti alla Corte di appello. Il ricorrente lamenta la sproporzionata afflittivita' conseguente alla confisca per equivalente non solo del profitto dell'illecito, ma anche dei beni impiegati per commetterlo e, pertanto, denuncia il contrasto di detta disposizione con l'articolo 27 Cost. (e, in via gradata, con l'articolo 3 Cost.), con l'articolo 42 Cost. e con l'articolo 117 Cost., in relazione all'articolo 6 della CEDU ed all'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU. 53. La prima censura, sintetizzata nel paragrafo 52.1. che precede, non e' fondata. Come questa Corte ha gia' evidenziato nell'ordinanza n. 3831/2018 (§ 10.5), emessa in questo giudizio, la sequenza dei primi due commi dell'articolo 187 sexies T.U.F. rende palese che, nel comma 2, il verbo "puo'" conferisce all'Autorita' di vigilanza un potere di scelta tra le diverse tipologie di beni aggredibili ("somme di denaro, beni o altre utilita'") ma non il potere di decidere se applicare o meno la confisca per equivalente nel caso in cui non sia possibile eseguire la confisca "del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo" di cui al comma 1. La stessa Corte costituzionale, occupandosi per quattro volte di questa disposizione (con la sentenza n. 186/2011, con la sentenza n. 252/2012, con la sentenza n. 68/2017 e, da ultimo, con la sentenza n. 112/2019), non ha mai posto in dubbio l'obbligatorieta' della confisca per equivalente (presupposta dai giudici rimettenti) e, nella sentenza n. 252/2012, ha qualificato essa stessa come "obbligatoria" la confisca di cui dell'articolo 187 sexties, comma 2 T.U.F. (par. 4, secondo cpv.: "Nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono scaturire, in determinati contesti, dalla previsione della confisca obbligatoria, non solo del profitto, ma anche dei beni strumentali alla commissione dell'illecito, specialmente se contemplata anche nella forma "per equivalente" - problema in se' reale e avvertito, da sottoporre all'attenzione del legislatore"). Nella sentenza n. 112/2019, emessa a definizione del giudizio incidentale di costituzionalita' promosso nell'ambito del presente procedimento, la Corte costituzionale ha, infine, ulteriormente ribadito la natura obbligatoria della confisca di cui all'articolo 187 sexties T.U.F., sia con riferimento alla confisca diretta, prevista dal comma 1 dell'articolo, che con riferimento alla confisca per equivalente, prevista dal comma 2; si veda, in particolare, il paragrafo 9 di detta sentenza ove si legge: "da quanto precede consegue l'illegittimita' costituzionale della previsione della confisca obbligatoria (sottolineatura nostra, n.d.r.) del "prodotto" dell'illecito amministrativo e dei "beni utilizzati" per commetterlo"; nonche', sempre nel medesimo paragrafo, il passo ove si afferma che l'effetto manifestamente sproporzionato della confisca in oggetto non e' legato alla circostanza chi essa venga realizzata in forma diretta o per equivalente, bensi' alla "stessa previsione dell'obbligo (sottolineatura nostra, n.d.r.) di procedere alla confisca del "prodotto" dell'illecito e dei "beni utilizzati" per commetterlo". Il terzo motivo di ricorso va quindi rigettato per la parte relativa alla prima delle due censure ivi svolte. 54. Con riferimento alla seconda censura prospettata nel motivo di ricorso in esame, relativa al dubbio di costituzionalita' sollevato dal ricorrente in ordine all'articolo 187 sexies T.U.F., si osserva che essa risulta superata dall'intervenuta declaratoria di illegittimita' costituzionale di tale disposizione "nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto", di cui alla sentenza C. Cost. n. 112/2019, alla quale si e' fatto cenno nel paragrafo 7 che precede. 55. Nelle memorie rispettivamente depositate per l'udienza del 21.10.21 tanto la CONSOB quanto il sig. (OMISSIS) hanno dato atto che, all'esito della suddetta sentenza della Corte costituzionale, la confisca disposta nel provvedimento sanzionatorio oggetto del presente giudizio e' stata annullata dalla CONSOB, con Delib. in autotutela 5 dicembre 2019, n. 20177, "limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 20.584,93 corrispondente al profitto dell'illecito". Su tale premessa la CONSOB, come accennato al paragrafo 11 che precede, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del presente motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente; il sig. (OMISSIS), per contro, nega che la suddetta Delib. n. 20177 del 2019, abbia determinato la cessazione della materia del contendere e sostiene che la necessita' di una pronuncia definitiva non sarebbe venuta meno, attesa la natura incidentale del giudizio di costituzionalita', sia in funzione della regolazione delle spese del giudizio, sia in ragione del rilievo che la somma la cui confisca e' stata annullata gli e' stata restituita senza il riconoscimento degli interessi legali. 56. Il Collegio osserva che - all'esito dell'annullamento della confisca, per la parte eccedente l'equivalente del profitto ricavato dall'illecito, operato dalla CONSOB in autotutela - la materia del contendere su cui si e' pronunciata la statuizione della Corte d'appello impugnata con il terzo motivo del ricorso per cassazione e' obiettivamente cessata. La statuizione di merito necessariamente conseguente all'accoglimento di tale motivo di ricorso, infatti, sarebbe priva di oggetto, dovendosi essa risolvere nell'annullamento dell'impugnato provvedimento di confisca per una parte - quella equivalente ai beni impiegati per commettere l'illecito - gia' annullata dalla stessa Autorita' che ha emesso il provvedimento. La suddetta statuizione non potrebbe dunque apportare alcun vantaggio al sig. (OMISSIS), ne' con riferimento alle spese del giudizio di opposizione, la cui regolazione discende da un giudizio di soccombenza che puo' anche essere effettuato virtualmente, ne' con riferimento alla pretesa agli interessi sulla somma restituita all'esito del parziale annullamento della confisca. Tale pretesa e' infatti estranea all'oggetto del presente giudizio, nel quale il sig. (OMISSIS) ha proposto opposizione al provvedimento sanzionatorio senza spiegare alcuna domanda restitutoria. Nemmeno appare concludente il richiamo della difesa del ricorrente alla natura incidentale del giudizio legittimita' costituzionale, giacche' la cessazione della materia del contendere non deriva dalla pronuncia della Corte costituzionale, bensi' dal parziale annullamento in autotutela della Delib. con cui la CONSOB aveva applicato la confisca. 57. Va ancora aggiunto, infine, che la situazione di fatto determinata dall'emanazione in autotutela della Delib. CONSOB n. 20177 del 2019 impone, come detto, la declaratoria di cessazione della materia del contendere e non la declaratoria di inammissibilita' del motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la quale implicherebbe il passaggio in giudicato della statuizione impugnata (cfr. Cass. SSUU 8980/2018; si veda anche Cass. 26299/2018: "La cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con cio', dell'interesse al ricorso; la composizione in tal modo della controversia giustifica non gia' l'inammissibilita' del ricorso in cassazione bensi', da un lato, la rimozione, con cassazione senza rinvio, delle sentenze gia' emesse, prive di attualita' e, dall'altro, una pronuncia finale sulle spese, secondo una valutazione di soccombenza virtuale"). 58. Vanno infine esaminati gli argomenti spiegati nella memoria della difesa (OMISSIS) del 15/10/2021 con riferimento alla necessita' di rideterminare il trattamento sanzionatorio a lui applicato, in ossequio ai principi della retroattivita' della lex mitior e del ne bis in idem. 58.1. Con riferimento al principio della retroattivita' della lex mitior, il ricorrente invoca la sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, nella parte in cui esclude l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dall'articolo 187 bis T.U.F.. In proposito la difesa (OMISSIS) svolge i seguenti rilievi: - quanto all'articolo 187 bis T.U.F., applicato nell'irrogazione delle sanzioni di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 2 che precede, il minimo edittale di Euro 100.000, previsto nel testo vigente all'epoca del compimento dell'illecito, e' stato ridotto ad Euro 20.000 dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, e tale importo e' rimasto inalterato nella successiva riformulazione dell'articolo 187 bis TUF recata dal Decreto Legislativo n. 107 del 2018, articolo 4, comma 9; - quanto all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., applicato nell'irrogazione delle sanzioni di cui alla lettera c) del paragrafo 2 che precede, il minimo edittale di Euro 50.000, previsto nel testo vigente all'epoca del compimento dell'illecito, e' stato ridotto ad Euro 10.000, per le persone fisiche, dal Decreto Legislativo n. 129 del 2017, articolo 5, comma 3, lettera b). 58.2. Con riferimento al principio del ne bis in idem, il ricorrente fa riferimento alla condanna alla pena di mesi 11 di reclusione ed Euro 300.000 di multa inflittagli con sentenza di applicazione della pena su richiesta pronunciata il 18/12/2013 dal Tribunale di Milano per il delitto di cui all'articolo 184, comma 1, lettera c) T.U.F., in relazione agli stessi fatti oggetto delle sanzioni di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 2 che precede. 59. Osserva al riguardo il Collegio che i suddetti argomenti sono irrilevanti tanto in relazione alle sanzioni di cui alle lettere b) e c) del paragrafo 2 che precede, inflitte al sig. (OMISSIS) per il tuyautage in favore della sig. (OMISSIS) e, rispettivamente, per il ritardo procurato all'esercizio delle funzioni della CONSOB; quanto in relazione alla sanzione di cui alla lettera a) del medesimo paragrafo, inflitta allo stesso sig. (OMISSIS) per il trading effettuato in proprio sulle azioni Art'e'. Le sanzioni irrogate per i primi due illeciti, infatti, vengono interamente annullate con la presente sentenza, con la decisione nel merito ex articolo 384 c.p.c., comma 2, u.p., che consegue all'accoglimento dei primi due mezzi di ricorso. La sanzione irrogata per il trading, per contro, non puo' piu' formare oggetto di riconsiderazione in questa sede, perche' il capo della sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato l'opposizione a tale sanzione e' passato in giudicato, ai sensi dell'articolo 329 c.p.c.. A pagina 5, primo capoverso, del ricorso per cassazione del sig. (OMISSIS), infatti, si legge: "E' intenzione del Dott. (OMISSIS) prestare acquiescenza ai capi della sentenza riguardanti i motivi 1, 2 e 7 dell'opposizione in Corte d'appello e quindi rendere definitiva la sanzione di Euro 200.000 per violazione dell'articolo 187 bis, comma 1, lettera a), T.U.F.". 60. Non possono condividersi, infine, gli argomenti spesi nel IV paragrafo della memoria (OMISSIS) del 15/10/2021 per sostenere che il giudicato calato sulla statuizione di rigetto dell'opposizione alla sanzione di Euro 200.000 inflitta al ricorrente per il trading effettuato in proprio non osterebbe all'applicazione dello jus superveniens intervenuto in pendenza del giudizio di legittimita'; il presente giudizio di legittimita', infatti, pende su capi di sentenza diversi da quello, ormai divenuto irrevocabile, relativo a tale statuizione. 60.1. I riferimenti giurisprudenziali evocati nella suddetta memoria (Cass. 20697/1018, seguita da Cass. 19512/2020) non sono pertinenti al caso oggi in esame. In tali precedenti si e' affermato che - in ragione della portata pubblicistica del principio del favor rei, destinato ad operare ogni qualvolta il processo civile abbia ad oggetto l'impugnativa di un provvedimento recante una sanzione tributaria o amministrativa - la norma che prevede un piu' favorevole trattamento sanzionatorio che sopravvenga nella pendenza del giudizio di legittimita' deve trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui nel ricorso per cassazione non sia stata specificamente censurata la statuizione concernente la misura della sanzione; e si e' chiarito che tale conclusione non contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, giacche' la statuizione sulla misura della sanzione e' dipendente dalla statuizione sulla responsabilita' del sanzionato, cosicche' la caducazione del capo di sentenza che accerta la sussistenza dell'illecito e la responsabilita' del sanzionato travolge il capo di sentenza che stabilisce la misura della sanzione (cfr. Cass. SSUU 21691/2016, dove si precisa che, in base al combinato disposto dell'articolo 329 c.p.c., comma 2 e articolo 336 c.p.c., comma 1, l'impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente). Nella specie, tuttavia, il capo della sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato l'opposizione del sig. (OMISSIS) alla sanzione inflittagli per il trading non e' stato impugnato ne' in punto di sussistenza dell'illecito e responsabilita' del sanzionato ne' in punto di quantificazione della sanzione, cosicche' su di esso si e' formato il giudicato che osta alla possibilita' di riaprire il giudizio per applicare lo jus superveniens. 60.2. A conclusioni analoghe a quelle enunciate con riguardo alle disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio di legittimita' deve pervenirsi con riferimento alla dedotta efficacia retroattiva delle pronunce della Corte costituzionale. Il sig. (OMISSIS) chiede la rideterminazione della sanzione infittagli per l'illecito amministrativo di cui all'articolo 187 bis, comma 1, lettera a) del T.U.F. alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019 e richiama precedenti di questa Corte che affermano che gli effetti della sentenza della Corte costituzionale dichiarative dell'illegittimita' costituzionale di una disposizione si estendono anche ai giudizi in corso in sede di legittimita' (Cass. n. 12962/2005, Cass. n. 27264/2008, Cass. n. 26291/2017). Proprio i precedenti indicati dal ricorrente, tuttavia, chiariscono che la retroattivita' delle sentenze della Corte costituzionale trova il limite dei rapporti esauriti e, per quanto qui interessa, del giudicato. 60.3. Ne' a diversa conclusione induce la sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 16 aprile 2021, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, comma 4, in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida disposta con sentenza irrevocabile. Tale sentenza interpretativa di accoglimento - premessa la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa della revoca della patente - ha parificato la cedevolezza del giudicato su tale sanzione alla cedevolezza del giudicato in materia di sanzioni penali, estendendo l'efficacia retroattiva delle sentenze costituzionali di accoglimento anche alla sanzione amministrativa della revoca della patente disposta con sentenza passata in giudicato. La conclusione raggiunta dalla sentenza C. Cost. n. 68/2021 con riferimento alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida non e' pero' predicabile con riferimento alle sanzioni amministrative in tema di abusi di mercato. In primo luogo, il thema decidendum di detta sentenza risulta espressamente delimitato alla sola sanzione della revoca della patente, avendo la Corte costituzionale avuto cura di precisare espressamente come i quesiti di costituzionalita' sottoposti al suo esame si concentrassero "sul trattamento riservato alla specifica sanzione amministrativa accessoria che viene in rilievo nel giudizio a quo: sanzione alla quale - di la' dal riferimento del dispositivo dell'ordinanza di rimessione all'indistinta platea delle sanzioni amministrative "convenzionalmente penali" - appaiono, in effetti, nella sostanza riferite le censure del rimettente" (§ 5, primo capoverso, del Considerato in diritto della sentenza n. 68/2021). In secondo luogo, le sanzioni amministrative in tema di abusi di mercato, pur avendo anch'esse natura sostanzialmente penale secondo i c.d. "criteri Engel", non possono mutuare dalle sanzioni penali (e dalla sanzione amministrativa della revoca della patente) i meccanismi che consentono allo jus superveniens (sia esso una nuova disposizione normativa o una pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale) di infrangere il giudicato. Da un lato, infatti, nel giudizio civile o amministrativo non esiste la figura del giudice dell'esecuzione, cioe' di un giudice avente la funzione di valutare anche gli incidenti processuali che possono verificarsi successivamente al giudicato e nel corso dell'esecuzione della pena. D'altro lato, la prospettiva, segnalata dalla dottrina, alla cui stregua - nella materia delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali - per veicolare lo jus superveniens oltre la barriera del giudicato potrebbe farsi ricorso al rimedio di cui all'impugnazione ex articolo 395 c.p.c. (prospettiva, peraltro, ad oggi meramente teorica e de jure condendo) fa leva, appunto, sul rimedio del ricorso per revocazione, senza in alcun modo riguardare la materia del ricorso per cassazione. 60.4. Parimenti inconcludenti, infine, sono i richiami della difesa (OMISSIS) ai precedenti di questa Corte che hanno affermato che non esistono preclusioni alla rilevabilita' in sede di legittimita' - anche d'ufficio e per la prima volta - delle questioni relative alla compatibilita' della disciplina interna con quella unionale sopravvenuta, che opera in modo analogo allo ius superveniens, essendo il giudice di ultima istanza tenuto a tale controllo (Cass. n. 15032/2014, Cass. n. 24952/2015; si veda anche Cass. n. 25278/2019). Tale condivisibile principio riguarda il regime di rilevabilita' delle questioni all'interno del giudizio, ma non concerne la questione della cedevolezza del giudicato civile al diritto unionale sopravvenuto. 61. In definitiva devono accogliersi il primo ed il secondo motivo di ricorso; il terzo motivo va rigettato in relazione alla prima delle due doglianze in cui esso si articola, mentre in relazione alla seconda doglianza deve dichiararsi cessata la materia del contendere, nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, nonche' in relazione alla statuizione di rigetto dell'opposizione alla confisca e, con decisione nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 3, la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, va annullata nella parte relativa alla irrogazione a carico del sig. (OMISSIS) di una sanzione amministrativa pecuniaria per l'illecito di cui all'articolo 187 bis, comma 1, lettera c), T.U.F. e di una sanzione amministrativa pecuniaria per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.. 62. Il mutamento del quadro normativo sopravvenuto in corso di causa per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 112/2019 e n. 84/2021 giustifica l'integrale compensazione delle spese del giudizio di opposizione, tanto per la fase di merito quanto per quella di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo motivo in relazione alla prima delle due doglianze in cui esso si articola e dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla seconda di tali doglianze. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle statuizioni investite dai motivi di ricorso e, con decisione nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 3, annulla la Delib. CONSOB 8 maggio 2012, n. 18199, nella parte relativa alla irrogazione a carico del sig. (OMISSIS) di una sanzione amministrativa pecuniaria per l'illecito di cui all'articolo 187 bis, comma 1, lettera c), T.U.F. e di una sanzione amministrativa pecuniaria per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.. Dichiara compensate le spese dell'intero giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - rel. Consigliere Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere Dott. OLIVA Stefano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 15172/2014 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), che lo rappresentano e difendono per procura speciale a margine del ricorso. - ricorrente - contro CONSOB - COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA' E BORSA, - con domicilio eletto presso la propria sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del controricorso e procura speciale spillata alla memoria 12.10.2021 di nomina di nuovi difensori. - controricorrente - avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 4522/13 depositata il 10/12/2013. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso "accoglimento del ricorso per quanto di ragione con particolare riferimento al primo motivo di doglianza"; uditi gli avvocati (OMISSIS), per il ricorrente, e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per la controricorrente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con la Delib. 6 dicembre 2011, n. 18024, la CONSOB irrogo' nei confronti del sig. (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), le seguenti sanzioni amministrative: a) una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 bis T.U.F. (nel testo, cui da ora in poi si fara' riferimento, anteriore alle modifiche recate dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107), commi 4 e 6, per avere egli effettuato, tra il (OMISSIS), l'acquisto di azioni della (OMISSIS) s.p.a. sulla base del possesso dell'informazione privilegiata relativa alla promozione di un'imminente offerta pubblica di acquisto (o.p.a.) obbligatoria su dette azioni, resa nota al pubblico il 27 luglio 2007; b) una sanzione pecuniaria di Euro 100.000 in relazione all'illecito di cui all'articolo 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per avere egli effettuato, tra il 12 ed il 13 febbraio del 2008, l'acquisto di azioni della (OMISSIS) s.p.a. sulla base del possesso dell'informazione privilegiata relativa alla promozione di un'offerta pubblica di acquisto (o.p.a.) volontaria su dette azioni, resa nota al pubblico il 14 Febbraio 2008; c) una sanzione pecuniaria di Euro 50.000 ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., per avere egli rilasciato, nel corso dell'audizione del 17 marzo 2010, dichiarazioni mendaci che avrebbero ritardato l'esercizio dell'attivita' di vigilanza della CONSOB; Con la medesima Delib. la CONSOB irrogo' altresi' al sig. (OMISSIS) la sanzione accessoria della perdita temporanea dei requisiti di onorabilita' prevista dall'articolo 187 quater, comma 1, T.U.F., per la durata di 6 mesi, e, da ultimo, ai sensi dell'articolo 187 sexies, comma 2, T.U.F., dispose la confisca per equivalente di beni del sig. (OMISSIS) fino a concorrenza del complessivo importo di Euro 2.865.771, pari alla somma del profitto tratto dagli illeciti contestati e dei mezzi impiegati per ottenerlo. 2. La Corte d'appello di Milano, con la sentenza n. 4522/2013, ha rigettato l'opposizione proposta dal sig. (OMISSIS) avverso la suddetta Delib. n. 18024 del 2011. 3. Il sig. (OMISSIS) ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Milano n. 4522/2013 sulla scorta di tre motivi di ricorso. 4. La CONSOB ha resistito alla impugnazione depositando controricorso. 5. La causa, iscritta nel registro generale di questa Corte con il numero 15172/2014, venne discussa una prima volta alla pubblica udienza del 27.2.2017, per la quale tanto il ricorrente quanto la CONSOB depositarono memorie illustrative. Con ordinanza interlocutoria n. 7657/2018 il Collegio - frattanto riconvocatosi - dispose il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte costituzionale sulle questioni di legittimita' costituzionale sollevate da questa stessa Corte con l'ordinanza n. 3831/2018, emessa nel giudizio N.R.G. 8878/2014. 6. Dopo la pronuncia delle sentenze della Corte costituzionale nn. 112/2019 e 84/2021 la causa e' stata nuovamente chiamata alla pubblica udienza del 20 ottobre 2021, per la quale il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per "l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione, con particolare riferimento al primo motivo di doglianza". 7. Il 13 ottobre 2021 la CONSOB ha depositato la propria Delib. 5 dicembre 2019, n. 21178, di annullamento "limitatamente alla parte eccedente la somma di Euro 182.024,91 corrispondente al profitto dell'illecito", del capo della Delib. oggetto del presente giudizio con cui era stata disposta la confisca di beni del sig. (OMISSIS) fino a concorrenza Euro 2.865.771. 8. Nella memoria successivamente depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., la stessa CONSOB ha quindi concluso per la declaratoria di inammissibilita' del primo motivo per sopravvenuta carenza di interesse, per la declaratoria di inammissibilita' o il rigetto del secondo motiva e per il rigetto del terzo motivo o, nel caso di accoglimento del medesimo, per il rinvio alla Corte territoriale "qualora ritenga necessaria una verifica in facto circa la mancata maturazione del diritto al silenzio in capo al sig. (OMISSIS) nel momento in cui la CONSOB ne ha disposto la convocazione in audizione" (pag. 11 della memoria). 9. Il ricorrente ha a propria volta depositato in data 15.10.2021 una memoria ex articolo 378 c.p.c., nella quale - dopo aver dato atto dell'annullamento della confisca disposto dalla CONSOB in autotutela per l'importo eccedente la somma di Euro 182.024,91, di cui si e' riferito nel precedente § 7 - ha insistito per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso, altresi' evidenziando la necessita' di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio a lui inflitto, alla stregua della retroattivita' della lex mitior sopravvenuta (Decreto Legislativo n. 72 del 2015, poi seguito dal Decreto Legislativo n. 107 del 2018), giusta il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 21 marzo 2019. 10. All'esito della discussione orale la causa e' stata decisa in Camera di consiglio. MOTIVI DELLA DECISIONE 11. Con il primo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all'articolo 360, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente chiede la cassazione del capo dell'impugnata sentenza che ha rigettato l'opposizione da lui proposta avverso la confisca per equivalente non solo del profitto tratto dalle operazioni effettuate in base al possesso di informazioni privilegiate ma anche dei mezzi usati per ottenere detto profitto. Nel mezzo di impugnazione si denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 3 e 27 Cost., e si lamenta che la Corte d'appello non abbia rilevato la manifesta sproporzione e l'eccessiva afflittivita' della confisca disposta a carico del sig. (OMISSIS) in rapporto all'entita' del profitto dal medesimo ritratto dall'illecito, pari a circa un quindicesimo del valore dei beni confiscati. Conseguentemente il ricorrente censura l'impugnata sentenza per aver giudicato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 T.U.F. - da lui prospettata in riferimento agli articoli 3, 10, 27, 103, 113 e 117 Cost., all'articolo 6 della CEDU ed alla direttiva 2003/6/CE - e, comunque, per non avere esaminato la percorribilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 187 sexies T.U.F. che qualificasse la confisca ivi prevista come facoltativa, invece che obbligatoria, e ne rapportasse l'oggetto al solo profitto conseguito dall'illecito e non anche all'entita' dei mezzi utilizzati per commetterlo. 12. La censura veicolata nel primo motivo di ricorso risulta superata dalla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 112/2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 187 sexies T.U.F. "nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto". All'esito di tale sentenza la CONSOB, come accennato al paragrafo 7 che precede, ha annullato in autotutela, con propria Delib. n. 21178 del 2019, la Delib. qui impugnata nella parte in cui disponeva la confisca di beni del sig. (OMISSIS) per la parte eccedente la somma di Euro 182.024,91 corrispondente al profitto dell'illecito. Il Collegio osserva che, per effetto di tale annullamento, la materia del contendere su cui si e' pronunciata la statuizione della Corte d'appello impugnata con il primo motivo di ricorso risulta obiettivamente cessata. La statuizione di merito necessariamente conseguente all'accoglimento di tale motivo di ricorso, infatti, sarebbe priva di oggetto, dovendosi essa risolvere nell'annullamento dell'impugnato provvedimento di confisca per una parte - quella equivalente ai beni impiegati per commettere l'illecito - gia' annullata dalla stessa Autorita' che ha emesso il provvedimento. 13. Va ancora aggiunto, infine, che la situazione di fatto determinata dall'emanazione in autotutela della Delib. CONSOB n. 21178 del 2019, impone, come detto, la declaratoria di cessazione della materia del contendere e non la declaratoria di inammissibilita' del motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la quale implicherebbe il passaggio in giudicato della statuizione impugnata (cfr. Cass. SSUU 8980/2018; si veda anche Cass. 26299/2018: "La cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e, con cio', dell'interesse al ricorso; la composizione in tal modo della controversia giustifica non gia' l'inammissibilita' del ricorso in cassazione bensi', da un lato, la rimozione, con cassazione senza rinvio, delle sentenze gia' emesse, prive di attualita' e, dall'altro, una pronuncia finale sulle spese, secondo una valutazione di soccombenza virtuale"). 14. Con il secondo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 187 bis, commi 4 e 6, T.U.F. e della L. n. 241 del 1990, articoli 3 e 6, per avere la Corte d'appello assunto come accertato il possesso delle informazioni (asseritamente) privilegiate da parte del sig. (OMISSIS) senza, tuttavia, chiarire ne' su quali elementi si fondasse tale convincimento ne' da chi, e in quali circostanze, il sig. (OMISSIS) sarebbe stato messo a conoscenza di informazioni privilegiate. Il ricorrente, quindi, lamenta che la corte territoriale abbia esaminato in maniera incompleta e, in taluni casi, totalmente omesso di esaminare alcune circostanze fattuali idonee ad escludere il carattere privilegiato delle informazioni relative all'o.p.a. obbligatoria ed a quella volontaria. 15. Nell'argomentazione sviluppata nel secondo motivo si sostiene che tanto l'o.p.a. obbligatoria quanto quella volontaria potevano essere previste dal (OMISSIS) anche senza il possesso di informazioni privilegiate. Il ricorrente infatti sottolinea di aver svolto numerosi incarichi di consulenza e di amministrazione per il gruppo (OMISSIS) e di avere quindi acquisito una approfondita conoscenza delle relative dinamiche aziendali; evidenzia la prevedibilita' dell'o.p.a. volontaria, per chi, appunto, conoscesse l'evoluzione del gruppo (OMISSIS); argomenta come la realizzazione di processi strutturati di vendita delle azioni (OMISSIS) s.p.a. costituisse un evento prevedibile in base al contenuto dei patti parasociali, debitamente pubblicati, che il ricorrente aveva avuto modo di analizzare; deduce come il lancio dell'o.p.a. obbligatoria fosse stato preceduto da notizie e studi tali da rendere l'evento facilmente prevedibile senza avvalersi di alcuna informazione privilegiata; ancora, il ricorrente censura l'impugnata sentenza per non aver rilevato i profili di contraddittorieta' insiti nella motivazione del provvedimento sanzionatorio, nella parte concernente la prevedibilita' dell'o.p.a. obbligatoria, e per non avere adeguatamente apprezzato, per escludere il carattere non privilegiato delle informazioni sull'o.p.a. volontaria, le informazioni rese dal presidente della societa' (OMISSIS), Dott. (OMISSIS), sull'ipotesi di delisting di tale societa'; censura la sentenza, inoltre, per non aver considerato, al fine di escludere il carattere di precisione (e, quindi, la natura privilegiata) delle informazioni in possesso del ricorrente, che l'ipotesi di un'o.p.a. su base volontaria finalizzata al delisting del titolo era necessariamente soggetta al preventivo ed informale consenso della CONSOB; per non aver considerato che "qualunque investitore accorto, senza alcun bisogno di entrare in possesso di informazioni privilegiate, avrebbe potuto prevedere il (possibile, se non probabile) realizzarsi di una nuova offerta pubblica di acquisto, volontaria ovvero obbligatoria che potesse essere, e il conseguente rialzo della quotazione borsistica del titolo" (pagg. 51/52 del ricorso; per non aver considerato le caratteristiche obiettive dell'ordine di acquisto impartito dal ricorrente il 12 febbraio 2008 e la piena legittimita' di tale ordine che dette caratteristiche dimostravano. 16. Il motivo e' inammissibile, perche', pur essendo rubricato con promiscuo riferimento al n. 3 ed al n. 5 dell'articolo 360 c.p.c., non individua, quanto al dedotto vizio di violazione di legge, alcuna esplicita od implicita affermazione in diritto della sentenza gravata che si ponga in contrasto con le disposizioni di cui viene lamentata la violazione; ne' individua, quanto al dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, alcun fatto storico il cui esame, trascurato dalla Corte territoriale, avrebbe "determinato un esito diverso della controversia" (cosi' SSUU n. 8053/2014). Il motivo in esame, in sostanza, si appunta contro le conclusioni a cui e' approdato il convincimento del giudice di merito in ordine al possesso di informazioni privilegiate da parte del sig. (OMISSIS), risolvendosi in una istanza di rivalutazione del materiale istruttorio che non e' ammissibile nel giudizio di legittimita'. 17. Con il terzo motivo di ricorso, riferito al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 187 bis e 187 quinquiesdecies T.U.F., dell'articolo 24 Cost., L. 241 del 1990, articoli 3, 6 e 7 e dei principi costituzionali di imparzialita' e buon andamento. Il motivo si articola in due distinte censure. 18. La prima censura del terzo mezzo attinge, nuovamente, l'accertamento operato dalla Corte d'appello di Milano in ordine al possesso di informazioni privilegiate da parte del sig. (OMISSIS). In particolare, nel motivo di ricorso si critica l'inferenza logica che ha condotto (prima, la CONSOB e, poi, la Corte ambrosiana) a desumere da fatti noti il fatto ignoto dell'abuso di informazioni privilegiate sanzionato con la Delib. oggetto del presente giudizio. Secondo il ricorrente l'accertamento delle violazioni a lui contestate si fonderebbe su elementi contraddittori e non potrebbe considerarsi dimostrato nemmeno alla stregua del canone presuntivo della "ragionevole probabilita'". Il ricorrente quindi si diffonde nella dettagliata enunciazione di una pluralita' di risultanze fattuali concernenti, tra l'altro, la tempistica e l'entita' degli investimenti da lui realizzati, la congruenza delle operazioni effettuate rispetto alle modalita' di investimento da lui precedentemente seguite, il livello contenuto del prezzo di acquisto degli ordini in contestazione, l'inadeguatezza, al fine di supportare la presunzione di conoscenza di informazioni privilegiate, dell'esistenza di relazioni personali e di affari con diversi soggetti a conoscenza delle stesse. 19. La censura sintetizzata nel paragrafo precedente e' inammissibile perche', al pari delle doglianze veicolate nel secondo motivo di ricorso, si risolve in una critica di merito all'accertamento in fatto operato nella sentenza impugnata che non puo' trovare ingresso nel giudizio di legittimita'. 19.1. Va peraltro ricordato come questa Corte abbia gia' avuto modo di sottolineare che in tema di abuso di informazioni privilegiate del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, ex articolo 187-bis, non esiste alcuna incompatibilita' tra tale condotta ed il suo accertamento mediante presunzioni semplici, essendo, piuttosto, la prova presuntiva spesso l'unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalita' che escludono attivita' di documentazione, mentre la rappresentazione dell'insider trading attraverso prove orali e' eventualita' per lo piu' esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all'incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo (Cass. n. 8782/2020; vedi anche, in termini, Cass. n. 162523/2016, non massimata, pagg. 14 e 15, con riferimenti ad ulteriori precedenti conformi). Nella specie, la Corte d'appello ha ritenuto - sulla scorta di una motivazione analitica e immune da vizi logici - che gli elementi raccolti dalla CONSOB nel corso della propria istruttoria e posti a fondamento della contestazione degli illeciti presentassero i necessari requisiti di gravita', precisione e concordanza, tenuto conto delle tempistiche e delle modalita' delle operazioni contestate, della rilevante entita' dell'investimento, della incongruenza di tali acquisti rispetto a quelli precedenti e, infine, delle relazioni personali intercorrenti tra gli insiders. Le considerazioni svolte dal ricorrente non sono idonee a sovvertire il giudizio della Corte territoriale sulla sussistenza dei suddetti requisiti di precisione, gravita' e concordanza degli elementi presuntivi posti a fondamento del provvedimento sanzionatorio. 19.2. Peraltro, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, la configurabilita' dell'illecito di cui all'articolo 187 bis, comma 4, T.U.F. prescinde dalla verifica delle concrete modalita' attraverso cui l'informazione privilegiata sia stata acquisita dall'insider trader secondario, essendo sufficiente, viceversa, la dimostrazione che costui abbia operato essendo a conoscenza dell'informazione privilegiata. Come questa Corte ha gia' chiarito nella sentenza n. 27225/2013, infatti, ai fini della sanzionabilita' della violazione addebitata, rileva non l'acquisizione dolosa della notizia privilegiata,..., bensi' il possesso e l'utilizzazione di un'informazione privilegiata in chi - conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato della stessa - compie taluno dei fatti descritti nella norma" (pagg. 12/13). 20. La seconda censura del terzo mezzo - veicolata nel paragrafo 3.4. (pag. 69) del ricorso per cassazione - attinge la statuizione con cui la Corte d'appello ha ritenuto legittima l'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., per avere il (OMISSIS) reso dichiarazioni false in sede di audizione. In particolare, a parere del ricorrente, la sanzione irrogata sarebbe incompatibile col principio nemo tenetur se detegere. 21. L'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. - sul quale si fonda la sanzione confermata dalla Corte di appello con la statuizione attinta dalla censura in esame - e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, con la sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Tale declaratoria di illegittimita' costituzionale fa seguito alla sentenza CGUE 2.2.2021, in causa C-481/19, con cui i giudici di Lussemburgo hanno dato risposta ai quesiti - uno di interpretazione ed uno di validita' - che la Corte costituzionale aveva posto loro con il rinvio pregiudiziale disposto con l'ordinanza n. 117/2019. 22. Nella menzionata sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia, in primo luogo, afferma che la garanzia per le persone fisiche di serbare il silenzio in procedimenti amministrativi, quale quello attivato dalla CONSOB per l'illecito di informazioni privilegiate, trova fondamento nell'articolo 47, par. 2, e articolo 48 della CDFUE (§ 45); sulla scorta di tale premessa, esamina gli articoli 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, con l'obiettivo di "verificare se tali disposizioni del diritto derivato dell'Unione si prestino ad essere interpretate in conformita' al suddetto diritto al silenzio" (§ 49); ribadisce, in continuita' con la propria precedente giurisprudenza, che "secondo un principio ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell'Unione deve essere interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua validita' e in conformita' con l'insieme del diritto primario e, segnatamente con le disposizioni della Carta. Cosi', qualora un testo siffatto si presti a piu' di un'interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme al diritto primario anziche' quella che porta a constatare la sua incompatibilita' con quest'ultimo" (§ 50); privilegia, infine, tra le diverse possibili interpretazioni delle disposizioni di cui agli articoli 14, par. 3, della direttiva 2003/6 e 30, par. 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 quella che non si pone in contrasto con il diritto al silenzio tutelato dalle norme parametro della CDFUE, concludendo, quindi, che tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell'ambito di un'indagine svolta nei suoi confronti dall'autorita' competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorita' risposte che possano far emergere la sua responsabilita' per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilita' penale. Nella trama argomentativa della sentenza del 2 febbraio 2021 la Corte di giustizia si fa carico di perimetrare l'esatta portata del diritto al silenzio garantito dalla CDFUE, sottolineando come esso non possa giustificare "qualsiasi omessa collaborazione con le autorita' competenti, qual e' il caso di un rifiuto di presentarsi ad un'audizione prevista da tali autorita' o di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa" (§ 41). 23. La sentenza C. Cost. n. 84/2021, ponendosi in piena sintonia con la pronuncia della Corte di giustizia, riconosce l'esistenza di un diritto al silenzio - nell'ambito di procedimenti amministrativi funzionali a scoprire illeciti e a individuarne i responsabili, che siano suscettibili di sfociare in sanzioni amministrative di carattere punitivo - fondato, "assieme, sull'articolo 24 Cost., sull'articolo 6 CEDU e sugli articoli 47 e 48 CDFUE, questi ultimi nell'interpretazione che ne ha ora fornito la Corte di giustizia; e (che, n.d.r.) puo' essere ricavato altresi' dall'articolo 14, paragrafo 3, lettera g), PIDCP" (§ 3.5 del Considerato in diritto, secondo capoverso). 24. A differenza della Corte di giustizia, tuttavia, la Corte costituzionale non ha pronunciato una sentenza interpretativa di rigetto ma ha privilegiato la soluzione della declaratoria di illegittimita' costituzionale parziale (oltre che consequenziale, giacche' ha esteso la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. anche al testo della disposizione risultante dalle modifiche recate dal Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 24, comma 1, lettera "c", convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, nonche' al testo risultante dalle notifiche recate dal Decreto Legislativo 3 agosto 2017, n. 129, articolo 5, comma 3). La sentenza C. Cost. n. 84/2021 risulta, infatti, una sentenza manipolativa, in quanto, nel testo della disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale ("chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l'esercizio delle sue funzioni") enuclea due distinte condotte: a) da un lato, la condotta della "persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell'attivita' di vigilanza svolta da quest'ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero - a fortiori - nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilita' per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilita' di carattere penale" (§ 3.6 del Considerato in diritto, secondo capoverso); b) d'altro lato, la condotta consistente in "comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB, come il rifiuto di presentarsi ad un'audizione prevista da tale autorita', ovvero manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell'audizione stessa" o, ancora, la condotta consistente nella "omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta della CONSOB, formulata ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187 octies, commi 3 e 4" (§ 3.6 del Considerato in diritto, quinto capoverso). La condotta sub a) e' stata ritenuta espressione del diritto al silenzio costituzionalmente protetto e, quindi, il contenuto dispositivo dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. e' stato amputato, mediante la parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale, della parte che sanziona tale condotta; la condotta sub b), viceversa, non e' stata ritenuta compresa in detta copertura, con la conseguenza che la parte del contenuto dispositivo dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. che sanziona la stessa ha resistito al vaglio di legittimita' costituzionale ed e' tuttora vigente. 25. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021 va dunque esaminata la questione se la tutela costituzionale del diritto al silenzio, come delineato in tale sentenza, copra anche la condotta per la quale e' stata irrogata la sanzione di cui si tratta nel motivo di ricorso in esame, vale a dire "avere reso il sig. (OMISSIS), nel corso dell'audizione tenutasi presso la CONSOB il 17 marzo 2010, dichiarazioni false che hanno ritardato l'esercizio delle funzioni di vigilanza della CONSOB nell'ambito delle indagini riguardanti le operazioni disposte da (OMISSIS)" (pag. 2, quarto capoverso, della sentenza impugnata). 26. Al riguardo e' allora necessario chiarire se il "diritto di mentire" sia compreso nell'ambito del piu' generale "diritto di tacere" riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 84/2021; piu' precisamente, si tratta di stabilire se, nel quadro dell'attivita' di vigilanza svolta dalla CONSOB e funzionale alla scoperta di illeciti ed alla individuazione dei relativi responsabili, il diritto della persona fisica di rifiutarsi di rispondere alle domande da cui possa emergere una sua responsabilita' per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo comprenda anche il diritto di rendere risposte mendaci. 27. La risposta a tale quesito non puo' trarsi sic et simpliciter, come suggerisce il ricorrente nella propria memoria ex articolo 378 bis c.p.c., dal principio, elaborato dalla giurisprudenza penale di questa Corte, che il diritto al silenzio comprende il diritto di mentire (Cass. Pen. 11956/1982, Cass. Pen. 11369/1986, nonche', piu' di recente Cass. Pen. 57703/2017: "l'ordinamento riconosce il diritto al silenzio nonche' quello di negare, anche mentendo, le circostanze di fatto a lui sfavorevoli" e, ancora nello stesso senso, Cass. Pen. 17232/1920, alla cui stregua la condotta di colui che neghi ostinatamente l'addebito e sostenga una versione dei fatti smentita dalle altre risultanze istruttorie costituisce "espressione di un insopprimibile diritto di difesa, riflesso del diritto al silenzio"). Tali principi non possono essere immediatamente e integralmente trasposti nella materia che ci occupa per la decisiva ragione che quest'ultima e' regolata dalla legge con una disposizione - l'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., appunto - che espressamente istituisce l'obbligo di ottemperare nei termini alle richieste della CONSOB e di non ritardare l'esercizio delle sue funzioni; disposizione che ha superato il vaglio di costituzionalita' la' dove sanziona i "comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB" (cfr. § 24 che precede). 28. Alla stregua delle considerazioni che precedono, l'insegnamento della giurisprudenza penale che considera il diritto di mentire un riflesso del diritto al silenzio va coordinato con la specifica disciplina del trattamento sanzionatorio degli abusi di mercato, la quale, in attuazione del diritto dell'Unione Europea, sanziona i comportamenti ostruzionistici che cagionino indebiti ritardi allo svolgimento dell'attivita' di vigilanza della CONSOB. Sarebbe infatti palesemente distonico, in un sistema che sanziona il rifiuto di presentarsi ad un'audizione o di consegnare dati e documenti, ritenere non sanzionabile un mendacio che, orientando la CONSOB verso piste false o inducendola a compiere investigazioni inutili, produca l'effetto di ostacolare o ritardare indebitamente l'attivita' di indagine. Per mendacio non punibile, in quanto riflesso del diritto costituzionale al silenzio, deve allora intendersi solo quello il cui effetto sull'indagine sia il medesimo prodotto dal rifiuto di rispondere, ossia il mendacio che si risolve nella mera negazione di circostanze vere di cui la CONSOB chiede conferma; in tal caso, infatti, l'effetto del mendacio si risolve nel lasciare a carico della CONSOB lo stesso onere - di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma - che resta a carico della stessa all'esito di un rifiuto di rispondere; senza, quindi, alcuna indebita causazione di ulteriori ostacoli o ritardi dell'attivita' di indagine. 29. Va quindi affermato il seguente principio di diritto: "Ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., quale risultante all'esito della sentenza C. Cost. n. 84/2021, la condotta della persona fisica la quale - richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell'attivita' di vigilanza svolta da quest'ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero, a fortiori, nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti - abbia dato risposte mendaci a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilita' per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilita' di carattere penale, non e' sanzionabile solo se tale mendacio si risolva nella mera negazione di circostanze vere di cui la CONSOB chieda conferma; in tal caso, infatti, il mendacio produce sull'indagine il medesimo effetto del rifiuto di rispondere, ossia quello di lasciare a carico della CONSOB l'onere di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma; senza, quindi, alcuna indebita causazione di ulteriori ostacoli o ritardi dell'attivita' di indagine". 30. Sulla base dell'enunciato principio di diritto, risulta allora necessario verificare se il mendacio per cui il sig. (OMISSIS) e' stato sanzionato dalla CONSOB, per come accertato dal giudice di merito, abbia indebitamente causato ulteriori ostacoli o ritardi dell'attivita' di indagine, oppure se, al contrario, esso abbia prodotto sull'indagine il medesimo effetto del rifiuto di rispondere, ossia quello di lasciare a carico della CONSOB l'onere di ricercare aliunde la prova delle circostanze oggetto della richiesta di conferma. Nell'impugnata sentenza tale illecito e' cosi' descritto (pag. 18, § 5.1): "a fronte di specifiche domande, egli (il sig. (OMISSIS), n.d.r.) ha negato - contrariamente al vero - di conoscere (OMISSIS) e cio' al fine di celare il fatto di aver disposto operazioni sul titolo (OMISSIS) per conto di questa societa' e di esserne il beneficiario economico. Tali dichiarazioni hanno reso necessario, da parte della CONSOB, lo svolgimento di ulteriori indagini volte ad individuare il soggetto a cui fossero riconducibili le operazioni su titoli Sirti poste in essere per conto di (OMISSIS) provocando un oggettivo ritardo nell'esercizio delle funzioni di vigilanza dell'Istituto". 31. Dalla suddetta descrizione dell'illecito de quo emerge che l'unico effetto della falsa dichiarazione del sig. (OMISSIS) di non conoscere (OMISSIS) e' consistito nel lasciare sulla CONSOB l'onere di ricercare aliunde la prova dei suoi rapporti con tale societa', rendendo necessarie, per utilizzare le stesse parole della Corte d'appello, "ulteriori indagini volte ad individuare il soggetto a cui fossero riconducibili le operazioni su titoli (OMISSIS) poste in essere per conto di (OMISSIS)". Il mendacio del sig. (OMISSIS) non ha, dunque, introdotto ostacoli o ritardi ulteriori all'attivita' di indagine della CONSOB ma ha prodotto esattamente lo stesso effetto che sarebbe derivato dal suo rifiuto di rispondere alle domande della CONSOB. Tale mendacio deve quindi ritenersi, alla stregua del principio di diritto enunciato nel precedente paragrafo 29, non punibile ai sensi dell'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., quale risultante all'esito della sentenza C. Cost. n. 84/2021. 32. La seconda censura veicolata nel terzo motivo di ricorso per cassazione va dunque accolta, con cassazione in parte qua della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, l'opposizione alla sanzione emessa per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. va decisa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, con l'annullamento dell'impugnata sanzione. 33. Esaurito l'esame dei motivi di ricorso, resta in definitiva confermato, essendo stato disatteso il secondo di tali motivi, l'accertamento operato dalla Corte di appello di Milano in ordine alla commissione, da parte del sig. (OMISSIS), degli illeciti amministrativi di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 1 che precede, sanzionati dalla CONSOB con le sanzioni pecuniarie, confermate dal giudice dell'opposizione, di Euro 100.000 per le operazioni di trading del luglio 2007 e di altri Euro 100.000 per le operazioni di trading del febbraio 2008. 34. Vanno pertanto esaminati gli argomenti spiegati nella memoria della difesa (OMISSIS) del 15.10.2021 con riferimento alla necessita' di rideterminare il trattamento sanzionatorio a lui applicato, in ossequio ai principi della retroattivita' della lex mitior ed avendo riguardo, tra l'altro, alla sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, nella parte in cui esclude l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dall'articolo 187 bis T.U.F.. 35. Al riguardo il Collegio osserva che l'articolo 187 bis T.U.F. come sostituito dalla L. 18 aprile 2005 n. 62, nell'ambito dell'introduzione del Titolo I bis (Abusi di mercato) nella Parte V del T.U.F. - prevedeva, per tutti gli illeciti dal medesimo contemplati (nei commi, rispettivamente, 1, 2 e 4), le medesime sanzioni pecuniarie da Euro 20.000 a Euro 3 milioni (aumentabili - ai sensi del comma 5 dello stesso articolo - fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito, quando esse apparissero inadeguate anche se applicate nel massimo, avuto riguardo alle qualita' personali del colpevole ovvero all'entita' del prodotto o del profitto conseguito). La L. 28 dicembre 2005 n. 262, articolo 39, comma 3, dispose, tra l'altro, la quintuplicazione delle sanzioni amministrative previste dal T.U.F.; per effetto di tale ultima disposizione, quindi, i termini edittali delle sanzioni di cui all'articolo 187 bis si innalzarono ad Euro 100.000 nel minimo e ad Euro 15 milioni nel massimo. Il successivo Decreto Legislativo 12 maggio 2015 n. 72, articolo 6, comma 3, stabili' che la quintuplicazione delle sanzioni amministrative di cui alla L. n. 262 del 2005, articolo 39, comma 3, non si applicasse alle sanzioni amministrative previste dal T.U.F.; per effetto di tale disposizione, pertanto, le sanzioni di cui all'articolo 187 bis T.U.F. tornarono alla forbice edittale da Euro 20.000 nel minimo e ad Euro 3 milioni nel massimo (salva, sempre, la possibilita' di procedere agli aumenti di cui dello stesso articolo 187 bis, comma 5 T.U.F.). La disciplina transitoria dettata del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, stesso articolo 6, comma 2, stabili', tuttavia, che le modifiche apportate alla Parte V del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicassero alle violazioni commesse dopo l'entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d'Italia, secondo le rispettive competenze, ai sensi dell'articolo 196-bis del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (disposizioni adottate dalla CONSOB con il regolamento attuativo approvato con Delib. 24 febbraio 2016 e dalla Banca d'Italia con il regolamento attuativo approvato con delibera del 3 maggio 2016); e che alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d'Italia continuassero ad applicarsi le norme della Parte V del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore dello stesso Decreto Legislativo n. 72 del 2015. Infine, il Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 10, lettera a), ha nuovamente modificato l'articolo 187 bis mantenendo, tuttavia, il medesimo minimo edittale (Euro Euro 20.000) e innalzando il massimo edittale da 3 a 5 milioni di Euro. 36. In ragione della disciplina transitoria dettata dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, agli illeciti per cui e' causa, commessi negli anni 2007 - 2008, il trattamento sanzionatorio applicabile sarebbe quello risultante dalla quintuplicazione disposta dalla L. n. 262 del 2005 e, in relazione a tale trattamento, la sanzione concretamente irrogata per entrambi gli episodi di trading ascritti al sig. (OMISSIS), di Euro 100.000, si attesta sul minimo edittale. Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 63 del 21 marzo 2019, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, nella parte in cui esclude l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l'illecito di cui all'articolo 187-bis del Decreto Legislativo n. 58 del 1998. Alla stregua dello jus superveniens rappresentato dalla sentenza n. 63/2019 della Corte costituzionale, il trattamento sanzionatorio applicabile alla fattispecie non e' piu' quello da Euro 100.000 ad Euro 15 milioni ma quello da Euro 20.000 ad Euro 3 milioni, risultante dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 5, comma 3 (non essendo applicabile il trattamento introdotto dal successivo Decreto Legislativo n. 107 del 2018, perche' posteriore al fatto e piu' severo rispetto a quello introdotto nel 2015, in quanto, fermo il minimo edittale a Euro 20.000, ha innalzato il massimo editale da 3 a 5 milioni di Euro). 37. Tanto premesso, ancorche' la sanzione concretamente irrogata dalla CONSOB, e confermata dalla Corte di appello di Milano, sia contenuta all'interno della forbice tra minimo e massimo prevista dalla lex mitior introdotta dal D.lgs. n. 72 del 2015, quale risultante all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, il mutamento dei termini edittali impone una riconsiderazione del giudizio in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio; detta sanzione, pari al minimo edittale vigente al momento della pronuncia della sentenza impugnata, corrisponde infatti al quintuplo del minimo edittale introdotto dal diritto sopravvenuto da applicare alla fattispecie. Soccorre allora l'insegnamento della giurisprudenza penale elaborata da questa Corte con riferimento all'applicazione della disciplina sanzionatoria piu' favorevole conseguente alla sentenza della Corte Cost. n. 40 del 2019 in materia di stupefacenti; alla stregua di tale giurisprudenza, a seguito di uno jus supeveniens sanzionatorio introduttivo di parametri edittali piu' miti, il giudice non e' tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico, correlato alla pena calcolata prima dell'introduzione dello jus superveniens, ma deve rimodulare la pena nell'ambito della nuova cornice edittale, secondo gli ordinari criteri di determinazione della stessa (vedi Cass. Pen. 29431/18; conf. Cass. Pen. 3481/19, Cass. Pen. 51130/19). 38. Ne' osta all'applicazione della lex mitior piu' favorevole la circostanza che la sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019 sia intervenuta in pendenza del giudizio di cassazione. Per quanto riguarda la questione della rilevabilita' in cassazione dello jus supervenies - anche quando lo jus supervenies riguardi un profilo non toccato dalle censure svolte nel ricorso per cassazione (nella specie, la quantificazione della sanzione per gli illeciti di cui all'articolo 187 bis TUF ascritti al sig. (OMISSIS)) - trovano qui applicazione i principi gia' fissati da questa Corte con la sentenza n. 20697 del 2018, che ha chiarito come la lex mitior sopravvenuta vada applicata dalla Corte di cassazione anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione operata dall'Autorita' amministrativa non sia stata opposta in sede giurisdizionale o nei quali la pronuncia giudiziale quoad poenam non abbia formato oggetto di specifica impugnazione. 39. Nella suddetta pronuncia n. 20697 del 2018 sono stati infatti affermati i seguenti principi, ai quali il Collegio intende dare conferma e seguito. 39.1. Nessun dubbio puo' sussistere in ordine al dovere della Corte di cassazione di fare applicazione dello jus superveniens piu' favorevole nei casi in cui la statuizione della sentenza di secondo grado in punto di misura della sanzione abbia formato oggetto di specifico motivo di ricorso per cassazione (ancorche' sorretto, inevitabilmente, da ragioni diverse dalla richiesta di applicazione di norme piu' favorevoli non ancora esistenti alla data della proposizione del ricorso). In tal caso, infatti, la statuizione sulla misura della pena viene specificamente censurata in sede di legittimita' e tale censura investe la Corte di cassazione del potere-dovere di verificare la relativa conformita' alla legge anche sotto profili diversi da quelli dedotti nel mezzo di gravame. E' jus receptum, infatti, che, in ragione della funzione del giudizio di legittimita' di garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, nonche' per omologia con quanto prevede la norma di cui dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, la Corte di Cassazione, nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, puo' ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso per una ragione giuridica individuata d'ufficio e diversa da quella specificamente indicata dalla parte, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioe' che sia necessario l'esperimento di ulteriori indagini di fatto (Cass. 19132/05, Cass. 6935/07, Cass. 3437/14, Cass. 18775/17). 39.2. La norma piu' favorevole sopravvenuta nella pendenza del giudizio di legittimita' deve trovare altresi' applicazione anche nell'ipotesi in cui il ricorso per cassazione non contenga specifiche censure sulla quantificazione della sanzione; cio' tanto nel caso che la quantificazione originariamente operata dall'Amministrazione non sia stata contestata nel giudizio di opposizione, quanto nel caso che tale quantificazione sia stata contestata e il giudice l'abbia confermata. Nella suddetta sentenza n. 20697 del 2018 si e' infatti chiarito che il principio generale secondo cui lo ius superveniens puo' trovare applicazione nel giudizio di legittimita' solo se esso risulti pertinente rispetto alle questioni sollevate nei motivi di ricorso (cosi', Cass. 10547/2006, Cass. 19617/18) trova deroga nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l'impugnativa di un provvedimento recante una sanzione e lo jus superveniens sia retroattivo in applicazione del principio del favor rei, giacche', come gia' precedentemente chiarito in Cass. n. 8243 del 2008, la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d'impugnazione. 39.3. Il principio che il sopravvenuto trattamento sanzionatorio piu' favorevole deve trovare applicazione nel giudizio di legittimita' anche qualora il ricorso per cassazione non contenga censure specificamente rivolte alla quantificazione della sanzione - fondato sul postulato che il principio del favor rei, per la sua specifica portata pubblicistica, e' destinato ad operare anche nel processo civile, qualora quest'ultimo abbia ad oggetto l'impugnativa di un provvedimento recante una sanzione amministrativa (o tributaria) - non urta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata. Come precisato nella ripetuta sentenza n. 20697 del 2018, infatti, la statuizione sulla misura della sanzione e' dipendente dalla statuizione sulla responsabilita' del sanzionato, giacche' la caducazione del capo di sentenza che accerta la sussistenza dell'illecito e la responsabilita' del sanzionato non puo' che travolgere il capo di sentenza che stabilisce la misura della sanzione. Trovano dunque applicazione i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21691 del 2016, dove si e' evidenziato che con l'articolo 336 c.p.c. ("la riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata o cassata") il legislatore ha fissato la regola che, qualora due o piu' parti di una sentenza siano collegate da un nesso di dipendenza, l'accoglimento dell'impugnazione mirata sulla parte principale comporta la caducazione anche della parte dipendente e si e' conseguentemente affermato il principio che l'impugnazione della parte principale della sentenza impedisce il passaggio in giudicato anche delle parti da essa dipendenti, sino a quando la decisione sull'impugnazione rimanga sub iudice. 39.4. Va quindi conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: "In materia di sanzioni amministrative, le norme sopravvenute nella pendenza del giudizio di legittimita' che dispongano retroattivamente un trattamento sanzionatorio piu' favorevole devono essere applicate anche d'ufficio dalla Corte di cassazione, atteso che la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d'impugnazione; ne' tale conclusione contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, perche' la statuizione sulla misura della sanzione e' dipendente dalla statuizione sulla responsabilita' del sanzionato e pertanto, ai sensi dell'articolo 336 c.p.c., e' destinata ad essere travolta dall'eventuale caducazione di quest'ultima, cosicche' essa non puo' passare in giudicato fino a quando l'accertamento della responsabilita' dei sanzionato non sia a propria volta passata in giudicato". 40. L'impugnata sentenza va pertanto cassata nella parte concernente la misura della sanzione irrogata al signor (OMISSIS) per gli illeciti di cui alle lettere a) e b) del paragrafo 1 che precede, e - poiche' la concreta rideterminazione della sanzione alla stregua dei termini edittali fissati dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, quale risultante all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2015, implica valutazioni di merito che non possono essere svolta nel giudizio di legittimita' - alla suddetta cassazione in parte qua deve seguire il rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione. 41. In definitiva, sul primo motivo di ricorso va dichiarata cessata la materia del contendere; il secondo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile; il terzo motivo di ricorso va accolto limitatamente alla censura relativa alla sanzione applicata al ricorrente per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F. - che va annullata in questa sede con decisione nel merito ex articolo 384 c.c. - e va rigettato per le restanti censure. Va altresi' cassata la statuizione dell'impugnata sentenza concernente l'entita' delle sanzioni applicate al ricorrente per gli illeciti di cui all'articolo 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., in relazione alle operazioni sui titoli (OMISSIS) dal medesimo effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS); con rinvio al giudice territoriale per la rideterminazione di tali sanzioni alla stregua dei termini edittali fissati dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, quale risultante all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2015. 42. Il mutamento del quadro normativo sopravvenuto in corso di causa per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 63/2019, n. 112/2019 e n. 84/2021 giustifica l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimita', competendo al giudice di rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di merito per la fase definita con la sentenza qui impugnate e per la fase di rinvio. P.Q.M. La Corte, pronunciando sul ricorso, cosi' decide: a) dichiara cessata la materia del contendere sul primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo di ricorso limitatamente alla censura relativa alla sanzione applicata al ricorrente per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., rigettandolo per le restanti censure; b) cassa la sentenza impugnata in relazione alle statuizioni investite dal primo motivo di ricorso e dalla censura accolta del terzo motivo di ricorso; c) cassa altresi' la sentenza impugnata in relazione alla statuizione concernente l'entita' della sanzione applicata al ricorrente per gli illeciti di cui all'articolo 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per le operazioni sui titoli (OMISSIS) da lui effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS); d) pronunciando nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., annulla la sanzione applicata al ricorrente per l'illecito di cui all'articolo 187 quinquiesdecies T.U.F.; e) rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per la rideterminazione dell'entita' della sanzione applicata al ricorrente per gli illeciti di cui all'articolo 187 bis, commi 4 e 6, del T.U.F., per le operazioni sui titoli (OMISSIS) da lui effettuate tra il (OMISSIS) e tra il (OMISSIS). Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PISTORELLI Luca - Presidente Dott. ROMANO Michele - rel. Consigliere Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/10/2019 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ROMANO Michele; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale SENATORE Vincenzo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito il difensore, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza del 22 febbraio 2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che, per quanto di interesse in questa sede, all'esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di concorso in manipolazione continuata del mercato di cui al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 185, comma 2-bis, (capo J), cosi' diversamente qualificato il fatto originariamente contestato quale violazione del comma 1 della citata disposizione, e per due reati continuati di abuso di informazioni privilegiate di cui al Decreto Legislativo n. citato, articolo 184, comma 3-bis, (capi L e M), cosi' diversamente qualificati i fatti originariamente contestati come violazioni del comma 1 della disposizione appena citata, nonche' per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p., comma 2, (capo Q), cosi' riqualificato il fatto originariamente contestato quale delitto di cui all'articolo 416 c.p., comma 1 e, applicata l'aggravante prevista dal comma 5 dell'articolo 416 c.p., lo ha condannato alla pena di giustizia. In particolare, la Corte di appello ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo 3), nonche', limitatamente ai fatti consumati entro il 16 ottobre 2014 (nel dispositivo si indica il 2019, ma trattasi di errore materiale), i reati di cui ai capi L) ed M) e ha ridotto la pena principale. Quanto al capo 3), al (OMISSIS) si contestava di avere, in concorso con (OMISSIS) - formalmente vicepresidente di (OMISSIS) s.p.a., ma dominus di un intero gruppo di societa' costituito dalla elvetica (OMISSIS) che controlla la italiana (OMISSIS) s.p.a. che a sua volta controlla la (OMISSIS) s.p.a. e tramite questa la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l. e poi le s.r.l. A1, A2, A3, A4, A5, A6 e A7, ciascuna delle quali si occupava della gestione di strutture alberghiere - ideato e creato un falso soggetto commerciale denominato (OMISSIS), con sede a Londra, che avrebbe dovuto investire consistenti somme di denaro nella (OMISSIS) s.p.a.. Grazie alla condotta del (OMISSIS) era stato emesso un comunicato che asseriva che tale societa' londinese, apparentemente espressione di investitori arabi, avrebbe acquisito dalla (OMISSIS) s.p.a., a fronte del versamento della somma di Euro 10.000.000,00 nell'arco di cinque anni, le controllate (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.. A seguito di tale comunicato le quotazioni della (OMISSIS) s.p.a. al mercato (OMISSIS), che e' un sistema multilaterale di negoziazione, erano salite di oltre il 12%. In realta' la notizia era del tutto falsa, cosicche' la (OMISSIS) s.p.a., gia' in fortissime difficolta' finanziarie, veniva dapprima sospesa dalla quotazione e poi dichiarata fallita. La (OMISSIS) era stata creata dal (OMISSIS), unitamente al (OMISSIS), al solo scopo di ingannare il mercato ed i risparmiatori creando in loro un falso affidamento sulle capacita' della (OMISSIS) di superare la sua crisi finanziaria grazie all'intervento degli investitori arabi. Relativamente al capo M), si contesta al (OMISSIS) di avere, attraverso la elvetica (OMISSIS) S.A. della quale egli era amministratore delegato, consentito al (OMISSIS) di effettuare operazioni di acquisto e di vendita dei titoli della (OMISSIS) s.p.a., sebbene il (OMISSIS) versasse in conflitto di interessi, quale vicepresidente della (OMISSIS) s.p.a. e dominus dell'intero gruppo di societa' di cui la (OMISSIS) s.p.a., era parte, e disponesse di informazioni privilegiate, ossia la natura fittizia dell'investitore straniero. In particolare, il (OMISSIS), non potendo operare direttamente sul titolo della (OMISSIS) s.p.a., si valeva come schermo della (OMISSIS) S.A. amministrata dal (OMISSIS), il quale gli aveva fornito le credenziali (username e password) che consentivano alla (OMISSIS) S.A. di operare sul mercato (OMISSIS) collegandosi via internet ad una piattaforma messa a disposizione da (OMISSIS). Attraverso tali operazioni, dapprima la quotazione venne fatta lievitare e poi, mediante massicce operazioni di vendita, venne fatto decrescere, con un consistente guadagno all'esito di tali operazioni. Quanto al capo L), si contestano al (OMISSIS) fatti analoghi a quelli di cui al capo M) in relazione alla diversa societa' (OMISSIS) s.p.a., anch'essa quotata al mercato (OMISSIS) con (OMISSIS) s.p.a. quale advisor (anch'essa, la (OMISSIS) s.p.a., societa' amministrata dal (OMISSIS) e di cui era titolare tramite la (OMISSIS) S.A.). Anche (OMISSIS) s.p.a. era controllata dal (OMISSIS), che formalmente figurava solo quale vicepresidente del consiglio di amministrazione. Il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), il quale operava tramite la (OMISSIS) S.A., approfittando di informazioni privilegiate in loro possesso, avrebbero effettuato, agendo in conflitto di interessi, operazioni di acquisto e vendita sulle azioni di (OMISSIS) s.p.a. tramite la piattaforma della (OMISSIS). Anche in questo caso il (OMISSIS) avrebbe consentito al (OMISSIS) di operare direttamente tramite detta piattaforma ponendo a sua disposizione le credenziali di accesso di cui era titolare la (OMISSIS) s.a.. Infine, in ordine al capo Q), si contesta al (OMISSIS) di avere fatto parte, unitamente ad oltre 10 persone, di un'associazione, capeggiata dal (OMISSIS), finalizzata ad acquisire il controllo di societa' fortemente indebitate per spogliarle definitivamente in danno degli altri soci e dei creditori, realizzando delitti di truffa e delitti ai danni del mercato e degli investitori, anche attraverso la comunicazione di notizie false sullo stato delle societa' quotate, in modo da alterarne la quotazione. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando sei motivi. 2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'articolo 192 c.p.p., con riferimento alla natura fittizia dell'operazione di cessione delle quote alla (OMISSIS) ltd. di cui al capo 3), anche per effetto del travisamento delle dichiarazioni di (OMISSIS). La Corte di appello ha ritenuto l'operazione fittizia sulla base di indizi ritenuti gravi, precisi e concordanti e costituiti da: a) la presenza di conversazioni telefoniche intercettate solo tra i soggetti tratti a giudizio e non tra questi e gli investitori arabi o i loro emissari; b) il contenuto delle conversazioni intercettate che attesterebbero che la societa' (OMISSIS) era stata creata poco prima della operazione e che il (OMISSIS) si era occupato della predisposizione della documentazione occorrente e degli adempimenti burocratici necessari (atto notarile e attribuzione del numero di codice fiscale); c) le sommarie informazioni rese da (OMISSIS). Il (OMISSIS) aveva prodotto documentazione per dimostrare che egli aveva svolto attivita' di consulenza per la (OMISSIS) per creare la inglese (OMISSIS) ltd., ma la Corte di appello aveva ritenuto la stessa irrilevante, perche' la sua provenienza dall'imputato non permetteva di ritenerla genuina e comunque le ragioni per cui la societa' araba aveva deciso di creare una controllata Europea erano rimaste indimostrate. I motivi addotti dalla Corte di appello per giustificare l'irrilevanza delle prove addotte dalla difesa erano illogici perche' fondati su mere congetture ed illazioni. Inoltre, gli indizi erano privi di valenza dimostrativa, sia se isolatamente considerati, sia se valutati globalmente in modo unitario. Quanto alle sommarie informazioni rese da (OMISSIS), il loro contenuto era stato travisato, atteso che il (OMISSIS) non aveva mai affermato che la ragione sociale (OMISSIS) fosse fittizia e aveva invece confermato che la societa' emiratina esisteva e aveva quale direttore generale (OMISSIS), indiano residente a Dubai, con il quale il (OMISSIS) aveva intrattenuto rapporti commerciali diretti. 2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'articolo 192 c.p.p. con riferimento al suo concorso nelle operazioni di insider trading commesse da (OMISSIS) di cui al capo M), anche per effetto del travisamento della conversazione intercettata di cui al progressivo 259 del 5 giugno 2014. La Corte di appello ha tratto dalla conversazione telefonica suddetta la prova che il (OMISSIS) avesse consentito a (OMISSIS), in possesso di informazioni privilegiate, di effettuare operazioni di trading attraverso la piattaforma telematica della (OMISSIS) utilizzando le credenziali della (OMISSIS) s.a., di cui il (OMISSIS) era amministratore ed unico soggetto abilitato ad operare per essa su detta piattaforma. In particolare, la Corte di appello ha ritenuto che nella conversazione intercettata il (OMISSIS), spacciandosi per il (OMISSIS), avesse chiesto ad un operatore della piattaforma specifiche informazioni sulle modalita' con cui effettuare le operazioni di trading. In realta', sostiene il ricorrente, il (OMISSIS), alla richiesta dell'operatore se egli volesse "passare un ordine" aveva risposto negativamente e l'unica indicazione fornita all'operatore era quella del numero del conto; egli non aveva fornito le credenziali necessarie per operare sulla piattaforma e la sua richiesta riguardava solo la risoluzione di problemi di connessione. La conversazione non dimostrava che le operazioni effettuate su detta piattaforma in quella data fossero riconducibili al (OMISSIS). Ne' poteva valere quale indizio la circostanza che la (OMISSIS) avesse acquisito da (OMISSIS) la (OMISSIS) s.r.l.. I due indizi, pur valutati assieme, non dimostravano che il (OMISSIS) avesse consentito al (OMISSIS) di effettuare operazioni di trading attraverso le credenziali della (OMISSIS) s.a. ed era ben possibile che l'attivita' fosse stata attuata direttamente dal (OMISSIS), in favore del quale il (OMISSIS) si era limitato ad intervenire presso l'operatore della piattaforma per risolvere un problema di connessione. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 184, comma 3-bis, e la manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'articolo 192 c.p.p. con riferimento alla attivita' di insider trading che gli viene contestata al capo L). Con l'atto di appello l'odierno ricorrente aveva lamentato la mancata indicazione delle informazioni privilegiate il cui abuso avrebbe integrato il reato contestato e sul punto la Corte di appello aveva risposto che la conoscenza di tali informazioni discendeva: a) dall'essere egli socio, per una quota del 50%, della (OMISSIS) s.a., che a sua volta controllava l'intero capitale della (OMISSIS) s.a.g.l., una fiduciaria gestita dal socio (OMISSIS), e controllava la (OMISSIS) s.a., della quale il (OMISSIS) era amministratore unico e che aveva acquistato quote di altre societa' controllate dal (OMISSIS); b) dall'essere il (OMISSIS) amministratore unico di (OMISSIS) s.a. che deteneva una rilevante quota azionaria di (OMISSIS) s.p.a.; c) dall'essere il socio del (OMISSIS), (OMISSIS), membro del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) e amministratore unico di (OMISSIS) s.a., anch'essa titolare di un pacchetto azionario di (OMISSIS) s.p.a.; d) dall'avere tutte le predette societa' sede a Lugano allo stesso indirizzo della (OMISSIS) s.a., holding della catena di societa' del (OMISSIS) che ruotava intorno al gruppo (OMISSIS) s.p.a.; e) dalla circostanza che (OMISSIS) s.a. era titolare dell'intero capitale sociale di (OMISSIS) s.a., titolare di altro pacchetto di azioni (OMISSIS) s.p.a.; f) dall'avere (OMISSIS) acquistato un pacchetto azionario di (OMISSIS) s.p.a. prima che questa fosse quotata in borsa, prenotando le azioni diversi mesi prima attraverso la piattaforma telematica della (OMISSIS). La motivazione risulta illogica in quanto, in realta', tali circostanze non spiegano perche' il (OMISSIS) avrebbe dovuto disporre di informazioni privilegiate; in motivazione neppure si chiarisce quali sarebbero tali informazioni e come sarebbero state acquisite dal ricorrente. Tale illogicita' ha condotto la Corte di appello a ritenere che sussistesse il reato previsto dal Decreto Legislativo citato, articolo 184, comma 3-bis. 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente, in relazione al capo Q), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), lamenta la violazione dell'articolo 416 c.p. e la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del delitto associativo. La Corte di appello, aderendo a quanto asserito dal Tribunale, afferma che la sussistenza del reato associativo emerge dalla commissione dei reati fine ed in particolare di quelli per i quali e' stata emessa la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano del 20 giugno 2017, divenuta irrevocabile il 21 settembre 2018, senza dare risposta agli specifici motivi di appello, cosicche' la motivazione doveva ritenersi apparente. La Corte di appello non ha motivato sul delitto associativo, ma solo sui reati fine ed in particolare sui delitti di cui alla sentenza di applicazione di pena del 20 giugno 2017. La Corte di appello neppure ha motivato sull'adesione del (OMISSIS) al pactum sceleris, sulla adesione del (OMISSIS) all'associazione in modo permanente e a prescindere dalla commissione di specifici reati fine, nonche' sulla adesione dell'imputato ad un programma criminoso indeterminato, ma ha desunto la affectio societatis esclusivamente dai reati fine. 2.5. Con il quinto motivo il ricorrente, in relazione al capo Q), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), si duole della contraddittorieta' della motivazione laddove la sentenza di applicazione di pena sopra indicata e' stata ritenuta un elemento di prova decisivo ai fini della sussistenza del reato associativo. La Corte di appello ha ritenuto sussistente il reato associativo in virtu' dei due delitti di manipolazione del mercato per i quali e' stata emessa detta sentenza, mentre la sussistenza del reato associativo prescinde dalla commissione dei reati fine; la sentenza di patteggiamento neppure ipotizza l'ascrivibilita' al (OMISSIS) del delitto associativo, in quanto attiene esclusivamente a due delitti di manipolazione del mercato, cosicche' il contenuto della sentenza risulta travisato. Ne', diversamente da quanto affermato nella motivazione della sentenza impugnata in questa sede, la difesa del (OMISSIS) aveva chiesto l'applicazione della continuazione tra il reato associativo e quelli per i quali era stata emessa la sentenza di patteggiamento. 2.6. Con il sesto motivo il ricorrente, in relazione al capo Q), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), si duole della violazione dell'articolo 59 c.p., comma 2 e della contraddittorieta' della motivazione laddove e' stata ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'articolo 416 c.p., comma 5. La sentenza impugnata, sostiene il ricorrente, non ha motivato in ordine alla sussistenza di detta aggravante. Questa poteva essere applicata al (OMISSIS) solo se da lui conosciuta o ignorata per colpa e sul punto non viene fornita alcuna motivazione. 3. Il difensore del ricorrente ha fatto pervenire una memoria difensiva contenente motivi nuovi. 3.1. Con il primo motivo nuovo il ricorrente, in relazione al capo M), deduce che con l'atto di appello era stato segnalato che la circostanza che il (OMISSIS) avesse effettuato attivita' di trading utilizzando le credenziali fornitegli dal (OMISSIS) era smentita dalla annotazione di polizia giudiziaria del 12 luglio 2016, nella quale era stato evidenziato che in data 5 giugno 2014, ossia nella data della conversazione intercettata, non era stata effettuata alcuna operazione. Sul punto la Corte di appello non ha in alcun modo motivato e neppure ha chiarito perche' tutte le operazioni di trading effettuate dal 13 dicembre 2013 al 14 novembre 2014 sarebbero state eseguite dal (OMISSIS) avvalendosi delle credenziali in uso alla (OMISSIS). Tale conclusione si fonda su una mera congettura. Poiche' l'unico accesso dimostrato con la conversione oggetto di intercettazione era quello del 5 giugno 2014, il reato di cui al capo M) doveva ritenersi integralmente estinto per prescrizione, cosicche' risulta violato anche l'articolo 157 c.p.. 3.2. Con il secondo motivo nuovo il ricorrente, in relazione al capo L), ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), lamenta la violazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 184, comma 3-bis, laddove in motivazione viene attribuita al ricorrente la qualifica di insider primario, anziche' secondario soggetto a responsabilita' esclusivamente amministrativa, e la manifesta illogicita' della motivazione laddove si afferma che tutte le operazioni di trading sul titolo (OMISSIS) effettuate dal 13 dicembre 2013 al 14 novembre 2014 sarebbero state eseguite dal (OMISSIS) avvalendosi delle credenziali in uso alla (OMISSIS). Con lo stesso motivo lamenta anche la violazione dell'articolo 157 c.p. e la illogicita' della motivazione nella parte in cui non ha dichiarato la prescrizione del reato di insider trading maturata il 5 giugno 2019. Il (OMISSIS) non era un insider primario e poiche' la conversazione del 5 giugno 2014 era stata travisata, come gia' esposto nel ricorso, neppure egli poteva considerarsi un concorrente nel reato commesso dal (OMISSIS). In ogni caso non vengono chiarite le ragioni per le quali dalla conversazione intercettata dovrebbe ricavarsi che tutte le operazioni di trading sul titolo (OMISSIS) siano state effettuate dal (OMISSIS). Infine, anche in relazione al capo L), poiche' l'unico accesso dimostrato con la conversione oggetto di intercettazione e' quello del 5 giugno 2014, il reato doveva ritenersi integralmente estinto per prescrizione, cosicche' risulta violato anche l'articolo 157 c.p.. 3.3. Con il terzo motivo nuovo il ricorrente, in relazione al capo Q), lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la carenza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sua partecipazione al delitto associativo, anche per effetto del travisamento della sentenza del 20 giugno 2017. In sostanza, il ricorrente ribadisce le argomentazioni gia' sviluppate nel quarto e nel quinto motivo di ricorso. Sostiene altresi' che, essendo egli stato condannato per la mera partecipazione all'associazione criminale, il reato si prescrivera' in data diversa da quella del 22 novembre 2025, indicata nella sentenza di appello. 3.4. Con il quarto motivo nuovo il ricorrente in realta' chiede la correzione della pena indicata nella sentenza di secondo grado, affetta da un errore di calcolo, atteso che in esso si afferma che l'aumento, ex articolo 81 c.p., comma 2, della pena gia' inflitta per i reati per i quali e' stata emessa la sentenza di patteggiamento e' stato determinato partendo da mesi diciassette di reclusione per il reato di cui al capo Q), ossia in misura pari alla meta' della pena inflitta per detto reato con la sentenza di primo grado, mentre la pena irrogata dal Tribunale era pari ad anni due e mesi otto di reclusione, cosicche' la meta' di questa corrisponde a mesi sedici di reclusione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati unitariamente, risultano inammissibili. Quanto al lamentato travisamento delle sommarie informazioni rese dal (OMISSIS) e della conversazione telefonica intercettata, deve osservarsi che, secondo la costante giurisprudenza di legittimita' in tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilita' del vizio di travisamento della prova dichiarativa e' necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita' tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 - dep. 2018, Grancini, Rv. 272406). Nel caso di specie il ricorrente, con le sue censure, si duole non tanto di un errore di percezione di tali elementi di prova da parte del giudice, quanto piuttosto di un errore nella loro interpretazione e nella valutazione del loro valore dimostrativo di fatti e circostanze rilevanti ai fini della decisione, cosicche' le doglianze investono il merito della decisione, che non puo' di per se' costituire oggetto del presente giudizio di legittimita'. Peraltro, quanto alla conversazione intercettata, da essa, secondo quanto segnalato dalla Corte di appello, puo' ricavarsi comunque che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) agivano di comune accordo per raggiungere obiettivi comuni, che poggiavano sulla natura fittizia dell'operazione (OMISSIS). Analoghe considerazioni valgono per le ulteriori doglianze contenute nei due motivi di ricorso. La Corte di appello ha adeguatamente illustrato le ragioni poste a base della decisione, anche fornendo giustificazione in ordine alla ritenuta inattendibilita' della documentazione prodotta dall'imputato, e la motivazione non appare contraddittoria o manifestamente illogica. Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimita'. La decisione del giudice di merito non puo' essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). L'inammissibilita' del primo e del secondo motivo di ricorso, i soli motivi relativi al capo M), rende inammissibile anche il primo motivo nuovo di cui alla memoria difensiva. L'inammissibilita' di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, anche laddove questo sia idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest'ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell'impugnazione originaria; e cio' vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile perche' contenente altri motivi immuni da vizi. (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387). 2. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso ed il terzo motivo nuovo sono inammissibili per manifesta infondatezza, atteso che la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione in ordine alla partecipazione del (OMISSIS) al reato associativo. In particolare, i giudici di secondo grado hanno sottolineato che dal fitto intreccio delle partecipazioni azionarie e dall'esistenza di interessi convergenti e di condotte collaborative in capo a tutti i soggetti implicati nelle molteplici vicende e soprattutto in capo al (OMISSIS), emerge la sussistenza di un vero e proprio patto associativo fra i vari sodali. Si sottolinea che il (OMISSIS) ha svolto un ruolo importante in seno a quelle societa' che dovevano fungere da schermo al (OMISSIS), che era l'ideatore ed orchestratore del complesso e variegato programma criminoso attuato anche grazie alla collaborazione del (OMISSIS), protrattasi per anni, anche mediante la partecipazione ai reati fine dell'associazione criminale, tra i quali assumono particolare importanza quelli, aventi natura di delitto, per i quali il (OMISSIS) e' stato giudicato con la sentenza di applicazione di pena del 20 giugno 2017. La sentenza e' stata utilizzata solo quale prova della penale responsabilita' del (OMISSIS) per i due reati fine per i quali essa e' stata pronunciata. Tali reati, tuttavia, sono stati correttamente considerati dalla Corte di appello quale prova ulteriore della concreta ed effettiva adesione del (OMISSIS) all'associazione criminale ed in special modo del suo effettivo contributo all'attuazione del progetto criminale che la ispirava. In particolare, tali reati sono stati ritenuti rilevanti perche' il reato di cui all'articolo 416 c.p., punisce chi si associa per commettere piu' delitti, cosicche' non poteva ritenersi sufficiente la mera commissione di reati aventi natura di contravvenzione, quali quelli contestati ai capi L) e M). Non e', quindi, ravvisabile alcun travisamento di detta sentenza. 3. Anche il sesto motivo di ricorso e' inammissibile. In tema di impugnazioni, ogni vizio di motivazione in ordine al rigetto di motivi di appello inammissibili, perche' non specifici (o per altra causa), non puo' condurre all'annullamento della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio dovrebbe pronunciarsi sempre su quegli stessi motivi (di appello) insuscettibili di esame (e di accoglimento) per la loro inammissibilita' (Sez. 4, n. 17 del 09/11/1988 - dep. 1989, Vita, Rv. 180070). Nel caso di specie il motivo di appello in relazione ai quali il ricorrente lamenta l'omessa motivazione era inammissibile per la sua estrema genericita' e comunque era manifestamente infondato. Nell'atto di appello il (OMISSIS), al fine di ottenere l'esclusione dell'aggravante prevista dall'articolo 416 c.p., comma 5, si era limitato a contestare genericamente che egli conoscesse tutti gli altri partecipanti all'associazione e quindi sapesse che il loro numero era superiore a dieci. Il motivo di appello era generico e comunque manifestamente infondato atteso che la sola ignoranza non vale ad escludere l'aggravante, occorrendo altresi', ai sensi dell'articolo 59 c.p., comma 1, che l'ignoranza sia dovuta ad errore incolpevole, circostanza questa neppure sostenuta dal (OMISSIS) nel motivo di appello. Ne consegue che, in applicazione del principio sopra esposto, il motivo di ricorso risulta inammissibile. 4. E' invece fondato il terzo motivo di ricorso. Con l'atto di appello il (OMISSIS) aveva contestato la sussistenza del reato di cui al capo L) ed in particolare aveva evidenziato che il Giudice del primo grado aveva chiarito quale sarebbe stata l'informazione privilegiata oggetto di abuso. La Corte di appello, nella sua motivazione, pur esplicitando in modo dettagliato le modalita' attraverso le quali il (OMISSIS) avrebbe potuto entrare in possesso di informazioni privilegiate, non chiarisce quali sarebbero tali informazioni e le modalita' attraverso le quali il (OMISSIS) o altri suoi complici avrebbero abusato di tali informazioni. L'accoglimento del motivo di ricorso dovrebbe determinare l'annullamento con rinvio in parte qua della sentenza impugnata. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 1, non risultando evidente la ricorrenza di alcuna delle ipotesi di proscioglimento previste dal successivo comma 2, deve rilevarsi di ufficio che anche per i residui reati di cui al capo L) non dichiarati gia' estinti con la sentenza di secondo grado sono ormai maturati i termini di prescrizione. Il ricorrente ha sostenuto nel secondo motivo nuovo che erroneamente gli e' stata attribuita la qualifica di insider primario, mentre doveva essergli riconosciuta quella di insider secondario. Tale eccezione, laddove fosse fondata, inciderebbe sulla qualificazione giuridica del fatto, che verrebbe degradato a mera violazione amministrativa. In contrario, deve rilevarsi che anche in relazione ai reati di cui al capo L), secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, il (OMISSIS) avrebbe agito quale complice del (OMISSIS), che rivestiva la posizione di insider primario. Conseguentemente, in applicazione dell'articolo 110 c.p., anche il (OMISSIS) e' chiamato a rispondere penalmente del reato commesso dal (OMISSIS). Ne deriva che in relazione a tali reati la sentenza deve essere annullata senza rinvio e che nel resto il secondo motivo nuovo contenuto nella memoria difensiva resta assorbito. 5. Relativamente al quarto motivo nuovo contenuto nella memoria difensiva, deve osservarsi che esso, quale motivo di impugnazione, sarebbe inammissibile. I motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilita', i capi o i punti della decisione impugnata investiti dall'atto di impugnazione originario (Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980) e nel caso di specie con il ricorso non sono stati formulati motivi di impugnazione relativi al trattamento sanzionatorio. Tuttavia, poiche' il ricorrente con detto "motivo" deduce un mero errore di calcolo nella quantificazione della pena relativa al reato associativo, esso costituisce in realta' una istanza di correzione di errore materiale che risulta anche fondata. Atteso che, comunque, in conseguenza dell'estinzione dei residui reati di cui al capo L), la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio e deve rinviarsi per nuovo esame su tale punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano, anche tale questione deve essere rimessa al Giudice di rinvio. 6. Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai residui reati di cui al capo L), perche' estinti per prescrizione. La sentenza deve pure essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio e deve rinviarsi per nuovo esame su tale punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai residui reati di cui al capo L), perche' estinti per prescrizione. Annulla la medesima sentenza limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 633 del 2021, proposto da Ma. An. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Man., Lu. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Commissione Nazionale per L'Abilitazione Scientifica Nazionale Alle Funzioni di Professore Universitario di II Fascia non costituiti in giudizio; Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Fa. Ri. non costituito in giudizio; per l'annullamento - della valutazione negativa del 03.11.2020 in relazione al conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia per il settore concorsuale 12/G1, diritto penale, indetta con Bando D.D. Bando Candidati ASN 2018-2020 n. 2175 del 09.08.2018 emanato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, espressa dalla Commissione giudicatrice con riferimento al dott. Manno Marco Andrea; - del giudizio collegiale all'esito del quale il Ricorrente è stato dichiarato non abilitato nonché dei giudizi negativi e sfavorevoli espressi dai singoli commissari; - dei verbali n. 1 del 03.10.2020; n. 2 del 24.10.2020; n. 3 del 31.10.2020 e di tutti gli atti ad essi allegati, relativi allo svolgimento dei lavori volti alla valutazione del candidato Manno Marco Andrea e alla conseguente predisposizione dei singoli giudizi e del giudizio collegiale, inseriti nella piattaforma telematica come specificato nei suddetti verbali di commissione; - ove occorra e per quanto di ragione del verbale n. 1 del 28.11.2018, nel quale sono stati stabiliti i criteri e i parametri per il conferimento dell'Abilitazione Scientifica Nazionale e per la valutazione dei titoli per quanto attiene il settore concorsuale 12/G1; -ove occorra e per quanto di ragione, di ogni altro provvedimento presupposto connesso e/o consequenziale; E RICHIESTA di riesame della posizione della candidata ricorrente da parte di una Commissione in diversa composizione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2021 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il proposto gravame il ricorrente impugnava il giudizio negativo reso dalla Commissione all'esito delle procedure di valutazione per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale all'esercizio delle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 12/G1- Diritto penale. Il ricorrente affidava il ricorso ai seguenti motivi: 1)Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 3,4 e 6 del D.M. n. 120/2016, violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 6 del D.P.R. 95/2016. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di adeguata istruttoria, travisamento, perplessità, errore nei presupposti. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 3,4 e 6 del D.M. n. 120/2016, violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 6 del D.P.R. 95/2016. Eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione. Eccesso di potere per arbitrarietà, irrazionalità e manifesta irragionevolezza del giudizio, sviamento di potere, difetto di istruttoria, ingiustizia. 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 3,4 e 6 del D.M. n. 120/2016 sotto altri profili-Eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione dei giudizi individuali. 4) Violazione del principio di par condicio tra i candidati, sviamento di potere, disparità di trattamento, difetto di motivazione e contraddittorietà sotto ulteriori profili. L'Amministrazione si costituiva in giudizio con atto formale. All'esito dell'udienza pubblica tenutasi in data 19/07/2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Il ricorso è infondato. Brevemente il Collegio osserva che l'art. 3 del D.M. n. 120/2016 prevede che, nelle procedure di abilitazione per l'accesso alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia, la Commissione formuli un motivato giudizio di merito sulla qualificazione scientifica del candidato basato sulla valutazione delle pubblicazioni e dei titoli presentati, ponendo a riferimento esclusivamente le informazioni contenute nella domanda redatta secondo il modulo allegato al bando. L'art. 3, comma 2, lett. b) del D.M. n. 120/2016 specifica che "la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni presentate è volta ad accertare, per le funzioni di professore di seconda fascia, la maturità scientifica del candidato, intesa come il riconoscimento di un positivo livello della qualità e originalità dei risultati raggiunti nelle ricerche affrontate e tale da conferire una posizione riconosciuta nel panorama almeno nazionale della ricerca". Secondo il disposto dell'art. 4 del D.M. n. 120/2016 la Commissione valuta le pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati ai sensi dell'articolo 7, secondo i seguenti criteri: • a) la coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti; • b) l'apporto individuale nei lavori in collaborazione; • c) la qualità della produzione scientifica, valutata all'interno del panorama nazionale e internazionale della ricerca, sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo; • d) la collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure trasparenti di valutazione della qualità del prodotto da pubblicare; • e) il numero e il tipo delle pubblicazioni presentate nonché la continuità della produzione scientifica sotto il profilo temporale; • f) la rilevanza delle pubblicazioni all'interno del settore concorsuale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dello stesso e dei settori scientifico-disciplinari ricompresi. • La Commissione deve valutare le pubblicazioni scientifiche presentate secondo tutti i criteri di cui all'art. 4 del D.M. n. 120 2016. L'Allegato B al citato D.M. n. 120/2016 chiarisce inoltre che per pubblicazione di qualità elevata deve intendersi la pubblicazione che, per livello di originalità e rigore metodologico e per il contributo che fornisce al progresso della ricerca, abbia conseguito o è presumibile che consegua un impatto significativo nella comunità scientifica di riferimento a livello anche internazionale. Infine l'art. 6 del D.M. n. 120/2016 dispone che "la Commissione conferisce l'abilitazione esclusivamente ai candidati che soddisfino entrambe le seguenti condizioni: a) ottengono una valutazione positiva del titolo di cui al numero 1 dell'Allegato A (impatto della produzione scientifica) e sono in possesso di almeno tre titoli tra quelli scelti dalla Commissione, secondo quanto previsto al comma 2 dell'art. 5; b) presentano, ai sensi dell'art. 7, pubblicazioni valutate in base ai criteri di cui all'art. 4 e giudicate complessivamente di qualità elevata secondo la definizione di cui all'Allegato B". In punto di fatto si rileva che la Commissione riconosceva al ricorrente il possesso di almeno tre titoli secondo quanto previsto dall'art. 5, primo comma, lett. b) del D.M. n. 120/2016. La Commissione, infine, formulava l'impugnato giudizio negativo sul presupposto di una valutazione negativa delle pubblicazioni presentate ai sensi dell'art. 7 del D.M. n. 120/2016. La Commissione esprimeva l'impugnato giudizio a maggioranza di quattro componenti su cinque. I. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'illegittimità del giudizio collegiale formulato dalla Commissione. Tale giudizio sarebbe apodittico sia con riguardo alle valutazioni espresse sulle tre monografie sia con riguardo alla produzione non monografica, "ingiustamente declassata a produzione minore". Il giudizio della Commissione, inoltre, sarebbe affetto da un evidente deficit motivazionale, mancando una descrizione dei contenuti delle pubblicazioni, una valutazione di tutta la produzione considerata come "minore" e risultando la valutazione finale incentrata sul criterio di cui alla lett. c) dell'art. 4 del D.M. n. 120/2016. Il Collegio, in primo luogo, evidenzia che l'aggettivo "minore" non assume alcuna valenza negativa, valendo unicamente a marcare la differenza con i lavori monografici. È opportuno rilevare che l'analisi e la relativa valutazione d'insieme di tali contributi non ha alcuna incidenza lesiva nei confronti del ricorrente. Ciò è tanto più evidente se si considera che la Commissione valutava la produzione minore nei seguenti termini "la c.d. produzione minore, complessivamente apprezzabile (in special modo il saggio in volume su stranieri e carcere tra indici di criminalità e fattori di criminalizzazione), non compensa i limiti strutturali delle tre monografie". La Commissione, come evidente, formulava un giudizio sostanzialmente positivo sui contributi non monografici. Ne consegue che la mancata descrizione di tutti i contributi proposti nell'à mbito della produzione non monografica non ha rilievo lesivo nei confronti del ricorrente. Determinante, al contrario, il giudizio della Commissione relativamente alle opere monografiche. Come emerge chiaramente dalla lettura analitica del giudizio collegiale e dei singoli giudizi individuali, la valutazione delle opere monografiche risulta essere corredata da puntuali riferimenti al contenuto delle stesse. La descrizione del contenuto delle opere in questione consente la ricostruzione dell'iter logico seguito dalla Commissione nella formulazione del giudizio in esame. La Commissione, ad esempio, valutava le monografie "Giochi, scommesse e responsabilità penale" e "Profili penali dell'insider trading" nei seguenti termini: "Il primo lavoro ha per titolo "Giochi, scommesse e responsabilità penale" un ampio e articolato lavoro diretto a verificare la disciplina e le problematiche in materia di giochi e scommesse. Si tratta di un lavoro completo e ordinato in cui il dott. Manno esamina sia il quadro normativo, sia la giurisprudenza italiana e comunitaria relativa alle questioni in tema di gioco d'azzardo. Vi sono anche riferimenti di diritto comparato rivolti all'ordinamento tedesco. L'ultima parte del lavoro e` dedicata ad un confronto con la normativa comunitaria al fine di verificare la compatibilità del diritto interno con quello europeo. In buona sostanza, si tratta di un lavoro esauriente, che tratteggia in modo descrittivo un settore particolare del diritto penale. Va rilevato, nondimeno, che l'opera ha carattere meramente esegetico. Nei medesimi termini può essere valutata anche la seconda monografia del dott. Manno, che ha per titolo "Profili penali dell'insider trading". Anche in questo caso lo studioso procede ad analizzare il quadro normativo e la limitata giurisprudenza in materia. La ricerca è completa, ma non caratterizzata da profili di particolare originalità ". Come evidente, la puntuale e completa descrizione dei contenuti delle opere in esame consente di cogliere pienamente le ragioni sottese al giudizio finale. La valutazione della monografia "Profili penali dell'insider trading" come "non caratterizzata da profili di particolare originalità ", ad esempio, trova un positivo riscontro nella descrizione della stessa monografia ove il giudizio collegiale recita: "lo studioso procede ad analizzare il quadro normativo e la limitata giurisprudenza in materia". Stesse considerazioni possono svolgersi a proposito della valutazione della terza monografia "Il contrasto al terrorismo internazionale. Tra prevenzione sanzionatoria e punizione preventiva (2020)". La Commissione, infatti, valutava tale opera nei seguenti termini: "il candidato svolge una ricerca sul piano del diritto comparato relativa al recente trend legislativo volto ad introdurre strumenti di stampo penalistico per prevenire e reprimere il nuovo fenomeno del finanziamento del terrorismo internazionale. Tuttavia, anche in quest'ultimo contributo alla parte descrittiva non si accompagna un valido e originale contributo in ordine al tema prescelto". Ne consegue che il giudizio collegiale ed i singoli giudizi individuali sono adeguatamente argomentati e motivati, in maniera conforme a quanto disposto dall'art. 3 del D.M. n. 120/2016 e, più generalmente, dall'art. 3 della L. n. 241/1990. II. Con secondo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene che il giudizio formulato dalla Commissione relativamente alla prima monografia "Giochi, scommesse e responsabilità penale" sarebbe intrinsecamente contraddittorio. Sostiene il ricorrente, inoltre, che sarebbero apodittiche le valutazioni sull'originalità della seconda e terza monografia e che tale circostanza sarebbe confermata dal parere richiesto dal ricorrente al Prof. Antonio Pagliaro. Con riguardo alla denunciata contraddittorietà delle valutazioni operate dalla Commissione relativamente alla monografia "Giochi, scommesse e responsabilità penale", il Collegio osserva che: -Il riconoscimento di aspetti positivi nella monografia in esame non esclude una valutazione finale negativa che, se correttamente argomentata come nel caso in esame, costituisce, al contrario, l'esito di una valutazione imparziale e ponderata. -Valutazioni come "un ampio e articolato lavoro" o "lavoro completo e ordinato" non implicano necessariamente l'originalità dell'opera considerata. Le valutazioni della Commissione non si pongono in insanabile contrasto con il giudizio finale sulla monografia in esame. Ne discende che si deve escludere la contraddittorietà del giudizio della Commissione. Con riguardo alla denunciata apoditticità e mancanza di motivazione del giudizio relativamente alla seconda e terza monografia ("Profili penali dell'insider trading" e Contrasto al terrorismo internazionale. Tra prevenzione sanzionatoria e punizione preventiva") si rimanda alle considerazioni svolte a proposito del primo motivo di ricorso. Con specifico riguardo al parere richiesto da parte ricorrente al Prof. Antonio Pagliaro è opportuno specificare che: -Tale parere non dimostra l'inesattezza, erroneità della valutazione operata dalla Commissione sostanziandosi unicamente in una valutazione di segno opposto rispetto a quella della Commissione. -Non è possibile annullare il giudizio impugnato sulla base di un apprezzamento tecnico diverso da quello operato della maggioranza dei componenti della Commissione. La competenza a valutare la qualificazione scientifica dei candidati, infatti, è espressamente attribuita dalla legge alla Commissione per l'abilitazione all'esercizio delle funzioni di professore di prima e seconda fascia appositamente nominata. III. Con terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia apoditticità e contraddittorietà dei singoli giudizi individuali negativi. Sostiene il ricorrente che il giudizio espresso dal Prof. Enrico Mario Ambrosetti sarebbe apodittico. Dal momento che il giudizio rispetto alle prime due monografie è replicato nel giudizio collegiale, si intendono richiamare le argomentazioni svolte a proposito del primo motivo di ricorso. Sarebbe solo apparente, infine, la motivazione del giudizio individuale relativo alla terza monografia "Contrasto al terrorismo internazionale. Tra prevenzione sanzionatoria e punizione preventiva". Il giudizio del prof. Ambrosetti, invero, risulta adeguatamente motivato dal momento che evidenzia la mancanza di un contributo valido e originale con riferimento al tema trattato in grado di completare la parte descrittiva dell'opera. Sostiene il ricorrente che il giudizio individuale espresso dal Prof. Manna sarebbe intrinsecamente contraddittorio con particolare riferimento alla terza monografia. Secondo parte ricorrente il Prof. Manna avrebbe prima espresso apprezzamento per la tematica prescelta ("riguarda una tematica assai interessante a livello internazionale cioè quella del finanziamento al terrorismo internazionale"), per la conduzione della ricerca e per il taglio comparatistico ("una parte assai interessante di taglio comparatistico, che serve per introdurre il problema del finanziamento del terrorismo internazionale nel sistema penale italiano, sia a livello di responsabilità penale individuale sia a livello di responsabilità c.d. dell'ente") segnalando in particolare "un paragrafo relativo alle smart sanctions nazionali, come chiaro esempio di prevenzione punitiva". Tali valutazioni sarebbero contraddette dalla valutazione finale dell'opera come di carattere "prevalentemente descrittivo". Il Collegio osserva che parte ricorrente riporta solo alcuni passaggi del giudizio individuale reso dal Prof. Manna, fornendone una lettura parziale. Parte ricorrente, in particolare, non cita la parte conclusiva e decisiva del giudizio sulla terza monografia. Tale conclusione veniva formulata dal Prof. Manna nei seguenti termini: "La conclusione a cui giunge l'Autore appare tuttavia di carattere prevalentemente esegetico-ricostruttiva, nel senso che ribadisce l'anticipazione della tutela penale soprattutto con riguardo agli artt. 270 e 270-bis c.p. che ovviamente comporta una notevole anticipazione della tutela penale medesima, non solo a scapito del principio di offensività, ma anche delle più elementari esigenze di garanzia". In tale passaggio chiave del giudizio individuale emerge plasticamente la motivazione della valutazione negativa della terza monografia senza che tale motivazione si ponga in contrasto con le argomentazioni precedentemente svolte. Sostiene il ricorrente che ulteriori profili di contraddittorietà del giudizio del Prof. Manna sarebbero individuabili nella valutazione delle opere c.d. "minori" come di "carattere prevalentemente esegetico". La riferita contraddittorietà sarebbe provata dal fatto che lo stesso Prof. Manna, in alcuni dei contributi pubblicati nel volume "La responsabilità dell'ente da reato nel sistema generale degli illeciti e delle sanzioni", avrebbe citato il contributo del ricorrente "Non è colpa mia! Alla ricerca della colpevolezza perduta nella responsabilità da reato degli enti collettivi" come esempio di "voce fuori dal coro" rispetto alla natura penale della responsabilità da reato degli enti giuridici. Secondo l'assunto di parte ricorrente sarebbe "difficile immaginare che un'opera venga considerata degna di essere menzionata quale esempio di rivisitazione critica di un principio generale del diritto penale e, dalla stessa persona, essere considerata un lavoro di natura meramente ricostruttiva". La ricostruzione di parte ricorrente non è condivisibile. Il Prof. Manna, in primo luogo, compie una valutazione dell'insieme della produzione minore segnalando quale "esito prevalente, un approccio di carattere esegetico". Il giudizio facendo riferimento all'esito prevalente, non esclude l'originalità di taluni, specifici lavori. Ciò è confermato anche dalla valutazione sostanzialmente positiva della produzione minore riscontrabile nel giudizio collegiale. Il ricorrente sostiene altresì la contraddittorietà e mancanza di motivazione del giudizio individuale espresso dalla Prof.ssa Lucia Risicato. Dal momento che questo giudizio riporta la motivazione poi trascritta nel giudizio collegiale, il Collegio ritiene opportuno richiamare integralmente le motivazioni svolte sul punto nella trattazione del primo motivo di ricorso. IV. Con quarto e ultimo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia disparità di trattamento dei candidati laddove i medesimi giudizi sulle pubblicazioni avrebbero condotto ad esiti opposti. Cita in proposito i giudizi dei candidati Ni. Ma., Et. Sq. e Fa. Ri.. Come si evince dalla lettura degli stessi giudizi dei menzionati candidati, le valutazioni della Commissione a proposito delle monografie da questi presentate non sono sovrapponibili a quelle espresse a proposito delle monografie del ricorrente. Ciò è evidente ove si consideri, a titolo di esempio, la valutazione della Commissione relativa alla monografia, presentata dal candidato Ni. Ma., intitolata "Ne bis in idem europeo e giustizia penale - Analisi sui riflessi sostanziali in materia di convergenze normative e cumuli punitivi nel contesto di uno sguardo d'insieme", Wolters Kluwer, Milano, 2020, pp. 482". La Commissione, infatti, valutava la predetta monografia nei seguenti termini: "Lo studio, assai articolato, si concentra sul principio del ne bis in idem sostanziale, sulle c.d. "qualificazioni giuridiche multiple", e contiene una ampia panoramica dottrinale e giurisprudenziale, e riferimenti comparatistici, con particolare riguardo alle pronunce della Corte EDU. Si coglie, in questo contesto, la stretta interrelazione tra ne bis in idem e principio di proporzionalità della sanzione penale. Nel capitolo V, l'autore si sofferma sul tema del ne bis in idem al fine di approcciare questioni applicative comuni, anche nella prospettiva del concorso "apparente" di norme; l'opera, nel suo complesso, presenta alcuni aspetti di originalità, ma soprattutto si apprezza per la completezza, che rappresenta un fattore idoneo a controbilanciare un forse eccessivo impegno nel richiamo della dottrina e della giurisprudenza, che ha appesantito, seppur in alcune parti, il lavoro, connotandolo per alcuni tratti come esegetico-ricostruttivo". La lettura del giudizio consente di cogliere le rilevanti differenze tra il giudizio in esame ed il giudizio sulle pubblicazioni presentate dal ricorrente. Se nel caso dell'opera presentata dal Dott. Ni. Ma., la Commissione ne rileva solo in "alcuni tratti" il carattere descrittivo, nel caso del ricorrente l'approccio veniva valutato come "prevalentemente descrittivo" o "esegetico". Ne consegue che le censure relative alla riferita disparità di trattamento non possono essere prese in considerazione. Il ricorso deve essere respinto. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che sono liquidate in Euro 1.000,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Emiliano Raganella - Consigliere, Estensore Silvia Piemonte - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano - Presidente Dott. SCARLINI Enrico V.S. - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/01/2019 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO; udito il Procuratore generale, Dott. TOMASO EPIDENDIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) per la parte civile CONSOB, dopo lunga argomentazione, chiede il rigetto dei ricorsi; deposita conclusioni e nota spese; L'avvocato (OMISSIS) insiste per l'accoglimento del ricorso; L'avvocato (OMISSIS) chiede l'accoglimento del ricorso; L'avvocato (OMISSIS) dopo aver illustrato i motivi di ricorso ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 15/01/2019 la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 184, comma 1, lettera a), per avere (il primo quale socio di controllo della (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) s.r.l., nonche' di presidente del consiglio di amministrazione della prima societa'; il secondo, nella qualita' di amministratore delegato della (OMISSIS) s.p.a.; il terzo nella qualita' di amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l.) disposto, mediante la (OMISSIS) s.r.l. l'acquisto di 1.875.350 azioni della (OMISSIS) s.p.a., realizzando un illecito profitto pari ad Euro 138.229 Euro, in quanto in possesso, per gli incarichi ricoperti, di un informazione' privilegiata costituita dal progetto di OPA funzionale al delisting della (OMISSIS) s.p.a.. In parziale riforma della decisione di primo grado, la Corte d'appello ha ridotto la durata delle pene accessorie. 2. Nell'interesse dei tre imputati e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all'articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, agli articoli 111 e 117 Cost., agli articoli 49, 50 e 52, della (OMISSIS) dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (d'ora, innanzi, CDFUE), all'articolo 649 c.p.p.. Si censura, in particolare, la decisione della Corte territoriale, la quale, pur riconoscendo la sussistenza dell'idem factum e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate nei confronti (della (OMISSIS) s.r.l. e) degli odierni ricorrenti dalla Consob - sanzioni oggetto di procedimento giurisdizionale definito con sentenza n. 24310 del 16/10/2017 della II sezione civile di questa Corte -, ha, tuttavia, escluso la sussistenza di un secondo, vietato giudizio, concentrando la sua attenzione sul solo profilo della "proporzionalita'" (in termini che sono criticati con l'ottavo motivo di ricorso) e trascurando i restanti parametri indicati dall'elaborazione giurisprudenziale sovranazionale (con particolare riguardo alla decisione della Grande camera della Corte Europea dei diritti dell'uomo 15/11/2016, A e B c. Norvegia, e ai successivi, coerenti sviluppi) ed Eurounitaria, puntualizzata nei termini di cui si dira' infra. Si osserva che, all'esito di una ricognizione astratta della giurisprudenza della Corte Europea, non illuminata dall'esame dei profili concreti delle vicende oggetto di decisione, e comunque senza cenno alcuno alla sentenza 18/05/2017, Johannesson c. Islanda (il cui impianto e' poi stato confermato dalla successiva sentenza 16/04/2019, Bjarni Armansson c. Islanda), la Corte territoriale non aveva operato alcuna verifica concreta del profilo della necessaria connessione temporale dei procedimenti ("sufficiently close connection in substance and time"). Nel caso di specie, avendo riguardo al momento decisivo in cui la sanzione era divenuta eseguibile, il requisito era assente, poiche': a) le sanzioni amministrative sono state irrogate con provvedimento Consob, immediatamente esecutivo e non sospeso, del 15/05/2011, laddove la condanna penale era stata emessa, all'esito del giudizio di primo grado, in data 12/11/2015; b) l'irrevocabilita' del provvedimento della Consob era intervenuta con il deposito della ricordata sentenza della Cassazione civile, ossia in data 16/10/2017, resa a seguito di ricorso proposto sin dal 2013, all'esito del deposito della sentenza del 29/10/2013 della Corte d'appello di Bologna. Si aggiunge che, fermo il carattere assorbente della violazione denunciata, sia in se' considerata, sia sotto il profilo dell'omessa motivazione, la Corte territoriale era incorsa, con riguardo al profilo dedotto, in altra violazione di legge, nel momento in cui aveva ritenuto di cogliere nell'interazione tra i due set procedimentali - e, in particolare, nella utilizzazione delle risultanze del procedimento amministrativo, oggetto di distinto motivo di ricorso -, un elemento positivo, per essere stata evitata la duplicazione di attivita' nella ricerca e nella valutazione della prova. Si osserva, al riguardo, che l'integrazione probatoria deve consistere nell'utilizzazione in sede amministrativa della prova acquisita dinanzi all'autorita' giudiziaria, ossia deve tradursi in una utilizzazione legittima, giacche', diversamente opinando, si vanificherebbe la tutela di altro diritto fondamentale della persona, ossia quello al giusto processo, assicurato dalle norme che nell'ordinamento domestico presidiano siffatta posizione (articolo 220 disp. att. c.p.p.). Nella prospettiva indicata, i ricorrenti rilevano che l'attenzione rivolta dalle sentenze della Corte di Giustizia UE del 20/03/2018 (Grande Sezione, Menci, C524/15; Garlsson Real Estate SA e altri contro Consob, C-537/16; Di Puma contro Consob e Consob contra Zecca, C-596/16 e C-597/16) al requisito della proporzionalita' non vale a superare le piu' analitiche condizioni cumulative individuate dalla giurisprudenza di Strasburgo: cio' sia in generale, sia perche' le decisioni della Corte di giustizia focalizzano la loro attenzione sui sistemi normativi e non costruiscono la ratio decidendi sulla valutazione analitica del fatto. Del resto, si osserva, siffatta conclusione trova conferma nella giurisprudenza delle Corti nazionali, dalla sentenza 02/03/2018, n. 43 della Corte costituzionale, per giungere a Sez. 5, n. 45829 del 21/06/2018. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione agli articoli 111 e 117 Cost., all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora innanzi, CEDU), all'articolo 220 disp. att. c.p.p., all'articolo 191 c.p.p.. Si critica, in particolare, la decisione della Corte territoriale di disattendere le censure che erano state rivolte in relazione alla utilizzazione della relazione Consob del 24/10/2010 e dei relativi allegati, incorporanti elementi assunti, ai sensi del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187 octies, (t.u.f.), per via dichiarativa e riconducibili a tre tipologie: a) dichiarazioni rese dagli imputati; b) dichiarazioni rese da terzi; c) dichiarazioni scritte, formalmente riconducibili a persone giuridiche, ma sostanzialmente provenienti da persone fisiche non identificate e ignote. La doglianza investe entrambi gli argomenti utilizzati dalla Corte d'appello per respingere la censura. Si osserva: a) che il rilievo - destinato a superare le diverse considerazioni del primo giudice - secondo il quale l'inquadramento della critica "pare corretto", ma condurrebbe ad effetti contrari al requisito dell'interazione probatoria tra i procedimenti indicato dalla citata sentenza A e 8 c. Norvegia, oltre all'illogicita' manifesta derivante dalla circolarita' del ragionamento, si traduce in una violazione dell'articolo 117 Cost., e dell'articolo 6 della CEDU; b) che la seconda considerazione (genericita' del rilievo e comunque non rilevanza della questione sui profili della conoscibilita' e della ricostruzione dell'arco temporale concernente la progressione del processo decisionale) finiva assertivamente per sottrarsi alle critiche con le quali nell'atto di impugnazione, attraverso un esame delle risultanze acquisite, si era osservato come la concatenazione temporale e il significato degli eventi nel periodo ritenuto rilevante (ossia, tra il dicembre 2007 e fine marzo 2008) potevano essere tratti unicamente dalle non utilizzabili fonti dichiarative. Si ribadisce: a) che il P.M. non aveva compiuto alcun atto di indagine e non aveva escusso in dibattimento alcuna delle fonti dichiarative utilizzate dal Tribunale; b) che lo stesso, unico teste d'accusa, il Dott. (OMISSIS) della Consob non aveva neppure proceduto all'assunzione delle prove dichiarative, talche' non poteva neppure essere considerato come teste de relato. Da ultimo, si osserva che le superiori conclusioni, poiche' attengono al rispetto delle regole attinenti alla formazione della prova nell'oralita' e nel processo penale, non sono scalfite dall'origine Eurounitaria della disciplina che governa l'azione della Consob, in seno al procedimento sanzionatorio amministrativo, e dalle sanzioni che assistono l'obbligo di cooperazione con l'autorita' di vigilanza: e cio' in disparte i rilievi svolti sul punto dall'ordinanza della Corte Cost. 10/05/2019, n. 117. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta nullita' ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione agli articoli 27 e 110 c.p., ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera c), in relazione agli articoli 111 e 117 Cost., all'articolo 6 della CEDU, all'articolo 220 disp. att. c.p.p., agli articoli 191 e 192 c.p.p., articolo 533 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche', infine, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sia con riferimento all'impatto dell'inutilizzabilita' delle fonti dichiarative sul percorso argomentativo concernente il ritenuto contributo concorsuale degli imputati, sia con riguardo ai criteri di valutazione della prova impiegati a tal fine. Si sottolinea l'assenza di motivazione sul tema appena indicato (con profili di particolare evidenza nel caso di (OMISSIS), assente nell'ambito delle riunioni ritenute rilevanti, assente dal contesto degli acquisti incriminati e neppure ascoltato dalla Consob), anche nella prospettiva dell'articolazione della "prova di resistenza". 2.4. Con il quarto motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all'articolo 111 Cost., agli articoli 191, 192 e 533 c.p.p.; nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', sotto il profilo del criterio di valutazione della fonte dichiarativa indiziaria e indiretta, a fronte di prove testimoniali di segno contrario, dirette e di contenuto rappresentativo, anche in relazione al principio del ragionevole dubbio. Si osserva che, anche ipotizzando l'utilizzabilita' di elementi dichiarativi indiretti, promananti' da fonti che non era stato possibile esaminare in contraddittorio, difetta nella sentenza una valutazione esplicita - ossia assoggettabile a verifica critica - delle fonti disponibili. Chiarito che il thema probandum, alla luce dell'articolo 181, comma 3, lettera a) t.u.f., e' dato dall'elemento costitutivo della precisione dell'informazione avente ad oggetto un evento price sensitive non ancora esistente, da apprezzarsi nel quadro di un processo decisionale a formazione progressiva (nel caso di specie, il futuro lancio dell'OPA totalitaria, dipendente da un evento intermedio anch'esso non esistente, ossia il finanziamento richiesto e accompagnato dalla condizione di non concedere agli istituti di credito il pegno sul pacchetto di maggioranza), si rileva: a) che il criterio della prognosi postuma oggettiva sulla concreta possibilita' di realizzazione deve tener conto delle informazioni intermedie via via disponibili; b) che le prove dichiarative assunte in dibattimento attraverso l'audizione dei funzionari di banca avevano confermato la problematicita' della richiesta del finanziamento non assistito dalla indicata concessione del pegno; c) che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non aveva indicato i criteri di organizzazione della valutazione della prova, finendo per privilegiare fonti indirette, dalle quali nulla era dato apprendere, quanto al contenuto delle riunioni intercorse, ossia rendendo non conoscibile il reale percorso argomentativo seguito. Il carattere meramente speculativo della motivazione e' denunciato rilevando: a) che, secondo la sentenza impugnata, l'esistenza di una decisione di lanciare I'OPA sarebbe stata "plausibile" gia' il 14/01/2008 (data, peraltro, successiva all'inizio degli acquisti incriminati), alla stregua di elementi che sono privi di correlazione con il tema specifico della maturazione delle sub-condizioni necessarie per la sua praticabilita'; b) che, peraltro, la riunione tenuta in quest'ultima data non avrebbe condotto ad alcun risultato, visto che le trattative con BNP Paribas si sarebbero interrotte un mese dopo, proprio per l'inflessibile condizione posta dal (OMISSIS) di conservare il controllo del pacchetto di maggioranza; c) che, a fronte di tale dato oggettivo, la sentenza impugnata, pur di individuare una giustificazione a posteriori, aveva assertivamente osservato che i (OMISSIS) erano in grado di esercitare, nei confronti delle banche, le prerogative derivanti dalla rilevante posizione occupata nel mercato italiano; d) che, anche volendo riconoscere che la precisione della notizia - e il conseguente inizio delle inibizioni operative - dovesse collocarsi in un momento antecedente alla data nella quale il comitato di credito Unicredit aveva deliberato di approvare il finanziamento - poi stipulato il 14/04/2008 -, comunque la sentenza non aveva ancorato a dati processuali l'accertamento di siffatto momento e aveva anzi trascurato di considerare le ricordate prove dichiarative assunte in dibattimento; e) che il profilo assumeva particolare rilievo, visto che gli acquisti incriminati, tutti pacificamente dichiarati all'autorita' di vigilanza, si erano esauriti ben prima della delibera interna, la cui assunzione era stata preceduta da contrapposte visioni anche all'interno dell'istituto bancario; f) che le considerazioni della sentenza impugnata, secondo cui non sarebbero ravvisabili, nella sfera soggettiva degli imputati, finalita' diverse dallo sfruttamento della previsione dell'OPA, oltre a non poter razionalmente completare un nucleo argomentativo meramente speculativo, collidevano con le spiegazioni alternative plausibili prospettate con l'atto di appello e non confutate dalla Corte territoriale (convenienza immediata dell'investimento, nel convincimento che l'accordo con JBS, dichiarato al mercato, avrebbe liberato un valore non compreso immediatamente dal mercato stesso - ma che pure aveva indotto gli analisti a mutare le raccomandazioni da hold ad accumulate -, in tal modo inducendo ad assumere un indebitamento - diverso da quello necessario per l'OPA totalitaria incompatibile, per importo e durata, con un orizzonte di ragionevole prevedibilita' dell'avveramento delle pre-condizioni dell'OPA); g) che il fatto che l'atteso apprezzamento del titolo non si fosse verificato e' profilo irrilevante, sia perche' occorre operare una valutazione ex ante, sia perche' le regole dell'ambito operativo di rilievo si fondano sulle previsioni degli analisti, sia, infine, perche' i consulenti della difesa aveva chiarito che l'aumento di valore di un titolo, a seguito della rivisitazione dei target price e' evento da attendere nell'orizzonte temporale di un anno circa. 2.5. Con il quinto motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 25 Cost., all'articolo 1 c.p., agli articoli 181 e 184 t.u.f., nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per contraddittorieta' della motivazione, con riferimento all'individuazione del carattere di precisione dell'informazione privilegiata nei processi decisionali a formazione progressiva. Si rileva che, alla luce delle indicazioni della sentenza 28/06/2012 della Corte di Giustizia Ue, Markus Geltl c. Daimier, il carattere di precisione dell'informazione privilegiata non puo' essere fondato sull'intensita' della volizione soggettiva dell'agente, quando essa sia contrastata dal contesto reale, con la conseguenza che nella sede processuale deve essere individuato, con l'applicazione delle regole di cui agli articoli 191 e 533 c.p.p., e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), il momento in cui sia verificata una qualche maturazione oggettiva dei presupposti del progetto: diversamente, si realizza un deragliamento dai necessari binari della concretezza della base oggettiva della prognosi postuma e, in ultima analisi, per quanto qui rileva, si rinuncia, in violazione del principio di legalita', all'accertamento di uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. 2.6: Con il sesto motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 25 Cost., all'articolo 1 c.p., agli articoli 181 e 184 t.u.f., contestando la penale rilevanza della condotta di compiere operazioni su titoli da parte di soggetto che sia a conoscenza della propria decisione di realizzare, in relazione ai titoli medesimi, una futura operazione price sensitive (cd. insider di se stesso). Si osserva: a) che siffatta soluzione interpretativa, recepita dalla sentenza in rassegna, contrasta con il dato letterale della norma incriminatrice che assegna rilievo all'informazione (ossia non solo al contenuto, ma anche e necessariamente all'elemento che obiettivizza la rappresentazione), al possesso della stessa (che ne presuppone l'altruita'), al rapporto causale tra la qualita' dell'insider primario e il possesso dell'informazione (che vale ad escludere l'integrazione dell'elemento costitutivo della fattispecie, se l'agente genera la notizia, giacche', in tal caso, la causa del conoscere dipende dall'agire o dal pensare e non dall'appartenenza alle categorie soggettivamente enucleate dalla legge e dal collegato contatto comunicativo; b) che, a fronte della chiarezza del dato letterale, non e' ammissibile una indebita utilizzazione, in malam partem, del criterio della finalita' di tutela; c) che, nell'ambito penalistico (anche se forse non in quello Eurounitario e in quello amministrativo) la figura in esame pone un problema di determinatezza e precisione, poiche' il contenuto di una mera rappresentazione interna sarebbe privo della precisione rilevante per esprimere la price sensitivity, richiesta dal legislatore e, in definitiva, non sarebbe processualmente accertabile. 2.7. Con il settimo motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 27 Cost., all'articolo 43 c.p., agli articoli 181 e 184 t.u.f.; nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), con riferimento all'elemento psicologico del reato, da apprezzarsi alla luce sia del significato letterale della previsione, sia dell'esperienza soggettiva del fallimento delle trattative inaugurate nel gennaio 2008, in vista del finanziamento dell'OPA, sia della spiegazione alternativa formulata, quanto alle previsioni degli analisti sulla convenienza degli acquisti operati in termini di assoluta trasparenza. 2.8. Con l'ottavo motivo, in via subordinata, si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 24 Cost., articolo 27 Cost., comma 3, articoli 111 e 117 Cost., all'articolo 4 del Protocollo n. 7 CEDU, agli articoli 49, 50 e 52 della CDFUE, all'articolo 187 terdecies t.u.f.; nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), con riferimento alla ritenuta proporzionalita' complessiva del trattamento sanzionatorio. Ribadita l'autonomia concettuale dell'aspetto sostanziale del principio, si osserva che l'articolo 187 terdecies t.u.f. concerne il solo cumulo delle pene pecuniarie, non incidendo sulla rilevanza della pena detentiva e delle pene accessorie, nella valutazione della complessiva proporzionalita' della risposta sanzionatoria, da operare anche attraverso una disapplicazione in mitius della norma. Si aggiunge che, nel caso di specie, le sanzioni amministrative pecuniarie risultano molto distanti dal minimo edittale previsto dagli articoli 187-ter e 187-quater t.u.f., giacche', rispetto ad una cornice edittale che spazia da un minimo di 20.000 Euro ad un massimo di 5.000.000 di Euro, e' stata applicata la sanzione di 600.000 Euro per (OMISSIS) e (OMISSIS) e di 100.000 Euro per (OMISSIS) e quella accessoria, ex articolo 187 quater t.u.f., della durata di quattro mesi per ciascuno dei primi due e di due mesi per il terzo. Le sanzioni penali inflitte non risultano assestate sul minimo edittale: a) per (OMISSIS) e (OMISSIS), tre anni di reclusione, 150.000 Euro di multa e la pena accessoria, ai sensi dell'articolo 186 t.u.f., dell'interdizione dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi delle persone giuridiche nonche' dell'incapacita' di contrattare con la pubblica amministrazione per tre anni; b) per l' (OMISSIS), due anni di reclusione, la multa di 50.000 Euro e pene accessorie per la durata di due anni. In tale contesto, poiche' la ritenuta proporzionalita' e' stata argomentata dalla Corte d'appello in termini non razionalmente controllabili, si propugna l'applicazione del metodo seguito da una recente sentenza di merito, che ha valorizzato l'articolo 187-terdecies t.u.f., previa conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, con applicazione delle modalita' di calcolo di cui all'articolo 135 c.p., o, in subordine, si prospetta questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 187 terdecies t.u.f, nella parte in cui non prevede un meccanismo di decurtazione della pena detentiva dalla sanzione amministrativa pecuniaria precedentemente inflitta, o ancora, la necessita' di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, per eventuali chiarimenti interpretativi con riferimento alla seguente questione: "se l'articolo 50 CDFUE osti alla possibilita' di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (insider trading) per cui il soggetto abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile, qualora di tale sanzione amministrativa non si sia tenuto adeguatamente conto nella complessiva commisurazione della pena irrogata all'esito del procedimento penale". 2.9. Con il nono motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 27 Cost., agli articoli 133, 114 e 62 bis c.p.; nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza e contraddittorieta' della motivazione con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sottolineando: a) che la sentenza impugnata non si era confrontata con i profili fattuali e giuridici richiamati nell'atto di appello, ne' aveva considerato che il Tribunale aveva assegnato rilievo all'"entita' non minimale del profitto lucrato" (criterio non menzionato dall'articolo 133 c.p.) e non aveva apprezzato la circostanza - riconosciuta dallo stesso primo giudice - che nessuno degli imputati aveva tratto dalla vicenda un profitto personale; b) che neppure erano stati considerati i puntuali argomenti devoluti, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'articolo 114 c.p., e comunque al contenimento della pena, in termini tali da consentire la concessione della sospensione condizionale della pena. 2.10. Con il decimo motivo si lamenta nullita', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all'articolo 187 undecies t.u.f.; nonche', ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza di motivazione, in relazione alle statuizioni civili. Si rileva che il riferimento dell'articolo 187 undecies t.u.f. al danno arrecato all'integrita' del mercato non puo', per la sua indeterminatezza, consentire di individuare un danno aquiliano ed evoca l'astratto concetto di offesa al bene giuridico protetto dalle disposizioni incriminatrici, finendo per confondere e sfocare i piani della compensazione e della sanzione, con conseguente individuazione di un terzo binario schiettamente repressivo e incidenza sul tema della proporzionalita' della risposta dell'ordinamento all'illecito. L'alternativa interpretativa proposta e' quella di cogliere nella previsione del t.u.f. il rilievo assegnato ad un danno all'immagine della Consob, in ragione della percezione, da parte dei consumatori, dell'efficacia dell'azione dell'autorita' di vigilanza: profili, tuttavia, in relazione ai quali manca ogni allegazione o prova delle quali era onerata la parte civile. In via subordinata, si prospetta violazione di legge, in relazione alla determinazione del quantum, con riferimento tanto alla valorizzazione della potenziale plusvalenza anziche' all'utile effettivo, quanto alla mancata considerazione dei restanti criteri previsti dalla norma. 3. Sono state depositate memoria nell'interesse della parte civile Consob, memoria del P.G. e memoria di replica nell'interesse degli imputati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' infondato. Va premesso che i vizi di motivazione indicati dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05). Cio' posto, la questione sollevata sotto il profilo della violazione di legge impone di considerare la cornice di riferimento nella quale si e' sviluppata la giurisprudenza di Strasburgo, muovendo proprio dalle indicazioni della sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia del 15/11/2016 che, per l'autorevolezza della fonte, consente di cogliere il fine garantistico perseguito e di illuminare il significato dei presupposti alla cui ricorrenza e' subordinata la compatibilita' del doppio binario sanzionatorio con le prescrizioni dell'articolo 4 del Protocollo n. 7. In particolare, la Grande Camera, chiarito che siffatte prescrizioni non precludono la possibilita' di irrogare sanzioni all'esito di procedimenti distinti, ha sottolineato la necessita' che questi ultimi siano uniti da un "nesso materiale e temporale sufficientemente stretto" e ha aggiunto: "Questo significa non solo che gli scopi perseguiti e i mezzi utilizzati per raggiungerli devono essere in sostanza complementari e presentare un nesso temporale, ma anche che le eventuali conseguenze derivanti da una tale organizzazione del trattamento giuridico del comportamento in questione devono essere proporzionate e prevedibili per la persona sottoposta alla giustizia" (par. 130). Per quanto concerne la connessione materiale, la Grande Camera ha specificato (par. 132) che occorre verificare: a) se i diversi procedimenti perseguano scopi complementari e riguardino in tal modo, non soltanto in abstracto ma anche in concreto, aspetti diversi dell'atto pregiudizievole; b) se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanziona'to (idem); c) se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie a una interazione adeguata tra le diverse autorita' competenti, facendo apparire che l'accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti e' stato ripreso nell'altro; d) soprattutto, se la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell'ambito del procedimento che si e' concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull'interessato un onere eccessivo, rischio, quest'ultimo, che e' meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l'importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato. Il concorrente e altrettanto importante requisito della connessione temporale viene esaminato nel par. 134 della sentenza citata, laddove si chiarisce che esso non richiede che i due procedimenti debbano essere condotti simultaneamente dall'inizio alla fine, giacche' "lo Stato deve avere la facolta' di scegliere che i due procedimenti siano condotti progressivamente se tale procedura e' giustificata da un intento di efficacia e di buona amministrazione della giustizia, persegue finalita' sociali diverse e non causa un pregiudizio sproporzionato all'interessato. Tuttavia, come e' stato gia' precisato, deve esservi sempre un nesso temporale. Quest'ultimo deve essere sufficientemente stretto affinche' la persona sottoposta alla giustizia non si trovi in preda all'incertezza e a lungaggini e affinche' i procedimenti non si protraggano troppo nel tempo (si veda, come esempio di lacuna di questo tipo, Kapetanios e altri, sopra citata, § 67), anche nell'ipotesi in cui il regime nazionale pertinente preveda un meccanismo "integrato" che comporti un elemento amministrativo e un elemento penale diversi. Quanto piu' il nesso temporale e' debole, tanto piu' lo Stato dovra' spiegare e giustificare le lungaggini di cui potrebbe essere responsabile nel condurre i procedimenti". La Grande Camera sottolinea, inoltre, la necessita' di valutare se le sanzioni non formalmente penali non siano riconducibili al "nucleo essenziale" del diritto penale, poiche', "se, a titolo supplementare, tale procedimento non ha carattere veramente infamante, vi sono meno possibilita' che faccia gravare un onere sproporzionato sull'accusato" (par. 133). La correlazione tra il requisito della connessione temporale e l'onere rappresentato per l'interessato dalla sottoposizione ad una pluralita' dei procedimenti emerge anche nell'ambito della giurisprudenza Eurounitaria (v., ad es., il par. 53 della sentenza 20/03/2018, Menci, C-524/15, laddove si legge che e' necessaria "l'esistenza di norme che garantiscano una coordinazione finalizzata a ridurre a quanto strettamente necessario l'onere supplementare che un siffatto cumulo comporta per gli interessati"). Senza ripercorrere in modo analitico puntualizzazioni estranee alla questione sollevata con il primo motivo, e' qui sufficiente considerare che la Corte costituzionale ha recepito tale quadro giurisprudenziale (v., in particolare, i punti 6 e 7 del Considerato in diritto della sentenza 02/03/2018, n. 43; la tematica e' stata poi ripresa da Corte Cost. 24/10/2019, n. 222, nel par. 2.1. del Considerato in diritto). In tale contesto, poiche' il fine della connessione temporale e' quello di evitare al destinatario l'onere della sottoposizione ad una pluralita' di procedimenti, appare evidente che un riferimento astratto al momento della eseguibilita' della sanzione non ha fondamento, potendo dipendere da una pluralita' di fattori (anche correlati a scelte processuali dell'interessato: e, infatti, si veda il cenno in tale senso nel par. 151 della sentenza A. e 8. c. Norvegia; nella giurisprudenza interna, si veda la considerazione svolta da Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - 01, al punto 3 del Considerato in diritto, quanto alla scelta del destinatario di non impugnare la sanzione amministrativa) che non implicano di per se' una mancanza di coordinamento - nei meccanismi processuali, come nella loro concreta applicazione - idonea a incidere sulla posizione del destinatario. Non casualmente la sentenza della Corte Europea 8 ottobre 2020, Bareie c. Croazia, dopo avere ripercorso le coordinate interpretative della ricordata sentenza A. e 8. c. Norvegia, attribuisce rilievo, nel par. 45 della motivazione, alla data di inizio del procedimento amministrativo e di quello penale, aggiungendo che quest'ultimo, dopo essere avanzato parallelamente al primo per quattordici mesi, era proseguito per altri sei anni e dieci mesi. E questa circostanza, secondo la Corte di Strasburgo, non ha comportato in se' un venir meno del requisito della connessione temporale, in quanto il piu' ampio periodo richiesto dal procedimento penale non poteva essere considerato sproporzionato, abusivo o irragionevole, alla luce della maggiore complessita' di quest'ultimo. Il che introduce anche il tema della rilevanza del corredo di garanzie che accompagnano la verifica dell'attribuibilita' di un reato ad un soggetto. In questa linea interpretativa si e' collocata Sez. 3, n. 4439 del 14/01/2021, Cella, non massimata, secondo la quale il requisito della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta va valutato prendendo le mosse proprio dal momento di avvio dei procedimenti "i quali, essendo governati da regole e principi affatto diversi, hanno necessariamente tempi di definizione non coincidenti, anche in regione delle differenti modalita' di formazione ed acquisizione della prova e dei mezzi di impugnazione previsti nei rispettivi ordinamenti". A identiche conclusioni sul punto e' giunta Sez. 2, n. 5048 del 09/12/2020 - dep. 09/02/2021, Russo, Rv. 280570 - 0, che ha assegnato rilievo appunto alla data di avvio dei procedimenti. Certamente, come si vedra' subito infra, il dato iniziale non esaurisce l'oggetto della valutazione, ma ne rappresenta un momento fondamentale proprio in ragione della specifica esigenza di garanzia che la norma, cosi' come interpretata dalla giurisprudenza, mira ad assicurare al destinatario di essere esposto indefinitamente a procedimenti aventi ad oggetto lo stesso fatto. I ricorrenti invocano a sostegno delle loro doglianze la sentenza 18/05/2017, Jóhannesson e altri c. Islanda, che, tuttavia, pur operando un cenno al momento in cui la sanzione amministrativa era divenuta eseguibile, effettua un'analisi molto piu' articolata, nel quale assume significato decisivo il lasso temporale intercorso tra la data in cui si era concluso il procedimento amministrativo (settembre 2007) e quella in cui si era esaurito il processo penale (febbraio 2013), senza che, da parte del Governo, fossero fornite spiegazioni e giustificazioni del ritardo (par. 54 della sentenza). La sentenza 16/04/2019 Bjarni Armannsson c. Islanda, anch'essa invocata dai ricorrenti, attribuisce rilievo al lasso di tempo intercorso tra la conclusione del procedimento amministrativo (agosto 2012) e il momento della formalizzazione dell'accusa (dicembre 2012). Peraltro, la lettura della giurisprudenza di Strasburgo, come ricordato da Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019 - dep. 03/03/2020, Genco, Rv. 278054 - 01, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale (22/07/2011, n. 236; 26/03/2015, n. 49), impone di considerare la vocazione casistica dei suoi interventi decisori, legati alla situazione concreta esaminata e del loro flusso continuo di produzione in riferimento ad una pluralita' e varieta' di corpi legislativi di riferimento. In tale contesto, diviene decisivo rilevare, muovendo dalla cornice garantistica della sentenza della Grande Camera A. e B. c. Norvegia, che il coordinamento temporale nella presente vicenda e' stato assicurato dal momento: a) che i due procedimenti hanno preso le mosse in momenti sostanzialmente coincidenti e si sono svolti in parallelo; b) che la pronuncia della Corte d'appello di Bologna, nel procedimento di opposizione alla sanzione amministrativa, e' stata depositata il 29/10/2013, laddove la sentenza di primo grado in sede penale e' del.12/11/2015, mentre quella di secondo grado e' del 15/01/2019 e segue di poco piu' di un anno la decisione di questa Corte del 16/10/2017, con riferimento al tema della sanzione amministrativa. Il ricorso dinanzi alle sezioni penali della Corte e' giunto in data 09/07/2019 ed e' stato deciso nell'aprile del 2021 per effetto delle misure adottate a seguito del diffondersi della pandemia. Prima di trarre le conclusioni di sintesi sul motivo, occorre poi ribadire, con Sez. 5, n. 49869 del 21/09/2018, Chiarion Casoni, Rv. 274604 - 0, che le sanzioni amministrative comminate per l'abuso di informazioni privilegiate non sono riconducibili al "nucleo duro" del diritto penale (ossia non si presentano come connotate da particolare attitudine stigmatizzante). La giurisprudenza costituzionale ha invero messo in luce come la riconducibilita' di una sanzione formalmente amministrativa alla materia penale secondo i canoni convenzionali non comporti la riferibilita' tout court a detta sanzione dell'apparato di garanzie proprio della sanzione penale in senso stretto: infatti, "cio' che per la giurisprudenza Europea ha natura "penale" deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la "materia penale"; mentre solo cio' che e' penale per l'ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna", non essendo precluso al legislatore interno il riconoscimento di determinate garanzie al (solo) "nucleo piu' incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, qualificato come tale dall'ordinamento interno" (Corte Cost. 24/02/2017, n. 43). In ultima analisi, ritiene la Corte che le garanzie procedurali dirette ad assicurare il piu' ampio svilupparsi del contraddittorio e l'esistenza di una correlazione (sulla questione generale, si veda il par. 57 della sentenza della Corte di giustizia 20/03/2018, Garlsson Real Estate Sa, C-537/16) sul piano probatorio (nei termini che verranno chiariti nell'esame del secondo motivo e, pertanto, nei limiti assicurati dalla legittima acquisizione del materiale istruttorio raccolto in sede amministrativa), puntualmente sottolineata anche dalla sentenza impugnata, consentano di escludere che il contemporaneo svolgersi dei due procedimenti abbia pregiudicato la garanza assicurata dalla regola del ne bis in idem al destinatario dell'attivita' statale di non essere esposto ad un peso eccessivo, in dipendenza dell'assenza di una unica risposta sanzionatoria. Le questioni legate alla proporzionalita' della risposta sanzionatoria verranno affrontate nell'esame dei motivi che le investono direttamente. 2. Il secondo motivo e', nel suo complesso, infondato. E' certamente esatto che la correlazione procedimentale non puo' tradursi in un arretramento delle garanzie che esprimono l'attuazione dei principi del giusto processo, quali codificati nell'articolo 111 Cost., e nell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. La ricostruzione del principio del ne bis in idem e, in particolare, l'esigenza sopra ricordata di evitare, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova intende assicurare un'ulteriore garanzia al destinatario delle iniziative sanzionatorie e non aggravarne la posizione, suggerendo o imponendo scorciatoie probatorie sottratte al contraddittorio. Ora, l'articolo 220 disp. att. c.p.p., pone senz'altro una generale questione di inutilizzabilita' dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attivita' ispettive o di vigilanza, ove, s'intende, l'inutilizzabilita' o la nullita' dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'articolo 220 disp. att. rimanda (Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016 - dep. 13/02/2017, Pelini, Rv. 269299 - 01; Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 274131 - 0). Cosi' la norma indicata solleva un problema - che e' devoluto attraverso il motivo di ricorso - di utilizzazione a fini probatori di dichiarazioni raccolte nel procedimento - del quale si assume la necessaria correlazione con quello anche formalmente penale - al di fuori del contraddittorio. A proposito delle relazioni ispettive della Consob, questa Corte ha reiteratamente precisato (Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 - dep. 29/01/2013, Dall'Aglio, Rv. 254325 - 0), che hanno natura documentale rispetto ai dati oggettivi in essa rappresentati (Sez. 6, n. 10996 del 17/02/2010, Vanacore, Rv. 246686; Sez. 5, n. 14759 del 02/12/2011, Fiorani, Rv. 252300). Per vero, siffatte decisioni si preoccupano principalmente di escludere la rilevanza delle valutazioni rispetto ai dati oggettivamente rilevati. E, tuttavia, occorre considerare che il documento rappresentativo di un atto descrittivo o narrativo puo' fungere da prova soltanto qualora la dichiarazione documentata rilevi di per se' come fatto storico, e non esclusivamente come rappresentazione di un fatto, poiche' in tale ultima ipotesi, essa va acquisita e documentata nelle forme del processo, risultando altrimenti violato il principio del contraddittorio (Sez. 2, n. 29645 del 14/09/2020, D'Annibale, Rv. 279857 01). In tali casi, come chiarito piu' volte da questa Corte (Sez. 3, n. 3397 del 23/11/2016 - dep. 24/01/2017, Macor Rv. 269180 - 01; Sez. 1, n. 12305 del 15/01/2020, Gagliardi, Rv. 278696 - 0), non si tratta di negare la natura documentale dell'atto, giacche', secondo quanto precisato da Corte Cost. 30/03/1992, n. 142, l'articolo 234 c.p.p., nel consentire l'acquisizione nel processo come prove documentali "di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo", identifica e definisce il documento - cosi' come precisato nella Relazione al progetto preliminare del nuovo codice - "in ragione della sua attitudine a rappresentare". E cio' senza discriminare tra i diversi mezzi di rappresentazione e le differenti realta' "rappresentate" e, in particolare, senza operare distinzioni tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni, con la conseguenza che, in linea di principio, puo' costituire prova documentale, e, come tale, puo' trovare ingresso nel processo penale, qualsiasi documento che riproduca, unitamente ad altri dati, dichiarazioni di scienza. Ma la natura e l'attitudine del documento a rappresentare sono cosa diversa dal contenuto della dichiarazione incorporata nel documento stesso e percio' dovendosi, secondo una accreditata impostazione dottrinale, distinguere tra il contenuto e il contenente, ossia tra il documento e la dichiarazione. D'altro canto, dall'articolo 111 Cost., comma 4, si trae il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'autore della dichiarazione, anche se essa e' contenuta in un documento. E, tuttavia, la doglianza finisce per risultare inammissibile, in quanto, attraverso un'astratta descrizione delle caratteristiche tipologiche delle fonti utilizzate dalla relazione Consob e senza considerare la documentazione presente presso le societa' coinvolte e le registrazioni degli ordini di acquisto (che pure, per quanto emerge dalla sentenza di primo grado, e' entrata a far parte del materiale probatorio), si sottrae all'onere di specificita' che deve caratterizzare il ricorso. Questa Corte ha ripetutamente chiarito, a partire da Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 - 01, che, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato. E siffatta conclusione va apprezzata soprattutto con riferimento alle considerazioni che verranno svolte di seguito, nell'esame del quarto motivo, a proposito del contenuto dell'informazione privilegiata della quale si tratta - ossia dell'individuazione del thema probandum-, la cui precisione, puo' sin da ora anticiparsi, non puo' essere fatta discendere dall'avveramento delle condizioni che avrebbero condotto allo specifico finanziamento infine sottoscritto il 14/04/2008. 3. Per ragioni di economia espositiva, e' opportuno esaminare il terzo motivo, dopo l'analisi del quarto, del quinto, del sesto e del settimo, che investono la stessa individuazione degli elementi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie e la cui valutazione consentira' di riprendere in termini maggiormente documentati la questione della piattaforma probatoria utilizzata e dell'emersione dei profili di responsabilita' dei vari imputati. 4. In particolare, il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, pongono la questione, assolutamente preliminare, del carattere di precisione che deve rivestire l'informazione privilegiata il cui abuso, nel compimento delle operazioni descritte dall'articolo 184, comma 1, lettera a), del t.u.f. e' stato contestato agli imputati. Come ribadito dalla Corte di Giustizia con la sentenza 28/06/2012, Markus Geltl c. Daimler A.G., C-19/11, a proposito dell'interpretazione da dare all'articolo 1, punto 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, l'"informazione privilegiata" va intesa come "un'informazione che ha un carattere preciso, che non e' stata resa pubblica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o piu' emittenti di strumenti finanziari o uno o piu' strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi". Il 3 considerando della direttiva 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalita' di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, sottolinea che "occorre accrescere la certezza del diritto per i partecipanti al mercato, definendo in modo piu' preciso due degli elementi essenziali della definizione di informazione privilegiata, ossia il carattere preciso dell'informazione e l'importanza del suo impatto potenziale sui prezzi degli strumenti finanziari o degli strumenti finanziari derivati connessi". Proprio siffatto considerando illumina la lettura dell'articolo 1, par. 1, della direttiva 2003/124, secondo il quale un'informazione ha carattere preciso qualora siano soddisfatti due requisiti cumulativi: a) da un lato, l'informazione deve riferirsi ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verra' ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verifichera'; b) dall'altro, essa deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi degli strumenti finanziari o di strumenti finanziari derivati ad essi connessi. Poiche' le nozioni di "complesso di circostanze" e di "evento" non sono definite in tale direttiva, occorre, secondo la Corte di Giustizia, fare riferimento al loro significato comune. Ora, secondo la sentenza in esame, una fase intermedia di una fattispecie a formazione progressiva (vengono menzionate, traendole dalle esemplificazioni di cui all'articolo 3, par. 1, della direttiva 2003/124, le negoziazioni in corso nonche' le decisioni adottate o i contratti conclusi dall'organo direttivo di un emittente, la cui efficacia sia subordinata all'approvazione di un altro organo dell'emittente) puo' essa stessa costituire un complesso di circostanze o un evento secondo il significato comunemente attribuito a tali espressioni. Tale conclusione e' rafforzata dalla considerazione - sulla quale si avra' modo di tornare a proposito della rilevanza penale del cd. insider di stesso - per la quale la direttiva 2003/6 ha lo scopo, come in particolare ricordato nei suoi considerando 2 e 12, di assicurare l'integrita' dei mercati finanziari dell'Unione e di accrescere la fiducia degli investitori in tali mercati. Tale fiducia riposa, in particolare, sul fatto che essi saranno posti su un piano di parita' e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate e le manipolazioni dei prezzi di mercato. In definitiva, un'informazione relativa ad una fase intermedia che si iscrive in una fattispecie a formazione progressiva puo' rappresentare un'informazione avente carattere preciso, con la puntualizzazione che siffatta interpretazione non vale soltanto per le fasi che esistono gia' o che si sono gia' prodotte, bensi' riguarda anche, conformemente all'articolo 1, par. 1, della direttiva 2003/124, le fasi di cui si puo' ragionevolmente ritenere che esisteranno o che si verificheranno. D'altra parte, l'informazione deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento sui prezzi degli strumenti finanziari in questione. Soprattutto esaminando la seconda questione pregiudiziale che le era stata sottoposta la Corte di giustizia ha osservato, sempre alla luce della finalita' di tutela dell'integrita' del mercato finanziario e di accrescere la fiducia degli investitori, che, impiegando l'espressione "si possa ragionevolmente ritenere", l'articolo 1, par. 1, della direttiva 2003/124 ha riguardo alle circostanze e agli eventi futuri di cui appare, sulla base di una valutazione globale degli elementi gia' disponibili, che vi sia una concreta prospettiva che essi verranno ad esistere o che si verificheranno. La ricostruzione della Corte di giustizia appare fondamentale per intendere il significato della nozione di informazione privilegiata, quale recepita, all'epoca dei fatti, nell'articolo 181 t.u.f. e oggi codificata nell'articolo 7, par. da 1 a 4 del regolamento (UE) n. 596/2014 del 16/04/2014 cui rinvia l'attuale articolo 180, comma 1, lettera b ter t.u.f. In particolare, il ricordato articolo 181 t.u.f. disponeva, per quanto ora rileva: 1. Ai fini del presente titolo per informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non e' stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o piu' emittenti strumenti finanziari o uno o piu' strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. 3. Un'informazione si ritiene di carattere preciso se: a) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verra' ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verifichera'; b) e' sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari. 4. Per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari si intende un'informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento. L'informazione - dotata dei ricordati caratteri di precisione - deve riguardare, direttamente o indirettamente, uno o piu' emittenti o strumenti finanziari o piu' strumenti finanziari e deve essere tale, ove fosse resa pubblica, da influire in modo sensibile sul prezzo di tali strumenti. E' in tale cornice di riferimento che i giudici di merito nel presente processo hanno svolto le loro valutazioni, ancorandole non a meri soggettivi propositi confinati nel foro interno dei protagonisti, ma a solidi dati oggettivi. Questi ultimi sono razionalmente rappresentati non - all'evidenza - dallo specifico processo decisionale che ha condotto all'approvazione, prima, e alla stipulazione, dopo, del finanziamento che ha sostenuto l'OPA (giacche' in tal caso, l'operazione finale sarebbe stata individuabile in termini di sostanziale certezza), ma da una serie di passaggi operativi che, indipendentemente dallo specifico contenuto di questa o quella riunione, sono apparsi rappresentare l'attuazione del progetto di delisting che, suggerito alla proprieta' gia' nel 2007, era stato approfondito, in relazione agli aspetti societari e fiscali, ed era stato reso improcrastinabile dall'accordo concluso, nel dicembre dello stesso anno, con il gruppo brasiliano (OMISSIS). Il permanere, anche dopo quest'ultima operazione, del cd. holding discount, nonostante la significativa riduzione dell'indebitamento consolidato per circa trecento milioni di Euro, e lo svolgersi di trattative in un contesto nel quale il dinamismo operativo rivelato dalla pluralita' di controparti bancarie contattate in brevissimo periodo dimostra la ferma determinazione di giungere al risultato dell'OPA (questo essendo l'evento futuro oggetto dell'informazione privilegiata e non la concretizzazione - in un modo o nell'altro - delle modalita' negoziali del correlato finanziamento) rende del tutto prevedibile l'evento stesso, nei termini richiesti dall'articolo 181 t.u.f. all'epoca vigente. Soprattutto, va segnalato - e la circostanza verra' ripresa nel prosieguo - che la prospettiva dell'OPA era certamente idonea ad influenzare il corso dei titoli, come confermato dal fatto - sottolineato anche dalla sentenza di primo grado -, che nella seduta di borsa del 31/03/2008, successiva alla diffusione del comunicato nel quale era annunciata la promozione dell'OPA al prezzo di 3,00 Euro, si era registrato un incremento del prezzo delle azioni da 2,63 Euro a 2,97 Euro e una mole di scambi dimostrativa dell'eccezionale rilievo attribuito dal mercato alla notizia. Si tratta di esiti coerenti con l'ordinario andamento del mercato e il rilievo ordinariamente price sensitive della comunicazione di un'OPA, secondo quanto riferito dal teste (OMISSIS). Dalle superiori considerazioni che identificano il thema demonstrandum discende l'infondatezza, nel loro complesso, delle critiche sviluppate nel quarto motivo, le quali tutte ruotano attorno alla tesi - non condivisibile - per la quale si sarebbe dovuto avere riguardo al momento in cui era divenuta di ragionevole verificazione la sub-condizione dell'evento - finanziamento non accompagnato dalla costituzione del pegno sul pacchetto di maggioranza. In tale contesto, sono del tutto generiche le critiche rivolte con il quarto motivo alla sentenza impugnata, laddove quest'ultima sottolinea, alla luce del testo di una email inoltrata da (OMISSIS) di (OMISSIS) Group a (OMISSIS) ((OMISSIS)) e Cesare Buzzi ((OMISSIS) Group), che era (OMISSIS) a scegliere i propri finanziatori e non viceversa, proprio per la caratura del gruppo. Ma soprattutto le doglianze finiscono per confrontarsi con il dato che le garanzie potevano essere realizzate anche in modi diversi - infatti puntualmente riscontrati nel caso concreto - attraverso garanzie costituite sulle societa' controllate. Ma v'e' di piu'. Il dubbio ragionevole di cui all'articolo 530 c.p.p., comma 1, deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilita' nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalita', ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430). Nel caso di specie, l'ipotesi che gli acquisti dei titoli incriminati siano da ricondurre ad una scelta di investimento fondata sulle ragionevoli previsioni degli analisti e' stata razionalmente smentita dalle sentenze di merito, alla luce dei seguenti dati, da leggere, per le ragioni che si diranno, in termini unitari: a) il fatto che la media dei prezzi ufficiali nel mese di dicembre 2007 (2,43 Euro ad azione), ossia nel periodo in cui e' stato richiesto il finanziamento attraverso il quale si sarebbero realizzati gli acquisti incriminati, non si discostava dalla media dei prezzi del 2007 (2,46 Euro) ed era persino maggiore della media del secondo semestre (2,27 Euro), confermando l'assenza di una particolare convenienza dell'acquisto; b) la repentinita' e aggressivita' degli acquisti (emergente in modo eloquente dalle conversazioni registrate e valorizzate in particolare dalla sentenza di primo grado), sostenuti da un finanziamento di ben ventuno milioni e mezzo di Euro (del tutto irragionevole in relazione alle caratteristiche del mercato, ossia al limitato volume delle azioni disponibili rispetto alla disponibilita' all'acquisto) e iniziati in fretta, quando ancora la (OMISSIS) non disponeva di un conto titoli presso Banca Akros, al punto che li aveva fatti acquistare dalla banca per poi rilevarli successivamente fuori mercato; c) l'abbandono del programma a misura che si avvicinava la fine del percorso di allestimento dell'OPA; d) la correlazione temporale tra il lancio operativo delle trattative per la ricerca del finanziamento funzionale all'OPA e gli acquisti in esame. E, come si accennava, siffatta valutazione delle risultanze istruttorie risponde al fondamentale canone valutativo che deve guidare il giudice nell'apprezzamento dei risultati probatori e che gli impone l'esame di tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in se' e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verita' processuale, ossia la verita' del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv. 260071). D'altra parte, tramite gli acquisti effettuati tra il 09/01 e il 20/02/2008 la (OMISSIS) ha conseguito una plusvalenza, costituita dalla differenza tra il prezzo di acquisto dei titoli e il costo che essi avrebbero avuto in seno all'OPA, di 1.357.959 Euro. Il valore di 138.000 Euro rappresenta l'utile contabile, in quanto la (OMISSIS), nell'aprile del 2008, aveva poi ceduto le azioni acquistate alla societa' chiamata ad porre in essere l'OPA (la (OMISSIS) Investimenti) al prezzo "definito internamente al gruppo" di 2,34 Euro ad azione. Ma il fatto che il profitto si sia esaurito nella dimensione economica di gruppo non elide l'imponente valore sottratto al mercato attraverso le vendite aggressive delle quali s'e' detto e che rappresenta a posteriori ulteriore elemento di conferma logica della ricostruzione operata dai giudici di merito. 5. Il sesto motivo e' infondato. Va premesso che, secondo quanto osservato dalla dottrina che si e' occupata dell'ermeneutica (in generale e giuridica in particolare), oggetto dell'interpretazione, per l'inevitabile vaghezza o ambiguita' di senso delle singole parole, e' l'enunciato (nella specie, normativo) considerato nel suo insieme e non la somma dei singoli termini che lo compongono. E, infatti, l'articolo 12 preleggi chiarisce che, nell'applicare la legge, non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore. Ne discende, sul piano metodologico, che la connessione delle singole parole orienta l'interpretazione, al pari della finalita' perseguita dal legislatore, nei limiti in cui, s'intende, essa si sia obiettivata nella formula normativa. E, infatti, come ribadito dalla gia' ricordata sentenza Sez. U., n. 8544 del 24/10/2019, Genco, l'interpretazione non deve varcare la "linea di rottura" col dato positivo ed evadere da questo e solo in questi limiti assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto e della latitudine applicativa della norma e assolve sostanzialmente una funzione integrativa della medesima. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha sottolineato (vedi, ad es., ord. 21/12/2018, n. 243) che il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall'articolo 25 Cost., comma 2, assume una duplice direzione, perche' non si limita a garantire, nei riguardi del giudice, la conformita' alla legge dell'attivita' giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma assicura a chiunque "una percezione sufficientemente chiara ed immediata" dei possibili profili di illiceita' penale della propria condotta. D'altra parte, l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del principio di determinatezza, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice - avuto riguardo alle finalita' perseguite dall'incriminazione ed al piu' ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato, permettendo, al contempo, al destinatario della norma, di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo (Corte Cost. 20/12/2019, n. 278). Ora, in tal modo precisato l'ambito entro il quale l'attivita' interpretativa deve svolgersi, si osserva che l'informazione altro non e' se non insieme di dati descrittivi della realta'; il termine puo' anche indicare l'attivita' di raccolta e trasmissione delle informazioni, ma siffatta componente dinamica non elide la componente statica sopra ricordata (e, in questi termini, si e' espressa questa Corte, con la sentenza n. 24310/2017, sopra citata, nel parallelo procedimento avente ad oggetto le sanzioni amministrative irrogate in relazione alla medesima vicenda; nello stesso senso, si veda anche, sempre della Cassazione civile, Sez. 2 n. 8782 del 12/05/2020, Rv. 657699 - 02). Invero, l'esigenza espressa dalla doglianza - ossia escludere che possa configurarsi il possesso di rappresentazioni proprie - e' frutto di una scelta di valore e non il risultato di una considerazione del significato proprio del termine, anche isolatamente considerato. E basti pensare al fatto che in astratto e' difficilmente dubitabile che possa qualificarsi come una informazione la conoscenza che l'omicida abbia del luogo in cui ha occultato il cadavere. E riprova dell'uso del termine "informazione" da parte del legislatore nel senso qui recepito si trae, ad es., dalla giurisprudenza in tema di applicazione dell'articolo 316 ter c.p., laddove si e' ritenuto che e' configurabile il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche e non quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (articolo 640 bis c.p.) in una vicenda in cui all'imputato era contestata solamente la mancata comunicazione all'I.N.P.S. del proprio trasferimento all'estero, fatto implicante la perdita del diritto all'assegno sociale (Sez. 2, n. 47064 del 21/09/2017, Virga, Rv. 271242 - 01): e' chiaro in questo caso che il termine "informazione" utilizzato dal legislatore indica sia la comunicazione che il dato di conoscenza, ancorche' quest'ultimo sia rappresentativo di una realta' prodotta dal medesimo soggetto obbligato. Certamente come dato di conoscenza e' usato il termine nella fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 371 bis c.p., o nel successivo articolo 375 c.p.. Peraltro, a conforto della tesi qui accolta, va osservato che era piuttosto la L. 17 maggio 1991, n. 157, articolo 2, comma 1, a sanzionare il compimento di operazioni su valori mobiliari, qualora l'autore fosse in possesso di informazioni riservate ottenute in virtu' della partecipazione al capitale di una societa' ovvero in ragione dell'esercizio di una funzione, anche pubblica, professione o ufficio. La circostanza che poi che nella costruzione dell'illecito penale rilevino ordinariamente vicende di trasmissione o di mancata trasmissione di informazioni attiene al carattere relazionale del diritto e alla normale irrilevanza della mera conoscenza di notizie. Quanto poi alla tesi difensiva secondo la quale l'elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice che viene in rilievo nel presente processo non sarebbe integrato se il soggetto genera l'oggetto - notizia perche' in tal caso la causa del conoscere dipende dall'agire e dal pensare e non dall'appartenenza alle categorie soggettive indicate dal legislatore nel delineare la fattispecie incriminatrice, si osserva: a) che, a fronte del carattere polisenso del termine "informazione", essa conferma la necessita' di rendere oggetto dell'interpretazione l'enunciato normativo nella sua interezza; b) che, per il resto, la conclusione e' fondata su un argomento non condivisibile, dal momento che - e sul punto si avra' modo di tornare subito infra - l'essere in possesso di informazioni "in ragione" di determinati ruoli, partecipazioni o attivita', ai sensi dell'articolo 184, comma 1, t.u.f. non orienta in alcun modo l'interprete verso una alterita' tra fonte produttiva del fatto conosciuto e soggetto titolare dell'informazione. In realta', e' solo considerando la finalita' perseguita dalla normativa Eurounitaria e dal legislatore interno che si trae l'unico significato ragionevole e perfettamente aderente alla lettera della previsione. L'obiettivo dell'intervento normativo, come si e' sopra osservato, e' quello di garantire l'integrita' dei mercati finanziari dell'Unione e di accrescere la fiducia degli investitori in tali mercati, assicurando che questi ultimi siano posti su un piano di parita' e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate e le manipolazioni dei prezzi di mercato. E allora, in un'economia di mercato, e' del tutto ragionevole che non sia configurato un "abuso" di informazioni privilegiate quando la condotta rappresenti la mera attuazione di una decisione economica dell'operatore, ossia, per utilizzare l'espressione contenuta nel 30 considerando della direttiva 2003/6 sopra citata, quando venga in rilievo la realizzazione della preliminare decisione di acquisizione o la cessione di strumenti finanziari (regola oggi contenuta nell'articolo 9.5 del regolamento (Ue) n. 596/2014 del 16/04/2014 relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato). Ma tale non e' il caso che viene in rilievo nel presente processo, dal momento che altro e' la decisione di procedere ad un'OPA, altro e' il rastrellamento - operato con le caratteristiche sopra ricordate - dei titoli, una volta assunta la decisione menzionata e iniziate le trattative per definirne le modalita' operative e prima che essa divenisse di pubblico dominio, provocando le indicate alterazioni del corso dei titoli, al fine di lucrare il differenziale di prezzo. In siffatta vicenda non emerge affatto lo sfruttamento di una mera decisione interna, ma una condotta che, rispetto ad un progetto ormai ragionevolmente prevedibile come destinato ad essere attuato, mira ad alterare la condizione di parita' degli investitori, consentendo di conseguire prezzi di acquisto non altrimenti piu' ottenibili. In altri termini, l'informazione sfruttata non coincide genericamente con un mero proposito dell'agente, ma ha ad oggetto un insieme di circostanze quantomeno di ragionevole verificazione e sufficientemente specifiche da poter influire sui prezzi dei valori oggetto dell'attivita' negoziale dell'autore. E la condotta descritta dalla norma e' assolutamente comprensibile e prevedibilmente determinata proprio attraverso il ricordato carattere della precisione. In queste vicende - e una volta intese nei sensi sopra ricordate le indicazioni del 30 considerando della direttiva 2003/6 (come pure dell'articolo 9.5 del regolamento (Ue) n. 596/2014) - risulta non adeguatamente calibrata la tesi secondo cui il riferimento della disciplina legale (articolo 184, comma 1, t.u.f.) alla qualita' soggettiva dell'agente dovrebbe imporre di distinguere quei soggetti che possiedono un'informazione privilegiata per averla, loro stessi, creata o elaborata e che la impiegano al fine di migliorare le condizioni attuative del fatto gestionale che ne costituisce l'oggetto, dalla piu' ampia categoria degli insider, che sfruttano in maniera parassitaria l'informazione agevolmente appresa, sottraendosi cosi' dal paradigma rischio-rendimento, intrinseco in ogni operazione di negoziazione. Avendo come punto di riferimento non generali scelte assiologiche, ma la esplicita finalita' della normativa comunitaria e interna di garantire l'integrita' dei mercati e la parita' di condizione degli investitori, nei termini sopra ricordati, si osserva: a) che qui non viene in rilievo la creazione di un'informazione ma un'iniziativa non ancora nota al mercato (l'OPA) destinata ad essere, piuttosto, oggetto dell'informazione, la quale, in quanto abbia i ricordati caratteri della precisione, e' idonea, se nota, ad incidere sulle condizioni del mercato; b) che riconoscere che l'utilizzazione dell'informazione privilegiata serve a migliorare le condizioni attuative del fatto gestionale significa appunto riconoscere l'abuso di informazioni privilegiate, nel senso che la gestione del fatto gestionale sul mercato oggetto di regolamentazione avviene non in condizioni di parita' con gli altri operatori; c) che non si comprende per quali ragioni giuridicamente fondate, nell'ambito delle categorie soggettive delineate dall'articolo 184, comma 1, t.u.f., dovrebbero isolarsi soltanto coloro che sfruttino "parassitariamente" l'informazione. D'altra parte, e' appena il caso di osservare che a conclusioni contrarie non puo' condurre il fatto che altre previsioni normative facciano riferimento ad informazioni acquisite da soggetti terzi o informazioni riguardanti attivita' di terzi (come, ad es., secondo parte della dottrina, dovrebbe desumersi dal 25 considerando o dall'articolo 7.1, lettera d) del cit. reg. 596/2014). Ed infatti tali indicazioni normative non sono affatto incompatibili ne' sul piano letterale, ne' sul piano logico, ne' infine sul piano giuridico con le superiori considerazioni, giacche' investono specifiche ipotesi di abuso di informazioni privilegiate, che il legislatore comunitario identifica per chiarire alcune ipotesi rilevanti, senza per questo escluderne altre che ricadano nelle regole generali. In conclusione, la norma incriminatrice non punisce chi disponga di una mera posizione privilegiata derivante dalla possibilita' di meglio leggere, valorizzare, interpretare informazioni, ivi incluse quelle di pubblico dominio, delle quali disponga, ma colui che, come nel caso di specie, essendo a conoscenza, in ragione delle qualita' soggettive indicate dal legislatore, di eventi price sensitive nei termini sopra precisati, sfrutti siffatta conoscenza per operare in condizioni di disparita' con gli altri investitori, finendo per danneggiare un valore (la fiducia nella trasparenza dei mercati), che mira ad incentivare e a non scoraggiare l'afflusso e la circolazione dei capitali nell'interesse degli stessi imprenditori interessati al loro utilizzo per iniziative produttive. 6. L'individuazione dei connotati materiali e cronologici dell'aggressiva condotta di rastrellamento dei titoli della (OMISSIS) s.p.a da parte della (OMISSIS) s.r.l. prima della comunicazione della decisione di procedere all'OPA, una volta inquadrata la portata applicativa della fattispecie incriminatrice, consente di superare, anche ricordando quanto considerato supra sub 2 con un giudizio di infondatezza i dubbi sollevati nel terzo motivo. Deve aggiungersi, quanto al tema della responsabilita' di (OMISSIS) (sulla responsabilita' del figlio Vincenzo e dell' (OMISSIS), alla luce della qualita' operativa indicata e del tenore delle conversazioni e delle email indicate soprattutto nella sentenza di primo grado, non si coglie nel ricorso alcuna critica specifica), che la doglianza e' di assoluta genericita', rispetto ad un apparato motivazionale della sentenza che non valorizza la mera posizione dell'imputato, socio di controllo della (OMISSIS) s.p.a (della quale era anche presidente) e della (OMISSIS) s.r.l., ma il carattere macroscopico delle operazioni delle quali si tratta (da un lato, la decisione di procedere al delisting e le stesse questioni sorte per la scelta strategica di non costituire il pegno sul pacchetto di maggioranza della (OMISSIS) s.p.a., dall'altro la richiesta di un finanziamento di circa ventuno milioni di Euro e un'operazione di massiccia acquisizione di titoli), tali da rendere evidente la partecipazione, sul piano oggettivo e, per quanto si dira' subito infra, anche sul piano soggettivo, dell'imputato. 7. Infondato e' il settimo motivo. Premesso che la prova dell'elemento soggettivo puo' desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalita' esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, e' possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volonta' e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (v. in generale, Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01), si osserva che le considerazioni svolte supra a proposito della manifesta implausibilita' della spiegazione alternativa del rastrellamento delle azioni del quale si discute valgono a superare ogni dubbio quanto alla coscienza e volonta' degli imputati di operare illecitamente. Peraltro, che si trattasse di condotta idonea a presentarsi come palese manipolazione del mercato e' conclusione che trova conferma straordinaria nella percezione in diretta degli interlocutori della conversazione del 15/01/2008. Infine, del tutto irrilevante e' la questione del fallimento delle trattative inaugurate nel gennaio 2008, alla luce del sopra menzionato accertamento dei giudici di merito quanto al potere negoziale del quale il gruppo (OMISSIS) disponeva. 8. L'ottavo motivo e', nel suo complesso, infondato. Esso ripropone, sul piano della dimensione sanzionatoria, il tema del ne bis in idem, sopra affrontato con riguardo al profilo della connessione temporale dei procedimenti; profilo che non esaurisce la verifica unitaria demandata al giudice anche con riguardo all'aspetto della connessione materiale e in particolare alla valutazione della natura integrata della sanzione e proporzionata al disvalore del fatto (v., ad es., Sez. 2, n. 41007 del 22/5/2018, Bronconi, Rv. 274463 - 0; Sez. 3, n. 6993 del 22/9/2017, dep. 14/02/2018, Servello, Rv. 272588 - 0; Sez. 4, n. 12667 del 13/2/2018, Palmieri, Rv. 272533; Sez. 2, n. 9184 del 15/12/2016 - dep. 24/02/2017, Pagano, Rv. 269237 - 0). Questa Corte ha affrontato la questione, sulla scia della piu' volte ricordata sentenza A. e B. c. Norvegia, con Sez. 5, n. 49869 del 21/9/2018, Chiarion Casoni, Rv. 274604; Sez. 5, n. 45829 del 16/7/2018, Franconi, Rv. 274179; Sez. 5, n. 5679 del 19/11/2019, Erbetta, Rv. 275314; Sez. 5, n. 39999 del 15/04/2019, Respigo, Rv. 276963 - 0. Quest'ultima decisione, in particolare e per quanto qui rileva, ha ribadito, su un piano generale, che in tema di insider trading e ne bis in idem, la disapplicazione della disciplina penale potra' avere luogo soltanto nell'ipotesi in cui la sanzione amministrativa gia' inflitta in via definitiva sia strutturata in maniera e misura tali da assorbire completamente il disvalore della condotta ("coprendo" sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi e, in particolare, offrendo tutela complessivamente e pienamente adeguata e soddisfacente all'interesse protetto dell'integrita' dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), poiche' in tal caso il cumulo delle sanzioni risulta radicalmente sproporzionato e contrario ai principi sanciti dagli articoli 50 CDFUE e 4 Prot. n. 7 CEDU, come interpretati dalla giurisprudenza sovranazionale ed Eurounitaria sopra ricordata. Nel valutare la proporzionalita' della sanzione e' necessario tenere conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" previsto dall'articolo 187-terdecies t.u.f., secondo cui, quando per lo stesso fatto e' stata applicata a carico del reo o dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'articolo 187-septies, l'esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato e' limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'autorita' amministrativa. L'articolo 187-terdecies, pur essendo una norma dai limitati effetti, che risolve il problema del doppio binario sanzionatorio soltanto dal punto di vista della sanzione pecuniaria complessivamente irrogata, tuttavia dovra' essere tenuto in conto al momento di commisurare la pena pecuniaria in sede penale, una volta divenuta definitiva la sanzione pecuniaria amministrativa. Ovviamente, la rimodulazione del trattamento sanzionatorio dovra' essere compiuta mediante una verifica complessiva che attenga sia alla pena principale che alla confisca ex articolo 187 t.u.f. ed alle pene accessorie. In altri termini, al fine di procedere alla valutazione sul rapporto tra afflittivita' globale della sanzione integrata e disvalore del fatto commesso, il richiamo ai parametri normativi previsti dall'articolo 133 c.p., utili a modulare la sanzione complessivamente inflitta, deve tener conto di un "allargamento" dell'oggetto di tali valutazioni, che, per un verso, devono essere estese al trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa (e, anzi, puo' qui aggiungersi in generale, salvo puntualizzarne la portata nell'esame del decimo motivo, la rimodulazione concerne, al fine di rendere proporzionata la risposta sanzionatoria, anche la componente eventualmente punitiva del risarcimento irrogato ai sensi dell'articolo 187-undecies t.u.f.: Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 -0) e, per altro verso, devono investire il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo). Ora, proprio all'interno di siffatto quadro valutativo si e' mossa la sentenza impugnata che, nel ridimensionare la durata delle pene accessorie (due anni per i (OMISSIS) e un anno per l' (OMISSIS), in relazione al rispettivo ruolo nell'azione delittuoso), ha tenuto conto del concreto disvalore del fatto (e si e' sopra ricordato come il costo dell'operazione di rastrellamento delle azioni per il mercato (ossia per gli azionisti che hanno ceduto i loro titoli al prezzo piu' basso non ancora influenzato dalla determinazione di procedere all'OPA, ormai ragionevolmente prevedibile come esito delle decisioni assunte) sia stato quantificato in 1.375.959 Euro. Questo dato, ancorche' non tradotto in profitto diretto degli imputati, ma assorbito in una dinamica infragruppo e occultato col piu' ridotto utile contabile prodotto dalla rivendita interna delle azioni, esprime in termini oggettivi il disvalore delle condotte e da' ampiamente conto, anche alla luce della cornice edittale rammentata dalla sentenza impugnata, della proporzionalita' della complessiva sanzione irrogata, da considerare tenendo anche conto, quanto alle pene pecuniarie, del meccanismo correttivo di cui all'articolo 187 terdecies t.u.f. (oltre alle pene accessorie sopra ricordate, i (OMISSIS) sono stati condannati, in sede penale, ciascuno, a tre anni di reclusione e a 150.000,00 Euro di multa, laddove, in sede amministrativa, la sanzione principale ammonta, sempre per ciascuno, a 600.000,00 Euro e la sanzione interdittiva e' stata determinata nella durata di quattro mesi; l'Alatri e' stato condannato, in sede penale, a due anni di reclusione e a 50.000,00 Euro di multa, laddove, in sede amministrativa, la sanzione principale ammonta a 100.000,00 Euro e la sanzione interdittiva e' stata determinata nella durata di due mesi). Se si considerano i dati sopra indicati, il reale disvalore della condotta quale sopra puntualizzata e il fatto che la pena detentiva dell' (OMISSIS) si attesta sul minimo edittale e quella dei (OMISSIS) e' di poco superiore, s'intendono con solare evidenza le ragioni del razionale giudizio di proporzionalita' espresso dai giudici di merito. Sono proprio le ragioni appena indicate - che si inquadrano perfettamente nella giurisprudenza sovranazionale ed Eurounitaria e che consentono di apprezzare la proporzionalita' della risposta sanzionatoria, pur senza prevedere meccanismi di adeguamento aritmetici identici a quelli previsti per le pene pecuniarie dall'articolo 187 terdecies t.u.f. - che danno conto della manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale di quest'ultima norma, nella parte in cui non prevede che la sanzione amministrativa pecuniaria possa essere decurtata in termini automatici dalla pena detentiva (naturalmente previa conversione di quest'ultima secondo i criteri di cui all'articolo 135 c.p.). Quanto poi alla questione pregiudiziale comunitaria, va ricordato (v., di recente, Sez. 1, n. 14868 del 20/02/2020, Kacorri, non massimata; ma anche Sez. 4, n. 50998 del 19/7/2017, Vadardha, Rv. 271353 - 01; Sez. 3, n. 41152 del 6/7/2016, Sylla, Rv. 267783 - 01; Sez. 4 n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, non massimata) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice di stabilirne la necessita' (Sez. U. civ., ord. n. 20701 del 10/9/2013, Rv. 627458 - 01; cfr. anche Corte giust. 21/7/2011, Kelly, in C-104/10, in particolare, par. 61 - 64; 22/6/2010, Melki in C-188 e C189/10). Il rinvio pregiudiziale, infatti, ha la funzione di verificare la legittimita' di una legge nazionale rispetto al diritto dell'Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull'Unione Europea; sicche' il giudice, effettuato tale riscontro, non e' obbligato a disporre il rinvio solo perche' proveniente da istanza di parte (Sez. 3 civ., n. 13603 del 21/6/2011, Rv. 618393 - 01, in cui viene precisato che il rinvio pregiudiziale non e' finalizzato ad ottenere un parere su questioni generali od ipotetiche, essendo deputato a risolvere una controversia effettiva ed attuale, fondata sulla rilevanza della questione pregiudiziale). Ora, nel caso di specie, a tacere del fatto che il quadro generale di operativita' del divieto del bis in idem e' stato ampiamente scandagliato dalla ricordata giurisprudenza della Corte di giustizia e che tali approdi sono stati recepiti dalle corti domestiche, si osserva che la stessa prospettazione della questione non investe un problema relativo a divergenze interpretative sul significato del diritto Eurounitario ma denuncia un contrasto con quest'ultimo della decisione di non tenere "adeguatamente conto" della sanzione amministrativa nella commisurazione della sanzione nel processo penale. E', pertanto, evidente l'assoluta estraneita' della questione alla portata dell'articolo 267 del TFUE. 9. Il nono motivo e' inammissibile, poiche' la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio' che nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita' di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e' necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596) Il tema dell'entita' del profitto lucrato, valorizzato dal primo giudice e censurato con l'appello, va esattamente inquadrato nella compiuta disamina del percorso argomentativo delle decisioni di merito, in cui, in realta', il dato e' speculare al pregiudizio arrecato agli azionisti che hanno venduto azioni ad un prezzo inferiore a quello che sarebbe loro stato attribuito in caso di partecipazione all'OPA. Ne discende che esso, all'evidenza, investe la gravita' del reato e si inquadra perfettamente nella griglia di riferimento prevista dall'articolo 133 c.p.. L'assenza di un profitto personale e' poi un dato razionalmente ritenuto recessivo, tenuto conto dell'oggettivita' giuridica del reato - che si concentra sull'integrita' dei mercati e la partecipazione degli investitori alle operazioni in condizioni di parita' - e del fatto che il risparmio di spesa conseguito e' stato, per quanto detto sopra, rilevantissimo, ancorche', per scelta degli imprenditori, riversato in via immediata nel gruppo da loro gestito. Inammissibile e' anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla luce di tutte le considerazioni sopra ricordate e del fatto che la mancata concessione delle stesse e' giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicita', che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimita', secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244). Inammissibile per genericita', alla luce della ricostruzione delle vicende per cui e' processo, e' la doglianza che lamenta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 114 c.p.. 10. Il decimo motivo e' infondato. La ricordata Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - 0, richiama tanto l'analitica riflessione di Sez. 5, n. 8588 del 20/01/2010, Banca Profilo, Rv. 246245 - 0, quanto gli approdi delle Sezioni Unite civili (il riferimento e' da intendersi a Sez. U, n. 16601 del 05/07/2017, Rv. 644914 - 01). Ora, proprio quest'ultima pronuncia resa in sede civile ha sottolineato.come, attraverso singoli interventi normativi, si sia registrata l'emersione di una natura polifunzionale della responsabilita' civile, che, accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo - riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza), si proietta verso piu' aree, tra cui sicuramente principali sono. quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. Proprio questa puntualizzazione, saldandosi alle ricordate riflessioni della giurisprudenza penale, da' conto del significato attribuito dalla sentenza impugnata al precetto normativo che correla la richiesta risarcitoria all'integrita' del mercato, rivelando, attraverso i criteri normativamente previsti che devono orientare la liquidazione equitativa (offensivita' del fatto, qualita' personali del colpevole, entita' del prodotto o del profitto conseguito dal reato), il significato dell'istituto (contro il quale, in linea generale, si dirige il motivo di ricorso), ma soprattutto i parametri di controllo della determinazione giudiziale del risarcimento. Rispetto a tale cornice di riferimento, per un verso, non si apprezza alcuna illogicita' nei criteri valorizzati dalla sentenza impugnata - che ha confermato un risarcimento di 100.000,00 Euro rispetto ad una sottrazione di risorse al mercato di portata ben piu' ampia, per quanto sopra piu' volte detto - e, per altro verso, neppure si coglie una sproporzione della risposta sanzionatoria complessiva, all'interno delle coordinate interpretative di Sez. 5, n. 397 del 22/11/2019 - dep. 09/01/2020, Rosso, Rv. 278155 - O cit. 11. Per quanto rileva in questa sede, va osservato che, ai sensi della L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 39, le pene previste dal t.u.f., sono raddoppiate entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale. Ne discende che, ai sensi dell'articolo 157 c.p., comma 1, e articolo 161 c.p., comma 2, il termine di prescrizione risulta essere di dodici anni (frutto del raddoppio disposto dalla L. n. 262 del 2005, citato articolo 39) piu' un quarto, ossia quindici anni, che, tenuto conto dell'epoca di commissione dei reati (dal 09/01/ al 20/02/2008), non risultano ancora spirati. 12. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Del pari, i ricorrenti, in solido tra loro, vanno condannati alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimita', che, in relazione all'attivita' svolta, vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente giudizio, che si liquidano in Euro 6.400,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO SEZIONE XV CIVILE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Il Tribunale di Milano in composizione collegiale nelle persone dei magistrati: Dott. Angelo Mambriani Presidente Dott. Amina Simonetti Giudice Dott. Daniela Marconi Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nelle cause civili riunite iscritte al n. 47205 e al n. 47575 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2016 promosse La prima causa da: (...) S.P.A. e (...) S.P.A. con sede rispettivamente a Milano e Roma, in persona, ciascuna, del legale rappresentante (...), elettivamente domiciliate a Milano presso lo studio dell'avv. (...) che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati (...) per procura speciale in calce all'atto di citazione, ATTRICI contro (...) S.A., con sede a Parigi, in persona del legale rappresentante (...), elettivamente domiciliata a Milano, presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (...), per procura speciale in calce alla comparsa di risposta e alla comparsa di costituzione in data 18.9.2020, CONVENUTA contro (...) S.P.A. con sede a Milano, in persona del legale rappresentante (...) presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (...) per procura speciale in calce all'atto di intervento volontario in data 28.1.2019, TERZA INTERVENUTA La seconda causa da: (...) S.P.A. con sede a Roma, in persona del legale rappresentante (...), elettivamente domiciliata a Milano, rappresentata e difesa dagli avvocati (...) per procura speciale a margine dell'atto di citazione, ATTRICE contro (...) S.A., con sede a Parigi, in persona del legale rappresentante (...), elettivamente domiciliata a Milano, presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (...), per procura speciale in calce alla comparsa di risposta e alla comparsa di costituzione in data 18.9.2020, CONVENUTA contro (...) S.P.A. con sede a Milano, in persona del legale rappresentante (...), elettivamente domiciliata a Milano presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (...) per procura speciale in calce all'atto di intervento volontario in data 28.1.2019, TERZA INTERVENUTA CONCLUSIONI Nell'interesse delle società attrici (...) s.p.a. (...) s.p.a. e della terza intervenuta (...) s.p.a.: Voglia il Tribunale, previa, ove occorra, revoca dell'ordinanza pronunciata in data 29 luglio eccezione e istanza, così giudicare: 1) accertare e dichiarare il grave inadempimento di (...) al Contratto SPA delP8 aprile 2016 concluso con (...) e (...); 2) accertare e dichiarare (a) la violazione da parte di (...) del divieto di acquisto di azioni di (...) sulla stessa gravante per effetto del Contratto; e/o (b) la nullità degli acquisti di azioni di (...) per effetto dell'accertata violazione da parte di (...) dell'art. 43 Tusmar; 3) per l'effetto, risolvere il Contratto SPA dell'8 aprile 2016, e 4) condannare (...) a risarcire a (...) e (...) (anche quale soggetto incorporante di (...) s.p.a.) tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti in conseguenza delle condotte descritte in atti, da liquidarsi dal Giudice in via equitativa sussistendo i presupposti di cui all'art. 1226 c.c. nonché, quanto ai danni conseguenti alla condotta di cui alla conclusione sub 1), anche alla luce della documentazione prodotta e, in specie, del doc. n. 95 (consulenza del prof. (...)), che quantifica ammontare del danno in complessivi euro 683.359.633,86, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 5) con vittoria di spese e onorari. Sul piano istruttorio: accogliere le istanze, eccezioni e deduzioni svolte nei precedenti scritti difensivi e nelle udienze di causa, da intendersi qui integralmente richiamate. Nell'interesse della società attrice (...) s.p.a.: Voglia il Tribunale, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, così provvedere: I.a) nel merito e in via principale, previo accertamento che la condizione sospensiva prevista dalla Sezione 2 dell'Accordo di scambio di azioni sottoscritto l'8 aprile 2016 deve considerarsi avverata, ai sensi dell'alt. 1359 c.c. o, comunque, che (...) SA si è resa inadempiente agli obblighi contrattualmente assunti e funzionali all'avveramento della predetta condizione, accertare e dichiarare che (...) SA si è resa inadempiente al Patto parasociale attraverso l'acquisto del 28,8% del capitale sociale di (...) S.p.a. e il 29,9% dei diritti di voto e, per l'effetto, dichiarare la risoluzione del patto parasociale, nonché condannare (...) SA a risarcire il danno subito da (...) S.p.a. che si quantifica in euro 1.000.000.000 - comprensivi del danno da perdita di valore del pacchetto azionario acquistato in fase di difesa, del danno connesso al costo del capitale impiegato per gli acquisti, del danno da riduzione della "marketability" del pacchetto acquistato, che, alla data odierna, ammontano rispettivamente, ad euro 118.332.449, euro 76.692.834, ed euro 11.919.779 - ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; I.b) ancora nel merito, ma in via subordinata, previo accertamento della sussistenza di un preliminare di patto parasociale efficace e vincolante tra le parti, con conseguente operatività dei relativi obblighi di correttezza e buona fede, accertare e dichiarare che (...) SA ha violato i predetti obblighi attraverso l'acquisto del 28,8% del capitale sociale di (...) S.p.a. e il 29,9% dei diritti di voto e, per l'effetto, dichiarare la risoluzione del preliminare di patto parasociale, nonché condannare (...) SA a risarcire il danno subito da (...) S.p.a. che si quantifica in euro 1.000.000.000 - comprensivi del danno da perdita di valore del pacchetto azionario acquistato in fase di difesa, del danno connesso al costo del capitale impiegato per gli acquisti, del danno da riduzione della "marketability" del pacchetto acquistato, che, alla data odierna, ammontano, rispettivamente, ad euro 118.332.449, euro 76.692.834, ed euro 11.919.779 - ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; I.b-bis) in via ulteriormente subordinata rispetto alle superiori domande sub lettere a e b, previo accertamento della sussistenza in capo a (...) SA di obblighi di protezione, correttezza e buona fede nei confronti di (...) S.p.a., discendenti dal contatto sociale qualificato tra le medesime parti o dalla particolare struttura del contratto dell'8 aprile 2016, qualificabile come contratto con effetti protettivi in favore di terzo, accertare e dichiarare che detti obblighi sono stati violati da (...) SA attraverso l'acquisto del 28,8% del capitale sociale di (...) S.p.a. e il 29,9% dei diritti di voto e, per l'effetto, condannare la stessa (...) al risarcimento di tutti i danni che si quantificano in euro 1.000.000.000 - comprensivi del danno da perdita di valore del pacchetto azionario acquistato in fase di difesa, del danno connesso al costo del capitale impiegato per gli acquisti, del danno da riduzione della "marketability" del pacchetto acquistato, che, alla data odierna, ammontano, rispettivamente, ad euro 118.332.449, euro 76.692.834, ed euro 11.919.779 - ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; II) con riferimento alla domanda di risarcimento derivante dal rifiuto di (...) di portare a termine la partnership (di cui all'accordo dell'8 aprile 2016 e del connesso patto parasociale) e alla campagna denigratoria, accertare e dichiarare che (...) SA ha violato precisi e vincolanti obblighi contrattuali, oltre che il più generale principio del neminem ledere, come meglio descritto nel corpo dell'atto di citazione e dei successivi scritti difensivi e, per l'effetto, condannare la stessa (...) SA, ai sensi degli artt. 1218, 1223, 1225, 2043 e 2056 c.c., a risarcire in favore di (...) S.p.a. i seguenti danni: a) il danno al valore della partecipazione strategica detenuta da (...) S.p.a. in (...) S.p.a., che si chiede di liquidare in una somma non inferiore a euro 1.180.233.423,00, ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; b) il danno ai processi decisionali e alla pianificazione strategica di (...) S.p.a., che si chiede di liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000,00, ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; c) il danno alla reputazione e immagine di (...) S.p.a., che si chiede di liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000,00, ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Il tutto, per un importo complessivo non inferiore a euro 1.480.233.423,00, ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia legali e rivalutazione monetaria. In via istruttoria, ammettere le istanze formulate da (...) S.p.a. e, dunque, disporre: i) la consulenza tecnica d'ufficio per la quantificazione dei danni subiti richiesta nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. (pag. 25); ii) la prova testimoniale articolata nei 46 capitoli indicati nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (pagg. 25-34) con i testi ivi indicati (pagg. 34-35); iii) la prova contraria, richiesta nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 3 c.p.c., con i testi indicati nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (pagg. 34- 35), su tutti i capitoli di prova testimoniale di (...) che dovessero essere ammessi. In ogni caso, rigettare integralmente ogni domanda, istanza e eccezione formulate da (...) SA perché infondate in fatto e in diritto. Con vittoria di spese e compensi professionali, oltre IVA, CPA e spese generali nella misura di legge. Nell'interesse della società convenuta (...) s.a.: Voglia il Tribunale, contrariis rejectis, A. quanto alla causa con R.G. n. 47205/2016 proposta da (...) S.p.A. e (...) S.p.A.: 1. in via principale, accertare e dichiarare che l'accordo di scambio azionario sottoscritto inter partes in data 8 aprile 2016 non è divenuto efficace per mancato avveramento della condizione prevista dall'articolo 2.2; 2. in alternativa, annullare l'accordo di scambio azionario sottoscritto inter partes in data 8 aprile 2016 ai sensi dell'art. 1439 c.c.; 3. in via subordinata, accertare e dichiarare l'avvenuto legittimo recesso di (...) S.E. dall'accordo di scambio azionario sottoscritto inter partes in data 8 aprile 2016; 4. in via ulteriormente subordinata, accertare e dichiarare la risoluzione e, comunque, l'inefficacia dell'accordo di scambio azionario sottoscritto inter partes in data 8 aprile 2016 nonché, ove occorra, risolverlo ai sensi dell'art. 1453 ex. per fatto e colpa delle attrici; 5. in ogni caso, rigettare integralmente le domande formulate ex adverso perché infondate in fatto e in diritto; 6. in via riconvenzionale, condannare le attrici, in solido, al risarcimento dei danni causati a (...) S.E. in misura pari a Euro 62.155.615,00 (o alla maggiore o inferiore misura ritenuta di giustizia o eventualmente liquidata in via equitativa), di cui (i) Euro 3.055.615,00, per costi sostenuti dalla stessa (...) S.E. durante la negoziazione e dopo la sottoscrizione del Contratto nonché (ii) Euro 59.100.000,00 per danni all'immagine e alla reputazione causati dalle attrici, oltre al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c., più interessi e rivalutazione ex lege su ciascun importo liquidato; B. quanto alla causa con R.G. n. 47575/2016 proposta da Finanziaria di Investimento S.p.A.: 1. in via pregiudiziale, accertare e dichiarare l'inammissibilità di tutte le domande formulate da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.E. per difetto di legittimazione attiva e/o interesse ad agire; 2. nel merito, dichiarare inammissibili o, comunque, infondate e, per l'effetto, respingere tutte le domande formulate da (...) S.p.A. nei confronti di (...) S.E.; 3. in via riconvenzionale, condannare (...) S.p.A. al risarcimento dei danni subiti da (...) S.E. nella misura accertata in corso o da liquidare in via equitativa nonché al pagamento di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c. C. quanto all'intervento di (...) S.p.A.: 1. in via pregiudiziale rito, dichiarare inammissibile l'atto di intervento proposto da (...) S.p.A. il 28 gennaio 2019, accogliendo (ove occorra) le conclusioni già rassegnate da (...) S.E. nei confronti delle attrici che si riepilogano di seguito e si estendono alla stessa (...) S.p.A.; 2. in via principale, accertare e dichiarare che l'accordo di scambio azionario sottoscritto in data 8 aprile 2016 non è divenuto efficace per mancato avveramento della condizione prevista dall'articolo 2.2; 3. in alternativa, annullare ex art. 1439 c.c. l'accordo di scambio azionario sottoscritto in data 8 aprile 2016; 4. in via subordinata, accertare e dichiarare l'avvenuto legittimo recesso di (...) S.E. dall'accordo di scambio azionario sottoscritto in data 8 aprile 2016; 5. in via ulteriormente subordinata, accertare e dichiarare la risoluzione e, comunque, l'inefficacia dell'accordo di scambio azionario sottoscritto in data 8 aprile 2016 nonché, ove occorra, risolverlo ai sensi dell'art. 1453 c.c. per fatto e colpa delle attrici; 6. in ogni caso, rigettare integralmente le domande formulate dalle attrici e da (...) S.p.A. perché infondate in fatto e in diritto; 7. in via riconvenzionale, nella denegata ipotesi in cui l'intervento di (...) S.p.A. fosse ritenuto ammissibile, condannare anche quest'ultima (solidalmente con le attrici) al risarcimento dei danni causati a (...) S.E. in misura pari a Euro 62.155.615,00 (o alla maggiore o inferiore misura ritenuta di giustizia o eventualmente liquidata in via equitativa), di cui (i) Euro 3.055.615,00 per costi sostenuti dalla stessa (...) S.E. durante la negoziazione e dopo la sottoscrizione del Contratto nonché (ii) Euro 59.100.000,00 per danni all'immagine e alla reputazione causati dalle attrici, oltre al pagamento di una somma ex art. 96, comma 3, c.p.c., più interessi e rivalutazione ex lege su ciascun importo liquidato. In via istruttoria, si insiste nell'ammissione delle istanze articolate nelle memorie di (...) S.E. ex art. 183, comma 6, nn. 2-3, c.p.c. nonché nella memoria in replica all'atto di intervento di (...) S.p.A., da intendersi qui integralmente richiamate e trascritte. Con vittoria di spese, competenze e onorari del presente giudizio e del giudizio cautelare (oltre IVA e CPA come per legge). MOTIVAZIONE Con atto di citazione ritualmente notificato il 19 agosto 2016 (...) s.p.a. e (...) s.p.a., società quest'ultima interamente partecipata dalla prima, hanno convenuto in giudizio (...) s a. per la manutenzione del contratto di scambio di partecipazioni azionarie sottoscritto l'8 aprile 2016, lamentando, in particolare, il grave inadempimento della società convenuta alle obbligazioni assunte con la stipulazione dell'accordo per far dichiarare l'avveramento, prima della scadenza del termine del 30 settembre 2016 pattuito per la conclusione delle operazioni di permuta delle partecipazioni sociali, della condizione sospensiva a cui era sottoposto. A sostegno delle domande proposte parti attrici rappresentavano in fatto quanto segue. L'accordo sottoscritto l'8 aprile 2016 prevedeva, nell'ottica della costituzione fra le parti di un sodalizio strategico a livello internazionale nel settore dei contenuti audiovisivi, l'impegno di (...) s.a. all'acquisto dell'intero capitale sociale della (...) s.p.a., partecipata da (...) s.p.a., nonché di una partecipazione pari al 3,5% del capitale sociale di (...) s.p.a. in cambio dell'acquisto da parte di (...) s.p.a. e (...) s.p.a. della titolarità di una partecipazione complessivamente pari al 3,5% del capitale sociale di (...) s.a. La permuta delle partecipazioni sociali doveva essere conclusa entro il 30 settembre 2016 con il c.d. dosing, una volta verificatasi la condizione sospensiva prevista dalla clausola n. 2 dell'accordo, consistente nel rilascio da parte delle autorità preposte delle autorizzazioni necessarie all'attuazione dell'operazione secondo le disposizioni normative nazionali e sovranazionali, con specifico riferimento a quelle Antitrust. Il contratto era espressamente definito come aleatorio in ordine alle oscillazioni di valore delle partecipazioni sociali oggetto della cessione, salva la specifica garanzia assunta dalla (...) s.p.a. alla clausola n. 1.1 dell'accordo in ordine al fatto che la posizione finanziaria netta di (...) alla data del closing sarebbe stata pari ad almeno Euro 120 milioni, con conseguente assunzione da parte della (...) s.p.a. dell'obbligo di versare a (...) la somma necessaria a consentirle l'osservanza del parametro o di pagare a (...) la differenza in denaro a titolo di adeguamento del corrispettivo della cessione delle azioni di (...). L'accordo riconosceva a (...) il diritto ad effettuare una full due diligence, legale, fiscale, contabile, finanziaria ed economica su (...) entro il 30 maggio 2016 con l'espressa previsione, alla clausola 3.1 che nessuna passività riscontrata all'esito le avrebbe consentito di sottrarsi all'esecuzione del contratto alle condizioni previste, a parte il caso di dolo o colpa grave, fatti salvi solo: a) il diritto di recesso di (...) previsto al verificarsi delle sole ipotesi tassativamente elencate nella clausola n. 3 del contratto, tra cui, in particolare, l'emersione di una differenza determinata del numero di abbonati ai servizi di (...) o dell'entità dei ricavi medi netti per abbonato (ARPU) nel periodo antecedente il 31.12.2015 da contestare entro il 15 maggio 2016; b) le obbligazioni indennitarie assunte da (...) alla clausola 6.1 del contratto con riferimento alle garanzie descritte nell'allegato L1, tra cui in particolare, la garanzia di un determinato livello del numero degli abbonati e dell'ARPU nel periodo gennaio-marzo 2016, per la cui violazione era espressamente previsto solo il rimedio risarcitorio. Nonostante la chiarezza delle previsioni contrattuali richiamate in ordine ai limiti delle garanzie riconosciute con riferimento alla situazione patrimoniale di (...), (...) con lettera del 12 maggio 2016, senza denunciare la violazione di alcuno dei parametri garantiti, aveva illegittimamente preteso la rinegoziazione dell'accordo sostenendo che, all'esito della due diligence, erano emerse significative differenze tra le previsioni di redditività e produttività per il periodo 2016/2020 contenute nel business pian di (...), posto a fondamento nel corso delle trattative della pattuita garanzia della posizione finanziaria netta, e le previsioni elaborate sulla base del livello eccezionale dei costi di promozione sopportati da (...) durante il primo trimestre del 2016 per sostenere artificiosamente il numero complessivo di abbonati alla fine di marzo 2016. Pur nella consapevolezza dell'estraneità all'ambito di rilevanza negoziale dei dati previsionali dei risultati economici attesi, costituenti l'alea tipica del contratto di acquisizione societaria, la società convenuta, a partire dal mese di maggio 2016, aveva disatteso deliberatamente gli obblighi specificamente assunti nell'accordo preliminare ed aveva iniziato a comportarsi in modo tale da a) ostacolare l'avveramento della condizione sospensiva "bloccando" la notifica alla Commissione Europea ai sensi dell'art. 4.2 del regolamento Ce n. 139/2004, per il rilascio dell'autorizzazione dell'Antitrust UE, che secondo le previsioni dell'accordo avrebbe dovuto essere eseguita entro il 30 maggio 2016, con il pretesto di inesistenti trattative fra le parti per il mutamento della piattaforma dell'accordo, come emergeva dalla lettera di (...) dell'11 luglio 2016; b) violare i doveri generali di buona fede in pendenza della condizione e gli obblighi specifici assunti alla clausola 5.1. con riferimento alla gestione interinale di (...), ignorando volutamente le richieste di approvazione di importanti atti di gestione e finendo con il rifiutare qualsiasi collaborazione rispetto all' interim management con la lettera del 7 luglio 2016. La società convenuta, aveva, infine, formulato con la lettera del 25 luglio 2016 un'inaccettabile proposta contrattuale alternativa per superare "lo stallo" da lei stessa creato con riferimento all'accordo del 8 aprile 2016, così manifestando definitivamente la volontà di non adempiere. Nella situazione descritta le società attrici invocavano la fictio iuris di avveramento della condizione sospensiva, ai sensi dell'art. 1359 c.c., essendo il difetto dell'autorizzazione dell'Autorità Antitrust UE imputabile all'inadempimento della convenuta alle specifiche obbligazioni assunte con l'accordo per favorire il verificarsi della condizione e chiedevano, con una serie articolata di domande, previo accertamento dell'intervenuto avveramento della condizione, l'esecuzione dello scambio delle partecipazioni azionarie come previsto nell'accordo, anche ai sensi dell'art. 2932 c.c. In via subordinata chiedevano la condanna della società convenuta all'adempimento degli obblighi di condotta relativi alla procedura per il rilascio dell'autorizzazione antitrust e degli obblighi di collaborazione per la gestione interinale di (...) a pena del pagamento della somma di Euro 10 milioni per ogni giorno di ritardo, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., nonché la condanna a fare tutto quanto necessario a determinare l'effetto traslativo delle azioni oggetto del contratto a pena del pagamento della somma di Euro 10 milioni per ogni giorno di ritardo, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. Chiedevano, infine, il risarcimento del danno derivato all'organizzazione dell'attività di impresa dell'intero Gruppo (...) per l'incertezza sul destino della società target dovuta al ritardo nell'adempimento dell'accordo, mediante pagamento della somma di Euro 50 milioni per ogni mese di ritardo a far tempo dal 25 luglio 2016. Successivamente, prima dell'udienza fissata per la trattazione, le società attrici depositavano, il 5 ottobre 2016, un ricorso per sequestro giudiziario delle azioni proprie di (...) fino a concorrenza del 3,5% del capitale sociale, adducendo il rischio che potessero essere alienate nel tempo necessario all'adozione dei provvedimenti traslativi richiesti nel giudizio di merito e che (...) potesse non disporre della liquidità necessaria al loro riacquisto sul mercato nella quantità contrattualmente prevista, pari ad un valore di circa 900 milioni di euro, ma all'esito delle difese svolte dalla società convenuta rinunciavano alla domanda cautelare. Nel costituirsi per il giudizio di merito (...) s.a., società francese quotata in borsa al vertice di uno dei più grandi gruppi industriali al mondo nel settore dei media, ha sostenuto che l'accordo con (...) s.p.a. e (...) s.p.a. del 8 aprile 2016 era volto a creare un'alleanza strategica di lungo termine fra i due gruppi nell'ambito del mercato dei contenuti audio visivi in vista della creazione di un primario operatore nel settore dei media a livello europeo ma che le società attrici, tacendo maliziosamente nel corso delle trattative l'effettiva situazione di difficoltà economica in cui versava (...), avevano solo tentato di "rifilarle" una società che non era in condizioni di produrre utili e di operare sul mercato. Riferiva, in particolare, che nella fase della trattativa che aveva preceduto l'accordo non le era stato consentito di effettuare la due diligence su (...) per espressa previsione contrattuale e che le erano state centellinate le informazioni sul numero di abbonati e sull'entità del ricavo medio per abbonato (c.d. ARPU), cruciali per la valutazione dell'attendibilità del business pian relativo al quadriennio 2016-2020, consegnatole soltanto il 3 marzo 2016 e, poi, posto a fondamento della negoziazione delle clausole di garanzia ed in particolare della clausola relativa all'impegno di (...) di assicurare al momento del closing una posizione finanziaria netta di (...) pari a 120 milioni di euro. Le previsioni del business pian esaminato nel corso delle trattative pronosticavano, infatti, un significativo livello di perdite negli anni 2016 e 2017, che la clausola di garanzia della posizione finanziaria netta tendeva a neutralizzare, e al contempo un costante e progressivo aumento dei ricavi medi per abbonato e del numero di abbonati nel periodo 2016-2020 con il raggiungimento del pareggio tra costi e ricavi già nell'anno 2018, su cui aveva fatto affidamento nella stima del valore della partecipazione sociale. Solo nel corso della due diligence, condotta con il supporto della diritto ad effettuare s.a.s., erano emerse anomalie sorprendenti sull'andamento dei parametri fondamentali, deliberatamente taciute dalle società attrice nel corso delle trattative, costituite: - dall'eccezionale numero di oltre 90.000 recessi di abbonati a dicembre 2015 per effetto dell'annuncio nel mese di novembre 2015 dell'aumento del prezzo a partire da gennaio 2016; - dalle promozioni straordinarie abnormi e senza precedenti sul prezzo degli abbonamenti che avevano raggiunto il livello record di oltre 41 milioni di euro, quattro volte superiore a quello dell'anno precedente, lanciate nel primo trimestre 2016 per tentare di contenere l'esodo e sostenere artificiosamente il numero di abbonati; - dalla perdita di oltre 50.000 abbonati, nel solo mese di gennaio 2016, e dal crollo del ricavo medio per ogni nuovo abbonato sino a 15 euro al mese, verificatosi nel primo trimestre 2016. La due diligence aveva, in sostanza, evidenziato che (...) aveva ricevuto nel mese di dicembre 2015 oltre 90.000 richieste di recesso dai propri abbonati in fuga dal prospettato aumento del corrispettivo che l'avevano costretta a lanciare promozioni straordinarie quattro volte più onerose di quelle degli armi precedenti per bloccare l'emorragia ed evitare, prima della conclusione del contratto, l'incremento ulteriore delle perdite per la mancata copertura dei costi fissi elevati, connessi all'acquisto dei diritti per la trasmissione dei contenuti audiovisivi ed in particolare per la trasmissione del campionato di calcio di serie A e della Champions League. L'occultamento dei dati fondamentali emersi a seguito della due diligence aveva impedito a (...) di percepire, prima della sottoscrizione dell'accodo, che l'evoluzione positiva dell'andamento di (...) prospettata nel business pian era irrealizzabile e che la società era esposta a produrre in futuro perdite gravissime mentre aveva consentito alle società attrici di "gonfiare" il numero di abbonati e l'ARPU nel breve periodo in modo da mantenerli nelle soglie contrattualmente previste ai fini dell'esercizio del diritto di recesso dell'acquirente. Appreso l'esito della due diligence (...), con lettera inviata il 12 maggio 2016, aveva immediatamente proposto la rinegoziazione dell'accordo ed aveva, quindi, continuato a tentare di comporre le divergenze proponendo, con la lettera del 25 luglio 2016, una diversa struttura dell'operazione, sino a che (...) aveva emesso un fuorviate comunicato al mercato finanziario, il 26 luglio 2016, con cui negava le negoziazioni e le attribuiva l'intento di non onorare il contratto stipulato. La campagna denigratoria di stampa, avviata dalle società attrici fornendo ricostruzioni dei fatti gravemente distorte ed imputandole la situazione di stallo di (...), le iniziative giudiziarie successivamente da esse intraprese e culminate nell'avvio del procedimento per sequestro giudiziario delle azioni con ricorso del 5 ottobre 2016, avevano fatto naufragare ogni possibilità di composizione amichevole della controversia, così che il 19 ottobre 2016 aveva pubblicamente preso atto del fallimento dell'operazione. Sosteneva, comunque, di aver esattamente adempiuto alle obbligazioni assunte con l'accordo preliminare ed in particolare all'obbligo di acquisire l'autorizzazione dell'Agcom, rilasciata il 7 luglio 2016, e all'obbligo di avviare la procedura per il rilascio dell'autorizzazione dell'Antitrust UE da parte della Commissione europea, poi, bloccata dopo l'esito disastroso della due diligence e dopo la lettera del 1 luglio 2016 di (...) che sembrava aprire la prospettiva di un possibile negoziato su un'operazione diversamente strutturata. Negava di esser contrattualmente tenuta a cooperare alla gestione interinale di (...) in mancanza nel contratto di una specifica disciplina del c.d. interim management, essendo previsto solo l'obbligo di (...) di garantire a (...) la prudente gestione della società e di evitare l'adozione di misure straordinarie pregiudizievoli, nel periodo tra la sottoscrizione dell'accordo preliminare ed il closing. Sosteneva, comunque, di aver collaborato con le società attrici, fornendo puntuale riscontro alle comunicazioni riguardanti la gestione interinale di (...), ma che, non appena erano emerse le anomalie evidenziate dalla due diligence ed iniziate le discussioni per la ricerca di alternative negoziali, aveva inequivocabilmente ribadito, con lettera del 7 luglio 2016, che (...) era libera di assumere le sue decisioni nel miglior interesse della società. Riferiva, infine, di aver proceduto progressivamente all'acquisto sul mercato delle azioni (...) giungendo a detenere, il 22 dicembre 2016, il 28,80% del suo capitale sociale, al prezzo medio di Euro 3,69 ad azione, a fronte di un prezzo di borsa delle azioni (...) il 7 aprile 2016 pari ad Euro 3,32, così da smentire le notizie diffamatorie, nel frattempo diffuse dalle società attrici sulla stampa, che inserivano la violazione dell'accodo nel contesto del disegno più ampio di provocare il crollo del valore del titolo (...) per procedere ad una vera e propria scalata ostile. Nella situazione descritta chiedeva, innanzitutto, la declaratoria di inefficacia dell'accordo dell'8 aprile 2016 per il mancato avveramento della condizione sospensiva prevista dalla clausola n. 2, non essendo applicabile la finzione di avveramento di cui all'art. 1359 c.c. alla condicio iuris dell'autorizzazione amministrativa dell'operazione oggetto del contratto da parte della Commissione UE, presupposto imprescindibile per il trasferimento delle azioni, con conseguente impossibilità di esecuzione del contratto in forma specifica. In alternativa chiedeva la pronuncia di annullamento dell'accordo per dolo, ai sensi dell'art. 1439 c.c., avendo le società attrice deliberatamente occultato dati rilevanti ai fini della valutazione di attendibilità del business pian e fornito, così, una rappresentazione alterata dei presupposti di fatto rilevanti per la valutazione della convenienza dell'operazione, atta a viziare il processo formativo la sua volontà negoziale, posto che, in assenza delle descritte omissioni dolose, avrebbe potuto negoziare diversamente le clausole contrattuali. In via subordinata chiedeva l'accertamento della legittimità del recesso dall'accordo di scambio azionario sulla base della clausola 3.1 ultimo paragrafo che dichiarava di esercitare con la comparsa di risposta, in relazione alle gravi circostanze occultate con dolo, emerse dalla due diligence o ai sensi della clausola 3.2, essendo la certificazione di (...) in ordine al riscontro dell'osservanza delle soglie pattuite sulla consistenza del numero di abbonati e dell'ARPU al 31 dicembre 2015, comprensiva anche dei 90.000 abbonati che avevano già richiesto di recedere. In via ulteriormente subordinata chiedeva la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1453 c.c. per inadempimento delle società attrici alle clausole di garanzia che imponevano la gestione prudente di (...) prima del closing e il dovere di fornire informazioni accurate e non fuorvianti, violate con il lancio di promozioni straordinarie gravemente pregiudizievoli della redditività dell'impresa, deliberatamente occultate. Chiedeva, infine, il risarcimento del danno all'immagine e alla reputazione commerciale subito per effetto della campagna denigratoria mediatica scatenata nei suoi confronti dalle società attrici e la loro condanna ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c. per la proposizione temeraria del ricorso per sequestro giudiziario. Nel frattempo, con atto di citazione notificato il 23 agosto 2016, la (...) s.p.a., socia di maggioranza di (...) s.p.a. con una partecipazione del 34,73% del capitale sociale, aveva convenuto in giudizio (...) S.A. per ottenere, previo accertamento dell'avveramento della condizione sospensiva, in primo luogo, l'adempimento degli impegni assunti dalla società convenuta con l'accordo dell'8 aprile 2016 e con il patto parasociale allegato, finalizzati al compimento di un'operazione di enorme rilevanza strategica in quanto volta alla costituzione di un'alleanza di livello europeo tra la società controllata (...) e (...), e, quindi, il risarcimento del danno subito in conseguenza dell'inattuazione del programma negoziale. Riferiva, in particolare, che l'essenza dell'operazione strategica era costituita: a) dall'accordo sottoscritto fra (...) s.p.a. e (...) con (...), contenente l'impegno allo scambio paritetico di partecipazioni tra (...) e (...) pari al 3,5% con l'acquisto da parte di (...) anche dell'intera partecipazione di (...) in (...), sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie al completamento delle operazioni di scambio azionario da parte delle autorità nazionali e sovrannazionali competenti; b) dal patto parasociale di cui all'allegato N dell'accordo dell'8 aprile 2016 che (...) e (...) avrebbero dovuto sottoscrivere al momento della stipulazione del contratto definitivo di scambio azionario programmato nell'accordo dell'8 aprile 2016, per mantenere le proprie partecipazioni in (...) al di sotto delle soglie dell'OPA obbligatoria da consolidamento e stabilizzare gli assetti proprietari in (...), garantendo a (...) la conservazione della propria posizione di controllo. Il patto parasociale prevedeva, in estrema sintesi, - il divieto per (...), nel primo anno dalla sottoscrizione del patto, di acquistare direttamente o indirettamente ulteriori azioni di (...) s.p.a. con "blocco totale" della facoltà di acquisto; - il divieto per (...), nel secondo e terzo anno dalla stipulazione del patto, di acquistare direttamente o indirettamente ulteriori azioni di (...) s.p.a. che la portassero a possedere una partecipazione complessiva superiore al 5% del capitale di (...) con la previsione di un "tetto complessivo" quale limite alla facoltà di acquisto; - la facoltà per (...) di effettuare direttamente o indirettamente ulteriori acquisti di azioni (...) nei limiti previsti dalle norme applicabili in materia di OPA obbligatoria. La società convenuta si era resa gravemente inadempiente agli obblighi assunti con la stipulazione dell'accordo dell'8 aprile 2016, manifestando il 25 luglio 2016 l'intenzione di non adempiere attraverso la proposizione di un'offerta di rinegoziazione mirante a ridurre al 20% l'acquisizione delle partecipazioni in (...) per ottenere invece il trasferimento del 15% del capitale di (...), dopo aver "bloccato" la procedura avviata per il rilascio dell'autorizzazione antitrust UE da parte della commissione europea con il pretesto della pendenza di trattative per la rinegoziazione e l'alibi dell'inattendibilità del business pian di (...). La clamorosa rottura, consumatasi il 25 luglio 2016, aveva svelato l'intento di (...) " di mettere le mani" sul gruppo (...) ed aveva costretto (...) e (...) a darne notizia al mercato in attuazione degli obblighi di trasparenza gravanti sulle società quotate in borsa, con un comunicato del 26 luglio 2016, a cui era seguito un crollo vertiginoso in borsa del valore del titolo (...) che aveva subito una perdita immediata del 13,87%, aggravata di un ulteriore 8% a seguito del comunicato di (...) del 29 luglio 2016 relativo all'inattendibilità del business pian di (...), assestatasi solo il 2 agosto ad un livello negativo del meno 20%. Nella situazione descritta la (...) s.p.a. sosteneva, innanzitutto, doversi ritenere avverata la condizione sospensiva mancata per effetto dell'inadempimento di (...) all'obbligo di completare il procedimento di notificazione all'autorità antitrust europea, ai sensi dell'alt. 1359 c.c., con la conseguenza dell'immediata efficacia traslativa dello scambio azionario tra (...) e (...), programmato nell'accordo dell' 8 aprile 2016, in forza del principio consensualistico e della piena efficacia vincolante fra (...) e (...) del patto parasociale. In via subordinata, nell'ipotesi in cui il patto parasociale, non dovesse essere ritenuto immediatamente vincolate doveva ritenersi sorto il preciso obbligo per (...) di sottoscriverlo, con la conseguenza, in ogni caso, della possibilità di pretendere l'adempimento delle obbligazioni contrattuali rimaste disattese. Sosteneva, comunque, di aver già subito per il comportamento inadempiente di (...) e la risonanza sui mercati della notizia della "rottura" dell'accordo, configuranti una condotta dolosamente preordinata alla lesione dei suoi interessi in violazione del principio del neminem ledere, - il danno al valore di borsa delle azioni (...) possedute, derivato dal crollo in borsa del titolo (...) seguito alla diffusione sulla stampa il 26 luglio 2016 del rifiuto di (...) di portare a termine l'operazione, stimabile in Euro 270.824.706 oltre che nel mancato incremento che il valore di borsa dello stesso pacchetto azionario avrebbe realizzato se l'operazione fosse stata portata a compimento; - il danno ai processi decisionali e alla pianificazione strategica, costituenti beni primari per una holding al vertice di governo di un grande gruppo imprenditoriale, consistente nella lesione del diritto a programmare le proprie iniziative economiche in settori strategici per il Paese, cagionato attraverso la grave situazione di stallo ed incertezza creata dal comportamento illecito di (...) su un'operazione strategica per il gruppo; - il danno alla reputazione procurato con l'insinuazione nell'opinione pubblica del sospetto che possa aver tenuto comportamenti contrattuali scorretti attraverso la propalazione da parte della società convenuta di notizie non veritiere in ordine al fatto che sarebbe stata vittima di un raggiro; pregiudizi, questi ultimi, da liquidarsi in via equitativa e stimabili in complessivi Euro 300.000.000, avuto riguardo alla gravità dell'offesa di beni primari di rango costituzionale, all'intensità del dolo e alla qualità dei soggetti coinvolti, operanti in mercati regolamentati. La società attrice (...) chiedeva, pertanto, con riferimento alla domanda di adempimento contrattuale, in via principale, l'accertamento della verificazione della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1359 c.c. e dell'avvenuto trasferimento della titolarità delle azioni (...) in capo a (...) come previsto dall'accordo di scambio azionario dell'8 aprile 2016 in forza del principio consensualistico, con conseguente condanna di (...) ad adempiere a tutte le obbligazioni contenute nel patto parasociale tra (...) e (...), di cui all'allegato N da ritenersi pienamente efficace e vincolate, pena il pagamento, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., della somma di Euro 20 milioni per ogni inosservanza della condanna. In via subordinata chiedeva la condanna di (...) all'adempimento dell'obbligo di sottoscrivere con lei il patto parasociale, pena il pagamento, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., della somma di Euro 10 milioni per ogni giorno di ritardo. Con riferimento al danno prospettato chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento mediante pagamento della somma di complessivi Euro 570.824.706. La società convenuta (...) si costituiva anche nel giudizio promosso da (...) ed eccepiva, preliminarmente, il difetto di legittimazione attiva di (...) sia con riferimento alla domanda di adempimento del patto parasociale, mai sottoscritto e costituente mero allegato ad un accordo stipulato da (...) con (...) e (...) di cui (...) non era parte, sia con riferimento alla domanda di risarcimento del danno al valore di borsa delle azioni (...) possedute da (...), relativa ad un danno riflesso rispetto al pregiudizio subito dal patrimonio sociale, risarcibile solo alla società. Nel merito contestava, comunque, l'esistenza di un patto parasociale vincolante con la (...) che non era mai stato sottoscritto, in quanto funzionalmente collegato all'esecuzione di un contratto condizionato inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva del rilascio dell'autorizzazione antitrust, rispetto alla quale non potrebbe operare la fictio iuris di avveramento prevista dall'alt. 1359 c.c., e che non potrebbe, quindi, neanche costituire fonte dell'obbligo a sottoscriverlo. Negava, in ogni caso, la configurabilità di un suo obbligo a sottoscrivere il patto parasociale nei confronti della (...), rimasta completamente estranea all'accordo dell'8 aprile 2016 a cui il patto parasociale era collegato, concluso solo con (...) e (...), comunque, da ritenersi invalido perché passibile di annullamento per dolo ed inefficace per il mancato avveramento della condizione, con conseguente inesistenza del diritto di (...) di chiedere la condanna di (...) a sottoscrivere e ad eseguire il patto parasociale. Nessun diritto alla stipulazione del patto parasociale veniva attribuito alla (...) dall'art. 8 dell'accordo del 8 aprile 2016 ove era previsto semplicemente che al dosing (...) e (...) avrebbero sottoscritto il patto parasociale nella forma concordata come da allegato N), né dal contenuto del testo concordato del patto emergeva alcunché in ordine alla sua pretesa funzione di garantire a (...) la conservazione della propria posizione di controllo in (...). Lo scopo del patto parasociale era, infatti, solo quello di scongiurare il pericolo dell'OPA, come previsto espressamente dalla lettera C) delle premesse, posto che ove fosse stata conclusa l'operazione programmata con l'accordo dell'8 aprile 2016, (...) e (...) avrebbero potuto essere considerate "in concerto" ai sensi dell'art. 101 bis del TUF e di conseguenza essere obbligate a promuovere un'offerta pubblica di acquisto obbligatoria su (...). Contestava, infine, la domanda di esecuzione coattiva del patto parasociale che, anche ove fosse stato sottoscritto, avrebbe avuto efficacia meramente obbligatoria con la conseguenza che la sua violazione avrebbe potuto comportare solo il diritto al risarcimento del danno. Quanto alle domande risarcitorie contestava la configurabilità nella fattispecie descritta di una sua responsabilità extracontrattuale nei confronti della (...), sostenendo di aver legittimamente rifiutato di portare a compimento l'operazione in considerazione della gravità della situazione di (...), emersa dalla due diligence e occultata con dolo da (...) ed (...) al momento della stipulazione dell'accordo preliminare dell'8 aprile 2016. Contestava, comunque, il danno lamentato da (...) per la riduzione del valore delle proprie azioni (...) derivato dal crollo in borsa del titolo, rilevando che dopo il 2 agosto 2016 il valore del titolo era progressivamente risalito fino a raggiungere il 21 dicembre 2016 il valore massimo di Euro 4,6566 che avrebbe assicurato a (...) un guardato di 294 milioni di euro. La temporanea riduzione del valore di borsa delle azioni (...) non sarebbe, peraltro, causalmente riconducibile alla rottura dell'accordo ed al preteso inadempimento di (...) ma alla campagna mediatica fuorviante, innescata dai due aggressivi comunicati stampa di (...) e (...) del 26 aprile 2016, contenenti l'annuncio dell'arresto dell'operazione con una ricostruzione dei fatti gravemente distorta oltre che alla comunicazione al mercato, il 28 luglio 2016, dei risultati economici e finanziari negativi del gruppo (...) che, al 30 giugno 2016, evidenziava a livello consolidato, un risultato operativo negativo pari a meno 52,8 milioni di euro. Con riferimento al danno ai processi decisionali e alla reputazione evidenziava l'estrema genericità delle allegazioni della società attrice che non aveva chiarito su quali processi decisionali o iniziative economiche specifiche avrebbe inciso la mancata esecuzione dell'accordo e come potesse aver avuto un impatto pregiudizievole sull'immagine di (...) la mancata attuazione di impegni sottoscritti da (...) e (...). Lamentava, piuttosto, di aver subito danni dalla campagna diffamatoria avviata da (...) nei suoi confronti e culminata con la presentazione di un esposto in Procura per manipolazione del mercato, il cui contenuto era stato fatto trapelare agli organi di stampa attraverso la circolazione della falsa notizia, secondo cui (...) avrebbe dolosamente disatteso gli impegni assunti con l'accordo del 26 luglio 2016 per far crollare il valore del titolo (...) in borsa e, poi, acquistarlo a prezzo di sconto nel mese di dicembre 2016, smentita dalla realtà dei dati da cui emergeva, invece, chiaramente che il titolo era stato acquistato a prezzo più alto di quello che aveva il giorno prima della sottoscrizione dell'accordo. Chiedeva, pertanto, il rigetto di tutte le domande proposte da (...) nei suoi confronti ed in via riconvenzionale la condanna al risarcimento del danno subito per effetto della lesione della sua reputazione commerciale. All'udienza di trattazione del 21 marzo 2017 il giudice istruttore disponeva, in assenza di contestazioni fra le parti, la riunione delle due controversie e l'avvio del procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale relativa al risarcimento del danno da lesione della reputazione commerciale. Nel corso della stessa udienza la difesa della (...) formulava una domanda nuova conseguente alle difese della società convenuta chiedendo "in via ulteriormente subordinata, previo accertamento della sussistenza in capo a (...) di obblighi di protezione, correttezza e buona fede nei confronti di (...), discendenti dal contatto sociale qualificato tra le medesime parti, o in alternativa, dalla particolare struttura del contratto 8.4.16, accertare e dichiarare che detti obblighi siano stati violati da (...) attraverso l'acquisto di una partecipazione prossima al 30% di (...) e, per l'effetto, condannare la stessa (...) al risarcimento di tutti i danni" Ulteriore nuova domanda risarcitoria veniva, quindi, proposta anche dalla difesa di (...) chiedendo il ristoro anche del danno conseguente alla "scalata" al titolo (...) da parte della società convenuta. La difesa di (...) eccepiva l'inammissibilità delle domande nuove che, lungi dal costituire conseguenza delle sue eccezioni, erano fondate sul nuovo fatto costitutivo della "scalata ostile" che, mutando i termini oggettivi della controversia aveva dato luogo ad una vera e propria mutatio libelli non consentita dal sistema delle preclusioni desumibile dalle previsioni dell'art. 183 comma 5 e 6 c.p.c. Dopo il fallimento del tentativo di mediazione del conflitto, le parti chiedevano ed ottenevano dal giudice istruttore la concessione dei termini per il deposito delle memorie ai sensi dell'art. 183 comma 6 c.p.c. e nella prima memoria di trattazione precisavano e modificavano le loro domande. Nel giudizio promosso da (...) e (...) nei confronti di (...) le parti precisavano, in particolare, con la prima memoria di trattazione, le rispettive domande risarcitorie. Le società attrici (...) ed (...) chiedevano il risarcimento del danno corrispondente ai costi per consulenze legali e advisory sostenute per la formazione del contratto, pari complessivamente a 3 milioni di euro, - del danno corrispondente ai costi finanziari sostenuti per circa 8,5 milioni di euro da (...) per estinguere anticipatamente il finanziamento di 400 milioni, acceso presso (...) nel 2011, - del danno corrispondente al costo di circa 30 milioni di euro sostenuto da (...) per la sottoscrizione di strumenti finanziari mirati alla copertura del rischio di variazione del valore di borsa dei titoli (...), - del danno stimabile in 60 milioni di euro subito da (...) per il rinnovo fino al 31 luglio 2019 imposto a (...) da (...) nel corso della gestione interinale dei contratti di distribuzione per i canali (...), - del danno stimabile in 40 milioni di euro subito da (...) per la perdita di nuove acquisizioni di clientela derivata dall'attuazione della strategia commerciale imposta a (...) da (...) nel corso della gestione interinale, - del danno stimabile in 450 milioni di euro subito da (...) per la perdita di valore della sua partecipazione totalitaria in (...) a seguito delle pubbliche dichiarazioni di (...) in merito alla credibilità del suo business plan che avevano determinato una riduzione di carattere permanente del prezzo realizzabile dalla cessione della partecipazione e compromesso il potere negoziale di (...), ed, infine, del danno stimabile in 120 milioni di euro, subito da (...), come società quotata in borsa dall'ingiusta campagna denigratoria avviata da (...) sin dal mese di luglio 2016. Anche la società convenuta, nella prima memoria di trattazione, precisava la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, chiedendo la condanna delle società attrici (...) e (...) al rimborso dei costi sostenuti durante le negoziazioni e dopo la sottoscrizione del contratto per 3,1 milioni di euro, al ristoro del pregiudizio subito, ai sensi dell'art. 1440 c.c., per non aver potuto, in conseguenza del dolo delle società attrici, negoziare la clausola di garanzia relativa alla posizione finanziaria netta di (...) al closing per almeno euro 1,2 miliardi in considerazione di quanto emerso all'esito della due diligence, ed infine all'integrale risarcimento del danno infetto alla sua immagine e reputazione commerciale dalla campagna di stampa diffamatoria attuata dalle società attrici commisurato al costo di una "campagna riparatoria" stimato in almeno 60 milioni di euro. Nel giudizio promosso da (...) nei confronti di (...) (RG n. 47575/2016) con la prima memoria di trattazione, la società attrice procedeva, innanzitutto, alla precisazione della domanda nuova proposta all'udienza di trattazione del 21 marzo 2017, evidenziando che si tratterebbe di una domanda aggiuntiva e non sostitutiva delle domande già formulate nell'atto di citazione, costituente una reazione alle difese svolte da (...) nella comparsa di risposta, laddove aveva sostenuto l'inesistenza di qualsiasi accordo tra loro, essendo il patto parasociale un mero allegato non sottoscritto dell'accodo stipulato tra (...) e (...) da un lato e (...) dall'altro a cui (...) era rimasta estranea. La difesa in questione aveva, infatti, comportato la necessità di dedurre la violazione degli obblighi di correttezza protezione e buona fede nei confronti di (...), gravanti su (...) per effetto del contatto sociale qualificato derivato dalla negoziazione della bozza del patto parasociale o, comunque, per la natura di contratto con effetti protettivi dell'interesse del terzo (...) alla conservazione della posizione di controllo in (...) dell'accordo dell'8 aprile 2016, perpetrata attraverso l'acquisto di una partecipazione prossima al 30% di (...), attuato nel corso della scalata ostile del mese di dicembre 2016 che le aveva procurato un danno quantificabile in un miliardo di euro. Precisava, in particolare, con riguardo al danno connesso alla scalata ostile, di aver subito l'enorme pregiudizio economico in questione per la paralisi dei processi decisionali derivata dalla necessità di condividere il controllo con un socio rilevante antagonista come (...), per essere stata costretta ad aumentare la propria partecipazione in (...) sino al 38,2% con l'acquisto di ulteriori azioni a scopo difensivo della posizione di controllo, costato 154 milioni di euro, nonché per aver subito la perdita di liquidità del suo investimento in (...) dovuta al consistente drenaggio di flottante derivato dalla manovra scorretta di (...). La società attrice procedeva, quindi, anche alla modificazione delle domande di adempimento contrattuale svolte in atto di citazione deducendo il nuovo fatto di inadempimento di (...) agli obblighi negoziali assunti con l'accordo ed il patto parasociale, perpetrato attraverso la scalata ostile e chiedendo, sia nell'ipotesi di ritenuta efficacia vincolante immediata del patto parasociale, sia nell'ipotesi di necessità della condanna di (...) alla sua sottoscrizione, la condanna della società convenuta alla dismissione della propria partecipazione in (...), pari al 28,8% del capitale sociale e al 29,9 % dei diritti di voto, prima dell'adozione dei provvedimenti necessari all'esecuzione coattiva delle obbligazioni assunte con il patto parasociale. La società attrice precisava, infine, la domanda risarcitoria originariamente proposta nell'atto di citazione con riferimento al pregiudizio subito per il rifiuto di (...) di portare a compimento l'operazione ed alla campagna denigratoria e chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento del danno costituito dalla perdita di valore della sua partecipazione in (...), da determinarsi con ricorso ai c.d. dati di consensus elaborati dagli analisti di borsa e tenendo conto dell'ulteriore pregiudizio relativo al premio di controllo, oltre che al risarcimento del danno costituito dalla perdita della fase upside del mercato borsistico FTSEMIB, avendole la condotta di (...) impedito di beneficiare della fase di forte rialzo in corso. All'udienza del 4 dicembre 2018 fissata per la discussione sulle istanze istruttorie, le società attrici nei due giudizi riuniti, (...) (...) e (...), dichiaravano di aver perso l'interesse all'esecuzione dell'accordo dell' 8 aprile 2016 e del patto parasociale accessorio e modificavano le diverse domande di adempimento in domanda di risoluzione del contratto e del patto parasociale per inadempimento imputabile alla società convenuta, ai sensi dell'art. 1453 cc., ribadendo la richiesta di risarcimento del danno come dedotto nei precedenti scritti difensivi da valutare, però, nella prospettiva dell'inadempimento definitivo del contratto. Alla stessa udienza (...) e (...) nuova domanda per "accertare e dichiarare (a) la violazione da parte di (...) del divieto di acquisto di azioni di (...) sulla stessa gravante per effetto del Contratto; e/o (b) la nullità degli acquisti di azioni di (...) per effetto dell'accertata violazione da parte di (...) dell'art. 43 Tusmar; conseguentemente, condannare (...) a risarcire a (...) e (...) tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi, nella misura che verrà meglio quantificata in corso di causa, se del caso anche in via equitativa dal Giudice, ai sensi dell'art. 1226". Con atto depositato in data 28 gennaio 2019 (...) spiegava intervento volontario ai sensi dell'art. 105 c.p.c. sostenendo che il mutamento da parte di (...) e (...) dell'originaria domanda di adempimento in risoluzione del contratto dell'8 aprile 2016, aveva generato il suo interesse a svolgere la domanda di risarcimento del danno subito sia a titolo contrattuale, sul paradigma della responsabilità da contatto sociale, sia a titolo extracontrattuale, quale soggetto terzo leso dal grave inadempimento di (...), che aveva danneggiato non solo le altre parti contraenti dell'accordo di scambio azionario, ma anche la società (...) dell'operazione, sicuramente interessata alla sua esecuzione. Chiedeva, quindi, il risarcimento del danno di euro 58.479.000,00, subito a causa del rinnovo, imposto da (...), dell'accordo di distribuzione dei canali (...), del danno di euro 41.382.448,71, subito a causa della perdita del numero di abbonati generata dalla condotta di (...) durante l'interim management e del danno di euro 450.155.555,56, subito per la perdita di valore della propria attività e del proprio business, pregiudizi già ampiamente descritti nella prima memoria di trattazione delle società attrici come voci di danno ricostruite dall'angolo visuale della (...), socia unica della terza intervenuta, da liquidare a favore di uno solo dei due soggetti aventi diritto. La società convenuta eccepiva, in particolare, l'inammissibilità e "l'abusività" dell'intervento del terzo spiegato da (...), dopo l'approvazione del progetto di fusione per incorporazione nella società controllante totalitaria (...) divenuto efficace in data 26 marzo 2019, sfruttando la sola apparente autonomia soggettiva per avvantaggiarsi della posizione processuale privilegiata che l'ordinamento riserva al terzo nel consentirgli di svolgere domande nuove sino alla precisazione delle conclusioni, e così raggirare l'ineludibile eccezione di difetto di legittimazione attiva della (...) a far valere il danno riflesso alla sua partecipazione sociale in (...) e le preclusioni già maturate per l'introduzione della domanda nuova diretta a far valere il danno subito dalla società controllata, nella sua veste di incorporante di (...). Contestava, comunque, nel merito le domande proposte dalla terza intervenuta a cui estendeva la domanda riconvenzionale risarcitoria già svolta nei confronti delle società attrici. La società convenuta, nella memoria autorizzata a seguito dell'avvenuto mutamento della domanda da adempimento in risoluzione del contratto da parte delle società attrici, eccepiva l'inammissibilità del rimedio risolutorio avverso un contratto mai divenuto efficace in conseguenza del mancato avveramento della condizione sospensiva. Contestava, comunque, le pretese risarcitorie delle società attrici eccependo, ai sensi dell'art. 1223 ex. e dell'art. 1227 c.c., l'irrisarcibilità del pregiudizio derivato a (...) e (...) non dall'inattuazione del programma contrattuale ma dal comportamento delle stesse società attrici che avevano ex abrupto interrotto le discussioni in corso per la rinegoziazione del contratto dandone notizia al pubblico, nel tentativo di distogliere l'attenzione del mercato dai deludenti risultati economico-finanziari del gruppo (...) pubblicati quasi contestualmente. Contestava, altresì, l'ammissibilità della domanda di risoluzione di un patto parasociale mai sottoscritto formulata da (...) nonché l'ammissibilità delle domande risarcitone formulate da (...) con riferimento a pretese voci di danno fondate su fatti costitutivi diversi da quelli dell'originaria domanda di adempimento. Con ordinanza del 29 luglio 2019 il giudice istruttore respingeva tutte le istanze istruttorie delle parti. In particolare, riteneva inammissibile la CTU richiesta dalle parti attrici (...), (...) e della terza intervenuta (...) per accertare se avessero o meno subito danno in relazione all'inadempimento lamentato, in quanto esplorativa e diretta a sollevarle dall'onere di provare i fatti posti a fondamento delle domande svolte, rimettendo, invece, al Collegio ogni valutazione sulla necessità di disporre la CTU richiesta per la valutazione del danno da scalata ostile, all'esito della soluzione delle questioni giuridiche sollevate dalle parti sulla natura della responsabilità invocata. All'udienza del 22 settembre 2020 le parti precisavano le conclusioni chiedendo tutte la discussione orale della causa innanzi al Collegio, ai sensi dell'art. 275 c.p.c., a cui il giudice rimetteva le cause per la decisione con assegnazione alle parti dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. Dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica e prima dell'udienza dell'11 febbraio 2021 fissata dal Presidente per la discussione orale delle cause innanzi al Collegio, le società attrici (...) e (...) anche quale incorporante di (...), con istanza depositata il 1 febbraio 2021, chiedevano di essere rimesse in termini ai sensi dell'art. 153 comma 2 c.p.c. per la produzione di documenti estratti dal fascicolo delle indagini preliminari concluse dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti di (...), in relazione al reato contestato di manipolazione del mercato ai sensi dell'art. 185 TUF, che avrebbero fatto "emergere ulteriori importanti elementi fattuali" di cui non erano a conoscenza che dimostrerebbero l'illegittimità del rifiuto di (...) di eseguire il contratto. Analoga istanza veniva depositata in pari data dalla società attrice (...), sostenendo di aver avuto accesso al fascicolo delle indagini preliminari solo in data 8 gennaio 2021 e di aver estratto documentazione rilevante a conferma della tesi sostenuta della preordinazione dell'inadempimento al contratto preliminare di scambio di partecipazioni azionarie da parte di (...) al fine di far crollare il prezzo del titolo (...) in borsa ed agevolare la scalata ostile volta ad acquistare "a sconto" una partecipazione di " blocco" nel capitale di (...). Con memoria depositata il 9 febbraio 2021 la società convenuta contestava le produzioni documentali avversarie inammissibilmente eseguite dopo la rimessione della causa in decisione in quanto estrazione parziale e selettiva di una ventina di documenti dal fascicolo delle indagini preliminari che ne conterrebbe oltre 27.000 e produceva a sua volta, in replica, una serie di documenti scoperti solo dopo l'acceso al fascicolo delle indagini preliminari a conferma delle proprie tesi difensive, proponendo, a sua volta, istanza di rimessione in termini ai sensi dell'art. 153 comma 2 c.p.c. Il giorno stesso dell'udienza di discussione le società attrici depositavano nel fascicolo telematico ulteriore documentazione la cui produzione, neanche visibile al momento della discussione, veniva ritenuta inammissibile dal Collegio. Nel corso dell'udienza di discussione le parti dichiaravano di non opporsi alle produzioni documentali tardive della controparte a condizione dell'ammissione delle proprie e dopo ampia discussione delle questioni oggetto di controversia anche alla luce delle risultanze dei nuovi documenti, la causa veniva trattenuta in decisione. Ripercorso in estrema sintesi il travagliato andamento processuale delle due cause riunite, la complessa stratificazione temporale delle domande introdotte dalle parti nel tentativo di operare l'aggiornamento in tempo reale dell'oggetto dei due giudizi all'evolvere progressivo degli eventi, difficilmente compatibile con la struttura del processo civile, rende necessaria, previa soluzione delle questioni processuali comuni, la motivazione distinta della decisione delle due controversie che, pur essendo riunite nello stesso processo, conservano la loro completa autonomia. Le questioni processuali comuni ad entrambe le controversie. Preliminarmente deve essere esaminata l'istanza di rimessione in termini formulata da entrambe le parti ai sensi dell'art. 153 comma 2 c.p.c. con riferimento alla produzione dei documenti allegati alle note depositate il 1.2.2021 ed il 9.2.2021, dopo la scadenza dei termini per il deposito delle memorie di replica, a ridosso dell'udienza fissata per la discussione orale della causa innanzi al Collegio. Come noto l'art. 153 comma 2 c.p.c. consente alla parte di ottenere la rimessione in termini per l'esecuzione di attività processuale preclusa per effetto della scadenza del termine perentorio a cui è sottoposta, ove dimostri di essere incorsa nella decadenza per causa a lei non imputabile. Nel caso in esame entrambe le parti invocano la rimessione in termini sostenendo di aver avuto la disponibilità della documentazione in questione solo dopo aver ottenuto, l'8 gennaio 2021, l'autorizzazione da parte del Pubblico Ministero all'estrazione di copie dal fascicolo delle indagini preliminari del procedimento penale avviato nei confronti di (...), in relazione al reato di manipolazione del mercato ai sensi dell'art. 185 del TUF. Nella situazione descritta nessuna delle parti ha contestato l'esistenza del presupposto della non imputabilità della causa della decadenza dal potere di produrre documenti, maturata nel presente processo il 9 luglio 2018 con la scadenza del termine assegnato dal giudice ai sensi dell'art. 183 comma 6 c.p.c., e deve, pertanto, ritenersi l'ammissibilità della tardiva produzione dei documenti in questione ancorché effettuata dopo la chiusura della fase istruttoria e la rimessione in decisione delle cause, per evidenti ragioni di economia processuale, trattandosi di materiale probatorio che, comunque, potrebbe essere acquisito al processo nella fase di appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. L'ammissione delle parti alla produzione documentale ultra tardiva non può, a scanso di equivoci, tradursi nel superamento della barriera delle preclusioni riferite alla trattazione delle cause, restando ferma la sua utilizzabilità ai fini della decisione per l'accertamento dei soli fatti e circostanze tempestivamente dedotte dalle parti prima della maturazione delle preclusioni assertive, connessa alla scadenza del termine perentorio per il deposito della memoria di trattazione ai sensi dell'art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. Resta, infine, ferma l'inammissibilità già pronunciata dal Tribunale all'udienza di discussione collegiale delle produzioni documentali effettuate dalle società attrici TU febbraio 2021, in palese violazione del diritto al contraddittorio della società convenuta. La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, ha chiarito che all'udienza collegiale destinata alla relazione del giudice e alla discussione delle parti non può essere consentita la produzione di nuovi documenti, ancorché non vietati ai sensi dell'art. 345 c.p.c., non essendo possibile alla difesa avversaria l'esame del documento ai fini della replica sulla sua efficacia probatoria nel processo (v. Cass. 4.6.2001 n. 7511). Ne deriva l'inutilizzabilità a supporto della decisione delle controversie riunite nel presente processo della documentazione allegata alla nota depositata dalle società attrici in data 11 febbraio 2021. Procedendo all'esame delle questioni inerenti la delimitazione dell'ambito oggettivo e soggettivo del presente giudizio è fondata l'eccezione della società convenuta di inammissibilità delle diverse domande nuove introdotte dalle società attrici (...), (...) e (...) in entrambe le cause riunite, violando il regime processuale delle decadenze e preclusioni che regola la proposizione di nuove azioni all'interno di un giudizio già avviato, in modo tale da calibrare ogni facoltà di ampliamento dell'oggetto del giudizio riconosciuta all'attore con le esigenze del diritto di difesa del convenuto. La prima domanda nuova proposta dalla società attrice (...) all'udienza di trattazione del 21 marzo 2017, avente ad oggetto l'azione di risarcimento del danno lamentato a seguito della violazione di obblighi di protezione, buona fede e correttezza derivanti da contatto sociale qualificato nel corso della negoziazione del patto parasociale attraverso la scalata ostile, si fonda su causa petendi diversa da quella invocata nell'atto di citazione che presuppone la descrizione e dimostrazione di un nucleo di fatti costitutivi nuovi rispetto a quelli narrati nell'atto introduttivo del giudizio. La responsabilità per inadempimento dell'obbligazione da contatto sociale ai sensi dell'art. 1173 c.c. presuppone, infatti, la deduzione di fatti costitutivi nuovi in relazione alla diversa fonte e natura dell'obbligo violato ed è stata richiamata dalla società attrice, nel corso dell'udienza di trattazione, in relazione ad un fatto di inadempimento, la scalata ostile, completamente diverso rispetto a quello dedotto in citazione ove si era invocata la responsabilità contrattuale o extracontrattuale per il danno derivato dalla mancata attuazione delle attività prodromiche, funzionali al verificarsi della condizione sospensiva prevista nell'accordo del 8 aprile 2016 a cui il patto parasociale accedeva. La domanda ha, quindi, sicuramente introdotto una nuova azione risarcitoria che per espressa volontà della società attrice " si aggiunge e non sostituisce alle domande già formulate" ed è, quindi, una vera e propria domanda nuova la cui proposizione nel corso della prima udienza di trattazione è ammessa solo ove sia conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dalla parte convenuta, sempre che non si tratti di domanda che l'attore avrebbe già potuto proporre con l'atto di citazione. Secondo la prospettazione della società attrice la domanda nuova in questione costituirebbe una reazione alle difese svolte da (...) nella comparsa di risposta allorché, per contrastare la sua domanda di adempimento, ha negato l'esistenza di qualsiasi accordo con lei sostenendo che il patto parasociale invocato a fondamento delle domande svolte in atto di citazione sarebbe un mero allegato non sottoscritto di un contratto stipulato fra altri soggetti. Ma che la nuova domanda non sia affatto sorta dall'esigenza della società attrice di difendersi dalle contestazioni della società convenuta sull'inesistenza del patto parasociale e sulla sua estraneità all'accordo dell'S aprile 2016 emerge evidente dal fatto che si trattava di circostanze tutte già ben note a (...) al momento della proposizione dell'atto di citazione e già ampiamente valutate nella formulazione, in via subordinata, della domanda di condanna della società convenuta alla sottoscrizione del patto parasociale e della domanda di condanna al risarcimento del danno a titolo di responsabilità extracontrattuale, che presuppone l'estraneità di (...) all'accordo dell'8 aprile 2016. La fattispecie descritta non è annoverabile neanche fra le modificazioni della domanda consentite sino al deposito della prima memoria di trattazione, secondo l'interpretazione estensiva del sistema delle preclusioni assertive adottata dall'orientamento della suprema corte invocato dalla società attrice. La giurisprudenza di legittimità in materia afferma, infatti, che la modificazione della domanda prevista dall'art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. può consistere nel mutamento di uno o di entrambi gli elementi oggettivi dell'azione costituiti dalla causa petendi e dal petitum, purché risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e non determini la compromissione delle potenzialità difensive dell' avversario o la protrazione dei tempi del processo (Cass. 28.11.2019 n. 31078; Cass. 13.9.2019 n. 22865; Cass. 12.12.2018 n. 32146; Cass. SU 15.6.2015 n. 12310). Per rientrare nel novero delle modificazioni consentite sino al deposito della prima memoria di trattazione la domanda che introduca un'azione diversa da quella originariamente proposta deve, in particolare: - riferirsi alla stessa vicenda sostanziale cioè allo stesso nucleo di fatti costitutivi che non può, quindi, estendersi a comprendere fatti verificatisi dopo, relativi a vicende dipanatesi successivamente, - sostituirsi e non aggiungersi alla domanda originariamente proposta, in modo tale da realizzare un'effettiva economia processuale e da non compromettere la difesa del convenuto che, giova ricordare, nella fase processuale in questione non ha più la possibilità di reagire se non tramite le mere difese, essendogli ormai preclusa la proposizione delle domande riconvenzionali e delle eccezioni in senso stretto nonché la richiesta di chiamare in causa un terzo, in forza della decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c. Nel caso in esame la domanda nuova introdotta da (...) nella prima udienza di trattazione così come, del resto, tutte quelle successivamente proposte, si fonda sul fatto nuovo della scalata ostile completamente estraneo al nucleo dei fatti costitutivi dedotti nell'atto di citazione, si aggiunge e non si sostituisce alle domande già proposte, come specificato dalla stessa attrice, e non ha realizzato alcuna effettiva economia processuale, posto che ha contribuito ad appesantire la trattazione e l'istruttoria documentale delle due cause riunite senza neanche evitare la proposizione di un giudizio autonomo sulla medesima vicenda, con la disfunzionale proliferazione di processi su domande risarcitorie relative allo stesso danno. Come già accennato, anche le domande di adempimento contrattuale modificate nella prima memoria di trattazione hanno tardivamente introdotto una nuova azione connotata da una diversa causa pendentif sull' inedito fatto di inadempimento costituto dalla scalata ostile, e dal nuovo petitum arricchito della richiesta di condanna della società convenuta alla dismissione delle azioni acquistate così come la domanda risarcitoria si è estesa a comprendere una nuova e nutrita serie di pregiudizi economici lamentati in conseguenza della scalata ostile. Le nuove domande di adempimento sono, poi, state sostituite dalla domanda di risoluzione del patto parasociale violato attraverso la scalata ostile, formulata all'udienza del 4 dicembre 2018, fondata su una vicenda sostanziale di inadempimento completamente diversa da quella che aveva formato oggetto dell'originaria domanda di adempimento, che ha dato luogo ad un ennesimo mutamento della domanda, non consentito neanche dall'art. 1453 comma 2 c.c. che, come noto, presuppone che la domanda sostitutiva di scioglimento del vincolo si fondi sullo stesso fatto di inadempimento dedotto nell'atto introduttivo del giudizio. Tutte le domande nuove introdotte dalla (...) nel corso della trattazione del presente giudizio in violazione delle preclusioni assertive devono essere ritenute inammissibili, così che l'unica domanda da esaminare nel merito nella seconda delle cause riunite è la domanda n. II delle conclusioni precisate all'udienza del 22 settembre 2020. Per analoghe ragioni non possono essere esaminate nel presente giudizio né la domanda di risarcimento del danno lamentato in conseguenza della scalata ostile, proposta da (...) alla prima udienza di trattazione in aggiunta alle altre formulate nell'atto di citazione e fondata su un nuovo addebito sopravvenuto senza alcun collegamento con la domanda riconvenzionale o le eccezioni svolte da (...), né la domanda nuova fondata sulla pretesa violazione del divieto contrattuale di acquisto di azioni e sulla prospettata nullità degli acquisti di azioni (...) effettuati da (...) in violazione dell'art. 43 del Tusmar, introdotta solo all'udienza del 4 dicembre 2018. Del resto le tre società attrici (...), (...) e (...) erano ben consapevoli che l'esame delle domande nuove, stratificatesi progressivamente pressoché in ogni loro atto difensivo, fosse precluso nel presente processo tanto che hanno proposto innanzi al Tribunale un giudizio autonomo per ottenere il risarcimento dello stesso danno, invocando gli stessi ed altri titoli di responsabilità, distinto al n. RG 30071/2017, che hanno richiesto insistentemente di riunire nel presente processo. Nella situazione descritta, non si ravvisa, però alcuna ragione di economia processuale che possa giustificare la riunione del predetto giudizio alle due cause in esame, già oltremondo complesse, proprio perché attinente a fatti successivi e vicende diverse rispetto a quella oggetto degli atti introduttivi delle cause riunite nel presente processo. Procedendo con l'esame delle questioni processuali relative alla modificazione della compagine soggettiva del processo deve, invece, essere disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'intervento volontario spiegato, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., da (...) s.p.a. per proporre una nuova domanda risarcitoria nei confronti della società convenuta, dopo l'approvazione della deliberazione di fusione per incorporazione nella (...) s.p.a., società controllante già parte del giudizio. La società convenuta ha sostenuto, al riguardo, l'inammissibilità dell'intervento per difetto della qualità di terzo nella società in procinto di essere fusa per incorporazione in una delle parti del processo che si risolverebbe nell'"abusivo" ingresso nel processo di una domanda nuova, preclusa alla società attrice, attraverso l'indebito sfruttamento delle più ampie facoltà processuali riconosciute dall'art. 268 comma 1 c.p.c. al terzo intervenuto. Al riguardo è sufficiente evidenziare che, quando il 29 gennaio 2019 (...) s.p.a. è intervenuta nel presente giudizio, la fusione per incorporazione non aveva ancora determinato l'effetto dell'accentramento dei patrimoni delle società partecipanti, verificatosi, per quanto riferito dalla stessa società convenuta, il 26 marzo 2019, quando la fusione, all'epoca solo approvata, è divenuta efficace. Ne deriva che al momento dell'intervento in causa la società partecipante alla fusione era ancora un soggetto giuridico autonomo e distinto dalla società attrice ed aveva la facoltà di intervento adesivo autonomo in giudizio. Solo successivamente si è verificata, infatti, l'assunzione da parte della società attrice incorporante dei diritti ed obblighi della società incorporata con la conseguente prosecuzione in tutti i suoi rapporti anche processuali anteriori alla fusione, prevista dall'art. 2504 bis c.c. La giurisprudenza di legittimità richiamata dalla società convenuta a sostegno della sua tesi, secondo cui non può essere consentito alla parte di un processo di eludere le preclusioni assertive già maturate in suo danno assumendo indebitamente la posizione di terzo interveniente per fruire del diverso e più favorevole regime di preclusioni previsto per l'intervento, è evidentemente riferita all' ipotesi inversa rispetto a quella in esame in cui l'intervento era stato spiegato dal successore a titolo universale di una delle parti in causa già costituito in giudizio come tale, per far valere iure proprio un suo autonomo diritto. Nel caso in esame, invece, la società incorporanda ha effettuato l'intervento in un momento in cui era ancora soggetto autonomo e distinto dalla società attrice incorporante, la quale è, poi, subentrata nella sua posizione sostanziale e processuale ai sensi dell'art. 2504 bis c.c., una volta divenuta efficace la fusione. Non sussistono, quindi, le ragioni di inammissibilità dell'intervento per il difetto della qualità di terzo della società incorporanda sostenute dalla società convenuta. Né il prospettato abuso dello strumento processuale, sotteso allo stratagemma processuale utilizzato dalle società attrice incorporante per sanare il difetto di legittimazione attiva ed eludere le preclusioni, potrebbe essere di ostacolo al riconoscimento della proponibilità della domanda nuova, potendo rilevare, semmai, nell'ambito della valutazione della responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c., ove la domanda nuova introdotta con l'intervento della società incorporanda e proseguita dalla società incorporante, dovesse risultare oltre che infondata, proposta in malafede o colpa grave. La decisione sulle domande delle parti nella prima controversia c.d. Giudizio (...). La complessa architettura delle domande principali e riconvenzionali come risultante anche all'esito del mutamento da parte delle società attrici della domanda principale di adempimento dell'accordo dell'8 aprile 2016 in domanda di risoluzione per inadempimento, impone di procedere al loro esame seguendo l'ordine logico delle questioni che ne costituiscono l'oggetto. E', infatti, necessariamente prioritaria la valutazione e decisione delle domande di accertamento della validità del negozio condizionato rispetto a quelle dirette all'accertamento della sua efficacia o meno in relazione all'avveramento della condizione sospensiva ovvero all'accertamento della legittimità del recesso o dell'imputabilità dell'inadempimento ai fini della risoluzione, posto che la pronuncia di nullità o annullamento del contratto condizionato assorbirebbe ogni questione relativa all'avveramento della condizione o alla sopravvivenza del rapporto che dovesse esserne derivato. Ciò a prescindere dal fatto che la parte ne abbia richiesto la valutazione in via "alternativa" che, allorché le domande, entrambe rientranti nel petitum, siano in rapporto di pregiudizialità logica non esime dall'esame di entrambe secondo l'ordine di priorità. Iniziando dalla valutazione delle questioni inerenti la validità del contratto 8 aprile 2016, sia l'eccezione di nullità del contratto per mancanza di causa, sollevata da parte convenuta nel corso del giudizio, sia la domanda di annullamento per dolo ai sensi dell'art. 1439 c.c., formulata in via riconvenzionale, sono prive di fondamento giuridico. La causa, come elemento costitutivo del contratto inteso nella sua accezione più evoluta di funzione individuale della singola e specifica convenzione risultante dalla sintesi degli interessi che il negozio è concretamente diretto a realizzare a prescindere dal modello astratto del tipo di negozio impiegato dai contraenti (c.d. causa concreta), va scrutinata in relazione all'assetto impresso dalle parti agli interessi coinvolti nel regolamento negoziale al momento della stipulazione dell'accordo. La mancanza di causa è, quindi, vizio attinente alla fase genetica del contratto che deve emergere dal contenuto dell'accordo attraverso l'esame del regolamento degli interessi che vi è cristallizzato, insensibile alla sopravvenuta inattuazione del programma negoziale, che attiene invece alla fase successiva dell'esecuzione del contratto, cosi come all'erronea valutazione della convenienza economica dell'affare in relazione al difetto di qualità supposte dell'oggetto della prestazione che attiene, invece, alla possibile esistenza di vizi del consenso o di vizi redibitori. In sintesi la causa concreta del contratto, come desumibile dal contenuto deU'accordo, non può venir meno per effetto della successiva inattuazione del programma negoziale o della successiva scoperta da parte di uno dei contraenti dell'errore nella valutazione della convenienza dell'affare. E', dunque, infondata sin dalla prospettazione la questione della nullità per difetto di causa dell'accordo dell'8 aprile 2016 sollevata dalla società convenuta con riferimento alla successiva scoperta dell'irrealizzabilità del business pian della società (...) (...) posto a fondamento della sua valutazione dell'equilibrio economico dello scambio. Nonostante la notevole complessità del regolamento contrattuale, infatti, la causa emerge evidente dal contenuto del testo dell'accordo con cui le parti hanno adottato lo schema causale astratto tipico del contratto preliminare di permuta di azioni, introducendo nella struttura causale commutativa dello scambio l'alea dell'oscillazione del valore delle azioni tra la stipulazione dell'accordo preliminare e la conclusione del contratto definitivo, con lo scopo pratico di "costituire una partnership strategica nel settore dei contenuti audiovisivi, mirante a realizzare idonee sinergie industriali per sfruttare qualsiasi opportunità di sviluppo nello scenario industriale dei nuovi media internazionali.". Si trae, infatti, proprio dal testo delle premesse dell'accordo che "Come una delle fasi per la realizzazione della partnership strategica... le Parti si sono impegnate ad effettuare un'operazione globale mediante la quale (...) acquisirà il 100% del capitale di (...) e il 3,5% del capitale di (...) in cambio di azioni di (...) rappresentanti il 3,5% del capitale di (...), secondo termini e condizioni del presente Accordo." (v. doc. 1 di parte attrice a pag. 4). Lo scambio paritetico, cioè di un numero uguale di azioni tra (...) e (...), le due società di vertice dei due gruppi, italiano e francese, operanti nel settore dei contenuti audiovisivi, era funzionale all'avvio della prima fase dell'alleanza strategica per l'espansione dell'attività sul mercato europeo ed internazionale. Mentre l'acquisizione dell'intero capitale sociale della controllata (...), specificamente operante sul mercato italiano nel settore della televisione a pagamento, era funzionale all'equilibrio economico dello scambio atteso il maggior valore delle azioni di (...) rispetto a quelle di (...), al momento della stipulazione dell'accordo preliminare, come si desume dalla clausola n. 1.4, contenente la previsione di pagamento alternativo del corrispettivo, e dalle diverse clausole di garanzia sulla posizione finanziaria netta di (...). Nel quadro delineato dell'assetto "statico" dell'equilibrio degli interessi si inserisce, poi, l'alea specificamente assunta dalle parti dell'oscillazione del valore di mercato " delle azioni di (...), di (...) o di (...), sia per motivi dovuti alle predette società (anche tra l'altro per variazioni nelle rispettive circostanze economiche o finanziarie) sia per motivi non dovuti alle predette società'", al momento della conclusione del contratto definitivo, che innesta nella struttura del negozio l'incertezza del rapporto fra il sacrificio ed il vantaggio derivante a ciascun contraente dalla conclusione dell'operazione. Se tanto emerge dal contenuto dell'accordo non si vede come possano incidere sull'esistenza della causa in concreto, le prospettive di operatività sul mercato di (...) rivelatisi diverse da quelle valutate da (...) nel concludere l'accordo preliminare. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società convenuta, infatti, la situazione patrimoniale, economica o finanziaria della società (...) non incideva affatto sulla realizzabilità dell'alleanza strategica, fondata essenzialmente sullo scambio azionario tra le due società di vertice dei due gruppi e sulle sinergie di impresa che ne sarebbero derivate, altrimenti (...) non avrebbe assunto, a conclusione dell'operazione, l'alea dell'oscillazione del valore di mercato anche delle azioni non quotate in borsa di (...), a cui è strettamente connesso il rischio dell'evoluzione negativa dei risultati dell'attività di impresa. Né l'eventuale originario difetto dell'operatività sul mercato della società (...) prospettata al momento della conclusione dell'accordo, poteva avere incidenza tale da escludere completamente l'alea convenzionale assunta dalle parti con riferimento all'oscillazione di valore non delle sole azioni di (...) ma anche delle azioni quotate in borsa di (...) e (...). Sicuramente la valutazione dell'operatività di (...) con riferimento, in particolare, all'attendibilità delle previsioni del business pian consegnato a (...) nel corso delle trattative, ha inciso sulla valutazione della convenienza economica dello scambio, posto che il trasferimento dell'intero capitale sociale di (...) andava a colmare il divario di valore di mercato tra i due pacchetti azionari numericamente paritetici di (...) e (...) al momento della conclusione dell'accordo preliminare ma, come già chiarito, la circostanza non ha alcuna incidenza sulla causa del contratto. La diversa misura dell'alea rispetto a quella originariamente percepita da uno dei contraenti o la divergenza del valore dell'oggetto della prestazione in mancanza di qualità promesse o supposte dell'oggetto del contratto possono incidere, infatti, sulla genuinità del consenso o sull'esatta esecuzione dell'impegno negoziale ma non sull'esistenza della causa del contratto. L'eccezione di nullità dell'accordo per difetto di causa deve, pertanto, essere disattesa. Anche l'azione di annullamento per dolo dell'accordo proposta dalla società convenuta ai sensi dell'art. 1349 c.c. è priva di fondamento. La società convenuta ha sostenuto, in estrema sintesi, la configurabilità del dolo nel comportamento tenuto dalle società attrici durante le trattative allorché avevano deliberatamente "occultato o mascherato" i dati abnormi relativi al numero delle richieste di recesso degli abbonati nel mese di dicembre 2015 e all'entità del costo delle promozioni straordinarie lanciate per scongiurare la perdita di clientela, dati questi incidenti negativamente sull'effettiva entità dell'ARPU nel primo trimestre 2016 e rilevanti ai fini della valutazione dell'attendibilità delle proiezioni di redditività dell'attività di impresa di (...) poste a fondamento del business pian a cui le parti avevano fatto riferimento nella determinazione del contenuto del contratto, in particolare, con riguardo alla stima del valore della relativa partecipazione sociale e alla definizione delle garanzie contrattuali riconosciute all'acquirente. La domanda è priva di fondamento giuridico semplicemente per come l'azione è prospettata. L'annullamento del contratto per dolo, ai sensi dell'art. 1349 c.c., presuppone, infatti, l'adozione da parte di uno dei contraenti di raggiri tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe concluso il contratto. Se, invece, i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso alla stipulazione del negozio che, senza di essi, sarebbe stato, comunque, concluso sia pure a condizioni diverse (c.d. dolus incidens), il contratto è valido secondo la previsione dell'art. 1440 c.c., salva la responsabilità per i danni del contraente in malafede. Nel corso della trattazione della causa la società convenuta non ha mai neanche allegato che, ove avesse conosciuto i dati occultati dalle società attrici nella fase delle trattative e scoperti solo all'esito della due diligence successiva, avrebbe senz'altro desistito dalla stipulazione dell'accordo. Ha, invece, espressamente sostenuto, nella comparsa di risposta (v. pag. 40), che "in assenza delle omissioni dolose, avrebbe potuto negoziare diversamente le clausole contrattuali relative ad abbonati e Arpu al 31 dicembre 2015 incluse le soglie per esercitare il diritto di recesso e le definizioni rilevanti" o che avrebbe diversamente calibrato la clausola della garanzia sulla posizione finanziaria netta di (...) al closing in almeno 1,2 miliardi anziché in Euro 120 milioni, invocando, nella prima memoria, addirittura l'applicazione dell'art. 1440 c.c. per ottenere il risarcimento del relativo danno (v. memoria depositata da (...) ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. a pag. 29). Dal complesso delle stesse difese della società convenuta emerge che la mancata conoscenza dei dati cruciali per la valutazione dell'attendibilità del business pian di (...) consegnato nel corso delle trattative non è stata determinante del consenso alla stipulazione dell'accordo ed ha inciso solo sul contenuto delle pattuizioni negoziali che sarebbe stato diverso ove i dati in questione fossero stati disvelati prima della due diligence. E la circostanza è dirimente per affermare l'infondatezza della domanda di annullamento del vincolo. In ogni caso, non può dirsi ricorrente, nella fattispecie descritta, neanche il dolo omissivo rilevante come vizio del consenso ai fini dell'applicazione del rimedio previsto dall'art. 1439 c.c. che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, a) non è integrato dal mero silenzio o dalla reticenza anche su situazioni di interesse per l'altro contraente che non abbiano immutato la rappresentazione della realtà ma abbiano avuto il limitato effetto di non contrastare la percezione di essa alla quale dovesse essere pervenuto l'altro contraente, atteso che, per assumere rilevanza, il silenzio o la reticenza devono inserirsi in un comportamento complessivamente preordinato con astuzia a perpetrare l'inganno; b) e deve, comunque, essere valutato in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se il silenzio e la reticenza erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza (v. fra le molte Cass. 8.5.2018 n. 11009; Cass. 20.1.2017 n. 1585; Cass. 15.3.2005 n. 5549; Cass. 12.2.2003 n. 2104). Sotto il primo profilo il comportamento tenuto dalla società attrici nella fase delle trattative assume senza alcun dubbio i connotati della reticenza su dati specifici rilevanti per la valutazione da parte dell'acquirente delle prospettive di redditività della società (...). Come si desume dalle ampie deduzioni difensive delle parti sulla questione e dalle perizie allegate, per la valutazione della redditività dell'azienda operante nel comparto delle televisioni a pagamento, caratterizzato dal livello elevato dei costi fissi da sostenere periodicamente per l'acquisto dei diritti di trasmissione dei contenuti e dalla " volatilità" del parco abbonati che costituiscono l'unica fonte di reddito, i dati relativi all'oscillazione del numero degli abbonati ed al reddito medio per abbonato (c.d. ARPU) in un determinato periodo, così come l'entità dei costi sostenuti per le promozioni mirate all'acquisizione o al mantenimento della clientela, sono fondamentali per valutare le prospettive dell'impresa di produrre utile. I dati corrispondenti al numero degli abbonati e all'ARPU non sono, però, indicatori assoluti ma sono variabili dipendenti dalla composizione del "paniere" su cui sono calcolati e dalla durata temporale del periodo a cui si riferiscono, cosi che l'impresa può disporre sugli indicatori in questione di una pluralità di dati diversamente aggregati o disaggregati a seconda delle finalità perseguite nel rilievo. In particolare, quanto, al parametro del numero degli abbonati, anche all'interno dell'organizzazione della gestione di impresa di (...), poteva essere calcolato includendo o escludendo diverse tipologie di clienti con contratti riferiti a contenuti diversi così come l'ARPU poteva essere calcolato al netto o al lordo delle promozioni e della componente fiscale ovvero su base mensile o trimestrale (v. per l'illustrazione dettagliata delle diverse tipologie di indicatori la relazione Prof. (...) di cui al doc. 77 di parte convenuta da pag. 8 a pag. 18). Tanto è vero che le parti nell'accordo dell'8 aprile 2016 avevano fissato i criteri convenzionali di determinazione del numero degli abbonati e dell'ARPU rilevanti ai fini dell'applicazione delle pattuizioni negoziali, all'allegato C del contratto (v. doc. 28 di parte attrice). Ciò chiarito in ordine alle caratteristiche dei fondamentali indicatori di gestione oggetto di controversia emerge evidente che il silenzio della parte venditrice della partecipazione azionaria su una qualsiasi delle possibili aggregazioni o disaggregazioni dei dati in questione si traduce sicuramente in reticenza su circostanze di interesse per la parte acquirente ma non comporta di per sé manipolazione o falsificazione del singolo dato che possa integrare l'inganno. La semplice reticenza su dati risultanti da una disaggregazione o aggregazione diversa da quella attesa dalla controparte non è, infatti, sufficiente a configurare il dolo omissivo, che, presupponendo, comunque, il raggiro, richiede la prova rigorosa che siano stati forniti dati aggregati o disaggregati in modo errato a fronte di specifiche ed inequivoche richieste. Al riguardo, è sufficiente evidenziare che, nonostante il lievitare "ipertrofico" nel corso del giudizio delle contestazioni reciproche delle parti sulla questione e la mole imponente della documentazione anche tecnica introdotta da ciascuna a supporto delle proprie tesi, - né (...) e (...) hanno mai sostenuto e dimostrato in giudizio di aver comunicato a (...), prima della firma dell'accordo dell'8 aprile 2016, il dato relativo al numero totale di 91.961 delle richieste di recesso ricevute nel mese di dicembre 2015, il dato relativo al costo complessivo delle promozioni straordinarie elargite nei primi tre mesi del 2016 per Euro 41,6 milioni ed il dato relativo al numero di 51.264 clienti receduti nel solo mese di gennaio 2016, risultanti dai documenti estratti dalla data room nel corso della due diligence (v. doc. all. 82 pag. 6, 37, 38, all. 126, all.127 e all.17 di parte convenuta) - né (...) ha mai allegato e dimostrato di aver richiesto specificamente nel carteggio precedente alla riunione del 10 marzo 2016 (v. doc. all.18 di parte convenuta contenente l'elenco delle "domande preliminari") o nel corso della riunione stessa, la specifica indicazione dei dati anzi descritti, la cui ignoranza l'avrebbe tratta in inganno nella valutazione della convenienza dell'affare. Neanche il c.d. canovaccio interno prodotto dalla società convenuta in estremis, contenente il brogliaccio delle risposte fornite, poi, oralmente alla riunione del 10 marzo 2016 dallo staff di (...), evidenzia risposte relative a richieste di comunicazione specifica dei dati in questione (doc. G3 allegato alla nota del 9.2.2021). Nella situazione descritta deve senz'altro riconoscersi la reticenza di (...) sulla consistenza del fenomeno delle richieste di recesso e sulle politiche commerciali straordinarie adottate per scongiurare la diaspora degli abbonati seguita all'innalzamento del prezzo dell'abbonamento prospettato nel mese di novembre 2015 ma non vi è alcuna prova che a richieste specifiche e dirette di (...) siano stati forniti dati manipolati o erronei. Non vi sono, quindi, elementi per affermare che il silenzio, serbato da (...) deliberatamente per non svelare dati considerati "sensibili" ad un possibile concorrente prima della sottoscrizione dell'accordo (v. doc. Gli di parte convenuta allegato alla nota di deposito del 9.2.2021 c.d. memoriale Straziota) attraverso la comunicazione dei dati aggregati o disaggregati nella modalità strettamente attinente al tenore delle molteplici richieste della controparte, si sia tradotto in dolo omissivo rilevante ai fini dell'annullamento del contratto. Del resto, tale reticenza, che (...) aveva riservato anche agli analisti finanziari consultati dall'acquirente prima della sottoscrizione dell'accordo (v. doc. 41 pag. 4 presentazione (...) e doc. 91 pag. 8 di parte convenuta), poteva ben essere supposta da (...),nel corso delle trattative, dal momento che aveva accettato di stipulare un accordo che prevedeva la possibilità di effettuare la due diligence sulla società (...) solo dopo la firma del contratto preliminare. Non potrebbe, in ogni caso, seriamente sostenersi l'idoneità del silenzio di (...) sui dati in questione ad ingannare un colosso sul mercato del settore " al vertice di uno dei più grandi gruppi industriali al mondo nel settore dei media e nella creazione e distribuzione di contenuti audiovisivi " come (...), assistita nelle trattative e nella formazione del contratto oggetto di causa dai più rinomati studi di consulenza (v. doc. 156 relativo alle parcelle emesse per l'assistenza professionale), nella valutazione dell'attendibilità del business plan posto a fondamento della valutazione di convenienza dello scambio economico. Tanto più se si considera che aveva avuto la possibilità di consultare i report di diversi analisti, scettici sulla realizzabilità degli obiettivi di redditività prefissati, proprio in considerazione della politica commerciale connotata da promozioni aggressive attuata nel mese di dicembre 2015 e prevista da febbraio 2016 che lasciava prevedere significative perdite del margine operativo lordo rispetto all'obiettivo programmato (v. doc. 38 e 40 di parte attrice). Afferma, infatti, il report di HSBC del 17 febbraio 2016 "Rimaniamo cauti sulla (...) ha chiuso l'anno con oltre 2 milioni di abbonati, che è un buon finale d'anno (non sapendo quante persone hanno approfittato della promo natalizia (...) fortemente scontata). Le nostre preoccupazioni riguardano principalmente ciò che accadrà a lungo termine con (...)." (v. doc. 38 pag. di parte attrice), a cui fa eco il (...) del 26 febbraio 2016 ove si legge "(...) è stata piuttosto aggressiva nel tentare di ottenere nuovi abbonati per recuperare i costi incrementali... (...) ha presentato delle offerte natalizie molto aggressive a dicembre per i suoi pacchetti (...) (quindi escluso Sport) al costo di Euro1/mese per i primi 12 mesi. Ciò ha consentito a (...) di raggiungere l'obiettivo di 2mn clienti paganti alla fine del 2015 (contro gli 1,7mn alla fine di giugno 2015). A febbraio 2016, (...) offre ciascuno dei propri quattro pacchetti a Euro19/mese per i primi 12 mesi, prima di tornare ai prezzi precedenti di Euro26/Euro26/Euro36/Euro42/mese, rispettivamente. Stimiamo che (...) dovrà aggiungere 700k clienti premium (l,75mn alla fine del 2014) e aumentare il prezzo mensile di Euro4 (Euro23/mese come ARPU (...) a fine 2014) per poter raggiungere l'obiettivo di pareggio nel 2017. Crediamo che ciò sia troppo aggressivo e invece ipotizziamo acquisizioni nette di 400k clienti nel periodo 2014-2017, e un aumento di prezzo di Euro4/mese. In tal senso, prevediamo notevoli perdite EBIT di bilancio pari a nel 2015, nel 2016 e - Euro52mn nel 2017, rispetto all'obiettivo iniziale (...) di -°°mn/-Euro21mn/+Euro54mn nel 2015/16/17." (v. doc. 40 di parte attrice pag. 74 e 75 del file). A prescindere dal fatto che le previsioni negative riportate non fossero supportate da dati provenienti da (...) che, come già detto, aveva sempre rifiutato di comunicarli agli analisti, è innegabile che avrebbero dovuto mettere in allerta la società convenuta sulla convenienza dell'affare che si accingeva a concludere, proprio con riferimento all'incidenza delle promozioni aggressive in corso sulla consistenza del "parco" abbonati e del margine operativo dell'impresa. Del resto che (...) non sia stata affatto ingannata sulle effettive prospettive di redditività della società (...) e sull'attendibilità del suo business pian risulta, senza alcuna necessità di ragionare in via presuntiva, dalla lettera del 7 marzo 2016 proveniente dalla manager (...), dello staff interno della società convenuta, indirizzata per conoscenza anche all'amministratore delegato di (...), che giudicava "ambizioso" il piano di contenimento delle perdite operative fondato su previsioni irrealistiche di aumento del numero di abbonati e dell'ARPU, evidenziava, al di là della garanzia del livello di perdite nei primi due anni che "il rischio rimane a noi dopo 3 anni", sottolineava di conseguenza la difficoltà di giungere alla conclusione del vincolo senza una due diligence preventiva e suggeriva, come modus operandi "Torniamo a un format più normale con una rapida due diligence... e poi redigiamo il contratto di cessione" (v. doc. 102 di parte attrice allegato alla nota depositata in data 1.2.2021). Il fatto, poi, che (...) si sia accontentata di semplici risposte orali all'articolato questionario esaminato nella famosa seduta del 10 marzo 2016 invece di rifiutarsi di concludere l'affare in mancanza della possibilità di eseguire una due diligence preventiva, come suggerito da chi al suo interno aveva ben intuito i profili di inattendibilità delle previsioni del business pian, assume i contorni 0 di una azzardata scelta di rischio imprenditoriale, affrontato pur di stringere l'importante alleanza strategica con (...), o di un'inescusabile negligenza nella sottovalutazione degli "allarmi" interni (provenienti dallo staff) ed esterni (provenienti dai report di alcuni analisti finanziari) che mettevano in guardia sull'attendibilità e la fattibilità del businnes plan di (...). Evenienze entrambe estranee alla tutela dell'affidamento del contraente in tesi vittima del dolo dell'altro. La domanda di annullamento per dolo dell'accordo dell'8 aprile 2016 deve, pertanto, essere respinta. Appurata la piena validità del contratto preliminare di permuta di azioni perfezionato in vincolo negoziale con la sottoscrizione dell'accordo dell'8 aprile 2016, deve essere affrontata la questione della sua inefficacia in ragione del mancato avveramento della condizione sospensiva, apposta dalle parti alla clausola n. 2, rispetto alla quale le società attrici hanno invocato la fictio iuris di avveramento prevista dall'art. 1359 c.c., in conseguenza del comportamento tenuto dalla società convenuta per "bloccare" il procedimento di acquisizione delle autorizzazioni amministrative prescritte a cui era subordinata l'efficacia del negozio. Alla clausola n. 2.1 dell'accordo le parti avevano previsto che gli scambi azionari oggetto del contratto avrebbero dovuto essere eseguiti entro il mese immediatamente successivo al verificarsi della condizione sospensiva dell'"ottenimento, entro i termini di legge, di tutte le approvazioni, i permessi e le autorizzazioni di qualsiasi autorità competente nazionale e sovranazionale (comprese eventuali autorizzazioni obbligatorie in materia di controllo sulle fusioni) necessari per completare le operazioni". La pattuizione era seguita, alla clausola n. 2.2, dall'analitica previsione di specifici obblighi di collaborazione fra le parti tenute, in particolare, le società venditrici a fornire tutte le informazioni sulla società (...) e tutta la documentazione necessaria ad avviare le procedure istruttorie per la notifica presso le competenti autorità Antitrust e la società acquirente ad avviare ed istruire a sue spese il relativo procedimento presso le autorità garanti, ferma restando l'insussistenza di qualsiasi obbligo a carico di (...) di accettare eventuali limitazioni imposte dall'autorità alle operazioni o alla conduzione delle attività delle sue attuali affiliate o di adeguarsi ad eventuali richieste di dismissione di rami d'azienda. Per l'avveramento della condizione era previsto il termine del 30 settembre 2016, prorogabile una volta sull'accordo delle parti, scaduto il quale "il presente Accordo sarà risolto e ciascuna delle Parti sarà completamente sollevata da ogni obbligo in esso previsto, fatti salvi quelli relativi a eventuali inadempienze occorse prima di tale risoluzione" (v. doc. 1 parte attrice a pag. 8 e 9). La clausola condiziona, quindi, in estrema sintesi l'efficacia del contratto alla condizione sospensiva del rilascio, entro il termine stabilito, di tutte le autorizzazioni delle autorità nazionali e sovranazionali preposte, necessarie al completamento dell'operazione di scambio azionario programmata, prescrivendo a ciascuna delle parti specifiche ed obbligatorie modalità di condotta per favorire il buon esito dei relativi procedimenti costituenti una sorta di "procedimentalizzazione" del dovere, previsto dall'art. 1358 c.c., di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione. Non costituisce oggetto di contestazione che la società convenuta dopo aver avviato e concluso con esito favorevole il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni dell'autorità antitrust nazionale con le delibere dell'Ageom del 7 luglio 2016 n. 315 e 316 (v. doc. 47 di parte convenuta), ha deliberatamente "bloccato" il procedimento avviato presso la Commissione Europea per il rilascio della dichiarazione di compatibilità con il mercato comune della realizzazione di una concentrazione di dimensione comunitaria, ai sensi dell'alt. 7 comma 1 del Regolamento 139/2004 CE, in vista della rinegoziazione delle condizioni dell'accordo (v. lettera del legale di (...) del 4 luglio 2016 al funzionario della Commissione Europea di cui al doc. 52 di parte convenuta). Nella situazione descritta l'inapplicabilità del meccanismo della fictio iuris previsto dall'art. 1359 e.c. - secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento - deriva: (i) dal carattere bilaterale della condizione, chiaramente apposta dai contraenti nell'interesse di entrambe le parti alla costituzione dell'alleanza strategica che costituisce la causa del contratto; (ii) dalla natura dell'evento dedotto in condizione, costituito dal rilascio di autorizzazioni amministrative, indispensabili a realizzare la finalità economica del contratto, che non possono essere sostituite dalla semplice finzione legale della loro effettiva emanazione. Afferma, al riguardo, la giurisprudenza di legittimità che la previsione dell'art. 1359 c.c. "non è applicabile alla "condicio iuris" sospensiva non potendosi sostituire con una semplice finzione legale la effettiva emanazione dell'atto amministrativo di autorizzazione, richiesto dalla legge come requisito legale dell'efficacia del negozio e come tale, peraltro, eventualmente considerato dalle stesse parti private" (v. Cass. 2.3.2001 n. in motivazione; Cass. 2.6.1992 n. 6676; Cass. 5.2.1982 n. 675). E' evidente, infatti, che il mancato avveramento della condizione del rilascio dell'autorizzazione da parte dell'autorità preposta alla verifica della compatibilità della concentrazione con il mercato comune, prevista dall'art. 7 comma 1 del Regolamento 139/2004 CE, determina l'impossibilità dello scambio azionario che si risolva in concentrazione di dimensione comunitaria, e non può essere surrogata dalla finzione di avveramento. In conclusione, alla stregua delle considerazioni appena svolte, deve essere accertata l'inefficacia dell'accordo dell'8 aprile 2016 soggetto a condizione sospensiva non avveratasi nel termine pattuito, con conseguente assorbimento di tutte le domande proposte in via subordinata dalla società convenuta. Non resta, quindi, che procedere all'esame della domanda di risoluzione del contratto che ha sostituito la domanda originaria di adempimento, a seguito della mutatio libelli operata dalle società attrici, ai sensi dell'art. 1453 comma 2 c.c., all'udienza del 4 dicembre 2018. Il mutamento della domanda di adempimento dell'accordo originariamente proposta dalle società attrici in domanda di risoluzione per inadempimento del contratto sospensivamente condizionato con condanna della società convenuta al risarcimento del danno che ne è derivato, ai sensi dell'art. 1453 comma 2 c.c., è indubbiamente ammissibile secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità più recente, purché resti identico il fatto costitutivo dell'inadempimento originariamente prospettato (v. Cass. SU 11.4.2014 n. 8510; Cass. 25.6.2018 n. 16682). Deve, quindi, essere affrontata preliminarmente la questione sollevata dalla società convenuta della configurabilità del rimedio risolutorio avverso un contratto condizionato già inefficace in ragione del mancato avveramento della condizione. La questione attiene essenzialmente all'interesse della parte all'eliminazione giudiziale di un vincolo negoziale perfetto e valido che non ha mai prodotto gli effetti giuridici programmati e che mai li produrrà, essendo ormai definitivo il mancato avveramento della condizione sospensiva sottoposta a termine, oltre che all'impossibilità di configurare l'inadempimento con riferimento ad obbligazioni contrattuali mai sorte. Al riguardo è necessario chiarire che il contratto condizionato sospensivamente è inefficace con riferimento agli effetti tipici programmati nel regolamento negoziale adottato ma è pur sempre immediatamente produttivo dell'effetto vincolante delle parti all'osservanza delle pattuizioni e degli effetti prodromici e preparatori dell'adempimento nel periodo di pendenza della condizione che potrebbero aver già determinato mutamenti della situazione giuridica che richiedano l'eliminazione del vincolo ai fini del ripristino di quella originaria. Ancorché non siano sorte le obbligazioni derivanti dal regolamento negoziale "sospeso" la risoluzione per inadempimento del contratto condizionato è configurabile per recidere il vincolo negoziale se il mancato avveramento della condizione sia imputabile alla violazione ad opera dell'altra parte degli obblighi prodromici specificamente derivanti dal dovere di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione previsto dall'art. 1358 c.c. La giurisprudenza di legittimità non dubita della configurabilità della risoluzione del contratto condizionato sospensivamente in questa particolare situazione ed ha ripetutamente affermato il principio secondo cui "Il contratto sottoposto a condizione sospensiva può ritenersi perfettamente concluso e, anche se non ancora efficace, già produce obbligazioni preliminari o prodromiche - da osservarsi dai contraenti durante la pendenza della condizione - il cui inadempimento può dar luogo ad una responsabilità contrattuale e ad una pronuncia di risoluzione per mancato rispetto degli obblighi di cui al citato art. 1358 c.c." (v. fra le molte Cass. 19.6.2014 n. 14006; Cass. 12.2.2014 n. 3207; Cass. 24.10.2011 n. 21951; Cass. 3.6.2010 n. 13469; Cass. 18.3.2002 n.3942; Cass. 22.3.2001 n. 4110). La configurabilità del rimedio risolutorio avverso il contratto sospensivamente condizionato è, dunque, limitata alla deduzione di un fatto di inadempimento riferito alla violazione degli obblighi prodromici derivanti dal dovere di comportamento in buona fede durante la pendenza della condizione sancito all'art. 1358 c.c. che ne abbia determinato il mancato avveramento e richiede, comunque, che la parte abbia uno specifico interesse a recidere il vincolo negoziale inefficace per rimuovere ogni possibile conseguenza derivante dalla sua persistenza. Senza dubbio deve escludersi la possibilità di adottare la pronuncia costitutiva di risoluzione del vincolo negoziale soggetto a condizione sospensiva nell'ipotesi in cui il regolamento contrattuale abbia specificamente disciplinato la sorte del vincolo condizionato. Nel caso in esame, con l'accordo dell'8 aprile 2016, le parti hanno stretto un vincolo negoziale perfetto e valido ancorché soggetto a condizione sospensiva, indubbiamente rimasto inefficace quanto alla produzione degli effetti tipici del contratto preliminare e cioè al sorgere dell'obbligazione principale di concludere il contratto definitivo reciprocamente traslativo della titolarità delle azioni alle condizioni concordate e di stipulare i patti accessori. L'accordo ha, invece, immediatamente prodotto gli effetti prodromici e preparatori inerenti le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti alle lettere da a) ad f) della clausola 2.2 dell'accordo per disciplinare il periodo transitorio della pendenza della condizione sospensiva, in una sorta di "procedimentalizzazione", come si è detto, dell'obbligo di comportamento secondo buona fede sancito dall'art. 1358 c.c. Ma proprio per evitare l'indefinita persistenza degli effetti prodromici del contratto sospensivamente condizionato le parti hanno stabilito il termine del 30 settembre 2016 entro cui la condizione avrebbe dovuto verificarsi, prorogabile una sola volta sull'accordo di entrambe, scaduto il quale "il presente Accordo sarà risolto e ciascuna delle Parti sarà completamente sollevata da ogni obbligo in esso previsto, fatti salvi quelli relativi a eventuali inadempienze occorse prima di tale risoluzione." (v. doc. 1 di parte attrice a pag. 8 e 9). Dall'inutile scadenza del termine previsto per l'avveramento della condizione sospensiva, in mancanza di qualsiasi accordo per la sua proroga, il contratto condizionato si è, dunque, risolto per effetto della specifica pattuizione in tal senso delle parti. Ne deriva l'impossibilità dell'adozione della pronuncia costitutiva di risoluzione invocata dalle società attrici, potendo al più, onde fugare ogni dubbio sulla persistenza del vincolo condizionato, essere accertata l'avvenuta risoluzione dell'accordo condizionato al 30 settembre 2016 per effetto della specifica previsione 2.2 ultimo periodo. All'avvenuta risoluzione dell'accordo per effetto della clausola richiamata, che fa espressamente salvi gli effetti obbligatori derivanti dalle inadempienze verificatesi prima, consegue, comunque, la responsabilità del contraente a cui l'inadempimento è imputabile per il danno subito dall'altro. Il fatto di inadempimento tempestivamente dedotto dalle società attrici a fondamento della domanda risarcitoria conseguente alla risoluzione dell'accordo condizionato è la deliberata inosservanza da parte della società convenuta degli obblighi assunti alle lettere dalla b) alla d) della clausola 2.2 dell'accordo per favorire il rilascio dell'autorizzazione da parte dell'autorità di controllo antitrust europea e, in ultima analisi, di collaborare in buona fede onde rendere possibile l'avveramento della condizione. L'obiettiva inattuazione delle obbligazioni specificamente assunte per favorire il rilascio della dichiarazione di compatibilità dell'operazione con il mercato comune da parte della Commissione Europea è pacificamente riferibile al comportamento della società convenuta che, di sua iniziativa, ha "bloccato" il procedimento già avviato per il rilascio del provvedimento in vista della auspicata rinegoziazione dell'accordo (v. doc. 52 di parte convenuta) dopo aver scoperto, all'esito della due diligence, dati rilevanti ai fini della valutazione degli indicatori fondamentali di redditività dell'impresa, concernenti il numero di abbonati e l'ARPU, che avevano reso evidente l'irrealizzabilità del business pian della società (...), consegnato dalle società attrici nel corso delle trattative e posto a fondamento della valutazione di convenienza dello scambio azionario e della previsione di garanzia sulla posizione finanziaria netta della società (...) al momento del closing. In particolare, la società convenuta ha giustificato la sua condotta sostenendo che in ragione della scoperta dei dati, taciuti dalle attrici nel corso delle trattative, relativi al numero totale di 91.961 richieste di recesso ricevute nel mese di dicembre 2015, al costo complessivo delle promozioni straordinarie elargite nei primi tre mesi del 2016 ed al numero di 51.264 clienti receduti nel solo mese di gennaio 2016, si era avveduta dell'irrealizzabilità delle previsioni del business pian di (...) relativo al periodo 2016-2020 - ove, a fronte di un progressivo aumento dei ricavi si pronosticava il riassorbimento nei primi due anni delle perdite sino a giungere alla gestione in pareggio a partire dall'anno 2018 (v. doc. 10 di parte attrice) - che aveva posto esplicitamente a fondamento della pattuizione della clausola di garanzia della posizione finanziaria netta di 120 milioni di euro, come del resto riconosciuto dallo stesso amministratore delegato delle società attrici nella lettera del 18.6.2016 (v. doc. 142 di parte convenuta). Nella situazione descritta, per accertare l'imputabilità o meno a (...) dell'inadempimento che ha determinato il mancato avveramento della condizione sospensiva risolvendosi essenzialmente in un recesso dall'accordo preliminare dell' 8 aprile 2016 è, quindi, fondamentale verificare se la scoperta, dopo la due diligence, dei dati in questione e del loro innegabile impatto sulla valutazione di attendibilità delle previsioni del business pian poste a fondamento della trattativa delle clausole di garanzia, potessero giustificare, sulla base del contratto validamente sottoscritto, la decisione di non dar corso alla conclusione dell'operazione programmata. E' indispensabile, quindi, procedere all'interpretazione del complesso articolato contrattuale che, come noto, è soggetta, innanzitutto, all'applicazione dei criteri ermeneutici strettamente interpretativi generali, dettati dagli articoli 1362 e 1363 del codice civile. La volontà negoziale delle parti deve essere, infatti, ricostruita prima di tutto tenendo conto oltre che del significato letterale delle espressioni utilizzate, del senso che risulta dal contenuto complessivo dell'atto e dal comportamento anche posteriore tenuto dalle parti, essendo possibile il ricorso ai canoni interpretativi-integrativi previsti nei successivi articoli del codice, solo ove la prima operazione ermeneutica non abbia consentito l'attribuzione di un significato univoco alla manifestazione della volontà contrattuale, secondo la nota gerarchia interna dei criteri di interpretazione del contratto stilata dall'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (v. fra le molte Cass. 24.1.2012 n. 925; Cass. 9.6.2005 n. 12120; Cass. 14.10.2003 n. 15371). Con riferimento alla verifica dell'esistenza della facoltà contrattuale di recesso di (...) nella situazione descritta, assume particolare rilievo l'esame e l'interpretazione del complesso delle clausole che attribuisce natura aleatoria al negozio con il contrappeso di un articolato sistema di garanzie a favore della società acquirente, ove la facoltà di recesso o risoluzione del vincolo le è specificamente attribuita solo nelle ipotesi tassativamente previste, al di fuori delle quali il risarcimento del danno o l'indennizzo sono previsti come rimedio contrattuale esclusivo. Dall'esame del testo contrattuale emerge, in particolare, che: a) alla clausola n. 1.6 le parti hanno espressamente strutturato il contratto come aleatorio stabilendo "in particolare, sotto questo aspetto, le Parti riconoscono sin d'ora che qualsiasi variazione nel valore di mercato delle azioni di (...), di (...) o di (...), sia per motivi dovuti alle predette società (anche, tra l'altro, per variazioni nelle rispettive circostanze economiche o finanziarie) sia per motivi non dovuti alle predette società, sarà riconducibile all'alea normale del presente Accordo ai fini dell'Art. 1467 2 comma, del Codice Civile". Posto che l'espressione "(...)" sta per (...), dal semplice esame della clausola richiamata emerge che l'alea convenzionale riguardava anche l'eventuale evoluzione negativa della redditività dell'impresa rispetto a quella attesa, senza alcuna distinzione tra le ragioni, anteriori o posteriori alla sottoscrizione del contratto, della modificazione della sua situazione economico-finanziaria. Per quanto l'alea in questione fosse indubbiamente acuita dal riconoscimento a (...) della facoltà di sottoporre (...) a due diligence solo dopo la sottoscrizione del contratto preliminare (clausola 3.1), è evidente che di per sé la scoperta successiva alla conclusione del contratto preliminare di scambio azionario di circostanze che avrebbero potuto compromettere anche in modo serio la redditività dell'impresa, non potesse giustificare la risoluzione del vincolo sotto il profilo dell'eccessiva onerosità sopravvenuta. b) alla clausola n. 1.1 le parti hanno pattuito, come unica garanzia contrattuale accordata a (...) sull'effettiva situazione economico finanziaria di (...), quella relativa alla posizione finanziaria netta che non avrebbe dovuto essere inferiore a 120 milioni di euro al momento del verificarsi della condizione sospensiva. Infatti, alla clausola n. 1.1 "Le Parti hanno convenuto che la posizione finanziaria netta di (...) all'ultimo giorno solare del mese in cui si verificherà la Condizione sospensiva...sarà pari ad Euro 120.000.000 (centoventi milioni/00)" ed hanno, quindi, previsto, l'impegno di (...) a versare a (...) l'importo necessario ad assicurare che la posizione finanziaria netta sia pari a 120 milioni di euro oppure l'impegno di corrispondere a (...) una somma in danaro pari alla differenza a titolo di adeguamento del corrispettivo stimato per l'acquisto del capitale sociale di (...), secondo le articolate previsioni della clausola 1.5. L'impatto delle circostanze scoperte dopo la due diligence sulla situazione finanziaria di (...) avrebbe potuto, quindi, avere rilevanza solo entro i limiti della garanzia pattuita in ordine alla posizione finanziaria netta. Come già chiarito la garanzia in questione era stata calibrata dalle parti sulle previsioni del business plan che, a loro volta, dipendevano dagli indicatori fondamentali dell'operatività dell'azienda relativi al numero di abbonati e all'ARPU, come definiti convenzionalmente dalle parti nell'allegato C dell'accordo (v. doc. 28 di parte attrice), in relazione ai quali erano, poi, previste apposite garanzie contrattuali, comprensive in ipotesi tassative, del diritto convenzionale di recesso. In particolare: c) alla clausola n. 3.2 lett. a) era riconosciuto a (...) il diritto di recesso dal contratto entro il 15 maggio 2016, nel caso in cui il totale effettivo di abbonati a (...), come definiti all'allegato C, fosse inferiore a 1.710.000 unità alla data del 31 dicembre 2015 o l'ARPU fosse, alla stessa data, inferiore ad Euro 23,06, all'esito delle verifiche affidate al perito individuato in (...) s.p.a. con sede a Milano. Ed il fatto che la clausola debba essere intesa come restrittivamente riferita alla sola ipotesi descritta è previsto testualmente dalla clausola 3.7 ove, sotto la rubrica "Elenco restrittivo dei diritti di recesso" si legge "Per maggiore chiarezza le parti riconoscono e convengono che (...) non avrà il diritto di recedere al presente Accordo in circostanze diverse da quelle indicate espressamente nella sezione 3. Non sussiste, fra le parti, alcuna contestazione in ordine al fatto che sia stata verificata positivamente dal perito l'osservanza delle soglie contrattuali delineate dalla clausola 3.2. lett. a) e non può, dunque, essere ritenuta l'esistenza del diritto di recesso di (...) con riferimento alla situazione scoperta dopo la due diligence sulla base di tale clausola. d) per il resto le garanzie relative specificamente agli indicatori fondamentali o alla completezza delle informazioni rilevanti, erano contenute nell'allegato relativo alle "Dichiarazioni e Garanzie (...) la cui violazione avrebbe potuto comportare solo il risarcimento del danno secondo la previsione della clausola 6.2. ove si legge, infatti, che "(...) dovrà risarcire (...) o (...)... il 100% di qualsiasi Danno subito da (...) o da (...) come conseguenza di qualsiasi violazione delle Dichiarazioni e garanzie di (...), essendo tuttavia convenuto che tale obbligo risarcitorio di (...): a) sarà l'unico rimedio disponibile per (...) per qualsiasi Danno risarcibile..." (v. doc. 1 di parte attrice pag. 22). Con riguardo, in particolare, al numero di abbonati e all'ARPU nel primo trimestre 2016 le parti avevano previsto alla clausola XXVI dell'allegato relativo a "Dichiarazioni e Garanzie (...) da parte di (...) che "Il numero complessivo di Abbonati (così come definito nell'Allegato C del presente Contratto) non è sostanzialmente diminuito nel periodo tra il 1 gennaio 2016 e 31 marzo 2016" così come che "Il Ricavo Medio per Utente (ARPU) degli Abbonati ((così come definito nell'Allegato C del presente Contratto) non è sostanzialmente diminuito nel periodo tra il 1° gennaio 2016 e 31 marzo 2016" e la violazione dell'impegno in questione, secondo la previsione della clausola 6.2 dell'accordo avrebbe potuto comportare solo il risarcimento del danno (v. doc. 10 di parte attrice a pag. 10). Allo stesso modo, avrebbe potuto essere solo fonte di risarcimento del danno, la violazione dell'impegno generale alla completezza delle informazioni rilevanti, previsto dalla clausola XXVII dell'allegato h rubrica "Informazioni e comunicazioni" cui "Tutte le informazioni fornite da (...), dalla (...) e dai rispettivi consulenti a (...) e i rispettivi consulenti sono veritiere, precise e complete sotto tutti gli aspetti e non fuorvianti. Non sussistono fatti che non siano stati comunicati nel presente Contratto che siano stati oggetto o possano ragionevolmente essere oggetto di una modifica sostanzialmente pregiudizievole" Fattispecie a cui è indubbiamente riferibile il deficit di completezza delle informazioni fomite dalle società attrici nel corso delle trattative sull'abnorme numero di richieste di recesso degli abbonati nel mese di dicembre 2015, l'elevato numero di recessi nel solo mese di gennaio 2016 e l'anomalia del costo delle promozioni straordinarie. In sintesi la rilevanza degli indicatori fondamentali come convenzionalmente definiti ai fini dell'esercizio del diritto di recesso era tassativamente limitata all'ipotesi descritta nella richiamata clausola 3.2 lett. a) per il numero di abbonati e l'ARPU al 31 dicembre 2015, pacificamente non verificatasi, mentre ogni questione relativa al numero di abbonati e all'ARPU nel primo trimestre 2016 ed alle informazioni lacunose sul costo delle promozioni sostenute per mantenere i parametri entro le soglie contrattuali, avrebbe potuto avere rilievo solo ai fini del risarcimento del danno. e) alla clausola 3.1 del contratto era sancita, infine, la previsione di chiusura contenente la regolamentazione del potere di (...) di rifiutare la conclusione del contratto definitivo a seguito del rilievo di "qualsiasi passività" nel corso della due diligence. La clausola nella sua formulazione involuta e cervellotica ha dato adito a contestazioni fra le parti anche nella sua traduzione e, nel testo originale in lingua inglese, recita "or the avoidance of any doubt, without prejudice (i) to the indemnity obligations of (...) set forth in Section 6 below and (ii) to the termination right of (...) under this Section 3, and absent any wilful misconduct (dolo) or gross negligence (colpa grave), any liability possibly detected by (...) and its advisors during the Due Diligence will not prevent the completion of Closing at the terms and conditions set forth in this Agreement" Si tratta di una pattuizione ricalcata sulla tipica clausola di garanzia dell'acquirente di partecipazione sociali dal rischio dell'emersione successiva di esposizioni debitorie o poste patrimoniali passive preesistenti ma scoperte solo dopo l'acquisizione. L'espressione "any liability" che le parti riferiscono, l'una al termine "responsabilità" l'altra al termine "passività", deve essere, quindi, intesa come riferita ad "ogni passività" nel senso di esposizione debitoria o posta patrimoniale passiva, scoperta da (...) e dai suoi consulenti nel corso della due diligence così che la clausola tradotta in italiano recita " A scanso di dubbi, fatti salvi: (i) gli obblighi di indennizzo di (...) in base alla Sezione 6 e (ii) il diritto di (...) di recedere dal Contratto secondo quanto previsto dalla presente Sezione 3, in mancanza di dolo o colpa grave, qualsiasi passività eventualmente rilevata da (...) e dai suoi consulenti nel corso della Due Diligence, non impedirà il completamento del Closing secondo i termini e le condizioni del presente Accordo" La clausola, intesa in correlazione alle altre previsioni richiamate ed in particolare con la previsione dell'art. 3.7 che richiama all'interpretazione restrittiva delle pattuizioni relative ai diritti di recesso, stabilisce essenzialmente: - la regola generale, secondo cui nessuna passività rilevata da (...) e dai suoi consulenti può impedire il completamento del Closing secondo i termini e le condizioni dell'accordo, ferme restando le previsioni indennitarie ed il diritto di recesso specificamente garantiti; - e l'eccezione, con cui le parti fanno salva l'ipotesi che la passività sia stata occultata con dolo o colpa grave. Il legittimo rifiuto di pervenire alla sottoscrizione del contratto definitivo in relazione all'esito negativo della due diligence presuppone, dunque, - l'emersione nel corso della due diligence di esposizioni debitorie o poste passive ben individuate e determinate nella loro consistenza, già esistenti nel patrimonio della società (...), diverse da quelle già oggetto delle previsioni di garanzia indennitaria o di specifico diritto di recesso; - occultate dalla cessionaria con dolo o colpa grave, contestate prima della scadenza del termine previsto per la conclusione del contratto definitivo. Nella fattispecie in esame (...) si è avvalsa della facoltà di recesso sottesa alla clausola in questione solo nella comparsa di risposta, lamentando l'occultamento doloso da parte di (...) e (...) di dati relativi al numero di abbonati e all'ARPU rilevanti per la valutazione dell'attendibilità del business plan sotto il profilo della futura redditività dell'impresa. Non ha invece mai lamentato, prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo o nell'immediatezza della conclusione delle operazioni di due diligence, l'avvenuto rilievo da parte di (...), incaricata delle operazioni, di debiti o poste passive già esistenti nel patrimonio di (...) e ben individuati nella loro consistenza. Ed è evidente, al riguardo, che non possano essere equiparate alle passività a cui si riferisce la clausola le problematiche di redditività futura evidenziate con riferimento all'entità abnorme dei costi già sostenuti per le promozioni straordinarie onde evitare la dispersione della clientela. Si tratta, infatti, di una previsione futura di difficoltà dell'impresa ad assicurare la produzione di utili nella misura auspicata dal business pian che la (...) ha formulato nella relazione senza, però, tradurla nell'emersione di una posta passiva attuale ben determinata nella sua consistenza e, dunque, tale da essere considerata ai sensi della previsione contrattuale sopra indicata. Né può assumere rilievo la mancata svalutazione dei diritti calcistici all'inizio dell'anno 2016, che (...) ha addotto a giustificazione del suo comportamento solo con la memoria depositata ai sensi dell'alt. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. (v. pag. 18 della memoria) e che, all'epoca, non era, dunque, stata di sicuro ragione dell'interruzione del rapporto, come risulta dalla prima lettera di contestazione degli esiti della due diligence, risalente al 12 maggio 2016, che non vi fa alcun riferimento e si limita a lamentare il livello abnorme dei costi delle promozioni sostenute nel primo trimestre del 2016 per mantenere artificiosamente il numero di abbonati con grave pregiudizio della futura redditività (v. doc. 8 di parte attrice). Del resto la relazione di due diligence aveva semplicemente ipotizzato come "una possibilità da valutare" in rapporto alla situazione analoga verificatasi nel triennio antecedente e non come circostanza implicante l'emergere di una passività attuale, la svalutazione dei diritti alla trasmissione delle partite di Serie A. (v. doc. 79 b) di parte convenuta a pag. 70 ove la (...) incaricata della due diligence afferma "la somma pagata mi 2012 da (...) per l'acquisizione dei diritti della Serie A è stata maggiore dei ricavi generati dalle offerte calcistiche, per questo motivo (...) ha iscritto una svalutazione di 216 milioni di EUR nei triennio (2013-2015) ai fine di registrare il fair value dei diritti. Riteniamo che MP si trovi nella stessa situazione al momento dell'acquisto dei diritti della Serie A per la stagione 2015-2018, quindi la svalutazione della Serie A è una possibilità da valutare. Si osserva che la svalutazione potrebbe essere effettuata solo sulla totalità dei diritti calcistici perché MP non monitora le tendenze di audience per la Serie A.") Ed è evidente, quindi, l'inapplicabilità della clausola in questione a giustificazione del comportamento tenuto da (...) in pendenza della condizione sospensiva. Dal senso complessivo delle clausole esaminate emerge, in sintesi, che il contratto preliminare era aleatorio quanto al risultato dell'attività di impresa della società (...) al momento della stipulazione del contratto definitivo e che l'unica garanzia accordata a (...) riguardava la misura della posizione finanziaria netta con le annesse garanzie relative agli indicatori fondamentali della redditività dell'azienda, costituiti dal numero di abbonati e dall'ARPU convenzionalmente definitivi, che solo nelle ipotesi tassative dell'art. 3.2. prevedevano la facoltà di recesso dell'acquirente, mentre, in ogni altro caso, ivi compresa l'incompletezza delle informazioni ad essi relative, il risarcimento del danno era pattuito come l'unico rimedio attuabile. All'esito dell'esame delle singole clausole e dal loro senso complessivo si può concludere, quindi, che (...), nella situazione descritta, avrebbe senza dubbio potuto invocare il rimedio risarcitorio per il deficit di informazioni di impatto rilevante sugli indicatori fondamentali dell'impresa, ma non esercitare il diritto di recesso o rifiutare la stipulazione del contratto definitivo di scambio azionario. L'interpretazione letterale e contestuale delle clausole contrattuali che induce a ritenere estraneo alle previsioni negoziali il recesso di fatto esercitato dal contratto condizionato da (...) con l'impedire l'avveramento della condizione, trova piena conferma nel suo comportamento immediatamente successivo all'esecuzione della due diligence allorché, con la lettera del 12 maggio 2016, ancorché fosse ancora nei termini per l'esercizio del diritto di recesso di cui alla clausola 3.2. lett. a) o alla clausola 3.1, si è ben guardata dall'invocare lo scioglimento unilaterale del vincolo dichiarando semplicemente la disponibilità "a trovare una soluzione amichevole a questa situazione" (v. doc. 8 di parte attrice), ribadita sino al giorno prima che la vicenda divenisse di pubblico dominio, con la lettera del 25 luglio 2016, contenente la proposta di un nuovo accordo di partnership diversamente strutturato (v. doc. 2 di parte attrice). In sintesi, quindi, l'aleatorietà del contratto e la tassatività delle ipotesi di risoluzione e recesso contemplate nell'accordo, in particolare con riferimento agli indicatori fondamenti di funzionamento delle imprese del comparto, inducono a ritenere che la rivelazione all'esito della due diligence dei dati taciuti da (...) nel corso delle trattative non possa rilevare quale ragione giustificatrice del rifiuto di dar corso all'operazione programmata, tanto più che nessuna garanzia era stata direttamente accordata a (...) sulla realizzabilità del business pian. Le clausole liberamente accettate da (...) e interpretate nel loro complesso evidenziano essenzialmente l'intento comune delle parti di costituire l'alleanza strategica per l'espansione nello spazio europeo e internazionale anche a prescindere dall'effettivo valore di (...) che sarebbe servita a (...) semplicemente quale "veicolo" per l'ingresso nel mercato italiano della televisione a pagamento. Del resto la preponderante importanza per (...) della costruzione dell'alleanza strategica rispetto al valore di acquisizione di (...) è confermata dal fatto che dopo la ormai definitiva "rottura" dell'accordo, nel mese di dicembre 2016, ha proceduto all'acquisto di una consistente partecipazione azionaria di minoranza nel capitale di (...), peraltro, già autorizzata dal Consiglio di Sorveglianza nella seduta del 18 febbraio 2016 (v. doc. 59 di parte attrice), pur sapendo che aveva in seno, tramite la sua controllata al 100% (...), una fonte di gravi perdite come (...). Priva di rilevanza ai fini dell'individuazione del contenuto dell'accordo ed in ultima analisi dell'imputazione della mancata attuazione del programma negoziale è, invece, la ricerca a posteriori del "movente" sotteso al comportamento contrattuale di ciascuno dei contraenti che ha affaticato le difese di entrambe le parti in una sorta di processo alle intenzioni, con uno "strascico" di istruttoria, dopo la rimessione della causa in decisione, del tutto inusuale. Appurare, infatti, che (...) abbia preordinato l'inadempimento del contratto per far crollare in borsa il valore del titolo ed agevolare la scalata ostile a (...) o che (...) abbia inscenato la reazione mediatica e giudiziaria al rifiuto di (...) di tener fede all'accordo per celare i risultati economici deludenti del gruppo, sono circostanze di contorno riconducibili alla categoria dei semplici motivi, rimasti estranei all'accordo e al suo contenuto, la cui incidenza è relegata dall'ordinamento entro gli angusti confini del motivo illecito comune di cui all'art. 1345 ex., evidentemente non configurabile nella fattispecie descritta. L'inadempimento degli obblighi preliminari che ha reso impossibile l'avveramento della condizione è imputabile a (...) che deve, pertanto, risarcire il danno che le società attrici avranno provato di aver subito in conseguenza della definitiva inefficacia del vincolo. Il pregiudizio eventualmente derivante dalla "rottura" di un vincolo rimasto inefficace per colpa di uno dei due contraenti è un danno da responsabilità contrattuale connesso alla violazione dell'obbligo generale di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione o, come nel caso di specie, degli obblighi preliminari che ne costituiscono espressa specificazione, risarcibile nei soli limiti in cui sia conseguenza immediata e diretta, ai sensi dell'art. 1223 ex., dell'inattuazione della parte del programma negoziale preordinata a favorire l'avveramento della condizione o a disciplinare il rapporto fra le parti in pendenza della condizione, non potendo, ovviamente, il pregiudizio essere riferito all'inadempimento delle obbligazioni principali dedotte in contratto, mai sorte in ragione dell'inefficacia del vincolo. Al riguardo (...) e (...), anche quale incorporante della terza intervenuta (...), dopo il mutamento della domanda di adempimento del contratto in risoluzione, hanno richiamato la descrizione dei danni subiti contenuta nella prima memoria di trattazione da intendersi nella "prospettiva dell'inadempimento definitivo del contratto da parte di (...)" (v. memoria di parte attrice in data 29.1.2019 alla pag. 2 e memoria depositata ai sensi dell'art. 183 comma 1 c.p.c. alle pagine da 35 a 37). Non resta, quindi, che procedere all'esame delle singole voci di danno esposte dalle due società attrici, con la precisazione che il danno lamentato da (...) con l'atto di intervento a seguito della fusione per incorporazione dovrà essere riferito a (...) s.p.a., senza alcuna possibilità di duplicazione dei rimedi risarcitori in relazione alla prospettazione dello stesso pregiudizio come danno al valore della partecipazione sociale in (...) o come danno diretto al patrimonio della società partecipata. A) il danno di (...) e (...) corrispondente ai costi inutilmente sostenuti per le consulenze di legali e advisory in relazione alla formazione del contratto nonché per la consulenza e difesa legale dopo la conclusione del contratto nelle controversie civili e amministrative sorte dall'inadempimento di (...). per la somma complessiva di Euro 2.8 milioni di euro. Si tratta del tipico danno emergente connesso all'inutile conclusione del contratto rimasto improduttivo di effetti, risarcibile limitatamente ai costi di consulenza sostenuti da ciascuna delle società attrici per la negoziazione, la redazione e la sottoscrizione del contratto, divenuti inutili come conseguenza immediata e diretta della risoluzione del vincolo. Non sono, invece, configurabili come pregiudizio direttamente derivante dall'inadempimento né sono equiparabili a costi inutilmente sostenuti, le spese legali per la difesa nei diversi giudizi civili e amministrativi scaturiti dalla vicenda, soggette alla regolamentazione delle spese processuali secondo il principio della soccombenza nell'ambito del singolo giudizio. Ai fini della prova del danno corrispondente ai costi di assistenza professionale nella negoziazione e conclusione del contratto è necessario che ciascuna delle due parti dimostri, quantomeno, di aver assunto l'obbligazione di pagamento del compenso nei confronti degli studi professionali di consulenza incaricati, essendo sufficiente a determinare il pregiudizio economico lamentato anche il solo sorgere del debito. Al riguardo le società attrici si sono limitate a produrre le relazioni degli advisor finanziari (...), incaricati di esprimere il parere di congruità del corrispettivo pattuito nel contratto, ai documenti n. 41 e 42 ed alcune parcelle pro forma o fatture allegate alla relazione del consulente di parte prof. (...) di cui al documento 95. Dall'esame della documentazione in questione risulta che per l'assistenza legale e la consulenza di advisor strettamente relative alla negoziazione e sottoscrizione formazione del contratto, a) (...) s.p.a. ha assunto il debito risultante da: Parcella pro forma n. (...) del 14 ottobre 2016 dello studio (...) di Euro 281.249,45 (allegato II.2 doc. 95) Parcella Pro-forma n. (...) del 19 luglio 2016 dello Studio (...) di 197.915,14 (allegato II.4) e relativa Fattura n. (...) del 2 settembre 2016 di pari importo (allegato II.5) (...) s.r.l. di Euro 35.002,48 (doc. II.9) per un totale di Euro 514.167,07; b) (...) s.p.a. ha assunto il debito risultante da: Parcella Pro forma n. (...) del 14 ottobre 2016 dello (...) di Euro 281.249,48 (allegato II.3 doc. 95) Fattura di (...) del 20 aprile 2016 n. (...) di Euro 201.708 (III. 1 doc. 95); Fattura di (...) del 17 maggio 2016 n. (...) di Euro 719.461,80 (doc. III.2 doc. 95) per un totale di Euro 1.202.419,28. L'unica documentazione relativa ai debiti assunti per costi di assistenza e consulenza strettamente connessi alla stipulazione del contratto è quella anzi esposta mentre non vi è traccia nel fascicolo di causa delle altre fatture indicate alla pag. 15 della relazione del consulente di parte attrice prof. (...). Non rientrano nell'ambito del danno risarcibile, come già spiegato, i debiti risultanti da parcelle o fatture relative all'assistenza nei diversi giudizi scaturiti dall'inattuazione del contratto né i costi sostenuti per il pagamento del compenso dei professionisti incaricati dell'assistenza legale sulla vicenda della scalata ostile, non legati da nesso di causalità immediata e diretta con la "rottura" del vincolo negoziale. Il diritto al risarcimento con riferimento alla voce di danno in questione deve essere, pertanto, riconosciuto a (...) s.p.a. nella misura di Euro 514.167,07e a (...) s.p.a. nella misura di Euro 1.202.419,28. B) il danno di (...) corrispondente ai costi finanziari sostenuti nella misura di complessivi Euro 8.520.000 per l'estinzione anticipata del finanziamento di 400 milioni di euro contratto nel maggio 2011 con (...) anticipata di quattro derivati "collar del valore di 50 milioni ciascuno, stipulati due con (...) e due con (...) tra il mese di luglio ed ottobre 2012. La società attrice ha sostenuto, al riguardo, di essere stata costretta, nel mese di aprile 2016, a sopportare i costi delle penali per l'estinzione anticipata dei rapporti in questione perché la stipulazione dell'accordo con (...) sarebbe stata incompatibile con taluni "covenants" contenuti nel contratto di finanziamento e nei contratti su derivati "collar", senza mai neanche indicare, nel corso della trattazione ed istruzione della causa, quali sarebbero state le specifiche previsioni ostative alla prosecuzione dei rapporti in questione dopo la conclusione del contratto. Dal contratto di finanziamento si evince solo la previsione, all'art. 14, di una sterminata serie di limiti dispositivi e gestionali (v. doc. 46 di parte attrice all'art. 14, che si snoda da pag. 39 a pag. 50 del documento), per lo più rimovibili con il consenso della banca finanziatrice, mentre nessuna clausola potenzialmente ostativa alla conclusione dell'accordo di scambio azionario con (...), risulta dalla documentazione prodotta con riferimento ai contratti su derivati "collar" (v. doc. 47 e 48 di parte attrice). Non vi è, dunque, alcuna prova che (...) si sia determinata all'estinzione anticipata del finanziamento e dei contratti su derivati, peraltro, diversi mesi prima della data prevista per il closing, in ragione dell'incompatibilità dell'operazione di scambio azionario programmata, con impegni inderogabili assunti nei contratti in questione. La mancanza di prova del nesso causale tra la scelta imprenditoriale in questione e la risoluzione del vincolo è, del resto, più che evidente se si considera, come rilevato dalla difesa della società convenuta, che la decisione di procedere all'estinzione del contratto di finanziamento era funzionale alla necessità di riduzione dei costi derivanti dagli impegni finanziari, come illustrata nel bilancio consolidato di (...) relativo all'anno 2016 (v. doc. 148 di parte convenuta alla pag. 84 ove si legge che "Un particolare focus è stato riservato all'attività di consolidamento del debito finanziario attraverso la rinegoziazione di linee di credito committed per un importo totale di 750 milioni di euro con l'obiettivo di ridurre i costi e allungare le scadenze"). Mentre nessun danno (...) potrebbe lamentare di aver subito a seguito dell'estinzione dei quattro derivati collar di 50 milioni che ha comportato, al più, un risparmio di costi, posto che, per quanto risulta dal bilancio consolidato relativo all'anno 2015, generavano passività per 5,2 milioni di euro (v. doc. 87 di parte convenuta a pag. 182). In altri termini non sussiste alcuna prova che l'estinzione del contratto di finanziamento e dei contratti su derivati "collar" operata da (...) nel mese di aprile 2016, sia dipesa dalla necessità di superare ostacoli insormontabili previsti in non meglio specificati "convenants" invece che dall'impellente necessità di contenere il debito finanziario. La richiesta risarcitoria con riferimento alla voce di danno in questione è priva di fondamento. C) il danno di (...) corrispondente al costo di 33 milioni di euro sostenuto per la sottoscrizione di strumenti finanziari mirati alla copertura del rischio di variazione del valore di borsa dei titoli (...), affrontato esclusivamente in funzione dell'operazione di scambio azionario programmata. Nei propri scritti difensivi la società attrice ha sostenuto di aver subito il danno corrispondente al costo affrontato per l'acquisto degli strumenti finanziari derivati di protezione che, per quanto emerge dalla relativa documentazione, erano costituiti da opzioni put europee su azioni ordinarie di (...), negoziati l'il aprile 2016, con (...), a scadenze diverse, per tranche variamente scaglionate tra il mese di agosto e settembre 2016 (v. doc. 51 di parte attrice). La relazione del consulente di parte Prof. (...), allegata a supporto probatorio, si è limitata a fornire la somma matematica del costo sostenuto per ciascun contratto come desumibile dal documento n. 51, senza in alcun modo spiegare le ragioni per cui l'esborso si sarebbe tradotto in danno per la società attrice (v. doc. 95 a pag. 17). A prescindere da ogni possibile considerazione sul fatto che si tratti di esborso causalmente connesso alla conclusione del contratto rimasto inadempiuto, posto che la valutazione della opportunità dell'acquisto di strumenti finanziari di protezione è pur sempre frutto di una scelta imprenditoriale discrezionale del contraente in alcun modo imposta dal programma contrattuale, è necessario chiarire che, in linea generale, non ogni costo sostenuto dal contraente in occasione della conclusione del contratto successivamente risolto, per l'acquisto di prodotti o servizi connessi con l'assunzione dell'impegno negoziale, si traduce in un danno ma solo quello rivelatosi del tutto inutile a seguito del sopravvenuto scioglimento del vincolo, come le già esaminate spese di consulenza sostenute per la trattativa e la redazione del contratto. Ciò in quanto i costi sostenuti per la conclusione di contratti a prestazioni corrispettive comportano la fruizione di benefici e ricavi che non necessariamente vengono meno a causa della risoluzione del vincolo negoziale che vi aveva dato occasione. La configurabilità del danno nella situazione descritta richiede, dunque, necessariamente la deduzione e la prova che l'esborso si sia rivelato del tutto inutile in conseguenza del fallimento dell'operazione negoziale programmata. Nel caso degli strumenti finanziari derivati in questione la società attrice si è limitata ad equiparare tout-court il costo sostenuto per il loro acquisto al danno, dimenticando che le opzioni put alla scadenza possono consentire di ricavare profitto a prescindere dal possesso delle azioni sottostanti e che l'acquisto dello strumento finanziario derivato compiuto per ragioni di protezione dal rischio di oscillazione di un dato titolo assume natura meramente speculativa in mancanza nel portafoglio del titolo sottostante ma non necessariamente si traduce in una perdita. Gli strumenti finanziari derivati sono, infatti, caratterizzati proprio dal fatto che prescindono dal possesso e dal trasferimento dei titoli sottostanti, essendo strutturati essenzialmente in modo tale da regolare il rapporto alla scadenza in funzione del prezzo del titolo sottostante o dell'indice di borsa di riferimento dalla cui oscillazione dipende la perdita o il guadagno. Gli strumenti finanziari in questione sono, in particolare, strutturati in modo tale che rilevi ai fini della valutazione della convenienza ad esercitare l'opzione, unicamente il prezzo prefissato per la vendita dei titoli ad una determinata scadenza e il valore di borsa del titolo di riferimento. L'acquisto di strumenti finanziari derivati in vista della protezione dall'oscillazione del valore di borsa di determinate azioni non diviene, dunque, completamente inutile con il fallimento dell'operazione di scambio azionario programmata ma semplicemente si traduce in un acquisto speculativo foriero di pregiudizio patrimoniale solo se l'oscillazione del valore del titolo sottostante, al ribasso o al rialzo, si sia verificata in direzione tale da determinare la chiusura del contratto in perdita. Nessuna allegazione ha fatto (...) sulla sorte degli strumenti finanziari derivati in questione alla scadenza e non vi è, dunque, alcuna prova che il costo sostenuto per il loro acquisto si sia tradotto in tutto o in parte in una perdita patrimoniale. La domanda risarcitoria con riferimento alla voce in questione deve, pertanto, essere respinta. D) Il danno di (...) per la perdita di valore della sua partecipazione sociale in (...) derivato dalla compromissione del patrimonio di (...) per effetto di decisioni commerciali imposte da (...) nel periodo di gestione interinale e dalla riduzione di carattere permanente del valore di mercato della partecipazione di (...) in (...) per effetto delle dichiarazioni pubbliche rese da (...) in merito all'inattendibilità del suo business pian. Le categorie di danno descritte sono state originariamente prospettate dalla società attrice come profili diversi di danno riflesso al valore della sua partecipazione azionaria in (...), derivato dalla compromissione del patrimonio della società (...) per effetto dell'inadempimento contrattuale di (...) alle regole della gestione interinale o dell'illecito extracontrattuale di diffamazione, e la difesa della società convenuta aveva reagito sollevando l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire della socia per far valere il diritto al risarcimento spettante solo alla società. La questione, al riguardo, è stata superata dall'intervento volontario autonomo, spiegato in giudizio da (...) per far valere il suo diritto al risarcimento con riferimento alle stesse voci di danno, e, poi, dalla sua fusione per incorporazione nella società controllante attrice (...) s.p.a. che ha, per tale via, acquisito la legittimazione a proseguire nel rapporto sostanziale e processuale dell'incorporata, ai sensi dell'art. 2504 bis comma 1 c.c. Tuttavia la società attrice ha continuato a mantenere una posizione ambigua nel corso del processo e solo nella comparsa conclusionale pare aver abbandonato le pretese di risarcimento del danno riflesso al valore della sua partecipazione sociale chiedendo, nella sua qualità di incorporante di (...), il risarcimento delle voci di danno in questione come pregiudizio direttamente riferibile al patrimonio sociale dell'incorporata (v. comparsa conclusionale a pag. 32 nota 25). Per fugare ogni dubbio a fronte dell'ambiguità serbata dalla società attrice nel corso del giudizio è opportuno, comunque, rilevare che il pregiudizio al patrimonio sociale - suscettibile di riflettersi indirettamente nella riduzione del valore della partecipazione sociale che ne costituisce frazione ideale - è un danno riferibile solo alla società che, quale soggetto giuridico distinto ed autonomo rispetto al socio, è l'unica legittimata a farlo valere per ottenere un ristoro da cui deriva, al contempo, l'eventuale, totale o parziale reintegrazione anche del valore della partecipazione. Del resto, il principio della risarcibilità soltanto del danno direttamente causato dall'inadempimento o dell'illecito (artt. 1223, 2043 c.c.) presiede alla regolazione delle fattispecie di cui qui si discute, che non rientrano tra quelle eccezionali in cui è stabilita la risarcibilità del danno indiretto (artt. 2394, 2497, comma 1, c.c.). Invero la Corte di cassazione ha costantemente affermato: "Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito. (Nella specie, le S.U., nell'enunciare l'anzidetto principio, hanno confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda con cui una società per azioni, socia di una compagnia di assicurazioni s.p.a., aveva dedotto la responsabilità della società di revisione, incaricata della certificazione del bilancio della società partecipata, per il danno patito dalla quota di partecipazione, a seguito delle condotte illecite ascritte alla società di revisione)" (Cass., sez. un., n. 27346 del 2009. Conformi: Cass., sez. un. n. 22659 del 2006; Cass., n. 2087 del 2012; Cass., n. 4548 del 2012). Nella situazione descritta il socio non può, quindi, far valere neanche come danno riflesso, quello che sotto il profilo giuridico è un danno solo della società titolare del patrimonio colpito dall'evento lesivo. Ne deriva che la domanda ambiguamente proposta da (...) nella duplice veste di socio attinto dal danno riflesso al valore della sua partecipazione in (...) e di società incorporante subentrata nel diritto al risarcimento del danno subito dall'incorporata (...) per la perdita di valore del suo patrimonio può essere esaminata esclusivamente sotto quest'ultimo profilo. Procedendo ora all'esame delle singole categorie di danno prospettate, il pregiudizio economico lamentato per effetto delle decisioni commerciali imposte da (...) nel periodo di gestione interinale di (...), si traduce nella compromissione del patrimonio sociale della (...) ed è, quindi, un danno riferibile solo a (...), risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale, trattandosi di soggetto estraneo al contratto di scambio azionario rimasto inefficace. Nella categoria di danni in questione la società attrice ha lamentato che, nel periodo seguito alla sottoscrizione dell'accordo dell'8 aprile 2016, (...) si sarebbe sottratta, perlomeno dal mese di maggio 2016, al dovere di collaborare in buona fede con (...) nella gestione interinale di (...), oggetto di specifica regolamentazione alla clausola 5.1 del contratto, non riscontrando le richieste di autorizzazione al compimento dei diversi atti di gestione e imponendo strategie commerciali incompatibili con la realizzazione delle previsioni del business plan. In particolare durante il periodo di gestione interinale (...) avrebbe, - da un lato imposto la rinnovazione degli accordi di distribuzione tra (...) e (...) per i canali (...), fino al 31 luglio 2019, e tra (...) e (...) per i canali (...), fino al 31 luglio 2019: decisioni, queste, che non sarebbero state assunte ove (...) avesse potuto decidere autonomamente e che avrebbero generato il danno corrispondente al costo affrontato dalle due società per le fee relative alle licenze di distribuzione dei contenuti, pari a complessivi Euro 68 milioni di euro (v. relazione del consulente di parte Prof (...) di cui al doc. 95 di parte attrice a pag. 18 che determina in Euro 58.479.000 il costo sostenuto direttamente da (...) nel triennio successivo a seguito del rinnovo del primo contratto e in Euro 9.713.000 il costo che avrebbe sostenuto (...) nel periodo da luglio 206 a settembre 2016, pari a complessivi Euro 68.192.000); - dall'altro posto il veto all'attuazione di una strategia commerciale di (...) per il periodo luglio dicembre 2016, mirata ad abbassare il prezzo di accesso ai contenuti (...) e ad incrementare il parco abbonati, con conseguente danno derivato dalla differenza tra l'incremento del numero di abbonati atteso e l'incremento effettivamente registrato nel periodo per un valore di circa 41 milioni di euro (v. relazione prof. (...) di cui al doc. 95 a pag. 22 che quantifica il danno in di Euro 41.382.448,71). L'accertamento dell'imputabilità a (...) di voci di danno che complessivamente superano i cento milioni di euro presuppone, innanzitutto, la prova rigorosa che (...), nel periodo della gestione interinale seguita alla stipulazione dell'accordo dell'8 aprile 2016, abbia effettivamente imposto la rinnovazione dei contratti di distribuzione e posto il veto alle strategie commerciali proposte da (...). Al riguardo è necessario, innanzitutto, chiarire che, contrariamente a quanto affermato dalla società attrice, nella clausola 5.1. dell'accordo non è affatto regolata la gestione interinale di (...), essendo prevista solo la garanzia di (...) di impegnarsi "a far sì che, nel periodo compreso tra la data del presente atto e la data di Chiusura,... (...) sarà gestita in conformità a leggi e regolamenti applicabili, in modo prudente e conforme agli usi a seconda delle circostanze, mantenendo l'attività come impresa ben avviata... senza contrarre obbligazioni, oneri o debiti e senza compiere azioni che, per loro natura scopo o durata eccedono i limiti dell'esercizio ordinato e normale della sua attività..", seguita da una serie dettagliata di limitazioni specifiche in relazione alla gestione non ordinaria dell'impresa (v. doc. 1 di parte attrice a pag. 19). Per quanto emerge dallo scambio epistolare, di fatto, probabilmente per ovviare alle limitazioni derivanti dalla clausola in questione e non incorrere in responsabilità, la dirigenza di (...), subito dopo la conclusione del contratto, aveva instaurato la prassi di consultare lo staff di (...), secondo modalità concordate, per le operazioni e scelte commerciali correnti, sottoponendole ad autorizzazione specifica (v. doc. 52 di parte attrice e doc. da 189 a 200 di parte convenuta). Le parti avevano, così, instaurato una collaborazione nella gestione interinale, iniziata nel mese di maggio 2016 ma incrinatasi già dal 7 luglio 2016, allorché (...) di (...) aveva comunicato all'interlocutore di (...) che " in pendenza dell'esito delle trattative in corso tra i massimi esponenti di (...) e (...) con riferimento ai termini e condizioni dell'acquisizione di (...), lasciamo alla dirigenza di (...) le decisioni sulle operazioni elencate nella tabella allegata, nel miglior interesse della Società" (v. doc. 21 di parte attrice). Nel periodo di gestione interinale coordinata fra le parti non risulta da nessuno dei documenti allegati che (...) abbia imposto, cioè preteso nonostante la volontà contraria della dirigenza di (...), la rinnovazione degli accordi di distribuzione con (...), la prima, peraltro, riferita ad epoca successiva alla rottura dei rapporti dalle parti per quanto emerge dalla documentazione prodotta da parte attrice (v. doc. 54 recante la data del 23 settembre 2016 e doc. 55 recante la data del 24 gennaio 2017). In particolare dalla lettera del 6 luglio 2016 che (...) di (...) ha inviato a (...) di (...), indicata da parte attrice a supporto probatorio dell'assunto dell'imposizione, emerge piuttosto la natura concordata delle scelte in questione rispetto alle chiede di "condividere alcuni punti e decidere come procedere" affermando di aver provveduto ad estendere il contratto di distribuzione dei canali (...) fino al 30 settembre 2016 "come da tue indicazioni" e di aver "chiuso il deal, come da tuo ok a procedere" con riferimento ai canali (...) e chiedendo indicazioni per "la fase di stesura del contratto insieme a noi" (v. doc. 62 di parte attrice). Il tono della lettera riflette tutt'altro che l'atteggiamento di chi subisce un'imposizione in contrasto con la sua volontà ed il riferimento all'autorizzazione positiva a procedere presuppone necessariamente una richiesta di consenso avanzata su iniziativa della stessa (...). Non c'è, poi alcuna traccia del veto che (...) avrebbe apposto alla strategia commerciale proposta da (...) per il periodo luglio-dicembre 2016 al fine di ampliare il parco abbonati, nei due documenti indicati a supporto probatorio dell'assunto, caricati in data room il 31 maggio 2016 senza alcuna indicazione del mittente e del destinatario delle richieste (v. doc. 67 e 68 di parte attrice). Difficilmente, del resto, la mancata risposta alle istanze di autorizzazione, in epoca successiva all'inizio delle contestazioni fra le parti, potrebbe essere equiparata ad un divieto di adottare le misure commerciali ritenute più opportune nell'interesse di (...), costituente l'essenza della garanzia assunta da (...) di mantenere "l'attività come impresa ben avviata" prevista dalla clausola 5.1. Ed infatti, ove aveva ritenuto indispensabile procedere anche senza aver ricevuto un'autorizzazione espressa del personale di (...), la dirigenza di (...) lo aveva fatto, come risulta dal documento n. 22 di parte attrice in cui, con riferimento alle richieste riassunte nella email del 7 luglio 2016 ore 14.45, (...) di (...) aveva comunicato a (...) di (...) che "con riferimento alle seguenti richieste, considerandone l'impatto economico positivo e visti i tempi tecnici necessari per il relativo sviluppo/attuazione, non possiamo più permetterci di ritardarne l'avvio. Faremo quindi in modo da iniziare lunedì, ritenendoli approvati da parte tua se non ci perverranno tue espresse obiezioni entro tale giorno."). Tanto è vero che non risulta oggetto di contestazione che (...), già il 15 luglio 2016, aveva avviato la campagna di promozione mediante consistenti offerte al ribasso del prezzo degli abbonamenti, come emerge dai documenti n. 76 a) e 76 b) di parte convenuta. A prescindere dall'inconfigurabilità delle condotte dannose attribuite alla società eonvenuta, in ogni caso, le pretese risarcitorie avanzate da parte attrice relative alla gestione interinale di (...) sono, infondate, già solo per come sono prospettate. Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del danno di oltre 68 milioni di euro, lamentato considerando senz'altro una perdita patrimoniale per (...) il complesso dei costi da sostenere a fronte della rinnovazione triennale dei contratti di distribuzione dei contenuti con la (...) e trimestrale dei contratti di distribuzione con (...), valgono le considerazioni già svolte in ordine ai limiti della configurabilità del pregiudizio per l'aver affrontato dei costi che, comunque, abbiano comportato il beneficio di godere dei relativi ricavi. Come già ampiamente spiegato, se la parte contraente vittima dell'inadempimento dell'altra sostiene un costo in occasione della stipulazione del contratto successivamente risolto deve provare l'esistenza e consistenza del danno, dimostrando se ed in che misura si sia rivelato completamente inutile per effetto dell'inadempimento dell'altro contraente. Ove il costo sia stato sostenuto per la conclusione di un contratto a prestazioni corrispettive deve provare di non averne avuto alcun beneficio né ricavo, proprio per effetto dell'altrui inadempimento, mancando altrimenti la possibilità logica di configurare un pregiudizio risarcibile. Al riguardo la stessa relazione del consulente di parte prof. (...) prodotta dalle società attrici a sostegno delle loro richieste risarcitorie, dopo aver indicato la proiezione dei costi gravanti su (...) per effetto della rinnovazione dei contratti di distribuzione, sottolinea che "Ai fini della stima del danno va ovviamente rispettata la logica differenziale. In altri termini vanno stimati, oltre ai costi relativi ai rinnovi, anche i maggiori ricavi causati dai rinnovi stessi, essendo il danno pari alla differenza tra maggiori costi e maggiori ricavi", salvo, poi, concludere, sulla base di una ricerca di mercato sull'importanza dei canali per bambini o documentari nella spinta a sottoscrivere l'abbonamento a (...) relativa all'anno 2018 di cui ha allegato solo il frontespizio (v. allegato IX) che "i ricavi differenziali riferibili al rinnovo degli abbonamenti risultano tendenzialmente trascurabili attrice a pag. 19). L'affermazione è priva di qualsiasi supporto probatorio non avendo la parte attrice prodotto in giudizio né sottoposto all'esame del suo consulente, alcuna documentazione attestante i ricavi ascrivibili alla distribuzione dei contenuti in questione a supporto dell'affermazione in ordine alla loro "tendenzialmente trascurabile" entità. In ogni caso, la mancanza di ricavi significativi nella distribuzione dei contenuti in questione non potrebbe essere messa in nesso causale immediato e diretto con la supposta imposizione del rinnovo da parte di (...), potendo essere riferibile, con maggiore probabilità, alla poco lungimirante gestione dell'attività di impresa nel periodo immediatamente antecedente alla conclusione dell'accordo di partnership, emersa dalla due diligence di (...). Quanto al pregiudizio lamentato in ragione del mancato incremento del parco abbonati nella misura attesa è sufficiente evidenziare che la contestazione di (...) sull'irrealizzabità ex ante del business plan di (...), proprio con riferimento al previsto aumento degli abbonati e dell'ARPU in ragione degli enormi costi di promozione straordinaria già sostenuti nel primi mesi dell'anno 2016, fondata sulle risultanza della due diligence svolta da (...), rende prive di qualsiasi rilevanza probatoria le stime relative all'esistenza e consistenza del danno elaborate del consulente di parte attrice prof. (...), sulla base delle irrealistiche attese di incremento della clientela di (...) e sulle indicazioni del suo valore medio stand alone da parte dei consulenti finanziari (...), pacificamente tenuti da (...) all'oscuro degli indicatori negativi, scoperti da (...) dopo la due diligence (v. documento n. 95 di parte attrice a pag. 21 e 22). Del resto le società attrici, nel corso dell'intero giudizio, si sono adoperate essenzialmente ad escludere la rilevanza contrattuale della scoperta, dopo la due diligence, dell'irrealizzabilità delle previsioni del business pian ai fini dell'esercizio del diritto di recesso da parte di (...), ma si sono ben guardate dal negare la situazione di difficoltà economica e finanziaria in cui versava (...) al momento della conclusione del contratto e, comunque, dal richiedere di dimostrare l'effettiva realizzabilità delle previsioni del piano economico finanziario, nonostante gli indicatori negativi taciuti a (...) nel corso della trattativa. L'infondatezza delle pretese risarcitone in questione non potrebbe essere più evidente. Procedendo all'esame del danno consistente nella perdita durevole del valore di (...) per effetto delle dichiarazioni pubbliche rese da (...) in merito all'inattendibilità del suo business pian, quantificato dalla società attrice in 450 milioni di euro, è anche questo un pregiudizio economico riferibile direttamente alla società (...), risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale derivante dal supposto illecito diffamatorio. La società invoca in relazione a questa categoria di danno una responsabilità della società convenuta diversa da quella derivante dall'adempimento dell'accordo di partnership, fondata essenzialmente sulla divulgazione denigratoria della notizia che l'inattendibilità del business pian di (...) aveva determinato il suo rifiuto a concludere l'operazione di scambio azionario programmata. Iniziando dall'esame dell'an della responsabilità invocata, in linea generale, la diffusione di notizie ed informazioni di interesse pubblico potenzialmente lesive della reputazione altrui si connota di illiceità solo ove i fatti divulgati siano inveritieri ed è, quindi, indispensabile che il danneggiato provi in giudizio, innanzitutto, la falsità delle circostanze dalla cui divulgazione la lesione della sua reputazione sociale sarebbe derivata. La regolamentazione del mercato su cui operano le società quotate in borsa onera, poi, specificamente le emittenti di azioni quotate alla diffusione di qualsiasi informazione che possa incidere sull'andamento delle quotazioni, anche inerenti i risultati economici dell'attività di impresa o a operazioni in corso di definizione con altre società, onde prevenirne l'utilizzazione privilegiata da parte della cerchia ristretta di soggetti che ne è a conoscenza ed arginare il fenomeno dell'insider trading. La disciplina della fattispecie descritta, riconducibile essenzialmente ad informazioni privilegiate su "processi prolungati", quali sono le trattative, le operazioni negoziali in corso ed il contenzioso, è contenuta, in particolare, all'art. 114 TUF relativo al mercato italiano, vincolante per (...), e all'art. 223-1 AMF, regolamento francese sugli intermediari, vincolante per (...) (v. doc. 155 di parte convenuta). Ne deriva che la diffusione di notizie anche negative sull'evoluzione di un'operazione negoziale in corso può costituire, in talune situazioni, adempimento di un obbligo specifico per le società quotate in borsa, fonte di responsabilità aquiliana solo se le informazioni diramate al mercato non corrispondano a verità. Sulla base della ricostruzione documentale la vicenda prende avvio dalla divulgazione delle contestazioni insorte fra le parti nell'attuazione dell'operazione di scambio azionario programmata nell'accordo dell'8 aprile 2016 ad iniziativa di (...) che, con il primo comunicato stampa del 26 luglio 2016, ha ritenuto necessario infomare il mercato che "(...) non intende rispettare il contratto vincolante sottoscritto con (...)", avendo proposto uno schema alternativo dell'operazione che prevedeva l'acquisto solo del 20% del capitale di (...) con la prospettiva dell'acquisto del 15% del capitale di (...), in risposta all'intimazione rivoltale da (...) ad adempiere i propri obblighi contrattuali ed in particolare quello di notificare tempestivamente l'acquisto del controllo di (...) alla Commissione antitrust della Ue (v. doc. 36 di parte convenuta). Dopo la diffusione del comunicato stampa di (...), che non faceva alcun cenno alle ragioni addotte da (...) per indurla a rinegoziare l'accordo, (...) ha, a sua volta, informato il mercato di aver rilevato "differenze significative nell'analisi dei risultati della sua controllata - (...) - per la quale le due società sono attualmente in fase di negoziazione" confermando, su richiesta dell'AMF, il contenuto della proposta di rinegoziazione già descritta da (...) nel proprio comunicato unitamente alla "propria volontà di costruire una importante alleanza strategica con (...) e (...)" (v. doc. 37 di parte convenuta). Nella stessa giornata (...) ha diramato un comunicato intitolato " precisazioni in merito al comunicato odierno di (...)" aver negato l'esistenza di negoziazioni dopo il contratto già concluso l'8 aprile 2016, affermava che "L'analisi dei risultati di (...) è ovviamente avvenuta prima della firma, come accade prima di ogni assunzione di impegni che "Quanto a lettere inviate da (...) a (...), confermiamo di non aver mai ricevuto alcuna contestazione formale sulla validità o i contenuti del contratto" (v. doc. 36 di parte convenuta). Con il comunicato del successivo 29 luglio 2016 (...) ha, quindi, puntualizzato che "il disaccordo con (...) concerne il business pian di (...), elemento cardine della decisione di (...) di sottoscrivere l'accordo dell'8 aprile 2016. Sulla scorta della valutazione di (...) tale business pian, il quale prevede già nel 2018 il raggiungimento del punto di pareggio da parte di (...), è basato su assunti non realistici, come il revisore di (...), (...), ha evidenziato nel proprio report di due diligence di giugno 2016: "il Business Pian appare irrealizzabile e andrebbe seriamente ridimensionato per risultare realistico" (v. doc. 38 di parte convenuta). Lo stesso giorno, (...) ha reagito con un altro comunicato, con cui ha accusato (...) della diffusione di notizie strumentali ad alterare il corso del titolo in borsa e ha precisato che "il business plan di (...) con le annesse assunzioni di base - che rientra nel novero delle documentazioni aziendali coperte da obblighi di riservatezza - era in possesso di (...) fin da inizio marzo 2016, oltre un mese prima dell'accordo vincolante. Tanto che l'analisi dei suoi contenuti da parte della società francese ha concorso in modo significativo alla definizione dei termini e delle condizioni del contratto firmato il successivo 8 aprile" (v. doc. 6 di parte attrice). In sostanza, quindi, la valutazione della necessità di informare il mercato delle contestazioni sulla vicenda contrattuale, la cui genesi risaliva già al mese di maggio 2016, compiuta da (...) con la pubblicazione del comunicato del 26 luglio 2016, ha dato avvio alla catena delle comunicazioni che ha reso di pubblico dominio la valutazione di irrealizzabilità del business plan di (...) espressa da (...) dopo la due diligence la cui comunicazione al mercato era a quel punto anch'essa doverosa. Ne è seguita, poi, un'imponente campagna di stampa reciprocamente denigratoria improntata alla trasposizione a livello mediatico dei termini essenziali del conflitto, nel frattempo sfociato in contenzioso giudiziario, tradotti nel "colorito" linguaggio figurativo che connota la comunicazione al grande pubblico di fenomeni complessi (con espressioni del tipo" Se mi dici che mi sai vendendo una (...) e poi viene fuori che è una Punto, c'è un problema" riferita alle ragioni del rifiuto di (...) a concludere l'acquisto di (...) o la riconduzione dell'inadempimento all'intento di scalata di (...) da parte del "pirata bretone" v. doc. 33 di parte attrice), che nulla può aver aggiunto all'iniziale impatto della notizia sui mercati. Nel contesto delineato la diffusione della notizia che l'inattendibilità del business plan di (...) aveva determinato il rifiuto di (...) a concludere l'operazione di scambio azionario oggetto dell'accordo sottoscritto potrebbe configurare condotta illecita di diffamazione, potenzialmente lesiva della reputazione commerciale di (...), solo se il fatto che la due diligence di (...) aveva rilevato l'irrealizzabilità del piano economico finanziario non corrispondesse al vero. Come già sottolineato, al riguardo, parte attrice non ha mai contestato che i dati taciuti a (...) nel corso delle trattative emersi all'esito della due diligence, specificamente relativi al numero di richieste di recesso degli abbonati nel dicembre 2015, al numero di recessi del solo mese di gennaio 2016 e all'entità dei costi complessivi sostenuti per le promozioni ed offerte nei mesi immediatamente precedenti la conclusione dell'accordo, fossero dati reali né che fossero fondamentali ai fini della valutazione dell'attendibilità delle previsioni del business pian come affermato dopo la due diligence da (...), essendosi limitata a sostenere strenuamente in giudizio che non avessero rilevanza ai fini dell'esercizio delle limitate facoltà di recesso contrattualmente riconosciute alla società acquirente. La mancanza di qualsiasi prova del fatto che le informazioni divulgate da (...) sull'inattendibilità del business pian di (...) che l'avevano indotta a ritirarsi dall'affare fossero inveritiere è dirimente ai fini dell'accertamento dell'insussistenza dell'illiceità della condotta e, quindi, della responsabilità invocata a fondamento della domanda risarcitoria. In ogni caso, priva di qualsiasi supporto probatorio è anche l'esistenza del pregiudizio lamentato dalla società attrice, in ben 450 milioni di euro, facendo riferimento alla stima dell'impatto negativo sul "valore di mercato di (...)" della notizia, contenuta nella relazione del suo consulente di parte prof. (...). La stima della riduzione del valore di mercato di (...) proposta dal consulente di parte attrice si fonda, in estrema sintesi, sulla differenza tra il valore di mercato, nelle sue due componenti del " valore 'stand alone' dei business o valore as is" del "il valore costituito dalle sinergie realizzabili dai potenziali acquirenti", prima e dopo le dichiarazioni negative di (...) sull'attendibilità del business plan della società, stimata attraverso la combinazione di due metodi: il metodo comparativo rispetto a transazioni analoghe, attraverso l'individuazione del "differenziale di premio" il prezzo ed il valore as is) da applicare al valore as is ed il metodo che misura il differenziale di valore in termini di "equity value", cioè di valore del patrimonio netto, assegnato dagli analisti finanziari di (...) prima e dopo il fallimento dell'accordo (v. doc. 95 di parte attrice a pag. 23, 24, 25). Entrambi i metodi di stima sono stati applicati a partire dalla media del "valore as is" (pari a 583 milioni di euro) e dalla media del valore in termini "equity value" (pari a 860, 6 milioni di euro), attribuito a (...) dagli analisti finanziari di (...), prima della conclusione dell'accordo come risulta evidente dalle tabelle esplicative (v. doc. 95 a pag. 25 e 26). Ma la prova del di (...) sull'inattendibilità del business pian di (...) abbiano avuto una reale incidenza sul "valore di mercato di (...)", presuppone logicamente la dimostrazione di quale esso fosse effettivamente al momento della propalazione della notizia. L'accertamento dell'esistenza del danno come prospettato dal perito della società attrice presuppone, quindi, la compiuta dimostrazione in giudizio del fatto che a) al momento della conclusione dell'accordo dell'8 aprile 2016 la situazione patrimoniale economica e finanziaria di (...) fosse effettivamente quella esaminata dagli analisti finanziari (...) che ne avevano indicato un valore as is, pari, in media, a 583 milioni, e un valore "equity value", pari, in media, a 860,6 milioni di euro, come emerge dai dati posti dal perito di parte attrice prof. (...) a fondamento della sua stima (v. doc. 95 pag. 25); b) la flessione del valore di mercato di (...), sotto il duplice profilo della perdita di valore dell'attività nella prospettiva, c.d. stand alone, cioè della continuazione autonoma dell'attività di impresa, e della perdita del valore connesso alle potenzialità di espansione derivanti dall'instaurazione di proficue sinergie con altre imprese del settore, fosse dovuta effettivamente alla divulgazione della notizia dell'inattendibilità del business pian piuttosto che ai risultati deludenti dell'attività di impresa, già pronosticati da (...), all'esito della due diligence, e già ampiamente prevedibili, una volta considerato l'impatto sulle prospettive concrete di operatività e redditività dell'impresa degli indicatori negativi emersi successivamente alla conclusione dell'accordo del 8 aprile 2016. Sotto il primo aspetto due circostanze inducono seriamente a dubitare che la situazione patrimoniale economica e finanziaria di (...) e, quindi, il suo valore, fossero effettivamente quelli descritti dalle stime degli analisti finanziari, acriticamente poste dal consulente di parte a fondamento della sua valutazione: - il fatto che gli analisti finanziari non avessero, pacificamente, conoscenza del quadro completo degli indicatori di funzionamento dell'impresa ed in particolare dei dati allarmanti scoperti da (...) nel corso della due diligence, quando hanno formulato le loro valutazioni; e dalla relazione non emerge in alcun modo che il consulente di parte attrice prof. (...), richiamando le loro valutazioni della situazione di (...) al momento della conclusione dell'accordo e ponendole a fondamento della sua stima differenziale, ne abbia analizzato e considerato l'indubbio impatto negativo; - il fatto che lo stesso (...), amministratore delegato di (...), non più di un anno dopo la sottoscrizione dell'accordo di partnership, in occasione dell'audio conferenza con gli analisti finanziari del 19 aprile 2017, abbia ammesso che la governance di (...) aveva già, all'inizio di gennaio 2016, programmato la dismissione dell'attività di pay tv nel settore della trasmissione delle partite di calcio in quanto non più sostenibile nella prospettiva stand alone; decisione a cui avrebbe dovuto, coerentemente, seguire la svalutazione dei diritti calcistici nelle situazioni patrimoniali redatte al 31 marzo 2016 e al 30 giugno 2016, approvate nelle assemblee del 31 maggio 2016 e del 21 settembre 2016, indette per l'adozione dei provvedimenti di ricapitalizzazione, ai sensi dell'art. 2447 cc., che avrebbero probabilmente messo in luce, già all'epoca, la perdita di oltre 300 milioni di euro emersa solo alla chiusura del bilancio 2016 (v. doc. 133 e 134 di parte convenuta nonché relazione del perito di parte convenuta Prof. Colombo di cui al doc. 77 pag. 82 e ss e al doc. 243 pag. 37 e ss). E' lo stesso (...), al riguardo, ad ammettere candidamente che "L'importo di Euro 340 milioni, diciamo, è l'effetto negativo sui numeri del 2016. Se si considera che l'accordo vincolante firmato doveva essere eseguito entro settembre 2016 e se (...) avesse eseguito quanto aveva firmato, l'importo di Euro 340 milioni non sarebbe stato nella nostra contabilità." (v. doc. 131 di parte convenuta). Ma se lo stesso amministratore delegato di (...) ha ammesso che già all'inizio dell'anno 2016, prima ancora dell'inizio della trattativa con (...), l'attività di pay tv nel settore del calcio era insostenibile per un operatore di dimensioni locali e che la svalutazione dei diritti calcistici non era stata operata nelle situazioni patrimoniali coeve alla conclusione dell'accordo, in vista del fatto che la perdita sarebbe andata a gravare sulla contabilità di (...), è lecito dubitare seriamente del fatto che (...) fosse strutturalmente in condizioni di operare sul mercato senza continuare a cumulare perdite, al momento della conclusione dell'accordo. Sotto il secondo aspetto è, invece, sufficiente evidenziare che "il valore di mercato" di (...) ed il correlato potere negoziale nella vendita della partecipazione da parte di (...), sia nella sua componente c.d. stand alone sia nella sua componente sinergica è funzione dell'effettiva capacità operativa sul mercato dell'impresa prima che della sua immagine commerciale. Il valore di base dell'attività di impresa così come il valore derivante dalle potenziali sinergie poggiano, infatti, sulla solidità del piano industriale e sull'effettiva capacità dell'impresa di esprimere maggiori potenzialità con l'inserimento nella rete di un'organizzazione più vasta e non certo su un'immagine commerciale disallineata e disancorata dalle effettive condizioni di operatività sul mercato dell'impresa che una semplice due diligence preventiva, costituente la prassi decisamente più diffusa sul mercato, sarebbe in grado di smascherare. Nella situazione emersa all'esito della due diligence e, a posteriori, dalle dichiarazioni rese dal (...) sulle prospettive di dismissione dell'attività su cui (...) aveva investito l'ingente costo di acquisto dei diritti calcistici, l'andamento negativo della gestione dopo la divulgazione della notizia della "rottura" dell'accordo da parte (...), lungi dal dimostrare il nesso causale tra la condotta dell'avversario e la perdita di valore, avvalora piuttosto l'ipotesi che, già al momento della conclusione dell'accordo, il valore di (...) fosse compromesso dalla sua incapacità, per ragioni intrinseche connesse essenzialmente al peso strutturale dei costi fissi, di riemergere dalla gestione in perdita e di riprendere ad operare con profitto secondo le previsioni del business pian che aveva consegnato a (...). Quanto, poi, alla riduzione del potere negoziale di vendita sul mercato della partecipazione sociale di (...), cui pare fare cenno la relazione del consulente di parte attrice, è appena il caso di rilevare che la necessità della prova effettiva del danno esige sia dimostrata in giudizio dalla società attrice l'esistenza in concreto di altri potenziali acquirenti, ben individuati in soggetti disposti a competere fra loro per l'acquisto, svaniti dopo la divulgazione delle notizie sulle effettive prospettive di operatività della società (...) mentre è privo di qualsiasi rilevanza probatoria il semplice studio accademico delle potenzialità configurabili in astratto. Del resto il danno conseguente alla riduzione del valore di negoziazione di una partecipazione azionaria, vista dall'angolo visuale dell'investimento compiuto dal socio, individuato dal consulente di parte attrice nel "premio" connesso alle opportunità di un disinvestimento proficuo, si realizza soltanto al momento della vendita ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, che (...) non ha mai neanche allegato in giudizio essere avvenuta. In sintesi sulla domanda risarcitoria in esame si può concludere che non è illecita la divulgazione di notizie vere sullo stato di difficoltà patrimoniale, economica o finanziaria della società e il valore del suo patrimonio, cui è correlato quello della partecipazione del socio, non può subire alcun pregiudizio se, per effetto della reale situazione dell'impresa, fosse già seriamente compromesso al momento della diffusione delle informazioni. La consulenza tecnica di parte della società attrice ha ricostruito il preteso danno attraverso uno studio teorico fondato sul raffronto di dati relativi al valore iniziale di (...) ampiamente contestati nella loro rispondenza alla realtà mentre all'esito del giudizio, sono emersi elementi più che concreti per affermare che il business pian consegnato a (...) nel corso delle trattative non fosse attendibile e che la situazione patrimoniale di (...) fosse quella di un'impresa avviata al declino. Il fatto che siano circostanze rispetto alle quali (...) non era titolare di un diritto contrattuale di recesso dall'accordo, non esclude che esse siano, invece, rilevanti ai fini dell'accertamento dell'esistenza del danno lamentato dalla società attrice per la riduzione del valore di mercato (...), trattandosi di elementi che, in concreto, rivelano la compromissione già al momento della conclusione del contratto del valore dell'azienda sia nella prospettiva c.d. stand alone di prosecuzione autonoma dell'attività di impresa sia nella prospettiva della continuazione in sinergia con altre imprese, la cui incidenza positiva dipende, prima che dall'immagine commerciale dell' impresa, dall'effettiva possibilità di sviluppo della sua operatività sul mercato. E la ricostruzione del valore di mercato di (...) su un'immagine commerciale disallineata dalle effettive avrebbe retto all'impatto della due diligence preventiva che normalmente accompagna sul mercato la conclusione degli accordi traslativi di partecipazioni sociali, non vale a dimostrare l'esistenza effettiva del danno. La domanda risarcitoria è, pertanto, priva di fondamento. E) il danno di (...) per la lesione all'immagine e alla reputazione commerciale provocata dal pubblico ed ingiustificato screditamento da parte di (...) a partire da luglio 2016, stimabile in via equitativa, trattandosi di società quotata in borsa, sulla base del c.d. effetto annuncio sul prezzo di borsa del titolo, in 120 milioni di euro. Nella prospettazione della società attrice mutuata pressoché integralmente dalla relazione del consulente di parte, attesa l'estrema genericità delle deduzioni contenute nella memoria di trattazione, la lesione del diritto all'immagine patita da (...) per effetto della campagna denigratoria di stampa seguita alla "rottura" dell'accordo da parte di (...) avrebbe arrecato pregiudizio alla "capacità di realizzare a favorevoli condizioni le operazioni straordinarie finalizzate alla gestione strategica della complessa fase di ristrutturazione che sta interessando le aree di affari nella quale essa opera" e sarebbe, quantificabile in via equitativa, nella misura di 120 milioni di euro, sulla base del ribasso del valore del titolo riconducibile all'impatto dell'evento sul suo normale andamento, isolato con la tecnica dell'event study (v. doc. 95 a pag. 28 e 29). Con riguardo al danno all'immagine della società e, in generale, degli enti la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che il pregiudizio non possa essere rinvenuto in re ipsa nella diffusione di notizie denigratorie non vere lesive del diritto all'immagine dell'ente ma richieda l'allegazione puntuale e la prova che abbia effettivamente pregiudicato la reputazione commerciale dell'impresa presso i consociati con cui interagisce nel settore di mercato ove opera, non potendo nel sistema della responsabilità civile ascriversi al risarcimento del danno una mera funzione punitiva della violazione dell'interesse tutelato. Afferma, infatti, la suprema corte che "In materia di responsabilità civile, anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione - compatibile con l'assenza di fisicità del titolare - di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine, il cui pregiudizio, non costituendo un mero danno-evento, e cioè "in re ipsa", deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici" (Cass. 13.10.2016 n. 20643; Cass. 1.10.2013 n. 22396; Cass. 25.7.2013 n. 18082; Cass. 18.9.2009 n. 20120). La società che lamenti un pregiudizio dalla lesione del suo diritto all'immagine per la diffusione di notizie denigratorie deve, pertanto, allegare e dimostrare elementi di fatto specifici che consentano di presumere il pregiudizio alla sua reputazione commerciale presso i fruitori dei suoi prodotti e servizi nel mercato in cui opera, fermo restando, come già rilevato, che l'illecito diffamatorio richiede, in ogni caso, la prova della diffusione di notizie non corrispondenti al vero. Nel caso in esame, a prescindere dal fatto che, come già detto, non vi è prova della diffusione da parte di (...) di notizie non veritiere sulla vicenda, (...) non ha neanche dedotto di aver subito per effetto dell'offuscamento della sua immagine un pregiudizio alla sua reputazione presso i committenti di pubblicità 0 gli utenti dei servizi che offre nell'esercizio della sua attività di impresa nel settore della diffusione di contenuti su canali televisivi in chiaro. Si è limitata, infatti, genericamente a sostenere, tramite il suo consulente di parte, che la violazione del suo diritto all'immagine avrebbe compromesso la sua "capacità di realizzare a favorevoli condizioni le operazioni straordinarie finalizzate alla gestione strategica della complessa fase di ristrutturazione" senza neanche indicare quali specifiche operazioni straordinarie programmate in quel periodo le sarebbero state in concreto precluse dal discredito. L'andamento al ribasso del prezzo di borsa del titolo per il c.d. effetto annuncio costituisce, poi, un riflesso sul mercato finanziario della notizia della rottura dell'accordo che non necessariamente sottintende la lesione della reputazione dell'impresa sul mercato economico in cui opera e che non crea di per sé danno al patrimonio della società quotata emittente, strutturalmente esposta alla fluttuazione del valore di borsa delle sue azioni, limitandosi a costituire indice del momentaneo volgere del rischio dell'investimento a sfavore della platea dei suoi azionisti. L'ipotesi accademica del pregiudizio derivante dalla penalizzazione della capacità della società quotata di realizzare a condizioni favorevoli le operazioni straordinarie di ristrutturazione, per costituire danno risarcibile, avrebbe dovuto essere supportata dalla prova in giudizio della perdita effettiva, a seguito del ribasso del titolo, della possibilità di concludere specifiche operazioni già programmate alle condizioni attese. Anche questa domanda risarcitoria è, pertanto, priva di fondamento. Per concludere, all'esito dell'esame delle domande risarcitorie tempestivamente proposte da (...) e (...) nel presente giudizio, la società convenuta deve essere condannata al risarcimento del danno derivato dal suo inadempimento agli obblighi prodromici alla verificazione della condizione sospensiva a cui era sottoposta l'efficacia dell'accordo stipulato l'8 aprile 2016, mediante pagamento a favore di (...) della somma di Euro 1.202.419,28 e a favore di (...) della somma di Euro 514.167,07, oltre interessi di mora nella misura legale sulla somma anno per anno rivalutata dalla data della domanda giudiziale, come precisata nella prima memoria di trattazione depositata in data 8 giugno 2018, sino al saldo. Non resta ora che esaminare le domande riconvenzionali proposte da (...) per ottenere il risarcimento del danno subito per i costi sostenuti durante la negoziazione e la sottoscrizione del contratto pari ad Euro 3.055.615 e del danno all'immagine subito in conseguenza delle condotte diffamatorie delle società, da liquidarsi in via equitativa nella somma di Euro 59.100.000, corrispondente al costo della campagna mediatica "riparatoria" mediante pubblicazione dello stesso numero di articoli, sulle nove testate giornalistiche coinvolte e sugli altri mezzi di comunicazione di massa come la televisione ed i canali internet. Con riguardo alla prima voce di danno è sufficiente evidenziare che l'inadempimento agli obblighi prodromici di compiere l'attività necessaria a rendere possibile l'avveramento della condizione sospensiva è imputabile alla stessa (...) per tutte le ragioni ampiamente esposte e che, quindi, l'inutilità dei costi sostenuti per la negoziazione e sottoscrizione dell'accordo è un pregiudizio economico non configurante un danno giuridicamente risarcibile. Quanto, invece, al danno non patrimoniale all'immagine la società convenuta, nel corso della trattazione della causa, ha lamentato che l'imponente compagna di stampa diffamatoria, avviata ed alimentata dalle società attrici attraverso la diffusione di notizie inveritiere, avrebbe determinato una proiezione negativa sulla reputazione della società immediatamente percepibile dalla collettività, soprattutto in conseguenza delle allusioni ad un inesistente provvedimento di declaratoria di ammissibilità del ricorso per sequestro giudiziario delle sue azioni depositato dalle attrici e, poi, rinunciato, nonché attraverso l'uso di espressioni offensive dirette ai propri vertici, tacciati di arroganza e spregiudicatezza per aver avuto nella vicenda "la compostezza e la delicatezza di un Attila". In particolare la società convenuta ha sostenuto la diminuzione della considerazione di cui godeva presso i soggetti con cui interagisce nell'esercizio della propria attività di impresa nel settore dei media, compresi gli investitori istituzionali e gli investitori delle altre società in cui è azionista rilevante. Come già sottolineato esaminando la domanda speculare delle società attrici, la giurisprudenza di legittimità in materia di danno all'immagine delle società richiede, per l'affermazione della responsabilità, la prova dell'effettiva lesione della reputazione commerciale dell'ente nel settore di mercato dove svolge la sua attività di impresa che, ove presuntiva, deve essere fondata su elementi di fatto specifici e concreti non potendo tautologicamente essere desunta dalla portata offensiva delle notizie propalate. La società convenuta si è limitata, al riguardo, a richiamare il contenuto diffamatorio degli articoli pubblicati sulla vicenda senza dedurre alcuno specifico elemento di fatto che consenta di inferire che ne sia derivata un'effettiva lesione della reputazione presso gli investitori o gli utenti dei servizi che offre nel settore dei media sul mercato internazionale. Non è per nulla scontato, infatti, che la portata offensiva delle pubblicazioni in questione abbia scalfito la considerazione di cui gode nel consesso internazionale di settore, una società che vanta di essere al vertice di uno dei più grandi gruppi industriali al mondo. La domanda riconvenzionale risarcitoria deve, pertanto, essere respinta. La decisione sulle domande delle parti nella seconda controversia c.d. Giudizio (...). Per le ragioni già esposte nella parte della motivazione relativa all'individuazione dell'oggetto della controversia deve essere esaminata nel merito solo la domanda risarcitoria di (...) nei confronti di (...), tempestivamente dedotta nell'atto di citazione e riportata al punto II) della precisazione delle conclusioni da sottoporre al Collegio di cui al verbale dell'udienza del 22.9.2020. La domanda ha ad oggetto l'accertamento del diritto al risarcimento che (...), società controllante di (...), avrebbe subito a causa dell'oltraggioso rifiuto di (...) di portare a termine l'operazione di alleanza strategica con la società controllata, progettata con l'accordo dell'8 aprile 2016 e l'annesso patto parasociale, sfociato in una campagna denigratoria che aveva investito l'intero gruppo imprenditoriale. Con i comportamenti in questione (...) avrebbe violato precisi e vincolanti obblighi contrattuali, oltre che il più generale dovere del neminem ledere, incorrendo al contempo in responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per l'enorme pregiudizio economico subito da (...) nella misura complessiva di Euro 1.480.233.423,00, in termini di a) perdita di valore della partecipazione strategica detenuta in (...) S.p.a., da liquidare in una somma non inferiore a euro 1.180.233.423,00; b) danno ai processi decisionali e alla pianificazione strategica da liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000,00; c) danno alla reputazione e immagine da liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000,00. Iniziando dall'esame dell'an della responsabilità contrattuale, invocata da (...) sostenendo che (...) si sarebbe rifiutata di portare a compimento l'operazione di alleanza strategica contravvenendo a precisi obblighi contrattuali che aveva assunto nei suoi confronti, deve escludersi che possano aver costituito fonte di un qualsiasi impegno negoziale di (...) nei confronti di (...), - l'accordo sospensivamente condizionato, sottoscritto da (...) solo con (...) e (...) l'8 aprile 2016 a cui (...) è rimasta estranea e che non ha mai prodotto alcuno degli effetti obbligatori di scambio azionario programmati per il mancato avveramento della condizione, - o il testo concordato del patto parasociale allegato N dell'accordo dell'8 aprile 2016, di cui (...) e (...) avevano garantito la sottoscrizione da parte di (...) al momento del closing, che non è mai stato firmato in ragione dell'inefficacia dell'accordo preliminare di scambio a cui accedeva. La clausola n. 8 dell'accordo dell'8 aprile 2016, stipulato da (...) solo con (...) e (...), prevedeva semplicemente che "Al closing, (...) e (...) s.p.a. sottoscriveranno il Patto parasociale accluso al presente, nella forma concordata, come Allegato N" e la pattuizione vincolava (...) nei confronti delle sue controparti contrattuali (...) e (...) a stipulare il patto parasociale con (...) nel testo concordato, contestualmente alla conclusione dell'operazione e all'esecuzione dello scambio azionario. Tuttavia, la previsione in esame non ha mai acquisito alcuna efficacia, atteso che l'accordo in cui era contenuta, è rimasto inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva nel termine pattuito del 30 settembre 2016, non surrogabile dalla fictio iuris di avveramento prevista dall'art. 1359 c.c. in ragione della natura dell'evento condizionante (si richiama integralmente, al riguardo, la motivazione da pag. 39 a pag. 41). Nessun obbligo può, dunque, essere sorto per (...) nei confronti di (...) dall'accordo in questione neanche con riguardo all'impegno di sottoscrizione del testo concordato del patto parasociale che presupponeva l'avveramento della condizione e la conseguente conclusione dell'operazione di scambio azionario. Il patto parasociale, predisposto con la dichiarata funzione di mettere "in sicurezza" la progettata alleanza strategica a cui lo scambio azionario reciproco era finalizzato dal rischio del verificarsi dei presupposti dell'OPA obbligatoria è rimasto, poi, semplicemente un testo contrattuale in bozza, mai sottoscritto dai soggetti che avrebbero dovuto contrarre il vincolo e da cui nessuna obbligazione contrattuale può essere derivata. Nell'accordo dell'8 aprile 2016 a cui (...) era rimasta estranea, non vi è, infine, traccia della previsione di diritti a suo favore come terzo né emerge dal testo concordato della bozza di patto parasociale alcuna clausola integrativa del regolamento contrattuale con specifica funzione "protettiva" del suo interesse all'attuazione dell'alleanza strategica e alla conservazione della sua posizione di controllo in (...). Lo scopo enunciato del futuro patto parasociale che rendeva indispensabile l'intervento negoziale di (...) nell'operazione era, infatti, solo quello di assicurare il funzionamento dell'alleanza strategica programmata scongiurando il pericolo dell'OPA, come previsto espressamente dalla lettera C) delle premesse secondo cui '"''mediante il presente Accordo, le Parti intendono definire i loro diritti ed obblighi con riguardo a qualsiasi futuro acquisto di azioni di (...) e assicurare che tali acquisti siano fatti senza far scattare alcun obbligo di lanciare un 'offerta pubblica di acquisto obbligatoria su tutte le azioni in circolazione di (...) e nel rispetto di tutte le leggi e i regolamenti applicabili" (v. allegato N lettera C delle premesse a pag. 4). Una volta eseguite le previsioni dell'accordo dell'8 aprile 2016, infatti, (...) e (...) avrebbero potuto essere considerate soggetti che agiscono "di concerto" ai sensi dell'art. 101 bis comma 4 del TUF e di conseguenza essere obbligate a promuovere un'offerta pubblica di acquisto obbligatoria su (...) che avrebbe stravolto i contorni dell'alleanza programmata. La previsione del futuro intervento negoziale di (...) attraverso la sottoscrizione del patto parasociale contestualmente alla conclusione dello scambio azionario tra (...) e (...), indispensabile all'attuazione della partnership nei termini concordati, sottintende il suo scontato interesse economico al successo dell'iniziativa imprenditoriale della società controllata ma non è idonea a creare alcun effetto "protettivo" della sua sfera giuridica. Anche l'evanescente figura del contratto con effetti protettivi dell'interesse del terzo, coniata nell'ambito della responsabilità medica con riferimento alla lesione dei diritti fondamentali della persona e invocata da (...) in una fattispecie in cui è ben difficile si pongano analoghe esigenze di tutela, richiede, infatti, che la protezione, che fa assurgere il mero interesse di fatto del terzo alla corretta esecuzione della prestazione contrattuale ad aspettativa giuridicamente tutelata, risulti in modo specifico dal contenuto dell'accordo. E, avuto riguardo al tenore dell'unica pattuizione contrattuale che la coinvolge, non è rinvenibile alcuna previsione di protezione dell'interesse di (...) all'adempimento del contratto concluso con (...) dalla due società controllate. Il comportamento di (...) che ha deliberatamente "bloccato" il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni oggetto della condizione sospensiva apposta dalle parti all'accordo del 8 aprile 2016, rendendo impossibile la conclusione dell'operazione programmata non può, dunque, configurare inadempimento contrattuale nei confronti di (...) verso cui nessun obbligo negoziale risulta aver mai assunto, neanche nella forma estesa alla protezione dei suoi interessi di terzo estraneo all'accordo. Non resta, dunque, che esaminare la questione della configurabilità nel comportamento di (...) della responsabilità aquiliana, prospettata da (...) sostenendo che l'ingiustificata decisione di rompere il vincolo negoziale contratto con (...), dolosamente preordinata a provocare il crollo del prezzo di borsa del titolo, e la campagna denigratoria che l'aveva accompagnata, avrebbero travalicato i confini del mero inadempimento contrattuale per assumere i connotati di un vero e proprio illecito civile, lesivo del valore della sua partecipazione sociale strategica in (...), del suo diritto alla pianificazione delle iniziative economiche del gruppo oltre che della sua reputazione. Nell'addebito così descritto si intrecciano condotte illecite di natura diversa che combinano gli elementi propri dell'illecito diffamatorio che, come già visto, presuppone la non veridicità delle notizie diffuse da (...) sulle ragioni del suo ripensamento connesse all'inattendibilità della previsioni del business pian di (...) comunicate al mercato, e il carattere plurioffensivo della decisione di rompere l'accordo. Mentre sull'insussistenza degli elementi dell'illecito diffamatorio nella vicenda si è già ampiamente argomentato (v. da pag. 64 a pag. 67 della motivazione), quest'ultima deduzione parrebbe richiamare a fondamento dell'antigiuridicità della condotta attribuita a (...) la fattispecie del c.d. concorso improprio tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ravvisabile allorché il fatto costituente inadempimento del contratto sia al contempo lesivo della sfera giuridica di un terzo. Come noto del contratto è un fatto connotato dalla specifica antigiuridicità derivante dalla violazione della regola pattizia vigente solo nei rapporti con l'altro contraente in forza del regolamento contrattuale mentre nei confronti dei terzi, sulla base del principio sancito dall'art. 1372 c.c., secondo cui il contratto ha forza di legge solo fra le parti è in linea di principio un fatto neutro. Il fatto dell'inadempimento è illecito verso l'altro contraente non verso la generalità dei consociati e, dunque, verso i terzi rimasti estranei all'accordo. Nelle situazioni particolari, però, in cui il fatto si connoti al contempo come inadempimento di un contratto verso l'altro contraente e condotta lesiva di un diritto soggettivo del terzo, o quantomeno di una sua aspettativa giuridicamente tutelata alla corretta esecuzione della prestazione contrattuale, sussumibile nel principio generale del neminem ledere, potrebbe configurarsi anche un danno risarcibile da responsabilità aquiliana. Come accade nelle ipotesi ricorrenti in cui la violazione da parte del danneggiante di obblighi contrattuali di custodia di cose, di sorveglianza, educazione e cura di persone incapaci o di adozione di cautele nell'esercizio di attività pericolose, assunti nei confronti di un soggetto specifico per effetto del vincolo negoziale, si risolva, al contempo, in inadempimento del contratto verso l'altro contraente e in lesione del diritto soggettivo di un terzo estraneo sul paradigma degli articoli 2051, 2048, 2050 e 2043 c.c. La responsabilità aquiliana concorrente connessa ad un fatto di inadempimento contrattuale presuppone, dunque, che il danno sia derivato dalla lesione, non di un mero interesse economico di fatto del terzo all'esecuzione del programma negoziale vincolante solo fra i contraenti, ma di un suo vero e proprio diritto soggettivo o quantomeno di una sua posizione giuridicamente tutelata, che trovi la sua fonte all'esterno del regolamento contrattuale, perché ove l'effetto "protettivi" dell'interesse di un terzo fosse già in esso programmato la responsabilità potrebbe essere solo contrattuale, secondo il meccanismo strutturale del contratto a favore di terzo. Ne deriva che la responsabilità aquiliana concorrente verso il terzo non può fondarsi sulla constatazione dell'imputazione dell'inadempimento ad uno dei contraenti del contratto alla cui esecuzione anche l'estraneo aveva interesse economico ma richiede l'accertamento della contestuale lesione di una sua posizione giuridica soggettiva autonoma in modo tale che dalla condotta derivi al terzo un danno ingiusto e non una semplice ripercussione negativa - giuridicamente irrilevante - nella sua sfera economica. La questione si risolve, a questo punto, nel verificare l'esistenza di un diritto soggettivo o di un'aspettativa giuridicamente tutelata della socia controllante all'adempimento del contratto concluso dalla società controllata con un terzo che possano essere lesi dal comportamento inadempiente di quest'ultimo, dando luogo ad un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cc. Per escludere l'esistenza di una qualsiasi posizione giuridica soggettiva del socio che tuteli il suo interesse economico all'adempimento dei contratti conclusi dalla società con i terzi nell'esercizio dell'attività di impresa è sufficiente evidenziare che, in forza del contratto sociale e del rapporto che ne deriva, il socio è tenuto a sopportare, nella misura corrispondente all'entità della partecipazione sociale di cui è titolare, il rischio dell'attività economica comune entro cui è ricompreso anche lo specifico rischio dell'inadempimento dei soggetti con cui la società partecipata ha stretto vincoli negoziali. Il danno derivato dall'inadempimento del contratto fra la società ed un terzo, giuridicamente riferibile solo alla società lambisce il socio di riflesso, colpendolo nel suo interesse meramente economico al successo delle iniziative intraprese nell'esercizio dell'attività comune di impresa, la cui lesione non può configurare il danno ingiusto, elemento costitutivo dell'illecito aquiliano secondo la previsione dell'art. 2043 c.c. Diversamente si finirebbe per affiancare ad ogni ipotesi di inadempimento dei contratti stipulati dalla società con i terzi, una concorrente responsabilità aquiliana "ombra" del terzo contraente verso ciascuno dei soci. La specifica incidenza, poi, sull'andamento al ribasso del titolo del c.d. effetto annuncio della rottura dell'accordo non è riferibile all'inadempimento in sé del contratto con la società emittente da parte del terzo ma all'impatto della sua comunicazione al mercato, obbligatoria per le società quotate in borsa, che può essere fonte di responsabilità solo ove abbia assunto contenuti non corrispondente a verità. In sintesi, neanche gli azionisti di una società quotata hanno diritto a che i terzi che contraggono con la società siano adempienti ai loro impegni negoziali e non può, quindi, configurarsi un illecito aquiliano del terzo contraente in dipendenza della mera violazione dolosa o colposa dell'accordo stretto con la società emittente né il c.d. effetto annuncio può essere fonte di danno risarcibile in difetto dei presupposti dell'illecito diffamatorio (v. supra). Ne deriva l'inconfigurabilità nella fattispecie in esame della responsabilità aquiliana prospettata dalla (...) in relazione al pregiudizio economico subito per la decisione di (...) di non concludere l'operazione di alleanza strategica programmata con (...). La circostanza è dirimente per affermare l'infondatezza dell'imponente domanda risarcitoria formulata da (...) nei confronti di (...) evidente, comunque, anche sotto il profilo dell'inesistenza del danno lamentato sotto i diversi profili della perdita di valore della sua partecipazione in (...), della compromissione dei processi decisionali e della lesione della reputazione. A) La perdita di valore della partecipazione strategica detenuta da (...) in (...) S.p.a., da liquidare in una somma non inferiore a euro 1.180.233.423,00. Al riguardo la (...) ha sostenuto di aver subito, a seguito del crollo del valore di borsa del titolo (...) provocato dall'annuncio della rottura dell'accordo da parte di (...), una perdita di valore economico della partecipazione strategica e di controllo detenuta in (...) che, nell'atto di citazione, aveva stimato in Euro 270.824.706,90, semplicemente applicando all'intero pacchetto azionario la perdita di quotazione di borsa del titolo registrata nelle contrattazioni tra il 25 luglio 2016 e il 2 agosto 2016. Nel corso dell'istruttoria la società attrice ha, poi, mutato la prospettazione dei criteri di stima del danno, richiamando lo studio del consulente di parte Prof. (...) che aveva ritenuto più confacente, nella determinazione del pregiudizio economico subito dalla partecipazione strategica, il riferimento, piuttosto che al prezzo di borsa, ai c.d. "valori di consensus" che esprimono le previsioni di andamento del prezzo degli analisti finanziari, fondate sulla valutazione professionale dei fondamentali economici attuali e prospettivi dell'azienda come risultanti dagli elementi informativi pubblici, e che, quindi, consentirebbero di meglio apprezzare la perdita di valore della partecipazione derivante dall'impatto della notizia della rottura dell'accordo relativo ad un'operazione strategica. Il consulente della società attrice aveva, poi, individuato il differenziale degli indicatori dei valori di consensus tra il 24 giugno 2016, giorno di consensus massimo prima dell'annuncio della rottura dell'accordo ed il 28.3.3018, giorno di consensus massimo dopo la conclusione da parte di (...) di altra operazione strategica con (...), che applicato allenterò capitale di (...) e moltiplicato per la percentuale della partecipazione di (...), consentirebbe di determinare la perdita di valore economico in Euro 517,4 milioni (v. doc. 53 di parte (...) a pag. 23). Alla voce di danno emergente in questione andrebbe aggiunto il pregiudizio derivante dalla flessione, nello stesso periodo, del valore del premio di controllo, espressione dei benefici privati che il socio di controllo trae dalla sua posizione di influenza, assunto pari al 10% del valore complessivo della società, con una perdita ulteriore di valore della partecipazione di controllo, stimata in euro 165,5 milioni (v. doc. 53 di parte (...) a pag. 23). Infine, sempre secondo la stima del consulente di parte, dovrebbe aggiungersi alle voci di danno emergente che precedono, la voce di lucro cessante costituita dalla perdita dell'upside di mercato, cioè della possibilità di (...) di fruire, nello stesso periodo, del rialzo dell'indice generale del mercato borsistico nazionale (indice FTSE MIB), a cui il titolo (...) era stato allineato sino al momento della rottura dell'accordo, con un'ulteriore perdita di 657,6 milioni, ottenuta moltiplicando il differenziale tra il valore di quotazione effettiva e quello di quotazione teoricamente attesa sulla base dell'andamento dell'indice FTSE MIB, per il numero di azioni rappresentative della partecipazione strategica detenuta da (...) (v. doc. 53 di parte (...) a pag. 35). A prescindere dalle aspre critiche mosse alla prospettazione sotto il profilo tecnico dai consulenti della società convenuta (v. doc. 242 di parte convenuta), tutta la ricostruzione teorica sottesa alla prospettazione del danno fornita da (...) nel corso del giudizio poggia su un evidente equivoco di fondo: assume, cioè, per scontato il fatto che dall'andamento al ribasso del prezzo del titolo quotato in borsa derivi necessariamente ed immediatamente una corrispondente perdita di valore economico della partecipazione del socio della società emittente e, quindi, un danno risarcibile. Che l'assioma sia fuorviante è evidente anche solo notando che nessuno considera perduto o pregiudicato l'investimento dell'azionista per il momentaneo ribasso del prezzo di borsa dei titoli sino a che rimangono nel suo portafoglio in attesa del momento di rialzo propizio per la vendita. Nella stima del valore della partecipazione sociale in una società quotata si accentua, indubbiamente, la sua natura di investimento del socio, soggetto oltre che al comune rischio derivante dall'esercizio dell'attività di impresa anche all'oscillazione del presso del titolo in borsa dovuto ai fattori più svariati, non necessariamente connessi alla situazione patrimoniale economico e finanziaria della società emittente, che lo espone ad un rischio di perdita dell'investimento inversamente proporzionale alla curva di ribasso del titolo. L'oscillazione del valore di borsa del titolo è, però, una componente fisiologica del rischio gravante sul socio di una società quotata che, anche se dovuto ad un evento anomalo, non determina di per sé alcun danno effettivo all'azionista ma resta a livello di indicatore della misura del rischio che l'investimento sta correndo in un determinato momento, per tradursi in perdita economica effettiva solo quando la partecipazione dovesse essere dismessa a prezzo inferiore rispetto a quello a cui è stata acquistata. L'andamento al ribasso del prezzo di borsa del titolo rappresenta, quindi, per l'azionista un pregiudizio meramente potenziale che può tradursi in una perdita economica effettiva e attuale solo con la dismissione della partecipazione. L'esistenza di un danno risarcibile per l'azionista richiede, quindi, che l'illecito prospettato abbia determinato l'assestarsi durevole e senza prospettive di risalita della tendenza al ribasso del titolo che lo abbia costretto alla dismissione della partecipazione a prezzo deteriore. La situazione non muta per il socio titolare di una partecipazione rilevante, cioè di consistenza quantitativa tale da consentigli di esercitare un'influenza dominante o il controllo sulla società emittente. In questo caso alla variazione del rischio di perdita dell'investimento comune alla platea degli azionisti può aggiungersi, a seconda della quantità e composizione del flottante, l'aumento del rischio della perdita del controllo della società emittente, rendendo possibili a costo contenuto acquisizioni c.d. ostili, cioè non concordate, finalizzate alla sostituzione del governo dell'impresa. Anche questo è un rischio tipico del socio titolare di una partecipazione rilevante in una società quotata, connesso alla struttura stessa della sua compagine sociale, indistintamente aperta a chiunque intenda investire nell'impresa comune, che non gli consente di nutrire alcuna aspettativa alla conservazione dell'assetto proprietario che gli assicura il governo dell'impresa, meno che mai in un mercato che attraverso la disciplina della trasparenza degli assetti proprietari e dell'OPA tende ad incentivare la "contendibilità" del governo delle società quotate per assicurare una gestione quanto più efficiente possibile dell'impresa comune, finanziata attingendo alle risorse di azionisti di minoranza tendenzialmente inerti. In ogni caso, anche questo rischio specifico del socio titolare di una partecipazione rilevante rappresenta un pregiudizio solo a livello potenziale che non può dirsi venuto ad effettiva esistenza ove, nel periodo di ribasso del titolo, il pacchetto azionario di controllo o la partecipazione rilevante siano rimasti saldamente nelle mani del socio di maggioranza. A questo punto è chiaro che il danno lamentato da (...) per la perdita di valore della sua partecipazione in (...) a seguito del momentaneo crollo di borsa del titolo derivato dal fallimento dell'operazione di creazione dell'alleanza strategica non sussiste in mancanza dell'avvenuta dismissione della partecipazione sociale a condizioni deteriori o dell'effettiva perdita del controllo della società emittente in ragione del ribasso del titolo, mai prospettate dalla società attrice nel corso del giudizio e, notoriamente, mai avvenute. Del resto la società attrice si è ben guardata dall'allegare di aver proceduto alla svalutazione in bilancio della sua partecipazione in (...) in misura corrispondente all'ingente perdita di valore lamentata nel presente giudizio. Anche in questo caso il consulente di parte della società attrice ha fornito una configurazione accademica delle potenzialità di danno a cui il valore della partecipazione di (...) in (...) sarebbe stata esposta nel periodo successivo al naufragio dell'operazione programmata, in alcun modo utile alla prova dell'esistenza effettiva del pregiudizio economico lamentato. B) danno ai processi decisionali e alla pianificazione strategica da liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000.00. Al riguardo la (...) ha sostenuto di aver subito, a seguito della situazione di stallo ed incertezza derivati dal fallimento per il "voltafaccia" di (...) di un'operazione di straordinaria valenza strategica per l'intero gruppo, la lesione del suo diritto a "programmare le proprie iniziative economiche in base ad efficienti processi decisionali e secondo un'ordinata pianificazione strategica" costituente "un bene primario per ogni imprenditore, ma in modo particolare per una holding al vertice di governo di un grande gruppo di rilevanti assets in settori strategici per il Paese." ed ha richiesto la liquidazione in via equitativa del danno che non potrebbe essere provato nel suo preciso ammontare. La prospettazione contenuta già nell'atto di citazione non è stata, nel corso della trattazione della causa, in alcun modo precisata sotto il profilo dell'allegazione degli specifici processi decisionali interni che sarebbero stati bloccati dal fallimento dell'operazione strategica programmata con (...), peraltro sottoposta all'epoca della rottura del vincolo a condizione sospensiva che ne rendeva, comunque, obiettivamente incerto il compimento, richiedendo alla società al vertice del gruppo di prepararsi anche ad un rapida "riprogrammazione" delle iniziative economiche assunte nell'ipotesi di mancato avveramento. L'estrema genericità dell'allegazione del pregiudizio, nella situazione descritta, non consente in alcun modo di affermare l'esistenza del danno lamentato, necessario presupposto della invocata liquidazione in via equitativa. C) danno alla reputazione e immagine da liquidare in una somma non inferiore ad euro 150.000.000.00. In proposito la (...) ha sostenuto che (...) avrebbe arrecato danno alla sua immagine, accreditando nell'opinione pubblica l'idea che l'accordo dell'S aprile 2016 non fosse conclusivo e non assicurasse il buon esito dell'operazione e che l'abbandono da parte sua dell'affare sarebbe derivato dalla scoperta di essere stata raggirata. Ad escludere l'esistenza di qualsiasi elemento di prova del danno lamentato da (...) sotto questo profilo è sufficiente sottolineare che essa si è limitata a richiamare a supporto probatorio una raccolta di articoli di stampa di ottanta pagine (v. doc. 45 di parte (...)) senza neanche indicare quali sarebbero state le espressioni offensive di (...) specificamente dirette nei suoi confronti e idonee a pregiudicare la sua reputazione in una vicenda negoziale che aveva il suo fulcro nelle trattative e nell'accordo intercorso tra (...) e (...). Né è possibile configurare la lesione della reputazione del "gruppo" nel suo complesso privo notoriamente di soggettività giuridica. In sintesi la domanda risarcitoria proposta da (...) nei confronti di (...) è priva di fondamento in ragione dell'inconfigurabilità nella vicenda dei profili di responsabilità contrattuale o aquiliana delineati a fondamento della pretesa risarcitoria e della parimenti palese non configurabilità o carenza di prova dei pretesi pregiudizi economici lamentati in conseguenza del comportamento della società convenuta. La domanda deve, pertanto, essere respinta. Non resta ora che esaminare la domanda riconvenzionale proposta in questo giudizio da (...) per ottenere il risarcimento del danno subito per l'ombra gettata sulla sua reputazione internazionale dall'aggressiva campagna di stampa denigratoria che le aveva attribuito le stimmate del "capitalismo cannibalesco" o della "metastasi" che prospera sulla distruzione della ricchezza altrui, insinuando il sospetto che il rifiuto di concludere l'operazione strategica programmata fosse preordinato a spodestare illegittimamente (...) dal controllo di (...), avvalorato dalla notizia della presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica per il reato di manipolazione del mercato. Anche alla condotta diffamatoria attribuita a (...) la società convenuta ha correlato la diminuzione della considerazione di cui godeva presso i soggetti con cui interagisce nell'esercizio della propria attività di impresa nel settore dei media, compresi gli investitori istituzionali e gli investitori delle altre società in cui è azionista rilevante, già attribuita nella causa riunita alla campagna denigratoria proveniente da (...). Come già sottolineato esaminando le diverse domanda fondate dalle parti sulla lesione della loro reputazione, la giurisprudenza di legittimità in materia di danno all'immagine delle società richiede per l'affermazione della responsabilità la prova dell'effettiva lesione della reputazione commerciale dell'ente nel settore di mercato dove svolge la sua attività di impresa che, ove presuntiva, deve essere fondata su elementi di fatto specifici e concreti non potendo tautologicamente essere desunta dalla portata offensiva delle notizie propalate. Nella situazione in esame, al di là dei toni indubbiamente "coloriti" che ha assunto la narrazione della vicenda negli articoli di stampa citati, (...) non ha dedotto alcuno specifico elemento di fatto che consenta di inferire che ne sia derivata un'effettiva lesione della sua reputazione presso gli investitori o gli utenti dei servizi che offre nel settore dei media sul mercato internazionale. E anche in questo caso non è affatto scontato che la portata potenzialmente offensiva delle pubblicazioni in questione abbia scalfito la sua reputazione di società al vertice di un colosso nel mercato del settore. Anche la domanda riconvenzionale risarcitoria deve, pertanto, essere respinta. Il regime delle spese processuali. All'esito del giudizio devono essere liquidate separatamente le spese processuali relative a ciascuna della cause riunite, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, che ha ripetutamente affermato il principio per cui "il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ne consegue che la congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio" (Cass. 10.7.2014 n. 15860; Cass. 13.7.2006 n.15954; Cass. 12.6.2001 n. 7908). La reciproca parziale soccombenza delle parti in ordine alle domande svolte nella causa RG. n. 47205/2016 giustifica la compensazione nella misura di un terzo delle spese processuali che si liquidano per l'intero, in applicazione dei parametri dello scaglione riferito alla somma riconosciuta alle società attrici a titolo di risarcimento del danno e considerata la complessità della causa e l'opera professionale prestata in Euro 60.000,00 per compenso di avvocato oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge e si pongono per i restanti due terzi a carico di (...). La reciproca soccombenza delle parti in relazione alle domande svolte nella causa RG n. 47575/2016 giustifica la compensazione nella misura di un terzo delle spese processuali che si liquidano per l'intero, avuto riguardo all'entità notevolissima del valore della causa ed alla complessità dell'attività difensiva svolta in Euro 450.000,00 per compenso di avvocato oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge e si pongono per i restanti due terzi a carico di (...) s.p.a. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nelle cause civili riunite n. 47205/ 2016 e 47575/2016 promosse, la prima da (...) s.p.a. e (...) s.p.a. contro (...) s.a. con atto di citazione notificato il 19 agosto 2016 e la seconda da (...) s.p.a. contro (...) s.a., con atto di citazione notificato il 23 agosto 2016, con l'intervento volontario di (...) s.p.a. disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: Nella prima causa 1) dichiara l'avvenuta risoluzione del contratto sospensivamente condizionato, stipulato dalle parti l'8 aprile 2016, per effetto della specifica previsione contrattuale di cui alla clausola 2.2 ultimo periodo; 2) accerta l'inadempimento di (...) S.A. agli obblighi preliminari e prodromici all'avveramento della condizione previsti dalla clausola 2.2. lett. b) e c) dell'accordo e la condanna al risarcimento del danno a favore di (...) s.p.a., mediante pagamento della somma di Euro 1.202.419,28, ed a favore di (...) s.p.a., mediante pagamento della somma di Euro 514.167,07, oltre interessi di mora nella misura legale sulla somma anno per anno rivalutata dall'8 giugno 2018, sino al saldo; 3) respinge tutte le altre domande proposte da (...) s.p.a. e da (...) s.p.a. anche quale incorporante (...) s.p.a. nei confronti (...) s.a.; 4) respinge le domande riconvenzionali proposte (...) s.a. nei confronti di (...) s.p.a. e (...) s.p.a. 5) dichiara compensate fra le parti nella misura di un terzo le spese processuali che liquida, per l'intero, in Euro 60.000,00 per compenso di avvocato oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge e pone per i restanti due terzi a carico di (...) s.a. Nella seconda causa: 1) dichiara inammissibili le domande proposte da (...) s.p.a. nei confronti di (...) s.a. ai punti I.a), I.b), I.b-bis) delle conclusioni; 2) respinge la domanda proposta da (...) s.p.a. nei confronti di (...) s.a. al punto II) delle conclusioni; 3) respinge la domanda riconvenzionale proposta da (...) s.a. nei confronti di (...) s.p.a.; 4) dichiara compensate fra le parti nella misura di un terzo le spese processuali che liquida, per l'intero, in Euro 450.000,00 per compenso di avvocato oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge, e pone per i restanti due terzi a carico di (...) s.p.a. Milano, 18 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORDANO Emilia An - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/7/2020 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Locatelli Giuseppe che conclude per il rigetto del ricorso; uditi per il ricorrente i difensori, avvocato (OMISSIS) e avvocato (OMISSIS) che insistono per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dalla Corte degli Stati Uniti d'America, Distretto Meridionale di New York, nei confronti di (OMISSIS), alias (OMISSIS), per i delitti di associazione a delinquere finalizzata alla frode in titoli di borsa relativi ad un'offerta pubblica di acquisto; associazione a delinquere finalizzata alla frode elettronica ed alla frode in titoli ed altresi' di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro a fine di occultamento, oltre alla frode nelle offerte pubbliche di acquisto ed al favoreggiamento di tale delitto, commessi tutti nel Distretto Meridionale di New York e altrove nel quinquennio dal 1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2017. Il ricorrente si trova detenuto agli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, dal 30 aprile 2020, misura con la quale e' stata sostituita quella della custodia cautelare in carcere applicatagli a seguito dell'arresto eseguito presso l'aeroporto internazionale di Fiumicino ove il (OMISSIS) giungeva il (OMISSIS) in volo da (OMISSIS), sua citta' di residenza. (OMISSIS) e', inoltre, cittadino polacco. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente chiede l'annullamento della sentenza impugnata per plurimi profili di nullita' e, in particolare: 2.1. inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 13 e 705 c.p.p. in relazione all'articolo 184 TUF nonche' mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del requisito della doppia incriminazione ed alla qualificazione giuridica dei fatti. La difesa contesta la prospettazione della sentenza impugnata secondo la quale i fatti posti a base della richiesta di estradizione possono essere ricondotti nella fattispecie di insider trading, punita dall'articolo 184 TUF, come modificato per effetto della legge di riforma della materia risalente all'anno 2005, ovvero il delitto di abuso di informazioni privilegiate potendo le condotte ascritte al ricorrente essere sussunte in quelle del cd. insider secondario punito con sanzione amministrativa. Ulteriore violazione di legge si ravvisa ove la condotta del (OMISSIS) volesse ricondursi a quella del criminal insider, di cui all'articolo 184 TUF, comma 2 che si riferisce solo a quelle ipotesi in cui l'attivita' delittuosa e' "ex se" idonea a determinare l'alterazione delle quotazioni finanziarie, cosi' che essa stessa e le sue conseguenze divengono l'informazione privilegiata. A tale caratteristica non risponde la contestazione dei reati associativi che non sono di per se' idonei a determinare alcuna alterazione dei mercati finanziari e non costituiscono informazione privilegiata e strumentale alle condotte speculative di insider trading. Fallace, infine, la lettura dei precedenti giurisprudenziali richiamati nella sentenza impugnata al pari del richiamo alla direttiva UE MAD2, la quale porterebbe a superare la distinzione tra insider primario e insider secondario e che, come precisa la stessa sentenza impugnata, non e' stata recepita in tal senso nell'ordinamento italiano. Premesso, poi, che le condotte fraudolente contestate non corrispondono al delitto di truffa dell'ordinamento italiano (non essendo individuabile un atto di disposizione patrimoniale posto in essere da persone offese in conseguenza di artifici e raggiri), l'estradizione non puo' essere concessa neppure per i reati associativi dal momento che gli illeciti scopo non sono punibili con sanzioni penali; ne' per la fattispecie associativa che rinvia al riciclaggio e che nel sistema italiano, ai fini della configurabilita' del reato di autoriciclaggio, presuppone, comunque, la provenienza da delitto non colposo. 2.2. vizio di violazione di legge, in relazione all'articolo 705 c.p.p. e articolo X della Convenzione Italia USA e vizio di motivazione. La sentenza impugnata ha valorizzato, al fine di ritenere integrata la conoscenza dei gravi indizi di colpevolezza, la summary, ovvero la relazione che si accompagna alla richiesta di estradizione, e l'atto di accusa richiamando, quale mezzo di prova, l'affidavit sottoscritto dall'agente speciale (OMISSIS) e lo stesso atto di accusa che, tuttavia, non consentono di verificare la sussistenza di una base ragionevole per ritenere che l'estradando abbia commesso i reati per i quali si procede ad estradizione. La relazione e cosi' l'atto di accusa riportano una ricostruzione disancorata da qualsiasi evidenza probatoria che viene evocata in maniera estremamente generica, essendosi riservata l'accusa la produzione delle prove fisiche al processo, e da pari genericita' e' contrassegnato la dichiarazione giurata dell'agente federale. A supporto delle accuse non vengono forniti elementi di prova in merito al contributo del ricorrente, ai dettagli dell'accordo illecito, alle modalita' di trasmissione delle informazioni ed ai tempi e accordi sottostanti. I fatti specifici, invece, evidenziano la esistenza di accordi con (OMISSIS), che era gia' in possesso delle informazioni privilegiate, con riferimento ad operazioni eseguite attraverso due societa' di comodo, costituite nelle Isole Vergini, ma tale ricostruzione e' smentita dalla stessa circostanza, evincibile dalla descrizione contenuta nell'affidavit, che le societa' del ricorrente erano costituite fin dall'anno 2011 e, dunque, non erano societa' di comodo costituite per programmare ed eseguire le operazioni illecite contestate. Nella memoria difensiva erano state, inoltre, analizzate le operazioni economiche - che suppostamene avevano generato utili milionari per il (OMISSIS) - ma tale analisi e' stata del tutto ignorata nella sentenza impugnata; 2.3. erronea applicazione della legge penale in relazione alla violazione del principio fondamentale del ne bis in idem e del principio di proporzionalita' della pena. La difesa ha dimostrato che (OMISSIS) e' raggiunto, negli Stati Uniti d'America, da un procedimento amministrativo dinanzi alla SEC, un organo equiparabile alla CONSOB. La Corte di merito ha disatteso il contenuto delle numerose pronunce prodotte dalla difesa con la finalita' non gia' di evocarne l'applicazione alla vicenda in esame ma perche' rilevanti ai fini della corretta esegesi della normativa italiana in tema di divieto di bis in idem dal momento che certamente l'estradando si troverebbe esposto, negli USA, oltre che al procedimento penale a quello amministrativo, quindi ad una pena sproporzionata anche solo limitata alla sanzione pecuniaria prevista per la sanzione amministrativa (sino a quattro volte il profitto ricavato, oltre all'interdizione dall'attivita' di compravendita dei titoli) sanzioni che si sommerebbero a quelle che potrebbero essere inflitte in sede penale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene il Collegio che sia fondato il primo motivo di ricorso, in relazione alla sussistenza del requisito della doppia incriminabilita' e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con conseguente immediata liberazione di (OMISSIS), se non detenuto per altro titolo. Come noto, i principi che regolano l'estradizione verso gli Stati Uniti d'America, contenuti nel Trattato bilaterale di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana (firmato a Roma il 13 ottobre 1983 e ratificato con L. 26 maggio 1984, n. 225) oltre che nel codice di rito, prevedono, secondo l'articolo II, par. 2, del Trattato che un reato, comunque denominato, da' luogo ad estradizione solamente se e' punibile secondo le leggi di entrambe le Parti Contraenti con una pena restrittiva della liberta' per un periodo superiore a un anno o con una pena piu' severa. Ulteriori precisazioni riguardano sia la fattispecie del tentativo di commettere un reato e quella del concorso di persone nel reato e consentono, altresi', la estradizione in relazione ad ogni forma di associazione per commettere reati di cui al paragrafo 1 dell'articolo II cosi' come previsto dalle leggi Italiane, nonche' alla fattispecie di conspiracy per commettere un reato di cui al paragrafo 1 dell'articolo II. In tal caso, il Trattato, secondo la pacifica interpretazione datane da questa Corte, consente l'estradizione per i reati associativi previsti dalle rispettive legislazioni nazionali (associazione per delinquere nell'ordinamento italiano e conspiracy in quello statunitense) indipendentemente dal requisito della previsione bilaterale del fatto, purche' tale ultima condizione sia soddisfatta per i reati che costituiscono il fine dell'associazione criminosa (Sez. 6, n. 5760 del 04/02/2011, Anokhin, Rv. 249454) 2. (OMISSIS) e' raggiunto da mandato di arresto internazionale spiccato dal Procuratore di New York per quindici capi di imputazione che sono contenuti nell'atto di rinvio a giudizio sostitutivo emesso in data 26 febbraio 2020 dal Grand Giuri' Federale. In allegato alla richiesta di estradizione sono pervenuti all'autorita' giudiziaria italiana i capi di imputazione, la dichiarazione giurata (affidavit) resa dall'agente speciale dell'FBI (OMISSIS) sull'origine dell'indagine, sulle varie fasi dell'inchiesta e sulle prove che hanno condotto all'individuazione di (OMISSIS) come responsabile dei reati a lui contestati. Dall'analisi svolta nella sentenza impugnata in merito alle contestazioni ascritte al ricorrente si rileva che le indagini, originate dalla denuncia della SEC di operazioni sospette, hanno consentito di accertare che esisteva una rete internazionale, molto estesa, di associati a delinquere, alcuni dei quali operavano all'interno di banche d'investimento e che per tale ragione avevano accesso ad informazioni riservate concernenti le societa' quotate in borsa che si erano rivolte a tali banche per consulenze. Costoro, anziche' mantenere il riserbo sulle informazioni, le offrivano in vendita ad altri complici che, a loro volta, ne facevano uso direttamente a proprio vantaggio, negoziando essi medesimi i titoli, ovvero, al fine di non esporsi troppo, condividevano dette informazioni con altri intermediari che le trasmettevano ai negoziatori finali dei titoli, in cambio di compenso a percentuale. Le dichiarazioni che hanno consentito la ricostruzione del traffico sono pervenute da (OMISSIS) che aveva ottenuto informazioni privilegiate (tra gli altri) da una coppia di suoi conoscenti e, in particolare, da (OMISSIS) che lavorava presso la Banca di investimento (OMISSIS). (OMISSIS) aveva fornito tali notizie a (OMISSIS) che, avviata la collaborazione con gli inquirenti statunitensi, confermava la ricostruzione del (OMISSIS) e riferiva di avere avuto anche altri canali informativi tra i quali (OMISSIS), amico del figlio di un consigliere di amministrazione della (OMISSIS) e da tale (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS), che, sempre attraverso la mediazione di (OMISSIS), parimenti, aveva fornito notizie riservate. (OMISSIS) ha fornito dichiarazioni in merito ai rapporti con (OMISSIS) e puo' affermarsi che tali dichiarazioni, riscontrate dalle analisi documentali, costituiscono la vera chiave di accusa nei confronti dell'odierno ricorrente che (OMISSIS) aveva conosciuto in Svizzera avviando con questi e con il socio (OMISSIS) una proficua collaborazione poiche' i due avevano accettato di condividere le sue informazioni e che, effettivamente, avevano compiuto operazioni speculative on line anche per suo conto, sia direttamente che attraverso le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS). Tali operazioni avevano riguardato sia i titoli della societa' (OMISSIS) - operazioni queste collocabili ai mesi di novembre e dicembre 2013, grazie a notizie riservate che (OMISSIS) aveva avuto da (OMISSIS), attraverso (OMISSIS), e, successivamente, nei mesi di febbraio e marzo 2015 azioni della societa' (OMISSIS), secondo le notizie che il (OMISSIS) aveva appreso, attraverso la (OMISSIS). (OMISSIS) ha riferito che nel corso dell'incontro con (OMISSIS) - per quel che qui rileva - gli aveva detto di essere in possesso di informazioni privilegiate che gli erano pervenute da varie fonti e che era disposto a condividerle con (OMISSIS). Tali condotte integrano, secondo la legge federale statunitense, due reati ovvero lo "scheme to defraud" e la frode elettronica. Secondo la ricostruzione sviluppata nella sentenza impugnata, la frode in titoli e' stata realizzata mediante operazioni di trasferimento di titoli eseguite nel momento piu' favorevole in base alle informazioni privilegiate che erano sta ottenute, in violazione di un obbligo di fiducia e di altri doveri, notizie che erano state fornite direttamente o indirettamente a (OMISSIS) in cambio di contanti e altri benefici (si tratta delle operazioni indicate nei capi di accusa dal 3) al 9). Le condotte di frode in operazioni pubbliche di acquisto (di cui ai capi dal 10) al 12) sono contestate in relazione alle correlative operazioni finanziarie poste in essere dall'estradando che, essendo in possesso di informazioni materiali, relative alle offerte, e che sapeva pervenire direttamente o indirettamente dall'emittente, attraverso diverse entita' off-shore eseguiva proficue transazioni di titoli nel momento piu' favorevole. Al capo 13) e' contestata al (OMISSIS) la frode elettronica cioe' il concorso nella truffa alle societa' (come ad esempio la Banca di investimento (OMISSIS)) attraverso la sottrazione di informazioni riservate e preziose e convertendole a proprio uso e a favore di altri, in violazione dell'obbligo di fiducia e di altri. Al capo 14) e' contestata la frode in titoli poiche' l'estradando aveva eseguito proficue transazioni finanziarie di titoli nel momento piu' favorevole in base a informazioni materiali privilegiate in danno delle societa' (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). (OMISSIS), inoltre, e' accusato di tre reati associativi: al capo 1), l'associazione volta a commettere frode di titoli e frode connessa ad un'operazione pubblica di acquisto; al capo 2), l'associazione a delinquere volta a commettere frode elettronica e frode in titoli; e, al capo 15), l'associazione a delinquere volta a riciclaggio di denaro a fini di occultamento. Infatti, per poter pagare (OMISSIS), dopo che per un periodo egli e il socio avevano eseguito pagamenti in contanti e poi tramite bonifici, era stato costretto a servirsi, a seguito dei rilievi delle banche svizzere utilizzate per i pagamenti, di false fatture di consulenza, in realta' mai effettuate da (OMISSIS), a favore delle loro societa' cosi' facendo figurare pagamenti di corrispettivi per operazioni inesistenti. 3.Il tema posto dal presente ricorso consiste non nella difficolta' di individuare le condotte di acquisto in capo all'estradando - che possono desumersi con sufficiente precisione dai capi di imputazione statunitensi - ma in quella della qualificazione giuridica della condotta poiche' nel nostro sistema sono diversamente punite, con sanzione penale, la condotta dell'insider primario, ovvero il soggetto interno alla societa' che pone in essere le condotte materiali, in forza delle informazioni privilegiate di cui dispone avendole apprese a cagione del ruolo rivestito nella societa' emittente o, comunque, della qualifica professionale rivestita, e la condotta - in ipotesi materialmente la stessa - riferibile all'insider secondario ovvero al soggetto - privo delle qualifiche soggettive - che, avendo ricevuto le notizie, le utilizza per compiere le operazioni, condotta che, nel nostro sistema penale, e' punita con la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 187-bis, comma 4, TUF. La Corte di appello di Roma, ha ritenuto che i fatti ascritti a (OMISSIS), nella loro articolata e descritta componente materiale, sono sussumibili nel reato di cui all'articolo 184 TFU (abuso di informazioni privilegiate cd. insider trading), come modificato per effetto della L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9 o, in subordine, nella fattispecie, del cd. criminal insider di cui all'articolo 184, comma 2, TUF e non, come sostenuto dalla difesa, al piu', nella fattispecie, punita dall'articolo 187-bis, comma 4, TUF con sanzione amministrativa: la natura amministrativa dell'illecito non consente, secondo i richiamati principi del Trattato, l'estradizione ne' con riguardo agli illeciti cd. fine ne' con riguardo ai reati associativi ed a quelli di conspiracy che presuppongono la natura penale dell'illecito a monte. La sentenza impugnata, ai fini della qualificazione, ha richiamato un precedente di questa Corte (Sez. 6, Sentenza n. 15199 del 16/03/2006, Labella, Rv. 234508) a tenore del quale si deve ritenere che l'elemento differenziale tra la fattispecie penale e quella amministrativa risiede nel fatto che quest'ultima realizza una tutela anticipata apprestando copertura sanzionatoria a condotte che, pur non avendo alterato i mercati, sono, tuttavia, in astratto idonee a creare quantomeno un disturbo nell'andamento del mercato. Osserva la Corte di appello che l'articolo 187-bis, comma 4, TUF - come da ultimo modificato dal Decreto Legislativo n. 107 del 2018 - inserisce una clausola di riserva (salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato...) punendo, con sanzione amministrativa, chiunque viola il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate di cui all'articolo 14 del Regolamento UE n. 596 del 2014..... Il precedente di questa Corte ha, dunque, individuato il criterio discretivo della sussistenza della fattispecie penale, in luogo di quella amministrativa, nel dato qualitativo e, soprattutto, nella concreta idoneita' della condotta all'alterazione del normale andamento di mercato. Peraltro, in favore della prevalenza della fattispecie penale su quella amministrativa, nel presente caso, militano ulteriori osservazioni ovvero, da un lato, la punibilita', ai sensi dell'articolo 184, comma 2, TUF delle condotte delittuose indicate dall'articolo 184, comma 1, commesse da chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attivita' delittuose, dall'altro l'elevata intensita' del dolo del (OMISSIS) che, concorreva con (OMISSIS) anche nel reato associativo, servendosi delle societa' di comodo create dall'odierno estradando per effettuare le operazioni richiestegli dall'informatore. Conclusivamente, osserva la Corte di merito, la previsione di cui all'articolo 184, comma 2, TUF non e' riferibile esclusivamente a coloro che ottengono informazioni privilegiate su societa' quotate in borsa grazie ad attivita' di tipo organizzato di matrice terroristica e, quindi, la condotta dell'imputato rientra pienamente nella fattispecie incriminatrice non potendo discutersi che egli sia entrato in possesso delle informazioni privilegiate "all'interno di un'attivita' criminale" a lui ben nota come tale viste le cautele impiegate per non essere scoperto. La difesa, pur condividendo sul piano dell'analisi della norma di cui all'articolo 184 TUF la qualificazione giuridica di reato di pericolo e di mera condotta della fattispecie incriminatrice, ha contestato la riconducibilita' dei fatti ascritti al ricorrente a detta fattispecie osservando che le condotte accertate devono essere, invece, inquadrate nella fattispecie di cui all'articolo 187-bis, comma 4, TUF. 4. Premesso che sono assorbiti il secondo e terzo motivo di ricorso, il Collegio ritiene che sono manifestamente infondati i rilievi della difesa che sulla ricostruzione in fatto che investono la conoscenza, da parte dell'estradando, della natura privilegiata delle informazioni ricevute e della loro provenienza. A questo riguardo la ricostruzione e la motivazione della sentenza impugnata non si prestano a censure di illogicita' della motivazione e di incompletezza della ricostruzione in fatto, per quanto in questa sede rileva, sulla scorta del compendio documentale, neppure al confronto con la contestazione che gli viene formalmente elevata, negli Stati Uniti d'America, dal SEC che, secondo l'allegazione difensiva, al (OMISSIS) contesta una condotta negligente e non la consapevolezza della natura privilegiata delle informazioni ricevute in violazione del dovere di riservatezza. E' sufficiente, a riguardo, rilevare che il ricorrente e' chiamato in causa direttamente dal (OMISSIS) il quale gli aveva riferito di essere in possesso di informazioni privilegiate - che gli erano pervenute da varie fonti - e che era disposto a condividerle con (OMISSIS) (ed il suo socio) se costoro avessero acquistato e venduto azioni nel suo interesse trasferendogli i correlativi profitti. Il dichiarante ha precisato che quando si era reso necessario retribuire le sue fonti egli aveva chiesto al (OMISSIS) di girargli i proventi monetari delle operazioni compiute per suo conto. E' stato, inoltre accertato che (OMISSIS) aveva coinvolto nelle operazioni di triangolazione anche le sue societa' ricorrendo a fatture per operazioni inesistenti per giustificare i flussi di denaro verso (OMISSIS): non e', dunque, seriamente tacciabile di illogicita' la sentenza impugnata nella parte in cui perviene alla conclusione che (OMISSIS) fosse consapevole della natura privilegiata della informazioni ricevute da (OMISSIS), notizie che erano sufficientemente precise onde consentirgli di intraprendere le operazioni economiche (che si sono poi concluse con successo economico) tanto e' vero che egli provvedeva, poi, a richiesta di (OMISSIS) a rimborsargli i costi che questi aveva sostenuto con i suoi informatori: si tratta, inoltre, di condotte seriamente evocative di una condotta illecita commessa in concorso con (OMISSIS) perche' si risolve in un contributo prestato in vista della realizzazione degli investimenti in titoli e azioni e nella ripartizione dei profitti che ne erano derivati con (OMISSIS). Coglie, pero', nel segno la ricostruzione difensiva nella parte in cui evidenzia, con precisi riferimenti all'atto di accusa, che a (OMISSIS) non sono ascrivibili contatti diretti con gli insider perche' questi riceveva informazioni privilegiate da un soggetto che, a sua volta, le aveva ottenute "indirettamente da insider in societa' quotate in borsa e banche di investimento che offrivano servizi di consulenza alle societa' e che avevano l'obbligo di mantenere il segreto" ovvero da (OMISSIS) che, a propria volta, aveva ricevuto le informazioni da altri soggetti che fungevano da mediatori con le persone che detenevano la carica o svolgevano una funzione che consentiva loro l'accesso alle informazioni privilegiate ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). 5. Venendo, cosi', alla qualificazione giuridica del fatto sono erronee le conclusioni alle quali la Corte di merito e' pervenuta in merito alla sussumibilita' della condotta illecita ascritta a (OMISSIS) nel delitto di cui all'articolo 184 TUF - nella vigente versione, anche all'esito delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107 che ha dato attuazione alla direttiva 2014/57/UE cd. MAD 2 in tema di market abuse, per quel che qui rileva - che incrimina varie condotte di abuso di informazioni privilegiate e, precisamente, al comma 1, lettera a) l'acquisto, la vendita o altre operazioni, su strumenti finanziari (insider trading) e, al comma 1, lettera b) la comunicazione di tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione della funzione o dell'ufficio (tipping). L'articolo 184, comma 1, lettera c), sanziona, infine, chi raccomanda o induce altri, sulla base delle informazioni privilegiate, al compimento delle operazioni indicate nella lettera a). Al di la' della formulazione letterale (chiunque) l'incriminazione delle condotte presuppone una "precisa qualita' soggettiva" dell'agente che non e' limitata allo specifico ruolo rivestito nell'ambito della societa' emittente (membro di organi di amministrazione, direzione, controllo, della partecipazione al capitale) dal momento che la norma generalizza il riferimento al possesso delle informazioni privilegiate in ragione dell'esercizio di un'attivita' lavorativa, di una professione, odi una funzione, anche pubblica odi un ufficio che metta l'agente in condizione di venire a conoscenza delle informazioni riservate. Si tratta, secondo i canoni interpretativi della struttura della fattispecie incriminatrice, di un reato proprio in cui l'agente e' selezionato in funzione di coloro che, "in ragione" delle specifico ruolo, possono acquisire e detenere informazioni privilegiate. In sostanza l'insider e' un soggetto che, per il ruolo ricoperto e le funzioni che svolge, e' a conoscenza di informazioni privilegiate (l'articolo 181 TUF descrive i connotati di precisione e riservatezza delle notizie perche' specifiche ovvero attinenti ad un fatto avvenuto o destinato ad avvenire tanto da permettere di trarre conclusioni sul possibile evento pronosticato sui prezzi; riservate, ovvero non a disposizione del pubblico ma tali, se diffuse, da essere idonee a influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari cui si riferiscono), informazioni privilegiate che l'agente utilizza nella compravendita o altre operazioni sugli strumenti finanziari, cosi' ottenendo un profitto. La giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che in tema di abuso di informazioni privilegiate, il possesso dell'informazione e' un presupposto della condotta, con riferimento al quale l'agente deve essere consapevole della sua connotazione privilegiata e della sua potenzialita' modificativa, in termini sensibili, del prezzo dello strumento finanziario (Sez. 5, Sentenza n. 8588 del 20/01/2010, Banca Profilo, Rv. 246243). L'articolo 184, comma 1, lettera b), TUF sanziona la comunicazione delle informazioni privilegiate ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione della funzione o dell'ufficio, con una previsione strutturalmente diversa dalla precedente disposizione che incriminava qualunque comunicazione a terzi di informazioni privilegiate, salvo quelle effettuate per giustificato motivo. Si e' osservato che la norma identifica l'area del fatto tipico nel senso che la comunicazione di notizie riservate non e' raggiunta da un generale divieto, ma solo al di fuori del normale esercizio. Solo in parte, poi, la formula ricalca, con riferimento alle fonti di provenienza della informazione privilegiata generatrice delle inibizioni operative quella di cui all'articolo 184 TUF, comma 1 con la conseguenza che si e' ritenuto integrare il fatto tipico, sul piano oggettivo, solo le comunicazioni che "fluiscano" verso soggetti esterni all'ambito lavorativo impegnato. Sul piano della formulazione della fattispecie incriminatrice siamo in presenza di fattispecie tassative che indicano gli elementi costitutivi del fatto tipico incriminato sia con riferimento alla condotta (acquista, vende, o compie altre operazioni; comunica...) che ai requisiti del soggetto attivo del reato, ovvero ad un reato cd. proprio attesa la necessita' che l'autore del comportamento vietato appartenga alla categoria dei soggetti sopra menzionati. Il reato e' strutturato come reato di pericolo e di mera condotta e si riferisce al soggetto che compie speculazioni essendo entrato in possesso immediatamente e direttamente delle informazioni privilegiate in ragione del proprio ruolo, funzione o ufficio. Per completezza occorre fin d'ora evidenziare che in termini diversi, ai fini della individuazione del soggetto attivo del reato, si esprime l'articolo 8 del Regolamento UE n. 596 del 2014 (cd. M.A.R.) richiamato nella sentenza impugnata con una definizione che, tuttavia, non e' stata tal quale recepita nell'ordinamento, e che, dopo avere enucleato le condotte incriminabili, ne prevede l'applicazione "a qualsiasi persona che possieda informazioni privilegiate per circostanze diverse da quelle di cui all'articolo 4, comma 1 (ovvero delle classiche forme di provenienza: partecipazione ad organi amministrativi, di direzione o controllo, partecipazione al capitale, attivita' lavorativa in senso ampio), quando detta persona sa o dovrebbe sapere che si tratta di informazioni privilegiate", espressione, questa che delinea la figura del cd. insider secondario. L'articolo 187-bis, comma 4, TUF, nella versione introdotta per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, ha ridefinito le condotte costitutive dell'illecito amministrativo di abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate previste dall'originario articolo 187-bis, comma 4 riferibili al cd. insider secondario. La norma (intitolata abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate) prevede che "salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da venticinquemila Euro a cinque milioni di Euro chiunque viola il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate di cui all'articolo 14 del Regolamento n. 596/2014". Questo vieta di: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate. Le condotte sono individuate, quindi, nelle condotte materiali di trading - ovvero le operazioni di acquisto, vendita, compimento di altre operazioni - o di comunicazione (tipping) o raccomandazione e induzione (tuyautage) compiute mediante abuso delle informazioni privilegiate da parte dei soggetti che abbiano il possesso della notizia ma per ragioni diverse dalla speciale situazione nella quale si trova l'insider primario che ne e' venuto in possesso "in ragione" del ruolo o carica rivestita e che, per questo, e' soggetto ad una sanzione penale in ragione della gravita' della condotta. La L. n. 157 del 1991, articolo 2, comma 4, e l'articolo 180, comma 2, TUF (ante riforma) apprestavano divieti operativi anche per il cd. insider secondario la inosservanza dei quali era assoggettata a sanzione penale. Tali divieti, avuto riguardo alla descritta struttura della fattispecie penale di cui all'articolo 184 TUF non trovano, pero', corrispondenza nelle attuali previsioni recate dalla norma incriminatrice e sono, invece, presidiate dall'apposita figura di illecito amministrativo di cui all'articolo 187-bis, comma 4, TUF che inibisce le condotte vietate dall'articolo 187-bis, comma 1 che sono, a loro volta, identiche a quelle indicate dall'articolo 184 TUF, comma 1. Le condotte dell'insider secondario ed il loro presupposto sono ben analizzate nella giurisprudenza civile di questa Corte (cfr. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27225) secondo la quale la previsione dell'illecito amministrativo di cui all'articolo 187-bis, comma 4 TUF da' esclusivo rilievo al fatto che l'agente fosse "in possesso di informazioni privilegiate", e facesse percio' uso delle stesse - conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato - per compiere taluna delle azioni descritte nel comma 1, senza postulare l'acquisizione dolosa della notizia privilegiata. Consegue che, ai fini della configurabilita' dell'illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisivita' le modalita' attraverso cui l'informazione privilegiata sia stata acquisita dall'accipiens, ne' occorre provare la consapevole comunicazione dell'informazione da chi originariamente l'abbia detenuta (cfr. anche (Sez. 5, Sentenza n. 8588 del 20/01/2010, Capotosti, Rv. 246242). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario e' incentrata, piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilita') della natura privilegiata dell'informazione stessa in possesso dell'agente. La conclusione che si deve trarre dall'esame fin qui compiuto e' quella che il sistema positivo delinea due distinte tipologie di illecito descritte a centri concentrici e, quindi tra loro concorrenti: l'illecito penale, oggetto della previsione di cui all'articolo 184 TUF - in presenza di requisiti soggettivi e della condotta materiale ivi descritta - e un illecito amministrativo che copre, anche, condotte distinte sul piano oggettivo. Tale coincidenza non indica sovrapponibilita' materiale ma solo la doppia punibilita', sul piano penale e della sanzione amministrativa, delle condotte dell'insider primario. 5.1.Deve escludersi che (OMISSIS), secondo la compiuta ricostruzione in fatto, possieda i requisiti soggettivi che consentono di ritenerlo destinatario - nell'ordinamento giuridico italiano - dei divieti recati dall'articolo 184, comma 1, TUF, requisiti soggettivi che costituiscono imprescindibile condizione ai fini dell'applicazione della sanzione penale e deve altresi' escludersi che tali requisiti possieda il suo diretto referente, (OMISSIS), con il quale (OMISSIS) ha concorso. 5.2.Non trascura il Collegio che la descritta dicotomia insider primario/insider secondario non esaurisce il novero delle figure soggettive rilevanti ai fini dell'applicazione delle norme: la generale funzione incriminatrice dell'articolo 110 c.p. consente, infatti di arricchire la piattaforma dei soggetti punibili ai sensi dell'articolo 184 TUF estendendolo a coloro che abbiano concorso nel reato offrendo un contributo morale o materiale alla commissione del reato, diverso dalla utilizzazione della notizia ricevuta. La documentazione pervenuta non consente, tuttavia, di individuare tale contributo, ma neppure di ricostruire - sia pure nell'ambito di una ragionevole base fattuale necessaria ai fini della decisione sulla richiesta di estradizione - un rapporto, con i connotati del concorso di persone nel reato, tra (OMISSIS) e gli informatori primari. Era, infatti, secondo la ricostruzione dell'agente speciale (OMISSIS), (OMISSIS) e la persona che intratteneva i rapporti con i dipendenti e consulenti infedeli interni - in particolare (OMISSIS), dipendente della banca di investimenti (OMISSIS). (OMISSIS) - ritenuto informatore attendibile - ha confermato di avere ricevuto le notizie dal (OMISSIS) e ovvero - con riferimento alle notizie relative alla (OMISSIS) - da (OMISSIS), amico del figlio di un membro del consiglio di amministrazione della societa' e, sempre attraverso (OMISSIS), da un dipendente della societa' (OMISSIS). In tale contesto appare davvero difficile configurare un previo concerto ovvero un'attivita' di istigazione in capo a (OMISSIS) rispetto all'insider primario e ricondurre il pagamento delle tangenti in favore dell'insider primario ad un contributo rilevante dell'odierno ricorrente che a (OMISSIS) "girava" il corrispettivo delle operazioni svolte per suo conto. La sentenza impugnata risolve il problema richiamando i connotati delle operazioni in materia di sostanze stupefacenti e l'esempio del grossista di sostanze stupefacenti che risponde del reato associativo anche se non conosce l'identita' dell'importatore ma trascurando che la configurabilita' del reato si pone, nell'esempio riportato, con riferimento al soggetto a valle delle operazioni e non certo, come nel caso in esame, con riferimento al soggetto a monte che forniva a (OMISSIS) le informazioni riservate necessarie. 5.3. Il richiamo della sentenza impugnata ai precedenti di questa Corte per avallare la propria ricostruzione sulla portata della norma incriminatrice di cui all'articolo 184 TUF non e' pertinente. Con riferimento alla sentenza Labella (Sez. 6, Sentenza n. 15199 cit.) erroneo e' il presupposto che regge l'analisi della Corte distrettuale. La sentenza affrontava una questione del tutto diversa, ovvero quella del rapporto tra l'articolo 185 TUF e l'articolo 187-ter TUF, questione diversa perche' l'articolo 185 TUF non prevede un reato cd. proprio, figura alla quale la dottrina, ma anche la giurisprudenza, ha ricondotto, come si e' detto, la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 184 TUF e, dunque, la questione della perfetta sovrapponibilita' tra l'incriminazione penale e la configurabilita' dell'illecito amministrativo nelle condotte che questa Corte aveva esaminato, situazione che, per dirla in chiaro, potrebbe verificarsi nel caso in esame ma solo nell'ipotesi in cui fosse ravvisabile, ma cosi' non e', in capo al (OMISSIS) il ruolo di insider primario. Ne' sono pertinenti i riferimenti alle sentenze Capotosti (Sez. 5, Sentenza n. 8588 del 20/01/2010, Rv. 246242) e Consorte (Sez. 5, Sentenza n. 7769 del 21/01/2009, Rv. 242967) che affrontavano la questione della ricostruzione materiale della condotta sul presupposto, in capo agli imputati, delle descritte qualifiche soggettive di cui all'articolo 184 TUF. Come osservato nel ricorso, al di fuori del possesso della qualifica soggettiva - ed a meno di poter configurare il concorso di persone nel reato di cui all'articolo 184 TUF - la fattispecie di insider trading non e' estensibile ai soggetti che non siano in possesso dei requisiti soggettivi operandosi, in tal caso, una non consentita interpretazione estensiva del precetto penale. La lettura proposta dalla Corte di appello e' ben diversa da quella sviluppata in una recente sentenza di questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 39999 del 15/04/2019, Respigo, Rv. 276963) nella quale il ruolo dell'agente - ai fini della ricostruzione della sua posizione soggettiva, quale soggetto tenuto al divieto di operazioni - e' stata ricostruita sulla scorta dell'attivita' lavorativa svolta presso la societa' infiltrata e che, per tale ragione, disponeva di un accesso facilitato agli elementi informativi attinenti agli incarichi conferiti e, dunque, in ragione del suo ruolo primario interno e della sua peculiare attivita' che gli avevano consentito di carpire subdolamente ed in modo occulto l'informazione privilegiata. 6.Restano da esaminare due aspetti ulteriori. 6.1. La Corte di appello ha, infatti, ritenuto che la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 184 TUF sia estensibile al ricorrente in quanto, l'articolo 184, comma 2, TUF punisce con la stessa pena di cui al comma 1 "chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attivita' delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1". Non v'e' dubbio, prosegue la Corte, che (OMISSIS) venne a conoscenza delle informazioni privilegiate perche', anziche' studiare attentamente i mercati, come avrebbe dovuto fare, atteso l'oggetto sociale dell'impresa gestita in Svizzera con il socio (OMISSIS), preferiva pagare un informatore, ben sapendo che si trattava di informazioni non pubbliche, non avendo, altrimenti, motivo alcuno di versare i compensi. La lettura della norma si appalesa erronea. A prescindere dalle considerazioni sulla ratio della sua introduzione (la norma e' stata ispirata e introdotta a livello comunitario in ragione della conoscenza anticipata degli attentati terroristici da parte degli attentatori e della loro incidenza sull'andamento del mercato), il tenore letterale della norma - che estende i divieti di cui al comma 1 - presuppone che l'agente sia in possesso delle notizie privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attivita' delittuose diverse dal possesso delle informazioni stesse, ovvero in quanto "produce" l'informazione privilegiata sicche', fermo il canone che non si puo' essere insider di se stessi, senza tale incriminazione l'eventuale compimento di operazioni su strumenti finanziari da parte del terrorista medesimo, utilizzando quella notizia, sarebbe rimasto fuori dallo spettro della norma incriminatrice di cui all'articolo 184, comma 1, TUF. L'esempio ricorrente, nella dottrina che si e' occupata del tema, e' quello del soggetto che si appresti ad esempio al compimento (o alla preparazione) di un reato di manipolazione del mercato o di una falsa comunicazione sociale e che versa senz'altro nella situazione di cui all'articolo 184, comma 2, TUF - pacifico essendo che sta preparando o ha eseguito un'attivita' delittuosa - e che ben puo', utilizzando la notizia privilegiata (consistente nella sua conoscenza della non rispondenza al vero della notizia comunicata al mercato), decidere di compiere operazioni avvantaggiandosi della posizione di privilegio informativo che deriva dalla conoscenza dello scarto tra situazione effettiva e situazione comunicata. Ma si tratta, a tutta evidenza, di una situazione ben diversa da quella dell'insider primario che si induca, forte della conoscenza privilegiata, al compimento delle operazioni vietate. 6.2.La natura amministrativa dell'illecito ascrivibile - nei limiti che la presente decisione involge- all'estradando osta a ritenere sussistente il requisito della doppia punibilita' riferito alle singole condotte ma anche ai reati associativi ed a quello di conspiracy: come anticipato il Trattato di estradizione ha inteso fare riferimento ai reati fine delle ipotesi associative per verificare se l'attivita' delle associazioni possa configurare un reato nei diversi ordinamenti del Paese richiedente e del Paese richiesto dell'estradizione con la conseguenza che la irrilevanza penale dei fatti oggetto della richiesta di estradizione a titolo dei reati fine comporta la irrilevanza delle pretese ipotesi associative. La non rilevanza penale dell'illecito presupposto osta anche alla configurabilita' nei fatti, nell'ordinamento italiano, del reato di favoreggiamento (articolo 378 c.p.), che presuppone, a monte, la realizzazione di un fatto costituente reato, ovvero del delitto di autoriciclaggio (articolo 648.ter.1 c.p.) che e' punibile solo ove le utilita' impiegate provengano da delitto non colposo: ipotesi non configurabili in relazione alle condotte di insider ascritte al ricorrente ed al suo diretto dante causa, (OMISSIS). Nei fatti non e' ravvisabile altro illecito penale: la struttura del reato di truffa o di quello di frode - che rispetto al primo presuppone un quid pluris - non e' configurabile nell'ordinamento italiano per la carenza di un atto di disposizione patrimoniale posto in essere dalle persone indotte in errore in conseguenza degli artifici o raggiri posti in essere. 7. La cancelleria dara' esecuzione alla sentenza ai sensi dell'articolo 626 c.p.p. e articolo 203 disp. att. c.p.p.. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata non sussistendo i presupposti per l'estradizione richiesta e dispone l'immediata liberazione di (OMISSIS) se non detenuto per altra causa. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 c.p.p. e articolo 203 disp. att. cod. proc. pen..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 34764-2018 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro CONSOB - COMMISSIONE NAZ.PER LA SOCIETA' E LA BORSA, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 40/2018 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/04/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS) per il ricorrente, e l'Avvocato (OMISSIS) per la Consob. FATTI DI CAUSA 1. Con atto di opposizione ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, (OMISSIS) lamentava la nullita' della Delib. Consob 16 febbraio 2017, n. 19889 con la quale era statesi irrogata la sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187 bis, comma 1, lettera a) pari ad Euro 125.000,00 (con contestuale ingiunzione di pagamento), nonche' la sanzione interdittiva accessoria ai sensi dell'articolo 187 quater, comma 1, per un periodo di mesi tre, oltre alla confisca ai sensi dell'articolo 187 sexies di una somma di denaro pari ad Euro 632.018,00, quale equivalente al prodotto dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate, somme gia' oggetto di sequestro in esecuzione della Delib. 30 settembre 2015, n. 19394. La sanzione derivava dall'affermata responsabilita' dell'opponente per aver venduto in data 1 settembre 2014 80.000 azioni della (OMISSIS) utilizzando l'informazione privilegiata concernente la decisione di (OMISSIS) di risolvere anticipatamente il contratto di licenza (OMISSIS), informazioni di cui l'opponente era in possesso in ragione della propria attivita' lavorativa presso il gruppo (OMISSIS). Nella resistenza della Consob, la Corte d'appello di Venezia con la sentenza n. 40 del 24 aprile 2018 ha rigettato l'opposizione condannando il (OMISSIS) al rimborso delle spese di lite. Disatteso il primo motivo di opposizione che contestava la decorrenza del termine fissato dalla legge per la conclusione del procedimento sanzionatorio, i giudici di merito rigettavano anche il secondo motivo con il quale si contestava l'esistenza di un'informazione privilegiata ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 181, comma 1. Al proposito si rilevava che l'informazione riguardava l'accordo sulla risoluzione della licenza (OMISSIS), che era stata diffusa dalle due societa' interessate solo in data 2 settembre 2014, laddove la vendita di 40.000 azioni della (OMISSIS) da parte dell'opponente era intervenuta il 1 settembre 2014. Secondo il (OMISSIS) il 1 settembre le parti non avevano raggiunto alcun accordo per la risoluzione consensuale del contratto di licenza, ma si erano limitate a fissare in via preparatoria taluni elementi generali da precisare nei futuri, eventuali contratti, cosi' che doveva escludersi che la notizia di cui era venuto in possesso avesse i caratteri della precisione. Inoltre, non vi era riscontro che l'accordo del 1 settembre fosse effettivamente tale da orientare le decisioni di un investitore ragionevole, e cioe' un'informazione sulla quale sarebbe possibile fondare le proprie decisioni di investimento. La sentenza impugnata, dopo aver richiamato il concetto di informazione privilegiata individuato dal legislatore, rilevava che non era decisiva la circostanza che le parti non avessero raggiunto un accordo su ogni dettaglio dell'operazione, potendosi comunque ritenere che vi era stata un'intesa in merito all'anticipato scioglimento del rapporto di licenza del marchio, ed era cio' che rilevava ai fini dell'applicazione della fattispecie normativa. Dopo aver ricordato l'importanza dei marchi per la (OMISSIS), e come fosse fondamentale il perdurare della licenza per l'attivita' imprenditoriale svolta, risultava evidente come l'anticipata risoluzione del contratto costituisse un evento in grado di incidere sensibilmente sul fatturato della societa'. Alla luce dei comunicati diffusi dai due gruppi interessati dalla vicenda, poteva reputarsi precisa la notizia in merito alla raggiunta decisione di far venir meno, ed in via anticipata, il pluriennale rapporto di licenza dei marchi, e senza che fosse necessario rinvenire negli accordi del 1 settembre la conclusione di un contratto perfetto in tutti i suoi elementi. Inoltre, la decisione di interrompere anticipatamente il rapporto di licenza con un marchio tra i piu' noti al mondo, rappresentava obiettivamente un evento in grado di influire in modo sensibile sui prezzi delle azioni della (OMISSIS), potendosi ritenere in base ad una valutazione ex ante che la notizia, una volta diffusa, risultasse pienamente idonea ad influenzare l'andamento delle azioni. Poteva altresi' ritenersi dimostrato che il (OMISSIS) avesse utilizzato l'informazione privilegiata, e cio' alla luce della stessa sequenza temporale delle vicende interessate, essendo emerso che l'opponente si fosse affrettato a cercare di piazzare le azioni all'ultimo tempo utile, per realizzare l'affare senza andare incontro ad un altrimenti inevitabile ribasso conseguente alla diffusione dell'informazione nel mondo finanziario. Confortava tale convincimento la circostanza che il (OMISSIS) in data 1 settembre 2014 diede ordine di vendita di tutte le sue azioni della (OMISSIS) al proprio intermediario, ma ad un prezzo inferiore rispetto a quello che lo stesso opponente aveva indicato come limite in occasione dei precedenti incarichi di vendita (come confermato dal fatto che tali richieste di vendita non trovarono compratori). In particolare, il prezzo indicato al proprio intermediario per la vendita del 1 settembre 2014 risultava invece inferiore a quello di mercato, il che consenti' la vendita integrale delle azioni nella stessa giornata. Il convincimento circa l'utilizzo delle informazioni da parte dell'opponente trovava poi conforto nelle dichiarazioni rese alla Consob dal funzionario di banca che seguiva la posizione dell'opponente, occorrendo altresi' considerare che era del tutto inverosimile l'argomento difensivo secondo cui l'intimato fosse ignaro del prezzo delle azioni, dovendosi avere riguardo al fatto che questi era un manager navigato nonche' esperto del mondo finanziario, essendo quindi inverosimile che avesse disposto una vendita senza prima informarsi della quotazione raggiunta dalle azioni da alienare. Doveva altresi' essere disatteso l'argomento per cui la vendita costituiva l'adempimento di un obbligo assunto dall'opponente nei confronti del gruppo (OMISSIS), atteso che, secondo la sentenza di merito, poiche' il termine per tale vendita sarebbe venuto a scadere il 5 settembre 2014, l'opponente avrebbe avuto comunque il tempo e la possibilita' di porre in vendita le azioni anche dopo la diffusione del comunicato e prima della scadenza del termine contrattuale, rispettando in tal modo gli impegni assunti con il nuovo datore di lavoro, senza percio' violare i divieti che gli incombevano quale insider. Passando alla disamina del motivo di opposizione vertente sulla quantificazione della sanzione irrogata, la sentenza escludeva la fondatezza della tesi secondo cui non fossero piu' applicabili le sanzioni come previste della L. n. 262 del 2005, articolo 39, comma 3 atteso che la successiva modifica introdotta dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, entrata in vigore il 16 febbraio 2017, espressamente disponeva la sua applicabilita' alle sole violazioni commesse in epoca successiva, trovando quindi applicazione ai fatti commessi anteriormente la disciplina previgente. Secondo i giudici di merito, anche a voler ritenere invocabile il principio della lex mitior, la sanzione applicata rientrava all'interno della forbice edittale prevista sia dalla preesistente che dalla successiva normativa, non potendo avere seguito la tesi del (OMISSIS) secondo cui occorreva rimodulare la sanzione alla luce del nuovo minimo edittale, con un incremento percentuale corrispondente a quello determinato in sede di applicazione della sanzione. Una volta esclusa la possibilita' di invocare un criterio meramente aritmetico, secondo la sentenza, la sanzione irrogata pari ad Euro 125.000,00, risultava congrua anche alla luce dei nuovi limiti edittali, e cio' in considerazione dell'oggettiva rilevanza del numero di azioni vendute, del corrispettivo ritratto da tale operazione, dell'entita' del guadagno ritratto dal trasgressore, della tempistica dell'operazione tale da denotare una volonta' dell'opponente di utilizzare l'informazione privilegiata, della gravita' della condotta accertata, posto che l'opponente aveva in passato lavorato per la societa' licenziataria del marchio essendo poi transitato alle dipendenze della societa' titolare del marchio con incarico di supervisore, ed infine della rilevanza economica della vicenda. Per l'effetto non ricorrevano i presupposti per fare applicazione di una sanzione inferiore a quella in concreto applicata. Quanto all'ultimo motivo di opposizione che investiva la confisca in danno della parte, la Corte d'appello, richiamata la natura obbligatoria della confisca di cui all'articolo 187 sexies, riferita al prodotto o al profitto degli illeciti, rilevava che lo strumento finanziario originariamente detenuto dall'opponente (le azioni della (OMISSIS)) una volta utilizzate per l'operazione illecita, si trasforma nel profitto dell'illecito stesso, senza che sia piu' possibile distinguere il suo valore legittimo iniziale da quello artificioso finale frutto dell'illecita negoziazione, non essendo possibile discernere tra un valore legittimo iniziale ed un valore finale, che si identificherebbe nel minor valore illegittimamente evitato. 2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto (OMISSIS) sulla base di otto motivi. La Consob ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c.. 3. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli articoli 181 e 187 bis TUF, della L. n. 689 del 1981, articolo 3 nonche' degli articoli 1362 e 1363 c.c. Si rileva che in realta' la (OMISSIS) e la (OMISSIS) il 1 settembre 2014 non avevano raggiunto alcun accordo sulla risoluzione del contratto di licenza (OMISSIS), ma si erano limitate a fissare, in linea preparatoria, taluni elementi generali ed astratti dei futuri ed eventuali contratti che dovevano seguire alla risoluzione anticipata dell'accordo di licenza. Alcuna rilevanza deve attribuirsi ai comunicati stampa del giorno seguente, sicche' deve escludersi che la vendita effettuata dal (OMISSIS) sia stata agevolata da un'informazione privilegiata. La cessazione del rapporto di licenza era in ogni caso condizionata alla conclusione di ulteriori negoziati, e la successiva comunicazione del 2 settembre ha contribuito a porre in evidenza una circostanza della quale il (OMISSIS) era ignaro. Il motivo e' infondato. Come si ricava dalla pacifica giurisprudenza della Corte del Lussemburgo (Corte giustizia UE, sez. II, 11/03/2015, n. 628), le informazioni riguardanti emittenti o strumenti finanziari negoziati sui mercati regolamentati sono considerate come aventi carattere preciso anche qualora non sia possibile dedurre, con un grado di probabilita' sufficiente, se l'influenza potenziale di tali informazioni sui prezzi degli strumenti finanziari interessati si esercitera' in una direzione determinata, una volta che esse saranno rese pubbliche. Infatti, l'articolo 1, punto 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate ed alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l'articolo 1, par. 1, della direttiva 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalita' di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, devono essere interpretati nel senso che non esigono, affinche' determinate informazioni possano essere considerate come informazioni aventi carattere preciso ai sensi delle citate disposizioni, che sia possibile dedurre, con un grado di probabilita' sufficiente, che l'influenza potenziale di tali informazioni sui prezzi degli strumenti finanziari in questione si esercitera' in un senso determinato, una volta che esse saranno rese pubbliche. Ancor prima e' stato precisato che (Corte giustizia UE sez. II, 28/06/2012, n. 19) la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, devono essere interpretati nel senso che, in una fattispecie a formazione progressiva diretta a realizzare una determinata circostanza o a produrre un certo evento, possono costituire informazioni aventi un carattere preciso ai sensi di tali disposizioni non solo la detta circostanza o il detto evento, bensi' anche le fasi intermedie di tale fattispecie collegate al verificarsi di questi ultimi. Alla luce di tale nozione, puntualmente recepita poi anche nella giurisprudenza nazionale (si veda Cass. pen. 39999/2019, a mente della quale nella nozione di "informazione privilegiata" rientrano anche le informazioni acquisite nelle tappe intermedie del processo che porta alla determinazione della circostanza o dell'evento futuro che incide sul prezzo degli strumenti finanziari o degli altri oggetti dell'operazione speculativa e sulle decisioni di un "investitore ragionevole", a condizione che si tratti di informazioni "precise" ai sensi dell'articolo 7 del Regolamento UE n. 596 del 2014, e cioe' sufficientemente specifiche da permettere di trarre conclusioni sul possibile effetto dell'evento pronosticato sui prezzi), non assume decisivita' la circostanza che gia' alla data del 1 settembre 2014 le societa' interessate al rapporto di licenza del marchio avessero gia' raggiunto un'intesa definitiva in merito a tutti gli aspetti anche economici concernenti la risoluzione anticipata del rapporto, ben potendosi legittimare una situazione idonea ad incidere sull'andamento del mercato, anche uno stadio particolarmente avanzato dell'intesa, sia pur non completo in tutti i suoi dettagli (stadio avanzato del quale dava contezza proprio il comunicato del giorno seguente). Ne' vale invocare il riferimento alla nozione di puntuazione, quale delineata dall'ordinamento nazionale (si veda da ultimo Cass. n. 2204/2020, secondo cui nella nozione di minuta o puntuazione del contratto rientrano tanto i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi tra le parti - cd. puntuazione di clausole -, quanto i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo cd. puntuazione completa di clausole -, poiche' anche a voler ritenere che nel primo caso non possa ancora reputarsi perfezionato un accordo, come precisato in motivazione da Cass. S.U. n. 4628/2015, le puntuazioni possono sia ipotizzarsi nel caso in cui in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo e fissano una possibile traccia di trattative, sia nel caso in cui la puntuazione sia vincolante sui profili in ordine ai quali l'accordo e' irrevocabilmente raggiunto, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti. In tale seconda ipotesi si tratta di un iniziale accordo che non puo' configurarsi ancora come preliminare perche' mancano elementi essenziali, ma che esclude che di quelli fissati si torni a discutere. Orbene, avuto riguardo alle stesse deduzioni di parte ricorrente, secondo cui all'esito dell'intesa del 1 settembre 2014, le parti avevano rimesso ogni effetto vincolante alla stipulazione di tre complessi contratti, emerge uno stadio avanzato delle contrattazioni che, sebbene ancora non connotato da definitivita', quanto meno imponeva alle stesse di dover progredire negli ulteriori stadi concordati, secondo buona fede, in vista del raggiungimento del risultato finale della risoluzione anticipata. Ne deriva che anche solo questa fase procedimentale delle trattative risulta idonea, secondo la nozione di informazione privilegiata fornita dalla giurisprudenza Eurounitaria, ad accreditare la conclusione che la conoscenza della stessa assicurava il possesso di un'informazione il cui indebito utilizzo legittima l'applicazione della previsione sanzionatoria in esame. Il motivo deve pertanto essere rigettato. 4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2045 c.c. e dei principi generali in tema di inesigibilita' della prestazione, in quanto non si sarebbe tenuto conto del fatto che il (OMISSIS), in ragione di pregressi impegni assunti con il Gruppo (OMISSIS), nel momento in cui era passato alle sue dipendenze, era tenuto ad alienare le azioni in suo possesso della (OMISSIS) entro la data del 5 settembre 2014. La vendita sanzionata era quindi il puntuale adempimento di quest'obbligo, sicche' era inesigibile pretendere dal medesimo che la vendita fosse effettuata successivamente, esponendo a sacrificio il proprio interesse ed il proprio patrimonio, a causa delle conseguenze che sarebbero scaturite dall'inadempimento agli obblighi di vendita. In questo senso si era anche orientato un membro dissenziente della Consob che si era espresso a favore del ricorrente ritenendo invocabile la previsione di cui all'articolo 2, comma 3 della Direttiva 2003/6/CE (oggi corrispondente all'articolo 9, comma 3 del Reg. UE n. 596/2014). Il motivo e' infondato. Incensurabile appare la valutazione resa sul punto dalla Corte d'Appello, che partendo dall'analisi della condotta tenuta dal ricorrente anche in data anteriore a quella della vendita, e con specifico riferimento agli ordini impartiti per la vendita, ha rilevato il repentino mutamento di atteggiamento della parte che, sebbene avesse in precedenza autorizzato la vendita per un prezzo ben superiore a quello di mercato, solo il 1 settembre, in coincidenza cronologica con la conoscenza dell'informazione reputata privilegiata, dava mandato al referente presso la banca della quale era cliente, di procedere alla vendita ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Il mutamento nell'atteggiamento del (OMISSIS) e' stato ricondotto dalla Corte d'Appello, con motivazione logica e congrua, alla precisa volonta' dell'opponente di approfittare dell'informazione della quale era in possesso, al fine di evitare il pregiudizio che con elevata probabilita' sarebbe scaturito per effetto dell'altamente probabile ribasso della quotazione di mercato delle azioni alienande. Correttamente la sentenza gravata ha ricordato come per il ricorrente sarebbe stato possibile adempiere agli obblighi assunti con la (OMISSIS) anche nei giorni seguenti, e sino alla data del 5 settembre, sicche' era esigibile dal ricorrente, ed in maniera tale da contemperare l'obbligo di vendita con l'esigenza di evitare l'abuso di informazioni privilegiate, che procedesse alla vendita una volta divenuta nota l'informazione di cui era in possesso, e cio' assicurando un adeguato contemperamento tra gli obblighi contrattuali e quelli scaturenti dal possesso dell'informazione in oggetto, il cui utilizzo abusivo risulta sanzionato anche dall'ordinamento penale (e cio' consente di escludere la ricorrenza della buona fede che, unitamente alla necessita' di ottemperare un obbligo giunto a scadenza, esclude l'illiceita' della condotta, emergendo invece la volonta' di eludere il divieto di abuso delle informazioni privilegiate). Con apprezzamento in fatto, non sindacabile in questa sede, la sentenza impugnata ha quindi ritenuto che abbia assunto rilevanza prioritaria l'intento del (OMISSIS) di trarre il massimo vantaggio in termini economici da un'informazione in suo possesso, e con un utilizzo contrario alla legge, non potendosi reputare in alcun modo giustificata, soprattutto con una connotazione di inesigibilita', l'esistenza di un obbligo di vendita, che ben avrebbe potuto essere adempiuto anche nei giorni seguenti, ma senza incorrere nella violazione contestata, non potendo assurgere l'esigenza di evitare un depauperamento, a causa esimente da responsabilita'. Ad avviso della Corte la prevalenza degli interessi pubblicistici presidiati dalla disciplina in tema di market abuse, rispetto al contrapposto interesse del ricorrente a minimizzare la perdita patrimoniale, derivante dal dover adempiere ad un obbligo contrattuale, esclude quindi che possa reputarsi inesigibile la condotta invece reputata come doverosa, ed individuata nella vendita delle azioni una volta resa pubblica la notizia privilegiata. Il motivo deve essere rigettato. 5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 3, articolo 43 c.p. e articolo 187 bis TUF, atteso che, avuto riguardo alle deduzioni sviluppate nei primi due motivi di ricorso, deve escludersi che il ricorrente abbia dolosamente utilizzato le presunte informazioni privilegiate, sicche' l'elemento psicologico che connota la sua condotta e' al piu' colposo, con evidenti ricadute sulla pretesa gravita' della condotta ascrittagli. Il motivo e' inammissibile in quanto contesta un apprezzamento in fatto del giudice di merito, aspirando in tal modo ad ottenere una diversa valutazione da parte di questa Corte, trasformando indebitamente il giudizio di legittimita' in un terzo grado di merito. La Corte d'Appello, in relazione ad entrambi i profili attinti dai primi due motivi, con motivazione esaustiva e coerente, ha rilevato come la stessa cronologia degli eventi, la rapida scansione temporale esistente tra l'intesa preliminare del 1 settembre e l'immediato ordine impartito per la vendita delle azioni, nonche' le differenti modalita' con le quali si dava incarico di procedere all'alienazione delle stesse, in rapporto a quanto invece disposto nel passato, deponessero in maniera inequivoca per la conclusione presuntiva secondo cui il (OMISSIS), avvedutosi dell'imminente calo del prezzo di mercato delle sue azioni, intendeva liberarsene il piu' rapidamente possibile, traendo il massimo vantaggio economico dall'operazione, prevalendo sul pur esistente obbligo di vendita, pero' suscettibile di essere adempiuto anche in data successiva, l'intento, evidentemente doloso, di abusare dell'informazione posseduta. Solo nelle memorie, e senza che in ricorso fosse stata data rilevanza a tali vicende, il ricorrente si profonde nell'illustrazione delle varie modalita' con le quali nel corso del tempo avrebbe provveduto a liberarsi del pacchetto azionario della (OMISSIS) di cui era titolare, ma, in disparte l'inammissibilita' di tale tardiva allegazione in fatto, resta fermo l'accertamento del giudice di merito che ha ritenuto di riscontrare la precisa volonta' del ricorrente di abusare dell'informazione della quale era venuto in possesso, dando indicazioni per la vendita per la prima volta ad un prezzo inferiore a quello sino a quel momento atteso (ne' rileva che le trattative per la cessazione della licenza fossero in corso gia' in precedenza, ben potendosi spiegare la condotta del (OMISSIS) nell'intento di attendere per la vendita ad un prezzo inferiore l'ultimo momento utile, prima della diffusione della notizia all'esterno). 6. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 187 bis TUF e Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3 quanto alla mancata applicazione della meno grave disciplina sanzionatoria introdotta dalla novella del 2015. Si evidenzia che, a seguito dell'intervento del legislatore del 2015, sono state previste delle sanzioni inferiori rispetto a quelle dettate per la violazione contestata in conseguenza dell'entrata in vigore della L. n. 262 del 2005, articolo 39, comma 3. La decisione gravata ha pero' ritenuto applicabili i piu' elevati termini edittali della sanzione, sostenendo che per effetto della scelta del legislatore, ai fatti di causa non potesse trovare applicazione la normativa sopravvenuta, senza pero' tenere conto della natura sostanziale penale dell'illecito contestato, che imporrebbe l'applicazione della lex mitior, anche senza necessita' di un intervento della Corte Costituzionale. Ne deriva l'illegittimita' della valutazione espressa sul punto dal giudice di merito, in quanto ancorata ad un quadro di riferimento sanzionatorio non piu' applicabile. Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 187 bis TUF e del Decreto Legislativo n. 107 del 2018, articolo 4, comma 9. Si sottolinea che nelle more e' intervenuto il Decreto Legislativo n. 107 del 2018 che ha a sua volta rimodellato il trattamento sanzionatorio dell'illecito di cui all'articolo 187 bis TUF, introducendo quindi una nuova norma piu' favorevole della quale occorreva fare applicazione. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 11 articoli 99 e 112 c.p.c. La Corte d'Appello ha reputato che la sanzione irrogata dalla Consob, nell'importo pari ad Euro 125.000,00 (allorche' il minimo edittale era pari ad Euro 100.000,00) fosse da reputarsi congrua ove anche si facesse riferimento ai nuovi limiti edittali introdotti dalla novella del 2015 (che prevede un minimo di Euro 20.000,00). Si osserva che i detti limiti edittali costituiscono un prius logico e cronologico per il giudizio in termini di congruita' della sanzione sicche' l'individuazione dei vari parametri sulla base dei quali graduare la stessa non puo' obliterare la necessita' di rapportare la valutazione alla diversa cornice edittale. La considerazione espressa in sentenza secondo cui la sanzione di Euro 125.000,00 sarebbe congrua anche alla luce del nuovo quadro normativo di riferimento implica una violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 11 in quanto si addiverrebbe ad applicare la medesima sanzione anche in presenza di una ben diversa forchetta edittale sottostante. Inoltre, in tal modo si determinerebbe una sorta di reformatio in peius della condanna, in violazione dei principi posti dagli articoli 99 e 112 c.p.c. Ne deriva che la valutazione del giudice circa la correttezza della sanzione irrogata non poteva prescindere dalla previa individuazione del reale minimo edittale. Il settimo motivo di ricorso denuncia la nullita' della sentenza per la violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c. e articolo 113 c.p.c. La soluzione della Corte d'Appello, tale da ritenere congrua la sanzione anche alla luce del piu' favorevole quadro normativo di riferimento, si ripercuote anche in un vizio della motivazione, in quanto affermare che la sanzione debba restare confermata nel suo importo (inizialmente fissato sulla base di piu' elevati minimi edittali) anche avuto riguardo ad un nuovo trattamento normativo piu' favorevole, costituisce un'ipotesi di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, atteso che a monte risulta carente anche la corretta individuazione della norma applicabile. Inoltre, l'articolo 113 c.p.c. impone al giudice di dover decidere secondo diritto, posto che la soluzione alla quale e' pervenuta la Corte distrettuale e' il frutto di una decisione assunta prescindendo dalla corretta applicazione della legge. I motivi, che nel loro insieme investono la correttezza della sanzione pecuniaria irrogata al (OMISSIS), possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione. Rileva il Collegio che in epoca successiva alla proposizione del ricorso, e' intervenuta la sentenza n. 63/2019 della Corte Costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, in relazione all'articolo 3 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, quest'ultimo per rinvio all'articolo 7 della CEDU, nella parte in cui esclude l'applicazione retroattiva delle modifiche favorevoli apportate dallo stesso articolo 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis dato che la regola di derivazione penale deve ritenersi applicabile anche agli illeciti amministrativi aventi natura e funzione punitiva, salvo che vi sia la necessita' di tutelare interessi di rango costituzionale prevalenti tali da resistere al " vaglio positivo di ragionevolezza ", al cui metro debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattivita' in mitius. Tale declaratoria di illegittimita' evidenza quindi la fondatezza della doglianza di cui al quarto motivo nella parte in cui si evidenzia la necessita', in ragione della natura sostanziale penale dell'illecito, di fare applicazione della norma piu' favorevole sopravvenuta, e rende pero' irrilevante la diversa censura formulata in relazione all'incidenza nella fattispecie della successiva novella del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, recante "Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE", che - in attuazione della L. 25 ottobre 2017, n. 163 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive Europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione Europea - Legge di delegazione Europea 2016 - 2017) - ha adeguato la legislazione nazionale al regolamento (UE) n. 596/2014, modificando ulteriormente, per quanto in questa sede rileva, il Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis descrivendo le condotte costitutive dell'illecito (ridenominato "Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate") attraverso un mero rinvio alle ipotesi indicate nell'articolo 14 del predetto regolamento UE, e disponendo poi che tali condotte siano punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila a cinque milioni di Euro, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito, nei casi previsti dallo stesso Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, comma 5. A seguito di tali ultime modifiche, e rispetto al quadro sanzionatorio modificato nel 2015, dunque, l'illecito amministrativo in parola resta punibile con la sanzione amministrativa pecuniaria minima di ventimila Euro, mentre il massimo edittale e' ora innalzato a cinque milioni di Euro (salvi gli aumenti nei casi previsti dal comma 5). La modifica de qua avendo quindi inciso solo sul massimo, ed in senso piu' sfavorevole all'autore dell'illecito, come peraltro evidenziato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza citata, rende la novella del 2018 non invocabile nella fattispecie atteso che nulla ha disposto, pero', il legislatore del 2018 in merito all'applicazione nel tempo della nuova disciplina, facendo cosi' ritenere che abbia inteso assegnarle efficacia soltanto per il futuro. Tornando alla previsione frutto della novella del 2006, e' stata evidenziata la natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, che e' stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua "elevatissima carica afflittiva", giacche' "destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall'autore, a sua volta oggetto di separata confisca", "in funzione di una finalita' di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che e' certamente comune anche alle pene in senso stretto". La natura "penale" di tale sanzione, ai sensi dell'articolo 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo "elevato carico di severita'", e' stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (sentenza 20 marzo 2018, Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. Sez. 2, 06/12/2018, n. 31632). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimita' della deroga, contenuta nel Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, alla retroattivita' in mitius del piu' favorevole regime sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico e' consistito nella "dequintuplicazione" delle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila Euro. Questa Corte ha peraltro avuto modo di pronunciarsi in merito agli effetti della detta declaratoria di incostituzionalita' avendo quindi affermato che (Cass. n. 8782/2020) per effetto della pronuncia della Corte costituzionale del 21 marzo 2019, n. 63, va cassata la sentenza che abbia ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale, imponendosi una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare. Nel precedente ora citato, si e' poi reputato che non potesse escludere la cassazione, la considerazione svolta dalla Corte d'appello di Milano, secondo cui la sanzione concretamente irrogata si collocava comunque all'interno della nuova cornice edittale (da ventimila a tre milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, salva la possibilita' di procedere agli aumenti di cui dello stesso articolo 6, comma 5 e poi da ventimila Euro a cinque milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito, nei casi previsti del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, stesso articolo 187-bis, comma 5), in quanto non si e' escluso che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, debba non di meno ritenersi illegittima la sanzione inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente (arg. da Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 28/07/2015, n. 33040; Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 15/09/2015, n. 37107), non essendo, peraltro, il giudice di rinvio, chiamato a rimodulare la sanzione entro il nuovo ambito edittale, neppure necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all'importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita', pur rimanendo intatto il giudizio di disvalore espresso in precedenza. La differenza che presenta la vicenda in esame e' che la Corte d'Appello non si e' limitata a far riferimento alla continenza della sanzione irrogata anche nella diversa cornice edittale che scaturisce dall'applicazione della norma sopravvenuta piu' favorevole, ma avuto riguardo ad una serie di parametri rappresentati dall'oggettiva rilevanza del numero delle azioni vendute e del corrispettivo ritratto, dall'entita' del guadagno del (OMISSIS), della tempistica delle vicenda, sintomatica di una spiccata volonta' dell'opponente di utilizzare l'informazione della quale era venuto a conoscenza per il ruolo svolto nella vicenda contrattuale, della gravita' della condotta accertata e della rilevanza della vicenda economica sottesa alla contestazione mossa al ricorrente, ha affermato che la sanzione irrogata dovesse reputarsi congrua anche alla luce dei minimi edittali introdotti dalla nuova previsione normativa. Reputa il Collegio pero' che tale ragionamento non possa essere avallato, e cio' proprio alla luce della giurisprudenza penale di questa Corte, come sopra richiamata, che ha anche successivamente affermato il principio secondo cui (Cass. pen. S.U. n. 46653/2015) il diritto dell'imputato, desumibile dall'articolo 2 c.p., comma 4, di essere giudicato in base al trattamento piu' favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la "lex mitior" anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalita' rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalita' impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravita' (Cass. pen. 10169/2016; Cass. pen. 3481/2019; Cass. pen. 29431/2018). Ancorche' non possa darsi seguito al metodo suggerito dal ricorrente di procedere ad una rideterminazione della pena ponendo a raffronto i diversi minimi edittali e praticando su quello piu' favorevole il medesimo aumento percentuale corrispondente a quello praticato dalla Consob in rapporto al piu' elevato minimo preesistente, va ribadita la necessita' che la valutazione circa la congruita' della pena debba essere compiuta avendo a specifico parametro di riferimento i parametri edittali effettivamente applicabili alla fattispecie, sebbene invocabili in ragione del principio della lex mitior. La conclusione cui e' pervenuta la Corte d'Appello di ritenere congrua la sanzione nell'importo individuato nel provvedimento impugnato, essendo indifferente la forbice edittale effettivamente invocabile si traduce un un'irrimediabile nullita' della motivazione per un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (come appunto prescritto per la configurazione della violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, da Cass. S.U. n. 8053/2014), in quanto addiviene alla conclusione secondo cui la medesima condotta sarebbe meritevole della medesima sanzione anche a fronte di un nuovo quadro sanzionatorio nel quale il minimo edittale e' di ben cinque volte inferiore a quello sulla base del quale e' stata originariamente determinata la sanzione irrogata. La parte riceverebbe quindi il medesimo trattamento, pur a fronte di una valutazione in termini di rilevanza sanzionatoria molto meno grave da parte della novella legislativa, rendendo di fatto meramente declamatori i parametri cui la Corte d'Appello pur mostra di volersi attenere, stante l'assoluta identita' del fatto storico sanzionato. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, affinche' rimoduli la sanzione entro il nuovo ambito edittale, sebbene non necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all'importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita', immutato il giudizio di disvalore espresso in precedenza. 7. L'ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 187 sexies TUF quanto alla confisca da parte della Consob della somma di Euro 632.018,00, e cioe' sino alla concorrenza del prodotto dell'illecito (equivalente alla somma del valore dei beni strumentali utilizzati) e del profitto realizzato (inteso come l'evitata perdita conseguente al decremento del prezzo delle azioni al quale sarebbe andato incontro il ricorrente, nel caso di vendita successiva alla diffusione dei comunicati della (OMISSIS) e del Gruppo (OMISSIS)). Si lamenta che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che la detta somma corrisponda ad una nozione ampia di profitto, comprensiva dello strumento finanziario utilizzato, che per effetto della violazione ha mutato artificialmente il proprio valore, dovendosi quindi identificare nel prodotto dell'illecito commesso. Si denuncia l'erroneita' di tale interpretazione della norma che contraddice la tradizione distinzione tra prodotto e profitto dell'illecito. Si impone quindi un'interpretazione ragionevole della norma che legittimi la confisca del solo prodotto e cioe', in relazione al caso in esame, alla differenza tra la somma ricavata dalla vendita avvenuta con abuso dell'informazione privilegiata e l'importo che si sarebbe in ogni caso conseguito ove la vendita fosse avvenuta dopo che la notizia era stata resa pubblica. In alternativa si e' suggerito di determinare il prodotto, tenendo conto del costo di acquisto delle azioni da parte del (OMISSIS), prima di eventuali illeciti. In vista della decisione del motivo va segnalato che nelle more tra la presentazione del ricorso e la discussione della causa e' intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 112 del 2019 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-sexies nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera a), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito di insider trading e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto. Si e', infatti, affermato che la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del "prodotto" degli illeciti previsti dal Titolo I-bis, Capo III, del d.Ig. n. 58 del 1998 e dei "beni utilizzati" per commetterli conduce a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati per eccesso rispetto alla gravita' degli illeciti in questione, ponendosi in contrasto con gli articoli 3, 42 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, quest'ultimo in relazione all'articolo 1 Prot. addiz. CEDU, nonche' dell'articolo 11 Cosst. e articolo 117 Cost., comma 1, in relazione agli articoli 17 e 49, par. 3, CDFUE. Infatti, in tema di abusi di mercato, mentre l'ablazione del "profitto" ha una mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo all'autore, la confisca del "prodotto" - identificato nell'intero ammontare degli strumenti acquistati dall'autore, ovvero nell'intera somma ricavata dalla loro alienazione - cosi' come quella dei "beni utilizzati" per commettere l'illecito - identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall'autore - ha un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore, assumendo pertanto una connotazione "punitiva" che infligge all'autore dell'illecito una limitazione al diritto di proprieta' di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito, trattandosi per di piu' di sanzione che non consente all'autorita' amministrativa, e poi al giudice, alcuna modulazione quantitativa. Cio' si aggiunge all'afflizione determinata dalle altre sanzioni previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998 e, in particolare, dalla sanzione amministrativa pecuniaria, la cui cornice edittale e' essa pure di eccezionale severita', anche se graduabile in funzione della concreta gravita' dell'illecito e delle condizioni economiche dell'autore dell'infrazione. Peraltro, lo stesso diritto dell'Unione Europea non impone la confisca del "prodotto" dell'illecito e dei "beni utilizzati" per commetterlo, richiedendo soltanto agli Stati membri (Regolamento n. 596/2014, articolo 30, par. 2, lettera b) di prevedere la restituzione del solo "vantaggio economico" (in termini di guadagno o di perdita evitata) ottenuto dal compimento di un'operazione in condizioni di asimmetria informativa e in violazione di un dovere di astensione - per effetto del possesso di un'informazione privilegiata - rispetto alla generalita' degli operatori nel mercato degli strumenti finanziari. La sentenza, dopo avere escluso che le modifiche apportate alla disposizione censurata dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, potessero incidere sulla soluzione della questione, dovendosi senz'altro escludere che l'eventuale applicazione della disposizione novellata nel caso concreto potesse produrre effetti in mitius rispetto alla previgente disciplina, ha ricordato come secondo le consolidate conclusioni della scienza penalistica, "prodotto" di un illecito e' "il risultato empirico dell'illecito, cioe' le cose create, trasformate, adulterate o acquistate mediante il reato" (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 marzo 2008, n. 26654). Per l'effetto, il "prodotto" di un illecito come l'abuso di informazioni privilegiate - che consiste, nel suo nucleo essenziale, nel compimento di operazioni di compravendita di strumenti finanziari da parte di chi possieda un'informazione ancora riservata, la cui successiva diffusione al pubblico potrebbe determinare una variazione del prezzo di tali strumenti - non puo' che essere rappresentato dall'insieme degli strumenti acquistati, ovvero dall'intera somma ricavata dalla loro vendita. Il "profitto" e', invece, l'utilita' economica conseguita mediante la commissione dell'illecito e nelle ipotesi di acquisto di strumenti finanziari, il profitto consiste dunque nel risultato economico dell'operazione valutato nel momento in cui l'informazione privilegiata della quale l'agente disponeva diviene pubblica, calcolato piu' in particolare sottraendo al valore degli strumenti finanziari acquistati il costo effettivamente sostenuto dall'autore per compiere l'operazione, cosi' da quantificare l'effettivo "guadagno" (in termini finanziari, la "plusvalenza") ovvero, il "risparmio di spesa" che l'agente abbia tratto dall'operazione. Nelle ipotesi di vendita di strumenti finanziari sulla base di un'informazione privilegiata, come nella vicenda in esame, il "profitto" conseguito si identifica nella "perdita evitata" in rapporto al successivo deprezzamento degli strumenti, conseguente alla diffusione dell'informazione medesima; e dunque andra' calcolato sulla base della differenza tra il corrispettivo ottenuto dalla vendita degli strumenti finanziari, e il loro successivo (diminuito) valore. Poste tali premesse, ha altresi' ricordato che, in tema di abusi di mercato, mentre l'ablazione del "profitto" ha una mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo all'autore, la confisca del "prodotto" - identificato nell'intero ammontare degli strumenti acquistati dall'autore, ovvero nell'intera somma ricavata dalla loro alienazione - cosi' come quella dei "beni utilizzati" per commettere l'illecito identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall'autore - ha un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore, assumendo una connotazione "punitiva", infliggendo all'autore dell'illecito una limitazione al diritto di proprieta' di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. Secondo la Consulta, la combinazione tra una sanzione pecuniaria di eccezionale severita', ma graduabile in funzione della concreta gravita' dell'illecito e delle condizioni economiche dell'autore dell'infrazione, e una ulteriore sanzione anch'essa di carattere "punitivo" come quella rappresentata dalla confisca del prodotto e dei beni utilizzati per commettere l'illecito, necessariamente conduce, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati, cosi' che e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della previsione della confisca obbligatoria del "prodotto" dell'illecito amministrativo e dei "beni utilizzati" per commetterlo, come sopra ricordato. Peraltro, e' stato specificato in sentenza (affermazione che rileva in questa sede al fine di replicare ad un'obiezione sollevata dalla Consob nel suo controricorso, pag. 50) che, ancorche' il giudice a quo sembrasse aver circoscritto la questione alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale della sola previsione della confisca per equivalente, tuttavia doveva reputarsi che l'effetto manifestamente sproporzionato della confisca in oggetto non dipende dal fatto che la misura abbia ad oggetto direttamente i beni o il denaro ricavati dalla transazione o utilizzati nella transazione stessa, ovvero beni o denaro di valore equivalente, quanto, piuttosto, dalla stessa previsione dell'obbligo di procedere alla confisca del "prodotto" dell'illecito e dei "beni utilizzati" per commetterlo. Rileva il Collegio che solo in udienza il difensore della Cosnob ha dato atto che sarebbe stata annullata in autotutela la confisca nella parte che eccede il profitto dell'illecito contestato, con la restituzione della somma eccedente. Tuttavia, ancorche' di tale evento sia stata data conferma da parte del ricorrente, non risulta versato in atti il relativo provvedimento, apparendo la dichiarazione di carattere generico e non consentendo di verificare l'esatta applicazione nello stesso degli effetti scaturenti dalla sentenza della Consulta. Anche in relazione a tale motivo la sentenza impugnata deve quindi essere cassata, dovendo il giudice di rinvio, come sopra individuato, rideterminare i beni di sottoporre a confisca (anche previa verifica della correttezza del provvedimento al quale ha fatto cenno il difensore della controricorrente), alla luce dell'intervento della Corte Costituzionale. 8. Il giudice del rinvio provvedera' anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo nei limiti di cui in motivazione, e rigettati i primi tre motivi, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, che provvedera' anche sulle spese del presente giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. BELLINI Ubaldo - Consigliere Dott. PICARONI Elisa - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. VARRONE Luca - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 28365-2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 1786/2017 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 04/10/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2020 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA; udito il sostituto procuratore generale Dott.ssa DE RENZIS Luisa che ha concluso per l'accoglimento del sesto e del settimo motivo di ricorso. uditi gli avvocati (OMISSIS) per il ricorrente e (OMISSIS) per la controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. Con Delib. 14 dicembre 2016, n. 19726, la (OMISSIS) applicava a (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187 sexies, la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 200.000 per la violazione di cui all'articolo 187 bis, comma 4, TUF per aver venduto 28.180 azioni Saipem, la mattina del 4 dicembre 2012, utilizzando l'informazione privilegiata concernente la promozione di forti discontinuita' gestionali e organizzative da parte di (OMISSIS), nonche' la sanzione amministrativa interdittiva accessoria ai sensi dell'articolo 187 quater, comma 1, TUF con la conseguente perdita dei requisiti di onorabilita' degli esponenti aziendali e l'incapacita' di assumere incarichi di amministrazione direzione e controllo nell'ambito di societa' quotate per il periodo di 12 mesi. 1.1 La (OMISSIS) disponeva inoltre, ai sensi dell'articolo 187 sexies, TUF la confisca dei beni del trasgressore fino alla concorrenza del valore di Euro 963.755,90 equivalente al prodotto dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate. 2. (OMISSIS) proponeva opposizione lamentando la decadenza dal termine di 180 giorni stabilito dall'articolo 187 sexies TUF, l'illegittimita' del provvedimento per aver utilizzato la c.d. doppia presunzione nel ritenere provato il possesso dell'informazione privilegiata, la mancanza di prova degli elementi costitutivi dell'illecito, la natura non privilegiata dell'informazione ai sensi articoli 181 e 187 bis TUF, l'errata valutazione da parte della commissione delle ragioni della vendita delle azioni (OMISSIS) e del preteso carattere anomalo dell'operazione eseguita, l'iniquita' e la sproporzione delle sanzioni applicate e della confisca. 3. La Corte d'Appello di Milano rigettava l'opposizione. In primo luogo, dopo una approfondita disamina di tutta l'attivita' istruttoria, riteneva tempestiva la contestazione notificata con lettera del 22 dicembre 2015. La Corte, infatti, riscontrava la congruita' e ragionevolezza del tempo impiegato da (OMISSIS) per svolgere e completare l'attivita' di indagine diretta ad accertare un'eventuale responsabilita' del (OMISSIS) per l'illecito di insider trading. L'attivita' acquisitiva dei dati e dei documenti relativi all'illecito era stata compiuta senza alcuna ingiustificata inerzia. Tutte le attivita' di acquisizione di informazioni o documenti erano, peraltro, funzionali all'attivita' di indagine globalmente intesa e in perfetta consequenzialita' l'una con l'altra. In ogni caso, l'opportunita' di un determinato atto istruttorio doveva valutarsi ex ante e non ex post, non avendo rilevanza il fatto che l'attivita' svolta si fosse poi rivelata inutile al fine della contestazione. Gli intervalli di tempo intercorrente tra un atto di accertamento e l'altro si dovevano giustificare alla luce delle esigenze della Commissione di valutare con attenzione il materiale probatorio raccolto, anche al fine di procedere in maniera piu' efficace agli eventuali successivi atti di indagine. Peraltro, sussistevano anche ulteriori variabili quali la complessita' della materia e la difficolta' dell'accertamento, anche in relazione alla particolare tipologia di illecito. Sicche', a partire dal 26 marzo 2013, fino al 26 luglio 2015, la Commissione aveva posto in essere un'attivita' istruttoria costante, nell'ambito della quale gli intervalli di tempi trascorsi erano ragionevoli in relazione alla necessita' dell'autorita' amministrativa di esaminare attentamente il materiale probatorio raccolto. Anche la convocazione di (OMISSIS) in data 7 maggio 2015, secondo la Corte d'Appello si giustificava alla luce della necessita' per la Commissione di valutare attentamente tutto il materiale raccolto precedentemente, per ricostruire il quadro fattuale entro cui inserire la figura della (OMISSIS). In conclusione, essendosi perfezionata la notifica della lettera di contestazione in data 22 dicembre 2015, risultava rispettato il termine di 180 giorni che doveva farsi decorrere dall'audizione di (OMISSIS) il 6 luglio 2015. 3.1 Doveva ritenersi infondata anche l'ulteriore doglianza con la quale l'opponente lamentava la violazione del diritto di accesso alla documentazione posta a base delle contestazioni, in quanto tale documentazione presentava delle parti segretate e indicate con omissis. La Commissione, infatti, aveva ritenuto opportuno segretare alcune parti della documentazione richiesta dal (OMISSIS), in quanto inerente soggetti non coinvolti nel procedimento e fatti non concernenti il medesimo procedimento. 3.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamentava l'illegittimita' della delibera per l'insufficienza dell'impianto probatorio, in quanto fondato su un procedimento logico di tipo presuntivo. La Corte d'Appello evidenziava l'indispensabilita' del ricorso al metodo presuntivo in questo tipo di illecito, avente ad oggetto circostanze, fatti e rapporti interpersonali da ricostruire. Nella vicenda in esame, l'Autorita' di Vigilanza aveva ritenuto accertata la sussistenza della fattispecie di insider trading in capo al (OMISSIS) sulla base di una serie di fatti noti, quali l'aver egli ricoperto diversi ruoli professionali di natura dirigenziale, sia presso (OMISSIS) sia presso il gruppo (OMISSIS), l'essere rimasto in contatto con numerose persone operanti presso le suddette societa' e l'aver avuto contatti con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a ridosso della realizzazione dell'operazione contestata. In particolare, il (OMISSIS) aveva avuto due contatti telefonici con (OMISSIS), il 3 dicembre 2012, un contatto telefonico con (OMISSIS), il 4 dicembre 2012, aveva scambiato quattro SMS con (OMISSIS) il 4 dicembre 2012, e aveva liquidato tutta la posizione detenuta in azioni (OMISSIS) nella stessa data. Tali persone, in forza del loro ruolo, erano nella condizione di conoscere l'informazione privilegiata, e il disinvestimento operato dal (OMISSIS) era di grande dimensione, rispetto alle vendite precedentemente effettuate e difforme rispetto sia alla pregressa operativita' che alla composizione del suo portafoglio. Egli con l'operazione contestata aveva evitato una perdita potenziale di Euro 121.448, calcolata sulla base del prezzo ufficiale delle azioni (OMISSIS) registrato il 6 dicembre 2012, la vendita, peraltro, era stata effettuata in assenza di rumors o eventi societari o studi da parte di analisti finanziari. 3.3 La Corte d'Appello rigettava anche il terzo motivo di ricorso relativo alla natura di informazione privilegiata della ristrutturazione degli organi sociali di (OMISSIS). Ai sensi dell'articolo 181 TUF, infatti, l'informazione privilegiata e' quella avente un carattere preciso non resa pubblica concernente direttamente o indirettamente uno o piu' emittenti o strumenti finanziari che se resa pubblica abbia la capacita' di influre sui prezzi. Tale carattere dell'informazione si rinviene ogni qualvolta essa si riferisca ad un complesso di circostanze esistenti o che si possa ragionevolmente prevedere che verra' ad esistenza od un evento esistente che si possa radicalmente prevedere che si verifichi allorche' sia sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento sui prezzi degli strumenti finanziari. Nella specie dall'analisi congiunta degli atti e dei documenti, l'informazione relativa alla destrutturazione degli organi sociali di (OMISSIS) era sicuramente privilegiata in quanto precisa e rilevante. L'informazione, infatti, riguardava circostanze relative alla societa' (OMISSIS), quali la promozione di una forte discontinuita' gestionale ed organizzativa, comprendente anche le dimissioni del vicepresidente del consiglio di amministrazione, nonche' dell'amministratore delegato, circostanze che avevano l'attitudine di influenzare sensibilmente il prezzo dello strumento finanziario una volta rese pubbliche. Il cambio dei vertici aziendali, infatti, come evidenziato dalla divisione mercati in sede di contestazione era certamente circostanza idonea ad influenzare il prezzo delle azioni, tanto che, dopo il comunicato ufficiale del 5 dicembre 2012, il prezzo delle azioni aveva registrato un ribasso dell'11,24% con notevole aumento della quantita' di azioni scambiate. 3.4 Le difese del (OMISSIS) circa le ragioni che avevano giustificato la vendita delle azioni per rimodulare il profilo di rischio del suo portafoglio, quali la necessita' di ottenere liquidita' per far fronte ad esigenze di spesa personale e per ottenere la provvista necessaria per finanziare un'altra societa', dovevano ritenersi infondate. Secondo la Corte d'Appello, il carattere anomalo dell'operazione si fondava sul fatto che non poteva giustificarsi la scelta del (OMISSIS) sulla necessita' di liquidita', avendo egli reinvestito il ricavato della vendita in altri strumenti finanziari. Il mancato esercizio del diritto di opzione per l'acquisto di 36.300 azioni non assumeva rilevanza sia perche' il (OMISSIS) avrebbe dovuto pagare Euro 400.000 che non possedeva, sia perche' la procedura richiedeva tempi piu' lunghi rispetto alla vendita delle azioni gia' in proprio possesso. Neanche le modalita' della vendita alle migliori condizioni possibili per il cliente poteva escludere che il (OMISSIS) fosse in possesso di informazioni privilegiate, tenuto conto del fatto che l'intero ordine di vendita era stato immediatamente eseguito al momento dell'immissione sul mercato e, dunque, con il prezzo relativo a quel momento. 3.5 Con riferimento infine alla iniquita' e sproporzione delle sanzioni la Corte d'Appello riteneva che quella pecuniaria di Euro 200.000 era pressoche' prossima al minimo edittale e, dunque, non era ne' sproporzionata ne' iniqua e che, anche la sanzione accessoria interdittiva era prossimo al minimo, potendo arrivare fino a tre anni e, con riguardo alla misura accessoria della confisca, la vendita effettuata dal (OMISSIS) realizzava l'illecito e il prodotto dell'illecito consisteva nella somma di Euro 963.755,90 ossia il ricavato della vendita la cui confisca prevista dall'articolo 187 sexies TUF era misura obbligatoria e non graduabile. Nella specie il profitto dell'illecito costituito dalla perdita che sarebbe conseguita dal decremento di prezzo delle azioni (OMISSIS) era stato stimato in Euro 121.447,25 pari alla differenza tra il controvalore della vendita posta in essere il 4 dicembre 2012 ed il valore delle azioni calcolato sul prezzo ufficiale del 6 dicembre 2012. La confisca, dunque, era imposta e consisteva nel prodotto dell'illecito consistente nelle somme di denaro ottenute mediante la condotta antigiuridica e, dunque, la scelta di procedere alla confisca del prodotto e non del profitto era conforme alla previsione normativa. 4. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sette motivi di ricorso. 5. La Commissione Nazionale per la Societa' e la Borsa ha resistito con controricorso. 6. Il collegio con ordinanza interlocutoria all'esito dell'udienza del novembre 2019 ha ritenuto necessario acquisire il fascicolo di ufficio dalla Corte d'Appello di Milano. 7. Con memorie depositata in prossimita' dell'udienza entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo di ricorso e' cosi' rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'articolo 187 sexies TUF. La censura si fonda sulla violazione del termine di 180 giorni per la contestazione delle violazioni. Tale termine non dovrebbe decorrere dall'ultimo atto istruttorio compiuto dalla commissione, come ritenuto dalla Corte milanese, in quanto i fatti risalivano a ben tre anni prima della notifica della contestazione e l'accertamento risaliva quantomeno ad un anno e mezzo dopo la commissione degli stessi. La Corte di merito nel determinare il dies a quo di decorrenza del termine per effettuare la contestazione avrebbe dovuto individuare il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento. Il ricorrente aveva gia' dedotto nel proprio ricorso in appello che sin dal 21 giugno 2013, come emergeva dalla nota per il presidente della divisione mercato ufficio abusi di mercato la commissione aveva individuato in dettaglio i fatti costitutivi del preteso illecito di cui all'articolo 187 bis TUF, poi contestato al (OMISSIS) solo il 22 dicembre 2015. Inoltre, il ricorrente aveva documentato come la commissione, sin dal maggio-giugno 2014, fosse in possesso di un quadro completo dei rapporti intercorsi tra (OMISSIS) ed i pretesi insider primari e, dunque, da tale momento i fatti contestati dovevano considerarsi accertati dalla (OMISSIS) con conseguente decadenza rispetto alla contestazione effettuata oltre un anno e mezzo dopo ovvero nel dicembre 2015. La Corte d'Appello, inoltre, non avrebbe fornito alcuna motivazione rispetto alle doglianze e ai quesiti sollevati dall'opponente sui ritardi degli accertamenti effettuati. In particolare, il ricorrente si riferisce alle sue obiezioni sul ritardo nel compimento di alcuni atti rispetto al momento in cui gli stessi avrebbero potuto essere compiuti, quali la richiesta di copia delle e-mail di (OMISSIS) o la convocazione di (OMISSIS) o della stessa (OMISSIS). In altri termini, rispetto al tempo trascorso per la contestazione di oltre tre anni dall'esecuzione dell'operazione la Corte d'Appello avrebbe dovuto procedere ad un'indagine puntuale diretta ad individuare il momento in cui ragionevolmente ricondurre l'accertamento delle violazioni contestate. 1.2 Il primo motivo di ricorso e' infondato. Il principio del tutto consolidato in materia di tempestivita' della contestazione e' quello secondo il quale: "In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l'attivita' di intermediazione finanziaria, il momento dell'accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della (OMISSIS), va individuato in quello in cui la constatazione si e' tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessita' della materia, delle particolarita' del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019). La motivazione della Corte d'Appello sui tempi dell'istruttoria e' particolarmente dettagliata ed esaustiva e dalla stessa risulta evidente che la complessita' dell'accertamento richiedeva approfondimenti istruttori che richiedevano necessariamente tempi lunghi, vista anche la necessita' di compiere atti di indagine in collaborazione con l'autorita' giudiziaria. In particolare, il giudice della opposizione ha evidenziato che le indagini erano state complesse e avevano fatto progressivamente emergere la sussistenza dei presupposti per procedere alla contestazione. La complessita' dell'indagine comportava che all'organo accertatore spettasse un adeguato periodo di tempo per la raccolta del materiale istruttorio e il suo esame. La (OMISSIS) poteva procedere alla contestazione solo allorquando fosse stata ragionevolmente certa non solo del fatto materiale, ma anche dell'elemento soggettivo dell'illecito. Tale percorso motivazionale appare assolutamente congruo, basandosi sulla oggettiva complessita' degli accertamenti da compiersi prima di procedere alla contestazione dell'illecito e sulla conseguente necessita' di singole attivita' istruttorie che hanno legittimamente dilatato i tempi dell'istruttoria. Risulta evidente, pertanto, che non vi e' stato alcuna violazione dell'articolo 187 sexies TUF e che sotto la veste del vizio di violazione di legge, il ricorrente censura in realta' l'apprezzamento compiuto dalla Corte di merito, nella parte in cui ha negato che l'amministrazione fosse in possesso di tutti gli elementi per procedere alla contestazione gia' alla data del 21 giugno 2013, che l'attivita' successiva era stata ingiustificata o che, comunque, vi erano stati momenti di inerzia ingiustificati. Tale valutazione di competenza del giudice di merito non e' sindacabile in sede di legittimita' se non nei ristretti limiti consentiti dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto controverso, oggetto di discussione e decisivo. Il collegio, dunque, intende dare continuita' al seguente principio di diritto: "In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l'attivita' di intermediazione finanziaria la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruita' del tempo utilizzato in relazione alla difficolta' del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un'ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenendo altresi' conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, mentre la valutazione della superfluita' degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio ex ante, restando irrilevante la loro inutilita' ex post" (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019). 2. Il secondo motivo di ricorso e' cosi' rubricato: violazione falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 24 e 111 Cost. e all'articolo 6 della CEDU. Il giudice del merito avrebbe violato o falsamente applicato le disposizioni costituzionali e di legge sopra richiamate, respingendo l'istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c., di copia integrale degli atti dell'istruttoria oscurati, sulla base dei quali, peraltro, era stata ritenuto ragionevole il tempo trascorso per l'espletamento dell'attivita' istruttoria volta all'accertamento delle violazioni. Secondo il ricorrente sarebbe errata sia l'affermazione circa l'estraneita' di tali soggetti rispetto al procedimento sanzionatorio a carico del (OMISSIS), sia quella relativa al fatto che tali documenti avevano ad oggetto fatti non concernenti il medesimo procedimento, affermazione resa impossibile dalla non conoscenza da parte della Corte d'Appello del contenuto di tali atti. L'unica interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'articolo 210 c.p.c., dunque, era quella di imporre in ogni caso l'esibizione della documentazione, avendo tale norma l'unico limite di cui all'articolo 118 c.p.c., afferente il segreto professionale, d'ufficio e di Stato, ipotesi estranee al caso in esame. In sostanza, il rigetto dell'istanza di esibizione, impedendo un pieno ed integrale accesso, anche in sede di giurisdizione, a tutta la documentazione avente ad oggetto gli accertamenti compiuti dall'autorita' di vigilanza avrebbe determinato una sensibile, quanto inammissibile, compromissione del diritto di difesa, traducendosi in una violazione dell'articolo 24 Cost., del diritto al giusto processo ex articolo 111 Cost. e 6 CEDU. 2.1 I secondo motivo e' inammissibile. La violazione delle norme costituzionali non puo' essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, si realizza sempre per il tramite dell'applicazione di una norma di legge e deve essere portato ad emersione mediante l'eccezione di illegittimita' costituzionale della norma applicata (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 15879 del 2018). Inoltre, come evidenziato dalla controparte, in sentenza non vi e' alcun riferimento all'istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c., cui fa cenno il ricorrente, riferendosi la motivazione della Corte d'Appello solo al rigetto della richiesta di copia o di accesso alla documentazione effettuata nel procedimento sanzionatorio e ritenuta giustificata dall'estraneita' delle persone e dei fatti rispetto al procedimento sanzionatorio a carico del (OMISSIS), non facenti parti degli atti sui quali si fondava l'incolpazione. La documentazione richiesta dal ricorrente, dunque, non e' stata utilizzata per formulare le contestazioni e dunque risultava irrilevante rispetto all'accertamento. Ne' puo' assumere rilevanza ai fini della tempestivita' della contestazione posto che come si e' detto tale valutazione deve essere fatta ex ante e non ex post quindi indipendentemente dal contenuto dell'atto effettivo. Peraltro, come rilevato dalla Corte d'Appello la violazione del diritto di accesso non comporta la nullita' del provvedimento impugnato per violazione del diritto di difesa. 3. Il terzo motivo di ricorso e' cosi' rubricato: nullita' del procedimento articolo 360 c.p.c., n. 4 in relazione all'articolo 187 septies, comma 6-bis, TUF, articoli 24 e 111 Cost. e 6 CEDU. Il giudice del merito avrebbe omesso di sentire il ricorrente che l'aveva espressamente richiesto (come risulta da ricorso in appello pagina 64 documento n. 2) senza svolgere alcuna motivazione al riguardo, cosi' incorrendo in ipotesi di nullita' del procedimento. L'audizione dell'incolpato era potenzialmente idonea ad incidere tanto sulle valutazioni di merito in tema di accertamento della contestata illiceita' della condotta ascritta, quanto in relazione alla graduazione delle sanzioni irrogate. 4. Il quarto motivo di ricorso subordinato al terzo e' cosi' rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione all'articolo 187 sexies, comma 6 bis, TUF articoli 24 e 111 Cost. e 6 CEDU. Il ricorrente ripropone la medesima censura di cui al terzo motivo non piu' sotto il profilo della nullita' del procedimento ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, ma in relazione alla violazione dell'articolo 187 sexies, comma 6 bis, TUF. 4.1 I terzo e il quarto motivo di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente sono infondati. Questa Corte ha richiesto con ordinanza interlocutoria, all'esito dell'udienza del 29 novembre 2019, il fascicolo di ufficio del giudizio tenuto dinanzi la Corte d'Appello dal cui esame e' emerso che il (OMISSIS) non era presente all'udienza di discussione della causa dinanzi la Corte d'Appello e che la sua difesa in quell'occasione non ha eccepito alcun impedimento, ne' ha chiesto un rinvio al fine di procedere all'audizione. Una tale condotta processuale implica una volonta' implicita di rinuncia alla richiesta di essere sentito, sicche' nessuna violazione dell'articolo 187 septies, comma 6-bis, TUF, si e' determinata. In particolare, nel verbale di udienza si da' atto solo della presenza dell'avvocato e non della parte e non risulta alcuna richiesta di rinvio per impedimento. D'altra parte, il ricorrente, con il presente motivo di ricorso, richiama solamente l'atto introduttivo del giudizio dinanzi la Corte d'Appello con il quale aveva espressamente richiesto di essere sentito ma non deduce di aver formulato all'udienza di discussione una formale richiesta di rinvio, insistendo nella richiesta di audizione nonostante l'impedimento del (OMISSIS) a presenziare. 5. Il quinto motivo di ricorso e' cosi' rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'articolo 115 c.p.c. e articoli 2727 e 2729 c.c.. La Corte di merito avrebbe posto a base della propria decisione una cosiddetta doppia presunzione, cosi' violando le richiamate disposizioni di legge. In particolare, la Corte di merito avrebbe dedotto il fatto ignoto relativo all'acquisizione da parte dell'ingegner (OMISSIS) della notizia privilegiata, da un fatto altrettanto ignoto e solo presunto, quale il possesso di tale notizia da parte dei cosiddetti insider primari. Il ricorso da parte dell'autorita' di vigilanza ad una doppia presunzione sarebbe inammissibile in virtu' dell'articolo 2727 c.c., in particolare la Corte sarebbe giunta alla conclusione che (OMISSIS) aveva avuto contatti con i presunti insider primari sulla base del ruolo svolto da costoro all'interno della societa' che li poneva in condizione di conoscere l'informazione privilegiata. Dunque, la presunzione di acquisizione dell'informazione privilegiata da parte dell'ingegner (OMISSIS) si desumerebbe non da' un fatto noto, ma da uno ignoto, quale il possesso della stessa informazione privilegiata in capo ai suddetti insider primari. Peraltro, la stessa autorita' di vigilanza aveva ritenuto di non agire nei confronti dei presunti insider primari per l'insussistenza di elementi sufficienti per provare l'illecito di abuso di informazioni privilegiate, quali la comunicazione al (OMISSIS). Infine, l'accertamento presuntivo dell'autorita' di vigilanza si fonderebbe su fatti generici ed inidonei a fornire tale prova. 5. Il quinto motivo di ricorso e' infondato. La Corte d'Appello ha fatto ricorso alla prova presuntiva per affermare il possesso da parte del (OMISSIS) dell'informazione privilegiata deducendo la stessa da una serie di elementi certi e non solo dai suoi contatti con gli esponenti aziendali presunti insider primari possessori dell'informazione privilegiata. La Corte d'Appello, infatti, ha ritenuto rilevanti i seguenti fatti noti: l'aver ricoperto il (OMISSIS) diversi ruoli professionali di natura dirigenziale, sia presso (OMISSIS) sia presso il gruppo (OMISSIS); l'essere rimasto in contatto con numerose persone operanti presso le suddette societa' che erano nella condizione di conoscere l'informazione privilegiata; l'aver avuto contatti con i suddetti esponenti azienda a ridosso della realizzazione dell'operazione contestata; la natura dell'operazione dato che il disinvestimento operato dal (OMISSIS) era di grande dimensione, rispetto alle vendite precedentemente effettuate e difforme rispetto sia alla pregressa operativita' che alla composizione del suo portafoglio; il fatto che la vendita era stata effettuata in assenza di rumors o eventi societari o studi da parte di analisti finanziari. Infine, la Corte d'Appello ha smentito la giustificazione del (OMISSIS) circa le ragioni della vendita delle azioni finalizzata a rimodulare il profilo di rischio del suo portafoglio e alla necessita' di ottenere liquidita' per far fronte ad esigenze di spesa personale e per ottenere la provvista necessaria per finanziare un'altra societa'. Nella sentenza si legge, infatti, che il carattere anomalo dell'operazione si fondava sul fatto che non poteva giustificarsi la scelta del (OMISSIS) sulla necessita' di liquidita', avendo egli reinvestito il ricavato della vendita in altri strumenti finanziari. Deve peraltro ribadirsi che, in tema di sanzioni amministrative, il ricorso alle presunzioni semplici e' possibile (Cass. S.U. 30 settembre 2009, n. 20930; Cass. 10 agosto 2007, n. 17615 cit.); in tal caso i fatti sui quali esse si fondano devono essere tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilita' e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimita' se non nei ristretti limiti di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 4 febbraio 2005, n. 2363). La questione finisce quindi per risolversi sul piano della correttezza delle argomentazioni spese dal giudice del merito per inferire il fatto ignoto da quello noto. Ma sul punto si e' detto che la sentenza riguardo agli argomenti presuntivi spesi e' ampiamente motivata. La decisione della Corte d'Appello, dunque, si fonda su un ragionamento presuntivo fondato interamente su fatti certi e complessivamente considerati, sicche' non vi e' stata alcuna violazione del divieto di doppia presunzione. Peraltro, in proposito deve anche richiamarsi il seguente principio di diritto affermato di recente da questa Corte: "Nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non e' riconducibile ne' agli articoli 2729 e 2697 c.c., ne' a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un'ulteriore presunzione idonea in quanto a sua volta adeguata - a fondare l'accertamento del fatto ignoto" (Sez. 5, Ord. n. 20748 del 2019). 6. Il sesto motivo di ricorso e' cosi' rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'articolo 187 sexies TUF e articolo 117 Cost., articoli 30 e 31 regolamento UE n. 596/2014 e 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. La Corte milanese sarebbe incorsa nelle suddette violazioni nella determinazione delle sanzioni irrogate. In particolare, con riguardo alla confisca dell'intero ricavato della vendita in luogo del solo illecito profitto conseguito con l'utilizzo dell'informazione privilegiata. In tal modo la sanzione irrogata al ricorrente sarebbe irragionevole e sproporzionata e in violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 117 Cost., nonche' al regolamento Ue n. 596/2014 necessariamente vincolante nell'interpretazione dell'articolo 187 sexies TUF. 6.1 Il sesto motivo e' fondato. La Corte costituzionale, con sentenza n. 112 del 2019 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-sexies, nel testo originariamente introdotto dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, lettera a), (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' Europee. Legge comunitaria 2004), nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto e, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 27 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-sexies, nella versione risultante dalle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 14, recante "Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE", nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito, e non del solo profitto. Secondo la Corte Costituzionale, il principio di proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' dell'illecito e' applicabile anche alla generalita' delle sanzioni amministrative. Cio' premesso, in tema di abusi di mercato, mentre l'ablazione del "profitto" ha una mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo all'autore, la confisca del "prodotto" - identificato nell'intero ammontare degli strumenti acquistati dall'autore, ovvero nell'intera somma ricavata dalla loro alienazione - cosi' come quella dei "beni utilizzati" per commettere l'illecito - identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall'autore - hanno un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore. Tali forme di confisca assumono pertanto una connotazione "punitiva", infliggendo all'autore dell'illecito una limitazione al diritto di proprieta' di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. Nel vigente sistema sanzionatorio degli abusi di mercato, la (predominante) componente "punitiva" insita nella confisca del "prodotto" dell'illecito e dei "beni utilizzati" per commetterlo si aggiunge all'afflizione determinata dalle altre sanzioni previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998 e, in particolare, dalla sanzione amministrativa pecuniaria. Una sanzione, quest'ultima, la cui cornice edittale e' essa pure di eccezionale severita', potendo giungere sino ad un massimo di cinque milioni di Euro, aumentabili in presenza di particolari circostanze fino al triplo, ovvero fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito. In conclusione la Corte Costituzionale ha ritenuto che la combinazione tra una sanzione pecuniaria di eccezionale severita', ma graduabile in funzione della concreta gravita' dell'illecito e delle condizioni economiche dell'autore dell'infrazione, e una ulteriore sanzione anch'essa di carattere "punitivo" come quella rappresentata dalla confisca del prodotto e dei beni utilizzati per commettere l'illecito, che per di piu' non consente all'autorita' amministrativa e poi al giudice alcuna modulazione quantitativa, necessariamente conduce, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati. La sentenza n. 112 del 2019 della Corte Costituzionale impone di rivedere l'entita' della confisca adeguandola alla sola quantificazione del profitto, escludendo dal calcolo il prodotto e i mezzi utilizzati per commettere l'illecito che, invece, nel caso di specie sono stati anch'essi oggetto della misura della sanzione accessoria. 7. Il settimo motivo di ricorso e' cosi' rubricato: violazione falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione al Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, e articolo 117 Cost. e articolo 7 CEDU. La censura attiene alla quantificazione della sanzione e alla mancata applicazione della L. n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, secondo cui alle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, non si applica la L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 39, comma 3, con il quale i minimi e i massimi della sanzione erano stati portati da un minimo di Euro 20.000 a un minimo di Euro 100.000 e da un massimo di Euro 5.000.000 a un massimo di Euro 25.000.000. 7.1 Il settimo motivo e' fondato. All'applicazione del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, invocato dal ricorrente, ostava il disposto del comma 2 del medesimo articolo, che espressamente escludeva l'applicazione retroattiva in mitius delle modifiche al trattamento sanzionatorio degli illeciti previsti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, introdotte dallo stesso Decreto Legislativo n. 72 del 2015, tra i quali, pertanto, anche quelle di cui al comma successivo. Tale ragione ostativa e' superata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 2019 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, nella parte in cui esclude l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso articolo 6 alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, nonche', in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 27 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla mancata previsione - da parte del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, - della retroattivita' delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso articolo 6 alle corrispondenti sanzioni amministrative previste per l'illecito di cui all'articolo 187-ter (Manipolazione del mercato) del Decreto Legislativo n. 58 del 1998. Dalla declaratoria di incostituzionalita' del Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, discende che nella fattispecie in esame non puo' (e non poteva) applicarsi la quintuplicazione delle sanzioni prevista dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 39, comma 3 e che, invece debba trovare applicazione il nuovo regime sanzionatorio, di cui al citato Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3. 8. In conclusione la Corte accoglie il sesto e il settimo motivo di ricorso, rigetta i retanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione al fine di rideterminare la sanzione pecuniaria comminata in via principale e quella accessoria della confisca. Il giudice del rinvio provvedera' anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il sesto e il settimo motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa e rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione che decidera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 5205/2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro CONSOB, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 3124/2016 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti motivi; uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ha presentato ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 3124/2016 della Corte di appello di Milano, pubblicata in data 26 luglio 2016. Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB). Con Delib. 3 novembre 2015, n. 19438, la CONSOB applico', tra gli altri, a (OMISSIS) la sanzione amministrativa pecuniaria, Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-bis (TUF), pari a Euro 110.000,00, nonche' la sanzione interdittiva ex Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-quater, comma 1 (TUF) di mesi tre, per aver acquistato per conto di (OMISSIS) (fondo gestito da (OMISSIS)) tra il (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), n. 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS). Una operazione di acquisto delle azioni di risparmio (OMISSIS) ( (OMISSIS)) era stata eseguita da (OMISSIS) S.p.a. per conto di (OMISSIS) s.p.a. ( (OMISSIS)) tramite una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding (RABB) rivolta a soli investitori qualificati e conclusa l'(OMISSIS), al fine di realizzare l'esigenza di (OMISSIS) di disporre dei voti necessari per ottenere l'approvazione dell'operazione di fusione in (OMISSIS) ad opera dell'assemblea degli azionisti di risparmio di (OMISSIS). L'informazione di carattere privilegiato, quanto meno al 17 luglio 2013, attinente al progetto di acquisto da parte di (OMISSIS) delle azioni (OMISSIS), era stata comunicata da (OMISSIS), responsabile dell'unita' Syndacation di (OMISSIS), ad alcuni esponenti aziendali di (OMISSIS), in particolare (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano cosi' acquistato per conto di (OMISSIS) n. 1.378.213 azioni (OMISSIS) nel periodo immediatamente precedente alla divulgazione al mercato dell'operazione di RABB. Avverso la Delib. CONSOB 3 novembre 2015, n. 19438, (OMISSIS) presento' opposizione, deducendo l'insussistenza, nella specie, di un'informazione privilegiata al 17 luglio 2013, la mancanza di prova della comunicazione dell'informazione, l'erronea quantificazione della sanzione per violazione del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3 e del principio del favor rei, l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB. Con sentenza n. 3124/2016, la Corte d'appello di Milano ha rigettato il ricorso di (OMISSIS). Le parti hanno da ultimo presentato memorie, ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., in data 23 dicembre 2019 e 3 gennaio 2020. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve dapprima rigettarsi l'istanza di riunione tra il presente giudizio di cassazione e quelli contraddistinti come R.G. 5211/2017, 5207/2017 e 5210/2017. Si tratta di ricorsi proposti contro distinte sentenze pronunciate in separati giudizi di opposizione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-septies, intercorsi fra soggetti diversi. La riunione richiesta, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l'economia ed il minor costo dei giudizi di cassazione, ne' favorirebbe la loro ragionevole durata. 1. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) lamenta la "nullita' della sentenza per error in procedendo - violazione degli articoli 132 e 276 c.p.c. e degli articoli 114, 118 e 119 disp. att. c.p.c.". La censura evidenzia la sostanziale identicita' del testo delle cinque sentenze che hanno respinto le rispettive opposizioni promosse avverso la stessa delibera sanzionatoria da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), pur trattandosi di sentenze pronunciate all'esito di distinte udienze di discussione (28 giugno 2016 e 12 luglio 2016), decise da diversi collegi giudicanti e redatte da diversi giudici estensori. Tutto cio' renderebbe impossibile identificare i giudici che abbiano emesso l'impugnata sentenza n. 3124/2016 della Corte d'appello di Milano, e lascerebbe anzi desumere che le uniformi decisioni siano state assunte nel corso di un'unica Camera di consiglio estesa alla partecipazione di tutti i componenti dei diversi collegi. 1.1. Il primo motivo di ricorso e' del tutto infondato. Dal combinato disposto degli articoli 132 e 276 c.p.c., e' agevole ricavare il principio secondo cui la paternita' della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell'epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E' poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell'intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all'udienza di discussione (nella specie, come risulta dal verbale dell'udienza collegiale del 28 giugno 2016, Presidente (OMISSIS), Giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell'identita' dell'organo presente all'udienza di discussione con quello deliberante, principio ovviamente operante anche per l'udienza pubblica di discussione dell'opposizione ex articolo 187-septies TUF (arg. da Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564; Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662). La nullita' della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione puo' essere percio' dichiarata solo quando vi sia la prova della diversita' tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa, come risultante dal verbale d'udienza, il quale fa fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva, espressa dagli stessi giudici a fine udienza, di prendere la decisione in Camera di consiglio, senza che neppure rilevi a tal fine l'eventuale presenza di altri giudici che non abbiano concorso alla deliberazione. Il verbale dell'udienza di discussione ingenera, percio', la presunzione della deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all'udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall'articolo 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi e' quello di controllare che i giudici presenti nella Camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell'udienza di discussione (Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879), restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585). Ne' puo' dunque valere a sovvertire tale presunzione di coincidenza tra i giudici della Corte d'appello di Milano che assistettero alla discussione della causa all'udienza del 28 giugno 2016 e i giudici che hanno deliberato la decisione qui impugnata, la corrispondenza testuale di quest'ultima con altre sentenze rese da diversi collegi con riguardo agli altri soggetti coinvolti in questa stessa vicenda sostanziale, atteso che l'assoluta similitudine delle fattispecie decise rendeva del tutto comprensibile, se non addirittura opportuna, una uniformazione dei diversi estensori in sede di successiva stesura delle rispettive motivazioni. L'identita' della motivazione di una sentenza rispetto a quella espressa in pronunce riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche, non e', dunque, ragione che lascia desumere che la decisione sia stata deliberata in Camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione della causa, rimanendo distinta la questione se poi tale uniforme motivazione si riveli di per se' erronea, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta. Come affermato in Cass. Sez. U., 16/01/2015, n. 642, "per il diritto positivo non si pone un problema di originalita' ovvero di paternita' con riguardo alle modalita' espressive utilizzate in motivazione, tanto meno con riguardo ai contenuti di essa", giacche' quel che e' piuttosto irrinunciabile e' che "la decisione e l'individuazione delle ragioni che la sostengono siano attribuibili al giudice, costituendo manifestazione ufficiale della volonta' dello Stato che attraverso il giudice si esprime, ed inoltre che esse siano corrette e complete nonche' esposte in maniera chiara, coerente ed esaustiva". L'identita' delle motivazioni di sentenze pronunciate da diversi collegi o in diverse udienze non infirma, dunque, l'attribuibilita', ai rispettivi giudici che le abbiano emesse, della decisione e della individuazione delle ragioni che le sostengano, ne' lascia ragionevolmente supporre alcuna indebita influenza sul procedimento di formazione della volonta' espressa nelle pronunce adottate. 2. Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, articoli 2727 e 2729 c.c. e articoli 115 e 116 c.c., nonche' la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., L. n. 689 del 1981, articolo 23 e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 11, per avere la Corte d'appello di Milano dedotto, in forza di un errato ragionamento presuntivo, che la rivelazione dell'informazione privilegiata attinente alla procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding avesse consentito a (OMISSIS) "di acquistare grossi volumi di (OMISSIS) a prezzi relativamente bassi e comunque con la certezza che al momento del RABB (gli acquirenti) ne avrebbero ricavato un premio che si collocava, presumibilmente, intorno al 5%". La sentenza impugnata ha invero ricavato in via di presunzioni la prova dell'avvenuta comunicazione dell'informazione previlegiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) detta informazione era in possesso di (OMISSIS) (cd. insider primario); 2) vi era stato nel periodo rilevante un fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra il (OMISSIS) e gli esponenti aziendali di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (cd. insider secondari); 3) il medesimo (OMISSIS) era legato da un rapporto stretto di amicizia con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 4) emergeva un significativo ed anomalo disallineamento negli acquisti di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) dopo la ricezione dell'informazione privilegiata ed in prossimita' del RABB, arrivando al numero di 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS) in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013. Il ricorrente nella seconda censura evidenzia tuttavia come l'utilizzo delle presunzioni da parte della Corte di Milano avrebbe comunque lasciato indimostrate la data in cui sarebbe avvenuta la comunicazione dell'informazione privilegiata e la persona fisica che l'avrebbe ricevuta. Si aggiunge che il "fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle persone di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)" sia dato connotato da "irrilevanza indiziaria", e che, inoltre, CONSOB non avrebbe neppure contestato l'assenza di ogni anomalia nella compravendita delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), avendo quest'ultima, peraltro, operato gli acquisti piu' significativi dei titoli nel mese di agosto, quando ormai il prezzo era salito in maniera cospicua. 2.1. Il secondo motivo di ricorso e' anch'esso infondato. Il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis (poi sostituita dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9) sanziona, tra l'altro, chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate, e conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, acquista, vende o compie altre operazioni su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime La censura in esame deduce, come visto, che la Corte d'appello non abbia individuato, nel suo percorso motivazionale, il momento della comunicazione a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dell'informazione privilegiata proveniente da (OMISSIS), essendo irrilevante il "fitto scambio di corrispondenza" accertato, e nega pure la significativita' indiziaria del disallineamento operativo di (OMISSIS) nel periodo temporale di riferimento. Tali critiche, soffermandosi sull'ipotizzata decisivita' della comunicazione dell'informazione privilegiata (ex articolo 181 TUF, vigente ratione temporis, nella specie consistente, come visto, nella determinazione di (OMISSIS) s.p.a. di avviare una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding per acquistare azioni di risparmio (OMISSIS)), non considerano l'interpretazione prescelta da questa Corte circa la fattispecie sanzionatoria in questione. Secondo, infatti, quanto gia' chiarito da Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27225, il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, come sostituito dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 4, nella specie applicabile ratione temporis, da' esclusivo rilievo al fatto che l'agente fosse "in possesso di informazioni privilegiate", e facesse percio' uso delle stesse - conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato - per compiere taluna delle azioni descritte nel comma 1, senza postulare l'acquisizione dolosa della notizia privilegiata. Consegue che, ai fini della configurabilita' dell'illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisivita' le modalita' attraverso cui l'informazione privilegiata sia stata acquisita dall'accipiens, ne' occorre provare la consapevole comunicazione dell'informazione da chi originariamente l'abbia detenuta (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010 - dep. 03/03/2010, n. 8588). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, ne' che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, ne' che si dia prova di un'appropriazione dell'informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operativita', piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilita') della natura privilegiata dell'informazione stessa in possesso dell'agente. Basta, dunque, per la sanzionabilita' ai sensi dell'articolo 187-bis, comma 4, TUF, la dimostrazione della compravendita di titoli da parte di chi sia a conoscenza della informazione privilegiata per ricavarne la necessaria prova del possesso, prescindente dalla verifica su come quell'informazione sia stata ottenuta. La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l'informazione posseduta e l'attivita' trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell'informazione e l'utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari. Cass. sez. II 16/10/2017, n. 24310, ha precisato, in tal senso, che "nel testo dell'articolo 187 TUF, l'espressione "informazione" va intesa quale "conoscenza", indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all'agente". Cosi' gia' Corte di Giustizia UE, 23 dicembre 2009, n. 45 (i cui principi vanno, peraltro, ora riletti alla luce dell'articolo 9 del Regolamento 596/2014/UE, entrato in vigore il 3 luglio 2016), osservava come "l'articolo 2, n. 1, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al comma 2 di tale disposizione, che detiene informazioni privilegiate, acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono, comporta che tale persona ha "utilizzato tali informazioni" ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell'abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalita' di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l'integrita' dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parita' e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate". Quanto al quadro indiziario su cui la Corte di Milano ha complessivamente basato l'accertamento che (OMISSIS) fosse "in possesso di informazioni privilegiate" al momento degli acquisti delle azioni di risparmio (OMISSIS) (dando valore, in particolare, ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), insider primario, ed al disallineamento delle operazioni su titoli (OMISSIS) compiute da (OMISSIS) tra fine luglio ed inizio agosto 2013), indicativamente Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16253, spiego', in termini che vanno qui ribaditi, come alcuna incompatibilita' sussista tra la condotta di abuso di informazioni privilegiate e il suo accertamento mediante presunzioni, essendo, piuttosto, la prova presuntiva "spesso l'unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalita' che escludono attivita' di documentazione, mentre la rappresentazione dell'insider trading attraverso prove orali e' eventualita' per lo piu' esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all'incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo". Anche Cass. Sez. U., 30/09/2009, n. 20930, aveva riconosciuto che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria puo' essere offerta altresi' mediante presunzioni semplici, nel senso dunque, come congruamente evincibile nella sentenza impugnata, che l'esistenza del fatto ignoto sia deduttivamente ricavata quale conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilita' e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio percio' insindacabile in sede di legittimita' - al di fuori dei limiti segnati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, giacche' logicamente motivato in base a detti criteri. L'analisi dei dati di acquisto mensili delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), con la negoziazione di 1.378.213 titoli in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013, in prossimita' con l'esecutivita' dell'operazione di RABB, concreta il fatto noto idoneo a desumere, nel ragionamento della Corte di Milano, il fatto ignoto del possesso dell'informazione. La sentenza impugnata, come si e' visto, ha concluso per la sussistenza dell'illecito ex articolo 187-bis, comma 4, TUF, sulla base delle relazioni tra l'insider primario e i soggetti a conoscenza dell'informazione, dell'incongruenza delle operazioni contestate agli insider secondari rispetto alle "normali" modalita' di investimento adottate dallo stesso operatore, nonche' dell'entita' dell'operazione di acquisto. Ai fini del controllo per violazione di norma di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come dedotto dal ricorrente in relazione agli articoli 2727 e 2729 c.c., deve considerarsi che il sindacato di legittimita' opera soltanto o quando il giudice del merito abbia direttamente violato tale ultima norma, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, o, al piu', quando quegli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravita', precisione e concordanza, sussumendo, cioe', sotto la previsione dell'articolo 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, ed incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta" (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Le considerazioni svolte dal ricorrente nel secondo motivo (in particolare, sul carattere non anomalo dell'operativita' di (OMISSIS) nell'intervallo temporale di riferimento) non scalfiscono i requisiti della precisione, gravita' e concordanza degli elementi presuntivi assemblati dalla Corte d'appello, e, in realta', rimettono unicamente in discussione l'opportunita' di fondare la decisione sulla prova per presunzioni, opportunita' che invece rientra nei compiti del giudice di merito e rimane sottratta al controllo in sede di legittimita'. Ne' sulla valutazione del carattere anomalo, o meno, delle operazioni contestate all'insider, rispetto al normale agire dell'investitore sul mercato, puo' incidere l'assunta "non contestazione" attribuita alla CONSOB, atteso che il principio di non contestazione, di cui all'articolo 115 c.p.c., comma 1, opera soltanto rispetto all'esistenza dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato, e non anche in relazione alla valutazione della significativita' di tali fatti - nella specie a fini indiziari - rimessa pur sempre al giudice (arg. da Cass. Sez. L, 19/08/2019, n. 21460). La natura "punitiva" della sanzione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, come da ultimo affermato in Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, e la conseguente operativita' al riguardo della regola della retroattivita' in mitius della legge penale, sotto il profilo della necessaria equiparazione del trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che abbia disposto l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice (nei limiti che saranno illustrati di seguito piu' diffusamente a proposito del terzo motivo di ricorso), inducono, infine, a considerare che la disciplina di cui all'articolo 187-bis TUF e' stata oggetto, dopo la pronuncia dell'impugnata sentenza, di una nuova modificazione da parte del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, recante norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation, o Regolamento MAR). Tale sopravvenuta formulazione normativa definisce, allora, le condotte costitutive dell'illecito amministrativo (ridenominato "Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate") mediante un mero rinvio alle ipotesi indicate nell'articolo 14 del predetto Regolamento UE, il quale fa divieto di: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate. Il testo della norma introdotta dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, ed attualmente vigente, riallinea, pertanto, sul piano dei soggetti, le figure degli insider primari e degli insider secondari, in conformita' alle finalita' del Regolamento MAR, il quale fonda il disvalore dell'insider trading proprio sull'uso della notizia, idonea ad influenzare l'andamento delle quotazioni di mercato, ad opera di chi ne sia comunque in possesso al momento del compimento dell'operazione su un determinato strumento finanziario, in tal modo approfittando di una situazione di asimmetria informativa. 3. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 187-bis e 187-quinquies del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6 e dell'articolo 3 Cost., nonche' la violazione del principio del favor rei, e la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e dell'articolo 2702 c.c.. Si sostiene che la Corte d'appello abbia erroneamente escluso l'immediata applicazione della disciplina sopravvenuta piu' favorevole, introdotta dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, ritenendo comunque non operante la quintuplicazione della L. 28 dicembre 2005, n. 262, ex articolo 39, comma 3. Il ricorrente ripropone al riguardo anche la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 689 del 1981, articolo 1, evidenzia la natura penale della sanzione irrogata dalla CONSOB ai fini della invocazione della lex mitior e considera come dovesse essere eliminata la quintuplicazione L. n. 262 del 2005, ex articolo 39, comma 3, dando applicazione al Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3. 3.1. Nella decisione del terzo motivo di ricorso occorre tener conto di quanto statuito da Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, nella parte in cui tale norma, appunto, escludeva l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articoli 187-bis e 187-ter. La Corte Costituzionale, premessa l'applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior in materia penale - fondato sull'articolo 3 Cost. e sull'articolo 117 Cost., comma 1 - anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura "punitiva", quali appunto sono le sanzioni amministrative previste per l'abuso di informazioni privilegiate di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, ha cosi' affermato che la deroga alla retroattivita' in mitius stabilita dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, non supera il "vaglio positivo di ragionevolezza" ed e', pertanto, costituzionalmente illegittima. La natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, e' stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua "elevatissima carica afflittiva", giacche' "destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall'autore, a sua volta oggetto di separata confisca", "in funzione di una finalita' di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che e' certamente comune anche alle pene in senso stretto". La natura "penale" di tale sanzione, ai sensi dell'articolo 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo "elevato carico di severita'", e' stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (sentenza 20 marzo 2018, Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. Sez. 2, 06/12/2018, n. 31632). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimita' della deroga, contenuta nel Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, alla retroattivita' in mitius del piu' favorevole regime sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico e' consistito nella "dequintuplicazione" delle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila Euro. Il principio dell'applicazione della disciplina piu' favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF, impone una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare e, dunque, la cassazione in tali limiti della sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale. La considerazione svolta dalla Corte d'appello di Milano, secondo cui la sanzione concretamente irrogata si colloca comunque all'interno della nuova cornice edittale (da ventimila a tre milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, salva la possibilita' di procedere agli aumenti di cui dello stesso articolo 6, comma 5 e poi da ventimila Euro a cinque milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito, nei casi previsti del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, stesso articolo 187-bis, comma 5), non esclude che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, deve non di meno ritenersi illegittima la sanzione inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente (arg. da Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 28/07/2015, n. 33040; Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 15/09/2015, n. 37107), non essendo, peraltro, il giudice di rinvio, chiamato a rimodulare la sanzione entro il nuovo ambito edittale, neppure necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all'importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita', pur rimanendo intatto il giudizio di disvalore espresso in precedenza. Non puo' percio' nemmeno procedersi sul punto ad una decisione della causa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, potendosi questa ammettere solo quando la controversia debba essere giudicata in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell'errato - e percio' cassato giudizio di diritto, e non invece quando si renda necessaria la pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, come, nella specie, in conseguenza dell'annullamento della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio, nonche' della correlata esigenza di dare applicazione ad una diversa norma attinente alla determinazione delle sanzioni irrogabili. 4. Il quarto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 24, 97, 111 Cost., Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-septies, L. n. 262 del 2005, articolo 24 e dell'articolo 6 CEDU. Si assume che la Corte d'appello abbia "sbrigativamente respinto" il motivo di opposizione che denunciava l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB per violazione del principio di separazione organica tra attivita' istruttoria/requirente ed attivita' decidente, nonche' per violazione dei principi sul giusto procedimento, del diritto di difesa e delle norme indicate. A sostegno della censura in esame il ricorrente richiama la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, con riguardo alle esigenze dell'articolo 6 CEDU, operanti altresi' per il procedimento dinanzi alla CONSOB. 4.1. Il quarto motivo di ricorso non offre elementi per mutare il consolidato orientamento espresso al riguardo di tali questioni di diritto dalla Corte di cassazione, orientamento al quale si e' uniformato il provvedimento impugnato. Come piu' volte ribadito in giurisprudenza, invero (anche proprio con riferimento al cumulo di funzioni di iniziativa procedimentale, istruttorie e decisorie che implica la regolamentazione secondaria dell'organizzazione della CONSOB), in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex articolo 6 CEDU, puo' essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa - nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria -, ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio - adottato in assenza di tali garanzie - ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l'effetto di sanare alcuna illegittimita' originaria della fase amministrativa, giacche' la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato articolo 6, e' comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. 2, 21/03/2019, n. 8046; Cass. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20689; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3734; Cass. Sez. 2, 13/01/2017, n. 770; Cass. Sez. 2, 22/04/2016, n. 8210; Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20935). 5. Devono, quindi, rigettarsi il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, mentre e' da accogliere, nei termini indicati, il terzo motivo di ricorso. La causa va percio' rinviata alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, la quale procedera' ai necessari accertamenti di fatto per la rideterminazione del nuovo trattamento sanzionatorio da commisurare al caso concreto, conseguente alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, facendo applicazione delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF, e provvedera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 5211/2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro CONSOB, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 3123/2016 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA. udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l'accoglimento del quarto motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti motivi; uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ha presentato ricorso, articolato in cinque motivi, avverso la sentenza n. 3123/2016 della Corte di appello di Milano, pubblicata in data 26 luglio 2016. Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB). Con Delib. 3 novembre 2015, n. 19438, la CONSOB applico', tra gli altri, a (OMISSIS) la sanzione amministrativa pecuniaria, Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-bis (TUF), pari a Euro 110.000,00, nonche' la sanzione interdittiva ex Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-quater, comma 1 (TUF) di mesi tre, per aver acquistato per conto di (OMISSIS) (fondo gestito da (OMISSIS)) tra il 26 luglio e l'8 agosto 2013, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), n. 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS). Una operazione di acquisto delle azioni di risparmio (OMISSIS) ( (OMISSIS)) era stata eseguita da (OMISSIS) S.p.a. per conto di (OMISSIS) s.p.a. ( (OMISSIS)) tramite una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding (RABB) rivolta a soli investitori qualificati e conclusa l'8 agosto 2013, al fine di realizzare l'esigenza di (OMISSIS) di disporre dei voti necessari per ottenere l'approvazione dell'operazione di fusione in (OMISSIS) ad opera dell'assemblea degli azionisti di risparmio di (OMISSIS). L'informazione di carattere privilegiato, quanto meno al 17 luglio 2013, attinente al progetto di acquisto da parte di (OMISSIS) delle azioni (OMISSIS), era stata comunicata da (OMISSIS), responsabile dell'unita' Syndacation di (OMISSIS), ad alcuni esponenti aziendali di (OMISSIS), in particolare (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano cosi' acquistato per conto di (OMISSIS) n. 1.378.213 azioni (OMISSIS) nel periodo immediatamente precedente alla divulgazione al mercato dell'operazione di RABB. Avverso la Delib. CONSOB 3 novembre 2015, n. 19438, (OMISSIS) presento' opposizione, deducendo l'insussistenza, nella specie, di un'informazione privilegiata al 17 luglio 2013, la mancanza di prova della comunicazione dell'informazione, l'erronea quantificazione della sanzione per violazione del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3 e del principio del favor rei, l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB. Con sentenza n. 3123/2016, la Corte d'appello di Milano ha rigettato il ricorso di (OMISSIS). Le parti hanno da ultimo presentato memorie, ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., in data 23 dicembre 2019 e 3 gennaio 2020. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve dapprima rigettarsi l'istanza di riunione tra il presente giudizio di cassazione e quelli contraddistinti come R.G. 5210/2017, 5207/2017 e 5205/2017. Si tratta di ricorsi proposti contro distinte sentenze pronunciate in separati giudizi di opposizione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-septies, intercorsi fra soggetti diversi. La riunione richiesta, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l'economia ed il minor costo dei giudizi di cassazione, ne' favorirebbe la loro ragionevole durata. 1. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) lamenta la "nullita' della sentenza per error in procedendo - violazione degli articoli 132 e 276 c.p.c. e degli articoli 114, 118 e 119 disp. att. c.p.c.". La censura evidenzia la sostanziale identicita' del testo delle cinque sentenze che hanno respinto le rispettive opposizioni promosse avverso la stessa Delibera sanzionatoria da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), pur trattandosi di sentenze pronunciate all'esito di distinte udienze di discussione (28 giugno 2016 e 12 luglio 2016), decise da diversi collegi giudicanti e redatte da diversi giudici estensori. Tutto cio' renderebbe impossibile identificare i giudici che abbiano emesso l'impugnata sentenza n. 3123/2016 della Corte d'appello di Milano, e lascerebbe anzi desumere che le uniformi decisioni siano state assunte nel corso di un'unica Camera di consiglio estesa alla partecipazione di tutti i componenti dei diversi collegi. 2. Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia la nullita' della sentenza impugnata per violazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-septies, nonche' la violazione degli articoli 24 e 111 Cost.. Si assume la non veridicita' della frase contenuta nella pronuncia della Corte d'appello di Milano, secondo cui i giudizi instaurati da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e i giudizi instaurati da (OMISSIS) e (OMISSIS), pur assegnati a diversi relatori, sono stati trattati e discussi in modo unitario nelle rispettive udienze del 28 giugno 2016 e del 12 luglio 2016. Viene dedotto che l'uniformita' delle decisioni per le cinque diverse opposizioni sia stata cosi' "raggiunta... prima che avessero luogo tutte le udienze di discussione", adottando tutte le deliberazioni nella Camera di consiglio del 29 giugno 2016. 2.1. I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono del tutto infondati. Dal combinato disposto degli articoli 132 e 276 c.p.c., e' agevole ricavare il principio secondo cui la paternita' della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell'epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E' poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell'intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all'udienza di discussione (nella specie, come risulta dal verbale dell'udienza collegiale del 12 luglio 2016, Presidente (OMISSIS), Giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell'identita' dell'organo presente all'udienza di discussione con quello deliberante, principio ovviamente operante anche per l'udienza pubblica di discussione dell'opposizione ex articolo 187-septies TUF (arg. da Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564; Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662). La nullita' della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione puo' essere percio' dichiarata solo quando vi sia la prova della diversita' tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa, come risultante dal verbale d'udienza, il quale fa fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva, espressa dagli stessi giudici a fine udienza, di prendere la decisione in Camera di consiglio, senza che neppure rilevi a tal fine l'eventuale presenza di altri giudici che non abbiano concorso alla deliberazione. Il verbale dell'udienza di discussione ingenera, percio', la presunzione della deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all'udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall'articolo 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi e' quello di controllare che i giudici presenti nella Camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell'udienza di discussione (Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879), restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585). Ne' puo' dunque valere a sovvertire tale presunzione di coincidenza tra i giudici della Corte d'appello di Milano che assistettero alla discussione della causa all'udienza del 12 luglio 2016 e i giudici che hanno deliberato la decisione qui impugnata, la corrispondenza testuale di quest'ultima con altre sentenze rese da diversi collegi con riguardo agli altri soggetti coinvolti in questa stessa vicenda sostanziale, atteso che l'assoluta similitudine delle fattispecie decise rendeva del tutto comprensibile, se non addirittura opportuna, una uniformazione dei diversi estensori in sede di successiva stesura delle rispettive motivazioni. L'identita' della motivazione di una sentenza rispetto a quella espressa in pronunce riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche, non e', dunque, ragione che lascia desumere che la decisione sia stata deliberata in Camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione della causa, rimanendo distinta la questione se poi tale uniforme motivazione si riveli di per se' erronea, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta. Come affermato in Cass. Sez. U, 16/01/2015, n. 642, "per il diritto positivo non si pone un problema di originalita' ovvero di paternita' con riguardo alle modalita' espressive utilizzate in motivazione, tanto meno con riguardo ai contenuti di essa", giacche' quel che e' piuttosto irrinunciabile e' che "la decisione e l'individuazione delle ragioni che la sostengono siano attribuibili al giudice, costituendo manifestazione ufficiale della volonta' dello Stato che attraverso il giudice si esprime, ed inoltre che esse siano corrette e complete nonche' esposte in maniera chiara, coerente ed esaustiva". L'identita' delle motivazioni di sentenze pronunciate da diversi collegi o in diverse udienze non infirma, dunque, l'attribuibilita', ai rispettivi giudici che le abbiano emesse, della decisione e della individuazione delle ragioni che le sostengano, ne' lascia ragionevolmente supporre alcuna indebita influenza sul procedimento di formazione della volonta' espressa nelle pronunce adottate. 3. Il terzo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, articoli 2727 e 2729 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.c., nonche' la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., L. n. 689 del 1981, articolo 23 e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 11, per avere la Corte d'appello di Milano dedotto, in forza di un errato ragionamento presuntivo, che la rivelazione dell'informazione privilegiata attinente alla procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding avesse consentito a (OMISSIS) "di acquistare grossi volumi di (OMISSIS) a prezzi relativamente bassi e comunque con la certezza che al momento del RABB (gli acquirenti) ne avrebbero ricavato un premio che si collocava, presumibilmente, intorno al 5%". La sentenza impugnata ha invero ricavato in via di presunzioni la prova dell'avvenuta comunicazione dell'informazione previlegiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) detta informazione era in possesso di (OMISSIS) (cd. insider primario); 2) vi era stato nel periodo rilevante un fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra il (OMISSIS) e gli esponenti aziendali di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (cd. insider secondari); 3) il medesimo (OMISSIS) era legato da un rapporto stretto di amicizia con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 4) emergeva un significativo ed anomalo disallineamento negli acquisti di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) dopo la ricezione dell'informazione privilegiata ed in prossimita' del RABB, arrivando al numero di 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS) in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013. Il ricorrente nella terza censura evidenzia tuttavia come l'utilizzo delle presunzioni da parte della Corte di Milano avrebbe comunque lasciato indimostrate la data in cui sarebbe avvenuta la comunicazione dell'informazione privilegiata e la persona fisica che l'avrebbe ricevuta. Si aggiunge che il "fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle persone di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)" sia dato connotato da "irrilevanza indiziaria", e che, inoltre, CONSOB non avrebbe neppure contestato l'assenza di ogni anomalia nella compravendita delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), avendo quest'ultima, peraltro, operato gli acquisti piu' significativi dei titoli nel mese di agosto, quando ormai il prezzo era salito in maniera cospicua. 3.1. Il terzo motivo di ricorso e' anch'esso infondato. Il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis (poi sostituita dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9) sanziona, tra l'altro, chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate, e conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, acquista, vende o compie altre operazioni su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime. La censura in esame deduce, come visto, che la Corte d'appello non abbia individuato, nel suo percorso motivazionale, il momento della comunicazione a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dell'informazione privilegiata proveniente da (OMISSIS), essendo irrilevante il "fitto scambio di corrispondenza" accertato, e nega pure la significativita' indiziaria del disallineamento operativo di (OMISSIS) nel periodo temporale di riferimento. Tali critiche, soffermandosi sull'ipotizzata decisivita' della comunicazione dell'informazione privilegiata (ex articolo 181 TUF, vigente ratione temporis, nella specie consistente, come visto, nella determinazione di (OMISSIS) s.p.a. di avviare una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding per acquistare azioni di risparmio (OMISSIS)), non considerano l'interpretazione prescelta da questa Corte circa la fattispecie sanzionatoria in questione. Secondo, infatti, quanto gia' chiarito da Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27225, il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, come sostituito dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, nella specie applicabile ratione temporis, da' esclusivo rilievo al fatto che l'agente fosse "in possesso di informazioni privilegiate", e facesse percio' uso delle stesse - conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato - per compiere taluna delle azioni descritte nel comma 1, senza postulare l'acquisizione dolosa della notizia privilegiata. Consegue che, ai fini della configurabilita' dell'illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisivita' le modalita' attraverso cui l'informazione privilegiata sia stata acquisita dall'accipiens, ne' occorre provare la consapevole comunicazione dell'informazione da chi originariamente l'abbia detenuta (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010 - dep. 03/03/2010, n. 8588). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, ne' che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, ne' che si dia prova di un'appropriazione dell'informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operativita', piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilita') della natura privilegiata dell'informazione stessa in possesso dell'agente. Basta, dunque, per la sanzionabilita' ai sensi dell'articolo 187-bis, comma 4, TUF, la dimostrazione della compravendita di titoli da parte di chi sia a conoscenza della informazione privilegiata per ricavarne la necessaria prova del possesso, prescindente dalla verifica su come quell'informazione sia stata ottenuta. La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l'informazione posseduta e l'attivita' trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell'informazione e l'utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari. Cass. sez. II, 16/10/2017, n. 24310, ha precisato, in tal senso, che "nel testo dell'articolo 187 TUF, l'espressione "informazione" va intesa quale "conoscenza", indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all'agente". Cosi' gia' Corte di Giustizia UE, 23 dicembre 2009, n. 45 (i cui principi vanno, peraltro, ora riletti alla luce dell'articolo 9 del Regolamento 596/2014/UE, entrato in vigore il 3 luglio 2016), osservava come "l'articolo 2, n. 1, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al comma 2 di tale disposizione, che detiene informazioni privilegiate, acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono, comporta che tale persona ha "utilizzato tali informazioni" ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell'abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalita' di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l'integrita' dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parita' e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate". Quanto al quadro indiziario su cui la Corte di Milano ha complessivamente basato l'accertamento che (OMISSIS) fosse "in possesso di informazioni privilegiate" al momento degli acquisti delle azioni di risparmio (OMISSIS) (dando valore, in particolare, ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), insider primario, ed al disallineamento delle operazioni su titoli (OMISSIS) compiute da (OMISSIS) tra fine luglio ed inizio agosto 2013), indicativamente Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16253, spiego', in termini che vanno qui ribaditi, come alcuna incompatibilita' sussista tra la condotta di abuso di informazioni privilegiate e il suo accertamento mediante presunzioni, essendo, piuttosto, la prova presuntiva "spesso l'unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalita' che escludono attivita' di documentazione, mentre la rappresentazione dell'insider trading attraverso prove orali e' eventualita' per lo piu' esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all'incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo". Anche Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20930, aveva riconosciuto che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria puo' essere offerta altresi' mediante presunzioni semplici, nel senso dunque, come congruamente evincibile nella sentenza impugnata, che l'esistenza del fatto ignoto sia deduttivamente ricavata quale conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilita' e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio percio' insindacabile in sede di legittimita' - al di fuori dei limiti segnati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, giacche' logicamente motivato in base a detti criteri. L'analisi dei dati di acquisto mensili delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), con la negoziazione di 1.378.213 titoli in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013, in prossimita' con l'esecutivita' dell'operazione di RABB, concreta il fatto noto idoneo a desumere, nel ragionamento della Corte di Milano, il fatto ignoto del possesso dell'informazione. La sentenza impugnata, come si e' visto, ha concluso per la sussistenza dell'illecito ex articolo 187-bis, comma 4, TUF, sulla base delle relazioni tra l'insider primario e i soggetti a conoscenza dell'informazione, dell'incongruenza delle operazioni contestate agli insider secondari rispetto alle "normali" modalita' di investimento adottate dallo stesso operatore, nonche' dell'entita' dell'operazione di acquisto. Ai fini del controllo per violazione di norma di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come dedotto dal ricorrente in relazione agli articoli 2727 e 2729 c.c., deve considerarsi che il sindacato di legittimita' opera soltanto o quando il giudice del merito abbia direttamente violato tale ultima norma, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, o, al piu', quando quegli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravita', precisione e concordanza, sussumendo, cioe', sotto la previsione dell'articolo 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, ed incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta" (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Le considerazioni svolte dal ricorrente nel terzo motivo (in particolare, sul carattere non anomalo dell'operativita' di (OMISSIS) nell'intervallo temporale di riferimento) non scalfiscono i requisiti della precisione, gravita' e concordanza degli elementi presuntivi assemblati dalla Corte d'appello, e, in realta', rimettono unicamente in discussione l'opportunita' di fondare la decisione sulla prova per presunzioni, opportunita' che invece rientra nei compiti del giudice di merito e rimane sottratta al controllo in sede di legittimita'. Ne' sulla valutazione del carattere anomalo, o meno, delle operazioni contestate all'insider, rispetto al normale agire dell'investitore sul mercato, puo' incidere l'assunta "non contestazione" attribuita alla CONSOB, atteso che il principio di non contestazione, di cui all'articolo 115 c.p.c., comma 1, opera soltanto rispetto all'esistenza dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato, e non anche in relazione alla valutazione della significativita' di tali fatti - nella specie a fini indiziari - rimessa pur sempre al giudice (arg. da Cass. Sez. L, 19/08/2019, n. 21460). La natura "punitiva" della sanzione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, come da ultimo affermato in Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, e la conseguente operativita' al riguardo della regola della retroattivita' in mitius della legge penale, sotto il profilo della necessaria equiparazione del trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che abbia disposto l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice (nei limiti che saranno illustrati di seguito piu' diffusamente a proposito del terzo motivo di ricorso), inducono, infine, a considerare che la disciplina di cui all'articolo 187-bis TUF e' stata oggetto, dopo la pronuncia dell'impugnata sentenza, di una nuova modificazione da parte del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, recante norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation, o Regolamento MAR). Tale sopravvenuta formulazione normativa definisce, allora, le condotte costitutive dell'illecito amministrativo (ridenominato "Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate") mediante un mero rinvio alle ipotesi indicate nell'articolo 14 del predetto Regolamento UE, il quale fa divieto di: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate. Il testo della norma introdotta dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, ed attualmente vigente, riallinea, pertanto, sul piano dei soggetti, le figure degli insider primari e degli insider secondari, in conformita' alle finalita' del Regolamento MAR, il quale fonda il disvalore dell'insider trading proprio sull'uso della notizia, idonea ad influenzare l'andamento delle quotazioni di mercato, ad opera di chi ne sia comunque in possesso al momento del compimento dell'operazione su un determinato strumento finanziario, in tal modo approfittando di una situazione di asimmetria informativa. 4. Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articoli 187-bis e 187-quinquies, Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6 e dell'articolo 3 Cost., nonche' la violazione del principio del favor rei, e la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e dell'articolo 2702 c.c.. Si sostiene che la Corte d'appello abbia erroneamente escluso l'immediata applicazione della disciplina sopravvenuta piu' favorevole, introdotta dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, ritenendo comunque non operante la quintuplicazione della L. 28 dicembre 2005, n. 262, ex articolo 39, comma 3. Il ricorrente ripropone al riguardo anche la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 689 del 1981, articolo 1, evidenzia la natura penale della sanzione irrogata dalla CONSOB ai fini della invocazione della lex mitior e considera come dovesse essere eliminata la quintuplicazione L. n. 262 del 2005, ex articolo 39, comma 3, dando applicazione al Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3. 4.1. Nella decisione del quarto motivo di ricorso occorre tener conto di quanto statuito da Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, nella parte in cui tale norma, appunto, escludeva l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articoli 187-bis e 187-ter. La Corte Costituzionale, premessa l'applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior in materia penale - fondato sull'articolo 3 Cost. e sull'articolo 117 Cost., comma 1 - anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura "punitiva", quali appunto sono le sanzioni amministrative previste per l'abuso di informazioni privilegiate di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, ha cosi' affermato che la deroga alla retroattivita' in mitius stabilita dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, non supera il "vaglio positivo di ragionevolezza" ed e', pertanto, costituzionalmente illegittima. La natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, e' stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua "elevatissima carica afflittiva", giacche' "destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall'autore, a sua volta oggetto di separata confisca", "in funzione di una finalita' di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che e' certamente comune anche alle pene in senso stretto". La natura "penale" di tale sanzione, ai sensi dell'articolo 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo "elevato carico di severita'", e' stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (sentenza 20 marzo 2018, Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. Sez. 2, 06/12/2018, n. 31632). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimita' della deroga, contenuta nel Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, alla retroattivita' in mitius del piu' favorevole regime sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico e' consistito nella "dequintuplicazione" delle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila Euro. Il principio dell'applicazione della disciplina piu' favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF, impone una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare e, dunque, la cassazione in tali limiti della sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale. La considerazione svolta dalla Corte d'appello di Milano, secondo cui la sanzione concretamente irrogata si colloca comunque all'interno della nuova cornice edittale (da ventimila a tre milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, salva la possibilita' di procedere agli aumenti di cui al comma 5 dello stesso articolo 6, e poi da ventimila Euro a cinque milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito, nei casi previsti del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, comma 5), non esclude che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, deve non di meno ritenersi illegittima la sanzione inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente (arg. da Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 28/07/2015, n. 33040; Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 15/09/2015, n. 37107), non essendo, peraltro, il giudice di rinvio, chiamato a rimodulare la sanzione entro il nuovo ambito edittale, neppure necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all'importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita', pur rimanendo intatto il giudizio di disvalore espresso in precedenza. Non puo' percio' nemmeno procedersi sul punto ad una decisione della causa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, potendosi questa ammettere solo quando la controversia debba essere giudicata in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell'errato - e percio' cassato giudizio di diritto, e non invece quando si renda necessaria la pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, come, nella specie, in conseguenza dell'annullamento della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio, nonche' della correlata esigenza di dare applicazione ad una diversa norma attinente alla determinazione delle sanzioni irrogabili. 5. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 24, 97, 111 Cost., Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-septies, L. n. 262 del 2005, articolo 24 e dell'articolo 6 CEDU. Si assume che la Corte d'appello abbia "sbrigativamente respinto" il motivo di opposizione che denunciava l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB per violazione del principio di separazione organica tra attivita' istruttoria/requirente ed attivita' decidente, nonche' per violazione dei principi sul giusto procedimento, del diritto di difesa e delle norme indicate. A sostegno della censura in esame il ricorrente richiama la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, con riguardo alle esigenze dell'articolo 6 CEDU, operanti altresi' per il procedimento dinanzi alla CONSOB. 5.1. Il quinto motivo di ricorso non offre elementi per mutare il consolidato orientamento espresso al riguardo di tali questioni di diritto dalla Corte di cassazione, orientamento al quale si e' uniformato il provvedimento impugnato. Come piu' volte ribadito in giurisprudenza, invero (anche proprio con riferimento al cumulo di funzioni di iniziativa procedimentale, istruttorie e decisorie che implica la regolamentazione secondaria dell'organizzazione della CONSOB), in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex articolo 6 CEDU, puo' essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa - nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria -, ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio - adottato in assenza di tali garanzie - ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l'effetto di sanare alcuna illegittimita' originaria della fase amministrativa, giacche' la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato articolo 6, e' comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. 2, 21/03/2019, n. 8046; Cass. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20689; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3734; Cass. Sez. 2, 13/01/2017, n. 770; Cass. Sez. 2, 22/04/2016, n. 8210; Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20935). V. Devono, quindi, rigettarsi il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, mentre e' da accogliere, nei termini indicati, il quarto motivo di ricorso. La causa va percio' rinviata alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, la quale procedera' ai necessari accertamenti di fatto per la rideterminazione del nuovo trattamento sanzionatorio da commisurare al caso concreto, conseguente alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, facendo applicazione delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF e provvedera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 5207/2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); - ricorrente - contro CONSOB, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 3122/2016 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti motivi; uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ha presentato ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 3122/2016 della Corte di appello di Milano, pubblicata in data 26 luglio 2016. Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB). Con Delib. 3 novembre 2015, n. 19438, la CONSOB applico', tra gli altri, a (OMISSIS) la sanzione amministrativa pecuniaria, Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ex articolo 187-bis (TUF), pari a Euro 110.000,00, nonche' la sanzione interdittiva ex Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-quater, comma 1 (TUF) di mesi tre, per aver acquistato per conto di (OMISSIS) (fondo gestito da (OMISSIS)) tra il 26 luglio e l'8 agosto 2013, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), n. 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS). Una operazione di acquisto delle azioni di risparmio (OMISSIS) ( (OMISSIS)) era stata eseguita da (OMISSIS) S.p.a. per conto di (OMISSIS) s.p.a. ( (OMISSIS)) tramite una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding (RABB) rivolta a soli investitori qualificati e conclusa l'8 agosto 2013, al fine di realizzare l'esigenza di (OMISSIS) di disporre dei voti necessari per ottenere l'approvazione dell'operazione di fusione in (OMISSIS) ad opera dell'assemblea degli azionisti di risparmio di (OMISSIS). L'informazione di carattere privilegiato, quanto meno al 17 luglio 2013, attinente al progetto di acquisto da parte di (OMISSIS) delle azioni (OMISSIS), era stata comunicata da (OMISSIS), responsabile dell'unita' Syndacation di (OMISSIS), ad alcuni esponenti aziendali di (OMISSIS), in particolare (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano cosi' acquistato per conto di (OMISSIS) n. 1.378.213 azioni (OMISSIS) nel periodo immediatamente precedente alla divulgazione al mercato dell'operazione di RABB. Avverso la Delib. CONSOB 3 novembre 2015, n. 19438, (OMISSIS) presento' opposizione, deducendo l'insussistenza, nella specie, di un'informazione privilegiata al 17 luglio 2013, la mancanza di prova della comunicazione dell'informazione, l'erronea quantificazione della sanzione per violazione del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3 e del principio del favor rei, l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB. Con sentenza n. 3122/2016, la Corte d'appello di Milano ha rigettato il ricorso di (OMISSIS). Le parti hanno da ultimo presentato memorie, ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., in data 23 dicembre 2019 e 3 gennaio 2020. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve dapprima rigettarsi l'istanza di riunione tra il presente giudizio di cassazione e quelli contraddistinti come R.G. 5211/2017, 5205/2017 e 5210/2017. Si tratta di ricorsi proposti contro distinte sentenze pronunciate in separati giudizi di opposizione ex articolo 187-septies del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, intercorsi fra soggetti diversi. La riunione richiesta, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l'economia ed il minor costo dei giudizi di cassazione, ne' favorirebbe la loro ragionevole durata. 1. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) lamenta la "nullita' della sentenza per error in procedendo - violazione degli articoli 132 e 276 c.p.c. e degli articoli 114, 118 e 119 disp. att. c.p.c.". La censura evidenzia la sostanziale identicita' del testo delle cinque sentenze che hanno respinto le rispettive opposizioni promosse avverso la stessa Delibera sanzionatoria da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), pur trattandosi di sentenze pronunciate all'esito di distinte udienze di discussione (28 giugno 2016 e 12 luglio 2016), decise da diversi collegi giudicanti e redatte da diversi giudici estensori. Tutto cio' renderebbe impossibile identificare i giudici che abbiano emesso l'impugnata sentenza n. 3122/2016 della Corte d'appello di Milano, e lascerebbe anzi desumere che le uniformi decisioni siano state assunte nel corso di un'unica Camera di consiglio estesa alla partecipazione di tutti i componenti dei diversi collegi. 1.1. Il primo motivo di ricorso e' del tutto infondato. Dal combinato disposto degli articoli 132 e 276 c.p.c., e' agevole ricavare il principio secondo cui la paternita' della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell'epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E' poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell'intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all'udienza di discussione (nella specie, come risulta dal verbale dell'udienza collegiale del 28 giugno 2016, Presidente (OMISSIS), Giudici (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell'identita' dell'organo presente all'udienza di discussione con quello deliberante, principio ovviamente operante anche per l'udienza pubblica di discussione dell'opposizione ex articolo 187-septies TUF (arg. da Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564; Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662). La nullita' della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione puo' essere percio' dichiarata solo quando vi sia la prova della diversita' tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa, come risultante dal verbale d'udienza, il quale fa fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva, espressa dagli stessi giudici a fine udienza, di prendere la decisione in Camera di consiglio, senza che neppure rilevi a tal fine l'eventuale presenza di altri giudici che non abbiano concorso alla deliberazione. Il verbale dell'udienza di discussione ingenera, percio', la presunzione della deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all'udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall'articolo 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi e' quello di controllare che i giudici presenti nella Camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell'udienza di discussione (Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879), restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585). Ne' puo' dunque valere a sovvertire tale presunzione di coincidenza tra i giudici della Corte d'appello di Milano che assistettero alla discussione della causa all'udienza del 28 giugno 2016 e i giudici che hanno deliberato la decisione qui impugnata, la corrispondenza testuale di quest'ultima con altre sentenze rese da diversi collegi con riguardo agli altri soggetti coinvolti in questa stessa vicenda sostanziale, atteso che l'assoluta similitudine delle fattispecie decise rendeva del tutto comprensibile, se non addirittura opportuna, una uniformazione dei diversi estensori in sede di successiva stesura delle rispettive motivazioni. L'identita' della motivazione di una sentenza rispetto a quella espressa in pronunce riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche, non e', dunque, ragione che lascia desumere che la decisione sia stata deliberata in Camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione della causa, rimanendo distinta la questione se poi tale uniforme motivazione si riveli di per se' erronea, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta. Come affermato in Cass. Sez. U., 16/01/2015, n. 642, "per il diritto positivo non si pone un problema di originalita' ovvero di paternita' con riguardo alle modalita' espressive utilizzate in motivazione, tanto meno con riguardo ai contenuti di essa", giacche' quel che e' piuttosto irrinunciabile e' che "la decisione e l'individuazione delle ragioni che la sostengono siano attribuibili al giudice, costituendo manifestazione ufficiale della volonta' dello Stato che attraverso il giudice si esprime, ed inoltre che esse siano corrette e complete nonche' esposte in maniera chiara, coerente ed esaustiva". L'identita' delle motivazioni di sentenze pronunciate da diversi collegi o in diverse udienze non infirma, dunque, l'attribuibilita', ai rispettivi giudici che le abbiano emesse, della decisione e della individuazione delle ragioni che le sostengano, ne' lascia ragionevolmente supporre alcuna indebita influenza sul procedimento di formazione della volonta' espressa nelle pronunce adottate. 2. Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, articoli 2727 e 2729 c.c. e articoli 115 e 116 c.c., nonche' la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., L. n. 689 del 1981, articolo 23 e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 11, per avere la Corte d'appello di Milano dedotto, in forza di un errato ragionamento presuntivo, che la rivelazione dell'informazione privilegiata attinente alla procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding avesse consentito a (OMISSIS) "di acquistare grossi volumi di (OMISSIS) a prezzi relativamente bassi e comunque con la certezza che al momento del RABB (gli acquirenti) ne avrebbero ricavato un premio che si collocava, presumibilmente, intorno al 5%". La sentenza impugnata ha invero ricavato in via di presunzioni la prova dell'avvenuta comunicazione dell'informazione previlegiata sulla base delle seguenti circostanze: 1) detta informazione era in possesso di (OMISSIS) (cd. insider primario); 2) vi era stato nel periodo rilevante un fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra il (OMISSIS) e gli esponenti aziendali di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (cd. insider secondari); 3) il medesimo (OMISSIS) era legato da un rapporto stretto di amicizia con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 4) emergeva un significativo ed anomalo disallineamento negli acquisti di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) dopo la ricezione dell'informazione privilegiata ed in prossimita' del RABB, arrivando al numero di 1.378.213 azioni di risparmio (OMISSIS) in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013. Il ricorrente nella seconda censura evidenzia tuttavia come l'utilizzo delle presunzioni da parte della Corte di Milano avrebbe comunque lasciato indimostrate la data in cui sarebbe avvenuta la comunicazione dell'informazione privilegiata e la persona fisica che l'avrebbe ricevuta. Si aggiunge che il "fitto scambio di corrispondenza avente ad oggetto le (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle persone di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)" sia dato connotato da "irrilevanza indiziaria", e che, inoltre, CONSOB non avrebbe neppure contestato l'assenza di ogni anomalia nella compravendita delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), avendo quest'ultima, peraltro, operato gli acquisti piu' significativi dei titoli nel mese di agosto, quando ormai il prezzo era salito in maniera cospicua. 2.1. Il secondo motivo di ricorso e' anch'esso infondato. Il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis (poi sostituita dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9) sanziona, tra l'altro, chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate, e conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, acquista, vende o compie altre operazioni su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime. La censura in esame deduce, come visto, che la Corte d'appello non abbia individuato, nel suo percorso motivazionale, il momento della comunicazione a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dell'informazione privilegiata proveniente da (OMISSIS), essendo irrilevante il "fitto scambio di corrispondenza" accertato, e nega pure la significativita' indiziaria del disallineamento operativo di (OMISSIS) nel periodo temporale di riferimento. Tali critiche, soffermandosi sull'ipotizzata decisivita' della comunicazione dell'informazione privilegiata (ex articolo 181 TUF, vigente ratione temporis, nella specie consistente, come visto, nella determinazione di (OMISSIS) s.p.a. di avviare una procedura di Reverse Accelerated Bookbuilding per acquistare azioni di risparmio (OMISSIS)), non considerano l'interpretazione prescelta da questa Corte circa la fattispecie sanzionatoria in questione. Secondo, infatti, quanto gia' chiarito da Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27225, del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 187-bis, comma 4, come sostituito dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, articolo 9, comma 2, nella specie applicabile ratione temporis, da' esclusivo rilievo al fatto che l'agente fosse "in possesso di informazioni privilegiate", e facesse percio' uso delle stesse - conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato - per compiere taluna delle azioni descritte nel comma 1, senza postulare l'acquisizione dolosa della notizia privilegiata. Consegue che, ai fini della configurabilita' dell'illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisivita' le modalita' attraverso cui l'informazione privilegiata sia stata acquisita dall'accipiens, ne' occorre provare la consapevole comunicazione dell'informazione da chi originariamente l'abbia detenuta (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010 - dep. 03/03/2010, n. 8588). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, ne' che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, ne' che si dia prova di un'appropriazione dell'informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operativita', piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilita') della natura privilegiata dell'informazione stessa in possesso dell'agente. Basta, dunque, per la sanzionabilita' ai sensi dell'articolo 187-bis, comma 4, TUF, la dimostrazione della compravendita di titoli da parte di chi sia a conoscenza della informazione privilegiata per ricavarne la necessaria prova del possesso, prescindente dalla verifica su come quell'informazione sia stata ottenuta. La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l'informazione posseduta e l'attivita' trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell'informazione e l'utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari. Cass. sez. II, 16/10/2017, n. 24310, ha precisato, in tal senso, che "nel testo dell'articolo 187 TUF, l'espressione "informazione" va intesa quale "conoscenza", indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all'agente". Cosi' gia' Corte di Giustizia UE, 23 dicembre 2009, n. 45 (i cui principi vanno, peraltro, ora riletti alla luce dell'articolo 9 del Regolamento 596/2014/UE, entrato in vigore il 3 luglio 2016), osservava come "l'articolo 2, n. 1, della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al comma 2 di tale disposizione, che detiene informazioni privilegiate, acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono, comporta che tale persona ha "utilizzato tali informazioni" ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell'abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalita' di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l'integrita' dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parita' e tutelati contro l'utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate". Quanto al quadro indiziario su cui la Corte di Milano ha complessivamente basato l'accertamento che (OMISSIS) fosse "in possesso di informazioni privilegiate" al momento degli acquisti delle azioni di risparmio (OMISSIS) (dando valore, in particolare, ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), insider primario, ed al disallineamento delle operazioni su titoli (OMISSIS) compiute da (OMISSIS) tra fine luglio ed inizio agosto 2013), indicativamente Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16253, spiego', in termini che vanno qui ribaditi, come alcuna incompatibilita' sussista tra la condotta di abuso di informazioni privilegiate e il suo accertamento mediante presunzioni, essendo, piuttosto, la prova presuntiva "spesso l'unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalita' che escludono attivita' di documentazione, mentre la rappresentazione dell'insider trading attraverso prove orali e' eventualita' per lo piu' esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all'incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo". Anche Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20930, aveva riconosciuto che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria puo' essere offerta altresi' mediante presunzioni semplici, nel senso dunque, come congruamente evincibile nella sentenza impugnata, che l'esistenza del fatto ignoto sia deduttivamente ricavata quale conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilita' e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio percio' insindacabile in sede di legittimita' - al di fuori dei limiti segnati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -, giacche' logicamente motivato in base a detti criteri. L'analisi dei dati di acquisto mensili delle azioni (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), con la negoziazione di 1.378.213 titoli in meno di quindici giorni tra fine luglio ed inizio agosto 2013, in prossimita' con l'esecutivita' dell'operazione di RABB, concreta il fatto noto idoneo a desumere, nel ragionamento della Corte di Milano, il fatto ignoto del possesso dell'informazione. La sentenza impugnata, come si e' visto, ha concluso per la sussistenza dell'illecito ex articolo 187-bis, comma 4, TUF, sulla base delle relazioni tra l'insider primario e i soggetti a conoscenza dell'informazione, dell'incongruenza delle operazioni contestate agli insider secondari rispetto alle "normali" modalita' di investimento adottate dallo stesso operatore, nonche' dell'entita' dell'operazione di acquisto. Ai fini del controllo per violazione di norma di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come dedotto dal ricorrente in relazione agli articoli 2727 e 2729 c.c., deve considerarsi che il sindacato di legittimita' opera soltanto o quando il giudice del merito abbia direttamente violato tale ultima norma, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, o, al piu', quando quegli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravita', precisione e concordanza, sussumendo, cioe', sotto la previsione dell'articolo 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, ed incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta" (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Le considerazioni svolte dal ricorrente nel secondo motivo (in particolare, sul carattere non anomalo dell'operativita' di (OMISSIS) nell'intervallo temporale di riferimento) non scalfiscono i requisiti della precisione, gravita' e concordanza degli elementi presuntivi assemblati dalla Corte d'appello, e, in realta', rimettono unicamente in discussione l'opportunita' di fondare la decisione sulla prova per presunzioni, opportunita' che invece rientra nei compiti del giudice di merito e rimane sottratta al controllo in sede di legittimita'. Ne' sulla valutazione del carattere anomalo, o meno, delle operazioni contestate all'insider, rispetto al normale agire dell'investitore sul mercato, puo' incidere l'assunta "non contestazione" attribuita alla CONSOB, atteso che il principio di non contestazione, di cui all'articolo 115 c.p.c., comma 1, opera soltanto rispetto all'esistenza dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato, e non anche in relazione alla valutazione della significativita' di tali fatti - nella specie a fini indiziari - rimessa pur sempre al giudice (arg. da Cass. Sez. L, 19/08/2019, n. 21460). La natura "punitiva" della sanzione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, come da ultimo affermato in Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, e la conseguente operativita' al riguardo della regola della retroattivita' in mitius della legge penale, sotto il profilo della necessaria equiparazione del trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che abbia disposto l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice (nei limiti che saranno illustrati di seguito piu' diffusamente a proposito del terzo motivo di ricorso), inducono, infine, a considerare che la disciplina di cui all'articolo 187-bis TUF e' stata oggetto, dopo la pronuncia dell'impugnata sentenza, di una nuova modificazione da parte del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, recante norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 596/2014 (Market Abuse Regulation, o Regolamento MAR). Tale sopravvenuta formulazione normativa definisce, allora, le condotte costitutive dell'illecito amministrativo (ridenominato "Abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate") mediante un mero rinvio alle ipotesi indicate nell'articolo 14 del predetto Regolamento UE, il quale fa divieto di: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate. Il testo della norma introdotta dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, ed attualmente vigente, riallinea, pertanto, sul piano dei soggetti, le figure degli insider primari e degli insider secondari, in conformita' alle finalita' del Regolamento MAR, il quale fonda il disvalore dell'insider trading proprio sull'uso della notizia, idonea ad influenzare l'andamento delle quotazioni di mercato, ad opera di chi ne sia comunque in possesso al momento del compimento dell'operazione su un determinato strumento finanziario, in tal modo approfittando di una situazione di asimmetria informativa. 3. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 58 de 1998, articoli 187-bis e 187-quinquies, Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6 e dell'articolo 3 Cost., nonche' la violazione del principio del favor rei, e la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c. e dell'articolo 2702 c.c.. Si sostiene che la Corte d'appello abbia erroneamente escluso l'immediata applicazione della disciplina sopravvenuta piu' favorevole, introdotta dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, ritenendo comunque non operante la quintuplicazione della L. 28 dicembre 2005, n. 262, ex articolo 39, comma 3. Il ricorrente ripropone al riguardo anche la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 689 del 1981, articolo 1, evidenzia la natura penale della sanzione irrogata dalla CONSOB ai fini della invocazione della lex mitior e considera come dovesse essere eliminata la quintuplicazione L. n. 262 del 2005, ex articolo 39, comma 3, dando applicazione al Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3. 3.1. Nella decisione del terzo motivo di ricorso occorre tener conto di quanto statuito da Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del D.LGS. 12 maggio 2015, n. 72, articolo 6, comma 2, nella parte in cui tale norma, appunto, escludeva l'applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3, alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articoli 187-bis e 187-ter. La Corte Costituzionale, premessa l'applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior in materia penale - fondato sull'articolo 3 Cost. e sull'articolo 117 Cost., comma 1 - anche alle sanzioni amministrative che abbiano natura "punitiva", quali appunto sono le sanzioni amministrative previste per l'abuso di informazioni privilegiate di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, ha cosi' affermato che la deroga alla retroattivita' in mitius stabilita dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, non supera il "vaglio positivo di ragionevolezza" ed e', pertanto, costituzionalmente illegittima. La natura sostanzialmente punitiva della sanzione pecuniaria stabilita dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, e' stata ravvisata dalla Corte Costituzionale alla luce della sua "elevatissima carica afflittiva", giacche' "destinata, nelle intenzioni del legislatore, ad eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall'autore, a sua volta oggetto di separata confisca", "in funzione di una finalita' di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che e' certamente comune anche alle pene in senso stretto". La natura "penale" di tale sanzione, ai sensi dell'articolo 50 CDFUE, proprio in considerazione del suo "elevato carico di severita'", e' stata, peraltro, conclamata anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (sentenza 20 marzo 2018, Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-596/16, paragrafo 38; nello stesso senso, ancora Cass. Sez. 2, 06/12/2018, n. 31632). Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63, ha quindi negato la legittimita' della deroga, contenuta nel Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, alla retroattivita' in mitius del piu' favorevole regime sanzionatorio introdotto dal Decreto Legislativo n. 72 del 2015 (il cui principale effetto pratico e' consistito nella "dequintuplicazione" delle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998), risultandone irragionevolmente sacrificato il diritto degli autori dell'illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore, che riflette, evidentemente, la consapevolezza del carattere non proporzionato di un minimo edittale di centomila Euro. Il principio dell'applicazione della disciplina piu' favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF, impone una diversa valutazione in ordine alla sanzione da applicare e, dunque, la cassazione in tali limiti della sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittima la sanzione pecuniaria prevista dalla disciplina dichiarata incostituzionale. La considerazione svolta dalla Corte d'appello di Milano, secondo cui la sanzione concretamente irrogata si colloca comunque all'interno della nuova cornice edittale (da ventimila a tre milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 3, salva la possibilita' di procedere agli aumenti di cui dello stesso articolo 6, comma 5 e poi da ventimila Euro a cinque milioni di Euro, per effetto del Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 107, articolo 4, comma 9, aumentabili fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell'illecito, nei casi previsti del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-bis, comma 5), non esclude che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2019, deve non di meno ritenersi illegittima la sanzione inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente (arg. da Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 28/07/2015, n. 33040; Cass. pen. Sez. U, 26/02/2015 - dep. 15/09/2015, n. 37107), non essendo, peraltro, il giudice di rinvio, chiamato a rimodulare la sanzione entro il nuovo ambito edittale, neppure necessariamente tenuto a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato all'importo calcolato prima della declaratoria di incostituzionalita', pur rimanendo intatto il giudizio di disvalore espresso in precedenza. Non puo' percio' nemmeno procedersi sul punto ad una decisione della causa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 2, potendosi questa ammettere solo quando la controversia debba essere giudicata in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell'errato - e percio' cassato giudizio di diritto, e non invece quando si renda necessaria la pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, come, nella specie, in conseguenza dell'annullamento della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio, nonche' della correlata esigenza di dare applicazione ad una diversa norma attinente alla determinazione delle sanzioni irrogabili. 4. Il quarto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 24, 97, 111 Cost., Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 187-septies, L. n. 262 del 2005, articolo 24 e dell'articolo 6 CEDU. Si assume che la Corte d'appello abbia "sbrigativamente respinto" il motivo di opposizione che denunciava l'illegittimita' del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della CONSOB per violazione del principio di separazione organica tra attivita' istruttoria/requirente ed attivita' decidente, nonche' per violazione dei principi sul giusto procedimento, del diritto di difesa e delle norme indicate. A sostegno della censura in esame il ricorrente richiama la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, con riguardo alle esigenze dell'articolo 6 CEDU, operanti altresi' per il procedimento dinanzi alla CONSOB. 4.1. Il quarto motivo di ricorso non offre elementi per mutare il consolidato orientamento espresso al riguardo di tali questioni di diritto dalla Corte di cassazione, orientamento al quale si e' uniformato il provvedimento impugnato. Come piu' volte ribadito in giurisprudenza, invero (anche proprio con riferimento al cumulo di funzioni di iniziativa procedimentale, istruttorie e decisorie che implica la regolamentazione secondaria dell'organizzazione della CONSOB), in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex articolo 6 CEDU, puo' essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa - nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria -, ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio - adottato in assenza di tali garanzie - ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l'effetto di sanare alcuna illegittimita' originaria della fase amministrativa, giacche' la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato articolo 6, e' comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. Sez. 2, 21/03/2019, n. 8046; Cass. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20689; Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3734; Cass. Sez. 2, 13/01/2017, n. 770; Cass. Sez. 2, 22/04/2016, n. 8210; Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20935). 5. Devono, quindi, rigettarsi il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, mentre e' da accogliere, nei termini indicati, il terzo motivo di ricorso. La causa va percio' rinviata alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, la quale procedera' ai necessari accertamenti di fatto per la rideterminazione del nuovo trattamento sanzionatorio da commisurare al caso concreto, conseguente alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 72 del 2015, articolo 6, comma 2, facendo applicazione delle modifiche apportate dello stesso articolo 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l'illecito disciplinato dall'articolo 187-bis TUF, e provvedera' anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

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