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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11442 del 2022, proposto da Lt. To. Ad., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Gu., Ot. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni - AGCOM, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento della deliberazione AGCOM n. 288/22/CONS del 27.7.2022, con cui si è disposto di "rimuovere dalla piattaforma di condivisione di video "Yo." nonché presso il sito www.spikeslot.com tutti i propri video aventi contenuti in violazione del divieto sancito dall'art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2018, n. 96" e si è ingiunto di "pagare la sanzione amministrativa di euro 700.000,00 (settecentomila/00), al netto di ogni altro onere accessorio eventualmente dovuto per la violazione delle disposizioni contenute nell'art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2018, n. 96". Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di AGCOM; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La società To. Ad. Lt. ha impugnato e chiesto l'annullamento della deliberazione AGCOM n. 288/22/CONS del 27.7.2022, con cui si è disposto di "rimuovere dalla piattaforma di condivisione di video "Yo." nonché presso il sito www.spikeslot.com tutti i propri video aventi contenuti in violazione del divieto sancito dall'art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2018, n. 96" e si è ingiunto di "pagare la sanzione amministrativa di euro 700.000,00 (settecentomila/00), al netto di ogni altro onere accessorio eventualmente dovuto per la violazione delle disposizioni contenute nell'art. 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2018, n. 96". In sintesi è accaduto che "in data 2 dicembre 2021, è pervenuta all'Autorità una segnalazione (prot. n. 470394) nella quale si rilevava la "presenza su Yo. di numerosi video, che potrebbero violare il DL Dignità, in quanto si pubblicizzano vincite fatte su casinò on line e, in generale, il gioco d'azzardo, senza regime di comparazione dei brand e delle offerte commerciali""; che in esito all'attività preistruttoria in data 14.3.2022 è stato notificato l'atto di contestazione ai legali rappresentanti della società ricorrente "nella qualità di titolare di 5 canali accessibili presso il servizio di piattaforma per la condivisione di video Yo. nonché del sito internet www.spikeslot.com (di seguito anche il "Sito Spike"), per la violazione dell'articolo 9 del "Decreto Dignità "; che in particolare è risultato che "dalla navigazione del servizio di piattaforma per la condivisione di video Yo., attraverso i 5 canali come di seguito individuati: 1. Canale Yo. "SPIKE" a cui sono iscritti 76.400 utenti e presenti 431 video (...); 2. Canale Yo. "SPIKE - Slot Machine da Bar e VLT" a cui sono iscritti 66.600 utenti e presenti 131 video (...); 3. Canale Yo. "The Best of SPIKE" a cui sono iscritti 30.400 utenti e presenti 88 video (...); 4. Canale Yo. "SPIKE International Gambling Channel" a cui sono iscritti 7800 e presenti 7 video (...); 5. Canale Yo. "SPIKE - Slot Online": "SPIKE - Slot Online" a cui sono iscritti 31.300 utenti e presenti 64 video"; che, inoltre, è risultato che "dalla consultazione del sito internet www.spikeslot.com, è emersa la presunta violazione dell'art. 9 del Decreto Dignità in ragione della promozione di innumerevoli siti internet di terza parte offerenti giochi con vincite in denaro". Nella giornata del 24.2.2022, poi, è stata rilevata la possibile violazione del divieto sancito dal predetto art. 9 in relazione a 47 video diffusi nei cinque diversi canali Yo.. In sostanza, è stato contestato che "a seguito di attività di monitoraggio effettuata nelle date del 9 e dell'11 marzo 2022, che sul sito internet www.spikeslot.com viene effettuata la promozione dei giochi con vincite in denaro sia attraverso dei video caricati con cadenza periodica che attraverso l'illustrazione di "trucchi" per ottenere bonus extra; vengono inoltre riportati numerosi banner relativi a siti a cui possibile accedere direttamente con indicazione dei relativi bonus di benvenuto e bonus di registrazione in presunta violazione della legge"; e che "i contenuti diffusi sia attraverso i predetti canali Yo. quanto sul sito internet www.spikeslot.com hanno lo scopo di promuovere molteplici siti di gioco con vincite in denaro, prevedendo altresì, per quanto concerne i canali presenti sulla piattaforma Yo., la possibilità di abbonarsi al singolo canale Yo. attraverso diverse fasce di prezzo cui corrispondono diversi vantaggi; al riguardo, si evidenzia la presenza di video in cui si invita l'utente, a prescindere dall'età, ad inviare i propri video di vincita in modo da consentire, dietro pagamento, la diffusione delle migliori vincite effettuate; quanto al sito www.spikeslot.com, lo stesso, per la sua configurazione complessiva, per la grafica e le formulazioni utilizzate, risulta indurre l'utente verso giochi con vincite in denaro". Ad avviso dell'Autorità le condotte sopra indicate hanno, quindi, violato l'art. 9 del DL 87/2018, convertito nella legge 96/2018 (c.d. decreto dignità ). L'art. 9 (rubricato "divieto di pubblicità giochi e scommesse") prevede che "è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media" e che "l'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1, comporta a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell'organizzatore della manifestazione, evento o attività, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria commisurata nella misura del 20% del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000" (comma 1); al comma 2 si definisce la responsabilità in capo ai soggetti "committente, proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e l'organizzatore della manifestazione, evento o attività " per la violazione del divieto sancito dal comma 1. In pratica, la società ricorrente avrebbe "promosso, nella sua qualifica di soggetto committente ai sensi del richiamato articolo 9 del decreto dignità, per il tramite di ciascuno dei cinquanta soggetti sopra individuati, giochi online con vincite in denaro". A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi: 1° ) in via pregiudiziale, illegittimità del provvedimento per violazione art. 9 del DL 87/2018, convertito in legge 96/2018; degli artt. 2, 3, 4 e 5 del d.lgs. 70/2003; degli artt. 2 e 3 della Direttiva 2000/31; dell'art. 4 delle Linee Guida dell'AGCOM di cui alla delibera n. 132/19/CONS; eccesso di potere per sviamento e carenza di potere. In prima battuta, la ricorrente ha contestato "la carenza di potere di AGCOM conformemente all'art. 4 delle Linee Guida, che circoscrive l'ambito di applicabilità del divieto di pubblicità del gioco a pagamento ai soli operatori aventi sede legale - ivi comprese le sedi secondarie - in Italia. Orbene, nel caso di specie costituisce circostanza pacifica che la società ricorrente, avendo sede nella Repubblica di Malta, non possa essere destinataria del divieto di cui all'art. 9 d.l. n. 87/2018, con conseguente illegittimità dei provvedimenti impugnati" (cfr. pag. 7). Ha, inoltre, censurato "l'inapplicabilità della Direttiva E-Commerce 2000/31/CE (e, conseguentemente, del d.lgs. n. 70/2003) in quanto all'art. 1 comma 5 della stessa direttiva esclude dal suo ambito di applicazione la materia dei giochi d'azzardo", di contro sostenendo che "la Direttiva deve trovare applicazione in quanto la materia oggetto di trattazione nel presente giudizio non è il gioco d'azzardo in sé (escluso dal suo campo di applicazione) ma il divieto dell'attività di pubblicità del gioco disciplinato, da ultimo, dall'art. 9 del d.l. n. 87/2018" (cfr. pag. 8). 2° ) Violazione dell'obbligo di notifica di cui alla Direttiva 2015/1535/UE e 98/34/CE; inopponibilità dell'art. 9 del DL 87/2018. Con tale motivo la ricorrente ha lamentato che "il contenuto precettivo dell'art. 9 del d.l. n. 87/2018, che vieta la pubblicità dei giochi anche per mezzo di canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media, conferma la sua natura di regola tecnica che necessitava della sua previa notifica in ossequio alla normativa comunitaria vigente; l'omessa notifica rende non applicabile e non opponibile il divieto di pubblicità alla società ricorrente e conseguentemente illegittimo il provvedimento impugnato" (cfr. pag. 10). 3° ) Questione pregiudiziale comunitaria: contrasto dell'art. 9 del DL 87/2018 con gli artt. 56 e 62 del TFUE. La ricorrente ha, inoltre, dedotto che "la direttiva (UE) 2018/1808 (in materia di regolazione dei servizi di media audiovisivi), come osservato dall'AGCOM nella sua segnalazione al Governo, nel richiamare il principio di proporzionalità nell'applicare misure a tutela del consumatore, ha escluso fra i settori connotati da maggiore rischio per la salute del consumatore l'attività di comunicazione commerciale del gioco a pagamento" (cfr. pag. 10); con la conseguenza che la normativa nazionale potrebbe sanzionare soltanto "quelle forme di promozione che risultino aggressive per i soggetti vulnerabili; l'eventuale misura restrittiva può, quindi, porre legittimamente regole idonee a modulare correttamente l'attività di pubblicità del gioco ma non può escluderla in via generalizzata posto che non vi sono ragioni imperative a sostegno di tale previsione e considerato che tale attività è utile per il consumatore per conoscere il gioco lecito e le sue modalità di funzionamento al fine di distinguerlo da quello illegale" (cfr. pag. 11). La ricorrente ha, quindi, prospettato la necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE della questione "se sia compatibile, o meno, con l'art. 56 del TFUE e con il principio di proporzionalità già espresso dalla Corte di Giustizia una normativa nazionale, quale l'art. 9 del d.l. n. 87/2018 conv. con legge n. 96/2018, nella parte in cui ha previsto un divieto assoluto di pubblicità in materia di gioco lecito in un sistema normativo nazionale che prevede un regime concessorio del gioco lecito mediante rilascio di concessioni da parte dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che impongono, peraltro, agli operatori del settore specifici obblighi informativi, ivi compresa la promozione del gioco legale e responsabile per contrastare il gioco irregolare (cfr. pag.24 della segnalazione AGCOM al Governo)". 4° ) Questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 2 del DL 87/2018 per contrasto con gli artt. 3, 41 e 117 primo comma della Costituzione. La ricorrente ha, altresì, profilato l'illegittimità dell'art. 9 del c.d. "decreto dignità " sull'assunto che la violazione del divieto di pubblicità "dovrebbe trovare diversa e più marcata risposta punitiva a fronte di una maggiore platea, anche potenziale, di destinatari del messaggio pubblicitario; secondo l'impostazione normativa corrente, pertanto, viene meno il principio di proporzionalità sanzionatoria, con la conseguenza che il divieto di pubblicità violato in una manifestazione culturale a carattere cittadino, e dunque con una platea di spettatori assai ridotta, oggi trova illegittimamente la medesima risposta sanzionatoria rispetto alla medesima violazione realizzata in una trasmissione televisiva a carattere nazionale, ossia la sanzione pecuniaria fissa e di marcata severità di euro 50.000,00 per ciascuna presunta violazione, ai sensi dell'art. 9 del d.l. n. 87/2018" (cfr. pag. 12). Ha, pertanto, stigmatizzato la fissità del trattamento sanzionatorio di AGCOM, la quale avrebbe "irrogato nei confronti della società ricorrente la sanzione pecuniaria di ben euro 700.000,00 in applicazione della ipotesi sanzionatoria fissa e non graduabile di Euro 50.000,00 per ogni condotta astrattamente punibile" (cfr. pag. 14). 5° ) Violazione dell'art. 9 del DL 87/2018; dell'art. 5 delle Linee Guida dell'AGCOM di cui alla delibera n. 132/19/ CONS.; eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e carenza dei presupposti. Con tale motivo la ricorrente ha contestato che costituirebbe "circostanza pacifica che la verifica di AGCOM del 24.2.2022 sia stata limitata ai n. 47 video indicati nell'atto di contestazione, con ciò ponendo nel nulla quanto scritto nel provvedimento impugnato ove l'Autorità ha ritenuto tutti i n. 630 video fossero in contrasto con il divieto di pubblicità, avendo osservato che i n. 47 video contemplati nell'atto di contestazione sono stati indicati a "titolo esemplificativo""; e ciò evidenziando l'inattendibilità del fatto che "tutti i n. 630 video - tra i quali sono compresi anche contenuti aventi natura estrinseca e non assimilabile neppure indirettamente al gioco - siano in contrasto con l'art. 9 del d.l. n. 87/2018 in assenza di specifico accertamento da parte dell'Autorità " (cfr., ancora, pag. 14). Ha, quindi, richiamato il contenuto delle proprie osservazioni procedimentali, nelle quali ha sottolineato che "i video riprodotti nei canali Yo. sono da configurarsi come uno strumento di intrattenimento informativo di natura audiovisiva in cui i commentatori descrivono in chiave ironica le caratteristiche e il funzionamento dei prodotti e servizi di gioco per creare una maggiore consapevolezza sugli stessi" (cfr. pag. 15). Ha, poi, soggiunto che "nei video presenti sulla piattaforma Yo. si descrivono le caratteristiche dei giochi online dedicando l'attenzione, in una fase iniziale, alla rappresentazione delle regole del gioco e, in una fase successiva, alla descrizione delle diverse dinamiche di gioco; in tutte le fasi del video sono inserite numerose e ricorrenti avvertenze - sia grafiche sia verbali - atte a disincentivare il gioco" (cfr. pag. 17). 6° ) Violazione dell'art. 8 della legge 689/1981; eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità . La ricorrente ha, infine, dedotto che "tenendo conto che gli accertamenti dell'Autorità da cui ha tratto origine la contestazione portano le date del 24.2.2022, del 10.3.2022 e 11.3.2022, la condotta da sanzionare dovrebbe ritenersi unitaria per sostanziale contestualità degli atti e unicità del fine, con eventuale possibile applicazione di un'unica sanzione di euro 50.000,00; in subordine, si rileva che ai n. 3 verbali di accertamento menzionati dall'Autorità potrebbero, al più, corrispondere n. 3 condotte sanzionabili, di cui n. 1 attribuibile ai canali Yo. complessivamente considerati e n. 2 relative al sito internet nelle due giornate di accertamento" (cfr. pag. 18). Si è costituita in giudizio l'AGCOM unitamente all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, opponendosi al ricorso e chiedendone il rigetto. All'udienza pubblica del 25 settembre 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto. Non coglie nel segno il primo motivo. Il Collegio non ravvisa ragioni per disattendere le statuizioni contenute nella sentenza della Sezione III ter del 28 ottobre 2021, n. 11036 (confermata in appello, quanto a tale doglianza, da Consiglio di Stato, sez. VI, 13 maggio 2024, n. 4277), ossia: - che "l'Autorità ha emanato, previa consultazione degli operatori del settore, la delibera n. 132/19/CONS, con la quale, al fine di delineare più dettagliatamente il proprio ambito di intervento, nonché al fine di conferire certezza giuridica agli operatori del settore, ha approvato delle linee guida sulle modalità attuative della norma di legge citata. Per quanto di interesse ai fini del presente giudizio, l'art. 4 di tale provvedimento ("Ambito di applicazione soggettivo-territoriale") dispone che: 1. Il divieto di pubblicità del gioco a pagamento trova applicazione nei confronti dei soggetti individuati dall'art. 9, comma 2 del decreto, aventi la sede legale, ivi incluse le sedi secondarie, in Italia. 2. Il divieto si applica altresì ai soggetti con sede legale all'estero, qualora: - abbiano ricevuto la concessione per l'offerta del gioco a pagamento in Italia dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli; - siano stati autorizzati alla fornitura di servizi media audiovisivi in Italia"; - che "deve in primo luogo escludersi che il potere sanzionatorio dell'AGCOM nella materia all'esame possa essere limitato dalle disposizioni della Direttiva "e-commerce", poiché quest'ultima esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione (art. 1, comma 5) "i giochi d'azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna". Invero, (...) non esiste una puntuale normativa comunitaria sul gioco d'azzardo online e sulla relativa pubblicità tanto che il Parlamento europeo ha emanato la risoluzione del 10 settembre 2013 (2012/2322(INI)) pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea C 93/42 del 9 marzo 2016 nella quale ha evidenziato che: - "in ragione delle sue intrinseche peculiarità e in applicazione del principio di sussidiarietà, la fornitura di servizi di gioco d'azzardo online non è soggetta a una regolamentazione settoriale specifica a livello di UE ed è esclusa dall'applicazione delle direttive sui servizi e sui diritti dei consumatori, restando tuttavia soggetta a vari atti legislativi del diritto derivato dell'Unione, come la direttiva sulla protezione dei dati, la direttiva sulla privacy e le comunicazioni elettroniche e la direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali" (lett. F); - "la Corte di giustizia ha confermato che la fornitura di giochi di sorte o d'azzardo costituisce un'attività economica di natura particolare, in relazione alla quale possono essere giustificate restrizioni per motivi d'interesse generale prevalente (...)" (lett. H); - "i fornitori di gioco d'azzardo online devono in ogni caso rispettare la legislazione nazionale degli Stati membri in cui operano" e che "è opportuno che gli Stati membri conservino il diritto di imporre le restrizioni che ritengono necessarie e giustificate per contrastare il gioco d'azzardo online illegale, al fine di applicare la legislazione nazionale ed impedire ai fornitori illegali l'accesso al mercato" (par. 28); - "in conformità del principio di sussidiarietà, gli Stati membri hanno il diritto di determinare le modalità di organizzazione e regolamentazione a livello nazionale dell'offerta di servizi di gioco d'azzardo online, nonché il diritto di applicare tutte le misure che considerano necessarie contro i servizi di gioco d'azzardo illegali, sempre nel rispetto dei principi fondamentali del trattato UE; riconosce che la normativa adottata a tal fine dev'essere proporzionata, coerente, trasparente e non discriminatoria; rileva la necessità di una maggiore coerenza delle politiche dell'UE per far fronte al carattere transfrontaliero del gioco d'azzardo online" (par. 29). Ne consegue che gli Stati membri hanno il potere di emanare disposizioni finalizzate a contrastare la diffusione del gioco d'azzardo, ancorché le stesse possano determinare delle restrizioni all'offerta ed alla prestazione di servizi, anche nell'ambito della società dell'informazione"; - e che, ancora, "il potere sanzionatorio dell'Autorità nei confronti dei soggetti stabiliti all'estero non possa ritenersi limitato neppure dalla sopra riportata previsione di cui all'art. 4 delle Linee Guida, alle quali il Collegio non riconosce natura di atto amministrativo precettivo; le stesse infatti vanno qualificate sub specie di circolare interpretativa, le cui indicazioni, seppure volte ad indirizzare uniformemente l'attività degli uffici, possono essere motivatamente disattese dalla stessa autorità emanante, all'esito di diversa valutazione, come avvenuto nel caso di specie. Una diversa interpretazione si risolverebbe, infatti, in una inammissibile limitazione, ad opera di un atto amministrativo, dell'efficacia di una norma di legge che non esclude dalla propria applicabilità i soggetti stabiliti all'estero; né il provvedimento impugnato risulta avere fatto applicazione del Regolamento UE 20 giugno 2019 n. 1150 (avente ad oggetto la promozione di condizioni di equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online), il quale appare richiamato solo nelle premesse quale esempio di normativa inerente i motori di ricerca online applicabile a prescindere dal luogo di stabilimento o di residenza del fornitore degli stessi". Sono, parimenti, infondati il secondo e quinto motivo, connotati da comunanza tematica. Nel corso del procedimento la ricorrente ha sostenuto, nella memoria dell'11.4.2022, che "con riferimento poi al Sito Spike, la società dichiara che si tratta di un sito di informazione, all'interno del quale viene mostrata al pubblico l'offerta comparativa di siti di scommesse e giochi con vincita in denaro, con regolare concessione rilasciata dall'Agenzia Dogane e Monopoli e/o un collegamento a detti siti per consentire agli utenti di eseguire una scelta più consapevole. Con riferimento al valore di tale attività, la Società afferma che questa sia indeterminabile, in quanto dipendente da fattori di natura variabile, quali le visualizzazioni ottenute e/o gli acquisti effettuati all'interno del sito dell'operatore. Pertanto, la Società ritiene che, ai fini della quantificazione di un'eventuale sanzione amministrativa pecuniaria, non risulta attuabile il calcolo proporzionale corrispondente al valore della pubblicità oggetto di contestazione (ex multis, Delibere nn. 241/20/CONS e 83/21/CONS), quanto la misura fissa pari a Euro50.000,00"; e nella successiva memoria procedimentale del 14.4.2022 ha soggiunto che "i video creati si occupano "della divulgazione informativa (i) delle caratteristiche oggettive dei giochi online con vincita in denaro e (ii) delle offerte proposte dai diversi operatori di gioco titolari di una concessione sui giochi a distanza emessa dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito "ADM") e dotati di tutte le autorizzazioni per operare legalmente in Italia. Tale attività di divulgazione informativa viene realizzata attraverso: l'ausilio di video illustrativi gratuiti, in cui i commentatori si soffermano inizialmente sulle caratteristiche tecniche e descrittive del gioco di riferimento, per poi simulare l'attività di gioco ed evidenziare in maniera pratica le probabilità di vincita ed i rischi connessi al gioco, per consentire agli spettatori di poterne comprenderne in maniera più puntuale il loro funzionamento"; cosicché tale attività sarebbe stata svolta attraverso "pagine testuali in cui vengono forniti servizi informativi con una rappresentazione neutrale e meramente descrittiva - in evidente regime di comparazione - delle offerte commerciali di "molteplici siti di gioco" - come correttamente osservato dall'Autorità (pag. 3 del Provvedimento) - al fine di rappresentare in maniera completa, oggettiva ed esaustiva le proposte dei diversi operatori di gioco autorizzati in Italia"; e che, attraverso i canali Yo. oggetto di contestazione e tramite il sito www.spikeslot.com, la società ricorrente si sarebbe (soltanto) occupata "di informare gli utenti circa le caratteristiche dei diversi prodotti e servizi dei concessionari autorizzati in Italia da ADM per l'offerta di giochi e scommesse per consentire una scelta più consapevole, senza che ci sia alcuna forma di incitamento o promozione del gioco". In altri termini, si sarebbe trattato di un'attività di informazione e non di promozione del gioco. Pertanto, in sede procedimentale la ricorrente ha evidenziato che si tratterebbe di attività "lecite sulla base del dettato normativo di riferimento e della lettura del combinato disposto di cui ai punti 5 e 6 delle Linee Guida. In particolare, (...) i video riprodotti nei canali Yo. sono da configurarsi come uno strumento di intrattenimento informativo di natura audiovisiva in cui i commentatori descrivono in chiave ironica le caratteristiche e il funzionamento dei prodotti e servizi di gioco per creare una loro maggiore consapevolezza. I medesimi video non promuovono in alcun modo il gioco, né rimandano ai siti degli operatori attraverso hyperlink, ma rappresentano una vera e propria alternativa all'attività di gioco da parte degli utenti che, anziché scommettere sui siti di gioco, assistono alle sessioni condotte da soggetti terzi per passare il tempo divertendosi". Il Collegio non condivide tale prospettazione. Nelle Linee guida sulle modalità attuative dell'art. 9 del DL 87/2018, contenute nell'allegato A alla deliberazione n. 132/19/CONS del 18.4.2019, sono state dettate all'art. 3 le definizioni di: - comunicazioni a contenuto promozionale o commerciale ("ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, al fine di promuovere, direttamente o indirettamente, le merci, i servizi o l'immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un'attività economica e comprendenti la pubblicità televisiva, la sponsorizzazione, le televendite con scopo prevalentemente promozionale e l'inserimento di prodotti"); - pubblicità ("ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, al fine di indurre il destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto (c.d. call to action)"); - pubblicità indiretta ("ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, a prescindere all'esplicita induzione del destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto"); - sponsorizzazioni ("ogni contributo di un'impresa pubblica o privata o di una persona fisica, al finanziamento di servizi, prodotti, eventi, attività economiche e non, al fine di promuovere il proprio nome, il proprio marchio, la propria immagine, le proprie attività o i propri prodotti"). All'art. 5 si è, poi, previsto che "oltre alle tradizionali forme di pubblicità, vanno considerate comunicazioni commerciali vietate, a titolo esemplificativo: (...) il product placement": sarebbe a dire la ripetuta esibizione, in modo apparentemente casuale, di prodotti o di servizi i cui marchi risultano ben riconoscibili (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 aprile 2019, n. 2814). Non è stata, invece, elaborata nelle "definizioni" una nozione della comunicazione informativa consentita. Cosicché, tale scelta del legislatore comporta che l'individuazione delle condotte sanzionabili avvenga, da un lato, mediante il richiamo alle definizioni espressamente disciplinate e, dall'altro, mediante il riferimento alle fattispecie che, invece, sono state altrettanto espressamente espunte dall'ambito di applicazione della disciplina attuativa (art. 5), e quindi implicitamente consentite, ossia "le comunicazioni di mero carattere informativo fornite dagli operatori di gioco legale" (non sono da considerarsi pubblicità le informazioni limitate alle sole caratteristiche dei vari prodotti e servizi di gioco offerto, laddove rilasciate nel contesto in cui si offre il servizio di gioco a pagamento); stessa ammissibilità investe "i servizi informativi di comparazione di quote o offerte commerciali dei diversi competitor"; e, infine, nel novero derogatorio vanno incluse le fattispecie qualificate al successivo art. 7 come "esclusioni", cioè come attività esulanti dal divieto di pubblicità (quindi, anche queste implicitamente consentite): in particolare, occorre menzionare "l'utilizzo del marchio che identifichi, oltre ai servizi giochi con vincite in denaro o d'azzardo, ulteriori attività, aventi carattere autonomo, purché non sussistano ambiguità circa l'oggetto della promozione e in questa non compaiano elementi evocativi del gioco fatta eccezione per la mera denominazione del fornitore". Nell'atto di contestazione risulta che l'Autorità ha rilevato che "a seguito di attività di monitoraggio effettuata nelle date del 9 e dell'11 marzo 2022 (...) sul sito internet www.spikeslot.com viene effettuata la promozione dei giochi con vincite in denaro sia attraverso dei video caricati con cadenza periodica che attraverso l'illustrazione di "trucchi" per ottenere bonus extra; vengono inoltre riportati numerosi banner relativi a siti a cui possibile accedere direttamente con indicazione dei relativi bonus di benvenuto e bonus di registrazione in presunta violazione della legge". Ha, quindi, contestato che sulla base dei verbali di accertamento nella giornata del 24.2.2022 è stata rilevata la possibile violazione del divieto sancito dall'art. 9 del c.d. "decreto dignità " per i 47 (quarantasette) video diffusi in cinque diversi canali Yo.. Il che ha condotto l'AGCOM a concludere, nella deliberazione impugnata, che "con specifico riferimento ai canali "Spike" caricati presso il servizio di condivisione di video "Yo.", dal verbale di accertamento del 24 febbraio 2022 è emerso che si tratta di video di medesimo contenuto editoriale caricati con frequenza quasi giornaliera in cui il creator gioca, in ciascun video, a un gioco con vincite in denaro suggerendo addirittura le modalità per poter accedere a determinati bonus. Inoltre, come rilevato nell'atto di contestazione, il creator invita costantemente l'utente ad abbonarsi al canale contribuendo esso stesso al gioco e consentendogli, nell'abbonamento di fascia più elevata, l'invio di video relativi a giocate vincenti per pubblicizzarli tramite i canali della Società . Pertanto, la natura pubblicitaria di ciascun contenuto esclude la natura informativa di comparazione di quote, fatta salva dalle citate Linee Guida a condizione che le informazioni siano rese disponibili da soggetti autorizzati e "nel rispetto dei principi di continenza, non ingannevolezza e trasparenza". Diversamente, nel caso in esame, in ciascun video il creator non si limita alla descrizione comparativa delle quote o delle offerte, ma gioca con denaro reale ad uno specifico gioco online con vincite in denaro, utilizzando anche i soldi donati dagli utenti attraverso la piattaforma". Si tratta di rilievi che sono rimasti privi di confutazione da parte della società ricorrente e che sostanziano la violazione contenuta nel predetto art. 9, ove appunto è vietata "qualsiasi" forma di pubblicità (diretta e indiretta) relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo. Dunque, l'attività svolta dalla ricorrente ha integrato la condotta sanzionata dal divieto e, a tutto concedere, tale violazione deve ritenersi ravvisabile anche nell'ipotesi in cui il fine pubblicitario fosse stato realizzato in modo indiretto, fattispecie anch'essa vietata e consistente in "ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, a prescindere all'esplicita induzione del destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto" (cfr. art. 3, par. 1, lett. d) delle Linee guida). La ricorrente, perciò, è risultata esercitare un'attività di promozione, oltre che di commercializzazione, come peraltro la Sezione ha recentemente rilevato con riguardo ad altro operatore che aveva concluso contratti con l'odierna ricorrente (sentenza 1° luglio 2024, n. 13241). Neppure accoglibile è la domanda di rinvio pregiudiziale, proposta con il terzo motivo. La giurisprudenza ha recentemente statuito che "la condotta richiesta dall'art. 9 cit. non è di per sé inesigibile, anche laddove si sia in presenza (...) di intermediari di dimensioni mondiali che pubblicano giornalmente un massivo quantitativo di annunci pubblicitari, dal momento che proprio tali grandi numeri impongono a detti soggetti di dotarsi di adeguati sistemi organizzativi, anche di tipo automatizzato e con ricorso a strumenti di intelligenza artificiale, per prevenire, nei limiti di quanto esigibile, le prescrizioni poste dal legislatore nazionale a tutela di un interesse pubblico ritenuto particolarmente rilevante (id est il contrasto alla ludopatia). L'alternativa, a quanto appena osservato, non potrebbe essere rivendicare un regime di esenzione sempre e comunque ma, piuttosto, rinunciare agli (o ridurre il numero degli) inserzionisti" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 13 maggio 2024, n. 4277). Tale pronuncia è, ad avviso del Collegio, rilevante perché sostanzia l'assolutezza del divieto di pubblicità quale vero e concreto portato della disposizione di cui all'art. 9, tale da legittimare una lettura rigorosa della norma, nel segno delle finalità delle linee guida contenute nell'allegato A alla deliberazione n. 132/19/CONS del 18.4.2019: vale a dire che "la ratio del divieto ivi contenuto è da individuarsi nel contrasto alla ludopatì a e nel rafforzamento della tutela del consumatore/giocatore, con particolare riferimento alle categorie vulnerabili (giocatori patologici, minori, anziani). In quest'ottica le linee guida forniscono chiarimenti interpretativi in ordine agli ambiti di applicazione soggettivo, oggettivo e temporale dell'art. 9". Non è, pertanto, fondatamente prospettabile una violazione del principio comunitario di proporzionalità . Da ultimo, possono essere esaminati congiuntamente il quarto e sesto motivo, afferenti alla legittimità costituzionale dell'art. 9 del c.d. "decreto dignità " e, quale sua concreta applicazione, alla legittimità della sanzione applicata. Non sono ravvisabili, ad avviso del Collegio, i presupposti per la rimessione al Giudice delle Leggi della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 del DL 87/2018, chiesta con il quinto motivo. A parte la genericità della prospettazione, il Collegio richiama il noto orientamento secondo cui la rilevanza della questione è legata a due caratteri logicamente distinti: il primo connesso con l'origine del processo costituzionale, individuabile nel requisito dell'applicabilità della norma alla fattispecie controversa, dovendosi, in mancanza, rilevare un difetto assoluto di rilevanza; il secondo, invece, connesso al fine del processo costituzionale, che si concretizza (solitamente) nella disapplicazione della norma a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale. Ma, nella specie, l'astratta ipotesi di una declaratoria di incostituzionalità si dovrebbe tradurre, a seguire il ragionamento della ricorrente, non già in una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 9 del c.d. "decreto dignità ", quanto, più utilitaristicamente, nella diretta e radicale eliminazione di una disposizione legislativa improntata ad una strategica funzione regolatoria (come, del resto, prova l'adozione di specifiche linee guida): in più banali termini, la ricorrente ha inteso mettere in discussione la discrezionalità legislativa, espressione di un indirizzo politico. Da ultimo, non è fondato neppure il sesto motivo, riguardante la quantificazione della sanzione irrogata. Occorre considerare che, nella specie, l'AGCOM ha applicato il criterio del c.d. cumulo giuridico "in quanto la condotta illecita, che si caratterizza per una pluralità di azioni poste in essere dalla società con cadenza giornaliera senza soluzione di continuità, può considerarsi unitaria per l'unicità del fine o dell'effetto, nonché dell'arco temporale di svolgimento, consistendo la stessa nella diffusione di video aventi natura di comunicazione pubblicitaria di giochi d'azzardo e scommesse"; ha, inoltre, evidenziato: a) sia che "nel caso concreto, con riferimento alla condotta accertata per ciascuno dei canali Spike diffusi su Yo. e presso il sito internet www.spikeslot.com, si deve applicare il c.d. cumulo giuridico in quanto la condotta illecita, che si caratterizza per una pluralità di azioni poste in essere dalla Società con cadenza giornaliera senza soluzione di continuità, può considerarsi unitaria per l'unicità del fine o dell'effetto, nonché dell'arco temporale di svolgimento, consistendo la stessa nella diffusione di video aventi natura di comunicazione pubblicitaria di giochi d'azzardo e scommesse"; b) sia che "le 7 violazioni realizzate tramite i 5 canali "verificati" e "partner" di Google presenti sulla piattaforma di condivisione video Yo. (come emerge dal verbale di accertamento del 24 febbraio 2022) e tramite il sito internet www.spikeslot.com (nelle 2 giornate di accertamento, come emerge dai verbali delle giornate 9 e dell'11 marzo 2022), costituiscono tutte condotte illecite autonome da cui discende l'applicazione del c.d. cumulo materiale". Sulla scorta della considerazione di entrambi i profili di violazione (il carattere unitario e ripetitivo di ciascuna violazione, fondante l'applicazione del cumulo giuridico; l'oggettiva numerosità delle violazioni, fondante l'applicazione del cumulo materiale), l'AGCOM ha, quindi, ritenuto "ai sensi dell'articolo 8 della legge 689/81, di dover aumentare al doppio, pari ad euro 100.000,00 (...), secondo il criterio del cumulo giuridico, la sanzione amministrativa pecuniaria in ragione della quantità di video diffusi, del numero di visualizzazioni, abbonati e iscritti a ciascun canale e dell'enorme quantità di video e banner pubblicitari volti a promuovere siti con vincite in denaro presenti sul sito internet www.spikeslot.com"; ed ha, conseguentemente, deciso "di dover complessivamente determinare la sanzione per la violazione delle disposizioni normative contestate nella misura di euro 700.000,00 (...), corrispondente all'importo di 50.000 (...) previsto per la singola violazione aumentato al doppio, euro 100.000,00, (...), secondo il criterio del cumulo giuridico ex art. 8 della legge n. 689/1981, moltiplicato per i 5 canali Yo. in cui è stata rilevata, nella giornata del 24 febbraio 2022, la violazione e per le 2 giornate del 10 e 11 marzo 2022, per quanto riguarda il sito internet www.spikeslot.com, secondo il criterio del cumulo materiale delle sanzioni, al netto di ogni altro onere accessorio". Nella specie, la ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 8 della legge 689/1981. In particolare, ha sostenuto che "la risposta sanzionatoria avverso le condotte correlate ai tre canali in esame, pena la sua illogicità ed incongruità, non debba sussistere o quantomeno non debba essere incrementata mediante l'applicazione della stessa sanzione pari al doppio (da Euro 50.000,00 ad Euro 100.000,00) in considerazione del fatto che le ragioni a sostegno della predetta maggiorazione - numero video caricati, numero visualizzazioni e numero abbonati iscritti - non sussistono per i tre canali suindicati" (cfr. pag. 19): sarebbe a dire per il canale "The best of Spike e Spike - Slot Online", che sarebbe inattivo dal 2020; del canale "Spike - Slot Online", che sarebbe "inattivo dal dicembre 2019"; infine, del canale "Spike International Gambling Channel in quanto non rivolto in alcun modo al pubblico presente sul territorio italiano". Tale prospettazione non può essere condivisa. Nelle linee guida di cui all'Allegato A della deliberazione 265/15/CONS si è precisato che "l'obiettivo perseguito tramite l'irrogazione di una sanzione amministrativa è quello di reprimere adeguatamente la condotta illecita e di prevenirne la reiterazione, non soltanto da parte del trasgressore, ma anche di altri soggetti; pertanto, l'attività di quantificazione in concreto della sanzione tramite l'applicazione dei sopra ricordati criteri e le motivazioni ad essa sottese assumono particolare rilevanza nell'esercizio del potere sanzionatorio, poiché servono ad esplicitare, anche a fini di prevenzione generale, il disvalore che l'ordinamento attribuisce ad una determinata condotta illecita, tenuto conto dei suoi molteplici profili, soggettivi ed oggettivi". E si è soggiunto, sempre nelle linee guida, che si debba procedere a determinare, in una prima fase, "l'importo "base" della sanzione, tenendo conto dei due criteri "essenziali", vale a dire ricorrenti in ogni fattispecie (criteri della gravità della violazione e delle condizioni economiche dell'agente)"; e, in una seconda fase, "a calcolare l'importo finale della sanzione, tenendo conto dei due criteri "accidentali" previsti dalla legge (opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione e personalità dell'agente, da intendersi come inclinazione alla violazione di norme)". Pure occorre considerare, per completezza del quadro d'insieme, che nelle linee guida si legge che "al ricorrere di particolari circostanze aggravanti, quindi, l'importo base della sanzione può essere aumentato fino al doppio. Si pensi per esempio ai casi in cui: l'agente nei due anni precedenti sia già stato sanzionato (in ipotesi anche più di una volta) per diverse violazioni (e sia dunque un soggetto obiettivamente incline a condotte illecite); la violazione sia dipesa da una apposita strategia aziendale decisa a livello apicale; l'agente abbia tentato di tentato di occultare la violazione; l'agente, anche in considerazione delle sue dimensioni, sia dotato di un'organizzazione interna, anche di controllo, idonea a garantire il pieno rispetto del quadro normativo vigente". Ciò precisato, la finale quantificazione è da ritenere legittima. Chiare sono, infatti, da considerarsi - nelle predette linee guida - le direttive seguite dall'Autorità in tema di cumulo, ossia che "ove la condotta illecita sia unitaria (seppur frazionata nel tempo) e le norme violate siano plurime, oppure sia violata più volte la medesima norma, può trovare applicazione il cosiddetto "cumulo giuridico" delle sanzioni, previsto dalla norma già citata, da cui deriva l'irrogazione di un'unica sanzione il cui importo è modulato tenendo conto di tutte le circostanze del caso (ivi compresa, soprattutto, la plurioffensività della condotta ed il suo protrarsi nel tempo); (...) ove, invece, le condotte illecite siano plurime, così come le norme violate, deve necessariamente trovare applicazione il cosiddetto "cumulo materiale", con la conseguenza che per ogni condotta è irrogata una sanzione amministrativa, eventualmente anche tramite un unico provvedimento. L'importo finale irrogato, pertanto, è corrispondente alla somma dei singoli importi relativi a ciascuna violazione (ciascuno dei quali, peraltro, sarà stato quantificato, in concreto, applicando i criteri di cui all'art. 11 della legge n. 689/1981)". L'AGCOM ha, quindi, raddoppiato la sanzione minima di Euro. 50.000,00 riferendo tale decisione "alla quantità di video diffusi, del numero di visualizzazioni, abbonati e iscritti a ciascun canale e dell'enorme quantità di video e banner pubblicitari volti a promuovere siti con vincite in denaro presenti sul sito internet www.spikeslot.com"; ed ha, poi, tenuto conto delle 7 violazioni realizzate tramite i 5 canali "verificati" e "partner" di Google presenti sulla piattaforma di condivisione video Yo.. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate in Euro. 3.000,00, oltre accessori, che la ricorrente dovrà corrispondere ad AGCOM. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro. 3.000,00, oltre accessori, in favore di AGCOM. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Mele - Presidente Angelo Fanizza - Consigliere, Estensore Marianna Scali - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2860 del 2024, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG -OMISSIS- rappresentata e difesa dall'avvocato Eu. Da. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ro. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della società -OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, della società -OMISSIS- e della società -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio, sul ricorso numero di registro generale 2948 del 2024, proposto dalla società -OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG -OMISSIS- rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ro. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Eu. Da. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Torino, della società -OMISSIS-e della società -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la società -OMISSIS-ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Piemonte la determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, nella parte in cui la Città di Torino, Dipartimento Servizi Generali, Appalti ed Economato, ha aggiudicato alla società -OMISSIS- il lotto n. 3 della procedura aperta avente ad oggetto il "Servizio di ristorazione scolastica nei nidi d'infanzia comunali e statali e nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali con gestione a ridotto impatto ambientale", articolata in n. 8 lotti complessivi ed avviata con determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- da aggiudicarsi ai sensi dell'art. 95, commi 2 e 7, d.lvo n. 50/2016, a favore dell'offerta economicamente più vantaggiosa in base ad un prezzo fisso. 1.1. La durata dell'appalto era fissata in quattro anni ed otto mesi, con decorrenza dal 1° gennaio 2023 fino al 31 agosto 2027, e l'importo complessivo a base di gara per tutti gli 8 lotti era stimato in Euro 142.398.241,70, al netto di IVA e/o di altre imposte e contributi di legge, nonché degli oneri per la sicurezza dovuti a rischi da interferenze. 1.2. All'esito delle operazioni di gara, dopo il sorteggio svolto dalla stazione appaltante ai sensi dell'art. 3 del disciplinare di gara in tema di numero massimo di lotti aggiudicabili a ciascun operatore, la società -OMISSIS- si collocava, relativamente al lotto 3 (per il quale concorreva unitamente ai lotti 2, 5, 6 e 8), in terza posizione, preceduta dalla prima classificata società -OMISSIS- e dalla società -OMISSIS-, come da graduatoria che segue: 1a. -OMISSIS- con punti 78,16125699; 2a. -OMISSIS- con punti 74,60841831; 3a. -OMISSIS-con punti 69,75364364. 2. Mediante le censure formulate con il ricorso introduttivo del giudizio, essenzialmente sulla scorta della relazione allegata alla seconda seduta riservata del 1° dicembre 2022, non avendo ottenuto, in sede di accesso, la disponibilità delle offerte tecniche presentate dalle controinteressate, la ricorrente deduceva in primo luogo, con il motivo sub I, che queste ultime avrebbero dovuto essere escluse dalla gara, in ragione della incompletezza delle rispettive offerte, e che comunque avrebbe dovuto disporsi l'azzeramento del punteggio in relazione ai parametri di valutazione oggetto di contestazione, con la conseguente aggiudicazione, in entrambi i casi, a favore della stessa. Va fin d'ora evidenziato che le suddette censure, per la parte concernente la società -OMISSIS-, sono state dichiarate improcedibili dal T.A.R. (al pari delle altre concernenti esclusivamente la società suindicata) con la sentenza (n. -OMISSIS-del 28 dicembre 2023) che ha definito il giudizio di primo grado, previa estromissione della stessa, in quanto divenuta nelle more assegnataria dei lotti nn. 2 e 6, in quanto il vincolo di aggiudicazione (fino ad un massimo di due lotti) le impediva di aspirare anche all'aggiudicazione del lotto 3, oggetto di controversia, mentre per la parte afferente alla società -OMISSIS-sono state dichiarate inammissibili oltre che respinte con la predetta sentenza, che in parte qua non ha costituito oggetto di impugnazione della originaria ricorrente: pertanto, onde evitare l'inutile appesantimento motivazionale della presente decisione, ci si asterrà dall'illustrarne anche solo sinteticamente il contenuto. 2.1. Una seconda serie di censure - da II a VII - formulate dalla ricorrente -OMISSIS- in via subordinata, afferiva agli aspetti procedimentali della gara. Esse avevano principalmente ad oggetto l'asserita violazione da parte della Commissione di gara dell'art. 16.2. del disciplinare di gara (il quale prescriveva che, per quanto concerneva l'applicazione dei criteri di valutazione di tipo discrezionale, la fase di attribuzione dei punteggi definitivi fosse preceduta dalla formulazione di giudizi individuali da parte di ciascuno dei cinque commissari di gara), la sussistenza di contrasti tra i verbali di gara, l'incongruità del tempo impiegato dai commissari per la valutazione delle offerte tecniche, le contraddizioni rilevabili tra giudizi descrittivi e le griglie recanti l'assegnazione dei punteggi e le incongruenze ravvisabili nella formulazione della norma di gara. Anche tali censure sono state respinte dal T.A.R. senza che l'originaria ricorrente si dolesse, con il presente appello, dell'esito reiettivo, per cui può tralasciarsi ogni ulteriore approfondimento del relativo contenuto. 2.2. Con il motivo sub VIII, la ricorrente, premesso che l'art. 15 del Disciplinare prescriveva che la relazione progettuale fosse suddivisa in paragrafi, nei quali le imprese avrebbero dovuto descrivere le parti di prestazione che sarebbero state oggetto di valutazione in relazione ai sub-criteri 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, e che la relazione progettuale non dovesse superare le 20 facciate formato A4, con carattere 12, interlinea 1,5, oltre allegati per dettagli tecnici, schemi, tabelle grafici, lamentava che, sebbene essa si fosse scrupolosamente attenuta alle prescrizioni del Disciplinare, come risultava dal verbale della seduta riservata del 1° dicembre 2022, non altrettanto poteva dirsi di molti operatori economici (tra cui la società -OMISSIS-): ciononostante, la commissione di gara, invocando un presunto principio di favor partecipationis, aveva ritenuto di disattendere il criterio di sinteticità stabilito dal prefato articolo del Disciplinare, favorendo quegli operatori economici in danno di altri, tra cui la ricorrente. 2.3. Infine, con il motivo sub IX, la ricorrente faceva domanda di ostensione della documentazione non esibita dalla stazione appaltante, comprensiva delle offerte progettuali delle controinteressate, chiedendone l'acquisizione al T.A.R. anche nell'esercizio dei suoi poteri istruttori ex art. 65 c.p.a.. 3. Con i motivi aggiunti depositati in data 31 marzo 2023, la ricorrente deduceva (sub X) che, dalle dichiarazioni rilasciate dalla società -OMISSIS-sia nel D.G.U.E. sia nell'allegata dichiarazione ai sensi dell'art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016, emergevano, a suo carico, i presupposti costitutivi della fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lvo cit.. Essa esponeva che, in data 1° dicembre 2021, la società -OMISSIS-si era aggiudicata i lotti nn. 1, 3, 4 e 5 del servizio di ristorazione della R.A., per un valore complessivo di circa Euro 30.000.000,00 Euro, e che tuttavia il Consiglio d'Amministrazione dell'Ente radiotelevisivo, a seguito del decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Roma nell'ambito dell'inchiesta per i reati di corruzione e turbativa d'asta che aveva portato all'arresto del R.U.P. e che coinvolgeva anche l'amministratore di fatto della società -OMISSIS-, aveva aperto un procedimento per l'esclusione dell'aggiudicataria: successivamente, con delibera del 6 luglio 2022, il Consiglio d'Amministrazione della R.A. aveva altresì disposto l'annullamento in autotutela dei predetti lotti nn. 1, 3, 4 e 5. La ricorrente deduceva quindi che la dichiarazione allegata al D.G.U.E. dalla società -OMISSIS-, che faceva menzione di altre vicende penali, era stata sottoscritta in data 29 settembre 2022, cioè posteriormente al verificarsi delle vicende di cui sopra, e tuttavia non faceva alcuna menzione delle stesse. 3.1. Ulteriori deduzioni (sub XI) afferivano alla posizione della società -OMISSIS-, in relazione alla quale la ricorrente contestava la legittimità della decisione della commissione di gara di riammetterla alla gara, dopo che ne era stata esclusa in data 25 ottobre 2022, sulla scorta della nota del R.U.P. prot. n. -OMISSIS-del 18 novembre 2022. Non occorre soffermarsi sul contenuto di tale censure, per le ragioni indicate supra (par. 2). 3.2. Evidenziava infine la ricorrente, con i suddetti motivi aggiunti, che, qualora le dichiarazioni degli operatori -OMISSIS-ed -OMISSIS- non fossero ritenute riconducibili alla lett. f-bis), le stesse dovevano comunque essere sussunte entro la fattispecie dell'art. 80, comma 5, lett. c-bis), d.lvo n. 50/2016, con la conseguente esclusione delle due imprese controinteressate dalla gara. 3.3. Infine, con la censura sub XII, la ricorrente reiterava la richiesta ostensiva con riguardo ai documenti ancora non esibiti dalla stazione appaltante. 4. Con gli ulteriori motivi aggiunti, depositati in data 4 aprile 2023, la ricorrente deduceva in primo luogo (sub XIII, in prosecuzione della numerazione originaria, collegato al motivo sub VIII del ricorso introduttivo) che l'art. 15 del Disciplinare di gara (rubricato "Contenuto della Busta B - Offerta tecnica") stabiliva testualmente che "La relazione tecnica del servizio deve contenere: - criterio 1 (sub criteri da 1.1 a 1.5): piano del servizio offerto; ...". Aggiungeva la ricorrente che la norma precisava altresì che "Il piano del servizio è redatto in forma di relazione descrittiva, suddivisa in paragrafi, con sommario dei titoli, i cui titoli e contenuto devono corrispondere e sviluppare ciascun sub-criterio di valutazione 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5. Valgono i seguenti criteri redazionali: limite massimo di venti (20) facciate con ciascuna facciata formato A4 (l'eventuale copertina e il sommario non concorrono a determinare il numero massimo delle facciate); margini destro, sinistro, superiore e inferiore: 1,5; corpo del testo: Times New Roman, carattere 12; interlinea 1,5. Sono ammessi allegati per dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici". Ebbene, esponeva la ricorrente che, dalla disamina del piano del servizio della società -OMISSIS-, si evinceva che essa aveva allegato allo stesso quattro voluminosi dossier, che non contenevano soltanto "dettagli tecnici, schemi tabelle, grafici", ma anche vere e proprie soluzioni tecniche redatte in forma discorsiva, non esaminate e non affrontate nel piano del servizio, ovvero: 1. l'allegato al capitolo 1.1., intitolato "Procedure di conservazione, preparazione, cottura dei pasti", di 28 pagine; 2. l'allegato al capitolo 1.2, intitolato "Sistema informatizzato - Schoolweb", di 11 pagine; 3. l'allegato al capitolo 1.2, intitolato "Progetto sul gradimento e consumo", di 46 pagine; 4. l'allegato al capitolo 1.2, intitolato "Progetto di educazione e di miglioramento del servizio", di 62 pagine. Evidenziava quindi la ricorrente che, sommando alle 20 pagine del piano del servizio quelle dei menzionati quattro allegati, si otteneva un numero complessivo di 187 pagine. Tale modus operandi, lamentava la ricorrente, aveva consentito alla suddetta impresa di disporre di uno spazio maggiore per dare evidenza agli aspetti premianti della propria proposta tecnica, con la conseguente illegittimità dell'operato della commissione di gara, la quale avrebbe dovuto attribuire 0 punti all'impresa -OMISSIS-sui sub-criteri 1.1 e 1.2., anziché premiarla, rispettivamente, con 14,82608696 punti e 11,10 punti. 4.1. Con la censura sub XIV, la ricorrente premetteva che, secondo l'art. 15 del Disciplinare di gara, "per quanto riguarda il sub criterio 1.1 "Sistema organizzativo di produzione e distribuzione dei pasti", il concorrente deve descrivere dettagliatamente i seguenti processi, approfondendo le diverse modalità organizzative adottate: 1 - attività presso il centro di cottura: - organizzazione e gestione del personale dipendente e non a diverso titolo coinvolto nei processi della gestione aziendale; 8 - descrizione dei flussi operativi e dei relativi orari di svolgimento, per quanto concerne le varie fasi di ricevimento, controllo e stoccaggio delle derrate, preparazione e confezionamento dei pasti e delle operazioni di pulizia dei locali e delle attrezzature"; - descrizione di tutti i flussi e funzionamento delle aree di lavaggio delle attrezzature e delle stoviglie multiuso (per la frazione non lavabile negli edifici di destinazione del servizio, v. art. 22.1 del capitolato tecnico)". Ciò premesso, deduceva la ricorrente che, esaminando il piano del servizio dell'aggiudicataria -OMISSIS-, era agevole riscontrare che: a) mancava completamente la descrizione delle fasi del processo produttivo dei pasti anteriori al lavaggio, che venivano, invece, illustrate nell'Allegato 1.1., intitolato "Procedure di conservazione, preparazione, cottura dei pasti"; b) il programma di pulizia e sanificazione era descritto alle pagg. 3 e 4 in modo estremamente sommario, mentre trovava ampio spazio all'interno dell'Allegato "Piano di sanificazione del centro cottura e dei luoghi di sanificazione". Deduceva altresì la ricorrente che il medesimo art. 15 del Disciplinare di gara prescriveva: "Per quanto riguarda il sub criterio 1.2 "Progetto su gradimento e consumo", il concorrente propone e si impegna ad attività volte ad aumentare il gradimento e la fruizione completa del pasto - nei suoi componenti di primo, secondo e contorno, nelle grammature previste, riducendo gli sprechi alimentari, in larga parte imputabili a scarso gradimento da parte degli utenti, la dissipazione di lavoro e di risorse economiche, la quantità di rifiuti da smaltire, nonché i deficit nutrizionali e la ridotta soddisfazione degli alunni. In modo statico: proponendo modalità di approvvigionamento, preparazione e somministrazione che in base a studi o esperienze documentabili contribuiscano agli obiettivi del sub criterio in esame. In modo dinamico: analizzando durante l'esecuzione del contratto il consumo, anche attraverso il monitoraggio degli avanzi, il gradimento (anche attraverso questionari che rilevino il grado di soddisfazione dell'utenza, con indicazione delle metodologie di monitoraggio e analisi e dei soggetti da coinvolgere), individuando i fattori critici, proponendo e adottando con la stazione appaltante e le scuole interessate azioni di miglioramento". Essa evidenziava quindi che la società -OMISSIS-, con riferimento al monitoraggio degli scarti, scriveva a pag. n. 8 del proprio piano del servizio che "avvierà insieme a Winnow Solutions un progetto basato sull'installazione, presso le scuole che avranno un numero pasti superiore a 30, dell'Intelligenza Artificiale Winnow Vision in grado di tenere traccia di tutti gli sprechi alimentari e di elaborare una serie di dati e analisi che aiutano a capire dove e come intervenire per sprecare meno cibo. Grazie a questa intuizione, la scrivente in accordo con la Stazione Appaltante, la Asl e la commissione Mensa, può modificare i menu specificatamente alle sole pietanze non particolarmente gradite". Lamentava quindi la ricorrente che, per sapere in cosa consistesse e quali fossero le caratteristiche del predetto sistema di monitoraggio informatico degli scarti, si era però costretti a consultare l'Allegato "Progetto sul gradimento e consumo", che, come già detto, constava di ben 46 pagine. Rilevava inoltre la ricorrente che, sempre a pag. 8 del piano del servizio, l'impresa -OMISSIS-scriveva che era sua intenzione "attivare la verifica della qualità percepita mediante rilevazioni metodiche fra gli utenti (come anche della commissione mensa) utilizzando il modulo ITCUSTOMER integrato sul sistema SCHOOLWEB della società -OMISSIS- tale software che sarà impiegato anche per le attività di rendicontazione e prenotazione pasti. Si allega relativa descrizione". Ebbene, essa lamentava che anche alla descrizione del sistema di rilevazione della qualità del servizio la società -OMISSIS-dedicava poche e scarne righe, rinviando integralmente all'Allegato "Progetto di gradimento del servizio". Concludeva la ricorrente evidenziando che la società -OMISSIS-aveva descritto le modalità di espletamento del servizio facendo ampio uso degli allegati, i quali invece, ai sensi del citato art. 15 del Disciplinare di gara, potevano essere utilizzati solo "per dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici", con la conseguente illegittimità del giudizio espresso dalla commissione di gara sull'offerta dell'aggiudicataria, alla quale l'organo consultivo avrebbe dovuto attribuire 0 punti sui sub-criteri nn. 1.1. e 1.2., con conseguente retrocessione della controinteressata al quarto posto in graduatoria, con 52,23517003 punti, ed aggiudicazione del servizio alla deducente. 4.2. Con la censura sub XV, la ricorrente premetteva che sia l'art. 3 del Disciplinare, sia l'art. 2, punti 2 e 3, del Capitolato prescrivevano l'obbligo per l'operatore economico aggiudicatario di fornire quotidianamente le derrate alle scuole del pre-obbligo, e che l'art. 21.4 del Capitolato stabiliva, inoltre, che "Nei nidi e nelle scuole d'infanzia l'I.A. deve consegnare le derrate alle singole sedi (ivi compresa la consegna ai nidi la cui gestione è affidata a terzi e nei quali i pasti sono pertanto preparati da personale alle dirette dipendenze degli affidatari) tassativamente in un orario compreso tra le ore 7,30 (sette e trenta minuti) e le ore 8,45 (otto e quarantacinque minuti) del medesimo giorno di utilizzo di tali derrate, senza deroga alcuna". Esponeva altresì la ricorrente che, come emergeva dall'Allegato n. 1 del Capitolato, le scuole del pre-obbligo cui doveva essere effettua la fornitura delle derrate erano in totale 25: tuttavia, nell'offerta progettuale della società -OMISSIS-non si rinveniva alcuna descrizione del piano dei trasporti e delle consegne delle derrate alle scuole del pre-obbligo, come dimostrato dall'esame del piano dei trasporti redatto dalla suddetta società, il quale prevedeva solo il trasporto dei pasti alle scuole dell'obbligo. Da ciò discendeva, ad avviso della ricorrente, la necessità di esclusione della società -OMISSIS-dalla gara, atteso che la mancata redazione del piano del trasporto delle derrate nelle scuole del pre-obbligo aveva impedito alla stazione appaltante di accertare la compatibilità del servizio offerto rispetto alle tempistiche di trasporto e consegna previste tassativamente dall'art. 21.4 del Capitolato. Infine, per l'ipotesi che la carenza lamentata non fosse ritenuta tale da giustificare l'esclusione della concorrente -OMISSIS-, deduceva la ricorrente che alla stessa avrebbero dovuto essere decurtati i 14,82608696 punti che aveva conseguito in relazione al sub-parametro 1.1. 4.3. Con la censura sub XVI, la ricorrente deduceva che il R.U.P., in sede di verifica del costo del lavoro, aveva riscontrato delle "differenze negative" tra i minimi salariali retributivi indicati nelle apposite Tabelle ministeriali e i costi della manodopera stimati dall'aggiudicataria, e che nei giustificativi del 27 dicembre 2022 la società -OMISSIS-aveva dichiarato che le predette "differenze negative" dipenderebbero dall'adozione di un particolare criterio correttivo, che le avrebbe consentito di conseguire dei risparmi di spesa dovuti alle seguenti ragioni: 1) la tipologia giuridica della società di capitali, in particolare nella veste di impresa commerciale costituita in forma di S.r.l., nella quale la maggioranza dei soci è iscritta alla gestione speciale commercianti con conseguente beneficio di un'aliquota contributiva ridotta per il finanziamento dell'assegno per il nucleo familiare (ex CUAF) attraverso il rilascio del codice autorizzativo 3V da parte dell'INPS (Circolare INPS n. 1090/2000); 2) la riduzione del tasso effettivo INAIL dovuto al mancato recepimento da parte delle tabelle Ministeriali, nell'elaborazione del costo orario del lavoro per i lavoratori dipendenti da aziende del settore Turismo - comparto pubblici esercizi "Ristorazione collettiva" a valere dal mese di dicembre 2021, dei nuovi tassi nominali INAIL, pur se introdotti con decreto direttoriale del 27 giugno 2019; 3) la riduzione del tasso medio di tariffa INAIL per le società che abbiano effettuato interventi per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli previsti dalla normativa in materia; 4) l'espunzione della voce "Elemento Economico di garanzia" dal calcolo dei costi medi orari presenti nelle Tabelle ministeriali per il settore Turismo - comparto pubblici esercizi "Ristorazione collettiva", in quanto trattasi di un elemento economico una tantum, erogato a copertura di un periodo di vacanza contrattuale e non ricorrente. Esponeva la ricorrente che, a seguito dell'esame di tali giustificazioni, il R.U.P., con relazione dell'11 gennaio 2023, aveva ritenuto congrua l'offerta della società -OMISSIS-. Essa deduceva quindi che la società -OMISSIS-si era tuttavia impegnata a rispettare la clausola sociale prevista dall'art. 16.2 del Capitolato e, pertanto, a riassorbire i lavoratori già alle dipendenze del precedente uscente: ne discendeva che essa non poteva applicare i benefici derivanti dalla propria organizzazione d'impresa ai lavoratori che si era impegnata ad assumere in forza della clausola sociale. In ogni caso, evidenziava altresì la ricorrente, il costo della manodopera che l'aggiudicataria doveva sostenere per remunerare il proprio personale sarebbe stato, in ogni caso, superiore di più di Euro 300.000,00 rispetto a quello dichiarato. Se infatti la società -OMISSIS-intendeva sottrarsi al sistema "convenzionale" di calcolo del costo del lavoro previsto dalle Tabelle ministeriali, non poteva limitarsi a beneficiare dei vantaggi che da tale scelta derivavano, ma anche "sopportarne gli oneri": essa, pertanto, ai fini del calcolo del costo della manodopera, era obbligata a tenere in considerazione anche i maggiori costi derivanti dagli scatti di anzianità effettivi maturati dal personale da riassorbire nel rispetto dell'art. 16.2 del Capitolato. Tuttavia, aggiungeva la ricorrente, dai giustificativi della società -OMISSIS-emergeva che essa, per quanto riguardava i dipendenti rientranti nei livelli CCNL 4°, 5° 6° S, non aveva considerato i costi degli scatti d'anzianità effettivi, che erano superiori a quelli previsti degli standard ministeriali, con il conseguente extra-costo non dichiarato di Euro 398.450,34 e formulazione in (presumibile) perdita economica dell'offerta. La ricorrente richiamava, a sostegno delle sue allegazioni, la relazione tecnica di parte a firma del consulente dott. Stella, riservandosi di richiedere al T.A.R. lo svolgimento di una C.T.U.. 4.4. Le censure sub XVII, XVIII e XIX afferivano alla controinteressata -OMISSIS- e si prefiggevano di dimostrare la carenza nella relativa offerta di un elemento essenziale, l'incertezza/indeterminabilità della stessa nonché la sua inidoneità a soddisfare il fabbisogno della stazione appaltante, con la conseguente doverosità della relativa esclusione ovvero, in subordine, il suo declassamento nella graduatoria di gara. Anche in ordine alle suddette censure, dichiarate improcedibili dal T.A.R. per le ragioni innanzi esposte, può prescindersi da ogni ulteriore illustrazione contenutistica. 5. Ulteriori motivi aggiunti venivano proposti dalla ricorrente in data 31 maggio 2023, a seguito della acquisizione dei documenti richiesti dalla stazione appaltante all'aggiudicataria a dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara. La ricorrente premetteva che, tra i prefati requisiti, rientrava anche quello prescritto dall'art. 2.1, comma 2, del Capitolato d'appalto, il quale disponeva: "I partecipanti alla gara devono dichiarare di avere il possesso o impegnarsi a dotarsi entro 15 giorni dall'aggiudicazione provvisoria, in caso di aggiudicazione, e a comprovare la disponibilità effettiva e il completo allestimento in tempo utile all'inizio dell'esecuzione del contratto e comunque non oltre tre giorni prima dell'inizio previsto per l'esecuzione stessa, uno o più idonei centri di cottura, con capacità produttiva adeguata ai lotti per i quali si concorre, ad una distanza rispetto a ciascuna scuola di consegna tale da garantire che tra il confezionamento e la distribuzione ai tavoli non trascorrano più di 45 minuti, nel rispetto delle previsioni del Piano dei trasporti, di cui all'art. 17, e dell'intervallo orario intercorrente tra la conferma, di cui all'art. 21.1, e la consegna, di cui all'art. 21.3, dei pasti da distribuire. I tempi di disponibilità e allestimento e la loro comprova sono regolati all'art. 14.3.1, n. 17, del Disciplinare". 5.1. Quindi, con il motivo sub XX, la ricorrente deduceva la carenza in capo alla società -OMISSIS-del predetto requisito di partecipazione alla gara. Chiarito che l'oggetto della commessa era rappresentato in maniera preponderante dalla somministrazione di pasti veicolati, come emergeva dall'art. 3 del Disciplinare di gara e dall'art. 2.1. del Capitolato d'appalto, e che la disponibilità di (almeno) un centro di cottura destinato alla preparazione dei pasti era, pertanto, una condizione indispensabile affinché l'Amministrazione potesse valutare la serietà e la credibilità dell'impegno assunto dagli operatori economici partecipanti alla gara, tanto da essere anche oggetto di espressa valorizzazione da parte del Disciplinare di gara, il quale, al sub-criterio 1.1. dell'art. 16.1 del Disciplinare di gara, premiava con l'attribuzione di un massimo di 22 punti l'offerta del miglior "Sistema organizzativo di produzione e distribuzione dei pasti", lamentava la ricorrente che la società -OMISSIS-, nella propria offerta progettuale - segnatamente, nel "LAYOUT CENTRO COTTURA E PIATTAFORMA LOGISTICA DI EMERGENZA" (pag. n. 327) - aveva dichiarato di avere la diponibilità di un centro di cottura sito in Torino, Via -OMISSIS- Tuttavia, essa proseguiva, tra i documenti che la società -OMISSIS-aveva trasmesso al R.U.P. a comprova del possesso dei requisiti, non ve n'era alcuno che certificasse l'effettiva disponibilità, in capo alla stessa, del centro di cottura che quest'ultima aveva dichiarato di voler utilizzare per la produzione dei pasti. Inoltre, da verifiche eseguite, era emerso che all'indirizzo ove doveva essere ubicato il centro di cottura dichiarato dalla società -OMISSIS-non solo non esisteva alcun centro di cottura, ma neppure erano in corso lavori di ristrutturazione dell'immobile (asseritamente) destinato ad ospitarlo, come emergeva dalla documentazione fotografica allegata. 5.2. Con la censura sub XXI, premesso che la concorrente -OMISSIS-si era aggiudicata la gara in virtù del punteggio (14,82608696 punti) che la commissione di gara le aveva attribuito per il sub-parametro 1.1 dell'art. 16.1 del Disciplinare di gara ("Sistema organizzativo di produzione e distribuzione dei pasti"), il quale postulava l'effettiva disponibilità di un centro di produzione munito delle caratteristiche prescritte dalla lex specialis, la ricorrente deduceva che la stazione appaltante, ove non avesse ritenuto di dichiarare la decadenza della società -OMISSIS-decaduta dall'aggiudicazione, avrebbe dovuto quantomeno annullare il punteggio che essa aveva ricevuto in relazione al suddetto sub-criterio, con la conseguente aggiudicazione della gara alla deducente. 5.3. In via subordinata, la ricorrente impugnava la norma di gara nella parte in cui, in violazione dei principi del favor partecipationis, di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, nonché dell'art. 32, comma7, d.lvo n. 50/2016, non imponeva alla stazione di appaltante di verificare, prima della conclusione della fase dell'evidenza pubblica, se il centro di cottura oggetto di attribuzione del punteggio da parte della commissione di gara fosse effettivamente in possesso dell'aggiudicataria: centro di cottura che, anche se ancora in fase di costruzione al momento dell'aggiudicazione, doveva comunque essere munito di tutte le autorizzazioni prescritte dalla legge. 5.4. Con il motivo sub XXII, collegato al motivo sub X, la ricorrente, evidenziato che la R.A., con nota prot. -OMISSIS-, a conclusione del relativo procedimento amministrativo, aveva disposto la cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori aziendali, in quanto, a seguito dell'istruttoria svolta, aveva ritenuto la condotta della società censurabile ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis), imputava alla controinteressata la violazione dell'obbligo di portare a conoscenza della stazione appaltante ogni informazione potenzialmente rilevante ai fini della sussistenza dei requisiti soggettivi di partecipazione alla gara: la società -OMISSIS-, infatti, aveva omesso di rappresentare di aver subito la revoca delle quattro aggiudicazioni e la sospensione dall'Albo dei fornitori aziendali, da ultimo sfociata nel provvedimento di cancellazione. 6. Con i motivi aggiunti depositati in data 3 luglio 2023, la ricorrente estendeva la domanda di annullamento alla nota prot. n. -OMISSIS- del 2 giugno 2023, con la quale la stazione appaltante, a conclusione del relativo procedimento, aveva respinto l'istanza di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione formulata dalla ricorrente e, per l'effetto, dichiarato che nulla ostava all'adozione di un provvedimento dichiarativo dell'efficacia dell'aggiudicazione del lotto n. 3 alla società -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 32, comma 7, d.lvo n. 50/2016. 6.1. Con il motivo XXIII degli stessi, la ricorrente deduceva in primo luogo che il R.U.P. aveva omesso di esprimersi sulla reiterata condotta omissiva della concorrente -OMISSIS-, la quale non aveva reso noti alla stazione appaltante, in sede di partecipazione alla gara, i fatti riportati nelle due deliberazioni del C.d.A. R.A. del 24 marzo 2022 e del 6 luglio 2022, nonché di aggiornare la propria dichiarazione ex art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016, comunicando alla Città di Torino le ulteriori circostanze escludenti desumibili dal provvedimento di cancellazione dall'Albo dei fornitori R.A.: solo nell'ambito del procedimento di annullamento in autotutela dell'aggiudicazione, la società -OMISSIS-, con memoria del 19 aprile 2023, aveva dato atto dell'esistenza del provvedimento di cancellazione dall'Albo dei fornitori R.A., senza, tuttavia, versarlo agli atti del suddetto procedimento. 6.2. Per quanto concerneva, invece, i fatti contestati alla società -OMISSIS-con le due deliberazioni del C.d.A. R.A. del 24 marzo 2022 e del 6 luglio 2022, premetteva la ricorrente che il R.U.P., nella nota prot. n. -OMISSIS- del 2 giugno 2023, aveva espresso sui medesimi un giudizio di irrilevanza ai fini escludenti, fondato sui seguenti rilievi: - "(n)on risulta (...) accertato né il ruolo ("amministratore di fatto") che costituirebbe l'elemento soggettivo potenzialmente rilevante, né la persona fisica alla quale tale ruolo sarebbe astrattamente attribuibile"; - non sarebbero ancora giunte a conclusione le indagini penali volte a accertare la veridicità e le responsabilità di tali fatti. Deduceva quindi la ricorrente che l'iter logico-motivazionale del R.U.P. appariva totalmente appiattito sulla versione dei fatti esposta dalla società -OMISSIS-e che lo stesso si era concentrato solo sui profili penalistici in corso di accertamento, astenendosi, invece, dall'esprimere una valutazione sulle ragioni che avevano indotto la R.A., nella più volte citata delibera del C.d.A. del 24 marzo 2022, a ritenere le condotte poste in essere dalla controinteressata come autonomamente rilevanti "ex art. 80 co. 5 lett c), e/o c bis) e/o d), del Dlg.vo n. 50/2016 e s.m.i essendo in astratto atte a fare venire meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante", senza curarsi del fatto che i due verbali del C.d.A. R.A. del 24 marzo 2022 e del 6 luglio 2022 avevano portato alla luce condotte autonomamente qualificabili come possibili cause di esclusione dalle procedure ad evidenza pubblica, ex art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016. 6.3. Esponeva altresì la ricorrente che il R.U.P., nella nota prot. n. -OMISSIS- del 2 giugno 2023, con riferimento alla cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori R.A., aveva rilevato: "(l)a non iscrizione di -OMISSIS- per un biennio all'Albo fornitori RA., in base al regolamento interno dell'ente, rileva poi in questa sede non in quanto tale ma come eventuale mezzo di prova dei fatti alla base di tale decisione. Essendo tali fatti tuttavia gli stessi che si ritengono supposti ma non sufficientemente accertati, valgono le considerazioni già prima svolte". Ebbene, lamentava in primo luogo la ricorrente che il R.U.P. aveva condotto il giudizio valutativo sui fatti riportati nel provvedimento di cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo fornitori R.A., senza aver mai acquisito copia integrale del provvedimento di cancellazione, pur essendo a conoscenza che la R.A. aveva cancellato dal proprio Albo dei fornitori l'impresa controinteressata per avere quest'ultima posto in essere condotte riconducibili all'art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis), d.lvo n. 50/2016, non foss'altro perché il dispositivo del provvedimento di cancellazione era stato, altresì, allegato dalla ricorrente alle osservazioni procedimentali del 3 maggio 2023. Essa esponeva altresì che, con le predette osservazioni del 3 maggio 2023, aveva espressamente sollecitato la Città di Torino ad "acquisire senza indugio copia integrale del provvedimento del 14 marzo 2023, nonché di tutti gli altri provvedimenti e/o determine ivi richiamate". 6.4. Deduceva quindi la ricorrente che il giudizio del R.U.P. era fallace anche perché, se egli avesse acquisito il provvedimento di cancellazione per intero, avrebbe potuto riscontrare che l'estromissione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori R.A. era stata determinata da quattro contestazioni totalmente estranee sia all'indagine penale richiamata nei provvedimenti adottati dalla R.A.I, che ai fatti richiamati nella determina R.A. del 6 luglio 2022, le quali, secondo la medesima R.A., integravano autonomamente le fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis), d.lvo n. 50/2016. Tali contestazioni, precisava la ricorrente, erano così illustrate nel provvedimento di cancellazione: 1. gli incontri tenutisi - secondo l'istruttoria svolta dalla R.A. - tra l'Amministratore all'epoca unico della società -OMISSIS-, Sig. -OMISSIS-e l'ex R.U.P. della R.A., Dott. -OMISSIS-: "nell'ambito delle osservazioni procedimentali a più riprese formulate, la Società non solo ha specificamente negato l'incontro del 24.06.2021 tra l'ex dirigente RA. -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS- (oggi qualificato dagli inquirenti come "amministratore di fatto" della -OMISSIS-, all'epoca - per Vs. stessa precisazione e come evincibile da visura camerale - amministratore unico della società ), ma ha altresì sottolineato più in generale l'assenza di rapporti tra i due soggetti (cfr., da ultimo, Vs. nota del 7.11.2022 "...totale estraneità del sig. -OMISSIS--rispetto a qualsivoglia ipotesi di contatto con il dott. -OMISSIS-"). La scrivente ha, tuttavia, riscontrato elementi di segno opposto dal ricorso al Giudice del lavoro presentato dallo stesso -OMISSIS- nel mese di ottobre 2022, ossia dall'atto difensivo in cui era lecito supporre che l'interessato avrebbe negato ogni forma di contatto, al di fuori dei contesti istituzionali, con -OMISSIS-trattandosi di condotte contrari ai suoi doveri d'ufficio. Nello specifico, -OMISSIS- non ha confutato l'incontro del 24.06.2021 né la circostanza di aver posato in tale occasione il proprio zainetto dell'autovettura in uso a -OMISSIS-ancorché asserendo che detti fatti non fossero connotati da illiceità ; nell'atto in questione, -OMISSIS- ha inoltre fatto riferimento ad altre occasioni di incontro con "i signori -OMISSIS-". Si riportano di seguito gli stralci di interesse del ricorso: "L'incontro a cui si fa riferimento nella contestazione non era dovuto a oscure ragioni (...), -OMISSIS- non ha effettuato incontri segreti, non si è appartato in camere di albergo, in uffici nascosti, ovvero fatto ricorso a sotterfugi di alcun tipo. Il "caffè " è stato preso alla luce del sole, in un bar a Piazza C-OMISSIS- a qualche centinaio di metri di distanza dalla RA., nell'ambito dei normali rapporti di cortesia, per la semplice ragione che, a causa delle regole di accesso agli uffici della RA. dovute al COVID-19, non era possibile per i fornitori esterni accedere a detti uffici. Ciò non toglie che, quando la -OMISSIS-o i signori -OMISSIS-hanno avuto la possibilità di accedere agli uffici RA. di Viale (omissis), prima del Covid-19, ovvero, eccezionalmente, durante il Covid-19, per effetto di specifica autorizzazione che il sottoscritto non poteva rilasciare, il caffè è stato ugualmente preso all'interno del bar della RA. di viale (omissis). (...) Nella contestazione, si afferma, addirittura, che -OMISSIS- ha "lasciato il proprio zainetto sul sedile posteriore dell'autovettura con vetri oscurati in uso al Sig. -OMISSIS-". Non risulta che tale comportamento integri una fattispecie di illecito, semplicemente all'interno dello zaino vi erano dei prodotti che -OMISSIS- aveva acquistato da "Risparmio Casa" qualche minuto prima, proprio nelle adiacenze, che rendevano lo zaino particolarmente pesante e ingombrante. Ha quindi appoggiato lo zaino, che poi ha successivamente ripreso (...) D'altra parte, la -OMISSIS-e i signori -OMISSIS-potranno confermare che hanno preso numerosi caffè con altro personale RA., nel rispetto dei ruoli, compresi Direttori, e nessuno ha mai avuto modo di eccepire alcunché .". Il fatto che -OMISSIS- - pur in un atto difensivo centrale quale il ricorso avverso il proprio licenziamento - non abbia negato le circostanze sopradette (OMISSIS) inducono a ritenere che la produzione della carta di imbarco del sig. -OMISSIS- sul volo Roma-Brindisi delle 17:30 del 24.06.2021 non costituisca elemento sufficiente a confutare in maniera incontrovertibile la circostanza contestata dell'incontro"; 2. l'omissione dichiarativa per fatti di indagine di cui al d.lgs. n. 231/2001: "nell'ambito delle osservazioni procedimentali del 7.11. 2022, pur in assenza di alcuna specifica contestazione e/o richiesta di informazioni di RA. sul punto, la Società ha rappresentato di non essere indagata (OMISSIS). Conviene precisare come la (pur degna di nota) circostanza del coinvolgimento della Società nell'indagine ex d.lgs. n. 231/2001 non rilevi in sé, assumendo invece obiettiva incidenza negativa sul giudizio di affidabilità nei confronti di -OMISSIS-la condotta successivamente tenuta dalla medesima che, non solo ha omesso di riferire tale sviluppo pur in presenza dell'espresso obbligo in tal senso previsto dall'art. 9 dell'Albo, ma l'ha persino negato nelle ultime deduzioni del 7.11.2022, in violazione dei basilari principi di trasparenza e leale partecipazione al contraddittorio"; 3. gli "ulteriori elementi di scarsa trasparenza, sintomatici dell'inaffidabilità professionale della -OMISSIS-(...) emersi raffrontando talune altre deduzioni della Società (...) con i riscontri documentali in possesso della scrivente", come l'affermazione (rivelatasi non corretta) dell'estromissione della mandante -OMISSIS-, "dal R.T. costituito nel 2014": "Nello specifico, la Società ha rappresentato di aver "estromesso" la mandante -OMISSIS-dal R.T. costituito nel 2014 allegando a riprova una e-mail di -OMISSIS-del 10.12.2021 in risposta ad una e-mail della -OMISSIS-il cui contenuto non è stato prodotto nel procedimento. La corrispondenza in questione è stata, tuttavia, allegata integralmente da -OMISSIS-e da tale scambio emerge che la Società non aveva estromesso la mandante, ma aveva rappresentato la richiesta di estensione della committente, limitandosi solo a chiedere l'elenco dei dipendenti per il caso in cui lnnova non intendesse accettare l'estensione temporale"; 4. il pagamento, secondo l'istruttoria della R.A., da parte di un dipendente della società -OMISSIS-di una vacanza a favore dell'ex R.U.P., Dott. -OMISSIS-, e dei suoi familiari: "come rappresentato nella nota prot. prot. A/D/5688/P del 28.10.2022, dai documenti depositati da -OMISSIS-S.p.A. nell'ambito del giudizio all'epoca pendente avanti al Tar Lazio con R.G. 8315/2022, è emerso che, a seguito di ulteriori accertamenti effettuati dagli inquirenti in epoca successiva all'adozione del Decreto, la circostanza di fatto ivi descritta consistente nel pagamento di una vacanza presso il villaggio -OMISSIS- Apulia a favore dell'ex dirigente -OMISSIS- e dei suoi familiari (vacanza prenotata nel maggio 2021 e fruita tra giugno e luglio 2021, in pendenza del procedimento di gara n. 8085880 ed in vigenza del precedente rapporto contrattuale sorto nel 2015) non è riferibile ad una dipendente della -OMISSIS-S.p.A., bensì alla dipendente di -OMISSIS-G.C. (OMISSIS). Rispetto alla vicenda (...) del pagamento della vacanza ascritta alla Vs. (cioè, della Società -OMISSIS-) dipendente - sulla cui obbiettiva rilevanza -OMISSIS-stessa si è espressa nella nota del 7.04.2022 quando i fatti erano riferiti a -OMISSIS-- non è stato fornito alcun concreto elemento fattuale idoneo a smentire le circostanze di fatto contestate, né è stata prodotta una dichiarazione della dipendente volta a negare le predette circostanze, che integrano senza dubbio alcuno una grave violazione degli obblighi di condotta ai quali devono attenersi gli operatori iscritti all'Albo, limitandosi a rappresentare alcune blande misure interinali adottate nei confronti di G.C., nonché il segreto professionale opposto dal difensore di quest'ultima". Conclude, quindi, la R.A. affermando che "Le circostanze sopra riepilogate, autonomamente valutate sul piano del diritto amministrativo, a prescindere dall'accertamento della rilevanza penale dei fatti concretizzano una grave violazione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC 231), del Codice Etico e del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione (PTPC) adottati da RA. Per inciso, le stesse circostanze integrano altresì una grave violazione anche del Patto di Integrità di Ra.; tuttavia, si ritiene, allo stato, di potere soprassedere dall'effettuare ulteriori approfondimenti sul punto, essendo intervenuto l'annullamento in via di autotutela dell'intera procedura di gara alla quale la Società ha partecipato. In particolare, le condotte richiamate contrastano con i seguenti principi generali in materia di: a) correttezza e trasparenza, onestà, osservanza della legge; b) comportamenti da seguire in materia di regali, omaggi e altre utilità (cfr. Parte Speciale A - par. 3 "Principi di comportamento e di attuazione dei processi decisionali" del MOGC 231 e paragrafi "Regali e atti di cortesia" e "Prevenzione della Corruzione" del Codice Etico Rai); c) di obblighi in tema di trasparenza delle relazioni tra Stazione appaltante e operatore economico (cfr. Protocollo sulla gestione della procedura di affidamento del PTPC), al cui rispetto sono tenuti tutti i fornitori Ra.. Peraltro, le suddette circostanze, in ragione di quanto sopra evidenziato, risultano anche idonee ad integrare: a) la fattispecie del grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l'integrità dell'operatore economico, ex art. 80, co. 5, lett. c) del D.lgs. n. 50/2016, fattispecie cui può essere ricondotta qualunque situazione, anche non tipizzata, accertata con mezzi adeguati ed idonea a far venire meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante, sulla base di un apprezzamento rimesso alla discrezionalità di quest'ultima; b) la fattispecie ex art. 80 co. 5, lett. c-bis) del D.lgs. n. 50/2016 quale tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, tenuto conto della condotta reticente condotta tenuta nel corso del presente procedimento, nel corso del quale sono state volutamente omesse informazioni certo suscettibili di influenzare l'esito del procedimento. Alla luce di tutto quanto sopra, richiamate altresì tutte le considerazioni espresse nelle precedenti comunicazioni da intendersi qui integralmente trascritte, non adeguatamente confutate dalla Società, si dispone la cancellazione della Società dall'Albo ai sensi dell'art. 12.1, lett. (a), (d) ed (f) del relativo Regolamento; detta cancellazione dall'Albo comporta l'impossibilità di esservi reinseriti per un periodo di 24 mesi, attesa la gravità delle cause di cancellazione". 6.5. La ricorrente ribadiva quindi che le quattro contestazioni sollevate dalla R.A. non afferivano alla vicenda penale, né alle circostanze di cui si faceva menzione nelle due delibere del C.d.A. R.A. del 24 marzo 2022 e del 6 luglio 2022, ma riguardavano direttamente il profilo dell'illecito amministrativo e, quindi, costituivano un quid novi sul quale il R.U.P. avrebbe dovuto obbligatoriamente esprimersi. 6.6. Con la censura sub XXIV, la ricorrente lamentava che il R.U.P. si era del tutto appiattito sulle deduzioni formulate dalla società -OMISSIS-nella memoria procedimentale depositata il 19 aprile 2023, con la quale veniva rappresentato che "le contestazioni che supportano la surriferita determinazione di RA. attengono ad asserite violazioni dei Regolamenti RA., Codice Etico, etc. assunti nelle interlocuzioni tra la deducente e i funzionari RA. riguardanti fatti che riguarderebbero persone fisiche non facenti parte della governance della Società, quindi in definitiva condotte che semmai rileverebbero esclusivamente nei rapporti con la RA., tutte interne alle dinamiche proprie delle interrelazioni con tale committente e comunque non riguardanti una procedura di gara pubblica o l'esecuzione di un appalto". Deduceva in senso contrario la ricorrente che ciò era smentito dal menzionato provvedimento che aveva disposto la cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori R.A., laddove veniva precisato che "le suddette circostanze (...) risultano anche idonee ad integrare (...) la fattispecie del grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l'integrità dell'operatore economico, ex art. 80, co. 5, lett. c) del D.lgs. n. 50/2016", nonché "la fattispecie ex art. 80 co. 5, lett. c-bis) del D.lgs. n. 50/2016". Invero, deduceva la ricorrente: A) la prima contestazione atteneva alla violazione del principio di leale collaborazione e alla non opportunità che l'Amministratore unico della società -OMISSIS-(secondo la R.A., infatti, il Sig. -OMISSIS-ricopriva in illo tempore l'incarico di Amministratore unico) si incontrasse con il dirigente R.A. addetto al ruolo di R.U.P. mentre la gara era presumibilmente in corso; B) la seconda contestazione si appuntava, invece, sulla violazione dei "principi di trasparenza e leale partecipazione al contradditorio"; C) la terza contestazione, anch'essa afferente alla lesione dei principi di trasparenza e leale collaborazione tra il privato e la P.A., poggiava sul fatto che la società -OMISSIS-avrebbe fornito alla R.A. una dichiarazione non veritiera circa l'estromissione di -OMISSIS-s.r.l. "dal R.T. costituito nel 2014"; D) con la quarta contestazione, integrante gli estremi di una "grave violazione degli obblighi di condotta" che gravano in capo ai partecipanti alle procedure ad evidenza pubblica, la R.A. asseriva che la società -OMISSIS-non aveva fornito "alcun concreto elemento fattuale" idoneo a smentire il pagamento, da parte di una propria dipendente, di una vacanza in Puglia al R.U.P. della procedura e ai suoi familiari (la società -OMISSIS-, infatti, si sarebbe limitata "a rappresentare alcune blande misure interinali" adottate nei confronti della dipendente, nonché ad invocare "il segreto professionale opposto dal difensore di quest'ultima"). Esponeva altresì la ricorrente che le richiamate contestazioni concernevano violazioni dei principi di trasparenza e leale collaborazione tra privati e P.A., che attengono ai rapporti con tutte le stazioni appaltanti, come era dimostrato dal "Patto d'integrità delle imprese concorrenti ed appaltatrici degli appalti comunali", che la società controinteressata aveva sottoscritto con la Città di Torino prima di partecipare alla gara. 6.7. Con la censura sub XXV, la ricorrente evidenziava che il R.U.P., con la nota impugnata, aveva dichiarato che "può risultare opportuno per la stazione appaltante essere informata comunque di ogni notizia - fondata o infondata, rilevante o non rilevante che sia - che possa avere o che possa da terzi essere ritenuta avere una qualche attinenza con la gara alla quale si partecipa, lasciando all'Amministrazione ogni conseguente valutazione in merito, che risulterebbe in tal modo più tempestiva e quindi conveniente per i tempi delle verifiche conseguenti e della procedura di gara da concludere per permettere il subentro nel contratto dei nuovi aggiudicatari". Ebbene, deduceva la ricorrente che, secondo quanto emergeva dall'articolo pubblicato in data 28 giugno 2023 sul quotidiano locale La Fe., era attualmente in corso (si presumeva, dinanzi al Tribunale di Cuneo) un procedimento penale a carico del legale rappresentante e del responsabile della sicurezza alimentare della società -OMISSIS-per i reati di commercio di sostanze alimentari nocive e lesioni personali colpose, scaturente dagli episodi di grave intossicazione alimentare, verificatisi nel 2019 presso la Caserma del Genio militare Gen. C.A. Dalla Chiesa di -OMISSIS- (CN), in cui sarebbero rimasti coinvolti più di trenta militari. Aggiungeva la ricorrente che dal medesimo articolo di giornale si evinceva che erano state contestate alla società -OMISSIS-altre rilevanti irregolarità nella gestione del servizio, tra cui il fatto che "in cucina non c'erano disinfettanti e ciò ha rafforzato l'ipotesi degli inquirenti che il batterio si trovasse sui coltelli", che "i termometri sui banconi non fossero funzionanti", che "(m)ancavano indicazioni sugli allergeni, sulla formazione del personale e sull'identificazione di alcune materie prime presenti nelle celle frigorifere" e, infine, che "(l)a procedura di abbattimento termico (...) non era conforme", in quanto "era presente un congelatore, ma non un abbattitore". Ebbene, stante l'assolutezza del dovere di portare a conoscenza della stazione appaltante ogni fatto potenzialmente escludente, deduceva la ricorrente che, se l'attendibilità delle notizie riportate dal quotidiano dovesse essere confermata, la società -OMISSIS-avrebbe dovuto rendere noto alla Città di Torino non solo il verificarsi dell'episodio di infezione batterica, ma anche l'apertura di un procedimento penale che, come emergeva dal suddetto articolo, avrebbe fatto seguito al rinvio a giudizio del legale rappresentante della società -OMISSIS-disposto dal G.U.P. nei mesi precedenti. La ricorrente evidenziava quindi che la società -OMISSIS-, pur avendo avuto l'occasione di aggiornare la propria dichiarazione ex art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016 nell'ambito del procedimento in autotutela, aveva omesso di farlo. Essa aggiungeva che, considerate le omissioni dichiarative della società -OMISSIS-nel loro complesso, non poteva che giungersi alla conclusione dell'inaffidabilità professionale di tale impresa, che doveva essere esclusa dalla gara non tanto ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c-bis), quanto, piuttosto, ai sensi della lett. f-bis) della medesima disposizione. 6.8. Con il motivo sub XXVI, la ricorrente esponeva che, dall'esame della documentazione in possesso della Città di Torino, risultavano le innumerevoli omissioni, da parte della società -OMISSIS-, di fatti e circostanze potenzialmente rilevanti a fini escludenti, quali: l'apertura del procedimento di esclusione intrapreso a carico della società -OMISSIS-dalla R.A. per condotta censurabile ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) e/o c-bis) e/o d), d.lvo n. 50/2016; l'annullamento, sempre da parte della R.A., dei quattro lotti multi-milionari di cui la stessa aveva conseguito l'aggiudicazione; la sospensione (prima) e la cancellazione (poi) della medesima impresa dall'Albo dei fornitori R.A.; l'omessa dichiarazione dei fatti accertati dalla R.A. nell'ambito del procedimento conclusosi con la cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori aziendali; l'omesso aggiornamento della dichiarazione di cui all'art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016, nonostante la successiva apertura del procedimento da parte del R.U.P; l'omessa dichiarazione riferita all'intossicazione alimentare verificatasi nella Caserma di -OMISSIS- a seguito della somministrazione dei pasti; l'omessa dichiarazione del giudizio attualmente pendente nei confronti del rappresentante legale dell'operatore -OMISSIS-. La ricorrente deduceva quindi il carattere incoerente e illogico dell'operato del R.U.P., che aveva omesso di esprimersi sul significato escludente delle plurime condotte omissive tenute dalla società -OMISSIS-nel corso della gara. 6.9. Con la censura sub XXVII, la ricorrente premetteva che, al punto 4.1 di pag. 10 della memoria procedimentale del 19 aprile 2023, la società -OMISSIS-riferiva del sopravvenuto provvedimento di cancellazione dall'Albo fornitori R.A., salvo poi precisare alla pagina 11 che "le contestazioni che supportano la surriferita determinazione di RA. attengono ad asserite violazioni dei Regolamenti RA., Codice Etico, etc. assunti nelle interlocuzioni tra la deducente e i funzionari RA. riguardanti fatti che riguarderebbero persone fisiche non facenti parte della governance della Società, quindi in definitiva condotte che semmai rileverebbero esclusivamente nei rapporti con la RA., tutte interne alle dinamiche proprie delle interrelazioni con tale committente e comunque non riguardanti una procedura di gara pubblica o l'esecuzione di un appalto". Senonché, esponeva la ricorrente, leggendo attentamente il provvedimento di cancellazione, era agevole rilevare che la prima delle quattro contestazioni mosse alla società -OMISSIS-era riferita a colui che, all'epoca dei fatti, ricopriva la carica di amministratore unico della controinteressata. Ne conseguiva che la memoria procedimentale depositata dalla controinteressata in data 19 aprile 2023 conteneva una immutatio veri, sanzionabile ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f-bis), d.lvo n. 50/2016, determinante per il giudizio che il R.U.P. aveva reso con il provvedimento che aveva rigettato l'istanza di annullamento per carenza dei requisiti soggettivi dell'operatore aggiudicatario. Infatti, a pag. 9 del provvedimento impugnato, il R.U.P. scriveva: "Non risulta infatti accertato né il ruolo ("amministratore di fatto") che costituirebbe l'elemento soggettivo potenzialmente rilevante, né la persona fisica alla quale tale ruolo sarebbe astrattamente attribuibile". Ne derivava, ad avviso della ricorrente, la prova che il R.U.P., senza alcuna verifica istruttoria, aveva rigettato l'istanza di annullamento conformandosi acriticamente alle dichiarazioni rese dall'operatore -OMISSIS-, laddove sarebbe stato sufficiente acquisire per intero il provvedimento di cancellazione della R.A. per riscontrare che in tale documento il presunto amministratore di fatto era stato individuato dall'Ente committente per tabulas nella persona che all'epoca ricopriva il ruolo di amministratore p.t. della società -OMISSIS-. 7. Con i motivi aggiunti depositati in data 19 settembre 2023, la ricorrente attraeva nell'orbita dell'impugnazione: - la comunicazione prot. n. 7.10-22/2021A del 12 settembre 2023, con la quale la Città di Torino, in riscontro alla rinnovata istanza di accesso agli atti proposta dalla società -OMISSIS- in data 3 agosto 2023, rappresentava che aveva sottoscritto in data 8 settembre 2023 il contratto di appalto con la società -OMISSIS-, previa ritenuta efficacia dell'aggiudicazione definitiva; - la comunicazione prot. n. 00013300/2023 del 13 settembre 2023, con la quale la Città di Torino comunicava la stipulazione dei contratti di appalto con la società -OMISSIS- per i lotti nn. 1 e 3; - la Determinazione dirigenziale n. 4802 del 4 settembre 2023, con la quale la Città di Torino manifestava la propria volontà di procedere alla sottoscrizione del contratto con la società -OMISSIS-in quanto aveva ritenuto, a seguito dei controlli eseguiti, efficace l'aggiudicazione; - la Determinazione dirigenziale n. 3719 del 3 luglio 2023, con la quale la Città di Torino aveva dichiarato l'efficacia dell'aggiudicazione dei lotti nn. 1 e 3 a favore della -OMISSIS-, dando atto della positiva verifica, in capo a tale società, dei requisiti di partecipazione successivi all'aggiudicazione. 7.1. Mediante la censura sub XXIX, deduceva la ricorrente che, con nota prot. n. 7.10-22/2021A del 12 settembre 2023, la Città di Torino aveva trasmesso alla stessa copia del contratto d'appalto sottoscritto con la società -OMISSIS-in data 8 settembre 2023, precisando, altresì, che "le verifiche al centro di cottura di emergenza, citato da -OMISSIS-nel suo progetto di servizio, verranno svolte secondo il calendario di ispezioni e sopralluoghi a sorpresa che questa Amministrazione conduce in modo sistematico e osservando un metodo e dei tempi per i quali il servizio dei controlli è certificato ISO 9001:2015. In occasione dei controlli sugli adempimenti da riscontrare nell'esecuzione del contratto si procederà alla verifica non soltanto di questa - la segnalazione della quale viene presa in attenta considerazione e per la quale si ringrazia - ma di tutte le altre innumerevoli caratteristiche e specificità del servizio". La richiamata nota dimostrava, ad avviso della ricorrente, che la Città di Torino non aveva ritenuto necessario verificare l'esistenza dei requisiti dichiarati in gara dalla società -OMISSIS-(ed oggetto di attribuzione del punteggio) prima della scadenza del termine dello stand still o, comunque, prima della sottoscrizione del contratto, in violazione di quanto prescritto dall'articolo 14.3.17 del disciplinare di gara, secondo cui era richiesto, "ai fini dell'esecuzione del contratto, che sia acquisita e comprovata la disponibilità effettiva e il completo allestimento non oltre tre giorni prima dell'inizio previsto per l'esecuzione stessa". Osservava la ricorrente che, poiché il contratto era stato sottoscritto tra le parti in data 8 settembre 2023 e prevedeva come inizio dell'esecuzione la data del 11 settembre 2023, la verifica di tutti i requisiti di capacità tecnica doveva essere eseguita dalla Città di Torino, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 14.3.17 del disciplinare, entro la data ultima dell'8 settembre 2023: senza considerare che sia il centro di cottura che ogni altro requisito di capacità tecnica (ad esempio il piano dei trasporti) costituivano requisiti di aggiudicazione, atteso che vi era l'obbligo per l'operatore economico, ai sensi di quanto previsto dagli articoli 6.2 e 14.3.17 del disciplinare, di dotarsene "entro 15 giorni dall'aggiudicazione provvisoria di uno o più centri di cottura come meglio specificato all'articolo 2.1 del capitolato tecnico, a distanza e con capacità produttiva adeguata ai lotti per i quali si concorre, anche in considerazione del piano dei trasporti...". Deduceva altresì la ricorrente che, quand'anche avesse voluto erroneamente ritenersi che il possesso di un centro di cottura d'emergenza fosse configurabile come requisito di esecuzione del contratto al pari del piano dei trasporti, valeva pur sempre quanto statuito dalla pacifica giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'obbligo della stazione appaltante di verificare l'esistenza del centro di cottura dichiarato dall'aggiudicatario (e, a fortiori, l'obbligo dell'aggiudicatario di dotarsene) deve essere adempiuto entro il termine dello stand still (cioè, entro 35 giorni dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione) o, a tutto concedere, prima della sottoscrizione del contratto, in quanto "elemento (...) legittimamente esigibile verso il concorrente aggiudicatario definitivo come "condizione" per la stipulazione del contratto, perché è in quel momento che si attualizza per l'amministrazione l'interesse a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare il servizio" (così, testualmente, Cons. Stato, Sez. III, 21 gennaio 2021, n. 759. In senso conforme, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 4 gennaio 2021, n. 63; Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2017, n. 5929). 7.2. La ricorrente, con il motivo sub XXX, impugnava quindi, per illegittimità derivata, le determine del 3 luglio 2023 e del 4 settembre 2023, con le quali la stazione appaltante aveva dichiarato efficace l'aggiudicazione definitiva sul presupposto del positivo espletamento, in capo alla società -OMISSIS-, ai sensi di quanto previsto dall'art. 36, comma 7, del d.lvo n. 50/2016, delle verifiche sul possesso dei requisiti soggettivi. Premesso che dai suddetti atti di contenuto meramente confermativo si evinceva che la positiva verifica dei requisiti soggettivi dell'operatore -OMISSIS-era stata desunta dalla relazione istruttoria trasmessa dal R.U.P. in data 5 giugno 2023, prot. n. 8416, già impugnata con il IV motivo aggiunto, la ricorrente ribadiva - e riproduceva - le censure già dedotte in quella sede. 7.3. Infine, con l'ultima censura, la ricorrente esponeva che le due determine della Città di Torino che dichiaravano l'efficacia dell'aggiudicazione della società -OMISSIS-erano entrambe successive alla notifica del IV atto di motivi aggiunti, per cui le stesse erano state adottate senza tenere in considerazione le sopravvenute circostanze in fatto ed in diritto ivi contestate, in ordine alle quali la Città di Torino non aveva quindi svolto alcuna istruttoria e, conseguentemente, espresso alcuna valutazione sulla attuale sussistenza dei requisiti soggettivi in capo all'operatore -OMISSIS-. 8. Il T.A.R. adito, con la sentenza n. -OMISSIS-del 28 dicembre 2023, ha preliminarmente disposto, come si è detto, l'estromissione dal giudizio della seconda classificata società -OMISSIS-, dichiarando conseguentemente l'improcedibilità dei motivi di ricorso III, XI, XVII, XVIII e XIX, nonché delle parti del I motivo concernenti l'offerta della stessa. 8.1. Sempre in via preliminare, premesso che oggetto del giudizio era soltanto il lotto n. 3, il T.A.R. ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnativa, per difetto di legittimazione e interesse al ricorso, laddove concernente lotti diversi da quello. 8.2. Infine, con l'ultima statuizione in rito, il T.A.R. ha respinto l'eccezione d'irricevibilità del quinto atto per motivi aggiunti opposta dalla controinteressata società -OMISSIS-. 8.3. Quindi, il medesimo T.A.R.: - ha dichiarato l'inammissibilità del motivo sub I, in quanto "il mezzo è stato articolato "al buio", ovvero senza conoscere il contenuto delle offerte delle prime due classificate, integrante il sostrato delle valutazioni del seggio di gara", per cui "basandosi su dati generici e del tutto neutri, la doglianza viola il principio di specificità dei motivi predicato dall'art. 40 comma 1 lett. d) c.p.a. e incorre nell'inammissibilità sancita dal successivo comma 2"; - ha comunque respinto nel merito il motivo suindicato, rilevando che "le mancanze ravvisate nella proposta di -OMISSIS-si configurano come mere imperfezioni, ponderatamente valutate dal seggio di gara attraverso l'attribuzione di punteggi inferiori alla dote massima consentita per ciascun sottocriterio". Quanto alla asserita contraddittorietà tra i giudizi numerici e la relazione illustrativa dell'offerta formulata dai commissari, il T.A.R. ha osservato che la ricorrente "circoscrive i suoi rilievi solo su singoli elementi di giudizio", sottraendosi "all'onere di critica complessiva della relazione censurata, la quale, ove letta alla stregua di un doveroso criterio sistematico rivela, invece, la compresenza di apprezzamenti insieme negativi e positivi (cfr. doc. 14.1 dell'amministrazione resistente, pagg. 7 e 8 del pdf), coerentemente sintetizzati negli anzidetti punteggi". 8.4. Quanto ai motivi sub X, XXII, XXIII, XXIV, XXVI, XXVII e XXX, il T.A.R., dopo aver richiamato i principi affermati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 28 agosto 2020, n. 16, ne ha statuito l'infondatezza. Esclusa la "riconducibilità dei fatti contestati all'alveo della lett. f-bis) (dell'art. 50, comma 5, d.lvo n. 50/2016, n. d.e.), atteso che la stessa ricorrente qualifica la condotta della controinteressata come "fuorviante" (cfr. pag. 16 e ss. e pag. 22 e ss. del quarto atto di motivi aggiunti); così evocando proprio quell'elemento di specialità che contraddistingue la lett. c-bis) dalla f-bis)", e dichiarata l'improcedibilità dei motivi X e XXII, "siccome concernenti profili di reticenza "inglobati"...nel provvedimento prot. n. 8416 del 2.6.2023", ha osservato il giudice di primo grado che "detto provvedimento, a sua volta, resiste alle censure dedotte dalla ricorrente a fronte del vasto compendio istruttorio considerato e dell'articolata motivazione che ne incrocia le risultanze". In particolare, ha osservato il T.A.R. che "l'ampio numero di documenti vagliati (centosessanta: cfr. pag. 7 del quarto atto di motivi aggiunti) corrobora le valutazioni del rup di solida base istruttoria. Tra questi, peraltro, figura pure la comunicazione, indirizzata da RA. S.p.A. a -OMISSIS-, di avvio del procedimento preordinato alla caducazione dalla gara e alla cancellazione dall'albo dei fornitori (doc. 48 dell'amministrazione comunale), ove si fa riferimento ai contatti, ritenuti impropri, tra il rup della società radiotelevisiva e il soggetto ivi qualificato come amministratore di fatto di -OMISSIS-, che, nella prospettazione di parte ricorrente, sarebbero stati determinanti nel giudizio d'inaffidabilità cui è pervenuta la stessa RA. (cfr. pagg. 12-15 del quarto atto di motivi aggiunti). Benché veicolati da atto diverso dal provvedimento finale, quei fatti sono, per ciò, pur sempre confluiti nel materiale conoscitivo a disposizione della Città di Torino; sicché, anche a voler considerare isolatamente quest'unico profilo, il lamentato difetto d'istruttoria si palesa in ogni caso infondato". Ha altresì evidenziato il T.A.R. che "la stazione appaltante risulta aver compiuto un'analitica delibazione di tutte le circostanze fattuali rilevanti, portate a sua conoscenza. In primo luogo, in merito alle indagini preliminari della Procura della Repubblica di Roma, come riportate nel decreto di perquisizione e sequestro del 31.1.2022, il rup ne ha escluso l'idoneità all'accertamento "di fatti sufficienti a costituire mezzo di prova idoneo per la riconduzione degli stessi e dei soggetti indagati alla sfera oggettiva e soggettiva di -OMISSIS-, rilevante ai fini dell'esame di cui all'art. 80 del Codice dei contratti pubblici", assumendo non essere stato provato "né il ruolo ("amministratore di fatto"), che costituirebbe l'elemento soggettivo potenzialmente rilevante, né la persona fisica alla quale tale ruolo sarebbe astrattamente attribuibile. Si rileva che non si può ipotizzare una condotta, prenderla in considerazione e analizzare la sua rilevanza rispetto all'appalto in corso quando il suo accertamento non sia corroborato quantomeno da qualche importante e significativo dato indiziario. L'indagine di cui si tratta - per quanto è dato sapere - non è invece arrivata a evidenziare un grado minimo di accertamento che la porti a rilevare come mezzo di prova, restando nell'ambito dei mezzi della ricerca di prova" (doc. 44 di parte resistente, pag. 9). Lo stesso ha inoltre aggiunto che: "La non iscrizione di -OMISSIS- per un biennio all'Albo fornitori RA., in base al regolamento interno dell'ente, rileva poi in questa sede non in quanto tale ma come eventuale mezzo di prova dei fatti alla base di tale decisione. Essendo tali fatti tuttavia gli stessi che si ritengono supposti ma non sufficientemente accertati, valgono le considerazioni già prima svolte" (ibidem). Tenuto conto dell'indirizzo giurisprudenziale, secondo cui gli atti prodromici alla condanna penale e, segnatamente, quelli assunti dal magistrato inquirente possiedono, in via fisiologica, una portata dimostrativa inferiore rispetto ai provvedimenti recanti un accertamento dell'autorità giudicante (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 19/06/2023 n. 603), le valutazioni del rup, allorché evidenziano l'insufficienza degli elementi indiziari a suffragare una valutazione d'inaffidabilità, si palesano immuni da vizi logici. Circa la sorte della procedura di affidamento già indetta dalla RA., la stazione appaltante ha, poi, rilevato che: "Né è dato di ricavare un minimo accertamento di fatti rilevanti dalla deliberazione del Consiglio di Amministrazione RA. del 6 luglio 2022, la quale rinuncia e abbandona l'istruttoria avviata il 24 marzo, per finire di annullare la gara per vizi autonomi, considerando tale circostanza assorbente rispetto all'accertamento dei fatti ipotizzati". (doc. 44 cit.) Anche tale assunto si palesa immune da critica. Come è stato affermato in altro giudizio in relazione alla medesima censura, infatti: "Irrilevante, nel caso all'odierno esame, risulta poi l'ulteriore vicenda relativa al servizio di ristorazione per conto della RA., (...) relativa all'annullamento in autotutela della procedura di gara oggetto di indagine, compresa l'aggiudicazione in favore di -OMISSIS-S.r.l.. A tal fine, è sufficiente considerare il tenore della motivazione del provvedimento, adottato sulla base della considerazione che "dalla istruttoria condotta sono emersi elementi idonei ad integrare vizi autonomi della procedura nel suo complesso che prescindono sia dall'accertamento di eventuali illeciti penali e sia dalle condotte oggetto di separato approfondimento nell'ambito di altri procedimenti avviati con riguardo alla procedura" (TAR Lazio sez. I - Roma, 23/10/2023, n. 15598 nonché Id., sez. I bis, 25/10/2022 nn. 13691 e 13692). In merito alle vicende giudiziarie del sig. -OMISSIS--e al nuovo assetto organizzativo della società affidataria, il provvedimento prot. n. 8416 del 2.6.2023 afferma che "il fatto che -OMISSIS--, prima della partecipazione di -OMISSIS- alla gara della Città di Torino, abbia cessato di essere amministratore delegato della società (il 29/7/2021) e di essere preposto alla sua gestione tecnica (il 4/5/2022), deve essere valutato ai fini del contratto per cui la procedura di gara è in corso non come un indizio di una minore affidabilità potenziale, ma, al contrario, di una maggiore affidabilità concreta, posto che gli organi societari hanno adottato provvedimenti che hanno come effetto quello di minimizzare il rischio di una reiterazione dei comportamenti illeciti di cui si tratta, con la radicale esclusione, prima ancora della sentenza di condanna, dell'imputato dagli organi di amministrazione e gestione della società "; rilevandosi, al riguardo, che "il corposo sistema organizzativo di monitoraggio e prevenzione introdotto dalla società per evitare il prodursi o il reiterarsi di illeciti, soprattutto quelli rilevanti ai sensi dell'art. 80 del Codice dei contratti pubblici, deve essere considerato in tutta la sua portata ai fini della valutazione complessiva di affidabilità potenziale del concorrente, ai sensi dell'art. 80, comma 7, del D.Lgs. 50/2016, e del par. VII delle Linee guida n. 6 dell'ANAC" (doc. 44 cit., pagg. 10 e 11)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "la stazione appaltante non si è, quindi, arrestata a una valutazione storicizzata dei fatti, ma li ha calati nel contesto della specifica procedura (cfr. Cons. Stato, sez. III, 09/05/2023 n. 4669), a tal fine ponderando le misure di riorganizzazione sociale e di prevenzione degli illeciti adottate dall'aggiudicataria (cfr. docc. 2-5 della controinteressata del 21.7.2023), conformemente all'indirizzo per cui la valutazione della gravità dell'illecito professionale e dell'incidenza sull'affidabilità morale e professionale dell'operatore economico non può essere disgiunta dalla valutazione (anche) delle misure di self-cleaning adottate e della loro idoneità - sul piano organizzativo e tecnico dell'impresa - a prevenire ulteriori illeciti, consentendo il superamento dei dubbi insorti sull'affidabilità dell'aggiudicatario (Cons. Stato sez. V, 25/08/2023, n. 7949)". Infine, quanto alla fattispecie di finanziamento illecito ai partiti contestata al medesimo -OMISSIS--(socio all'1% della società ma anche titolare del 50% della società che detiene la maggioranza del capitale sociale della società -OMISSIS-), ha rilevato il T.A.R. che "si tratta, come del pari rilevato in altri giudizi vertenti sulla medesima censura e nei confronti della stessa controinteressata, di illecito estraneo a quelli tipizzati dal d.lgs. n. 50/2016 e disallineato dalle fattispecie descritte all'art. 80 commi 1 e 2 del D. Lgs. 50/2016, ovvero enucleate da ANAC nelle Linee Guida n. 6 come astrattamente ascrivibili all'illecito professionale (cfr. par. II "Ambito oggettivo", sottopar. 2.1 e 2.2, pag. 4 e ss.) (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 09/05/2023, n. 281); con la conseguenza che la condotta, per quanto di significativo rilievo, non sembra in alcun modo ricollegabile all'esecuzione di contratti di appalto precedenti, ovvero alla commessa oggetto di affidamento (T.A.R. Lazio sez. I - Roma, 23/10/2023, n. 15598)". 8.5. Quanto al motivo XXV, il T.A.R., premesso che "per individuare il dies a quo del termine triennale capace di elidere la rilevanza dei fatti determinanti l'impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, deve aversi riguardo alla data dell'accertamento del fatto, idoneo a conferire a quest'ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d'appalto e non, dunque, alla mera commissione del fatto in sé " e che "prima dell'accertamento definitivo, la condotta oggetto di procedimento penale, ai fini della valutazione ex art. 80, comma 5, lett. c, del codice degli appalti, può rilevare nella sua dimensione fattuale ed extra-penale entro il previsto limite temporale triennale e può continuare a rilevare, anche oltre tale limite, se e in quanto abbia formato oggetto di " contestazione in giudizio ", ossia allorquando la correlativa azione penale abbia varcato la soglia processuale d'instaurazione del " giudizio " dibattimentale o di una sua forma alternativa per l'emissione di una pronuncia di condanna o di una pronuncia ad essa equiparabile (cfr. art. 80, comma 1), suscettibile, come tale, di accertare fatti integranti " gravi illeciti professionali " (così Cons Stato sez. IV - 07/10/2022, n. 8611)", ha osservato che "l'articolo di cronaca prodotto dalla ricorrente (doc. 80) - nel quale si dà atto dell'escussione di testimoni e della prosecuzione dell'istruttoria "fissata dal giudice al prossimo 4 luglio" - offre un principio di prova da cui è possibile evincere che l'azione penale, avviata in conseguenza del fatto, è transitata oltre la fase investigativa per approdare a quella dibattimentale. Di conseguenza, poiché non è configurabile in capo all'impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l'obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza (cfr. T.A.R. Puglia - Lecce, sez. I, 29/06/2022, n. 1075), e poiché è manifesta l'attinenza del fatto all'oggetto della procedura, l'omessa comunicazione dell'anzidetta vicenda giudiziaria costituisce inadempimento di -OMISSIS-al dovere di aggiornamento degli obblighi dichiarativi". "Né " - ha aggiunto il T.A.R. - "-OMISSIS-può ritenersi esentata dall'obbligo dichiarativo a motivo della cessazione dall'incarico del legale rappresentante - avvenuta, in tesi, oltre un anno prima della pubblicazione del bando - atteso il carattere sopravvenuto e successivo dell'indicata imputazione nonché del richiamato perimetro degli obblighi dichiarativi che, come dianzi ricordato, concerne, oltre quelli predeterminati per legge, tutti gli eventi idonei a incidere sull'integrità ed affidabilità dell'operatore economico. Si soggiunga poi che non vi è prova della cessazione dell'incarico dell'altra figura coinvolta, e cioè il responsabile della sicurezza alimentare, la cui posizione all'interno dell'organigramma societario può assumere rilevanza ai fini del giudizio di affidabilità, laddove ne sia accertato il ruolo dirigente, in ossequio all'indirizzo per cui così come, sul piano oggettivo, non sono tipizzati (se non in via esemplificativa) i gravi illeciti professionali, tanto meno possono essere circoscritti i soggetti le cui condotte sono rilevanti in caso di operatore economico avente forma societaria; essendo, anzi, insito nella ratio della norma che debba trattarsi di soggetti in grado di determinare o condizionare le scelte dell'impresa, ancorché diversi da quelli menzionati dal comma 3, ma nella condizione di orientare, di fatto, l'operato della società (Cons. Stato sez. V 08/04/2022, n. 2629)". In conseguenza, il T.A.R. ha sancito "l'obbligo per la Città di Torino, stante la fondatezza della censura in parte qua e nell'esercizio della sua discrezionalità, di acclarare, mediante riesame della posizione di -OMISSIS-, l'eventuale attitudine della fattispecie ad incrinare il rapporto fiduciario con l'aggiudicataria ai sensi dell'art. 80 comma 5 lett. c-bis) D.Lgs. 50/2016". 8.6. Quanto ai motivi XIII e XIV, il T.A.R. ne ha disposto la reiezione sul rilievo che "il parametro dimensionale di venti facciate, stabilito dall'art. 15 del disciplinare di gara per l'articolazione dell'offerta, non è imposto a pena di esclusione (cfr. doc. 14, pag. 52-53) (cfr. Cons. Stato, V, 08/01/2021, n. 298)", mentre, quanto al regime degli allegati, ha osservato che "il medesimo art. 15 del disciplinare ne ammette l'uso "per dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici"; con ciò corredando gli allegati di funzione esplicativa e di specificazione dei contenuti dell'offerta, senza stabilire al riguardo limiti di estensione", aggiungendo che "in radice, manca, del resto, la puntuale prova dell'effettiva rilevanza a fini valutativi degli elementi contestati, cioè del prospettato vantaggio conseguito dall'aggiudicataria per effetto dell'eccedenza dimensionale dell'offerta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.06.2021, n. 4635; Id. 3.02.2021, n. 999)". 8.7. Quanto al motivo XV, il T.A.R. l'ha respinto rilevando, conclusivamente, che "le omissioni denunciate nel piano dei trasporti non incidono sulla completezza dei servizi in appalto né impedivano all'amministrazione di valutare l'organizzazione logistica dell'aggiudicataria attesa la possibilità di attingere le relative informazioni dal complessivo contenuto dell'offerta". 8.8. Anche del motivo XVI il T.A.R. ha statuito l'infondatezza. Richiamata la motivazione posta dal RUP a fondamento del giudizio di congruità dell'offerta della prima classificata ed evidenziato che "la correttezza del giudizio è stata avallata dallo stesso consulente di parte della ricorrente", il T.A.R., premesso che "al giudice amministrativo è preclusa la possibilità di svolgere un'autonoma verifica circa la sussistenza della denunciata anomalia (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 9.11.2020, n. 6861), potendo vagliare solo profili di macroscopica illogicità o travisamento del fatto", ha osservato che la censura proposta "concentrandosi su un'unica componente dell'offerta, con obliterazione di tutte le altre (di cui, pure, la ricorrente ammette la correttezza), deflette dal carattere necessariamente globale e sintetico della valutazione di congruità, che mira non già a ricercare inesattezze delle singole voci di costo, bensì ad accertare se l'offerta stessa, nel suo complesso, dia garanzia di una corretta esecuzione dell'appalto (Cons. Stato sez. V, 14/06/2021, n. 4620)", altresì evidenziando che "l'assunto non è suffragato da circostanziati elementi probatori né, soprattutto, concorda con il consolidato indirizzo giurisprudenziale sulla clausola sociale, secondo cui l'aggiudicatario non è obbligato ad assumere tutto il personale in carico all'appaltatore uscente né ad applicare le medesime condizioni contrattuali né, infine, a riconoscere l'anzianità pregressa (cfr. ancora da ultimo Cons. Stato, sez. V. 20.3.2023 n. 2806)". Infine, ha rilevato il T.A.R. che "l'aggiudicataria ha quantificato la forza lavoro occorrente all'esecuzione della commessa in 182 dipendenti (in numero superiore alle attuali 127 unità : cfr. ancora doc. 59 cit., pag. 6), talché è plausibile sia l'azzeramento dell'anzianità per i neo-assunti sia l'accesso a regimi agevolati in ragione del loro inquadramento contrattuale (cfr. memoria -OMISSIS-dell'11.4.2023, pag. 8)". 8.9. Quanto ai motivi XX, XXI e XXIX, richiamate le disposizioni della lex specialis dedicate al tema del centro di cottura (art. 6.2 del disciplinare di gara, art. 14.3.1 dello stesso disciplinare e art. 2.1 del capitolato speciale d'appalto), ha rilevato il T.A.R. che "l'aggiudicataria ha individuato il proprio centro di cottura in un impianto produttivo sito in Torino in Corso (omissis) - che detiene per effetto di contratto di locazione commerciale della durata di sei anni con decorrenza dall'1.12.2021 - di cui ha puntualmente descritto: consistenza, dislocazione delle aree funzionali, laboratori, attrezzature e componenti impiantistiche (cfr. doc. 27.A dell'amministrazione resistente e doc. 66.A di parte ricorrente, pag. 8 e ss. del pdf)", indicando altresì "un centro di cottura di emergenza, ubicato in Torino alla Via (omissis) (doc. 27.B dell'amministrazione resistente e doc. 66.B di parte resistente, pag. 327 del pdf), in relazione al quale ha depositato in atti una proposta irrevocabile d'acquisto del 5.10.2022 (doc. 1 del 5.6.2023) e un contratto di locazione della durata di sei anni sottoscritto il 12.12.2022 (doc. 2 del 5.6.2023)", per cui "poiché la richiamata normativa di gara non menziona in alcun modo la disponibilità di un centro di cottura di emergenza, il requisito prescritto - rilevante, del resto, a soli fini di esecuzione e non di partecipazione (ex multis, Cons. Stato sez. V, 26/01/2021, n. 776) e suscettibile di verifica anche dopo la stipula del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 23/02/2022 n. 1283) - risulta soddisfatto dall'aggiudicataria attraverso l'indicato centro di cottura di Corso (omissis), il cui effettivo allestimento non è contestato dalla ricorrente, che neppure ne mette in discussione ubicazione, consistenza e dotazioni tecniche come descritte dall'impresa aggiudicataria". Il T.A.R. ha quindi dichiarato di condividere "l'eccezione dell'amministrazione resistente per cui l'ulteriore allestimento emergenziale, dichiarato in gara, configura un impegno assunto da -OMISSIS-in via unilaterale, esorbitante dalle prescrizioni disciplinari e non sottoposto a specifico punteggio in sede di valutazione tecnica (pagg. 25-26 della memoria del 28.11.2023)", altresì evidenziando che "l'allegazione della copia del titolo di godimento dell'immobile di via (omissis) - la cui autenticità non è posta in discussione da -OMISSIS- - esclude il carattere mendace della dichiarazione resa dall'aggiudicataria". 8.10. Quanto ai motivi II e IV-VIII, premesso che essi restavano assorbiti dall'accoglimento del XXV motivo, il T.A.R. ne ha rilevato comunque l'infondatezza sulla scorta di considerazioni che, non avendo costituito oggetto di censura ad opera della originaria parte ricorrente, possono essere taciute. 8.11. Infine, in conseguenza della natura del vizio ravvisato e degli effetti conseguenti alla statuizione di annullamento, il T.A.R. ha precisato che "non vi è luogo ad alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis; di talché neppure può adottarsi alcuna statuizione in merito alla richiesta di condanna alla stipula del contratto né circa la domanda di risarcimento del danno, asseritamente patito in relazione alle spese sopportate per l'allestimento del centro di cottura". 9. Con l'appello n. 2860/2024, l'originaria ricorrente impugna la sentenza suindicata nella parte in cui ha respinto i motivi di censura idonei, ove accolti, a determinare l'immediata esclusione della società -OMISSIS-dalla gara e, in subordine, una rinnovata valutazione della sussistenza dei requisiti soggettivi in capo alla stessa. All'accoglimento dell'appello si oppongono il Comune di Torino e la società -OMISSIS-. 10. La medesima sentenza costituisce oggetto, per quanto di interesse (ovvero limitatamente alla sua componente caducatoria), anche dell'appello n. 2948/2024, proposto dalla società -OMISSIS-. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Torino e la società -OMISSIS- s.c., chiedendo, in prossimità dell'udienza di merito, la declaratoria della improcedibilità dell'appello e, la seconda, anche il rigetto. Con successiva memoria, anche la appellante -OMISSIS-, per le ragioni che si diranno infra, ha chiesto che venga dichiarata l'improcedibilità del suo appello. 11. Gli appelli vanno preliminarmente riuniti, ex art. 96, comma 1, c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. 12. Iniziando dall'esame dell'appello n. 2860/2024, proposto dalla società -OMISSIS-, il primo ed il secondo motivo da essa proposti si rivolgono avverso la statuizione reiettiva delle censure sub XX, XXI e XXIX, intese a contestare l'incompletezza e/o la parzialità della offerta della società -OMISSIS-, in particolare deducendo che l'impresa aggiudicataria non aveva garantito l'effettiva disponibilità (rectius, l'esistenza) e l'attivazione del centro di cottura d'emergenza dichiarato in sede di partecipazione alla gara. Al fine di confutare gli argomenti sulla base dei quali il T.A.R. ha respinto le censure suindicate, innanzi richiamati, la parte appellante deduce che: - non sarebbe corretto asserire che la norma di gara "non menziona in alcun modo la disponibilità di un centro di cottura di emergenza" e che, comunque, tale disponibilità non sarebbe rilevante giuridicamente, atteso che l'art. 16.1 del disciplinare di gara, al sub-criterio 1.5, assegnava un max di 9 punti al piano di emergenza e la controinteressata, in relazione a tale sub-criterio, ha ottenuto ben 5,625 punti, nonostante il centro di cottura d'emergenza dichiarati in gara non fosse esistente (o, quantomeno, funzionante), almeno fino al deposito della sentenza di primo grado; - l'interpretazione della lex specialis prospettata dal Giudice di prime cure conduce ad esiti aberranti, perché legittima l'impresa aggiudicataria a intraprendere l'esecuzione del servizio senza concretamente disporre di un centro di cottura emergenziale attivo e funzionante, capace di far fronte ad eventuali situazioni di inagibilità ed inutilizzabilità del c.p.p. principale; - è stato documentalmente provato che, in data 11 settembre 2023 (giorno d'inizio dell'anno scolastico 2023/2024), la società aggiudicataria non disponeva della cucina di via (omissis), indicata come centro di cottura d'emergenza nella propria offerta progettuale o, comunque, non ne aveva ancora effettuato l'attivazione, poiché i lavori di realizzazione di detta cucina erano ancora ben lungi dall'essere completati, come risulta dall'articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa in data 3 novembre 2023 - quindi, dopo undici mesi dall'aggiudicazione non efficace e dopo circa due mesi dall'inizio del servizio - nel quale si legge che "Ev. Sa., responsabile piemontese dell'azienda (...) assicura che la -OMISSIS-si sta muovendo per alzare il livello qualitativo del servizio: "A breve - dice - apriremo un nuovo centro di cottura: sarà in Via (omissis)"; - la stessa Città di Torino, con nota prot. n. 7.10-22/2021A del 12 settembre 2023, oltre a dare atto dell'avvenuta stipulazione, in data 8 settembre 2023, del contratto d'appalto con la società -OMISSIS-, ha affermato che "le verifiche al centro di cottura di emergenza, citato da -OMISSIS-nel suo progetto di servizio, verranno svolte secondo il calendario di ispezioni e sopralluoghi a sorpresa che questa Amministrazione conduce in modo sistematico e osservando un metodo e dei tempi per i quali il servizio dei controlli è certificato ISO 9001:2015. In occasione dei controlli sugli adempimenti da riscontrare nell'esecuzione del contratto si procederà alla verifica non soltanto di questa - la segnalazione della quale viene presa in attenta considerazione e per la quale si ringrazia - ma di tutte le altre innumerevoli caratteristiche e specificità del servizio"; - del resto la società -OMISSIS-, entro il termine di venti giorni calcolati a ritroso dall'udienza di merito del 14 dicembre 2023 (cioè, entro il 23 novembre 2023), non ha depositato alcun documento dal quale potesse desumersi l'allestimento e il funzionamento del centro di cottura di via (omissis); - la disponibilità effettiva (e l'effettivo allestimento) del centro di cottura di emergenza non era derubricabile a mero requisito di esecuzione del servizio, ma costituiva la condicio sine qua non dell'efficacia dell'aggiudicazione, come confermato dall'art. 14.3.1. del Disciplinare di gara, il quale al punto n. 17 stabiliva che l'impresa avrebbe dovuto dotarsi di "uno più idonei centri di cottura (...) entro 15 giorni dall'aggiudicazione provvisoria di uno o più centri di cottura come meglio specificato all'articolo 2.1 del capitolato tecnico, a distanza e con capacità produttiva adeguata ai lotti per i quali si concorre"; - poiché l'effettiva disponibilità (e l'effettivo funzionamento) del centro di cottura d'emergenza era prevista dall'art. 16 del disciplinare di gara come condicio sine qua non per l'attribuzione di punteggio in relazione ai sub-criteri 1.1. e 1.5., non si comprende come la commissione di gara, in assenza delle opportune verifiche sul punto, abbia potuto premiare l'offerta della controinteressata con 14,82608696 punti sul sub-criterio 1.1. e con 5,625 punti sul sub-criterio 1.5., rivelatisi determinanti per l'aggiudicazione del servizio; - quand'anche volesse ritenersi che il possesso di un centro di cottura d'emergenza fosse configurabile, nel caso di specie, come requisito di esecuzione del contratto, varrebbe pur sempre quanto statuito dalla pacifica giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'obbligo della stazione appaltante di verificare l'esistenza del centro di cottura dichiarato dall'aggiudicatario (e, a fortiori, l'obbligo dell'aggiudicatario di dotarsene e di allestirlo) deve essere adempiuto entro il termine dello stand still (cioè, entro 35 giorni dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione) o, a tutto concedere, prima della sottoscrizione del contratto, in quanto "elemento (...) legittimamente esigibile verso il concorrente aggiudicatario definitivo come "condizione" per la stipulazione del contratto, perché è in quel momento che si attualizza per l'amministrazione l'interesse a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare il servizio" (così, testualmente, Cons. Stato, Sez. III, 21 gennaio 2021, n. 759. In senso conforme, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 4 gennaio 2021, n. 63; Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2017, n. 5929); - ciò a maggior ragione vale nel caso di specie, in cui l'art. 14.3.1. del disciplinare di gara, al punto n. 17, prescriveva che la verifica dell'effettivo allestimento "di uno o più centri di cottura" dovesse essere eseguita dalla stazione appaltante almeno tre giorni prima dell'inizio dell'esecuzione del servizio; - erroneo è anche l'argomento per cui il "carattere mendace della dichiarazione resa dall'aggiudicataria" sarebbe escluso dalla "allegazione della copia del titolo di godimento dell'immobile di via (omissis)", in quanto l'allegazione del titolo di godimento dell'immobile che, nelle intenzioni dell'aggiudicataria, avrebbe dovuto ospitare il centro di cottura d'emergenza, di per sé, non ha alcun rilievo giuridico, assumendo rilievo decisivo che il predetto centro di cottura non esisteva allo scadere del termine di quindici giorni all'aggiudicazione provvisoria (1° febbraio 2023), né il giorno in cui il contratto è stato stipulato (8 settembre 2023) e neppure il giorno in cui il servizio ha preso avvio, come si evince dal già menzionato articolo pubblicato su La Stampa il 3 novembre 2023; - tale articolo ha una valenza probatoria che si estende anche all'oggetto del presente giudizio, vertente sul lotto n. 3, perché dimostra che, alla data del 3 novembre 2023, la cucina di via (omissis) (destinata a servire sia il lotto n. 1, sia il lotto n. 3) era ancora in fase di allestimento e, quindi, non poteva fungere da centro di cottura d'emergenza; - ne deriva la violazione dell'art. 16.7 del disciplinare di gara nonché dell'art. 59, comma 3, lett. a), d.lvo n. 50/2016, nella parte in cui imponevano l'esclusione delle offerte incomplete e parziali, con conseguente ulteriore fondatezza delle censure dedotte; - il T.A.R. ha omesso di motivare sulle ragioni del rigetto del XXI motivo di censura, con il quale la ricorrente aveva chiesto: 1) l'azzeramento nei confronti della società -OMISSIS-dei 14,82608696 punti conseguiti sul sub-criterio 1.1. e, in ogni ipotesi, dei 5,625 punti conseguiti sul sub-criterio 1.5, con conseguente scorrimento della graduatoria a favore della ricorrente; 2) in subordine, l'annullamento della lex specialis, ove interpretata nel senso di non imporre alla stazione di appaltante di verificare, prima dell'efficacia dell'aggiudicazione e della stipula del contratto, se il centro di cottura d'emergenza fosse effettivamente in possesso dell'aggiudicataria. 12.1. L'appello, in parte qua, non è ad avviso del Collegio meritevole di accoglimento. 12.2. La circostanza di fatto, dalla quale la parte appellante pretende siano tratte conseguenze escludenti o, quantomeno, penalizzanti sul piano dell'attribuzione del punteggio a carico dell'impresa aggiudicataria, società -OMISSIS-, attiene alla indisponibilità da parte della stessa del centro di cottura di emergenza indicato in sede di partecipazione alla gara (in particolare, nella parte dell'offerta tecnica dedicata alla trattazione del punto 1.5 - "Piano di gestione delle emergenze - itinerari di emergenza; scuole dell'obbligo", laddove, in relazione alla "Risoluzione emergenza per indisponibilità di utilizzo del C.C. -OMISSIS-- Corso (omissis) - Torino. Risoluzione emergenza n° (omissis) Veicolato in legame fresco-caldo da C.C. via (omissis) - Torino", si afferma che "in caso di inagibilità totale o parziale dei locali e/o delle attrezzature, -OMISSIS-garantisce la continuità del servizio producendo i pasti in legame fresco-caldo presso il Centro Cottura in sua disponibilità . Si riporta il piano dei trasporti che prevede la produzione dei pasti delle scuole dell'obbligo dal centro cottura di emergenza. Piano dei trasporti dal Centro di Cottura di emergenza alle scuole dell'obbligo: Presso il Centro cottura della -OMISSIS-sito a Torino in Via (omissis), saranno approntati i pranzi...", con il relativo elaborato "Layout Centro Cottura e Piattaforma Logistica di Emergenza". In ordine a tale profilo di carattere fattuale, può ritenersi acclarato che, non solo alla data di adozione del provvedimento di aggiudicazione, ma anche a quelle (rispettivamente, 8 e 11 settembre 2023) di stipulazione del contratto e di avvio del servizio, il suddetto centro non era allestito per essere concretamente adibito a centro di cottura (di emergenza): l'articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa del 3 novembre 2023, nel riportare le dichiarazioni di Ev. Sa., indicato come responsabile piemontese della società -OMISSIS-, fa infatti riferimento all'imminente (ergo, non ancora avvenuta) apertura di "un nuovo centro cottura" in "via (omissis)", non assumendo rilievo decisivo, al fine di dimostrare l'irrilevanza probatoria dell'articolo, il fatto che esso sia relativo al lotto n. 1 (essendo unico il centro di cottura ubicato al suddetto indirizzo). Del resto, le parti appellate non hanno prodotto, né nel primo né nel presente grado di giudizio, alcun documento attestante l'operatività, anche successivamente alle suddette date, del suddetto centro di cottura e l'acquisizione in relazione allo stesso dei relativi requisiti autorizzativi, non essendo all'uopo sufficienti il titolo di disponibilità ovvero la documentazione relativa all'avvio dei soli lavori di ristrutturazione. Quanto invece alla S.C.I.A. sanitaria del 12 settembre 2023, asseritamente relativa al centro di via (omissis), la sua produzione da parte della appellata nel solo giudizio di appello, come eccepito dalla società -OMISSIS- con la sua memoria di replica dell'11 giugno 2024, ne preclude l'esame da parte del giudicante, ai sensi dell'art. 104, comma 2, c.p.a.. 12.3. Acclarati, quindi, i termini fattuali della questione, e procedendo all'analisi dei risvolti giuridici della stessa, occorre escludere, in primo luogo, che dalla circostanza allegata siano ricavabili effetti invalidanti a carico del provvedimento di aggiudicazione del lotto n. 3 a favore della società -OMISSIS-, sia nella prospettiva della necessaria esclusione della stessa dalla relativa procedura di gara, sia nell'ottica del reclamato azzeramento del punteggio dalla stessa conseguito in relazione ai criteri di valutazione sub 1.1 e sub 1.5 dell'offerta tecnica presentata. Deve invero osservarsi che, secondo le pertinenti disposizioni della lex specialis, la dimostrazione da parte dell'aggiudicatario della "disponibilità effettiva" e del "completo allestimento" del centro di cottura doveva avvenire "all'inizio dell'esecuzione del contratto e comunque non oltre tre giorni prima l'inizio previsto per l'esecuzione stessa" (cfr. art. 2.1 del capitolato speciale d'appalto): già tale riferimento normativo è quindi sufficiente ad escludere che i suddetti requisiti dovessero essere maturati alla data del provvedimento di aggiudicazione ovvero, ai fini dell'attribuzione dei pertinenti punteggi tecnici, a quella di scadenza del termine per la presentazione delle offerte. Un conto, infatti, è l'"indicazione" del centro di cottura, con le relative caratteristiche strutturali e funzionali, quale componente dell'offerta tecnica ed ai fini della sua valutazione qualitativa, un altro la realizzazione delle condizioni per renderlo effettivamente idoneo alla utilizzazione ai fini della erogazione del servizio. 12.4. Va inoltre evidenziato che la suddetta prescrizione è espressamente riferita al centro di cottura destinato in via ordinaria alla preparazione dei pasti, non recando la lex specialis alcuna prescrizione intesa a richiedere altresì la disponibilità di un centro di cottura di emergenza, cui ricorrere nell'ipotesi di inutilizzabilità di quello principale, recante la disciplina delle modalità - temporali e non - per dimostrare l'assolvimento del relativo obbligo di acquisizione. La stessa ricorrente del resto, con il motivo XX, deduceva che "la disponibilità di (almeno) un centro di cottura destinato alla preparazione dei pasti" era una condizione indispensabile affinché l'Amministrazione potesse valutare la serietà e la credibilità dell'impegno assunto dagli operatori economici partecipanti alla gara, con la conseguenza che, da questo punto di vista, l'indicazione del centro di cottura sito al corso (omissis) di Torino doveva ritenersi sufficiente ad assolvere al predicato onere dimostrativo. 12.5. La suindicata conclusione interpretativa, ricavabile dall'analisi della lex specialis, è del resto coerente con le più mature e condivise acquisizioni giurisprudenziali sul tema, essendosi affermato anche da questa Sezione (cfr. sentenza 25 gennaio 2021, n. 759) che "il possesso del centro cottura esterno è requisito attinente non già alla partecipazione alla gara, ma all'esecuzione del contratto secondo il principio, del resto conforme ad consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio e correttamente ribadito dal primo giudice, secondo cui il possesso di un centro cottura si pone non come "requisito di partecipazione", ma "di esecuzione" dell'appalto, trattandosi di un elemento materialmente necessario per l'esecuzione del contratto di appalto del servizio, come tale legittimamente esigibile verso il concorrente aggiudicatario definitivo come "condizione" per la stipulazione del contratto, perché è in quel momento che si attualizza per l'amministrazione l'interesse a che il contraente abbia a disposizione una struttura per assicurare il servizio (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 4 gennaio 2021, n. 63, Cons. St., sez. V, 18 dicembre 2017, n. 5929, che, a tal fine, evidenzia come, a ragionare diversamente, si avallerebbe un'impostazione ingiustificatamente restrittiva della concorrenza e irragionevole, perché si imporrebbe a tutti i concorrenti di procurarsi anticipatamente, e comunque prima dell'aggiudicazione definitiva, un centro di cottura, reperendo - con evidente onere economico e organizzativo che poi potrebbe risultare ultroneo per chi non risulta aggiudicatario - immobili idonei alla preparazione di pasti per servizi di ristorazione collettiva, sostenendo i connessi investimenti in vista di una solo possibile, ma non certa acquisizione della commessa)". Ancor più recentemente, è stato affermato dalla Sezione che "la qualificazione della disponibilità del centro cottura come requisito di esecuzione a maggior ragione vale nel caso in cui il bando di gara non prescriva l'immediata disponibilità del centro ma si accontenti di pretendere una dichiarazione impegnativa in tal senso...con ciò evidentemente accettando una illustrazione meramente "progettuale" del profilo tecnico richiesto (quindi una elaborazione prospettica e sulla "carta") senza fare alcun riferimento né alla necessità di immediata disponibilità delle dotazioni dichiarate, né all'essenzialità del requisito ai fini dell'ammissione dei partecipanti, da documentare fin dal momento della presentazione dell'offerta tecnica" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 28 novembre 2023, n. 10214). 12.6. Né vale osservare, in senso contrario, che il centro di cottura (di emergenza) ha assunto rilevanza ai fini della valutazione dell'offerta tecnica della controinteressata, dal momento che se, ai fini escludenti, la stessa inerenza della relativa indicazione ai (soli) profili qualitativi dell'offerta tecnica non consente di far discendere, dalla carenza della sua disponibilità nella fase del procedimento di evidenza pubblica, le predicate conseguenze espulsive a carico della aggiudicataria, allo stesso modo, anche ai fini della mera attribuzione del punteggio, la commissione di gara non poteva che svolgere le valutazioni di sua competenza, sulla scorta delle citate indicazioni giurisprudenziali e della lex specialis, con riguardo ai soli pertinenti contenuti rappresentativi e descrittivi dell'offerta, con la conseguenza che la non ancora attuale disponibilità del centro di cottura, nella pienezza dei suoi requisiti operativi, non consentiva di configurare la lamentata incompletezza e/o parzialità dell'offerta, sanzionabile con l'esclusione del concorrente. Anche in ordine a tale aspetto, la giurisprudenza ha evidenziato che il principio secondo cui la previsione di gara relativa alla disponibilità di un centro cottura localizzato per la prestazione del servizio di refezione configura un requisito di esecuzione del contratto, non già di partecipazione alla procedura, vale anche nel caso in cui siffatta disponibilità sia associata a un criterio valutativo delle offerte, in quanto "la regola, da valere per le medesime ragioni pro-concorrenziali anche quando trattasi di requisito di valutazione dell'offerta tecnica ai fini di incrementarne il punteggio (...), è che ai concorrenti non venga richiesto di disporre di un centro di cottura al momento della presentazione dell'offerta, ma solo di garantirne il possesso in caso di esito favorevole della gara" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 12 dicembre 2022, n. 10840). 12.7. Se, quindi, la circostanza suindicata non poteva ritenersi produttiva di riflessi invalidanti a carico dell'impugnato provvedimento di aggiudicazione, non integrando la disponibilità di un centro di cottura di emergenza un requisito di partecipazione alla gara, deve nondimeno osservarsi che quello indicato dalla aggiudicataria nell'ambito dell'offerta tecnica costituiva pur sempre un elemento costitutivo della stessa, relativamente alle modalità organizzative prefigurate dalla società -OMISSIS-al fine di fare fronte alle ipotizzate situazioni di emergenza, connesse al non funzionamento del centro di cottura "principale". Come è noto, l'offerta tecnica, oltre a rilevare (sul piano procedimentale) ai fini della individuazione dell'impresa aggiudicataria, assume rilievo (sul piano contrattuale) ai fini della definizione dei contenuti e delle modalità esecutive della prestazione che il concorrente si impegna a rendere all'Amministrazione laddove dovesse aggiudicarsi la commessa: i contenuti dell'offerta tecnica quindi, che nella fase procedimentale costituiscono oggetto delle valutazioni della commissione di gara e concorrono alla determinazione dell'impresa aggiudicataria, nella fase contrattuale o pre-contrattuale legittimano l'Amministrazione ad esigere che l'esecuzione della prestazione contrattuale avvenga con le modalità con le quali è stata rappresentata, nell'ambito della gara e con la relativa offerta tecnica, dal concorrente aggiudicatario e gli altri concorrenti a vigilare sul corretto esercizio da parte della stazione appaltante dei suoi poteri di controllo in ordine all'adempimento di quegli obblighi. 12.8. E' noto, tuttavia, che affinché una determinata verifica, suscettibile di influire - in caso di omissione e/o inadeguato svolgimento - sulla legittimità dei provvedimenti della P.A., possa costituire oggetto di una posizione pretensiva in capo al concorrente interessato, occorre, da un lato, che essa si collochi in una fase del procedimento di gara ancora sottoposto all'applicazione delle regole pubblicistiche (ponendosi, in caso contrario, una preliminare questione di giurisdizione), dall'altro lato, che la condotta omissiva o comunque carente (sotto il profilo istruttorio o motivazionale) dell'Amministrazione urti contro una disposizione o un principio che le imponga di attivarsi diligentemente al fine di svolgere gli opportuni accertamenti in ordine al dato rilevante ed adottare le conseguenti determinazioni. Soccorre, al fine di dare una risposta coerente e condivisibile ad entrambi i quesiti, il pronunciamento di questa Sezione (sentenza 23 febbraio 2022, n. 1283) che li ha affrontati espressamente. Quanto alla qualificazione degli atti incidenti sulla fase intercorrente tra l'aggiudicazione e la stipulazione del contratto, viene in rilievo l'affermazione secondo cui "l'oggetto della controversia, involgendo la verifica dei requisiti dichiarati in vista della stipula del contratto, inerisce all'esercizio di un potere autoritativo riconosciuto all'Amministrazione in quanto rientrante nell'ambito dei controlli preventivi che l'Amministrazione, in tale veste e non già come contraente, era chiamata a svolgere". Quanto invece al tema della doverosità della verifica, alla luce delle norme disciplinatrici della gara, ha evidenziato la Sezione che è compito dell'Amministrazione dimostrare "di aver già assolto prima della stipula del contratto a tali obblighi (relativi alle verifiche dei requisiti dei centri di cottura, n. d.e.), secondo la distinta misura prevista per ciascuna tipologia di centro cottura dalla legge di gara". Tale ultima precisazione concerne appunto, tra l'altro, la tipologia dei centri di cottura, a seconda cioè che si tratti di quelli ordinari (i.e., adibiti in via stabile alla preparazione dei pasti) ovvero di quelli "alternativi" e di "emergenza": distinzione ribadita dalla Sezione allorché, a fronte della deduzione secondo cui la disponibilità dei centri cottura "alternativi" o di emergenza non riguarderebbe i "requisiti per la stipula del contratto ma una modalità di esecuzione in quanto riferiti ad un'evenienza del tutto eventuale", ha osservato che "il potere di verifica della stazione appaltante va modulato nella fase di affidamento secondo le regole che governano la legge di gara ed è in base ad esse che l'Amministrazione dovrà declinare la sua risposta, che per le ragioni sopra esposte deve ritenersi - indipendentemente dalle ragioni di merito sottese all'istanza - comunque doverosa". 12.9. Ebbene, con diretto riferimento al caso di specie, si è già detto che la disciplina di gara si occupa esclusivamente dei centri di cottura "ordinari", non dettando alcuna regola espressa, nemmeno con riferimento alla fase della stipula del contratto o esecutiva dello stesso, con riguardo ai centri di cottura di "emergenza": né del resto la disciplina dettata con riferimento ai primi potrebbe essere estesa analogicamente ai secondi, tenuto conto della differente esigenza che sono rispettivamente destinati a soddisfare. Se infatti può ragionevolmente ritenersi l'immediata esigibilità della prestazione avente ad oggetto la disponibilità del centro di cottura "ordinario" fin dal momento della instaurazione del rapporto contrattuale, la cui carenza impedisce l'esecuzione ab initio del contatto (in ciò trovando ragionevole spiegazione la regola del capitolato speciale che impone la dimostrazione della loro operatività almeno tre giorni prima dell'avvio del servizio), a diversa conclusione deve pervenirsi in relazione a quello di "emergenza". Sebbene esso sia strumentale al fine di garantire la continuità del servizio di fornitura dei pasti agli utenti scolastici, e non sia prevedibile se e quando potrebbe verificarsi una causa che, incidendo sulla utilizzabilità del centro di cottura "principale", sarebbe idonea a determinare una situazione di "emergenza" risolvibile, secondo il piano proposto dalla aggiudicataria, con il ricorso al suddetto centro "supplementare", è del tutto ragionevole alla luce della eccezionalità dell'evento - dovendosi respingere, quindi, anche le censure formulate dalla parte appellante avverso la lex specialis - che la verifica della relativa operatività sia differita alla fase esecutiva del rapporto contrattuale, anche al fine di non aggravare eccessivamente gli adempimenti connessi alla stipula del contratto. 12.10. Del resto, non potrebbe imputarsi alla aggiudicataria il mancato assolvimento di un onere che non sia puntualmente disciplinato dalla disciplina di gara, esponendola a sanzioni "a sorpresa" e ledendo il suo legittimo affidamento. Come affermato dalla giurisprudenza, anche "la regolazione dei requisiti di esecuzione va rinvenuta nella lex specialis, con la conseguenza che, se richiesti come elementi essenziali dell'offerta o per l'attribuzione di un punteggio premiale, la loro mancanza al momento di partecipazione alla gara comporta, rispettivamente, l'esclusione del concorrente o la mancata attribuzione del punteggio; se richiesti come condizione per la stipulazione del contratto, la loro mancanza rileva al momento dell'aggiudicazione o al momento fissato dalla legge di gara per la relativa verifica e comporta la decadenza dall'aggiudicazione, per l'impossibilità di stipulare il contratto addebitabile all'aggiudicatario" (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1617). Il precedente appena citato è invero espressivo di una esigenza fondamentale, connessa alla necessità che (anche) i requisiti di esecuzione, oltre a dover essere previsti dalla lex specialis, costituiscano oggetto di una espressa disciplina, quanto ai tempi ed alle modalità di dimostrazione del loro possesso: disciplina che nella specie, per quanto detto, non è rinvenibile, nemmeno in via analogica. 12.11. Dai rilievi svolti discende, su un piano sistematico, la necessità di articolare i requisiti che devono essere posseduti dai partecipanti ad una gara secondo una triplice ripartizione, più complessa di quella - bifasica, ovvero basata sulla distinzione tra requisiti di partecipazione e requisiti di esecuzione - tradizionalmente considerata. Accanto ai primi, concernenti i requisiti che devono sussistere fin dal momento della presentazione dell'offerta e che condizionano la stessa legittimità dell'aggiudicazione, ed ai secondi, costituiti da quelli che, oltre a dover essere previsti (come i requisiti di partecipazione) dalla lex specialis, devono essere posseduti (quantomeno) alla data di stipulazione del contratto, vengono in rilievo quelli che, pur non essendo previsti dalla lex specialis (nemmeno come requisiti di esecuzione), sono comunque contemplati quali aspetti caratterizzanti dell'offerta e, non costituendo oggetto di una espressa disciplina, rilevano quali condizioni per la perfetta esecuzione della prestazione contrattuale conformemente all'offerta del concorrente. Per questi ultimi, non rilevanti né quali requisiti di partecipazione né quali condizioni della stipulazione, non può che applicarsi, in via residuale, la disciplina contrattuale tipica ed i relativi rimedi, a cominciare da quello risolutorio per l'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni contrattuali assunte dall'appaltatore: ciò che, tuttavia, li colloca al di fuori della fase pubblicistica e ne limita l'operatività a quella strettamente contrattuale. A tale ultima categoria appartiene quindi, per quanto fin qui detto, l'allestimento del centro di cottura di emergenza, non previsto dalla lex specialis né quale requisito di partecipazione né di esecuzione, ma esclusivamente contemplato dall'offerta tecnica della aggiudicataria quale modalità esecutiva (migliorativa) della prestazione contrattuale. 12.12. In quest'ottica, non presta il fianco alle critiche della parte appellante la nota del R.U.P. prot. n. 7.10-22/2021A del 12 settembre 2023, con la quale, in riscontro alla rinnovata istanza di accesso agli atti proposta dalla ricorrente in data 3 agosto 2023 intesa a richiedere "Copia della documentazione proveniente dalla Città di Torino, attestante la verifica e l'idoneità del centro di cottura di emergenza prescritto dalla norma di gara", evidenziava che "le verifiche al centro di cottura di emergenza, citato da -OMISSIS-nel suo progetto di servizio, verranno svolte secondo il calendario di ispezioni e sopralluoghi a sorpresa che questa Amministrazione conduce in modo sistematico e osservando un metodo e dei tempi per i quali il servizio dei controlli è certificato ISO 9001:2015. In occasione dei controlli sugli adempimenti da riscontrare nell'esecuzione del contratto si procederà alla verifica non soltanto di questa - la segnalazione della quale viene presa in attenta considerazione e per la quale si ringrazia - ma di tutte le altre innumerevoli caratteristiche e specificità del servizio. Sia quando esse siano state previste nel bando (e non è questo il caso, in quanto non è dato rinvenire dove questo elemento sia stato "prescritto dalla norma di gara"), sia quando le stesse siano state invece offerte attraverso la loro inclusione nel progetto tecnico. Non appena il sopralluogo che interessa l'istante verrà svolto questa stazione appaltante trasmetterà senz'altro copia del verbale relativo". La predetta nota colloca infatti condivisibilmente la verifica del requisito in discorso, in linea con la qualificazione ad esso pertinente, nell'alveo della disciplina contrattuale e dei rimedi diretti a verificare il corretto adempimento da parte della aggiudicataria dei relativi obblighi. 13. Con il successivo motivo di appello, la parte appellante contesta la statuizione reiettiva dei motivi sub XIII e XIV, con i quali essa lamentava che, al fine di aggirare i limiti dimensionali previsti per la stesura del piano del servizio (20 facciate, redate in Times New Roman carattere 12, con interlinea 1,5), la società -OMISSIS-aveva fatto un uso degli allegati, all'interno dei quali aveva descritto gran parte delle modalità organizzative del servizio, contrastante con l'art. 15 del disciplinare di gara, il quale voleva che gli stessi fossero utilizzati solo per "dettagli tecnici, schemi, tabelle e grafici". Deduce la parte appellante, in primo luogo, che non rileva la mancata previsione di una sanzione escludente per l'ipotesi di superamento del predetto limite dimensionale, in quanto la locuzione "limite massimo" non lascerebbe dubbi sul fatto che, qualora le imprese partecipanti avessero redatto una relazione tecnica superiore alle 20 facciate, sarebbero state escluse dalla gara o, quantomeno, si sarebbero viste attribuire 0 punti per il sub-criterio di valutazione compromesso dalla violazione del parametro dimensionale: ciò in coerenza con l'art. 16.7 del disciplinare di gara, il quale sanzionava con l'esclusione dalla gara la presentazione di "offerte irregolari (...) in quanto non rispettano i documenti di gara". Deduce altresì la parte appellante che, se alla violazione dei predetti limiti dimensionali non fosse collegata alcuna conseguenza pregiudizievole per il trasgressore, ci si troverebbe di fronte ad una c.d. "norma imperfetta", cioè priva di sanzione e sostanzialmente inutile. Quanto alla affermazione del T.A.R. secondo cui la ricorrente non avrebbe dato "puntuale prova (...) del vantaggio conseguito dall'aggiudicataria per effetto dell'eccedenza del limite dimensionale", la appellante, richiamata la giurisprudenza secondo cui la prova che il superamento dei limiti dimensionali dell'offerta si è tradotta in un concreto vantaggio di un concorrente a danno dell'altro può essere fornita anche in via presuntiva (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 novembre 2020, n. 6857; id. 2 ottobre 2020, n. 5777), deduce che, nel caso di specie, siffatta prova si ricava agevolmente, non solo dal numero esorbitante di pagine di cui constano gli allegati prodotti in gara dalla società -OMISSIS-(solo gli allegati menzionati ammontano infatti complessivamente a 186 pagine), ma anche dal fatto che gli argomenti in essi affrontati sono stati trattati solo superficialmente nella relazione tecnica del servizio. In particolare, quanto al sub-criterio 1.1., deduce la appellante che nel piano del servizio della controinteressata manca completamente la descrizione delle fasi del processo produttivo dei pasti anteriori al lavaggio, che, invece, è stata accuratamente illustrata nell'Allegato "Procedure di conservazione, preparazione, cottura dei pasti"), lungo ben 28 pagine: nonostante ciò, la società -OMISSIS-ha ricevuto l'apprezzamento della commissione di gara, che ha ritenuto "Buon(o)" il "sistema di gestione del processo produttivo dal referenziamento fornitori alla consegna dei pasti", come emerge dalle griglie di valutazione allegate al verbale della seduta riservata del 1° dicembre 2022. Per quanto concerne il sub-criterio 1.1., deduce la appellante che la società -OMISSIS-ha descritto il programma di pulizia e sanificazione in poche righe a pag. 3 della relazione progettuale, dedicando, invece, a tale aspetto del servizio l'intero Allegato "Piano di sanificazione del centro cottura e dei luoghi di sanificazione", composto da 19 pagine: nonostante ciò, l'organo consultivo ha ritenuto "completa" la descrizione delle operazioni di lavaggio e pulizia. Per quanto riguarda, invece, i profili tecnici oggetto di valutazione secondo il sub-criterio 1.2., allega la appellante che la società -OMISSIS-ha descritto per sommi capi le soluzioni migliorative del servizio a pag. 6 dell'elaborato tecnico, rinviando, per il resto, ad un ampio allegato discorsivo di 46 pagine, denominato "Progetto sul gradimento e consumo": di ciò dà atto la stessa commissione di gara, quando afferma che le "migliorie significative" sono state descritte dalla società -OMISSIS-"nell'allegato 1.2 (allegato relativo agli aspetti di gradibilità del pasto)". Sempre per quanto riguarda i profili tecnici oggetto di valutazione in relazione al sub-criterio 1.2., la appellante, premette la appellante che l'art. 15 del disciplinare di gara prescriveva che "per quanto riguarda il sub criterio 1.2 "Progetto su gradimento e consumo", il concorrente propone e si impegna ad attività volte ad aumentare il gradimento e la fruizione completa del pasto - nei suoi componenti di primo, secondo e contorno, nelle grammature previste, riducendo gli sprechi alimentari, in larga parte imputabili a scarso gradimento da parte degli utenti, la dissipazione di lavoro e di risorse economiche, la quantità di rifiuti da smaltire, nonché i deficit nutrizionali e la ridotta soddisfazione degli alunni. In modo statico: proponendo modalità di approvvigionamento, preparazione e somministrazione che in base a studi o esperienze documentabili contribuiscano agli obiettivi del sub criterio in esame. In modo dinamico: analizzando durante l'esecuzione del contratto il consumo, anche attraverso il monitoraggio degli avanzi, il gradimento (anche attraverso questionari che rilevino il grado di soddisfazione dell'utenza, con indicazione delle metodologie di monitoraggio e analisi e dei soggetti da coinvolgere), individuando i fattori critici, proponendo e adottando con la stazione appaltante e le scuole interessate azioni di miglioramento". Ebbene, deduce la appellante che la società -OMISSIS-, con riferimento al monitoraggio degli scarti, ha scritto a pag. n. 8 del proprio piano del servizio che "avvierà insieme a Winnow Solutions un progetto basato sull'installazione, presso le scuole che avranno un numero pasti superiore a 30, dell'Intelligenza Artificiale Winnow Vision in grado di tenere traccia di tutti gli sprechi alimentari e di elaborare una serie di dati e analisi che aiutano a capire dove e come intervenire per sprecare meno cibo. Grazie a questa intuizione, la scrivente in accordo con la Stazione Appaltante, la Asl e la commissione Mensa, può modificare i menu specificatamente alle sole pietanze non particolarmente gradite": tuttavia, per sapere in cosa consista il (e quali siano le caratteristiche del) predetto sistema di monitoraggio informatico degli scarti si è costretti a consultare la pag. 41 dell'Allegato "Progetto sul gradimento e consumo", che consta di ben 46 pagine. Aggiunge la appellante che sempre a pag. 8 del piano del servizio la società -OMISSIS-manifesta la volontà di "attivare la verifica della qualità percepita mediante rilevazioni metodiche fra gli utenti (come anche della commissione mensa) utilizzando il modulo ITCUSTOMER integrato sul sistema SCHOOLWEB della società -OMISSIS- tale software che sarà impiegato anche per le attività di rendicontazione e prenotazione pasti", rinviando la descrizione di tale profilo tecnico all'allegato "SISTEMA INFORMATIZZATO SCHOOLWEB", di 11 pagine: nonostante ciò la commissione di gara, non curandosi dell'elusione dei limiti dimensionali messa in atto dalla società -OMISSIS-, ha ritenuto degne di pregio le "diverse proposte per sensibilizzare gli alunni" e le "diverse proposte di attività e di educazione alimentare". 13.1. Nemmeno il motivo di appello innanzi illustrato, ad avviso del Collegio, può essere accolto. 13.2. Occorre premettere che la parte appellante non contesta la violazione "diretta" della prescrizione dimensionale recata dal disciplinare di gara, ma la sua "elusione/aggiramento": ciò in quanto, pur essendo la relazione descrittiva del "piano del servizio" prodotta dalla controinteressata conforme ai requisiti redazionali previsti dalla lex specialis, essa avrebbe utilizzato gli allegati per veicolare contenuti descrittivi della sua offerta tecnica ulteriori rispetto a quelli recati dalla suddetta relazione e che in questa avrebbero dovuto trovare la loro formale collocazione. Ebbene, ritiene il Collegio che la regola di cui la parte appellante assume la violazione debba essere scissa in due sub-prescrizioni: la prima, intesa a fissare per la suddetta relazione descrittiva il "limite massimo di venti (20) facciate con ciascuna facciata formato A4", la seconda a limitare gli allegati ammessi a quelli contenenti "dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici". Ciò chiarito, può condividersi la tesi della parte appellante secondo cui la commistione tra i due documenti - relazione ed allegati - nel senso di trasferire nei secondi contenuti che dovrebbero appartenere alla prima e che invece sono assenti in quest'ultima, con il conseguente rispetto solo apparente del suddetto limite dimensionale, è suscettibile di integrare la violazione (o, quantomeno l'elusione) dello stesso, con la conseguente legittima applicazione della sanzione escludente (quantomeno) ex 16.7, comma 10, del disciplinare di gara (secondo cui "in qualsiasi fase delle operazioni di valutazione delle offerte tecniche ed economiche, la commissione provvede a comunicare tempestivamente al RUP - che procederà, sempre, ai sensi dell'art. 76, comma 5, lett. b), del Codice - i casi di esclusione da disporre per: - presentazione di offerte parziali, plurime, condizionate, alternative nonché irregolari, ai sensi dell'art. 59, comma 3, lett. a) del Codice, in quanto non rispettano i documenti di gara, ivi comprese le specifiche tecniche"). A diversa conclusione deve invece pervenirsi qualora la relazione assolva alla funzione di descrivere, "in maniera sintetica e separatamente", gli elementi indicati al punto 15 del disciplinare di gara, e tuttavia gli allegati rechino contenuti ulteriori rispetto ai meri "dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici": in tale ipotesi, invero, applicando fedelmente il disposto della lex specialis (secondo cui "Sono ammessi allegati per dettagli tecnici, schemi, tabelle, grafici"), ad essere sanzionata non può essere l'offerta tecnica nel suo complesso, ma i soli allegati, che dovranno essere considerati come non "ammessi". 13.3. Applicando i criteri illustrati alla fattispecie in esame, deve in primo luogo osservarsi che la parte appellante non dimostra che la "relazione descrittiva" non assolve pienamente alla sua funzione di illustrare sinteticamente gli elementi del servizio indicati dal disciplinare di gara. In particolare, e con riferimento alle singole deduzioni da essa formulate: - quanto al sub-criterio 1.1., il piano del servizio proposto dalla aggiudicataria contiene le tabelle "Organizzazione del servizio Comune di Torino", da cui si evince l'articolazione dell'attività, comprese quella relativa alla produzione dei pasti, in relazione agli orari di svolgimento ed agli addetti impegnati, di cui viene precisato il numero e la qualifica, in coerenza con la richiesta del disciplinare di gara di "descrivere i flussi operativi ed i relativi orari di svolgimento"; - sempre per quanto concerne il sub-criterio 1.1., la sintetica descrizione del programma di pulizia e sanificazione è conforme alla prescrizione del disciplinare di gara che richiede, appunto, la "sinteticità " della relazione descrittiva del piano del servizio; - per quanto riguarda il sub-criterio 1.2., la descrizione sintetica delle soluzioni migliorative del servizio riflette il suindicato requisito della relazione descrittiva, mentre il fatto che la commissione abbia valutato l'allegato denominato "Progetto sul gradimento e consumo", per ipotesi "non ammesso", non potrebbe ridondare in danno della aggiudicataria, ma eventualmente incidere sull'attribuzione del punteggio; peraltro, il rilievo della commissione secondo cui le "migliorie significative relative al servizio vengono indicate nelle ultime pagine dell'allegato 1.2 (allegato relativo agli aspetti di gradibilità del pasto)" non è univocamente indicativo dell'apprezzamento da parte della commissione delle medesime migliorie, le quali non trovano menzione nel giudizio sintetico, ma può anzi essere considerato espressivo proprio della non utilizzabilità (e, quindi, della non utilizzazione in concreto) ai fini valutativi dell'allegato; - sempre per quanto riguarda il sub-criterio 1.2., la circostanza per la quale l'illustrazione del sistema di monitoraggio informatico degli scarti sia contenuta nell'Allegato "Progetto sul gradimento e consumo" non contrasta con la funzione di quest'ultimo di contenere i "dettagli tecnici" dell'offerta, tale dovendosi considerare la più precisa descrizione del suddetto sistema; - analoghe considerazioni devono formularsi in relazione alla descrizione del software che sarebbe stato impiegato anche per le attività di rendicontazione e prenotazione pasti, il cui carattere tecnico ne giustifica la collocazione all'interno dell'allegato "SISTEMA INFORMATIZZATO SCHOOLWEB". 13.4. In tale contesto, più che di relazione descrittiva "insufficiente", la quale dovrebbe necessariamente essere integrata con gli allegati ai fini della compiuta illustrazione della proposta tecnica della aggiudicataria, risulta corretto discorrere - ma limitatamente al profilo sub 1.2., per quanto detto innanzi - di allegati "ridondanti", in quanto contenenti elementi descrittivi di carattere non meramente tecnico: ciò che, per quanto detto, oltre a non poter dare luogo alla esclusione della aggiudicataria, non potrebbe nemmeno tradursi, come richiesto dalla appellante in via subordinata, nell'"azzeramento" del punteggio relativamente ai menzionati sub-criteri di valutazione, ma, tutt'al più, nella riduzione del punteggio nella misura in cui esso abbia trovato giustificazione nella valutazione da parte della commissione di gara dei suddetti allegati, profilo in ordine al quale, tuttavia, nessuna specifica deduzione (anche in termini di cd. prova di resistenza) viene svolta dall'appellante. 14. Con il successivo motivo di appello, la parte appellante si duole della reiezione da parte del T.A.R. del XVI motivo di censura, con il quale essa deduceva che le differenze salariali praticate dall'aggiudicataria -OMISSIS-rispetto alle tabelle ministeriali risultavano prive di congrua giustificazione, atteso che, da un lato, essa non poteva applicare i benefici derivanti dalla propria organizzazione d'impresa, evidenziati nei giustificativi del 27 dicembre 2022, ai lavoratori che si era impegnata ad assumere in forza della cd. clausola sociale, dall'altro lato, la volontà della controinteressata di sottrarsi al sistema convenzionale di costo del lavoro avrebbe dovuto condurla, in ogni caso, all'elaborazione di costi effettivi e reali e, quindi, a conteggiare anche i maggiori oneri derivanti dagli scatti di anzianità effettivi maturati dal personale incluso nella suddetta clausola sociale, che ammontavano complessivamente a 398.450,34 Euro. Mediante il motivo di appello in esame, essa si prefigge di dimostrare l'erroneità delle ragioni poste dal T.A.R. a fondamento della suddetta statuizione reiettiva, evidenziando in primo luogo che il consulente tecnico da essa incaricato non ha affatto avallato le conclusioni cui è pervenuto il R.U.P. circa la congruità dei costi della manodopera dichiarati dalla società -OMISSIS-, ma ha affermato che l'asserito scostamento in ribasso del costo della manodopera rispetto ai parametri fissati nelle Tabelle ministeriali, traendo origine da analisi interne all'impresa, può ritenersi plausibile solo in linea generale e astratta, ma non nel caso concreto, in quanto l'impresa appellata si è impegnata a riassorbire i 127 lavoratori alle dipendenze del precedente gestore del servizio, non potendo essa applicare ai dipendenti inclusi nella clausola sociale, a proposito dei quali non dispone di alcun dato storico di riferimento, le stesse tendenze statistiche rilevate all'interno della propria azienda. La parte appellante censura anche il rilievo del T.A.R. secondo cui le censure da essa formulate sarebbero circoscritte ad una "unica componente dell'offerta", cioè agli scatti d'anzianità dei dipendenti, essendo lo stesso T.A.R. ad ammettere che l'extra-costo non dichiarato dalla società -OMISSIS-è pari ad Euro 398.450,34. Allega altresì la parte appellante che, se la società -OMISSIS-intende sottrarsi al sistema "convenzionale" di calcolo del costo del lavoro previsto dalle Tabelle ministeriali, non può limitarsi a beneficiare dei vantaggi che da tale scelta derivano, ma deve anche sopportarne gli oneri, ovvero tenere in considerazione anche i maggiori costi derivanti dagli scatti di anzianità effettivi maturati dal personale da riassorbire, laddove, se si esaminano i giustificativi da essa prodotti, emerge che, per quanto riguarda i dipendenti rientranti nei livelli CCNL 4°, 5° 6° S, non ha considerato i costi degli scatti d'anzianità effettivi, che sono superiori a quelli previsti dagli standard ministeriali di ben Euro 398.450,34. Infine, la parte appellante contesta il ragionamento che il Giudice di primo grado avrebbe ripreso pedissequamente dagli scritti difensivi dell'impresa aggiudicataria, secondo cui, essendo "la forza lavoro occorrente all'esecuzione della commessa in 182 dipendenti", contro i 127 assorbiti per effetto della clausola sociale, sarebbe allora plausibile "l'azzeramento dell'anzianità per i neo-assunti", fondandosi sul presupposto che gli scatti d'anzianità dei 55 dipendenti di nuova assunzione (182 - 127 = 55) restino pari a 0 fino al termine dell'esecuzione dell'appalto, il cui dies a quo, ai sensi dell'art. 3.1. del disciplinare di gara, è previsto per il 31 agosto 2027, laddove il CCNL applicabile al settore della ristorazione collettiva prevede la maturazione degli scatti d'anzianità ogni quattro anni di servizio, cosicché, prima del 31 agosto 2027, i 55 lavoratori aggiuntivi che la società -OMISSIS-ha assunto ex novo matureranno sicuramente (almeno) uno scatto d'anzianità . 14.1. Il motivo non può essere accolto. 14.2. Per quanto concerne la dedotta insussistenza dei presupposti applicativi delle riduzioni contributive indicate dalla aggiudicataria nelle giustificazioni del 27 dicembre 2022, in quanto basate su statistiche aziendali non riproducibili per i dipendenti interessati dalla cd. clausola sociale, è sufficiente evidenziare che le suddette riduzioni non sono affatto basate sulla suddetta tipologia di dati, né sono dipendenti dalle posizioni lavorative individuali dei dipendenti interessati, ma si correlano a circostanze di carattere oggettivo, recte riferibili direttamente alle peculiarità organizzative dell'impresa, che non risentono della provenienza dei dipendenti destinati alla commessa né dalla data del loro inserimento nell'organigramma aziendale. Al fine di rendersi conto di tale assunto, è sufficiente evidenziare, con distinto riferimento ai quattro elementi giustificativi delle differenze tra il costo orario medio del lavoro risultante dalle Tabelle ministeriali e quello derivante, secondo i citati giustificativi, dalle specifiche caratteristiche organizzative aziendali della aggiudicataria, che: - la riduzione dell'aliquota contributiva per il finanziamento dell'assegno per il nucleo familiare (ex CUAF) trova fondamento nella iscrizione della maggioranza dei soci della S.r.l. aggiudicataria alla gestione speciale commercianti, ovvero in un presupposto che non varia per effetto dell'assunzione obbligatoria dei dipendenti interessati dalla cd. clausola sociale; - la riduzione del tasso effettivo INAIL dovuto al mancato recepimento da parte delle Tabelle ministeriali, nell'elaborazione del costo orario del lavoro per i lavoratori dipendenti da aziende del settore Turismo - comparto pubblici esercizi "Ristorazione collettiva" a valere dal mese di dicembre 2021, dei nuovi tassi nominali INAIL, pur se introdotti con decreto direttoriale del 27 giugno 2019, attiene ai criteri di calcolo del costo orario medio del lavoro, ovvero ad un profilo indipendente dalla "storia" retributiva e previdenziale dei dipendenti transitandi per effetto della medesima clausola sociale; - la riduzione del tasso medio di tariffa INAIL per le società che abbiano effettuato interventi per il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non può che riguardare tutti i dipendenti, interessati o meno che siano dalla cd. clausola sociale; - l'espunzione della voce "Elemento Economico di garanzia" dal calcolo dei costi medi orari presenti nelle Tabelle ministeriali per il settore Turismo - comparto pubblici esercizi "Ristorazione collettiva", in quanto elemento economico una tantum, erogato a copertura di un periodo di vacanza contrattuale e non ricorrente, attiene ugualmente alla composizione del costo orario medio del lavoro risultante dalle Tabelle ministeriali e prescinde, quindi, dalla soggettività dei dipendenti e/o dalla loro provenienza. Del resto, a differenza di quanto affermato dalla parte appellante, il consulente del lavoro dott. Antonio Stella, con la relazione depositata agli atti del giudizio di primo grado, lungi dal sostenere che le suddette riduzioni non sarebbero applicabili ai 127 dipendenti interessati dalla clausola sociale, ha appunto dichiarato che le riduzioni indicate nei giustificativi della società -OMISSIS-"risultano veritiere", in quanto, relativamente alla prima ed alla terza, "trattasi di fattispecie peculiari riconducibili alla posizione soggettiva di -OMISSIS-S.r.l.", mentre, quanto alla seconda ed alla quarta, le riduzioni invocate sono "legate ad anomalie in fase di impostazione delle tabelle ministeriali che riguardano tuttavia la totalità dei datori di lavoro, operanti nel medesimo settore". 14.2. Per quanto concerne, invece, la dedotta mancata considerazione da parte del R.U.P. degli scatti di anzianità dei dipendenti interessati dalla cd. clausola sociale, i quali darebbero luogo ad una (dichiaratamente presumibile) perdita economica, duole rilevare che la parte appellante non ha specificamente censurato la sentenza appellata laddove ha individuato, quale autonoma ragione reiettiva della censura suindicata, la dissonanza della stessa rispetto al "consolidato indirizzo giurisprudenziale sulla clausola sociale, secondo cui l'aggiudicatario non è obbligato ad assumere tutto il personale in carico all'appaltatore uscente né ad applicare le medesime condizioni contrattuali né, infine, a riconoscere l'anzianità pregressa (cfr. ancora da ultimo Cons. Stato, sez. V. 20.3.2023 n. 2806)", essendosi limitata a contestare l'argomento "suppletivo", introdotto in sentenza dalla locuzione "in ogni caso", secondo cui, avendo l'aggiudicataria quantificato la forza lavoro occorrente all'esecuzione della commessa in 182 dipendenti, ovvero in numero superiore alle attuali 127 unità, "è plausibile sia l'azzeramento dell'anzianità per i neo-assunti sia l'accesso a regimi agevolati in ragione del loro inquadramento contrattuale". 15. Con il successivo motivo di appello, dopo aver sinteticamente richiamato le censure formulate in primo grado in ordine alle plurime omissioni dichiarative di cui si sarebbe resa responsabile la società -OMISSIS-, la parte appellante contesta in primo luogo la sentenza appellata laddove esclude che i fatti contestati alla controparte con i motivi di censura sub X, XXII, XXIII, XXVI e XXVII siano idonei ad integrare gli estremi della fattispecie di cui alla lett. f-bis) dell'art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016. Premesso che il T.A.R. avrebbe errato nel dichiarare improcedibili il X e il XXII motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, poiché "concernenti profili di reticenza "inglobati" (...) nel provvedimento (...) con cui la Città di Torino, resa edotta dei fatti inizialmente non dichiarati (da -OMISSIS-), ha denegato, in seguito a rinnovata istruttoria, il richiesto annullamento in autotutela", deduce in primo luogo la parte appellante che essa non ha inteso lamentarsi di meri "profili di reticenza" ascrivibili alla controinteressata. Premesso che questa, a pag. 11 del proprio D.G.U.E., ha dichiarato espressamente di non essersi resa colpevole di gravi illeciti professionali riconducibili all'art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016, sebbene fosse coinvolta negli episodi che emergono dalla documentazione prodotta in giudizio, deduce la appellante che aveva in via principale un interesse all'esclusione immediata della società -OMISSIS-dalla gara, quale diretta conseguenza dell'accertamento dell'ipotesi di cui alla lettera f-bis), e solo in via subordinata un interesse alla rinnovata verifica, da parte della stazione appaltante, dell'affidabilità e dell'integrità dell'impresa aggiudicataria. Deduce altresì la parte appellante che il T.A.R. cade in errore quando asserisce che "neppure i provvedimenti adottati da RA. S.p.a. richiamano, del resto, la lett. f-bis dell'art. 80 comma 5, bensì la sola c-bis (...), risultando, perciò, privi, di portata ultrattiva, tale da riverberarsi sulla gara per cui è causa", non avendo il giudice di primo grado rilevato che il XXVI e il XVII motivo di censura non si riferivano solo al procedimento R.A. ed ai relativi atti e provvedimenti. In particolare, espone la appellante che con il XXVI motivo di censura aveva dedotto, come autonoma censura, che le condotte poste in essere dalla società -OMISSIS-non solo al momento della presentazione dell'offerta, ma anche a seguito dell'apertura del procedimento di annullamento in autotutela, per la loro ripetizione erano complessivamente dei chiari indici riconducibili alla fattispecie di cui alla lett. f-bis), anche alla luce del fatto che, tra le circostanze non dichiarate, vi era anche il rinvio a giudizio per il reato di commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444 c.p.) di colui che, nell'anno 2019, ricopriva il ruolo di legale rappresentante dell'impresa. Erronea inoltre, ad avviso della parte appellante, sarebbe la decisione del Giudice di primo grado nella parte in cui esclude "la riconducibilità dei fatti contestati all'alveo della lett. f-bis)", in quanto la stessa CIRFOOD "qualifica la condotta della controinteressata come "fuorviante" (cfr. pag. 16 ss. e pag. 22 e ss. del quarto atto con motivi aggiunti); così evocando proprio quell'elemento di specialità che contraddistingue la lett. c-bis dalla lett. f-bis)": deduce in proposito la parte appellante che essa, con il XXVI motivo di ricorso, ha voluto rimarcare che, anche nell'ipotesi in cui le dichiarazioni rese dalla società -OMISSIS-fossero da ritenersi meramente fuorvianti, la molteplicità delle omissioni ed inesattezze dichiarative che la suddetta società ha reso all'Amministrazione comunale anche dopo la conclusione del procedimento di gara conducono, comunque, alla configurazione di un'alterazione della realtà qualificabile come immutatio veri. Deduce altresì la parte appellante che il dispositivo di rigetto del XXVII motivo di censura è carente di motivazione, nella parte in cui il T.A.R. ha omesso di pronunciarsi sulla genuinità della dichiarazione resa dalla società -OMISSIS-nella memoria procedimentale del 19 aprile 2023 (alla pag.11 punto 4.1), con la quale l'aggiudicataria ha dichiarato (non correttamente) che il provvedimento di cancellazione dall'Albo dei fornitori R.A., oltre a non menzionare persone facenti parte della governance societaria, sarebbe un atto estraneo alle procedure di gara e alla fase esecutiva degli appalti. 15.1. La censura non può essere accolta, con il conseguente assorbimento della relativa eccezione di improcedibilità formulata dalla società appellata, sulla scorta della intervenuta conclusione, in senso assolutorio, del procedimento penale pendente presso il Tribunale di Roma nei confronti di alcuni esponenti della società -OMISSIS-. 15.2. La parte appellante si prefigge di dimostrare, attraverso la sua proposizione, che le omissioni dichiarative ascritte alla controinteressata integrerebbero, anche in ragione della loro reiterazione, la fattispecie automaticamente escludente di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis) d.lvo n. 50/2016. Essa, tuttavia, non svolge convincenti allegazioni - anche in chiave critica, prima ancora che della sentenza appellata, della determina del R.U.P. prot. n. 8416 del 5 giugno 2023, laddove afferma che "conviene prima di tutto sgombrare il campo dall'ipotesi che i fatti evidenziati possano rilevare come dichiarazioni false o comunque non veritiere ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f-bis), ovvero di per sé, a prescindere dalla valutazione dell'elemento strumentale, ovvero di una loro concreta attitudine e portata decettiva rispetto alla procedura di gara", all'uopo richiamando i principi affermati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 16 del 28 agosto 2020 - al fine di dimostrare che le condotte omissive contestate alla società -OMISSIS-non siano qualificabili ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis) d.lvo cit., ma riconducibili alla fattispecie espulsiva automatica di cui alla successiva lett. f-bis). 15.3. In ogni caso, deve premettersi che, secondo il citato precedente nomofilattico, preliminarmente affermata "un'identità di oggetto tra le lettere c) e f-bis) in esame" e rilevato che "dall'esame dei rispettivi elementi strutturali si ricava anche una parziale sovrapposizione di ambiti di applicazione, derivante dal fatto che entrambe fanno riferimento a ipotesi di falso", è stato osservato che "per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti sovviene allora il criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base dell'elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante "sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione" e concretamente idonee ad influenzarle. Per effetto di quanto ora considerato, diversamente da quanto finora affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, l'ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi - di non agevole verificazione - in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all'adozione dei provvedimenti di competenza dell'amministrazione relativi all'ammissione, la valutazione delle offerte o l'aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest'ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c)". Ebbene, militano, nel senso di negare la convergenza delle omissioni contestate verso la cornice qualificatoria apprestata dalla disposizione invocata, i seguenti rilievi. In primo luogo, la fattispecie contestata, già con le corrispondenti censure formulate in primo grado, veniva delineata in chiave omissiva (ad eccezione del motivo sub XXVII, sul quale si svolgeranno separate considerazioni): in forza di ciò, alla stessa si attaglia la previsione di cui alla lett. c-bis), che abbraccia nel suo spettro applicativo, accanto alla condotta dell'operatore economico che "abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione", quella dell'operatore che "abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione", a differenza della lett. f-bis), che invece limita il suo ambito applicativo alla presentazione di "documentazione o dichiarazioni non veritiere". In secondo luogo, le omissioni dichiarative contestate, inserendosi nell'ambito del sub-procedimento di ammissione del concorrente e di quello di "verifica del possesso dei prescritti requisiti", ex art. 32, comma 7, d.lvo n. 50/2016, possiedono sicuramente, già secondo la rappresentazione datane dalla parte appellante, l'elemento qualificante e specializzante (rispetto all'ipotesi residuale di cui alla lett. f-bis) rappresentato, alla stregua del citato precedente, dalla sua idoneità ad "influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione". Né del resto l'evidenziata ripetitività delle omissioni dichiarative contestate, attenendo ad un aspetto estrinseco e non tipizzato della condotta, è suscettibile di attrarle all'ambito applicativo della contestata fattispecie immediatamente escludente. 15.4. Con specifico riguardo, invece, alla falsità dichiarativa che inficerebbe la memoria presentata in data 20 aprile 2023 dalla società -OMISSIS-nell'ambito del procedimento di autotutela avviato dalla stazione appaltante con la nota prot. n. 5435 del 5 aprile 2023, nella parte in cui si afferma che "le contestazioni che supportano la surriferita determinazione di RA. (quella, cioè, di cancellazione della società dall'Albo dei fornitori RA., n. d.e.) attengono ad asserite violazioni dei Regolamenti RA., Codice Etico, etc. assunti nelle interlocuzioni tra la deducente e i funzionari RA. riguardanti fatti che riguarderebbero persone fisiche non facenti parte della governance della Società, quindi in definitiva condotte che semmai rileverebbero esclusivamente nei rapporti con la RA., tutte interne alle dinamiche proprie delle interrelazioni con tale committente e comunque non riguardanti una procedura di gara pubblica o l'esecuzione di un appalto", la parte appellante, dopo aver evidenziato che le osservazioni procedimentali della controinteressata sono state recepite dal R.U.P. laddove, con la nota prot. n. 8416 del 5 giugno 2023, assume che "per quanto riguarda le indagini preliminari della Procura della Repubblica di Roma, come riportate nel decreto di perquisizione e sequestro del 31 gennaio 2022, si deve rilevare come l'esame di tale documento non porti all'accertamento di fatti sufficienti a costituire mezzo di prova idoneo per la riconduzione degli stessi e dei soggetti indagati alla sfera oggettiva e soggettiva di -OMISSIS-, rilevante ai fini dell'esame di cui all'art. 80 del Codice dei contratti pubblici. Non risulta infatti accertato né il ruolo ("amministratore di fatto"), che costituirebbe l'elemento soggettivo potenzialmente rilevante, né la persona fisica alla quale tale ruolo sarebbe astrattamente attribuibile", evidenzia in senso contrario che la prima contestazione formulata con il predetto provvedimento di cancellazione pone proprio in evidenza condotte ascrivibili all'amministratore unico della società -OMISSIS-. Nemmeno tale specifico profilo di censura è meritevole di accoglimento. A prescindere dal fatto che, anche rispetto alla dichiarazione contestata, sussisterebbe il predetto elemento specializzante, tale da attrarlo entro la cornice qualificatoria di cui alla lett. c-bis), occorre in primo luogo escludere il nesso causale tra le suddette osservazioni procedimentali della società -OMISSIS-, relative alle contestazioni formulate con il provvedimento di cancellazione dall'Albo dei fornitori R.A., ed il menzionato provvedimento "liberatorio" del R.U.P., atteso che, nel passaggio surriportato, esso fa riferimento alle "indagini preliminari della Procura della Repubblica di Roma", laddove la stessa ricorrente evidenziava che le contestazioni formulate con il provvedimento di cancellazione erano "totalmente estranee sia all'indagine penale richiamata nei provvedimenti adottati dalla R.A.I, che ai fatti richiamati nella determina R.A. del 6 luglio 2022" (cfr., sul punto, la censura sub XXIII). Inoltre, non può farsi a meno di rilevare che nessuna censura viene formulata dalla ricorrente, già con il motivo (XXVII) di cui viene lamentato l'omesso motivato rigetto da parte del T.A.R., con riferimento all'affermazione della società -OMISSIS-secondo cui le condotte a base del provvedimento di cancellazione "rileverebbero esclusivamente nei rapporti con la RAI", essendo "tutte interne alle dinamiche proprie delle interrelazioni con tale committente e comunque non riguardanti una procedura di gara pubblica o l'esecuzione di un appalto", non essendo all'uopo sufficiente l'affermazione della loro "scorrettezza". 16. Deduce quindi la parte appellante che non è meritevole di condivisione la sentenza appellata nella parte in cui, al fine di escludere il lamentato profilo di carenza istruttoria del procedimento di autotutela avviato dal R.U.P., conseguente alla mancata acquisizione del provvedimento di cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo nazionale dei fornitori R.A., ha da un lato posto in evidenza il corposo materiale conoscitivo acquisito dal R.U.P., dall'altro lato la coincidenza contenutistica tra il predetto provvedimento e la comunicazione di avvio del relativo procedimento. Essa pone quindi in evidenza gli elementi di novità non emergenti dall'atto di avvio dell'istruttoria del procedimento di cancellazione, ma solo dal relativo provvedimento conclusivo, indicativi, secondo quanto risulta da quest'ultimo, di un atteggiamento non trasparente tenuto dalla società -OMISSIS-nell'ambito del procedimento medesimo. 16.1. La censura deve essere accolta. 16.2. Deve premettersi che la completezza dell'istruttoria procedimentale non va valutata in astratto, sì da ritenere che qualunque elemento informativo non acquisito al procedimento ne infici la conclusione, ma in relazione al contenuto del provvedimento conclusivo, al fine di verificare se i dati fattuali rimasti nell'ombra abbiano avuto una effettiva influenza sullo stesso, tanto da lasciare ipotizzare la possibilità di un esito diverso laddove gli stessi avessero fatto ingresso nel procedimento medesimo. Nella specie, l'attribuzione di rilievo decisivo, da parte dell'Ente titolare dell'Albo ed ai fini della integrazione delle fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) e c-bis) d.lvo n. 50/2016, alle circostanze, desumibili dal solo provvedimento di cancellazione, inerenti alla condotta non collaborativa tenuta dalla società sottoposta al procedimento di cancellazione induce a ritenere la sussistenza del vizio di carenza istruttoria lamentato dalla parte appellante. Non potrebbe sostenersi, in senso contrario, che le stesse esauriscono i loro effetti sul piano dei rapporti intercorrenti con la società cancellanda, integrando la (ipotetica) violazione di regole di comportamento facenti parte dell'ordinamento "interno" dell'Azienda radiotelevisiva, atteso che tale profilo afferisce alle valutazioni spettanti alla stazione appaltante, alla quale compete verificare se le regole di condotta violate, pur se aventi la loro radice immediata nei Regolamenti interni della R.A., non riflettano valori trascendenti il rapporto di fiducia che giustifica l'iscrizione all'Albo e valevoli nell'ambito generale dei rapporti con la P.A.. Da questo punto di vista, non rileva la giurisprudenza citata dalla società appellata, secondo cui "il partecipante ad una gara di appalto non è tenuto a dichiarare le esclusioni comminate nei suoi confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all'ANAC in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, la causa di esclusione dell'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione si riferisce - e si conclude - all'interno della procedura di gara in cui è maturata" (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 3 febbraio 2021, n. 1000): deve infatti osservarsi che nella specie non si discute della rilevanza dell'omissione dichiarativa della aggiudicataria ai fini della sua affidabilità professionale, ma della mancata valutazione da parte della stazione appaltante, ai medesimi fini, dei fatti posti a fondamento del citato provvedimento di cancellazione. 16.3. Allo stesso modo, non potrebbero estendersi alle suddette condotte della società -OMISSIS-le ragioni poste dal R.U.P. a fondamento del giudizio di irrilevanza ai fini della valutazione di affidabilità della stessa delle risultanze del procedimento penale, essendo le stesse relative allo stato embrionale dell'indagine penale (la quale, secondo il medesimo R.U.P., non è "arrivata a evidenziare un grado minimo di accertamento che la porti a rilevare come mezzo di prova, restando nell'ambito dei mezzi della ricerca di prova") ed all'assunto secondo cui "tali fatti, quand'anche fossero in futuro accertati, (non) possano essere produttivi di effetti attuali e significativi sull'affidabilità complessiva del concorrente ai fini dell'appalto qui in gara, posto che nessun tentativo illecito del tipo ascrivibile a quello di cui è indagine è stato registrato dall'Amministrazione procedente, che è arrivata a una fase della gara nella quale si sono già esaurite tutte le vicende relative all'istanza, alla valutazione delle offerte e, con quest'ultimo atto, anche alla verifica dei requisiti successivi all'aggiudicazione", e, quindi, non pertinenti ai fini della valutazione dell'atteggiamento tenuto dalla società -OMISSIS-nell'ambito del procedimento di cancellazione. 16.4. Ne discende altresì la non decisività dell'esito assolutorio del giudizio penale, di cui dà conto la società appellata con la sua memoria del 10 giugno 2024: se infatti, da un lato, la carenza istruttoria e motivazionale del provvedimento impugnato attiene alla condotta tenuta dalla stessa nell'ambito del suddetto procedimento di cancellazione e non alle vicende penali sottostanti, dall'altro lato, essendo la sentenza assolutoria sopravvenuta, la stessa non potrebbe rilevare ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento suindicato. Né può trascurarsi che, allo stato, è disponibile il solo dispositivo assolutorio, con la conseguente impossibilità di verificare - ciò che, in ogni caso, competerebbe alla stazione appaltante - se ed in che misura la pronuncia del giudice penale sia idonea a riflettersi sulla valutazione della affidabilità professionale del concorrente, la quale come si è detto deve assumere a riferimento diretto la condotta tenuta dalla società -OMISSIS-nel procedimento svoltosi innanzi all'Ente titolare dell'Albo. 17. Infine, la parte appellante contesta la sentenza appellata laddove afferma che i fatti richiamati nel provvedimento di cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori R.A. sarebbero identici a quelli che emergono dalla documentazione dalle "indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica di Roma, come riportate nel decreto di perquisizione e sequestro del 31.1.2022". Deduce in senso contrario la parte appellante che i fatti che hanno indotto la R.A. a cancellare la controinteressata dall'Albo dei fornitori esulano dall'oggetto delle indagini penali attualmente in corso da parte della Procura della Repubblica di Roma, rilevando solo ed esclusivamente sul piano del diritto amministrativo. Essa evidenzia a tal fine che l'estromissione della società -OMISSIS-dal novero dei fornitori R.A. è stata determinata non già dagli incontri, in sé e per sé considerati, che sarebbero avvenuti tra il R.U.P. e il sig. -OMISSIS-, bensì dalla circostanza che l'impresa appellata ha sostenuto in sede procedimentale la tesi della "totale estraneità del Sig. -OMISSIS--rispetto a qualsivoglia ipotesi di contatto con il dott. Ranchetti", nonostante "elementi di segno opposto" fossero emersi "dal ricorso al Giudice del lavoro presentato dallo stesso -OMISSIS- nel mese di ottobre 2022, ossia dall'atto difensivo in cui era lecito supporre che l'interessato avrebbe negato ogni forma di contatto, al di fuori dei contesti istituzionali, con -OMISSIS-trattandosi di condotte contrarie ai suoi doveri d'ufficio". La parte appellante evidenzia altresì che la R.A. ha ritenuto censurabile non il fatto che la società -OMISSIS-sia stata attinta dalle indagini di cui al d.lgs. n. 231/2001, ma che ne abbia negato l'avvio a proprio carico "nelle ultime deduzioni del 7.11.2022, in violazione dei basilari principi di trasparenza e leale partecipazione al contraddittorio". Inoltre, essa evidenzia che estranea all'oggetto delle indagini penali è anche la circostanza che la società -OMISSIS-, al fine di avvalorare la tesi dell'estromissione della mandante -OMISSIS-dal R.T. costituito nel 2014, abbia prodotto nel procedimento avviato dalla R.A. una "e-mail di -OMISSIS-del 10.12.2021", la quale, se valutata all'interno della corrispondenza allegata integralmente da -OMISSIS-, dimostra, in realtà, che -OMISSIS-"non aveva estromesso la mandante, ma aveva rappresentato la richiesta di estensione della committente, limitandosi solo a chiedere l'elenco dei dipendenti per il caso in cui lnnova non intendesse accettare l'estensione temporale". Infine, la parte appellante menziona il soggiorno del R.U.P. e della sua famiglia presso il villaggio turistico -OMISSIS-, in ordine al quale la R.A. ha rilevato che la società appellata non ha fornito "alcun concreto elemento fattuale" in grado di smentire le deduzioni articolate da -OMISSIS-in sede procedimentale, e cioè che il soggiorno in questione fu pagato dalla dipendente della società -OMISSIS-, sig.ra -OMISSIS-, verso la quale l'odierna appellata avrebbe poi adottato soltanto delle "blande misure interinali". 17.1. Anche il suddetto motivo è meritevole di accoglimento. 17.2. L'analisi del provvedimento di cancellazione prot. n. -OMISSIS- del 14 marzo 2023 fa emergere che la cancellazione della società -OMISSIS-dall'Albo dei fornitori R.A. è derivata anche da circostanze ulteriori rispetto a quelle poste a base della comunicazione di avvio del relativo procedimento. Si legge infatti nel provvedimento che "alcune circostanze rappresentate dalla Società nel corso del contraddittorio sono risultate smentite dagli esiti dell'istruttoria svolta, fornendo così ulteriori elementi nel senso del venir meno del requisito dell'affidabilità professionale che costituisce condizione essenziale per la permanenza nell'Albo, come previsto ai sensi del combinato disposto degli artt. 7.2, lett. a) e 9.3 del Regolamento dell'Albo ("Regolamento")". In particolare, e senza pretesa di esaustività, si legge nel citato provvedimento che "nell'ambito delle osservazioni procedimentali del 7.11. 2022, pur in assenza di alcuna specifica contestazione e/o richiesta di informazioni di RA. sul punto, la Società ha rappresentato di non essere indagata...Conviene precisare come la (pur degna di nota) circostanza del coinvolgimento della Società nell'indagine ex d.lgs. n. 231/2001 non rilevi in sé, assumendo invece obiettiva incidenza negativa sul giudizio di affidabilità nei confronti di -OMISSIS-la condotta successivamente tenuta dalla medesima che, non solo ha omesso di riferite tale sviluppo pur in presenza dell'espresso obbligo in tal senso previsto dall'art. 9 dell'Albo, ma l'ha persino negato nelle ultime deduzioni del 7.11.2022, in violazione dei basilari principi di trasparenza e leale partecipazione al contraddittorio". Si legge altresì che "ulteriori elementi di scarsa trasparenza, sintomatici dell'inaffidabilità professionale della -OMISSIS-sono emersi raffrontando talune altre deduzioni della Società contenute nella nota del 7.04.2022 con i riscontri documentali in possesso della scrivente. Nello specifico, la Società ha rappresentato di aver "estromesso" la mandante -OMISSIS-dal R.T. costituito nel 2014, allegando a riprova una e-mail di -OMISSIS-del 10.12.2021 in risposta ad una e-mail della -OMISSIS-il cui contenuto non è stato prodotto nel procedimento. La corrispondenza in questione è stata, tuttavia, allegata integralmente da -OMISSIS-e da tale scambio emerge che la Società non aveva estromesso la mandante, ma aveva rappresentato la richiesta di estensione della committente, limitandosi solo a chiedere l'elenco dei dipendenti per il caso in cui lnnova non intendesse accettare l'estensione temporale". Il provvedimento prosegue evidenziando che: "Le circostanze sopra riepilogate, autonomamente valutate sul piano del diritto amministrativo, a prescindere dall'accertamento della rilevanza penale dei fatti, concretizzano una grave violazione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC 231), del Codice Etico e del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione (PTPC) adottati da RA. Per inciso, le stesse circostanze integrano altresì una grave violazione anche del Patto di Integrità di Ra.; ... le suddette circostanze, in ragione di quanto sopra evidenziato, risultano anche idonee ad integrare: a) la fattispecie del grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l'integrità dell'operatore economico, ex art. 80, co. 5, lett. c) del D.lgs. n. 50/2016, fattispecie cui può essere ricondotta qualunque situazione, anche non tipizzata, accertata con mezzi adeguati ed idonea a far venire meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante, sulla base di un apprezzamento rimesso alla discrezionalità di quest'ultima; b) la fattispecie ex art. 80 co. 5, lett. c-bis) del D.lgs. n. 50/2016 quale tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, tenuto conto della condotta reticente condotta tenuta nel corso del presente procedimento, nel corso del quale sono state volutamente omesse informazioni certo suscettibili di influenzare l'esito del procedimento". 17.3. Ebbene, poiché le suindicate circostanze, ritenute dalla R.A. idonee ad integrare un grave illecito professionale a carico della società -OMISSIS-, non erano contenute nella comunicazione di avvio del procedimento di cancellazione prot. n. -OMISSIS- resta confermata la carenza istruttoria della nota del R.U.P. prot. n. 8416 del 5 giugno 2023, adottato senza che la relativa lacuna istruttoria, evidenziata in sede procedimentale dalla odierna appellante, venisse colmata. Ne risulta conseguentemente inficiata, sul piano istruttorio e motivazionale, la valutazione di affidabilità professionale posta in essere dal R.U.P. nei confronti della suddetta società, essendosi lo stesso concentrato sulle vicende di carattere penale emergenti dal decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nell'ambito del procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R., escludendo che le stesse, in considerazione dello stato delle indagini, fossero suffragati da una adeguata base probatoria, omettendo ogni valutazione in ordine alle condotte, aventi esclusivamente rilevanza amministrativa, emergenti dal suddetto provvedimento di cancellazione. Né la valenza delle suddette circostanze potrebbe ritenersi elisa a priori dalle misure di self-cleaning adottate dalla società -OMISSIS-ed alle quali fa riferimento la sentenza appellata, essendo sufficiente rilevare che sia la dismissione delle cariche sociali da parte del sig. -OMISSIS--, sia l'adozione del Modello organizzativo ex d.lvo n. 231/2001, sono antecedenti alle contestate condotte procedimentali. Quanto invece alla rilevanza del dispositivo assolutorio del 31 maggio 2024, depositato dalla società appellata nel presente giudizio di appello, non può che ribadirsi, da un lato, che esso è successivo al provvedimento impugnato, dall'altro lato, che l'apprezzamento della sua rilevanza ai fini della valutazione della affidabilità professionale della aggiudicataria, la quale per quanto detto deve incentrarsi sulla condotta da essa tenuta nel procedimento di cancellazione, non può che essere rimesso alla stazione appaltante. 18. Occorre a questo punto precisare che l'accoglimento dell'appello della società -OMISSIS- in relazione ai profili suindicati non trova impedimento nel sopravvenuto provvedimento del R.U.P. prot. n. -OMISSIS-del 30 maggio 2024, con il quale la stazione appaltante ha dato esecuzione alla sentenza di primo grado, escludendo che l'omissione dichiarativa da questa attribuita alla società -OMISSIS-fosse idonea a pregiudicare l'affidabilità professionale della stessa: deve infatti osservarsi che la rivalutazione del suddetto requisito in capo alla aggiudicataria è stata circoscritta al profilo omissivo suindicato, senza emendare il provvedimento originario di quegli altri, rilevati nella presente sede, e, quindi, esonerare l'Amministrazione dalla ulteriore rinnovazione, in relazione ad essi, della valutazione di affidabilità professionale del concorrente interessato. 19. Per quanto concerne la riproposta domanda risarcitoria, il suo accoglimento deve ritenersi precluso in questa sede per le stesse ragioni evidenziate dal T.A.R.: preludendo la presente sentenza, al pari di quella di primo grado, al riesercizio da parte dell'Amministrazione del suo potere di rivalutazione della affidabilità della società -OMISSIS-, non compete al giudice accertare, ai fini della integrazione della fattispecie risarcitoria, la spettanza alla ricorrente del bene della vita, rappresentato dall'aggiudicazione dell'appalto, che deve ancora costituire oggetto di future determinazioni amministrative (inerenti nella specie alla efficacia dell'aggiudicazione già disposta nei confronti della controinteressata). 20. Venendo adesso all'esame dell'appello (n. 2948/2024), occorre preliminarmente evidenziare che, sulla scorta del sopravvenuto (nelle more del giudizio di appello) provvedimento del R.U.P. prot. n. -OMISSIS-del 30 maggio 2024, già in precedenza menzionato, con il quale, a conclusione del procedimento avviato in esecuzione della sentenza di primo grado, nell'ambito del quale è stata anche acquisita la sentenza del Tribunale penale di Cuneo n. -OMISSIS- del 9 gennaio 2024, è stato ritenuto che l'omissione dichiarativa contestata dalla originaria ricorrente alla società -OMISSIS-, e riconosciuta dal T.A.R., concernente un episodio di intossicazione alimentare verificatosi in data 25 luglio 2019 presso la caserma dell'Esercito "Dalla Chiesa" di -OMISSIS-, non incidesse sulla "valutazione di una potenziale affidabilità complessiva del concorrente per l'esecuzione dei contratti relativi ai lotti dell'appalto di ristorazione scolastica della Città di Torino", la appellante -OMISSIS-ha chiesto che venga dichiarata l'improcedibilità dell'appello, non sussistendo più alcun suo interesse al relativo accoglimento. Non resta quindi che dichiarare l'improcedibilità dell'appello n. 2948/2024, conformemente alla richiesta della parte appellante. 21. Sussistono infine, in ragione della complessità dell'oggetto del giudizio, giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli n. 2860/2024 e n. 2948/2024, previa loro riunione: - accoglie in parte l'appello n. 2860/2024, nei limiti e con gli effetti precisati ai par. 16-17 della motivazione, e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie in parte i motivi aggiunti depositati in primo grado in data 3 luglio 2023 ed annulla il provvedimento del R.U.P. prot. n. -OMISSIS- del 2 giugno 2023, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione; - dichiara l'improcedibilità dell'appello n. 2948/2024. Spese del giudizio di appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Vista la richiesta della società -OMISSIS-e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola D'Angelo - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Sebastiano Zafarana - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8973 del 2023, proposto dall'Agenzia per la coesione territoriale, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell'università e della ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via (...); contro Università degli studi del Molise - UNIMOL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ab., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Luiss - Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli, Università degli studi G. D'Annunzio di Chieti-Pescara, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione quarta bis n. 14834 del 9 ottobre 2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli studi del Molise - UNIMOL; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il consigliere Ofelia Fratamico; Viste le conclusioni delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito: - dai decreti del Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale n. 214 e n. 215 del 27 giugno 2022, recanti l'approvazione della graduatoria finale di cui all'"Avviso pubblico per la manifestazione di interesse per la candidatura di idee progettuali da ammettere ad una procedura negoziale finalizzata al finanziamento di interventi di riqualificazione e rifunzionalizzazione di siti per la creazione di ecosistemi dell'innovazione nel Mezzogiorno" e l'assegnazione dei relativi contributi, che hanno ammesso a finanziamento il progetto presentato dalla UNIMOL - Università degli studi del Molise per complessivi Euro 14.000.000,00 anziché per Euro 28.000.000, come richiesto con la domanda di candidatura; - dalla nota dell'Agenzia del 28 giugno 2022 e dalla allegata "Convenzione per la concessione della sovvenzione"; - dalle successive note del 14 luglio 2022 e del 25 luglio 2022, volte a confermare le precedenti determinazioni; - dalla risposta dell'Agenzia del 14 settembre 2022 alla richiesta di accesso agli atti formulata da UNIMOL il 5 agosto 2022, che ha disposto il differimento dell'accesso stesso; - dal decreto del Direttore generale dell'Agenzia n. 265 del 5 agosto 2022 di revoca del finanziamento al progetto presentato dal UNIMOL; - dal decreto del Direttore generale dell'Agenzia n. 68 del 29 marzo 2023 di annullamento in autotutela del provvedimento della medesima Agenzia n. 26 del 23 gennaio 2023 con il quale era stato disposto il ritiro/annullamento dei decreti nn. 214/2022, 215/2022, 265/2022; - da tutti gli atti presupposti, conseguenti o comunque connessi del procedimento. 2. Tali provvedimenti sono stati impugnati dalla Università degli studi del Molise - UNIMOL con due distinti ricorsi (R.G. 10741/2022 e 13966/2022, quest'ultimo presentato dapprima come ricorso straordinario al Capo dello Stato e poi trasposto davanti al giudice amministrativo), entrambi corredati da motivi aggiunti, dinanzi al T.a.r. per il Lazio sulla base di censure che possono essere così sintetizzate: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 12 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza assoluta di motivazione, violazione del giusto procedimento di legge, sviamento; b) violazione e falsa applicazione dell'art. 107 par 1 del TFUE, dell'art. 26 del reg. UE n. 651 del 2014, della comunicazione della Commissione UE n. 2014/C 198/1, dell'avviso pubblico di cui al d.d. n. 319/2021, violazione del principio dell'autovincolo, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria, assenza dei presupposti e travisamento dei fatti, disparità di trattamento, sviamento sulla natura giuridica dell'Università quale Ente non economico, sulla natura dei ricavi generati, sulla incidenza dei presunti ricavi in ragione dei costi di investimento e sul reinvestimento dei ricavi. c) violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e nonies l.n. 241 del 1990, del d.m. MEF del 15 luglio 2021 e del d.l. n. 59 del 2021, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, sviamento; 3. Con i medesimi ricorsi l'Università degli studi del Molise ha anche agito per l'accertamento del suo diritto di accesso agli atti di cui all'istanza presentata in data 5 agosto 2022 e per la condanna dell'Agenzia per la coesione territoriale all'ostensione degli atti richiesti. 4. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza n. 14834 del 9 ottobre 2023, ha accolto i ricorsi riuniti ed i motivi aggiunti, annullando gli atti impugnati e compensando le spese. 5. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'Agenzia per la coesione territoriale e il Ministero dell'università e della ricerca hanno chiesto al Consiglio di Stato di riformare, previa sospensione dell'esecutività, la suddetta pronuncia, affidando il proprio appello a tre motivi così rubricati: I - omessa declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; II - violazione e falsa applicazione dell'art. 107 par. 1, 2, 3, TFUE, del regolamento UE 651/2014, art. 26, commi 1, 6, 7, della comunicazione recante "Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione" (2014/C 198/01), par. 2.1. Organismi di ricerca e di diffusione delle conoscenze e infrastrutture di ricerca come beneficiari di aiuti di Stato, punti 17, 19, 20, 21, e della Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2016/C 262/01). III - valutazione erronea e superficiale delle risultanze istruttorie, travisamento dei fatti, motivazione generica e insufficiente con riferimento: al costo complessivo stimato del progetto e, di riflesso, all'accertamento del limite del 20% della capacità annua dell'infrastruttura, nonché al requisito, previsto dall'art. 5.3.3. dell'invito, del "reinvestimento dei redditi provenienti dall'attività di trasferimento del sapere". 6. Si è costituita in giudizio l'Università degli studi del Molise, eccependo l'inammissibilità e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'appello. 7. Con l'ordinanza n. 4972 dell'11 dicembre 2023 l'istanza cautelare è stata accolta ai soli fini dell'art. 55 comma 10 c.p.a. 8. All'udienza pubblica del 7 marzo 2024 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. 9. Con il primo motivo gli appellanti hanno dedotto l'erroneità della sentenza del T.a.r. che, omettendo di rilevare l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, non avrebbe "tenuto conto della tassatività dei termini del cronoprogramma" fissati per la stipula delle convenzioni che, vista la mancata attuazione della prevista proroga, avrebbero dovuto essere sottoscritte dalle parti entro la data del 31 dicembre 2022, dopo la quale i finanziamenti non sarebbero stati più concedibili, anche in caso di sussistenza delle relative risorse. 10. Con il secondo motivo le Amministrazioni appellanti hanno, poi, affermato come dalla stessa documentazione depositata da UNIMOL emergessero l'esercizio da parte sua di attività economiche costituite dalla "commercializzazione di brevetti e di software, contratti di ricerca industriale...formazione scientifica anche su commessa, master e dottorati" e la percezione di ricavi per un valore complessivo stimato pari a Euro 5.399.877 nel periodo 2025-2036. Lo svolgimento di attività economica per la quale erano configurabili una domanda e un'offerta e, dunque, un mercato in concorrenza con altri operatori, avrebbe inevitabilmente assoggettato, secondo gli appellanti, il progetto dell'originaria ricorrente alla disciplina degli aiuti di Stato, anche alla luce delle indicazioni fornite dai Servizi della Direzione generale della concorrenza della Commissione UE in riscontro ad uno specifico quesito formulato dall'Agenzia proprio con riferimento alla procedura Ecosistemi. 11. La UNIMOL, secondo gli appellanti non avrebbe, inoltre, prodotto "alcuna evidenza finalizzata a quantificare detta attività per verificare se (fosse)... accessoria rispetto all'attività principale non economica e (se risultasse) quindi soddisfatta la relativa condizione posta dalla normativa di riferimento e ripresa all'articolo 5.3 dell'Invito Ecosistemi", dovendo tale attività economica - e non i ricavi - non superare il 20% della capacità annua complessiva della struttura. In mancanza del suddetto ultimo dato, che non sarebbe stato in alcun modo indicato dall'Università, nonostante un preciso onere a suo carico, e di qualunque indizio sul rispetto della soglia massima del 20% l'Agenzia avrebbe, dunque, correttamente inquadrato fra gli aiuti di Stato il caso in esame, ammettendo l'Università al finanziamento solo per il 50% di quanto richiesto e revocando successivamente l'intera ammissione per il rifiuto di sottoscrizione della relativa convenzione. 12. Con l'ultimo motivo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'Agenzia per la coesione territoriale e il Ministero dell'università e della ricerca hanno sostenuto, da un lato, l'assoluta irrilevanza, ai sensi della normativa sugli aiuti di Stato, della "presunta entità limitata dei ricavi" valorizzata, invece, dal T.a.r. nella sentenza impugnata come indice dell'accessorietà dell'attività economica rispetto a quella non economica del centro di ricerca, dall'altro, l'erroneità del calcolo proposto dall'UNIMOL, che avrebbe impropriamente confrontato l'importo dei ricavi previsti (pari a poco meno di 5,4 milioni di euro) con un costo complessivo del progetto (51 milioni di euro) ben superiore a quello risultante dalla documentazione versata nella procedura e oggetto della richiesta di finanziamento (28 milioni di euro). 13. La destinazione dei ricavi al ripianamento del deficit corrente della gestione della struttura non avrebbe, infine, potuto essere considerata, come ritenuto invece dal T.a.r., un reinvestimento dei proventi derivanti dall'attività economica nelle attività principali di natura non economica del centro di ricerca, con conseguente omessa dimostrazione da parte dell'originaria ricorrente anche delle condizioni previste dall'art. 5.3 dell'Invito per l'esenzione dall'applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato. 14. A prescindere dall'esame dell'eccezione di inammissibilità dell'appello per genericità dei motivi, che non sarebbero volti a censurare specificamente i capi della sentenza impugnata, le suddette doglianze devono essere respinte nel merito, in quanto infondate. 15. In primo luogo, deve riconoscersi la procedibilità del ricorso di primo grado viste, da un lato, la mancanza di sufficiente dimostrazione della applicabilità anche alle procedure come quella in questione del termine del 31 dicembre 2022 indicato dagli appellanti quale limite temporale invalicabile per la sottoscrizione delle convenzioni e la concessione dei benefici (che, anzi, appare essere stato ritenuto non rilevante dalla stessa Agenzia al momento dell'adozione del primo atto di autotutela con la conseguente riammissione dell'originaria ricorrente alla totalità del finanziamento disposta con provvedimento n. 26 del 23 gennaio 2023) e, dall'altro, la espressa manifestazione da parte di UNIMOL della permanenza del suo interesse alla declaratoria dell'illegittimità degli atti impugnati anche eventualmente a fini risarcitori. 16. Come, infatti, evidenziato anche dall'Adunanza Plenaria nella decisione n. 8 del 13 luglio 2022, "per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori; non è pertanto necessario specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione; la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm. Una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda". 17. Parimenti non condivisibili sono le censure finalizzate a dimostrare l'inclusione dei finanziamenti richiesti dalla UNIMOL nella nozione di aiuti di Stato e, dunque, la correttezza della dimidiazione del beneficio rispetto a quanto domandato e della successiva revoca integrale dell'ammissione al finanziamento per mancata sottoscrizione della convenzione. 18. L'art. 107 Tfue prevede che "sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza". 19. Dalla documentazione depositata nel corso della procedura "Ecosistemi" emerge, in verità, che l'Università, soggetto attuatore dell'iniziativa, è un ente pubblico di istruzione e ricerca che svolge attività economica in misura residuale e puramente accessoria. Per concorrere all'assegnazione dei finanziamenti in esame UNIMOL ha illustrato di aver elaborato un progetto che prevede la realizzazione ex novo di una struttura di ricerca per lo sviluppo delle attività di diagnostica medica per immagini con tecniche di Machine learning e di Intelligenza artificiale per ottenere "da un singolo esame radiomico non solo una semplice figura anatomica come fino ad oggi accade, ma tutta una serie di informazioni mediche ulteriori in grado di predire l'evolversi della malattia, differenziando, così, cure e terapie". 20. Alla luce di tali caratteristiche del progetto e dell'ente capofila, si comprende agevolmente come i ricavi indicati nella domanda di partecipazione siano prima di tutto solo eventuali, essendo connessi allo sfruttamento economico di brevetti e prodotti frutto della ricerca i cui risultati sono, per definizione, ipotetici e incerti, sia nell'an che nel quantum, nonché, in ogni caso, di importo assai modesto e secondario rispetto all'investimento complessivo necessario, stimato dalla originaria ricorrente fin dagli atti della procedura in Euro 50 milioni considerando le somme indispensabili per la costruzione e l'avvio della struttura (di cui alla domanda di finanziamento) e i successivi costi per il suo funzionamento. 21. Quanto alla circostanza dedotta dagli appellanti secondo la quale la proponente, venendo meno ad un suo preciso onere, non avrebbe quantificato alcuni degli importi delle grandezze inerenti alla proposta, come, ad esempio, la capacità annua complessiva, o che alcune dichiarazioni finanziarie e progettuali sarebbero state carenti e non esaustive, va evidenziato, da un lato, che l'Avviso stesso non conteneva né l'obbligo di precisa quantificazione ex ante di determinati importi né, a monte, la definizione esatta della nozione generale di "capacità annua complessiva", dall'altro, che la procedura non escludeva la possibilità del ricorso al soccorso istruttorio in caso di necessità di integrare la documentazione, per cui era anzi dovere dell'Agenzia chiedere chiarimenti su ogni "informazione utile, dichiarazione e/o impegno necessari ad assicurare il rispetto della normativa in tema di aiuti di Stato"; in sintesi, dunque, può ritenersi che gravasse sull'Amministrazione il dovere, a fronte di dati e prospettazioni non predeterminati dalla lex specialis a pena di esclusione, ma al contempo non del tutto chiari, di approfondire, se necessario e comunque prima di assumere determinazioni sfavorevoli all'istante, specifici punti con il proponente, senza poter invocare in sede giudiziale il principio di parità di trattamento per giustificare di essersi limitata a riferire la valutazione alla sola documentazione presentata dagli stessi entro i termini della candidatura. 22. Al riguardo può aggiungersi, inoltre, che il dato costituito dai ricavi non può considerarsi, al pari di quanto sostenuto dalle Amministrazioni appellanti, assolutamente irrilevante per l'individuazione della natura propriamente economica dell'attività svolta dalla struttura, in quanto significativo indicatore, come del resto già ritenuto dal T.a.r., dell'importanza o al contrario della funzione marginale - come in questo caso - ricoperta dallo sfruttamento commerciale dei risultati della ricerca, soprattutto, poi, se rapportato ai costi di realizzazione del centro e a tutti gli investimenti necessari per il suo funzionamento e per lo svolgimento di tutte le sue attività caratterizzanti di sviluppo e diffusione del sapere scientifico. 23. La previsione, infine, nelle tabelle 9 e 11 allegate alla domanda di UNIMOL, del reimpiego degli eventuali ricavi all'interno del medesimo centro di ricerca per cercare di coprire almeno una parte dei costi di (pari ad oltre 2 milioni di euro all'anno) può pienamente integrare, in mancanza di indicazioni contrarie del diritto comunitario o della lex specialis il requisito del reinvestimento integrale degli utili, anch'esso previsto per l'esenzione del computo del beneficio tra gli aiuti di Stato. 24. La suddetta ricostruzione del quadro fattuale e giuridico della vicenda come non rientrante nella categoria degli aiuti di Stato non trova, in verità, un'efficace smentita neppure nel parere espresso dalla Commissione europea - Direzione generale della concorrenza in data 13 giugno 2023 su istanza dell'Agenzia dell'8 maggio 2023. Tale parere, successivo di ben tre mesi ai provvedimenti impugnati e del tutto estraneo alla serie procedimentale che ha portato alla loro adozione, ma dedotto dall'Amministrazione a sostegno del proprio appello, sconta, infatti, la genericità della richiesta avanzata dall'Agenzia, che non appare aver rappresentato alla Commissione gli elementi di peculiarità della fattispecie in questione, essendosi limitata a fare riferimento all'offerta di servizi sul mercato da parte di UNIMOL senza chiarire in alcun modo né la natura intellettuale, aleatoria, accessoria e non economica di tale attività, né tantomeno la caratteristica di ente di ricerca dell'Università . 25. In conclusione, l'appello deve perciò, come anticipato, essere respinto, con integrale conferma della sentenza emessa dal T.a.r. 26. Per la novità e la particolarità delle questioni trattate sussistono però, in ogni caso, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE UNITE PENALE Composta da Dott. CASSANO Margherita - Presidente Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere Dott. CIAMPI Francesco Maria - Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. Gi.Br., nato a S il (Omissis) 2. Gi.Se., nato a M il (Omissis) avverso l'ordinanza del 21-07-2023 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente Antonio Corbo; udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati Na.Po., difensore di Gi.Br., e Pi.Ma., difensore di Gi.Se., i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi, nonché l'Avvocato Ma.Mo., difensore di entrambi, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi, in subordine la rimessione alla Corte di giustizia, ai fini dell'interpretazione e dell'applicazione dell'art. 31 Direttiva 2014-41-UE e degli artt. 47 Carta di Nizza e 13 e 6 CEDU, nonché, in estremo subordine, il rinvio al giudice del merito per disporre una perizia diretta ad assicurare in contraddittorio gli esiti del processo di decriptazione, analisi e selezione delle conversazioni acquisite mediante o.e.i. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa in data 21 luglio 2023, il Tribunale di Reggio Calabria, ha rigettato le istanze di riesame proposte nell'interesse di Gi.Br. e Gi.Se. avverso l'ordinanza del G.i .p. del Tribunale di Reggio Calabria che ha applicato loro la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. n. 309 del 1990. Secondo l'ordinanza impugnata, sussisterebbero gravi indizi di colpevolezza a carico di Gi.Br. e Gi.Se. in ordine sia alla loro partecipazione ad un'associazione per delinquere finalizzata al traffico di cocaina importata dal Sudamerica, il primo nella qualità di organizzatore e di finanziatore, e il secondo come partecipe, sia al loro concorso in numerosi episodi di acquisto, detenzione, importazione e cessione di partite della precisata sostanza stupefacente. Ai fini dell'individuazione dei gravi indizi di colpevolezza, l'ordinanza impugnata ha richiamato anche elementi costituiti da comunicazioni intercorse sulla rete criptata (...), acquisiti mediante ordine Europeo di indagine (d'ora in avanti, o.e.i.) eseguito dall'autorità giudiziaria della Repubblica di Francia. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe Gi.Br. e Gi.Se., con un unico atto sottoscritto dagli avvocati Ma.Mo., Na.Po. e Pi.Ma., articolando sei motivi, preceduti da un'ampia premessa, e seguiti dalla proposizione, in via subordinata, di una questione pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. Nella premessa, si fornisce un quadro informativo sulla genesi delle indagini e sulla evoluzione del procedimento nel cui ambito sono state emesse le ordinanze custodiali a carico dei ricorrenti, e si affronta il tema della natura delle attività di acquisizione delle comunicazioni effettuate mediante il sistema (...), elementi decisivi per ritenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. 2.1. Con il primo motivo, relativo al solo Gi.Se., si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., 178, lett. c), 291, 293, comma 3, e 294 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla impossibilità per la difesa di conoscere le modalità di acquisizione e decriptazione dei messaggi scambiati sul sistema (...). Si deduce che l'impossibilità di conoscere le modalità di acquisizione e decriptazione dei messaggi scambiati sul sistema Sky-Ec. Integra una nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa, prontamente eccepita in sede di interrogatorio di garanzia davanti al G.i.p. Si rappresenta che la mancata acquisizione dei provvedimenti del Tribunale di Lille, i quali hanno autorizzato le intercettazioni delle comunicazioni intercorrenti sul sistema (...) dal 14 giugno 2019, e dei provvedimenti del Tribunale di Parigi, i quali hanno autorizzato l'installazione dei captatori informatici per acquisire le chiavi di cifratura interne ai singoli dispositivi mobili in uso agli utenti, ha impedito alla difesa di comprendere il tipo di attività investigativa svolta e, quindi, di articolare eccezioni in ordine alla validità ed utilizzabilità delle risultanze della stessa. Si precisa che l'osservazione dell'ordinanza impugnata, secondo la quale il provvedimento autorizzativo del Tribunale di Lille del 14 giugno 2019 è stato depositato in altro procedimento, è inadeguata, perché fa riferimento alla produzione operata in altro procedimento, ed è comunque parziale, perché nulla dice con riguardo ai provvedimenti emessi dal Tribunale di Parigi. Si aggiunge che la presunzione di legittimità degli atti procedimentali compiuti all'estero è relativa e non assoluta. 2.2. Con il secondo motivo, riferito ad entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 407, commi 2 e 3, e 178, lett. e), cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante o.e.i., per il superamento del termine massimo delle indagini. Si deduce che i termini massimi per lo svolgimento delle indagini, al momento dell'acquisizione delle conversazioni intercorse sul sistema (...), erano ormai decorsi in relazione ad entrambi i ricorrenti. Si premette che la mancata definizione del proc. n. 1589-19 R.G.N.R. DDA Reggio Calabria, dal quale è stato separato il proc. n. 3886-22 R.G.N.R. DDA Reggio Calabria, nel cui ambito sono state adottate le misure cautelari a carico dei due attuali ricorrenti, impedisce di ricostruire con precisione l'evoluzione delle indagini a carico degli stessi. Si osserva poi che il proc. n. 1589-19 R.G.N.R. DDA Reggio Calabria è sicuramente in quiescenza, in quanto il R.O.S. ha depositato l'informativa finale in data 15 settembre 2022, e che, quindi, non vi sarebbero stati ostacoli per il Tribunale del riesame a disporre accertamenti in ordine ad esso. Si aggiunge che elementi dai quali desumere l'esistenza di risalenti notizie di reato a carico dei due ricorrenti sono costituiti, in particolare, dalla sottoposizione di un'utenza telefonica in uso a Gi.Se. ad intercettazioni tra 1'8 agosto 2020 ed il 30 maggio 2022, e da una conversazione tra presenti intercettata il 2 maggio 2021 tra St.Se. e Gi.Sa., consuocero di Gi.Br. Si osserva, ancora, che la strumentale intempestività della iscrizione del nome di una persona nel registro degli indagati integra una violazione della disposizione di cui all'art. 407 cod. proc. pen. ed è, come tale sanzionabile, anche per i procedimenti anteriori all'entrata in vigore dell'art. 335-quater cod. proc. pen. 2.3. Con il terzo motivo, riferito ad entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 273, 192, 292, 125, comma 3, cod. proc. pen. e 73 e 74 D.P.R. n. 309 del 1990, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla individuazione della natura delle attività di acquisizione delle comunicazioni intercorse sul sistema (...). Si deduce che illegittimamente l'ordinanza impugnata qualifica l'attività di acquisizione delle comunicazioni intercorse sul sistema (...) come attività di recupero di dati presenti nella memoria dei due server utilizzati dalla società (...), ubicati in R. Si rileva che tale conclusione è viziata in particolare sia perché non risponde alle specifiche censure della difesa, le quali avevano evidenziato come le conversazioni non si trovassero nella memoria dei precisati server, sia perché si pone in contrasto con l'informativa del R.O.S. del 15 settembre 2022, secondo la quale detti server hanno conservato al loro interno esclusivamente i dati della prima e dell'ultima utilizzazione di ciascun apparecchio abilitato a connettersi al sistema (...). In premessa, si precisa analiticamente che le comunicazioni trasmesse dall'autorità giudiziaria francese sono risultanze di intercettazioni, perché: a) le operazioni di acquisizione delle comunicazioni si sono caratterizzate per l'attivazione di Trojan Horse malaware per un periodo di ben quattro mesi, come risulta dall'autorizzazione del Tribunale di Parigi; b) l'attività è stata autorizzata sulla base dell'art. 706-102-1 del Code de Procedure Penale, il quale regola l'impiego del Trojan Horse malaware; c) i server ubicati in Roubaix, utilizzati come "nodo" di transito delle comunicazioni, secondo quanto emerge dai provvedimenti autorizzativi emessi dal Giudice istruttore del Tribunale di Li Ile, hanno conservato al loro interno esclusivamente i dati della prima e dell'ultima utilizzazione di ciascun apparecchio abilitato a connettersi al sistema (...). 2.4. Con il quarto motivo, riferito ad entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 234-bis e 191 cod. proc. pen., 32 Convenzione di Budapest, e Direttiva 2014-41-UE, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma l, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta applicabilità della disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. Si deduce che illegittimamente l'ordinanza impugnata ha ritenuto gli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria francese acquisibili ex art. 234-bis cod. proc. pen. Si osserva che la disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. è non solo alternativa a quella dell'o.e.i., ma, soprattutto, inapplicabile nella specie, in quanto gli atti acquisiti costituiscono le risultanze di attività di intercettazione, come evidenziano con chiarezza i provvedimenti autorizzativi del Tribunale di Lille. Si aggiunge, ancora, che gli atti acquisiti costituiscono corrispondenza, in quanto questa, come ha precisato la giurisprudenza costituzionale (si cita Corte cost. Sent. n. 170 del 2023), non perde tale qualità solo perché ha raggiunto il recapito del destinatario. 2.5. Con il quinto motivo, riferito ad entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 234-bis, 270, 268, commi 6, 7 e 8, 191 cod. proc. pen., 6, paragrafo 1, lett. a) e b), e 10, paragrafo 5, Direttiva 2014-41-UE, e 8, paragrafo 2, CEDU, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercorse sul sistema (...). Si deduce, in primo luogo, che gli o.e.i. aventi ad oggetto la richiesta di acquisire le comunicazioni intercorse sul sistema (...) sono illegittimi, con conseguente inutilizzabilità di quanto ottenuto, perché emessi in violazione dell'art. 6, paragrafo 1, lett. a) e b), Direttiva 2014-41-UE, siccome si riferiscono ad atti che mai avrebbero potuto essere compiuti in Italia. Si segnala, precisamente, che le attività di intercettazione compiute in Francia non avrebbero mai potuto aver luogo in Italia, in quanto massivamente ed indiscriminatamente riferite a tutte le comunicazioni scambiate mediante il sistema (...). Si osserva che il principio di proporzionalità, enunciato dall'art. 6, paragrafo 1, lett. a), Direttiva cit., nella specie, deve essere riferito: 1) alle modalità attraverso cui sono state acquisite nel quadro del procedimento francese le prove oggetto dell'o.e.i., caratterizzate da intercettazioni eseguite in modo generalizzato e indiscriminato nei confronti di tutti gli utenti di una determinata piattaforma di telecomunicazioni; 2) alla richiesta di o.e.i. delle autorità italiane, aventi ad oggetto il trasferimento dei dati relativi a tutti gli indirizzi degli utilizzatori del sistema (...) in Italia. Si rileva, poi, che vi è stata violazione del principio di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), perché gli atti istruttori richiesti: a) non avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo, in quanto costituiti da intercettazioni eseguite in modo generalizzato e indiscriminato nei confronti di tutti gli utenti di una determinata piattaforma di telecomunicazioni; b) non sono stati acquisiti nel rispetto delle garanzie procedimentali di cui all'art. 268, commi 6, 7 e 8 cod. proc. pen., in quanto alla difesa non sono stati messi a disposizione gli elementi per conoscere le modalità di acquisizione delle comunicazioni scambiate mediante il sistema (...), e per verificare la corrispondenza dei testi acquisiti in originale e dei testi decodificati, nonché la coincidenza delle utenze dei soggetti identificati come mittenti e destinatari. Si segnala che l'effettuazione di intercettazioni in modo generalizzato ed indiscriminato è vietata anche dall'ordinamento dell'Unione Europea, come precisato dalla Corte di giustizia UE (si citano, in particolare, Corte giustizia, Grande Sezione, 02-03-2021, (Omissis), C-746-18, e Corte giustizia, Grande Sezione, 20-09-2022, VD e SR, C-793-19 e C-794-19), e che, secondo un principio dell'ordinamento Euro-unitario, informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo non debbono arrecare indebiti pregiudizi ad un imputato o ad un indagato (si citano numerose decisioni della Corte di giustizia UE). Si deduce, in secondo luogo, che gli o.e.i. aventi ad oggetto la richiesta di acquisire le comunicazioni intercorse sul sistema (...) sono illegittimi, con conseguente inutilizzabilità di quanto ottenuto, perché emessi in violazione dell'art. 9, paragrafo 1, Direttiva 2014-41-UE, siccome riguardano atti che non avrebbero potuto essere compiuti dall'autorità giudiziaria francese. Si segnala che le comunicazioni intercorse sul sistema (...), siccome costituiscono il risultato di intercettazioni, in Italia sarebbero acquisibili a norma dell'art. 270 cod. proc. pen., e che, però, la Francia non ha disposizione analoga. Si aggiunge che la libera trasmigrabilità di risultanze di attività di intercettazione da un procedimento penale ad un altro è stata ritenuta dalla Corte EDU, proprio con riferimento alla Francia, integrare una violazione dell'art. 8, paragrafo 2, CEDU (si cita Corte EDU, 29-03-2005, (Omissis) c. Francia). 2.6. Con il sesto motivo, riferito ad entrambi i ricorrenti, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 234-bis, 189, 191 cod. proc. pen., 6, paragrafo 1, lett. a) e b), Direttiva 2014-41-UE, 8, paragrafo 2, CEDU, 11, 14 e 117, primo comma, Cost., e 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma l, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercorse sul sistema (...). Si deduce che gli o.e.i. aventi ad oggetto la richiesta di acquisire le comunicazioni intercorse sul sistema (...) sono illegittimi, con conseguente inutilizzabilità di quanto ottenuto, perché emessi in violazione dell'art. 189 cod. proc. pen., siccome attengono necessariamente anche alle attività di captazione informatica disposte al solo fine di acquisire le chiavi di cifratura custodite nei dispositivi dei singoli utenti. Si premette che la impermeabilità delle comunicazioni transitanti sul sistema (...) si fonda sulla presenza di quattro chiavi di cifratura, due presenti nei server di R e due presenti all'interno di ciascun dispositivo individuale, e che i captatori informatici installati sui server di R hanno avuto esclusivamente la funzione di "catturare" le chiavi di cifratura presenti all'interno del dispositivo di ciascun utente, mediante l'invio di una notifica push al singolo apparecchio, con la quale si induceva lo stesso, quando si autenticava sul sistema (...), a trasmettere le chiavi di cifratura presenti al loro interno. Si precisa che questa tipologia di attività investigativa è diversa da quelle di intercettazione, perché i captatori informatici diretti ad acquisire le chiavi di cifratura presenti all'interno dei singoli dispositivi mobili non hanno captato comunicazioni, e, quindi, attraverso di essi si è proceduto ad attivare un mezzo di ricerca della prova atipico. Si osserva che questo mezzo di ricerca della prova atipico è in contrasto con la l' Il riserva di legge, garantita dagli artt. 14 Cost., 8, paragrafo 2, CEDU, e 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e che, quindi, sono inutilizzabili gli algoritmi di decodifica delle conversazioni intercorse sul sistema (...). 2.7. In via subordinata, si chiede alla Corte di cassazione di formulare alla Corte di giustizia dell'Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali. 1) Sull'interpretazione dell'art. 6, par. 1, lett. a), della Direttiva 2014-41-UE: a) se l'art. 6, par. 1, lett. a), della Direttiva 2014-41-UE osti a un o.e.i. volto al trasferimento di dati già disponibili nello Stato di esecuzione (la Francia) derivanti da un'intercettazione di comunicazioni - in particolare, dati relativi al traffico e all'ubicazione, nonché registrazioni dei contenuti delle comunicazioni  qualora, in primo luogo, l'intercettazione effettuata dallo Stato di esecuzione sia generalizzata e indiscriminata e riguardi perciò tutti gli utenti di un determinato indirizzo di comunicazione; e qualora, in secondo luogo, venga richiesto, tramite l'o.e.i., il trasferimento dei dati relativi a tutti gli indirizzi utilizzati sul territorio dello Stato di emissione; ed ancora qualora, in terzo luogo, non vi fossero indizi concreti della commissione di gravi reati da parte di detti singoli utenti né al momento in cui è stata disposta ed eseguita la misura di intercettazione né al momento dell'emissione dell'o.e.i.; b) se l'art. 6, par. 1, lett. a), della Direttiva 2014-41-UE osti a tale o.e.i. qualora l'integrità dei dati ottenuti grazie alla misura di intercettazione non possa essere verificata dalle autorità dello Stato di esecuzione a causa dell'assoluta riservatezza dei dati. 2) Sull'interpretazione dell'art. 6, par. 1, lett. b), della Direttiva 2014-41-UE: se l'art. 6, par. 1, lett. b), della Direttiva UE2014-41-UE osti a un o.e.i. volto al trasferimento di dati di telecomunicazione già in possesso dello Stato di esecuzione (la Francia), qualora la misura di intercettazione di detto Stato alla base dell'acquisizione dei dati sarebbe stata illegittima ai sensi del diritto dello Stato di emissione (l'Italia) in un caso interno analogo. 3) Sull'interpretazione dell'art. 31, par. 1 e 3, della Direttiva 2014-41-UE: se una misura correlata con l'accesso clandestino ad apparecchiature terminali volta ad ottenere i dati relativi al traffico, all'ubicazione e alle comunicazioni di un servizio di comunicazione via internet costituisca un'intercettazione di telecomunicazioni ai sensi dell'art. 31 della Direttiva 2014-41-UE. 4) Sulle conseguenze giuridiche di un'acquisizione di prove in violazione del diritto dell'Unione: a) se il divieto di utilizzo degli elementi di prova ottenuti tramite un o.e.i. contrario al diritto dell'Unione, previsto dal diritto interno, sia conforme al principio di effettività sancito dal diritto dell'Unione; b) se il divieto di utilizzo degli elementi di prova ottenuti tramite un o.e.i. ; contrario al diritto dell'Unione sia conforme al principio di equivalenza qualora il provvedimento su cui si basa l'acquisizione delle prove nello Stato di esecuzione non avrebbe potuto essere disposto nello Stato di emissione in un caso interno analogo e le prove acquisite mediante tale misura nazionale illegittima non sarebbero utilizzabili secondo il diritto dello Stato di emissione. 3. Con istanza depositata in data 19 dicembre 2023, l'Avvocato Ma.Mo., anche per conto degli altri due co-difensori dei ricorrenti, ha chiesto l'anticipazione dell'udienza, in considerazione dell'avvenuta fissazione per il 29 febbraio 2024, davanti alle Sezioni Unite, di un ricorso nel quale si sollevano questioni affini a quelle prospettate dai ricorrenti in tema di acquisizione e di utilizzo di conversazioni intercorse sulla piattaforma (...), ottenute dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i. inviati all'autorità giudiziaria francese. Nell'istanza, sviluppata attraverso memoria alla quale è allegata ampia documentazione, si chiede di valutare l'opportunità di investire le Sezioni Unite di ulteriori questioni problematiche in argomento, così riassunte: a) se, alla luce dell'art. 6, paragrafo 1, lettere a) e b), Direttiva 2014-41-UE, la lex fori avrebbe consentito di porre sotto intercettazione in maniera massiva e indiscriminata una intera piattaforma messaggistica, senza che la stragrande maggioranza degli abbonati fosse stata raggiunta dal minimo indizio di reità; b) se, ai sensi dell'art. 6, paragrafo 1, lettere a) e b), Direttiva 2014-41-UE, l'ordinamento italiano avrebbe consentito l'acquisizione delle chiavi di cifratura memorizzate nei criptofonini, con la messa in funzione di un mezzo di ricerca della prova atipico che ha violato il domicilio informatico di ogni abbonato alla piattaforma (...); c) se, l'autorità giudiziaria francese, trasmettendo gli esiti dell'attività captativa autonomamente svolta nel quadro del procedimento base transalpino, abbia o meno violato l'art. 10, paragrafo 5, Direttiva 2014-41-UE e, nell'un tempo, l'art. 8, paragrafo 2, CEDU, considerato che la lex loci non conosce un atto di indagine analogo a quello disciplinato dall'art. 270 cod. proc. pen.; d) se, l'autorità giudiziaria francese, dando esecuzione agli o.e.i., e dunque trasmettendo i risultati delle intercettazioni disposte ed eseguite nella inchiesta base transalpina, con la violazione dell'art. 8 paragrafo 2, CEDU, abbia trasgredito l'art. 11, paragrafo 1, lettera f), Direttiva 2014-41-UE; e) se, dopo l'esecuzione di un o.e.i., la osservanza delle condizioni stabilite dall'art. 6, paragrafo 1, lettere a) e b), Direttiva 2014-41-UE possa formare oggetto di vaglio, ad opera del giudice del Paese di emissione; f) se, dopo l'esecuzione di un o.e.i., sia possibile denunciare dinanzi all'autorità giudiziaria del Paese di emissione la violazione dell'art. 10, paragrafo 5, e dell'art. 11, paragrafo 1, lettera f), Direttiva 2014-41-UE da parte dell'autorità giudiziaria del Paese d'esecuzione; g) se debbono considerarsi inutilizzabili le prove che siano state acquisite in spregio dell'art. 6, paragrafo 1, lettere a) e b), Direttiva 2014-41-UE; h) se debbono ritenersi inutilizzabili le emergenze istruttorie che l'autorità giudiziaria del Paese d'esecuzione abbia trasmesso, in violazione dell'art. 10, paragrafo 5, o dell'art 11, paragrafo 1, lettera f), Direttiva 2014-41-UE; i) quale sia la sorte processuale da riservare alla prova che l'autorità giudiziaria francese ha trasmesso trasgredendo all'art. 8, paragrafo 2, CEDU; j) se la prova captativa, assunta illegittimamente in un procedimento base e trasmigrata in un procedimento derivato, debba limitarsi ad essere considerata una notitia criminis, utile a legittimare un nuovo procedimento penale o a convergere con tale limitatissimo valore dimostrativo in un eventuale procedimento penale già preesistente. 4. Con memoria depositata in data 10 gennaio 2024, i difensori dei ricorrenti hanno ulteriormente sviluppato i temi già svolti nel ricorso. Si sottolinea in particolare: a) l'illegittimità della intercettazione dell'intera utenza della piattaforma (...), siccome non riconducibile, di per sé, al contesto della criminalità organizzata, come evidenziato dai provvedimenti del Giudice istruttore del Tribunale di Parigi del 17 dicembre 2020 e del 24 febbraio 2021, che hanno disposto la messa in funzione del captatore informatico "per determinare il livello di utilizzazione criminale che è fatto da questo sistema (...)"; b) la prevalenza della disciplina dell'o.e.i., dettata dalla Direttiva 2014-41-UE, su quella in materia di rogatoria, e, quindi, l'inapplicabilità dei principi giurisprudenziali elaborati in relazione a questa; c) la violazione dell'art. 31 della Direttiva 2014-41-UE da parte dell'autorità giudiziaria francese, in quanto la stessa avrebbe dovuto informare l'autorità giudiziaria italiana di svolgere intercettazioni su circa 12.000 utenze (...) localizzate in Italia, per consentire a questa di compiere approfondimenti sulla legittimità delle operazioni e di inibirne la prosecuzione in caso di ravvisata illegalità delle stesse; d) la violazione della sovranità nazionale italiana, in quanto le attività dei captatori informatici installati sui server di R hanno comportato l'intrusione in 12.000 domicili informatici in Italia, al di fuori di qualunque procedura di cooperazione internazionale. 5. Con ordinanza del 15 gennaio 2024, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, cui era stato assegnato il ricorso, ha rimesso lo stesso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen., rilevando l'esistenza delle seguenti due questioni di diritto idonee a dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale, anche per la pluralità degli orientamenti giurisprudenziali emersi in proposito: a) se l'acquisizione, mediante ordine Europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un'autorità giudiziaria straniera su una piattaforma informatica criptata integri l'ipotesi disciplinata nell'ordinamento interno dall'art. 270 cod. proc. pen.; b) se l'acquisizione, mediante ordine Europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un'autorità giudiziaria straniera attraverso l'inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata sia soggetta nell'ordinamento interno a un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo, in ordine all'utilizzabilità dei dati raccolti. 5.1. L'ordinanza di rimessione premette che le questioni processuali formulate in via preliminare rispetto a quelle concernenti l'utilizzabilità degli atti acquisiti mediante o.e.i. sono da ritenersi infondate. La questione posta nel primo motivo di ricorso, e riferita esclusivamente a Gi.Se., è relativa alla nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa, determinata dalla impossibilità per l'indagato ed i suoi difensori di conoscere le modalità di acquisizione e decriptazione dei messaggi scambiati sul sistema (...). La stessa è ritenuta infondata perché è indiscussa la presenza, tra gli atti del procedimento depositati a seguito della richiesta di riesame, delle trascrizioni delle comunicazioni intercorse sul sistema (...) e degli o.e.i. tramite i quali le stesse sono state richieste ed acquisite. La questione posta nel secondo motivo di ricorso, e riferita ad entrambi i ricorrenti, riguarda l'inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante o.e.i., per il superamento del termine massimo delle indagini, determinato dalla intempestività dell'iscrizione del nome dei ricorrenti nel registro degli indagati. La stessa è ritenuta infondata perché è inapplicabile ratione temporis la disciplina di cui all'art. 33S-quatercod. proc. pen., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2022, con conseguente applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40538 del 24-09-2009, (Omissis), Rv. 244376 -01, e Sez. U, n. 16 del 21-06-2000, (Omissis), Rv. 216248 -01), secondo cui il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al giudice per le indagini preliminari sia consentito stabilire una diversa decorrenza. 5.2. L'ordinanza di rimessione, poi, passando all'esame del tema dell'utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante o.e.i., segnala alcuni profili ritenuti non oggetto di contrasto interpretativo. Rileva, innanzitutto, che le attività investigative compiute in Francia sono state autorizzate dal Giudice istruttore ed appaiono legittimamente eseguite nell'ambito di quell'ordinamento, anche perché tali sono state riconosciute dagli organi giudiziari di vertice di quel Paese (si citano la sentenza del 2 aprile 2022 della Corte di cassazione e la decisione n. 2022-987 QPC dell'8 aprile 2022 del Consiglio Costituzionale). Osserva, poi, che deve escludersi la violazione dell'art. 31 Direttiva 2014-41-UE, e dell'art. 100-8 del codice di procedura penale francese, prospettata per la violazione della sovranità e della giurisdizione italiana, determinata dall'avere le attività di intercettazione riguardato numerosi utenti del sistema SkyÂEcc che si trovavano non in Francia, ma in Italia. Evidenzia, a tal proposito, che dalla disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 108 del 2017, recante norme di attuazione della Direttiva 2014-41-UE, e, in particolare da quella di cui all'art. 24, comma 2, D.Lgs. cit., il controllo del giudice italiano, nel caso di notificazione delle attività di intercettazione disposte dall'autorità giudiziaria straniera senza richiesta di assistenza tecnica, è limitato alla sola verifica della corrispondenza del titolo di reato per il quale si procede all'estero con il catalogo dei reati previsti dall'art. 266 cod. proc. pen. Aggiunge che, nella specie, i titoli per i quali si procede (reati di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. n. 309 del 1990) consentono di disporre intercettazioni. Segnala, quindi, che non sussistono problemi di violazione del principio di proporzionalità determinati dal "trasferimento" in Italia delle comunicazioni intercorse sul sistema (...), e relative agli indagati, proprio in considerazione dei titoli dei reati per i quali si procede in Italia. 5.3. Con riferimento alla prima delle due questioni controverse (l'individuazione della disciplina applicabile in tema di acquisizione e di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante o.e.i.), l'ordinanza di rimessione premette che l'istituto giuridico di riferimento non può essere' costituito dall'art. 234-bis cod. proc. pen. Rileva, in proposito, che l'art. 27, paragrafo 1, della Convenzione di Budapest esclude la possibilità di applicare le norme pattizie da essa previste, "qualora vi sia un trattato, un accordo o legislazione in vigore", e tale è certamente la disciplina di cui alla Direttiva 2014-41-UE. Richiama, a conferma di questa soluzione, quanto affermato da diverse decisioni (si citano: Sez. 6, n. 46833 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285543 -01, 02, 03; Sez. 6, n. 48838 del 11-10-2023, (Omissis), Rv. 285599 -01, 02; Sez. 6, n. 46482 del 27-09-2023, (Omissis), Rv. 285363 -01, 02, 03, 04). L'ordinanza, quindi, segnala che due sono le prospettive plausibili. Secondo un primo orientamento, la disciplina applicabile è quella relativa al sequestro di corrispondenza informatica e telematica (per questo indirizzo, si citano: Sez. 6, n. 46833 del 26-10-2023, cit.; Sez. 6, n. 48838 del 11-10-2023, (Omissis), cit.; Sez. 6, n. 46482 del 27-09-2023, (Omissis), cit.), e, quindi, quella dettata dall'art. 254-bis cod. proc. pen. Ad avviso di queste decisioni, non è applicabile la disciplina delle intercettazioni, che presuppone la presenza di flussi di comunicazioni in atto, e che non è estensibile ai casi in cui vengano acquisite comunicazioni già avvenute, assimilabili, quindi, a corrispondenza. L'ordinanza evidenzia che questa soluzione comporta l'esigenza di valutare il rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza rispetto ai dati da acquisire, non essendo consentita una massiva ed indiscriminata apprensione di una massa di informazioni, senza alcuna selezione o indicazione di criteri di selezione. Secondo una diversa prospettiva, invece, trovano applicazione le disposizioni riguardanti l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria italiana, dei risultati di intercettazioni effettuate dall'autorità giudiziaria estera nell'ambito di un proprio procedimento. L'ordinanza di rimessione rileva che questa qualificazione giuridica della vicenda determinerebbe la necessità di valutare le condizioni per la valida trasmigrazione di tali elementi di prova secondo le categorie dell'ordinamento processuale italiano, che rinviene una specifica disciplina in tema di intercettazioni nell'art. 270 cod. proc. pen. Sottolinea, in particolare, che la soluzione in discorso imporrebbe comunque, anche al giudice del processo ricevente, di valutare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di legittimità delle operazioni di intercettazione disposte nel processo originario (si citano Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229245 -01; Sez. 6, n. 36874 del 13-06-2017, (Omissis), Rv. 270812 -01; Sez. 1, n. 42006 del 28-10-2010, (Omissis), Rv. 249109 -01). Aggiunge che la necessità di bilanciare la tutela della riservatezza delle comunicazioni e la salvaguardia dei dati personali con le esigenze di repressione dei reati emerge anche dalla elaborazione della giurisprudenza sovranazionale (si citano, in particolare, Corte giustizia, Grande Sezione, 02-03-2021, (Omissis), C-746-18, e Corte giustizia, Grande Sezione, 21-12-2023, G.K., C-281-22) . L'ordinanza di rimessione, però, evidenzia che, secondo una decisione (Sez. 6, n. 46482 del 27-09-2023, (Omissis), Rv. 285363 -02), la verifica di utilizzabilità degli atti "importati" non sarebbe necessaria, perché non prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. neppure per il trasferimento di intercettazioni nei procedimenti interni. Osserva, poi, che l'inquadramento della vicenda nell'ambito del trasferimento dei risultati di intercettazioni di altro procedimento pone un ulteriore problema, ovverossia quello della legittimità dell'uso del captatore informatico sul server di una piattaforma elettronica al fine di acquisire le chiavi di decrittazione delle comunicazioni. Si rileva che l'uso di questa tecnica investigativa potrebbe essere ritenuta parte dell'attività intercettativa di un flusso di comunicazioni, oppure attività atipica, anche perché, nella disciplina processuale italiana (artt. 266, commi 2 e 2-bis, 267, commi 1 e 2-bis, cod. proc. pen. e 89 disp. att. cod. proc. pen.), il captatore informatico è autorizzato soltanto ai fini dell'inserimento su un dispositivo elettronico portatile. 5.4. Relativamente alla seconda questione (diritto della difesa di poter disporre dell'algoritmo per la decrittazione delle comunicazioni), l'ordinanza di rimessione segnala che, secondo un primo orientamento, la difesa ha diritto di ottenere, oltre alla versione originale e criptata dei messaggi, anche le chiavi di sicurezza necessarie alla decriptazione (si citano Sez. 4, n. 32915 del 15-07-2022, (Omissis), non mass., con riguardo alle comunicazioni sul sistema (...), nonché Sez. 4, n. 49896 del 05-10-2019, (Omissis), Rv. 277949 -03, in fattispecie relativa a messaggi scambiati mediante il sistema BlackBerry), salva la necessità del relativo bilanciamento con interessi quali la sicurezza nazionale o la segretezza dei metodi di indagine della polizia (si cita, per questa precisazione, Sez. 6, n. 44154 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285284 -01). L'ordinanza, poi, rappresenta che, secondo un diverso indirizzo interpretativo, la disponibilità dell'algoritmo funzionale alla criptazione dei messaggi non costituisce elemento necessario per l'esercizio del diritto di difesa, in quanto, secondo la scienza informatica, solo l'algoritmo corretto consente di poter derivare dal testo criptato un testo intelligibile (si citano: Sez. 3, n. 30395 del 21-04-2022, (Omissis), Rv. 283454 -01; Sez. 6, n. 14395 del 27-11-2019, (Omissis), dep. 2020, Rv. 275534 -01; Sez. 3, n. 38009 del 11-09-2019, (Omissis), Rv. 278166 -02). Segnala, infine, che, alla stregua di un ulteriore orientamento, emerso con specifico riferimento alle comunicazioni intercorse sul sistema (...), il diritto ad avere conoscenza dell'algoritmo non è riconosciuto dalla legge italiana: questa prevede che il difensore dell'indagato possa accedere al verbale delle operazioni di cui all'art. 268 cod. proc. pen. e alle registrazioni, ma non anche ai mezzi tecnici, hardware e software, utilizzati per l'intrusione nelle conversazioni intercettate o per decodificarne il contenuto (si citano Sez. 6, n. 46390 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285494 -01 e Sez. 6, n. 48838 del 11-10-2023, cit.). 6. Con decreto del 22 gennaio 2023, la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, a norma degli artt. 610, comma 3, e 618, comma 1, cod. proc. pen., e ne ha disposto la trattazione all'odierna camera di consiglio. Con istanze trasmesse il 22 gennaio 2024 e il 23 gennaio 2024, rispettivamente, l'Avvocato Ma.Mo., quale difensore di entrambi i ricorrenti, e l'Avvocato Na.Po., quale difensore di Gi.Br., hanno chiesto di poter discutere oralmente la causa. Con provvedimento adottato il 24 gennaio 2024 la Prima Presidente ha disposto in conformità. 7. In data 12 febbraio 2024, la Procura generale ha presentato memoria, nella quale sostiene, con ricchezza di argomenti, che la soluzione della legittimità dell'acquisizione delle comunicazioni trasmesse dall'autorità giudiziaria francese a seguito di o.e.i. si impone quale che sia la qualificazione giuridica attribuibile alle stesse. 8. In data 13 febbraio 2024, i difensori dei ricorrenti hanno depositato un motivo nuovo, con il quale si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 6 CEDU, 24 e 111 Cost., e 48, paragrafo 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla violazione del diritto della difesa di accedere al sistema informatico impiegato per l'analisi delle comunicazioni intercorse sul sistema (...). Si premette che: a) secondo quanto rappresentato nell'informativa dei R.O.S. del 15 settembre 2022, depositata nel proc. n. 1589-19 R.G.N.R. DDA Reggio Calabria, i risultati degli atti di indagine autorizzati dal Tribunale di Lille e dal Tribunale di Parigi sono stati trasferiti alla polizia olandese, la quale avrebbe archiviato le centinaia di milioni di messaggi ricevuti in un warehouse; b) il sistema informatico olandese, composto da algoritmi di intelligenza artificiale, ha consentito di catalogare le diverse conversazioni in modo da raggrupparle per singole attività delittuose e, verosimilmente, di decrittarle, sulla base di una ricerca informatica completamente automatizzata, sottratta alla supervisione umana. Si deduce che, in considerazione di quanto appena indicato, è illegittimo impedire agli indagati di avere contezza piena dell'attività informatica svolta in Olanda, e, quindi, di accedere al software utilizzato per il trattamento dei dati esaminati in quella sede. Si osserva, a sostegno della censura, che, a norma dell'art. 8 D.Lgs. n. 51 del 2018, sono vietate decisioni basate unicamente su un trattamento automatizzato dei dati, e che il sistema utilizzato dalle autorità olandesi, come indicato dalla dottrina specialistica, presenta margini di fallibilità. 9. In data 23 febbraio 2024, l'Avvocato Mo., nell'interesse di entrambi i ricorrenti, ha depositato memoria, nella quale si approfondisce la ricostruzione dei fatti processuali, a conferma di quanto rappresentato nei ricorsi, nelle precedenti memorie e nel motivo nuovo, si replica alle argomentazioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione e si sviluppano ulteriormente, in particolare, le questioni concernenti: a) la violazione dell'art. 6, par. 1, lett. a) e b), Direttiva 2014-41-UE; b) la violazione dell'art. 31 Direttiva 2014-41-UE; c) l'inutilizzabilità degli algoritmi di decodifica captati dai singoli dispositivi criptati; d) l'illegittimità delle operazioni di decodifica, analisi e selezione delle comunicazioni acquisite. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le questioni di diritto sottoposte alle Sezioni Unite sono le seguenti: "Se l'acquisizione, mediante ordine Europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera su una piattaforma informatica criptata integri l'ipotesi disciplinata nell'ordinamento interno dall'art. 270 cod. proc. pen."; "Se l'acquisizione, mediante ordine Europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera attraverso l'inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata sia soggetta nell'ordinamento interno a un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo, in ordine all'utilizzabilità dei dati raccolti". 2. Le due questioni sottoposte all'esame delle Sezioni Unite sono rilevanti ai fini della decisione del ricorso, in quanto attengono all'utilizzabilità degli elementi posti a fondamento dell'affermazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti. Tuttavia, è necessario procedere, in via preliminare, all'esame delle censure esposte nei primi due motivi dei ricorsi, perché il loro eventuale accoglimento renderebbe superfluo lo scrutinio delle questioni relative all'utilizzabilità degli elementi posti a base dell'affermazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. 3. Le censure formulate nel primo motivo, nell'interesse del solo Gi.Se., denunciano la violazione del diritto di difesa, già eccepita in sede di interrogatorio di garanzia, con riferimento all'omessa acquisizione agli atti del procedimento dei provvedimenti del Tribunale di Lille e del Tribunale di Parigi che hanno disposto l'attività investigativa in Francia, e, comunque, al mancato deposito degli stessi, unitamente all'ordinanza cautelare, siccome necessari per poter controllare validità ed utilizzabilità del materiale ricevuto tramite o.e.i. Le doglianze appena sintetizzate, per come prospettate, non riguardano in realtà il mancato deposito di atti presenti nel fascicolo del procedimento, ma si riferiscono alla mancata acquisizione allo stesso dei provvedimenti sulla cui base sono stati compiuti, in altro procedimento, pendente davanti all'autorità giudiziaria francese, gli atti di indagine poi acquisiti dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i. Ciò posto, va in primo luogo rilevato che non risultano, né sono indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell'acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria straniera aventi ad oggetto l'autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i. L'art. 78 disp. att. cod. proc. pen., nel disciplinare l'acquisizione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera, non richiede anche l'acquisizione dei provvedimenti giudiziari in forza dei quali tali atti sono stati compiuti. La medesima conclusione si evince anche dalla disciplina paradigmatica nel sistema processuale penale italiano per l'acquisizione di atti compiuti o formati in altro procedimento sulla base di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, ossia quella relativa ai risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, dettata dall'art. 270 cod. proc. pen. Questa disposizione, infatti, prevede il deposito dei verbali e delle registrazioni relativi alle intercettazioni effettuate in altri procedimenti, ma non anche il deposito dei relativi provvedimenti autorizzativi. E sulla base di questa disciplina, l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte ritiene che: a) ai fini dell'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l'Autorità giudiziaria competente per il "diverso" procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (così, per tutte, Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229244 -01, nonché, da ultimo, con riferimento alla disciplina vigente per effetto delle modifiche recate dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, Sez. 1, n. 49622 del 14-11-2023, (Omissis), Rv. 2855579 -02); b) spetta alla parte che eccepisce nel procedimento ad quem la mancanza o l'illegittimità dell'autorizzazione, e si oppone all'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, l'onere di produrre il decreto autorizzativo, in modo da consentire al giudice di verificare l'effettiva inesistenza nel procedimento a quo del controllo giurisdizionale prescritto dall'art. 15 Cost. (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 6947 del 29-10-2019, dep. 2020, (Omissis), Rv. 278246 -01, e Sez. 6, n. 41515 del 18-09-2015, (Omissis), Rv. 264741 -01). 4. Le censure esposte nel secondo motivo, nell'interesse di entrambi i ricorrenti, denunciano l'inutilizzabilità degli atti acquisiti mediante o.e.i., perché ottenuti successivamente al decorso del termine massimo delle indagini preliminari. In proposito, occorre premettere che la disciplina in tema di accertamento della tempestività delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato, oggi prevista dall'art. 335-quater cod. proc. pen., non si applica, a norma dell'art. 88-bis D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, così come inserito dall'art. 5-sexies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del 30 dicembre 2022 in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 12 cod. proc. pen. e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, cod. proc. pen., anche quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen. Nella specie, secondo quanto rappresentato nell'ordinanza impugnata, e non confutato specificamente dalla difesa, la notizia di reato per la quale è stata emessa l'ordinanza cautelare è stata iscritta nei confronti di Gi.Se., unico dei due attuali ricorrenti a sollevare la questione in sede di riesame, in data 3 marzo 2022, quindi in epoca di gran lunga anteriore a quella di entrata in vigore dell'art. 335-quater cod. proc. pen. Di conseguenza, trova applicazione la precedente disciplina, in forza della quale, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al g.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma 3, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U, n. 40538 del 24-09-2009, (Omissis), Rv. 244376 -01; Sez. U, n. 16 del 21-06-2000, (Omissis), Rv. 216248 -01; Sez. 6, n. 4844 del 14-11-2018, dep. 2019, (Omissis), Rv. 275046 -01). 5. L'infondatezza dei primi due motivi dei ricorsi consente di passare all'esame delle due questioni rimesse alle Sezioni Unite e rilevanti ai fini dell'utilizzabilità degli elementi posti a base del giudizio di gravità indiziaria da parte dell'ordinanza impugnata. Le due questioni sono tra loro strettamente connesse, perché le conclusioni sulla natura giuridica da attribuire all'acquisizione, effettuata mediante ordine Europeo di indagine (c.d. o.e.i.), di comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria straniera, hanno una diretta ricaduta sul tema della necessità di preventiva o successiva verifica giurisdizionale ai fini dell'utilizzabilità dei dati raccolti. Per questa ragione, ognuno dei diversi indirizzi giurisprudenziali sarà oggetto di esposizione unitaria con riferimento alle soluzioni accolte per entrambi i profili. 6. Secondo l'orientamento espresso per primo in ordine di tempo, quando, in accoglimento di o.e.i., l'autorità giudiziaria straniera trasmette comunicazioni su chat di gruppo scambiate con sistema cifrato, le quali siano già in suo possesso nell'ambito di procedimento penale estero, si verte nell'ipotesi di cui all'art. 234Âbis cod. proc. pen. 6.1. Alcune decisioni (cfr. in particolare: Sez. 1, n. 19082 del 13-01-2023, (Omissis), Rv. 284440-01; Sez. 1, n. 6363 del 13-10-2022, dep. 2023, (Omissis), non mass.; Sez. 1, n. 6364 del 13-10-2022, dep. 2023, (Omissis), Rv. 283998-01; Sez. 1, n. 34059 del 01-07-2022, (Omissis), non mass.) premettono che, con riferimento all'attività di acquisizione di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato, occorre distinguere tra due diversi tipi di possibili operazioni. Da un lato, quando l'attività di captazione e registrazione si riferisce a messaggi in fase di transito dall'apparecchio del mittente a quello del destinatario, la disciplina applicabile è quella relativa alle intercettazioni, e, più precisamente, nel caso in cui l'oggetto sia costituito da flussi di comunicazioni trasmessi in via telematica, mediante cavi o ponti radio, o analoga strumentazione tecnica, occorre far riferimento alla previsione di cui all'art. 266-bis cod. proc. pen. Dall'altro, quando invece l'attività di acquisizione e decifrazione si riferisce a comunicazioni già effettuate o comunque già acquisite dall'autorità giudiziaria estera, la disposizione applicabile è quella di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen., la quale consente l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, "previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Le decisioni indicate precisano che, quando l'autorità giudiziaria italiana riceve dall'autorità giudiziaria straniera una "rappresentazione comunicativa incorporata in una base materiale con metodo digitale", ossia dati informatici, si versa nell'ambito dell'acquisizione di un documento informatico. Aggiungono, poi, che, in tal caso, ricorre anche l'ulteriore requisito per l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen., ossia il consenso all'acquisizione del "legittimo titolare", siccome per "legittimo titolare" deve intendersi anche la persona giuridica che di quei dati e documenti può disporre in forza di un legittimo titolo, incluse, quindi, la polizia giudiziaria o l'autorità giudiziaria dello Stato estero. Le tre decisioni più recenti (Sez. 1, n. 19082 del 13-01-2023, cit.; Sez. 1, n. 6364 del 13-10-2022, dep. 2023, cit.; Sez. 1, n. 6363 del 13-10-2022, dep. 2023, cit.), inoltre, collegano specificamente la legittimità del procedimento di acquisizione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria italiana alla procedura cui questa ha fatto riferimento: l'ordine Europeo di indagine. Sottolineano, infatti, che l'o.e.i. deve avere ad oggetto prove acquisibili dello Stato di emissione, deve essere eseguito in conformità della disciplina prevista nello Stato di esecuzione in relazione un atto analogo, e, in linea con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità in tema di rogatorie, deve presumersi adempiuto nel rispetto di questa disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario. Due decisioni (Sez. 1, n. 6364 13-10-2022, dep. 2023, cit., e Sez. 1, n. 6363 13-10-2022, dep. 2023, cit.), ancora, rappresentano che: a) la disciplina dell'o.e.i., sulla base sia della Direttiva n. 2014-41-UE, sia del D.Lgs. n. 108 del 2017, non vieta di acquisire risultati di attività investigative già compiute; b) è irrilevante se la richiesta di o.e.i. sia avanzata dal pubblico ministero anche quando attiene ad atti acquisibili in Italia solo in forza di provvedimento del giudice, a norma dell'art. 132 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, perché, nella specie, l'attività di acquisizione dei dati è avvenuta sotto la direzione del giudice dello Stato estero; c) non sussiste un problema di genuinità del dato informatico, derivante dalla mancata ostensione dell'algoritmo necessario alla decriptazione dei messaggi, in quanto, secondo la scienza informatica, solo l'algoritmo corretto consente di ottenere un testo dotato di significato, per cui è onere della difesa allegare specifici e concreti elementi da cui desumere, nella singola vicenda, rischi di alterazioni. 6.2. Numerose altre decisioni, nel ritenere applicabile la disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. all'acquisizione mediante o.e.i. di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato, già nella disponibilità dell'autorità giudiziaria straniera, aggiungono ulteriori precisazioni. In particolare, alcune pronunce (Sez. 3, n. 47201 del 19-10-2023, (Omissis), Rv. 285350 -01; Sez. 4, n. 37503 del 30-05-2023, (Omissis), non mass.; Sez. 4, n. 16347 del 05-04-2023, (Omissis), Rv. 284563 -01; Sez. 4, n. 16345 del 05-04-2023, (Omissis), non mass.; Sez. 4, n. 17647 del 28-03-2023, (Omissis), non mass.) segnalano che: a) è irrilevante accertare se l'autorità giudiziaria straniera abbia acquisito i dati ex post o in tempo reale, perché l'aspetto dirimente è costituito dall'essere stata la richiesta italiana di o.e.i. avanzata quando i flussi di comunicazione non erano più in corso; b) l'onere di provare l'incompatibilità degli atti compiuti dall'autorità giudiziaria straniera con i principi fondamentali ed inderogabili dell'ordinamento giuridico italiano grava su chi formula la relativa eccezione anche perché il diritto straniero è un "fatto". Altra decisione (Sez. 4, n. 27775 dell'11-05-2023, (Omissis), non mass.) aggiunge che la qualificazione dei dati acquisiti dall'autorità giudiziaria italiana come documenti, a norma dell'art. 234-bis cod. proc. pen. non pone problemi di compatibilità con i principi espressi dalla Direttiva 2014-41-UE, e quindi esclude la necessità di procedere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE a norma dell'art. 267, paragrafo 3, T.F.U.E. In particolare, in questa decisione, si rappresenta che la qualificazione dei dati ricevuti dall'autorità giudiziaria francese come documenti esclude la necessità per l'autorità giudiziaria italiana di chiedere, ai fini della loro acquisizione mediante o.e.i., una preventiva autorizzazione del giudice. Si rileva, inoltre, che, in linea generale, il pubblico ministero italiano è legittimato a presentare richiesta di o.e.i. perché autorità giudiziaria indipendente, non esposta al rischio di ricevere ordini o istruzioni individuali da parte del potere esecutivo. Si segnala, ancora, che gli obblighi informativi previsti dall'art. 31, paragrafo 1, Direttiva 2014-41-UE in relazione alle attività di intercettazione attuate da uno Stato nel territorio di un altro Stato sono posti a garanzia del principio di reciprocità tra Stati e non a protezione dei diritti individuali dei singoli utenti (per questo rilievo v. anche Sez. 3, n. 47201 del 19-10-2023, (Omissis), Rv. 285350 -01). La sentenza precisa, altresì, con specifico riguardo al caso sottoposto al suo esame, che: a) la richiesta dell'autorità giudiziaria italiana non era indeterminata, in quanto relativa a dati transitati su utenze riferibili ad alcuni specifici PIN, ed era stata avanzata nell'ambito di un procedimento nel quale erano emersi già concreti indizi di reato; b) l'integrità dei dati era certificata da un "attestato vidimato dal responsabile dell'organismo tecnico" incaricato dall'autorità giudiziaria francese della materiale acquisizione dei dati. 7. Secondo un diverso orientamento, espresso da due pronunce (Sez. 6, n. 44155 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285362 -01, 02, e Sez. 6, n. 44154 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285284 -01, 02, 03), l'acquisizione, effettuata mediante un ordine Europeo di indagine, di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato, quando attiene ai risultati di un'attività di apprensione occulta di comunicazioni non "in corso" o al sequestro di dati archiviati in un server o in altri supporti informatici, è regolata dalla disciplina di cui all'art. 254-bis cod. proc. pen., e non da quella di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. 7.1. Si osserva, per un verso, che l'art. 234-bis cod. proc. pen. è riferibile solo ad elementi preesistenti rispetto al momento dell'avvio delle indagini dell'autorità giudiziaria straniera, o comunque formati al di fuori di quelle investigazioni, e, sotto altro profilo, che non può parlarsi di acquisizione avvenuta con il consenso del "legittimo titolare", perché questo si identifica nel mittente e nel destinatario del messaggio, nonché nella società di gestione della piattaforma di transito della comunicazione, mentre l'autorità giudiziaria straniera è un mero detentore dei dati a fini di giustizia. Ad avviso delle due decisioni, l'attività di acquisizione, mediante o.e.i., di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato, se non riferita a comunicazioni "in corso", deve essere, pertanto, qualificata a norma dell'art. 254Âbis cod. proc. pen., nell'ambito della disciplina del sequestro di dati informatici presso fornitori di servizi informatici, telematici e di comunicazioni. Si precisa, innanzitutto, che, se l'acquisizione ha ad oggetto dati "esterni" al traffico telefonico o telematico, occorre far riferimento alle regole di cui all'art. 132 D.Lgs. n. 196 del 2003, mentre, se vi è stata una captazione di comunicazioni o di flussi di comunicazioni in corso, la disciplina da applicare è quella di cui agli art. 266 ss. cod. proc. pen. Si segnala, poi, che l'art. 43, comma 4, D.Lgs. n. 108 del 2017, lascia intendere che anche le attività di trascrizione, decodificazione o decrittazione delle comunicazioni intercettate, se richieste dall'autorità giudiziaria italiana a quella estera, debbono essere preventivamente autorizzate dal giudice. Si sottolinea, ancora, che, con riguardo all'acquisizione presso il server dei dati esterni delle telecomunicazioni, la giurisprudenza della Corte di giustizia U.E. (segnatamente, Corte giustizia, Grande Sezione, 02-03-2021, (Omissis), causa C-746-18) ha fissato limiti stringenti: in primo luogo, in forza del principio di proporzionalità, occorre che tanto la categoria o le categorie dei soggetti interessati, quanto la durata per la quale è richiesto l'accesso agli atti, siano limitate a ciò che è strettamente necessario ai fini dell'indagine; in secondo luogo, solo un giudice (o un'autorità indipendente e terza rispetto al processo) può garantire un corretto controllo sulla esistenza delle condizioni sostanziali e procedurali per l'accesso ai dati. Si conclude, quindi, che "l'acquisizione all'estero di documenti e dati informatici inerenti a corrispondenza o ad altre forme di comunicazione deve essere sempre autorizzata da un giudice: sarebbe davvero singolare ritenere che per l'acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico sia necessario un preventivo provvedimento autorizzativo del giudice, mentre per compiere il sequestro di dati informatici riguardanti il contenuto delle comunicazioni oggetto di quel traffico sia sufficiente un provvedimento del pubblico ministero" (così, testualmente, Sez. 6, n. 44154 del 26-10-2023, cit.). 7.2. L'indirizzo in esame rappresenta inoltre che una conferma delle conclusioni raggiunte è fornita dalla più recente giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di tutela della libertà e segretezza della corrispondenza, ex art. 15 Cost. Si segnala, in particolare, che secondo Corte cost., sent. n. 170 del 2023, l'art. 15 Cost. tutela la corrispondenza, ivi compresa quella elettronica, anche dopo la sua ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, e che, secondo Corte cost., sent. n. 2 del 2023, tale tutela si connota per la "riserva di giurisdizione", da intendersi come "vaglio dell'autorità giurisdizionale (...) associato alla garanzia del contraddittorio, alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura, della sua eccessività e proporzione, e, in ultima analisi, consente il pieno dispiegarsi allo stesso diritto di difesa". Si aggiunge che la giurisprudenza costituzionale si richiama a quella della Corte EDU, la quale ha ricondotto "sotto il cono di protezione dell'art. 8 CEDU, ove pure si fa riferimento alla "corrispondenza" tout court, i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, 05-09-2017, (Omissis) c. Romania; par. 72; Corte EDU, 03-04-2007, (Omissis) c. Regno Unito, par. 41), gli s.m.s. (Corte EDU, 17-12-2020, (Omissis) c. Norvegia) e la messagistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte EDU, (Omissis), cit., par. 74)". 7.3. Sulla base di queste precisazioni in ordine alla natura dell'attività di acquisizione delle comunicazioni elettroniche, le decisioni indicate osservano che l'autorità giudiziaria italiana competente ad emettere l'o.e.i. diretto ad ottenere tali elementi è sì il pubblico ministero, ma potrebbe essere necessaria una previa autorizzazione del giudice. Si evidenzia che l'illegittimità di un o.e.i. emesso senza la preventiva autorizzazione del giudice, quando questa è necessaria, può essere fatta valere dalla difesa, ma produce conseguenze diversificate: se l'o.e.i. ha determinato lo svolgimento di un'attività investigativa illegittima, la genesi patologica della prova raccolta determina l'inutilizzabilità di questa; se, invece, l'o.e.i. è stato emesso al fine di acquisire una prova "già disponibile" nello Stato di esecuzione, e la questione non è stata fatta valere con successo davanti agli organi di quest'ultimo, la verifica sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità della prova può essere chiesta al giudice italiano. Si richiama, in particolare, quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alle intercettazioni eseguite in altro procedimento, e cioè la sindacabilità anche nel processo "ricevente" della legalità del procedimento di autorizzazione ed esecuzione delle attività di captazione (si cita Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229244-01). Sulla base di questo paradigma, si osserva che, nel sistema della Direttiva sull'ordine Europeo di indagine, per l'acquisizione dei risultati di un'intercettazione già svolta all'estero, non è sufficiente l'autorizzazione di questa da parte del giudice dello Stato di esecuzione nel rispetto della sua legislazione nazionale, ma occorre anche il controllo del giudice dello Stato di emissione sull'ammissibilità e l'utilizzabilità della prova secondo la propria legislazione, nella specie quella italiana. 7.4. Quanto al regime di utilizzabilità della prova acquisita mediante o.e.i., Sez. 6, n. 44154 del 26-10-2023, cit., aggiunge alcune precisazioni. Rileva, innanzitutto, che la giurisprudenza della Corte di giustizia riconosce l'autonomia procedurale degli ordinamenti nazionali in tema di ammissibilità e valutazione delle prove, ferma restando la necessità di evitare che "informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo rechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso reati" (si cita Corte giustizia, Grande Sezione, 06-10-2020, C-511-18, 512-18 e 520-18). Argomenta, poi, che l'ordinamento nazionale si limita ad indicare, nell'art. 36 D.Lgs. n. 108 del 2017, quali atti ricevuti mediante o.e.i. possano essere raccolti nel fascicolo per il dibattimento. Osserva, perciò, che, ai fini in questione, deve soccorrere l'elaborazione consolidata della giurisprudenza in tema di rogatorie, elaborazione secondo la quale l'atto compiuto all'estero può essere eseguito anche applicando le disposizioni processuali dello Stato straniero, ma è utilizzabile in Italia solo se non contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento, tra i quali quelli della tutela dell'inviolabilità del diritto di difesa e del contraddittorio per la prova. Segnala, in particolare, che: a) secondo la giurisprudenza di legittimità, la difesa ha diritto di ottenere la versione originale e criptata dei messaggi e le chiavi di sicurezza per la decriptazione, a pena di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. (si cita Sez. 4, n. 49896 del 15-10-2019, (Omissis), Rv. 277949-03); b) secondo la Corte EDU, è da ritenere compromesso il diritto di difesa in relazione a dati raccolti in un server di messaggistica crittografata, quando di essi non è stata consentita la verifica sotto il profilo del contenuto e della integrità, salva la presenza di interessi concorrenti, quali la sicurezza nazionale o la necessità di mantenere segreti i metodi di indagine sui reati da parte della polizia, e ferma restando, anche in questo caso, la necessità di fornire all'imputato "un'opportunità adeguata" per preparare la sua difesa, a norma dell'art. 6 CEDU (si cita Corte EDU, Grande Camera, 26-09-2023, (Omissis)C. Turchia). 8. Secondo un ulteriore orientamento, espresso da tre pronunce (Sez. 6, n. 46833 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285543 -01, 02, 03; Sez. 6, n. 48838 deIl'11-10-2023, (Omissis), Rv. 285599 -01, 02; Sez. 6, n. 46482 del 27-09-2023, (Omissis), Rv. 285363 -01, 02, 03, 04), l'acquisizione, effettuata mediante un ordine Europeo di indagine, di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato, quando attiene ad elementi già raccolti in un procedimento penale pendente davanti all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, ha ad oggetto, se riguarda corrispondenza, una prova documentale. Nel caso in cui, invece, si riferisca ai risultati di intercettazioni, il relativo trasferimento nel procedimento nazionale, può essere disposto dal pubblico ministero, senza necessità di preventiva autorizzazione del giudice. 8.1. Sez. 6, n. 46482 del 27-09-2023, (Omissis), cit., premette che, nel sistema giuridico italiano, per l'acquisizione di comunicazioni personali conservate nei dispositivi informatici, anche quando queste costituiscono corrispondenza, si applicano le disposizioni in materia di perquisizione e sequestro, e quindi le previsioni di cui agli artt. 244, 247, comma 1-bis, 254-bis e 352, comma 1-bis, cod. proc. pen., con conseguente superfluità di un provvedimento del giudice. Osserva che la conclusione appena indicata non si pone in contrasto con l'insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui la documentazione relativa a comunicazioni scambiate a distanza di tempo non significativa e conservata dagli utenti, anche se memorizzata in dispositivi portatili ad accesso protetto, ha natura di corrispondenza (si cita, in particolare, Corte cost., sent. n. 170 del 2023). Segnala, infatti, che il principio indicato implica l'applicazione delle garanzie previste dall'art. 15 Cost., e, quindi, impone l'intervento del pubblico ministero, ma non anche l'autorizzazione del giudice. Rileva, poi, che la corrispondenza, anche informatica, costituisce prova documentale a norma dell'art. 234 cod. proc. pen., e che, però, è inapplicabile la disciplina di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen., perché questa disposizione attiene a materiale disponibile in rete, ovvero a materiale che, se non liberamente accessibile al pubblico, può essere acquisito con il consenso del "legittimo titolare". Sulla base di questa premessa, conclude che la documentazione trasmessa dall'autorità giudiziaria francese avrebbe potuto essere acquisita in Italia mediante un provvedimento del pubblico ministero di sequestro probatorio di documentazione-corrispondenza. La medesima sentenza osserva che, con riguardo all'acquisizione di prove già raccolte nello Stato di esecuzione dell'o.e.i., un fondamentale punto di riferimento per l'individuazione delle regole giuridiche applicabili è costituito dalla disciplina interna in materia di trasferimento di prove tra procedimenti. Evidenzia che, in linea generale, il trasferimento di prove tra procedimenti può essere richiesto con provvedimento del pubblico ministero, anche con riguardo a risultanze di intercettazioni, in quanto l'art. 270 cod. proc. pen., per l'utilizzabilità di queste in un procedimento diverso da quello in cui sono state disposte, pone limiti correlati alla gravità dei reati, ma non richiede alcun provvedimento autorizzatorio del giudice. Aggiunge, poi, che la necessità di un provvedimento autorizzativo del giudice italiano per l'acquisizione di dati già nella disponibilità dell'autorità giudiziaria estera non può farsi discendere dal diritto sovranazionale. Invero, la Direttiva 2002-58-UE concerne il divieto per gli operatori dei servizi telefonici di conservare dati di traffico e di ubicazione degli utenti, ma non anche le intercettazioni, né "la acquisizione di documentazione elettronica posta nei dispositivi personali dell'utente (o negli spazi virtuali su server in suo accesso esclusivo)" (si cita a conferma, tra le altre, Corte giustizia, Grande Sezione, 06-10-2020, La Quadrature du net, C-511-18, C-512-18 e C-520-18, per l'espressa precisazione contenuta nel par. 103). Ostacoli non derivano nemmeno dall'elaborazione della giurisprudenza della Corte EDU, e segnatamente da Corte EDU, Grande Camera, 26-09-2023, (Omissis) c. Turchia, in quanto questa decisione ha ad oggetto una vicenda in cui, nel procedimento nazionale, il materiale acquisito non era stato messo a disposizione della difesa e la pronuncia di colpevolezza era stata fondata sul solo fatto dell'utilizzazione del sistema di messaggistica criptata. Con specifico riferimento al caso da essa esaminato, la pronuncia sottolinea che: a) la disciplina francese in materia di acquisizione della, messaggistica trasmessa e conservata nei dispositivi personali mediante accesso occulto a sistemi informatici (artt. da 706-95 a 706-95-3 e da 706-102-1 a 706-102-5 del codice di procedura penale) prevede la necessità di un provvedimento motivato del giudice; b) la segretezza del sistema usato per "mettere in chiaro" i messaggi criptati non è in contrasto con la legge italiana, perché gli artt. 268 cod. proc. pen. e 89 disp. att. cod. proc. pen. riconoscono il diritto di accedere al verbale delle operazioni e alle registrazioni, ma non anche ai mezzi tecnici e ai programmi utilizzati per la intrusione nelle conversazioni intercettate; c) la decriptazione delle conversazioni e comunicazioni è attività distinta dalla captazione, e, quindi, non implica il diritto di conoscere il programma o l'algoritmo a ciò necessario, salvo che siano allegate e provate specifiche anomalie tecniche. 8.2. Conclusioni omogenee, anche se espresse nell'ambito di un ragionamento sviluppato con ordine espositivo diverso, sono raggiunte da Sez. 6, n. 46833 del 26-10-2023, cit., e da Sez. 6, n. 48838 dell'11-10-2023, cit. Entrambe le decisioni evidenziano che: a) il sistema della Direttiva 2014-41-UE, relativa all'ordine Europeo di indagine, "include anche l'acquisizione di prove già in possesso dell'autorità di esecuzione", come precisa il settimo Considerando di essa; b) la cooperazione giudiziaria si fonda sulla presunzione del rispetto, da parte dei Paesi membri, del diritto dell'Unione e dei diritti fondamentali (si cita, per un'affermazione relativa proprio ad un procedimento concernente l'o.e.i., Corte giustizia, 23-01-2018, (Omissis), CÂ367-16, par. 50); c) la mancata conoscenza, da parte della difesa, dell'algoritmo utilizzato per decriptare i messaggi non costituisce limitazione rilevante ai fini del controllo di possibili alterazioni, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente correlato alla sua chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente; d) l'art. 234-bis cod. proc. pen. è inapplicabile perché trova la sua matrice nell'art. 32 della Convenzione di Budapest sul cybercrime, la quale si riferisce all'acquisizione di documentazione reperibile in internet, e non alla documentazione ottenuta mediante consegna formalmente effettuata dall'autorità giudiziaria straniera. Sez. 6, n. 48838 dell'11-10-2023, cit., inoltre, precisa che: a) le comunicazioni inviate mediante la posta elettronica o il sistema WhatsApp costituiscono corrispondenza, in linea con quanto affermato da Corte cost., sent. n. 170 del 2023; b) nell'ordinamento italiano, il trasferimento della corrispondenza, come delle conversazioni intercettate, è ammissibile sulla base di un provvedimento del pubblico ministero; c) nello spazio comune Europeo, la prova costituita da documentazione acquisita presso gli operatori di telecomunicazioni con provvedimento del giudice può circolare senza la necessità I di un ulteriore provvedimento del giudice in procedimenti diversi, purché sia rispettato il limite della utilizzazione dei dati per la tutela della sicurezza pubblica e della prevenzione di gravi reati (si citano, specificamente, Corte giustizia, 07-09-2023, A.G., C-162-22, e Corte giustizia, 16-12-2021, H.P., C-724-19); d) non è applicabile la disciplina di cui all'art. 43, comma 4, D.Lgs. n. 108 del 2017, la quale, nel dettare le regole relative alla richiesta di intercettazioni mediante o.e.i., stabilisce che la stessa "possa avere ad oggetto la trascrizione, la decodificazione o decrittazione delle comunicazioni intercettate", perché tale disciplina concerne le richieste relative allo svolgimento congiunto sia delle attività di intercettazione, sia di quelle a queste accessorie; e) l'omesso deposito degli atti concernenti le intercettazioni disposte nel procedimento a qua presso l'autorità competente per il procedimento ad quem non comporta l'inutilizzabilità dei risultati acquisiti in quest'ultimo, in quanto tale sanzione non è prevista né dall'art. 270, né dall'art. 271 cod. proc. pen. 9. Così riassunti i termini del contrasto, le Sezioni Unite ritengono innanzitutto di precisare che, con riferimento all'acquisizione, effettuata mediante o.e.i., di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria straniera, non è applicabile la disciplina di cui all'art. 234-bis cod. pen., perché la stessa è alternativa e incompatibile rispetto a quella dettata in tema di o.e.i. 9.1. L'art. 234-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 2, comma 1-bis, D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, prevede testualmente: "È sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Come si evince dal contenuto appena trascritto, la disposizione disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all'estero, che viene attuata in via "diretta" dall'autorità giudiziaria italiana e prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi. Il sistema dell'o.e.i. regola anch'esso una modalità di acquisizione degli elementi di prova "transfrontalieri", che, però, si realizza nell'ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di Stati diversi, tutti membri dell'Unione Europea. Si tratta, quindi, di discipline che si riferiscono a vicende tra loro diverse già per il presupposto di applicazione: l'art. 234-bis cod. proc. pen. riguarda l'acquisizione di elementi conservati all'estero che prescinde da forme di collaborazione con l'autorità giudiziaria di altro Stato; la disciplina relativa all'o.e.i. attiene all'acquisizione di elementi conservati all'estero da ottenere od ottenuti con la collaborazione dell'autorità giudiziaria di altro Stato. Si può aggiungere che il rapporto di alternatività tra acquisizione di elementi istruttori operata in via diretta dall'autorità giudiziaria procedente e acquisizione di elementi istruttori sulla base di rapporti di collaborazione con autorità giudiziarie di altri Stati trova una chiara esplicitazione nella Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, firmata a Budapest il 23 novembre 2001, nella parte in cui la stessa regola i "poteri di indagine" per l'"accesso" a dati informatici ubicati all'estero rispetto all'autorità giudiziaria procedente. Questa Convenzione, infatti, prevede che l'accesso a dati informatici "immagazzinati" in un sistema informatico ubicato all'estero è effettuato nell'ambito di rapporti di "mutua assistenza" tra Stati (art. 31), e, nei soli casi di dati disponibili al pubblico o resi disponibili dalla persona legalmente autorizzata alla loro divulgazione, "senza l'autorizzazione di un'altra Parte" (art. 32). 9.2. Ciò posto, occorre inoltre evidenziare che la Direttiva 2014-41-UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo di indagine, assegna alla disciplina da essa dettata una funzione di preminenza, in materia di acquisizione delle prove nell'ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di più Stati dell'Unione Europea. La volontà della Direttiva 2014-41-UE di regolare in modo organico il sistema di acquisizione delle prove mediante la collaborazione tra Stati, anche con riferimento a quelle già a disposizione dell'autorità giudiziaria destinataria della richiesta, risulta espressa in modo inequivocabile dagli artt. 1 e 3 e dai Considerando (6), (7) e (35). L'art. 1 precisa che l'o.e.i. può essere emesso anche per ottenere "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", mentre l'art. 3 precisa che l'o.e.i. "si applica a qualsiasi atto d'indagine, tranne all'istituzione di una squadra investigativa comune e all'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra (...)". Il Considerando (6), nel terzo periodo, rappresenta: "Il Consiglio Europeo ha pertanto chiesto la creazione di un sistema globale in sostituzione di tutti gli strumenti esistenti nel settore, compresa la decisione quadro 2008-978-GAI del Consiglio, che contempli per quanto possibile tutti i tipi di prove, stabilisca i termini di esecuzione e limiti al minimo i motivi di rifiuto". Il Considerando (7), poi, oltre a ribadire la volontà di predisporre un unico sistema di disciplina per l'acquisizione delle prove "transfrontaliere", precisa che in queste rientrano anche quelle già a disposizione dell'autorità giudiziaria destinataria della richiesta. Così prevede: "Tale nuova impostazione si basa su un unico strumento denominato ordine Europeo di indagine (OEI). L'OEI deve essere emesso affinché nello Stato che lo esegue (lo "Stato di esecuzione") siano compiuti uno o più atti di indagine specifici ai fini dell'acquisizione di prove. Ciò include anche l'acquisizione di prove già in possesso dell'autorità di esecuzione". Il Considerando (35), ancora, stabilisce la prevalenza della Direttiva 2014-41-UE su tutti gli altri strumenti internazionali, statuendo: "Nei casi in cui è fatto riferimento all'assistenza giudiziaria nei pertinenti strumenti internazionali, come nelle convenzioni concluse in seno al Consiglio d'Europa, dovrebbe essere inteso che l'applicazione della presente direttiva tra gli Stati membri vincolati dalla stessa è preminente rispetto a dette convenzioni". Il principio di completezza della disciplina dell'o.e.i. non è in alcun modo derogato nell'ordinamento italiano, come desumibile dalle seguenti disposizioni. L'art. 1 D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, rubricato "Norme di attuazione della direttiva 2014-41-UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo di indagine penale", infatti, così statuisce espressamente: "Il presente decreto attua nell'ordinamento interno la direttiva 2014-41-UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 (...), relativa all'ordine Europeo di indagine penale (...) L'art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. cit., a sua volta, precisa che l'ordine Europeo di indagine può essere emesso anche "per acquisire informazioni o prove che sono già disponibili". 10. Individuate nella Direttiva 2014-41-UE e nel D.Lgs. n. 108 del 2017 le coordinate della disciplina in tema di acquisizione di elementi istruttori effettuata dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.io, è necessario esaminare innanzitutto quali sono le regole generali di tale sistema normativo. 10.1. Profilo preliminare, e fondamentale, è quello che attiene alle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i.: solo se l'o.e.i. è stato legittimamente emesso, gli elementi acquisiti per il suo tramite potranno essere validamente utilizzati nel procedimento o nel processo pendente in Italia. In proposito, le disposizioni dell'ordinamento nazionale di carattere generale sono estremamente laconiche. In particolare, l'art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 108 del 2017 si limita a prevedere, in linea generale, che "il pubblico ministero e il giudice che procede possono emettere, nell'ambito delle relative attribuzioni, un ordine di indagine e trasmetterlo direttamente all'autorità di esecuzione". Più in generale, l'art. 1 D.Lgs. cito, rubricato "Disposizioni di principio", prevede che il D.Lgs. n. 108 del 2017 "attua nell'ordinamento interno la direttiva 2014-41-UE". Disposizioni più dettagliate sono previste in relazione a specifici atti di indagine, quali la richiesta di intercettazioni di telecomunicazioni (art. 43), e la richiesta di documentazione inerente ai dati esterni relativi al traffico telefonico o telematico (art. 45). Tuttavia, la precisazione di carattere generale contenuta nell'art. 1 D.Lgs. cit. induce a ritenere applicabili anche agli o.e.i. emessi dall'autorità giudiziaria italiana t le condizioni di ammissibilità previste dall'art. 6, paragrafo 1, Direttiva 2014-41-UE. 10.2. La cogenza delle prescrizioni appena indicate, nella prospettiva di assicurare la effettività del diritto Euro-unitario, è espressamente sottolineata dal paragrafo 2 dell'art. 6 della Direttiva ("Le condizioni di cui al paragrafo 1 sono valutate dall'autorità di emissione in ogni caso"). Questo articolo, al paragrafo 1, prevede che l'autorità richiedente "può emettere un o.e.i. solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: a) l'emissione dell'o.e.i. è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all'art. 4, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; e b) l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'o.e.i. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo". Il giudizio sulla sussistenza della prima condizione (necessità e proporzionalità) deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l'ordine Europeo di indagine. In questo senso, univoche sono le indicazioni fornite sia dall'art. 4 Direttiva cit., sia dal Considerando (11) della medesima Direttiva. Invero, l'art. 4 Direttiva cit., espressamente richiamato dall'art. 6, fa riferimento al procedimento nel quale è emesso l'o.e.i. Il Considerando (11) della Direttiva cit., poi, precisa che "L'autorità di emissione dovrebbe pertanto accertare se le prove che si intende acquisire sono necessarie e proporzionate ai fini del procedimento, se l'atto di indagine scelto è necessario e proporzionato per l'acquisizione di tali prove, e se è opportuno emettere un o.e.i. affinché un altro Stato membro partecipi all'acquisizione di tali prove". Il giudizio sulla sussistenza della seconda condizione (ammissibilità dell'atto richiesto alle stesse condizioni in un caso interno analogo) presuppone l'individuazione del "tipo" di atto oggetto di o.e.i. Come osservato in dottrina, essa postula una valutazione in astratto, ed è quindi logicamente preliminare, mentre l'altra condizione, ossia quella concernente la necessità e la proporzionalità dell'atto richiesto, implica una valutazione in concreto, rapportata allo specifico procedimento nel cui ambito è stato emesso l'o.e.i. Non mancano, inoltre, disposizioni che dettano condizioni di ammissibilità ulteriori ed aggiuntive con riferimento a specifici atti di indagine, come quelle in tema di intercettazione di comunicazioni, contenute negli artt. 30 e 31 Direttiva 2014-41-UE. Le ragioni di merito dell'emissione di un o.e.i., secondo quanto precisa l'art. 14, paragrafo 2, Direttiva cit., possono essere oggetto di controllo successivo, e precisamente "impugnate", solo "mediante un'azione introdotta nello Stato di emissione", salvo la necessità di assicurare tutela ai diritti fondamentali nello Stato di esecuzione; e, però, "un'impugnazione non sospende l'esecuzione dell'atto di indagine, a meno che ciò non abbia tale effetto in casi interni analoghi" (art. paragrafo 6, Direttiva cit.). 10.3. La fase di esecuzione di un o.e.i. emesso dall'autorità giudiziaria italiana non riceve puntuale regolamentazione nel D.Lgs. n. 108 del 2017. Piuttosto, il D.Lgs. cit., da un lato, sottolinea, in termini generali, all'art. 1, l'esigenza del "rispetto dei principi dell'ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo". Per altro verso, detta, all'art. 35, disposizioni sulla utilizzabilità degli atti compiuti e delle prove assunte all'estero. L'art. 35 cit., precisamente, prevede l'inserimento nel fascicolo del dibattimento: a) dei documenti e degli atti non ripetibili acquisiti mediante o.e.i., senza richiedere particolari condizioni; b) dei verbali degli altri atti acquisiti mediante o.e.i., se agli stessi i difensori sono stati posti in condizione di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; c) dei verbali di dichiarazioni non ripetibili assunte all'estero a seguito di o.e.i. e non acquisite in contraddittorio nei casi e con le modalità di cui all'art. 512Âbis cod. proc. pen. Per completezza, è utile precisare che la garanzia del rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea in tema di diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza) implica anche la garanzia del rispetto dei principi desumibili, nella medesima materia, dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Invero, la Carta di Nizza, come precisa il preambolo e puntualizzano le annesse "Spiegazioni", il cui valore giuridico è formalmente sancito dall'art. 52, paragrafo 7, della Carta, "riafferma" espressamente anche i diritti derivanti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, nonché dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo. 10.4. La disciplina posta dalla Direttiva 2014-41-UE, dal canto suo, non contiene regole relative alla fase di esecuzione degli o.e. i. che incidano specificamente sulla utilizzabilità degli atti acquisiti nel procedimento davanti all'autorità di emissione. In linea generale, l'art. 14 Direttiva cito fornisce precise indicazioni per ritenere che le questioni concernenti la fase di esecuzione, e quindi anche quelle concernenti la scelta di riconoscere ed eseguire l'o.e.i., siano proponibili esclusivamente nello Stato di esecuzione. Invero, significative sono le previsioni relative alla esperibilità di mezzi di impugnazione anche nello Stato di esecuzione, a scambi reciproci di informazioni anche sui mezzi di impugnazione contro il riconoscimento e l'esecuzione di un o.e.i., e all'obbligo per lo Stato di emissione di tener conto dell'esito delle impugnazioni concernenti il riconoscimento e l'esecuzione dell'o.e.i. Né appare seriamente ipotizzabile che identiche questioni possano essere proposte sia nello Stato di esecuzione, sia nello Stato di emissione. Emblematica, in proposito, è la regola che esclude la proponibilità di questioni relative alle ragioni di merito dell'emissione dell'o.e.i. nello Stato di esecuzione, stabilita dall'art. 14, paragrafo 2, Direttiva cit., "fatte salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato d i esecuzione". Tuttavia, la medesima Direttiva evidenzia la necessità di assicurare il rispetto dei "diritti fondamentali" da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato di emissione anche con riguardo alle attività compiute nello Stato di esecuzione. L'art. 14 cit., paragrafo 2, stabilisce che le ragioni di merito in ordine all'emissione dell'o.e.i. possono essere fatte valere "soltanto mediante un'azione introdotta nello Stato di emissione", "fatte salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione". Ancor più significativamente, però, al paragrafo 7, secondo periodo, con una previsione specificamente riferita alla valutazione delle prove nel procedimento ad quem, dispone: "Fatte salve le norme procedurali nazionali, gli Stati membri assicurano che nei procedimenti penali nello Stato di emissione siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite l'o.e.i.". Inoltre, con una regola di principio e di "chiusura" del sistema, l'art. l, paragrafo 4, Direttiva cito statuisce: "La presente direttiva non ha l'effetto di modificare l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici sanciti dall'articolo 6 T.U.E., compresi i diritti di difesa delle persone sottoposte a procedimento penale, e lascia impregiudicati gli obblighi spettanti a tale riguardo alle autorità giudiziarie". 10.5. In forza del coordinamento normativo tra il D.Lgs. n. 108 del 2017 e la Direttiva 2014-41-UE, sembra ragionevole affermare che, ai fini dell'utilizzabilità di atti acquisiti mediante o.e.i. dall'autorità giudiziaria italiana, è necessario garantire il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l'osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall'ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti. Da un lato, infatti, sia la Direttiva 2014-41-UE, in particolare gli artt. 1 e 14, sia il D.Lgs. n. 108 del 2017, in particolare l'art. l, evidenziano, come principio generale, l'esigenza di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali, e, tra questi, i diritti della difesa e ad un giusto processo. Dall'altro, poi, né l'art. 36 D.Lgs. n. 108 del 2017, né altre disposizioni del medesimo D.Lgs. o della Direttiva 2014-41-UE prevedono, ai fini dell'utilizzabilità degli atti formati all'estero, la necessità di una puntuale applicazione di tutte le regole che l'ordinamento giuridico italiano fissa, in via ordinaria, per la formazione degli atti corrispondenti formati sul territorio nazionale. Anzi, l'art. 14, paragrafo 7, Direttiva cit., proprio laddove impone allo Stato di emissione di rispettare i diritti della difesa e di garantire un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite l'o.e.i., stabilisce: "fatte salve le norme procedurali nazionali" (dizione, quest'ultima, riferita allo Stato di esecuzione). La soluzione accolta, del resto, corrisponde alla costante tradizione del nostro ordinamento, e alla consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di rogatoria internazionale, trovano applicazione le norme processuali dello Stato in cui l'atto viene compiuto, con l'unico limite che la prova non può essere acquisita in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano e dunque con il diritto di difesa (Sez. 2, n. 2173 del 22-12-2016, dep. 2017, (Omissis), Rv. 269000 -01, la quale ha ritenuto esente da censure il provvedimento impugnato che aveva respinto l'eccezione di inutilizzabilità di intercettazioni ambientali disposte ed acquisite dall'autorità olandese, osservando che la procedura penale olandese in tema di intercettazioni era conforme ai principi garantiti dall'art. 15 della Costituzione, pur se differente da quella italiana, in quanto la motivazione deve essere fornita nella richiesta di autorizzazione del pubblico ministero e non nel provvedimento autorizzativo del giudice, e la durata prevista per le operazioni è di quattro settimane, con possibilità di rinnovo). Questa Corte ha altresì affermato che, in materia di rogatoria internazionale, l'atto istruttorio assunto all'estero è inutilizzabile solo quando venga prospettata l'assenza nell'ordinamento dello Stato richiesto di una normativa a tutela delle garanzie difensive, non anche quando si contesti la mera inosservanza delle regole dettate dal codice di rito dello Stato italiano richiedente (Sez. 6, n. 43534 del 24-04-2012, (Omissis), Rv. 253797 -01). 10.6. Ai fini dell'accertamento del rispetto dei diritti fondamentali, assumono rilievo i principi della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell'attività svolta dall'autorità giudiziaria estera nell'ambito di rapporti di collaborazione ai fini dell'acquisizione di prove, e dell'onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata. Il principio della presunzione di legittimità dell'attività compiuta all'estero ai fini dell'acquisizione di elementi istruttori è oggetto di costante e generale enunciazione da parte della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis: Sez. 6, n. 44882 del 04-10-2023, (Omissis), Rv. 285386 -01; Sez. 3, n. 1396 del 12-10-2021, dep. 2022, Torzi, Rv. 282886 -01; Sez. 4, n. 19216 del 06-11-2019, dep. 2020, (Omissis), Rv. 279246 -01). Nel sistema della Direttiva 2014-41-UE, poi, è espressamente riconosciuto il principio della "presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali" (Corte giustizia, 11-11-2021, (Omissis), C-852-19, par. 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08-12-2020, (Omissis), C-584-19, par. 40). Tale principio, del resto, trova una precisa base testuale nel Considerando (19) della Direttiva cit., il quale afferma: "La creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia nell'Unione si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformità, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell'Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali. Tuttavia, tale presunzione è relativa. Di conseguenza, se sussistono seri motivi per ritenere che l'esecuzione di un atto di indagine richiesto in un o.e.i. comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l'esecuzione dell'o.e.i. dovrebbe essere rifiutata". Anche il principio secondo cui grava sulla difesa l'onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende una causa di nullità o inutilizzabilità da essa eccepita è ripetutamente e generalmente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite, in particolare, hanno affermato che, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche -qualora si proceda con le forme del dibattimento - al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l'eccezione si accompagna l'ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali - positive o negative - addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16-07-2009, (Omissis), Rv. 244329 -01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229245 -01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19-04-2023, (Omissis), Rv. 284519 Â01, e Sez. 6, n. 18187 del 14-12-2017, dep. 2018, (Omissis), Rv. 273007 -01). A fondamento di questa affermazione, si osserva che, "per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l'onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice dispone" (così Sez. U, n. 45189 del 2004, (Omissis), cit., nonché Sez. 5, n. 1915 del 18-11-2010, dep. 2011, (Omissis), Rv. 249048 -01, e Sez. S, n. 600 del 17-12-2008, dep. 2009, (Omissis), Rv. 242551 -01). E l'osservazione deve essere ribadita perché l'art. 187, comma 2, cod. proc. pen. prevede che i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali sono oggetto di prova, né vi sono dati normativi da cui inferire l'inversione, in questo specifico ambito, della regola generale secondo cui chi afferma l'esistenza di un fatto è gravato dell'onere della relativa prova. Muovendo dai principi appena esposti, quindi, appare ragionevole concludere che l'onere di allegare e provare i fatti da cui inferire la violazione di diritti fondamentali grava sulla difesa, quando è questa a dedurre l'inutilizzabilità o l'invalidità di atti istruttori acquisiti dall'autorità giudiziaria italiana mediante O.e.i. 11. Le precisate regole generali in tema di acquisizione ed utilizzabilità di elementi di prova acquisiti dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i., se disegnano la disciplina comune di riferimento, evidenziano anche la necessità di individuare il "tipo" di atto oggetto di richiesta e trasmissione nella singola vicenda. Invero, è in ragione del "tipo" di atto specificamente richiesto e trasmesso che è possibile valutare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i., e, in particolare, quella della possibilità di disporne l'assunzione "alle stesse condizioni in un caso interno analogo". Inoltre, il "tipo" di atto richiesto costituisce un riferimento essenziale per valutare se si sia verificata una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo. 12. Nella vicenda in esame, o.e.i. ha ad oggetto l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria italiana, di comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria francese. Il fatto che le comunicazioni fossero a disposizione dell'autorità giudiziaria francese già prima della presentazione dell'o.e.i. da parte dell'autorità giudiziaria italiana costituisce elemento incontroverso: in proposito, concordano l'ordinanza impugnata, il ricorrente e il pubblico ministero, né vi sono elementi agli atti per dubitare di questo assunto. Risulta quindi possibile un rilievo preliminare: quanto chiesto dall'autorità giudiziaria italiana, e consegnato dall'autorità giudiziaria francese, attiene a "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione" (per questa definizione cfr. art. 1, paragrafo 1, secondo periodo, Direttiva 2014-41-UE, nonché, in termini analoghi, art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 108 del 2017). L'individuazione dell'oggetto dell'o.e.i. in "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione" ha importanti conseguenze ai fini della disciplina applicabile. 12.1. Nel sistema dell'o.e.i., l'acquisizione di "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione" è oggetto di alcune specifiche disposizioni, di deroga alla disciplina generale, e funzionali a renderne più agevole la "circolazione". Innanzitutto, l'art. 10 Direttiva 2014-41-UE stabilisce che, nel caso di "informazioni o prove che sono già in possesso dell'autorità di esecuzione quando, in base al diritto dello Stato di esecuzione, tali informazioni o prove avrebbero potuto essere acquisite nel quadro di un procedimento penale o ai fini dell'o.e.i.", è esclusa la possibilità, per l'autorità di esecuzione, di disporre "un atto di indagine alternativo" a quello richiesto. Dal combinato disposto degli artt. 12, paragrafo 4, e 13, paragrafo 1, Direttiva cit., poi, si evince che, quando le prove richieste mediante o.e.i. siano in possesso dello Stato di esecuzione, la loro trasmissione allo Stato di emissione dovrebbe avvenire con immediatezza, perché non vi è alcun atto di indagine da compiere. 12.2. Nella prospettiva interna, pare risolutivo il rilievo che, nell'ordinamento giuridico italiano, la "circolazione" di prove già formate ha una disciplina specifica e diversa da quella riservata alla "formazione" di prove di identica tipologia. Nel sistema processuale italiano, infatti, il pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono chiedere ed ottenere la disponibilità di prove già formate in un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per quest'ultimo. Ciò anche nel caso di prove, come le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente. Ovviamente, resta impregiudicato il potere del giudice competente per il procedimento penale nel quale le parti intendono avvalersi delle prove già separatamente formate o acquisite in altra sede di valutare se vi siano i presupposti per ammetterle ed utilizzarle ai fini della decisione. Questo assetto normativo si ricava con chiarezza dal sistema costituito dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. L'art. 238 cod. proc. pen. detta le regole generali in tema di circolazione dei verbali di prove di altri procedimenti. La disciplina in esso contenuta, che si riferisce espressamente anche agli atti non ripetibili, non prevede, ai fini dell'acquisizione delle prove formate altrove, alcun intervento preventivo da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbero utilizzarle. La norma si preoccupa unicamente di fissare condizioni per l'utilizzazione di prove provenienti da altri procedimenti; e, tra queste condizioni, si ribadisce, non è ricompresa la previa autorizzazione. L'art. 270 cod. proc. pen., a sua volta, indica i requisiti per l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali le stesse sono state disposte. Anche questa disciplina, speciale rispetto a quella di cui all'art. 238 cod. proc. pen. perché riferita ad uno specifico mezzo di ricerca della prova, non prevede alcun intervento autorizzativo preventivo del giudice del procedimento di "destinazione", che abbia la funzione di autorizzare le parti interessate a procedere all'acquisizione di copia dei relativi atti. L'art. 270, comma 2, cod. proc. pen., infatti, stabilisce che, ai fini della utilizzazione dei risultati di intercettazioni effettuate in procedimenti diversi, le parti interessate hanno l'onere di depositare i verbali e le registrazioni a queste relativi, senza però contenere alcun riferimento ad autorizzazioni preventive del giudice del processo di "destinazione" per ottenere la disponibilità di tali atti. Inoltre, forse ancor più significativamente, l'art. 270, comma 3, cod. proc. pen., riconosce al pubblico ministero e ai difensori delle parti intere ssate "la facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate", sempre senza prevedere autorizzazioni preventive del giudice del processo di "destinazione". L'art. 78 disp. att. cod. proc. pen., rubricato "Acquisizione di atti di un procedimento penale straniero", ancora, dispone, in linea generale, al comma 1, che "La documentazione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera può essere acquisita a norma dell'art. 238 del codice", e si limita ad aggiungere, al comma 2, che, per gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera, l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento è subordinata al previo esame in contraddittorio dell'autore degli stessi, o al consenso delle parti. 12.3. In considerazione di quanto precedentemente indicato, può concludersi, in linea generale, che gli atti oggetto dell'o.e.i. costituenti "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione" possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli. Ed infatti, unico presupposto di ammissibilità dell'ordine Europeo di indagine, sotto il profilo del soggetto legittimato a presentarlo, è che "l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'o.e.i. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo". Ora, come si è rilevato in precedenza nel par. 12.2, nell'ordinamento processuale penale italiano, le prove già disponibili in altri procedimenti possono essere richieste ed acquisite dalle parti interessate, e quindi anche dal pubblico ministero, al fine di utilizzarle in un altro e distinto procedimento, senza necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice competente per quest'ultimo. Di conseguenza, quando l'o.e.i. avanzato dal pubblico ministero italiano riguarda "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", non vi sono ragioni per ritenere che il medesimo debba munirsi di preventiva autorizzazione del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarle, siccome condizione non prevista nel nostro ordinamento, né altrimenti desumibile dal sistema dell'o.e.i. 12.4. Senza dubbio, come già segnalato in precedenza al par. 12.2. in relazione alla "circolazione" di prove tra procedimenti pendenti in Italia, il giudice al quale si chiede di utilizzare le "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", ed ottenute dal pubblico ministero mediante o.e.i., conserva integro il potere di valutare se vi siano i presupposti per ammetterle ed utilizzarle ai fini delle decisioni di sua spettanza. Questo potere, precisamente, sarà esercitato quando il pubblico ministero presenta al giudice italiano le "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", e ricevute tramite o.e.i. E allora, infatti, che il giudice può controllare se vi fossero le condizioni per emettere l'o.e.i., così da assicurare il pertinente diritto di "impugnazione" nello Stato di emissione previsto dall'art. 14, paragrafo 2, Direttiva 2014-41-UE, nonché se vi sia stata violazione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dalla Carta di Nizza, e, quindi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, in linea con quanto stabilito dall'art. 14, paragrafo 7, Direttiva cit., fermo restando che l'onere dell'allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione di tali diritti grava sulla parte interessata, come già precisato nei par. 10.2, 10.3, 10.4, 10.5 e 10.6. 13. Le osservazioni di carattere generale precedentemente compiute con riguardo alla "circolazione" delle "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", ed acquisite dal pubblico ministero mediante o.e.i., non risolvono tutti i profili che vengono in rilievo per il giudice italiano. Invero, ai fini della verifica sia dell'esistenza delle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i., in particolare di quelle di cui all'art. 6, paragrafo 1, Direttiva 2014-41-UE, sia di eventuali violazioni dei diritti fondamentali, occorre prendere in esame il preciso "tipo" di atto trasmesso, attesa la specificità della disciplina riservata dalla normativa nazionale e sovra-nazionale ad alcuni di essi. Nel presente procedimento, due sono le qualificazioni prospettate: secondo l'ordinanza impugnata, gli atti acquisiti costituiscono "documenti informatici"; secondo il ricorrente, invece, si tratterebbe di dati concernenti il traffico, l'ubicazione, e il contenuto di comunicazioni elettroniche. Entrambe le prospettazioni escludono esplicitamente che gli atti in questione costituiscano risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni. Le Sezioni Unite ritengono di dover prendere in esame entrambe le prospettazioni, tenuto conto dell'indisponibilità in questa sede dell'intero materiale acquisito mediante o.e.i., con conseguente impossibilità di definire con certezza se lo stesso consista di risultati di intercettazioni, queste ultime da intendersi come attività di "apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio" (cfr., per questa definizione, in particolare, Sez. U, n. 36747 del 28-05-2003, (Omissis), Rv. 225465-01, e Corte cost., sent. n. 170 del 2023), e l'ininfluenza dell'una o dell'altra qualificazione ai fini della decisione dei ricorsi, come si preciserà in seguito. 14. Secondo l'ordinanza impugnata, gli atti acquisiti mediante o.e.i. dall'autorità giudiziaria francese costituiscono "documenti", e non "intercettazioni di conversazioni o comunicazioni". 14.1. La qualificazione degli atti in questione come documenti implica che il parametro generale di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare: l'esistenza delle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i. e l'eventuale violazione di diritti fondamentali sia costituito dall'art. 234 cod. proc. pen., il quale consente l'acquisizione di scritti o di "entità" rappresentative di fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo, salvo che non contengano informazioni sulle voci correnti nel pubblico. Questa qualificazione non è ostacolata dalla sola circostanza che le "entità" rappresentative siano comunicazioni elettroniche, data la latitudine della nozione di "prova documentale" accolta dall'art. 234 cod. proc. pen. E in questo senso, infatti, si esprime l'orientamento ampiamente consolidato della giurisprudenza di legittimità sia con riguardo ai messaggi di posta elettronica, già trasmessi ed allocati nella memoria del dispositivo del destinatario o del mittente o nel server del gestore del servizio (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 12975 del 06-02-2020, (Omissis), Rv. 278808 -02, e Sez. 3, n. 29426 del 16-04-2019, (Omissis), Rv. 276358 Â01), sia in ordine ai messaggi inviati mediante applicativo WhatsApp o s.m.s., già trasmessi e conservati nella memoria di un'utenza cellulare (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 22417 del 16-03-2022, (Omissis), Rv. 283319 -01, e Sez. 5, n. 1822 del 21-11-2017, dep. 2018, (Omissis), Rv. 272319 -01). 14.2. La disciplina generale di cui all'art. 234 cod. proc. pen., però, non sempre è esaustiva, in quanto, per alcune tipologie di documenti, sono previste regole specifiche. In particolare, quando la prova documentale ha ad oggetto comunicazioni scambiate in modo riservato tra un numero determinato di persone, indipendentemente dal mezzo tecnico impiegato a tal fine, occorre assicurare la tutela prevista dall'art. 15 Cost. in materia di "corrispondenza". Come infatti precisato dalla giurisprudenza costituzionale, "quello di "corrispondenza" è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza", il quale "prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato", e si estende, perciò, anche alla posta elettronica ed ai messaggi inviati tramite l'applicativo WhatsApp, o s.m.s. o sistemi simili, "del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi" perché accessibili solo mediante l'uso di codici di accesso o altri meccanismi di identificazione (così Corte cost., sent.n. 170 del 2023; nello stesso senso, Corte cost., sent. n. 227 del 2023 e Corte cost., sent. n. 2 del 2023). Di conseguenza, indipendentemente dalla modalità utilizzata, trova applicazione "la tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge -(...)" (cfr., ancora, testualmente, Corte cost., sent. n. 170 del 2023). La tutela prevista dall'art. 15 Cost., tuttavia, non richiede, per la limitazione della libertà e della segretezza della corrispondenza, e, quindi, per l'acquisizione di essa ad un procedimento penale, la necessità di un provvedimento del giudice. Invero, l'art. 15 Cost. impiega il sintagma "autorità giudiziaria", il quale indica una categoria nella quale sono inclusi sia il giudice, sia il pubblico ministero (per l'inclusione del pubblico ministero nella nozione di "autorità giudiziaria" anche nel diritto Euro-unitario, cfr., proprio con riferimento alla Direttiva 2014-41-UE, Corte giustizia, 08-12-2020, (Omissis), C-584-19). E questa conclusione trova conferma nella disciplina del codice di rito. L'art. 254 cod. proc. pen. prevede che il sequestro di corrispondenza è disposto della "autorità giudiziaria", senza fare alcun riferimento alla necessità dell'intervento del giudice, invece espressamente richiesto, ad esempio, in relazione al sequestro da eseguire negli uffici dei difensori (art. 103 cod. proc. pen.). A sua volta, l'art. 353 cod. proc. pen. statuisce, in modo testuale, che l'acquisizione di plichi chiusi e di corrispondenza, anche in forma elettronica o inoltrata per via telematica, è autorizzata, nel corso delle indagini, dal "pubblico ministero", il quale è titolare del potere di disporne il sequestro. 14.3. La qualificazione degli atti consegnati dall'autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. come documenti ha specifiche conseguenze con riguardo ai presupposti di ammissibilità della loro acquisizione e alla garanzia del rispetto dei "diritti fondamentali". In particolare, con riguardo al presupposto di ammissibilità di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva 2014-41-UE, relativo alla c.d. valutazione in astratto, è sufficiente considerare che anche l'acquisizione "originaria" della prova documentale, nel sistema processuale italiano, pur quando abbia ad oggetto "corrispondenza", per quanto appena detto nel par. 14.2., può essere disposta dal pubblico ministero, con atto motivato, senza alcuna autorizzazione del giudice, salvo il caso di sequestro effettuato nell'ufficio di un difensore. Di conseguenza, se l'ordine Europeo di indagine presentato dal pubblico ministero ha ad oggetto l'acquisizione di documenti e "corrispondenza" non costituenti "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", il rispetto della condizione che esige il potere dell'autorità di emissione di disporre "l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'o.e.i. (...) alle stesse condizioni in un caso interno analogo" è assicurato anche in assenza di una autorizzazione del giudice, salvo il caso di sequestro effettuato nell'ufficio di un difensore. A maggior ragione, quindi, e in aggiunta alle considerazioni esposte nei par. 12.2 e 12.3, l'acquisizione di documenti, pur se relativi a "corrispondenza", quando attiene a "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", può essere chiesta mediante o.e.i. presentato dal pubblico ministero, senza necessità di autorizzazione del giudice. Per quanto riguarda il rispetto dei "diritti fondamentali", poi, la qualificazione degli atti consegnati dall'autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. come documenti, specie se costituiscono "corrispondenza", comporta l'esigenza di specifica attenzione a profili "contenutistici" degli stessi. Ad esempio, un principio generale, in materia di tutela di diritto di difesa, positivizzato nel sistema italiano dall'art. 103 cod. proc. pen., è quello del divieto di sequestro e di ogni forma di controllo della "corrispondenza" tra l'imputato ed il suo difensore, salvo il fondato motivo che si tratti di corpo del reato. Resta fermo, ovviamente, che l'onere dell'allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei "diritti fondamentali" grava sulla parte interessata, per le ragioni indicate in precedenza nel par. 10.6. 15. Secondo il ricorso, gli atti acquisiti mediante o.e.i. dall'autorità giudiziaria francese, invece, costituiscono risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, effettuate anche mediante un captatore informatico inserito sui server della piattaforma del sistema (...), al fine di acquisire le chiavi di cifratura delle comunicazioni, custodite nei dispositivi dei singoli utenti. 15.1. La qualificazione degli atti in questione come risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni implica che il parametro di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare l'esistenza delle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i. e l'eventuale violazione di diritti fondamentali è costituito dalla disciplina prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. (cfr., per questa indicazione, tra le altre, già Sez. 1, n. 4048 del 06-07-1998, (Omissis), Rv. 211301 -01). In particolare, a norma dell'art. 270 cod. proc. pen., i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state disposte solo se "risultino rilevanti ed indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza". Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, ai fini dell'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, in quanto l'art. 270 cod. proc. pen. prevede esclusivamente il deposito, presso l'autorità giudiziaria competente per il "diverso" procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime, né sono altrimenti previste sanzioni di inutilizzabilità (Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229244 -01, e Sez. 1, n. 49627 del 14-11-2023, (Omissis), Rv. 285579 Â02). Sempre secondo il costante orientamento di questa Corte, grava sulla parte che eccepisce l'invalidità o l'inutilizzabilità delle intercettazioni provenienti da altro procedimento l'onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende la patologia denunciata (Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229245 -01), e, quindi, nel caso di censura concernente il vizio di motivazione apparente, di produrre sia il decreto di autorizzazione emesso nel procedimento diverso sia il documento al quale esso rinvia (Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229246 -01, nonché Sez. 1, n. 11168 del 18-02-2019, (Omissis), Rv. 274996 Â01). Ancora secondo quanto enunciato dalle Sezioni Unite, nel caso di acquisizione degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità dell'ammissione e dell'esecuzione delle operazioni - di carattere meramente incidentale e, come tale, ininfluente nel procedimento a qua - riguarda esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal P. M. in relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata, e non comporta alcuna valutazione di fondatezza, neanche sul piano indiziario, della ipotesi in questione (Sez. U, n. 45189 del 17-11-2004, (Omissis), Rv. 229247 -01). Numerose decisioni, poi, affermano che, in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l'omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 cod. proc. pen. aventi carattere tassativo (così ex plurimis: Sez. 5, n. 1801 del 16-07-2015, dep. 2016, (Omissis), Rv. 266410 -01; Sez. 5, n. 14783 del 13-03-2009, (Omissis), Rv. 243609 -01; Sez. 6, n. 27042 del 18-02-2008, (Omissis), Rv. 240972 -01). Ancora, la trasmissione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni dal procedimento in cui sono state disposte ad altro procedimento in cui si intende utilizzarle non richiede alcun intervento preventivo da parte del giudice di quest'ultimo, al fine di autorizzare le parti interessate a procedere all'acquisizione di copia dei relativi atti, perché tale intervento non è previsto dall'art. 270 cod. proc. pen., né è imposto da altre disposizioni o dal sistema normativo, per le ragioni già indicate al par. 12.2. 15.2. In materia di ordine Europeo di indagine, la Direttiva 2014-41-UE e il D.Lgs. n. 108 del 2017 prevedono regole specifiche per il caso che l'atto investigativo richiesto sia costituito da intercettazioni di telecomunicazioni, ma mancano disposizioni espresse per la trasmissione e l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui sono state effettuate. La Direttiva 2014-41-UE dedica alla effettuazione di intercettazioni di telecomunicazioni gli artt. 30 e 31. In particolare, l'art. 30, paragrafo 7, Direttiva cito stabilisce che "l'autorità di emissione può altresì richiedere, se ne ha particolare motivo, una trascrizione, una decodificazione o una decrittazione della registrazione, fatto salvo l'accordo dell'autorità di esecuzione". L'art. 31 Direttiva cit., poi, prevede che, quando "l'intercettazione di telecomunicazioni è autorizzata dall'autorità competente di uno Stato membro e l'indirizzo di comunicazione della persona soggetta a intercettazione indicata nell'ordine di intercettazione è utilizzato sul territorio di un altro Stato membro, la cui assistenza tecnica non è necessaria per effettuare l'intercettazione", occorre darne "notifica" all'autorità competente di quest'ultimo. Precisamente, la "notifica" deve precedere l'intercettazione, quando l'autorità procedente, già al momento di disporre l'attività di captazione, è a conoscenza della presenza della persona soggetta a controllo nel territorio di altro Stato membro; deve avvenire "durante l'intercettazione, o ad intercettazione effettuata", quando la conoscenza della presenza della persona soggetta a controllo nel territorio di altro Stato membro si determina durante o al termine dello svolgimento delle operazioni. L'autorità competente dello Stato che riceve la "notifica", "può" comunicare che l'intercettazione non è consentita; in questi casi, l'attività non può essere iniziata o proseguire, e gli eventuali risultati già ottenuti mentre la persona soggetta ad intercettazione si trovava sul territorio dello Stato che ha ricevuto la "notifica" non possono essere utilizzati, o possono esserlo solo alle condizioni specificate dall'autorità competente di quest'ultimo. Il D.Lgs. n. 108 del 2017, a sua volta, regola la materia relativa alle intercettazioni di telecomunicazioni agli artt. 43 e 44, per le procedure attive, e agli artt. 23 e 24, per le procedure passive. Gli artt. 43 e 44 D.Lgs. cito contengono disposizioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui agli artt. 30 e 31 Direttiva 2014-41-UE. In particolare, l'art. 43, al comma 1, precisa che la disciplina si riferisce "all'esecuzione delle operazioni di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni o del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici, quando nel territorio di un altro Stato membro si trova il dispositivo o il sistema da controllare", e, al comma 4, stabilisce che "La richiesta può avere ad oggetto la trascrizione, la decodificazione o la decrittazione delle comunicazioni intercettate". L'art. 24 D.Lgs. cit., poi, con riguardo alle intercettazioni effettuate dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro di "un dispositivo, anche di sistema informatico o telematico, in uso a persona che si trovi nel territorio dello Stato", contempla un'unica situazione alla quale consegue la cessazione delle operazioni e la inutilizzabilità ai fini di prova dei risultati già ottenuti: "se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l'ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite". 15.3. In considerazione di quanto sopra evidenziato, può ritenersi che l'o.e.i. emesso dal pubblico ministero italiano avente ad oggetto l'acquisizione dei risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni disposte dall'autorità giudiziaria straniera, anche quando relative a sistemi informatici o telematici, intercorrenti tra più sistemi, soddisfa la condizione di ammissibilità di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva 2014-41-UE. Invero, siccome il pubblico ministero italiano può disporre l'acquisizione di risultati di intercettazioni ordinate in altro procedimento penale senza necessità di preventiva autorizzazione del giudice competente per il procedimento nel quale intende utilizzarli, deve ritenersi che un o.e.i. presentato dal pubblico ministero italiano, nel quale si chiede, senza preventiva autorizzazione del giudice nazionale, la trasmissione di risultati di intercettazioni ordinate dall'autorità giudiziaria straniera in un procedimento pendente davanti alla stessa, abbia ad oggetto atti che "avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo". 15.4. E questa conclusione, in ordine al rispetto della condizione di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva 2014-41-UE, resta ferma anche se le operazioni di intercettazione siano state realizzate mediante l'inserimento di un captatore informatico sui server della piattaforma di un sistema informatico o telematico, al fine di acquisire le chiavi di cifratura delle comunicazioni, custodite nei dispositivi dei singoli utenti. 15.4.1. Innanzitutto, non può ritenersi che l'inserimento di un captatore informatico sul server di una piattaforma di un sistema informatico o telematico costituisca mezzo "atipico" di indagine o di prova, come tale non consentito dall'ordinamento italiano perché incidente sui diritti fondamentali della persona. In proposito, non assume valenza dirimente il fatto che, nel codice di rito, in materia di intercettazioni, si faccia menzione della sola ipotesi dell'"inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile". Il captatore informatico, infatti, non è un autonomo mezzo di ricerca della prova, e tanto meno un mezzo di prova, bensì uno strumento tecnico attraverso il quale esperire il mezzo di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni. Sicché non è indispensabile che il legislatore preveda dove lo stesso possa essere "inserito". E una conferma di questa conclusione può essere desunta dall'elaborazione della giurisprudenza di legittimità, anche delle Sezioni Unite, la quale, già prima che venisse previsto dalla legge l'utilizzo del captatore informatico come strumento per effettuare attività di intercettazione, ne aveva ritenuto legittimo l'impiego a tali fini, precisandone anche l'ammissibilità, nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, con riguardo a captazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora (così, per tutte, Sez. U, n. 26889 del 28-04-2016, (Omissis), Rv. 266905 -01). 15.4.2. In secondo luogo, poi, non può ritenersi che l'utilizzo del captatore informatico al fine di acquisire le chiavi di cifratura presenti sui dispositivi mobili dei singoli utenti costituisca mezzo "atipico" di indagine o di prova, come tale non consentito nell'ordinamento italiano, perché opera un'intrusione nel domicilio informatico di una persona allo scopo di captare non comunicazioni, ma dati necessari per rendere intellegibili le comunicazioni. Per un verso, sia la Direttiva 2014-41-UE, all'art. 30, paragrafo 7, sia il D.Lgs. n. 108 del 2017, all'art. 43, comma 4, prevedono espressamente la possibilità per l'autorità che ha emesso un o.e.i. per l'intercettazione di telecomunicazioni di chiedere la decodificazione o la decrittazione delle comunicazioni intercettate. E così disponendo, riconoscono che l'attività di intercettazione implica anche l'acquisizione degli strumenti necessari per procedere a decodificazione o decrittazione delle conversazioni o comunicazioni. Sotto altro profilo, poi, va rilevato che, nell'ordinamento italiano, secondo il diffuso orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'autorizzazione ad eseguire intercettazioni telefoniche ed ambientali implica anche il compimento di quegli atti che costituiscono una naturale modalità attuativa delle operazioni, sebbene gli stessi comportino l'intrusione nel domicilio di una persona. Invero, numerose decisioni hanno osservato che la finalità di intercettare conversazioni telefoniche e-o ambientali consente all'operatore di polizia la materiale intrusione, per la collocazione dei necessari strumenti di rilevazione, negli ambiti e nei luoghi di privata dimora, oggetto di tali mezzi di ricerca della prova (cfr., in particolare: Sez. 6, n. 39403 del 23-06-2017, (Omissis), Rv. 270941 -01; Sez. 6, n. 41514 del 25-09-2012, (Omissis), Rv. 253805 -01; Sez. 6, n. 15447 del 31-01-2011, (Omissis), Rv. 250032 -01). E, anzi, proprio in questa prospettiva, si è più volte affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 266, comma 2, cod. proc. pen., sollevata in relazione all'art. 14 della Costituzione, che statuisce il principio dell'inviolabilità del domicilio, perché la collocazione di microspie all'interno di un luogo di privata dimora costituisce una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni, costituenti mezzo di ricerca della prova funzionale al soddisfacimento dell'interesse pubblico all'accertamento di gravi delitti, tutelato dal principio dell'obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione, con il quale il principio di inviolabilità del domicilio deve necessariamente coordinarsi, subendo la necessaria compressione, al pari di quanto previsto dall'art. 15 della Costituzione in tema di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (così Sez. 2, n. 21644 del 13-02-2013, (Omissis), Rv. 255541 -01, e Sez. 1, n. 38716 del 02-10-2007, (Omissis), Rv. 238108 -01). Deve perciò concludersi che, anche nel nostro sistema, è ammissibile, ai fini dell'utile effettuazione di intercettazioni telefoniche ed ambientali, l'autorizzazione, da parte del giudice, del compimento di quegli atti che ne costituiscono una naturale e necessaria modalità attuativa, pur quando gli stessi comportino l'intrusione nel dispositivo elettronico di una persona. 15.5. Con riferimento al tema concernente la garanzia del rispetto dei "diritti fondamentali", la qualificazione degli atti acquisiti mediante o.e.i. dall'autorità giudiziaria francese come risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni determina l'esigenza, in particolare, di un esame dell'elaborazione in materia della giurisprudenza della Corte EDU e delle condizioni poste dalla specifica disciplina fissata nella Direttiva 2014-41-UE. 15.5.1. La tematica del rispetto dei "diritti fondamentali" in relazione alle attività di intercettazione di conversazioni o di comunicazioni ha costituito oggetto di un ampio approfondimento da parte della Corte EDU. Innanzitutto, secondo la Corte di Strasburgo, la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, assicurata dall'art. 8 CEDU, esige sia la previsione di disposizioni "chiare" sui presupposti richiesti per autorizzare le intercettazioni, sia l'adozione di un provvedimento autorizzativo da parte di un'autorità indipendente specificamente motivato sull'esistenza in concreto di tali presupposti (cfr. Corte EDU, 12-01-2023, (Omissis) e (Omissis) c. Slovacchia, nonché Corte EDU, 15-01-2015, (Omissis) c. Croazia). Sempre secondo la Corte EDU, poi, la motivazione del provvedimento autorizzativo deve consentire di verificare se sussistono ragioni "fattuali" per sospettare che una persona progetti, commetta o abbia commesso alcuni gravi reati e se non vi è alcuna prospettiva di accertare i fatti con successo mediante un altro metodo, diverso dalle intercettazioni, o questo sarebbe notevolmente più difficile (così Corte EDU, 12-01-2023, (Omissis) e (Omissis) c. Slovacchia, par. 73). Da questa elaborazione, si evince, in particolare, che le intercettazioni non autorizzate da un giudice o da un'autorità indipendente, e le intercettazioni disposte sulla base di provvedimenti non motivati in ordine all'esistenza in concreto dei presupposti richiesti dalla legge per procedervi, si pongono in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU. Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte EDU non emerge un divieto di effettuare intercettazioni di vaste proporzioni, purché siano previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e di arbitri nelle fasi dell'adozione della misura, della sua esecuzione e del controllo successivo (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 25-05-2021, Big Brother Watch ed altri c. Regno Unito, e Corte EDU, Grande Camera, 25-05-2021, (Omissis) C. Svezia, le quali, sebbene con riguardo ad intercettazioni effettuate dai servizi segreti e non nell'ambito di un procedimento penale, hanno escluso che, in generale, le C.d. "intercettazioni di massa", anche quando disposte per contrastare attività delittuose concernenti il traffico di sostanze illecite, integrino una violazione degli artt. 8 e 10 CEDU, se effettuate nel rispetto di "dovute" garanzie). Né risulta affermata l'incompatibilità con le garanzie della CEDU della trasmissione dei risultati di intercettazioni disposte in un procedimento penale ad un diverso procedimento penale da parte di un pubblico ministero. Anzi, allo stato, alcune decisioni hanno escluso che l'art. 8 CEDU esiga l'autorizzazione ex ante di un giudice alla trasmissione, dal pubblico ministero all'autorità amministrativa, di risultati di intercettazioni telefoniche effettuate in un procedimento penale (cfr., per tutte, Corte EDU, 16-05-2023, (Omissis) B.V. c. Paesi Bassi). Nemmeno l'impossibilità, per la difesa, di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazioni per "criptare" il contenuto delle stesse determina, almeno in linea di principio, una violazione di "diritti fondamentali". Ed infatti, se è vero che la disponibilità dell'algoritmo di criptazione è funzionale al controllo dell'affidabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, deve però osservarsi, in linea con quanto evidenziato da numerose decisioni, che il pericolo di alterazione dei dati non sussiste, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tante: Sez. 6, n. 46833 del 26-10-2023, (Omissis), non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell'1l-10-2023, (Omissis), non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05-04-2023, (Omissis), non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13-10-2022, dep. 2023, (Omissis)n, non mass. sul punto). Né la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l'indisponibilità dell'algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, di per sé, violazione dei "diritti fondamentali". In proposito, anzi, può rilevarsi che la Corte EDU, pronunciandosi in relazione ad una vicenda in cui i dati acquisiti non erano stati messi a disposizione della difesa e la pronuncia di colpevolezza era stata fondata sul mero fatto dell'uso di un sistema di messaggistica criptata denominato ByLock, si è limitata ad affermare che dare al ricorrente l'opportunità di prendere conoscenza del materiale decriptato nei suoi confronti poteva costituire un passo importante per preservare i suoi diritti di difesa senza avere, al contempo, affermato che tale mancata messa a disposizione integrasse un vulnus dei diritti fondamentali (Corte EDU, Grande Camera, 26-09-2023, (Omissis) C. Turchia, par. 336; il testo originale è il seguente: "The Court is accordingly of the view that giving the applicant the opportunity to acquaint himself with the decrypted ByLock materia - in his regard would have constituted an important step in preserving his defence rights"). In ogni caso, inoltre, resta fermo che l'onere dell'allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei "diritti fondamentali" grava sulla parte interessata, per le ragioni indicate in precedenza nel par. 10.6. 15.5.2. Con riferimento alle garanzie previste dalla Direttiva 2014-41-UE, può venire in rilievo il profilo, segnalato dai ricorrenti, della violazione dei principi fissati dall'art. 31 in ordine alle intercettazioni effettuate nei confronti di persone il cui l'"indirizzo di comunicazione" è utilizzato nel territorio di uno Stato diverso da quello nel quale le operazioni di captazione sono state disposte. Secondo quanto più analiticamente esposto in precedenza al par. 15.2, l'art. 31 Direttiva cito prevede che lo Stato nel quale sono state disposte le intercettazioni dia "notifica" di tali attività all'autorità competente nello Stato nel quale è utilizzato l'indirizzo di comunicazione sottoposto a controllo, quando viene a conoscenza di tale circostanza, e che quest'ultima possa vietare il compimento o la prosecuzione delle operazioni, nonché l'utilizzazione dei risultati già ottenuti. Sulla base di tale disciplina, deve rilevarsi, innanzitutto, che l'obbligo di notifica sorge quando l'autorità procedente viene a conoscenza che l'intercettazione riguarda persone il cui "indirizzo di comunicazione" è utilizzato nel territorio di un altro Stato. Va segnalato, poi, che l'eventuale intempestività della comunicazione non è sanzionata di per sé, e che, in ogni caso, opera la garanzia della possibile dichiarazione di inutilizzabilità da parte dell'autorità competente dello Stato in cui è fatto uso dell'"indirizzo di comunicazione". Occorre considerare, ancora, che il divieto della Direttiva 2014-41-UE di iniziare o proseguire le attività di captazione, ovvero di utilizzarne i risultati, è previsto solo "qualora l'intercettazione non sia ammessa in un caso interno analogo". E, nella disciplina italiana di attuazione della Direttiva cit., l'art. 24 D.Lgs. n. 108 del 2017 prevede un'unica ipotesi vietata: "se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l'ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite". Può quindi concludersi che, nell'ordinamento italiano, sulla base della disciplina di cui all'art. 31 Direttiva 2014-41-UE, l'inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti di persone il cui "indirizzo di comunicazione" è attivato in Italia sussiste solo se l'autorità giudiziaria italiana rileva che le captazioni non sarebbero state consentite "in un caso interno analogo", perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova. 16. In considerazione delle argomentazioni fin qui esposte, vanno affermati i seguenti principi di diritto: "In materia di ordine Europeo di indagine, l'acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, ma è assoggettata alla disciplina di cui all'art. 270 cod. proc. pen.". "In materia di ordine Europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle". "L'emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine Europeo di indagine diretto ad ottenere i risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate attraverso l'inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata, è ammissibile, perché attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalità compatibili con l'ordinamento italiano, e non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria ex art. 6 Direttiva 2014-41-UE, perché tale autorizzazione non è richiesta nella disciplina nazionale". "L'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da un'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, deve essere esclusa se il giudice del procedimento nel quale dette risultanze istruttorie vengono acquisite rileva che, in relazione ad esse, si sia verificata la violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l'onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata". "L'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente". 17. Sulla base dei principi di diritto enunciati, e degli argomenti esposti a loro fondamento, è possibile esaminare le censure enunciate nel terzo, nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo dei ricorsi, nonché le ulteriori richieste formulate nei ricorsi, nelle memorie e nelle conclusioni orali rese in udienza. 18. Complessivamente infondate sono le censure esposte nel terzo, nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo dei ricorsi, e sviluppate nelle memorie, le quali contestano l'utilizzabilità dei dati informatici relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato (...), sotto vari profili. In sintesi, le stesse deducono l'inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 234Âbis cod. proc. pen. e l'applicabilità di quella relativa all'acquisizione dei risultati di intercettazioni, il difetto dei presupposti per l'emissione dell'o.e.i., in particolare per il carattere generalizzato ed indifferenziato delle attività di captazione effettuata dall'autorità estera, per l'utilizzo di un captatore informatico inserito al fine esclusivo di acquisire le chiavi di cifratura delle comunicazioni, per la mancata messa a disposizione della difesa dei testi criptati delle comunicazioni, e per la violazione dell'art. 31 Direttiva 2014-41-UE, nonché ancora la violazione della disciplina francese, priva di disposizioni analoghe all'art. 270 cod. proc. pen. 18.1. Il Collegio condivide la tesi della inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen. in materia di acquisizione ed utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato (...), perché si tratta di disciplina alternativa, e, quindi, incompatibile con quella relativa al sistema dell'o.e.i., come precedentemente precisato nei par. 9, 9.1 e 9.2. Tuttavia, questo assunto non rende illegittima l'acquisizione, né preclude l'utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato (...), ottenuti dall'autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. emesso dal pubblico ministero italiano. Invero, l'errore di qualificazione in cui è incorsa l'ordinanza impugnata non determina l'annullamento della stessa, sulla base di quanto previsto dall'art. 619, comma 1, cod. proc. pen: l'errore rilevato, precisamente, non ha avuto influenza decisiva sul dispositivo, in quanto, nella specie, sussistono le condizioni di ammissibilità necessarie per emettere legittimamente l'o.e.i. e non risultano violazioni dei diritti fondamentali. 18.2. Innanzitutto, deve ritenersi soddisfatta la condizione di ammissibilità posta dall'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva 2014-41-UE, che richiede che l'atto o gli atti richiesti "avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo". Invero, gli atti ricevuti dall'autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. emesso dal pubblico ministero italiano, per quanto è desumibile dal contenuto dell'ordinanza impugnata e non è contestato nel ricorso, costituiscono "prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione", perché acquisite nell'ambito di un procedimento penale pendente in quello Stato. Ora, secondo i principi di diritto precedentemente enunciati, anche a voler ritenere che detti atti siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la loro acquisizione può essere effettuata sulla base di o.e.i. emesso dal pubblico ministero in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, in quanto tale autorizzazione non è richiesta nell'ordinamento italiano per l'utilizzazione degli esiti di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui sono state disposte. Inoltre, sempre sulla base dei principi di diritto precedentemente enunciati, deve escludersi il mancato rispetto del requisito di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva cito anche a voler ritenere che l'o.e.i. abbia ad oggetto l'acquisizione dei risultati di intercettazioni effettuate attraverso l'inserimento di un captatore - informatico sui server di una piattaforma criptata. Si è infatti evidenziato che questa modalità investigativa è compatibile con la disciplina delle intercettazioni prevista nell'ordinamento italiano. Né vi sono dubbi che gli atti ottenuti mediante o.e.i. siano stati richiesti in quanto ritenuti "rilevanti ed indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza". Non può poi ritenersi che l'asserita violazione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 268, commi 6, 7 e 8, cod. proc. pen. possa rilevare ai fini delle condizioni di ammissibilità di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva cit. Le garanzie indicate, infatti, non costituiscono condizioni per l'acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte in altro procedimento, ma rilevano in una fase successiva e di controllo, e la loro attuazione può essere differita fino alla chiusura delle indagini preliminari, anche dopo l'utilizzazione degli esiti delle captazioni a fini cautelari. Invero, l'art. 268 cod. proc. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo non nella parte in cui non prevede il deposito degli atti relativi alle intercettazioni effettuate, bensì, ben più limitatamente, nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate (Corte cost., sent. n. 336 del 2008). 18.3. In secondo luogo, deve ritenersi soddisfatta la condizione di ammissibilità posta dall'art. 6, paragrafo 1, lett. a), Direttiva 2014-41-UE, relativa alla necessità e proporzionalità delle attività richieste mediante o.e.i., anche in considerazione dei diritti degli indagati. Si è detto in precedenza, al par. 10.2, che l'esame di tale profilo deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l'ordine Europeo di indagine. E, nella specie, l'o.e.i. risulta formulato con espresso riferimento all'acquisizione delle comunicazioni relative a persone nominativamente indicate, tra le quali i due attuali ricorrenti, in quel momento già tutte sottoposte ad indagini per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina e di acquisto, detenzione, importazione e cessione di partite di tale sostanza stupefacente. 18.4. Non è deducibile in questa sede la questione concernente la decisione dell'autorità giudiziaria francese di dare esecuzione all'o.e.i., prospettata con riguardo alla violazione della legge francese, perché questa non prevederebbe l'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimenti diversi da quelli in cui le stesse sono stati disposti. In effetti, come già evidenziato nel par. 10.4, le questioni concernenti la fase di esecuzione, e quindi anche quelle concernenti la scelta di riconoscere ed eseguire, sono proponibili solo nello Stato di esecuzione, salvo che non diano luogo a violazioni di "diritti fondamentali" che si ripercuotono sull'utilizzazione degli elementi istruttori nel procedimento pendente in Italia. Peraltro, l'elemento indicato dai ricorrenti per affermare la violazione della legge francese, ossia la decisione Corte EDU, 29-03-2005, (Omissis) c. Francia, non dimostra l'esistenza di un divieto, nell'ordinamento transalpino, di utilizzare i risultati di intercettazioni in procedimenti diversi. 18.5. Né può dirsi che, nel presente procedimento, sia stata accertata la violazione di "diritti fondamentali". 18.5.1. Innanzitutto, i dati probatori trasmessi dall'autorità giudiziaria francese sono stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati, ed ampiamente motivati in ordine all'esistenza in concreto dei presupposti ritenuti necessari dalla giurisprudenza della Corte EDU. Invero, dall'esame alle ordinanze emesse dal Giudice Istruttore del Tribunale di Parigi, allegate dalla difesa alla richiesta di riesame, e prodotte in questa sede, si evince che i reati per i quali le operazioni sono state disposte sono quelli di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, di traffico di sostanze stupefacenti, di fornitura di prestazioni di crittografia non autorizzate, e di fornitura e importazione di mezzi di crittografia non autorizzati. Il ricorso al sistema (...), inoltre, per le modalità di accesso, per la impenetrabilità dall'esterno, e per l'utilizzo che risulta esserne stato fatto, costituisce una concreta e specifica fonte indiziante a carico dei singoli utenti proprio con riguardo a tali reati. Si può preliminarmente osservare che il sistema (...), per le garanzie di anonimato assicurate agli utenti, non è certamente compatibile con la disciplina italiana, che richiede l'identificazione degli stessi, mediante l'acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità, prima dell'attivazione anche di singole componenti di servizi di telefonia mobile (cfr. art. 98-undetricies D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259). Ma, soprattutto, estremamente significative sono le circostanze esposte nelle già indicate ordinanze emesse dal Giudice Istruttore del Tribunale di Parigi. I provvedimenti dell'autorità giudiziaria francese, infatti, evidenziano che: a) l'acquisto del singolo dispositivo richiedeva il versamento di parecchie migliaia di Euro in funzione di una utilizzazione limitata ad alcuni mesi e, quindi, lasciava presupporre la percezione di elevati "redditi conseguenti"; b) la vendita dei singoli dispositivi avveniva in condizioni di clandestinità, tali da garantire l'anonimato del venditore e dell'acquirente, anche perché effettuata dietro pagamenti in contanti, con conseguente esclusione della tracciabilità delle operazioni; c) il gestore del sistema di crittografia garantiva il massimo anonimato delle comunicazioni, in quanto precisava esplicitamente sul sito internet di non conservare alcun dato diverso da quello concernente l'apertura del rapporto e da quello della sua ultima utilizzazione; d) il sistema di crittografia era estremamente sofisticato, in quanto caratterizzato da ben quattro chiavi di cifratura, memorizzate in luoghi diversi. Le medesime ordinanze, poi, anche facendo richiamo ad episodi specifici, rappresentano che il sistema (...) è stato utilizzato da organizzazioni criminali operanti in Francia, in Belgio, nei Paesi Bassi e a livello internazionale, proprio in materia di traffico di sostanze stupefacenti. Espongono, ancora, che l'inserimento del captatore informatico sui server della piattaforma della società (...) è da ritenere indispensabile perché unico mezzo per decifrare i messaggi individuali degli utilizzatori del sistema di crittografia in questione, determinare il livello di utilizzazione criminale dello stesso, identificare i dirigenti della società "(...)" che lo gestisce e conoscere i legami di costoro con le organizzazioni criminali. 18.5.2. Le motivazioni esposte nelle ordinanze emesse dal Giudice Istruttore del Tribunale di Parigi escludono anche la plausibilità della prospettazio ne secondo cui le autorità francesi avrebbero effettuato intercettazioni generalizzate ed indiscriminate. Dette ordinanze, infatti, come precisato nel par. 18.5.1, evidenziano specifici elementi indizianti anche nei confronti dei singoli utenti del sistema (...) in ordine al coinvolgimento dei medesimi nella commissione di gravi reati, in particolare in materia di traffico di sostanze stupefacenti. Invero, non può ritenersi abnorme il riferimento alle onerosissime condizioni economiche sostenute dai singoli utenti per fruire di un servizio caratterizzato da elevatissimi livelli di anonimato e di impenetrabilità; e questo a maggior ragione se si considera che, sempre alla luce di quanto indicato nelle precisate ordinanze, il sistema risulta essere stato ripetutamente utilizzato da organizzazioni criminali insediate in vari Stati e dedite al traffico anche internazionale di sostanze stupefacenti. Non va trascurato, inoltre, che, come precisato dal Giudice Istruttore del Tribunale di Parigi, le indagini miravano anche ad individuare i dirigenti della società preposta alla gestione del sistema (...) e a precisare il loro livello di coinvolgimento nelle attività illecite degli utenti. 18.5.3. Deve poi escludersi che l'indisponibilità delle chiavi di cifratura necessarie per rendere le comunicazioni acquisite intelligibili costituisca una violazione dei diritti di difesa e della garanzia di un giusto processo. Come già indicato in precedenza al par. 15.5.1, la conoscibilità dell'algoritmo di criptazione attiene non all'acquisibilità o all'utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni, ma alla verifica di affidabilità del loro contenuto; inoltre, la asserita alterazione dei dati è stata unicamente ipotizzata dal ricorrente, che non ha né allegato, né provato elementi utili a rendere concreta tale evenienza. 18.5.4. Ancora, non risulta configurabile la violazione delle garanzie previste dalla Direttiva 2014-41-UE. Invero, anche a voler ritenere che gli atti ricevuti dall'autorità giudiziaria francese siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, deve escludersi, in forza di quanto osservato in precedenza al par. 15.5.2, che sia configurabile l'unica fattispecie di inutilizzabilità prevista dalla legge per il caso di captazioni disposte all'estero ed effettuate nei confronti di persone il cui "indirizzo di comunicazione" è attivato in Italia. Non può sostenersi, infatti, che, nella specie, le operazioni non sarebbero state consentite "in un caso interno analogo", perché le stesse sono state disposte in ordine a reati per i quali la legge italiana prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova, e, in particolare, per reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di traffico di sostanze stupefacenti. 19. Per le ragioni precedentemente esposte, deve escludersi anche la necessità di formulare alla Corte di giustizia dell'Unione Europea i quesiti prospettati dalla difesa nei ricorsi e nelle conclusioni rese in udienza. Invero, anche ad accogliere la qualificazione giuridica prospettata dai ricorrenti, i dati ottenuti mediante o.e. i.: a) non possono in alcun modo ritenersi risultati di intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria francese in modo generalizzato ed indiscriminato, ovvero in difetto di indizi concreti nei confronti degli utenti del sistema (...) o comunque in violazione di "diritti fondamentali" o di principi costituzionali dell'ordinamento nazionale, o in contrasto con le garanzie assicurate dall'art. 31 Direttiva 2014-41-UE, per le ragioni indicate nei par. 18.5.1, 18.5.2, 18.5.3 e 18.5.4; b) sono stati acquisiti sulla base di richieste relative a persone nominativamente indicate, tra le quali i due attuali ricorrenti, in quel momento già tutte sottoposte ad indagini in Italia per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina e di acquisto, detenzione, importazione e cessione di partite di tale tipo di droga. Di conseguenza, nella vicenda in esame, non si pongono problemi di mancato rispetto delle condizioni previste dall'art. 6, paragrafo 1, lett. a) e b), Direttiva 2014-41-UE, o di interpretazione ed applicazione dell'art. 31 Direttiva cit. Deve pertanto escludersi che ricorrano ragionevoli dubbi in ordine alla interpretazione del diritto dell'Unione Europea concretamente applicabile nel caso in esame, e che, quindi, sussista l'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. (cfr., in questo senso, Corte giustizia, Grande Sezione, 06-10-2021, Consorzio Italian Management, C-561-19, ma già Corte giustizia, 06-10-1982, (Omissis) e (Omissis), C-283-81). 20. Prive di specificità, e comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nel motivo nuovo, che contestano la violazione del diritto di difesa - per l'impossibilità di accedere al sistema informatico impiegato per l'analisi delle comunicazioni intercorse sul sistema (...), anche al fine di verificare se le stesse siano state raggruppate e decrittate sulla base di trattamenti automatizzati, sottratti alla supervisione umana. Innanzitutto, occorre evidenziare che la richiesta ha ad oggetto attività compiute in procedimenti penali pendenti all'estero o comunque dall'autorità giudiziaria estera in esecuzione dell'o.e.i., e, quindi, attività in linea generale non sindacabili dall'autorità giudiziaria italiana per le ragioni indicate nel par. 10.4. In ogni caso, poi, la difesa non ha nemmeno allegato di aver presentato istanza di accesso al sistema informatico asseritamente impiegato per l'analisi delle comunicazioni intercorse sul sistema (...). 21. Del tutto inammissibile, infine, è la richiesta, formulata per la prima volta in udienza, di annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata per far disporre perizia al fine di assicurare in contraddittorio gli esiti del processo di decriptazione, analisi e selezione delle conversazioni acquisite. La richiesta, in primo luogo, non espone ragioni specificamente indicative della indispensabilità di tale atto istruttorio; e, come si è evidenziato in precedenza nei par. 15.5.1 e 18.5.4, la asserita alterazione dei dati è stata unicamente ipotizzata dal ricorrente, che non ha né allegato, né provato elementi utili a rendere concreta tale evenienza. In secondo luogo, presuppone l'esame di dati non trasmessi in Italia, come le chiavi di cifratura, ed ha inoltre ad oggetto operazioni, quelle di analisi e cifratura delle comunicazioni, effettuate dall'autorità estera. In terzo luogo, non considera che il tribunale del riesame è privo di poteri istruttori in ordine ai fatti relativi all'imputazione, siccome incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale de libertate (così, tra le tantissime, Sez. 6, n. 46036 del 26-10-2023, (Omissis), Rv. 285475 -01, e Sez. 1, n. 23869 del 22-04-2016, (Omissis), Rv. 267993 -01). 22. Alla complessiva infondatezza delle censure seguono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1032 del 2024, proposto da Università degli Studi di -OMISSIS- (-OMISSIS-), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Ca. e Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ge. Te. e La. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ge. Te. in Roma, piazza (...) nei confronti -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Pe., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS-, di -OMISSIS- e i rispettivi ricorsi incidentali; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Lo. Ca., Ge. Te., La. Al. e Gi. Pe.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso del 22 luglio 2023 il dott. -OMISSIS- ha impugnato la procedura di chiamata per il reclutamento di un professore di prima fascia presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell'Adulto per il settore concorsuale -OMISSIS- e, segnatamente, per il settore scientifico disciplinare -OMISSIS-, svolta mediante chiamata ai sensi dell'art. 18, comma 1, legge n. 240/2010 e conclusasi con la nomina e pedissequa integrazione nel servizio del dott. -OMISSIS-. Con sentenza del 15 dicembre 2023, n. -OMISSIS-, il Tar ha annullato gli atti impugnati dal dott. -OMISSIS-accogliendo, due specifici profili contenuti nel secondo e nel quarto motivo di ricorso. In particolare il Tar ha ritenuto fondata la seconda censura affermando l'illegittimità del modus operandi della Commissione, che ha conosciuto il nome dei candidati prima di predisporre il testo delle prove, ha redatto il testo di queste prevedendone una perfettamente aderente all'argomento della tesi di dottorato del candidato controinteressato, per poi attribuire allo stesso la possibilità di scegliere l'argomento a lui più confacente privilegiando, anziché l'estrazione a sorte dell'ordine di esame dei concorrenti, la loro chiamata in ordine alfabetico. Il Tar ha accolto anche la quarta censura affermando l'illegittimità della nomina dei membri della Commissione giudicatrice, avvenuta con decreto rettorale e non mediante sorteggio osservando che "l'Università, sebbene non fosse tenuta a prevedere il meccanismo del sorteggio nel Regolamento di Ateneo, tuttavia non ha poi indicato le ragioni per le quali in fattispecie ha ritenuto di non applicare il meccanismo del sorteggio, nonostante tale sistema di garanzia fosse stato già da qualche anno oggetto di un'espressa raccomandazione da parte di ANAC (nel PNA) e del MIUR (nell'atto di indirizzo n. 39/2018)." L'Università degli Studi di -OMISSIS- appellava ritualmente la sentenza. Resisteva -OMISSIS- il quale riproponeva il quinto e sesto motivo di ricorso, in quanto ritenuti assorbiti dall'accoglimento del secondo e quarto motivo e con appello incidentale censurava la sentenza nella parte in cui aveva respinto il primo e terzo motivo di ricorso. Si costituiva -OMISSIS- il quale aderiva ai motivi di appello proposti dall'Ateneo e proponeva altresì appello incidentale. All'udienza del 21 maggio 2024 la causa passava in decisione. DIRITTO 1.Con il primo motivo l'appellante principale deduce error in iudicando nella parte in cui il TAR ha ritenuto che la deliberazione ANAC n. 1208/2017 e l'atto di indirizzo MIUR n. 39/2018 definiscono come regola ordinaria il ricorso al sorteggio dei commissari con conseguente obbligo di motivazione del mancato ricorso al sorteggio. Contesta l'interpretazione della deliberazione ANAC n. 1208/2017 e dell'atto di indirizzo MIUR n. 39/2018 perché : a) il sorteggio dei componenti della commissione non è raccomandato per le procedure attivate ex art. 18, lg. 240/2010, come è quella che ci occupa; b) il sorteggio non è, comunque, "ordinaria regola" a cui gli Atenei devono attenersi; c) conseguentemente, non sussiste un obbligo di "esplicitazioni delle ragioni" del mancato ricorso al sorteggio; d) l'Università ha, in ogni caso, applicato misure atte a prevenire paventati rischi corruttivi. Il motivo è fondato. La deliberazione n. 1208/2017 dell'ANAC suggerisce il ricorso al sorteggio dei commissari per "contrastare il diffuso fenomeno del "localismo" del reclutamento dei professori universitari, alimentato dal ricorso a procedure di chiamata riservate ai docenti interni all'ateneo, ai sensi dell'art. 24 della legge n. 240 del 2010". Nella specie quella che occupa è invece una procedura ex art. 18, lg. 240/2010, aperta a candidati esterni (sia -OMISSIS-che -OMISSIS-non erano incardinati nei ruoli dell'Università ). Inoltre, come già chiarito dal Consiglio di Stato (sez. VII, n. 7867/2022; 8100/2023), la delibera ANAC n. 1208 del 22 novembre 2017, di approvazione del PNA 2017, costituisce, in forza di quanto stabilito all'art. 1, comma 2 bis, della L. 190/2012, "atto di indirizzo" per tutte le amministrazioni pubbliche indicate all'art. 1, comma 2, del D. L.vo 165/2001, e quindi anche per le istituzioni universitarie, "ai fini dell'adozione dei propri piani triennali anticorruzione". Le misure ivi contenute sono indicate come "suggerite e non imposte", ragione per cui "Rimane pertanto nella piena responsabilità delle amministrazioni individuare e declinare queste ed altre misure nel modo che più si attagli allo specifico contesto organizzativo, per prevenire i rischi corruttivi come identificati nel processo di analisi e gestione del rischio necessari per l'elaborazione dei PTPC". Le varie misure indicate sono proposte come un elenco esemplificativo, e non tassativo, di "possibili" soluzioni alle problematiche rilevate ed analizzate dall'ANAC nel PNA, la cui adozione viene "raccomandata". (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 7867/2022). Inoltre, anche senza considerare il dato testuale costituito dall'utilizzo del termine "raccomandazione", la delibera suggerisce alle Università (pag. 64) di prevedere nei propri regolamenti le misure in discorso, con il corollario che, in mancanza del recepimento delle misure da parte degli Atenei, le stesse non possono trovare diretta applicazione per effetto della loro elencazione ad opera dell'ANAC; discorso ana si può fare per l'atto di indirizzo del MIUR n. 39 del 14 maggio 2018, che in sostanza altro non fa che sintetizzare i contenuti della delibera dell'ANAC (v., per la formazione delle Commissioni, pag. 11 dell'atto), raccomandando alle istituzioni universitarie l'adozione di misure simili a quelle indicate dal PNA, nell'esplicitato intendimento di non interferire con l'autonomia statutaria ad esse riconosciuta (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 7867/2022). Ed invero, a fronte di simili previsioni, è evidente che le Università rimangono libere di adottare misure anche diverse, purché idonee a prevenire i rischi evidenziati dal PNA; l'atto del 14 maggio 2018 costituisce "atto di indirizzo" precisamente orientato nel senso che alle Istituzioni universitarie è implicitamente indicato, quale obiettivo da raggiungere, quello della concreta prevenzione dei rischi che il PNA indica come "rischi tipici" delle loro attività . E ciò in quanto le Università devono poter godere di margini di autonomia nell'organizzazione dell'attività amministrativa: infatti, la libertà nella didattica e nella ricerca, garantita alle Università, è strettamente influenzata dalle risorse umane, finanziarie e strumentali di cui dispone l'ateneo, e tali risorse vengono appunto assicurate attraverso molteplici attività di carattere strettamente amministrativo. Il Regolamento dell'Università di -OMISSIS- dispone che "La commissione è composta da tre professori di prima fascia appartenenti al medesimo settore concorsuale di cui almeno uno deve appartenere ad uno dei Settori scientifico disciplinari eventualmente indicati nel bando. Almeno due dei componenti debbono essere esterni all'ateneo...". La previsione regolamentare di "almeno due" commissari "esterni all'ateneo" porta ad escludere paventate pressioni indebite e rischi corruttivi collegati alla nomina di soli componenti interni e giustifica (implicitamente) il mancato ricorso al suggerito sorteggio dei commissari. Nella specie, tutti i nominati commissari erano esterni all'Università di -OMISSIS- sicché sono state garantite idonee misure atte a prevenire paventati rischi corruttivi e non vi era obbligo di esplicitare ragioni che hanno indotto l'Ateneo a non ricorrente alla estrazione a sorte dei componenti, non prevista dal Regolamento di Ateneo. 2.Con il secondo motivo di appello l'Ateneo deduce error in iudicando nella parte in cui il Tar ha ritenuto lesivo del principio della par condicio la definizione del contenuto della prova orale dopo aver conosciuto i nominativi dei concorrenti, la mancata estrazione a sorte dell'ordine di esame dei concorrenti e la redazione di un testo di prova aderente all'argomento della tesi di dottorato di ricerca di uno dei candidati. La censura è fondata. La Commissione ha preso visione delle candidature in data 9 maggio 2023 quando erano già stati definiti i criteri di valutazione dei titoli, delle pubblicazioni scientifiche e della prova didattica nella seduta del 2 maggio 2023. I candidati hanno potuto scegliere uno dei tre temi proposti, anche con eventuale possibilità di poter scegliere il medesimo argomento per la lezione. La Commissione aveva individuato tre argomenti per la prova didattica senza prevedere un meccanismo di eliminazione dell'argomento già scelto da un candidato, sicché il fatto che il dott. -OMISSIS-abbia scelto per primo l'argomento della prova didattica non altera la par condicio tra i candidati che avrebbero anche potuto scegliere la medesima traccia. Irrilevante è dunque l'ordine (alfabetico) con cui i candidati sono stati esaminati nella prova didattica. Gli argomenti individuati dalla Commissione per la prova didattica, sono stati: emorragie intra-craniche; infarto del miocardio; neoplasie polmonari (come da verbale della terza seduta della Commissione). I tre temi proposti dalla Commissione per la prova didattica erano dunque di portata generale, riguardavano temi generali in Anatomia Patologica tali da consentire ai candidati di esprimere le richieste capacità didattiche ed espositive. Il curriculum vitae prodotto dal dott. -OMISSIS-riporta esclusivamente l'avvenuto conseguimento del "Dottorato di Ricerca in Patologia Oncologica e Fisiopatologia Rigenerativa Tissutale Umane, 7 aprile 2011 presso, Università di -OMISSIS-". L'argomento della tesi di dottorato non è indicato nella domanda di partecipazione e nel curriculum vitae del candidato. Come già evidenziato gli argomenti proposti erano di carattere generale e tali, quindi, da poter essere affrontati dai candidati, specialisti in Anatomia Patologica. Peraltro la prova didattica ha lo scopo precipuo non tanto di testare le conoscenze del candidato, ma di valutarne la capacità didattica ed espositiva. Inoltre la Commissione ha comunicato in data 16 maggio 2023 le tracce e la convocazione per la prova didattica, che si è tenuta il giorno seguente, concedendo ai candidati, professionisti in possesso di abilitazione scientifica, l'eventuale tempo necessario per ragionare sul tema da esporre e, se necessario, di studiarlo ulteriormente. La decisione TAR si basa su un presupposto di fatto errato confondendo, all'interno del concorso, la prova didattica eventuale, contemplata anch'essa nel Regolamento -OMISSIS-, all'art. 2 (combinato disposto dei commi 3, lett. b), e 4, lett. i)), oltre che nel bando di chiamata (artt. 1 e 6), con la prova orale di un comune concorso. Nel Regolamento, infatti, espressamente si prevede l'"eventuale previsione di una prova didattica per i candidati non già appartenenti ai ruoli universitari", come nel caso di specie, in cui entrambi i candidati erano estranei alla docenza universitaria (seppur in possesso di abilitazione scientifica). L'art. 18 comma 1 della legge n. 240/2010 rimette agli Atenei la regolamentazione delle chiamate dei professori. Il Regolamento -OMISSIS- prevede soltanto che la prova didattica sia subordinata all'eventualità che i candidati siano estranei alla docenza universitaria, e ne rimette il quando ed il quomodo alla Commissione valutatrice della singola procedura. È del tutto logico che si conoscessero i nominativi dei candidati prima della predisposizione delle prove orali, perché qualora si fossero presentati candidati già in ruolo universitario, nessuna prova orale sarebbe stata da sostenere. Conoscere se i candidati fossero in ruolo era, pertanto, una informazione propedeutica alla predisposizione o meno della prova orale. 3. Passando ai motivi del ricorso introduttivo assorbiti, l'appellante incidentale -OMISSIS- ripropone il quinto motivo con il quale era stata dedotta la violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost., violazione degli artt.1 e 3 della legge 241/1990 e del principio di trasparenza e di imparzialità della Pubblica Amministrazione, violazione della lex specialis concorsuale, violazione della normativa di regulation ANAC - l'eccesso di potere per manifesta illogicità, disparità di trattamento, conflitto di interessi per essere stati i membri della commissione a conoscenza dell'istanza di ricusazione, nonché per mancata astensione ai sensi dell'art. 3 comma 7 D.P.R. 117/2000 per essere stato un commissario membro entro l'anno di una precedente commissione giudicatrice con partecipante il dott. -OMISSIS-. Espone che aveva avanzato istanza di ricusazione, la quale era stata comunicata ai commissari i quali erano stati invitati dall'Ufficio Selezione e Sviluppo Risorse Umane a fornire chiarimenti. A seguito di istanza di accesso agli atti aveva appreso che nei chiarimenti forniti dai commissari erano contenute affermazioni che potevano essere qualificate alla stregua di inimicizia con conseguente obbligo di astensione. In particolare nei chiarimenti era stato indicato come colui che adduce motivazioni che "sembrano assolutamente inconsistenti e prive di ogni fondamento logico" (prof. -OMISSIS-, condivise dalla prof.ssa -OMISSIS-), "inconsistenti" (prof.ssa -OMISSIS-) ovvero che "Ritengo che essere parte del Collegio Italiano dei Professori di Anatomia Patologica (CIPAP) non possa in alcun modo ritenersi ostativo e, anzi, mi chiedo qualora non se faccia parte come si potrebbe essere nel novero degli aspiranti Commissari? Probabilmente in candidato dovrebbe meglio informarsi e, in ogni caso, lascio al Magnifico Rettore ogni decisione a riguardo" (prof. -OMISSIS-). Inoltre, ai sensi dell'art. 3 comma 7 D.P.R. 117/2000, è fatto divieto ai professori di essere membri di un'altra commissione, per un periodo di un anno decorrente dalla data del decreto di nomina, per lo stesso settore scientifico-disciplinare (SSD) e per la stessa tipologia di valutazione comparativa: tale previsione era stata violata, poiché il prof. -OMISSIS- era stato membro di una precedente commissione nominata il 29 settembre 2022 in una procedura indetta presso l'Università -OMISSIS- per selezionare un professore ordinario nel-OMISSIS-, a cui lui stesso aveva partecipato. Le censure non sono fondate. Nei pubblici concorsi, per i componenti delle commissioni esaminatrici, l'obbligo di astenersi sussiste solamente in presenza di una delle condizioni previste dall'art. 51 del c.p.c., essendo vietata ogni estensione analogica. Ai sensi dell'art. 51, comma 2, c.p.c. la violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento può rinvenirsi laddove vi sia un potenziale conflitto di interessi per l'esistenza di una causa pendente tra le parti, o una di grave inimicizia tra di esse. Le ipotesi di ricusazione dei membri delle commissioni giudicatrici dei concorsi universitari sono tassative e di stretta interpretazione; pertanto, non costituisce causa di incompatibilità nemmeno la circostanza che il membro di una commissione del concorso abbia espresso giudizio negativo nei confronti di un candidato, in occasioni e per fini diversi dal concorso, non rientrando tale ipotesi in quella di cui all'art. 51 n. 4 c.p.c. che si riferisce ai pareri espressi in ordine a questioni oggetto della pronunzia del giudice. La grave inimicizia deve riferirsi, infatti, a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell'ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali, deve, trovare fondamento esclusivamente in rapporti personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità, nella specie non evincibili. È infondata la lamentata violazione dell'art. 3, d.P.R. 117/2000 (divieto di far parte di commissione prima del decorso di un anno da precedente nomina a commissario in altra procedura di valutazione comparativa). L'art. 3 del d.P.R. 117/2000 si applicava alle procedure di valutazione comparative gestite dal MIUR a livello nazionale. Oggi, invece, si discute di una procedura gestita dall'Università in forza della lg. 240/2010 che rimette all'autonomia regolamentare degli Atenei la formazione delle commissioni. L'atto di indirizzo MIUR n. 39 del 2018 raccomanda e non impone agli Atenei di limitare l'incarico di commissario in un concorso a due procedure all'anno, purché si tratti di concorso locale (ossia bandito ex art. 24, comma 6, lg. 240/2010). La procedura in esame è stata bandita ex art. 18 della l. 240/2010 ed era aperta a candidati non in servizio presso -OMISSIS-; il professore -OMISSIS- aveva fatto parte di una sola commissione su Modena (l'altra lamentata partecipazione a commissione era presso il -OMISSIS-). 4.Con il riproposto sesto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost., e della lex specialis concorsuale, l'eccesso di potere per manifesta illogicità e per motivazione falsa, perplessa e contraddittoria, l'eccesso di potere per falso supposto di fatto e travisamento dei fatti, irragionevolezza e manifesta disparità nei giudizi individuali e collegiali della prova didattica, nelle profilazioni curriculari, nelle valutazioni individuali e collegiali dei profili curriculari e nella valutazione di merito complessiva dell'attività di ricerca. La censura non è fondata. 4.1. Le procedure che conducono alla chiamata di un professore vengono disciplinate dalle singole Università sulla base della propria autonomia regolamentare. La scelta normativa sul punto tende proprio a valorizzare l'autonomia universitaria così da concedere agli Atenei uno strumento utile, insieme ad altri, ad impostare la politica di reclutamento operata da ogni Università, politica che forma oggetto di possibile valutazione cui poi vengono ancorati i finanziamenti ministeriali. Le procedure che si svolgono in sede locale mirano ad operare una valutazione comparativa tra candidati già in possesso dell'ASN per il settore posto a concorso, al fine di individuare il candidato maggiormente qualificato a svolgere le funzioni didattico scientifiche per le quali è stato bandito il posto. La valutazione è compiuta da Commissioni all'uopo nominate e composte da docenti in possesso di riconosciute competenze specifiche. La valutazione di un candidato è un atto opinabile. Affidarla ad una Commissione di competenti significa affidarsi alle persone che sono nelle migliori condizioni per compierla. Le valutazioni affidate alla cura dell'organo tecnico sono dunque vincolanti per l'Amministrazione che ha indetto la selezione in ordine ai giudizi tecnico-discrezionali formulati sui profili curriculari dei candidati. In altri termini, l'Amministrazione che ha bandito il concorso in linea generale non può legittimamente disattendere i risultati, ritualmente approvati, dell'attività valutativa della Commissione giudicatrice (Consiglio di Stato, sez. VI, 28/06/2016, n. 2855). La valutazione dei candidati, del loro curriculum, delle pubblicazioni scientifiche e delle capacità didattiche deve avvenire sulla base di criteri, parametri e indicatori. Essi possono essere enumerati in maniera puntuale nei regolamenti approvati dalle singole Università oppure nelle delibere dipartimentali che chiedono il bando del posto o nei bandi stessi. Sono queste le ipotesi nelle quali gli Atenei dimostrano di voler adoperare in maniera penetrante uno strumento utile ad attuare le proprie politiche di reclutamento. In altri casi, i regolamenti delle sedi universitarie affidano direttamente alle Commissioni il compito di definire criteri, parametri e indicatori. Anche in dette ipotesi, però, le Commissioni non dispongono di un potere totalmente discrezionale. Sia perché i regolamenti, anche se non dettano i criteri in maniera specifica, in molti casi chiedono comunque alle Commissioni di uniformarsi alla normativa vigente ovvero agli standard qualitativi riconosciuti a livello nazionale ed internazionale o, ancora, ai criteri e ai parametri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento e così via. Sia perché le Commissioni, essendo composte da persone che sono espressione dello specifico sapere disciplinare, operano al fine di riconoscere, nei candidati proprio gli standard metodologici e contenutistici della comunità scientifica di appartenenza. La Commissione, anche quando le viene riconosciuto un ruolo significativo nella definizione dei criteri, non può comunque discostarsi da criteri e standard riconosciuti. La valutazione dell'attività svolta dalla Commissione per giungere alla predeterminazione dei criteri deve essere operata non in maniera meccanica e formalistica, ma sulla base di una valutazione finalistica della ratio ad essa sottesa. Sicché, ove i principi di competenza e trasparenza non siano in concreto vulnerati, l'eventuale omessa predeterminazione delle suddette regole costituisce un'inosservanza meramente formale, inidonea a ridondare in vizio di legittimità della procedura selettiva. L'importante è che i criteri individuati siano né vaghi né generici, ma idonei ad oggettivizzare, per quanto possibile, l'ampiezza della discrezionalità valutativa tipica di questo genere di selezioni, nonché a consentirne ex post la ricostruzione dell'iter logico seguito (Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 454). Le Commissioni sono chiamate non solo a fissare criteri, parametri e indicatori, ma anche ad individuare la loro possibile incidenza ponderale. Si deve in ogni caso considerare che alle Commissioni si chiede di individuare il candidato migliore. Criteri, parametri e indicatori sono fondamentali nel guidare il lavoro valutativo. Ma le loro incidenze ponderali ai fini del giudizio finale non devono diventare delle gabbie meccanicistiche, ancorate addirittura a puntuali pesi specifici di ognuno di essi. La previsione di un "peso" specifico per ogni criterio/parametro/indicatore (ammesso che sia possibile in concreto) porterebbe ad un automatismo assorbente e insuperabile che non necessariamente propizierebbe l'esito auspicato, ovvero l'individuazione del candidato migliore. Naturalmente questo non significa consegnare il lavoro delle Commissioni all'arbitrio. Ciò che i Commissari devono fare, una volta fissati criteri, parametri e indicatori, e la loro eventuale incidenza ponderale, è giustificare con una congrua motivazione la scelta finale così da far emergere in modo quanto più preciso ed esauriente possibile le ragioni della prevalenza di un candidato sull'altro. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che le valutazioni della Commissione nell'ambito di una procedura concorsuale per posti di professore universitario costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono valutazioni tecniche. Si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l'aspetto più strettamente tecnico. Ciò significa che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'Autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo. Siffatto sindacato è a maggior ragione ammissibile quando, nell'ambito delle valutazioni dei candidati che hanno partecipato a concorsi universitari, vi siano elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Ma tutte le volte in cui non emerge alcun vizio della logicità e della ragionevolezza, la motivazione espressa dalla Commissione, costituendo il frutto di discrezionalità tecnica, non può essere sostituita con il diverso avviso del giudice (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 aprile 2022, n. 2598). 4.2. Tanto premesso e passando alle singole valutazioni l'appellante incidentale lamenta il mancato utilizzo dell'indice bibliometrico Impact factor rispetto alle 16 pubblicazioni presentate, che la commissione che non avrebbe tenuto conto della sua minore età anagrafica e del suo maggiore apporto individuale alle pubblicazioni presentate. Le censure non sono fondate. La Commissione, che doveva esprimersi rispetto all'idoneità a ricoprire un posto da professore ordinario senza comparare i due candidati, ha fissato i criteri di valutazione "nel rispetto degli standard previsti dalla normativa vigente" (art. 6 del bando) stabilendo quanto segue: "a) impatto della produzione scientifica complessiva; nell'ambito dei settori scientifico disciplinari in cui ne è riconosciuto l'uso a livello internazionale la commissione si avvale anche di indicatori di prestigio ed impatto". La Commissione ha applicato ad entrambi i candidati i medesimi criteri di valutazione "numero totale delle citazioni; numero medio di citazioni per pubblicazione; combinazione dei precedenti parametri atte a valorizzar l'impatto della produzione scientifica del candidato (indice di Hirsch o simili)". Com'è noto l'indice Hirsch è un indicatore bibliometrico riconosciuto a livello internazionale, sicché la censura è destituita di fondamento. 4.2. Con riferimento all'età accademica si osservi che sebbene l'età anagrafica dei due candidati è differente, l'età pubblicistica, cioè gli anni trascorsi dalla prima pubblicazione riportata, è la stessa essendo rinvenibile per entrambi una prima pubblicazione nell'anno 2007, sicché correttamente la Commissione non ha ritenuto di procedure ad alcuna normalizzazione. Inoltre, il rapporto tra numero di citazioni totali e numero di pubblicazioni totali fornisce solo una indicazione della qualità media della produzione scientifica. Nella specie è vero che il dott. -OMISSIS-ha 14 (indicati erroneamente in 15) lavori come primo autore e 1 come ultimo autore e il Dott. -OMISSIS- 9 lavori come primo nome e 7 come ultimo, tuttavia la Commissione ha valutato che le pubblicazioni del dott. -OMISSIS- "sono in maggior parte congrue con le tematiche del settore scientifico disciplinare" che esse "presentano un buon grado di originalità " e che "possono essere ritenute di qualità anche elevata in relazione allo specifico settore concorsuale" mentre le pubblicazioni del dott. -OMISSIS- sono "tutte...congrue con le tematiche proprie del settore scientifico disciplinare -OMISSIS-", "mostrano un ottimo grado di originalità e possono essere ritenute di qualità elevata in relazione allo specifico settore concorsuale". Le affermazioni non sono illogiche alla luce dei criteri di valutazione che individuavano la coerenza con le tematiche del settore concorsuale, l'originalità, il rigore metodologico e il carattere innovativo. 4.3. Anche la partecipazione a comitati editoriali è stata oggetto di rilievo. Si legge nei verbali: -OMISSIS-"è componente dell'editorial board di 6 riviste internazionali congrue con il SSD -OMISSIS- e svolge attività di revisione per 11 riviste internazionali, anch'esse congrue con il SS -OMISSIS-"; -OMISSIS-è "componente dell'editorial board di 10 riviste internazionali parzialmente congrue con il SS -OMISSIS-". 4.4. Sulla eccessiva valorizzazione della capacità di attrarre finanziamenti e di gestione di gruppi di ricerca riconosciuta al dott. -OMISSIS-, la Commissione ha considerato soprattutto la responsabilità diretta degli stessi e in tal senso ha basato i propri giudizi sempre ai fini dell'eventuale idoneità come peraltro richiesto dai criteri di valutazione tra cui compare: "b: comprovata capacità di coordinare o dirigere un gruppo di ricerca e di attrarre finanziamenti competitivi". Il criterio non attiene alla valutazione delle pubblicazioni e della maturità scientifica di un candidato (ciò che ha ad oggetto l'ASN), ma di una valutazione nel cui contesto assume un peso rilevante alla capacità di attrarre fondi. 4.5. Irrilevante nella procedura concorsuale che occupa è il giudizio conseguito in sede di abilitazione scientifica nazionale, trattandosi di procedure differenti per metodo e per finalità . 4.6. La titolarità del brevetto del dott. -OMISSIS-è stata correttamente censita dalla Commissione rientrando tra i titoli valutabili anche "i. i risultati ottenuti nel trasferimento tecnologico in termini di partecipazione alla creazione di nuove imprese (spin off), sviluppo, impiego e commercializzazione dei brevetti". Quanto alla mancata valutazione di alcuni riconoscimenti ("riconoscimento dell'American Academy of Dermatology"; "quello dell'Assessorato alle Politiche per la Salute della Regione Emilia Romagna...sotto forma di pubblico encomio"), gli stessi non sono stati considerati dalla commissione in quanto non assegnati su base comparativa. La mancata valutazione del titolo della abilitazione scientifica nazionale in Scienze delle Professioni Sanitarie e Tecnologie Mediche è stata motivata "in quanto evidentemente incongruo e incoerente" con la procedura di cui trattasi (Anatomia Patologica)". 4.7. Con riferimento all'attività didattica non tutti i titoli sono stati considerati singolarmente in quanto l'attività stessa è stata presa in considerazione nel suo complesso con riferimento non solo alla docenza, ma anche nella partecipazione agli esami di profitto e nell'attività di tutoraggio. Premesso che la Commissione è tenuta ad una valutazione del candidato senza obbligo di verbalizzazione rispetto ad ogni singolo titolo valutabile, in ogni caso è stato tenuto conto dell'ampia attività didattica svolta dall'appellante (pag. 26 del verbale della commissione): Per quanto concerne l'attività didattica il dott. -OMISSIS-ha svolto attività di insegnamento nel corso di perfezionamento in "Tecniche Macroscopiche Istopatologiche in Anatomia Patologica" nell'anno accademico 206-2017; ha svolto attività di tipo seminariale nel Master di primo livello in "Tecniche Istopatologiche in Anatomia Patologica" nell'anno accademico 2019-2020 e nel Master di primo livello in "Tecniche Istopatologiche in Anatomia Patologica" nell'anno accademico 2021-2022; dal 2020 è titolare del modulo di docenza "Tecniche e Diagnostica Citopatologica" (2CFU, 16 ore) dell'insegnamento "Tecniche Diagnostiche di Anatomia Patologica" nel corso di laurea in Tecniche di Laboratorio Biomedico della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di -OMISSIS-; ha fatto poi parte del corpo docente della Scuole di Specializzazione in Chirurgia Orale e in Reumatologia per gli insegnamenti in Anatomia Patologica rispettivamente per gli anni 2020/2021 e 2021/2022; infine, il dott. -OMISSIS-ha partecipato con attività di tipo seminariale nell'ambito del Percorso per le Competenze Trasversali e l'Orientamento presso diversi Dipartimenti sempre dell'Università degli Studi di -OMISSIS- negli anni 2022 e 2023" (v. i titoli dichiarati dal -OMISSIS- a pag. 19 e 20, doc. 2 bis). Lo stesso è avvenuto in relazione all'attività assistenziale svolta dal dott. -OMISSIS-, per la quale è stato espresso un giudizio ampiamente positivo ed esaustivo (pag. 26 e 27 del verbale). Deve, tuttavia, osservarsi che la procedura per cui è causa non è una procedura per la copertura di incarico di primariato, ma per l'assunzione di un professore ordinario. Sulla graduatoria di merito riformulata dall'appellante basti evidenziare che la commissione non doveva concludere con una graduatoria di merito, ma individuare una rosa di idonei e che l'appellante ha rideterminato i punteggi dei criteri di valutazione secondo il suo assunto sostituendosi, di fatto, a valutazioni discrezionali della commissione. 5.Con il primo motivo di appello incidentale il ricorrente deduce error in iudicando della sentenza di primo grado nella parte in cui rigetta il primo motivo di ricorso. Lamenta che l'appellata sentenza era viziata nella parte in cui in motivazione si legge che "non può trovare positivo apprezzamento la prima censura, in quanto, seppur non priva di fondatezza, risulta essere stata tardivamente dedotta. Essa è, dunque, inammissibile anche se per motivi diversi da quelli dedotti dall'Università . Come messo in evidenza nel ricorso, sin dalla pubblicazione del bando era palese che lo stesso, così come costruito nel delineare la professionalità richiesta, avrebbe favorito un candidato con l'esperienza diversa da quella maturata dall'odierno ricorrente. Dunque, a prescindere dal fatto che non fossero ancora noti i nomi dei candidati, il ricorrente avrebbe potuto sin da subito avvedersi del fatto che sarebbe stato sfavorito e che, comunque, il profilo del professore di prima fascia da assumere fosse stato evidentemente e sostanzialmente modificato rispetto alla previsione del bando precedente." Evidenzia che con l'originario primo motivo aveva contestato la circostanza che il bando di concorso per la procedura selettiva in oggetto prevedesse che "l'attività scientifica farà particolare riferimento all'approfondimento della patologia dei trapianti e della citologia", nonché la partecipazione e la promozione del professore "a progetti scientifici finalizzati alla transizione digitale con particolare attenzione per ciò che riguarda la digital pathology e l'applicazione di strumenti di intelligenza artificiale alla diagnostica anatomo-patologica", così delineando un ambito operativo assai distante da quello originariamente previsto solo un anno prima per la medesima posizione professionale (cfr. All.ti nn. 14, 15, 17, e 18 del fascicolo di primo grado), nonché assolutamente alieno rispetto alla "mission" propria del dipartimento -OMISSIS-, anche in tal caso venendo in rilievo le pregresse esperienze professionali del dott. -OMISSIS-, calzanti rispetto all'oggetto dell'attività scientifica prefissata nel bando di concorso. In sostanza il ricorrente aveva contestato la presunta idoneità del bando a consentire ab origine una corretta competizione, eccependo un suo presunto sbilanciamento sul profilo professionale del dott. -OMISSIS-: da qui l'onere d'immediato gravame evidenziato dal Tar. La censura non è fondata anche se deve essere corretta la motivazione della sentenza. Nell'ambito delle procedure selettive pubbliche l'onere di immediata impugnazione del bando è circoscritto al caso di contestazione di clausole escludenti, ovvero clausole riguardanti requisiti di partecipazione, mentre va escluso nei riguardi di ogni altra clausola che risulti dotata solo di astratta e potenziale lesività, ovvero la cui idoneità a produrre un'effettiva lesione può essere valutata unicamente all'esito della procedura, ove negativo per l'interessato (Consiglio di Stato sez. II, 8 aprile 2022, n. 2634). La motivazione deve essere corretta dunque nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il motivo per mancata impugnazione immediata del bando in quanto le clausole oggetto della censura non erano escludenti. Il motivo è comunque infondato. Il ricorrente lamenta che in un precedente concorso indetto da -OMISSIS- nel 2021, per un profilo non sovrapponibile al presente, il vincitore era stato individuato nel prof. -OMISSIS-, il quale tuttavia aveva rinunciato al posto. Da tale vicenda il dr. -OMISSIS-trae oggi spunto per sostenere che "nonostante la vacanza primariale, l'Università non provvedeva a bandire una nuova procedura" e nonostante "fossero note" sia le criticità in essere nella Struttura sia "il fatto che in data 31/01/2022" il dott. -OMISSIS-aveva conseguito l'Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima fascia. Il Consiglio di Dipartimento, nella seduta del 15 novembre 2022 ha deliberato che il nuovo profilo di professore avrebbe dovuto dedicare "la propria attività scientifica, didattico formativa e assistenziale nel campo dell'anatomia patologica con specifiche competenze nei campi istopatologico, citopatologico, autoptico e biomolecolare", e inoltre che "l'attività scientifica farà particolare riferimento all'approfondimento della patologia dei trapianti e della citologia. Il professore promuoverà e parteciperà a progetti scientifici finalizzati alla transizione digitale con particolare attenzione per ciò che riguarda la digital pathology e l'applicazione di strumenti di intelligenza artificiale alla diagnostica anatomo-patologica". Rientra nella piena discrezionalità dell'Ateneo l'impostazione della procedura di chiamata di cui all'art. 18 comma 1 legge 240/2010 e nel formulare le specificità curriculari del candidato. Del tutto legittima, poi, è la scelta di ripensare il profilo di un concorso dopo che l'esito della prima procedura non aveva avuto gli effetti desiderati (per via della rinuncia del prof. -OMISSIS-). 6.Con il secondo motivo di appello incidentale l'appellante deduce error in iudicando della sentenza di primo grado nella parte in cui rigetta il terzo motivo di ricorso, con il quale deduceva "la violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost., violazione degli artt. 1 e 3 della L. 241/1990 e del principio di trasparenza e di imparzialità della Pubblica Amministrazione, violazione del principio di trasparenza di cui al D.P.R. 487/1994, del regolamento dell'Università degli Studi di -OMISSIS- per il reclutamento dei professori di prima e seconda fascia mediante procedura di chiamata, di cui all'art. 18, all'art. 24 e all'art. 7 commi 5 bis, 5 ter e 5 quater della L. 240/2010 del 14/11/2022 per avere il rettore e il responsabile del procedimento omesso: A) di dare comunicazione e pubblicazione della composizione della commissione a seguito di istanza di ricusazione; B) di nominare i membri supplenti stante le rinunce delle prof.sse -OMISSIS-e -OMISSIS- e/o di richiedere al consiglio di Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Materno-Infantili e dell'Adulto di indicare altri nominativi". La censura non è fondata. 6.1. Secondo l'art. 4 del Regolamento -OMISSIS-, il Rettore nomina tre membri effettivi e contestualmente due membri supplenti della commissione (doc. 14 del fascicolo -OMISSIS- nel giudizio di primo grado). Il 25 gennaio 2023 veniva nominata la Commissione nelle persone di tre commissari effettivi (-OMISSIS-; -OMISSIS- e -OMISSIS-) e di due supplenti (-OMISSIS- e -OMISSIS-). Un commissario effettivo (-OMISSIS-) ed un commissario supplente (-OMISSIS-) avevano volontariamente rinunciato all'incarico; di diritto, pertanto, il primo veniva sostituito dal già nominato commissari supplente non rinunciatario (-OMISSIS-). L'appellante lamenta la mancata comunicazione della "ricomposta commissione" (v. pag. 21 del ricorso). L'Università non era tenuta a comunicare la composizione della commissione a seguito delle rinunce, essendo la ricomposizione già prevista dal Regolamento. L'art. 4 del Regolamento prevede, infatti, che il Rettore nomina tre membri effettivi della commissione e "contestualmente" due membri supplenti. Poiché un commissario effettivo ed un commissario supplente avevano volontariamente rinunciato all'incarico; di diritto, pertanto, il primo è stato sostituito dalla già nominato commissaria supplente non rinunciataria. In sostanza, non c'è stata una "ricomposizione" della commissione senza la pretesa violazione dell'art. 4, comma 2 bis del Regolamento di Ateneo. Il dott. -OMISSIS-ha ricevuto il decreto di rigetto dell'istanza di ricusazione prima di formulare istanza di accesso agli atti (come si evince dalla nota a firma -OMISSIS-, pag. 1, doc. 15). Il decreto rettorale di rigetto non è stato impugnato né vengono ora svolte censure allo stesso. 6.2. Nessun obbligo aveva l'Università di individuare nuovi supplenti. Correttamente il Tar ha evidenziato che "la mancata designazione di membri supplenti rende impossibile il funzionamento della commissione in assenza di uno dei suoi componenti, ma non può automaticamente inficiare la legittimità della sua nomina". 6.3. Come già evidenziato il Regolamento -OMISSIS- prevede che la prova didattica sia subordinata all'eventualità che i candidati siano estranei alla docenza universitaria, e ne rimette il quando ed il quomodo alla Commissione valutatrice della singola procedura. È in ogni caso priva di fondamento la censura in forza della quale il ricorrente si duole di aver ricevuto l'invito a presentarsi a sostenere la prova orale, oltre il termine di venti giorni prima fissato dall'art. 6 d.P.R. n. 487 del 1994. Nella specie il ricorrente non ha mosso alcuna tempestiva obiezione al riguardo e anzi ha partecipato alla prova senza muovere alcuna contestazione. La finalità della norma, essendo quella di preavvertire i candidati ai pubblici concorsi della data in cui si svolgerà la prova orale al fine di consentire loro di parteciparvi e non invece, quello di consentire agli stessi di disporre di un maggiore arco temporale per migliorare la preparazione, determina che la partecipazione al concorso senza obiezioni è idonea a dimostrare il raggiungimento dello scopo, ossia la ricezione della comunicazione dall'interessata, in tempi utili per sostenere la prova orale (Cons. St.2315/2009). 6.4. Entrambi i candidati, inoltre, hanno ricevuto la convocazione con le stesse modalità e tempistiche, sicché nessuna violazione della par condicio si è verificata. L'accoglimento dell'appello principale e il rigetto dei motivi riproposti e dell'appella incidentale del dott. -OMISSIS-privano di interesse l'esame dell'appello incidentale del dott. -OMISSIS-. In considerazione della complessità della procedura e della qualità delle parti, le spese processuali del doppio grado di giudizio ben possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata accoglie l'appello principale di -OMISSIS-, respinge l'appello incidentale e i motivi riproposti di -OMISSIS-, assorbe la trattazione dell'appello incidentale di -OMISSIS-, e per l'effetto, respinge l'originario ricorso di -OMISSIS-: Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti, Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 747 del 2022, proposto da Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Go. Ir. Limited, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. An., Ga. Ge., Ma. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11036/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Go. Ir. Limited; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Stefano Lorenzo Vitale e uditi per le parti l'Avvocato dello Stato Lo. Vi. e gli avvocati Ga. Ge. e Ma. Be.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso di primo grado Go. Ir. Limited (di seguito "Go." o "società ") ha impugnato la delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito "Autorità " o "AGCOM") n. 541/20/CONS del 22.10.2020 con cui la società è stata sanzionata per la violazione dell'art. 9 del Decreto Legge n. 87 del 12 luglio 2018 conv. dalla Legge n. 96 del 9 agosto 2018 (c.d. "Decreto dignità "). 2. I fatti oggetto di contestazione da parte dell'Autorità sono i seguenti: il 14 e il 15 novembre 2019, digitando le parole chiave "Casinò online", compariva su Go. We. Se., come annuncio pubblicitario, il link al sito internet http://sublime-casino.com con la seguente descrizione "Unisciti Ora Al Nuovissimo Casinò Online Italiano. Gioca Subito A Oltre 400 Giochi - Iscriviti Ora E Registrati In Meno Di 30 Secondi! Nessun download. Sicuro e Protetto" e tale sito conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online. 3. Con il ricorso di primo grado, Go. ha articolato sette motivi di ricorso deducendo quanto segue: - nullità dell'Ordinanza per carenza assoluta di attribuzione, non essendo la ricorrente, in qualità di "società dell'informazione" estera, soggetta alla "giurisdizione" dell'Autorità rispetto al servizio Go. Ads (motivo n. 1); - difetto di notifica del medesimo Decreto dignità alla Commissione Europea ai sensi delle Direttive Servizi Tecnici e E-Commerce (motivo n. 2); - applicabilità a Go. dell'esenzione disposta per gli hosting provider ricavabile dalla nozione di "proprietario del sito di diffusione o destinazione" prevista dall'art. 3, lett. t), delle Linee Guida di cui alla Delibera AGCOM n. 132/19/CONS (motivo n. 3); - violazione del regime di responsabilità riservata agli hosting provider, anche in considerazione del fatto che Go., pur non essendovi obbligata, pone in essere tutte le azioni necessarie per evitare la violazione del Decreto dignità da parte degli inserzionisti e che l'annuncio contestato era lecito (motivi nn. 4-6); - erroneità nel quantum della sanzione (motivo n. 7). 4. Costituitosi il contraddittorio, il primo giudice ha accolto in parte il ricorso ritenendo fondati, nei sensi esposti in motivazione, i motivi di ricorso nn. 3-6. In particolare, il Tar, richiamando la distinzione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale tra hosting provider attivo e hosting provider passivo, ha fondato la propria motivazione sulle disposizioni di cui all'art. 16 del D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, di recepimento della Direttiva 2000/31/CE, che, pur non essendo ritenuta una disciplina direttamente applicabile al caso di specie, sarebbe espressione di principi generali laddove prevede un regime più favorevole di responsabilità per gli hosting provider passivi. Secondo il Tar, tali regole portano, nel caso di specie, ad escludere la sussistenza dell'illecito ascritto a Go. dal momento che "la mera valorizzazione degli indici presenti nel provvedimento impugnato (strumentalità alla diffusione del messaggio ed elaborazione di quest'ultimo dal sistema utilizzato dal servizio di posizionamento) non (è ) di per sé sufficiente, alla luce del riportato ampio e costante quadro giurisprudenziale, a fondare, nel caso di specie, la responsabilità del gestore della piattaforma per la violazione del "Decreto dignità "". 5. Con l'odierno appello l'Autorità impugna la sentenza di primo grado articolando tre motivi di appello. Con il primo motivo ("Error in iudicando e illogicità della motivazione in relazione alla portata normativa dell'art 9, comma del "Decreto dignità "") la difesa erariale sostiene che: - ai fini dell'imputazione dell'illecito previsto dall'art. 9 del Decreto dignità, non occorre una verifica di soggettiva rimproverabilità della condotta; - la valutazione circa la illegittimità dell'inserzione pubblicitaria è svolta, a monte, dal legislatore che pone un complessivo divieto di ogni forma di pubblicità di giochi a pagamento con vincite in denaro non venendo in rilievo, dunque, la distinzione tra hosting provider attivo e passivo elaborata dalla giurisprudenza; - Go., stante l'attività di cernita e riordino dei contenuti pubblicizzati, nel caso di specie è configurabile quale hosting provider attivo con conseguente inapplicabilità dell'esimente prevista dall'art. 14 della direttiva n. 2000/31/CE, come recepita dall'art. 16 del D.lgs. n. 70 del 2003. Con il secondo motivo ("Contraddittorietà ed illogicità in ordine all'applicazione del cd. principio di esenzione di responsabilità sancito dalla medesima direttiva per i soggetti (asseritamente) passivi") l'Autorità deduce che la direttiva 2000/31/CE, e conseguentemente il D.lgs. n. 70/2003, non sono applicabili al caso di specie dal momento che la normativa in materia di giochi d'azzardo non rientra nel campo di applicazione della citata Direttiva potendo gli Stati, in tale ambito, prevedere norme più restrittive rispetto a quelle dettate dal legislatore comunitario a tutela dell'"ordine pubblico". Con il terzo motivo ("Erroneità e contraddittoria nell'applicazione della disciplina in materia di (ir)responsabilità degli intermediari online di cui alla direttiva 2000/31/CE") l'Autorità, infine, deduce che, anche laddove fosse astrattamente applicabile l'art. 16 del D.lgs. n. 70/2003, comunque nel caso di specie non ricorrerebbero i presupposti del regime di responsabilità ivi previsto dal momento che Go. era a conoscenza dell'illiceità del messaggio pubblicitario, avendolo preventivamente approvato, e non lo ha tempestivamente rimosso poiché ancora oggi digitando la medesima parola chiave "casino online" su Go. Search è possibile raggiungere siti attraverso i quali è possibile giocare a giochi con vincite in danaro, oggetto di promozione diffusa tramite Go. Ads. 6. Go. si è costituita in giudizio al fine di resistere all'avverso appello principale nonché ha proposto appello incidentale condizionato articolando i seguenti due motivi: "II. SULLA TOTALE ESTRANEITA' DI Go. IRELAND AGLI ANNUNCI PUBBLICITARI DEGLI INSERZIONISTI E SULLA LICEITA' DELL'ANNUNCIO CONTESTATO E DEL SITO DI DESTINAZIONE - Erroneità in fatto e in diritto della Sentenza per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), dell'art. 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003, dell'art. 1 Legge 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Falsa applicazione delle Linee Guida. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza e legalità delle sanzioni amministrative. Difetto di motivazione. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto. Omessa pronuncia". Con tale mezzo Go. deduce: - di essere totalmente estranea ai contenuti degli annunci pubblicitari; - che l'annuncio contestato ed il sito di destinazione erano leciti - non contenendo alcun linguaggio che facesse riferimento ad attività di gioco d'azzardo o a premi in denaro - e che non può di per sé essere vietato lo svolgimento di qualsiasi pubblicità a determinati soggetti quali, ad esempio, i casinò ; - che il sito di destinazione non consentiva di giocare d'azzardo ma che era possibile effettuare tale gioco solo in ulteriori siti i cui link erano presenti nel sito di destinazione. "III. SULL'APPLICABILITA' DELLA DIRETTIVA E-COMMERCE AL CASO DI SPECIE - Erroneità in fatto e in diritto della Sentenza per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del D.L. 87/2018 (conv. in Legge 96/2018), degli artt. 1 e 14 della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva E-Commerce), degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003, dell'art. 1 Legge 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Falsa applicazione delle Linee Guida. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza e legalità delle sanzioni amministrative. Difetto di motivazione. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto". Con tale mezzo Go., "per scrupolo difensivo", contesta le affermazioni della sentenza che hanno ritenuto non applicabili al caso di specie le previsioni del D.lgs. n. 70/2003. Go., infine, ripropone la censura, già articolata in primo grado e rimasta assorbita nella pronuncia del Tar, circa l'erronea quantificazione della sanzione (VII motivo del ricorso di primo grado). 7. All'udienza del 4 aprile 2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Il Collegio ritiene di dover in primo luogo esaminare i primi due motivi dell'appello principale, tra loro connessi, con cui l'Autorità contesta l'applicabilità al caso di specie del regime "privilegiato" di responsabilità previsto dall'art. 16 del D.lgs. n. 70/2003 - in quanto ritenuta disciplina non applicabile al settore dei giochi e delle scommesse e perché, comunque, non applicabile al cd. hosting provider attivo quale sarebbe Go. - e deduce che la disciplina dell'illecito amministrativo per cui è causa andrebbe rinvenuta esclusivamente nell'art. 9 del Decreto dignità, i cui presupposti sarebbero nel caso di specie integrati. Questioni speculari sono veicolate dai due motivi dell'appello incidentale di Go. con cui si sostiene l'applicabilità della disciplina di cui al D.lgs. n. 70/2003 (motivo III) nonché si deduce l'estraneità di Go. rispetto all'inserzione pubblicitaria contestata che, comunque, sarebbe lecita e, pertanto, non sarebbe configurabile la violazione ascritta a Go. (motivo II). 1.1. I primi due motivi dell'appello principale dell'Autorità, nei sensi e nei limiti che di seguito si espongono, sono fondati mentre sono infondati i due motivi dell'appello incidentale di Go.. 1.2. L'art. 9 del Decreto dignità pone un divieto di realizzare pubblicità, anche indiretta, comunque effettuata e su qualunque mezzo, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, e prevede la comminazione di una sanzione pecuniaria per la violazione di tale divieto. L'art. 16, D.lgs. n. 70/2003, (rubricato "Responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni -hosting") prevede al comma 1 che "(n)ella prestazione di un servizio della società dell'informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso". Tale disposizione è sostanzialmente riproduttiva dell'art. 14 Direttiva 2000/31/CE (si esamina qui la disciplina ratione temporis vigente, con la precisazione che la disciplina comunitaria della materia è oggi rinvenibile negli articoli 6 e 8 del Regolamento (UE) 2022/2065, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE e, conseguentemente, gli artt. 14-17 del D.lgs. n. 70/2003 sono stati abrogati dall'art. 3, comma 4, del D.lgs. 25 marzo 2024, n. 50). Detta disciplina, comunitaria e nazionale, ha quindi previsto una deroga rispetto agli ordinari regimi di responsabilità - sia nei rapporti di diritto privato che di diritto pubblico - degli hosting provider, ossia di quei prestatori di servizi della società dell'informazione che "ospitano" contenuti forniti da terzi, a condizione che il prestatore di servizi non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita (ovvero, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione) e, non appena a conoscenza dei fatti, dietro comunicazione delle autorità competenti, si attivi immediatamente per la rimozione delle informazioni. Tale regime di responsabilità "privilegiato", così come interpretato dalla giurisprudenza, deve applicarsi al solo hosting provider cd. passivo e non anche all'hosting provider cd. attivo. Difatti, la giurisprudenza comunitaria ha affermato sul punto che "(d)al quarantaduesimo 'considerandò della direttiva 2000/31 risulta, a tal proposito, che le deroghe alla responsabilità previste da tale direttiva riguardano esclusivamente i casi in cui l'attività di prestatore di servizi della società dell'informazione sia di ordine "meramente tecnico, automatico e passivo", con la conseguenza che detto prestatore non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate" (Corte di giustizia, grande sezione, 23 marzo 2010, n. 236, Go. France e Go., cause da C-236/08 a C-238/08, punto 113; cfr. anche Id., grande sezione, 12 luglio 2011, L'Oré al e a., C-324/09, punto 113; Id., terza sezione, 7 agosto 2018, Coó perative Vereniging SNBREACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, punto 47; Id., grande sezione, 22 giugno 2021, YouTube, cause C-682/18 e C-683/18, punto 115-116). La giurisprudenza europea assegna a tal fine un ruolo rilevante anche all'eventuale attività svolta dall'internet provider nell'ottimizzare le vendite online dei propri clienti: "... la mera circostanza che il gestore di un mercato online memorizzi sul proprio server le offerte in vendita, stabilisca le modalità del suo servizio, sia ricompensato per quest'ultimo e fornisca informazioni d'ordine generale ai propri clienti non può avere l'effetto di privarlo delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31... Laddove, per contro, detto gestore abbia prestato un'assistenza consistente segnatamente nell'ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi e nel promuovere tali offerte, si deve considerare che egli non ha occupato una posizione neutra tra il cliente venditore considerato e i potenziali acquirenti, ma che ha svolto un ruolo attivo atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati relativi a dette offerte. In tal caso non può avvalersi, riguardo a tali dati, della deroga in materia di responsabilità di cui all'art. 14 della direttiva 2000/31" (Corte di giustizia, 12 luglio 2011, C-324/09, cit., punti 115-116; Id., 7 agosto 2018, C-521/17, cit., punto 48). La Comunicazione della Commissione europea COM (2017) 555 del 28 settembre 2017, intitolata "Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online", ha preso parimenti atto dell'orientamento della Corte di giustizia, secondo cui la deroga alla responsabilità di cui all'art. 14 della direttiva cit. è disponibile solo per i prestatori di servizi di hosting "che non rivestono un ruolo attivo". Parallelamente, la giurisprudenza nazionale ha interpretato l'art. 16, D.lgs. n. 70 del 2003, nel senso di ritenere che il cd. hosting provider attivo resta sottratto al regime "privilegiato" di responsabilità ivi previsto e deve essere "individuato come quel prestatore dei servizi della società dell'informazione che svolge un'attività che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e pone in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'illecito... gli elementi idonei a delineare la figura o indici di interferenza, da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono - a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti - le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati" (Cass. civ, sez. I, 13 dicembre 2021, n. 39763; cfr. anche Id. 19 marzo 2019, 7708; nella giurisprudenza amministrativa si vedano Cons. St., sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1217; Id., 18 maggio 2021, n. 3851; Id., 5 dicembre 2023, n. 10510). Il diritto vivente, pertanto, esclude "a monte" che il regime "agevolato" di responsabilità di cui all'art. 16 cit. possa operare a favore degli hosting provider cd. attivi che, in ragione del più pregnante ruolo svolto, rispondono degli eventuali illeciti secondo le regole generali. 1.3. Tanto premesso in ordine all'interpretazione dell'art. 16, D.lgs. n. 70/2003, occorre stabilire se tale disciplina possa applicarsi anche con riguardo alla responsabilità amministrativa di cui all'art. 9 del Decreto dignità . Il Collegio ritiene che l'art. 16 cit. non possa applicarsi alla fattispecie per cui è causa perché, come correttamente rilevato dal Tar, la Direttiva 2000/31/CE esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione (art. 1, comma 5) "i giochi d'azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse". Tale esclusione non riguarda solamente l'attività che ha ad oggetto lo svolgimento on line del gioco d'azzardo a pagamento, come sostenuto da Go., ma anche l'attività diretta alla pubblicizzazione dei giochi medesimi. Difatti, l'ambito di applicazione della Direttiva cit. ordinariamente riguarda "l'informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea" (cfr. ventunesimo considerando) e, pertanto, avendo il legislatore escluso tout court i giochi d'azzardo dal perimetro di applicazione della Direttiva, deve ritenersi che abbia inteso lasciare fuori dal campo di regolamentazione tutte le attività riguardanti tale settore, ivi inclusa la loro pubblicizzazione on line. La materia, pertanto, è disciplinata dal solo diritto nazionale non essendovi "vincoli" comunitari posti al riguardo dalla disciplina euro-unitaria. Il D.lgs. n. 70/2003, nel recepire la Direttiva europea, per quanto qui rileva, non ha inteso estendere il campo oggettivo di applicazione della disciplina oltre quanto previsto dal diritto europeo, avendo escluso dal proprio perimetro applicativo "i giochi d'azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l'elemento aleatorio è prevalente" (art. 1, comma 2, lett. g), D.lgs. n. 70/2003). Deve, quindi, escludersi un'applicabilità diretta dell'art. 16 D.lgs. n. 70/2003 alla fattispecie in esame. 1.4. Rimane da esaminare, quindi, il profilo relativo alla possibile applicabilità delle regole di cui all'art. 16 cit. non in via diretta bensì in via indiretta. 1.4.1. Il Tar ha in proposito ritenuto tali regole applicabili in quanto espressione di un principio generale ed è quindi ricorso ad un procedimento ermeneutico che fa leva su una analogia iuris. Il Collegio ritiene, tuttavia, che non ricorrano nel caso di specie i presupposti per il ricorso all'analogia, mancando in proposito una lacuna nell'ordinamento: la disciplina di cui all'art. 16 cit. rappresenta una deroga rispetto alle regole generali in materia di responsabilità (nel caso di specie di natura) amministrativa e, pertanto, avendo il legislatore escluso l'applicabilità di tale deroga alla fattispecie de qua, si applicano tali regole generali. 1.4.2. Go. propone, altresì, un'ulteriore ipotesi ricostruttiva, ritenendo che il regime di cui all'art. 16 cit. sia richiamato dalle Linee Guida predisposte dall'Autorità per l'applicazione dell'art. 9 del Decreto dignità (Allegato A alla delibera n. 132/19/CONS del 18 aprile 2019) le quali, all'art. 3, lett. t), contengono la definizione di "proprietario del sito di diffusione o destinazione" rappresentato dal "gestore del sito internet e il gestore della pagina web secondo le definizioni contenute nella delibera n. 680/13/CONS recante il "Regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70" e tale ultimo Regolamento, a propria volta, rinvia agli articoli 14, 15 e 16 del D.lgs. n. 70/2003. Di contro, l'Autorità sostiene che Go. rientrerebbe nella diversa nozione di "proprietario del mezzo di diffusione o destinazione", di cui al par. 3.1, lett. s), delle Linee Guida cit. Posto che il legislatore, come si è sopra detto, ha escluso che nel caso di specie possa operare il regime "speciale" di responsabilità di cui all'art. 16, D.lgs. n. 70/2003, ritiene il Collegio che le Linee guida cit. debbano essere interpretate conformemente alla disciplina introdotta dalla fonte di rango primario, non potendo intervenire sul perimetro soggettivo di applicazione di tale disciplina. A conferma di ciò, può osservarsi che le medesime Linee guida stabiliscono espressamente un'esclusione per i soli "servizi gratuiti di indicizzazione mediante algoritmo forniti direttamente dai motori di ricerca o dai marketplace (es. Ap. St., Go. Pl.)" (art. 5, comma 7) e tale previsione sarebbe inutile laddove fossero esclusi "a monte" dal perimetro della disciplina tutti i servizi di indicizzazione, sia gratuiti che a pagamento. 1.5. Per completezza, infine, il Collegio osserva che comunque, nel caso di specie, Go. non rientrerebbe nel perimetro soggettivo di applicazione di tale art. 16 dal momento che opera quale hosting provider attivo. Come affermato dalla medesima Go., mentre l'ordinario motore di ricerca (Go. We. Se.) fornito dalla società consente agli utenti di ricercare su internet contenuti pubblicati da terze parti, il servizio Go. Ads, tramite il quale è stato pubblicato l'annuncio oggetto di contestazione, è un servizio di posizionamento pubblicitario online che consente agli operatori economici di pubblicare "link sponsorizzati" verso determinati siti (cosiddetti "siti di destinazione") associati a determinate parole o chiavi di ricerca, che Go. deduce essere scelte dall'inserzionista. Al momento in cui l'utente inserisce nel motore di ricerca la parola o le chiavi di ricerca, appariranno all'utente gli annunci corrispondenti sul lato destro o nella parte superiore dei risultati, preceduti dalla parola "annuncio" o da espressioni analoghe, in modo da essere maggiormente visibili rispetto ai risultati "ordinari" restituiti dal motore di ricerca, e ciò anche a non voler considerare l'incidenza dell'attività di profilazione degli utenti nella promozione degli annunci, che AGCOM imputa a Go. con un'allegazione che la seconda contesta. L'attività promozionale svolta da Go. è confermata dalla circostanza per cui gli inserzionisti remunerano il servizio in modo proporzionale rispetto alle effettive visualizzazioni che il messaggio pubblicitario riceve. Ritiene il Collegio che tale servizio pubblicitario non vede Go. quale mero hosting provider passivo, dal momento che la società svolge, mediante una gestione imprenditoriale, un servizio di indicizzazione e promozione di contenuti di terze parti non rimanendo, pertanto, "neutrale" rispetto a detti contenuti ma promuovendoli sul mercato e avendo al riguardo un proprio interesse economico alla buona riuscita di tale promozione. Go., nei sensi anzidetti, realizza quindi un "controllo" delle informazioni pubblicate e consente ai suoi clienti di "ottimizzare la loro vendita online". Risultano, quindi, integrati i presupposti richiesti dalla giurisprudenza, comunitaria e nazionale, sopra richiamata per poter qualificare un operatore quale hosting provider attivo. Alla luce di quanto esposto, emerge che l'illecito amministrativo discendente dalla violazione del divieto di cui all'art. 9 del Decreto dignità è disciplinato dalle ordinarie regole in materia di illeciti amministrativi, senza potersi fare applicazione, nel caso di specie, del regime privilegiato di responsabilità riservato agli hosting provider cd. passivi. 1.6. Può quindi passarsi ad esaminare la questione relativa alla esistenza, nel caso di specie, dell'illecito amministrativo di cui all'art. 9 cit. che pone un divieto di realizzare "qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo". Nel caso di specie, la condotta realizzata da Go. si pone in contrasto con tale previsione dal momento che è stata pubblicata dalla società la pubblicità di un sito che a sua volta conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online. Quindi, sebbene le parole chiave ("casino online") cui era associato l'annuncio nel motore di ricerca e le parole dell'annuncio medesimo non contenevano di per sé riferimenti a giochi a pagamento, la pubblicazione di tale annuncio rappresenta una violazione, da parte di Go., del precetto di cui all'art. 9 cit. in quanto, attraverso le parole utilizzate ed i link ivi presenti, ha promosso il raggiungimento, da parte dell'utente, di siti di giochi con vincite in denaro. Si è in presenza, quantomeno, di una forma di pubblicità indiretta, anch'essa vietata e consistente in "ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, a prescindere all'esplicita induzione del destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto" (art. 3, par. 1, lett. d), Linee guida cit.). Da quanto esposto, discende l'infondatezza delle deduzioni di Go. (II motivo di appello incidentale) circa la liceità dell'annuncio. 1.7. Accertata l'esistenza di una condotta vietata, deve verificarsi la presenza dell'elemento soggettivo dell'illecito. Difatti, diversamente da quanto sembra prospettare la difesa erariale nell'ambito del primo motivo di appello, come si evince dal richiamo, presente al secondo e terzo comma dell'art. 9 cit., alla L. n. 689/1981, la responsabilità amministrativa non viene ascritta al trasgressore in via oggettiva, per la mera pubblicazione della pubblicità vietata. Devono seguirsi, invece, le ordinarie regole in materia di sanzioni amministrative, potendo il soggetto sottoposto al procedimento sanzionatorio provare l'assenza di colpevolezza che, laddove si tratti di persone giuridiche, si atteggia in chiave normativa e non meramente psichica. Il Collegio osserva, anzitutto, che la condotta richiesta dall'art. 9 cit. non è di per sé inesigibile, anche laddove si sia in presenza, come nel caso che ci occupa, di intermediari di dimensioni mondiali che pubblicano giornalmente un massivo quantitativo di annunci pubblicitari, dal momento che proprio tali grandi numeri impongono a detti soggetti di dotarsi di adeguati sistemi organizzativi, anche di tipo automatizzato e con ricorso a strumenti di intelligenza artificiale, per prevenire, nei limiti di quanto esigibile, le prescrizioni poste dal legislatore nazionale a tutela di un interesse pubblico ritenuto particolarmente rilevante (id est il contrasto alla ludopatia). L'alternativa, a quanto appena osservato, non potrebbe essere rivendicare un regime di esenzione sempre e comunque ma, piuttosto, rinunciare agli (o ridurre il numero degli) inserzionisti. Go. deduce di essersi attivata in tal senso e di utilizzare un software automatico per impedire agli inserzionisti di pubblicare annunci pubblicitari in violazione di tali norme e che detto strumento nel caso di specie non ha potuto funzionare a causa dell'impiego da parte dell'inserzionista di un meccanismo fraudolento, cd. cloaking, che consiste nel mostrare al software di verifica di Go. una pagina di destinazione dell'annuncio conforme alla normativa e differente da quella che effettivamente compare agli utenti. Go., tuttavia, non ha provato l'avvenuta effettiva realizzazione di tale sistema fraudolento da parte del proprio inserzionista, essendosi limitata a produrre, sia in sede procedimentale che processuale, una relazione firmata dal responsabile del proprio dipartimento Trust & Safety Ads Content & Investigation (doc. 23 depositato da Go. in primo grado) ove viene solo affermata l'avvenuta verificazione di tale episodio, senza alcun documento, anche di natura tecnica, che consenta di comprovarlo. Anche a fronte delle specifiche contestazioni mosse al riguardo dall'Autorità, sia nel provvedimento impugnato che nel corso del giudizio, deve ritenersi che Go. non abbia provato la verificazione a suo danno di tale sistema di cloaking e, pertanto, non ha provato la sussistenza di elementi idonei ad escludere la propria colpa. 1.8. Alla luce di quanto esposto, devono ritenersi integrati tutti i presupposti dell'illecito amministrativo ascritto a Go. e, pertanto, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo dell'appello principale mentre devono essere rigettati i due motivi dell'appello incidentale di Go.. 2. Il terzo motivo dell'appello principale deve essere assorbito in quanto con tale mezzo l'Autorità, con deduzioni implicitamente subordinate all'eventuale rigetto dei precedenti due motivi articolati, muove dal presupposto, non fondato per le ragioni esposte, per cui sarebbe applicabile al caso di specie l'art. 16, D.lgs. n. 70/2003, e deduce la violazione di tale norma. 3. Deve, infine, esaminarsi il motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello da Go., circa l'erronea quantificazione della sanzione. Go., anzitutto, contesta il provvedimento dell'Autorità laddove, in considerazione dei due giorni in cui è stato pubblicato l'annuncio (14 e 15 novembre 2019), ha ritenuto essere avvenute "due distinte violazioni per ciascuna giornata" applicando il "concorso materiale di illeciti" dovendosi, invece, secondo la tesi di Go., rilevare un'unica condotta sanzionabile. Altresì, Go. contesta l'applicazione che è stata data ai parametri di quantificazione della sanzione di cui all'art. 11, L. n. 689/1981. La censura è fondata nei sensi che di seguito si espongono. L'annuncio pubblicitario oggetto di contestazione è stato pubblicato per due giorni consecutivi e, pertanto, deve considerarsi integrata un'unica violazione del precetto di cui all'art. 9 del Decreto dignità che prescrive un obbligo di non facere. Nel caso di specie, tale obbligo è stato violato da Go. con un'unica azione, consistente nella pubblicazione dell'annuncio vietato, integrandosi così un illecito istantaneo (perfezionatosi al momento della pubblicazione) con effetti che si sono protratti per due giorni. Soccorrono in proposito anche le "Linee Guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrorate dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni" (Allegato A alla delibera AGCOM 265/15/CONS), secondo cui "per la qualificazione dell'azione come "unica", è ininfluente che essa possa essersi tradotta in una pluralità di atti, in quanto ciò che rileva è che questi siano preordinati ad un unico obiettivo o effetto...una pluralità di atti materialmente posti in essere dal trasgressore integra un'unica condotta...se unico è lo scopo che governa tali atti o l'effetto materiale che essi determinano, e se tali atti si susseguono nel tempo senza apprezzabile interruzione". Pertanto, è errata la violazione dell'Autorità che ha ritenuto integrate più condotte, una per ciascuna giornata, dal momento che - essendo il medesimo l'annuncio, unico il contesto spazio-temporale in cui la pubblicazione è avvenuta ed unico il fine realizzatosi con detta pubblicazione - deve di ritenersi integrata un'unica violazione del precetto di cui all'art. 9 del Decreto dignità . Le restanti deduzioni dell'appellata sono, invece, infondate. Il legislatore ha previsto che la sanzione sia "pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000". Nel caso in oggetto, come riportato nella delibera impugnata, il 20 per cento del valore dell'inserzione pubblicitaria è inferiore al minimo edittale e, pertanto, la sanzione deve essere commisurata a tale valore, non trovando applicazione i criteri di cui all'art. 11, L. 689/1981. Alla luce di quanto esposto, in accoglimento parziale del VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello, la sanzione deve essere rideterminata in euro 50.000. 4. In conclusione, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo dell'appello principale dell'Autorità, con assorbimento del terzo motivo; devono essere respinti i due motivi dell'appello incidentale di Go. nonché deve essere accolto, nei sensi esposti, il VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello. Per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere accolto limitatamente al VII motivo, con conseguente rideterminazione della sanzione in euro 50.000. Le spese del doppio grado di giudizio, stante la novità della questione e la soccombenza reciproca, devono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: - accoglie l'appello principale dell'Autorità ; - rigetta l'appello incidentale di Go.; - accoglie il VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello; - per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie nei sensi esposti in motivazione, il ricorso di primo grado limitatamente al VII motivo, con conseguente rideterminazione della sanzione in euro 50.000. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile e 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Stefano Lorenzo Vitale - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. ACETO Aldo - Relatore Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: Po.Fr. nato a C il (Omissis) Ra.Ca. nato a E (GERMANIA) il (Omissis) Ra.Ar. nato a C il (Omissis) avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FRANCESCA COSTANTINI, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi; letta la memoria del 3 gennaio 2024 dell'AVV. CA.AL. che ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi. Ricorso trattato ai sensi ex art.23 comma 8 D.L. n. 137/20. RITENUTO IN FATTO 1.1 sigg.ri Po.Fr., Ra.Ca. e Ra.Ar. ricorrono per l'annullamento della sentenza del 18 aprile 2023 della Corte di appello di Roma che ha rigettato la richiesta di revisione della sentenza del 23 marzo 2010 della Corte di Napoli (irr. il 6 marzo 2012) che, pronunciando in sede rescissoria, li aveva definitivamente condannati alla pena di tre anni e otto mesi di reclusione e 780,00 euro di multa per i reati di cui ai capi A (artt. 81, 110 cod. pen., 44, lett. c, D.P.R. n. 380 del 2001), B (artt. 81, 110 cod. pen., 64 e 71, 65 e 72, D.P.R. n. 380 del 2001), D (artt. 81, 110 cod. pen., 181, D.Lgs. n. 42 del 2004) ed F (artt. 81, 110, 349, secondo comma, cod. pen.) della rubrica. Premettono in fatto che: (i) il 29 luglio 1984, Po.Fr., rientrata in patria dopo essere emigrata, aveva acquistato un casale colonico facente parte dell'antica Masseria Pi., sita in una selva boschiva periferica all'interno del villaggio Ar., passato dal Comune di C a quello di N; (ii) il 3 agosto 1984 agenti del Corpo Forestale dello Stato avevano accertato, a seguito di sopralluogo, che i due figli della donna si trovavano sul tetto intenti a eliminare le superfetazioni vegetali mentre la madre stava dando fuoco ai tralci buttati a terra; la scena era stata riportata nel verbale e riprodotta fotograficamente; la donna, invitata a mettersi in regola, il giorno dopo aveva presentato regolare istanza al municipio; (iii) il 15 dicembre 1986 la Po.Fr. aveva stipulato un atto notarile per regolare i confini con i vicini; (iv) il 13 agosto 2003 la Polizia Municipale aveva effettuato un sopralluogo rilevando lavori per la sistemazione del muro di confine e dell'area circostante senza riscontrare lavori in corso o operai al lavoro; (v) dai successivi accertamenti era emerso che era stato chiesto il ed. "condono-ter" e che il fabbricato non risultava esistente in un rilievo datato 12 maggio 2003 estratto dal programma Google Earth; (vi) il Comune, però, affermando di aver effettuato un sorvolo con mezzi propri aveva intrapreso la demolizione del fabbricato, sospesa e poi annullata dal Consiglio di Stato previo incarico peritale al Ministero delle Infrastrutture; (vii) il documento originale, benché richiesto dalla Commissione incaricata dal Consiglio di Stato di svolgere gli accertamenti, non era stato prodotto né rinvenuto negli atti depositati presso l'Ufficio Antiabusivismo del Comune di Napoli; (viii) il Consiglio di Stato, oltre alla data di ultimazione delle opere, aveva anche chiesto di accertare se e quali vincoli gravassero sull'area e se fossero tali da precludere la condonabilità delle opere; la Commissione aveva risposto negativamente; (ix) a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, previa diffida inutilmente inviata al Comune il 24 luglio 2017, avevano provveduto al ripristino in proprio dello stato dei luoghi ed avevano avviato l'azione di recupero delle somme occorse; (x) medio tempore, con ulteriore decisione era stata annullata l'iscrizione a ruolo delle spese di demolizione ed il Comune condannato a supportare gli oneri di giudizio; (xi) tratti a giudizio in sede penale, i ricorrenti erano stati irrevocabilmente condannati per la violazione dei vincoli ambientali ma assolti per il reato di truffa correlato al rilascio dei condoni edilizi; (xii) in sede di revisione avevano sostenuto: - di non aver preso parte a nessuna delle fasi processuali per mancanza di notifica degli atti introduttivi; nel merito, ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: - che l'area sulla quale insiste l'abitazione non è quella oggetto di giudizio; - che quella effettiva non è vincolata e che la costruzione di epoca rurale, che si erano limitati a rendere abitabile senza alcuna variazione, risale a tempo immemore; - che a seguito della scoperta di nuove prove con metodologie all'epoca non esistenti, un tecnico, da loro incaricato, invece di sanare i fabbricati rurali "fantasma", ha erroneamente chiesto il condono per ciascuno dei tre occupanti, errore poi riparato provvedendo al relativo adempimento; - che nella sentenza di primo grado si afferma che la costruzione rientra nel piano territoriale "(Omissis)" del Comune di N, perimetrato ai sensi del D.M. 25 gennaio 1958; - che, in realtà, il decreto si limita ad indicare le misure trigonometriche da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale; solo nel 2004 è stata varata la normativa che vincola l'area così misurata; - che l'area "(Omissis)" nella quale, secondo la sentenza di primo grado (che ciò affermava in base al parere di un dirigente del Comune di N mai ritrovato in atti), sarebbe stata realizzata l'opera è in realtà quella di "(Omissis)" che comprende un raggruppamento di casali rurali appartenuti al Comune autonomo di C divenuto più recentemente la Vili municipalità del Comune di Napoli, area perimetrata diversamente con il DM 21 gennaio 1997; ché, anzi, l'area densamente abitata sulla quale insiste la costruzione non rientra nemmeno in tale perimetrazione, tant'è vero che ad oggi sarebbero possibili nuovi insediamenti; - che, in ultima analisi, sono stati condannati per violazioni normative non esistenti nell'anno 2003 perché entrate in vigore nel 2004, in epoca cioè successiva al sopralluogo del 13 agosto 2003; - che dall'esame di un atto di divisione del 1929, tutto scritto a mano, è stato possibile individuare in forma specifica i beni immobili che costituivano il complesso della Masseria Pi. di cui faceva parte il casale che, in base alla copia cartacea della ed. "(Omissis)" borbonica del 1891 della mappa di C riferita alla particella (Omissis), era composta da vari fabbricati tra i quali quello dei ricorrenti; - che un notaio aveva accertato le preesistenze che, essendo rurali, non erano accatastate e quindi non erano citate nell'atto di trasferimento, provvedendo così ad integrare l'atto di acquisto del 1984; - che a mezzo di georadar era stato possibile indagare la malta ed i componenti della struttura per prelevare campioni dal sottosuolo ai fini della geodatazione; - che le impronte impresse sulla canapina per fini fiscali avevano consentito, a mezzo del "metaverso", la ricostruzione virtuale della Masseria e delle sue strutture coloniche; - che, utilizzando un drone, era stata effettuata un'avioripresa che aveva consentito di visualizzare l'area perimetrata indicata in sentenza e come l'abitazione ne fosse collocata all'esterno; - che erano state acquisite presso l'Istituto Geografico Militare tutte le riprese aeree della zona dal 1943 al 2003 ed attraverso appositi programmi di lettura era stato possibile dimostrare l'esistenza del fabbricato rurale, inizialmente oscurato dalla fitta vegetazione; - che era stata prodotta copia del verbale del Corpo Forestale dello Stato, con relative fotografie, a testimonianza dello stato del fabbricato nel 1984, nel corso dei lavori di disboscamento occorsi per mettere a nudo la casa sepolta nella selva da secoli di abbandono; - che un pool di tecnici qualificati aveva effettuato accurate sovrapposizioni e confronti con documenti ufficiali ed erano pervenuti, per campi diversi di specializzazione, alle medesime conclusioni con due diverse consulenze giurate che scagionavano i ricorrenti; - che anche l'intelligenza artificiale Chat GPT aveva confermato che l'area in questione non era soggetta a vincoli; ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.: - che due sentenze della Corte di appello di Napoli, divenute irrevocabili successivamente alla condanna impugnata, avevano annullato la demolizione ed ordinato la restituzione dell'immobile per le identiche imputazioni; - che, in particolare, con sentenza n. 8369/2014, irr. il 18/02/2015, la Corte di appello di Napoli, nel giudicare i medesimi reati, compreso quello della violazione dei vincoli, aveva dichiarato il reato estinto per prescrizione, revocando di conseguenza l'ordine di demolizione e autorizzando la rimessione in pristino con restituzione dei beni avvenuta l'8/07/2015; che analoga decisione era stata presa con sentenza n. 7475/2014, irr. l'11/04/2015, pronunciata dalla Corte di appello nei confronti dei due figli; ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.: - che si era fatto ricorso alla dichiarazione rilasciata in sede di indagini difensive da uno dei tre agenti che non avevano testimoniato in giudizio; (xiii) la Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha ritenuto inammissibili le istanze presentate ai sensi delle lettere a) e d) dell'art. 630 cod. proc. pen., ed ha respinto quella proposta ai sensi della lettera c). Tanto premesso in fatto, deducono, in diritto, i seguenti motivi. 1.1. Con il primo deducono la violazione dell'art. 495, commi 1 e 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non è stata disposta l'ammissione di prove decisive a sostegno dell'eccepita omessa notificazione del decreto di citazione a giudizio. 1.2. Con il secondo motivo, relativo alla nomina del perito e al conferimento dell'incarico peritale avente ad oggetto l'esistenza di vincoli gravanti sull'area al tempo della costruzione, alla formulazione dei relativi quesiti, alla relazione peritale, all'attività del perito, all'incapacità settoriale specifica, deducono, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 226, comma 2, 228, comma 3, 234-bis, 471, comma 1, 477, comma 3, 501, comma 1, 502, comma 1, 526, comma 1, 586, comma 1, cod. proc. pen. 1.3. Con il terzo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. c) e d), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nonché l'inosservanza degli artt. 220, comma 1, 234, comma 1, 234-bis, comma 1, 501 cod. proc. pen. 1.4. Con il quarto motivo deducono la violazione del principio della prova, l'omesso accertamento della perimetrazione dell'area vincolata, la violazione della presunzione di innocenza, lo sviamento della decisione, l'evidenza della abnormità, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 65, 167, 139, comma 3, 187, 191, 192, commi 1 e 2, 238-bis, 327-bis cod. proc. pen., nonché del D.P.R. n. 380 del 2001, del D.Lgs. n. 42 del 2004, del D.M. 25/01/1958 (perimetrazione dell'area "Omissis"), del D.M. 21/01/1997 (perimetrazione dell'area "Omissis"), nonché il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte riguardante l'individuazione dei vincoli, la conoscenza della cartografia storica, le prove scientifiche presentate. 1.5. Con il quinto motivo deducono la violazione delle norme tecniche a fini di prova, l'omesso accertamento dell'aerofotogrammetria, lo sviamento della decisione, l'evidenza dell'abnormità, il contrasto di giudicati e la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione formulata ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett a), cod. proc. pen. 1.6. Con il sesto motivo deducono la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione formulata ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett d), cod. proc. pen. 2. Con nota del 9 dicembre 2023, il difensore ha depositato l'atto di rinuncia alle domande di condono depositate dai ricorrenti al Comune di N il 6 novembre 2023. 3. Con articolata memoria del 3 gennaio 2024 il difensore ha replicato alla richiesta del Procuratore generale di inammissibilità dei ricorsi concludendo per il loro accoglimento e, dunque, per l'annullamento della sentenza impugnata per la nullità del decreto di rinvio a giudizio, o comunque per la loro assoluzione piena o, infine, per la declaratoria di non doversi procedere nei loro confronti per essere i reati estinti per prescrizione. 4. Il 5 gennaio 2024 sono pervenute, per il tramite dell'Avv. Ca.Al., note manoscritte di pugno dai ricorrenti che chiedono che il caso venga riesaminato a loro favore. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1 ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate. 2.Premette il Collegio: 2.1. gli odierni ricorrenti erano stati tratti a giudizio per rispondere dei seguenti reati: a) del reato p. e p. dagli artt. 110, 81, cpv., cod. pen., 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, per avere, in concorso tra loro, quali comproprietari e committenti, iniziato, continuato ed eseguito, in assenza del permesso di costruire, in zona sottoposta a vincolo ai sensi degli artt. 131 e segg., D.Lgs. n. 42 del 2004, le seguenti opere: sbancamento del suolo di circa 700 mq ricavando due terrazzamenti con realizzazione di due manufatti, rispettivamente di circa 150 mq. l'uno, e di circa 200 mq., l'altro. Successivamente, in violazione dei sigilli, realizzavano sul manufatto di 150 mq. una nuova struttura di 150 mq. Successivamente, in ulteriore violazione dei sigilli, proseguivano i lavori presso i due manufatti, presentandosi, l'uno, composto da piano terra e primo piano tramezzato e tompagnato, l'altro da solaio di copertura munito di manto in cemento armato come il calpestio del piano terra. Antistante detto fabbricato veniva effettuato uno sbancamento del terreno per circa 500 mq. Ancora, veniva scaricato sull'area di circa 600 mq. terreno vegetale che veniva livellato e parte versato nel vallone sottostante. Successivamente, in violazione dei sigilli, proseguivano i lavori presso i due manufatti, presentando, l'uno, al primo piano due appartamenti completi e rifiniti, l'altro un unico locale intonacato con due cancelli in ferro agli accessi. Successivamente, in ennesima violazione dei sigilli, il primo piano del manufatto sul lato destro presentava due unità immobiliari complete con infissi interni ed esterni. Ancora, in violazione dei sigilli, i due manufatti venivano forniti di energia elettrica e i due appartamenti al primo piano del manufatto sul lato destro venivano arredati ed abitati. b) della contravv. di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 64-71, 65-72 D.P.R. n. 380 del 2001, perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, realizzavano le strutture in cemento armato, indicate al capo che precede, non in base a progetto esecutivo, senza previa denunzia dei lavori al Genio Civile e senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico competente; c) delle contravv. di cui agli artt. 83 e 95, D.P.R. n. 380 del 2001, 2, legge reg. Campania, n. 9 del 1983, per aver eseguito i lavori di cui al capo a) in zona sismica omettendo di depositare, prima dell'inizio dei lavori, gli elaborati progettuali presso l'Ufficio del Genio Civile competente; d) del reato di cui all'art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all'art. 181, D.Lgs. n. 42 del 2004, per aver eseguito le opere di cui al capo a) in area o su bene sottoposto a vincolo paesaggistico ambientale in assenza dell'autorizzazione prescritta dall'art. 146, D.Lgs. n. 42, cit. e) del reato di cui agli artt. 110, 734 c.p., per avere, mediante le opere di cui al capo a), distrutto alterato le bellezze naturali dei luoghi, soggetti alla speciale protezione dell'autorità ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004; I reati di cui ai precedenti capi di imputazione erano stati contestati come accertati in Napoli, alla via (Omissis), fino al 19.10.2004. f) del reato di cui agli artt. 81, 110 e 349 c.p. per aver, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la Po.Fr. quale custode nominato fino al 2 marzo 2004 all'atto del sequestro della p.g. e Ra.Ar. quale custode nominato in data 28.6.2004, in concorso tra loro e con Ra.Ca., violato i sigilli apposti al manufatto di cui al capo a) al fine di proseguire i lavori; il reato era contestato come accertato in Napoli, nel luogo di cui sopra, il 22.9.2003, il 10.11.2003, il 21.1.2004, il 2.3.2004, il 28.6.2004 ed il 19.10.2004; g) del reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 61, n. 2, 110, 483 cod. pen., per aver, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro ed al fine di eseguire il reato indicato al capo che segue, attestato falsamente in tre dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà presentate al Comune di Napoli che le edificazioni site in N alla (Omissis) di cui al capo a) erano state realizzate nelle strutture portanti in data antecedente al 1.3.2003; fatto come commesso in N, il 19.1.2004. h) del reato di cui agli artt. 81 56, 640, commi primo e secondo, n. 1), cod. pen. perché, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nelle istanze presentate al Comune di Napoli, in data 21.1.2004, dirette ad ottenere il rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le opere indicate al capo, a) dichiaravano che le opere erano state ultimate il 1 marzo del 2003, compiendo in tal modo atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore l'autorità amministrativa preposta al rilascio del permesso in sanatoria. 2.2. Con sentenza del 21 maggio 2008 la Corte di appello di Napoli aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di Po.Fr., Ra.Ar. e Ra.Ca., in ordine alle contravvenzioni loro ascritte ai capi c) ed e) del capo d'imputazione, perché estinte per prescrizione, e aveva rideterminato in anni tre, mesi undici e giorni 20 di reclusione ed euro 1480 di multa la pena per le residue imputazioni, confermando nel resto l'impugnata sentenza. 2.3. Con sentenza Sez. 3, n. 23874 dell'8 aprile 2009, la Corte di cassazione, adita dagli odierni ricorrenti, aveva rigettato le doglianze relative alla prescrizione (dedotta con il primo motivo) ma aveva accolto il secondo motivo con il quale era stata sostenuta l'insussistenza dei reati di falso e truffa perché non era stata accertata la data di ultimazione dei lavori e non era stata apprezzata la decisione del Consiglio di Stato del 1 ottobre del 2007 da cui risultava che non era possibile stabilire con precisione la data di completamento delle opere, aggiungendo che i rilievi fotografici richiamati dalla Corte di appello avrebbero potuto riferirsi ad un'area diversa. 2.4. Afferma va la Corte: "(è) ben vero che, in tema di condono edilizio previsto dai D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32 (conv. con modificazioni nella L 30 novembre 2003, n. 326), ove il reato sia stato accertato in data successiva al 31 marzo 2003, termine utile ai fini della condonabilità dell'opera, ed al momento dell'accertamento i lavori non erano ancora ultimati, è onere dell'imputato che invoca l'applicazione della speciale causa estintiva provare che l'opera era stata ultimata entro il predetto termine, fermo restando il potere -dovere del giudice di accertare la data effettiva del completamento dell'opera abusivamente eseguita (Cass. N. 7880 del 1999, n. 13071 del 1999), ma nella fattispecie si erano contestati anche i delitti di falso e truffa sulla premessa che gli interessati avevano dichiarato in un atto diretto al Comune che le opere erano complete al rustico alla data del 1 marzo del 2003. Quindi, ai fini dell'affermazione di responsabilità per tali reati, incombeva all'accusa dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la falsità dell'attestazione. La corte ha desunto tale falsità dai rilievi aerofotografici acquisiti agli atti dai quali secondo i giudici del merito emergeva l'inesistenza di manufatti alla data del 12 maggio del 2003. Tale rilievo fotografico è stato contestato dai ricorrenti sia in questo giudizio che in quello amministrativo instaurato a seguito del diniego del condono. Nel giudizio amministrativo, per superare le incertezze, come risulta dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5038 del 2007 prodotta dai ricorrenti, si era demandato al Servizio Infrastrutture l'accertamento degli elementi rilevanti ai fini della definizione della controversia. L'accertamento però non dette risultati certi perché "era difficile stabilire, con una disamina obiettiva, l'esattezza dello stato dei luoghi alla data del 12 maggio 2003". Pertanto il Consiglio di Stato accolse il ricorso dei ricorrenti. La sentenza del Consiglio di Stato prodotta in appello non è stata in alcun modo esaminata dalla corte, la quale, come sopra precisato, si è limitata a richiamare la foto senza tenere conto degli ulteriori accertamenti disposti in sede amministrativa e delle contestazioni dei ricorrenti. Pertanto la sentenza impugnata va annullata con rinvio sul punto. La corte territoriale dovrà riesaminare la documentazione fotografica tenendo conto degli accertamenti compiuti in sede amministrativa". 2.5. Le sentenze (gemelle) del giudice amministrativo alle quali aveva fatto riferimento la Corte di cassazione sono quelle del Consiglio di Stato (nn. 5036, 5037, 5038) che, definitivamente pronunciando sull'impugnazione dei provvedimenti del maggio 2004 del Comune di Napoli - che aveva respinto l'istanza di condono di opere abusive avanzate dagli odierni ricorrenti in data 21 gennaio 2004, disponendo altresì la demolizione delle stesse ed il ripristino dello stato dei luoghi -, ha accolto i ricorsi. Il Consiglio di Stato aveva convenuto con i ricorrenti che la documentazione versata dal Comune in sede di costituzione non era idonea a comprovare la effettiva situazione di fatto alla data del 1° marzo 2003. Per questa ragione il Servizio Infrastrutture - Servizi Integrati Infrastrutture e Trasporti Campania - Ministero Infrastrutture e Trasporti, era stato incaricato di procedere agli accertamenti degli elementi rilevanti ai fini della definizione della controversia. In particolare, il Servizio avrebbe dovuto accertare: "a) la data di ultimazione delle opere abusive per cui è causa, con riguardo alla documentazione, anche aerofotogrammetrica, in originale esistente agli atti del Comune di Napoli e ad ogni altro utile elemento rilevabile in loco o desumibile dalla documentazione di parte; b) la riferibilità dei rilievi aerofotogrammetrici, oltre che alle particelle interessate, specificatamente ai corpi di fabbrica oggetto di esame; c) la riferibilità dei sopralluoghi del Comune di Napoli successivi alla data del 12.5.2003 - versati in atti - alle opere abusive oggetto di esame o ad opere diverse ovvero a lavori successivi all'ultimazione delle opere; d) la assunta inerenza dei contratti di fornitura gas nell'anno 2002 a fabbricati diversi da quelli di cui all'odierna controversia; e) le modalità di effettuazione dei rilievi aerofotogrammetrici oggetto di causa e gli eventuali limiti di visualizzazione dall'alto dei manufatti esistenti, connessi all'uso di tali strumenti, anche con riferimento alle argomentazioni difensive di cui alla memoria di parte appellante depositata il 17 marzo 2005; f) i vincoli eventualmente esistenti sull'area sulla quale insistono le costruzioni e se essi precludano, ex se, la condonabilità delle opere ai sensi della legge n. 326/2003; g) ogni altro elemento utile ai fini della pronuncia giudiziale in ordine alla controversia". All'esito degli accertamenti, il Servizio aveva così concluso: "dal rilievo ortofoto con annessi ingrandimenti è alquanto difficile stabilire, con una disamina obiettiva, l'esattezza dello stato dei luoghi alla data del 12.5.2003. Infatti si ritiene che un approfondimento in tal senso richiederebbe un documento aerofotogrammetrico originale. Tale documento (richiesto dallo scrivente con nota n. 5233 del 26.4.2006 al Comune di Napoli) non è stato rinvenuto negli atti depositati presso l'Ufficio Abusivismo del Comune di Napoli. Tenuto conto che tale requisito risulta prevalente non si ritiene opportuno entrare nei restanti elementi prodotti dalle parti interessate". 2.6. Il Consiglio di Stato aveva condiviso le conclusioni del Servizio stigmatizzando il comportamento non collaborativo del Comune che non aveva prodotto un documento rilevante ai fini della definizione della causa "non potendosi invero ragionevolmente ritenere che il controverso intervento demolitorio sia stato disposto dall'Amministrazione in assenza di un "documento aerofotogrammetrico originale" che, solo, alla stregua dell'esito della verificazione, avrebbe potuto consentire l'accertamento dello stato dei luoghi alla data del 12.5.2003. Dal rilevato comportamento omissivo dell'Amministrazione nella vicenda processuale che ne occupa devono trarsi le dovute conseguenze a norma dell'art. 116, secondo comma, Cod. proc. civ.". 2.7.AII'esito dell'annullamento con rinvio, la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 23 marzo 2010, aveva assolto gli imputati dai reati loro ascritti ai capi G (art. 483 cod. pen.) ed H (artt. 56, 640 cod. pen.) ma ne aveva confermato le condanne per i residui reati di cui ai capi A, B, D ed F. 2.8. La Corte di cassazione, Sez. 4, n. 17219 del 6 marzo 2012, aveva dichiarato inammissibili i ricorsi avverso la sentenza della Corte di appello perché manifestamente infondati. I ricorrenti avevano dedotto che "la Corte d'appello, nell'escludere l'esistenza dei reati di falso e truffa, (aveva) implicitamente ritenuto che non si concretasse prova che le opere non fossero state ultimate al grezzo prima del 1 marzo 2003. Se ne sarebbero dovute trarre le necessarie conseguenze anche in tema di prescrizione e condono ai sensi della L. n. 326 del 2003. La pronunzia, inoltre, reca motivazione apparente quanto alla prova della protrazione delle condotte oltre il 1 marzo 2003, senza che alcunché deponesse in tal senso". Nel ritenere la manifesta infondatezza dei ricorsi, la Corte di cassazione osservava che il tema della prescrizione era ormai coperto da giudicato posto che l'annullamento con rinvio era stato deciso in relazione ai soli fatti per i quali era intervenuta sentenza assolutoria. 6. Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato. 6.1. L'istituto della revisione di cui all'art. 630 cod. proc. pen., quale mezzo di impugnazione straordinaria, non può essere utilizzato per dedurre nullità verificatesi nel processo definito con sentenza irrevocabile. Le nullità verificatesi nel processo di cognizione, pur se assolute ed insanabili, trovano il loro limite preclusivo nel perfezionarsi del giudicato (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Maritan, Rv. 263598, richiamata, in motivazione, da Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric). 6.2. L'eventuale nullità degli atti introduttivi del giudizio che abbiano determinato un'errata dichiarazione di contumacia o di assenza può essere fatta valere, concorrendone le altre condizioni, con il rimedio della restituzione del termine di cui all'art. 175 cod. proc. pen. (nella versione vigente prima delle modifiche introdotte dall'art. 11 legge n. 67 del 2014), in caso di sentenza contumaciale, o con quello della rescissione del giudicato di cui all'art. 629-bis cod. proc. pen., in caso di sentenza pronunciata in assenza. 6.3. Come correttamente affermato dalla Corte di appello (che peraltro ha escluso le dedotte nullità) la nullità degli atti introduttivi del giudizio non rientra in nessuno dei casi per i quali è consentita la revisione, non di certo nel caso previsto dall'art. 630, lett. a), cod. proc. pen. 6.4. Peraltro, nel caso di specie, gli odierni ricorrenti erano perfettamente a conoscenza della pendenza del processo poiché il decreto di citazione diretta a giudizio era stato loro notificato una prima volta il 14 luglio 2005 ed una seconda volta il 21 novembre 2005. La seconda notifica era stata disposta dal Tribunale perché la prima udienza era stata fissata il 28 ottobre 2005, senza il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all'art. 552, comma 3, cod. proc. pen., tenuto conto del periodo di sospensione feriale dei termini (all'epoca di quarantacinque giorni). 7. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente. 7.1. Una premessa si impone: i ricorrenti hanno inteso sottoporre al giudice della revisione nuove prove a sostegno della condonabilità, ai sensi dell'art. 32, commi 25 e segg., D.L. n. 269 del 2003, conv. con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003, delle opere abusivamente realizzate. Si afferma, in ultima analisi, che: a) tali opere erano state ultimate entro il 31 marzo 2003; b) l'area di intervento non era sottoposta a vincoli alla predetta data. 7.2. Su questi argomenti di prova la Corte di appello ha ritenuto l'ammissibilità dell'istanza e ha incaricato un perito di accertare: a) la data di commissione degli abusi, le dimensioni, le volumetrie e la tecnica costruttiva, se si trattasse di nuova costruzione o di ristrutturazione; b) l'esistenza di qualsivoglia vincolo gravante sull'area interessata, il rilascio di eventuali autorizzazioni o nulla-osta, la eventuale condonabilità degli abusi, avuto riguardo alle aerofotogrammetrie del 12 maggio 2003, alle consulenze di parte e ai sequestri effettuati tutti dopo il 31 marzo 2003; c) se gli interventi riguardassero o meno un rudere preesistente. 7.3. Il perito ha fornito le seguenti risposte: a) le due opere erano state iniziate in epoca successiva al 23 giugno 2003, avevano una volumetria, rispettivamente, di me. 1092, la prima, di me. 762, la seconda, e consistevano in nuove costruzioni; b) sull'area interessata dagli interventi gravava il vincolo paesaggistico relativo al PTP di (Omissis); c) non vi erano ruderi preesistenti. 7.4. Tali conclusioni sono state ribadite in sede di esame del perito all'udienza del 6 ottobre 2022 e con risposte scritte alle osservazioni successivamente formulate dal difensore degli odierni ricorrenti. 7.5. I ricorrenti deducono, con il secondo ed il terzo motivo, la violazione delle norme processuali specificamente indicate nel "Ritenuto in fatto" dell'odierna sentenza. 7.6. La dedotta violazione di norme processuali è supportata dall'ampio (quanto inammissibile) richiamo al consistente supporto probatorio allegato al ricorso (di parte del quale i ricorrenti suggeriscono la visione) in mancanza di allegazione del travisamento delle prove utilizzate dalla Corte di appello ai fini della decisione. Non solo: i ricorrenti insistono sul fatto che le opere realizzate consistevano in meri interventi di conservazione e manutenzione (pag. 19 del ricorso) negligendo del tutto la circostanza che la rubrica contestava loro la realizzazione e la prosecuzione abusiva delle opere fino al 19 ottobre 2004, data dell'ultimo sequestro apposto alle opere stesse a seguito dell'ennesima violazione dei sigilli. 7.7. Orbene, il punto è proprio questo: a prescindere da tutte le considerazioni difensive, resta il fatto che le opere oggetto di condanna non avrebbero mai potuto essere condonate (né sanate in via ordinaria) e gli imputati non avrebbero mai potuto essere assolti dai reati loro ascritti. 7.8. A tal fine è necessario avere riguardo al fatto così come descritto dalla rubrica il quale contesta la definitiva realizzazione di opere abusivamente ultimate nell'autunno 2004; il fatto è unico e non scorporabile in tante frazioni, l'una precedente al 31 marzo 2003, le altre successive. L'eventuale condono riguarderebbe un manufatto non più esistente e inciderebbe sull'unicità del prodotto del reato la cui natura abusiva ed illecita non può essere scissa. La porzione di edificio realizzata al 31 marzo 2003 è superata ed assorbita dalle opere effettuate sine titulo in epoca successiva, opere in relazione alle quali non è mai stata chiesta la revisione della condanna. 7.9. In buona sostanza, la sanatoria avrebbe dovuto riguardare l'immobile nella sua interezza non una sola porzione ormai persa nella (e dalla) novità dell'intero fabbricato. Revisioni parziali non sono ammesse (nel senso che è ammissibile l'istanza di revisione di condanna per reato edilizio, fondata sulla produzione di nuove certificazioni dimostranti la perfetta identità tra l'immobile abusivo e quello oggetto di un provvedimento di sanatoria che il giudice del merito aveva invece ritenuto non provata, escludendo l'invocato effetto estintivo, cfr. Sez. 3, n. 45184 del 10/10/2013, Crea, Rv. 257727 - 01). 7.10. Del resto, l'art. 35, comma 13, legge n. 47 del 1985 (richiamato dall'art. 32, comma 25, D.L. n. 269 del 2003) espressamente stabiliva che, decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda di condono e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria poteva completare sotto la propria responsabilità le opere non comprese tra quelle indicate dall'art. 33 come non suscettibili di sanatoria. A tal fine, l'interessato doveva notificare al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, e poteva iniziare i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. 7.11. Questa Corte ha affermato al riguardo che, in difetto di tali adempimenti, la prosecuzione dei lavori configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Sez. 3, n. 3530 del 08/11/2000, Martino, Rv. 218001 - 01; Sez. 3, n. 7896 del 10/05/1999, Cimini, Rv. 214368 - 01). È stato altresì precisato che il rispetto della procedura prevista dall'art. 35, comma 13, cit., legittima solo gli interventi di completamento funzionale dell'opera per la quale è stata presentata la domanda di sanatoria (Sez. 3, n. 12984 del 09/01/2009, Rullo, Rv. 243095 -01). 7.12. Non possono pertanto essere effettuati interventi che mutano sostanzialmente l'immobile oggetto del condono; la domanda di sanatoria non può costituire lo strumento per legittimare interventi edilizi completamente diversi da quelli condonabili. Deve cioè sussistere una perfetta coincidenza tra l'opera esistente ed ultimata al 31 marzo 2003 (nei termini indicati dall'art. 31, comma 2, I. n. 47 del 1985) e quella effettivamente condonata, coincidenza che, pur tenendo conto della necessità di completare i manufatti per i quali era stato eseguito il rustico e completata la copertura, non consentiva di sfruttare il "condono" per sanare edifici totalmente diversi e nei quali la struttura esistente al 31 marzo 2003 ha perso la sua individualità. 7.13. Nel caso di specie, peraltro, non solo i ricorrenti non hanno mai allegato alcunché a sostegno della legittimità della prosecuzione dei lavori dopo la presentazione della domanda di condono ma hanno proseguito nei lavori prima della presentazione della domanda stessa effettuando, complessivamente, interventi che andavano ben oltre il semplice completamento funzionale dell'opera. 7.14. Ne consegue che la domanda di revisione, sotto questo profilo, non era ammissibile (nel senso che l'inammissibilità dell'istanza di revisione, ove non dichiarata dal giudice di appello, deve essere pronunziata, anche d'ufficio, dalla Corte di cassazione, Sez. 5, n. 39794 del 05/07/2023, Mastrolia, Rv. 285230 -01). 8. Le considerazioni che precedono rendono superfluo l'esame degli altri motivi e della articolata memoria del 3 gennaio 2024 del difensore. 9. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4070 del 2023, proposto da -OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); contro Università degli Studi Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi Perugia e di -OMISSIS--OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2024 il Cons. Rosaria Maria Castorina; Viste, altresì, le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'appellante, originario ricorrente, impugnava innanzi al Tar Umbria gli atti relativi alla procedura di selezione per la copertura di n. 1 posto di Professore Universitario - prima fascia - settore concorsuale 01/B1-S.S.D.-INF/01, presso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell'Università degli Studi di Perugia, da coprire mediante chiamata ai sensi dell'art. 24, comma 6 della L. 240 del 30.12.2010. In particolare l'appellante impugnava la Deliberazione Consiliare del-OMISSIS- (pubblicata in data 19 novembre 2019), "nella parte in cui viene deliberata a maggioranza la designazione dell'intera commissione, per la nomina del Professore di I Fascia - Posto PO SSN INF/01, mediante sorteggio, piuttosto che dal Rettore, come previsto dall'art. 4 del "Regolamento dell'Università di Perugia per la chiamata dei Professori ex artt. 18 e 24 della legge 240/2010". Successivamente, con il primo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 21 settembre 2020, l'appellante ha impugnato i verbali nn. 1 e 2 della Commissione di concorso e il Decreto Rettorale n. 1124/2020, con il quale è stata nominata la Commissione medesima. Con provvedimento cautelare emesso all'esito della Camera di Consiglio del 20 ottobre 2020 il Collegio ha rigettato l'istanza cautelare in ragione della "mancata adozione allo stato del provvedimento rettorale di conclusione del procedimento". Successivamente, il Rettore dell'Università degli Studi di Perugia ha adottato il decreto rettorale n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2020 con il quale sono stati approvati gli atti della procedura concorsuale e, per l'effetto, dichiarato vincitore della procedura il Prof. -OMISSIS-. Infine, a conclusione della procedura, il Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo, acquisito il parere del Senato Accademico, con delibera assunta in data -OMISSIS-e pubblicata sull'Albo on-line in data 3 e 4 dicembre 2020, ha approvato la proposta di chiamata del Prof. -OMISSIS- deliberata dal Consiglio del dipartimento interessato. L'appellante impugnava il decreto rettorale del -OMISSIS-(ma non anche la delibera del consiglio di amministrazione dell'ateneo del -OMISSIS-), per invalidità derivata, con ricorso per motivi aggiunti, facendo valere le medesime censure sollevate nel ricorso principale e nel primo ricorso per motivi aggiunti. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 24 febbraio 2021, il Tar respingeva la domanda cautelare proposta con il secondo ricorso per motivi aggiunti, in quanto "non sussiste alcuna preclusione definitiva al conseguimento del bene della vita connesso alla pretesa azionata in caso di eventuale accoglimento del gravame con annullamento dell'esito della procedura concorsuale e conseguente caducazione degli atti posti a valle della procedura valutativa". In attesa della definizione nel merito della causa, il Prof. -OMISSIS- ha proposto due ulteriori ricorsi innanzi al TAR Umbria (uno dei quali è stato poi rinunciato), aventi a oggetto l'impugnazione del Decreto Rettorale n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2020 del Rettore dell'Università degli Studi di Perugia. Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato in data 9 marzo 2021, l'appellante ha impugnato i medesimi atti già oggetto di impugnazione nel giudizio innanzi al TAR. Con sentenza n. -OMISSIS- del 30.05.2022 il Tar Umbria ha dichiarato il ricorso del Prof. -OMISSIS- inammissibile per violazione del principio di alternatività . Così definiti gli altri giudizi incardinati dall'odierno appellante innanzi al Tar Umbria per l'impugnazione del D.R. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2020, all'esito della trattazione dell'originario giudizio R.G. n. 92/2020, la cui decisione è oggetto della presente impugnazione, il Giudice ha dichiarato il ricorso "improcedibile per mancata impugnazione il provvedimento conclusivo della procedura stessa" e "irricevibili, ai sensi dell'art. 35, comma \1, lett. a), cod. proc. amm., in quanto tardivamente notificati" i secondi motivi aggiunti. Appellata ritualmente la sentenza resistono il prof. -OMISSIS--OMISSIS- e l'Università degli studi di Perugia. All'udienza del 20 febbraio 2024 la causa passava in decisione. DIRITTO 1.Con il primo motivo di appello l'appellante deduce l'erroneità della sentenza per aver ritenuto la improcedibilità del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti ex art. 35, comma 1, lett. c) cpa. Evidenzia la natura di atto presupposto degli atti validamente impugnati (D.R. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2020 comunicatogli direttamente in data 17 novembre 20 e la mera natura presupponente della Delibera del Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo del -OMISSIS-e del successivo D.R. n. 2229 del 30 novembre 2020 di nomina del Prof. -OMISSIS--OMISSIS-, atti che la sentenza erroneamente ritiene che avrebbero dovuto essere impugnati per potersi decidere nel merito il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti. La censura è fondata. Il Tar ha osservato "L'Amministrazione ha precisato che alla luce del vigente Regolamento per la chiamata dei professori e dei ricercatori, ed in particolare dei relativi artt. 8, comma 2, e 9, comma 6, l'atto conclusivo della procedura concorsuale per cui è causa deve essere identificato non già nel provvedimento di nomina del candidato risultato maggiormente idoneo alla copertura del posto (atto del quale il predetto regolamento non fa, in realtà, nemmeno menzione), ovvero nel D.R. n. 2229 del 30 novembre 2020, bensì nella delibera con la quale il Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo, acquisito il parere del Senato Accademico, ha approvato la proposta di chiamata del prof. -OMISSIS- deliberata dal Consiglio del Dipartimento interessato. Tale delibera è stata assunta dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del -OMISSIS-previo parere rilasciato il giorno prima dal Senato Accademico, e le suddette deliberazioni sono state pubblicate all'albo on line dell'Ateneo, rispettivamente, in data 3 e 4 dicembre 2020 (come da estratto di pubblicazione); pertanto, per rendere ancora attuale il proprio interesse al ricorso, il prof. -OMISSIS- avrebbe dovuto gravare anche detti atti entro il 2 febbraio 2021". Il provvedimento conclusivo della procedura per cui è causa va certamente individuato nella delibera di approvazione del Consiglio di Amministrazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 18 comma 1, lett. e), l. n. 240 del 2010, 8, comma 2, e 9, comma 6, del Regolamento per la chiamata dei professori dell'Università degli Studi di Perugia, non gravata dal ricorrente. Tuttavia il ricorrente ha impugnato il decreto rettorale n. -OMISSIS- del -OMISSIS-2020 con il quale sono stati approvati gli atti della procedura concorsuale e, per l'effetto, dichiarato vincitore della procedura il Prof. -OMISSIS-. Nel caso di specie, la mancata impugnazione degli ulteriori atti non è in grado di elidere l'interesse ad ottenere l'annullamento dei risultati della procedura poiché l'atto di nomina e la presa di servizio, pur se provvedimenti distinti rispetto a quello di approvazione dell'esito della procedura, si fondano su di esso. Il Consiglio di Stato ha chiarito che l'interesse è connesso agli esiti della procedura selettiva indipendentemente dal successivo provvedimento di nomina, atto autonomo rispetto al quale l'esito della procedura selettiva costituisce un presupposto che non viene messo in discussione (Cons. di Stato, sez. VII, n. 8800/2022). Si tratta di un nesso di presupposizione immediato, diretto e necessario, per cui l'annullamento del provvedimento di approvazione dell'esito della procedura esplica sugli atti successivi un'efficacia caducante in ossequio al principio simul stabunt simul cadent. 2.Dall'accoglimento del primo motivo di appello deriva la necessità dell'esame degli altri motivi non esaminati dal primo giudice, riproposti per l'effetto devolutivo dell'appello. 3. A tal proposito, ritiene il Collegio, ai sensi dell'art. 95 comma 5 c.p.a., di non integrare il contraddittorio al professore -OMISSIS-, posizionatosi secondo nella procedura, davanti l'odierno appellante in considerazione dell'infondatezza dei motivi di appello. 4. L'appellante ripropone la domanda di annullamento del "Verbale della riunione del Consiglio del Dipartimento di matematica e informatica dell'Università degli Studi di Perugia", approvato e pubblicato in data 19 novembre 2019, nella parte in cui viene deliberata a maggioranza la designazione dell'intera commissione, per la nomina del Professore di I Fascia - Posto PO SSN INF/01, mediante sorteggio, piuttosto che dal Rettore, come previsto dall'art. 4 del Regolamento di Ateneo. Deduce illegittimità per incompetenza relativa - Violazione degli artt. 18 e 24, commi 5 e 6 della Legge n. 240/2010 e della Legge n. 168/1989 in quanto il consiglio del dipartimento di matematica e informatica dell'Università degli Studi di Perugia con il verbale del 23 ottobre 2019, approvato e pubblicato il 19 novembre 2019, aveva deliberato su materia di competenza esclusiva dell'Ateneo perugino. Violazione degli artt. 18 e 24, commi 5 e 6 della Legge n. 240/2010 e dell'art. 4 del Regolamento dell'Università degli Studi di Perugia. Eccesso di potere - Carenza dei presupposti in fatto e diritto - Travisamento ed erronea valutazione dei fatti - Manifesta erroneità ; Difetto e/o erroneità e contraddittorietà della motivazione- Irragionevolezza - Arbitrarietà - Ingiustizia Manifesta. Le censure non sono fondate. L'art. 4, comma 1, del Regolamento dell'Università di Perugia, testualmente recita: "La Commissione è nominata dal Rettore, è composta da tre membri, designati dalla struttura interessata, scelti tra professori di I fascia del settore concorsuale, ovvero di uno o più settori scientifico-disciplinari, in cui il posto è bandito in possesso di un elevato profilo scientifico. Almeno due dei componenti la Commissione saranno scelti tra docenti di altri Atenei, anche stranieri con comprovata esperienza scientifica su tematiche proprie del settore concorsuale ovvero dei settori scientifico-disciplinari". La norma non individua una modalità vincolante che il Dipartimento deve seguire ai fini della scelta dei commissari da designare, limitandosi a stabilire l'obbligo di individuare almeno due componenti su tre appartenenti ad altri atenei ed il requisito della comprovata esperienza scientifica. Ne discende che il Regolamento non impone alcuna specifica forma per la selezione dei membri della commissione, né vieta il ricorso al sorteggio. Il Consiglio di Dipartimento ha individuato i nominativi dei tre commissari (di cui due appartenenti ad altre Università e una all'Ateneo perugino) attingendo da una rosa di 20 docenti individuati mediante sorteggio. Il sorteggio effettuato dall'Ateneo, infatti, era, da un lato funzionale ad offrire all'ufficio concorsi una rosa di candidabili integra, dalla quale procedere all'ulteriore estrazione a sorte dei membri della commissione e, dall'altro, a scongiurare qualsiasi possibile strumentale defezione funzionale a "indirizzare" la composizione dell'organo di valutazione. Osserva il Collegio che un simile modus operandi risulta privo di opacità ed è idoneo sia a scongiurare il rischio di una artificiosa selezione sia a fugare il dubbio di possibili favoritismi. È, pertanto, infondata la censura formulata dall'appellante circa l'incompetenza dell'organo consiliare in ordine alla pretesa modifica del Regolamento, in quanto nessuna modifica è stata disposta, essendo la modalità di designazione utilizzata nel caso oggetto di giudizio conforme all'art. 4 del medesimo Regolamento. La scelta operata dal Consiglio di Dipartimento di revocare l'intera commissione già designata e procedere alla nomina di una nuova commissione mediante sorteggio è stata motivata sulla base dell'esigenza di far fronte ad una situazione eccezionale, ingeneratasi sia a seguito dei rilievi formulati dal Prof. -OMISSIS- in ordine al possesso da parte del membro interno della Commissione dei requisiti inderogabili prescritti per l'esercizio delle funzioni di commissario, sia a seguito delle opposte contestazioni avanzate dal medesimo appellante in ordine alle modalità di designazione. A fronte di tale situazione, come visto, l'organo consiliare ha legittimamente ritenuto di garantire "le più ampie caratteristiche di legittimità ed in assenza di qualsivoglia coinvolgimento del Direttore e di tutti i membri del Consiglio nella designazione della commissione della procedura in oggetto", tanto da delegare la gestione del sorteggio all'Ateneo o al MIUR, "volendo lo stesso rimanere del tutto estraneo anche alla procedura del sorteggio, sempre a garanzia della più ampia trasparenza ed imparzialità ". Non si ravvisa, pertanto, una disparità di trattamento rispetto "ai casi pregressi per il fatto che l'amministrazione, disapplicando, mediante il ricorso al sorteggio, il regolamento universitario avrebbe in tal modo creato", in quanto nessuna disapplicazione è stata disposta e la particolarità della situazione poteva giustificare la scelta di modalità di selezione dei commissari orientate nel senso di assicurare la massima trasparenza ed imparzialità possibile. 4. Passando ai primi motivi aggiunti deve essere disattesa la censura di illegittimità del decreto rettorale di nomina della Commissione per illegittimità derivata, per quanto già esposto circa la correttezza della nomina della commissione esaminatrice. 5. Quanto all'impugnazione dei verbali 1 e 2 della Commissione di valutazione del 20/31 luglio 2020 approvati il 9 settembre 2020 dal Consiglio di Dipartimento di Matematica e Fisica dell'Università degli Studi di Perugia, l'appellante lamenta preliminarmente violazione di legge ed eccesso di potere per la presunta incompatibilità della commissaria Prof.ssa Pinotti con il candidato Prof. -OMISSIS-. La censura è inammissibile per carenza di interesse. Il professore -OMISSIS- non è il vincitore del concorso e non ha ottenuto alcun beneficio dal preteso rapporto di collaborazione scientifica con uno dei membri della commissione. L'appellante, che introduce la censura non con riferimento alla nomina della commissione, ma con riferimento a un vizio delle operazioni di valutazione dei candidati, non potrebbe conseguire alcuna utilità dall'annullamento delle valutazioni riferite a un candidato non vincitore. 6. Sempre con riferimento ai verbali 1 e 2 l'appellante deduce eccesso di potere, illogicità manifesta, contraddizione interna. Evidenzia che la Commissione aveva provveduto, in occasione della prima riunione in data 20 luglio 2020 di cui al verbale n. 1, a determinare i criteri di valutazione esposti in apposito allegato al verbale stesso e di essere incorsa in un difetto di coerenza nella stesura del giudizio globale in quanto al candidato -OMISSIS- era stato incoerentemente attribuito un giudizio globale finale di ottimo, identico a quello attribuito al Prof. -OMISSIS-, pur avendo conseguito il candidato -OMISSIS- ben due giudizi inferiori a ottimo e ci fosse una sola area in cui era stato giudicato eccellente. La censura è inammissibile per carenza di interesse in quanto l'appellante contesta il giudizio globale assegnato al Prof. -OMISSIS-, che peraltro non ha nemmeno convenuto in giudizio, il quale non è vincitore del concorso. L'appellante non potrebbe conseguire alcuna utilità dall'eventuale annullamento di tale aspetto della procedura valutativa, in quanto insuscettibile di incidere sulla posizione del primo classificato in graduatoria. 7. Con le censure attinenti alle valutazioni rese dalla Commissione giudicatrice sui titoli e sulle pubblicazioni presentati dai candidati, l'appellante lamenta che la commissione aveva deciso di attribuire giudizi analitici ai candidati, valutandoli ciascuno indipendentemente e poi comparando i valori attribuiti, anziché valutarli comparativamente nelle diverse voci e, segnatamente, l'attività didattica, l'attività di ricerca, l'attività di produzione scientifica. 7.1. Osserva il Collegio che il Consiglio di Stato (sez. VI, 5 ottobre 2022, n. 8533; sez. VI, 17 maggio 2022, n. 3856) ha chiarito che la fissazione di criteri di valutazione il più possibile chiari, oggettivi e trasparenti è uno degli aspetti più importanti delle complesse procedure di reclutamento dei professori universitari che, come noto, prevedono diversi passaggi (ASN e concorso nella singola sede) e sono disciplinate da normative di rango e contenuto diverso, quali la legge n. 240/2010, i regolamenti attuativi, i regolamenti delle singole Università, gli standard valutativi elaborati e accettati da diverse istituzioni e comunità scientifiche a livello nazionale e internazionale. Nel pur complesso contesto normativo, è possibile enucleare alcuni punti fermi in tema di criteri di valutazione da osservare per le procedure di chiamata ex art. 18 della legge 240/2010. Le procedure che conducono alla chiamata di un professore vengono disciplinate dalle singole Università sulla base della propria autonomia regolamentare. La scelta normativa sul punto tende proprio a valorizzare l'autonomia universitaria così da concedere agli Atenei uno strumento utile, insieme ad altri, ad impostare la politica di reclutamento operata da ogni Università, politica che forma oggetto di possibile valutazione cui poi vengono ancorati i finanziamenti ministeriali. Le procedure che si svolgono in sede locale mirano ad operare una valutazione comparativa tra candidati già in possesso dell'ASN per il settore posto a concorso, al fine di individuare il candidato maggiormente qualificato a svolgere le funzioni didattico scientifiche per le quali è stato bandito il posto. La valutazione è compiuta da Commissioni all'uopo nominate e composte da docenti in possesso di riconosciute competenze specifiche. La valutazione di un candidato è un atto opinabile. Affidarla ad una Commissione di competenti significa affidarsi alle persone che sono nelle migliori condizioni per compierla. Le valutazioni affidate alla cura dell'organo tecnico sono dunque vincolanti per l'Amministrazione che ha indetto la selezione in ordine ai giudizi tecnico-discrezionali formulati sui profili curriculari dei candidati. In altri termini, l'Amministrazione che ha bandito il concorso in linea generale non può legittimamente disattendere i risultati, ritualmente approvati, dell'attività valutativa della Commissione giudicatrice (Consiglio di Stato, sez. VI, 28/06/2016, n. 2855). La valutazione dei candidati, del loro curriculum, delle pubblicazioni scientifiche e delle capacità didattiche deve avvenire sulla base di criteri, parametri e indicatori. Essi possono essere enumerati in maniera puntuale nei regolamenti approvati dalle singole Università oppure nelle delibere dipartimentali che chiedono il bando del posto o nei bandi stessi. Sono queste le ipotesi nelle quali gli Atenei dimostrano di voler adoperare in maniera penetrante uno strumento utile ad attuare le proprie politiche di reclutamento. In altri casi, i regolamenti delle sedi universitarie affidano direttamente alle Commissioni il compito di definire criteri, parametri e indicatori. Anche in dette ipotesi, però, le Commissioni non dispongono di un potere totalmente discrezionale. Sia perché i regolamenti, anche se non dettano i criteri in maniera specifica, in molti casi chiedono comunque alle Commissioni di uniformarsi alla normativa vigente ovvero agli standard qualitativi riconosciuti a livello nazionale ed internazionale o, ancora, ai criteri e ai parametri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento e così via. Sia perché le Commissioni, essendo composte da persone che sono espressione dello specifico sapere disciplinare, operano al fine di riconoscere, nei candidati proprio gli standard metodologici e contenutistici della comunità scientifica di appartenenza. La Commissione, anche quando le viene riconosciuto un ruolo significativo nella definizione dei criteri, non può comunque discostarsi da criteri e standard riconosciuti. Essa non potrebbe, cioè, inventarsi requisiti e standard sconosciuti e poco chiari. Il rischio è che, per ipotesi, all'interno dello stesso Ateneo, candidati di un medesimo settore concorsuale vengano valutati sulla base di criteri molto diversi se diverse sono le procedure bandite e le Commissioni chiamate ad operare. La valutazione dell'attività svolta dalla Commissione per giungere alla predeterminazione dei criteri deve essere operata non in maniera meccanica e formalistica, ma sulla base di una valutazione finalistica della ratio ad essa sottesa. Sicché, ove i principi di competenza e trasparenza non siano in concreto vulnerati, l'eventuale omessa predeterminazione delle suddette regole costituisce un'inosservanza meramente formale, inidonea a ridondare in vizio di legittimità della procedura selettiva. L'importante è che i criteri individuati siano né vaghi né generici, ma idonei ad oggettivizzare, per quanto possibile, l'ampiezza della discrezionalità valutativa tipica di questo genere di selezioni, nonché a consentirne ex post la ricostruzione dell'iter logico seguito (Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 454). Le Commissioni sono chiamate non solo a fissare criteri, parametri e indicatori, ma anche ad individuare la loro possibile incidenza ponderale. Si deve in ogni caso considerare che alle Commissioni si chiede di individuare il candidato migliore. Criteri, parametri e indicatori sono fondamentali nel guidare il lavoro valutativo. Ma le loro incidenze ponderali ai fini del giudizio finale non devono diventare delle gabbie meccanicistiche, ancorate addirittura a puntuali pesi specifici di ognuno di essi. La previsione di un "peso" specifico per ogni criterio/parametro/indicatore (ammesso che sia possibile in concreto) porterebbe ad un automatismo assorbente e insuperabile che non necessariamente propizierebbe l'esito auspicato, ovvero l'individuazione del candidato migliore. Naturalmente questo non significa consegnare il lavoro delle Commissioni all'arbitrio. Ciò che i Commissari devono fare, una volta fissati criteri, parametri e indicatori, e la loro eventuale incidenza ponderale, è giustificare con una congrua motivazione la scelta finale così da far emergere in modo quanto più preciso ed esauriente possibile le ragioni della prevalenza di un candidato sull'altro. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che le valutazioni della Commissione nell'ambito di una procedura concorsuale per posti di professore universitario costituiscono espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono valutazioni tecniche. Si tratta di valutazioni pienamente sindacabili dal giudice amministrativo sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l'aspetto più strettamente tecnico. Ciò significa che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'Autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo. Siffatto sindacato è a maggior ragione ammissibile quando, nell'ambito delle valutazioni dei candidati che hanno partecipato a concorsi universitari, vi siano elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Ma tutte le volte in cui non viene indicata alcuna logicità e della ragionevolezza, la motivazione espressa dalla Commissione, costituendo il frutto di discrezionalità tecnica, non può essere sostituita con il diverso avviso del giudice (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 aprile 2022, n. 2598). 7.2. L'art. 6 del vigente Regolamento d'Ateneo per la chiamata dei relativo alle procedure di chiamata ex art. 18 L. n. 240/2020 ma richiamato anche dal successivo art. 9, concernente le procedure ex art. 24 - si limita infatti a stabilire che la Commissione debba individuare il candidato maggiormente qualificato "all'esito della valutazione comparativa effettuata sulla base delle pubblicazioni scientifiche, dei titoli, del curriculum dei candidati e della prova didattica nel caso in cui sia prevista". Ferma restando, dunque, l'imprescindibilità della comparazione - che deve comunque esservi - detta norma non impone affatto l'utilizzo del metodo comparativo in ogni singola fase del procedimento di valutazione. 7.3. Tanto premesso, con riferimento all'attività didattica la censura è infondata. La commissione, nella sua discrezionalità, ha previsto di valutare la didattica con riferimento alla didattica ufficiale, alla didattica integrativa e al servizio agli studenti, mentre le attività di cui pretende la valutazione il Prof. -OMISSIS- (direzione della didattica e la internazionalizzazione) non sono ricomprese alla voce "Didattica", ma più propriamente all'attività scientifica e di ricerca. Nessun elemento porta a ritenere che tale giudizio sarebbe mutato qualora la valutazione fosse stata posta in essere - come reclamato dal ricorrente - in modo comparativo, ossia raffrontando i titoli didattici del prof. -OMISSIS- con quelli prodotti dal prof. Milanni. Non vi è prova, cioè, che qualora la valutazione sui titoli fosse stata condotta con metodo comparativo, il prof. -OMISSIS- avrebbero sicuramente conseguito "valori inferiori a eccellente" ("non possedendo essi attività didattiche curriculari internazionali... simili a quelle del Prof. -OMISSIS- e non avendo svolto alcuna attività di direzione della didattica ufficiale, integrativa e di servizi agli studenti come invece rilevato nella carriera del Prof. -OMISSIS-"). 7.4. Con riferimento alla voce "attività di ricerca" l'appellante lamenta che la valutazione di eccellenza attribuita al candidato Prof. -OMISSIS- sarebbe errata, in quanto quest'ultimo non sarebbe titolare di attività di direzione e coordinamento di rete di ricerca di livello internazionale. Lamenta, inoltre, la mancata menzione ovvero l'omessa citazione, da parte della Commissione, di alcuni titoli da lui prodotti. La censura non è fondata. La colonna relativa all'"attività dichiarata" contenuta delle schede di valutazione è redatta in forma sintetica; quindi la circostanza che un determinato titolo non vi risulti espressamente menzionato non vuol dire che lo stesso non sia stato nemmeno valutato, in quanto nel primo verbale del 20 luglio 2020 si dà espressamente atto che la Commissione ha ritenuto ammissibili tutti i titoli prodotti dai candidati. Le valutazioni operate dalla Commissione, non sono inficiate da profili di "contraddizione manifesta" e/o di "palese illogicità e incoerenza". Viceversa il ricorrente, nel prospettare le censure, ha sostanzialmente sostituito la propria valutazione di merito a quella della commissione. La mancata menzione della partecipazione del ricorrente al comitato di direzione della Associazione Italiana Intelligenza Artificiale va, presumibilmente ascritta al fatto l'associazione non appare propriamente qualificabile come "gruppo di ricerca", mentre il mancato inserimento nell'ambito della categoria in commento del ruolo ricoperto dal prof. -OMISSIS- nella rete di eccellenza di Al Planning è dipeso - come rilevato del resto nello stesso ricorso introduttivo - dall'avvenuta valutazione di detto titolo nell'ambito della successiva categoria dell'"attribuzione di finanziamenti competitivi in qualità di responsabile o responsabile locale di progetti di ricerca" (con riferimento alla quale, nella scheda di valutazione del prof. -OMISSIS- si dà espressamente atto che lo stesso "E' stato responsabile scientifico del nodo di Perugia della rete di eccellenza di Al Planning finanziata dall'unione Europea nel 2001-2003"). Quanto alle attività di "partecipazione in qualità di relatore a congressi e convegni nazionali e internazionali", con riferimento alle quali l'appellante deduce che stanti alcune "evidenze non notate dalla commissione" - in particolare, l'avvenuta organizzazione di alcuni "importantissimi convegni internazionali" e che il giudizio di "ottimo assegnatogli per tale categoria di titoli doveva essere rivisto in "Eccellente", è evidente che nessun automatismo deriva dalla partecipazione a congressi e la valutazione di eccellente, tanto più dove la doglianza riguarda l'organizzazione di congressi che è cosa diversa dall'essere relatore. Sotto altro profilo, diversamente quanto affermato dall'appellante, la Commissione - nell'esercizio della propria discrezionalità tecnica, ha valutato per tutti, nell'ambito della categoria "partecipazione a comitati editoriali di riviste, collane editoriali, enciclopedie e trattati di riconosciuto prestigio", la partecipazione a comitati scientifici non solo di riviste, enciclopedie etc. ma anche di conferenze e convegni, assicurando in ogni caso il pieno rispetto della par condicio tra tutti i candidati. Quanto infine alla doglianza concernente l'avvenuta valutazione in favore del prof. -OMISSIS-, nell'ambito della categoria "direzione di riviste, collane editoriali, enciclopedie e trattati di riconosciuto prestigio", del trattato a suo nome pubblicato in Springer LNCS 2962(2004) - titolo giudicato dalla Commissione "Eccellente per la sede editoriale prestigiosa" - è il nome stesso della categoria in esame (peraltro mutuato dalla Commissione dall'art. 4 lett. "c" del D.M. n. 76 del 2012) ad inserire tra i titoli in essa valutabili anche la "direzione di trattati", senza escludere che autori e direttori dei trattati possano coincidere. 7.5 Con riferimento, da ultimo alle pubblicazioni scientifiche, l'appellante contesta in particolare, i giudizi resi dalla Commissione in relazione ad uno dei quattro criteri dalla stessa individuati ai fini della valutazione di ciascuna delle 15 pubblicazioni prodotte da ciascuno dei tre candidati, ovvero quello indicato al punto 3.1, lett. c) dell'allegato n. 1 al verbale n. 1 del 21 luglio 2020, nel quale si fa riferimento anche alla "diffusione all'interno della comunità scientifica". Lamenta infatti che alcuni dei giudizi resi dalla Commissione che lo avrebbero penalizzato contrasterebbero con i dati bibliometrici ricavabili da una delle principali banche-dati citazionali, ovvero SCOPUS. La censura non è fondata. Il punto 3.1, lett. c) dell'allegato n. 1 al verbale n. 1 del 21 luglio 2020 ricomprende non solo il grado di diffusività all'interno della comunità scientifica, ma anche la "rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione" sulla quale l'appellante non si è soffermato. SCOPUS, poi, per quanto di largo utilizzo, è solo una delle varie banche-dati accessibili al fine dei dati bibliografici. Da ultimo, quanto alla valutazione delle pubblicazioni, l'appellante si spinge nell'ambito della insindacabilità nel merito delle valutazioni tecniche operate dalle Commissioni di concorso, Inoltre il rilievo che la pubblicazione "-OMISSIS- -OMISSIS- (2019). End-to-End Voting with Non-Permissioned and Permissioned Ledgers. JOURNAL OF GRID COMPUTING, ISSN: 1570-7873, doi: 10.1007/s10723-019-09478-y", non sarebbe stata pubblicata alla data di presentazione della domanda di partecipazione al concorso è smentita da quanto emerge dal sito internet della casa editrice, che dimostra l'avvenuta pubblicazione dell'articolo scientifico alla data del 20 marzo 2019. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. In considerazione della reciproca soccombenza parziale, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il primo motivo di appello in rito, e lo respinge nella restante parte, quanto alle censure di merito. Spese del doppio grado compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 571 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Al.It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sa.St.Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, in relazione alla procedura CIG 8813243632; contro Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra.Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della deliberazione del Direttore Generale della A.O.U. Policlinico Riuniti di Foggia n. 131 del 06.04.2023, comunicata con nota in pari data, avente ad oggetto "Gara europea a procedura aperta con l'offerta economicamente più vantaggiosa. Finanza di progetto ad iniziativa privata ex art. 179 co. 3 e 183 co. 15 del D.lgs. n. 50 del 2016 per il “Complemento, l'allestimento e la gestione integrata dei comparti operatori del nuovo Dipartimento di Emergenza Urgenza dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Riuniti di Foggia, comprensiva della manutenzione delle apparecchiature di alta tecnologia, nonché della realizzazione e gestione della nuova centrale di sterilizzazione e relativi servizi” (CUP: G71B21005270005, CIG: 8813243632) - Revoca procedura"; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ivi compresa la nota del 06.04.2023 di comunicazione della predetta deliberazione n. 131 del 06.04.2023, nonché la nota prot. n. 7019 del 13.03.2023 di comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca della suindicata procedura, e per l'accertamento e la declaratoria del diritto di Al.It. S.p.A., mandataria del costituendo R.T.I. con St. S.p.A., alla prosecuzione e completamento della suindicata procedura di evidenza pubblica. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Al.It. S.p.A. il 13.11.2023: per l’annullamento - della Relazione sul ricorso al T.A.R. Puglia, prot. n. 23771 del 19.10.2023, a firma del Direttore Amministrativo, depositata in atti in data 23.10.2023; - della allegata deliberazione del Direttore Generale n. 513 del 5.10.2023, recante “appalto di lavori di completamento del “reparto operatorio” al 6° piano del Plesso DUE del Policlinico Riuniti di Foggia. Approvazione progetto esecutivo - CUP: G74E23000050002 CIG: 985629471C”; - di ogni atto citato, correlato o connesso alla Relazione tecnica a firma del Direttore Amministrativo e alla delibera del D.G. n. 513/2023; e per l'accertamento e la declaratoria - del diritto di Al.It. S.p.A., mandataria del RTI costituendo con St.S.p.A., alla prosecuzione e completamento della suindicata procedura di evidenza pubblica. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2024 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori l'avv. Ad.Ma., su delega dell'avv. Sa.St.Da., per la ricorrente, e l'avv. Ra.Da., per l'azienda ospedaliera; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Con ricorso notificato in data 5.05.2023 e depositato in data 11.05.2023, la società Al.It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, adiva il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere l’annullamento dei provvedimenti meglio indicati in oggetto. Esponeva in fatto di aver formalizzato, in data 9.07.2020, in qualità di mandataria del costituendo RTI con la società St. S.p.A., una proposta ad iniziativa privata ai sensi degli artt. 179 comma 3 e 183 comma 15 del D.Lgs. n. 50/2016, per il completamento, allestimento e gestione integrata dei comparti operatori del nuovo Dipartimento Emergenza Urgenza (D.E.U.) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Riuniti di Foggia (A.O.U. di Foggia), comprensiva della manutenzione delle apparecchiature di alta tecnologia, nonché della realizzazione e gestione di una nuova centrale di sterilizzazione e relativi servizi. Con deliberazione del Commissario Straordinario pro tempore n. 157 del 18.03.2021 la A.O.U. di Foggia valutava di interesse pubblico, fattibile ed accettabile la proposta presentata dal RTI Al., approvandone contestualmente la documentazione a corredo. Con la deliberazione del Direttore Generale n. 65 del 1.07.2021, venivano approvati gli atti di una procedura aperta per l’affidamento mediante finanza di progetto di una concessione del valore stimato di E. 159.340.100,00, per la durata di dieci anni ed otto mesi, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa L’oggetto dell’articolato affidamento consisteva nella realizzazione, previa progettazione definitiva ed esecutiva, dei lavori di completamento del blocco operatorio collocato al 6° piano del plesso ospedaliero che ospita il Dipartimento di Emergenza Urgenza (d’ora innanzi anche DEU), nonché dei lavori di realizzazione della centrale di sterilizzazione (d’ora innanzi anche CDS), nella messa a disposizione di apparecchiature ed arredi, nella fornitura di dispositivi medici, presso il DEU (5° e 6° piano) e la CDS, nella messa a disposizione dello strumentario chirurgico per l’intero Presidio ospedaliero, nell’espletamento del servizio integrato DEU, a sua volta suddiviso in tre sottoservizi, ossia servizio dispositivi, servizio intelligenza artificiale, servizio sanificazione, del servizio integrato CDS ed, infine, del servizio integrato apparecchiature. Secondo le previsioni contenute nel piano economico finanziario (d’ora innanzi anche PEF) redatto dal promotore ed allegato alla lex specialis, l’investimento a carico del concessionario sarebbe ammontato ad E. 20.924.456,00, oltre IVA, mentre il pagamento del canone annuo (canone di disponibilità) gravante sull’Amministrazione concedente sarebbe stato pari ad E. 15.530.341,00 annui, oltre IVA. In particolare, il canone era costituito per 45,94% da componenti fisse, e per il restante 54,06% da componenti variabili, o parzialmente variabili. All’esito dell’indizione della gara, perveniva la sola offerta del promotore Al.It. S.p.A., in qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con la St.S.p.A. Ritenuta ammissibile e valutata l’offerta in esame, nella seduta del 29.11.2021 la Commissione giudicatrice formulava la proposta di aggiudicazione nei confronti dell’unica offerente. Con la deliberazione del Commissario Straordinario n. 74 del 2.02.2023, la suddetta procedura veniva inserita nel programma biennale di beni e servizi per le annualità 2023-2024, con previsione di affidamento nel 2023. Con la nota del 7.02.2023, la Al.It. S.p.A., nella qualità di mandataria del RTI, promotore della procedura e aggiudicatario provvisorio, sollecitava l’Amministrazione procedente a porre in essere ogni iniziativa utile per la prosecuzione dell’iter e per l’approvazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva. In data 13.03.2023, l’Amministrazione comunicava alla Al.It. S.p.A. l’avvio del procedimento di revoca della procedura di gara in parola, ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 della l. n. 241/1990, dando atto che “Il radicale mutamento della situazione di fatto rispetto ai presupposti in base ai quali è stata ritenuta “fattibile e quindi accettabile” la proposta ad iniziativa privata, impone a questa Azienda di rivedere le proprie determinazioni, anche in ragione delle mutate condizioni economiche-finanziarie (...). L’accurata e ponderata valutazione della proposta, comparata alle risorse finanziarie attualmente nella disponibilità di questo Policlinico, il cui Bilancio presenta preoccupanti perdite di esercizio ha evidenziato la non convenienza di procedere ad una aggiudicazione sulla base della proposta di codesta Società e del relativo PEF, quest’ultimo, peraltro, predisposto nelle annualità 2020 - 2021 in un contesto sociale ed economico ben diverso da quello attuale”. In particolare, nella predetta nota si prospettava che “il bilancio di previsione 2023 evidenzia già in partenza un risultato negativo e risorse insufficienti per far fronte al notevole incremento dei costi di gestione”, che “l’assunzione del gravoso onere derivante dall’aggiudicazione della procedura di gara (canone annuale pari ad E. 15.774.669,00 circa, oltre IVA) comporterebbe la non sostenibilità della spesa in totale violazione dei principi contabili e costituzionali sopra richiamati” e che tale aggravio economico sarebbe derivato anche dalla pressione inflazionistica e dal conseguente aumento dei tassi di interesse, che avrebbe determinato “ulteriori nuovi oneri che graverebbero irrimediabilmente su questa Azienda”. Peraltro, l’Amministrazione evidenziava che, in considerazione del persistente interesse al completamento ed allestimento delle sale operatorie nel DEU, vi era già stata un’interlocuzione con la Regione Puglia, la quale, in data 24.02.2023, aveva autorizzato l’avvio delle procedure necessarie all’accesso ai finanziamenti esclusivamente pubblici per la realizzazione di tale opera (nell’ambito del Programma Operativo della Regione 2021 - 2027), invitando l’Azienda “ad inserire l’intervento proposto nella programmazione triennale dei lavori, approvare il progetto di completamento con esplicita attestazione della dichiarazione di assenza di doppi finanziamenti e assenza di sovrapposizione di finanziamenti, attivare il relativo codice unico di progetto”. Con la nota del 23.03.2023, la Al.It. S.p.A. trasmetteva le proprie controdeduzioni alla suddetta comunicazione di avvio del procedimento di revoca, evidenziando l’aspettativa del R.T.I. di cui era mandataria di conseguire l’aggiudicazione della concessione. Con la deliberazione n. 131 del 6.04.2023, il Direttore Generale della A.O.U. di Foggia, rimarcando le ragioni di insostenibilità economica della proposta di partenariato, disponeva la revoca della procedura di gara de qua ed il contestuale inserimento degli interventi di completamento strutturale delle sale operatorie del DEU nella programmazione triennale dei lavori pubblici, attivando il codice unico di progetto, nonché l’integrazione delle deliberazioni n. 63 del 27.01.2023 e n. 74 del 2.02.2023 rispettivamente relative all’adozione del “Programma Triennale delle Opere Pubbliche 2023-2024-2025 ed Elenco Annuale 2023” e del “Programma Biennale degli Acquisti di Beni e Servizi - anni 2023-2024”. Insorgeva la ricorrente avverso tali esiti provvedimentali dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, articolando due motivi di gravame. Con il primo motivo di gravame, la ricorrente deduceva “I - Contraddittorietà e illogicità manifesta - Violazione del principio di proporzionalità - Violazione dei principi di buona amministrazione, economicità, efficacia ed efficienza - Erronea presupposizione - Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-quinques della L. n. 241/1990 - Carenza di istruttoria e di motivazione - Falsa ed erronea applicazione dell’art. 183 del D.lgs. n. 50/2016.” Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente, dopo aver riportato le ragioni dell’approvazione della sua proposta da parte dell’Amministrazione (avvenuta con la deliberazione del Commissario Straordinario n. 157 del 18.03.2021), contestava la legittimità del provvedimento di revoca, evidenziando che la ponderazione di interessi sottesa allo stesso sarebbe “irragionevole, manifestamente contraddittoria, priva di supporto istruttorio e motivazionale, connotata da falsi presupposti, violativa del principio di proporzionalità, conducente a risultati contrari alla buona amministrazione e all’interesse pubblico”. In particolare, la ricorrente sosteneva che non avrebbe risposto al vero che la proposta di partenariato sarebbe stata economicamente e finanziariamente insostenibile e, senza contestare l’analisi economico finanziaria esposta nel provvedimento impugnato, affermava che l’attuazione della proposta avrebbe generato ricavi annuali ben maggiori rispetto al canone annuo che l’Azienda dovrebbe corrispondere al RTI. Inoltre, in tesi di parte ricorrente, la scelta di accedere ai finanziamenti pubblici al fine di realizzare il progetto in parola sarebbe stata frutto di “una palese carenza istruttoria”, posto che avrebbe comportato “un oggettivo ritardo nella realizzazione dell’obiettivo” e che non sarebbe stato oggetto di valutazione il fatto che “i fondi europei [...] potrebbero essere utilizzati nell’ambito della concessione oggetto della proposta di partenariato”. Con il secondo motivo di gravame la ricorrente deduceva “II - Violazione del principio di buona fede, correttezza e di tutela del legittimo affidamento - Violazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990 - Violazione del principio di proporzionalità sotto altro profilo - Illogicità manifesta - Ingiustizia manifesta.”. In tesi di parte ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe stato illegittimo in quanto non avrebbe tenuto conto del fatto che il comportamento dell’Amministrazione avrebbe ingenerato nel R.T.I. una “fondata e legittima aspettativa” di ottenere l’aggiudicazione della gara in parola. Con atto di costituzione del 18.05.2023, nonché con successiva memoria difensiva, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Riuniti di Foggia insisteva per la reiezione del ricorso, in quanto infondato nel merito. In esito alla revoca del procedimento di gara, con la deliberazione n. 513 del 5.10.2023 l’Azienda approvava il progetto esecutivo concernente i lavori in precedenza inclusi nella proposta di partenariato. Nelle more del giudizio, in data 19.10.2023, il Direttore Amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Riuniti di Foggia rilasciava la relazione prot. n. 23771, esponendo le difese dell’Ente sul ricorso dinanzi il T.A.R. Puglia, Sede di Bari, presentato dalla Al. S.p.A. Avverso tali provvedimenti l’odierna ricorrente proponeva ricorso per motivi aggiunti, deducendo tre motivi di gravame in via autonoma, nonché l’illegittimità in via derivata. In particolare, con il primo motivo di gravame in via autonoma, la ricorrente deduceva “III. Illegittimità del provvedimento impugnato per vizio di incompetenza, per essere stato adottato dal direttore amministrativo e dunque da un organo diverso dal direttore generale che ha in origine adottato l’atto di revoca. Violazione del principio di buon andamento. Violazione del principio del giusto procedimento e delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 e 10 l. 241/90”. In tesi di parte ricorrente, con la relazione prot. 23771 del 19/10/2023 del Direttore Amministrativo, l’Azienda ospedaliera avrebbe inammissibilmente integrato la motivazione del provvedimento impugnato, violando altresì le regole sulla competenza e il diritto al contraddittorio. Con il secondo motivo di gravame in via autonoma, la ricorrente deduceva “IV. In via subordinata. violazione dei principi di buona amministrazione, economicità, efficacia ed efficienza. Falsa ed erronea applicazione dell’art. 183 d.lgs. 50/2016 e dell’art. 21-quinquies l. 241/90. difetto di istruttoria. Illogicità e carenza motivazionale. Eccesso di potere per contraddittorietà, erronea presupposizione, sviamento. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza. Ingiustizia manifesta. Illegittimità derivata”. Con tale motivo di gravame la ricorrente censurava il merito della relazione impugnata, deducendo l’asserita illogicità e contrarietà ai principi di buona amministrazione, efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa delle osservazioni con cui il Direttore Amministrativo aveva evidenziato le ragioni per cui i maggiori ricavi paventati nel ricorso introduttivo sarebbero stati solo astratti e figurativi, atteso che con l’impugnata revoca l’Azienda avrebbe rinunciato all’obiettivo di “migliorare la sanità pubblica”. Sotto altro profilo, la ricorrente sosteneva l’irragionevolezza della rinuncia dell’Ente agli investimenti offerti con la proposta di partenariato, in considerazione del fatto che la copertura dei costi di esercizio da parte della Regione avrebbe dovuto costituire la “extrema ratio alla quale accedere solo ove l’Ente non sia in grado di agire in modo virtuoso e di coprire le proprie spese attraverso servizi resi ai pazienti”. Con il terzo motivo di gravame in via autonoma la ricorrente deduceva “V. Illegittimità della deliberazione del direttore generale n. 513 del 5.10.2023 - Violazione del principio di buon andamento e dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, illogicità”. In tesi di parte ricorrente, la deliberazione n. 513 del 5.10.2023 dell’Amministrazione sarebbe stata illegittima per violazione dei principi buon andamento dell’azione amministrativa, efficacia, efficienza ed economicità, in quanto non vi sarebbe “alcuna certezza né sulla concreta possibilità di accedere ai fondi pubblici, né tanto meno alcuna certezza in ordine ai tempi per poter realizzare le opere di completamento e allestimento del comparto operatorio presso il Plesso del DEU”. Con memoria del 5.01.2024, l’Amministrazione sosteneva la legittimità dei provvedimenti gravati, instando per la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti. Seguiva memoria di replica della ricorrente del 12.01.2024, con cui la società ribadiva la propria tesi, contestando le controdeduzioni dell’Ente. All’udienza del 23.01.2024, la causa era definitivamente trattenuta in decisione. Il ricorso principale e i motivi aggiunti sono in parte inammissibili ed in parte infondati e, in quanto tali, devono essere respinti. Quanto al primo motivo di gravame dedotto con il ricorso introduttivo, non si rinvengono i profili di illegittimità e di irragionevolezza del provvedimento di revoca impugnato. Come noto, ai sensi dell’art. 21 quinquies della L. n. 241/1990, l’Amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha il potere di revocare i propri provvedimenti “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”. In generale, in tema di appalti pubblici, motivazioni di carattere finanziario, come l’assenza, originaria o sopravvenuta, dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera, costituiscono una valida e congrua ragione di revoca degli atti di atti di gara. In effetti, il corretto svolgimento dell’azione amministrativa ed i principi generali di contabilità pubblica, ex art. 81 Cost., esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di rigorosa e adeguata copertura finanziaria. Dunque, se specifiche ragioni di interesse pubblico, come l’impossibilità di assunzione di un significativo impegno di spesa, possono consentire la revoca dell’aggiudicazione definitiva di un appalto, a fortiori deve riconoscersi che tali circostanze costituiscano valide ragioni per l’esercizio dello ius poenitendi in situazioni in cui nemmeno sussiste un affidamento qualificato, quale è quella che tipicamente caratterizza(va) l’aggiudicazione provvisoria. Sul punto, la consolidata giurisprudenza sostiene che “in ragione della natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell'aggiudicazione provvisoria, e della non tutelabilità processuale di quest'ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (ex multis, Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n. 6323; Cons. Stato, V, 20 agosto 2013, n. 4183) - rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n. 6323; Consiglio di Stato sez. V, 04/12/2017, n. 5689; Consiglio di Stato sez. III, 07/07/2017, n. 3359; Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2418; in termini, Cons. Stato, IV, 12 gennaio 2016, n. 67)” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6.08.2019, n. 5597). Ebbene, nel caso di specie, nel provvedimento impugnato sono stati chiaramente esposti gli elementi di fatto dai quali si evidenzia l’insostenibilità finanziaria del progetto in parola, la quale giustifica pienamente l’esercizio dello ius poenitendi da parte dell’Amministrazione. Peraltro, non appaiono decisivi in senso contrario i rilievi della ricorrente, la quale si è meramente limitata a proporre dei conteggi diversi rispetto a quelli effettuati dall’A.O.U. di Foggia, paventando la possibilità di guadagno “nel caso di effettuazione degli interventi attesi”, nonché quella di ipotizzare l’utilizzazione in maniera differente dei fondi europei, a fronte, tuttavia, del certo e considerevole, quanto assai lucroso, canone annuo dovuto dall’Amministrazione alla parte privata per la realizzazione della proposta di partenariato in parola. In ogni caso, deve sottolinearsi che la valutazione effettuata dall’Amministrazione sulla sostenibilità finanziaria di un progetto e sulla sua convenienza è connotata, in generale, da un’ampia, quanto insindacabile, discrezionalità tecnica. In effetti, i principi di contabilità e del corretto svolgimento dell’attività amministrativa impongono all’Amministrazione l’espressione di valutazioni anzitutto tecnico-professionali e, solo in secondo luogo, eventualmente comparative e ponderative d’interessi. Ne deriva che, la possibilità del sindacato giurisdizionale delle scelte tecnico discrezionali dell’Amministrazione è, dunque, ristretta nei limitati confini del c.d. sindacato giurisdizionale debole, il quale può giungere ad esiti di annullamento solo per le ipotesi in cui dette scelte risultino essere manifestamente irrazionali, irragionevoli o - il che è lo stesso - palesemente contraddittorie. Come sostiene la costante giurisprudenza sul punto “deve essere ulteriormente ribadito che le valutazioni circa la sostenibilità del PEF e dell’offerta rientrano in un ambito di valutazione tecnica riservato all’amministrazione concedente, tendenzialmente insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30.01.2023 n. 1042). Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente non ha motivato in termini di manifesta illogicità o irragionevolezza, ma ha semplicemente fornito una diversa valutazione della sostenibilità finanziaria del progetto rispetto a quella effettuata dall’Amministrazione resistente. Pertanto, trattandosi esclusivamente di scelte rientranti nella discrezionalità della P.A., non manifestamente illogiche o irrazionali, devono valutarsi come pienamente legittime. Ne deriva che il primo motivo di ricorso debba essere recisamente respinto. Con riferimento al secondo motivo di gravame, non si rinviene alcuna lesione di una posizione giuridica qualificata in capo alla ricorrente da parte dell’Amministrazione. Nell’esercizio di un legittimo ius poenitendi, in particolare nel caso in cui non sussistano interessi di privati derivanti da provvedimenti a loro favorevoli, come nel caso di specie, l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità, non essendo obbligata nemmeno ad effettuare un raffronto tra interesse pubblico e privato. La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, spiega la non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241 del 1990; come sostiene la costante giurisprudenza, “la sua revoca (ovvero, la sua mancata conferma) non è infatti qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale cioè da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 06.08.2019, n. 5597). Ebbene, nel caso di specie, posto che non è stato formalizzato dall’Amministrazione alcun provvedimento che comportasse un affidamento qualificato in capo alla ricorrente, non vi è stata alcuna lesione di un interesse legittimo in tal senso. Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso deve essere senza dubbio rigettato. Con riferimento ai motivi aggiunti, in via preliminare, deve evidenziarsi che gli stessi sono palesemente inammissibili. A ben vedere, la relazione impugnata in sé considerata ha natura di parere legale acquisito in rapporto alla lite già in atto al fine di definire la futura strategia difensiva dell'Amministrazione e non è autonomamente lesiva, mentre la deliberazione n. 513 del 5.10.2023 è, in sé, un mero atto programmatico. Ebbene, deve ribadirsi la regola generale secondo la quale tali atti non possono essere impugnati in via autonoma e immediata, posto che tipicamente non sono idonei ad arrecare una diretta lesione alla sfera giuridica di un soggetto. Pertanto, non può che concludersi per una declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti, così come introdotti, non sussistendo un apprezzabile interesse all’annullamento degli atti gravati, in quanto privi di per sé di natura provvedimentale lesiva della specifica posizione della ricorrente, la quale, peraltro, non potrebbe ottenere alcun beneficio da una eventuale pronuncia di accoglimento. Ad ogni modo, nel merito, con riferimento al primo motivo di gravame in via autonoma, deve anzitutto evidenziarsi che la relazione prot. n. 23771/2023, in quanto evidentemente volta a definire la strategia difensiva dell’Ente, non aggiunge ulteriori elementi alla motivazione dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale. Pertanto, non vi è alcun vizio di incompatibilità nell’emanazione di tale provvedimento. Dunque, il primo motivo di gravame in via autonoma deve essere respinto. Ancora, il secondo ed il terzo motivo di gravame in via autonoma possono essere trattati e decisi congiuntamente e, posto che sostanzialmente riflettono il contenuto del primo motivo del ricorso principale, non possono essere oggetto di alcun accoglimento. Ad abundantiam, appare opportuno svolgere alcune considerazioni generali sulla necessaria interpretazione di tipo restrittivo cui deve essere assoggettato l’istituto del project financing, nelle sue varie configurazioni normative, stante il suo potenziale contrasto con gli interessi finanziari delle collettività in cui esso venga estensivamente utilizzato. Come è noto, nel modello generale dell’istituto del project financing un operatore privato, fattosi autonomamente avanti o specificamente individuato da un Ente pubblico, anticipa gli investimenti necessari alla realizzazione, allo sviluppo o alla gestione di un servizio pubblico e li recupera con gli interessi in un arco di tempo prestabilito, incamerando i flussi di cassa generati dalla gestione del servizio medesimo o canoni in vario modo strutturati, come nel caso di specie. Esso, in generale, trovava la sua disciplina di base nel D.Lgs. n. 50/2016 Codice dei Contratti pubblici all’art. 183, sotto la rubrica “Finanza di progetto”; contenuti analoghi, se non identici, erano già inseriti all’art. 153 del D.Lgs. n. 163/2006. I principali principi enucleati dalla giurisprudenza amministrativa in merito alla qualificazione giuridica della procedura del project financing possono rinvenirsi in Cons. Stato, Ad. Plen. 15 aprile 2010, n. 2155, a sua volta richiamata da Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2012, n. 1. La più comune dottrina saluta da sempre l’istituto in esame come un'àncora di salvezza degli Enti pubblici che, per mancanza di denaro e perché in ogni caso bloccati nelle loro possibilità di spesa dal c.d. Patto di stabilità interno, hanno bisogno di realizzare investimenti di medio e lungo termine. Resta, tuttavia, oggettivamente poco chiaro il motivo per cui se la redditività attesa di un servizio pubblico è tale da indurre un operatore privato ad investire, essa non dovrebbe a fortiori garantire la sostenibilità di un dato progetto ove il medesimo venga realizzato direttamente da un Ente pubblico, che su di esso, all’evidenza, non ha il problema di dover ottenere un lucro. In altri termini, non appare facilmente comprensibile l’insieme delle ragioni in forza delle quali, in assenza di un capitale iniziale, il sistema creditizio conceda senza difficoltà credito all'operatore privato ritenendo l'attività finanziariamente sicura, non concedendolo invece direttamente al soggetto pubblico per la realizzazione e gestione delle medesime attività. Non è possibile in questa sede approfondire tali articolate tematiche; resta tuttavia palesemente evidente che, in assenza di un capitale iniziale da parte del soggetto che si fa promotore di un intervento di finanza di progetto, le ricadute finanziarie dell’applicazione di tale ultimo istituto finiscono strutturalmente per arrecare un evidente depauperamento a carico delle pubbliche finanze, imponendo non solo gli oneri che derivano dalla necessità di prevedere un lucro per il privato interventore, ma altresì gli ulteriori e separati oneri che sorgono dalla necessità di copertura dei tassi di interesse che il sistema creditizio imporrà all’imprenditore al fine di garantirgli la provvista finanziaria per la realizzazione del suo progetto. In altri termini, al fine di evitare la trasformazione dei pubblici servizi in occasioni di lucro garantito per il settore creditizio in danno dell’equilibrio delle pubbliche finanze (c.d. finanziarizzazione speculativa dei pubblici servizi), occorre assoggettare l’istituto del project financing ad una lettura evidentemente restrittiva, essendone palese la sua oggettiva e strutturale dannosità per il pubblico erario, ove indiscriminatamente e largamente applicato, in particolare in assenza dell’impiego di risorse proprie da parte del soggetto investitore e/o promotore. Alla luce del complesso delle ragioni che precedono, il ricorso e i motivi aggiunti devono ritenersi infondati e inammissibili. Da ultimo, in considerazione della particolare complessità procedimentale e processuale della fattispecie in esame, oltre che della evidente peculiarità in fatto della presente controversia, sussistono i presupposti di legge per compensare integralmente le spese di lite fra le parti. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sezione II, definitivamente pronunciando: - respinge il ricorso principale; - dichiara inammissibili i motivi aggiunti; - spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Orazio Ciliberti - Presidente Alfredo Giuseppe Allegretta - Consigliere, Estensore Donatella Testini - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Alfredo Giuseppe Allegretta Orazio Ciliberti IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5065 del 2023, proposto in relazione alla procedura CIG 9537499129 da Mo. 20. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ri. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Os. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Stazione Unica Appaltante S.U.A. - Centrale Unica di Committenza (C.U.C.) della Provincia di Avellino, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 01334/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Avellino; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Ri. e Ni., in dichiarata delega dell'Avv. Me.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte su un appalto per la sistemazione e il ripristino di un torrente nella provincia di Avellino. Partecipava all'appalto la società Mo. che veniva tuttavia esclusa sia per mancata presentazione di alcuni documenti (Organizzazione del personale e progetto migliorie) sia perché aveva formulato un'offerta tecnica del tutto sovrapponibile rispetto alle altre due offerte presentate da Te. e Co.. Di qui l'ipotesi di sostanziale unicità del centro decisionale che per l'appunto, si sensi dell'art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (c.d. vecchio codice dei contratti pubblici), comporta l'esclusione dalla gara. Seguiva anche rituale comunicazione ad ANAC di siffatta esclusione. 2. Il TAR Campania rigettava il ricorso per le seguenti ragioni: 2.1. La competenza a determinare le esclusioni dalla gara è del RUP e non della commissione giudicatrice; 2.2. Non è stata data alcuna dimostrazione di incompatibilità tra il ruolo di RUP e quello di commissario di gara; 2.3. La mancata nomina della commissione di gara è ininfluente ai fini della decisione di esclusione del RUP; 2.4. Le tre offerte tecniche presentate in gara dai tre rispettivi concorrenti Mo., Te. e Co. presentano identiche modalità redazionali (le cinque relazioni tecniche richieste dalla legge di gara sono state accorpate in un'unica relazione), identità negli errori commessi (sul computo metrico) e nelle carenze (mancata redazione elaborato relativo ad "Organizzazione del personale impiegano nell'esecuzione dei lavori"). Le stesse offerte sono state inoltre presentate "con significative vicinanze cronologiche" (ossia tutte a breve distanza di tempo le une dalle altre). 3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito sintetizzati, ossia per erroneità nella parte in cui: 3.1. Non sarebbe stata rilevata la violazione della legge di gara nella parte in cui il RUP ha adottato i provvedimenti di esclusione dei tre concorrenti senza provvedere preliminarmente alla nomina della commissione di gara; 3.2. Non è mai stata presa in considerazione la dichiarazione del tecnico della parte appellante che, in data 3 marzo 2023, aveva provveduto alla redazione dell'offerta tecnica; 3.3. Non sarebbe stato attivato il soccorso procedimentale con riguardo alla carenza della relazione inerente la "Organizzazione del personale impiegato nell'esecuzione dei lavori" nonché alla "proposta di miglioria"; 3.4. Incompetenza del RUP nel provvedere alla ridetta esclusione dalla gara. Il RUP avrebbe in altre parole svolto attività valutativa riservata alla commissione di gara; 3.5. Illegittimo cumulo dei ruoli di responsabile unico del procedimento e di componente del seggio di gara (pag. 23 atto di appello); 3.6. Non sarebbe stato considerato che la responsabilità per la sovrapponibilità delle tre offerte sarebbe stata da ascrivere al solo tecnico che aveva provveduto alla redazione dell'offerta tecnica; 3.7. Non sarebbe stato considerato che si trattava di gara dal modesto valore, caratterizzata da "format predefiniti e standardizzati" ossia di "modesta difficoltà e contenuto ripetitivo". Oltretutto, considerato l'alto tasso di informatizzazione nonché la presenza di "intelligenza artificiale", è normale vi siano taluni episodi di ripetitività ed analogia. Si consideri infine che i tecnici "talvolta collaborano tra di loro" (pag. 34 atto di appello); 3.8. Nella riproposizione di alcuni motivi non scrutinati dal TAR, si ribadiva la sproporzione della segnalazione ad ANAC del provvedimento di esclusione. 4. Si costituiva in giudizio la Provincia di Avellino per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 5. Alla pubblica udienza del 9 novembre 2023 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione. 06. Tutto ciò premesso l'appello è infondato per le ragioni di seguito indicate. 6. Con riguardo al primo motivo di appello osserva il collegio che, ai sensi art. 18 disciplinare di gara: "La commissione giudicatrice è responsabile della valutazione delle offerte tecniche ed economiche dei concorrenti e fornisce, ove ritenuto necessario, ausilio al RUP nella fase di verifica della documentazione amministrativa e di verifica dell'anomalia delle offerte (cfr. Linee guida n. 3 del 26 ottobre 2016)". Ai sensi del successivo art. 20 (VERIFICA DELLA DOCUMENTAZIONE AMMINISTRATIVA), poi: "Il soggetto deputato all'espletamento della gara procede in seduta pubblica,... a) controllare, in ordine cronologico di arrivo, la completezza della documentazione presentata... b) verificare la conformità della documentazione amministrativa a quanto richiesto nel presente disciplinare di gara... c) attivare, ove occorra, la procedura di soccorso istruttorio". Segue una analitica descrizione della procedura di esclusione ex art. 80 del codice dei contratti sempre a cura del medesimo responsabile del procedimento. Ai sensi dell'art. 21 (VALUTAZIONE DELLE OFFERTE TECNICHE ED ECONOMICHE): "Il soggetto deputato all'espletamento della gara procede in seduta pubblica, mediante la Piattaforma, a: a) controllare, in ordine cronologico di arrivo, la completezza della documentazione tecnica presentata nella "Offerta tecnica" dai concorrenti ammessi a gara... b) verificare la conformità della documentazione tecnica a quanto richiesto nel presente disciplinare di gara; c) escludere dalla gara, in caso di esito negativo, coloro per i quali l'offerta o i file presentati risultino essere irregolari; d) sospendere la seduta affinché la commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate, proceda all'esame delle offerte tecniche. La commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate, procede all'esame e alla valutazione delle offerte tecniche e all'assegnazione dei relativi punteggi applicando i criteri e le formule indicati nel bando e nel presente disciplinare". Dunque è chiara la distinzione tra i compiti del "soggetto deputato all'espletamento della gara" (ossia il RUP) e la commissione di gara. Mentre quest'ultima è chiamata ad esprimere un giudizio su aspetti tipicamente tecnico-discrezionali (in particolare: valutazione offerte tecniche ed assegnazione dei relativi punteggi), il primo è tenuto ad operare scelte di carattere più vincolato ossia ad adottare talune decisioni allorché ne ricorrano i presupposti: tra queste anche quelle relative alla esclusione dei concorrenti. Esclusione che può essere comminata, secondo quanto si evince dall'art. 21 del disciplinare di gara, anche in seguito all'esame dell'offerta tecnica (ma non pure alla sua valutazione) allorché essa contenga elementi tali da comportare l'esclusione dei concorrenti (proprio come nella specie, atteso che l'unicità del centro decisionale si ricava dalle diverse analogie e identità ricavabili dalle rispettive offerte tecniche). Dunque il RUP, nella qualità di "soggetto deputato all'espletamento della gara", era ben abilitato ad aprire preliminarmente i plichi contenenti le offerte tecniche non per valutarle sul piano della loro rispettiva meritevolezza (compito questo sicuramente da riservare alla commissione di gara) ma soltanto per accertarne la rispondenza in ordine ai requisiti del disciplinare e del codice dei contratti ai fini della loro possibile esclusione. Ciò si rivela del resto coerente con la giurisprudenza che riserva al RUP la competenza a disporre simili esclusioni dalla gara. Al riguardo è stato infatti affermato che: "per regola generale (art. 80, comma 5, del D.Lgs. n. 50 del 2016), il provvedimento di esclusione dalla gara è di pertinenza della stazione appaltante, e non già dell'organo straordinario-Commissione giudicatrice (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 febbraio 2020 n. 1104); la documentazione di gara può, comunque, demandare alla Commissione giudicatrice ulteriori compiti, di mero supporto ed ausilio del RUP, ferma rimanendo la competenza della stazione appaltante nello svolgimento dell'attività di amministrazione attiva alla stessa riservata (Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2021, n. 6706)" (così Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2021, n. 7419). Ed ancora: "Con riferimento al provvedimento di esclusione dalla procedura, del quale si discute nel presente giudizio, quanto in precedenza sostenuto trova conferma, nell'art. 80 ("Motivi di esclusione") d.lgs. n. 50 cit. che, in più occasioni (e, precisamente, ai commi 5, 6, 8, 10 - bis) individua nella "stazione appaltante" il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell'operatore economico" (Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1104). Alla luce di quanto sopra riportato, l'apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche non era dunque preordinata ad una loro valutazione ma ad un mero esame di rispondenza rispetto ai requisiti di gara e di legge prescritti ai fini della loro mera ammissibilità . Ammissibilità qui esclusa data la riscontrata identità e dunque sovrapponibilità tra le tre offerte presentate. Di qui ancora la sopravvenuta inutilità di nominare la commissione giudicatrice, attesa la esclusione dalla gara di tutte le imprese che avevano chiesto di partecipare. Ne deriva da quanto detto il rigetto del primo motivo di appello. 7. Quanto all'invocato difetto di istruttoria per mancata considerazione della dichiarazione del tecnico di parte si rammenta che quest'ultimo, in data 3 marzo 2023, aveva affermato quanto segue: "la Progettazione delle migliorie risulta redatta sulla scorta di format e relazioni standard tipologiche comuni a più gare di appalto per similari e modesti interventi di sistemazione idrogeologica". Inoltre che: "Non stupisce pertanto che in occasione di altre gare e eventuali accesso agli atti degli elaborati predisposti da questo studio, altri concorrenti abbiano potuto riprodurre e fare proprie soluzioni riprodotte nella gara in questione". Infine che: "non stupirebbe che le soluzioni offerte dalle imprese "Co. srl" e "Te. Srl" possano essere state curate da figure professionali entrate in contatto in passato con la scrivente". Trattasi di affermazioni generiche ossia insuscettibili di superare le stringenti osservazioni del RUP circa le rilevanti identità delle tre offerte sia per lo stile redazionale (cinque relazioni accorpate in una), gli errori commessi (sul computo metrico) e le carenze rilevate (sul quadro "Organizzazione del personale impiegato nell'esecuzione dei lavori"). Tali coincidenze sono di tale rilievo ed importanza, in altre parole, da non poter essere spiegate dalla mera constatazione che si tratterebbe di progetti standard o di figure professionali che avrebbero in passato collaborato con il tecnico della società appellante. Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 8. Con riguardo alla mancata attivazione del soccorso istruttorio sulla carenza di alcune relazioni (organizzazione del personale e progetto di migliore) osserva il collegio che la gravata determinazione di esclusione è atto plurimotivato che si basa, soprattutto, sulla rilevata unicità del centro decisionale. Pertanto la teorica fondatezza di tali specifica censura non sarebbe sufficiente ad intaccare il cuore del provvedimento su cui più avanti ci si soffermerà, si anticipa sin da ora, in termini negativi per l'appellante. Di qui l'inammissibilità della specifica censura di cui al punto 3.3. 9. Circa la incompetenza del RUP sul provvedimento di esclusione si opera integrale rinvio a quanto in proposito rilevato al punto 6. Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato; 10. Circa la incompatibilità del ruolo di RUP e di componente del seggio di gara si richiamata la ormai pacifica giurisprudenza secondo cui, nelle procedure di gara ad evidenza pubblica, il ruolo di responsabile unico del procedimento può anche coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, e tanto ad eccezione dei casi in cui sussista la concreta dimostrazione che i due ruoli siano incompatibili, per motivi di interferenza e di condizionamento tra gli stessi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6082). Dimostrazione che nel caso di specie tuttavia difetta integralmente, atteso che la difesa di parte appellante si è limitata ad enunciare una generica incompatibilità tra i due ruoli (cfr. pagg. 23 e 24 atto di appello). Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 11. Con il motivo sub 3.6. la parte appellante lamenta che la responsabilità di tale contestata sovrapponibilità delle offerte sarebbe da ascrivere al solo tecnico che aveva provveduto a redigere l'offerta tecnica. Il motivo non è condivisibile in quanto quel che rileva, ai fini dell'esame in sede di gara, è l'offerta nella sua obiettiva ed estrinseca rilevanza. Eventuali responsabilità soggettive e professionali non potranno che essere fatte valere nelle competenti sedi civili e, se del caso, anche penali. Di qui il rigetto altresì di tale censura; 12. Il motivo sub 3.7. introduce la tematica dell'unicità del centro decisionale sostanzialmente rinvenibile in capo a due o più concorrenti alla medesima gara, ipotesi questa idonea a comportare l'esclusione dei concorrenti stessi in quanto posto in serio pericolo il principio della segretezza delle offerte presentate in gara (e dunque del divieto di reciproco condizionamento). Giova rammentare che l'art. 80, comma 5, lettera m), del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevede che: "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico... qualora... m) l'operatore economico si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale". Al riguardo, così si è espressa la prevalente giurisprudenza: - "8.6. Quanto al primo aspetto, è ius receptum in giurisprudenza, in ragione anche dell'esplicito contenuto precettivo di cui all'art. 80 comma 5 lettera m) del d.lgs. 50/21016, che "la sussistenza di una posizione di controllo societario ai sensi dell'articolo 2359 Cod. civ., ovvero la sussistenza di una più generica "relazione, anche di fatto" (secondo una formulazione comprensibilmente ampia) fra due concorrenti è condizione necessaria, ma non anche sufficiente, perché si possa inferire il reciproco condizionamento fra le offerte formulate. A tal fine (recependo un'indicazione fornita in modo netto dalla Corte di giustizia) è altresì necessario che venga fornita adeguata prova circa il fatto "(che) la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili a un unico centro decisionale"" (Consiglio di Stato, V sezione, 4 gennaio 2018, n. 58). Si è al riguardo precisato che "ciò che deve essere provato (...) è soltanto l'unicità del centro decisionale e non anche la concreta idoneità ad alterare il libero gioco concorrenziale. Ciò, in quanto la riconducibilità di due o più offerte a un unico centro decisionale costituisce ex se elemento idoneo a violare i generali principi in tema di par condicio, segretezza e trasparenza delle offerte (...)" (Cons. Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 496). Ne discende che sulla stazione appaltante grava "il solo compito di individuare gli indici dell'esistenza di un unico centro decisionale e non anche il compito di provare in concreto l'avvenuta alterazione del gioco concorrenziale, ovvero il compito di indagare le ragioni di convenienza che possono aver indotto l'unitario centro di imputazione ad articolare offerte in parte diverse fra loro" (Cons. Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 496). Tanto in aderenza alla sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea, 19 maggio 2009, in causa C-538/07 - che ha affermato il principio secondo cui il diritto comunitario "osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d'appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito di tale gara". È stato quindi delineato il percorso istruttorio che la stazione appaltante deve svolgere per la verifica della esistenza di un unico centro decisionale: "a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell'art. 2359 Cod. civ.; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell'esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell'esistenza di un'unico centro decisionalè da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l'esistenza dell'unicità soggettiva sostanziale" (Cons. Stato, V, 3 gennaio 2019, n. 69, che richiama Cons. Stato, V, 10 gennaio 2017, n. 39). Si rivela, dunque, dirimente in siffatte evenienze una puntuale verifica sulle concrete implicazioni che un tale rapporto possa avuto sul comportamento degli operatori nell'ambito della specifica procedura di gara e, segnatamente, quanto al confezionamento delle offerte. La ratio della norma è quella, infatti, di evitare il (rischio di un) previo accordo tra gli offerenti (appartenenti al medesimo gruppo o centro di interessi economici), che comprometterebbe la segretezza reciproca delle offerte e la serietà del confronto concorrenziale" (Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2022, n. 4625); - "come chiarito da Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2017, n. 39 (citata dalla stessa sentenza impugnata) l'accertamento della causa di esclusione in esame passa attraverso un preciso sviluppo istruttorio: a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell'art. 2359 Cod. civ.; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell'esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell'esistenza di un "unico centro decisionale" da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l'esistenza dell'unicità soggettiva sostanziale" (Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2019, n. 69); - "La prova del collegamento tra imprese (il cui onere ricade sulla stazione appaltante o, comunque, sulla parte che ne affermi l'esistenza, al fine della loro esclusione dalla gara) deve allora necessariamente fondarsi su elementi di fatto univoci, desumibili sia dalla struttura imprenditoriale dei soggetti coinvolti (dal loro assetto interno, personale o societario - c.d. aspetto formale), sia dal contenuto delle offerte dalle stesse presentate (c.d. aspetto sostanziale)" (Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2023, n. 5107). Dunque, in estrema sintesi: a) la segretezza delle offerte costituisce principio ineludibile del sistema delle gare pubbliche; b) ciò anche allo scopo di evitare forme di possibile reciproco condizionamento tra le offerte stesse; c) tale reciproco condizionamento delle offerte potrebbe infatti alterare e pregiudicare il corretto confronto concorrenziale; d) eventuali fattispecie di unicità del centro decisionale, tra due o più operatori che partecipino alla stessa gara, potrebbe concretamente dare luogo ad ipotesi di reciproco condizionamento delle rispettive offerte; e) la stazione appaltante deve limitarsi a provare la probabile sussistenza di un centro decisionale unico senza necessariamente dimostrare, altresì, la concreta alterazione del gioco concorrenziale; f) l'unicità del centro decisionale va dimostrata: in primo luogo, attraverso una analisi strutturale delle relazioni societarie o personali intercorrenti tra due o più operatori (aspetto formale); in seconda battuta, ossia in via sussidiaria, attraverso un attento confronto contenutistico tra due (o più ) offerte presentate dagli operatori in gara (aspetto sostanziale). Da tanto si ricava che l'unicità del centro decisionale ossia la sostanziale identità delle offerte (criterio residuale pacificamente ammesso dalla giurisprudenza onde applicare siffatto istituto: cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2022, n. 4625) emerge nel caso di specie sulla base di indizi complessivamente gravi, precisi e concordanti (in particolare: identiche modalità di redazione delle offerte, stessi errori sul computo metrico e stesse carenze dei contenuti relazionali). Tali indizi non sono infatti mai stati concretamente contestati dalla difesa di parte appellante. Quest'ultima si è limitata a riportare una dichiarazione del proprio tecnico (idonea peraltro a suffragare la tesi della identità contenutistica delle tre offerte, visto che tale identità non viene mai "contestata" ma soltanto "giustificata") oppure a riportare giurisprudenza di primo grado in cui si parla di occasionalità straordinaria o di mero "copia incolla" che i tecnici possono fare da internet. Si osserva tuttavia che trattasi in questo caso di ben tre offerte pienamente sovrapponibili e non di due offerte come nei casi affrontati dalla giurisprudenza. Dunque la coincidenza è oltre misura evidente nel caso di specie. Inoltre il fatto che la responsabilità di tutto questo sarebbe del tecnico che ha materialmente redatto l'offerta non ha pregio in quanto come già detto, al di là delle conseguenti possibili azioni risarcitorie nei confronti del tecnico medesimo, quel che rileva è l'obiettiva rilevanza dell'offerta e del suo contenuto in termini formali e sostanziali, rilevanza che non potrebbe essere altrimenti obliterata in questa sede. Né sono mai state evidenziate più concrete ragioni idonee ad escludere, in fatto e in diritto, l'effettiva consistenza dell'unicità del centro decisionale. Al riguardo la difesa di parte appellante ha infatti lamentato che non sarebbe stato considerato che si trattava di gara dal modesto valore, caratterizzata da "format predefiniti e standardizzati" ossia di "modesta difficoltà e contenuto ripetitivo". Oltretutto, considerato l'alto tasso di informatizzazione nonché la presenza di "intelligenza artificiale", sarebbe normale vi siano taluni episodi di ripetitività ed analogia. Si consideri infine che i tecnici "talvolta collaborano tra di loro" (pag. 34 atto di appello). Osserva sui punti specifici il collegio che: a) non sono state innanzitutto indicate le "collaborazioni tecniche" da cui sarebbero potute scaturire simili analogie (o meglio identità ); b) in ogni caso le rilevate sovrapposizioni contenutistiche e redazionali (5 relazioni unificate in una sola relazione), nonché l'identità degli errori commessi (computo metrico) e delle rilevate carenze documentali (relazione su organizzazione del personale) sono di tale natura, importanza e consistenza che non potrebbero di certo essere unicamente attribuite a situazioni di mera standardizzazione dell'opera da eseguire oppure a sbadate operazioni di "copia incolla" da documenti agevolmente rinvenibili da internet. In altre parole gli indizi sono sì gravi, precisi e concordanti da far ritenere un molto probabile se non sicuro "coordinamento tra le offerte". Simili criticità (si ripete: identiche scelte redazionali come accorpamento di 5 relazioni in una sola, identici errori sul computo metrico e identiche lacune documentali) non consistono infatti in analoghe o identiche scelte progettuali di carattere puntuale ma riguardano ben precise strategie di gara oppure errori che sono unicamente riconducibili ad un approssimativo esame dello stato dei luoghi oppure, si ripete, a lacune documentali di certo non ascrivibili a materiale reperito sulla rete. Come evidenziato dalla giurisprudenza, dunque, risulta essere "stata superata quella soglia di criticità significativa supportata da indizi gravi, precisi e concordanti... che lascia ragionevolmente presumere il pericolo di un'orchestrazione o contaminazione delle offerte" (Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2023, n. 5107). Il motivo specifico deve dunque essere integralmente rigettato. 13. Con riguardo al motivo sub 3.8. (sproporzione segnalazione ad ANAC del provvedimento di esclusione), così si è espressa la prevalente giurisprudenza: "È orientamento giurisprudenziale consolidato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, quello per cui l'incameramento della cauzione provvisoria e l'attivazione del pedissequo procedimento di segnalazione all'ANAC sono conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti, nonché insensibile a eventuali valutazioni volte a evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha comportato l'esclusione (ex multis, Cons. Stato, V, 21 gennaio 2020, n. 479; V, 24 giugno 2019, n. 4328; V, 10 settembre 2018, n. 5282; 11 dicembre 2017, n. 5806; 4 dicembre 2017, n. 5709; VI, 15 settembre 2017, n. 4349; V, 28 agosto 2017, n. 4086; 15 marzo 2017, n. 1172; Adunanza plenaria, 29 febbraio 2016, n. 5)" (Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2020, n. 5420). Anche tale censura deve pertanto essere respinta. 14. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato. 15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite, da quantificare nella complessiva somma di euro 4.000 (quattromila/00), oltre IVA e CPA ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6136 del 2021, proposto da Vi.Ag., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca.Ma., Ma.Vi.La.Ro., Mi.Mo., En.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca.Ma. in Roma, via (...); contro Autorità per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti Ti. S.p.A., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 03955/2021, resa tra le parti, per l’annullamento della sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 3.700.000,00; di ogni altro atto, presupposto o susseguente, comunque connesso, ivi incluso, ove occorra, l'atto di contestazione n. 02/19/DSD notificato in data 16 luglio 2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni - Roma e di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2023 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Ma.Vi.La.Ro., En.Ma., e Fe.Va. dell'Avvocatura Generale dello Stato.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con l’appello di cui in epigrafe la società Viagogo impugnava la sentenza n. 3955 del 2021 del Tar Lazio, di rigetto dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società al fine di ottenere l’annullamento della delibera n. 104/20/CONS, resa all’esito della riunione del Consiglio del 16 marzo 2020 e notificata a mezzo PEC in data 21 aprile 2020, adottata dall’Autorità a conclusione della contestazione n. 02/19/DSD, con cui è stata accertata, inter alia, “la violazione, da parte della società Vi.Ag. [...] dell’art. 1, comma 545, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazioni” e, per l’effetto, è stata irrogata nei confronti della Società una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 3.700.000,00. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda parte appellante contestava il contenuto della sentenza e le relative argomentazioni, formulando quindi i seguenti motivi di appello: - violazione del divieto di integrazione postuma (in sede giurisdizionale) della motivazione del provvedimento amministrativo, violazione del giusto procedimento e dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della legge. Avendo il Tar erroneamente fondato la propria valutazione su una motivazione nuova, introdotta dall’Autorità solamente con la memoria depositata in data 15 febbraio 2021, laddove si è sostenuto che la legge non vieta solo “la vendita o qualsiasi forma di collocamento dei titoli di accesso ad eventi di spettacolo” da parte di soggetti non autorizzati, ma anche tutte le attività di pura intermediazione che non comportino una partecipazione giuridica al rapporto di “vendita” o di “collocamento” sul mercato in senso stretto; - eccesso di potere. travisamento della natura dell’attività svolta dalla ricorrente e, segnatamente, dei compiti dell’hosting provider; conseguente errata imputazione alla società della condotta vietata dalla legge; contraddittorietà e difetto di motivazione nella sentenza. violazione e falsa applicazione della direttiva 2000/31/ce (“direttiva e-commerce”) (artt. 3, 14 e 15) e del d.lgs. di recepimento n. 70/2013 (“decreto e-commerce”) (artt. 16 e 17). La Decisione e la Sentenza si basano sul presupposto erroneo di voler riconoscere in capo alla Società il ruolo di hosting provider attivo - violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 545 - 545-quinquies della legge 11 dicembre 2016, n. 232 come modificato dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; - carenza di motivazione della sentenza sulla incompatibilità della legge e/o del provvedimento sanzionatorio e della sentenza impugnata con norme, principi e diritti fondamentali prevalenti di diritto ue e costituzionali e, segnatamente la direttiva ecommerce (artt. 3 e 14-15), il divieto di restrizioni alla concorrenza e alla libera circolazione dei servizi (art. 56, 102 e 106 tfue, nonché gli artt. 41 e 117, comma 1 cost, anche per interposizione dall’art. 16 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea). in subordine, richiesta di rinvio pregiudiziale e/o di legittimità, rispettivamente, alla corte di giustizia dell’unione europea sull’interpretazione delle predette norme ue e/o alla corte costituzionale sulla compatibilità con le norme costituzionali; - in via subordinata, sproporzione della sanzione pecuniaria, irragionevolezza e carenza della motivazione; errata applicazione del c.d. cumulo materiale della sanzione amministrativa. violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 e delle linee guida agcom di cui all’allegato a della delibera 265/15/cons. L’Autorità appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello. Con ordinanza cautelare n. 4483 del 2021 veniva accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata. Con ordinanza n. 592 del 2022 veniva sospeso il giudizio e disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE. All’esito del giudizio in Corte UE, veniva pubblicata la sentenza 27 aprile 2023 che dichiarava il ricorso irricevibile. Alla pubblica udienza del 23 novembre 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO Preliminarmente, va confermato il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dalla difesa erariale sul presupposto della mera riproposizione delle censure di primo grado. 1.1 In linea generale, ai sensi dell’art. 101 cod.proc.amm. il ricorrente ha l’onere di specificare i motivi di appello, non potendo limitarsi a un generico richiamo delle ragioni già presentate dinanzi al giudice di primo grado, dovendo contestare specificamente sul punto la sentenza impugnata. Il fatto che l’appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo, non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell'atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e, inoltre, i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado. L'appello deve essere ritenuto ammissibile qualora dallo stesso sia possibile desumere le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l'impugnazione, in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata; peraltro, il grado di specificità dei motivi di appello deve essere parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 857). 1.2 Nel caso di specie l’atto d’appello è pienamente conforme ai parametri richiamati. In termini formali contiene una chiara specificazione dei motivi dedotti (cfr. pagg. 5 ss. dell’atto di appello); in termini sostanziali contiene una puntuale critica, nella parte oggetto di contestazione, alle argomentazioni svolte dal Tar in piena adesione al provvedimento impugnato, in merito sia alla natura dell’attività svolta - in specie quale hosting provider passivo e non attivo - sia alla insussistenza dei presupposti di cui alla normativa statale applicata. Passando al merito della vertenza, la soluzione della controversia impone un breve riassunto del procedimento confluito nel provvedimento impugnato, nei termini già evidenziati in sede di rinvio pregiudiziale ma che, a fini di completezza, occorre ribadire in sede di decisione finale. 2.1 A seguito dell’acquisizione di taluni esposti formulati da società operanti nel settore dell’organizzazione di eventi musicali, di società di vendita nel mercato primario di titoli ad eventi musicali e di associazioni di categoria, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha effettuato un’attività di controllo sul sito “viagogo.it”, gestito dall’omonima società odierna appellante, all’esito della quale ha rilevato che nell’arco temporale marzo - maggio 2019, sono stati messi in vendita biglietti a prezzi maggiorati rispetto ai prezzi nominali presenti sui siti di vendita primari autorizzati, con riferimento a 37 eventi (concerti e spettacoli) e che, anche tramite il social www.facebook.com/viagogo, si realizza, attraverso il rimando al sito web della società, analoga fattispecie di messa in vendita di biglietti a prezzo maggiorato. 2.2 Quindi l’Autorità notificava alla ricorrente l’atto di contestazione n. 02/19/DSD, con il quale contestava che di aver “messo in vendita titoli di 5 accesso ad attività di spettacolo senza essere titolare dei sistemi per la loro emissione e ad un prezzo superiore al prezzo nominale del mercato primario autorizzato, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 545, legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazioni”. Successivamente all’acquisizione delle difese della società, con decisione del 16 marzo 2020, notificata a mezzo PEC in data 21 aprile 2020, l’Autorità confermava in parte gli addebiti, escludendo però le sanzioni circa: (i) la messa in vendita di titoli di accesso senza essere titolare dei sistemi per la loro emissione; e (ii) la promozione dell’attività sul social network www.facebook.com/Viagogo, ritenendo la stessa attività non autonomamente sanzionabile, ma quale elemento suscettibile di incidere sulla gravità della lesione per il fatto di amplificare la diffusione delle proposte di vendita. 2.3 L’Autorità conseguentemente dichiarava la violazione dell’art. 1, comma 545 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 e successive modifiche e integrazione ed irrogava la sanzione pecuniaria di € 3.700.000,00. Per giungere a tale sanzione l’Autorità ha maggiorato l’importo di base del calcolo della sanzione da € 10.000 a € 100.000 per ciascun dei 37 eventi contestati. Inoltre, l’Autorità ha diffidato la Società, con effetto immediato, dal «porre in essere ulteriori comportamenti in violazione delle disposizioni richiamate». 2.4 A fini di completezza va ricordato che la stessa società odierna appellante abbia ricevuto in precedenza un provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (5 aprile 2017, n. 33840) con cui era stata accertata la commissione da parte della società di una pratica commerciale scorretta consistente: i) nella mancata indicazione del settore o della fila del biglietto offerto; ii) nella omessa informazione in ordine al valore facciale del biglietto, in quanto verrebbe mostrato il solo prezzo proposto dal venditore; iii) nella indicazione della scarsità dei biglietti ricercati e della numerosità di persone interessate ad acquistarli; iv) nella dicitura Viagogo-Sito ufficiale, idonea a confondere «il consumatore in merito alla reale natura delle offerte presenti sul sito del professionista, dove sono rinvenibili biglietti a prezzi diversi e tendenzialmente maggiori di quelli offerti dal rivenditore ufficiale dell’evento». L’Autorità antitrust ha: imposto l’inserimento sulla piattaforma digitale di «campi a compilazione obbligatoria in cui il venditore inserisce i dati relativi al prezzo di vendita del biglietto sul mercato primario» ed obbligato ad inserire «dati relativi al posto a sedere (settore, file e numero) correlato al biglietto stesso»; ha quindi inflitto per tali condotte una sanzione pecuniaria di euro 300.000,00, che è stata, con atto del 7 marzo 2018, aumentata, per inottemperanza, ad euro 1.000.00,00 Tale provvedimento è stato annullato a seguito della decisione di questa sezione, n. 4359 del 2019, che ha accertato la natura di hosting provider passivo in capo alla società esponente. 2.5 A fronte del richiamo espresso, ribadito in sede di appello, dei precedenti della sezione (cfr. ad es. sentenze nn. 4359 del 2019, 1217 del 2020 e 3851 del 2021), occorre svolgere un breve riassunto di quanto ivi chiarito che, seppur relativo alla contestazione di pratica commerciale scorretta, fornisce elementi di fondo rilevanti anche nella specie, in quanto concernenti l’attività stessa della società oggetto di valutazione e sanzione con il provvedimento impugnato in prime cure. 2.6 In linea generale, l’hosting provider è disciplinato dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, che ha dato attuazione alla direttiva 2000/31/Ce, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. La nozione di «servizi della società dell’informazione» ricomprende i servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, mediante attrezzature elettroniche di trattamento e di memorizzazione ed a richiesta individuale di un destinatario dei servizi stessi (art. 2, lett. a della suddetta direttiva). 2.7 Il provider è il soggetto che organizza l’offerta ai propri utenti dell’accesso alla rete internet e dei servizi connessi all’utilizzo di essa. Si distinguono, ai sensi del decreto in esame, tre figure di soggetti che operano nel presente mercato, articolate in ragione della tipologia di prestazione resa a cui corrisponde una specifica forma di responsabilità: i) attività di semplice trasporto - mere conduit (art. 14); ii) attività di memorizzazione temporanea - caching (art. 15); iii) attività di memorizzazione di informazione - hosting (art. 16). 2.8 In relazione a tale ultima attività la giurisprudenza europea distingue due figure di hosting provider. 2.8.1 La prima figura è quella di hosting provider “passivo”, il quale pone in essere un’attività di prestazione di servizi di ordine meramente tecnico e automatico, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi. 2.8.2 La seconda figura è quella di hosting provider “attivo”, che si ha quando, tra l’altro, l’attività non è limitata a quanto sopra indicato ma ha ad oggetto anche i contenuti della prestazione resa (Corte di Giustizia eur. 7 agosto 2018, punti 47 e 48; si v. anche Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2019, n. 7708). 2.9 La Sezione ha già evidenziato come non vi sia una oggettiva incompatibilità tra la figura del professionista, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciale scorrette, e quella di hosting provider, ai sensi della normativa sul commercio elettronico. Esse, però, devono essere coordinate nel senso che è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che mediante l’applicazione della disciplina sulle pratiche scorrette si impongano all’hosting provider prestazioni non previste dalla disciplina sul commercio elettronico e dallo specifico contratto concluso. 2.10 In termini di ulteriore approfondimento del ruolo degli internet providers, va evidenziato che, se per un verso, viene riconosciuta l'importanza di questi soggetti sia dal punto di vista economico - essi intermediano la maggior parte delle attività imprenditoriali che hanno luogo in rete - sia dal punto di vista socio-culturale - essi permettono la circolazione e l'accesso all'informazione, per altro verso, da più parti si lamenta che gli illeciti telematici avvengano proprio in virtù dell'attività svolta dagli intermediari di Internet, che devono dunque essere coinvolti nella responsabilità o almeno nelle operazioni di prevenzione e rimozione di tali illeciti. 2.11 Se si guarda al regime di responsabilità degli Internet service providers oggi in vigore nel nostro ordinamento, la scelta operata dal legislatore europeo e, conseguentemente, nazionale è stata quella di affiancare alle normative già esistenti - la disciplina generale sulla responsabilità da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. e, più in generale, le ordinarie regole della responsabilità civile - alcune norme speciali, ad altro contenuto tecnico, sulla responsabilità dei prestatori di servizi nella società dell'informazione. 2.12 Tali norme, secondo la prospettazione accolta anche dalla giurisprudenza civile (cfr. ad es. Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2019, n. 7708 e 7709), dettano il criterio di imputazione della responsabilità della colpa, che viene ad essere dotato di un contenuto di specificità, e, ad un tempo, conformato e graduato, ex lege, per così dire, ritagliato, a misura dell'attività professionale svolta dai prestatori dei servizi Internet. Secondo tale condiviso orientamento, va esclusa la responsabilità in caso di mancata manipolazione dei dati memorizzati; in tale contesto si valorizza peraltro la varietà di elementi idonei a delineare la peculiare figura dell'hosting attivo, comprendente attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione. Trattasi all’evidenza, anche dinanzi all’evoluzione tecnologica, di indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti. Ciò che rileva è che deve trattarsi, in ogni caso, di condotte che abbiano in sostanza l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte degli utenti, il cui accertamento in concreto non può che essere rimesso al giudice di merito. Applicando le predette coordinate al caso in esame, va premesso che la società appellante agisce nella UE attraverso un’unica piattaforma web “multi-giurisdizione”, che opera come luogo di incontro (marketplace) tra domanda e offerta per la rivendita di biglietti tra utenti 3.1 Il mercato secondario dei biglietti vede agire, dal lato dell’offerta, qualunque soggetto che sia in possesso di un biglietto e intenda venderlo, ad eccezione degli organizzatori o venditori primari dei biglietti (salvo il caso in cui gli operatori primari trattengano dei biglietti per cederli direttamente sul mercato secondario). Specularmente, dal lato della domanda, agiscono gli utenti che ricerchino un biglietto sul mercato secondario, generalmente perché non più disponibile sul mercato primario, o disponibile solo a prezzi non accessibili. In base alla Legge, la vendita di biglietti sul mercato secondario è lecita se svolta in via occasionale (cioè da consumatori e non in forma professionale) e a prezzi non superiori a quelli nominali stampati sul biglietto 3.2 Nel caso di specie AgCom, a fronte dell’attività posta in essere da Viagogo, oltre ad aver proceduto a qualificare l’attività in termini di hosting provider attivo, ha peraltro mosso una contestazione ulteriore ed autonoma, basata sulla norma di cui al comma 545 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, norma avente chiaro carattere fiscale e repressivo di un’attività professionale come la vendita secondaria di biglietti (per evitare il fenomeno del c.d. bagarinaggio che lede oltre gli interessi del fisco anche la disciplina del diritto di autore). 3.3 In sostanza, attraverso la previsione sanzionatoria, di cui alla norma applicata nella specie, risulta in definitiva vietata la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione. In termini di eccezione, è consentita la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali. 3.4 Peraltro, nel caso di Viagogo la finalità commerciale è evidente, stante la natura dell’attività imprenditoriale svolta da una società operante nei servizi della società dell’informazione. Né risulta applicabile l’eccezione di cui al comma 545 quater, limitato soggettivamente ai “siti internet di rivendita primari, i box office autorizzati o i siti internet ufficiali dell'evento”, né il disposto del d.m. attuativo che - dovendosi interpretare nei limiti dettati dalla legge di riferimento - concerne le reti di comunicazione elettronica riferibili ai soli “titolari dei sistemi di emissione”. 3.5 Invero, seppur in termini non adeguatamente formalizzati, la contestazione di cui al provvedimento finale, impugnato in prime cure, è comprensiva di quanto evidenziato nelle difese erariali, condivise dal Tar: “si è accertata la sussistenza delle violazioni relative alla messa in vendita, a prezzi maggiorati rispetto al prezzo nominale dei medesimi biglietti messi in vendita sui siti di vendita primari autorizzati, e dunque in violazione di legge, dei biglietti relativi ai 37 eventi di diversi artisti, così come riportati ai punti 2-38 dell’atto di contestazione”; per quanto riguarda la mancanza di titolarità, lo stesso atto finale chiarisce che “il punto 1 della contestazione, relativo alla messa in vendita di titoli di accesso senza essere titolare di sistemi per la loro emissione è uno degli elementi costitutivi delle condotte contestate di cui ai successivi punti da 2 a 38”. Va quindi ribadito come non vi sia spazio per il primo motivo di appello, con cui si lamenta l’integrazione postuma della motivazione; trattasi infatti di chiarimento di motivazione già presente nell’atto. 3.6 Invero, alla luce dell’esteso disposto normativo così come applicato dall’AgCom, quale che sia la qualifica di hosting provider applicata, attivo o passivo, risulta nella sostanza vietato in radice il mercato secondario svolto a fini commerciali. 3.7 Così intesa la normativa applicata, in termini peraltro imposti dallo stesso chiaro disposto letterale (in claris non fit interpretatio) è apparsa rilevante la questione sollevata da parte appellante, con preliminare rilievo rispetto ai principi di origine sovranazionale, laddove si ritiene la misura restrittiva non idonea a distinguere le condotte o attività economiche lesive da quelle non lesive del bene pubblico dalla stessa tutelato; tale disciplina, nell’ottica appellante, non soddisfa il test di proporzionalità ed è quindi incompatibile con le norme fondamentali della UE e costituzionali in materia di divieto di restrizioni alla concorrenza e libera circolazione. 3.7 Invero, la formulazione della norma è tale da estendersi anche agli intermediari attivi e passivi che siano, essendo idonea a colpire egualmente, in astratto, tanto le attività lecite quanto quelle illecite. In altri termini, allo scopo di tutelare i consumatori da imprecisate pratiche dannose e prevenire l’evasione fiscale, si proibisce del tutto l’esercizio di un’attività, sia nelle sue manifestazioni lecite che in quelle eventualmente illecite e tanto si dubitava potesse violare il diritto Ue. Sulla scorta di tali premesse, al fine di sottoporre la normativa con le direttive europee in materia nonché col principio di cui all’art. 106 TFUE, laddove assegna diritti “speciali o esclusivi” in capo agli operatori del mercato primario, che risulterebbero gli unici soggetti in grado di operare quali intermediari nel mercato secondario, con la precedente ordinanza (richiamata nella narrativa in fatto) veniva disposto rinvio pregiudiziale, neppure apparendo ostativa la nazionalità extra Ue della società ovvero e la circostanza che la piattaforma sia ospitata sui server Microsoft Azure negli Stati Uniti d’America; infatti, entrambi gli elementi territoriali evocati dalla difesa erariale non incidono su di un elemento dirimente, cioè la piena operatività della società nell’ambito dei paesi europei, attraverso lo svolgimento di servizi della società dell’informazione a favore di utenti e consumatori europei in relazione ad eventi che si svolgono nel territorio Ue. 4.1 I quesiti proposti erano i seguenti: a) "se la direttiva 2000/31/CE, e in particolare gli articoli 3, 14 e 15, in combinazione con l’art. 56 TFUE, ostino ad un’applicazione della normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi sul mercato secondario che abbia l’effetto di precludere ad un gestore di una piattaforma di hosting operante nella UE, quale è la ricorrente nel presente procedimento, di fornire a terzi utenti servizi di annunci di vendita di biglietti per eventi sul mercato secondario, riservando tale attività ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati da pubbliche autorità all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati”; b) "Se, in aggiunta, il combinato disposto degli artt. 102 TFUE e 106 TFUE osti all’applicazione di una normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi che riservi tutti i servizi inerenti il mercato secondario dei biglietti (e in particolare l’intermediazione) ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati, precludendo tale attività ai prestatori di servizi della società dell’informazione che intendono operare come hosting provider ai sensi degli articoli 14 e 15 della Direttiva 2000/31/CE, in particolare laddove, come nel caso di specie, tale riserva abbia l’effetto di consentire ad un operatore dominante sul mercato primario della distribuzione di biglietti di estendere la propria dominanza sui servizi di intermediazione nel mercato secondario”; c) “se, ai sensi della normativa europea ed in specie della direttiva 2000/31/CE, la nozione di hosting provider passivo sia utilizzabile solo in assenza di qualsiasi attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, intesi come indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti in quanto da ritenersi ex se significativi di una gestione imprenditoriale del servizio e /o dell'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione, o se sia rimesso al giudice del rinvio l’apprezzamento della rilevanza delle predette circostanze in modo che, pur nella ricorrenza di una o più di esse, sia possibile ritenere prevalente la neutralità del servizio che conduce alla qualificazione di hosting provider passivo”. 4.2 Peraltro, all’esito del relativo giudizio la Corte di giustizia UE dichiarava il ricorso irricevibile sei seguenti termini. 4.2.1 In relazione al primo quesito, “non è contestato che la Viagogo è stabilita a Ginevra, ivi ha la propria sede ed ivi centralizza la propria attività economica, malgrado il fatto che essa gestisca i propri siti Internet in versioni accessibili in vari Stati membri dell’Unione e, segnatamente, in Italia. Le prestazioni di servizi di cui si tratta vengono dunque fornite a partire da uno Stato terzo ad opera di una società disciplinata dal diritto di tale Stato terzo. 31 Ne consegue che, contrariamente a quanto presuppone il giudice del rinvio, la direttiva 2000/31 non è invocabile dalla ricorrente di cui al procedimento principale. Poiché l’insieme delle questioni sollevate da detto giudice si ricollega a tale direttiva, la domanda di pronuncia pregiudiziale risulta, per tale motivo, interamente irricevibile”,..... “la Viagogo non rientra nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 56 TFUE e non può, di conseguenza, far valere la violazione di tale articolo nell’ambito della controversia di cui al procedimento principale, di modo che la prima questione, in quanto vertente sull’interpretazione dell’articolo summenzionato, è irricevibile anche sotto questo aspetto”. 4.2.2 In relazione al secondo quesito, “per quanto riguarda gli articoli 102 TFUE e seguenti, e più specificamente l’esistenza di un eventuale abuso di posizione dominante, nessun riferimento viene fatto dal giudice del rinvio agli elementi costitutivi di una posizione dominante, ai sensi del citato articolo 102, nel contesto del procedimento principale”. 4.2.3 Infine, in relazione al terzo quesito, l’irricevibilità veniva dettata per il relativo carattere ipotetico. All’esito del giudizio pregiudiziale, riassunti gli elementi rilevanti della fattispecie nei termini già evidenziati in sede di ordinanza di rinvio, è possibile passare quindi all’esame conclusivo dei restanti motivi di appello anche alla luce delle indicazioni fornite dalla CGE; motivi che risultano infondati. In relazione al primo motivo, come sopra ribadito e comunque già chiarito in sede di ordinanza di rinvio pregiudiziale, la contestazione appariva già individuata nel provvedimento impugnato in termini adeguati e comunque tali da evidenziare l’infondatezza della deduzione di parte appellante; analogamente la sentenza di prime cure appare accompagnata da una approfondita motivazione. In relazione al secondo motivo di appello, concernente il presunto travisamento della natura dell’attività svolta dalla ricorrente e, segnatamente, dei compiti dell’hosting provider, assumono rilievo dirimente due elementi concorrenti. 7.1 Per un verso, la Corte di giustizia ha escluso in radice l’applicabilità, al caso di specie, della disciplina europea invocata da parte appellante nonché posta a fondamento dei precedenti evocati; sul punto, a fronte della conclusione di cui alla sentenza europea, che valorizza la sede svizzera (quindi extra UE) di parte appellante, nulla può rilevarsi oltre. 7.2 Per un altro verso, i precedenti della sezione evocati e la relativa qualificazione di hosting provider passivo non possono assumere il rilievo indicato da parte appellante, in quanto o sono stati resi in relazione ad ipotesi normative distinte dal caso in esame che riguarda l’applicazione di una norma fiscale avente carattere imperativo (i casi invocati come precedenti riguardavano le cc.dd. pratiche commerciali scorrette, per la stessa Viagogo), ovvero sono caratterizzati da una fattispecie distinta e da una motivazione valutata come carente (cfr. sentenza 7949 del 2022). 7.3 Nel caso di specie, invece, la motivazione della sentenza e degli atti impugnati risulta accompagnata da una serie di elementi indicativi dello svolgimento di un’attività connotata in termini di non mera passività, anche attraverso le seguenti rilevanti azioni, compiutamente evidenziate dagli atti e dalle difese erariali: predisposizione grafica dell’offerta, organizzata per ogni singolo evento (indicizzazione), predisposizione e messa a disposizione delle piante degli impianti (organizzazione), suggerimento dei prezzi (catalogazione e valutazione), aggregazione dei contenuti per singolo evento (aggregazione), cosicché che l’utente finale acquista i biglietti per tipologia e collocazione, non in base ai singoli annunci. 7.4 Peraltro, la normativa applicata, in mancanza di operatività della disciplina unionale evocata (in quanto esclusa in termini dirimenti dalla stessa CGE) assume rilievo dirimente, sulla scorta del dato letterale da intendersi - come già evidenziato in sede di ordinanza di rinvio e sopra richiamato - alla luce del principio “in claris non fit interpretatio”: “Al fine di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale, nonché di assicurare la tutela dei consumatori e garantire l'ordine pubblico, la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l'inibizione della condotta e con sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 euro a 180.000 euro, nonché, ove la condotta sia effettuata attraverso le reti di comunicazione elettronica, secondo le modalità stabilite dal comma 546, con la rimozione dei contenuti, o, nei casi più gravi, con l'oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di concerto con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, effettua i necessari accertamenti e interventi, agendo d'ufficio ovvero su segnalazione degli interessati e comminando, se del caso, le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente comma. Non è comunque sanzionata la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali”. 7.5 A fronte di un tale chiaro dato letterale non può condividersi la tesi posta a base del motivo di appello per cui “nessuna disposizione di Legge vieta in sé l’attività di vendita o intermediazione sul mercato secondario, né la assoggetta a obblighi di autorizzazione o al possesso di sistemi di emissione certificazione da autorità pubbliche”. Infatti, la disposizione di legge applicata nella specie vieta espressamente e direttamente proprio tale attività, svolta da Viagogo all’evidenza con finalità commerciali (come reso chiaro dal compenso dalla stessa società appellante percepito in relazione ad ogni singola transazione). Se tali considerazioni rendono evidente l’infondatezza anche del terzo motivo di appello, concernente la presunta violazione della norma nazionale applicata, va altresì evidenziato come tale divieto, se da un canto non può disapplicarsi in base alla disciplina europea (reputata inapplicabile nella specie dalla CGE, in termini non più sindacabili nella presente controversia), da un altro canto - anticipando gli esiti negativi anche per il quarto motivo di appello - neppure appare assumere i caratteri necessari per sollevare una questione di costituzionalità, stante l’ambito di discrezionalità da riconoscere al legislatore, in specie alla luce degli obiettivi dichiaratamente perseguiti, la chiarezza del divieto e dei fini prefissati, nonché i presupposti applicativi connessi alla maggiorazione del prezzo ed alla finalità commerciale, quale che sia il carattere più o meno approfondito del servizio reso dalla piattaforma elettronica. 8.1 È pur vero che, sul versante pratico, il servizio svolto appare rilevante per una gran parte dell’utenza potenziale degli eventi pubblicizzati, a fronte di noti meccanismi che, anche grazie all’intelligenza artificiale, risultano fare incetta di biglietti di eventi di grande interesse per il pubblico. Invero, in linea generale è rispetto a tali fenomeni che risulta carente l’attività di verifica e di accertamento delle autorità anche europee, non sull’ambito posto a valle, dove opera Viagogo, di rivendita dei biglietti che non si trovano più sul mercato primario. Peraltro, ciò non rileva ai fini della presente controversia, relativa appunto a quest’ultimo ambito di attività, pacificamente svolta, con evidenti benefici commerciali, dalla odierna appellante, in contrasto con la norma applicata dall’Autorità odierna appellata. In relazione al quarto motivo di appello, oltre a quanto sin qui evidenziato, la manifesta infondatezza della questione emerge sotto due profili concorrenti: da un canto, sulla scorta di quanto ha rilevato la Corte di giustizia; da un altro canto, a fronte della carenza della deduzione, che non indica gli elementi da cui trarre un effettivo contesto di violazione dei principi invocati in tema di abuso di posizione dominante (che agevolerebbe gli emittenti dei biglietti o il mercato c.d. primario). 9.1 L’autorizzazione alla vendita di biglietti sul mercato primario ben può essere chiesta da qualsiasi operatore del settore, senza che - salva la verifica dei necessari presupposti normativi - emergano elementi ostativi all’ottenimento di tale titolo ovvero tali da beneficiarne solo alcuni. 9.2 Le considerazioni appena svolte rendono evidente, al pari di quelle poste a base del rigetto del terzo motivo, anche l’insussistenza dei presupposti - in termini di rilevanza oltre che di non manifesta infondatezza - per sollevare questione di costituzionalità della norma applicata nella specie dall’Autorità. La manifesta infondatezza deve ritenersi perché il legislatore fiscale può decidere di vietare fenomeni che siano per la loro dimensione ed il loro impatto contrari all’ordine economico quali il c.d. bagarinaggio informatico senza che questo divieto risulti ex se risulti violativo della libertà d’impresa. La libertà d’impresa infatti non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale”. Il divieto di vendita secondaria in forma informatica diffusiva e professionale ben può agevolmente giustificarsi nel bilanciamento dei valori a fronte del rischio che il c.d. bagarinaggio informatico comporta per l’ordine economico (non per la sicurezza pubblica). La vendita secondaria poi è vietata ma non in modo assoluto, è consentita la rivendita a certe condizioni di prezzo e di occasionalità che non sono considerate rischiose al fine della concretizzazione del bagarinaggio ed il divieto in esame al Collegio sembra giustificarsi agevolmente in base alle ragioni del Fisco e della disciplina del diritto di autore (in quanto l’esazione dei diritti Siae potrebbe essere compromessa con lesione dei diritti degli autori). Si tratta di ragioni riconducibili pacificamente alla nozione di utilità sociale con conseguente manifesta infondatezza della questione posta anche alla luce dei precedenti del giudice delle leggi. Sono state in tempi risalenti ritenute legittime le limitazioni alla libertà contrattuale in materia commerciale per scopi previsti o consentiti dalla Costituzione (Corte Cost. n. 30 del 1965) o il divieto di licenze per apparecchi di svago che siano utilizzabili come gioco o scommessa (Corte Cost. n. 125/1963 e Corte Cost. n. 12 del 1970). Tali ragioni sono ancora attuali a fronte di un fenomeno di nuova portata come il c.d. bagarinaggio informatico. La norma poi sceglie la via dell’illecito amministrativo e non penale ed in ciò appare proporzionata. Va ricordato che l’illecito penale in tempi risalenti era stato ravvisato ipoteticamente per “la violazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 115, (Tulps) per attività di vendita di biglietti di ingresso ad una manifestazione, costituendo tale attività un’operazione riconducibile all’apertura di un’agenzia d’affari in assenza della prescritta licenza” e per l’art. 665 codice penale (poi depenalizzato). Tale inquadramento non ha retto nemmeno al vaglio della giurisprudenza civile. Per Cass. Civ. n. 10881 del 2008 “chi acquista per poi rivendere a proprio rischio e pericolo biglietti per spettacoli e manifestazioni in genere non è tenuto a chiedere alcuna licenza al questore. L’attività in esame, detta volgarmente di “bagarinaggio”, non è riconducibile, infatti, all’esercizio di un’agenzia d’affari per la quale il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza all’art. 155 prevede il permesso dell’autorità locale competente, poiché il bagarino, che rivende biglietti nel proprio esclusivo interesse ed al fine di lucrare un prezzo maggiore di quello d’acquisto, non esercita alcuna intermediazione - neppure atipica - riconducibile all’agenzia d’affari. Per lo svolgimento di questa attività, dunque, non sussistono le ragioni di specifica vigilanza per motivi d’ordine pubblico e sicurezza da cui sorge la necessità della licenza (in senso analogo Cass. Civ. n. 12826 del 2007 si tratta di sentenze relative al bagarinaggio dei c.d. ambulanti). A fronte dell’esplosione del “bagarinaggio” c.d. informatico, invero molto impattante sull’economia del settore dei pubblici spettacoli, il legislatore fiscale è intervenuto con norma limitativa, ma compatibile con l’orientamento della giurisprudenza civile perché introduttiva di un mero illecito amministrativo. La rivendita massiva di biglietti a prezzi maggiorati, unitamente all’incetta dei biglietti che si può fare alla fonte mediante programmi informatici, è un fenomeno che ha attratto l’attenzione del legislatore intervenuto con la norma di cui si eccepisce l’incostituzionalità. Il fenomeno si è ritenuto in grado di produrre effetti negativi sia per i privati che vogliono partecipare a concerti o a partite di calcio, sia per gli organizzatori degli eventi e gli artisti, che vedono lucrare sconosciuti sul proprio lavoro. La questione di costituzionalità della norma del c.d. “antibagarinaggio informatico” è quindi manifestamente infondata. Va in ultimo notato, in termini altrettanto dirimenti, a fronte dell’impugnativa della sanzione applicata per l’attività svolta sul mercato secondario, oggetto della controversia, la contestazione inerente il mercato primario sottoposta alla Corte Ue su un piano ipotetico e congetturale (senza una analisi di mercato che provi che la legge abbia determinato un ostacolo agli operatori informatici nel settore che potrebbero munirsi di mandati ed autorizzazioni) appare - seppur di sicuro interesse generale - posta al di fuori del perimetro contenzioso di legittimità e comunque ritenuta non ammissibile dalla stessa Corte Ue. Infine, in relazione al quinto motivo di appello, relativo al quantum della sanzione irrogata, in via preliminare appare del tutto carente la deduzione che, oltre ad essere proposta in via subordinata, erroneamente afferma che il Tar avrebbe mancato di confutare gli elementi dedotti in prime cure; l’analisi della pronuncia appellata, infatti, evidenzia come il Tar, con dovizia di argomenti, abbia (punto 12 della motivazione, da pagina 16 a pagina 19) con chiarezza enunciato le ragioni poste a base del condivisibile rigetto. 10.1 Nel merito, se da un canto la norma stessa predetermina i parametri quantitativi da applicare, da un altro canto la pluralità di episodi e di condotte accertate e contestate, non solo in termini di biglietti venduti ma anche di eventi pubblicizzati ed oggetto di vendita, ne consente un cumulo che, in termini non viziati da manifesta illogicità o travisamento dei fatti, l’Autorità ha inteso in termini materiali. 10.2 Le condotte sanzionate, sebbene poste nell’ambito della medesima attività di rivendita di biglietti di eventi, constano nella reiterazione della stessa in relazione a diversi biglietti ed a diversi eventi, dando vita, come correttamente rilevato dal Tar e dalla difesa erariale, ad una pluralità e generalità di operazioni, tali da dare vita ad una vera e propria ulteriore piattaforma di vendita, circostanza che concorre a definire la gravità del fatto. 10.3 Così descritta la condotta posta in essere dall’appellante, va evidenziato che l’invocato principio del cumulo giuridico di cui al richiamato art. 8 della L. n. 689/191, trova applicazione nell’ipotesi in cui la pluralità di violazioni discenda da un’unica condotta e non già in presenza di distinte condotte, anche se identiche o analoghe come nella specie (cfr. ad es. anche Cass. civ., Sez. II, 22 giugno 2022, n. 20129). 10.4 In linea generale, i criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie sono rinvenibili nell'ambito dell'art. 11 della l. 689 del 1981, per il quale, "nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche" (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4799). 10.5 Nella presente fattispecie l’Autorità ha fatto corretto utilizzo dei parametri di quantificazione di cui alla normativa di principio, valorizzando i seguenti elementi: la gravità della condotta anche per la rilevante diffusione della stessa attraverso i più diffusi social media; l’assenza di qualsiasi comportamento, nel corso del procedimento, finalizzato a eliminare o attenuare le conseguenze della violazione e anzi, all’opposto, l’aver dato vita a comportamenti omissivi alla richiesta di elementi; la personalità dell’agente, dotato di una struttura adeguata e qualificata, e le condizioni economiche dello stesso. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto. Sussistono giusti motivi, a fronte della novità della questione, per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordì - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Davide Ponte Giancarlo Montedoro IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5031 del 2023, proposto dalla società Eb. S.r.l., con sede legale in Genova, Via (...), nelle persone del Presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante dott. ing. Fr. Fo. e dell'Amministratore delegato e legale rappresentante dott. ing. Gi. Le., in proprio e nella sua qualità di mandante del RTI avente De. It. S.p.A. quale mandataria (e composto altresì da En. Se. It. S.r.l. ed altri), rappresentata e difesa nel presente giudizio dall'avvocato To. Ma. Fe., come da procura in calce al ricorso in appello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Ze., con sede in Padova, Passaggio (...), in persona del Direttore generale in carica, dott. Ro. To., a ciò autorizzato con decreto del Presidente della giunta regionale del Veneto n. 32 del 26.2.2021, rappresentata e difesa dall'avv. Da. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; la società Consip S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; la società En. - In. In. S.p.A., con sede legale in Roma (RM), Piazzale (...), in proprio nonché quale mandataria del raggruppamento temporaneo con Le. S.p.A. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore avv. Sa. De. Cu., nella sua qualità di procuratrice speciale della predetta società, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procure rilasciate su fogli separati, dagli avvocati prof. Vi. Do. del Foro di Padova e Il. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia dell'avv. Do.; - ricorrente indicentale; la società GE Me. Sy. It. S.p.A., con sede legale in Milano (MI), Via (...) (...), in qualità di mandante dell'RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore avv. Ro. Ca., nella sua qualità di procuratrice (giusta delibera del Consiglio di amministrazione del 27 settembre 2018) della predetta società, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procure rilasciate su fogli separati, dagli avvocati prof. Vi. Do. del Foro di Padova e Il. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia dell'avv. Do.; ricorrente indicentale; la società Co. società consortile a responsabilità limitata, con sede legale in Roma (RM), Via (...) (...), in qualità di mandante dell'RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Vi. Pa., nella sua qualità di amministratore unico della predetta società, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procure rilasciate su fogli separati, dagli avvocati prof. Vi. Do. del Foro di Padova e Il. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia dell'avv. Domenichelli; ricorrente indicentale; la società Le. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; la società Po. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; la società IB. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; ; nei confronti della Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della giunta regionale, non costituita; del Ministero della salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); del Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, n rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); della Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, non costituita; dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionale - Agenas, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); per la riforma "della sentenza n. 735/2023, pubblicata in data 31 maggio 2023, resa dal T.A.R. Veneto, Sez. III, nel giudizio R.G. n. 202/2023". Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Ze., delle società En. - In. In. S.p.A., GE Me. Sy. It. S.p.A. e Co. società consortile a responsabilità limitata, nonché dei Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionale - Agenas; Visto l'appello incidentale proposto dalle società En. - In. In. S.p.A., GE Me. Sy. It. S.p.A. e Co. società consortile a responsabilità limitata; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2023 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso in appello in esame, notificato il 10 giugno 2023, la società Eb. S.r.l., società del Gr. Es., specializzata nel settore dell'Information Technology medicale, attraverso la progettazione, lo sviluppo, la distribuzione e la vendita di sistemi per la gestione dell'imaging diagnostico sul mercato nazionale e internazionale, agendo in proprio e nella sua qualità di mandante del raggruppamento temporaneo avente la società De. It. S.p.A. quale mandataria e composto altresì dalle società En. Se. It. S.r.l. ed altri, ha proposto appello avverso la sentenza n. 735/2023 del 31 maggio 2023 con la quale il Tar del Veneto, sez. III, ha respinto il ricorso n. R.G. n. 202/2023 proposto per l'annullamento degli atti di gara che avevano condotto all'aggiudicazione dell'"Appalto Specifico ai sensi dell'art. 54 comma 4, lett. b) del D.Lgs. n. 50/2016 per la realizzazione del Sistema di RIS-PACS connesso alla piattaforma di Telemedicina per gli Enti Sanitari della Regione Veneto" (CIG: 95125482F1) in favore del RTI En. (avverso, più specificamente i seguenti atti impugnati: la deliberazione n. 896 del 30 dicembre 2022 con la quale l'Azienda Ze. ha approvato le risultanze dell'appalto specifico, lotto 3 telemedicina - nord, finalizzato all'affidamento, per la durata di 48 mesi, del sistema RIS- PACS connesso alla piattaforma di telemedicina per gli Enti sanitari della Regione del Veneto, per l'importo complessivo di euro 27.690.000,00, IVA esclusa, ed ha definitivamente aggiudicato il detto appalto specifico al R.T.I. avente En. In. In. S.p.A. quale capogruppo mandataria - mandanti Le. S.p.A. ed altri, per 48 mesi e per l'importo complessivo di euro 27.690.000,00, IVA esclusa; dei verbali afferenti alle sedute della Commissione giudicatrice dei giorni 23, 27, 28 e 29 dicembre 2022, nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto esecutivo medio tempore eventualmente stipulato con l'RTI En. - In. In. S.p.a., con conseguente domanda di subentro della ricorrente, nonché, subordinatamente, per la condanna per equivalente monetario). 2. La procedura selettiva oggetto di lite costituisce la fase di negoziazione successiva, effettuata a valle dell'accordo quadro definito all'esito della procedura indetta dalla società Consip nel 2021, denominata "procedura aperta per la conclusione di un Accordo Quadro, ai sensi del D.lgs. 50/2016 e s.m.i., avente ad oggetto l'affidamento di servizi applicativi e l'affidamento di servizi di supporto in ambito "Sanità Digitale - Sistemi informativi Clinico- Assistenziali" per le pubbliche amministrazioni del SSN, suddivisa in 6 lotti (i lotti nn. 1 e 2 ad oggetto servizi connessi alla realizzazione della cartella clinica elettronica, comprensiva dei servizi di Radiology Information System "RIS" e Picture Archiving and Communication System "PACS", i lotti nn. 3 e 4 ad oggetto i servizi di telemedicina, afferenti ad applicazioni per le prestazioni nell'ambito dell'assistenza domiciliare integrata e dei piani diagnostici terapeutici assistenziali). 2.1. Il lotto interessato dalla presente controversia è il lotto n. 3, aggiudicato da Consip in favore di 3 raggruppamenti temporanei di imprese (l'RTI avente quale mandataria GP. s.p.a., l'RTI avente quale mandataria En. In. s.p.a., l'RTI avente quale mandataria De. It. s.p.a.), che procedevano poi a sottoscrivere il relativo accordo quadro. 2.2. L'Azienda Ze. ha dunque avviato, in data 2 dicembre 2022, un confronto competitivo tra gli aggiudicatari per affidare la fornitura di sistemi RIS-PACS accedendo al lotto 3 Consip "Telemedicina" (e non già nell'ambito del lotto 1, ormai incapiente ed esaurito), con il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (80 punti tecnici e 20 economici). 2.3. L'RTI De. It. S.p.A. (del quale fa parte l'odierna appellante Eb. S.r.l., mandante con oltre il 40 per cento del detto RTI, nonché impresa maggiormente interessata nell'ambito del proprio raggruppamento alla fornitura dei sistemi RIS-PACS) risultava secondo graduato con 2,6 punti di distacco rispetto all'aggiudicatario RTI En. In. In. S.p.A. (mentre l'RTI GP. s.p.a. veniva escluso). In data 30 dicembre 2022 l'Azienda Ze. aggiudicava la gara, disponeva l'esecuzione in via d'urgenza e stipulava il contratto. 3. La società Eb. ha dunque impugnato davanti al Tar Veneto gli atti di gara lamentando plurime mancanze nell'offerta della vincitrice con riguardo ad elementi qualificati dalla disciplina di gara come requisiti minimi. L'RTI aggiudicatario avrebbe presentato un'offerta tecnica priva di una serie di requisiti essenziali previsti dal capitolato tecnico di gara (possibilità di calcolare la densità mammaria; funzioni di "Calcolo e visualizzazione multiplanare delle isodosi" e di "Calcolo e visualizzazione dell'istogramma DVH"; carenza delle funzionalità "simulazione della vista ecocardiografica transesofagea" e "Localizzazione automatica dei nadir basata su algoritmi di Intelligenza Artificiale"; carenza di uno strumento idoneo a "Consentire l'archiviazione ed il recupero degli oggetti RT Structure"; carenza della funzione di "Consent Management"). 3.1. La sussistenza di tali carenze sarebbe dimostrata da un'apposita perizia tecnica di parte versata in atti dinanzi al Tar, dalla quale si evincerebbe che si tratterebbe di carenze "non solo funzionali (offrendosi un sistema in parte non rispondente alle necessità esternate dagli enti per garantire la completezza delle indagini diagnostiche nonché una moderna gestione dei dati sanitari a livello centralizzato), frustrandosi così la stessa finalità sottesa al PNRR (ossia l'ammodernamento del settore sanitario sotto il profilo del gap tecnologico), ma anche di rilevante importo, pari a circa Euro 3.330.000". 4. L'RTI controinteressato "En. - In. In. S.p.A." ha proposto ricorso incidentale chiedendo l'esclusione dell'avversario, che avrebbe a sua volta presentato una relazione tecnica con numerose carenze rispetto a quanto richiesto dal capitolato tecnico. 5. Con la sentenza qui appellata il Tar del Veneto ha respinto il ricorso principale (e dichiarato improcedibile quello incidentale) con la motivazione che la ricorrente non avrebbe in realtà contestato le carenze nell'offerta tecnica effettiva, ossia reali carenze nel servizio/prodotto che avrebbe dovuto essere fornito, ma le carenze nella descrizione di tale offerta contenuta nella documentazione presentata in sede di gara ("... ciò che parte ricorrente risulta aver contestato non è il fatto che il prodotto/servizio offerto manchi nella sua effettiva sostanzialità delle caratteristiche minime richieste dal capitolato tecnico, ma il fatto che la descrizione dell'offerta tecnica, come risultante dagli atti di gara, non rechi espressamente la presenza di quei requisiti minimi sinteticamente ricordati nella parte in fatto che precede"). 5.1. La incompletezza della descrizione dell'offerta contenuta nella documentazione prodotta in sede di gara si giustificherebbe, a giudizio del Tar, per ragioni di sintesi e di conformità alle prescrizioni sulle regole formali di presentazione dell'offerta medesima ("la documentazione recante l'offerta presentata da quest'ultimo in gara risulta conforme allo schema di offerta tecnica previsto da Azienda Ze., la quale, avendo limitato a 50 pagine l'onere redazionale, non consentiva una descrizione ragionevolmente completa di quanto concretamente offerto, sì che, a tal fine, recava l'espressa "formula" con la quale l'operatore concorrente " dichiara espressamente che tutti i servizi offerti posseggono integralmente le caratteristiche, funzionalità ed i requisiti "minimi" stabiliti nel Capitolato Tecnico sia AQ che ES nonché le soluzioni e migliorie dell'Offerta Tecnica di I fase e prende atto ed accetta che tali caratteristiche, funzionalità e requisiti "minimi" sono richiesti a pena di esclusione" "). 6. L'appello della società Eb. S.r.l. contesta la sentenza appellata e ne chiede la riforma per il seguente, articolato motivo: "Error in iudicando - contraddittorietà ed illogicità della motivazione - difetto di istruttoria - travisamento dei fatti e delle censure - ingiustizia manifesta - violazione e / o falsa applicazione della disciplina di gara, con particolare riguardo ai paragrafi 4, 4.19, 4.18, 4.10 del capitolato tecnico. Inammissibilità dell'offerta per mancanza dei requisiti minimi": la sentenza qui gravata, ritenendo che la ricorrente non avrebbe contestato la mancanza sostanziale nel prodotto offerto dei requisiti minimi previsti dal capitolato speciale, dimostrerebbe una lettura superficiale del ricorso in primo grado e postulerebbe una concezione dell'offerta tecnica che "si allontana dal dato oggettivo e verificabile,... che predica un pericoloso scollamento tra perspicuo contenuto dell'offerta e impegno assunto dall'offerente; o... tra "descrizione dell'offerta tecnica" e "prodotto/servizio offerto"; la descrizione della prestazione costituirebbe un elemento centrale dell'offerta, ponendosi a garanzia dell'impegno ad erogare la prestazione ricercata; nel ricorso introduttivo del giudizio in primo grado non vi sarebbe alcuno scollamento tra contestazione in ordine al mero contenuto descrittivo dell'offerta e contestazione in ordine all'effettiva carenza dei requisiti minimi, posto che non vi può "essere una sostanziale differenza tra descrizione e contenuto dell'offerta". 6.1. Il ricorso in appello ha poi elencato e dettagliato le specifiche carenze che inficerebbero l'offerta tecnica del raggruppamento aggiudicatario, già denunciate nel ricorso in primo grado. 6.2. Le funzioni mancanti nell'offerta tecnica di controparte ammonterebbero a circa euro 3.300.000,00, in relazione alla durata complessiva dell'appalto specifico di Azienda Ze., sicché l'RTI aggiudicatario avrebbe goduto di un indebito vantaggio competitivo; l'offerta dell'RTI aggiudicatario dovrebbe qualificarsi quale aliud pro alio e avrebbe dovuto come tale essere esclusa. 6.3. Sarebbe inoltre erroneo il giudizio del Tar secondo cui l'offerta di controparte sarebbe conforme allo schema di offerta tecnica previsto dalla stazione appaltante, "la quale, avendo limitato a 50 pagine l'onere redazionale, non consentiva una descrizione ragionevolmente completa di quanto concretamente offerto", in quanto recava inoltre la formula di chiusura con la quale l'operatore concorrente " dichiara espressamente che tutti i servizi offerti posseggono integralmente le caratteristiche, funzionalità ed i requisiti "minimi" stabiliti nel Capitolato Tecnico sia AQ che ES nonché le soluzioni e migliorie dell'Offerta Tecnica di I fase e prende atto ed accetta che tali caratteristiche, funzionalità e requisiti "minimi" sono richiesti a pena di esclusione"; ad avviso dell'appellante, invece, lo schema di offerta espressamente richiedeva di descrivere i requisiti minimi di cui al capitolo 4 del capitolato tecnico, la descrizione funzionale della soluzione proposta nel suo complesso e la descrizione complessiva della soluzione di RIS-PACS proposta, con particolare riferimento alla descrizione di tutte le funzionalità offerte dal sistema e richieste al Cap. 4 del capitolato tecnico, mentre sarebbe di tutta evidenza come il limite di pagine non possa rappresentare una seria giustificazione alla mancata individuazione dei requisiti minimi del prodotto (a nulla potendo rilevare in contrario la sottoscrizione della clausola generica che la propria offerta contiene tutti i requisiti minimi richiesti dal capitolato speciale di appalto). 7. Parte appellante contesta, infine, la tesi, addotta dalle controparti, della non caducabilità del contratto stipulato dalla stazione appaltante in quanto attuativo del PNRR: nel caso in esame il contratto sarebbe stato stipulato prima del decorso del termine di stand still per l'impugnativa (termine applicabile nella fattispecie, trattandosi di appalto affidato all'esito di un nuovo confronto competitivo, mentre l'esclusione dello stand still per gli appalti basati su accordi quadro riguarderebbe il solo caso di appalto meramente esecutivo); non potrebbe di conseguenza opporsi la normativa speciale per le controversie concernenti gli interventi finanziati dal PNRR, atteso che l'art. 125, comma 3, c.p.a., richiamato dall'art. 48, comma 4, del decreto-legge n. 77 del 2021, fa salva l'applicazione dell'art. 121 c.p.a., che prevede la dichiarazione di inefficacia del contratto per i casi di gravi violazioni, ivi inclusa la violazione dello stand still sostanziale (art. 121, comma 1, lett. c), c.p.a.); una diversa soluzione si porrebbe in contrasto con il diritto dell'Unione (considerando 14 della direttiva 2007/66/CE, cd. direttiva ricorsi), trattandosi di istituto diretto a tutelare l'interesse primario delle imprese partecipanti alle gare pubbliche, vale a dire quello all'ottenimento del contratto. 8. La società Eb. ha infine riproposto in via subordinata la domanda risarcitoria per equivalente monetario a ristoro dei danni subiti e subendi, derivanti dal mancato utile per il caso di impossibilità di sottoscrivere il contratto, evidenziando l'utile lordo atteso quantificabile in complessivi euro 2.142.499,25 (come da tabella riepilogativa dei ricavi e dei costi derivanti dalla commessa per quanto attiene alla quota Eb.). 9. Si sono costituiti a resistere in giudizio l'Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Ze., le società En. - In. In. S.p.A. ed altre, che hanno contestato le avverse prospettazioni e hanno chiesto la conferma della sentenza appellata, deducendo, tra l'altro, la sussistenza, nell'offerta del raggruppamento aggiudicatario, di tutti gli elementi e le prestazioni invece contestati dalla parte ricorrente. 10. Si sono altresì costituiti in giudizio, con mero atto di stile, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, i Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze e l'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionale - Agenas. 11. Le società En. - In. In. S.p.A. ed altre limitata hanno altresì proposto appello incidentale finalizzato all'esclusione dell'RTI ricorrente "in ragione di manifesti vizi e lacune dell'offerta dal medesimo presentata", poiché "ove si fosse aderito all'interpretazione di Eb. (e dunque a una lettura meramente formalistica della Relazione Tecnica), sarebbe stata la stessa Eb. a dover essere esclusa della procedura". 11.1. Più nel dettaglio, l'RTI controinteressato ha dedotto il seguente, articolato motivo a sostegno del ricorso incidentale: "Error in iudicando: Violazione dell'art. 84 del d.lgs. n. 50/2016. Violazione degli artt. 2.2.1 e 3.2 della Richiesta di Offerta. Violazione degli artt. 4.9, 4.11, 4.13, 4.18, 4.19 del Capitolato Tecnico. Violazione degli artt. 1 e 3 della l. n. 241/1990; 97 Cost., nonché dei principi di imparzialità, par condicio, pubblicità e trasparenze nelle gare pubbliche. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per sviamento e per travisamento dei fatti": la stessa offerta tecnica di parte appellante, volendo adottare lo stesso metro di giudizio formale da questa seguito nei suoi ricorsi, sarebbe carente e da escludere per le plurime mancanze ivi analiticamente indicate e descritte. 12. Le parti hanno quindi depositato memorie e documenti in replica alle avverse deduzioni, insistendo ciascuna per l'accoglimento delle proprie conclusioni. 13. Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2023 la causa è stata discussa e assegnata in decisione. DIRITTO 1. L'appello è infondato e deve come tale essere respinto. Di conseguenza, viene meno l'interesse processuale all'esame dell'appello incidentale, che dovrà esser dichiarato improcedibile. 2. La decisione appellata, pur con alcune integrazioni motivazionali riguardo alla disamina di alcuni motivi specifici non esaminati in primo grado e qui riproposti dalla società appellante, merita in definitiva di essere confermata, alla luce delle considerazioni che seguono. 3. Il punto decisivo della complessa controversia si incentra attorno alla questione se la relazione tecnica presentata dal raggruppamento controinteressato sia o meno conforme alla disciplina della gara e se l'assenza delle indicazioni e delle descrizioni prestazionali lamentata dalla ricorrente, qui appellante, si sostanzi in una reale ed effettiva inidoneità dell'offerta tecnica. 4. Sotto il primo profilo, risulta comprovato in atti che l'offerta tecnica presentata dal raggruppamento aggiudicatario è conforme alle previsioni della lex specialis della gara. 4.1. Il documento denominato "Schema di offerta tecnica (Allegato 1 alla Richiesta di Offerta Offerta)" prevede che "L'Offerta tecnica dovrà contenere un indice completo di quanto in essa contenuto, nonché, a pena di esclusione dalla gara, una Relazione tecnica in lingua italiana e priva di qualsivoglia indicazione (diretta o indiretta) di carattere economico dalla quale si evinca in modo completo e dettagliato ed in conformità ai requisiti indicati dalla documentazione dell'Accordo Quadro per la fornitura dei servizi applicativi per la P.A. e dalla documentazione del presente Appalto Specifico, la descrizione dei servizi offerti oggetto della presente fornitura", con la specificazione per cui "La suddetta Relazione Tecnica: (i) dovrà essere presentata su fogli singoli di formato DIN A4, con una numerazione progressiva ed univoca delle pagine; (ii) dovrà essere contenuta entro le 50 cinquanta facciate, ad esclusione dell'indice e della copertina utilizzando il carattere Arial di dimensioni minime pari a 11 (iii) dovrà rispettare lo "Schema di risposta" di seguito riportato comprensivo del facsimile per il paragrafo "PREMESSA" della Relazione tecnica" e che "Nel caso in cui il concorrente produca documentazione aggiuntiva (non richiesta), quest'ultima non sarà sottoposta a valutazione". 4.2. Il documento ora menzionato contiene, dunque, un facsimile da utilizzare per il paragrafo "Premessa della relazione tecnica relazione tecnica" e, a mò di guida redazionale (o, come si suol dire in informatica, "template", modello o schema predefinito da applicare nella redazione della relazione tecnica), puntuali indicazioni sulla redazione della relazione tecnica. 4.3. Ciò premesso, deve giudicarsi corretta la considerazione svolta nella sentenza appellata, secondo la quale "la documentazione recante l'offerta presentata da quest'ultimo (l'RTI controinteressato) in gara risulta conforme allo schema di offerta tecnica previsto da Azienda Ze., la quale, avendo limitato a 50 pagine l'onere redazionale, non consentiva una descrizione ragionevolmente completa di quanto concretamente offerto, sì che, a tal fine, recava l'espressa "formula" con la quale l'operatore concorrente " dichiara espressamente che tutti i servizi offerti posseggono integralmente le caratteristiche, funzionalità ed i requisiti "minimi" stabiliti nel Capitolato Tecnico sia AQ che ES nonché le soluzioni e migliorie dell'Offerta Tecnica di I fase e prende atto ed accetta che tali caratteristiche, funzionalità e requisiti "minimi" sono richiesti a pena di esclusione" ", ed essendo stata tale formula "puntualmente riportata nella relazione di offerta tecnica del RTI controinteressato... l'offerta del RTI "En." oltre ad essere conforme allo specifico schema di offerta predisposto dalla Stazione appaltante, si può dire rechi la specifica indicazione della sussistenza dei requisiti minimi richiesti dalla legge di gara". 5. Non persuade al riguardo l'obiezione di parte appellante, a detta della quale il limite di pagine non potrebbe rappresentare una seria giustificazione alla mancata individuazione dei requisiti minimi del prodotto e a nulla rileverebbe in contrario la sottoscrizione della clausola che la propria offerta contiene tutti i requisiti minimi richiesti dal capitolato speciale di appalto. Il limite quantitativo e formale alla redazione della relazione tecnica, peraltro in sé non contestato, rileva, invece, e assume un rilievo determinate nella decisione della causa, poiché ha reso oggettivamente inevitabile una qualche incompletezza o non esaustività della descrizione analitica e dettagliata dei prodotti e dei servizi offerti. 5.1. La previsione della suddetta modalità sintetica di presentazione dell'offerta tecnica si giustifica, peraltro, nel caso in esame, in considerazione del carattere innovativo del servizio e del fatto che nella fattispecie si tratta di confronto competitivo (appalto "specifico") svoltosi a valle della selezione di operatori economici qualificati nello specifico settore, già effettuata a cura della società Consip in sede di definizione dell'apposito accordo quadro all'esito della "procedura aperta per la conclusione di un Accordo Quadro... avente ad oggetto l'affidamento di servizi applicativi e l'affidamento di servizi di supporto in ambito "Sanità Digitale - Sistemi informativi Clinico - Assistenziali" per le pubbliche amministrazioni del servizio sanitario nazionale. Più in generale, è fisiologico che, quando si tratti di servizi e forniture molto complessi, possano essere introdotte nella disciplina della procedura selettiva previsioni intese ad assicurare la sintesi e la predefinizione nella formulazione delle offerte tecniche, al fine di consentire una più agevole e spedita disamina da parte della commissione giudicatrice, dovendo comunque la gara obbedire a criteri di sintesi, di semplificazione e di celerità nel suo svolgimento. 6. Sostiene tuttavia la parte appellante di aver contestato non già l'incompletezza della descrizione dei prodotti offerti da controparte, ma esattamente l'oggettiva incompletezza, nei prodotti/servizi offerti dal raggruppamento aggiudicatario, dei requisiti minimi, analiticamente indicati nel ricorso introduttivo (e qui, nella narrativa del Fatto, in sintesi richiamati). 6.1. Tuttavia, in senso contrario, risulta che il ricorso in primo grado - i cui contenuti definiscono e circoscrivono il tema della decisione - prende in esame e critica essenzialmente il dato testuale della relazione tecnica presentata dal raggruppamento avversario. Il Collegio, sotto questo profilo, ritiene condivisibile la conclusione cui sul punto è giunto il Tar, dove ha rilevato come "esaminando analiticamente e complessivamente il ricorso introduttivo (senza valorizzare le diversamente calibrate argomentazioni delle memorie endoprocessuali, perché le stesse non possono modificare quanto indicato in ricorso, ma solo precisarne le argomentazioni in fatto e diritto) emerge come le censure di parte ricorrente siano rivolte tutte a censurare l'asserita omessa indicazione (e, quindi, la presenza "formale") nella documentazione dell'offerta tecnica di una serie di requisiti "essenziali" secondo la lex di gara". 6.2. A non diverse conclusioni conduce la lettura della perizia di parte, a firma del prof. La., prodotta dalla parte ricorrente, la quale considera, ad esempio, che "la relazione tecnica (del RTI En.) è a tratti generica e soprattutto, con riferimento ad alcune componenti di particolare rilievo clinico, non contiene elementi che anche solo astrattamente possano lasciare ragionevolmente presupporre che l'offerta contenga le soluzioni richieste dal capitolato", ma ciò facendo sviluppa in sostanza mere ipotesi induttive, più che verificare l'effettiva carenza, nel prodotto offerto da controparte, dei requisiti contestati. Alla stessa stregua devono essere giudicate molte delle altre considerazioni svolte nel documento di parte (ad es., pag. 2, "La lettura della relazione tecnica rende un quadro complessivamente parziale e incompleto dovuto alla generalità di alcune descrizioni"; pag. 6: "La relazione tecnica della RTI En. tratta in modo generico il tema della privacy richiamando in diverse sezioni i principi generali di una corretta gestione della privacy da parte delle due piattaforme, declinando sinteticamente alcune applicazioni, ma non rappresentando in modo esplicito la presenza di un modulo centralizzato come richiesto esplicitamente dalla documentazione di gara... e non vi è alcun cenno alla gestione del consenso al trattamento dei dati"). 6.3. Altre considerazioni contenute nella perizia di parte introducono valutazioni di merito inammissibili (ad es., pag. 2, "L'offerta appare inoltre non omogenea, la scelta di proporre due sistemi PACS completamente differenti (piattaforma Sy. prodotta da Fu. e piattaforma Ed. Tr. prodotta da GE Medical Systems) porta ad una soluzione che non appare comune e integrata nativamente, oltre che portare ai vari Enti Sanitari prodotti con caratteristiche non equivalenti"). 6.4. Per il resto la perizia del prof. Lamberitini - a parte la riproduzione, alle pagg. 7-9, della relazione tecnica presentata dalla ditta Eb., portata come controesempio dimostrativo della lacunosità della relazione tecnica avversaria - illustra quelle carenze asseritamente contenute nella relazione tecnica del raggruppamento aggiudicatario già presentate nel ricorso di primo grado (in tema di misurazione della densità mammaria, circa il modulo specifico per la gestione imaging ed attività radioterapica, riguardo alle due differenti piattaforme proposte dall'offerta dell'RTI En., il sistema Ed. Tr. e il sistema Sy. di Fu., nonché in tema di elaborazione di immagini cardio-TC), anche in questo caso rilevando carenze e lacune nelle descrizioni dei prodotti offerti contenute nella relazione tecnica di parte avversa (".. . non viene citata o anche solo descritta sinteticamente la funzione di localizzazione richiesta. Nella relazione tecnica non si trova alcun riferimento alla simulazione della vista ecocardiografica transesofagea. Relativamente alla piattaforma Sy. il breve elenco dei moduli inclusi non evidenzia la presenza di tool specifici per l'area diagnostica cardioradiologica... "). La perizia di parte conclude, infine (pag. 11), con una considerazione che mostra chiaramente che l'analisi critica svolta ha avuto ad oggetto prevalente se non esclusivo la incompletezza della descrizione delle funzionalità e delle caratteristiche dei prodotti di controparte ("Come precedentemente indicato in mancanza di una chiara menzione delle funzioni richieste e di ulteriori informazioni di dettaglio non è possibile effettuare una valutazione tecnico/prestazionale"), piuttosto che la effettiva carenza di tali funzionalità e caratteristiche nei prodotti medesimi. 6.5. Lamenta e obietta la parte appellante che nessun altro sforzo probatorio sarebbe stato esigibile in sede contenziosa, atteso che "La descrizione della prestazione, in realtà, è elemento centrale dell'offerta, ponendosi a garanzia dell'impegno ad erogare la prestazione ricercata, rappresentando, quindi, prima tutela della stazione appaltante", e che "L'offerta tecnica è, infatti, l'unica sede in cui gli operatori economici possono descrivere le caratteristiche minime del prodotto offerto e assumere i conseguenti obblighi contrattuali, rappresentando l'unico strumento a disposizione dei concorrenti (e prima ancora dell'Amministrazione) per verificare la conformità del prodotto offerto alle richieste minime della stazione appaltante". 6.5.1. Ma tale obiezione non è persuasiva, poiché, in generale, è ben possibile che le contestazioni dell'impresa seconda graduata, che censura l'offerta aggiudicataria, possano vertere sulle caratteristiche oggettive effettivamente presenti o assenti nei prodotti offerti dalla controparte, richiedendo sul punto eventualmente anche l'attivazione dei poteri istruttori del giudice, focalizzando dunque l'attenzione non sull'incompletezza della relazione tecnica descrittiva dell'offerta tecnica, ma sulle caratteristiche e sui requisiti effettivi dei prodotti e dei servizi offerti. 6.5.2. Né può condividersi l'ulteriore critica di parte appellante intesa a svalutare il rilievo della formula, richiesta dal capitolato, con la quale l'operatore concorrente " dichiara espressamente che tutti i servizi offerti posseggono integralmente le caratteristiche, funzionalità ed i requisiti "minimi" stabiliti nel Capitolato Tecnico sia AQ che ES nonché le soluzioni e migliorie dell'Offerta Tecnica di I fase e prende atto ed accetta che tali caratteristiche, funzionalità e requisiti "minimi" sono richiesti a pena di esclusione" . Tale formula, che integra e completa l'impegno contrattuale assunto nella proposta irrevocabile dell'impresa proponente, assume invece un rilievo sostanziale che vieppiù si comprende in un appalto specifico, a valle di un accordo quadro, avente ad oggetto prestazioni molto complesse e innovative, nelle quali è del tutto fisiologico che alcune caratteristiche prestazionali dei prodotti e dei servizi offerti possano essere verificabili appieno solo nella fase di esecuzione del rapporto. 7. Peraltro le parti resistenti hanno replicato punto per punto alle contestazioni specifiche articolate dalla parte ricorrente sul merito dell'offerta tecnica vincitrice. 8. Ebbene, senza spingersi verso una disamina analitica del merito tecnico dei prodotti offerti, inammissibile in questa sede di legittimità e riservata alla commissione giudicatrice (il cui operato, peraltro, come obiettato dai resistenti, non ha formato oggetto di specifiche contestazioni della parte attrice), le repliche punto per punto svolte delle parti intimate, qui appellate, risultano persuasive e meritevoli di condivisione. Ed invero, nei termini che più specificamente si passa ad illustrare qui a seguire, ciascuna delle contestazioni specifiche svolte nel ricorso introduttivo, illustrate nella perizia di parte e qui riproposte in sede di appello, risulta o non provata (o smentita in fatto dalle repliche di parte resistente), o inammissibile perché introduttiva di giudizi tecnici opposti a quelli assunti dalla commissione giudicatrice, il cui operato tuttavia non è stato specificamente censurato, oppure, ancora, infondata e inammissibile perché riferibile ad aspetti che avrebbero potuto rivestire un loro rilievo sul diverso piano della non corretta attribuzione dei punteggi, ma non su quello, seguito dalla parte appellante, della pretesa esclusione del raggruppamento avversario (oppure, infine, perché riferibili a requisiti di esecuzione del contratto, ma non di partecipazione, che potranno essere verificati in sede di adempimento). 8.1. Sotto un primo profilo, la società Eb. ha contestato il fatto che il sistema proposto dall'RTI aggiudicatario non consentirebbe di calcolare la densità mammaria in esito alla mammografia (come invece richiesto dal capitolato tecnico, par. 4.19); nella relazione tecnica dell'aggiudicatario vi sarebbe riferimento esclusivo a funzioni di "visualizzazione della densità mammaria"; l'offerta di controparte si limiterebbe dunque a rendere visualizzabili i report strutturati sulla densità mammaria (prodotti da altri macchinari a ciò abilitati), ma non ne permetterebbe il calcolo. 8.1.1. In senso opposto si osserva che la presenza di uno strumento di calcolo della densità dei tessuti nell'ambito della mammografia risulta esplicitamente prevista nella relazione tecnica dell'RTI aggiudicatario (pag. 20, dove si riferisce che lo strumento di visualizzazione unificato Universal Viewer, con riguardo al sistema Tr., comprende la funzionalità "Imaging del seno, comprese capacità di screening e diagnostiche", nonché pag. 21, dove sono indicate le funzionalità del sistema PACS Sy.). 8.2. Sotto un secondo profilo, ha rappresentato la società Eb. che la soluzione offerta dall'aggiudicatario RTI risulterebbe carente del "Modulo specifico per la gestione Imaging ed attività radioterapica" richiesto dal punto "4.18. Requisiti specifici - Sistema RIS", pag. 30 e ss., del capitolato tecnico (mancherebbero, nell'offerta di parte avversa, gli strumenti per il "Calcolo e visualizzazione multiplanare delle isodosi", per il "Calcolo e visualizzazione dell'istogramma DVH"). 8.2.1. Le controparti hanno invece ribadito l'esistenza dei predetti applicativi nell'offerta del RTI En. (pag. 18 della relazione tecnica), contestando peraltro la correttezza tecnica della censura avversaria, che avrebbe erroneamente ricondotto i predetti strumenti al sistema RIS, anziché, come invece sarebbe corretto, al sistema PACS, errore dal quale deriverebbe la mancata rilevazione delle funzionalità asseritamente mancanti, trattandosi di elaborazioni di visualizzazione e di elaborazione di immagini che avrebbero dovuto essere ricercate nel sistema di imaging, ovvero il PACS. 8.3. Un terzo profilo denunciato dalla ricorrente riguarda l'asserita carenza, nell'offerta di controparte, di strumenti idonei ad assolvere alla specifica funzione individuata dal capitolato tecnico di garantire "la collaborazione tra radiologici e cardiologici in ambito della diagnostica cardiovascolare e nella pianificazione degli interventi di Cardiologia Interventistica", mancando indicazioni specifiche circa l'elaborazione di immagini "cardio-TC", quali la "simulazione della vista ecocardiografica transesofagea" e la "Localizzazione automatica dei nadir basata su algoritmi di Intelligenza Artificiale". 8.3.1. Anche in questo caso le repliche dell'Azienda Ze. forniscono una più che adeguata confutazione del rilievo critico di parte ricorrente, lì dove pongono in luce che le predette funzionalità sono in realtà ricomprese nelle macro-categorie applicative contemplate nell'offerta tecnica risultata vincitrice, in particolare, alle pagg. 22 e 23, nonché 24 della relazione tecnica dell'RTI En., riferito all'applicativo "CardIQ Xpress Reveal", software dedicato all'elaborazione imaging per il settore cardiologico. 8.4. Una quarta critica riguarda il fatto che l'RTI appellato avrebbe offerto due tipologie di PACS diverse (un primo PACS di GE Healthcare - Centricity e un secondo di Fu.F. - Sy.), ma la commissione non avrebbe specificato quale PACS è stato preso a riferimento nell'attribuzione degli specifici punteggi, essendo incerto, peraltro, quale PACS sia stato presentato nella demo sul punto. Sotto un secondo profilo la contestazione si appunta sul fatto che solo il sistema di visualizzazione Sy., proposto per tre Enti sanitari (AULSS 2 - AULSS 9 - AOUI VR) permetterebbe l'archiviazione delle immagini RT, sicché i restanti dieci Enti sanitari veneti, rispetto ai quali l'aggiudicatario ha offerti i sistemi di GE, la componente in questione non risulterebbe fornita, sicché i predetti enti resterebbero privi di un sistema di archiviazione di immagini RT. Alla stessa stregua, la società Eb. ha contestato il fatto che l'RTI En. avrebbe offerto le "Funzioni dedicate alla pianificazione ortopedica" esclusivamente con riguardo al PACS Sy. (Fu.F.), risultando, dunque, che la funzione in questione è stata offerta solo per i tre Enti sanitari rispetto ai quali si offre il prodotto di Fu.F., essendo l'offerta aggiudicataria carente con rifermento alla fornitura da eseguire nei confronti degli altri dieci Enti sanitari su cui il RTI offre la soluzione PACS di GE. 8.4.1. Tale censura implica in realtà una valutazione soggettiva sotto il profilo tecnico-scientifico, di segno diverso da quella evidentemente compiuta dalla commissione giudicatrice e condivisa dalla stazione appaltante, che per un verso avrebbe dovuto essere introdotta mediante una puntuale dimostrazione della evidente difformità rispetto a specifiche prescrizioni di segno diverso del capitolato, dimostrazione che non vi è stata, per altro verso conduce a un giudizio di merito inammissibile in questa sede. Come già rilevato qui nel precedente § 6.3, nella relazione peritale di parte, pag. 2, significativamente si osserva che "L'offerta appare inoltre non omogenea, la scelta di proporre due sistemi PACS completamente differenti (piattaforma Sy. prodotta da Fu. e piattaforma Ed. Tr. prodotta da GE Medical Systems) porta ad una soluzione che non appare comune e integrata nativamente, oltre che portare ai vari Enti Sanitari prodotti con caratteristiche non equivalenti", ciò che dimostra come la censura in esame si traduca evidentemente in un giudizio soggettivo di merito tecnico alternativo a quello ritenuto dall'amministrazione, in quanto tale non conducente alle pretese conclusioni di inammissibilità dell'offerta avversaria per inappropriatezza o per aliud pro alio. 8.4.2. Comunque, anche in questo caso le repliche delle parti intimate - per quel che è rilevabile nella presente sede di legittimità ed escluso ogni apprezzamento di merito sulle soluzioni tecniche proposte - confutano in modo soddisfacente l'opposta tesi critica. L'offerta del sistema RIS proposta da En. contempla un unico sistema denominato Sy. Va., come indicato a pagina 10 della relazione tecnica, mentre la duplicità dei sistemi offerti riguarda esclusivamente l'applicativo PACS (Tr. per 9 istanze e Sy. 7 per le restanti 3). Entrambi i sistemi contengono e offrono tutte le prestazioni e le funzioni richieste dal capitolato, ivi compresa la funzionalità di pianificazione ortopedica, ancorché, per le già considerate ragioni di conformazione della relazione tecnica, non era possibile e non era del resto richiesto che fosse esplicitata ogni singola funzionalità contenuta nei software offerti, funzionalità tutte peraltro ricavabili dalla descrizione generale del sistema contenuta alla pagina 18 della relazione tecnica. 8.5. Un ulteriore difetto dell'offerta del RTI primo graduato consisterebbe nella proposta di un sistema che permetterebbe la raccolta del consenso limitatamente alla gestione del consenso informato, che è funzione diversa dalla richiesta funzione di "Consent Manager", poiché il primo si riferisce ad una soluzione informatica che supporta la raccolta, la gestione e la conservazione del consenso informato, mentre il secondo (Consent Manager) è costituito da un vero e proprio sistema informativo per la gestione della privacy e della riservatezza dei dati sensibili dei pazienti, nel rispetto del regolamento europeo GDPR, nell'ambito di un sistema informativo unico regionale (mancherebbero, in particolare, le funzioni di interfaccia di front-end per la configurazione da parte degli operatori che permetta "l'aggiunta, la modifica, la cancellazione di richieste di consenso in modo flessibile", di richiamabilità da altre applicazioni sia per l'inserimento di tali dati di consenso sia per acquisire informazioni per autorizzare l'accesso o meno al documento, come anche richiesto dal Capitolato tecnico, di conferimento al fascicolo sanitario elettronico (FSE) delle opportune informazioni di consenso alla consultazione). 8.5.1. Sul punto le parti resistenti hanno replicato in modo convincente dimostrando che l'offerta aggiudicataria risulta in realtà perfettamente rispondente alle caratteristiche minime richieste dalla lex specialis di gara (come si ricava dalle pagg. 47 e 48 della relazione tecnica del raggruppamento En., verrà fornito un modulo Privacy manager che permette di firmare e revisionare ogni documento con valore legale (e quindi anche il consenso informato), in linea con gli standard di mercato per la funzionalità di privacy e sicurezza, così da assicurare la gestione sicura dei dati clinici e dei relativi documenti (comprese le funzioni di autorizzazione, di autenticazione, la crittografia dei dati e un percorso di verifica per l'accesso sicuro alle informazioni personali del paziente). Il modulo privacy offerto dal RTI En., pertanto, non solo permette al paziente ed al clinico di accedere, modificare e cancellare i consensi informati in ogni fase della prestazione, ma è in grado di integrarsi con ogni sistema informatico in uso presso le strutture sanitarie. 9. L'appello, conclusivamente, si presenta infondato in tutti i suoi aspetti e va conseguentemente rigettato. 10. Al rigetto dell'appello principale consegue l'improcedibilità di quello incidentale proposto dal raggruppamento facente capo alla società En. - In. In. S.p.A., che aveva sostenuto che la stessa offerta tecnica di parte appellante principale, volendo adottare lo stesso metro di giudizio formale da questa seguito nei suoi ricorsi, sarebbe carente e da escludere per le plurime mancanze ivi analiticamente indicate e descritte (non sarebbe chiaro quale soluzione tecnica sia stata offerta al fine del soddisfacimento dei requisiti di cui ai paragrafi del capitolato tecnico 4.9 - gestione modulistica e template, 4.11 - notifiche ed alert e 4.13 - acquisizione documenti e oggetti multimediali esterni (paragrafi 2.1.9, 2.1.11 e 2.1.13 della relazione tecnica del RTI De.); mancherebbe nella relazione tecnica presentata da Eb. quanto richiesto dal paragrafo 4.18 del capitolato tecnico circa i "requisiti specifici" del sistema RIS oggetto della fornitura, in particolare circa lo "strumento per la gestione e il monitoraggio della dose" dotato di "algoritmi di calcolo della dose, Monte Carlo o Monte Carlo based"; il PACS offerto dalla società appellante non sarebbe dotato della funzione - prevista dal paragrafo 4.19 del capitolato tecnico tra i "requisiti specifici" del sistema PACS oggetto della fornitura - di "Key image", che consente di identificare e contrassegnare alcune immagini chiave all'interno dello studio "DICOM" di modo tale da poterle poi agilmente rinvenire; nella relazione tecnica presentata dall'RTI De. di cui Eb. è mandante, mancherebbe la funzione relativa allo "studio delle formazioni espansive solide ai fini di valutarne l'accrescimento con metodologia almeno RECIST", che il capitolato tecnico, all'art. 4.19, richiede quale requisito specifico del sistema PACS; mancherebbero, inoltre, i seguenti requisiti del sistema PACS richiesti espressamente dal predetto art. 4.19 del capitolato tecnico: "sistema di visualizzazione di immagini e referti per la distribuzione ai reparti ospedalieri... o Completamente web (HTML5) o Compatibile con i più diffusi browser ad oggi in commercio"; con riferimento ai software, le licenze SQL standard che l'RTI De. ha dichiarato di mettere a disposizione nella sua offerta, non sarebbero corrispondenti al requisito, richiesto dal paragrafo 6.3 del capitolato tecnico, in base al quale ciascun componente architetturale della soluzione RIS-PACS "dovrà essere progettato in modo da poter lavorare in alta affidabilità e in modo che un singolo failure non comporti un'interruzione del servizio" al fine di massimizzare "la continuità operativa, ottimizzandone le soluzioni infrastrutturali": le licenze SQL proposte dall'appellante, a differenza delle licenze Enterprise presentate dall'RTI En., avrebbero dei limiti intrinseci, essendo concepite per l'esecuzione di applicazioni in ambito di piccole e medie organizzazioni, non già - come nel caso della gara oggetto di lite - in relazione a progetti di ampia scala che mirano a "coprire" tutti gli enti del SSN afferenti all'Azienda Ze.; esse, infatti, sarebbero prive della funzione AlwaysOn availability groups, non disponibile nella versione standard (quella offerta da Eb.), funzione idonea a garantire la business continuity di cui al requisito in parola). 11. L'appello principale, in conclusione, deve essere respinto, mentre quello incidentale deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse. 12. Sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello indicato in epigrafe, così decide: respinge l'appello principale e dichiara improcedibile l'appello incidentale. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Paolo Carpentieri - Consigliere, Estensore Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO Sezione Lavoro composta dai Magistrati: Dott. Roberto Vignati - Presidente rel. Dott. Giovanni Casella - Consigliere Dott. Andrea Trentin - Giudice Ausiliario ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1126 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2022 - avverso la sentenza n. 976/2022 in data 14 aprile 2022 del Tribunale di Milano Sezione Lavoro, Giudice Dott. Giorgio Mariani - posta in decisione il 7 marzo 2023 promossa da Da.Se., rappresentato e difeso dagli Avv.ti So.Mo. e Al.Sa. presso lo studio dei quali in Milano, è domiciliato; Appellante contro Ig. S.p.A. (già Ig. S.r.l.) con sede legale in M., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione Legale rappresentante, rappresentata e difesa, dall'Avv. Gi.Fa. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano. Appellata OGGETTO: Patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.. - Opposizione a decreto ingiuntivo. FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con la sentenza n. 976/2022 in data 14 aprile 2022, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano, escluso l'esperimento di attività istruttoria, ha accolto l'opposizione proposta Ig. SRL (ora Ig. SPA) nei confronti del D.I. n. 2501 del 2021 contenente la sua condanna al pagamento della somma di Euro 18.762,78 in favore di Da.Se. -che era stato suo dipendente a t.i. come impiegato di III livello CCNL Terziario/Servizi dotato di mansioni di "data scientist" dal 26 gennaio 2018 sino al 24 dicembre 2020 quando il rapporto di lavoro era cessato per effetto delle dimissioni presentate dal lavoratore- a titolo di corrispettivi discendenti dal patto di non concorrenza siglato il 21.2.2018 e che prevedeva, a carico di Da.Se., l'obbligo di astenersi dallo svolgimento di attività concorrenziali durante i tre anni successivi alla cessazione del servizio. Revocando il titolo monitorio opposto e in accoglimento della domanda riconvenzionale azionata dall'opponente, il Tribunale ha condannato il lavoratore opposto a pagare alla Società Ig. la somma di Euro 4.509,58 quale importo scaturito dalla rideterminazione a opera del Giudice ex art. 1384 c.c. della penale vantata dalla Società per la violazione del patto e ha posto le spese del grado a carico del soccombente. Il Tribunale ha motivato sul rilievo che la trasgressione da parte dell'obbligato al contenuto del patto di n.c. che al punto 3.1 obbligava il prestatore, tra l'altro, a "i. non intraprendere - anche in via occasionale - alle dipendenze di terzi, per conto di terzi o per interposta persona, né direttamente né indirettamente anche tramite società da lui partecipate, attività o iniziative imprenditoriali in concorrenza con le attività svolte da Ig. volta per volta dalla data di assunzione del lavoratore fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro; ii. non assumere la carica/qualità di amministratore, dirigente o, più in generale, di dipendente, consulente, collaboratore in favore di società/imprese che svolgano attività in concorrenza con le attività svolte dalla società volta per volta dalla data di assunzione del lavoratore fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro; iii. non assumere, direttamente o indirettamente, partecipazioni in altre società non quotate che svolgano la propria attività nel medesimo settore di Ig.;". In particolare, la violazione ascritta al prestatore era stata concretata dall'assunzione di un rapporto di collaborazione intrapreso dal Se. a favore della Società malese Vo. con sede in Ku.Lu. (avente a oggetto d'impresa la fornitura di servizi di marketing e consulenza nel settore alimentare e della ristorazione), operante in un settore connotato da attività affini a quelle perseguite dalla Ditta opponente. A fronte di un accordo territorialmente circoscritto a più stati europei e asiatici, tra i quali non rientrava la M., il primo Giudice, per un verso, ha ritenuto che il prodotto "Cr." sviluppato da Ig. e costituito da un software di c.d. business intelligence così come indicato al primo punto della premessa che costituiva parte integrante del patto di non concorrenza, non potesse essere direttamente e strettamente messo in relazione col prodotto/sistema "Vo.", richiamato dal Se. quale frutto dell'attività della Società malese Vo.. Purtuttavia, interpretando correttamente il negozio stipulato nel febbraio 2018, l'ambito della tutela dalle attività concorrenziali dell'Azienda era invero propriamente rappresentato dalle attività e ai processi produttivi parimenti menzionati nelle premesse del patto di non concorrenza quali elementi rappresentativi di un know-how da tutelare, anche a fronte dell'obiezione dell'opposto per cui la Vo. esercitava avvalendosi strumentalmente di sistemi di intelligenza artificiale pari a quelli sfruttati dalla Ig., perché di trattava, pur sempre, non di prodotti ma di rilevanti attività d'impresa omogene. Per l'altro verso concernente gli ambiti territoriali di efficacia dell'accordo, secondo il Tribunale, era poi irrilevante il fatto che il lavoratore avesse dedotto di essersi trasferito e di risiedere nella capitale della Repubblica malese dal 2.12.2021, poiché prima di quel tempo il Se. aveva risieduto e soggiornato in Italia; segnatamente a Milano dove aveva potuto svolgere da remoto quelle attività destinate alla Vo. che, dopo un primo periodo contraddistinto da un'approvazione e una tolleranza rispetto all'impegno professionale previamente reso noto dal lavoratore a Ig., quest'ultima si era risolta per vietargliene l'esercizio (inducendo il prestatore alle dimissioni del dicembre 2020). Vi erano pertanto tutti i presupposti per sancire la caducazione del decreto ingiuntivo avente a oggetto la richiesta dei corrispettivi derivanti da un accordo che era stato violato dal dipendente in maniera tale da comportare l'applicazione a suo carico della penale rivendicata in ricorso dall'opponente esponendo la maturazione di un credito pari a Euro 375.798,40, secondo il Giudice da ritenersi eccessivo (come la soglia della penale della clausola 3.6) e ridotto quindi d'Ufficio alla complessiva somma di Euro 4.509,58. Nei confronti della pronuncia, ha proposto appello solo Da.Se. che ne postula la riforma mediante la conferma del D.I. e il rigetto della riconvenzionale avversaria. Premessa una ricostruzione dei profili fattuali della vicenda con particolare riguardo alle circostanze che avevano assistito le fasi di intrapresa dell'attività del Se. a favore della Co.Ma. al cospetto delle iniziative progressivamente assunte dalla controparte -che in un primo tempo aveva non ostacolato ma aveva assecondato l'impegno professionale parallelo fedelmente rappresentatole dal dipendente- le critiche esposte dall'appellante sono le seguenti. In primo luogo, è stata espressa un'articolata critica nei confronti del 5 punto della sentenza relativamente alla dislocazione territoriale dell'Azienda malese, al suo campo di azione e alle postazioni dalle quali il lavoratore aveva operato. Si fa rilevare come fosse del tutto neutra la dislocazione spaziale delle attività praticate dall'appellante essendo irrilevante che all'inizio, prima cioè che il Se. nel dicembre 2021 potesse fisicamente trasferirsi in Ma. per iniziare le attività contemplate in sede di assunzione avvenuta dopo lo svolgimento di un'opera di consulenza preliminare, l'unica possibile in periodo pandemico, il dipendente si fosse trovato, durante tali fasi del suo nuovo rapporto, in Ig. presso la sua residenza M. poiché, anche al fine di poter leggere nel fenomeno un caso di concorrenza rilevante ai sensi dell'art. 2125 c.c., era essenziale considerare solo per quale Società straniera il lavoratore si fosse dedicato professionalmente, tanto più che il Giudice aveva espresso notazioni sul lavoro da remoto, quale tipologia, aggiunge l'appellante, del tutto irrilevante ai fini dell'individuazione del soggetto da considerare antagonista/concorrente con la Ditta Ig.. Il lavoro da remoto era stato comunque prestato per una Ditta straniera, invero non rientrante nel novero di quelle contemplate dal patto di n.c. per quel che riguardava la sua efficacia territoriale e il lavoratore non aveva debordato dai limiti imposti alla sua obbligazione negativa. Si trattava, in particolare, di una ditta Ma. esercente produttivamente solo sul territorio di tale Stato e in una sua circoscritta regione ove perseguiva finalità assolutamente distinte da quelle curate da Ig. pure perché di marketing e funzionali solo a servizi di ristorazione e simili. Non si poteva comunque trascurare che la vicenda del Se. aveva preso le mosse - all'inizio senza ostacoli frapposti della datrice di lavoro, costantemente informata dal suo prestatore nonché autrice di autorizzazioni, poi rimosse-nell'ambito delle vicende mondiali di contrastato alla pandemia da Covid 19 per cui il Se. era stato costretto a conservare la permanenza in Italia sino al dicembre 2021 quanto aveva potuto finalmente trasferirsi a Ku.Lu. all'esito dell'assunzione intervenuta una volta completate -da remoto- le attività consulenziali nel frattempo affidategli da Vo. quando il lavoratore era costretto a restare in Italia. Col secondo ordine di motivi, l'appellante aggredisce il terzo punto della sentenza laddove il Tribunale si era inesattamente soffermato sulle attività che integravano le ipotesi di concorrenza vietate, al cospetto di quelle effettivamente realizzate dal lavoratore e aveva erroneamente concluso per l'omogeneità dei settori curati dalle due aziende, accertando quindi in maniera sbagliata, prima di tutto per effetto di una fuorviante esegesi del tenore delle clausole contrattuali istitutive del vincolo di n.c., una violazione degli obblighi che lo vincolavano alla Società datrice Ig.. La prospettazione della Società e il convincimento del Giudice non avevano tenuto conto che l'obiettivo centrale su cui era focalizzata tutta l'attività svolta dall'odierna appellata era essenzialmente rappresentato dal software denominato Ca. rinvenibile nella prima parte della premessa che integrava in senso qualificativo assoluto il patto di non concorrenza e che non constava di un'attività impostata secondo precise linee di know-how mediante l'utilizzi di elementi di intelligenza artificiale bensì di un prodotto rispetto al quale erano totalmente estranei e ininfluenti gli obbiettivi produttivi perseguiti in Ma. dalla Vo. per fornire servizi collegati alla ristorazione : "I "processi produttivi aziendali", come noto, sono l'insieme delle procedure che un'azienda adotta internamente per organizzare la propria attività ed offrire i propri prodotti o servizi. Pertanto, evidentemente non coincidono con l'attività che l'impresa esercita sul mercato, nei confronti dei terzi. Tra i processi aziendali sono individuabili quelli che costituiscono il "know How aziendale", ossia l'insieme delle informazioni e processi che contraddistinguono una certa impresa ed hanno valore in tanto in quanto rendono unica un'azienda e che non sono generalmente note né accessibili agli esperti ed operatori del settore. Anche in questo caso è evidente che si tratta di ciò che caratterizza l'azienda internamente. Il know how tecnologico di una certa azienda non va neppure scambiato con l'utilizzo in generale di una determinata tecnologia (es. l'informatica o l'intelligenza artificiale, che sono diffuse ed ampiamente utilizzate dalla quasi totalità delle imprese), ma soltanto con quella specifica applicazione che di quella tecnologia viene fatta da una certa impresa e che la rende unica e distinguibile dai suoi concorrenti". Era pertanto da escludere che il dipendente fosse confluito nei ranghi di un'Azienda concorrente poiché quest'ultimo dato non poteva essere colto dal tenore delle prescrizioni contrattuali nell'ambito di un confronto con gli elementi costitutivi reali. Nel terzo motivo. che è rivolto al punto 4 della sentenza, l'appellante muove doglianze al risalto dato dal primo Giudice alla tecnologia dell'intelligenza artificiale quale elemento che tendeva a identificare il mercato di riferimento sul quale le due imprese interferivano: un'analisi erronea poiché prescindeva dal ruolo puramente strumentale di tale tecnologia rispetto al prodotto, inoltre, come ben si poteva evincere anche dal relativo sito internet per cui, si legge nell'appello "Diversamente da C., V., ossia il software proposto da Vo. i) è un software di gestione degli ordini di cibo e pasti a domicilio; ii) mette in contatto l'utente (un consumatore) con un ristorante o con un locale per richiedere un pasto; iii) non contiene in sé un sistema di intelligenza artificiale, ma si appoggia a programmi di terzi (di cui la società ha acquistato i diritti d'utilizzo) per semplificare la modalità di utilizzo. In pratica, il consumatore finale utilizza la nota applicazione di messaggistica istantanea Wa. (altro programma non di proprietà di cui fa uso il software Vo.) per effettuare ordini presso alcuni ristoranti e ricevere, a domicilio, quanto ha ordinato". Nell'ultima parte dell'atto di gravame vengono quindi riproposti gli argomenti fatti valere in primo grado a proposito della massima trasparenza impiegata dal lavoratore per rendere edotta iGenuis di ogni suo proposito, a partire dalla proposta di un suo coinvolgimento nel campo della Ditta malese ad opera di un ex compagno di università; delle circostanze di attivazione della sua consulenza col beneplacito della datrice di lavoro e della fase che aveva immediatamente preceduto la sua vera e propria assunzione presso Vo. avuto particolare riguardo alla sorta di "condizione" che la controparte avrebbe manifestato nel momento in cui aveva proposto che il suo dipendente abdicasse al patto di non concorrenza e ai suoi effetti. La Società appellata si è costituita e, avversando le ragioni di controparte, ha concluso per la reiezione dell'appello come sopra riportato. Esperito infruttuosamente l'incombente conciliativo, all'udienza del 7 marzo 2023 la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo in calce. Letti gli atti e valutati i documenti di causa, il Collegio è dell'avviso che la sentenza non abbia correttamente risolto il tema della lite e meriti di essere riformata nel senso poco sotto puntualizzato. La questione andava affrontata sulla base degli elementi e delle linee di indagine doviziosamente indicati dall'odierno appellante, senza potersi trascurare che il dato determinante e assorbente è, prima di ogni altro, quello delle limitazioni territoriali nascenti dal patto di non concorrenza dianzi indicato per cui, anche se le attività delle due Società fossero state le stesse (ma non è questa l'evenienza), non si ricadeva in una ipotesi di cooperazione lavorativo/professionale interdetta al Se. per ragioni eminentemente territoriali. Per come siglato in rapporto al suo contenuto vincolante, il patto, riferendosi all'Europa e all'Ar. opportunamente distinta per stati nominativamente indicati e la Ma. non era in alcun modo contemplata: ciò basterebbe per escludere la violazione addebitata al lavoratore Non è stato inoltre provato -e l'onere spettava alla parte che aveva dedotto l'inadempimento- anzi è recisamente da escludere, che lo sviluppo di sistemi volti a facilitare l'esercizio di attività commerciali di servizi food potesse in qualche modo cozzare con l'attività perseguita da Ig. così come incentrata sullo sviluppo di un software che rappresentava praticamente l'unico prodotto e l'unico nucleo della sua attività. Il ricorso all'intelligenza artificiale è peraltro una metodica di patrimonio comune a più imprese (l'appellante intende riferirsi anche a Tesla nel settore automotive), per cui non rappresenta un dato discriminante. Non è poi comprensibile, se non in chiave ritorsivo-speculativa, che l'odierna appellata avesse caldeggiato al suo dipendente Da.Se. di recedere dal patto di non concorrenza quanto il lavoratore stava per andarsene dalla Ditta italiana. Il tentativo, plausibilmente, serviva a non sopportare le sue conseguenze economico/remunerative a carico di un'Azienda che non poteva avere credibili obiezioni sul fatto il suo ex dipendente si rivolgesse a Vo. per andare a curare in Ma. un'attività che non interferiva sotto alcun profilo su quella dell'odierna appellata o perlomeno stimata tale, sino a un certo punto, anche dalla Ig. dato che essa l'aveva autorizzata. Per le ragioni che precedono, dichiarata anche in questa sede la spettanza al lavoratore del corrispettivo concordato per la remunerazione del patto di non concorrenza, rispettato dal lavoratore per le ragioni che precedono, la sentenza va dunque riformata respingendo l'opposizione spiegata in primo grado nei confronti del decreto ingiuntivo n. 2501/2021 e così pure la domanda riconvenzionale azionata dall'Impresa per conseguire il pagamento della penale raccordata al patto di non concorrenza. L'appello di Da.Se. va dunque accolto come da dispositivo in cui le spese processuali di tutto il giudizio sono poste a carico Ig. nella misura ivi liquidata in applicazione dei criteri posti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37 nonché dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147, tenuto conto del valore della controversia e del suo grado di complessità nonché dell'assenza di attività istruttoria nella presente fase del giudizio. P.Q.M. In riforma della sentenza n. 976/2022 del Tribunale di Milano Sezione Lavoro, respinge l'opposizione proposta dalla Società Ig. avverso il decreto ingiuntivo n. 2501/2021 emesso in data 12.12.2021 che, per l'effetto, conferma e respinge la sua domanda riconvenzionale per il pagamento dalla penale. Condanna Ig. SRL a rifondere a Da.Se. le spese dei due gradi liquidate in complessivi Euro 2.800,00 oltre spese generali, IVA e CPA per il primo grado e, in complessivi Euro 2.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA per il presente grado. Così deciso in Milano il 7 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 19 settembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6812 del 2022, proposto da Sm. An. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico Dir. Gen per i Servizi di Comunicaz. Elettr. di Radiodiffusione e Postali Divisione V, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Ra. St. Ce. Soc. Coop, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 01105/2022, resa tra le parti, per l'annullamento del provvedimento di esclusione dai contributi per l'anno 2019 del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Cons. Davide Ponte, udito per la parte appellante l'avvocato Ma. Bi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con l'appello in esame la società odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1105 del 2022 del Tar Lazio, recante il rigetto dell'originario ricorso, proposto dalla stessa società avverso la nota ministeriale del 29 ottobre 2019 con cui è stata dichiarata inammissibile la domanda presentata per i contributi relativi all'anno 2019, nonché tutti gli atti successivi connessi, fra cui la determinazione di approvazione della graduatoria provvisoria in data 10 febbraio 2020 ed il rigetto del reclamo; veniva altresì chiesto l'accertamento del diritto alla partecipazione al bando per l'erogazione dei contributi. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: - sulla erroneità della sentenza laddove, rigettando il I motivo del ricorso di prime cure, non ha apprezzato la violazione degli artt. 4 comma 2 e 6 comma 1 lett c) del DPR n. 146/2017), 3, 41, 42 e 97, Cost., 3, 6, 7, 8, 9 e 10, L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché diversi profili di eccesso di potere, per la sussistenza del requisito concernente la presenza di giornalisti dipendenti nell'esercizio precedente; - analoghi vizi in relazione al rigetto del secondo motivo di ricorso, dedotto avverso il sistema informativo automatico che non ha correttamente calcolato la media dei dipendenti. Il Ministero si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. Alla pubblica udienza del 13 aprile 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO 1. La delibazione in ordine ai motivi di appello dedotti avverso la sentenza impugnata impone un breve excursus ricostruttivo della fattispecie controversa. In proposito, la ricostruzione, anche del quadro regolatorio, posta a base della sentenza impugnata appare in definitiva pacifica, risultando nella sostanza controversa l'interpretazione e l'attuazione delle previsioni applicate. 1.1 La società appellante, che esercita l'attività di radiodiffusione locale mediante l'emittente radiofonica Ra. Ci. Br. nella Regione Sicilia, presentava istanza per l'ottenimento dei contributi del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, di cui al d.P.R. numero 146 del 2017 per l'anno 2019. 1.2 Con la nota impugnata del 29 ottobre 2019, prot. 64727, il Ministero odierno appellato comunicava alla ricorrente l'inammissibilità della domanda per l'ottenimento dei contributi per l'anno 2019 poiché, pur soddisfacendo il requisito del numero dipendenti/giornalisti, per l'annualità in corso (2019) non risultava, invece, soddisfatto il requisito del numero dei dipendenti/giornalisti riferito all'esercizio precedente (2018) così come previsto dall'art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 146/2017. 2. Così riassunto l'iter procedurale controverso, al fine di una corretta disamina delle censure dedotte occorre ribadire il quadro normativo rilevante per l'oggetto di giudizio. 2.1 Il d.P.R. 23 agosto 2017 n. 146, in attuazione dell'articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, disciplina i criteri di riparto e le procedure di erogazione delle risorse dell'esercizio finanziario 2016 presenti sull'apposito capitolo di bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico e, per gli anni successivi, della quota delle risorse del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, di cui all'articolo 1, comma 160, lettera b), della predetta legge n. 208 del 2015, assegnata al Ministero stesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali. 2.2 L'art. 5 del d.P.R. articola il procedimento in diverse fasi: la presentazione ed istruttoria delle domande, la pubblicazione di una graduatoria provvisoria, a cui possono seguire eventuali reclami e rettifiche, nonché la pubblicazione della graduatoria definitiva; al comma 2 rinvia, inoltre, ad un decreto del Ministro dello Sviluppo Economico "le modalità di presentazione con procedura telematica delle domande e la documentazione da presentare". 2.3 Il successivo art. 6 detta i criteri per l'attribuzione dei contributi, rappresentati, con particolare riferimento alle emittenti radiofoniche, dal numero medio di dipendenti (lett. a), dal numero medio di giornalisti dipendenti (lett. b), dal totale dei ricavi maturati nell'anno precedente per la vendita di spazi pubblicitari (lett. d), nonché dal totale dei costi sostenuti nell'anno precedente per spese in tecnologie innovative (lett. e). 2.4 In attuazione del predetto art. 5 veniva emanato il d.m. 20 ottobre 2017, avente ad oggetto le "Modalità di presentazione delle domande per i contributi alle emittenti radiofoniche e televisive locali" per le annualità 2016 e 2017. 2.6 Dall'esame del quadro normativo rilevante emerge come il criterio per l'attribuzione dei punteggi fosse quello individuato dal d.P.R. 146/2017, sia in termini gerarchici di forza normativa, sia in termini funzionali, in quanto il successivo d.m. 20 ottobre 2017 aveva valenza attuativa del primo e riguardava le modalità di presentazione ed il contenuto della domanda, in termini da intendersi come logicamente coerenti con il d.P.R. attuato. 2.7 La controversia si concentra sull'interpretazione della previsione relativa alla lettera b) predetta, che così individua il criterio controverso: "b) numero medio di giornalisti dipendenti (professionisti, pubblicisti e praticanti) effettivamente applicati all'attività di fornitore di servizi media audiovisivi o di emittente radiofonica per la regione e il marchio/palinsesto oggetto della domanda, occupati nel biennio precedente iscritti al relativo albo o registro, come risultanti dalla presentazione del riepi delle posizioni iscritte presso l'INPGI e per i pubblicisti che hanno optato per il mantenimento dell'iscrizione previdenziale presso l'INPS. Sono inclusi nel calcolo i lavoratori part-time e quelli con contratto di apprendistato. Per i giornalisti in cassa integrazione, con contratti di solidarietà e per quelli a tempo parziale e, nel caso in cui il medesimo soggetto presenti una pluralità di domande per più marchi/palinsesti diversi dal primo o diffusi in più di una regione, si tiene conto delle percentuali di impegno contrattuale in termini di ore effettivamente lavorate. In via transitoria, per le domande relative agli anni 2016 e 2017, il punteggio è quantificato sul numero medio dei giornalisti dipendenti effettivamente dedicati ai servizi media audiovisivi o all'emittenza radiofonica per la regione e per il marchio/palinsesto oggetto della domanda nell'anno di competenza del contributo e nell'anno precedente". In particolare, il rigetto della domanda di parte appellante riguardava quest'ultima previsione transitoria, in quanto il requisito del numero dipendenti/giornalisti, soddisfatto per l'annualità in corso (2019) non risultava, invece, soddisfatto se riferito all'esercizio precedente (2018). 2.8 Dall'analisi delle risultanze di causa emerge come la società avesse assunto i seguenti soggetti per l'anno 2018: il dipendente giornalista/pubblicista, sig. Lu. Sa., assunto con contratto dal 20 gennaio 2018 all'11ottobre 2018; il sig. Br. Sc., assunto con contratto dal 10 ottobre 2018. 2.8.1 Nella prospettazione posta a base del provvedimento impugnato, risulta scoperto il periodo dal 01-01-2018 al 19-01-2018, superiore alla frazione di quindici giorni mensili, secondo il criterio di calcolo di cui alla Tabella 1 di cui all'art. 6, comma 1, lettera c) del medesimo dPR 146 cit. 2.8.2 Nella prospettazione appellante il criterio sarebbe soddisfatto attraverso il calcolo anche dei giorni lavorati ad ottobre dal Saitta, nonché attraverso le ore di straordinario non conteggiate. 2.9 In dettaglio, la richiamata Tabella, nel fornire la specificazione applicativa dei criteri sui dipendenti, statuisce che il numero medio di dipendenti delle tipologie di cui alle lettere a) e b) del biennio si calcola in proporzione al numero di mesi nei quali ciascun lavoratore ha prestato servizio. Si considera mese intero la frazione superiore a quindici giorni di calendario. 2.10 Orbene, nel caso di specie manca effettivamente la copertura per il mese di gennaio, in cui la prestazione è avvenuta per soli undici giorni. Né è utilizzabile il periodo di dieci giorni di ottobre, sia perché riguardante un altro mese, sia in quanto comunque insufficiente, essendo inferiore ai quindi giorni. Né è utilizzabile il lavoro straordinario, in quanto non riferibile a periodi diversi da quelli di vigenza del relativo contratto. 3. In linea generale, nell'interpretazione di un bando trovano applicazione le norme in materia di contratti, e anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ. 3.1 Le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di assegnazione di contributi, analogamente a quelle di selezione dei partecipanti ad una procedura di evidenza pubblica, impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando stesso: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato letterale; per cui, secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell'affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale. 3.2 Orbene, nel caso di specie va quindi garantita la prevalenza al dato letterale del regolamento e delle norme applicative allegate, da cui emerge, nei termini predetti, l'assenza, seppur per pochi giorni, del numero medio di dipendenti. 4. A fronte di ciò nessun rilievo può essere mosso avverso la procedura automatizzata, seguita dalla p.a., la quale ha preso atto ed applicato, coerentemente al dato letterale del regolamento, un criterio predeterminato. Come già evidenziato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ad es. sentenza n. 8472 del 2019) il ricorso a strumenti informatici nelle procedure amministrative costituisce una modalità agevolata di istruttoria, senza che il singolo strumento - per quanto qualificabile in termini di intelligenza artificiale - possa, da un lato, derogare alle regole normative ed ai criteri posti a presupposto della singola procedura e, dall'altro lato, essere sottratto alla trasparenza nonché alla imputabilità all'amministrazione procedente. Quest'ultima è chiamata a verificare la correttezza del funzionamento dello strumento istruttorio utilizzato e la relativa coerenza agli obiettivi ed alle regole dettate, in coerenza al principio di legalità, per l'esercizio del potere in esame. E nel caso di specie l'amministrazione ha correttamente verificato come l'applicazione fatta dallo strumento automatizzato sia stata coerente ai criteri predeterminati normativamente. I criteri non sono dettati dallo strumento informatico ma dalla norma; e la relativa attuazione, rimessa per ragioni di economia e di speditezza ad un sistema automatizzato, è soggetta alla verifica da parte del decisore amministrativo, cui è imputata la relativa scelta. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello va pertanto respinto. Sussistono giusti motivi, a fronte della complessità del procedimento e del dato normativo, per compensare le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Giovanni Gallone - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5813 del 2022, proposto dalla società Ps. Ve. Lu. Ho. S.à r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Ar., Ni. Mo. e Gi. Lu. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ni. Mo. in Roma, via (...); contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (...); la Presidenza della Repubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: della società B.F. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Zo. e Gi. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza di (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione prima n. 4486 del 13 aprile 2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visto l'atto di intervento della società B.F. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Cons. Luca Lamberti e viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La controversia attiene ad una fattispecie di esercizio del potere governativo di veto ad un'acquisizione societaria, ai sensi del d.l. n. 21 del 2012. 1.1. Più in particolare, con decreto in data 21.10.2021, adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 19.10.2021, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha vietato l'acquisizione, da parte della società di diritto svizzero Sy. Cr. Pr. AG, dell'intero capitale sociale della società di diritto olandese Ve. B.V. e delle sue controllate, ivi incluse quelle con sede in Italia. 1.2. La società Sy. Cr. Pr. AG è una delle quattro principali business unit di cui si compone il gruppo societario facente capo alla società di diritto svizzero Sy. AG, a sua volta controllata dalla multinazionale cinese Ch., costituente una SOE (State-Owned Enterprise) della Repubblica Popolare Cinese. Il gruppo Sy. è attivo nel campo agricolo, di cui è uno dei maggiori player mondiali, con interessi in oltre 100 Paesi. 1.3. La società di diritto olandese Ve. B.V. controlla direttamente o indirettamente, tra l'altro, cinque società con sede in Italia, ossia le società Su. Se. Co. s.p.a. ed altri, tutte a vario titolo attive nel settore sementiero: il capitale sociale della società Ve. B.V. è interamente detenuto dalla società di diritto lussemburghese PS. Ve. Lu. Ho. S.à r.l., a sua volta controllata da un fondo di private equity statunitense. 1.4. Oggetto dell'operazione, che vede come soggetto interessato all'acquisto la società Sy. Cr. Pr. AG e come soggetto interessato all'alienazione la società PS. Ve. Lu. Ho. S.à r.l., è l'intero capitale sociale della società Ve. B.V.: l'operazione è stata notificata congiuntamente dalle interessate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo in data 05.07.2021. 1.5. Eseguita l'istruttoria, coordinata dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, la pratica è giunta all'attenzione del Consiglio dei Ministri nella seduta del 19.10.2021, che ha ritenuto di non autorizzare l'operazione. 2. La società PS. Ve. Lu. Ho. S.à r.l. (di seguito Ve.) ha radicato ricorso avanti il T.a.r. per il Lazio, evocando in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Repubblica ed avanzando quattro ordini di censure, così sintetizzabili: a1) difetto di entrambe le condizioni alla cui contestuale sussistenza è ex lege subordinato il legittimo esercizio del potere di veto. In particolare, assenza del carattere strategico delle attività delle società italiane del gruppo Ve. e, comunque, strutturale incapacità della relativa acquisizione (di carattere, peraltro, estero su estero) di determinare una "situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti" (art. 2, comma 3, d.l. n. 21 del 2012) nel campo agroalimentare, perché le società italiane del gruppo: i) detengono una quota del mercato professionale nazionale dei semi pari solo all'1%; ii) non svolgono alcuna attività di produzione di semi, né di sviluppo e ricerca, limitandosi alla commercializzazione all'ingrosso ed alla distribuzione dei semi prodotti da terzi; iii) non sono titolari di diritti di privativa industriale o di proprietà intellettuale; iv) non possiedono i terreni dove i semi vengono coltivati; v) lavorano prevalentemente nel mercato hobbistico, di cui, oltretutto, detengono non più del 20-25% a livello nazionale; a2) mancata formulazione di una motivazione rafforzata che giustifichi l'assunzione di una decisione distonica rispetto alle risultanze dell'istruttoria, giacché il gruppo di coordinamento si era dichiarato favorevole all'operazione con raccomandazioni e, nell'ambito dei relativi lavori, pure il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza - DIS si era espresso favorevolmente, sia pure chiedendo l'imposizione di più incisive prescrizioni; la proposta di decisione finale formalizzata dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali suggeriva l'assenso con raccomandazioni o con prescrizioni, ma non menzionava affatto l'esercizio del potere di veto; a3) illegittimità, a monte, dell'art. 11, lett. c), D.P.C.M. n. 179 del 2020, in tesi generico, tautologico ed indeterminato, in violazione del principio di legalità ; b) errato richiamo agli artt. 6 e 9 D.P.C.M. n. 179 del 2020, perché le società del gruppo non svolgono attività di raccolta dati critici, né si occupano di intelligenza artificiale o, comunque, di tecnologie critiche, quali la machine learning; a tutto concedere, tali rilievi non sono emersi in istruttoria; c) violazione del principio di proporzionalità rispetto a scelte meno impattanti sull'autonomia privata e sul libero operare delle dinamiche di mercato, anche in considerazione dei precisi impegni assunti dall'acquirente in sede di notifica dell'operazione; d) mancanza del preavviso di rigetto. 3. Costituitasi in resistenza la sola Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r., ha così deciso: - ha disposto "l'estromissione dal giudizio, per carenza di legittimazione passiva, della Presidenza della Repubblica", evocata in giudizio dalla ricorrente; - ha respinto nel merito il ricorso; - ha compensato le spese di lite. 3.1. Il T.a.r., in particolare, ha così motivato la reiezione del ricorso (si fa riferimento, di seguito, all'indicazione delle censure operata supra, sub § 2): d) non sarebbe applicabile in subiecta materia l'art. 10-bis l. n. 241 del 1990, giacché "la notifica (dell'operazione) costituisce per l'impresa un vero e proprio obbligo, funzionale all'esercizio dei poteri di controllo spettanti allo Stato, e non è volta ad ottenere un bene della vita. Per tale ragione, nella notifica non è presente alcuna "richiesta" da parte della società interessata"; il procedimento, del resto, sarebbe azionabile anche d'ufficio; a-b) il provvedimento sarebbe espressione di "amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale"; si tratterebbe, dunque, di atto di alta amministrazione, come tale "sindacabile dal giudice amministrativo nei ristretti limiti della sussistenza di una manifesta illogicità ", nella specie non riscontrabile, atteso che il provvedimento non sarebbe in contrasto con la propedeutica istruttoria e sarebbe articolatamente motivato, posto che "risultano individuati gli asset strategici, rilevanti sotto il profilo dei fattori produttivi critici, delle tecnologie produttive e delle informazioni possedute"; peraltro, "nella fase istruttoria il compito del gruppo di coordinamento, che si avvale del contributo partecipativo delle amministrazioni coinvolte, affiancate dal Dipartimento della pubblica sicurezza, oltre che dell'apporto partecipativo dei soggetti interessati dall'operazione di acquisizione, è quello di raccogliere gli elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri in sede collegiale, che non è pertanto vincolato o comunque tenuto ad adottare una motivazione rafforzata nel caso vengano formulate in fase istruttoria proposte differenti rispetto all'esercizio del potere di veto"; non sarebbe neppure illegittimo l'art. 11, lett. c), del D.P.C.M. che, a monte, individua i settori economici suscettibili di uso del potere di veto, giacché "la tecnica redazionale adoperata per individuare gli asset nel settore agroalimentare rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell'impossibilità di una catalogazione puntuale e minuta degli attivi strategici"; c) non sarebbe leso il principio di proporzionalità, giacché "il decreto contiene una giustificazione del tutto logica in ordine all'inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell'operazione, quali eventuali prescrizioni, in ragioni della circostanza, non controversa, che l'effettivo proprietario della società acquirente è il Governo cinese e della difficoltà di attuare misure di enforcement realmente efficaci in caso di inottemperanza alle prescrizioni imposte per il trasferimento dell'asset all'estero". 4. Ve. appella e ripropone criticamente le censure di prime cure. 4.1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri si costituisce in resistenza. 4.2. Interviene ad opponendum la società di diritto italiano BF s.p.a., che rappresenta di avere interesse all'intervento in quanto, a suo tempo, ha effettuato una proposta di acquisto del capitale di Ve. B.V.. 4.3. All'esito della camera di consiglio del 28.07.2022 l'istanza cautelare svolta dall'appellante viene accolta ai soli fini della sollecita fissazione dell'udienza di merito. 4.4. In data 24.11.2022 Ve. deposita accordo con Sy. del 17.11.2022 per il prolungamento sino al 19.12.2022 dell'efficacia della cessione, al fine di dimostrare la persistenza dell'interesse all'acquisizione e, dunque, la procedibilità del giudizio. 4.5. In vista della trattazione del ricorso le parti depositano memorie: - la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la società BF ribadiscono l'eccezione di inammissibilità dell'appello, sia perché Sy. non ha impugnato la sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 4488 del 13.04.2022 che ne ha rigettato il parallelo ricorso avverso l'atto di veto (nel relativo giudizio, allibrato al n. 13655 del 2021, Ve. non era stata evocata né aveva preso parte quale interveniente), ciò che, in tesi, impedirebbe comunque la stipula dell'atto di vendita, bloccato dal veto oramai definitivo a carico dell'acquirente, sia perché "la PS. Ve. non ha provato che al momento della notifica dell'Appello lo SPA (ossia il contratto preliminare di vendita fra Sy. e Ve.) fosse ancora efficace tra le parti"; - Ve., a sua volta, sostiene l'inammissibilità intervento di BF perché, nella seconda fase della selezione privata curata dalla stessa Ve. per reperire un compratore, BF non avrebbe presentato un'offerta. 4.6. Il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022. 5. Il Collegio prende le mosse dalla questione pregiudiziale dell'ammissibilità dell'intervento svolto dalla società BF s.p.a.. 5.1. L'intervento è ammissibile. 5.2. Invero, la natura privata della procedura di selezione curata da Ve. ne determina la potenziale ripetizione o, comunque, la possibile rimodulazione anche in itinere - specie all'esito di una pronuncia giurisdizionale che confermi il veto all'operazione di acquisto da parte di Sy. - proprio perché retta dal diritto comune e non presidiata da rigide ed inderogabili disposizioni di diritto pubblico: ne consegue che BF ha un interesse sì indiretto e riflesso, ma pur sempre giuridicamente apprezzabile, all'esito del presente giudizio. 5.3. Peraltro, per principio generale l'inammissibilità dell'intervento consegue all'evidente dimostrazione dell'assenza dei relativi presupposti, dovendosi altrimenti ammettere l'intervento stesso, quale espressione del diritto di difesa costituzionalmente protetto. 5.4. Non può non rilevarsi, infine, che a quanto consta BF (soggetto imprenditoriale attivo nel settore agroalimentare) era già intervenuta ad opponendum in prime cure nel giudizio gemello n. 13655 del 2021 intentato avanti il T.a.r. da Sy., poi definito con sentenza di rigetto n. 4488 del 13.04.2022, in tal modo dimostrando di coltivare attivamente le proprie istanze. 6. Le eccezioni di inammissibilità dell'appello formulate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito PCM) e da BF possono, invece, essere assorbite, considerata la complessiva infondatezza nel merito delle prospettazioni di Ve.. 7. Preliminarmente, il Collegio dà atto che, a seguito della proposizione dell'appello, è riemerso l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado - che perimetra necessariamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. - sicché, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, verranno presi direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020). 8. Ciò premesso, il Collegio non può non premettere la ricognizione della normativa applicabile, pur se ciò inevitabilmente appesantisce la trattazione. 8.1. Deve anzitutto menzionarsi il Regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 marzo 2019, volto a "istituire un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell'Unione", che costituisce il corpus normativo di riferimento a livello unionale. 8.1.1. Tale Regolamento: - al considerando 2, richiama "l'articolo 3, paragrafo 5, del trattato sull'Unione europea (TUE)", ai sensi del quale "nelle relazioni con il resto del mondo, l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi"; - al considerando 3, stabilisce che, "conformemente agli impegni internazionali assunti nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e degli accordi commerciali e di investimento conclusi con paesi terzi, l'Unione e gli Stati membri possono adottare, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, misure restrittive nei confronti degli investimenti esteri diretti, purché siano rispettate alcune condizioni"; - al considerando 6, precisa che "gli investimenti esteri diretti rientrano nell'ambito della politica commerciale comune. A norma dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE, l'Unione ha competenza esclusiva per quanto concerne la politica commerciale comune"; - al considerando 8, aggiunge che "il quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti e per la cooperazione dovrebbe dotare gli Stati membri e la Commissione degli strumenti per affrontare in modo globale i rischi per la sicurezza o per l'ordine pubblico e per adeguarsi al mutare delle circostanze, mantenendo nel contempo la necessaria flessibilità per consentire agli Stati membri di controllare gli investimenti esteri diretti per motivi di sicurezza e ordine pubblico, tenendo conto delle rispettive situazioni individuali e delle specificità nazionali. Spetta esclusivamente allo Stato membro interessato decidere se istituire un meccanismo di controllo o se controllare un investimento estero diretto"; - al considerando 11, stabilisce che "dovrebbe essere possibile per gli Stati membri valutare i rischi per la sicurezza o per l'ordine pubblico derivanti da cambiamenti significativi dell'assetto proprietario o delle caratteristiche fondamentali di un investitore estero determinato"; - al considerando 12, precisa che "al fine di orientare gli Stati membri e la Commissione nell'applicazione del presente regolamento, è opportuno indicare un elenco di fattori che potrebbero essere presi in considerazione nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico... L'elenco di fattori che possono incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico dovrebbe restare non esaustivo"; - al considerando 13, stabilisce che "Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, dovrebbe essere possibile per gli Stati membri e la Commissione tenere conto di tutti i fattori pertinenti, compresi gli effetti sulle infrastrutture critiche, sulle tecnologie, comprese le tecnologie abilitanti fondamentali, e sui fattori produttivi che sono essenziali per la sicurezza o il mantenimento dell'ordine pubblico la cui perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione avrebbe un impatto significativo in uno Stato membro o nell'Unione. A tale proposito, dovrebbe altresì essere possibile per gli Stati membri e la Commissione tenere conto del contesto e delle circostanze dell'investimento estero diretto, in particolare della possibilità che un investitore estero sia controllato direttamente o indirettamente, ad esempio attraverso finanziamenti consistenti, comprese le sovvenzioni, da parte del governo di un paese terzo, o persegua progetti o programmi all'estero a guida statale"; - all'art. 2, definisce come "investimento estero diretto, un investimento di qualsiasi tipo da parte di un investitore estero inteso a stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra l'investitore estero e l'imprenditore o l'impresa cui è messo a disposizione il capitale al fine di esercitare un'attività economica in uno Stato membro, compresi gli investimenti che consentono una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo di una società che esercita un'attività economica"; - all'art. 3, stabilisce che "conformemente al presente regolamento, gli Stati membri possono mantenere, modificare o adottare meccanismi per controllare gli investimenti esteri diretti nel loro territorio per motivi di sicurezza o di ordine pubblico" e, in tale ambito, "stabiliscono in particolare le circostanze che danno luogo al controllo, i motivi del controllo e le regole procedurali dettagliate applicabili"; - all'art. 4, rubricato "Fattori che possono essere presi in considerazione dagli Stati membri e dalla Commissione", stabilisce: i) al paragrafo 1, che "Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, gli Stati membri e la Commissione possono prendere in considerazione i suoi effetti potenziali, tra l'altro, a livello di: c) sicurezza dell'approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l'energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare". ii) al successivo paragrafo 2, che "Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, gli Stati membri e la Commissione tengono altresì conto, in particolare, se: a) l'investitore estero sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, inclusi organismi statali o forze armate, di un paese terzo, anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti". 8.2. Nell'ordinamento nazionale, deve farsi riferimento al D.L. n. 21 del 15 marzo 2012, convertito con modificazioni con l. n. 56 dell'11 maggio 2012 e rubricato "Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonchè per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni". 8.2.1. All'art. 2, comma 1-ter, il D.L. stabilisce che "Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro della difesa, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con i Ministri competenti per settore, adottati anche in deroga all'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che è reso entro trenta giorni, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati, sono individuati, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l'ordine pubblico, compreso il possibile pregiudizio alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, anche se oggetto di concessioni, comunque affidate, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all'articolo 1, comma 1, e al comma 1 del presente articolo, nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019 (ossia, tra l'altro, l'approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l'energia e le materie prime, nonché la sicurezza alimentare), nonchè la tipologia di atti od operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina di cui al presente articolo. I decreti di cui al primo periodo sono adottati entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono aggiornati almeno ogni tre anni". 8.2.2. Al successivo comma 2-bis, il D.L. precisa che "Qualsiasi delibera, atto od operazione, adottato da un'impresa che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1-ter, che abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi a favore di un soggetto esterno all'Unione europea, di cui al comma 5-bis, ovvero, nei settori individuati nel secondo periodo del comma 5, anche a favore di un soggetto appartenente all'Unione europea, ivi compresi quelli stabiliti o residenti in Italia, comprese le delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento dell'azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l'assegnazione degli stessi a titolo di garanzia, il trasferimento di società controllate che detengono i predetti attivi, ovvero che abbia per effetto il trasferimento della sede sociale in un Paese non appartenente all'Unione europea, è notificato, salvo che l'operazione sia in corso di valutazione o sia già stata valutata ai sensi del comma 5, entro dieci giorni e comunque prima che vi sia data attuazione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri dalla stessa impresa. Sono notificati altresà nei medesimi termini qualsiasi delibera, atto od operazione, adottato da un'impresa che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1-ter, che abbia per effetto il cambiamento della loro destinazione, nonchè qualsiasi delibera che abbia ad oggetto la modifica dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società o la modifica di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell'articolo 2351, terzo comma, del codice civile ovvero introdotte ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come da ultimo modificato dall'articolo 3 del presente decreto". 8.2.3. Al successivo comma 3, il D.L. stabilisce che "Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri, da trasmettere tempestivamente e per estratto alle Commissioni parlamentari competenti, può essere espresso il veto alle delibere, atti e operazioni di cui ai commi 2 e 2-bis, che diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti". 8.2.4. Al comma 6, il D.L. aggiunge che "Qualora l'acquisto di cui al comma 5 (ossia "l'acquisto a qualsiasi titolo da parte di un soggetto esterno all'Unione europea di partecipazioni in società che detengono gli attivi individuati come strategici ai sensi del comma 1 nonchè di quelli di cui al comma 1-ter, di rilevanza tale da determinare l'insediamento stabile dell'acquirente in ragione dell'assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell'acquisto") comporti una minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali dello Stato di cui al comma 3 ovvero un pericolo per la sicurezza o per l'ordine pubblico... con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri, da trasmettere tempestivamente e per estratto alle Commissioni parlamentari competenti, l'efficacia dell'acquisto può essere condizionata all'assunzione, da parte dell'acquirente e della società le cui partecipazioni sono oggetto dell'acquisto, di impegni diretti a garantire la tutela dei predetti interessi... In casi eccezionali di rischio per la tutela dei predetti interessi, non eliminabili attraverso l'assunzione degli impegni di cui al primo periodo, il Governo può opporsi, sulla base della stessa procedura, all'acquisto". 8.2.5. Il comma prosegue, precisando che "Per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico è possibile prendere in considerazione le seguenti circostanze: a) che l'acquirente sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, compresi organismi statali o forze armate, di un Paese non appartenente all'Unione europea, anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti". 8.2.6. Infine, il comma 7 stabilisce che "I poteri speciali di cui ai commi precedenti sono esercitati esclusivamente sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori. A tale fine il Governo considera, avuto riguardo alla natura dell'operazione, i seguenti criteri: a) l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunità internazionale, desunti dalla natura delle loro alleanze, o hanno rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati; b) l'idoneità dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione, tenuto conto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione e della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente, a garantire: 1) la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti; 2) il mantenimento, la sicurezza e l'operatività delle reti e degli impianti". 8.3. A livello di normazione secondaria, il D.P.C.M. n. 179 del 18 dicembre 2020, rubricato "Regolamento per l'individuazione dei beni e dei rapporti di interesse nazionale nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, a norma dell'articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56" stabilisce, all'art. 11, a sua volta rubricato "Beni e rapporti in tema di approvvigionamento di fattori produttivi e nel settore agroalimentare", che rientrano tra i beni e i rapporti di cui all'articolo 1 (ossia "beni e rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all'articolo 1, comma 1, e all'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 21 del 2012, nei settori di cui all'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019"), tra l'altro, "le attività economiche di rilevanza strategica e l'approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera agroalimentare". 8.4. Quanto all'aspetto procedurale, si richiama il D.P.R. 25 marzo 2014, n. 86, rubricato "Regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, a norma dell'articolo 2, comma 9, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21", che, nel disciplinare il procedimento da seguire (poi ancor più dettagliatamente normato dal successivo D.P.C.M. 6 agosto 2014), precisa, per quanto qui di interesse, che (art. 6): - "Il Ministero responsabile dell'istruttoria e della proposta ai sensi dell'articolo 3, tenuto conto delle risultanze emerse nell'ambito del gruppo di coordinamento di cui all'articolo 2, comma 2, lettera c), trasmette tempestivamente in via telematica alla Presidenza del Consiglio dei ministri, e al suddetto gruppo di coordinamento, la proposta di esercizio dei poteri speciali con il relativo schema di provvedimento, ovvero comunica le motivazioni per cui ritiene non necessario l'esercizio dei poteri speciali"; - "Lo schema di provvedimento di esercizio dei poteri speciali indica dettagliatamente le minacce di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti e può comportare rispettivamente il potere di veto alla delibera o il potere di opposizione all'acquisto nei casi in cui l'imposizione di specifiche prescrizioni, condizioni o impegni non siano sufficienti ad assicurare la tutela degli interessi pubblici"; - "Nel caso in cui i poteri speciali siano esercitati nella forma di assunzione da parte dell'acquirente di impegni diretti a garantire la tutela degli interessi essenziali dello Stato, di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge, ai sensi dell'articolo 2, comma 6, del decreto-legge, lo schema di provvedimento indica: a) le specifiche prescrizioni o condizioni richieste all'impresa; b) specifici criteri e modalità di monitoraggio; c) l'amministrazione competente a svolgere il monitoraggio delle prescrizioni o condizioni richieste, nonchè l'organo da essa incaricato di curare le relative attività ; d) le sanzioni previste dal decreto-legge in caso di inottemperanza, anche tenuto conto delle previsioni di cui all'articolo 8". 9. Attingendo a questo punto il merito, il Collegio ricostruisce l'andamento del procedimento. 10. Per quanto di interesse ai fini della presente decisione, la fase istruttoria si è svolta come segue. 10.1. Nella riunione finale del Gruppo di coordinamento del 07.10.2021, il Ministero dell'Agricoltura, nella qualità di Amministrazione responsabile dell'istruttoria, propone "il non esercizio dei poteri speciali", aggiungendo tuttavia che "in considerazione della strategicità degli asset coinvolti e del carattere programmatico di alcuni impegni assunti dalle società notificanti, sia necessario garantire il monitoraggio sugli stessi": il Ministero, pertanto, "propone di inserire nella delibera di non esercizio dei poteri speciali una raccomandazione, rivolta alla società acquirente, affinché operi in modo conforme agli impegni assunti in sede di notifica e nel corso del procedimento". 10.2. Il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza "evidenzia le criticità ed i rischi legati alla natura dell'operazione" e "propone, in alternativa, di esercitare i poteri speciali, mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni volte al mantenimento dei rapporti contrattuali ed alla preservazione dell'attività di Su. Se. Co. s.p.a. in Italia". 10.3. Anche sulla scorta delle osservazioni del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - secondo cui da un lato "le raccomandazioni proposte dal Ministero responsabile sono simili a delle vere e proprie prescrizioni", dall'altro comunque "il Consiglio dei Ministri, in sede di esame del provvedimento, può decidere di mutare la natura delle raccomandazioni trasformandole in un esercizio dei poteri speciali con prescrizioni" - il Gruppo di coordinamento concorda con la proposta del Ministero dell'Agricoltura di non esercizio dei poteri speciali, con la formulazione di apposite raccomandazioni alla società acquirente, soggette a monitoraggio. 10.4. Conseguentemente, il Ministero dell'Agricoltura, nel trasmettere alla PCM, con nota dell'11.10.2021, gli esiti della fase istruttoria, propone il "non esercizio dei poteri speciali", sia pure prevedendo che "l'acquirente trasmetta al Governo una relazione periodica di monitoraggio dell'operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi". 10.5. Tuttavia, nell'appunto per il Ministro in vista del Consiglio dei Ministri, si ventila altresì la proposta alternativa dell'esercizio dei poteri speciali, mediante la formulazione di "apposite prescrizioni", dettagliatamente indicate. 10.6. Nel corso del Consiglio dei Ministri del 19.10.2021, il Ministro dell'Agricoltura propone senz'altro "l'esercizio dei poteri, manifestando disponibilità al confronto in merito all'opzione tra prescrizioni o veto", opzione quest'ultima poi prescelta dal Consiglio, all'esito della discussione. 11. Da quanto precede si evince che non sussiste, in termini sostanziali, il contrasto lamentato dalla ricorrente fra il provvedimento e l'istruttoria, almeno nella misura macroscopica tale da determinare un inaccettabile iato fra gli esiti della stessa ed il successivo decisum, con conseguente vizio della funzione. 11.1. Invero, nell'ambito dei lavori del Gruppo di coordinamento il Ministero dell'Agricoltura individua l'operazione come "strategica" (si menziona espressamente, in particolare, la "strategicità degli asset coinvolti") e qualifica come fondamentali gli impegni assunti pro futuro dall'acquirente, che, proprio in quanto strutturalmente "programmatici", necessitano di essere puntualmente verificati. 11.2. Il Ministero, dunque, pur proponendo il non esercizio dei poteri speciali, esprime la consapevolezza della delicatezza della questione, sia per l'oggetto dell'operazione, sia per il carattere qualificante che rivestono gli impegni assunti dall'acquirente in sede di notifica (poi vieppiù arricchiti nel corso dell'istruttoria). 11.3. Il Gruppo di coordinamento concorda con l'impostazione ministeriale. 11.4. Nella conseguente proposta formale rivolta alla PCM (cfr. nota dell'11.10.2021), il Ministero dell'Agricoltura ritiene non sussistere i presupposti dell'esercizio dei poteri speciali, alla luce: - della "puntuale disciplina" normativa nazionale del settore sementiero ("che prevede un rigoroso sistema di vigilanza e controllo"); - del fatto che le "target italiane utilizzano" sementi "di pubblico dominio" (salvo solo 63 varietà ortive, di cui la società Ro. Se. è costitutore), "non svolgono un'attività di ricerca e di significativa costituzione varietale", operano "in un contesto piuttosto differenziato", detengono "un ruolo marginale nel mercato professionale" nazionale, "non detengono materiale genetico specifico" ed hanno un "fatturato consolidato... di gran lunga inferiore alle soglie di rilevanza strategica individuate generalmente nei settori soggetti al golden power"; - degli impegni "stringenti e significativi" assunti dall'acquirente. 11.5. Il Ministero, comunque, proprio in considerazione del fatto che "le dichiarazioni e gli impegni dell'acquirente in sede di notifica e nel corso del procedimento, come poc'anzi specificati, assumono rilevanza a fondamento di tale conclusione istruttoria... propone di prevedere che l'acquirente trasmetta al Governo una relazione periodica di monitoraggio dell'operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi". 11.6. I dati oggettivi raccolti dal Gruppo in sede istruttoria identificano, dunque, un'operazione attinente ad una materia dichiaratamente "sensibile", in ordine alla quale, nondimeno, viene esclusa la necessità di esercizio dei poteri speciali in considerazione dei vari profili specificamente enucleati. 11.7. Peraltro, dapprima il Ministero dell'Agricoltura rappresenta al Ministro la possibile alternativa dell'imposizione non di semplici raccomandazioni, ma di ben più incisive prescrizioni; quindi, in sede di Consiglio dei Ministri, il Ministro propone senz'altro l'esercizio dei poteri, nella forma più lieve dell'assenso con prescrizioni o in quella più dura del divieto. 11.8. Questo significativo climax istruttorio registratosi nella specie da un lato testimonia l'esito tutt'altro che monolitico ed univoco dell'istruttoria stessa, dall'altro attesta vieppiù, per tabulas, la percepita delicatezza della questione già nel corso della fase istruttoria. 12. Pur a voler prescindere da tali considerazioni, comunque, il Collegio osserva in termini generali che, nella procedura dell'esercizio dei poteri speciali, ciò che giuridicamente distingue la fase decisoria dalla previa fase istruttoria è proprio l'attività valutativa del sostrato fattuale acquisito agli atti. 13. Il procedimento nazionale in tema di "golden power" è, invero, bifasico. 13.1. Esso prevede una prima fase di carattere prettamente istruttorio tesa all'acquisizione di tutti i dati di fatto rilevanti al fine di ricostruire ed inquadrare l'operazione in chiave tanto analitica, quanto sistemica, a beneficio della successiva valutazione finale: tale fase, che il D.P.R. n. 86 del 2014 significativamente definisce come "attività propedeutica all'esercizio dei poteri speciali", è curata da un apposito Gruppo di coordinamento, composto da personale di livello dirigenziale apicale della PCM e dei vari Ministeri interessati. 13.2. La seconda fase, appunto decisoria, è viceversa appannaggio esclusivo del Consiglio dei Ministri. 14. Questa seconda fase - affidata, non a caso, al massimo organo di direzione politica dello Stato e non a personale dirigenziale - assume un marcato ed assai lato profilo discrezionale: essa, invero, prende le mosse sì dai dati di fatto acquisiti in sede istruttoria, ma, nel contesto di una valutazione collegiale della questione in cui intervengono i Vertici politici di tutte le Amministrazioni dello Stato, affronta, inquadra e qualifica l'operazione nell'ambito della più ampia postura politica dello Stato in ottica non solo economica e finanziaria, ma in senso più globale strategica. 14.1. Il Consiglio dei Ministri, in sostanza, non si limita ad una ricognizione atomistica, puntiforme e, per così dire, "contabile" ed anodina delle caratteristiche specifiche dell'operazione, ma la traguarda nell'ambito e nel contesto dei fini generali della politica nazionale, ponderandone gli impatti sia sull'assetto economico-produttivo del settore socio-economico interessato, sia sulla più ampia struttura dell'economia nazionale, sia, infine, sui rapporti internazionali e sul complessivo posizionamento politico-strategico del Paese nell'agone internazionale. 14.2. Del resto, è lo stesso diritto unionale che facoltizza tale ampio spettro di valutazioni (cfr. le disposizioni richiamate supra del richiamato Regolamento UE n. 452 del 2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 marzo 2019). 14.3. In definitiva, dunque, nella specifica procedura in commento il vizio di contrasto con l'istruttoria si presenta strutturalmente marginale, in quanto è limitato ai casi macroscopici in cui il Consiglio affermi fatti smentiti dall'istruttoria o, al contrario, neghi fatti riscontrati nella fase istruttoria. 15. Ovviamente, ciò non veicola una sorta di arbitrio decisionale del Consiglio, che, di contro, deve poggiare su un iter argomentativo coerente, fondato sui criteri posti a monte dalla legge. 15.1. Nella vicenda di specie, decisivo è il fatto che l'acquirente è indirettamente (ma univocamente) espressione del Governo della Repubblica Popolare Cinese, circostanza debitamente evidenziata dal Consiglio e giuridicamente rilevante ai sensi tanto della normativa unionale (Regolamento n. 452 del 2019, considerando 13 ed art. 4), quanto di quella nazionale (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 6). 15.2. Il Consiglio, in particolare, ha rilevato che: - per la Repubblica Popolare cinese, Stato ad economia pianificata, il settore alimentare costituisce dichiaratamente un obiettivo strategico (così il XIV Piano quinquennale), nel quale quindi è ragionevole ritenere che siano autoritativamente convogliate, guidate ed indirizzate le (poderose) energie economiche, finanziarie e politico-diplomatiche del Paese; - le società del gruppo Ve. sono attive in tale settore, sono tecnologicamente all'avanguardia (in particolare, dalla relazione delle parti interessate e dall'audizione di Assosementi risulta che le società italiane del Gruppo Ve. sono altamente qualificate in punto di moltiplicazione del seme, attività ictu oculi oltremodo delicata, sensibile e "strategica") e, benché non producano direttamente i semi ma stipulino, a tal fine, contratti con gli agricoltori italiani (cui, peraltro, cedono a titolo oneroso il "basic seed", ossia il "portaseme", e la cui attività di coltivazione è sistematicamente supervisionata da agronomi del Gruppo - cfr. ricorso al T.a.r., pag. 18 e relazione delle parti in data 02.08.2021), è evidente che contrattualmente possano incidere sulla filiera agroalimentare nazionale, condizionandola in maniera apprezzabile in base alle loro mutevoli necessità, evidentemente dettate, in ultima analisi, dalla volontà (politica) del Governo di Pechino. 15.3. In proposito, il Collegio rileva che: - l'apprezzamento della strategicità di un'operazione in relazione all'interesse nazionale da parte del Consiglio dei Ministri ha tratti altamente discrezionali, posto che lo stesso concetto di interesse nazionale non è un prius, ossia un dato oggettivo preesistente in natura, bensì un posterius, ossia la risultante di valutazioni ed opzioni politiche; - tale apprezzamento, proprio in quanto attiene ad un profilo di massima quale quello strategico, viene svolto dal Consiglio dei Ministri nell'ambito di un'ampia valutazione geopolitica proiettata a scenari futuri e può legittimamente essere proteso non solo a proteggere istanze nazionali, ma anche a non favorire esigenze e scopi di Stati ritenuti (non solo ostili, ma anche semplicemente) competitor o con i quali, comunque, i rapporti possano prospetticamente presentare profili di problematicità ; - più in generale, l'ascrizione di "rilevanza strategica per l'interesse nazionale" ai "beni e rapporti" coinvolti da un'operazione notificata, al fine della verifica circa la sussistenza di un "possibile pregiudizio alla sicurezza e... alla continuità degli approvvigionamenti" (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 1-ter), è stata già operata a monte con D.P.C.M. n. 179 del 2020, che, per quanto qui di interesse, così dispone: i) qualifica "attività economiche di rilevanza strategica... le attività economiche essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società ", quali certo sono quelle del settore agroalimentare, fondamentale per la stessa esistenza fisica dell'uomo; ii) con specifico riferimento al settore agroalimentare, qualifica come strategico "l'approvvigionamento di fattori produttivi critici della filiera alimentare", quali certo sono le sementi, base imprescindibile di ogni coltivazione agricola. 16. Tale ultima locuzione non presenta l'intollerabile profilo di genericità ed indeterminatezza lamentato dall'appellante, ove si ponga mente allo scopo della normativa (primaria e secondaria) in tema di golden power, che è quello di apprestare una disciplina a maglie volutamente larghe al fine di non imbrigliare - e, quindi, depotenziare - il presidio costituito dalla spendita del potere omonimo. 16.1. Il potere di golden power, infatti, rappresenta il limes provvedimentale posto dalla legge a garanzia ultima dell'interesse nazionale nelle specifiche macro-aree economiche prese in considerazione; come tale, e proprio in quanto dettato a tutela di interessi fondamentali ("strategici") della collettività nazionale come discrezionalmente apprezzati dal Consiglio dei Ministri, esige un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile ed inclusivo, che consenta di apprestare la massima e più efficace tutela agli (assai rilevanti) interessi sottostanti: in tale specifica ottica, esula qualunque addebito di indeterminatezza e genericità . 16.2. Peraltro, aggiunge il Collegio, siamo al di fuori della materia lato sensu penale (che impone, come noto, la necessità di una particolare tassatività nell'enucleazione della fattispecie normativa), esulando dalla normativa sul golden power qualsivoglia finalità afflittiva; parimenti, non ricorre l'imposizione di una prestazione patrimoniale ex art. 23 Cost. (cfr. ricorso al T.a.r., pag. 44), ma la mera previsione legislativa di un presidio di verifica della compatibilità dell'iniziativa economica privata con l'utilità sociale (art. 41 Cost.), espressione ampia in cui certo rientra l'interesse nazionale in ordine a "beni e rapporti strategici" come individuati dalla legge. 17. Di converso, è la stessa normativa primaria a stabilire che: - "per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico... è possibile prendere in considerazione" il fatto che "l'acquirente sia direttamente o indirettamente controllato dall'amministrazione pubblica, compresi organismi statali o forze armate, di un Paese non appartenente all'Unione europea" (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 6); - "il Governo considera, avuto riguardo alla natura dell'operazione... l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto", nonché "l'idoneità dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione... a garantire... la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti" (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 7). 18. Alla luce di queste puntuali coordinate legislative, in considerazione degli impatti che l'operazione potrebbe avere su "fattori produttivi critici della filiera alimentare" (quali indubbiamente sono le sementi e la libertà contrattuale dei produttori agricoli nazionali) e della riconducibilità della società acquirente al Governo di un Paese estraneo all'Unione Europea e connotato da una forma di governo differente da quelle occidentali, il Consiglio dei Ministri ha riscontrato la sussistenza di una "situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e alla continuità degli approvvigionamenti", cui la normativa primaria (cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 3) subordina l'esercizio dei poteri di golden power sub specie di veto all'operazione. 18.1. Tale delibazione non sconta il vizio della funzione ravvisato dall'appellante, posto che il Consiglio dei Ministri ha ritenuto, nell'esplicazione dell'ampia discrezionalità di cui - quale massimo organo di indirizzo politico del Paese - dispone, di apprestare una tutela particolarmente incisiva al settore agroalimentare nazionale, da un lato proteggendo il patrimonio informativo, tecnologico, scientifico e contrattuale posseduto, nel settore sementiero, dalle target italiane (in particolare, dalla società Su. Se.), dall'altro e specularmente impedendo che, grazie all'acquisizione, la società Sy. (e, per essa, il Governo cinese) integrando la propria filiera, possa incrementare il proprio potenziale capacitativo in un'area dichiaratamente strategica anche per la Repubblica Popolare (cfr. la relazione presentata dalle parti in data 02.08.2021, pag. 8, ove si precisa che "il razionale strategico dell'Operazione è rappresentato dalla rilevanza che il segmento di clientela a livello globale cui Ve. si rivolge riveste per Sy."). 18.2. Il Consiglio dei Ministri, in particolare, ha inteso evitare che, grazie all'acquisizione, il Governo cinese possa volgere a vantaggio del proprio mercato domestico il potenziale produttivo delle target italiane (in particolare, di Su. Se.), mediante, inter alia, la "rimodulazione delle priorità e delle tempistiche dell'agenda produttiva delle aziende agricole italiane", la "delocalizzazione dei punti decisionali fuori dai confini nazionali", il "mutamento del modello di business", "l'accelerazione del processo di standardizzazione nella produzione di sementi", tutte ipotesi che non possono certo escludersi in futuro. 18.3. Come già specificato supra, nell'ambito della procedura di cui al D.L. n. 21 del 2012 il Consiglio dei Ministri è organo decisionale deputato, sulla base delle risultanze fattuali dell'istruttoria (e non anche delle valutazioni e delle proposte operate dal Gruppo di coordinamento o dal Ministero responsabile), ad operare un'ampia valutazione prospettica di scenario, tesa da un lato a preservare il Paese da possibili fattori di rischio prospetticamente rilevanti, dall'altro e contestualmente ad arginare iniziative di Paesi terzi potenzialmente pericolosi o per i quali, comunque, sia ritenuto opportuno un ingaggio geopolitico particolarmente prudente. 18.4. In altra angolazione argomentativa, la stessa valutazione di strategicità non costituisce un dato oggettivo e, per così dire, inconfutabile riveniente dalle caratteristiche dell'operazione in sé atomisticamente considerate, ma rappresenta la risultante di una ponderazione altamente discrezionale (se non apertamente politica), sì che ben può essere qualificata "strategica" e capace di determinare "una situazione eccezionale" non altrimenti fronteggiabile un'operazione che pure, di per sé, non presenti profili intrinseci macroscopicamente straordinari: altrimenti detto, una stessa operazione può essere strategica o meno in funzione anche (se non soprattutto) dei soggetti coinvolti, non solo dei caratteri dell'asset e della società target. 18.5. Del resto, il controllo di un operatore economico nazionale da parte di uno Stato terzo estraneo all'Unione Europea e con cui non intercorrono formali e cogenti legami di alleanza (si pensi, in primis, a quello riveniente dal Trattato NATO) fa sì che l'operazione non sia ascrivibile al solo mercato ed alle connesse logiche di politica industriale, ma coinvolga ineludibilmente anche considerazioni di politica internazionale e di sicurezza, tese in ultima analisi a preservare non solo il funzionamento corretto del mercato nazionale, messo in pericolo dalla presenza di un operatore longa manus di uno Stato straniero, ma la stessa effettività del principio costituzionale supremo di cui all'art. 1, comma 2 ("La sovranità appartiene al popolo"), potenzialmente vulnerato da acquisizioni di asset fondamentali per la collettività nazionale da parte di Stati stranieri che, ad avviso del Governo, non diano sufficienti garanzie circa il relativo uso. 19. La piena idoneità delle ragioni afferenti alla tutela del settore agroalimentare a sorreggere ex se il provvedimento rende superfluo lo scrutinio delle censure mosse dall'appellante alle altre due ragioni enucleate nel provvedimento, inerenti ai profili della "raccolta dati" e alle "tecnologie di machine learning". 20. Per doverosa completezza motivazionale, il Collegio precisa che la normativa nazionale di cui al D.L. n. 21 del 2012 è conforme al diritto unionale, che, come visto, lascia ampio spazio al legislatore nazionale (cfr. considerando 8 e 12 del Regolamento 2019/452) e qualifica come "fattore pertinente" ai fini dell'esercizio dei poteri di golden power il controllo dell'acquirente da parte del Governo di un Paese terzo estraneo all'Unione Europea (considerando 13 ed articolo 4 del citato Regolamento). 21. Tornando alla vicenda di specie, non può neanche rilevare che la multinazionale Ch. già controlli un'importante società italiana attiva nel settore automotive (cfr. ricorso al T.a.r., pag. 17): l'esercizio dei poteri di golden power, infatti, consegue ad una considerazione attuale del quadro politico internazionale (strutturalmente in evoluzione) e si modula in base allo specifico settore economico interessato ed alla sua specifica "sensibilità " strategica. 22. Non si apprezza, poi, una violazione del principio di proporzionalità . 22.1. Il provvedimento, invero, indica chiaramente i motivi che lasciano stimare la costitutiva insufficienza dell'imposizione di prescrizioni, che non solo non osterebbero al perfezionamento dell'operazione, ma oltretutto produrrebbero "effetti pecuniari e/o obbligatori... di complessa realizzabilità in caso di inottemperanza del destinatario cinese". 22.2. Una siffatta motivazione - innervata dalla primaria necessità di impedire il perfezionarsi dell'operazione - appare logica, posto che l'imposizione di prescrizioni, pur se stringenti, non solo consentirebbe la conclusione dell'acquisizione, ma, per di più, sarebbe oggettivamente difficile da implementare, considerata la natura sovrana del detentore sostanziale del controllo della società acquirente (ossia il Governo cinese). 23. Rimane, infine, da scrutinare la questione della mancata formulazione del preavviso di rigetto, ex art. 10-bis l. n. 241 del 1990. 23.1. Sul punto, la motivazione spesa dal T.a.r. merita conferma, posto che con la notifica dell'operazione le parti interessate non veicolano un'istanza, ma adempiono ad un dovere prescritto dalla legge (cfr. lo stesso ricorso al T.a.r., pag. 11). 23.2. Peraltro, aggiunge il Collegio, la particolare specificità della materia lascia propendere per il carattere (implicitamente) completo ed autosufficiente della relativa disciplina, recata dall'apposito regolamento di cui al D.P.R. 25 marzo 2014, n. 86, la cui oggettiva specialità lo rende insuscettibile di integrazioni ab externo. 23.3. Infine, non può non rilevarsi che: - la disciplina del preavviso di rigetto non è compatibile con la natura giuridico-costituzionale dell'organo decisorio che interviene nella specie (non è, invero, ipotizzabile un contraddittorio, sia pur cartolare, fra le imprese interessate all'operazione ed il Consiglio dei Ministri); - l'ampiezza, la delicatezza e la politicità sostanziale delle valutazioni di cui è investito il Consiglio non si prestano alla discussione "pari a pari" con i soggetti interessati (anche per i profili di riservatezza connessi alle ragioni sottese alla delibazione consiliare); - a tutto concedere, nella vicenda non ricorrono "motivi ostativi" di diritto, come tali potenzialmente suscettibili di contraddittorio endo-procedimentale, ma mere valutazioni latamente discrezionali (se non tout court politiche), strutturalmente riservate al massimo organo collegiale di guida dello Stato. 24. Per le esposte ragioni, l'appello va rigettato. 25. La novità della questione costituisce giustificato motivo per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere, Estensore Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere
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